Today My Life Begins

di Esperanza97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A starry night. ***
Capitolo 2: *** One night for live ***
Capitolo 3: *** The beginning of troubles ***
Capitolo 4: *** Death ***
Capitolo 5: *** Looks ***
Capitolo 6: *** Doubts ***
Capitolo 7: *** Revelations ***
Capitolo 8: *** Trust me! ***
Capitolo 9: *** He was my child ***
Capitolo 10: *** Flashback from my past ***
Capitolo 11: *** Silence and anger ***
Capitolo 12: *** Everything will be alright ***
Capitolo 13: *** He would never be born ***
Capitolo 14: *** The end of the games ***
Capitolo 15: *** I will be. ***
Capitolo 16: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** A starry night. ***


-Today My Life Begins-
-A starry night. Capitolo n.1-
Pov.Elena

Quella notte, il cielo era ricoperto da centinaia di stelle.
Dopo quindici giorni di pioggia, io e Caroline tornavamo a lavorare.
Era un lavoro che ci faceva guadagnare parecchio, ma era orribile,disgustoso, metteva a dura prova la nostra femminilità: io e la mia amica eravamo costrette a prostituirci.

Qualche anno prima, la mia vita era completamente diversa. I miei genitori, Miranda e Grayson, mi davano tutto ciò di cui avevo bisogno, soprattutto l’amore. Dopo la loro morte, ero caduta in una fase di depressione. Avevo cominciato a usufruire di sostanze stupefacenti. Mi drogavo e non c’era un ora in cui io non fossi fatta. Un giorno, Tyler, il mafioso più potente della mia piccola cittadina, mi aveva trovata, aveva abusato di me e mi aveva costretta a lavorare per lui. Lì conobbi Caroline, la sua ex-ragazza che per averlo lasciato, aveva fatto la mia stessa fine. Era un uomo duro, spietato, non aveva paura di nulla… e dopo le interminabili ore che passavamo da un ragazzo all’altro, lui ci aspettava nel nostro piccolo monolocale, pronto per concludere la serata nel migliore dei modi: violentandoci.
Non potevamo ribellarci, altrimenti ci avrebbe ucciso.

Era una vita orribile: il mattino c’era la solita scuola, in cui dovevamo fingere che tutto andasse bene. Il pomeriggio, riuscivamo a studiare solamente per pochi minuti, giusto il tempo necessario per non essere bocciate in tutte le materie e infine arrivava la sera, la parte della giornata che più odiavo, indossavamo abitini troppo corti e stretti. Andavamo per strada e aspettavamo che uno stupidissimo gigolò o un ragazzo troppo depresso o con rimpianti della sua vita, arrivasse e passavamo ore con lui.

Quella notte, avevo la strana sensazione che qualcosa sarebbe cambiato.

-Cazzo, Elena. Questa sera non si ferma neanche un misero ragazzo e sto morendo di freddo.-

Mi voltai verso la mia amica bionda che quella sera indossava una mini gonna plissettata di colore nero. Sopra portava un top abbastanza corto e stretto di colore fucsia. Per completare il tutto, c’erano i suoi tacchi chilometrici di colore nero. I lunghi capelli biondi le ricadevano sulle spalle in modo ordinato. Eravamo totalmente diverse. Io avevo i capelli castani e quella sera erano legati in una coda. Indossavo un pantaloncino nero lucido, un corpetto con lo scollo a cuore di colore rosso e per finire portavo un paio di stivaletti neri con il tacco.

-Calma Caroline, vedrai che arriverà qualcuno.- Finii la sigaretta e la buttai per terra spegnendola con la punta dello stivale.
Mi voltai verso la mia amica e vidi che sbuffava. Sorrisi e le andai vicino.
-Come mai tutta quest’agitazione?- le domandai.
-Boh.. forse sono preoccupata..-
La guardai incredula.
-Non ci posso credere! Caroline, la ragazza che chiede 500 euro per un paio di ore, la ragazza che ha affrontato i più bruti di questa fottutissima cittadina, è preoccupata? Questa me la devo proprio segnare.-
Iniziai a ridere, lei con me.
Il suo sguardo si posò sulle stelle.
-Non sono preoccupata per quello, ma perché ho uno strano presentimento. Qualcosa mi dice che questa è la notte.-
Inarcai un sopracciglio.
-La notte per cosa?-
-Non lo so...- rispose con lo sguardo ancora perso nel cielo stellato.

Il rombo di una macchina ci fece voltare.
Una Ferrari nera si stava affiancando al marciapiede, proprio dove c’eravamo io e la mia amica.
I finestrini erano oscurati, infatti non si riusciva a vedere nulla.
Un vetro si abbassò e una figura si sporse oltre il finestrino.
-Ehilà ragazze, io e il mio amico, cerchiamo qualcuno per divertirci un po’. Quanto volete per stare con noi, tutta la notte?
Io e la mia amica ci scambiammo un occhiata. Il ragazzo era indubbiamente bello, i capelli corvini gli incorniciavano il viso, le labbra erano incurvate in un ghigno, ma quello che mi sorprese di più furono i suoi occhi: un colore simile al ghiaccio, capace di fermare per pochi secondi il mio cuore.
Caroline si avvicinò all’auto.
-Beh, dipende.. tutta la notte, credo che arriveremo a mille euro.-
Il moro la guardò.
-Ve ne do tremila se la tua amichetta castana passa con me la notte e se tu la passi con il mio amico-
Caroline mi guardò sorridendo e strinse la mano al conducente dell’auto.
-Forza salite in macchina, verrete a casa nostra-
La mia testa mi diceva che c’era qualcosa che non andava. Tremila euro, per una notte? Che voleva in realtà? Aveva un doppio fine?
-Ehi, Ele, vieni in macchina… è una figata questa Ferrari.- disse Caroline, ammirando i sediolini in pelle.
Il moro si voltò verso di me e mi incitò ad entrare.
Deglutendo entrai in quella lussureggiante automobile.

Partì velocemente e dopo qualche chilometro si girò verso di noi, tendendoci una mano.
-Piacere io sono Damon.-
Una testa bionda si voltò.
-Io sono Klaus, molto piacere.-
Caroline strinse la mano del biondo con cui avrebbe passato la notte.
-Io sono Caroline.-
Io strinsi la mano del moro.
-Io sono Elena.-
Mi sorrise e tornò a concentrarsi sulla strada.
-Elena, che bel nome.-
Istintivamente arrossii. Che mi stava succedendo? Quell’uomo mi incuteva paura, ma anche uno strano senso di sicurezza.

Dopo qualche chilometro arrivammo dinnanzi una villa gigantesca. Ecco spiegati i tremila euro fuori dalla tasca.
I due ci scortarono all’interno e ci fecero accomodare sul divano.
Ci offrirono del bourbon e la mia amica, venne accompagnata da Klaus nella sua stanza. Io e Damon restammo ancora un po’ nel salone.
All’improvviso mi strinse la mano.
-Andiamo?-
Io annuii.

Mi portò al piano superiore e aprì una porta. La camera era favolosa: un grande letto matrimoniale si trovava sotto una grande finestra, le rifiniture erano di colore rosso scuro. Ai lati, vi erano due comodini con due lampade poggiate sopra. C’era un grande armadio con le porte scorrevoli, una scrivania con un computer e tantissimi altri oggetti. C’era un'altra porta e intuii che portasse ad un bagno privato.

Un tocco alla schiena mi fece risvegliare.
-Ti piace? Modestamente l’ho arredata io.- ghignò.

Puntai dritta verso la grande finestra che affacciava nel giardino sottostante, completo di piscina, jacuzzi, solarium e un angolo barbecue. Ammirai quelle cose con un espressione incredula. Da quanto tempo non organizzavo una grigliata con i miei amici? Forse una vita. Varie immagini di me e la mia famiglia raccolti vicino ad un fuoco, arrostendo la carne, si presentarono nella mia testa.

Sentii un paio di mani che cingevano i miei fianchi e mi fecero voltare.
Incontrai un paio di occhi azzurri che mi guardavano ammirati. Fulmineo, si buttò sulle mie labbra. Iniziò ad accarezzarmi la schiena fino a scendere sul sedere. Io immersi le mani nei suoi capelli corvini, tirandogli qualche ciocca. Mi fece alzare le gambe e le strinse alla sua vita.
Tenendomi in braccio mi portò sul letto, posizionandosi sopra di me. In modo veloce, sciolse tutti i lacci del mio corpetto, fino a farlo volare dall’altra parte della stanza. Continuando a baciarlo, gli tolsi la camicia.

Le sue mani iniziarono a vagare per il mio corpo, accarezzandomi, provocandomi insoliti brividi. Prese a baciarmi il collo, scendendo poi, sul mio seno, dove si soffermò per alcuni minuti. Impaziente gli sbottonai i jeans e gli accarezzai le gambe fino a toglierglieli. Lui vedendo la mia impazienza, scese con le mani fino ai miei pantaloncini, privandomene nel giro di un secondo. Con le sue mani esperte, accarezzò la mia schiena, fino a trovare il gancetto del mio reggiseno che sganciò rapidamente gettandolo in un angolo, insieme agli altri vestiti. Accarezzai il suo addome, scendendo fino al basso ventre, dove lo privai dei suoi boxer. Baciandomi lentamente la pancia, scese fino all’elastico dei miei slip che strappò in un attimo. Alzò la testa verso di me e incollò le sue labbra alle mie, contemporaneamente entrò in me.

Ormai non sentivo più dolore da un bel po’ di tempo, ma avvertii comunque una strana sensazione penetrare in ogni mia cellula. Mentre spingeva; mi accarezzava la guancia, i capelli e mi stringeva a se. Era rassicurante, non sembrava sesso. Sembrava qualcosa di più profondo e quel qualcosa mi spaventò. Improvvisamente mi irrigidii, lui se ne accorse perché fermò le sue spinte e mi guardò.

-C’è qualche problema?- domandò con la voce roca dal desiderio e affannata per il nostro “esercizio”
Mi limitai a scuotere la testa e lo incitai a continuare.
Non se lo fece ripetere due volte e continuò i movimenti interrotti poco prima.

Normalmente i ragazzi con qui lo facevo provavano piacere, mentre io no. Arrivavo ad odiare anche il solo fatto che mi toccavano. Damon, continuò a spingere e riuscii a provare anche io quella cosa che i ragazzi definivano “piacere”. In quell’istante, mi sentii completa, soddisfatta, ero serena. Era stata un’esperienza completamente diversa, probabilmente perché lui aveva saputo prendermi nei modi giusti. Era stato dolce ma allo stesso tempo passionale; non rude come tutti gli altri. Esausti, ma completamente appagati, ci addormentammo sul suo grande letto.

***

Mi risvegliai la mattina dopo ancora abbracciata al petto di Damon. Lui mi stava stringendo a sé. A coprirci solo un misero lenzuolo bianco.
-Mi dispiace dover interrompere il tuo sonno, ma pensavo che avresti gradito la colazione.-
Io inarcai un sopracciglio. Dov’era la colazione? E poi, non era mica inclusa nel pacchetto…
Lui compose un numero dal suo cellulare, disse “vieni” e una ragazza, probabilmente una domestica, entrò in camera con un vassoio ricco di cornetti, torte, varie brioche e cappuccino.
Me lo porse davanti e si dileguò con un piccolo inchino.
Ma quanti soldi aveva questo qui per avere addirittura una domestica?
Lui si scostò da me e si sedette sul letto.
Non sapevo da quanto tempo era che non facevo una colazione così. Cosa mangiavo prima? La torta? Il cornetto? Oppure la brioche?
Vedendo la mia insicurezza, lui rise. Oh mio Dio, che risata che aveva.

Si alzò dal letto e si diresse verso il bagno.
Mentre era sotto la doccia, io finii di mangiare la mia colazione.
Rientrò nella camera pulito e vestito. Mi sentivo a disagio nel rimanere ancora nuda.
Posai il vassoio sul comodino, presi i miei vestiti da terra e andai in bagno.
Una volta entrata, mi lasciai andare sotto il getto d’acqua calda. Mi avvolsi in un asciugamano e osservai che fine avevano fatto i miei abiti. Gli slip erano completamente stracciati, per fortuna ne avevo un paio di riserva nella borsa. Mi rivestii e cercai di aggiustarmi i capelli sconvolti.

Uscii dal bagno e mi avvicinai allo specchio. Anche se non lo vedevo, capii che mi stava osservando. Nessuno dei due fiatò ma poi lui si decise a parlare.
-Dove volete che vi accompagni?-
Mi girai verso di lui inarcando un sopracciglio.
-A te e alla tua amica, intendo.- sottolineò.
-Puoi lasciarci anche dove ci hai preso. Torneremo a casa a piedi.- risposi in tono distaccato. Dovevo comportarmi nel modo più indifferente possibile, altrimenti avrebbe sospettato qualcosa.
Lui si avvicinò. Ogni suo passo era deciso, felpato e incredibilmente sexy.
-Posso anche accompagnarvi a casa. Dimmi dove abiti.-
No! Volevo che lui credesse che fossimo delle ragazze abbastanza ricche, che facevano questo lavoro, solo per divertimento o per accumulare più denaro. Volevo che credesse che facevamo ciò, perché lo volevamo, non perché qualcuno c’è l’ho imponeva.
-Ho detto di no…!- alzai di qualche tono la voce.
Lui se ne accorse e mi guardò incredulo. Dopodiché ghignò e avvicinò il suo viso al mio. I nostri respiri si fusero in uno solo. Il tempo era scaduto. Il nostro prezzo, non comprendeva inutili baci mattutini. Però ero attratta dalle sue labbra, dai suoi occhi e da quello che potei notare, si trovava anche lui nella mia stessa situazione. Non resistetti, presi il suo viso tra le mie mani e lo baciai, unendo nuovamente le nostre lingue. Lui si lasciò trasportare dal bacio e poggiò le sue mani sui miei fianchi.

All’improvviso ci ritrovammo entrambi sul suo letto, ancora sfatto. Intrecciai le mie gambe alle sue e gemetti, quando cominciò a baciarmi il collo. Una sua mano scese fino al mio basso ventre e tentò di rimuovere i miei pantaloncini.
Immediatamente mi bloccai. Poggiai le mani sulle sue spalle e lo allontanai da me.
Doveva essere solo sesso, non doveva trasformarsi in nient’altro. Doveva essere una cosa di una sola notte.
Lui mi guardò dubbioso.
Io scossi la testa e lo guardai, avviandomi verso la porta.
-Torno a casa da sola. Grazie comunque. Lascia i soldi alla mia amica, lei li darà a me.-
Aprii la porta e uscii velocemente, lasciandolo solo nella sua camera.

Pov.Caroline

Le mani esperte di Klaus scendevano lungo i miei fianchi privandomi della mia misera gonna. Io, persa, nei suoi splendidi occhi, non potei fare altro se non baciarlo. Immersi le dita nei suoi capelli beandomi di quella sensazione mai provata prima.
Sentivo il suo desiderio e riuscivo a percepire anche il mio.
Quel ragazzo mi attraeva in tutti i sensi.
Si spostò dietro di me e mi sganciò il reggiseno. Mi voltai verso di lui e gli accarezzai le guance. Lui prese i miei polsi e mi buttò sul letto. Gli tolsi i jeans che ormai stavano diventando un ostacolo. Rapidamente lo privai anche dei boxer e lui mi tolse gli slip.
Uno sguardo, dato per fini misteriosi. Perché mi guardava? Cercava un cenno di consenso? Non aveva capito cosa ero?
I nostri occhi si scontrarono e lo guardai dubbioso.
Lui entrò in me, tappandomi la bocca a causa di un gemito, più forte degli altri.
Mi sorrise. Un sorriso che mi rassicurò, che mi fece emozionare. Mai nessuno mi aveva sorriso mentre lo facevamo. Lo attirai a me e baciai le sue labbra.
La sua mano accarezzava lentamente il mio viso e il mio addome.
Ogni suo tocco, era un momento di pura magia, di felicità, di un inspiegabile bene. Non era sesso. No, ne ero certa.

***

Il mattino dopo, mi risvegliai sentendo una leggera carezza sui miei capelli.
Poggiai la mia testa sul suo petto e sentii il battito ancora accelerato del suo cuore. Sorrisi.
-Siamo di buon umore stamattina.- La voce. La sua voce, quella che la sera prima, mi sembrava così strana e ironica. Questa mattina, era dolce. Aveva un accento all’inglese, che ti faceva sciogliere. Mi strinsi ancora di più a lui. –Non accenni a rispondere. Qualcosa non va?-
Immediatamente mi rattristai, al pensiero che mai più avrei potuto udire le sue parole,i suoi respiri e che mai più avrei potuto stringerlo a me.
-Che succede dolcezza? Triste perché la notte è già finita?-

Dolcezza. Stavo morendo dall’invidia. La sua futura moglie, sarebbe stata fortunatissima. Solo allora mi accorsi delle parole che aveva pronunciato. “la notte è già finita?” Si!
Adesso mi toccava ritornare alla cruda realtà. Mi toccava aspettare una nuova sera e trovare un altro ragazzo che mi facesse provare le stesse cose che avevo provato con Klaus. Cosa impossibile. Niente e nessuno poteva essere paragonato a lui.

-Il sogno finisce e si ritorna alla realtà-*
Lui aprì la bocca per dire qualcosa. Dopo neanche due secondi la richiuse. Forse non sapeva cosa dire e aveva ragione. Per me era stato qualcosa in più… per lui, solo sesso.

Avvolgendomi nel lenzuolo, andai in bagno, mi vestii rapidamente e uscii.
Lui aveva indossato un paio di boxer e stava seduto sul letto a fissare delle banconote. Mi notò solamente quando presi la borsetta da terra.
-Caroline… questi sono i soldi. Sono seimila euro. Tremila per te e tremila per la tua amica. Poco fa è venuto Damon a dirmi che è andata via e che i soldi glieli davi tu.-
Elena era già andata via? Sicuramente era successo qualcosa.
Mi porse i soldi e per un breve secondo le nostre mani si toccarono di nuovo, provocandomi un ennesimo brivido.
-Caroline…- mi guardò con uno sguardo rassegnato.
-Addio Klaus…- lo congedai brevemente e uscii dalla porta e da quella casa.
Ora, dovevo solamente trovare la mia amica.
 


*La frase è presa dalla 1x02. 

Angolino Autrice: 
Ehilà.. 
Okay, tiratemi tutti gli ortaggi possibili.. Lo so.. lo so.. è la terza long che scrivo e devo ancora terminarne due ^^" Perdonatemi.. ma quest'idea, c'è l'avevo in mente da un po'.. Volevo una storia diversa.. senza vampri,licantropi e streghe.. Insomma senza problemi soprannaturali.. Spero comunque che vi piaccia.. ^-^ Attendo qualche recensione.. anche per dirmi se fa schifo (: Provvederò a migliorare il tutto.. Spero che le scene di sesso non siano troppo spinte.. ho cercato di rendere le descrizioni più "caste" possibili.. (: 
Altre mie storie: 
-All I Need- 
-I need to be saved-
-Without you-
-E poi, sei arrivata tu- 
Al prossimo capitolo <3 
Un bacione :33 
 



 

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Capitolo 2
*** One night for live ***


-Today My Life Begins-
-One night for live. Capitolo n.2-
Pov.Elena

Camminavo per strada a testa bassa.
La mia pelle, avvertiva ancora i brividi per il contatto avuto con quel ragazzo, Damon. Non poteva essere vero. Lo era invece, pensai tristemente. Non era stato solo sesso. Avevo avvertito qualcosa di più e sicuramente anche lui. Ma non potevo avere una storia. Inoltre, non l’avrei mai più rivisto.

Tiepide lacrime si fecero spazio sulle mie guance. Continuai a camminare evitando gli sguardi della poca gente che camminava, alle sette del mattino, lungo le stradine di Atlantic City.
Senza neanche accorgermene, arrivai dinnanzi casa mia. Mi asciugai velocemente le lacrime e inserii la chiave nella serratura.

Condividevo il piccolo monolocale con Caroline e qualche volte ne prendeva possesso anche Tyler, ma giusto il tempo di riscaldare il divano-letto e andarsene. Odiavo profondamente quell’uomo.
Lanciai la borsetta sul tavolo e mi tolsi i tacchi mettendoli vicino alla porta.
Aprii il frigorifero e notai a malincuore che l’unica cosa rimasta era una bottiglina d’acqua, riempita a metà: sarei dovuta andare a fare la spesa.

Non avevo voglia di andare a scuola così mi sdraiai un po’ sul divano nell’attesa che Caroline tornasse. Chissà cosa aveva provato lei… continuai a pensare mentre facevo un po’ di zapping alla tv. Non stava facendo nulla. Solo roba depressiva e con il mio umore, non era la cosa migliore. Mi soffermai su un canale che stava trasmettendo “Titanic”. Maledii la televisione, perché in quel preciso istante c’era la parte in cui la nave affondava e Jack e Rose si separavano. Lui morto di freddo e lei sopravvissuta su una lastra di legno. Amavo quel film, ma la fine era così straziante.
Spensi subito la televisione perché altre lacrime stavano minacciando di uscire.
Decisi di andare a farmi un’altra doccia e magari di cambiarmi.
Dopo una mezz’oretta ero di nuovo sul divano a leggere un libro, vestita in abiti molto più semplici: jeans, camicia e converse.

All’improvviso sentii il rumore di un paio di tacchi e la porta aprirsi. Una Caroline piuttosto infuriata mi venne vicino.
-Mi spieghi perché te ne sei andata?! Che cazzo è successo?!-
La guardai rassegnata e gli feci segno di sedersi accanto a me.

***

La mia amica stava distesa sulle mie gambe mentre io continuavo a guardare il soffitto.
-Caroline… ma che ci hanno fatto quei due?- sospirai.
-Non lo so, Ele.- disse persa nei suoi pensieri. –A proposito, io sto morendo di fame. C’è qualcosa in frigo?-
Guardai l’orologio che segnava le 9.00. –No, purtroppo. Ma tra poco scendo a fare la spesa. Cosa vuoi che compri?-
-Vedi tu. Basta che sia qualcosa di commestibile, non come le melanzane dell’altro giorno. Sinceramente? Se le buttavi mi facevi un piacere. Erano molle e non avevano sapore.-

Sorrisi e nello stesso istante sentimmo la porta d’ingresso aprirsi.
-Ehilà. Niente scuola oggi?-
Tyler. Cavolo! Proprio ora doveva venire?
La mia amica bionda roteò gli occhi e si chiuse in bagno per potersi cambiare.
Rimanemmo solo io e il bruno.
-Dunque ragazze, quanto avete guadagnato?- domandò.
-Seimila euro!- Urlò Caroline da sotto la doccia.
Lui sgranò gli occhi.
-Biondina sappi che se mi stai sfottendo, ti giuro che in meno di un secondo ti levo quei vestiti che stai indossando!- pronunciò in tono malizioso e nervoso.
Malizia e nervi. No, non andavano d’accordo.
Caroline uscì dal bagno con una tuta di cotone color viola scuro.
-Seriamente, Tyler!- Andò vicino alla borsetta, estrasse il denaro e glielo mostrò.
Il bruno guardò i soldi con un espressione incredula.
-N..on è possibile… Chi ve li ha dati? Voglio sapere i nomi!- Perché si infuriava così tanto? Certo era una cifra altissima rispetto ai soliti cinquecento euro ma, proprio non riuscivo a capire la sua rabbia.
-Sono due ragazzi… si chiamano Damon e Klaus. Abitano in una villa fuori dal centro.- rispose Caroline deglutendo.
Perché cavolo gli aveva fornito tutte quelle spiegazioni?!
-Che cosa?!- Un urlo fece sobbalzare entrambe.
Si avvicinò a me e alla mia amica con passi decisi.
Ci puntò il dito contro.
-Voi due, luride! Non vi permetterete mai più di incontrare quei ragazzi! Li rifiuterete se loro vogliono ancora del sesso da voi! Chiaro?! E se solo avete spiaccicato due parole su cosa fate e chi vi costringe, vi giuro che non ci metto niente ad uccidervi!-
Io e la mia amica annuimmo rapidamente.
Ma perché? Perché non potevamo più vedere Damon e Klaus?!
Si spostò da noi e finalmente riuscii a respirare.
-Elena, piccola, scendi e vai a fare la spesa. Intanto io mi diverto un po’ con Caroline che si è meritato tanto oggi. Mi ha dato delle informazioni molto utili. Brava la mia biondina!-
La mia amica mi guardò con un espressione di scuse. Io scossi la testa e ricambiai lo sguardo con un espressione preoccupata.

Presi una centina d’euro e scesi di casa. Richiudendo la porta alle mie spalle.
L’aria di Atlantic City mi invase e riuscii a sentire anche l’odore del mare che si trovava a pochi metri dal nostro piccolo appartamento.
Svoltai due angoli e mi ritrovai dinnanzi ad un supermarket. Inserii un gettone nel carrello e cominciai a vagare per i reparti, alla ricerca di qualcosa da poter sgranocchiare.

Non mi accorsi che il carrello era andato a sbattere contro qualcuno. Sentii un –Ahia- e immediatamente alzai gli occhi dalla lista. Due iridi azzurre mi guardavano sorridendo.
-Ehilà, come stai?-
Persi due battiti.
Damon!
-Ehi, sei sicura di stare bene? Sembra che tu abbia visto un fantasma. Il tuo viso è pallidissimo.-
Davvero ero impallidita?!
Allungò una mano e la posizionò sulla mia guancia, regalandomi una carezza.
Un brivido percorse la mia schiena.
-Elena…!-
Cavolo! Mi sentivo mancare.. Oh, il modo in cui aveva pronunciato il mio nome, era così sexy. No! Basta! Dovevo smetterla! Tyler ci avrebbe ucciso sul serio!
-Si… Si… Sto bene.- farfugliai e tolsi in un modo forse troppo brusco, la sua mano dalla mia guancia.
Lui inarcò un sopracciglio e la sua espressione parve indurirsi. No! Forse ero stata troppo dura, ma era necessario che io prendessi le distanze.
I nostri occhi si incrociarono e mi sentii male. Lo stomaco sembrava contorcersi, il cuore batteva all’impazzata e la testa invece mi diceva di scansare quel maledetto carrello e di buttarmi addosso a lui.
Non feci nessuna di queste cose, seguii semplicemente una piccola parte razionale di me che diceva di comportarmi educatamente ma allo stesso tempo in modo non molto confidenziale.
-Scusami.- sostenni il suo sguardo. Era complicatissimo!
Lui mi rivolse un sorriso dubbioso.
-Fa nulla.-
Per pochi minuti restammo entrambi in silenzio. Poi mi ricordai della spesa.
-Adesso devo andare… Ciao- cercai di andare via in modo naturale; cosa un po’ difficile dato che non riuscivo a collegare la testa con le mie gambe.
-Ci rivedremo mai, Elena? Magari stasera, davanti ad una pizza. Sempre se vuoi...-
Mi bloccai. Cosa?! Mi aveva invitato a mangiare una pizza?! Che fare? Rinunciare o meno? Tyler mi avrebbe ucciso, ma intanto ero così attratta da lui. Sospirai e lui si avvicinò porgendomi un biglietto.
-Questo è il mio numero. Chiamami appena avrai una risposta- mi rivolse un sorriso stupendo e si chinò, posandomi un bacio sulla guancia.
Stavo andando a fuoco. Le farfalle continuavano a svolazzare liberamente e il cuore stava per scoppiare.
Se ne andò, continuando a rigirarsi tra le mani una bottiglia di vodka: suo unico acquisto nel supermercato.

Cosa mi stava facendo questo Damon?

Pov.Caroline

Stavo seduta a terra vicino alla porta, aspettando con ansia l’arrivo di Elena. Le ginocchia al petto e la testa bassa.
Tyler era andato via da pochi minuti, lasciandomi sola, in balia del dolore che lui stesso mi aveva causato. Mi guardai la gamba dove giacevano alcuni lividi violacei. Non riuscivo più a tollerare questa situazione.
Avevo detto i nomi dei due ragazzi, proprio per evitare di subire “questo” e invece… lui la definiva “premiazione” ma per me era solo uno schifo che non sopportavo più, già da troppo tempo.

Sentii un paio di chiavi infilarsi nella serratura ed Elena varcò la soglia con tre buste di spesa in mano. Immediatamente, ancora avvolta nel mio accappatoio di spugna color glicine, mi buttai addosso a lei, stringendogli le braccia al collo. Sentii qualcosa di fresco solcare le mie guancia: lacrime. Stavo piangendo.
-Ehi Care, perdonami, davvero… non avrei dovuto lasciarti sola, avrei dovuto ribellarmi.- Elena continuò ad abbracciarmi, tenendomi stretta contro il suo petto.
-Non ti preoccupare… l’importante è che ora sei qui, mi basta solo questo.-
Mi scostai da lei, guardandola negli occhi. C’era qualcosa che non andava, lo intuii dalle sue mani che continuavano a stringere le buste.
Immediatamente gliele tirai da mano e la feci sedere accanto a me.
-Ele, che ti succede?-
Lei aveva uno sguardo pensieroso. Poi scosse la testa, prese un biglietto dalla tasca dei suoi jeans e me lo porse.
-Che cos’è?- domandai.
Presi il biglietto e lessi un numero. Sotto di esso c’era scritto il nome “Damon”.
Sbarrai gli occhi dalla sorpresa.
-Sul serio?! Dove lo hai visto? Se lo scopre Tyler, ti uccide.-
Elena mi guardò rassegnata e poi si alzò dirigendosi verso i mobili della cucina. Prese alcune cose dalle buste e le sistemò negli scaffali.
-Lo so, Care. Infatti non so cosa fare… mi ha invitato a mangiare una pizza, stasera e una parte di me dice che devo rifiutare l’invito, perché Tyler mi ammazzerebbe, l’altra parte invece mi dice che sono tremendamente attratta da lui e che una pizza non nuocerebbe nessuno dei due.-
Beh, questo era vero.  Avremo potuto inventare tranquillamente una scusa, così la mia amica sarebbe potuta uscire con quel Damon.
Guardai Elena, rivolgendole un sorriso complice. Lei mi guardò incredula.
-Caroline Forbes! A cosa stai pensando?- mi domandò con aria di finto rimprovero.

Io risi e nello stesso istante sentimmo la porta suonare.
Entrambe ci guardammo con sospetto.
Lentamente mi alzai e presi la scopa. Sentii una lieve risata da parte di Elena.
Poteva essere chiunque, anche un assassino. Okay, forse guardavo troppi film. Sorrisi anche io e posai la scopa.
Aprii la porta ancora titubante e un ragazzino di 10 anni si affacciò. Indossava un pantalone nero, una maglia bianca e blu e un cappellino dello stesso colore.
-Salve signorina Forbes. Mi chiamo Paul, volevo avvisarle che giù c’era un pacco per lei, ve l’ho preso e ve l’ho portato. Arrivederci.-
Gli sorrisi e passai una mano, simbolo di gesto affettuoso, sui capelli del bambino.
-Grazie mille, Paul.- Presi il pacco e lo entrai. Frugai tra le buste della spesa e presi una tavoletta di cioccolato. Mi riavvicinai alla porta e la porsi al bambino. –Tieni, cucciolo.- Gli diedi un bacio sulla guancia e lui mi guardò ammirato.
-Siete davvero molto bella, signorina. Alla prossima.-

Chiusi la porta e mi avvicinai al pacco.
Chi me lo aveva spedito?
Elena mi guardò con un misto di stupore e perplessità e dopo aver posato tutta la spesa, mi si avvicinò.
Aprii il pacco e in mezzo a tantissimi petali di rosa, vi era una scatolina, lunga e di raso, nera, accanto ad essa un bigliettino.
Sentii la mia amica sospirare e la guardai. Aveva gli occhi lucidissimi, come i miei d’altronde.
Aprii la scatolina e vi trovai un braccialetto d’oro. Un gioiello molto semplice.
Lo presi tra le mani continuando a guardarlo. Era stupendo. Il brillantino, posizionato nel centro, proiettava una straordinaria luce, simile all’arcobaleno.
Sentii un –Oh… oh- e mi girai.
Elena aveva un espressione sconvolta, mentre leggeva il biglietto.
Glielo tirai dalle mani e ciò che lessi mi fece rabbrividire.
Dolcezza,
è un grande piacere risentirti, ma soprattutto lo sarebbe, rivedendoti.
Il tuo cellulare è in mio possesso. 
Indubbiamente è carino, così come le tue foto.
Avresti dovuto spegnerlo e magari inserirci una password.
Comunque sono davvero felice di averlo.
Se lo rivuoi, ci vediamo stasera in un ristorante, lo stesso nel quale Damon ed Elena si sarebbero dovuti incontrare.
Aspetto davvero che tu e la tua amica veniate.
Vi veniamo a prendere noi.
Ormai sappiamo benissimo dove abitate.
A stasera.
Ah, indossa il bracciale..
La tua pelle e i bagliori proiettati da esso si accoppiano molto bene.
Un bacio.
Klaus”
Oh mio Dio!

Richiusi la scatolina e insieme al biglietto, riposai tutto nella scatola.
-No, no e no! Tyler ci uccide!- Poggiai la scatola sul bancone della cucina.
Elena stava ancora vicino al divano. Lo sguardo verso un punto indefinito. Poi capii: lei ci sarebbe voluta andare. Oh, quanto avrei voluto anche io… ma Tyler.
-Ele, seriamente, è una pazzia. Sai che Tyler può uccidere i miei genitori e io non voglio metterli in pericolo. Loro non sanno che la storia tra me e Ty è finita.-
La mia amica scosse la testa e quando mi avvicinai vidi che una lacrima solcava il suo viso.
-Ele…- dissi in tono preoccupato.
-No Care, la nostra vita è un continuo problema. Non possiamo uscire con due ragazzi, perché ci è vietato impegnarci; non possiamo indossare qualcosa di decente se non quando andiamo a scuola o a fare compere. Non possiamo vivere in questo modo, con la paura, che da un momento all’altro, quel bastardo può violentarci o ucciderci: non è vivere.-
Sapevo dove voleva arrivare. Non doveva fare cavolate. Se Tyler aveva detto quelle cose su Damon e Klaus, significava davvero che c’era qualcosa sotto. Stava andando verso la morte e neanche se ne rendeva conto.
-Elena… No!-
-Si, Care. Io stasera andrò a quella cena, perché è questo che significa vivere. Quei due si riveleranno due stronzi? Non importa, ho tentato, ma non posso vivere pensando a cosa sarebbe successo se non avessi accettato. Caroline. Ascoltami!- la mia amica strinse entrambe le mie braccia.- Damon e Klaus possono essere la nostra salvezza o la nostra rovina, spetta a noi decidere quale strada prendere. E, se ti preoccupi per Tyler, possiamo trovare una scusa… Ma tentiamo almeno! Inoltre, senza cellulare come farai?- Mi rivolse un sorriso incerto e complice.
No! No! No! No!...
-E va bene…- in quel preciso istante, la mia coscienza mi mandò a quel paese, ma non me ne curai. Lo facevo solo per il cellulare… ah, per il bracciale e anche per Klaus… per la cena… e per… beh tutto. –Però dove li troviamo i vestiti? Dobbiamo trovare qualcosa di elegante, ma allo stesso tempo, non troppo “scollata”…-
Elena era rimasta alla parte in cui gli avevi detto di si: continuava a guardarmi incredula.
-Si, Elena Gilbert, ho detto di si. Ora andiamo a fare shopping, però. – risposi ironica.
La mia amica si gettò nelle mie braccia.
-Oh, Care, non preoccuparti. A Tyler gli racconteremo qualche balla. Andiamo! Conosco un negozio fantastico, fuori la strada.-
-Ele, mi stavo dimenticando che ho ancora l’accappatoio.-
La mia amica inarcò un sopracciglio e mi porse alcuni abiti.
-Forza muovi il culo, Forbes!-
Risi e andai in bagno. Mi vestii rapidamente e uscii.
-Andiamo!-
Sembravamo due bambine, ma la nostra felicità, non poteva essere paragonata a nulla.

Sarebbe stata una serata fantastica.
Me lo dicevo anche mentre mi provavo il terzo abito dentro al camerino del negozio. Quest’altro abito era totalmente diverso dai due precedenti. Era corto e stretto, di colore nero. Lo scollo era a forma di cuore e vi erano incastonati, lungo il tracciato da un seno all’altro, vari brillantini che emanavano la stessa luce del bracciale, constatai. Uscii dal camerino, guardandomi allo specchio.
La commessa mi guardava ammirata. Beh, forse aveva ragione, il mio fisico mi permetteva di indossare qualunque cosa. Mi girai varie volte, notando che mi scendeva benissimo anche sui fianchi.
-Penso proprio che comprerò questo.- Annunciai e continuai a guardarmi allo specchio aspettando l’arrivo di Elena.
Dopo qualche minuto, anche la mia amica uscì dalla sala prove. Indossava un abitino monospalla, di colore blu notte. L’abito ricadeva stretto sui fianchi, risaltando le sue forme quasi identiche alle mie.
-Ele, sei fantastica. Io, penso che prenderò questo e tu?-
La mia amica annuì e ritornò nel camerino.
Avevamo speso tutti i nostri risparmi per quei vestiti. Sperai con tutto il mio cuore che avesse ragione lei, dicendo che Klaus e Damon potevano essere la nostra ancora di salvezza.

Continuammo a passeggiare vicino al lungo mare e verso le sette di sera, ritornammo a casa per poterci preparare.
Mentre ci stavamo truccando in salone, un dubbio si insinuò nella mia mente.
-Elena!- urlai.
La mia amica sobbalzò e mi guardò, trucidandomi con uno sguardo, poiché le avevo fatto perdere la concentrazione mentre si metteva il mascara.
-Ma non ci hanno neanche detto un orario! Come faremo a sapere quando stanno per venire? E se stavano scherzando? E se non ci volevano vedere? E se si vogliono prendere gioco di noi? E se…- Non riuscii a concludere la frase perché il clacson di una macchina, attirò la mia attenzione. Mi affacciai alla finestra e vidi una Ferrari posteggiare vicino casa nostra.
Una testa bionda uscì dalla macchina e mi rivolse un sorriso penetrante.
Oh mio Dio… Erano arrivati! La serata, stava per cominciare.



Angolino Autrice: 
Ehm.. Ciao.. Ehilà..
Lanciatemi tutto ciò che volete.. lo so, sono in ritardo.. Anche se non mi ascolterete vi darò una brevissima spiegazione di questo mio, ehm, ritardo: scuola! Appena quattro giorni fa ho iniziato la scuola.. e anche se vorrei stare a casa a scrivere... devo andarci.. >.< Inoltre, quella.. lasciamo stare.. della mia prof, già ci ha assegnato ventimila compiti :) Quindi sto esaurendo xD Ma comunque eccomi qui.. 
Dunque, spero davvero di non avervi deluso con questo capitolo.. e spero che mi crediate se vi dico che sono davvero emozionata e felice.. 9 recensioni, in un solo capitolo.. beh, mi hanno fatto quasi piangere.. siete stati fantastici.. spero di vedervi così numerosi, per tutto il resto della storia.. 
Lo so..alcuni di voi, me l'hanno detto: è un tema nuovo da affrontare.. mai trovato in questa sezione.. spero di cavarmela.. :') Anche con un vostro piccolissimo conforto.. mi aiutate tantissimo.. <3 
Ringrazio le 20 persone che hanno aggiunto la storia nelle seguite e le 8 che l'hanno aggiunta nelle preferite.. :') Siete davvero tanti.. <3 
Ma soprattutto ringrazio voi recensitrici della mia storia :')) Mi rendete tanto felice.. <3 
Bene.. al prossimo capitolo, nella speranza che arrivi più presto di quest'altro xD 
Altre mie storie: 
-All I Need-
-E poi, sei arrivata tu-
-Without you- 

Da oggi, anche qui inserirò il mio piccolo spazio pubblicitario: 
-Quando gli opposti si attraggono.- Capolavoro, in cui tutti sono umani. Pairing principale: Delena. Narrata magnificamente u.u Autrice: Morgana_94
-In my past I'll find my future.- Una storia diversa. Una Damon/Nuovo Personaggio stupenda *-*. Autrice: sempre il mio tesoro: Morgana_94 
-Love is just a choice.- Una storia che ti lascia col fiato sospeso.. ma anche molto romantica.. Ovviamente Delena <3 Autrice: Katniss_Somerhalder
-Always and Forever.- Una Klaroline e Delena davvero, ma davvero fantastica *__* Nothing Vampire, Only Wolves and witches u.u Ahah. Autrice: Winner_
-Memories are forever.- Una storia che ti incuriosisce sin dall'inizio.. Mistero e Amore, vagano per Mystic Falls.. *_* Autrice: Fefy_07
-Nightmare.- Una ragazza che nasconde moolte cose.. una storia misteriosa che ti coinvolge parecchio. Autrice: Roxy_14
-La storia di Damon Salvatore.- Ripercorriamo la vita del nostro amato vampiro dagli occhi di ghiaccio.. una storia fantastica. Autrice: Damon Salvatore_Cit
-Secrets.- Una storia piena di segreti, proprio come dice il titolo :') xD Una Delena molto dolce :P Autrice: Franceskiwi 
-And endless nights.- (Titolo precedente: Senza apparente motivo) Una serie di Flashfic, che raccontano i sentimenti di Damon. Flashfic che ti fanno venire i brividi. Autrice: Love Bites
-Nina,Ian e ...- Questa è una storia che troverete nella sezione "Cast Vampire Diaries".. è una storia nuova *-* che ha come protagonisti i nostri amati Nian alle prese con la loro figlia e con le registrazioni della settima stagione di TVD. *_* Autrice: MewAnna
-Your Love Saved Me.- Saltiamo la quarta stagione e andiamo direttamente alla quinta.. cosa succede? lo troverete in questa storia.. molto carina e romantica.. u.u Autrice: ElenaDobrevSomerhalder 

Alla prossima con il terzo capitolo ^^" 
Bacii :33 


 

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Capitolo 3
*** The beginning of troubles ***


-Today My Life Begins-
-The beginning of troubles. Capitolo n.3-
Pov.Elena

Non riuscivo a respirare.
Avevo una terribile ansia, ci allontanavamo sempre di più da Atlantic City e la paura continuava a far torcermi lo stomaco.

Caroline sembrava preoccupata e se non era per me, a quest’ora avrebbe avuto tutte le unghie mangiucchiate.

I due ragazzi davanti ogni tanto si giravano chiedendoci se tutto andasse bene, se avessimo fame o altro.
Erano molto premurosi ma quel cielo notturno e quella Ferrari, riuscivano ad incutermi terrore.

Era da più di due ore che viaggiavamo e la destinazione sembrava non arrivare mai.
Ad un certo punto ruppi il silenzio che aleggiava nell’auto da circa mezz’ora.
-Ragazzi, scusate ma dove si trova questo ristorante? Quanto ci manca per arrivare?- domandai incuriosita.
Damon si girò e mi guardò sorridendo: un sorriso strano, misterioso.
-Qualche altro chilometro e saremo arrivati, Elena.-
La bionda lo guardò inarcando un sopracciglio.
-La stessa cosa l’ha detta Klaus mezzo’ora fa.- rispose ironica la mia amica.

Io sorrisi e mi lasciai andare sul sedile dell’auto. Una stranissima stanchezza stava cominciando a prendere il sopravvento su di me fino a farmi sprofondare tra le braccia di Morfeo, con in testa, ancora le note della canzone che stava trasmettendo la radio: last to know dei Three Days Grace.

“Era un sogno, o forse era realtà.
Aprii gli occhi ritrovandomi in una camera d’albergo lussuosa ed enorme. Le ampie vetrate davano la vista sulla splendida città di Miami e la leggera frescura che emanava il condizionatore riusciva a rendere l’atmosfera ancora più tranquilla.
Avvertii “qualcosa” darmi dei calci all’altezza del ventre. Istintivamente vi poggiai le mani sopra. Mi guardai e notai che la mia pancia era più gonfia, simile a quella di una donna incinta. Un momento…io lo ero.  Dalle forme capii che stavo si e no al quinto mese di gravidanza. Aspettavo un bambino.
Ma chi era il padre? E che ci facevo a Miami?
Una figura entrò nella stanza. Damon!
I capelli erano bagnati e portava solamente un jeans. Petto e piedi erano nudi.
Si avvicinò e mi posò un bacio sulle labbra e poi uno sul ventre.
-Amore, come sta il nostro piccolino?-
Era lui il padre?! Ma come era possibile?!
Lo guardai incredula.
-Elena, sono quasi tre anni che stiamo insieme e ancora non ti sei abituata ad essere chiamata “Amore”? Ti devo ricordare che tra un anno ci sposiamo?- mi disse in tono dolce e ironico.
Io scossi la testa e sprofondai nuovamente tra le lenzuola.
No, ma Caroline? Klaus? Tyler? Dove erano tutti quanti?
-Ehm, Damon, dove sono Caroline e Klaus?-
Si irrigidì e i suoi occhi si inumidirono appena.
-Amore, Caroline è morta due anni fa e Klaus sin da quel giorno non ha fatto altro che fuggire da questa realtà. – Cosa?! Caroline era morta?! No! Lacrime bagnarono le mie guance, era tutto così vero.
-Damon... - deglutii- e Tyler? Che fine ha fatto?-  
Nell’udire quel nome, Damon indurì la mascella e si girò verso di me, parlandomi con un tono pieno di furia.
-Quel brutto bastardo è in carcere! Dove si merita di vivere fino alla sua morte, soprattutto dopo quello che vi ha fatto.- Terminò, abbassando la testa e chiudendo le mani in un pugno. Sospirò e rialzò il viso, guardandomi con più dolcezza. –Elena, davvero non ricordi nulla?-
-No.- risposi semplicemente.
Poi tutto cambiò. La stanza cominciò a girare e iniziai a vedere tutto sempre più sfocato e lontano.
-Mamma, mamma…- la voce di una bambina.
-Caroline, non fare confusione, la mamma non si sente molto bene.- Il tono ironico di Damon rivolto alla bimba.
-Mamma, svegliati.- quella voce tenera e melodiosa.
Poi tutte altre voci… “

-Svegliati Elena!- Damon!
-Ele, che ti succede? Oh Klaus! Devo chiamare un’ambulanza?- Caroline!
-Dolcezza cerca di stare calma, non ce n’è bisogno. Elena, ci senti?- Klaus!
-Elena!- mi richiamò Damon in tono preoccupato.
Aprii gli occhi un po’confusa.  
Mi guardai intorno: due braccia mi stringevano e una mano accarezzava i miei capelli. Due volti, invece, mi guardavano con preoccupazione.
-Che è successo?-
-Ti sei addormentata e non riuscivamo a svegliarti.- rispose Damon e solo allora mi accorsi di essere tra le sue braccia. Istintivamente mi rilassai ancor di più. La stanchezza continuava a dominarmi. Dovevo riuscire a stare sveglia. A giudicare dalle luci, che intravedevo attraverso la macchina, dovevamo essere arrivati.
-Sto bene, tranquilli.- Mi scostai un po’da Damon e lui mi lasciò andare.
Uscii dall’auto e un capogiro mi fece quasi sbattere a terra. Due braccia mi sostennero e ringraziai mentalmente quell’angelo, demone o quel che sia, dagli occhi azzurri.

Entrammo in una villa molto più grande di quella in cui eravamo state ospitate la notte precedente.
All’interno vi erano alcuni domestici che stavano dinnanzi alle porte oppure che passavano in ogni stanza con delle asciugamani poggiate sul braccio.
-Questa è la nostra seconda dimora, quella per le vacanze- rispose Klaus mostrandoci dettagliatamente la casa, partendo dai disegni dipinti sul muro alle mattonelle di marmo.
Io e Caroline guardavamo il tutto con un espressione incredula. Tutto quell’oro, quella ricchezza, dove li avevano guadagnati tutti quei soldi?

Sentimmo la voce di una ragazza e vidi la stessa cameriera della scorsa notte avvicinarsi a Damon. La giovane aveva la pelle scura, sicuramente era afro-americana, i capelli erano marroni mentre gli occhi erano verde scuro. Indossava un abitino nero corto fino al ginocchio. Sopra vi era un grembiule di colore bianco. Per finire, portava delle converse nere.
-Signor Salvatore, Mikealson.- fece un piccolo inchino. –Volevo avvisarvi che la cena è servita in terrazza. Se volete far accomodare le signore, seguitemi pure.-
La ragazza si incamminò verso una grande porta-finestra, la fece scorrere e ci fece segno di uscire. Tutti e quattro la seguimmo e ci accomodammo nell’immenso giardino della villa.
-Sono a vostra disposizione per qualunque cosa. Mi chiamo Bonnie.- ci mostrò un sorriso che rassicurò immediatamente sia me che Caroline. I ragazzi spostarono le sedie e ci fecero accomodare con molta eleganza.
Davvero erano quei due, che solo una notte prima, cercavano qualcuno con cui fare sesso?  Non era possibile.

***

Menomale che doveva essere una pizza, pensai, appena cominciarono a servirci i piatti.
Bonnie, con un sorriso molto gentile, ci spiegò cosa c’era nel piatto, perché, né io, né la mia amica lo avevamo capito.
Fu una cena “disastrosa”: Caroline ingoiò una spina del pesce e se non fosse stato per Klaus, a quest’ora staremo in ospedale. Io rovesciai il vino lungo la tovaglia e per terra, perché a dirla tutta, quei calici erano troppo leggeri: non sapevo neanche dove prenderli. La mia amica versò una quantità piuttosto elevata di peperoncino dentro la pasta, cominciò ad urlare e bevve due bicchieri d’acqua, fino a poi sputarla nel piatto dove vi erano poggiate quelle invitanti patate al forno.
Eravamo due combina guai. Non c’era niente da fare. Era vero che la “classe”, come la definiscono tutte le persone non l’avevamo mai imparata, quindi non sapevamo neanche con quale forchetta, bicchiere, piatto, dovevamo iniziare.
Fortunatamente, i ragazzi, non si arrabbiarono; anzi, sembravano divertiti dai nostri atteggiamenti e questo rese entrambe molto più tranquille.
“Stranamente” eravamo interessate a ciò che pensavano Damon e Klaus di noi.

***

Qualche ora dopo, eravamo seduti tutti e quattro nel salone chiacchierando del più e del meno.

Molte domande continuavano a torturare la mia mente: perché ci avevano invitate se sapevano chi eravamo? Non potevano essere “attratti” da noi, sarebbe stato un male per loro, ma soprattutto per me e la mia amica. Non riuscivano a comprendere il rischio che correvamo; dopotutto non sapevano nulla e promisi a me stessa che mai e poi mai l’avrebbero saputo. Tyler ci avrebbe ucciso.

Vidi Caroline ridere di gusto mentre Klaus gli diceva qualcosa all’orecchio. Sorrisi e sentii qualcosa poggiarsi sulle mie spalle. Era il braccio di Damon. Il mio corpo reagì a quel contatto, lui se ne accorse e mi sorrise. Gli sorrisi di rimando e lui sfoderò un ghigno.
-La tua amica è ubriaca fracida, se non è un problema potete trattenervi qui. Noi non torneremo in città prima di domani.-
Cosa? Stare a casa loro? Per un'altra notte?!
-Ehm, credo che vada bene.- diedi un’ultima occhiata a Caroline che stava accarezzando il petto di Klaus in un modo alquanto malizioso. –Si, rimaniamo qui.- Risi e Damon mi strinse ancora di più a se.
-Perfetto.-

Pov.Caroline

Ridevo, ridevo e ridevo.
Sembrava impossibile smetterla. Ero ubriaca e ne ero consapevole.
Ogni battuta, ogni parola, ogni consonante o vocale pronunciata avevano la capacità di farmi ridere.
Ridere. Fino a che il mio stomaco non mi supplicava di smetterla.
Avevo bevuto? Si. Quanti bicchieri? Infiniti.
Ero felice, spensierata. Ogni tanto Klaus mi pronunciava parole all’orecchio come: “sei stupenda” oppure “cerca di calmarti” perché stavo davvero esagerando.
Con una mano accarezzai il suo petto e vidi i suoi occhi chiudersi per il piacere. Di certo non potevamo andare oltre perché c’erano Damon ed Elena. Il primo aveva un espressione serena. La mia amica invece aveva uno sguardo preoccupato. Avrei dovuto chiedergli il perché appena saremo tornati a casa.
Se torneremo, pensai. Ma perché questi pensieri?

Un tuono mi fece sobbalzare e ridendo mi strinsi addosso a Klaus.
Damon guardò in modo seccato la finestra aperta, lasciò andare Elena, si alzò e la chiuse.
-È una vera fortuna che dormiate da noi questa notte. Il tempo non è dei migliori, ultimamente.-

Io e la mia amica annuimmo e qualche istante dopo udimmo il suono di un campanello.
Damon andò ad aprire e il suo sorriso si spense non appena vide chi era il suo visitatore.
Un ragazzo, abbastanza alto, biondo e dagli occhi verdi, entrò nel salone. Bagnato dalla testa ai piedi e con un trolley nella mano destra e un borsone nella sinistra.
-Ehilà, fratellino.- Pronunciò Damon in tono seccato poi posò lo sguardo su Klaus.-Amico, guarda chi è tornato dalla sua lunghissima vacanza. La Barbie dove l’hai sperduta?- ghignò.
Klaus sorrise e si avvicinò alla porta, dove il ragazzo sconosciuto si stava togliendo il giubbino.
-Io e Rebekah ci siamo lasciati. Lei si è innamorata di un altro tipo, un certo Matt Donovan. Un tipo palestrato, biondo e con gli occhi azzurri. Il perfetto principe azzurro.- Calcò molto sulla parola “perfetto”.
-Ah e come mai Santo Stefan non sta piangendo, abbracciandosi disperatamente il suo peluche preferito?- Damon si spostò dalla porta e si accese una sigaretta.
Guardai Elena che intanto era rimasta a bocca aperta.
-Ele, che succede?-
-Niente. Io conosco Matt, era il mio ex ragazzo e la nostra storia è finita perché non lo amavo. Lo conobbi durante il mio soggiorno in Georgia.-
-Ah.- ebbi la forza di dire solo questo.
-Su Stefan, vai in camera, non vedi che siamo molto impegnati?-
Stefan si girò verso di noi e ci rivolse un sorriso tirato.
-Piacere ragazze, io sono Stefan, il fratello di Damon.-
No. Non si era capito, pensai ironicamente tra me e me.
Elena decise di presentare entrambe poiché le mie capacità di dire una cosa sensata erano pari a zero.
-Noi siamo Elena e Caroline, due amiche di Damon e Klaus.- rispose con molta semplicità la mora.

Appena la mia amica pronunciò i nostri nomi, Stefan assunse un espressione sconvolta.
Si girò verso Damon e lo guardò con rabbia.
-Che diamine state combinando voi due?! Sapevate benissimo gli accordi!-
Damon lo guardò in modo furioso.
-Gli accordi sono saltati! Quell’inutile stronzo mi ha rotto le palle ed ora non desidero altro che vendetta!-
Stefan buttò il fratello contro il muro.
-Damon! Stai mettendo in pericolo loro e noi! E neanche riesci a comprenderlo!- Lasciò andare il moro e si rivolse a Klaus. –E tu, inutile idiota, dovevi fare la stessa cosa di Damon, cioè stare fermo e non toccarle neanche con un dito e invece ve le siete portate a letto. Stronzi!-
Ma di che stavano parlando?! Non riuscivo a capire, oltretutto l’alcol bevuto si stava facendo sentire e ogni tanto avevo alcuni conati di vomito che reprimevo solo per continuare ad ascoltare la vicenda.

Dopo la parola “Stronzi” Damon prese Stefan e iniziarono a picchiarsi. Vidi Elena immergersi nella lotta e sentii un paio di braccia prendermi.
-Perdona la rissa, dolcezza. Ora ti porto in camera e dormi. Tra poco verrà anche la tua amica tranquilla.-
Non l’avevo mai visto così. La maschera che solitamente usava, cioè quella del perfetto stronzo, si stava sgretolando.
Mi poggiò sul letto e mi rimboccò le coperte.
Un bacio sulle labbra, leggero, casto e quasi invisibile.
-Mi dispiace Caroline, non avrei voluto metterti nei guai.-
Stavo per chiedergli il perché di quelle parole, ma dopo neanche due secondi, caddi nelle braccia di Morfeo.

Pov.Elena

Caroline non aveva capito e lo avevo notato dalla sua espressione vagamente confusa, io si: Damon, Klaus e questo Stefan, conoscevano Tyler. Alcune parole di Stefan me l’avevano fatto intuire: “Queste due”, “accordi”, “le stai mettendo in pericolo”.
Si, eravamo ricoperte di guai fino al midollo.
All’improvviso tra i due fratelli iniziò una lotta. Damon prendeva a pugni Stefan. Quest’ultimo gli dava calci a non finire. Vidi anche del sangue e perciò decisi di intervenire.

Mi diressi verso i due e cercai di dividerli. Risultato: un pugno sulle labbra.
Mi toccai il labbro inferiore e vidi che stava uscendo del sangue.
Damon notò che mi ero ferita e si fermò, nello stesso istante Stefan sferrò un potente calcio nello stomaco che costrinse Damon a piegarsi in due.
Mi avvicinai a Damon e cercai di sorreggerlo.
-Stai bene?- domandai preoccupata.
-Si, io sto bene. Tu, piuttosto, come stai?-
-Bene…- farfugliai.
Sentii una presenza alle mie spalle e mi girai. Uno Stefan alquanto sconsolato giaceva a terra, in ginocchio, vicino a noi.
-Elena, scusami per il pugno.-
-Fa nulla, tranquillo, non te ne eri accorto. Sto bene.- dissi convinta.
Gli rivolsi un sorriso e lui ricambiò.
-Ehi, ci sono anche io e penso che qualche costola sia fratturata.- disse Damon ironicamente, ma nella voce riuscii a notare un po’ del dolore che cercava di trattenere. Era stato un calcio davvero forte.
Klaus scese per le scale con un espressione pensierosa.
-Ho messo Caroline a dormire. Era ubriaca e ne aveva bisogno. Elena, dovresti andare anche tu. Sarai stanca.-

Annuii e mi staccai da Damon o almeno stavo per farlo, perché improvvisamente la porta d’ingresso si aprì. Una figura alta, robusta e bagnata entrò nel salone.
-Che cazzo ci fa qui questa puttana?!-
Riconobbi subito la voce: la sua voce che penetrò crudelmente nelle mie orecchie. La sua voce che mi gelò il sangue e che aumentò i battiti del mio cuore…
…Tyler!
 

Angolino Autrice: 
Non sò se la vostra voglia di uccidermi è tanta.. Beh se si.. non ho armi necessarie per un omicidio.. vi dovrete accontentare di frutta in grande quantità :D Vabbè che ci sono anche le verdure é.é 
Sono in ritardo.. In grande ritardo.. Scusatemiiiiiii T.T Vi imploro in ginocchio di perdonarmi.. 
Spero che l'attesa sia stata ripagata ^^"
E spero anche di pubblicare il prossimo capitolo, più presto xD :')) 
Passiamo ai ringraziamenti che sono la cosa più importante.. Perché? Semplice, perché le cose che ho letto e che ho visto mi hanno resa felicissima: 17 recensioni in soli due capitoli.. 11 persone che l'hanno aggiunta tra le preferite.. 3 tra le ricordate e 27 tra le seguite.. e anche gli innumerevoli lettori silenziosi.. Grazie, Grazie, Grazie e ancora grazie *_______* <3 
Altre mie storie: 
-All I Need- 
-Without you-
-E poi, sei arrivata tu.- 

Un pochino di pubblicità (Che di "pochino" non ha più nulla.. xD :')) : 
-Quando gli opposti si attraggono.- Capolavoro, in cui tutti sono umani. Pairing principale: Delena. Narrata magnificamente u.u Autrice: Morgana_94
-In my past I'll find my future.- Una storia diversa. Una Damon/Nuovo Personaggio stupenda *-*. Autrice: sempre il mio tesoro: Morgana_94 (Storia che.. tra meno di una settimana verrà eliminata.. ma finché vivrà io la pubblicizzerò u.u) 
-Love is just a choice.- Una storia che ti lascia col fiato sospeso.. ma anche molto romantica.. Ovviamente Delena <3 Autrice: Katniss_Somerhalder
-Always and Forever.- Una Klaroline e Delena davvero, ma davvero fantastica *__* Nothing Vampire, Only Wolves and witches u.u Ahah. Autrice: Winner_
-Memories are forever.- Una storia che ti incuriosisce sin dall'inizio.. Mistero e Amore, vagano per Mystic Falls.. *_* Autrice: Fefy_07
-Nightmare.- Una ragazza che nasconde moolte cose.. una storia misteriosa che ti coinvolge parecchio. Autrice: Roxy_14
-La storia di Damon Salvatore.- Ripercorriamo la vita del nostro amato vampiro dagli occhi di ghiaccio.. una storia fantastica. Autrice: Damon Salvatore_Cit
-Secrets.- Una storia piena di segreti, proprio come dice il titolo :') xD Una Delena molto dolce :P Autrice: Franceskiwi 
-And endless nights.- (Titolo precedente: Senza apparente motivo) Una serie di Flashfic, che raccontano i sentimenti di Damon. Flashfic che ti fanno venire i brividi. Autrice: Love Bites
-Nina,Ian e ...- Questa è una storia che troverete nella sezione "Cast Vampire Diaries".. è una storia nuova *-* che ha come protagonisti i nostri amati Nian alle prese con la loro figlia e con le registrazioni della settima stagione di TVD. *_* Autrice: MewAnna
-Your Love Saved Me.- Saltiamo la quarta stagione e andiamo direttamente alla quinta.. cosa succede? lo troverete in questa storia.. molto carina e romantica.. u.u Autrice: ElenaDobrevSomerhalder 
 

è tutto gente.. *__*
Al prossimo capitolo.. 
Un bacioneee :33 



 

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Capitolo 4
*** Death ***


Piccola noticina prima di iniziare: Il sogno nel precedente capitolo.. NON è premonitore ;) Avrei dovuto scrivervelo alla fine, ma mi sono dimenticata :') Sorry.. quindi non traete conclusioni affrettate dalla fine di questo.. Buon proseguimento :D 
 
-Today My Life Begins-
-Death. Capitolo n.4-
 
“Sapevo che qualcosa sarebbe andato storto, che noi, non avremo potuto essere felici, né ora, né mai. Sapevo che le bugie vengono sempre a galla, che non possono essere mantenute a lungo e che prima o poi, saremo state nei guai. Ma non immaginavo che la mia morte sarebbe accaduta a causa di una menzogna, no… non riuscivo proprio a crederci…”

Pov.Elena

Tyler avanzò con passi felpati nella mia direzione. Uno sguardo gelido, infuriato, rabbioso; uno sguardo che incuteva paura. I capelli erano bagnati così come i vestiti. Alcune goccioline di pioggia scendevano lungo le sue guance che erano tese.
-Damon! Vorrei una cazzo di risposta alla mia domanda!-
Damon guardò Tyler con un espressione indifferente e si rialzò, spostandomi in modo brusco.
-Mi hai rotto le palle, dovevo vendicarmi in qualche modo! L’ho fatto per Rose e per la figlia che hai ucciso due giorni fa. Per mia figlia!-
Chi era Rose? Damon aveva una figlia? Di chi poi? Guardai i due che si stavano affrontando, senza capire nulla.
Inarcai un sopracciglio.

Tyler mi guardò dall’alto e si abbassò. Con una mano fredda e bagnata mi accarezzò il mento.
-Che c’è mia cara? Non sai chi è Rose? Oh, forse un giorno te lo spiegherò o forse anche adesso.- Sorrise malignamente. –Rose era una puttana, come te e Caroline. Si innamorò di Damon, quando aveva solamente diciassette anni e Damon, ne era follemente innamorato anch’esso. Si sposarono, di nascosto da me e penso che tu abbia capito il perché.- Un altro sorriso. Deglutii. –Purtroppo ho un intuito infallibile e scoprii tutto. I due fuggirono per circa dieci mesi e quando fecero ritorno a casa, io ero ancora qua. Mentre Damon non c’era, violentai e uccisi Rose. Appena lui se ne accorse, venne sotto casa mia e cominciammo a prenderci a botte. Fu una lotta sanguinosa, finita con la promessa di non rivederci mai più, né di intrometterci nelle vite di uno o dell’altro. Un anno fa Damon mi denunciò alla polizia, ma fortunatamente avevo un asso nella manica e riuscii a non farmi scoprire. Poi sei apparsa tu e mi piacevi così tanto, eri tutta triste per la morte dei tuoi genitori: “Ti drogavi per non soffrire più” e così ho cancellato la tua tristezza, portandoti a letto e facendoti lavorare per me, poi Caroline mi ha lasciato e ha fatto la tua stessa fine e tutto sembrava andasse bene, fino a quando non ho scoperto che Damon e Rose avevano avuto una figlia, affidata ad un convento in una cittadina poco lontano da qui. Ovviamente, dovevo cancellare tutte le tracce di quella ragazza e così…-
Chiusi gli occhi. Non poteva averlo fatto. Aveva ucciso una bambina. Che razza di uomo era?
-L’hai uccisa.- bisbigliai, chiudendo gli occhi per reprimere le lacrime che minacciavano di uscire.
-Esatto, carissima. Damon, ovviamente, si è vendicato, prendendovi per farmi incazzare. Ma non sapeva che così vi avrebbe solamente messo in pericolo.-

Dopo quelle parole mi sentii uno straccio completo. Damon mi aveva usata solo per vendetta. Non sentiva nulla per me. Tutti quegli sguardi e quelle carezze erano solo una messinscena. Sentii il mio cuore frantumarsi mentre un mano mi tirava il polso fino a farmi alzare. Chiusi gli occhi. Non dovevo piangere.
-Che c’è Elena? La verità fa male? Credevi davvero di contare qualcosa per questo qui? Davvero? Ti sei illusa mia cara.- Abbassai lo sguardo, ma lui fu subito pronto a rialzarlo e una lacrima sfuggì al mio controllo. Guardai Damon che indurì la mascella e distolse lo sguardo.
-Cosa c’entrano Klaus e Stefan in tutto questo?- Una voce familiare ci costrinse a voltarci verso le scale dove una Caroline, dal viso pallido, stava scendendo lentamente.
-Ottima domanda, biondina. Klaus era d’accordo con Damon. Ha fatto tutto ciò, anche lui, per vendetta, perché Rose era sua sorella*. Mentre Stefan, beh, ovviamente, non c’entrava nulla, poiché dopo la morte di Rose si è trasferito in Canada con la sua fidanzatina. Sapeva parte della storia e aveva avvertito ai due di non avvicinarsi a voi perché vi avrebbero messo nei guai. Ma loro l’hanno fatto e così eccoci qua. Tutti insieme!-

Caroline finì di scendere le scale e si avvicinò a me, cercando in tutti i modi possibili di non incontrare lo sguardo di Klaus.
Tyler aveva ucciso la figlia di Damon e lui voleva vendetta. Ovviamente potevo capire il suo dolore, ma scoprire di essere stata usata in questo modo, mi stava davvero uccidendo. Non sentivo neanche più la mano forte di Tyler che tirava il mio polso. Quel dolore non era nulla in confronto a ciò che sentivo nel mio cuore.
-Elena, ehi…- una voce e un tocco leggerissimo sul braccio mi distolsero dai miei pensieri. Mi girai e vidi Caroline guardarmi con preoccupazione. Ricambiai il suo sguardo.
-Se ora non vi dispiace, porto via le mie ragazze. Per ciò che hanno fatto, temo che avranno una punizione molto esemplare.- Tyler ghignò, mentre ci guardava maliziosamente.
La sua espressione non sfuggì a Damon e Klaus che alzarono immediatamente lo sguardo.
-Non è colpa loro!- A parlare fu Damon. –Non devi punirle, non hanno fatto nulla! Siamo stati noi che abbiamo insistito! Lasciale andare.- Le ultime parole le disse quasi urlando.
-Damon! Cerca di calmarti! Pensavo che non ti interessasse di loro, ed ora? Vuoi addirittura che non le punisca?!- Finalmente mi lasciò il braccio, che massaggiai lentamente. Si avvicinò a Damon fino a ritrovarsi faccia a faccia contro di lui. –Non le ucciderò, ma non la passeranno liscia. Questa è l’ultima volta che ti avviso Salvatore: non intrometterti più nella mia vita, altrimenti le prossime a morire saranno proprio loro due!- Si scansò da Damon e si avvicinò a Klaus. –Mikealson, la stessa cosa, vale per te! Com’è che si dice? Ah si: “Uomo avvisato, mezzo salvato”**-

Non volevo stare un minuto di più in quella casa, anche se avevo una paura enorme di ritornare con Tyler. Avevo paura della punizione e di quello che avrebbe potuto fare a me o a Caroline.
-Ragazze, se volete seguirmi.- Si diresse verso la porta, facendoci segno di seguirlo.- Deglutendo, ci avviammo ma fui fermata da una mano. Mi girai e vidi Damon guadarmi tristemente.
-Elena, mi dispiace, davvero. Non intendevo farlo, se avrei saputo il rischio, non avrei fatto nulla. Non volevo mettervi nei guai.- Guardai prima le nostre mani, poi le sue labbra, quelle che la sera prima, avevo avuto il lusso di baciare e infine guardai i suoi occhi e vidi la tristezza regnare su di essi, ma dentro vi leggevo una sorta di rabbia e disperazione, unite al senso di colpa.
Mi limitai ad annuire. Sapevo che se avessi parlato, non sarei stata capace di trattenere le lacrime.
Una stretta sulle mie dita mi fece intuire che lui aveva bisogno di una risposta.
-Sto bene.- Sciolsi a malincuore le nostre mani e mi diressi verso la porta. Un ultimo sguardo alla casa e chiusi gli occhi. Era stato solo un sogno, finito troppo presto.

***

In macchina regnava il silenzio assoluto. Tyler aveva uno sguardo duro, puntato sulla strada leggermente illuminata.
Caroline, che vi stava accanto, tremava, forse dal freddo, mi suggeriva una parte della mia testa, o forse dalla paura, diceva l’altra parte.
Ero seduta sul sedile dietro quello di Tyler e ogni tanto lanciavo un occhiata verso la mia amica per assicurarmi che stesse bene. Quando mi voltai vidi che Tyler aveva poggiato una mano sulla gamba di Caroline e stava risalendo sempre più su. La mia amica, d’un tratto, si era irrigidita mentre la mano di quell’odioso accarezzava il lembo del vestito. Fortunatamente si fermò lì e con un sorriso soddisfatto ritornò a guidare.

Ore 5.00 a.m.

La macchina svoltò lungo il vialetto e ci fermammo dinnanzi casa nostra. Scendemmo dall’auto e inserii le chiavi nella toppa. Un braccio mi strinse la vita proprio quando la porta si era aperta. Sentii il fiato di Tyler alitarmi sul collo.
-Bionda! Vatti a fare un giro, perché ho parecchio da fare,  dopotutto entrambe vi dovete far perdonare una notte di sesso perduto.-
Il battito del mio cuore accelerò nell’udire quelle parole.
Caroline non poteva fare altro se non obbedire e con un cenno di assenso le feci intendere che andava tutto bene. Lei mi guardò e se ne andò.

Entrai in casa e cercai di calmarmi, altrimenti il cuore sarebbe esploso in un attimo.
-Elena…- Tyler mi girò e mi attirò a se facendo premere il suo bacino contro il mio. Un ciuffo di capelli cadde sui miei occhi e una sua mano me lo tolse poco delicatamente. L’altra mano era impegnata sulla scollatura del mio vestito che in meno di un secondo tolse, facendomi rimanere solo in intimo.
I suoi occhi “mangiarono” il mio corpo e dopo pochissimi istanti mi buttò sul divano.

Pov.Caroline

L’odore del mare investiva le mie narici, mentre camminavo nelle stradine mal illuminate di Atlantic City.
Mi morsi il labbro inferiore. Cavolo! Ero stata davvero un illusa a credere di essere importante per un ricco sfondato.

La vibrazione del mio cellulare bloccò i miei passi. Lessi il numero e mi spaventai. Perché mia madre mi chiamava alle cinque del mattino?
-Mamma?-
-Caroline...- Mia mamma singhiozzava.
-Oh mio Dio! Che è successo?- Istintivamente mi sedetti su una panchina e poggiai una mano sul mio cuore che sembrava voler uscire dalla cassa toracica
-Care, tuo padre… è… è… – Iniziò a balbettare. –Tuo padre è morto. – Mia madre pianse e sentii tutte le sue lacrime per telefono.
-Come… come… è morto?- La mia voce era ridotta a un sussurro. Il mio cuore aveva perso troppi battiti, la gola era secca e la mia mente cercava di elaborare il tutto ma invano.
-L’hanno ucciso Caroline! Si tratta di un omicidio!- Persi un ennesimo battito e la mia mente mi fornì la visuale di lui: la persona che più odiavo in tutto il pianeta. Un'altra morte, e la causa era sempre la stessa: Tyler!

Chiusi immediatamente la chiamata e gettai il cellulare nel mare. Lacrime iniziarono a scendere velocemente dai miei occhi. Tolsi i tacchi e li lasciai lì, accanto alla panchina. Iniziai a correre come una furia. Direzione? Nessuna. Non potevo andare da nessuna parte. Ero imprigionata. Corsi e il pianto si fece sempre di più rabbioso. L’unica cosa per riuscire ad essere libera era… la morte. La via più semplice, la meno dolorosa. “Un attimo e tutto svanisce.” Si, la cosa più semplice era morire. A chi sarei mancata? Elena, mia madre e… basta, non avevo più nessuno.
Klaus? Inutile persona che si era approfittata di me. Tyler? Medesima cosa. Compagni di scuola? Ragazzi che ti criticano perché non sanno niente di te. Padre? Morto. Fratelli o sorelle? Nessuno.
Due persone avrebbero sofferto. Erano poche, ma la loro tristezza sarebbe stata più grande di diecimila esseri umani messi insieme. Ma, sicuramente, avrebbero capito.

Arrivai su un molo. Non c’era nessuno. Solo pochissime barche che galleggiavano sull’acqua, piuttosto agitata. Una barca attirò la mia attenzione. Era di medie dimensioni e su un lato vi era scritto in corsivo: “Mikealson”. Forse apparteneva a lui. Beh, non mi importava. Arrivai sul ponte. Sicuramente non sarei morta se mi fossi semplicemente buttata in acqua. Decisi che dovevo prendere un’ancora e così feci.
Riuscii a slegarne una da una barca che stranamente era proprio quella che apparteneva a Klaus. Legai la corda di ferro al mio piede sinistro e presi in braccio l’ancora. Volsi un ultimo sguardo al cielo, in quel preciso istante il sole stava sorgendo. Un nuovo giorno iniziava. Il 1 ottobre dell’anno 2012.

Sentii dei passi pesanti correre sul ponticello di legno.
-Caroline! Non farlo!- Era la sua voce? Quella di Klaus?
Non me ne importai di quel consiglio e mi buttai in mare.
Il contatto con l’acqua mi raggelò. Era fredda e sentii che stava avvolgendo tutto il mio corpo in una sensazione nuova e anche strana.
Era davvero Klaus quello che stava cercando di salvarmi?
Lasciai andare l’ancora che si poggiò pesantemente sul fondo del mare.
Sentii gli occhi farsi pesanti e chiudersi.
Qualcuno o qualcosa mi raggiunse nell’acqua e sentii un paio di mani slegarmi la corda di ferro. Una mano mi strinse i fianchi e una mi accarezzò la guancia.
Quei tocchi furono l’ultima cosa che sentii prima di cadere negli abissi.

Pov.Elena

Tyler aveva davvero esagerato. Non riuscivo a muovermi. Anche solo aprire gli occhi mi causava dolore.
Ero rannicchiata su un fianco, distesa sul grande divano, coperta da un plaid caldo che ero riuscita a tirar fuori dall’armadio prima di svenire.
Il mio corpo era ricoperto da graffi e da lividi: chiazze di grandi dimensioni, di un color violaceo, orribile e disgustoso. Il basso ventre bruciava. Ero scossa da brividi. Strinsi le labbra e ciò che sentii fu il sapore rivoltante del sangue.

Avvertii il cellulare vibrare da sopra al tavolino di vetro. Con molta fatica lo presi e lessi il nome: “Sconosciuto”.
Risposi preoccupata.
-Pronto?- la mia voce era debole.
-Elena!- Era una voce allarmata. –Sono Klaus! Cerca di venire subito in ospedale. Caroline stava tentando di uccidersi ed ora è in coma!-

Tutto si fermò. L’orologio, il vento, le parole di Klaus e anche le fitte che stavano torturando il mio corpo. La terra non ruotava. L’asse si era fermato e anche le nuvole che stavano cominciando a coprire il sole. Il mio cuore non batteva e la mia mente si era fermata alla parola “uccidersi”. Tutto era fermo. Non c’era più niente di vivo. Niente più esisteva. Tutto era morto.
 


 
*: Si, in questa mia storia, Rose era la sorella di Klaus.. ;) 
**: è un detto u.u non mi ricordo di chi, però.. xDD 

Angolino Autrice: 
Amoriiiiii
Eccomi qui, con il quarto capitolo.. Ho fatto più presto questa volta *_* Spero che vi piaccia e che non siate rimaste deluse :) 
Come vi ho detto nella nota, all'inizio del capitolo.. cercate di stare tranquilli.. Care.. non muore.. almeno non così u.u xDD Okay, sto scherzando u.u Diciamo che è un capitolo piuttosto, forte e triste.. :/ e scusatemi se fa schifo T.T 
Mi state rendendo sempre più felice: 24 recensioni, 15 che hanno aggiunto la storia nelle preferite, 5 nelle ricordate e addirittura 35 nelle seguite.. Siete la mia vita *____________* :33 
Altre mie storie: 
-All I Need- 
-E poi, sei arrivata tu-
-Without you- 

Un pochino di pubblicità (Che di "pochino" non ha più nulla.. xD :')) : 
-Quando gli opposti si attraggono.- Capolavoro, in cui tutti sono umani. Pairing principale: Delena. Narrata magnificamente u.u Autrice: Morgana_94
-In my past I'll find my future.- Nuova storiella *_* Che mi ha colpito sin dal prologo.. davvero interessante e misteriosa.. consiglio tutti quanti di passarci perché è scritta benissimo *_* Autrice: Sempre il mio tesoro *-*: Morgana_94
-Love is just a choice.- Una storia che ti lascia col fiato sospeso.. ma anche molto romantica.. Ovviamente Delena <3 Autrice: Katniss_Somerhalder
-Always and Forever.- Una Klaroline e Delena davvero, ma davvero fantastica *__* Nothing Vampire, Only Wolves and witches u.u Ahah. Autrice: Winner_
-Memories are forever.- Una storia che ti incuriosisce sin dall'inizio.. Mistero e Amore, vagano per Mystic Falls.. *_* Autrice: Fefy_07
-Nightmare.- Una ragazza che nasconde moolte cose.. una storia misteriosa che ti coinvolge parecchio. Autrice: Roxy_14
-La storia di Damon Salvatore.- Ripercorriamo la vita del nostro amato vampiro dagli occhi di ghiaccio.. una storia fantastica. Autrice: Damon Salvatore_Cit
-Secrets.- Una storia piena di segreti, proprio come dice il titolo :') xD Una Delena molto dolce :P Autrice: Franceskiwi 
-And endless nights.- Una serie di Flashfic, che raccontano i sentimenti di Damon. Flashfic che ti fanno venire i brividi. Autrice: Love Bites
-Nina,Ian e ...- Questa è una storia che troverete nella sezione "Cast Vampire Diaries".. è una storia nuova *-* che ha come protagonisti i nostri amati Nian alle prese con la loro figlia e con le registrazioni della settima stagione di TVD. *_* Autrice: MewAnna
-Your Love Saved Me.- Saltiamo la quarta stagione e andiamo direttamente alla quinta.. cosa succede? lo troverete in questa storia.. molto carina e romantica.. u.u Autrice: ElenaDobrevSomerhalder 

è tutto gente *__*
Al prossimo capitolo ^-^ Non vi farò aspettare molto..
Un bacionee :33 


 
 

 

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Capitolo 5
*** Looks ***


-Today My Life Begins-
-Looks. Capitolo n.5-
 
Pov.Elena

Il cellulare cadde dalle mie mani, mentre Klaus continuava ad urlare disperatamente.  Sentii uno strano brivido di freddo percorrere la spina dorsale fino a salire alla nuca. Lacrime iniziarono a bagnare i miei occhi color cioccolato.

Il rumore di un clacson mi riportò alla realtà e capii cosa dovevo fare. Mi alzai, lentamente, poiché le gambe sembravano non voler reggere i miei semplici cinquanta chili. Aggrappandomi alle pareti, indossai le scarpe, rimanendo avvolta nel mio caldo plaid. Appena lo tolsi, rabbrividii e cercai subito un cappotto da mettere sopra al pantalone della tuta e al maglioncino nero. Indossai una sciarpa, per coprire ciò che lui mi aveva fatto e presi le chiavi della macchina.

Non pensando ai rischi, partii a tutta velocità, rischiando di investire due persone e di andare a sbattere contro un palo. Arrivai sana e salva all’ospedale e mi diressi verso il reparto “Terapia intensiva”. Mi fermai a metà scala e mi concessi alcuni minuti per poter respirare. Mi sentivo male: il cuore batteva all’impazzata, il basso ventre continuava a bruciare e la testa mi doleva sempre di più; inoltre si univa un freddo mai provato prima, come se fossi nuda e i vestiti non mi stessero coprendo affatto. Inspirai profondamente e continuai il tragitto, arrivando fin sopra al reparto. Vidi Klaus camminare davanti e indietro, irrequieto e piuttosto nervoso. Damon, seduto sulla sedia di plastica, a seguire con gli occhi ogni movimento dell’amico, mentre Stefan stava seduto vicino al fratello con la testa bassa e i pollici poggiati sulle tempie.

Tentai di raggiungerli ma una fitta al ventre mi fece gemere. Mi poggiai pesantemente sul muro, in cerca di qualcosa per poter calmare quel dolore che sembrava volermi uccidere. Un’altra più forte e quasi urlai. Damon si voltò verso di me e nei suoi occhi lessi sorpresa e preoccupazione. Si alzò e correndo, mi venne vicino.
Il suo tocco sul mio braccio mi ustionò, come se un fulmine colpisse la leggera pelle che ricopre il nostro scheletro.
-Elena, hai bisogno di aiuto? Chiamo un medico?- Il suo tono era imminente ed urgente. Gli dissi di no, scuotendo leggermente la testa ed evitandolo camminai fino alla sedia più vicina che sfortunatamente era quella accanto a Stefan.
Il biondo mi guardò con un misto di preoccupazione. Ma riuscii a rivolgergli un sorriso tirato dicendo che stavo bene. Ed era vero, mi sentivo un po’ meglio, forse perché ero riuscita a giungere in ospedale dalla mia amica.
Klaus mi guardò. L’espressione che mi rivolse fu agghiacciante.
Si avvicinò a me puntandomi un dito contro.
-Tu! È tutta colpa tua se lei si trova in queste condizioni!-
Lo guardai sconvolta. Che accidenti stava farneticando? Era colpa loro, se io mi trovavo in queste condizioni e se Care era in ospedale!
-Che diamine stai dicendo?! La colpa è solo vostra! Se non ci avreste utilizzato come giocattolini, ora la mia amica non starebbe in queste condizioni!-
Forse avevo urlato un po’ troppo perché un vecchietto che stava riposando, appoggiato allo schienale della sedia, sobbalzò all’improvviso e due dottoresse che stavano parlando si girarono di scatto. Istintivamente arrossii e abbassai la testa, fino a quando non udii nuovamente le voci delle due donne.
Appena alzai lo sguardo vidi Klaus guardarmi con gli occhi lucidi, mentre Damon aveva un espressione dura sul volto. 
-Ehm, scusate, siete parenti della signorina Forbes?- Un dottore si avvicinò a noi.
Continuando a sostenere lo sguardo, sia io che Klaus pronunciammo un “Si” secco e deciso.
-Volevo spiegarvi le condizioni della paziente… che in questo momento...-
Il dottore parlava, ma né io né Klaus ci voltammo verso di lui, continuavamo a fissarci con furia.
-E vi stavo dicendo… temo proprio...-
Mi dava sui nervi il fatto che lui stesse incolpando proprio me di una cosa che aveva combinato con Damon.
-Ehi! Gradirei la vostra attenzione!- Il medico pronunciò le ultime parole quasi urlando e sia io che Klaus distogliemmo lo sguardo. –Dunque, la signorina Forbes si sta riprendendo, ma molto lentamente. Ora potete anche tornare a casa, è inutile che restiate tutti qui.-
Annuimmo e appena il dottore si voltò ci guardammo tra di noi.
-Okay, Damon, Klaus, Elena, dovremo andare adesso.- Iniziò Stefan.
-Io da qui non mi muovo!- Guardai i tre uomini davanti a me.
Klaus mi perforò con lo sguardo e dopo pochi secondi lo addolcì.
-Se lei non se ne va, non me ne vado anche io.- Disse, prendendo posto vicino a me.
-Sentite, smettetela di fare i bambini e tornate entrambi a casa!- Damon continuò in modo glaciale. Ma che accidenti aveva? Prima era dolce e premuroso e poi diventava uno stronzo di prima categoria?
-Damon! Se ti secca tanto stare qui, vattene per strada a scopare qualche puttana, dato che è di tuo divertimento!- Sputai fuori tutto ciò, parlando con rabbia. Il silenzio che crebbe tra di noi mi fece rabbrividire. Gli occhi di Damon cambiarono espressione: dagli stronzi passarono agli sconvolti, poi ai delusi ed infine freddi, vuoti.
-Va bene, Elena.- Utilizzò un tono inespressivo. –Stefan, vai pure a casa, io resto con il mio amico!-
Stefan ci guardò e scosse la testa.
-La scelta è vostra. Ciao.- Se ne andò scendendo per le scale.

***

Passarono un infinità di ore e nessuno dei tre spiaccicò una parola. Klaus cambiava ogni tanto posizione e Damon, immobile come una statua, fissava il muro.

Anche se lo odiavo, non potevo vederlo in quelle condizioni. Le mie parole lo avevano ferito, ne ero certa, ma le avevo dette in un momento di rabbia. Non mi sarei mai permessa. In quell’istante mi accorsi che avevo pensato solo a me e alle mie emozioni, al mio cuore che si stava sgretolando sotto la forza di una mano invisibile; ma a Damon? Ci avevo mai pensato? A ciò che provava, dopotutto aveva perso moglie e figlia, a distanza di un anno.

Figlia. Sangue del suo stesso sangue. Uccisa dallo stesso uomo che aveva ucciso l’amore della tua vita.
Aveva sbagliato a sfruttarci solo per vendetta, ma l’aveva fatto in un momento di pura rabbia anche se era stato così dolce con me, premuroso, anche mentre avevamo fatto l’amo… Sesso, era stato solo sesso. Lui, avrebbe amato sempre e solo una donna: Rose. Eppure mi ero sentita così amata.
Avrei dovuto chiedergli scusa.

-Ragazzi, io vado a prendermi un caffè, ne gradite uno?- La voce di Klaus interruppe i miei pensieri.
-Ehm, si grazie, uno macchiato.- Risposi, posando lo sguardo sulle mie mani che non la smettevano di giocare con le maniche del giubbino.
-A me un espresso, grazie Klaus.- Damon non spostò neanche lo sguardo dal muro e rispose con lo stesso tono di poche ore fa.
Sospirai e osservai Klaus sorpassare la porta d’ingresso al reparto e scendere le scale.
-Damon...- Non sapevo neanche come iniziare. –Ehm...-
Lui notò la mia insicurezza, ma non si degnò nemmeno di voltarsi.
-Ecco… vedi…. Mi dispiace! Scusami, non avrei mai dovuto dire quelle cose, ma la rabbia ha vinto su di me e perciò…perciò… – calai di qualche tono la mia voce. –Ho fatto quello che ho fatto. Ti prego di perdonarmi.-

Si voltò verso di me e i suoi occhi mi trasmisero un qualcosa che mi rese in un certo senso “diversa”, una scarica elettrica, un’attrazione che andava oltre l’aspetto fisico, una specie di comprensione che mi terrorizzava. Negli occhi di Damon aleggiava una tristezza che poteva far piangere perfino il più duro dei duri, e quel ghiaccio era in contrasto con la sua bocca che era ancora chiusa in una linea severa. Ed io, ero riuscita a leggere quegli occhi; io, una perfetta sconosciuta, una puttana con cui era andato a letto solo una volta, avevo capito cosa provava. Immediatamente mi si strinse il cuore nel vedere quella sofferenza, avrei voluto confortarlo, ma da quanto avevo capito, Damon era quel tipo di persona che preferiva nascondere i propri sentimenti dietro ad una maschera, quella indifferente e sarcastica che indossava lui.

Finalmente ogni suo muscolo sembrò stendersi e aprì la bocca per parlare, ma fummo fermati da Klaus che ci portò i caffè.
-Spero di non aver interrotto nulla.- disse, mostrando il suo “finto” dispiacere.
Scossi la testa e rivolsi il mio sguardo al caffè che avevo tra le mani.

Pov.Caroline

Acqua.
Acqua di un ruscello, di un lago, di un fiume, di una piscina… del mare!
Entrava dentro me e il suo sapore salato veniva assaggiato dalla mia bocca, fino ad esserne completamente sazia, fino a sentirla nei polmoni, fino all’affogamento, fino alla morte…
…O almeno così credevo…

Aprii gli occhi, ritrovandomi in un letto dalle lenzuola bianche. Tutto intorno a me vi erano pareti rivestite da un celeste molto chiaro, quasi sbiadito. Le miei mani erano legate a strani apparecchi, mentre, un monitor accanto a me, segnava il battito cardiaco che ormai stava riprendendo il suo ritmo abituale.

Come potevo essere viva? Avevo fatto di tutto per morire, avevo utilizzato anche un’ancora e invece ero viva!
Una figura accanto a me, mi fece rimpiangere le poche parole pensate poco prima… Elena. La mia amica stava seduta su una sedia, le sue palpebre erano chiuse e i capelli, tenuti ordinati da un semplice cappellino, coprivano la sua faccia. Aveva le braccia conserte, probabilmente per il freddo che emanava quella piccola stanza.
-Ehi, Elena…-
Capii che per svegliarla, non sarebbero bastati dei semplici sussurri.
Con tutta la forza che avevo riacquistato tentai di alzarmi e strinsi la mano della mia amica. A quel gesto lei sobbalzò e alzò il viso. Stropicciò gli occhi e mi guardò attentamente prima di saltare dalla sedia e stringersi a me.
-Sei viva! Sei viva! Oh, Caroline, sei qui.-
Qualcosa di liquido bagnò le mie spalle e mi accorsi in quel momento che lei stava piangendo.
-Oh, Ele, tranquilla.- tentai di spiegargli, ma non mi fece continuare, si ributtò addosso a me, continuando a stringermi.
-Non permetterti mai più di fare una cosa del genere! Mai! Non sai quanto ci sono rimasta male quando Klaus me lo ha detto.-
Klaus. Era lui ad avermi salvato allora, era la sua voce, avevo ragione.
-Non ti lascerò mai più Elena, ma devi sapere una cosa: mio padre è morto!-
Tra le lacrime, iniziai a raccontargli tutto e i motivi che mi avevano spinto a fare quello che avevo fatto.

***

Pov.Elena

Caroline aveva appena finito di raccontarmi tutto ciò che era successo. E anche in quest’omicidio c’entrava Tyler. Ero stanca.
Scesi dall’ospedale raccontando a Caroline e agli altri che dovevo cambiarmi e avevo bisogno di una doccia. Non era vero.
La mia amica voleva affrontare la situazione suicidandosi, mettendo fine alla propria vita, alle proprie sofferenze; io no, l’avrei affrontata in maniera diversa.
Posai lo sguardo sulla strada davanti a me e svoltai l’angolo.

Pov.Damon

Klaus e Caroline continuavano a parlare e da quanto potevo vedere mancava davvero poco e tra i due sarebbe nato un sentimento chiamato ‘amore’.

Bah, l’amore, che ci trovavano di “bello” o di “emozionante”? Ero stato innamorato e la mia esperienza mi aveva fatto capire che era doloroso, senza senso e sopravvalutato*. E dopo la morte di Rose avevo capito che non avrei amato mai più nessuno. Se amare implicava soffrire, preferivo restare solo per sempre.

Elena se ne andò dalla stanza con uno sguardo deciso ma al contempo preoccupato. Quella ragazza mi spaventava. Stava entrando giorno dopo giorno nella mia vita, senza che nessuno dei due lo volessimo, avrei potuto considerarla un’amica… avrei, ma non sapevo se tra noi due potesse nascere qualcosa del genere.
Per andarsene aveva utilizzato una scusa banale che sinceramente solo una stupida Barbie in un letto d’ospedale avrebbe potuto crederci. Elena non avrebbe mai lasciato l’amica in ospedale per andare a farsi una doccia!
Congedai i due “innamorati” e la seguii di nascosto.

Pov.Elena

Parcheggiai la macchina davanti alla stazione di polizia, presi le chiavi e mi diressi verso l’entrata.
Alcune persone stavano chiacchierando allegramente davanti ad una tazza di caffè. Altri, sommersi dalle varie carte, continuavano a firmare rapidamente dei fogli e urlavano per telefono.

A passi veloci, arrivai dinnanzi ad una porta ed entrai senza neanche bussare.
Seduto sulla grande sedia di pelle c’era un uomo. Dall’aspetto gli avrei dato una trentina d’anni. Il fisico era muscoloso, gli occhi erano blu e i capelli castani.
Appena mi vide finì di parlare a telefono e mi guardò incredulo.
-Mi scusi, lei chi è?-
-Mi dispiace se l’ho interrotta ma è davvero molto importante!- Parlai in tono affrettato.
L’uomo mi indicò la sedia davanti alla scrivania e mi incitò ad accomodarmi. Seguii il suo consiglio e mi sedetti.
-Allora, qual è il suo problema, signorina...?-
-Gilbert.- Risposi rapidamente. –Sono qui per esporre denuncia verso un uomo!-
-Per quale motivo lei espone questa denuncia?-
-Per duplice omicidio e per violenza su ragazze minorenni.- Deglutii, mentre pronunciavo le ultime parole. Minorenni. Si, io e Caroline avevamo solamente diciassette anni. Non meritavamo tutto questo e dovevamo finirla.
L’uomo mi guardò e scrisse qualcosa su un foglio.
-Ci sono testimonianze?-
Il battito del mio cuore accelerò in un secondo.
-Si.- Rispose una voce che ero sicura non fosse la mia.
Mi voltai verso la porta.
Damon.
-Abbiamo delle testimonianze di recente l’uomo ha ucciso mia figlia, un anno fa mia moglie e oggi il padre di una nostra amica.- Il tono era freddo ma qualcosa nei suoi occhi mi fece intendere, per la seconda volta, che Damon stava soffrendo e forse anche molto.
-Lei è?-
-Damon. Damon Salvatore.- Rispose, sedendosi accanto a me.
-Bene, conoscete il nome di quest’individuo?-
Silenzio. Il mio cuore accelerò nuovamente i battiti. Stavamo per farlo. Stavo per mandare in galera quell’uomo che aveva reso la mia vita uno schifo.
-Tyler Lockwood.- Pronunciai amaramente quel nome, mentre volgevo uno sguardo a Damon che mi guardava impassibile, scrutandomi attentamente.
Mi voltai verso il capo della polizia e la sua espressione mi fece gelare il sangue nelle vene. Stava fermo, mentre mi fissava sconvolto, con la penna sospesa nell’aria.
Avevo quasi paura di sperare, di parlare o di muovere qualsiasi muscolo del mio corpo.
-C’è… c’è… qualche problema?-
Disperazione. Fu la prima e l’ultima cosa che vidi nei suoi occhi prima che un urlo agghiacciante ci fece voltare.
 


*Damon To Vicky. 1x06 

Angolino Autrice:
Ehii.. *Si trafigge lo stomaco con dei paletti di quercia bianca*.. Si, sono davvero io e.. non aggiorno da 16 giorni T_T Sono imperdonabile.. lo so >.< Vi dovrei dare tantissime spiegazioni riguardo alla mia scomparsa.. ma le racchiuderò dicendo semplicemente: Blocco dello scrittore e nervi a mille... è stato un periodo orribile.. in cui non ho aperto neanche il mio diario per sfogarmi.. non ho scritto nulla.. se non qualche stupido commento per notizie che si portavano a scuola.. diciamo che vorrei cancellare questi sedici giorni dalla mia mente.. perché sono stati terribili.. Non mi dilunguerò troppo.. vi dico semplicemente: Grazie! Grazie di seguire la mia storia, grazie perché mi sopportate e grazie perché mi supportate, con le vostre recensioni che mi lasciano sempre felice.. :') Forse questo capitolo non sarà ricco di spiegazioni che devo ancora chiarire, ma è fondamentale, soprattutto per la fine... Ringrazio le 55 persone che hanno aggiunto la storia nelle seguite :), le 20 che l'hanno aggiunta nelle preferite e le 6 che l'hanno aggiunta tra le ricordate e ovviamente ringrazio tutte le persone che hanno recensito.. Siete la mia forza :D <3 
Altre mie storie: 
-All I Need.-
-E poi, sei arrivata tu.-
-Without you.- 

Alla prossima.. 
XOXO :33 
P.S: Okay, l'hanno scritto tutti.. ma.. cosa ne pensate della 4x01? *_* Io l'ho trovata strabiliante e ritengo che Nina sia un ottimissima attrice :') mi ha fatto piangere.. <3 ma anche tutti gli altri sono stati aufmngngunugijngiwsnguanun *______________* <3 
 


 

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Capitolo 6
*** Doubts ***


-Today My Life Begins-
-Doubts. Capitolo n.6-
 
Pov.Elena

Sia io che Damon ci voltammo di scatto, mentre la porta di vetro veniva frantumata da una statuetta d’oro che andò a finire contro la libreria in fondo alla stanza.

Si udirono altre urla, mescolate a vari passi che correvano e altre persone che singhiozzavano. Tentai di alzarmi, ma Damon me lo impedì prendendomi per una mano e guardandomi negli occhi. Si alzò lui e cautamente prese la statuetta tra le mani. Era un semplice omino ricoperto d’oro e tra le mani aveva un pallone da rugby. Attorno al torace della statua, c’era un bigliettino. Inarcai un sopracciglio e mi avvicinai a Damon.
Riconobbi subito la grafia e mi irrigidii, aggrappandomi alla manica del giubbino di Damon. Lui se n’è accorse e mi guardo scrutandomi.

“Ultimo avvertimento!
Altrimenti, la prossima a morire sarà proprio Elena.
T.”

Deglutii, restando ancora aggrappata a Damon. Lui posò la statuetta e il messaggio sulla scrivania, dopodiché fui tra le sue braccia. Le sue mani accarezzavano i capelli, mentre le mie erano impegnate a stringerlo forte, tantissimo, perché la paura di perdere lui era superiore a quella che io avevo di morire a causa di uno stronzo.

Inspirai a fondo il suo profumo che inebriava ogni parte di me, facendomi sentire stordita.
-Farò in modo che nessuno ti tocchi più. Mai più.- Sussurrò contro la mia testa, mentre io cercavo di trattenere le lacrime. D’un tratto fermò ogni suo movimento e alzò la mia testa. –Andiamo a vedere cosa è successo. Okay?- Io annuii e mi scostai da lui a malincuore.
Uscimmo lentamente e ciò che vedi mi fece venire la nausea: una donna, era abbandonata lungo il muro imbrattato di sangue. Gli occhi erano ancora aperti, al centro del petto c’era un buco, dove pendeva un coltello dalla punta affilata. Per terra, tutto rosso. Fissai intensamente quelle mattonelle impiastrate di quel liquido. Il capo della polizia urlava e piangeva accanto al corpo della donna. Una bambina dai lunghi capelli ramati, stava rannicchiata in un angolo a debita distanza dal sangue. Piangeva silenziosamente e tremava. Mi avvicinai cautamente alla bambina. Lei alzò il viso verso il mio e mi saltò addosso ancora tremante.
-Aiutami. Per favore, aiutami.- la sua era una supplica. La strinsi forte al mio petto, abbracciandola calorosamente, cercando di infondergli tutto quell’affetto di cui aveva bisogno.
-Elena.- Damon si avvicinò a me. –Portiamo la bambina in qualche stanza. Sarebbe meglio non rimanere qui.- Riguardai il sangue ed ebbi un conato di vomito. Trattenendo la piccola con un solo braccio strinsi quello di Damon e con un occhiata lui mi trascinò fin dentro ad un’aula.
Accendemmo le luci e ci sedemmo su un paio di poltrone. La bambina non aveva smesso di singhiozzare sulla mia spalla. L’appoggiai comodamente sulle mie gambe, Damon si alzò e si inginocchiò vicino a noi, cominciando ad accarezzare lievemente i capelli della piccola.
-Chi sei?- cominciò, visibilmente teso. Gli lanciai un occhiata omicida.
-Mi chiamo Margaret*- Si strofinò gli occhi.
-Quanti anni hai?- continuò Damon.
-Cinque.- Oltre a pronunciare flebilmente quella parola, ci indicò gli anni che aveva aprendo la sua paffuta manina. Con l’altra mano tirò il giubbotto di Damon. –Che è successo a mamma?-
Mi irrigidii e io e Damon ci guardammo. Sospirai e tentai di parlare, ma la voce di Damon sovrastò la mia.
-Tua mamma sta poco bene, ma sono sicuro che si riprenderà e presto tornerà a raccontarti tante favole prima di andare a dormire.- Sorrise incoraggiante verso la bambina e posò un bacio sulla sua guancia.
-E papà? Perché piangeva?-
Immediatamente collegammo tutto. La donna che Tyler aveva ucciso, era la moglie del capo della polizia e questa povera bambina era la figlia. Mi rattristai subito di fronte a quella realtà. Una bambina di soli cinque anni, privata di una madre... Sempre a causa sua.
La porta si aprì di scatto e io strinsi la bambina al mio petto. Il capo della polizia entrò. Gli occhi spenti e arrossati. Lacrime rigavano ancora il suo viso. Arrivò vicino a me e prese la bambina tra le sue braccia.
-Margaret, andiamo a casa.- Strinse la bambina a se e ricominciò a piangere. Io e Damon lo guardammo impotenti.
-Ragazzi, come avrete ben capito, io non posso aiutarvi.-
Il mio cuore perse un battito.
-Mi dispiace tantissimo. Però, se riuscite a trovare un modo per fermarlo e volete testimonianzem vi darò una mano. Mi chiamo Alaric Saltzman e la donna che è stata uccisa era mia moglie: Jenna Sommers.- Tese la mano a Damon che la strinse cordialmente.
-Condoglianze per sua moglie.- Rispose il moro ed io gli lanciai un occhiata truce facendogli capire che nella stanza c’era la piccola. Lui ignorò il mio sguardo.
Alaric annuì e scomparì oltre la porta.

Sospirai e portai la testa fra le mie mani. Non dovevo piangere. Non dovevo piangere. Continuavo a ripetere disperatamente dentro di me, ma non servì a nulla perché un singhiozzo mi tradì e le lacrime cominciarono il loro lento percorso lungo le mie guance.
Una mano strinse la mia e in meno di un secondo le sue braccia mi attirarono a se.
Stemmo così per qualche minuto. C’eravamo io e lui. Il mio battito e il suo. Entrambi seduti a terra. Io con la testa sul suo petto e lui ad asciugarmi le lacrime.
Il silenzio proveniente dall’esterno e il suono debole di una sirena dell’autoambulanza, ci fecero intuire che era tardi.

Tentai di alzarmi, ma le braccia di Damon bloccarono i miei passi. Prese le mie gambe e si alzò, portandomi in braccio fino ai sedili della sua macchina lussureggiante.
Nell’abitacolo nessuno parlò. Io ero immersa nei miei pensieri e lui nei suoi. Ogni tanto la vocina fastidiosa del GPS, ci indicava dove andare.
-Portami a casa, per favore.- La mia voce risuonò bassa e insicura.
Lui mi guardo accigliato, dopodiché annuì ma i suoi occhi si accesero di una strana luce.
Mi rilassai e appoggiai la testa contro il finestrino. Sorpassammo l’ospedale. Sicuramente Care stava dormendo. Continuammo il tragitto e mi risvegliai dai miei pensieri non appena notai che Damon aveva sorpassato casa mia.
-Damon…- lo chiamai, sorridendo. Non ricordava dove abitavo. –Abbiamo appena sorpassato casa. Dovresti tornare indietro.-
-Oh, lo so.- Rispose, continuando a tenere gli occhi fissi sulla strada.
Inarcai un sopracciglio.
-Allora torna indietro!- risposi, la voce tradì la mia ansia.
-Mmh? Si, Elena, tutto quello che vuoi tu. Più tardi torneremo indietro.- rispose, vagamente divertito.
-Che cosa?! Torna indietro, Damon!- Stavo davvero cominciando a spazientirmi.
-Vuoi della musica?- rispose, ancora ironico.
-Damon!- urlai.
-Rilassati, Elena. Poi ti porterò a casa.- Sogghignò e tornò a guardare la strada.
-Stronzo!-
-Vacci piano con le parole, Gilbert.-
Mi buttai sul sedile mentre cominciava a canticchiare una canzone. Lo fissai in modo truce.

***

La Ferrari continuava a sfrecciare ad altissima velocità lungo l’autostrada. Guardai l’orologio e mi accorsi che erano quasi mezzanotte. La stanchezza dominò su di me. Lanciai un’ultima occhiata a Damon prima di addormentarmi.

Pov.Caroline

I primi raggi del sole entrarono nella stanza caldi e rilassanti. Mi stiracchiai e mi guardai intorno. Tutto era di un candido azzurro, le pareti, il mio letto. I capelli splendevano lucenti così come il mio corpo, ricoperto dalla camicia da notte rosa. Mi voltai e vidi gli occhi di Klaus aperti. Accarezzai la sua guancia, stranamente fredda. Posai una mano sul suo torace. Fermo. Immobile. Mi preoccupai e scattai seduta sul letto. Al centro del suo petto c’era del sangue. Rosso. Morte. Urlai.

Al mio risveglio urlavo ancora, trattenuta da varie braccia che cercavano di tenermi ferma. Gocce di sudore bagnavano la mia fronte, i miei occhi e i capelli che non avevano quello strabiliante splendore che avevo sognato. La stanza odorava di disinfettante e di medicine. La mia camicia da notte era bianca e accollata. Le lenzuola bianche e verdi.

Un ago venne infilato con forza nel mio braccio.
Una mano, più dolce delle altre, mi accarezzò.
-Andrà tutto bene, Caroline.-
Sorrisi, mentre l’oscurità prendeva possesso di me.

Pov.Elena

Mi risvegliai all’improvviso avvertendo l’insistente scrosciare dell’acqua al di fuori della finestra.
La stanza era buia. Le nuvole all’esterno rendevano l’ambiente più tetro e oscuro. I mobili erano bianchi e neri, così come le lenzuola. Anche il parquet era nero.
Mi alzai e vidi che indossavo solamente una T-shirt che copriva poco e niente.
Dove diamine mi trovavo?
Damon. La Ferrari. La mia “voglia” di tornarmene a casa… Damon!
In quel preciso istante ignorai l’abbigliamento e aprii la porta furiosamente. Scesi le scale e notai che c’è n’erano delle altre che portavano a un terzo piano. Wow.
Il salone era incredibilmente grande. Tutto arredato con i medesimi colori della mia camera: bianco e nero. Possibile che non c’era un colore più vivace?
Ispezionai la cucina, anch’essa dalle dimensioni enormi, e lo trovai seduto sulla sedia, mentre beveva un bicchiere di quello che riuscii ad intuire fosse bourbon.

Presi il bicchiere dalle sue mani e lo scaraventai per terra con un’innaturale velocità. Damon posò lo sguardo sul disastro che avevo combinato e poi mi guardò sconvolto.
-Mi sa che hai qualche rotella fuori posto.- rispose glaciale, mentre raccoglieva con una piccola scopa tutti i cocci di vetro.
-No! Sei tu che sei impazzito! Perché, diamine, mi hai portata qui?! Volevo tornare a casa!- dissi in tono furioso e in quel momento mi accorsi che indossava solo un paio di jeans. Il petto era magnificamente nudo.
Arrossii e distolsi lo sguardo.
Lui si avvicinò e riuscii a sentire il suo profumo. Stavo per svenire.
Alzai lo sguardo e vidi che era furioso.
-Oh, scusami, Elena se pensavo di proteggerti! Portandoti a casa, chissà quel pazzo cosa ti avrebbe fatto.- Abbassò la testa e strinse i pugni. –Ti ho portato a casa mia.- indicò con un dito l’ambiente che lo circondava. –Per non farti uccidere! Ma se è questo che vuoi, stai tranquilla. Indosso una maglia e ti accompagno da quello stronzo! Probabilmente ci tieni tantissimo a lui!- finì in tono freddo.

Disgustata gli diedi uno schiaffo potentissimo e con le lacrime agli occhi iniziai a correre, per tornare dentro la stanza, prendere le cose e andarmene. Non volevo avere più niente a che fare con lui. L’odiavo!

“Tra l’odio e l’amore c’è una linea sottilissima”

Mentre correvo mi ricordai delle parole di mia madre e alle lacrime si unirono anche i singhiozzi. Stavo per raggiungere le scale quando qualcuno mi prese da dietro, mi alzò dal pavimento e mi strinse i fianchi. Riconobbi subito quelle mani e quel maledettissimo profumo.
-Damon! Lasciami andare!- Urlai mentre le lacrime non la smettevano di scendere.
Lui mi distese sul divano dolcemente e si buttò sopra di me. Respiravamo entrambi con molta fatica. Tentai di scostarlo, ma mi bloccò i polsi con le sue mani.
-Sta ferma.- Lo sguardo era serio.
Lentamente, cominciai a calmarmi, ma le lacrime non cessavano. All’improvviso mi prese e mi poggiò sulle sue gambe per poi cullarmi come se fossi una bambina. E lì, tra le sue braccia, scoppiai a piangere.
-Elena…- mi chiamò con un tono più dolce.
Non mi ero mai sentita più vulnerabile. Non volevo mostrarmi così. Non io, l’Elena forte. La Gilbert che sostiene tutto senza problemi e che cerca di tenere tutto dentro. No… Non potevo farmi vedere così da lui.
Dopo qualche minuto mi calmai e lui poggiandomi sul divano si alzò. Dove stava andando?
Lo guardai dispiaciuta e lui mi sorrise.
-Vado a prenderti qualcosa da bere. Resta lì e non muoverti!- Le ultime parole le disse in tono serio.
Io annuii e mi rilassai su quel morbido tessuto.

Tornò con in mano una tazza di tè, me la porse e sedendomi iniziai a bere. Lui si poggiò sul bracciolo e mi guardò mentre bevevo.
Scosse la testa e sorrise.
Inarcai un sopracciglio.
-Cos’hai da guardare?- borbottai.
Lui mi rivolse un altro sorriso e si sedette vicino a me.
-Sembri una bambina, con quelle guancia rosee e gli occhi rossi, mentre bevi silenziosamente, non so, sembri diversa.- Sorrise, pensando a qualcosa.
-Diversa da quando mi hai vista la prima volta?- dissi, spensieratamente.
Lui si irrigidì e mi pentii di questa domanda.
-Si.- Vagò con gli occhi per tutto il salone e dopo mi guardò nuovamente. –Elena, hai avuto un impressione sbagliata di me. Credimi non ti ho preso in giro. All’inizio, volevo vendicarmi di Tyler in qualsiasi modo, correndo tutti i rischi, per questo quella sera, io e Klaus siamo passati per quella strada. Volevamo far capire a Tyler che se lui si era portato via le nostre vite, anche noi, potevamo farlo con le sue, ma non pensavo che tutto ciò sarebbe arrivato a tanto. Non avevo previsto che Tyler avesse minacciato addirittura la polizia  o che avesse ucciso persone a voi care, non volevo causare tutto ciò. Mi sento in debito con voi, ma soprattutto con te, Elena.-
Il mio cuore aumentò i battiti.
-Cosa… cosa hai provato quando siamo andati a letto insieme?- Quella domanda mi uscì di getto, senza pensarci.
Lui mi guardo sconvolto.
-Perché? Tu cosa hai provato?- mi domandò. La voce velata dalla preoccupazione.
Fu proprio il suo tono a farmi capire che non aveva provato nulla. Sesso. Solo sesso. Perché non riuscivo a ficcarmelo bene nella mente?

Persi un battito e temendo altre lacrime mi alzai velocemente. Damon mi guardò inarcando un sopracciglio.
Posai un piede sullo scalino e un giramento di testa mi colpì, accompagnato ad un senso di nausea. Corsi velocemente nel bagno del piano inferiore, sentendo i passi di Damon rimbombare dietro di me, inseguendomi in questa corsa.
Arrivai in bagno e vomitai, accasciandomi a terra, senza forze. Dopo due conati di vomito, alzai lo sguardo e vidi Damon guardarmi accigliato. Cercai di rivolgergli un sorriso rassicurante ma non ci riuscii, abbassai di nuovo la testa e vomitai ancora e ancora. Sentii la pressione di una mano sulla mia fronte, impedendo ai capelli di cadere in avanti.

Appena fui sicura che il senso di nausea fosse passato, mi alzai, tenendomi aggrappata ai bicipiti di Damon. Mi guardai allo specchio. Gli occhi erano spenti e contornati dalle occhiaie. La bocca era di un bianco pallido, così come il mio viso. I capelli erano racchiusi in una coda trasandata. Le mie braccia erano sottili e la T-Shirt nera era davvero troppo grande.
Damon mi stringeva i fianchi e in confronto a me, nello specchio, sembrava un dio. Era stupendo. Alcune ciocche di capelli cadevano sul viso, i pettorali ben esposti e il jeans nero, lo rendevano super attraente. Gli rivolsi un sorriso tirato e lui continuò a guardarmi in modo strano.
All’improvviso le gambe cedettero e caddi tra le braccia di Damon.
-Elena! Che hai? Rispondimi!- Gli occhi erano socchiusi. L’immagine di Damon mi apparve sempre più sfocata, fino a diventare nera. 



*Margaret era il nome che la sorellina di Elena aveva nei libri.. (Ma qui non è la sorella.. mi piaceva come nome xD) 

Angolino Autrice: 
Ehilà :) 
Ho fatto più presto dell'altra volta xD Anche se vi avevo detto che avrei aggiornato venerdì scorso.. ma.. eccomi qui, con 3 giorni di ritardo ^^ 
Inizio col ringraziarvi dal profondo del mio cuore.. le vostre recensioni mi rendono felice e mi aiutano a superare questo periodo che fa ogni giorno sempre più schifo.. :( Ma tralasciamo questo dettaglio... 
Voglio ringraziare le 23 persone che hanno aggiunto la storia nelle preferite, le 6 che l'hanno aggiunta nelle ricordate e le 61 (*_* Seriously?) che l'hanno aggiunta tra le seguite.. Non mi stancherò mai di dire che siete la mia forza <3 
Spero che il cappy vi piaccia :DD anche se è un po' di passaggio. 
Al prossimo capitolo, 
Un bacio :33 


 

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Capitolo 7
*** Revelations ***


-Today My Life Begins-
-Revelations. Capitolo n.7-
 
Pov.Caroline

Aprii gli occhi di scatto, mentre un viso abbastanza conosciuto si chinò su di me: Klaus.
-Ehi,- mi accarezzò una guancia. –Come stai? Ti hanno dovuta dare un sedativo. Ti sei svegliata urlando. Hai avuto un incubo?-
Mi poggiai una mano sulla tempia e le immagini del sogno avuto poche ore prima riapparvero nella mia mente. Altre gocce di sudore percorsero il mio viso.
-Si.-
Lui spostò una ciocca di capelli dietro all’orecchio e mi posò un lieve bacio sulla fronte, constatando che era piuttosto bagnata.
-Vado a prendere un caffè. Non alzarti, chiamo un infermiera.- Si alzò dalla sedia e se ne andò, lasciandomi sola.
Il computer accanto a me, continuava a segnare i battiti del mio cuore che erano aumentati non appena Klaus aveva varcato la soglia della porta.
Sprofondai nel cuscino, ricoperto da una fodera bianca e fresca, probabilmente appena cambiata e cercai di calmarmi.
La porta si aprì e immediatamente sobbalzai. Una dottoressa dal viso gentile entrò con un vassoio in mano.
-Signorina Forbes. Non volevo spaventarla! Le ho portato la colazione e sono venuta a controllare come si sentiva.-
Come mi sentivo? Agitata e nervosa. Come se qualcuno mi avesse fatto un torto, impossibile da perdonare.
Gli rivolsi un falso sorriso rassicurante e osservai le mie mani che non la smettevano di tremare.
La dottoressa si avvicinò e guardò il liquido contenuto nel lavaggio con un espressione perplessa.
-Non gliel’ho riempito ieri pomeriggio? Come può essere ancora pieno? E perché questo colore?- Mi rivolse uno sguardo visibilmente teso. –Faccio venire il dottore.-
Io annuii e mi distesi nuovamente sul letto. Il mio corpo era scosso da brividi.
Appena lo dottoressa uscì, Klaus rientrò con il caffè tra le mani.
-Ehi, sono tornato. Che sta succedendo? Perché la dottoressa aveva quell’espressione?-
Scossi la testa. –Ha detto che ha visto qualcosa di strano nel medicinale che ieri mi hanno iniettato.- 
I muscoli del mio corpo, reagivano in maniera scomposta. Tutto mi doleva terribilmente e sembrava voler esplodere. Gocce di sudore continuavano ad imperlare il mio viso.
La porta si aprì sbattendo di colpo e il dottore raggiunse il mio letto in un istante. Osservò il liquido e la sua espressione divenne tesa. Mi guardò preoccupato e posò lo sguardo verso l’altra infermiera.
-Kate! Chiama gli altri e digli di venire immediatamente qui. Chiama anche la polizia! Muoviti!- La dottoressa annuì spaventata e corse via.
Il dottore cominciò a scollegare tutti i tubicini che mi circondavano, in modo rapido e veloce, talvolta causando anche qualche livido.
Sentii la voce di Klaus che quasi urlava.
-Mi spiega cosa sta succedendo?!-
-La paziente è stata avvelenata!-
Persi un battito, mentre Klaus aveva uno sguardo sconvolto.

Pov.Elena

Mi risvegliai, ma l’intenzione di aprire gli occhi non c’era e per questo mi rannicchiai sotto le coperte di quel comodo letto. La stanchezza stava continuando a dominare il mio corpo e mi sarei riaddormentata se non fosse stato per una carezza leggera sui miei capelli.
-Che mi sta succedendo?- Il tono era piuttosto basso, ma riuscii comunque a sentirlo e riconobbi la voce che risultò essere quella di Damon.
Lo sentì sospirare e mentre una mano continuava ad accarezzarmi lievemente, l’altra mi rimboccò le coperte. Sentii un bacio sulla fronte e infine una porta chiudersi.

Aprii gli occhi, notando di essere nella stessa stanza in cui stavo riposando qualche ora fa.
Mi sedetti al centro del letto, spostando indietro i capelli.
Avevo sete, ma soprattutto stavo morendo di fame. Scesi a piedi scalzi da sopra al letto e mi avviai giù per le scale. Mi fermai, non appena mi ricordai del resoconto della discussione avuta con Damon.

“Perché? Tu cosa hai provato?”

Quelle parole, che mi avevano tremendamente ferita. Ma dopotutto, mi ero inflitta da sola questo genere di male. Avrei dovuto sapere che per lui ero semplicemente oggetto di vendetta e non qualcosa di più, ma allora perché aveva detto quelle cose mentre stavo dormendo? “Che mi sta succedendo?” Che gli stava accadendo? Provava qualcosa per me? No. Basta illusioni. Voleva semplicemente proteggermi da Tyler.
Improvvisamente provai un ondata di panico. “Chissà Tyler cosa farà adesso…”
Mentre quel pensiero si faceva largo nella mia testa arrivai in cucina dove Damon stava comodamente seduto su una sedia. La tavola apparecchiata per due, al centro vi era un vaso con dei girasoli e vi erano vassoi con cornetti, biscotti, torte e brioche di vari tipi. Da bere, c’era del latte, del caffè e del succo.
-Pensavo che avresti voluto parlare appena sveglia e che avresti avuto fame- Mi lanciò uno sguardo indagatore. –Accomodati.-
Lo guardai sconvolta. Aveva fatto tutto questo solo per me? Un sorriso si fece spazio sul mio viso.

Pov.Caroline

Avvelenata?!
Guardai il dottore per ricevere una risposta. La polizia stava arrivando e Klaus continuava ad andare avanti e indietro. D’un tratto si fermò.
-Chi diamine è stato?! Se lo prendo, giuro che lo uccido!- Imprecò a voce bassa mentre apriva la porta per far entrare gli agenti della polizia.
-Buongiorno. Che nessuno esca o entri nell’ospedale. Chiaro?- Pronunciò seriamente. Il dottore annuì e chiamò l’infermiera per comunicargli la notizia.
L’agente cominciò a perlustrare la stanza mentre Klaus mi stringeva la mano.
All’improvviso un uomo dalla trentina d’anni con i capelli castani e gli occhi blu entrò nella stanza. Il viso era una maschera di dolore, ma nonostante tutto si stava impegnando a fare il suo lavoro. Si unì alla sua squadra, perlustrando la zona. Guardò nei vestiti del medico, e anche in quelli di Klaus. Mentre stava per aprire bocca trovò nella tasca della giacca di Klaus una boccettina.
-Che cazzo significa?!- La voce era dura così come lo sguardo. Il biondo guardava la boccetta sconvolto, assunsi la sua identica espressione.
Non era stato Klaus, altrimenti me ne sarei accorta e inoltre non poteva avermi avvelenato, non lui. Il mio cuore iniziò a frantumarsi in mille pezzi mentre la verità incombeva su di me. Era stato davvero lui.
Guardai Klaus con gli occhi lucidi. Il biondo ricambiò con il mio stesso sguardo.
-Caroline, ti giuro che non sono stato io. Non mi sarei mai permesso di fare una cosa del genere. Credimi.- Il suo tono… sembrava sincero e dispiaciuto.
Abbassai lo sguardo e lasciai che la polizia lo portasse via. Chiusero la porta e caddi in un pianto disperato mentre il mio corpo continuava a tremare.
Avevo bisogno della mia amica. ‘Elena dove sei?’ pensai tristemente.

Pov.Esterno

Flashback
Odiavo gli ospedali, ci ero entrato si e no un paio di volte: alla morte di mio padre e quando avevo avuto la bronchite da bambino.
Quelle pareti verde chiaro mi terrorizzavano e quell’odore di disinfettante e medicine penetrava nelle mie narici facendomi venire il voltastomaco. Dovevo fare in fretta. Klaus sarebbe tornato da un momento all’altro. Avevo organizzato bene il mio piano, avevo studiato ogni mossa di quei quattro idioti. Credevano di farla franca con me? Beh si sbagliavano di grosso.
Mi introdussi senza alcuna difficoltà nella camera dove giaceva la bionda. Il viso era pallido ma sembrava rilassata, ‘non per molto’ pensai.
Presi la boccettina contenente un tipo di veleno piuttosto forte. Versai una parte del liquido nella soluzione che gli stavano iniettando e l’altra parte, sempre chiusa nella bottiglina, la infilai in fondo alla tasca della giacca di Klaus.
La bionda continuava a dormire profondamente. La guardai con leggera compassione. ‘Mi dispiace che sia successo tutto questo’ pensai mentre gli accarezzavo una guancia.
Mi allontanai dal suo letto, aprii la porta e furtivamente andai via da quell’ospedale. Questo era solo l’inizio.
Fine flashback

Pov.Elena

Seguii il suo consiglio e mi accomodai a tavola accanto a lui. Damon iniziò a prendere un cornetto mentre io osservavo le mie mani che non la smettevano di torturarsi tra di loro.
-Mangia, non devi pagare nulla.- Sorrise divertito.
Sorrisi timidamente anche io e bevvi un po’ di caffè.
-Perché hai detto che avremo dovuto parlare?- Domandai scostando la tazza di caffè dalle labbra.
-Perché pensavo che avresti voluto delle spiegazioni, così come le voglio io da te. Non ci siamo mai fermati un secondo a riflettere su ciò che entrambi stavamo facendo. Cioè dopotutto siamo stati a letto insieme. Un minimo di considerazione va dato.- Ci scherzò su ma nei suoi occhi leggevo altro. Qualcosa di indecifrabile ma sicuramente non era “divertimento”.
Annuii poco convinta, guardandolo negli occhi. Sostenne lo sguardo per pochi secondi e dopo lo distolse riconcentrandosi sul cornetto che aveva davanti. Ne addentò un altro pezzo, lo imitai, prendendo anche io una brioche.

Restammo in silenzio per un paio di minuti. Era tutto un addenta, mastica, ingoia, aspetta, bevi. Stavo bevendo del latte quando lui ruppe il silenzio.
-Perché ti prostituisci?- Domandò, così tutt’ad un tratto, alzando lo sguardo dal suo piatto.
Stavo per sputare tutto il latte ma fortunatamente mi contenni e deglutendo lo risposi.
-Non sono fatti che ti riguardano e poi dovresti saperlo dato che la tua ex moglie faceva il mio stesso lavoro.- Risposi con il tono di voce un po’ freddo.
Lui mi guardò sorpreso e vidi i suoi occhi incupirsi.
-Oh, non volevo essere invadente, perdonami.- Rispose anche lui con voce atona.
‘Oh cazzo!’ Ero maestra nel combinare guai.
-No. Scusami tu. Non so cosa mi prenda. Non dovevo risponderti con quel tono, dopotutto quello che stai facendo per me…- Calai il tono della mia voce di tre-quattro gradi.
Lui mi rivolse un sorriso tirato.
-Fa nulla...-
Finii il cornetto e bevvi l’ultimo sorso di latte.
-Com’era lei?- Domandai all’improvviso.
Lui mi rivolse uno sguardo interrogativo.
-Rose…- Risposi piano.
Sospirò e aprì la bocca per dire qualcosa ma subito la richiuse.
-Non voglio parlare di lei.- Mi liquidò subito. Freddo e deciso.
Annuii e posai il mio sguardo sui girasoli che giacevano sul vaso. Erano di un giallo così intenso, così perfetto… così allegro. Sorrisi e Damon mi guardò divertito.
-Non pensavo che i fiori facessero ridere le persone.- Constatò.
Io scossi la testa e lo guardai.
-Sembrano allegri…- Sorrisi. –Rispetto al mio umore.- sussurrai quasi tra me e me ma lui mi sentì e mi guardò compassionevole.
-Come mai sei triste?-
-Sono preoccupata per Caroline.- Affermai.
-Sta bene, è con Klaus.- Sorrise ed entrambi afferrammo il senso della cosa. Forse Caroline sarebbe stata felice d’ora in poi.

In quel momento sentii il mio cellulare suonare sul bancone della cucina. Mi voltai e lo presi.
‘Caroline’
Risposi subito.
-Care! Che bello sentirti!-
-Ele…na..- Sentì la mia amica singhiozzare.
-Cosa succede?!- Domandai, improvvisamente in ansia.
-Klaus mi ha avvelenata! È stato appena arrestato.- La mia amica scoppiò in un pianto fragoroso mentre il mio cuore perdeva battiti e il sangue mi si gelava nelle vene. Guardai Damon che stava leggendo un articolo di giornale.
Appena fui sicura di riavere la voce, parlai.
-Caroline, dimmi che si può rimediare…- Risposi ferma mentre nella mia mente una parola si venne a creare: ‘Inganno’
Deglutii mentre Caroline prendeva un respiro profondo.
-Fortunatamente si, mi dovranno fare una serie di trasfusioni e altri tipi di interventi. Quindi si tratta di rimanere un’altra settimana in ospedale. Dovresti prendermi qualcosa da casa sia di abiti che di soldi e portarmela. Ah, Elena ma sei a casa vero? Non vorrei che fossi con Damon, dopo ciò che è successo con Klaus, non mi fido molto di quel ragazzo.-
-No.- Risposi incerta. –Prendo le cose e arrivo. Ciao.-

Chiusi la chiamata e guardai Damon.
-Tutto bene, Elena?- Mi domandò pacato.
La rabbia si impadronì di me e sbattei il cellulare sul tavolo.
-No che non va tutto bene! Tu e il tuo stupido amico, siete due stronzi! Non voglio avere più niente a che farci!-
Ripresi il cellulare e con tutta la rabbia che avevo nel corpo mi diressi verso le scale mentre la voce di Damon continuava a chiamarmi.
All’improvviso una mano mi strinse il polso e fui costretta a fermarmi e a girarmi.
Gli occhi di Damon erano infuriati.
-Mi spieghi di cosa stai parlando? Tre minuti prima eri tranquilla e dopo mi dici che sono stronzo?! Che ti prende?-
-Che mi prende? Mi prende che il tuo fottuto amico ha avvelenato Caroline!- Risposi dura. Lui mi guardò sconvolto.
-Che stai farneticando?!- Il tono era sempre rabbioso ma vi scorsi un po’ di preoccupazione.
-Caroline me l’ho ha detto! La polizia ha arrestato Klaus e spero che lo facciano anche con te. Brutti stronzi molestatori!-
Damon serrò ancora di più la presa sul mio polso. Serrò i denti.
-Molestatori? Noi? Guarda Tyler prima di parlare!- Quasi ringhiò.
-Forse è meglio di voi!- Questo non dovevo dirlo. - Almeno non ha tentato di uccidere la mia amica!-
Damon cercò di contenere la rabbia e allentò di poco la presa su di me.
-Non puoi andartene!-
-Invece si!- Tentai di togliere quella mano, ma con scarso risultato.
-No, Elena! Dannazione, cerca di capire. Non stai bene!-
-Sto benissimo invece!- Mentii, perché era da circa qualche minuto che mi sentivo venir meno.
Lui sorrise sarcasticamente.
-No. Non stai bene. Ti sei vista? Hai controllato bene i tuoi dolori?- Mi domandò in modo teso.
Lo guardai interrogativa. In risposta, lui mi rivolse un sorriso tirato e scosse la testa lasciandomi il polso.
-Cavolo Elena, non riesci a fare neanche due più due? Pure un bambino di quinta elementare lo avrebbe capito prima di te…- Si fermò prima di proseguire. Prese un respiro. –Sei incinta, Elena…- I suoi occhi divennero preoccupati. –E da quanto vedo, temo che la tua gravidanza non vada affatto bene--
E per la seconda volta, in quella giornata, il mio cuore si fermò.
 
 

Angolino Autrice: 
Sono viva *-*, Okay era tantissimo tempo che non pubblicavo.. però sono tornata.. e più vogliosa che mai. Sto gia scrivendo il prossimo e informo le lettrici della storia di "All I Need" che a breve avranno mie notizie ;) 
Il capitolo questa volta ci rivela una serie di segreti.. 
Come Damon ha capito che Elena è incinta, lo sapremo nel prossimo capitolo.. 
Voglio dedicare questo capitolo a tre autrici che ritengo siano fantastiche e che adoro: Love Bites, Winner_ e Morgana_94. 
Ragazze, siete la mia forza.. <3 
Al prossimo capitolo, 
Un bacione :33

P.S: Perdonate miei eventuali errori.. L'ho pubblicato senza rileggerlo.. >.< Vado un po' di fretta.. ç.ç

 

 

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Capitolo 8
*** Trust me! ***


-Today My Life Begins-
-Trust me! Capitolo n.8-
 
Pov.Elena

Ero incinta.

Un'unica, semplicissima, risposta a tutte le mie domande inespresse.
Caddi in ginocchio sul pavimento ricoperto dalla soffice moquette. Abbassai la testa e poggiai una mano sul ventre ancora piatto. Sentii le lacrime pungermi gli occhi e poi scendere lentamente sulle mie guance fino ad andare a posarsi sulla mano che stringeva forte il tessuto leggero della T-Shirt.
No! Non era davvero il momento. Avevo diciassette anni, facevo un lavoro pericoloso per il mio bambino e… e…
Solo in quel momento riflettei sul fatto che non sapevo chi fosse il padre e che forse non l’avrei mai saputo… Chi era? Uno degli uomini che mi portavo a letto? Probabile… Ma…

‘Tyler!’

Affermò in quell’istante la vocina sarcastica che giaceva nella mia mente. Istintivamente raggelai. Non volevo che fosse lui il padre. No!
-Elena?- Damon mi chiamò in tono preoccupato.
Non avevo la forza di alzare lo sguardo verso di lui.
Dovevo trovare delle risposte, assolutamente. Non dovevo abbattermi proprio ora. Ma le forze cominciavano a mancarmi, i sintomi iniziavano a farsi sentire e non potevo affrontare tutto ciò da sola… la responsabilità di avere un bambino, il rischio che me lo portassero via a causa della mia giovane età, il mio lavoro… Sarei crollata. Dovevo andare da Caroline.
Ma prima…
-Come lo hai saputo?- Domandai con tono distaccato mentre la mano continuava ad accarezzare il ventre.
Avvertii Damon irrigidirsi, probabilmente ferito dal mio tono. Non me ne importava, lui era complice di Klaus. Non volevo più vederlo.
-Te l’ho detto.- Cominciò con tono freddo. –Ho fatto due più due. Ho visto e rivisto i tuoi sintomi, ti ho guardata, ispezionata e infine, quando eravamo in ospedale da Caroline, ti ho fatto fare delle analisi da una dottoressa e… - Prese una busta dalla tasca posteriore dei Jeans e me la porse. – … questi sono i risultati.- Terminò in tono più calmo.
Presi la busta e l’aprii. Lessi il tutto e finalmente posai lo sguardo su Damon.
I suoi occhi erano di un ghiaccio lucido che mi fece venire la pelle d’oca. Mi scrutava; forse attendeva la mia prossima mossa.
-Perché io non ho mai visto nessuna dottoressa infilarmi un fottuto ago?- Domandai un po’ arrabbiata.
-Perché te le ho fatte fare mentre dormivi sulla sedia, aspettando il risveglio della tua amica!- Rispose con il mio stesso tono. –Come puoi vedere non ti dice ancora di quante settimane è, perché è troppo presto… hai concepito da poco e di conseguenza devi aspettare anche per un qualsiasi test di paternità se è questo il problema che ti sta affliggendo la mente!- Concluse ancora più nervoso.
Il ghiaccio che diventava fuoco.
Deglutii e misi entrambe le mani sul mio ventre. Damon seguì il gesto e posò il suo sguardo sulla mia pancia. Si inginocchiò di fronte a me e strinse una mia mano nella sua.
-Elena, io ti voglio aiutare. Non chiedermi i motivi perché non li conosco. Sento che ci tengo a te. Ti devi fidare di me. Io non ti ho ingannato e Klaus non è mai stato capace di torcere un capello a nessuno, okay, forse a qualche inutile ragazzaccio al liceo… - Sorrise e continuò. –Ma, avvelenare? No, decisamente non è stato lui. Ti darò le prove necessarie per fidarti di me, ma, ora, non puoi tornare nel tuo appartamento. Posso procurarti tutto ciò che ti serve, sia per te che per Caroline. Indagherò su questo mistero dell’avvelenamento, farò di tutto; ma tu devi essere sincera con me, farti aiutare, perché non stai bene. Le violenze che hai subito possono aver aggravato la tua gravidanza; inoltre, lo stress, gioca brutti scherzi. Devi solo stare tranquilla.-
Il suo discorso mi spiazzò. Rimise in gioco tutte le carte che avevo eliminato. Avevo bisogno di aiuto, ma, potevo davvero fidarmi di lui? La risposta arrivò subito dal mio cuore. Sì.

Pov.Caroline

Le ore passavano lente dentro alle quattro mura opprimenti dell’ospedale.
Presi una rivista di moda che mi aveva gentilmente donato la dottoressa e cominciai a sfogliarla. Erano le quattro del pomeriggio. Erano passate circa otto ore da quando avevo chiamato Elena e della mia amica ancora non vi erano tracce.
Stavo per chiamarla di nuovo quando la porta si aprì di colpo e una testa castana si intrufolò nella stanza.
-Una certa bionda mi ha chiamato?- La mia amica mi mostrò uno dei suoi sorrisi migliori. I miei occhi brillarono di gioia mentre feci segno di farla entrare.
Accompagnata da due borsoni da viaggio della Guess, Elena entrò nella camera.
Si avvicinò e mi mostrò le due borse.
-Pensavo che avresti avuto bisogno di abiti.-
Inarcai un sopracciglio.
-Che fine avevi fatto? Eri andata a svaligiare la Guess? E con quali soldi poi?- Domandai ironicamente.
-Ho avuto da fare con un amico, lo stesso amico che mi ha prestato i soldi e mi ha aiutato a svaligiare la Guess.- Sorrise imbarazzata.
Un amico? Che cosa stava succedendo? Ero in un’altra dimensione?
-E dimmi un po’ Elena, chi è questo amico?- Chiesi interessata.
-Damon.- Il suo fu un debole bisbiglio che udii appena ma il nome arrivò chiaro nella mia mente.  Non capivo. –Okay! So che è terribilmente strano ma è successo di tutto,  è una storia lunghissima.-
-Racconta.- Le dissi semplicemente con un tono così freddo che mi impressionai anche io. La mia amica sussultò, forse ferita. Non volevo arrabbiarmi con lei, ma possibile che non avesse capito? Eravamo nei guai. Guai seri! Alla fine, con una punta di delusione, cominciò a raccontare.

Pov.Klaus

Ero stato interrogato tutta la mattina e il risultato era che mi avevano sbattuto in galera!
Avrei scoperto chi aveva messo quella boccettina nella mia giacca e lo avrei ucciso con le mie stesse mani. Prima lo avrei picchiato e poi gli avrei sparato nelle palle!
Mi avevano incarcerato per una cosa che non avevo fatto. Non avrei mai potuto avvelenare Caroline. Ma la polizia non ci aveva creduto e nemmeno lei, pensai a malincuore.
Il mio “compagno” di cella mi fissava ghignando. Lo trucidai con uno sguardo e portai un ginocchio al petto mentre l’altra gamba penzolava liberamente sopra la brandina. Guardavo fuori dalle sbarre gli altri come se la cavavano: chi si lamentava, chi rideva, chi giocava a carte, chi si faceva una canna di nascosto: era un completo schifo.
All’improvviso sentii delle voci che urlavano nello studio adiacente alle varie celle.
-Che cazzo stai dicendo?! Devi liberare il mio amico! Non ha avvelenato lui Caroline!-
Damon!
Poi silenzio.
-No, che non mi calmo! Voglio parlare con Alaric! Ora!-
Porte che sbattevano, altre urla e vari passi riecheggiavano nello stretto corridoio.
-Mikealson! Ti faccio uscire io di qui! Te lo giuro!- La voce di Damon tradiva la sua furia.
Trovò la mia cella e infilò dentro una chiave.
Da dove l’aveva presa?
Scossi la testa e sorrisi alzandomi dalla brandina. Lui ghignò e aprì la porta.
-Ci pensiamo noi a questi quattro ignoranti.-
Mi diede una pacca sulla spalla e attraversammo il corridoio fino a giungere davanti ad una porta. Senza neanche bussare, il mio amico aprì la porta e la scena che ci trovammo davanti sconvolse entrambi.

Pov.Elena

Raccontai tutto a Caroline omettendo il fatto che fossi incinta. Quella notizia aveva scombussolato abbastanza già me, non volevo che altre persone lo scoprissero. Fino ai due mesi di gravidanza volevo che le uniche persone a conoscenza di questo bambino fossimo io e Damon.
‘E se il padre fosse Tyler?’ pensai improvvisamente. Non volevo proprio prendere in considerazione quella possibilità. Sapevo che lui avrebbe ucciso senza scrupoli il mio bambino.
Mi rattristai e mi rilassai sulla sedia mentre aspettavo che Caroline tornasse da non so quale sala ospedaliera.

Pov.Damon

Alaric non era nelle condizioni in cui avevo sperato di trovarlo, anzi, era ridotto a pezzi. Piangeva sommessamente con la fronte appoggiata sulla scrivania e teneva stretta tra le mani una foto raffigurante la sua famiglia.
La morte della moglie lo aveva distrutto. In quell’istante ritornarono nella mia mente i flashback della morte di Rose ma ricacciai subito quelle immagini. Non era il luogo adatto per pensare ad una cosa del genere.
La bambina che aiutammo l’altro giorno io ed Elena, Margaret, dormiva tranquilla su un divanetto dello studio.
Entrai lentamente e mi avvicinai ad Alaric poggiandogli un braccio sulla spalla, per fargli capire che se aveva bisogno di un conforto, beh, c’ero.
Si alzò di scatto e si guardò intorno, appena notò me, mi rivolse un sorriso tirato ma sbiancò non appena vide Klaus.
-Damon! Chiamo immediatamente i miei colleghi. Klaus deve stare in carcere!-
-È proprio di questo che ti volevo parlare amico.- Il mio tono risultò più serio di quanto mi sarei aspettato.
Alaric inarcò un sopracciglio e invitò entrambi a sederci.
Qualche ora dopo…
Perfetto. Avevamo dalla nostra parte anche il capo della polizia. Potevo dire di aver trovato un altro amico.
Io e Klaus uscimmo dalla stazione di polizia e mentre ci avviavamo verso la macchina gli spiegai brevemente cos’era successo mentre non ci eravamo visti. Ovviamente non gli dissi della gravidanza di Elena, probabilmente la ragazza avrebbe voluto un po’ di privacy, ma soprattutto un po’ di tempo per assimilare la notizia.
Comprammo una bottiglia di bourbon e ci dirigemmo all’ospedale alla guida della mia stupenda Ferrari.

Pov.Elena

Mi stavo addormentando.
Caroline ancora non tornava e la schiena cominciava a dolermi a causa della mia costante posizione sulla sedia.
Sospirai e poggiai un mano sul mio ventre. Quel gesto era così spontaneo, così nuovo.

‘Se non sei di Tyler, per favore, sii di Damon. Mi renderesti tanto felice.’ 

E solo in quell’istante compresi il significato delle parole appena dette. Anche Damon poteva essere il padre, dopotutto io ero andata a letto anche con lui.
A quel pensiero il mio cuore si riempì di gioia.
La porta si aprì all’improvviso. Pensai che fosse Caroline e invece la visita fu piuttosto inaspettata. Istintivamente mi alzai dalla sedia e cercai ogni possibile via di fuga.
Tyler!
I battiti del mio cuore aumentarono a dismisura mentre lui si avvicinava a me, allontanai la mano dal mio grembo e guardai la finestra: troppo rischioso. Sei piani di caduta libera e sarei morta.
Deglutii e arretrai contro il muro.
-Elena. Finalmente ti ho trovata. Dove eri finita?-
La sua mano prese ad accarezzarmi la guancia mentre il mio cuore batteva più forte che mai.
Non risposi e questo lo irritò non poco.
Le sue dite accarezzarono la mia gola e sganciarono il primo bottone della camicetta.
Le lacrime minacciavano di uscire.
-Fammi indovinare, eri con Damon? Ah, come sei prevedibile.-
Una lacrima sfuggì al mio controllo. Aiuto.     
Mi prese per i fianchi e mi sbatté poco delicatamente sul letto.
Le mani che sbottonavano la mia camicia e le sue labbra che lambivano la mia gola.
Provai ad urlare ma una volta terminato il lavoro con la parte superiore dei miei abiti, utilizzò una mano per tapparmi la bocca.
Lasciai che le lacrime scendessero e che mi bagnassero le guance e il collo, lì, dove lui continuava a mordere e leccare.
Con la mano libera scese verso il bottone dei miei jeans che sganciò in un attimo. Un secondo dopo sganciò anche i suoi.
Continuavo a lottare e a dimenarmi sotto di lui mentre le sue labbra scendevano sui miei seni ed effettuavano lo stesso trattamento fatto al collo.
Mi graffiò svariate volte sul petto e sulla pancia. Conficcò le sue luride unghia all’altezza della carotide e per un attimo mi sentii mancare.
Le sue dita si insinuarono all’interno dei miei slip e iniziarono a toccare la mia intimità.
Non seppi dove trovai la forza ma con una ginocchiata nelle palle riuscì a togliermelo di dosso. Aprì la porta e iniziai a correre verso l’uscita, incurante degli sguardi sconvolti che i medici mi lanciavano.
Presi le scale e ad ogni passo sentivo sempre di più l’adrenalina salire e allo stesso tempo le forze mancarmi. Riuscii ad arrivare al piano terra. Una volta fuori, l’aria invernale mi invase e mentre mi stringevo addosso la misera camicetta, intravidi la figura di Damon uscire dalla Ferrari.
Ripresi la mia corsa e i nostri sguardi si intercettarono a metà strada. Non seppi se fu l’adrenalina, la stanchezza, la gratitudine, ma con un ultimo slancio mi buttai tra le sue braccia.
Strinsi le gambe tremanti attorno ai suoi fianchi e avvolsi le braccia intorno al suo collo, piansi contro la sua camicia.
L’impatto fu improvviso anche per Damon che vacillò per un attimo, ma subito riacquistò l’equilibrio e stringendomi forte si sedette per terra.
Vidi di sfuggita l’espressione sconvolta di Klaus.
In quel preciso istante la neve cominciò a scendere su di noi e a coprire di bianco l’asfalto.
L’inverno era ufficialmente iniziato.
 


Angolino di un autrice accompagnata da otto pacchetti di fazzoletti..
*Tossisce* Ehiiiiii, 
Dodici giorni per avere quest'aggiornamento... Va bene, faccio pena.. ma ho una spiegazione: sto da circa una settimana con la febbre a 40. Quindi ringrazio il computer portatile per avermi aiutato a scrivere questo capitolo mentre sto sotto le coperte :) Ringrazio la scuola che da martedì sta occupando, quindi non mi sto perdendo nulla fortunatamente :'), altrimenti temo che non mi avreste visto per un bel mese.. 
Ma passiamo ad altro.. 
Probabilmente questo capitolo vi è sembrato un po' Nonsense e abbastanza OOC, sopratutto per gli atteggiamenti di Damon.. ho qui tutte le spiegazioni.. 
Damon è sembrato un po' lunatico: prima arrabbiato poi "dolce", ma vi ricordo che non è un vampiro qui.. quindi prova di tutto e anche una persona senza cuore ma che vuole bene ad un "amica" farebbe di tutto per aiutarla, ecco il suo "Ti voglio aiutare.. Devi fidarti di me" dell'inizio.. 
La fine forse è stata una scena un po' complicata da scrivere.. 
Vorrei solo che capiate che con il gesto di Elena: "Buttarsi letteralmente addosso a Damon dopo che stava per essere violentata la miliardesima volta" ha voluto significare che lei ha capito di aver bisogno di quest'appoggio che è Damon.. ha deciso di fidarsi di lui e vedremo come si evoluzionerà questo rapporto.. ne avremo delle belle ;)
Ho detto troppo xD Mi fermo qui :P a voi la parola ;) 
Ringrazio tutte voi che mi state aiutando in questo tragitto stupendo *-* Spero che il capitolo vi piaccia.. 
Lo dedico a tutte <3 
Alla prossima, 
Un bacione enormissimo :3
Esperanza97


 

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Capitolo 9
*** He was my child ***


-Today My Life Begins-
-He was my child. Capitolo n.9-
 
 
Una settimana dopo…

Pov.Caroline

La penna scriveva velocemente sul foglio bianco, facendo una firma degna di un attrice di Hollywood. Sorrisi a quel pensiero.
Finalmente stavo per lasciare quei macchinari tremendi, quel cibo schifoso e quell’odore di disinfettante che aleggiava nell’aria ad ogni ora del giorno.
-Perfetto, signorina Forbes. La informo che può lasciare l’ospedale! Si ricordi di prendere le medicine.- Il dottore ritirò il modulo e mi tese la mano.
La strinsi cordialmente.
-Certamente! Arrivederci.-

Presi la borsa a tracolla mentre la mia amica Elena si stava occupando della valigia.
Uscimmo felicemente dalla mia ex-camera e ci dirigemmo verso l’ascensore.
-Non sopportavo più nulla! Ho bisogno di fare shopping e di andare dal parrucchiere: questa coda trasandata, non è da Caroline Forbes.- Presi lo specchietto dalla borsa e infilai l’ultima forcina nei capelli.
Sentì Elena ridere silenziosamente al mio fianco.
-Perché ride, signorina Gilbert? I miei nervi tesi la fanno ridere?!- Domandai, fingendo di essere arrabbiata. Lei capì tutto e rise più forte.
-Rido, perché mi era mancata questa Caroline.- Rispose sincera.
Contagiata dalla sua allegria, iniziai a ridere anche io. L’ascensore arrivò al nostro piano e ci intrufolammo al suo interno.

Appena uscimmo dall’ospedale vidi l’asfalto ricoperto di neve. Era una visione stupenda.
Elena sorrise imbarazzata, anche se non capii il motivo.
Vidi una Ferrari parcheggiata fuori al cancello e immediatamente io ed Elena ci dirigemmo verso la macchina.
Damon uscì dal sedile del guidatore e prese la valigia che Elena stava portando. Posò una mano sul fianco della bruna e per un breve attimo la strinse a sé.
Il rapporto tra i due stava cambiando. L’avevamo notato sia io che Klaus. Per tutta la settimana in cui lei era stata accanto a me, i due parlavano a telefono, si scambiavano messaggi e una volta erano andati in qualche reparto dell’ospedale da soli. Non riuscivo ancora a capire il motivo di tutto questo affetto.

Dal sedile del passeggero uscì Klaus. Vederlo provocò mille brividi per tutto il mio corpo. Era una cosa nuova ma allo stesso tempo eccitante: ogni qualvolta che gli occhi di Klaus incontravano i miei, mi sentivo andare a fuoco, avvertivo le mie gote arrossire e le mie gambe divenire gelatina. Cavolo! Sembravo una quattordicenne alle  prese con il suo primo fidanzato del liceo.
Io e Klaus avevamo chiarito da qualche giorno e tutto sembrava essere tornato come prima. Almeno lo speravo. Ciò che avevo detto non poteva essere dimenticato con tanta facilità. Ero stata piuttosto crudele con lui e me ne ero resa conto solamente dopo che era stato arrestato. Volevo che le cose tra noi andassero bene, era l’unico ragazzo che mi interessava. Era l’unico per cui provavo qualcosa di più profondo. Era troppo presto per dirlo, ma… temevo di essermi innamorata di lui.
Klaus si avvicinò a me con la sua straordinaria eleganza. Sorrise e mi baciò dolcemente una guancia, mi tese la mano e mi fece accomodare in macchina.

Vidi Elena dire qualcosa nell’orecchio a Damon. Il braccio del moro, sul fianco di lei, si strinse ancora di più e infine la lasciò andare. La mia amica entrò nell’auto con un viso stranamente pallido.
-Sei sicura di stare bene, Elena?- Quasi sussurrai.
La mia amica annuì e la nostra conversazione finì lì.

Pov.Elena

Per tutta l’ultima settimana, non avevo fatto altro che pensare al bambino. La notizia mi aveva lasciato interdetta: non sapevo che fare.
Da quando avevo deciso di fidarmi di Damon, il ragazzo, stava sempre al mio fianco. Il fatto che fossimo andati a letto insieme era stato quasi dimenticato. Stavamo cominciando un nuovo rapporto nel quale io, speravo in qualcosa di più, ma lui, sicuramente no.

Di Tyler non avevo più notizie, anzi, non sapevo nemmeno cosa stesse facendo e il pensiero che stesse progettando qualcosa per uccidere qualcuno si fece spazio nella mia mente. Chi sarà il prossimo? Caroline? Klaus? Damon? O forse io? 
Una cosa era certa: finché non sarebbe stato dietro le sbarre, non avrei vissuto una vita serena.

Chi era il padre del mio bambino? Un’altra domanda a cui non riuscivo a trovare risposte. Tutto si sarebbe saputo grazie a delle analisi che mi attendevano l’indomani. Stavo per scoprirlo, ma… ero davvero pronta?

Quasi non mi accorsi di essere arrivata a casa.
La mia amica uscì di corsa dalla macchina e come una “diva Hollywoodiana” iniziò a dettare ordini a Klaus che intanto sorrideva e scuoteva la testa. Nel giro di un attimo, Caroline, aveva preteso una parrucchiera, un’estetista e un autista che l’accompagnasse in città a fare shopping. Non eravamo mica delle star?
Sorrisi anche io e scesi dalla macchina. Klaus prese il cellulare e iniziò a chiamare tutti i servizi di cui Caroline aveva bisogno, mentre Damon prese la valigia dal cofano dell’auto.
-La tua amica è incorreggibile, eh?- Mi chiese Damon, ironicamente.
Scossi la testa.
-Ehi, Barbie, mi piacevi di più quando eri bloccata nel letto con i capelli arruffati e la camicia da notte bianco pallido!- Damon urlò alla bionda che intanto si stava accendendo una sigaretta.
Caroline fulminò Damon con uno sguardo e stava per fare un tiro quando Klaus gli strappò la sigaretta tra le mani.
-Dolcezza, non devi fumare. Non dopo che sei stata avvelenata e poi disintossicata.- Gli disse Klaus con dolcezza.
Damon roteò gli occhi e si diresse dentro.
Stavo per seguirlo ma fui colta da un giramento di testa improvviso. Mi aggrappai alla portiera della macchina e poggiai una mano sul ventre, sapendo perfettamente la causa di quello sbandamento. Appena fui sicura di essermi ripresa alzai lo sguardo e vidi Caroline e Klaus fissarmi in lontananza. Abbozzai un sorriso ed entrai in casa.

Pov.Klaus

Le mie domande ebbero una risposta dopo aver visto quella scena:
Elena era incinta.
Ma, perché non c’è l’aveva detto? Possibile che il bambino fosse di Damon? Nah, il mio amico non era tanto stupido da non utilizzare precauzioni con una diciassettenne, o forse era sicuro che prendesse la pillola? Oppure era di Tyler? Ma domanda più importante: Damon era a conoscenza di questa gravidanza?
Avrei dovuto chiederglielo.

Poggiai una pietra su questi pensieri e mostrai a Caroline la sua nuova camera, adiacente alla mia.
La bionda sgranò gli occhi dinnanzi a tutto quel lusso e iniziò ad aprire armadi e cassetti, pieni di abiti che gli avevo appositamente comprato.
-Spero che ti piaccia, amore.-
-Santo Cielo, Klaus! È stupenda… Grazie.- Sussurrò quasi imbarazzata. Caroline in imbarazzo?
Mi avvicinai a lei e posai una mano sulla sua guancia.
-Sono felice che ti piaccia.-
Si morse il labbro inferiore e distolse lo sguardo dal mio. Presi il suo mento e feci incrociare nuovamente i nostri occhi. Fui sorpreso di vedere i suoi, completamente bagnati dalle lacrime. Immediatamente la strinsi a me.
-Ehi, che ti succede, Caroline?- Domandai preoccupato.
-Ho sbagliato, Klaus. Ho fatto così tanti errori.- Iniziò a singhiozzare. –Ho messo nei guai me, la mia amica ed ora voi due. Ti ho detto delle cose orribili e me ne pento. Ti ho incolpato di cose che non avevi fatto. Per favore, perdonami. - Continuò a piangere.
-Caroline, tutti commettiamo degli errori, l’importante è capire la grandezza di questi e in base a ciò, decidere come perdonare e se. Io ti ho perdonato, già da molto tempo. Non sono mai stato veramente arrabbiato con te, forse ero leggermente infuriato, ma ora non più. Voglio solo prendermi cura di te, Caroline. Voglio aiutarti a sopravvivere, voglio guarire le tue ferite, voglio possedere il tuo cuore. È del tutto nuovo per me, non avrei mai pensato di provare qualcosa del genere e invece… Credo di essermi innamorato di te… So che è presto dirlo, forse troppo, ma è così. Sin dal primo momento in cui ti ho visto per quelle strade, ho pensato che fossi una ragazza straordinaria. Amo il tuo carattere, il tuo modo di fare le cose, la tua risata, i tuoi occhi.- Mi fermai un minuto, per prendere fiato e afferrai di nuovo il suo mento facendo combaciare i nostri sguardi. Aveva smesso di piangere. –I tuoi occhi sono la cosa più bella che abbia mai visto, mi ipnotizzano, illuminano il mio cuore. Sono un oceano, in cui posso perdermi, affogare e poi ritrovarti. Caroline, ti amo.-
Consapevole di avere anche io gli occhi lucidi, attirai la sua bocca alla mia. Inizialmente il bacio fu casto e tenero ma dopo schiuse la sua bocca permettendo alla mia lingua di esplorare la sua. Ci perdemmo in quel bacio così passionale, così desiderato, così perfetto. Avvertii qualcosa di salato bagnare le nostre bocche e non seppi mai se furono le sue lacrime o le mie.
Ci staccammo dopo qualche minuto. I nostri occhi, ancora lucidi, si incrociarono e finalmente sentii ciò che avrei sempre voluto sentire.
-Ti amo, Klaus-

Pov.Elena

Ero andata a dormire con un dolore alla testa atroce e così mi ero risvegliata.
Mi alzai e scesi le scale, indossando la vestaglia.
Entrai in cucina dove Klaus stava facendo colazione da solo. Ci guardammo per alcuni secondi; poi, lui continuò a mangiare e io presi un pacco di biscotti dalla credenza.
Mi sedetti di fronte a lui e inzuppai il biscotto nel latte. Quando alzai lo sguardo, Klaus, mi stava fissando.
-C’è qualcosa che non va?- Domandai preoccupata.
-Perché non ci hai detto di essere incinta?!- Mi domandò, quasi urlando.
Sobbalzai a quella domanda e per poco non mi strozzai con il biscotto. Tossii ripetutamente e lui roteò gli occhi. Nello stesso istante entrò Damon nella stanza che vedendomi in quelle condizioni prese un bicchiere d’acqua e me lo porse. Bevvi velocemente e posai nuovamente l’attenzione su Klaus che mi guardava, attendendo una mia risposta.
-Che succede qui?- Domandò Damon, notando quel clima di tensione che c’era tra me e Klaus.
-Oh, niente, amico, stavo semplicemente chiedendo ad Elena, perché non ci ha detto di essere incinta… - Stava per continuare ma probabilmente qualcosa lo fermò, spostò lo sguardo su Damon e vide che si era irrigidito.
Si alzò dal tavolo e vi sbatté sopra le mani.
-Tu lo sapevi! Cazzo! Perché non me l’hai detto? E tu, Elena…- Mi guardò. –Perché non l’hai detto a Caroline, almeno? È la tua migliore amica ed è tremendamente preoccupata per te, perché non sa cos’ hai, ti vede strana, distante e tu non gli dici di essere incinta?- Continuava ad urlare e la mia testa pulsava ad ogni sua parola.
Udimmo un singhiozzo e ci girammo verso l’ingresso della cucina.
Caroline era in piedi, avvolta nella sua vestaglia di seta bianca. Il viso sconvolto. Lacrime bagnavano le sue guance.
Mi alzai dalla sedia e la raggiunsi, tentai di confortarla, di spiegare le mie ragioni, ma lei si scansò da me ed entrò nella cucina, mettendosi accanto a Klaus che immediatamente gli strinse la mano.
Io e Damon ci guardammo sorpresi. Quest’ultimo spostò l’attenzione sulla coppia.
-Parlate tanto di fiducia e roba varia. Ma, da quello che vedo, neanche voi, siete tanto sinceri.- Disse l’ultima parola con un velo di amarezza. –State insieme, okay, non abbiamo nessun diritto di saperlo, pur essendo amici, ma è una cosa semplice la vostra! La nostra non lo è!- Aumentò di qualche tono la voce.
-Si che lo è invece!- Iniziò la bionda. –Elena è incinta e tu sei il padre, cosa c’è di più semplice? State anche voi insieme e avrete anche un bambino, potevate dircelo, no? Cosa c’è di complicato? È tuo figlio, Damon! O forse non vuoi prenderti le responsabilità?!- Domandò, incurante di tutto, la bionda.
Vidi il volto di Damon indurirsi, i suoi occhi divennero fuoco. Si stava davvero arrabbiando.
-Non è mio figlio! Se non sai un cazzo, non parlare! Perché se fosse mio figlio, a quest’ora non staremo qui e voi lo avreste saputo per primi! Sarei venuto anche a mezzanotte per dirvi che sto per diventare padre! Ma non è mio figlio! Elena non è incinta di me! Non si sa di chi è il bambino! Potrebbe essere anche di Tyler, e finché non avevamo risposte non volevamo dirlo a nessuno!- Il volto di Damon era contratto dalla rabbia. –Ed ora, dopo tutto ciò, andatevene a fanculo! Perché tutto questo non fa bene né al bambino, né ad Elena!-
Deglutii, mentre sentivo le lacrime scendere copiosamente dai miei occhi.
Vidi Caroline e Klaus guardarsi dispiaciuti e sconvolti. La bionda, poi, guardò me con compassione.
-Elena…- iniziò a singhiozzare e poi fu tra le mie braccia. –Oh, Ele, perché non mi hai detto nulla? Avrei potuto aiutarti, non ti fidi di me?-
Ricambiai l’abbraccio.
-Care, è complicato, cerca di capire.- Gli accarezzai i capelli. –E tu? Perché non mi hai detto di te e Klaus?- Domandai un po’ delusa.
-Oh, non te l’ho detto perché ti vedevo strana e poi perché è successo ieri sera e non volevo darti fastidio. Perdonami.- Mi strinse più forte.
-Ehi, fai piano. Qui c’è qualcuno.- Sorrisi e mi accarezzai il ventre. La mia amica si morse il labbro e posò la mano sulla mia.
Vidi Klaus chiarire con Damon e i due si scambiarono un abbraccio molto veloce. Poi Klaus si avvicinò a me.
-Elena, scusami se ti ho attaccato. Non conoscevo i motivi ed ero infuriato perché non volevi dire nulla. Ti avrei aiutato, se me l’avresti detto.- Mi disse dispiaciuto.
-Sto bene, tranquillo.- Abbozzai un sorriso e vidi Damon roteare gli occhi.
-Certo, tu stai sempre bene, eh?- Domandò sarcastico.
Ci guardammo negli occhi. I suoi preoccupati, i miei infinitamente tristi. Distolsi lo sguardo concentrandomi sull’orologio. Appena vidi l’orario feci segno a Damon di andare.
Lui annuì.
-Ragazzi, noi ora, dovremo andare. È giunto il momento per Elena, di vedere suo figlio tramite un ecografia e di sapere chi è il padre.- Damon prese una bottiglina d’acqua dal tavolo e me la lanciò. –Andiamo?- Domandò ansioso.
Sorrisi.
-Ehm, sono ancora in pigiama. Vado a cambiarmi.-
-Veniamo con voi!- Risposero Caroline e Klaus all’unisono, prima di seguirmi al piano superiore.

***

Stavo seduta nella sala d’attesa con Damon, Caroline e Klaus. Appena il paziente sarebbe uscito, sarei dovuta entrare io. Il cuore batteva forte e le gambe tremavano.
-Ehi, calmati…- Damon mi guardò e mi strinse la mano. –Andrà tutto bene.-
Annuii.
-Elena Gilbert?- Chiamò la dottoressa.
Deglutii e mi alzai dalla sedia, lasciando a malincuore la mano di Damon.
-Chi vuoi che venga con te? O preferisci stare sola?- Mi chiese Klaus, incoraggiandomi con un sorriso.
Sospirai.
-Damon.- Sussurrai.
Il moro mi guardò sorpreso e si alzò prendendo nuovamente la mia mano.

Entrammo nello studio e la dottoressa mi indicò un lettino su cui stendermi.
Mi distesi e cercai la mano di Damon che subito arrivò, stringendo forte la mia.
-Tranquilla.- Mi sussurrò dolcemente.
-Siete davvero una bella coppia.- Ci disse la dottoressa, con un sorriso enorme stampato sul viso.
I battiti del mio cuore aumentarono notevolmente.
Mi spalmò uno strano gel sulla pancia.
-È la tua prima ecografia vero, Elena?- Mi domandò la dottoressa mentre con uno strano marchingegno disegnava movimenti sul mio ventre, fissando uno schermo.
-Si.- Risposi.
-Bene, hai saputo tramite le analisi, di essere incinta, vero?-
Annuii nuovamente.
La dottoressa si fermò.
-Ecco! Guarda, questo è tuo figlio.- Si spostò di qualche centimetro per permettermi di vedere.
Appena vidi l’immagine fu come se tutto si fosse fermato. Il mio cuore perse un battito, per poi riacquistare con un’innaturale velocità sempre più battiti. Era mio figlio. Quell’essere minuscolo su quello sfondo nero era mio figlio.
Sentii i miei occhi inumidirsi e le lacrime scesero, bagnandomi le guancie.
Sentii la presa di Damon sulla mia mano, stringere sempre di più. Mi voltai e lo vidi ipnotizzato dall’immagine del mio bambino. In cuor mio speravo davvero che lui fosse il padre.
Posò il suo sguardo su di me e vidi che i suoi occhi luccicavano, meravigliati ed entusiasti.
-È stupendo vero?- La dottoressa interruppe il nostro momento magico.
Annuii e lei sorrise.
-Okay, La prossima ecografia è tra tre mesi. Vorrei controllare bene il tuo bambino e te.- Disse preoccupata.
Il mio volto divenne improvvisamente serio.
-C’è qualcosa che non va? Il mio bambino non sta bene?- Strinsi la mano di Damon così forte che quasi non gli scappò un urlo. Mi guardò, cercando di tranquillizzarmi.
-No, no, il fatto è che sei troppo tesa e questo non potrebbe fare bene al bambino. Dovresti stare più tranquilla, evitare di stressarti. Insomma dovresti passare una settimana nel letto, altrimenti metti in pericolo sia te che lui.-
Annuii.
La dottoressa mi porse un fazzoletto per asciugare le lacrime e un asciugamano per togliere il gel.
-Bene!- Spillò qualcosa accanto ad un foglio e lo firmò.
Scesi dal lettino aiutata da Damon.
-Questa è la tua prima ecografia. Ci rivediamo tra tre mesi. Ah, c’è qualcos’altro che posso fare per te?-
-Si.- Risposi con un tono di voce sicuro ma basso.

Era arrivato il momento di avere delle risposte. 



Angolino Autrice:
Ehii, si, mi aspetto pomdori, arance, verdure, insomma... di tutto. 
Sono scomparsa T_T Senza neanche avvisare.
Forse vi sembrerò la persona più "scocciante" del pianeta, ma... non è un bel periodo... Per niente... è tutto semplicemente orribile. Avevo perso l'ispirazione... e ho avuto un periodo fatto di ansia e crisi di panico, che è ancora in atto. Fortunatamente, l'ispirazione è tornata. Cosa che mi aiuterà moltissimo nel compito di italiano, domani u.u xD E cosa che mi ha aiutato per scrivere questo capitolo e per progettare circa tre One-Shot (O.O) xD che arriveranno a breve ;) Per il momento sono scritte nella mia testolina u.u :P 
Anyway, la mia autostima continua a calare D: quindi il capitolo non mi piace molto.. :/ 
Forse Klaus è un po' troppo OOC, come Damon... ho paura di sconvolgere "troppo" i personaggi, ma ci sono situazioni, che ho creato, in cui, non possono comportarsi entrambi come "I'm the boss" xD 
Bien.. (Ma quante lingue parlo, oggi?) Sarà che il compito di francese mi ha sconvolto D: 
Nel prossimo capitolo, scopriremo, finalmente, chi è il padre del dolce bambino che Elena porta in grembo *-*.. Capitolo, che arriverà molto più presto di quest'altro.. 
Okay, ho parlato troppo xDDDD 
A voi la parola :) 
Un bacione a tuttiiii ** 
Esperanza97

 

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Capitolo 10
*** Flashback from my past ***


-Today My Life Begins-
-Flashback from my past. Capitolo n.10-
 
Pov.Elena

“Le prime luci dell’alba invasero la mia stanza e colpirono i miei occhi, facendomi svegliare.
La casa era silenziosa, segno che Jeremy era già uscito.
E pensare che solamente ieri, tutto era diverso: la mamma, a quest’ora, stava cucinando le sue famose frittelle, mentre papà, era impegnato nei suoi piccoli lavori con il sindaco della nostra piccola città: Mystic Falls. Se vivevano cento abitanti, era un record. Ma era proprio questo il bello: ci conoscevamo tutti.
Ora, ciò che sentivo, invece, era solo un’assurda tranquillità.
Mi alzai controvoglia e presi l’abito nero che avevo preparato la sera precedente sulla poltrona. Mi guardai allo specchio: ragazza di sedici anni, capelli come la seta castani e due occhi color cioccolato che in questo momento erano coperti dalle occhiaie ed erano rossi dalle lacrime non versate.
Andai nel bagno, mi svestii e mi buttai sotto al getto d’acqua calda della doccia. L’acqua, a causa della sua elevata temperatura, bruciava la mia pelle, rendendola più rossa rispetto al colore naturale.
Appena uscii dal box doccia, avvolsi il mio esile corpo in un accappatoio di cotone e lo strinsi a me. Immagini di me, bambina, con mia madre che mi avvolgeva nell’asciugamano e mi portava sul letto per farmi il solletico, si fecero spazio nella mia mente. Scossi la testa, per togliere quel ricordo: dovevo ricordarmi di non piangere.
Presi la spazzola e rientrai in camera. Quasi sobbalzai quando vidi una figura vicino alla mia finestra: Jeremy.
Mio fratello si svoltò verso di me. Era più piccolo di solo un anno, eppure mio padre riteneva che fosse giù un uomo, degno di immergersi nella società degli adulti. La sua espressione era tesa, preoccupata e infinitamente triste.
-Elena, dobbiamo parlare.-
E quelle furono le parole che riuscirono a spezzare ulteriormente il mio cuore.”

Mi trovavo ancora nella sala d’attesa con Damon, Caroline e Klaus al mio fianco.
Era passata un ora e la dottoressa doveva ancora farci sapere il risultato del test.
Damon sembrava abbastanza tranquillo. Dopo quel momento quasi “intimo” nello studio della ginecologa, non avevamo più parlato.
Mi alzai e gli occhi dei tre miei amici furono subito su di me.
-Dove stai andando?- Domandò la mia amica, inarcando un sopracciglio.
-A prendere un caffè, sono stanca di aspettare senza far nulla.- Gli risposi annoiata.
La mia amica annuì e poggiò nuovamente la testa sulla spalla di Klaus. Abbozzai un sorriso e Damon mi guardò, scuotendo la testa.
-Vengo con te! Lasciamo soli i due piccioncini.- Fece un occhiolino ad entrambi, si alzò e mi seguì lungo il corridoio.
Prendemmo l’ascensore e ci dirigemmo al bar.
-Due caffè.- Ordinò Damon al barista.
Mi sedetti vicino alla vetrata e osservai una donna con il pancione, dare la mano a sua figlia e dirigersi in ospedale, mentre un uomo dietro, che compresi fosse il marito, portava due grosse valigie e una borsone da viaggio azzurro. La bimba accanto alla madre rideva e dava piccoli baci sul pancione.
Erano tutte scene dolci. Di mamme, abbastanza adulte da poter badare ad un figlio, avuto con una persona che amavano. Non c’erano ragazze che a soli diciassette anni si trovavano ad affrontare una gravidanza, senza neanche sapere chi fosse il padre del bambino.
Vidi l’allegra famiglia entrare in ospedale e decisi di voltarmi. Davanti a me c’era Damon che scrutava la mia espressione. Scossi la testa, presi la tazza tra le mani e a piccoli sorsi, iniziai a bere il caffè.

Al funerale, ci furono tantissime persone, anche amici, venuti da molte altre città. Alcuni di  loro parlarono, io e mio fratello no. Usciti dalla chiesa, fummo assaliti dalle solite domande: “come stai?” “C’è la farete ad andare avanti?” E poi alcuni commenti che le donne del paese facevano sui “due ragazzi orfani”: “Oh, poveri loro”, “Come faranno?”, “Ho sentito che si divideranno, perché al fratello gli hanno offerto un lavoro part-time in Canada”. Ecco! Quell’ultimo momento, mi fece ricordare di quando, poche ore prima, mio fratello mi aveva annunciato il suo trasferimento in Canada. Sarebbe andato in un college lì, pagato “gentilmente” dalla chiesa e dagli amici della nostra famiglia; e la sera, avrebbe lavorato in uno dei bar più prestigiosi della zona. Io, invece, avevo deciso di abbandonare definitivamente Mystic Falls e grazie ad un piccolo risparmio, ero riuscita ad acquistare una casa ad Atlantic City. Mentre le spese scolastiche le avrebbe pagate il sindaco della mia, ormai, ex-cittadina.
Pochi giunsero al cimitero e dopo una preghiera che non riuscii neanche ad ascoltare, seppellirono i miei genitori, vicini, così come erano sempre stati: nella gioia, nel dolore, in salute e in malattia, finché morte non li avrebbe separati. No! La morte li avrebbe uniti, ancora di più.
Poggiai due rose sulle loro tombe e cominciai ad avviarmi verso casa. Mi fratello mi raggiunse e mi strinse a se. Insieme ci avviammo, in quella che sarebbe stata la nostra nuova vita.”

-Avrai anche tu, una famiglia come quella, Elena.-
Alzai lo sguardo dalla tazza e vidi Damon fissare lo stesso punto dove prima avevo visto quella famiglia.
Guardai il caffè che era rimasto sul fondo.
-Non penso…- Bevvi l’ultimo sorso e posai la tazza.
-Perché? Puoi averla, se lo vuoi.- Insistette Damon.
-No!- Quasi urlai. –Non potrò mai essere felice come quella donna, perché sto avendo un bambino da una persona che nemmeno amo, che sia tu o lui. Faccio un lavoro di merda, che permetterà di sicuro la morte di mio figlio e… - Presi un secondo per poter respirare. –E non ho nessuno! Sono sola, siamo soli. Damon… - Chiusi gli occhi per reprimere le lacrime. –Ho paura.- Li riaprii e solo allora mi accorsi che la mano di Damon era stretta alla mia e il suo viso era incredibilmente vicino al mio.
-Hai me. Ti ho promesso che ti avrei aiutato e lo farò. Non importa se il bambino sarà di quello stronzo di Tyler, o il mio o di qualsiasi altro sconosciuto. Se tu vorrai, io mi prenderò cura di te e di lui. Credimi, non sono mai stato più sincero.- I suoi occhi erano fissi nei miei.
-Perché lo fai? Perché vuoi aiutarmi se neanche un mese prima, mi hai portato a letto per vendicarti di quell’idiota?- Già. Questa è la domanda che avrei voluto sempre fare e alla quale, volevo una risposta.
Mi guardò.
-Non lo so.- Mi rispose con voce bassa ma decisa.
Stavo per risponderlo quando una voce fece voltare entrambi.
-Ehi, Salvatore!-
-Saltzman!- Damon si alzò dalla sedia e andò ad abbracciare il suo amico.
Alaric mi salutò con un cenno della mano prima di cominciare a parlare con Damon.

Atlantic City.
Anno nuovo, vita nuova.
Erano passati sette mesi dal mio trasferimento e avevo stravolto completamente la mia vita. Dopo aver provato ogni genere di rimedio, dai tagli alle totali sbronze, avevo deciso di tentare con qualcosa di più forte che mi facesse dimenticare completamente chi sono: la droga.
Era un effetto stupendo e quasi immediato, non sentivo assolutamente nulla.
Stavo meglio ma sapevo che era assolutamente sbagliato. Dovevo smetterla prima di diventarne dipendente e fu in quella notte che finii. La notte in cui tutto cambiò Se solo avessi preso una di quelle pasticche…
Non avrei sentito nulla e tutto il dolore, non sarebbe tornato, così all’improvviso, unito alla volta in cui mi fu rubata anche quel briciolo di gioventù che mi era rimasta…”

Alaric e Damon continuarono a parlare per un’ora intera e io mi stavo decisamente annoiando a seguire i loro discorsi.
Stavo per andarmene quando la mano di Damon serrò il mio  polso. Alzai lo sguardo verso di lui e vidi che aveva un espressione perplessa.
-Vado via, torno da Care e da Klaus. Ci vediamo dopo. Ciao Rick!-
Alaric mi salutò con un cenno della mano e Damon dopo avermi fissata a lungo, mi lasciò andare.
Tornai dai due ragazzi e vidi Caroline sulle ginocchia di Klaus che parlava e ogni tanto gli dava piccoli baci sulle labbra, mentre il biondo sorrideva e le accarezzava i capelli.
Appena si accorsero della mia presenza, si staccarono imbarazzati.
-Scusate.- Sorrisi imbarazzata anche io. –Non volevo disturbarvi.-
-Fa nulla.- Risposero entrambi all’unisono.
Calò il silenzio fra di noi, che si ruppe poco dopo dalle risate di Damon ed Alaric che stavano tornando nel reparto.
-Allora, novità?- Domandò il moro lievemente preoccupato.
Scossi la testa e sospirai.
-Penso che sarà l’attesa più lunga della mia vita…- Dissi a voce piuttosto bassa.
Damon venne a sedersi vicino a me, mentre Alaric restò in piedi a fissare il muro.

Un ora…
Due ore…
Tre ore…
L’orologio ticchettava e ormai si erano fatte le otto. Nessuno di noi aveva mangiato, a parte qualche biscotto, ma quello non poteva di certo definirsi pranzo o cena.
Guardai un ultima volta l’orologio e presi una decisione.
-Ragazzi, voi andate pure, resterò io qui ad aspettare.-
I quattro si voltarono contemporaneamente verso di me.
Il primo a parlare fu Damon.
-Io resto qui, nessuno mi sposterà da questa sedia a costo di bere una bottiglia di bourbon tutta la notte, a posto del cibo.- Affermò convinto.
-Si, perché è questo che ti farebbe piacere, vero?- Lo rispose Caroline sarcasticamente.
Scoppiammo tutti in una risata generale.
-Davvero, Care, tornate a casa, almeno tu, Klaus e Rick.-
Dopo svariati “no”, alla fine i tre si avviarono a casa, con la promessa di venire più tardi, se non fossimo ancora tornati.  
Passarono altre quattro ore e ancora nessuna notizia.
Rimanemmo solo io e Damon nello stretto corridoio del reparto di ginecologia. 
-Forse sarebbe meglio tornare domani a prendere i risultati, che ne dici?- Cominciò il moro.
Non mi voltai.
-Neanche tra un milione di anni. Da qui, non mi muovo, se prima non mi dicono chi è il padre del mio bambino. Se vuoi andare, va pure.- Parlai con un tone di voce piuttosto freddo e controllato.
Damon si accorse subito di questo mio improvviso cambiamento di umore.
-Che ti prende?- Domandò anche lui col mio stesso tono.
-Che mi prende? Mi prende che sono stufa di tutta questa situazione, mi prende che ti domando perché mi vuoi aiutare e te ne esci con un “Non lo so”, mi prende che sono terribilmente stanca!- Alzai di qualche grado la mia voce.
-Elena, non ti credere di essere l’unica ad essere confusa! Anche io lo sono ed è per questo che ti ho detto che non lo so perché ti sto aiutando!-
-Damon io non so più chi sono! Diamine… - Scossi la testa e deglutii. –Due anni prima ero una persona, una ragazzina di sedici anni che pensava a come fare per diplomarsi con cento, per diventare una scrittrice; un anno fa, dopo la morte dei miei genitori ero una ragazzina sempre di sedici anni che era alla ricerca di un dolore superiore a quello che portava nel petto, che si è ritrovata un bastardo in mezzo alla strada che l’ha violentata e in seguito costretta a lavorare per lui; ed ora, sono una ragazza di diciassette anni che prova altro dolore, che aspetta un bambino che non vuole e che è confusa e che…- Le lacrime uscirono copiose dai miei occhi. –E che vuole solo essere amata. –Conclusi, cominciando a singhiozzare forte e portandomi il viso tra le mani. Avvertii le braccia di Damon sulle spalle e sulle ginocchia. Mi prese tra le sue braccia. Nascosi la testa nell’incavo del suo collo e continuai a piangere, mentre le sue mani mi accarezzavano i capelli, come solo mia madre sapeva fare.
-Elena Gilbert?- Chiamò all’improvviso una dottoressa.
Mi alzai lentamente, stringendo la mano di Damon e mi avvicinai alla dottoressa.
-Si? Sono io, mi dica.-
-Ecco, questa è la risposta del test di paternità che ha fatto qualche ora fa. Ci scusiamo per averla fatta attendere a lungo. –
Sussurrai un grazie e ritornai al mio posto.
-Allora, apriamo?- Mi domandò Damon con un tono impaziente.

Stavo tornando a casa. Avevo deciso di non prendere nulla quel giorno, di provare a disintossicarmi e stava andando tutto bene, finché…
-Ehi piccola, sai che mi piaci davvero tanto? Ti hanno mai detto che saresti perfetta per molti lavori?-
Mi girai all’improvviso e vidi un uomo che stava a pochi passi da me.
-Ehm, no… Devo andare.- Il cuore cominciò a battere forte e alcune gocce di sudore imperlarono il mio viso. Nella mia testa cominciò a formarsi una parola, a carattere cubitali: Allarme.
Aumentai il passo, decisa a correre se sarebbe stato necessario. La sfortuna delle ore tre del mattino? Che per strada non c’è assolutamente un’anima.
-Piccola, dove stai andando? Tranquilla, voglio solo offrirti un lavoro.- Seguiva il mio stesso passo.
-Non sono interessata!- Le gambe stavano diventato gelatina. La presenza costante di quell’uomo mi stava incutendo paura. Perché non se ne andava?
Cominciai a correre ma la mia corsa durò solo qualche metro. Sentii delle mani serrarsi sui miei fianchi e sbattermi contro al muro.
Volevo urlare, ma la paura mi aveva fatto perdere completamente la voce. Il cuore batteva forte, era quasi sul punto di esplodere. Avvertii un vuoto allo stomaco e alcuni conati di vomito mi salirono alla gola. Brividi di freddo accarezzarono la mia schiena.
-Cerca solo di stare tranquilla e non urlare. Questo è solo l’inizio-
Le sue gelide mani iniziarono ad accarezzarmi i fianchi, una di queste si infilò sotto la mia camicia e le dita iniziarono a salire sulla pancia per poi fermarsi sul mio seno.
La sua bocca fu sul mio collo dove iniziò a baciare e mordere mentre con entrambe le mani mi strappo la camicetta.
Io ero immobile, non avevo la forza di urlare, né di fare qualunque altra cosa. Ero sconvolta, persa ed avevo terribilmente paura. Forse aveva ragione, era solo l’inizio.”

Guardai la busta e iniziai a girarla tra le mie esili mani.
Presi un bel respiro e cominciai a strappare l’apertura.

Con un semplice gesto sganciò il reggiseno e continuò a torturare i miei seni, baciandoli, mordendoli e leccandoli. Le sue dita intanto arrivarono al bottone dei miei jeans che slacciò, abbassando la lampo. Infilò la sua mano nei miei slip e gemiti di dolore uscirono dalle mie labbra che lui baciò per zittirmi. Alla fine, mi tolse i jeans e gli slip lasciandomi completamente nuda. Si sganciò i jeans e si abbassò i boxer. Non osai guardare.
-Tranquilla, vedrai che andrà tutto bene. Ti ho spiegato, questo è solamente l’inizio. Ti ci abituerai. Fidati.-
Deglutii”

Con le mani tremanti aprii il foglio. Damon si accostò di più a me, stringendomi un fianco con la sua mano.

Avvolse le mie gambe alla sua vita ed entrò in me, senza alcuna delicatezza, soltanto con furia, divertimento e tremenda voglia. Urlai forte, mentre lacrime caddero dai miei occhi. Singhiozzai. Spinse fino in fondo, come se nulla fosse, come se io già avessi fatto una cosa del genere. Ma invece no. Quell’uomo, quel perfetto estraneo, mi stava privando della mia verginità, il giorno del mio diciassettesimo compleanno.”

Cominciai a leggere ad alta voce.
I battiti del mio cuore aumentarono a dismisura.
-Al 99%, il bambino è compatibile con… -Chiusi gli occhi e poi li riaprii per pronunciare quel nome che avrebbe risposto alle mie domande e che mi avrebbe sconvolto la vita. –Tyler Lockwood.-
 



Angolino Autrice: 
Hey, 
Un po' in ritardo ma sono tornata con questo capitolo. Eh già gente. Il padre del bambino è Tyler. Ora, so benissimo che qualcuno di voi vorrà ammazzarmi, quindi sono preparata a tutto, se volete il mio indirizzo, contattatemi pure ;)... Ma è così. Okay, sarà triste, sarà difficile, ma è proprio questo il senso della storia, questa ragazza che si trova ad affrontare un milione di difficoltà, ed ora gli capita anche questa. Il prossimo capitolo sarà dedicato, come questo, a lei... e a come si evolverà, ora, il rapporto con Damon, Tyler e tutti gli altri. Come ho menzionato nei flashback: Jeremy Gilbert esiste ed è il fratello di Elena. Probabilmente lo vedremo ;) 
Vi prego di non uccidermi.. C'è ancora tanto da leggere e la storia è Delena, così come è Klaroline... Vedremo un po' di sconvolgimento prima del lieto fine oppure di una fine a titolo "drastico"... Vi dico solo: Manca ancora molto. Certo non durerà cinquanta capitoli O.O Ma sui venti/venticinque... Sempre se la scuola non mi uccide ;)) 
Va bene, concludo qui questo mio angolino.. 
Vi auguro un felice anno nuovo. 
Buon 2013 <3 
Alla prossima,
Esperanza <3 


 

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Capitolo 11
*** Silence and anger ***


-Today My Life Begins-
-Silence and anger. Capitolo n.11-
 
Due giorni dopo.

Pov.Elena

Erano passati circa due giorni da quell’orribile notizia. La mia vita sembrava essersi fermata; bloccata in un labirinto nel quale continuavo a cercare una via d’uscita che non fosse fatta di altri ostacoli, perché ero sicura che se mi fossi ritrovata dinnanzi altri problemi, sarei crollata, definitivamente.

“Se quell’idiota avesse preso delle precauzioni, ora non mi troverei in questo stato”, pensai, mentre affondavo ancora di più la testa nel soffice cuscino. Mi trovavo di nuovo punto e d’accapo. Stavo pensando di ricominciare con la droga ma quel piccolo essere che cominciava a crescere dentro di me, diceva che era sbagliato, che gli avrei fatto solo del male e non volevo. Perché nonostante fosse frutto di uno stupro, era pur sempre una vita, un essere umano e meritava di vivere. Sentii qualcuno bussare alla porta, sapevo benissimo chi era: Damon. Da quando eravamo tornati dall’ospedale, cercava di entrare nella sua, ormai mia, stanza. Sapevo che era egoistico poiché lui mi aveva ospitato e “regalato” gentilmente la sua camera, ma non volevo parlare con nessuno.

-Elena, per favore, apri. Sono due giorni che non tocchi cibo e scommetto cento euro che non hai nemmeno chiuso occhio. Ti prego, voglio solo darti un piatto di zuppa. Caroline è preoccupata!- Urlò dall’altro lato della porta.
Portai  la coperta fin sopra alla testa e sospirai, reprimendo le ennesime lacrime. Silenzio.
-Dannazione, Elena!- Imprecò esasperato. Sentii un rimbombo e dei passi allontanarsi velocemente.
Una lacrima solcò il mio viso.

Pov.Damon

Quella ragazzina mi stava esasperando. Non si decideva a mangiare nulla, nonostante fosse incinta. Le prime ventiquattro ore, avevo provato a capirla, ma ad un certo punto, pensavo che stesse davvero esagerando.

Ero rimasto sconvolto dalla notizia. Pensavo, anzi speravo, di essere io il padre. Non avrei dovuto risponderla con un “non lo so”, quando mi aveva chiesto perché la stessi aiutando. Avrei dovuto dirgli la verità, avrei dovuto dirgli che cominciavo a tenerci a lei. Ero stato così stupido!

Scesi le scale velocemente e vidi Caroline seduta davanti ad una tazza di tè. Mi avvicinai alla bionda e posai, con un gesto brusco, il piatto sulla tavola. Care sospirò e prese tra le sue mani la tazza, cominciando a berne il contenuto a piccoli sorsi. Deglutì e posò lo sguardo su di me.
-Non ha mangiato neanche oggi.- Non era una domanda, ma una constatazione.
Scossi la testa.
-Barbie, la tua amica è troppo sconvolta. Forse dovresti parlarci.-
-Ci ho provato. Non mi ha aperto, né mi ha risposto. Hai provato a scassinare la porta?- Domandò ironica.
Inarcai un sopracciglio.
-No e neanche voglio provarci. Mi sbatterebbe qualcosa in faccia e mi caccerebbe.- Sorrisi in modo tirato. Lei annuì e continuò a bere il tè.
-Klaus?- Domandai curioso.
-È uscito mezz’ora fa. Ha detto che “aveva da fare”.- Rispose vagamente e con un briciolo di irritazione.
-Problemi in paradiso?-
-Fottiti, Damon.-
Si alzò e se ne andò. Chissà perché se l’era presa tanto.

Pov.Caroline

Non sopportavo vedere la mia amica ridotta in quello stato. Avrei preferito passare, io,  tutto ciò che le stava accadendo.

Quando, quella sera, Damon, ci aveva dato la notizia, ero rimasta senza parole. Speravo con tutta me stessa che il padre del bambino non fosse quello stronzo e invece… Aveva messo incinta Elena, solo perché non aveva utilizzato precauzioni! Dovevamo prendere quella cazzo di pillola!

Gli ultimi due giorni erano stati agonizzanti.
Avevo provato a parlare con Elena, ma niente, era rinchiusa nella camera di Damon e da lì non voleva muoversi. Non aveva nemmeno toccato cibo. Era sconvolta e ciò mi fece ricordare i primi giorni in cui la conobbi…

“-Care, ho una bellissima sorpresa per te!- Pronunciò allegramente, quello che da meno di due mesi, era diventato il mio ex ragazzo.
Lo guardai perplessa e poi vidi dietro le sue spalle una giovane ragazza. Alta, magrissima, capelli lunghi castani e occhi color cioccolato spenti. La sua espressione era indecifrabile. Gli occhi erano leggermente arrossati ma non trasmettevano nulla al contrario delle sue gambe che non la smettevano di tremare. Indossava un paio di jeans e una camicetta sgualcita. Appena vidi sul suo collo e sul petto quei segni, capii.
Abbassai lo sguardo e chiusi le mani a pugno.
-Ti rendi conto di cosa hai fatto?!- Urlai infuriata. –Posso “accettare” il fatto che tu costringa me, ma una sconosciuta, una ragazzina qualunque, no! Quanti anni avrà, né Tyler?! Quanti?!- Alzai ancora di più la voce.
Ty sorrise e si volto verso la nuova ragazza.
-Quanti anni hai?- Domandò con finta dolcezza.
-Diciassette.- Rispose, tremante, la bruna; prima di alzare lo sguardo verso di lui. –Li compio oggi!- Terminò nervosamente.
Finalmente riuscii a capire lo stato d’animo della ragazza: paura e un immensa rabbia. Tyler non sembrò apprezzare il tono delle ultime parole perché alzò la mano e diede uno schiaffo sulla guancia della bruna.
-Non rivolgerti a me, così! Ora sono il tuo capo.-
La prese per un braccio e la buttò sul divano.
-Resta qui con Caroline, ti darà una mano ad ambientarti e ti spiegherà alcune cose!- Si accese una sigaretta e se ne uscì sbattendo la porta.
Mi avvicinai alla ragazza e le sfiorai una spalla. Si ritrasse impaurita.
-Come ti chiami?- Domandai, cercando di mostrarle un sorriso.
-Elena.- Mi rispose, cercando di trattenere le lacrime.
Mi morsi il labbro inferiore e l’abbracciai.
-Andrà tutto bene, Elena.”

Mi riscossi dai miei pensieri solo quando vidi la figura di Klaus entrare nella stanza. Camminava in un modo piuttosto strano. La gamba destra quasi tremava.

Corsi verso di lui e le sue braccia mi strinsero immediatamente. La maglietta era sgualcita e quel piccolo dettaglio fece nascere in me, ulteriori dubbi.
Mi irrigidii quando lui, delicatamente, iniziò ad accarezzarmi i capelli.
Notò che qualcosa non andava. Infatti, mi spostò di poco e mi guardo negli occhi.
-C’è qualcosa che non va?- Domandò preoccupato.
Preoccupato, lui? Che dovevo dire, io? Perché nella mia mente aleggiava un unico pensiero: tradimento. Ma non mi stava tradendo, vero? Klaus non lo avrebbe mai fatto. Mi amava.
-Nulla, mi chiedevo solo che fine avessi fatto. Non ti ho visto arrivare e ho pensato al peggio.- Mentii.
Scrutò attentamente i miei occhi, prima di abbracciarmi di nuovo.
-Scusami, avevo da fare, altrimenti ti avrei chiamato.-
Annuii mentre cominciai, lentamente, a togliergli la maglia. Il biondo mi aiutò prima di guardarmi in modo perplesso.
Tracciai con un dito il percorso dal suo collo fino alla cintura dei jeans, in modo provocante.
-Care…? Devi dirmi qualcosa?- Domandò, ancora sorpreso, dalla mia improvvisa decisione.
Lo zittì con un dito e senza dire nient’altro lo portai su per le scale, fino a giungere nella sua camera.
Lo distesi sul letto e mi poggiai a cavalcioni su di lui che intanto rideva.
-Perché ridi?!- Domandai ad un certo punto con un pizzico di nervosismo. Possibile che la cosa fosse divertente?
-Rido perché non ti ho mai visto così, ehm, tenace.- Tornò serio e in un secondo ribaltò le posizioni. –Seriamente, Caroline, c’è qualcosa che non va?-
Torturai per qualche secondo alcuni riccioli dei suoi capelli.
 Sbuffai.
-Volevo semplicemente sapere se tu provassi ancora qualcosa per me. Sei freddo in questi giorni e non so cosa ti stia accadendo. Okay, siamo tutti preoccupati per lo stato mentale di Elena, ma, non capisco perché questa cosa deb…- Non riuscii a concludere il discorso perché le sue soffici labbra toccarono le mie. Schiusi la bocca e insieme approfondimmo quel bacio, facendolo diventare una danza di passione e di amore.
Si staccò di qualche millimetro.
-Ti amo, Caroline.- Disse semplicemente prima di riprendere a baciarmi.
Strinsi i suoi capelli tra le mie dita, mentre sentivo le mani di lui posarsi sui miei fianchi e lentamente togliermi la camicia.
Scese con le sue labbra, sul mio collo, provocandomi intensi brividi lungo la schiena. I suoi tocchi, bruciavano la mia pelle, facendo crescere sempre di più quel desiderio.
Sganciò il reggiseno e iniziò a torturare i miei seni, baciandoli e mordicchiandoli. Io, con le mie dita accarezzai il suo petto e tolsi la cintura, slacciai i jeans e con il suo aiuto, li tolsi. Lui fece lo stesso con i miei.
Ribaltammo, nuovamente, le posizioni.
-Klaus, io mi fido di te, ma se c’è qualcosa che ti preoccupa, dimmelo, puoi fidarti di me.-
Lui annuì ma non parlò, si limitò a togliermi gli slip mentre io gli tolsi i boxer.
Fui di nuovo sotto.
Cominciò a baciarmi l’interno coscia, fino ad arrivare ad arrivare alla mia intimità.
Le sue labbra sul mio corpo mi provocarono altri brividi. Gemetti ma non mi fece venire. Prese il preservativo e allargandomi delicatamente le gambe, entrò in me.
Spinse sempre di più, mentre mugolii uscivano dalle mie labbra. Mi zittì con un bacio e continuò. La nostra danza durò poco. Il piacere ci coinvolse ed entrambi, venimmo.
Strinsi le spalle di Klaus che intanto si era accoccolato con la testa nell’incavo del mio collo.
-Ti amo, anche io, Klaus.-
Lo sentii sorridere e serenamente ci addormentammo.

Pov.Elena

Mi scoprii leggermente notando che era appena tramontato il sole. Il cielo si stava tingendo di un leggero blu notte e le prime stelle iniziavano a brillare. Volevo provare ad alzarmi, dovevo farcela.
Mi sedetti al centro del letto e lasciai uscire i piedi dalle lenzuola. Un brivido di freddo percorse il mio corpo. Mi alzai e tremante raggiunsi il bagno, il cui accesso, era nella camera. Aprii la porta e accesi la luce. Perlustrai l’immenso bagno e appena vidi la vasca, aprii il rubinetto e iniziai a riempirla.
Cominciai a svestirmi, lentamente, davanti allo specchio. Osservai attentamente il mio viso. Occhi rossi e segnati dalle occhiaie, guance rosse, viso pallido. Sembrava avessi la febbre. I capelli erano sconvolti. Tolsi i pantaloni e la t-shirt, rimanendo solo in reggiseno e slip. Posai, istintivamente, una mano sulla pancia ancora piatta.

“Perdonami, se non ti amo come dovrei” sussurrai, mentre lacrime bagnavano le mie guance. “Sarò uno schifo di madre e tu non meriti questo”.

Appena vidi che la vasca era ormai piena, chiusi il rubinetto e mi immersi nell’acqua bollente. Le mie mani gelide al contatto con quel calore ebbero un fremito.
Presi il bagnoschiuma e con molta lentezza iniziai a strofinare la spugna sulla mia pelle. Sulle mie braccia c’erano ancora i segni sbiaditi di quegli errori combinati solo un anno prima. Anche se si schiariscono, le ferite non possono essere mai eliminate.

“Chissà se Damon ha una lametta…” pensai.

No! Non dovevo farlo. Non dovevo neanche sfiorare quel pensiero. Ricadere di nuovo in quello stato, non sarebbe servito a nulla. Avrei dovuto affrontare la situazione diversamente, con maturità. Ma come potevo, solo per un momento, utilizzare l’intelligenza quando il dolore mi stava completamente divorando?

Immersi anche la testa nell’acqua e ricominciai a pensare.
Cosa avrei detto a scuola? Sarei stata costretta a rinunciare al mio futuro; anche se, da quando Tyler era entrato nella mia vita, il mio futuro era già segnato. Volevo diventare una scrittrice e invece avrei semplicemente riscaldato il letto a qualche ubriacone che di tanto in tanto passava in tangenziale.
Tyler era la persona che più mi preoccupava. Non sapeva ancora nulla, ed ero sicura: ci stava cercando.
Chiusi gli occhi beandomi di quella calma assoluta. Sott’acqua si stava d’incanto.
Cercai di ricordare l’ultima volta che ero stata a mare, assieme alla mia famiglia. Ma quel ricordo era ormai lontano, unito a tutti quelli che riguardavano la vecchia me.

Sentii delle mani prendermi la vita e con un semplice gesto riportarmi a galla. Tossii ripetutamente dato che l’acqua mi era entrata in bocca e la mia gola iniziava a bruciare.
-Ma sei pazza?!- Il tono piuttosto infuriato di Damon mi fece sobbalzare.
Alzai lo sguardo verso di lui che appena vide i miei occhi cambiò espressione: dalla rabbia passò alla più totale preoccupazione.
Senza dire nient’altro mi prese tra le sue braccia.
-Damon, sono nu…-
Non mi fece concludere il discorso, si limitò a prendere un asciugamano che avvolse intorno al mio corpo e sempre tenendomi in braccio, uscì dal bagno.

Cominciavo ad affezionarmi a quelle braccia che mi tenevano stretta, che mi cullavano leggermente, che sapevano di amore. Quell’amore che sempre mi era stato vietato e che mai avrei potuto avere, né avrei avuto la possibilità di darlo.

Damon era così: lunatico, a volte pazzo, spesso non sapeva cosa voleva, eppure, nonostante tutto, c’era sempre. Cadesse il mondo, lui mi avrebbe aiutato. Pur non provando sentimenti forti per me, cercava di infondermi quella voglia di vivere che dopo la morte dei miei genitori, avevo perso.

Delicatamente, mi poggiò sul letto e si distese accanto a me.
Eravamo lì. Entrambi. Vicini ma separati dal nostro silenzio.
I nostri petti si alzavano e si abbassavano in sincrono. I miei capelli bagnati ricadevano in maniera scomposta sulle lenzuola.
La sua mano sfiorò la mia, cercando un contatto. Intrecciai lentamente le mie dita alle sue, fino a stringere la sua mano in una presa ferrea.
Avevo paura.
Paura che anche lui se ne andasse. Mi davo della stupida per averlo cacciato nei giorni precedenti. Avevo bisogno di lui. E lui, era disposto ad aiutarmi.
Un singhiozzo uscì dalle mie labbra e una lacrima percorse solitaria la mia guancia bollente.
-Ti prego, Elena, parla.- Mi supplicò con un tono di voce molto basso.
Girai la testa verso di lui, continuando a stringere le sue dita.
Si voltò verso di me e la mia impulsività ebbe la vinta.
Mi buttai su di lui, piangendo a singhiozzi sul suo petto.

Poche ore prima.

Pov.Klaus

Odiavo tremendamente mentire a Caroline, ma dovevo farlo.
C’era una speranza di vedere Damon felice, ma sapevo benissimo che accettando avrei rovinato la felicità di Elena, anzi l’avrei distrutta.
Non potevo farlo.
Continuavo a ripetermelo mentre alle mie spalle, i cancelli del convento si chiudevano.
‘Verrò a prenderti più tardi, piccola…’

Pov.Elena

Damon continuava a cullarmi mentre nella stanza, l’assoluto silenzio era spezzato dai miei lievi singhiozzi. Non sapevo dire da quanto tempo eravamo in quella posizione, ma sapevo una cosa: non mi sarei staccata per nulla al mondo.
-Damon!-
Una voce disturbò il nostro sogno.
Ci alzammo entrambi di scatto e quel movimento così brusco, mi fece quasi sbattere per terra ma fortunatamente il moro mi prese per i fianchi impedendomi di cadere.  
-Barbie, si può sapere che succede?- Domandò Damon in modo seccato.
La bionda lo trucidò con uno sguardo.
-È importante, altrimenti non vi avrei disturbato. Scendete, subito.-
Ci guardammo perplessi e ancora ricoperta da un misero asciugamano e a piedi scalzi, cominciai a scendere le scale.

Entrammo tutti e tre nel salone e ciò che vedemmo era l’ultima cosa che ci aspettavamo.
Klaus stava seduto sul divano con una bambina di appena due anni. Gli occhi erano di un azzurro ghiaccio che mi ricordava quelli di Damon, così come i capelli corvini. La piccola stava giocando con Klaus che gli stava facendo il solletico.
Il biondo smise di giocare con la bambina e posò lo sguardo su di noi. La sua espressione passò dal divertita al preoccupata.
Prese in braccio quel piccolo essere e si avvicinò a Damon che intanto aveva un espressione sconvolta. Gli occhi erano lucidi e le mani tremavano appena.
-Damon, penso che tu ti ricorda di tua figlia, Celine.- Pronunciò semplicemente il biondo.
La piccola appena vide Damon accennò un sorriso e si buttò tra le sue braccia.
-Papà.-
Il silenzio cadde su di noi.
 
Pov.Klaus

"Avevo appuntamento con Tyler alle dieci, vicino al convento dove fino a qualche mese prima, alloggiava la figlia di Damon e Rose.
Parcheggiai l’auto e mi avvicinai al moro che intanto sorrideva sornione.
-Ehilà, Klaus. È una vita che non ci si vede, che fine avevi fatto? Come stanno Caroline ed Elena?- Disse allegramente.
Non risposi alla sua domanda. Continuavo a tenere lo sguardo duro. Che intendeva dire con “c’è una sorpresa per voi?” E perché mi aveva fatto venire al convento dove, un anno fa, c’era Celine?
-Arriviamo al dunque, Tyler! Che vuoi?!- Domandai duramente.
-Rilassati, amico. Volevo solo mostrarti una cosa.- Sorrise ed entrò nel convento.
Perplesso, lo seguii.
Salimmo due rampe di scale, in cui vidi molte suore parlare o pregare.
Alla fine, arrivammo davanti ad una porta. Tyler l’aprì. Rimasi sconvolto da ciò che stavo vedendo: una bambina, quella bambina, la figlia di Damon e Rose:  Celine!
Era viva e stava giocando con altri bambini. Era cambiata, ma nonostante ciò, riuscii a riconoscerla subito grazie a quei suoi profondi occhi color ghiaccio. Identici a quelli del padre. Sorrideva ed era felice. Nessun graffio rovinava il suo viso ed ero sicuro che non ne avesse da qualche altra parte.
Avanzai verso di lei che appena mi vide, mi guardò perplessa. Probabilmente non si ricordava di me.
Mi abbassai sulle ginocchia e le presi una mano.
-Ciao piccola, sono Klaus. Non ti ricordi di me? Sono l’amico di tuo padre. Sono quello che spesso ti veniva a trovare e ti portava tanti giochi-
La bimba inclinò la testolina e scosse la testa. Sorrisi e lei tornò a sedersi con gli altri bambini.
Mi alzai e mi voltai verso Tyler.
-Che significa? Non l’avevi uccisa? Non era morta?! Se non sbaglio, nel cimitero c’è anche la sua tomba!- Quasi urlai.
Una suora ci fece segno di abbassare la voce e Tyler, sempre sorridendo, mi fece segno di uscire.
Ritornammo nell’atrio e lo guardai nell’attesa di una sua risposta.
-È molto semplice, non l’ho uccisa, ne l’ho sfiorata. Ho semplicemente messo in atto una bella commedia, per vedere ancora Damon, soffrire. Dopo tutto quello che mi ha fatto… Si è preso la mia “ragazza” e l’ha messa anche incinta! Non doveva farlo.- Continuava a sorridere. Quell’inutile stronzo! Avrei voluto togliergli quel fottuto sorriso!
Chiusi gli occhi e con il braccio destro, gli diedi un pugno un po’ troppo forte. Il moro vacillò e perdendo l’equilibrio cadde a terra.
Mi fiondai immediatamente sopra di lui.
-Sei solo uno stronzo!-
Un altro pugno. Questa volta sull’altra guancia.
-Dovresti morire per tutto quello che hai fatto!-
Un pugno sulla mascella. Tyler cercò di spostarmi ma evidentemente non ci riuscì e frustrato iniziò a prendermi a calci. Risposi a quei suoi gesti, con altri pugni: sul braccio, sul naso e sulle labbra, dalle quali fuoriuscì anche del sangue.
-Ora basta!-
Ci voltammo entrambi verso la suora.
-Se volete litigare, fatelo da un’altra parte, non qui che è un luogo di preghiera!-
Ci guardammo per altri pochi secondi e alla fine, mi alzai.
Lui mi seguì quasi subito, pulendosi con la maglia, il sangue che gli colava dalle labbra.
-Ti ho portato qui per uno scambio!- Cominciò.
-Che scambio?!- Domandai, ancora pieno di adrenalina per lo scontro avvenuto.
-Se tu mi porti Elena, farò uscire dal convento la bambina e non vi disturberò “mai” più. Ma voglio quella ragazza!-
-Perché non facciamo che tu ti togli definitivamente da mezzo ed Elena resta con noi, così come la bambina? Direi che è migliore come scelta! Potresti andartene dalla città e magari non ti faremo neanche causa per tutto ciò che hai combinato in questi ultimi tre anni! Te lo concedo.- Risposi, ironizzando sulle ultime parole.
Il suo sorriso svanì presto.
-Facciamo che ti prendi la bambina per due giorni, la porti a casa, ne parli col tuo migliore amico e vedrai che lui lascerà andare Elena. Se non è così, tornerò e davanti ai vostri occhi, toglierò di mezzo la piccola. Che ne pensi, amico?-
-Penso che tu stai fuori con la testa e penso che non ti permetterò di fare nulla né alla bambina, né ad Elena, né a Caroline!- Stavo per picchiarlo, nuovamente, ma qualcosa mi trattenne. Mi voltai e vidi la suora vicino alla finestra che ci guardava, con in braccio la piccola Celine.
-Ti conviene accettare.- Non disse nient’altro, salì nella sua macchina e premendo l’acceleratore al massimo, partì, allontanandosi dal convento.” 




Angolino Autrice:
*Si nasconde sotto al letto insieme ai mostri del passato* Non so neanche con quale faccia posso presentarmi, qui, dopo un mese. Ma penso si sia capito il motivo del mio ritardo: blocco dello scrittore alias crisi da pagina bianca. Cavolo! Uno dei blocchi più lunghi che abbia mai avuto, era tremendo e vi giuro è stato un periodo orribile. Non riuscivo neanche a fare delle sintesi per la scuola. Direi che questo è il mio primo "lavoro" dopo questo blocco. 
Okay, ma passiamo ad altro. Sarà a causa di questo periodo, o forse della mia sicurezza, ma il capitolo non mi convince. L'ordine narrativo non è precisamente logico-cronologico. Le parti in corsivo sono "flashback" che poi non risalgono ad anni precedenti ma a poche ore prima. Eccetto il vero e proprio flashback durante il pov. Caroline. 
Capitolo un po' contorto, ma spero che a tutti sia arrivato il messaggio. Credo che la lunaticità sia stata la protagonista di questo cappy, perché se nel precedente, Damon non sa dirgli il motivo per cui la sta aiutando, qui lo sa: comincia a tenerci a lei, più di un'amica? Forse. Bisogna semplicemente vedere cosa accadrà. Elena è distrutta, pensa di ricominciare con l'autolesionismo o con la droga ma sono il bambino e la sua coscienza a bloccarla. Sa che ferirebbe il primo e poi, è cresciuta, e deve affrontare le cose con maturità. Caroline, beh, la ragazza è preoccupata per l'amica ma anche per il ragazzo che stranamente gli sta nascondendo qualcosa. Stendiamo un velo pietoso sulla scena di sesso... *si chiude nell'armadio* Non so se sono stata all'altezza o meno... Come vi ho già detto, non sono sicura di nulla. E infine, Klaus. Beh, Klaus è la parte fondamentale del capitolo. Ha mentito a Caroline ma nel prossimo capitolo gli spiegherà tutto. E vi spiegherò tutto. Tipo come Tyler ha fatto a contattarlo o perché vuole questo scambio (P.S: Tyler non e sottolineo non sa della gravidanza di Elena). Una cosa è certa: la figlia di Damon e Rose è ancora viva. Il nome che ho voluto dargli è Celine (amo questo nome *-*) e la scoperta che è viva, scombussolerà molto Damon, quando alla fine, dovrà fare una scelta. Il primo pov.Klaus è ambientato dopo il suo secondo pov. Spero che comunque si sia capito nel testo. 
Va bene, mi congedo, dato che quest'angolino, di "ino" non ha più nulla :') E Ringrazio tutti voi per il vostro supporto, per le vostre recensioni e per la vostra gentilezza, ma anche per i vostri consigli *-* Siete diventati parte della mia vita. Anzi, questo sito lo è diventato, in tutto e per tutto. Fa parte di me. 
Grazie, grazie e ancora grazie. Spero che qualcuno ci sia ancora :') e che, nonostante tutto, il capitolo vi piaccia. 
Un enormissimo abbraccio e tanti cioccolattini e baci (?) u.u 
Alla prossima,
Esperanza97


 

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Capitolo 12
*** Everything will be alright ***


-Today My Life Begins-
-Everything will be alright. Capitolo n.12-
 
La mattina dopo…

Pov.Elena

Aprii gli occhi mentre le luci dell’alba segnavano l’inizio di un nuovo giorno. La stanza era illuminata dalla fioca luce che penetrava dalle finestre. Il sole stava per sorgere e dovevo farlo anche io.
Avevo l’impressione che sarebbe stata una giornata davvero lunga. Dovevo prepararmi al meglio per poterla affrontare.
Scostai le coperte e mi alzai.
Il dolore alla testa non era passato, nonostante avessi preso un’aspirina. Probabilmente andare a dormire alle due, dopo aver passato ore a parlare con Klaus, non era stata la cosa migliore da fare nel mio stato.

Entrai nel bagno e accesi la luce che provocò non poco fastidio ai miei occhi. Tolsi ogni indumento lentamente prima di entrare nel box doccia e sentire il getto dell’acqua caldissima scorrere, con un ritmo abbastanza veloce, sul mio corpo. In quei quindici minuti passati sotto la doccia, non sentii assolutamente nulla, se non l’acqua che continuava a scendere facendomi sentire rilassata e solo per un pochissimo lasso di tempo, spensierata.

Quando uscii, dovetti fare i conti con lo specchio.
Odiavo la mia immagine. Il ricordo di essere svenuta tra le braccia di Damon, quella volta, in cui scoprii di essere incinta, si fece spazio nella mia mente. Lui era perfetto. Io ero il nulla. Vuota. Triste. Semplicemente piatta. E lo specchio, mi odiava: mostrava di nuovo la mia immagine, ma questa volta non c’era nessun essere stupendo e innaturale dietro di me. Ero sola. Lo sarei stata per sempre. C’erano tutti i segnali: la morte dei miei genitori, l’abbandono da parte di mio fratello, il non avere amici al di fuori di Caroline ed ora, anche Damon, mi stava lasciando.

Ma non potevo farci nulla. Non dovevo essere egoista. Aveva appena saputo che sua figlia era viva, non poteva di certo scegliere me, una ragazzina conosciuta per “caso” -anche se “caso” implica “sesso”- per sua figlia… Sangue del suo sangue.
Ero sempre stata altruista, andava al primo posto la felicità degli altri, non la mia. E sarebbe stato così, anche questa volta.
Presi un respiro profondo, mi avvolsi nell’accappatoio e uscii dal bagno. Scelsi un abbigliamento semplice: jeans, t-shirt e converse. Legai i capelli in una coda alta e facendomi coraggio scesi di sotto.

La casa era silenziosa, infatti, temetti di essermi alzata troppo presto. Ma mi dovetti ricredere quando sentii una risata provenire dalla cucina.
Entrai e vidi Klaus giocare con Celine. La piccola rideva a causa delle mani di Klaus che le solleticavano i fianchi.

Rimasi ferma sulla porta, indecisa se disturbarli o meno. Ma poi, il biondo, si accorse della mia presenza.
-Perché stai ferma lì? Entra.- Il tono era vagamente divertito.
Annuii e mi andai a sedere vicino a loro.
Klaus prese la bambina tra le braccia in un gesto un po’ impacciato. Ai suoi modi di fare, sorrisi.
Lui mi guardò e accennò un timido sorriso.
-Non ho mai avuto a che fare con dei bambini. Non so neanche come si tengono in braccio. Ho visto Celine quando era piccolissima e non l’ho mai sfiorata. Avevo un po’ di timore.- Confessò alla fine.
Annuii e mi concentrai sulla bambina. Era identica a Damon: i suoi grandi occhi color ghiaccio e quei pochi, ma stupendi ricci corvini che incorniciavano il suo paffuto visino rendevano quel piccolo essere simile all’uomo che appariva nei miei sogni.  
Mi guardò attentamente e poi si voltò verso Klaus.
-Mamma?
Sia io che Klaus ci irrigidimmo e ci guardammo per alcuni attimi, finché una voce fece separare i nostri sguardi.
-Tutto bene?-
Ci voltammo e vedemmo Damon fermo sulla porta. Si strofinava gli occhi con le mani, i capelli erano arruffati, le guance più colorate del solito e indossava solo il pantalone del pigiama. Sembrava più piccolo della sua età.
Io e il biondo annuimmo contemporaneamente e Damon avanzò verso di noi. Prese tra le braccia di Klaus la piccola e gli diede un leggero bacio sulla fronte. Continuando a tenerla in braccio, cominciò a prendere dal frigo del latte, lo versò in un bicchiere e lo diede alla bambina. Celine guardò il bicchiere in modo interrogativo. Lo osservò per pochi secondi e poi girò la faccia dall’altra parte.
Damon inarcò un sopracciglio e riprovò a dare il latte alla piccola, mentre io e Klaus non riuscivamo più a trattenerci dal ridere.
Celine ripeté lo stesso gesto di prima e incrociò le braccia.
Io e Klaus non riuscimmo più a contenerci, cominciammo a ridere e non la finimmo più, mentre Damon ci lanciava occhiate omicide.
-Se siete tanto bravi, fatelo voi!- Ci fulminò con uno sguardo e poi si rivolse alla piccola. –Perché non vuoi mangiare, Celine?- Domandò con finta dolcezza, ma sia io che Klaus ci accorgemmo che in realtà voleva solo urlare.
-Pappa no buona.- Sbuffò nuovamente e volle scendere dalle braccia di Damon. Il moro l’accontentò anche se non capiva il motivo.

Celine cominciò a correre nell’altra stanza, mentre io, Damon e Klaus dopo un attimo di silenzio, seguimmo la
bambina per tutto il primo piano dell’appartamento.
Alla fine Damon riuscì a prenderla e la portò sul divano mentre io e Klaus ci guardavamo accennando sorrisi.
-Forse dovresti riscaldarlo quel latte, non penso che a una bambina di due anni tu voglia dare del latte freddo. – Constatai.
Damon mi guardò e puntò un dito verso la cucina.
-Illuminaci.- Sorrise e si lasciò cadere anche lui sul divano, accanto alla bambina.
Lo guardai con aria di sfida e andai in cucina.

Presi il latte, lo versai in un pentolino e lo lasciai sul fuoco per tre/quattro minuti. Lo tolsi e lo misi nel biberon che Klaus aveva portato ieri, insieme alla borsa della bambina. Dentro vi trovai anche dei biscotti per l’infanzia, ne presi tre e li misi in un piattino. Portai il biberon e i biscotti da Damon che intanto mi guardava attentamente.
-Questo potrebbe andare, dopotutto neanche io ho mai avuto un bambino… finora…- Conclusi con voce più bassa, calando lo sguardo verso il mio ventre. Il solo pensiero che lì dentro, c’era un bambino, mi faceva ancora star male. Non l’odiavo, ma sapere che sarei diventata madre così giovane… mi terrorizzava.
Vidi due dita poggiarsi lievemente sul punto in cui tenevo fisso lo sguardo. Alzai la testa e vidi che appartenevano a Damon. Mi guardò con preoccupazione e con un po’ di pena. Chiusi gli occhi, evitando di crollare proprio in quel momento.
Quando li riaprii, mi allontanai impercettibilmente e posai sul tavolino i biscotti.
Diedi il biberon a Celine che mi guardò con gratitudine prima di afferrarlo e iniziare a bere.
Presi un biscotto dal piattino e glielo mostrai, lei lo prese e iniziò a mangiarlo con piccoli morsi.
Sorrisi a Damon che intanto mi guardava con aria compiaciuta.

Stavo per dirgli qualcosa ma una voce distrasse tutti.
-Possibile che mi perdo tutte le chiacchierate di gruppo?!- La nostra amica bionda stava scendendo dalle scale, avvolta in una vestaglia di raso color rosa.
Mi sorpasso velocemente per andare da Klaus. Si buttò con foga sulle sue labbra e cominciò a baciarlo molto appassionatamente. Damon mi guardò e tossì, mentre Celine aveva mollato il suo biscotto e guardava la scena interessata.
Mi poggiai una mano sulla fronte, esasperata e richiamai l’attenzione di Caroline.
-Ehm, Care… C’è una bambina qui, se te lo fossi dimenticato.-
La mia amica si staccò da Klaus, il quale stava ridendo per l’attacco così improvviso da parte della ragazza.
-Uh! Giusto!- Caroline si avvicinò a Celine che la guardava in modo strano. Probabilmente anche lei aveva capito che la mia amica era un po’ pazza.

Sorrisi e cercai di pensare ad altre cose, che non fossero bambini, ragazzi, baci e tutto ciò che riguardava il mio futuro.
-Damon… Dobbiamo parlare.- Dissi seria.
Il moro mi guardò, si alzò dal divano e mi fece cenno di seguirlo fuori. Annuii e andai fuori con lui.
Il vento era forte, ma nonostante tutto, il sole splendeva limpido nel cielo ricoperto solo da pochissime nuvole.
Damon camminava davanti a me ed io lo seguivo, nonostante non sapessi dove mi stesse portando.
“Non mi ero mai accorta che questa casa avesse un giardino così enorme…” pensai tra me e me, mentre continuavo a seguire i passi di Damon.
Ci fermammo accanto ad un albero, nel bel mezzo del giardino. Damon si sedette per terra e mi intimò ad accomodarmi accanto a lui. Seguii il suo consiglio e mi sedetti, anche io, sull’erba fresca.
Damon guardava dinnanzi a se e non proferiva nessuna parola. Sembrava pensieroso, ma soprattutto preoccupato.
Sospirai ed iniziai il discorso che mi ero preparata.
-Damon, so benissimo che Tyler ci ha dato due giorni di tempo, ma… io avrei pensato ad un modo per porre fine a tutto.- Non si voltò neanche, ma qualcosa mi disse, che stava ascoltando, perciò continuai.-Hai sofferto molto in questi ultimi tempi: prima Rose, poi Celine, il nostro arrivo… Diciamo che la tua vita è stata piuttosto incasinata negli ultimi giorni, ma, è tempo di smetterla. Io non voglio che Tyler uccida Celine, e so che non lo vuoi neanche tu, quindi…- Presi un bel respiro. Le mani erano sudate e tremavano così come le mie gambe. Stavo andando incontro alla morte, ma almeno, qualcun altro non avrebbe preso il mio posto.-Accetto lo scambio. Tu terrai Celine e io tornerò da Tyler. È l’unica scelta. Non permetterò che una bambina di soli due anni venga uccisa al mio posto. Lei ha una vita davanti…- Il mio cuore batteva all’impazzata.
Damon sorrise tristemente.
-Chissà perché, lo sapevo che mi avresti detto ciò.- Si girò verso di me e nei suoi occhi vidi un leggero luccichio.
I battiti divennero più veloci e uno strano senso di nausea e tristezza si propagò nel mio stomaco. Le lacrime minacciarono di uscire, ma cercai di contenermi.
-Sai bene che è la cosa giusta da fare.- Gli dissi lentamente.
Ritornò a guardare davanti a se.
-Non è la cosa giusta, è la più semplice. Tyler vincerà, prenderà te, ucciderà il tuo bambino e continuerà a sfruttarti fino ad ucciderti. Poi, tornerà qui, ci minaccerà nuovamente, questa volta per Caroline. Noi come codardi accetteremo, farà le medesime cose che ha fatto a te ed infine dopo aver creato anche la tomba della bionda, ritornerà, ucciderà Celine e io e Klaus saremo costretti a fuggire per il resto della nostra vita, a meno che il mio amico non si suicidi prima, data la morte della sua ragazza!- Finì leggermente irritato.

Il nodo in gola si fece sempre più opprimente, così come la sensazione allo stomaco. La verità faceva male. Si, perché lui aveva maledettamente ragione. Alla fine, sarebbe andata così, ma non c’era un’altra via d’uscita. La polizia non poteva fare nulla. Alaric aveva già perso sua moglie, non poteva perdere anche la sua bambina. Normalmente esistevano diversi tipi di piani: piano A; nel caso non funzionasse, esisteva quello B e se la sfortuna persisteva c’era quello C, o magari quello D. Ma, nella nostra situazione, non vedevo la minima traccia di queste lettere. O accettavi o morivi.
Le lacrime uscirono dai miei occhi. Lacrime di frustrazione, di dolore… di paura.

Sentii la mano di Damon poggiarsi sulla mia. Intrecciai le nostre dita e dopo un singhiozzo mi buttai su di lui.
Era un gesto avventato, sbagliato. Ma l’unica persona di cui avevo bisogno era lui.
Ero sempre stata una persona forte. Avevo lottato, avevo resistito fino alla fine ed ero uscita da tutte le più terribili situazioni, ma non da questa.
-Perdonami...- Sussurrai lentamente, mentre le mie lacrime bagnavano la sua maglia.
Mi prese il mento con due dita e costrinse i miei occhi ad incontrare i suoi, e in un attimo tutto cambiò. Non c’era più l’albero, né l’erba. Solo noi.
Non seppi il motivo, ma, d’un tratto avvertì una specie di attrazione tra di noi; una scossa, che coinvolse entrambi. I suoi occhi si spostarono sulle mie labbra. Con un dito tracciò un percorso intorno alla mia bocca, finendolo nell’angolo destro, dove con le sue morbide labbra vi depose un bacio.
Il mio cuore iniziò a battere sempre più forte. Le mani iniziarono a sudare e mille farfalle svolazzavano nel mio stomaco.
Si ritrasse di pochi centimetri e poi, posò le sue labbra sulle mie, in un casto bacio. Quando cercò di approfondire il bacio mi scansai. Non perché non lo volessi, ma… Era sbagliato! Lo sapevamo entrambi.
-No.- Sussurrai tristemente. Qualcosa nel mio cuore si frantumò e con le poche forze che mi rimasero, corsi via da lui e dalle sue meravigliose labbra che solo per un attimo, avevano toccato le mie, realizzando il mio più grande desiderio.

Poche ore più tardi.

Pov.Damon

Ero rimasto seduto su quel prato per circa altre due ore, dopo che lei se n’era andata, lasciandomi solo, in balia dei miei pensieri.

Non riuscivo ancora a credere che c’eravamo baciati.

Era stato così puro, così vero… Un bacio d’amore. Ma non era quello che provavamo l’uno nei confronti dell’altro. Lo sapevo. Ma dopo che le mie labbra avevano incontrato le sue e dopo che quel suo esile corpo era stato stretto dalle mie braccia, non ne ero così sicuro.

Tornai dentro, continuando a chiedermi cosa c’era tra me Elena. Attrazione? Probabile, dopotutto eravamo andati a letto insieme quando eravamo ancora due perfetti sconosciuti. Io ero attratto da lei. Insomma, chi non lo era? Elena era perfetta, stupenda. Un angelo combattivo e forte, pieno di energia; ma, negli ultimi tempi, quell’energia stava svanendo lentamente, così come la sua voglia di vivere. Non potevo permetterlo. Non avrei perso anche lei. Avrei fatto di tutto per fermare Tyler, anche se avessi dovuto ucciderlo con le mie stesse mani. Avrei avuto la mia vendetta per quello che aveva fatto a Rose e avrei salvato Elena. Dovevo solo chiedere aiuto ad una persona di mia conoscenza…

Pov.Elena

Raggruppai quei pochi vestiti che avevo con me nella valigia.
Non pensai nemmeno a piegarli, tanto non sarebbe servito. Non avrei avuto un armadio nel quale posarli, né una mensola sulla quale mettere tutti i miei libri o i cd preferiti. Solo una tomba, con sopra inciso il mio nome: “Elena Gilbert, la ragazza che si è arresa”.
Scossi la testa a quel pensiero. Presi la valigia e cominciai a scendere lentamente le scale.

Quando arrivai al primo piano, due piccole manine si serrarono sulla mia gamba destra. Abbassai lo sguardo e vidi Celine che mi stringeva forte la gamba. La piccola, impaurita, fissava la cucina.
Preoccupata, abbandonai i miei bagagli alla fine delle scale e presi in braccio Celine.
-Ehi, piccola, che succede?- Domandai dolcemente.
La bambina distolse lo sguardo dalla cucina e lo posò su di me.
-Mostro!- Gli occhi erano bagnati dalle lacrime che cercava di non versare.
Chi era questo mostro?
Preoccupata, ma allo stesso tempo incuriosita, tenendo la bambina tra le mie braccia, mi avviai verso la cucina.

Vidi le spalle della mia amica bionda e quelle di Klaus. Entrambi erano allerta e si stringevano la mano.
Una voragine si aprì nel mio stomaco e il cuore accelerò i battiti. C’era qualcosa che non andava.
Entrai nella stanza e superando i miei amici lo vidi… Tyler!
Stava seduto su una sedia della cucina, in una mano aveva un bicchiere ricolmo di alcool e nell’altra aveva una pistola.
Alla visione di quell’ultimo oggetto, feci poggiare la testa di Celine sulla mia spalla. Non doveva di certo vedere quell’arma.
La bambina tremava dalla paura, quindi, conosceva sicuramente Tyler.
-Piccola, andrà tutto bene… tranquilla.- La mia voce non fu molto sicura, ma la bambina, stranamente, si fidò delle mie parole e si strinse ancora di più al mio collo.
-Dove hai imparato a fare la mamma?- Domandò, Tyler, ironicamente.
Inghiottii la saliva e ignorai la sua domanda.
Iniziò ad innervosirsi, pur non facendolo notare con i fatti.
Klaus aveva due occhi ardenti che avrebbero potuto bruciare un essere umano nel raggio di pochi centimetri. I muscoli erano ben visibili da sotto la sua t-shirt grigio chiaro e la mano che non stringeva quella della mia amica, era stretta in un pugno.
Caroline guardava Tyler con disprezzo, ma allo stesso tempo era preoccupata per l’incolumità del suo ragazzo.
Mi accorsi solo in quel momento che mancava una persona all’appello: dove diamine era, Damon?!
-Sono qui per sapere la scelta che avete preso.- Tyler andò dritto al punto.
-Ci hai dato due giorni di tempo. Non sono ancora passati. Dacci altre ventiquattro ore.- Rispose Klaus con tutta la calma possibile.
Tyler posò il suo sguardo su di me che stavo cercando di calmare la bambina, cullandola tra le mie braccia.
Si girò, nuovamente, su Klaus e sorrise al biondo.
-Ci ho ripensato. Voglio una vostra risposta, ora. Altrimenti uccido entrambe.- Terminò pacatamente.
Sobbalzai e sgranai gli occhi dal terrore.
-Devi mantenere il tuo patto, Tyler!- Cominciò ad adirarsi, Klaus.
-Lo manterrò, ma voglio sapere la vostra scelta, ora. Sono stanco di aspettare. Due giorni sono davvero troppi. Allora?-
Tyler caricò la pistola e cominciò ad osservarne ogni dettaglio.
Presi un bel respiro e parlai.
-Accettiamo lo scambio. Verrò con te, ma tu risparmierai la bambina.- Abbassai lo sguardo sconfitta e strinsi ancora di più Celine.
Sul viso di Tyler spuntò un sorriso.
-Bene.- Si alzò, posò la pistola nella tasca posteriore dei suoi jeans e si avvicinò a me. –Prepara i bagagli, si torna a casa.-

Klaus si avventò subito contro Tyler.
-Avevi detto che avresti aspettato domani! Non puoi prendere decisioni avventate e invadere casa nostra!-
All’improvviso il biondo diede un pugno a Tyler sulla mascella. Quest’ultimo perse l’equilibrio e cadde a terra. Stava per dargli un altro calcio ma Tyler lo fermò ed estrasse la pistola.

Non avemmo neanche il tempo di fare qualcosa…
…Tyler sparò a Klaus.

Un’ora prima..

-Amico! Forse ho trovato una soluzione… Se Tyler dovesse arrivare prima, prendi tempo. Tornerò domani sera!-
-Sarà fatto.-
 


Angolino Autrice: 
Non so nemmeno da dove iniziare... 
Innanzitutto: Buona Pasqua <3 
Cominciamo con la parte più difficile: in questo giorno, credo che il 99,9% di voi, voglia uccidermi per la parte finale.. ç__ç Non ho mica detto dove è stato sparato.. quindi mantenete la calma.. xD 
Perdonate il mio immenso ritardo, sono stata parecchio occupata negli ultimi tempi.. e solo ora ho avuto modo di completare il capitolo, revisionarlo e pubblicarlo.. Spero che qualcuno di voi, seguirà ancora la mia storia.
Forse Elena potrà sembrarvi "noiosa" come personaggio, ma non è così.. Ha solo paura.. dei suoi sentimenti, dell'arrivo di suo figlio e di tutto quello che sta succedendo nella sua vita..
C'è stato un bacio.. non passionale xD Ma quando i giochi stavano iniziando, Elena si è tirata indietro...
Lei ha scelto di tornare da Tyler, per salvare la bambina... è altruista e ha voluto mettere al primo posto la felicità di qualcun'altro, non la sua.. 
Beh, questo è tutto.. ^^ 
Dunque, ho una comunicazione da farvi: Cerco una beta.. Chiunque voglia offrirsi, me lo faccia sapere ;)) Sia tramite recensione, sia per messaggio privato.. ^^ 
Spero di trovarvi ancora <3
Grazie per tutto **
Alla prossima,
Un bacio..
Esperanza97


 

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Capitolo 13
*** He would never be born ***


-Today My Life Begins-
-He would never be born. Capitolo n.13-
Pov.Elena

La pallottola colpì l’addome di Klaus, il quale cadde a terra, dolorante, un attimo dopo.
Caroline si inginocchiò accanto al suo ragazzo che stringeva la maglia, lì, dove era stato colpito. La mano cominciò ad imbrattarsi di sangue e il colorito del suo viso divenne immediatamente pallido.
Tyler guardava la scena soddisfatto mentre i miei occhi si rifiutavano di credere a ciò che era appena successo. Era straziante.
L’odio che provavo prima nei confronti di Tyler non era nulla in confronto a questo.
Avrei voluto farlo fuori con le mie mani. Ma sapevo che in questa guerra lui avrebbe sempre avuto la meglio. Era stato così fin dall’inizio.

Non potevo fare nient’altro se non piangere. Piangere dalla frustrazione, dalla paura, dalla preoccupazione e dall’odio.
-Elena...- La mia amica singhiozzava mentre Klaus faticava a tenere gli occhi aperti.
Mi asciugai le lacrime e strinsi ancora di più Celine che aveva gli occhi lucidi e che, nonostante stesse succedendo di tutto, non aveva né urlato né pianto.

Guardai Tyler con disprezzo e mi inginocchiai anche io vicino a Caroline, per poi estrarre il cellulare dalla tasca posteriore dei miei pantaloni e comporre il numero dell’ambulanza.
 -Provate a chiamare la polizia e giuro che vi ammazzo!- Tyler si avvicinò, puntando la pistola su di noi.
Respirai a fondo prima di rispondere.
-Non stiamo chiamando la polizia, ma un'ambulanza!- Lo fulminai con lo sguardo.
-Ma lasciatelo morire quest’idiota. Tornate da me...- Accarezzò la spalla di Caroline in modo possessivo. –Tu, un tempo, mi amavi. Perché non ritorniamo al passato? Se non sbaglio ci divertivamo un mondo.- La mano di Tyler scese lungo la gola della mia amica che con tutta la calma possibile si alzò e gli diede uno schiaffo.
-Tu ti divertivi andando a puttane, mentre la notte io stavo in ansia per te, credendo che ti fosse successo qualcosa. Quindi, no, non posso dimenticare ciò che è successo e ritornare al passato. Mi hai costretto a diventare la tua prostituta personale, hai ucciso mio padre, hai sparato al mio ragazzo ed ora dovrei dire “Okay, Tyler torniamo insieme, sei l’amore della mia vita”? Spero che tu stia scherzando!- Finì la frase urlando, poi si rivolse a me. –Elena, chiama aiuto!
Annuii e premetti il tasto verde per attivare la chiamata.

Mezz’ora dopo…
 
Due infermieri stavano trasferendo Klaus dal pavimento ad una barella mentre un’infermiera abbastanza giovane stava scrivendo qualcosa su un foglio. 

Ogni tanto ci lanciava qualche occhiata. Probabilmente ci aveva preso per due pazze. La mia amica aveva i capelli sconvolti, il trucco sbavato e gli occhi gonfi. Mentre io avevo una bambina tra le braccia e uno sguardo omicida nei confronti di Tyler che se ne stava fermo, appoggiato al muro. 

-Dunque.- L’infermiera alzò lo sguardo dal foglio e ci fissò.- Esattamente, quanto tempo fa è svenuto?- 
Io e Caroline ci guardammo. 
-Quindici minuti.- 
-Dieci minuti.- 
Rispondemmo contemporaneamente. 
La donna alzò un sopracciglio, squadrandoci. 
Caroline sospirò. –Dieci minuti.- 
-Bene. Chi gli ha sparato? Ed esattamente da quanto tempo ha la pallottola nell’addome?- Continuò a scrivere in attesa di una nostra risposta. 
Fui io a rispondere per prima. 
-Non lo sappiamo.- Caroline mi guardò. –Quando è tornato si lamentava di dolori all’addome, aveva la giacca quindi non siamo riusciti a vedere il sangue. Solo quando ha cominciato a contorcersi per terra, abbiamo visto la ferita. Probabilmente sarà stato qualcuno per strada, ma finché non si riprende non possiamo sapere di più.- 

La mia amica spalancò la bocca ed io gli indirizzai con gli occhi Tyler che stava accarezzando lentamente il tessuto della sua giacca dove all’interno si nascondeva la pistola. 

L’infermiera guardò prima me, poi Caroline ed infine Tyler. 
-C’era qualcuno con lui in macchina?- Domandò. 
-No.- Rispose la bionda. 
-Va bene. Dunque quanto tempo fa è tornato a casa?- 
-Circa mezz’ora fa.- Risposi io, guardando la mia amica. 
L’infermiera annuì. 
-C’è qualcuno che viene con noi?- 
Caroline mi guardò preoccupata. Gli mimai con le labbra un “vai”. Ci fissammo negli occhi per qualche secondo e poi lei, sicura, si avviò con l’infermiera. 
-Vengo io.- 

Li accompagnai alla porta e guardai l’ambulanza andare via. Qualche minuto dopo rientrai dentro e vidi Tyler seduto sul divano nel salone con in mano una bottiglia di bourbon, come se fosse a casa sua.
Lo guardai di traverso e salii le scale, ma una voce mi fece fermare.

-Dove credi di andare, adesso?-
Tyler si era avvicinato alle scale.
-Vado a cambiarmi, vesto Celine e raggiungo Caroline all’ospedale!- Guardai la piccola che si stava appisolando sulla mia spalla.
-Tu tornerai con me ad Atlantic City. Ora!- Era leggermente furioso. Per quale assurdo motivo, poi? Non avevano mica sparato lui!
-No!-, scandii bene questa semplice parolina ed a passi più svelti mi chiusi nella camera di Damon.

-Elena, non giochiamo a quest’assurdo gioco! Sono venuto qui per avere una risposta, tu mi hai detto che avresti accettato lo scambio ed ora pretendi di scappare così? Non costringermi a buttare giù la porta o a chiamare i pompieri. Apri. Subito.-, sibilò con aria minacciosa.

Sapevo che non dovevo fuggire. Almeno, non dopo aver accettato lo scambio. Non potevo permettere che Celine venisse ferita come era successo a Klaus o addirittura uccisa. Sarei dovuta andare con lui. Ma… Era come se ogni singola cellula del mio corpo mi urlasse di scappare, perché in quella battaglia avrei sicuramente perso. Mi avrebbe ucciso, moralmente e fisicamente. Non ero pronta a morire.
Poche ore fa lo ero, pensai.
 Lasciai perdere i miei pensieri e mi concentrai sulla fuga.

Poggiai Celine sul letto e buttai in una borsa tutti i suoi vestiti. Dove sarei fuggita? Non lo sapevo, ma almeno avrei scampato la morte.
 
-Apri la porta, Elena, e vieni con me!- Tyler iniziò a colpire con dei calci la porta.
Rabbrividii e il cuore cominciò a battere sempre più forte.

Una fitta al ventre mi colpì in pieno e un gemito strozzato uscì dalle mie labbra.
Non capivo perché la gravidanza mi stesse portando tutti questi problemi, forse era lo stress, o forse, inconsciamente, rifiutavo così tanto questo bambino che il destino stava facendo di tutto per portarmelo via.
Mi accasciai a terra, stremata. Poggiai una mano sul ventre e tentai di regolarizzare il mio respiro.

Urlai nello stesso istante in cui Tyler aprì la porta e mi trovò in quelle condizioni.
-Che succede?- Il viso era contratto dalla rabbia e le mani del moro erano chiuse a pugno.
Respiravo in modo affannato e non mi accorsi che la mia mano era ancora sulla pancia.
Tyler ci mise poco a fare due più due.
-Sei incinta?!-, ringhiò.
Non avevo la forza né di parlare né di rispondere. Dal mio silenzio lui capì la risposta.

Tentai di prendere il telefono dalla tasca dei miei jeans, ma prima che riuscissi a tirarlo fuori, Tyler mi afferrò il polso in modo rude.
Il telefono cadde a terra.
Con un semplice gesto il mio aguzzino mi alzò e mi sbatté contro al muro.

-Di chi è?!-
Mi faceva paura. Non volevo rispondere. Il dolore continuava ad uccidermi.
-Rispondi, puttana!- Le sue urla fecero svegliare Celine. La bambina iniziò a piangere.
-Tuo! È tutta colpa tua!- Risposi con le poche forze che mi rimanevano.

Mi lasciò andare e caddi di nuovo a terra, ai suoi piedi.
-Bene, troveremo il modo di eliminare anche questo problema. Ma lo faremo una volta tornati a casa.- Raggiunse il letto e si avvicinò a Celine. La guardò negli occhi e per un attimo pensai che volesse ucciderla.
Si limitò a guardarla in modo schifato prima di ritornare davanti a me.

Il mio viso era segnato dalle lacrime e dal terribile dolore che stavo provando.
-Zittiscila e prendi la tua roba. Dì ciao a Damon, a questa casa, a Celine e al tuo bambino, perché molto probabilmente non avrai il tempo di salutarlo quando saremo tornati ad Atlantic City.- Uscì dalla stanza lasciandomi sola.

Il mio destino era segnato, così come quello del mio piccolo. Per salvarci a vicenda, saremo morti entrambi.

Pov.Damon

Era passata quasi un ora da quando avevo lasciato Ocean City* per dirigermi a Philadelphia**. Conoscevo alcuni “amici” in quel luogo che avrebbero potuto aiutarmi a togliere di mezzo Tyler.
Mi auguravo solamente che il moro non ci facesse una sorpresa arrivando prima. Altrimenti i miei piani sarebbero andati in fumo.
Mentre la radio trasmetteva varie canzoni, il mio cellulare squillò.
Lo presi dal cruscotto dell’auto e lessi il nome: Caroline.
Che voleva la bionda?

Infilai gli auricolari nel cellulare e risposi, continuando a guidare.
-Barbie! Come va la relazione con Ken?- Scherzai.
-Damon..- Il tono di Caroline non era lo stesso del mio. Non vi era traccia di giocosità, ne di sarcasmo, né di ironia. Solo una tristezza e una preoccupazione infinita. Da come respirava, capii subito che aveva appena finito di piangere.
-Ehi, Caroline, stai bene?- Domandai in tono serio.
-No.- Fu quasi un sussurro. –Tyler, ci ha fatto visita.- A sentire quel nome mi irrigidii e mi fermai al lato della strada. Spensi la radio e ascoltai attentamente le sue parole. –Era venuto per sapere la decisione che avevamo preso: se accettare lo scambio o meno.-Care prese un respiro profondo, poi continuò. –Elena ha detto che avrebbe accettato ma poi… Tutto è cambiato. Non so per quale motivo, Klaus ha attaccato Tyler. Si sono picchiati finché Tyler non ha preso la pistola e…- Singhiozzò. –Ha sparato Klaus.-
Rimasi in silenzio per una manciata di secondi. Il tempo essenziale per digerire la notizia. Il mio amico aveva fatto davvero di tutto per tenerlo occupato, anche se questo, aveva significato farsi sparare.
-Caroline, come sta? Siete in ospedale?- Domandai, cercando di mantenere la voce ferma.
-Si, siamo in ospedale. È in sala operatoria al momento. Non so nulla. Ha resistito per un po’ di tempo, ma poi non c’è l’ha più fatta, è svenuto poco prima che arrivasse l’ambulanza.-
Annuii.
-Caroline, Elena è lì con te?- Chiesi preoccupato.-No. Doveva raggiungermi in ospedale ma non so che fine abbia fatto. Quando siamo andati via, Tyler era ancora là con lei.- L’ultima parte fu quasi un sussurro, ma sfortunatamente la compresi lo stesso.
Mi irrigidii nuovamente e strinsi il telefono.
-Chiamala. Scopri dov'è e dille di richiamarmi.- Dissi seriamente.
-L’ho chiamata cinque volte. Il telefono squilla a vuoto. Ho provato anche a casa tua, ma niente. Non risponde. Damon… ho paura che...- Non le diedi il tempo di finire la frase.
-No! Non è successo nulla. Chiama la polizia e chiedi di Alaric Saltzman. Fallo andare a casa mia e poi fammi chiamare da lui. Torno presto, tranquilla.-
-Okay. Damon...? Fa attenzione.- Era preoccupata. Incredibile; il suo fidanzato era in sala operatoria, la sua migliore amica era scomparsa e lei si preoccupava anche per me che mi trovavo a cinquanta chilometri di distanza da loro.
Sorrisi.
-Tranquilla. Fate attenzione voi!- Chiusi la chiamata e ripartii immediatamente, premendo forte il piede sull’acceleratore.

Pov. Caroline

In quel momento il mio cuore sembrava un enorme serbatoio di lacrime, lacrime che sfuggivano ai miei occhi di continuo.

Non mi ero mai sentita tanto sola. Elena era chissà dove, Klaus in sala operatoria, Damon dall’altra parte della città ed io mi sentivo vuota.

Ogni qualvolta che chiudevo gli occhi mi appariva sempre la stessa immagine: Klaus che cadeva a terra, dopo essere stato colpito.

L’attesa era snervante.

Mi trovavo nel corridoio adiacente alla sala operatoria, così avrei potuto avere subito notizie.
Passarono due ore prima che la situazione cambiasse. Il cielo divenne più scuro, segno che la notte stava lentamente calando sulla città.
Non appena sentii i passi del chirurgo rimbombare tra le pareti, mi affrettai ad andargli in contro.
-Dottore! Sono la fidanzata di Klaus Mikealson. La prego, mi dica come sta.-, lo implorai.
L'uomo mi guardò intenerito.
-Signorina, si calmi. Il suo ragazzo sta bene. Abbiamo estratto la pallottola, lo abbiamo fasciato e tra poco lo porteremo in camera. Per il momento dorme. Sono sicuro che si sveglierà domani mattina. Lei cerchi di riposare.-
 
Se ne andò, lasciandomi di nuovo sola.
Un sorriso spuntò sul mio viso e dopo molte ore mi concessi un respiro di puro sollievo.

Stava bene. Per il momento mi importava solo quello.

Ore dopo…

Pov.Damon

Avevo preso una stanza in un motel, perché si era fatto davvero tardi.
L'edificio distava dieci, forse quindici minuti dal centro di Philadelphia. Non c’era lusso, ma era confortevole e le stanze abitabili.
Stavo disteso sul letto. Non riuscivo a dormire. Dovevo avere delle risposte da Alaric.

Proprio in quel momento vidi il mio cellulare illuminarsi: Rick!

-Ehi! Trovato Elena?- Domandai preoccupato.
-Damon! No. Elena non è in casa, ma abbiamo trovato un’altra cosa…- Il tono del poliziotto mi preoccupò ancora di più.
-Che avete trovato?- Domandai apparentemente calmo.
-Una bambina. Ha i tuoi stessi occhi. Inoltre abbiamo trovato un cellulare che ho in seguito scoperto essere quello di Elena e una borsa con degli abiti per neonati.- Rispose incerto.
-Un momento? Hai detto una bambina?- “Celine”, pensai immediatamente. –Dov’è ora?-
-L’abbiamo portata in centrale ma continuava a piangere così l’ho portata a casa mia. C’è la babysitter che sta badando sia lei che Margaret. Comunque la cosa più strana è che accanto alla porta della camera, abbiamo trovato delle forbici. Probabilmente chiunque stava lì dentro aveva chiuso la porta a chiave, lasciandole nella toppa e chi l’ha aperta dall’esterno le ha facilmente girate con la punta delle forbici fino ad aprirla.***- Terminò.
-La bambina è mia figlia, Rick.- Dissi tutto d’un fiato, alzandomi dal letto e uscendo sul piccolo balcone della stanza.
-L’avevo quasi capito. Mi serviva solo la tua conferma. Comunque sta tranquillo. È al sicuro a casa mia. Tu hai trovato il modo per fermare Tyler?-

Bevvi un sorso di liquore che mi ero portato dietro durante il viaggio.

-Si. Forse so come farlo fuori. Ho solo bisogno della “compagnia” adatta a fermarlo. Dovrò giocare le sue stesse carte, con la sola differenza che io ho un asso nella manica. Tranquillo. Grazie per esserti preso cura di mia figlia.-
-Di nulla.- Rispose e riattaccò.

Non c’era più tempo, o forse non c’è n’era mai stato. Me l'ero presa troppo comoda ed ora mi rimanevano solo ventiquattro ore per sistemare tutto. Il mio migliore amico si trovava in ospedale, Caroline aveva subito troppo negli ultimi due anni ed Elena era incinta, tutto a causa sua. Meritava di morire.

Pov.Elena

Durante il tragitto ero stata in silenzio. Spaventata e preoccupata. Tyler voleva uccidere il mio bambino. Il suo bambino. Voleva toglierlo di mezzo senza che io potessi replicare. Non avevo alcun diritto. Dovevo solo sottomettermi alle sue scelte, ma questa era sicuramente la scelta più assurda che lui avesse mai preso.

Aveva ucciso in passato, certo. Ma non pensavo che sarebbe addirittura arrivato a sacrificare un esserino innocente, una piccola vita che doveva ancora vedere la luce…che non sarebbe mai venuta al mondo.

-Odio questo silenzio.- Mi guardò, scrutandomi con i suoi occhi scuri.

Poggiai la testa sul finestrino e puntai lo sguardo sulla strada. Rannicchiai le ginocchia al petto e strinsi forte la mia maglia.

-Puoi tenerti quell’essere dentro di te ancora per qualche ora, il tempo di tornare a casa, dormire e poi di andare all’ospedale. Sono stato fin troppo buono. Avrei potuto ucciderlo tranquillamente io.- Sorrise e continuò a guidare mentre la mia coscienza mi urlava di raccattare un'arma e di ammazzarlo, cosa che per paura, insicurezza o forse per il mio essere troppo buona, non avrei mai avuto il coraggio di fare.




 *Ocean City: Alors, credo che abbiate capito che le vicende di questi ultimi capitoli non siano avvenute ad Atlantic City. Ma, sono avvenute ad Ocean City. Una piccola cittadina, sempre adiacente al mare. La città è un comune del Maryland negli Stati Uniti e si trova a circa una mezz’ora da Atlantic City nel New Jersey (sempre Stati Uniti), città dei nostri protagonisti.

**Philadelphia: Città della Pennsylvania. Luogo in cui Damon si sta dirigendo, e, nel prossimo capitolo scopriremo chi sta cercando in quel luogo ;)

***Modo per aprire le porte principali delle case o di altri edifici, utilizzato soprattutto per furti, ma qui Ty lo utilizza per aprire la porta di una camera.



Angolino Autrice: 
Vi chiedo umilmente scusa per questo terribile ritardo. Avevo promesso che avrei aggiornato prima ma ho avuto un po' troppe cose da fare. La scuola sta terminando e ci sono gli ultimi compiti e le ultime interrogazioni. Proprio oggi ho avuto un interrogazione e fatto il compito di francese >.< Comunque: Perdonatemi. 
Un ringraziamento specialissimo va a Love Bites, mia nuova beta *-* Che mi ha aiutato tantissimo con questo capitolo. Grazie ancora :') 
Dunque: Tyler scopre del bambino e nonostante sappia che sia suo non se ne importa minimamente e decide che Elena dovrà abortire. 
Damon conosce un modo per fermare Tyler. Più che altro conosce una "persona" che nel prossimo capitolo scopriremo chi è. Sarà un bel colpo di scena xD 
Caroline è letteralmente preoccupata per tutti: Klaus, Damon ed Elena... Fortunatamente il ragazzo sta bene, quindi vi è un problema in meno.
I dottori vorranno di certo una spiegazione a ciò che è successo. 
Alaric, intanto ha trovato Celine e se l'è portata a casa mentre Elena sta tornando ad Atlantic City con Tyler. 
Spero che le spiegazioni che vi ho fornito a fine capitolo vi siano state d'aiuto, se non avete capito qualcosa non esitate a chiedere ;) 
Ringrazio tantissimo tutte voi per esserci, sempre. Per le belle parole e gli incoraggiamenti... Servono davvero **
Ringrazio le 53 persone che l'hanno aggiunta tra le preferite, le 18 tra le ricordate e le 136 tra le seguite. Ancora grazie a Love Bites e a tutte voi.. 
Spero di aggiornare presto e spero che il capitolo vi piaccia **
Alla prossima,
Un bacione,
Esperanza97



 

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Capitolo 14
*** The end of the games ***


-Today My Life Begins.-
-The end of the games. Capitolo n.14-
Pov.Damon

“Proseguire dritto per altri cinquecento metri”

La pioggia scendeva incessante dal cielo coperto di nuvole scure da circa una mezz’ora. Era l’inizio di un temporale e finché non sarei arrivato a Philadelphia non mi sarei fermato.

“Appena arrivati al bivio prendere l’uscita situata sulla destra”

Avevo installato il navigatore a causa della pioggia che non mi permetteva di leggere per bene i cartelli stradali. Speravo solo che quell’inutile aggeggio servisse a qualcosa una volta ogni tanto.
‘Per fortuna che il motel distava dieci minuti dal centro di Philadelphia’, pensai mentre controllavo per la decima volta il cellulare nell’attesa di una chiamata da parte di Elena.
Ero più che preoccupato. L’avevo lasciata sola, nelle mani di quell’idiota.

“Prendere l’uscita alla vostra destra”

Feci come detto dal navigatore e mi ritrovai su una strada a senso unico. La pioggia aumentò offuscando ancora di più i vetri della mia auto. Fermai la macchina in mezzo alla strada e, senza prendere neanche un ombrello, uscii fuori dall’abitacolo. Si susseguivano violenti tuoni e gelide folate di vento.
Avanzai di qualche passo e per fortuna o forse sfortuna, un lampo illuminò la strada. Vi erano alberi su entrambi lati e si intravedeva una casa a circa qualche chilometro di distanza.
Rientrai in macchina tutto bagnato e consultai nuovamente il navigatore. Il pallino verde indicava dove mi trovavo io e la strada colorata di giallo indicava il percorso che avrei dovuto fare. Dopo qualche tocco vidi dov’era situata la destinazione: mancavano circa tre chilometri e mezzo e poi sarei, finalmente, arrivato.

Partii nuovamente e seguii le indicazioni datemi dal GPS.

“Siete giunti a destinazione”

Fantastico, pensai quando vidi che davanti a me c’era un sentiero strettissimo da percorrere a piedi.
Uscii, nuovamente, dalla macchina, presi le chiavi e cominciai a camminare.

Pov.Caroline

Aprii gli occhi disturbata dal fascio di luce entrato nella stanza. Mi ero addormentata dopo aver ricevuto le ultime notizie dal dottore. Ero andata nella camera data a Klaus e mi ero appisolata sulla poltrona accanto al suo letto.
Mi alzai stiracchiandomi: quelle poltrone erano davvero scomode!
Attenta a non svegliarlo andai nel bagno, mi diedi una rinfrescata e ritornai nella stanza.
Presi una sedia e mi sedetti accanto a lui. Un monitor segnava il battito del suo cuore che sembrava normale. Due tubicini erano collegati nelle sue narici. La bocca era chiusa così come gli occhi. I capelli biondi erano spettinati e risaltavano sul cuscino bianco. Affondai le mie dita nei suoi capelli mentre con l’altra mano gli accarezzai il viso.

Vidi qualcuno girare la maniglia della porta e mi staccai subito.
Una giovane dottoressa entrò nella stanza e mi sorrise. Controllò il monitor e tocco la fronte  di Klaus. Segnò qualcosa su una cartella e poi la posò.
-Lei è la fidanzata?- Domandò dolcemente.
-Si. Il mio ragazzo sta bene?- Chiesi timorosa.
-È in condizioni stabili, appena si sveglierà sapremo qualcosa in più.- Sorrise e riprese la cartellina. –A più tardi.-

La salutai sorridendo e mi sedetti di nuovo accanto a Klaus. Scostai un po’ la coperta e vidi che aveva tutto l’addome fasciato. Lo stomaco si contorse nel vedere l’immagine della persona che amavo distesa su un letto in stato incosciente.
Inoltre, ero preoccupata per lo stato degli altri due miei amici e queste preoccupazioni mi rendevano terribilmente vulnerabile. Mi sentivo il nulla, sentivo che ero inutile. Tutti si erano dati da fare e continuavano a dimostrare quanto valessero: Klaus si era quasi sacrificato, Elena stava andando in contro alla morte e Damon era andato a cercare un aiuto più forte in un'altra città ed io, invece, mi ritrovavo ferma, senza sapere cosa fare. Ognuno di loro stava tentando di salvare l’altro, inclusa me. Ormai, eravamo uniti, dall’amicizia, dall’affetto e da qualche altro sentimento.

La verità era che io ero forte, ma non abbastanza per sostenere tutto questo. Lo ero stata quando mi ero ritrovata in un mondo completamente diverso, quando ero diventata la puttana del mio ex-ragazzo o quando mi mostravo indifferente camminando per strada nel buio della notte; ma erano solo maschere. Dietro a tutta quell’indifferenza, quella forza e quell’innaturale sicurezza si mostrava una ragazza fragile che stava crollando sotto il peso di tutti i suoi sentimenti e di tutte le sue paure. La realtà era questa: non potevo più fingere. Stavo morendo.

Portai una mano al petto e strinsi il tessuto leggero della maglia. Una lacrima scese sulla mia guancia andando a finire sul candido lenzuolo. Altre lacrime percorsero il mio viso mentre lentamente mi toglievo le scarpe, salivo sul letto e poggiavo la testa sul petto di Klaus, addormentandomi, nuovamente, grazie al battito del suo cuore.

Pov.Damon

Continuavo a camminare sotto l’imperterrita pioggia da circa cinque minuti. Ero terribilmente stanco, inoltre se non mi fosse venuto il raffreddore sarei stato davvero fortunato.

Proseguii per altri venti metri e arrivai dinnanzi ad un cancello. Gli alberi contornavano quella che sembrava una villa imponente e maestosa. Sicuramente con il sole e con una temperatura nella media era migliore ma con il temporale e i lampi sembrava una casa dell’orrore. 

Dovevo essere arrivato. Per forza. Era l’unica casa nel raggio di tre chilometri da dove avevo lasciato la mia macchina. Sperai con tutto il cuore che nessuno fosse passato di lì e l’avesse spostata o peggio, rubata.
Vidi una telecamera al di sopra del cancello e poi, quest’ultimo si aprì.
Percorsi un altro sentiero dove alla mia destra vi era un enorme fontana, mentre alla mia sinistra vi erano immense distese d’erba.

Arrivai davanti alla porta d’ingresso, dove una ragazza abbastanza giovane dai capelli castani mi attendeva.
La scrutai attentamente: alta, lunghi capelli mossi, occhi castani e un sorriso a trentadue denti.
Entrai, leggermente perplesso, nella maestosa villa.
-Il signorino scenderà a momenti, intanto vuole darmi la giacca? Posso portarle qualcosa?- La castana continuava ad inseguirmi e mi stava leggermente seccando.
-La giacca me la tengo e se vuoi fare qualcosa di buono portami del bourbon.- Risposi arrogantemente. Sembrava una bambolina telecomandata e queste cose non le sopportavo per niente. –Ah e dì al “signorino” che si muovesse perché non ho tutto il giorno.-
La mora abbassò lo sguardo e dispiaciuta se ne andò.
Probabilmente mi trovavo io in difetto essendomi presentato a casa loro alle otto e mezza del mattino, ma non avevo tempo da perdere.

Aspettai nell’ingresso e bevvi velocemente il bourbon portatomi dalla cameriera la quale dopo un attimo dopo se ne andò di corsa con il bicchiere.
Mi voltai verso la finestra e osservai l’ormai, interminabile, temporale che si era abbattuto sulla città.
La pioggia portava consiglio, aiuto, ispirazione per gli scrittori; a me trasmetteva solo preoccupazione. Dopo la morte di Rose e la “finta” morte di Celine, non pensavo di potermi preoccupare più per nessuna persona. Era finita. In tutti i sensi. Due delle persone che amavo non c’erano più, dovevo andare avanti… invece no. Ero stato sopraffatto dall’odio verso quell’essere di nome Tyler. Avevo scovato più informazioni per poterlo fermare una volta e per sempre e cercando, avevo incontrato Elena e da quel momento avevo capito di essere responsabile di un’altra vita, la sua. Ci tenevo a lei, forse come amico o magari qualcosa di più. Sarebbe stata un ottima madre per Celine. Quella madre che alla mia povera piccola gli era stata negata, quella madre che avrebbe dovuto insegnarle a camminare, quella madre che avrebbe dovuto giocare con lei, esserci per lei.

Lasciai che le immagini apparissero nella mia mente riportandomi a qualche anno prima. Ricordai il sorriso di Rose, capace di contagiarti anche nei momenti più bui. Ricordai la notizia della nascita di una bambina. Gli abbracci di quella giovane donna di cui mi ero innamorato. Gli occhi si inumidirono e una lacrima scese silenziosamente sulla mia guancia. Era troppo tempo che non piangevo, che non mi sfogavo. Ma non potevo diventare fragile adesso, non ora che Elena era in pericolo.

-Ehilà, Damon.- Riconobbi la voce. La sua. Sorrisi e mi voltai verso il giovane ragazzo che scendeva dalle scale.

Capelli scuri. Occhi castani. Abbastanza alto.
Jeremy Gilbert era l’esatta copia al maschile di Elena.

-Gilbert, come stai?- Mi avvicinai a Jeremy e gli strinsi una mano. Avevo conosciuto Jeremy poco dopo la morte dei suoi genitori. Era in Canada ed io ero in vacanza lì. Ci eravamo conosciuti sulla spiaggia: tra una chiacchierata e bottiglie di birra eravamo diventati amici. All’inizio mi parlava di sua sorella, Elena. Quando la conobbi riuscii a mettere insieme quei pochi pezzi che mancavano per completare il puzzle.

Avevo mantenuto i contatti con Jeremy anche quando ero tornato ad Atlantic City. Lui, intanto, si era di nuovo trasferito, questa volta a Philadelphia. Mi aveva parlato della sua famiglia, di suo zio, del lavoro che faceva ma mai gli avevo chiesto una mano. Orgoglio? Probabile. Sapevo solo che in questo momento lui era la mia ultima possibilità.
Jeremy mi aveva dato l’indirizzo della sua casa a Philadelphia, aveva detto “nel caso ne avessi bisogno” e beh, si, ne avevo bisogno. Per la prima volta, Damon Salvatore, chiedeva aiuto a qualcuno.

 -Abbastanza bene. Qual buon vento ti porta qui?- Scherzò e mi condusse all’interno del salone.
-Purtroppo nessuna buona notizia.- Lo guardai negli occhi. ‘Chissà se era a conoscenza della vita della sorella’, pensai. –Devo chiederti un favore.- Parlai in tono serio.
-Ehi, dimmi tutto. È successo qualcosa?- Domandò preoccupato.
-Avrei bisogno di parlare con tuo zio, è davvero importante.- Jeremy mi guardò in modo perplesso. Lui ed io eravamo gli unici a sapere, in quella casa, il lavoro dello zio: faceva parte di un’associazione segreta contro la mafia Americana.*
-In quale guaio ti sei cacciato ora?- Chiese sempre più preoccupato.
-Jer, purtroppo questa volta io c’entro in parte. Sto cercando di aiutare una persona. E quella persona, è tua sorella, Elena.- Vidi il volto del moro divenire pallido.
-Che… che intendi dire?- Iniziò a balbettare e si sedette sul divano con lo sguardo fisso nel vuoto.
-Ehi, non voglio farti preoccupare ma tua sorella purtroppo è entrata in contatto con uno dei più potenti mafiosi ad Atlantic City.- Mi avvicinai a lui inginocchiandomi sulle punte.
-Stai parlando di Lockwood, non è così?- I suoi occhi erano diventati umidi.
Annuii. –Jer, la questione è seria. Sono successe un po’ di cose che hanno portato Elena sempre più in un vortice nero dentro al quale non riesce a uscire da sola. Tyler le farà del male, o peggio la ucciderà.- Lo guardai tristemente. Sapevo cosa stava provando. Aveva vissuto l’esperienza più orribile della sua vita già con la morte dei suoi genitori ed ora, la sorella, stava per morire.
Vidi Jeremy versare una lacrima e poi asciugarsela velocemente.
-Vedrò cosa posso fare.- Stava per alzarsi ma lo fermai.
-Jer, non hai capito… La questione è molto più complicata delle altre. Ho bisogno di tuo zio ora, altrimenti non vedo nessuna chance di vittoria. Per favore, chiamalo.- Lo guardai negli occhi e lui guardò nei miei. Sostenemmo lo sguardo per qualche minuto.
-Vicki!- Quasi urlò.
La mora che prima mi seguiva entrò immediatamente nel salone.
-Signorino Gilbert le serve qualcosa?- Domandò gentilmente.
-Si, rintracciate mio zio e fatelo tornare immediatamente qui, ditegli che una questione urgente ma soprattutto fate il nome di Elena Gilbert.- Pronunciò seriamente.
La cameriera sbiancò nel sentire quel nome e si diresse a grandi passi fuori.
-Però, sembra leggermente sfigata.- Commentai in modo sarcastico.
-Si, sfigata ma carina… Posso offrirti qualcosa da bere?- Mi chiese sorridendo, lasciando un po’ da parte la preoccupazione che ora attanagliava il cuore di entrambi.

Pov.Elena

Aprii gli occhi lentamente per paura di ciò che mi sarei potuta ritrovare davanti a me appena sveglia. Fortunatamente non c’era nessuno. Mi concessi un secondo per respirare e strinsi ancora di più il cuscino.

Le mie gote erano bollenti così come la fronte. Il piumone bianco mi copriva fin sopra la bocca e tentava di proteggermi dal mondo esterno.
Sentii il traffico delle auto e mi resi conto che eravamo ritornati ad Atlantic City. Scostai di poco il piumone e vidi quella che era una stanza di un albergo.

‘Perché non siamo nel monolocale?’, mi chiesi, non capendo il motivo per cui ci trovassimo in un hotel.
Appena spostai un altro angolo di piumone sentii un freddo gelido invadere le mie ossa. Ero stata per tutta la notte sotto le coperte, era naturale che sentissi freddo. La temperatura esterna, inoltre, era sotto i cinque gradi.

Posai un piede per terra e mille brividi percorsero il mio corpo. Guardandomi vidi che indossavo solamente l’intimo, ma non avevo graffi o lividi, quindi quell’idiota non mi aveva toccata fortunatamente.

Mi alzai lentamente sentendo la testa girare ad ogni mio minimo movimento. Presi i vestiti che si trovavano sulla sedia e li indossai il più in fretta possibile.

L’arredamento della camera era molto carino. I colori dominanti erano il beige e il bianco. Un grande letto matrimoniale era sistemato al centro della stanza e vi erano poi due comodini in legno chiaro. Alla mia destra c’era una porta che conduceva al bagno e poi un piccolo corridoio nel quale vi era un armadio incastrato nel muro e la porta d’ingresso. Alla mia sinistra invece c’era un tavolino con due sedie, due poltrone, un vaso di fiori e una scrivania.

Aprii un cassetto della scrivania e trovai un foglio e un coltello da taschino, forse, l’ultimo oggetto mi sarebbe tornato utile. Lo presi e lo infilai nella tasca posteriore dei miei jeans. Mi affacciai alla finestra e vidi che mi trovavo circa al decimo piano dell’albergo. Come avrei fatto a scappare?
Tyler sarebbe arrivato a momenti, mi avrebbe portato in ospedale e mi avrebbe fatto abortire ma la verità era che non volevo. Non potevo uccidere questo bambino. Non c’entrava nulla con tutto questo, non era colpa sua e io non potevo fare una cosa del genere. Volevo che vivesse.

Ansiosa per il ritorno di Tyler escogitai una via di fuga. Le uscite erano due: la finestra o la porta. Con la porta avrei corso più rischi, poiché Tyler sarebbe potuto arrivare da un momento all’altro. La finestra era la soluzione più ovvia, l’unico problema era l’altezza. Mi affacciai e vidi che al lato destro della finestra c’era la scala antincendio che portava o all’enorme terrazzo dell’hotel o al piano terra.
Scavalcai la finestra, attenta a non guardare in basso, e mi aggrappai alla scala. Mi voltai verso l’interno della stanza e vidi che la porta si stava aprendo. Cazzo! 
-Dove diamine stai scappando?- Riuscii a sentire la voce di Tyler sempre più vicina. Si affacciò alla finestra e per un breve istante i nostri occhi si incontrarono prima che io cominciassi a scendere velocemente le scale.
Lo vidi di sfuggita scavalcare la finestra e iniziare a seguirmi.

Corsi più che potetti. Le gambe mosse dall’adrenalina quasi volavano, così anche il mio cuore che non la smetteva di battere.
Arrivai al piano terra e mi voltai sia a destra che a sinistra per decidere se entrare o meno nell’hotel. Lì avrei trovato aiuto, ne ero certa.
Stavo per entrare quando sentii due mani afferrarmi i fianchi e stringermi.
-Dove credevi di andare, né?- Tyler parlò a pochi centimetri dal mio orecchio.
Non sapevo cosa fare.
Con il piede destro calpestai il suo. Sobbalzò e si scansò di qualche millimetro e approfittandone di quella distanza cominciai di nuovo a correre.

Entrai nell’hotel e con un urlo richiamai l’attenzione su di me.
Una famiglia che stava facendo il check-in si voltò. Le addette alla reception smisero immediatamente di svolgere le cose che stavano facendo.
Due vecchiette che stavano parlando, sedute sul divano, si girarono di scatto.
Una delle addette mi  guardò sconvolta.
-Che succede, signorina?- Domandò preoccupata.
Non riuscii a risponderle perché uno sparo fece scattare tutti.
L’addetta che stava parlando con me, sbiancò e svenne. Sul petto si stava formando una chiazza rossa.
Tutte le persone presenti nella hall iniziarono ad urlare e a scappare. Sentii una delle vecchiette urlare: “Chiamate la polizia!”.
Peccato che non avrebbero potuto fare nulla.

Mi voltai con le lacrime che avevano iniziato a scendere sulle mie guance e vidi Tyler con la pistola tra le mani.
-Forza!- Urlai. L’adrenalina stava cominciando a scemare e tutto ciò che sentivo erano le mie gambe che diventavano gelatina, le mie mani che tremavano, il mio corpo scosso da brividi. –Uccidimi! È questo che volevi fare sin dal primo momento che mi hai conosciuto. Hai avuto mille occasioni per uccidermi e non l’hai fatto, volevi continuare a vedermi soffrire, volevi che pian piano mi uccidessi da sola, giusto per non portare nel petto il peso di un’altra vittima, ammesso che tu abbia un cuore!- Parlai in tono sprezzante. Ero stanca, le tempie pulsavano e non riuscivo più a stare in piedi. Avevo bisogno di riposo, volevo solo sdraiarmi e addormentarmi piangendo. Non c’è la facevo più, avevo resistito fino alla fine, avevo lottato per me, per questo bambino, per Caroline, per i miei genitori e per mio fratello. -Ora hai la possibilità, non c’è nessuno che possa salvarmi, quindi fallo. Premi quel cazzo di grilletto e uccidimi!- Le lacrime continuavano a percorrere il mio viso. Le mani erano serrate in un pugno. Rivolsi il mio ultimo pensiero a Damon, quel ragazzo che era stato accanto a me durante il periodo più orribile della mia vita, che mi aveva fatto ridere, che continuava a dirmi che non dovevo arrendermi, quel ragazzo che mi incoraggiava a svegliarmi al mattino, che mi aveva portato via dalla città per tenermi al sicuro, che mi aveva abbracciato, che mi aveva baciato… Quel ragazzo che in poco tempo era diventato parte di me e della mia vita: “Scusa, se ho smesso di lottare.”
 


*Mafia Americana: Dunque, su wikipedia mi sono informata del tipo di “mafia” che appunto gira negli Stati Uniti. Anche lì viene chiamata “Mafia” come in Sicilia. Oppure, può essere definita “Cosa nostra Americana” ed è appunto un organizzazione criminale di stampo mafioso italo-americana. Italo perché è nata come un’associazione di mafiosi siciliani emigrati negli Stati Uniti alla fine del XIX secolo.  È attiva soprattutto a New York, New Jersey, Philadelphia, New England, Detroit e Chicago. Fonte: Wikipedia




Angolino Autrice:
Ehilà,
non so davvero come scusarmi per questo enorme ritardo, davvero. Ma ho avuto alcuni problemi che mi hanno impedito di pubblicarlo prima. Spero che mi perdoniate ed apprezziate il capitolo. 
Comunque, veniamo al quattordicesimo capitolo di questa storia: l'aiuto che riceverà Damon è da parte dello zio John, okay, non so perché ho deciso proprio lui ma credo che nella serie, contro i vampiri, se l'è cavata abbastanza quindi mi son detta: potrebbe essere l'ideale per sconfiggere un mafioso. 
Spero che abbiate capito come Damon e Jeremy si sono conosciuti. Ho sempre apprezzato Jeremy, volevo che avesse un piccolo spazio anche in questa storia. 
E mentre Klaus è incosciente, Caroline ha una specie di "crisi" in cui si rende conto che non è forte come spesso mostrava, ma che, in questa situazione complicata, lei sta crollando. 
Elena sta andando in contro alla morte. Tyler sarà così "buono" da tenerla ancora in vita oppure la ucciderà? Intanto lei è distrutta psicologicamente. 
Ho da comunicarvi che ho riorganizzato un po' le idee nella mia mente e facendo un piccolo calcolo: il prossimo sarà l'ultimo capitolo ed infine ci sarà l'epilogo. Avrei dovuto avvisarvi qualche capitolo fa, ma solo in questo periodo sto trovando un po' di tempo per "ragionare". Non posso dirvi se ci sarà un Happy Ending o meno, vi dico solo che sarà un po' sconvolgente.
Un'altra notizia è che: dopo aver concluso questa storia e "All I Need", comincerò a lavorare su ben due storie che già avevo in mente ;) Credo che le pubblicherò verso settembre. 
Grazie ancora per il vostro supporto e per le belle recensioni! 
Al prossimo capitolo, 
Un bacione,
Esperanza97

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Capitolo 15
*** I will be. ***


Prima di leggere il capitolo voglio scusarmi con tutti voi, lettori e lettrici. Il mio ritardo è imperdonabile. Sette mesi senza aggiornare, ma oggi c'è l'ho fatta. I motivi per cui non ho aggiornato prima sono moltissimi, tra questi vi è anche una profonda insicurezza sul finale della storia, nonostante già sapessi dall'inizio come sarebbe dovuta andare. Spero che vi piaccia e che qualcuno di voi ci sia ancora. Vi prometto una cosa: per l'epilogo non vi farò aspettare altri sette mesi. 
Un grazie a coloro che sono rimasti e che leggeranno questo finale.
Buona lettura.
La vostra, Esperanza <3 



 
Alla mia migliore amica Claudia,
che mi ha dato la forza di andare avanti e di non mollare.
Un piccolo regalo, in anticipo, per il tuo compleanno.
 

-Today My Life Begins.-
-I Will Be. Capitolo n.15-
“‘Cause I will be, I will be
The one who’s there when your world’s asleep
And when you wake and If you break
I won’t be far, wherever you are”
 
Pov.Damon

L’auto quasi volava sull’asfalto mentre ci allontanavamo sempre di più da Philadelphia. Viaggiavo a circa centocinquanta chilometri orari con l’ansia che mi attanagliava lo stomaco, con accanto John che guardava la strada e Jeremy che si aggrappava disperatamente ad entrambi i sediolini pur di non essere sballottato da una parte all’altra.

Continuavo a guardare l’orologio. Ogni minuto che passava, i battiti del mio cuore acceleravano, eh già: Damon Salvatore aveva paura. Era una cosa talmente assurda da ammettere che mi fece ridere. Avevo affrontato situazioni ben peggiori eppure mi stavo facendo prendere dall’ansia quando tutto si stava per risolvere. Avevo una strana sensazione, sentivo che quella giornata non si sarebbe conclusa nel migliore dei modi.

Lasciai perdere i miei pensieri e proseguii sulla “Atlantic City Expy E*”, schiacciando il piede sull’acceleratore.

Pov.Elena

Tyler continuava a tenere la pistola tra le mani ma il suo sguardo era cambiato: sembrava lievemente scioccato. Forse non si aspettava questa mia resa ma ormai ero stanca di combattere.

Abbassò lentamente la pistola e mi guardò come se fossi pazza.

Le gambe non ressero più il mio peso e caddi senza forze dinnanzi a lui. Le fitte alla pancia si erano leggermente calmate.
Portai una mano al ventre mentre tentavo di regolarizzare il mio respiro.

La hall dell’hotel era avvolta in un silenzio tombale, si sentivano solo i miei respiri affrettati.

-Tu sei pazza!- Il tono sprezzante di Tyler ruppe quel silenzio. –Io proprio non riesco a capire, giuro! Ho fatto di tutto per te e per quell’altra puttana! Vi ho salvato dal vostro lurido mondo a cui eravate abituate, vi ho cresciute, vi ho insegnato a vivere e vi ho mostrato tutto ciò che di bello e brutto può offrire questo pianeta. Vi ho procurato un lavoro ben pagato e tu, ora, te ne esci con “Uccidimi”? Ma sei davvero fuori di testa?!- Il pazzo sembrava lui che, man mano che parlava, aumentava il tono della voce. –Se voi, piccole stronze, non vi immischiavate in cazzi che non erano vostri, a quest’ora sareste ancora vive e tu non dovresti portare in grembo quello stupido bambino!- Mi augurai che scherzasse: ma se era stato lui a mettermi incinta?! Continuò ignorando le mie occhiatacce. –Amavo Caroline, ma lei no, ha preferito Mikealson a me.-

A quel punto risposi. –Se tu l’amavi veramente, dopo che lei ti aveva lasciato non te la saresti presa come tua puttana personale, né l’avresti buttata in mezzo ad una strada! Non si fa del male alle persone che si amano. Tu l’hai uccisa, soprattutto psicologicamente ed hai già ucciso me; mi hai uccisa nel momento in cui mi hai presa, credendo di farmi un piacere! Ma il piacere in verità lo facevi a te stesso!- Sputati amaramente quelle parole così vere.

Mi fulminò con uno sguardo e si avvicinò. Mi prese rudemente per il colletto della maglia e mi fece alzare da terra.
-Devi. Stare. Zitta! Io vi ho salvato, mostra un po’ di gratitudine.- Mi ributtò per terra come se fossi un sacco di patate. La schiena andò a sbattere contro il freddo pavimento di marmo e sentii la testa pulsare nuovamente.

-Perché non vuoi capire? Tu non ci hai salvato, ci hai solamente dannato ed ora finisci il tuo compito perché altrimenti lo farò io. Sono stanca di vivere, se non l’avevi capito. Avrei preferito morire al posto dei miei genitori!- Ero distrutta. Non mi importava aver perso questa battaglia, volevo solo addormentarmi e non svegliarmi più.

Tyler continuò a fissarmi mentre il silenzio cadeva di nuovo in quella stanza diventata improvvisamente vuota.

Pov.Caroline

Mi risvegliai sentendo un tocco delicato tra i capelli. Aprii lentamente gli occhi e mi scontrai subito con due iridi chiare che mi guardavano attentamente.
-Klaus...- Bisbigliai. Lui mi sorrise e si abbassò sul mio viso lasciandomi un casto bacio sulle labbra.

Lo strinsi ancora di più a me e ricominciai a piangere.
-Amore, così mi bagni tutto…- Mi canzonò ridendo.
Sorrisi lievemente e cercai di calmarmi.
-Scusa. Oh, Klaus, ho avuto paura; pensavo che non ti avrei più rivisto.-
-Sono indistruttibile, dolcezza. Credo che tu lo sappia. Dove sono Damon ed Elena?-
A quella domanda mi irrigidii e sbiancai di colpo. Me ne ero completamente dimenticata, che fine avevano fatto? E se…
Guardai l’orologio. Quanto tempo era passato dall’ultima notizia di quei due? Troppo.

Klaus mi riscosse dai miei pensieri e mi guardò serio.
-Caroline..-
-Non lo so.- Gli risposi tremante.

Pov.Damon

-Che cosa?!- Per poco la macchina non andò a sbattere contro un palo. –Come potete esservi sbagliati? Diamine, dovremo fidarci di voi!- Stavo urlando come un pazzo da circa dieci minuti. Non potevo crederci! Ormai tutti mentivano.
-S…so…no… sono cose che capitano… raramente.- Il tono di voce si abbassò notevolmente. –okay, mai.- Rispose alla fine con tono sconfitto.
Scagliai un pungo contro il volante.
-Siete degli stupidi, imbecilli e ritardati! Nonché tremendamente fifoni!- Scossi la testa avvilito. Avevo capito tutto.
-Ci scusi, signor Salvatore.- Erano dispiaciuti, quei cretini! Certo, come no!
-Addio.- Staccai la chiamata e lanciai il cellulare al piccolo Gilbert.

-Damon… che è successo?- Chiese un Jeremy leggermente terrorizzato.

Non risposi. Rivolsi tutti i miei pensieri alla strada, al raggiungere Elena e a dirle la verità. Sentivo le lacrime pungermi gli occhi. Non riuscivo a crederci…

Pov.Caroline

Un vento fortissimo mi travolse mentre uscivo dall’ospedale tentando disperatamente di chiamare Elena. C’era sempre la segreteria. Che cosa stava succedendo?

Mi strinsi sempre di più il leggero cardigan e tentai di chiamare Damon. Ci avevo già provato prima, cinque o sei volte, ma il telefono squillava a vuoto.

Improvvisamente una Ferrari nera si fermò dinnanzi a me.
Una figura vestita di nero uscì dall’auto.
Damon!
Si avvicinò a me.
-Come facevi a sapere che ero ancora in ospedale?- Domandai, felice di aver rivisto il mio amico sano e salvo.
-Klaus. Mi ha mandato un messaggio, l’ha letto un mio amico. Non potevo rispondere al telefono, ho saputo una cosa importantissima e devo assolutamente parlare con Elena.- Rispose in tono serio.
-Damon, io ancora non sono riuscita a rintracciarla. Sembra essere scomparsa.- Quell’orribile pensiero non voleva abbandonare la mia mente.
Vidi i tratti di Damon indurirsi.
-Sali in macchina.- Era un ordine. Non dissi nulla e salii, non prima di aver dato un ultima occhiata alla finestra che dava nella stanza di Klaus. Sarei ritornata presto.

Appena entrata vidi accanto a me un ragazzo con gli occhi e i capelli scuri ma ciò che mi colpii di più furono i lineamenti: identici a quelli di Elena. Chi era quel ragazzo?
Mi guardò per due buoni minuti e poi decise di parlare.
-Io sono Jeremy, il fratello di Elena.- Mi ricordai che la mia amica mi aveva detto di avere un fratello.
Mi presentai anche io in modo molto educato. Sembrava un bel tipo, ma io avevo già Klaus e lo amavo, inoltre era più piccolo di me di qualche anno.

Vidi Damon parlare con un tizio fuori dall’auto e poi rientrare nel sedile davanti al mio mentre alla guida c’era un uomo che non avevo mai visto.
-Io sono John, lo zio di Elena.- Non riuscii a dire nemmeno una parola che partii con un rombo, facendo volare quel piccolo gioiello sull’asfalto.

Il cielo si stava coprendo di nuvole grigie mentre il vento faceva muovere le foglie delle palme situate sul lungomare. Era una di quelle giornate che capitavano raramente ad Atlantic City. Solitamente il cielo era sempre azzurro e la sera centinaia di stelle facevano compagnia ai turisti e alla gente del luogo nelle interminabili feste sulla spiaggia o nei locali.

Un “bip” di un cellulare mi riscosse dai miei pensieri e posai lo sguardo su Damon che continuava a premere tasti velocemente sul suo telefonino.  
-Mi spieghi chi stai chiamando o a chi stai mandando messaggi?-
-Non sono fatti che ti riguardano, Barbie.- Liquidò li la questione, in un modo leggermente distaccato.

C’era qualcosa di strano in lui, riuscivo a sentirlo. Il suo corpo era teso, la mascella serrata e gli occhi erano tremendamente lucidi, sembravano quasi trasparenti.
Che cosa era successo nelle ultime ore a Damon Salvatore?

Pov.Esterno

Poche ore prima…

Alaric correva senza sosta in quei corridoi che sembravano interminabili. Il verde chiaro delle pareti venne sostituito ben presto da un bianco perla. Vide un lettino e una figura minuscola dai capelli corvini distesa su di esso, collegata a centinaia di macchinari.
Corse subito vicino alla bambina. Il volto era pallido e gli occhi erano semichiusi. Non brillavano più come quelli di una bambina di due anni.
-Che… che… cosa è successo?- Domandò ad una dottoressa dai capelli biondi e un sorriso gentile, che iniettava nel braccio della piccola una medicina.
-Non si preoccupi, è solo un po’ di febbre. È normale per i bambini che hanno la sua età.- Rispose ella con un tono molto amichevole mentre accarezzava dolcemente i capelli della bambina. -È sua figlia?- Domandò.
-No, è la figlia di un mio amico. Si chiama Celine.- Rispose Alaric, mentre tentava di afferrare il cellulare dalla tasca invano. Tremava, aveva avuto paura per le sorti di quella piccolina che non era sua figlia. Per un attimo si era ricordato i giorni in cui, Margaret stette dieci giorni in ospedale a causa di una brutta influenza e di come non era potuto starle vicino per impegni lavorativi. Quello fu il suo primo litigio con la neomoglie Jenna.
Al ricordo della moglie, gli occhi cominciarono a pizzicargli e iniziò a contare le piccole scimmie che decoravano il pigiamino della bambina. Poi si ricordò di una cosa.
Uscì dalla camera, promettendo a Celine che sarebbe tornato subito. Salì al quarto piano: reparto di ginecologia, e fermò la prima infermiera che vide.
-Mi scusi, dovrei ritirare delle analisi a nome “Elena Gilbert”.- C’era qualcosa che non lo convinceva in tutta quella storia. Possibile mai che un “esperto” come Tyler avesse messo incinta la ragazza?
-Sono state già ritirate.- Rispose un’infermiera leggermente grassottella.
-Questo lo so. È un controllo necessario.- Tirò fuori dalla tasca dei jeans il suo distintivo.
L’infermiera sbiancò e arretrò di qualche passo. Le mani leggermente portate all’insù.
-Vado a prenderle.- Corse leggermente impacciata in un’altra stanza e Alaric la seguì osservandola attentamente.
Aprì un cassetto dalle dimensioni enormi e cominciò a scavare tra le cartelle. Ne estrasse una col nome di Elena segnato su un adesivo bianco. La aprì e porse una copia delle analisi ad Alaric.
La guardò attentamente: il giorno, il risultato e l’ora. Fu quella che lo destabilizzò per qualche secondo.
Ricordò di aver passato tanto tempo ad aspettare in quei stretti corridoi i risultati con Elena, Damon, Klaus e Caroline e già quel giorno mille dubbi avevano assalito la sua mente. Ma erano ritornati troppo presto.
Era passato troppo tempo da quando Elena aveva fatto il test a quando aveva ricevuto i risultati e si ricordò di non aver visto passare neanche un medico mentre aspettava. C’era sotto qualcosa. Se lo sentiva.
Non voleva lanciare minacce o false accuse ma era necessario.
-Senta, forse non ci siamo capiti o forse lei non ha capito chi sono io. Voglio i risultati. I veri.- Pronunciò in tono autoritario.
Gli bastò vedere la faccia dell’infermiera, il suo deglutire e la fronte leggermente imperlata di sudore per capire che aveva avuto sempre ragione.
“Here with you, don’t be scared,
You can lose yourself”

Pov.Elena

Silenzio:
Era diventato troppo.
Mi opprimeva e mi schiacciava.
Ansia:
Mi attanagliava lo stomaco.
Paura:
La vita o la morte?
Cuore:
Batteva in un ritmo mai immaginato prima.
Amore:
Quell’amore che avevo capito di provare, sin dal primo istante per Damon Salvatore. Un amore che però ci stava distruggendo. Da quando ci eravamo conosciuti, pochi erano stati i momenti sereni. Eravamo, entrambi, ancora sommersi dal nostro passato che continuava ad influire sul presente, impedendoci di vivere il futuro.

Vidi l’uomo che aveva distrutto il mio passato e presente ancora in un muto silenzio ma poi qualcosa lo fece risvegliare.

Un rombo molto potente di una macchina ben conosciuta da me. Paura e ansia si fusero in un unico sentimento innominabile. L’amore porto il mio cuore a battere ancora di più per la consapevolezza che per l’ennesima volta lui mi stava venendo a salvare. Ma fu il silenzio quello che si fece sentire in tutto il mio corpo, quel silenzio dettato dal vento sempre più forte e dal mio cuore che se prima batteva in modo immaginabile, ora cominciava ad ammutolirsi e a tutto ciò si unì il sesto senso, quella specie di presentimento che mi diceva che questa volta non tutti sarebbero rimasti vivi e il mio pensiero era: o tutti, o nessuno o solo uno.  

Pov.Damon

‘È troppo tardi’, pensai. Quando sentii l’inquietante silenzio all’interno di quel piccolo hotel. Eravamo riusciti a rintracciare Elena tramite alcuni dispositivi installati sul suo cellulare.

Entrai di corsa nella hall, ignorando le urla di John che diceva di portarmi una delle sue pistole. Non sarebbe servito. Se Elena avesse avuto un solo graffio sul corpo, avrei preso a pugni quell’energumeno di Tyler.

La scena che mi ritrovai davanti mi immobilizzò all’istante.
Una delle addette era buttata mollemente sul bancone della reception, gli occhi erano ancora aperti, sul petto vi era una chiazza rossa di dimensioni notevoli. A contornare la ragazza vi erano due donne che avrebbero potuto sembrare delle statue se non mi fossi accorto del loro lieve tremolio. Elena giaceva quasi al centro della hall, a terra e mi guardava piangendo. Altre persone che erano immobili, erano sobbalzate non appena ero entrato e Tyler mi guardava con un espressione furiosa e aveva una pistola, di non so quale calibro, tra le mani.

Deglutii e rimpiansi di non aver ascoltato i consigli di John qualche secondo prima. Il piano era semplice: non mi dovevo far uccidere e non dovevo permettere che ad Elena fosse fatto qualcosa. Giusto il tempo di caricare le armi e John sarebbe intervenuto. Avevo detto a Jeremy di sorvegliare Caroline e di impedirle assolutamente di entrare.

-Uh! Guardate chi è arrivato: il “Salvatore” delle povere donne.- Si rivolse prima a tutti gli spettatori e poi guardò me. –Ma tu vivi solo per immischiarti in faccende che non sono tue?- Si avvicinò sempre di più. –Non so, non potresti trovare un nuovo “hobby”? Tipo il calcio, il basket, oppure il poliziotto, dato che ami salvare vite. Anche se nell’ultimo caso ti consiglierei il medico.- Sorrise falsamente.
Gli rivolsi un sorriso ancora più falso del suo.
-E tu perché continui a fare il puttaniere e a comportarti come un idiota? Non puoi provare qualcos’altro che non riguardi il molestare povere minorenni? Che ne so, potresti provare il bungee jumping.- Sorrisi. –Però da un palazzo di duecento piani e senza una corda. Sarebbe un esperienza talmente divertente!- Stavo maledettamente giocando col fuoco e non me ne importava, se questo serviva a guadagnare tempo.

Tyler sorrise e mi guardò con astio.
-Siamo molto divertenti oggi… Forse uccidere la tua “compagna” ti toglierà quello stupido sorriso dalla faccia.- Rispose in quel modo che mi faceva venire sempre più voglia di prenderlo a pugni.
-Non. Osare. Toccare. Elena.- Scandii bene ogni parola. –Sono stato abbastanza chiaro?-
Il suo sorriso finalmente svanì e iniziò a guardarmi in modo serio.

Eravamo talmente vicini che potevo sentire il suo alito puzzolente di un whiskey di scarsissima qualità.
-Tu non sei nessuno.- Si limitò a rispondere puntandomi il dito contro.
Inarcai un sopracciglio e aprii leggermente la bocca. “Okay, pensai, ora lo prendo a pugni.”

Fu un lieve tossire che mi riportò alla realtà. Spostai gli occhi su Elena e vidi che si trovava sempre a terra, in una posizione non molto comoda, teneva una mano sulla pancia e l’altra davanti alla bocca.
Scansai subito quell’idiota e mi diressi verso Elena.

Mi inginocchiai accanto a lei e l’avvolsi tra le mie braccia.
-Ehi, sono qui. Non vado da nessuna parte.- Gli sussurrai mentre la stringevo sempre di più al mio petto e poggiavo una mano sulla sua che era ancora poggiata sul ventre.-Elena.- Cominciai. –So che non è il momento adatto ma è importante e prima che io uccida sul serio questo tizio, devo dirtelo.- Elena mi guardava spaesata mentre il suo volto era ancora rigato dalle lacrime di poco prima.-Elena, grazie all’aiuto di Alaric, ho scoperto una cosa. Il bambino che porti in grembo non è di Tyler, ma è mio. Tyler ci ha ingannati di nuovo, per far soffrire te. Lui sapeva già tutto ma ancora non sappiamo come.- Vidi i suoi occhi aprirsi per la meraviglia e un leggero sorriso formarsi sul suo dolcissimo viso. Gli posai una mano sulla guancia. -È  nostro figlio, Elena.-

Elena non ebbe il tempo di rispondere che improvvisamente sobbalzai, colto da un bruciore intenso alla gamba sinistra.

Poggiai una mano nel punto in cui sentivo bruciare e vidi del sangue. La vista cominciò leggermente ad annebbiarsi ma cercai di resistere con tutte le mie forze. Alzai lo sguardo verso Tyler e vidi che mi guardava furioso mentre mi puntava la pistola contro.

Elena gemette accanto a me e mormorò dei “no” quasi incomprensibili. Solo io, standole accanto, riuscii a sentirli.

Sentii delle esili braccia avvolgermi le spalle e provai a concentrare tutto me stesso in quella beata sensazione di trovarmi tra le sue braccia. Cercai di non vedere il sangue ne di sentire quel bruciore avvolgere pian piano tutta la gamba.

Vidi in lontananza John che si affrettava ad entrare con una pistola tra le mani.
-Ti conviene abbassare la pistola Lockwood, prima che chiami i rinforzi e ti sbatti dentro a calci.- Pronunciò John solennemente.

Sentii qualcosa bagnarmi la maglietta e solo voltandomi mi resi conto che erano le lacrime di Elena.
-Non sto morendo, tranquilla.- Riuscii a dire con un tono bassissimo.
Lei annuì ripetutamente. –Non lo fare, devi esserci per il nostro bambino, per Celine, per vendicare la morte di Rose, per Klaus, per Caroline e anche per me.-
Piegai lievemente le labbra all’insù. –Ci sarò. È solo un bruciore, la pallottola sarà entrata un po’ troppo. Possiamo andare da un medico e appena me l’avrà estratta starò di nuovo bene.-
Continuò ad annuire. -È il nostro bambino… Non posso crederci.- Si portò di nuovo una mano sul ventre.
-Davvero impressionante come tu sia riuscito a trovare uno come lui, Salvatore.- Si stava rivolgendo al coinvolgimento di John nella storia. –Ma peccato che nessuno possa impedirmi di prendere ciò che voglio.-

Puntò nuovamente la pistola su Elena.
Cercai di farle da scudo mentre cercavo di parlare.
-Sbaglio o c’è una legge “severissima” che vi impedisce di uccidere donne o bambini?- Chiesi sorridendo in modo finto mentre il bruciore aumentava sempre di più e la testa iniziava ad appesantirsi.
-Sbaglio o già ho ucciso una donna prima? E poi me ne infischio delle leggi.- Mi rispose. Vidi John avvicinare le dita al grilletto della pistola e puntare quest’ultima dietro la schiena di Tyler. –Inoltre chi ti ha detto che voglio uccidere Elena?-

Non ebbi il tempo di formulare una risposta che una chiazza di sangue rosso si formò sulla mia maglietta, all’altezza del cuore.

Elena sussultò accanto a me.

Un altro sparo nello stesso punto e poi vidi il corpo di Tyler cadere senza vita a terra.

C’è l’avevamo fatta.

Pov.Elena

Il mondo si fermò nello stesso istante in cui Tyler sparò per la prima e poi per la seconda volta sul petto di Damon. Non ebbi il tempo di ragionare né di godermi il successivo sparo che segnò la nostra vittoria. Adagiai la testa di Damon sulle mie gambe e poggiai una mano sul suo cuore.

Vidi una chioma bionda raggiungermi immediatamente e inginocchiarsi accanto a me.

Gli occhi di Damon erano semichiusi mentre lottava allo stremo delle forze per rimanere in vita. Un leggero brivido scosse il mio corpo mentre con la mano libera gli accarezzavo la guancia da un colorito mortalmente pallido.

Vidi i suoi, ancora più trasparenti, occhi di ghiaccio guardarmi. –Ci sarò…- Sussurrò. -…Sempre.-
I suoi occhi si chiusero mentre si lasciava andare tra le mie braccia.

Caroline spostò il suo sguardo fuori, dove decine di auto della polizia sostavano con le sirene accese, c’era anche un ambulanza, forse… ma non sarebbe servita a nulla. Osservavo di sfuggita la bocca di Caroline che continuava a parlare e a parlare mentre dai suoi occhi chiarissimi sfuggivano numerose lacrime.

La cosa peggiore è che non era come nei film.
Non c’era nessuna deprimente canzone di sottofondo, ne vi erano scene a rallentatore. Non c’erano cavalli bianchi come nelle favole o streghe che potevano resuscitare un morto… perché i morti non resuscitano… Lo dice anche la scienza.
C’era solo il mio muto dolore e la consapevolezza che un’altra delle persone che amavo era morta.
Un altro brivido mi percosse da capo a fondo mentre con molta lentezza adagiavo le mie labbra su quelle freddissime di Damon, continuando a pensare che il mondo doveva proprio avercela con me… con Elena Gilbert.
“I’m the place you can rest
When your dreams go blind
I’m the breath you can tail
When you’re trapped inside
You’re the reason I get through…
You were there for me…
I’m here for you.”

 

*Atlantic City Expy E: Autostrada che collega Philadelphia con Atlantic City. Si deve percorrere per circa trentacinque chilometri. 


Angolino Autrice:
And this is the end! Okay, sono pronta a pomodori, frecce stile Arrow, colpi di pistola, schiaffi, pugni... sono pronta a tutto. Io già sapevo il finale, l'ho sempre saputo. 
Il bambino è di Damon, Tyler li ha ingannati, di nuovo. 
Damon. Beh, su questo personaggio dovrete esprimervi voi. Vi dico solo che è stato difficile per me scrivere il capitolo. 
Sono curiosa di sapere le voste opinioni. 
Come sempre, accetto ogni critica.
Enromemente grazie alle 152 persone che hanno messo la storia tra le seguite, le 65 che l'hanno messa tra le preferite e le 25 tra le ricordate. Siete magnifici. Non pensavo che la mia storia potesse piacere così tanto! 
Vi lascio, con la promessa che mi farò viva molto presto con l'epilogo ;) 
Non è esattamente finita qua! 
Il capitolo non è betato, quindi qualsiasi errore relativo alla grammatica o altro è colpa mia! Se notate qualche orrore, ditemelo ;) 
Grazie ancora **
Un bacione,
Esperanza97
P.S: Dato che ho riletto la storia, ho aggiunto un nuovo avvertimento: drammatico.

 

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Capitolo 16
*** Epilogue ***


Mi scuso terribilmente per il ritardo, ma credetemi è stato un parto questo capitolo. Ho cancellato e riscritto quest'epilogo per un numero di volte che mi sembra infinito. La prima parte sono arrivata a scriverla alle due di notte sull'Ipod, pensate un po'! Spero comunque che vi piaccia. Ci ho messo tutta me stessa in questo capitolo, (più lungo degli altri) e nell'intera storia. I ringraziamenti alla fine. 
Baci,
Esperanza97

 
A winner_ , grazie mille per il tuo aiuto, tesoro! 


-Today My Life Begins.-
-Epilogue-
Two years later…
«Su Jane, dì “mamma”, è facile: “mam-ma”.»
I grandi occhi color ghiaccio di Jane mi fissavano, ma non osava proferire una sola parola. Ero spaventata. Mia madre mi aveva sempre detto che di solito, intorno al primo anno, i bambini iniziavano a chiamare i loro genitori “mamma e papà”. La mia prima parola era stata mamma e volevo insegnarla anche a mia figlia, ma era qualcosa di impossibile.
Jane non parlava, i suoi erano lamenti. Quando non si sentiva bene si toccava le parti che le facevano male per farsi capire da me. Nonostante tutto, l’amavo incondizionatamente. Lei e Celine erano l’unico ricordo che avevo di lui… di Damon Salvatore.
 
Vuoto. Rifiuto. Dolore.
Erano le uniche sensazioni che in quel momento provavo. Erano passati circa tre giorni dalla morte di Damon e io ancora non riuscivo ad accettarlo. Mangiavo poco e dormivo solo qualche ora, troppo spaventata di rivivere quella scena nei miei incubi.
Solo una cosa non tornava, né alla polizia né ai membri che facevano parte della squadra di mio zio John: il corpo di Damon era scomparso dalla scena del “delitto” assieme a mio zio.
 Chiesi delle spiegazioni a mio fratello Jeremy, che aveva deciso di restare con me vedendomi così scossa, ma anche lui non riusciva a capacitarsi di ciò.
 Quella fu l’ultima volta che parlai con qualcuno. Per circa un mese rimasi chiusa in me stessa. Tornai a mangiare ma solo quel poco che serviva per alimentare il figlio che non volevo perdere, sapendo che era frutto mio e di Damon, ma anche perché, dopotutto, me ne ero innamorata.
 Jeremy continuò a rimanermi vicino così come Klaus, ancora scioccato per la morte del migliore amico, Caroline, Alaric, Stefan e Celine… Quella povera bambina che aveva perso entrambi i genitori e non aveva più nessuno. Ci somigliavamo infondo.
Entrambe orfane, entrambe sole.
Decisi che quello non sarebbe stato il suo futuro e l’adottai come mia figlia.
Lei ne fu felicissima dato che eravamo già amiche. Sarebbe stato tutto  perfetto, però, se anche lui ci fosse stato.
 
Sospirai affranta mentre udii dei passi avvicinarsi alla mia camera.
Una chioma scura spuntò da dietro alla porta, sorridendo timidamente.
«Mamma…»
Sorrisi voltandomi verso quel piccolo angelo.
«Dimmi amore…» Celine aveva solo quattro anni ma era molto più sveglia di quanto avessi mai immaginato.
«Posso mettermi nel lettone con te e Jane?» Chiese con gli occhi lucidi.
«Certo.» Scesi dal letto e mi avvicinai alla porta. Mi abbassai all’altezza della piccola e sorridendole, la presi tra le mie braccia. «Non chiederlo, vieni e basta. Non pensare che solo perché sto con Jane, tu non debba esserci. Siete entrambe mie figlie, vi amo allo stesso modo. Siete la mia famiglia.» La portai sul mio letto e la misi accanto a Jane che continuava a fissarmi. Appena poggiai Celine sul letto, Jane gli si buttò addosso in cerca di coccole che non tardarono ad arrivare. Anche se nell’animo di tutte e tre mancava qualcosa, non potevamo lamentarci. Eravamo una bella famiglia, tutto sommato.
 
| Verso il crepuscolo|
 
Avevo lasciato le mie due bambine nella stanza dei giochi ed ero ritornata in camera mia. Appena chiusi la porta alle mie spalle mi lasciai cadere silenziosamente lungo di essa, sedendomi per terra sulla moquette dai toni chiari.
 
Jane sapeva di non avere un padre, gliene avevo parlato, forse sbagliando. Gli avevo detto che il papà era andato a fare una missione in cielo, ma che presto sarebbe tornato. Gli mostravo foto su foto, tutte datemi da Klaus e, oramai, sia per lei che per Celine era diventato uno zio acquisito.
La mia bambina guardava le foto attentamente, toccava la faccia del papà ma non diceva nulla. Il suo sguardo era assorto in quelle immagini.
 
Sapevo di aver fatto un guaio parlandogli del padre; ne ero ben consapevole, anche quando mi presentai nello studio del medico per capire come mai Jane ancora non dicesse una parola. Il dottore mi disse che poteva essere stato un trauma oppure la mia bambina non voleva ancora parlare ed era una cosa normale, rara ma normale. Mi consigliò di non insistere, che le cose sarebbero arrivate con il tempo. Era quello che continuavo a sperare.
 
Era ormai tarda sera, avevo messo Jane e Celine a letto, lavato i piatti e sistemato la casa. Mi piaceva, era un appartamento all’ultimo piano, affacciava sull’immenso e meraviglioso, anche in pieno inverno, mare di Atlantic City. Era un “regalo” di Stefan e Klaus. Non avevo mai voluto che spendessero soldi o comprassero una casa per me. Ma loro insistettero, convinti che dovevo avere il meglio. La casa era stupenda, ma vuota. Mancava sempre qualcosa, anzi, qualcuno.
 
Sospirai mentre mi avvolgevo nel caldo piumone e ripensavo a come la mia vita e quella dei miei amici era cambiata dopo la morte di Damon, ma soprattutto dopo la morte di Tyler. Caroline era libera, ma qualcosa aveva lasciato una piccola ferita aperta nel suo cuore. Tyler era stato il suo ragazzo, poi colui che l’aveva violentata e infine l’uomo, sempre se così si può definire una persona di questo genere, che l’aveva costretta a prostituirsi. La mia amica non aveva avuto il tempo di metabolizzare il tutto. Il dolore che provava non era mai stato espresso a parole, si era tenuta tutto dentro per tantissimo tempo. Riuscì a liberarsi di tutto solo poche ore dopo la morte di quel delinquente.
 
 
Erano le due di notte e nessuno riusciva a dormire.
Klaus aveva deciso di portare me e Caroline nella casa sua e di Damon. Aveva sbagliato, ma preferii non dirglielo. Appena entrata in quel salone ripensai a lui, al suo sorriso e ai suoi occhi. Ricordavo perfettamente dov’era la sua camera, salii le scale lentamente e vi entrai: era spaventosamente buia e ordinata.
Mi gettai sul suo letto con gli occhi ancora gonfi dalle lacrime, presi il suo cuscino e lo strinsi forte al petto. Per ore fu il silenzio a tenermi compagnia.

Guardai di nuovo l’orologio: 3.15
Anche il tempo era arrivato ad odiarmi. Non passava mai. Volevo che arrivassero subito le sette per tornare ad Atlantic City e assistere al suo funerale, anche se ero ben consapevole di non averne la forza.
All’improvviso sentii chiamare il mio nome a gran voce, un urlo spezzò il silenzio e i miei occhi si spalancarono di scatto, ma nessun muscolo del mio corpo volle muoversi da quella posizione.
«Elena! Elena!» Era la voce di Klaus.
Le braccia erano serrate attorno al cuscino, le gambe immobili sul letto: non riuscivo ad alzarmi, il dolore era troppo forte.
La porta della camera di Damon venne aperta di scatto, la luce penetrò in maniera troppo forte nella stanza.
Una figura corse verso il letto e si abbassò alla mia altezza.
«Elena, diamine! Mi serve il tuo aiuto!» Klaus era terrorizzato, gli urli continuavano in modo sempre più disperato, sentii anche dei singhiozzi. «C-Car-Caroline…» Klaus balbettava, il volto era imperlato di sudore, gli occhi pieni di lacrime e tremava. Si rese conto di ciò che gli stava succedendo e cercò di calmarsi, chiudendo gli occhi e deglutendo. «Elena, Caroline sta male. Ha cominciato a piangere, a urlare, si dimena per terra. Io ho provato a calmarla ma non so cosa fare perché continua. Ha bisogno di te, ti prego.» Il tuo tono era supplicante.
Apatia totale. Avevo percepito ciò che mi aveva detto Klaus. I miei occhi lo stavano osservando ma in realtà non lo vedevo. Sulle sue parole, il battito sempre più frenetico del mio cuore e quelle urla di dolore avevano avuto la meglio.
Klaus provò a scuotermi ancora, ma con scarso risultato.
Lo vidi alzarsi, mettersi una mano nei capelli, prendere il cellulare e chiamare qualcuno. Riuscii a sentire solo il nome: Stefan.
In pochi minuti quella casa sembrò diventare troppo piccola per tutte le persone che erano arrivate. Sentivo voci provenire dal corridoio, ma non mi alzavo, restavo lì, perfettamente immobile.
 
“«Signori, la ragazza avrà bisogno di tanto supporto. Sarebbe meglio se cominciaste a chiamare uno psicologo che la possa seguire in modo costante, almeno finché non si sarà ripresa. Vi lascio queste medicine, nel caso abbia un’altra crisi.»
«Grazie.» Riconobbi la voce di Klaus.
«Dottore, senta… ehm, c’è un’altra ragazza che non sta molto bene. Ha subito da poco un lutto e sembra voler rifiutare ogni cosa.» Stefan!
«Quando nella propria vita viene a mancare qualcuno che si è amato profondamente, è normale che si abbia una simile reazione. Per questa ragazza vi posso dare solo un consiglio, lasciatela stare un po’ da sola, non insistete nel farle fare determinate cose, ma tenetela comunque d’occhio, non si può mai sapere. Le persone hanno modi diversi di affrontare il dolore e voi ne avete due esempi in questa casa.»
«Grazie ancora dottore, ci è stato molto d’aiuto. Vi accompagno alla porta.» Di nuovo Klaus.”
 
Sentii i loro passi mentre scendevano e mi rilassai nuovamente.
La porta si aprii e un timido fascio di luce entrò nella stanza.
Chiusi gli occhi, fingendomi addormentata.
Una mano mi accarezzò i capelli, era fredda.
«Elena, non sai quanto mi dispiaccia…» Era la voce di Stefan. Era dispiaciuto e potevo sentire dal suo modo di parlare che aveva pianto.
 
In quel momento mi resi conto di due cose:
Numero uno: ero stata egoista a pensare che solo io potessi provare un dolore così forte. Non potevo immaginare cosa stava passando Stefan, che era suo fratello, e Klaus, suo migliore amico da sempre.
Numero due: ero una pessima amica per Caroline. Perché, a differenza di tutti, io avevo subito capito dai suoi urli, il motivo della sua disperazione. Perché? Semplicemente perché già sapevo che prima o poi questo momento sarebbe arrivato.
 
| Il mattino dopo |
 
Spalancai gli occhi in modo brusco e mi portai a sedere sul letto velocemente.
Il sole filtrava dalle leggere tende color panna e il piumone che la sera prima mi aveva tenuta al caldo, ora si trovava ai piedi del letto in unico groviglio con le lenzuola.
Respiravo in modo affrettato, la fronte era imperlata di sudore e le mie mani tremavano.
 
Mi alzai dal letto e presi il bicchiere d’acqua che tenevo sopra al comodino, in caso di emergenza, bevendo tutto il contenuto in un solo sorso.
 
Non era possibile. Lo stesso incubo nel giro di una settimana. Ma più che un incubo, era un ricordo: la morte di Damon.
La cosa più strana era che il sogno terminava sempre allo stesso punto: Damon a terra che diceva che non stava morendo e mi suggeriva di stare tranquilla. L’incubo terminava con il suo “Ci sarò” e con tanto sangue che imbrattava le mie mani e il mio corpo.
 
Come le altre volte che avevo fatto questo incubo, mi guardai le mani.
Mi sembrava di vedere ancora il suo sangue su di esse. Era una cosa impossibile, lo sapevo. Ma era diventata una fissa. Andai in bagno, misi abbondante sapone su entrambi i palmi e mi sciacquai energicamente le mani. Legai nuovamente i miei capelli con l’elastico e mi lavai la faccia per togliere ogni traccia di sudore.
 
Sentii dei lamenti provenire dalla cameretta delle bambine. Lasciai la mia stanza in disordine e corsi da loro.
 
Aprii la porta e un fascio di luce mi accecò gli occhi.
Seduto sulla sedia a dondolo c’era Stefan. Ancora non mi capacitavo del fatto che quell’uomo avesse le chiavi di casa nostra.
Jane era tra le sue braccia tra veglia e sonno.
Celine, invece, giocava con una bambola sul letto.
 
«Stefan…? Che ci fai qui, a quest’ora?» Smise di cullare Jane che si era, nuovamente, addormentata.
«-Scusami. Non era mia intenzione disturbarti. Volevo venire più tardi ma, poi, beh…» Sembrava leggermente a disagio.
«Ehi, Stef, tranquillo. Ho capito. Devo ancora abituarmici…» Entrai nella stanza, presi il peluche a forma di orsacchiotto che era caduto a terra e lo rimisi nella culla di Jane.
«A cosa?» Si era alzato e, in modo molto dolce e delicato, aveva messo la piccola nella culla.
Scrollai le spalle. «A queste attenzioni, al fatto che tu venga a farmi compagnia quasi tutti i giorni, a questa casa. Nonostante siano passati due anni, mi sembra ancora tutto… beh, nuovo.»
Si passò una mano tra i capelli leggermente imbarazzato.
«So che forse il mio atteggiamento ti sembrerà strano, all’inizio neanche ti volevo! Ricordo ancora quando trovai te e Caroline a casa di Damon e Klaus. Ricordo che volevo uccidere mio fratello. Si era di nuovo cacciato nei guai. Volevo solo proteggerlo…»
Si interruppe improvvisamente e guardò un punto dietro alle mie spalle.
Mi voltai anche io e vidi Celine con il capo lievemente inclinato, guardarci attentamente.
Stefan si avvicinò ancora di più e mi sussurrò nell’orecchio: «Sarà meglio continuare il nostro discorso fuori.»
Scossi la testa e sorrisi.
«Ehi, Cely, ora ti vado a preparare la colazione e dopo andiamo a fare una passeggiata. Ti piace come programma?»
La piccola annuì e tornò dalla sua bambola, mentre io e Stefan ci dirigemmo in cucina.
 
Presi il cartone di latte dal frigo e ne versai un po’ in un pentolino per farlo riscaldare.
«Stef, non devi darmi nessuna spiegazione. Forse prima non capivo, ma ora, beh, dopo tutto quello che è successo, ti capisco perfettamente.» Ci fu un attimo di silenzio in cui nessuno dei due sapeva cosa dire.
«Sai perché vengo qui?» Fu lui a parlare per primo. «Le due bambine, Jane e Celine, sono entrambe mie nipoti e… mi ricordano tanto… lui.» L’ultima parola la disse quasi sussurrando.
Il mio cuore accelerò i battiti e i miei occhi si riempirono di lacrime.
Tremavo mentre versavo il latte nella tazza e aggiungevo un cucchiaino di Nesquik.
 
Il dolore per la perdita di Damon ancora devastava i nostri cuori. Il suo ricordo riempiva tutte le mie giornate. Il solo guardare Jane o Celine negli occhi mi faceva piangere. Spesso mi chiedevo perché una delle due non avesse preso qualcosa dalla madre e solo da lui. Si somigliavano in un modo impressionante. L’unica cosa che Jane aveva preso da me erano i lineamenti e i capelli castani. Di Rose conoscevo poco e niente e non potevo immaginare cosa provasse Celine, senza né madre, né padre. Fortunatamente era ancora piccola, ma mi chiedevo cosa sarebbe successo una volta cresciuta.
 
Celine mi voleva bene, me lo dimostrava ogni giorno. Ricordavo la volta in cui mi portò un disegno a casa. Mi disse che la maestra le aveva detto di disegnare la sua famiglia e lei aveva disegnato me con Jane e lei tra le mie braccia. A destra del foglio un prato verde e due pietre grigie con sopra scritto “mamma” e “papà” in una calligrafia un po’ distorta. A sinistra, invece, aveva disegnato Caroline e Klaus mano nella mano, entrambi sorridenti. A concludere il disegno c’era Stefan, disegnato quasi accanto al prato, anche a lui aveva fatto un grande sorriso. Aveva detto alla maestra che lei era fortunata perché la sua era una grande famiglia. La maestra conosceva bene la nostra situazione e quando l’andai a prendere all’asilo quel giorno mi disse che stavo svolgendo un ottimo lavoro con Celine: la bambina era felice. Mi consigliò, però, di smetterla di ricordargli che i genitori erano morti e di portarla sulle loro tombe.
 
Se da una parte fui felice per il complimento; d’altra parte, quelle ultime parole mi destabilizzarono. ‘Non ero una buona madre’, e fu questo il pensiero che mi accompagnò per il mese successivo, finché non decisi di accantonare la faccenda, nonostante continuassi a sentirmi in colpa ogni volta che portavo le mie piccole su quella tomba tristemente vuota.
 
|One month later|
 
Era ormai pieno inverno, il sole splendeva alto nel cielo ma le temperature erano piuttosto basse.
Infilai un cappellino a Jane che mi sorrise in segno di gratitudine, presi il giubbino, le chiavi e uscii di casa con Celine tutta allegra che chiamava l’ascensore.
Salutai la mia vicina di casa che stava annaffiando le piante nell’atrio. Era un’anziana molto amichevole, anche se aveva passato un periodo orribile a causa della morte di uno dei suoi tre figli. Ci rimasi male anche io. Ogni tanto la invitavo a casa mia e lei si divertiva a giocare con Celine e Jane.
 
Appena uscite mi resi conto di quanto fosse presto: non c’era quasi nessuno in strada.
Presi in braccio Jane che poggiò la sua testa nell’incavo del mio collo e presi la mano di Celine che la strinse subito.
 
Quello era un giorno importantissimo: era il compleanno di Jane. La mia piccola avrebbe compiuto due anni. Le avrei organizzato una piccola festa, preparato una torta e comprato qualche regalo. Era tutto organizzato: Caroline avrebbe addobbato la casa mentre eravamo via, Klaus si sarebbe occupato del cibo e Stefan avrebbe pensato agli invitati.
Io dovevo soltanto comprare la torta e tenere fuori di casa le mie due bambine per qualche ora, se non di più.
 
Percorsi quella strada che oramai avevo imparato a memoria. Jane, mentre era in braccio, si mise a giocare con una ciocca dei miei capelli. Sorrideva, e vederla in quello stato mi rendeva una madre felice.
 
Appena attraversammo il cancello del cimitero, Celine si staccò da me e corse verso un giovane uomo seduto sotto un albero con accanto diversi tipi di fiori.
 
«Signore! Può darmi una rosa bianca? Devo portarla a mio padre, è il suo compleanno oggi!» La mia bambina parlò con un tono molto dolce che fece sorridere l’uomo.
 
Sbiancai quando mi resi conto che lei sapeva.
Io e Caroline avevamo parlato spesso di come il destino si prendeva gioco di noi, facendo nascere Jane lo stesso giorno di Damon.
Non lo avevo detto alle piccole, ma probabilmente Celine aveva ascoltato qualche nostra conversazione e ne era venuta a conoscenza. Per quel poco che ne sapevo, Celine non aveva mai vissuto col padre quindi non sapeva molto della sua vita.
 
L’uomo porse la rosa alla mia piccola che ritornò subito da me.
«Mamma, paghi tu?» Mi domandò teneramente.
Sorrisi.
«Certo» Mi avvicinai anche io al signore. «Quanto le devo?» Chiesi, trovando un po’ di fatica nel prendere il portafoglio dalla borsa, dato che Jane stava ancora tra le mie braccia.
«Non si preoccupi, è un regalo.» Mi sorrise e nonostante insistetti più volte, non mi volle far pagare quel fiore.
 
Celine corse subito avanti, avvicinandosi alla tomba di Damon. Poggiò la rosa e accarezzò quella pietra che portava inciso il suo nome.
 
Feci scendere Jane dalle mie braccia e la piccola, con non poca difficoltà, posò una mano sulla pietra sorridendo.
La consapevolezza che quello che stavo facendo era un errore, si fece spazio dentro di me. Stavo sbagliando e avevo sbagliato.
Come potevo portare delle bambine su una tomba, per giunta vuota?
Davanti a quella lapide, promisi a me stessa che non le avrei più portate. Era giunto il momento di chiudere il capitolo “Damon”, almeno per loro. Per me sarebbe stato troppo difficile, sapevo di non potercela fare.
Una lacrima salata solcò la mia guancia.
Il mio cuore, già crepato, si frantumò ancora di più. Era un vuoto che non riuscivo a colmare, che mi stava uccidendo giorno e notte.
Sentii qualcuno tirarmi la maglietta. Aprii gli occhi e vidi Celine che cercava di chiamarmi tirandomi la maglia.
«Ehi, amore, dimmi.» Mi inginocchiai per raggiungere la sua altezza.
«Mamma… non trovo più Jane.»
Rimasi di sasso. Le mani iniziarono a tremare e i battiti del cuore aumentarono. Dov’era la mia bambina? Non poteva essere andata tanto lontano. Camminava, ma non velocemente. Avevo chiuso gli occhi solo un attimo e… e…
 
Mi alzai, presi Celine tra le mie braccia e cominciai a urlare il suo nome con l’ansia che mi attanagliava le viscere.
Dovevo trovarla, assolutamente. Corsi in diverse direzioni, entrai sempre di più nel cimitero e nella mia testa ringraziai che fosse giorno perché in mezzo a quegli alberi riuscivo a vedere poco e niente.
E poi la trovai; era ferma davanti a un albero con il suo completino azzurro e il cappello tra le mani.
Fissava l’albero e la sua espressione era seria.
 
Corsi, avvicinandomi a lei.
Mi inginocchiai e scoppiai in un pianto liberatorio. L’abbracciai, stringendola forte al mio petto. Sentii i passi di qualcuno ma non me ne importai.
Tremavo ancora e non riuscivo a calmarmi.
 
«Mamma…» Celine mi stava chiamando. Il suo tono era preoccupante. Mi staccai leggermente da Jane che ora sorrideva.
«Papà!» Il mondo mi crollò nuovamente addosso. Il sorriso che avevo fatto in risposta a quello di Jane scomparve e il vuoto nel mio petto si allargò a dismisura.
La prima parola della mia bambina, il giorno del suo secondo compleanno, era stata “papà”. Una parola alla quale non avrebbe avuto mai una risposta. Avrebbe chiamato un fantasma, una persona che non esisteva, suo padre.
 
Tentai di alzarmi ma una mano mi premette con forza sulla spalla e una scossa si propagò in tutto il mio corpo.
La mano era ferma, sicura.
Il mio cuore riprese a battere freneticamente. Deglutii.
La stessa mano scese lentamente sul mio petto, fermandosi all’altezza del cuore che ormai stava andando in tilt.
Riconobbi il suo profumo, su quelle dita vi era il suo anello, quello che gli aveva regalato sua madre quando era ancora un bambino.
Non era possibile.
«Elena…»
La sua voce.
Non poteva essere reale.
Mi voltai molto lentamente e lo vidi.
Altre lacrime percorsero il mio viso.
Non è reale, non è reale. Questo non è assolutamente reale. Continuavo a ripetermi nella speranza che questo fosse solo un sogno, che da un momento all’altro mi sarei svegliata; forse da un pianto di Jane o dall’odore del caffè preparato da Stefan.
Incontrai i suoi occhi color ghiaccio che mi guardavano con compassione.
Respiravo in modo affannato, ero sotto shock.
Lui era morto, tra le mie braccia. Avevo visto il sangue, i suoi occhi chiudersi, il suo corpo gelato.
Mi si appannò leggermente la vista.
«Elena, stai con me. Sono qui, sono reale.» Mi strinse la mano per cercare di riprendermi.
La sua voce. Era qui, era davanti a me. Ma non volevo accettarlo, mi sembrava fin troppo impossibile.
«Sei un fantasma?» Chiesi, con un tono di voce abbastanza basso.
Lui sorrise.
«No. Sono qui, in carne ed ossa.» Asciugai i miei occhi con la manica della maglietta e finalmente riuscii a mettere a fuoco la scena.
Damon era proprio lì. Davanti a me.
I suoi soliti capelli spettinati, i suoi occhi che mi rapivano, la sua bocca sulla quale mi ci sarei voluta fiondare in un attimo. Il suo abbigliamento, lo stesso di sempre: jeans scuro, maglia nera e giacca di pelle.
 
Jane, che fino a quel momento era rimasta in disparte con la sorella, si avvicinò a Damon.
«Papà!» Lui le sorrise e le accarezzò teneramente la guancia. Mi si strinse il cuore.
Damon posò il suo sguardo su di me.
«Lei è mia figlia, vero?» Io annuii, incapace di dire altro.
La strinse tra le sue braccia mentre Jane continuava a chiamarlo “papà”.
Mi voltai verso Celine che, rimasta in disparte, guardava la scena piangendo.
Damon seguì il mio sguardo e alzandosi a malapena dall’erba si avvicinò a Celine. Con le sue dita cercò di asciugare le lacrime di sua figlia.
«Papà…» Damon la prese tra le sue braccia e la strinse forte a se.
Jane intanto si era accucciata sul mio petto e sorrideva felice.
Era tutto un sogno, destinato a finire presto, me lo sentivo.
 
«Come hai fatto?» Chiesi improvvisamente, diventando seria.
Damon si voltò verso di me con uno sguardo interrogativo.
«Come hai fatto a sopravvivere? Tu sei morto tra le mie braccia. Non posso dimenticarlo. È una scena che rivivo ogni notte» Domandai cominciando a ragionare. «E perché, se eri sopravvissuto, ti presenti solo ora… dopo due anni?!» Il mio tono si stava alzando sempre di più; nonostante non volessi arrabbiarmi. Ma avevo bisogno di risposte, avevo vissuto per troppi anni nelle bugie.
Anche lui si fece serio e posò Celine sull’erba.
«Ehi, amore. Ho visto che prima parlavi con quel signore che vendeva i fiori. Perché tu e Jane non andate a parlare un po’ con lui? Mi sembrava piuttosto solo.»
Celine, che a differenza del padre era un po’ più sveglia, capì che la situazione non era delle migliori, prese la sorella e se ne andò.
«Senza offesa, ma la scusa che hai inventato faceva schifo. Spero che tu abbia una spiegazione migliore per me…» Dissi con tono serio.
Camminò verso di me e fu quando mosse le sue gambe che mi accorsi di una cosa: faceva fatica a camminare a causa della gamba sinistra, quella a cui Tyler aveva sparato, che era rigida come un tronco. Si appoggiò all’albero e lentamente si sedette, lo raggiunsi.
Faceva tremendamente male vederlo in quello stato, era sempre stato molto sciolto nei movimenti ed ora faceva perfino fatica a camminare.
Mi addolcii, ma non troppo.
 
«Come puoi vedere, non sono rimasto illeso dalla nostra avventura “passata”» Notai che il suo sguardo era rivolto ad un punto invisibile davanti ai suoi occhi. «Se non sono venuto prima, è per colpa di questa.» Si alzò lentamente la maglietta e subito notai che lì sul petto, all’altezza del cuore, c’era una fascia bianca.
«Tyler mi ha sparato, ma la pallottola non ha colpito nessun arteria importante. Certo, ci sono volute la bellezza di dodici ore per farmi vivere, però… »
Il suo tono calò di qualche ottava mentre si abbassava di nuovo la maglia. «Sono stato dodici ore in sala operatoria, in bilico tra la vita e la morte. Un passo falso e quel team di medici, che non smetterò mai di ringraziare, mi avrebbero ucciso. E, invece, sono qui; a distanza di due anni, a chiedermi qual è allora il mio destino, perché credimi io ero convinto di morire in quella “battaglia”.»
I suoi occhi incontrarono i miei e la sua mano percorse tutto il profilo della mia guancia. Poi la lasciò cadere sull’erba e si perse di nuovo nel suo racconto.
«Ma se c’era qualcuno che non mi avrebbe voluto veder morto, quello era tuo zio. Sapeva che la mia impulsività unita alla mia, come lui stesso l’ha definita “stupidaggine”, avrebbe avuto la meglio e perciò aveva un piano di riserva, armi di riserva e un chirurgo di riserva.
Sapeva che Tyler avrebbe sparato me o te, e già si era organizzato in campo medico, chiamando coloro che riteneva i migliori, e beh, è stato così.»
Abbozzò un lieve sorriso, i suoi occhi erano ancora più chiari e il vento leggero gli scompigliava i capelli.
«Quando mi sono risvegliato in ospedale, John era con me. Rimasi scioccato quando mi disse che ero rimasto in coma per due mesi. Disse che non si era arreso, perché era convinto che mi sarei risvegliato. La notizia scioccante fu sapere che non mi trovavo più ad Atlantic City, ma a Seattle. Mi disse che qualche giorno dopo avermi operato, mi avevano portato con un aereo fino a Seattle ed era un miracolo se ero sopravvissuto a tutto quel trambusto. Ero a otto ore di distanza da te, dall’altro capo dell’America ed ero fottutamente in ansia. John mi disse che nessuno sapeva che ero vivo, solo lui. Tu sapevi che io ero morto, e anche Stefan, Klaus, Alaric, tutti sapevano che non c’ero più, che Tyler mi aveva ucciso. Fu un sollievo scoprire che almeno quel grandissimo farabutto non era più sulla Terra, ma continuavo ad essere preoccupato.» Notai come il suo sguardo era desolato e poggiai la mia mano sulla sua, stringendola.
«Continua…» Lo incitai.
Sospirò, si passò la mano libera tra i capelli e proseguì con il suo racconto. «Restai in ospedale per altri due mesi. Anche se mi ero svegliato, non significava che ero fuori pericolo. Dovetti subire altri interventi, sia al cuore che alla gamba. Dopodiché John mi portò in una clinica di riabilitazione per la gamba che aveva perso ogni sensibilità e per altri problemi. Non mi diede mai il telefono, diceva che non avrei potuto chiamarti, che sarei tornato solo quando sarei stato meglio, che non voleva farmi rivivere un viaggio di otto ore nel mio stato. La cosa che mi permetteva di andare avanti era la speranza. La speranza che ti avrei rivisto e la speranza di vedere di nuovo Celine e di conoscere mia figlia. Speravo con tutto il cuore che Stefan e Alaric si prendessero cura di te e penso proprio che lo abbiano fatto. Non avrei voluto metterci tutto questo tempo, ma John voleva accertarsi che stessi veramente bene, infatti, prima di tornare qui, sono stato altri giorni in ospedale per diversi controlli.» Il suo sguardo si posò sulle nostre mani unite. Non mi resi conto che le lacrime avevano già bagnato il mio viso.
Posò i suoi occhi sui miei. «Elena, credimi, mi dispiace. Mi dispiace di non esserci stato per tutto questo tempo, mi dispiace di non averti chiamato, di non averti rassicurato, di non aver asciugato le tue lacrime… mi dispiace per tutto.» Una sola lacrima percorse il suo viso e non persi altro tempo, mi avvicinai ancora di più a lui e l’asciugai con le mie labbra. Notai il suo lieve stupore.
«Spero con tutto il cuore che tu non sia già andata avanti con la tua vita…» Sussurrò. Mi scansai leggermente.
«Come avrei potuto? Non ce l’avrei mai fatta ad andare avanti, Damon, perché ti amo e ti avrei sempre amato. Nessuno avrebbe potuto colmare il vuoto rimasto dentro di me. Avrei cercato all’infinito senza trovare nulla, ritrovandomi a settant’anni a piangere ancora su una tomba vuota.» Altre lacrime rigarono le mie guancia.
«Elena…» Il suo tono era così dispiaciuto. «Credimi, non so cosa fare per scusarmi, per rimediare a tutte le tue sofferenze…» Lo zittii, posando l’indice sulle sue labbra.
«Rimani qui. Resta con me. Per sempre…» Posai le mie labbra sulle sue e subito una sensazione di pace mi travolse. Le sue braccia si posarono sulla mia schiena mentre approfondiva il bacio. Con le dita strinsi i suoi capelli e lo spinsi sempre di più verso di me. Con delicatezza mi posò sull’erba, mettendosi sopra di me. Accarezzandomi la guancia, il collo, mentre io arpionavo il colletto della sua maglia.
 
«Mamma!»
Sobbalzammo entrambi e ci staccammo velocemente.
Celine teneva per mano una Jane sorridente. «Mamma, io e Jane vogliamo tornare a casa, tutti insieme.» Sapevo bene a cosa si riferiva dicendo “tutti”.
Io e Damon sorridemmo e ci alzammo, lui sempre lentamente. Mi si strinse il cuore e lui vedendo il mio dispiacere sorrise teneramente, accarezzandomi la guancia.
«Ora sto bene.»
Prese in braccio Jane che continuava a urlare “papà”. Era una gioia sentire la voce della mia bambina. Celine prese subito la mano di Damon e la strinse. Anche lei era felice.
Lo guardai e non potei fare a mano di piangere di nuovo, vedendo la mia famiglia tutta unita.
Ti amo, gli mimai con le labbra. Lui sorridendo mi rispose ad alta voce: «anche io.»
 
E insieme, come una famiglia, ci avviammo verso casa.
 
Mi ritrovai a ridere pensando che, forse, il destino non ce l’aveva con me, che, forse, non stava giocando. Tutto il dolore, tutte le sofferenze, tutte le lacrime servivano a prepararmi per questo, per la felicità. Serviva tutto a rendermi più forte, a darmi più coraggio e una spinta in più… Per cominciare a vivere






Angolino autrice: 
Okay, ora scoppio in lacrime. 
Dopo ben due anni, questa storia è finita. E se ripenso al fatto che ci ho messo due anni... beh, mi ammazzerei da sola. 
Come già spiegato all'inizio, è stato un po' difficile scrivere quest'epilogo, almeno i primi giorni; poi è andata meglio e sono riuscita a concludere questa storia. Mi sembra ancora impossibile. 
Ci sono stati alti e bassi, lo ammetto; e quando due settimane fa l'ho riletta, mi sono accorta di alcuni errori che avrei potuto evitare, motivo per cui revisionerò la storia. Voglio vederla finita e corretta, voglio esserne pienamente soddisfatta. E un po' già lo sono.
Per la mia felicità e la mia gioia, devo ringraziare voi che dopo due anni non mi avete abbandonata, che mi avete seguito passo dopo passo. 
Voglio ringraziare in modo speciale il mio tesoro: winner_ che mi ha aiutata in questo capitolo, betandolo, e che c'è sempre stata. 
Vorrei ringraziare: meiousetsuna, la mia migliore amica Claudieren_, Love Bites, warriorprincess, Sarah_Bartowsky, lucy stoker, nuccetta, OoO_Giulietta_OoO, Franceskiwi, Pipia, Delena forever, Morgana_94 e tutte le altre persone che hanno recensito (non metto tutti i nomi altrimenti non la finirei più :') ) 
Ringrazio le 69 persone che hanno messo la storia tra le preferite, le 25 tra le ricordate e le 153 tra le seguite. Vi ringrazio infinitamente. 
Penso che senza tutto questo supporto non ce l'avrei mai fatta! Grazie mille! 
Ora non abbandonerò il sito, ma, sotto consiglio della mia amica Giusy (A Sekai), prima scriverò una storia, completandola, e poi inizierò a pubblicarla, onde evitare di portare avanti una fanfiction per due anni :O 
In questo momento sto lavorando ad un'originale soprannaturale con la mia Claudieren_: Angst vor der Angst.
Vi aspetto anche qui ^^ 
Beh, vi saluto. 
Vi prometto che ci rivedremo in questo fandom. Spero molto presto. 
Grazie mille per tutto, siete state delle lettrici fantastiche! 
Un bacio enormissimo,
Esperanza97

 

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