You are my sunshine

di millyray
(/viewuser.php?uid=69746)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


A Stefan, ancora in cerca del vero amore.

YOU ARE MY SUNSHINE

CAPITOLO UNO

Kelly, con uno svolazzo della bionda chioma, portò la cornetta del telefono all’orecchio sinistro per lasciar riposare quello destro, diventato bollente dopo tutto quel tempo che aveva passato a chiacchierare con la sorella.

“Kelly, dovresti pensarci sul serio”. Le ripeté Amanda, forse per la milionesima volta. La bionda sospirò un po’ scocciata, non le piaceva tornare sull’argomento, soprattutto perché sapeva che l’altra aveva ragione.

“D’accordo, Mandy. Non escluderò l’idea”.

“Secondo me è una buona idea. Sia per te che per Tyler. Dovete staccare un po’, cambiare aria. Vedrai che qui vi troverete bene, ne sono sicura, e anche per Ty sarebbe più facile”.

Kelly mise sul fuoco il caffè che aveva appena preparato. Sì, doveva ammetterlo, Amanda aveva dannatamente ragione.

“A pochi chilometri da casa mia c’è una bellissima casa che danno in affitto. Secondo me vi ci trovereste bene, ha anche un bel giardino. E io posso trovarti anche un lavoro”. 

Certo che quando sua sorella si impuntava su qualcosa era impossibile farle cambiare idea. Ma lei ormai era stanca di sentire sempre la solita storia.

“Non lo so, cara. Forse per Tyler sarà un po’ difficile abituarsi al nuovo ambiente, orientarsi con l’esterno…”.

“Ma ci riuscirà, ne sono sicura. E poi ci sarò anche io a dargli una mano”.

“D’accordo, ci penserò”.

Dopo aver salutato frettolosamente la sorella, Kelly chiuse la comunicazione e si versò in una tazza il suo caffè finalmente pronto.
Lo sorseggiò pensierosa. Aveva iniziato a pensare alla proposta di Amanda già la prima volta che gliel’aveva fatta, ma inizialmente l’aveva scacciata via subito. C’erano troppe cose che la legavano a quel posto, a quella casa. Ma erano stati proprio questi legami a convincerla che, invece, doveva prenderla sul serio quell’idea, l’idea di trasferirsi.
Nonostante fossero passati ormai due anni, delle volte, di notte, si ritrovava ancora a piangere col viso affondato nel cuscino per non farsi sentire e qualsiasi cosa vedesse o toccasse le ricordava il marito scomparso.
E poi c’era Ty. Anche lui soffriva e forse persino più di lei.

C’erano troppi ricordi in quella casa ed era stanca di ritrovarsi ogni volta con le lacrime agli occhi e di sentirsi colpevole ogni volta che provava a sorridere perché pensava al fatto di non poter più condividere le piccole gioie con Richard.

A destarla da tutti i suoi malinconici pensieri, fu un rumore di qualcosa che cadeva, proveniente dal piano superiore.
Sporse la testa oltre il tavolo della cucina per poter dare una sbirciatina in corridoio, ma non vide niente oltre alle scale.

“Tyler, tesoro, tutto bene?”

“Dannazione! Cosa sono queste cose che hai messo vicino alle scale?” le chiese la voce di suo figlio, un po’ arrabbiata e frustrata.

Kelly fece una smorfia con la faccia, dispiaciuta.

“Sono degli scatoloni con delle cose che devo portare via. Scusami. Non dovevo lasciarle lì”.

Accidenti, a volte si dimenticava ancora. Ma d’altronde, era una sbadata, fin da quando era piccola lasciava sempre le cose in giro, dimenticandosi di metterle via.
Ora avrebbe dovuto togliersi di dosso questa brutta abitudine.

“Ti serve una mano?” chiese, sempre rivolta al figlio.

“No. Devo solo andare in bagno”.

La bionda spostò lo sguardo sul suo caffè che iniziava a raffreddarsi ormai. Tyler era cambiato molto in quei due anni, dopo l’incidente. Dal ragazzino allegro e solare che era stato un tempo, era diventato molto più chiuso e scorbutico. Non sorrideva mai e parlava solo se costretto.
Ma d’altronde, non c’era da biasimarlo. Lei aveva tentato in tutti i modi di aiutarlo e di stargli vicino, ma non ne era stata pienamente in grado. Certo, poi c’erano stati anche i cocci del suo cuore da raccogliere e così aveva dovuto pensare sia a se stessa che a lui. Oltre all’aiuto di Amanda, non aveva trovato molto altro e la sorella non abitava certo a due passi da casa sua.

Eh sì, Amanda aveva ragione: doveva riprendere in mano la sua vita e ricominciare da capo.

E poi, Miami non era così male.

***

“Dai, tesoro, ci fermiamo un attimo qui per mangiare un boccone e poi andiamo a casa”.

Tyler sospirò per la milionesima volta. Dopo venti ore passate in macchina a stare seduto il suo culo ormai era diventato insensibile e non aveva voglia di passare altro tempo su una sedia, tanto meno su una panca di legno, il suo stomaco era chiuso per il nervosismo e sentiva che non sarebbe riuscito a mangiare niente senza rimettere e, oltretutto, non conosceva affatto quel posto e odiava i posti di cui non sapeva un bel niente come, ad esempio, dove fossero i bagni. Almeno avevano trovato un tavolo vicino alla finestra, così non si sarebbe sentito troppo esposto.

“D’accordo”. Sbuffò, alla fine, accasciandosi sulla sedia. “Dimmi che cosa c’è nel menù”.

Madre e figlio passarono qualche minuto a decidere che cosa avrebbero mangiato, quando arrivò un giovane cameriere, molto probabilmente ancora uno studente, con una matita e un taccuino in mano.

“Che cosa vi porto, signori?” chiese in tono cordiale, come si addiceva a un cameriere.

“Per me un’insalata di riso e per lui un… cheesburger con patatine”. Rispose Kelly con un sorriso.

Il ragazzo scrisse sul suo bloc-notes ma, quando alzò la testa per dire che il cibo sarebbe arrivato presto, si bloccò a fissare Tyler come se vedesse una strana creatura magica. Era rimasto con la matita a mezz’aria e la bocca semiaperta, in un atteggiamento per niente gentile.

Tyler, sentendosi il suo sguardo addosso, si voltò verso il cameriere con sguardo chiaramente cupo e scettico, anche se i suoi occhi erano celati da un paio di occhiali da sole scuri.

Rimasero così per qualche secondo, quando finalmente il ragazzo del ristorante riuscì a disincantarsi, arrossendo per l’imbarazzo.

“Ehm… scusatemi… sì, il vostro cibo sarà pronto tra qualche minuto”. E se ne andò via di corsa, parendo ancora un po’ sconvolto.

Kelly lanciò un’occhiata comprensiva al figlio, mentre questi voltava di nuovo lo sguardo alla finestra.

***

Blake entrò nella cucina tutto trafelato, come se avesse appena finito di correre una maratona.

“Calmati, Boy Scout o ti verrà un colpo così!” esclamò il suo amico Ken, battendogli un colpo sulla schiena per fargli riprendere il respiro e cercando di non scoppiare a ridere nel vedere il suo volto paonazzo e arrossato. “Che è successo? Sembra che tu sia appena stato rincorso da una mandria di bufali inferociti”.

“No…”. Esalò Blake, provando a respirare normalmente. “No, Ken. Di là c’è un ragazzo. Ed è il ragazzo più bello che io abbia mai visto”.

Ken ridacchiò sotto i baffi, scuotendo il capo. “Ci risiamo”. Sospirò, andando al lavello per lavare del sedano.

Blake consegnò il foglietto con l’ordinazione ad uno dei cuochi e si diresse di nuovo dall’amico.

“No, Ken. Questo è… questo è…”. nemmeno lui riusciva a trovare delle parole per descriverlo.

“Senti, se non è uno di quei modelli muscolosi e con dei bei culi che ci sono su Playboy non credo possa essere molto bello”. Cercò di tagliare corto l’amico. Sapeva, infatti, che si sarebbe dovuto sorbire i soliti farneticamenti di Blake su quanto bello fosse il ragazzo che aveva appena visto, descrivendolo come il David di Donatello o un angelo caduto dal cielo, come d’altronde succedeva ormai da anni, e lui francamente non ne aveva voglia, di starlo a sentire.
Ma a Blake naturalmente non interessava. Con sguardo perso e sognante, guardando fisso in un punto che finiva chissà dove, cominciò a parlare con tono quasi onirico.

“Lui ha tanti capelli, scuri come una notte senza stelle, morbidi e setosi, delle labbra color pesca, grosse e fatte per essere baciate, con un piccolo neo sopra come quello di Marilyn Monroe, un viso dai lineamenti fieri e così virili. E quei vestiti che indossava sembrano stati fatti su di lui, la camicia bianca che si poggia sul suo petto celando i muscoli che lo rendono così attraente e…”.

“Ok, ok, basta! Sembra che tu abbia appena visto John Travolta ai tempi di Grease”. Ridacchiò Ken. Ah, Blake poteva essere noioso quanto voleva, ma certe volte era così divertente. E poi, dopo quella descrizione, veniva voglia anche a lui di conoscere questo famoso ragazzo da copertina di Playboy. “E sembra anche che tu lo abbia osservato molto bene”. Be’, certo, a Blake non sfuggiva mai un dettaglio. 

“Certo, ci siamo guardati”.

“Oh, amore a prima vista, allora. Tu lo hai guardato, lui ti ha guardato, vi siete guardati ed è scoccata la scintilla”.

“NO!” esclamò Blake guardando l’amico come se avesse appena detto una bestemmia.

“No?”

“No”.

“Ok”.

Ken cominciò a lavare l’insalata, sperando di togliersi l’amico dalle palle al più presto.

“Senti, Blake… sarà una delle tue solite cotte. Tu ti innamori, ci vai a letto e alla fine lui ti spezza il cuore. Oltretutto siamo in estate, la stagione degli amori”.

“No, questa volta sarà diverso”.

“Diverso? E perché? Cristo, amico, l’hai appena visto, cosa ne sai? Magari non gli piacciono neanche gli uomini”.

Blake si rabbuiò tutto d’un colpo. Non ci aveva pensato, come sempre. Era bravo a parlare e ad agire, ma di certo non a pensare.

“Blake! Porta questi al tavolo quattro”. Gli ordinò uno dei cuochi, mettendogli in mano una ciotola con dell’insalata di riso e un piatto con cheesburger e patatine.

“Ah!” urlò il ragazzo, buttando sul tavolino i due piatti come se ci avesse appena visto dei scarafaggi.

“Che c’è adesso?” gli chiese l’amico, alzando gli occhi al cielo.

“Non posso portare queste cose a quel tavolo. Rivedrei il ragazzo!” spalancò gli occhi e afferrò Ken per le spalle, guardandolo come fosse spiritato. “Ti prego, portali tu”.

“No, Blake, lo farai tu”. gli rispose l’altro parlandogli in tono deciso e autoritario e sottraendosi alla sua presa. “Sei un cameriere qui dentro e devi lavorare lasciando da parte le questioni personali. E poi, non ti facevo così vigliacco”.

Blake si voltò verso i due piatti, li guardò per un po’ e finalmente si decise a prenderli e ad uscire da lì.

“E magari scrivigli il numero sullo scontrino!” aggiunse Ken divertito prima di vederlo sparire.

Continuò a sorridere sotto i baffi prendendo a tagliare i pomodori. Ci voleva poco per convincere Blake a fare qualcosa, quel tipo era tutto un paradosso. Ed era anche totalmente fuori di testa, delle volte faceva paura.

 

 

MILLY’S SPACE

Hola chicos y chicas !! xD ebbene, Milly attacca ancora!!! Nonostante io abbia già un bel po’ di fanfic da mandare avanti ho deciso di cimentarmi anche in questa.
Eh ragazzi, quando l’ispirazione arriva non ci si può far niente…

Comunque, non mi dilungo in troppe parole, è piuttosto tardi (quasi le due di notte ^^) e qui da me stanno già tutti dormendo, per cui…
Allora, questa mia ideuzza doveva nascere come one shot ma, ebbene, la mia mente quando partorisce una storia la vuole fare in grande, perciò eccola qua, una piccola fanfiction tutta per voi.

Che ne pensate? Posso mandarla avanti o è meglio che mi ritiri?
Fatemelo sapere con una piccola recensione, non vi cadono le dita ^^.

Se volete, mi trovate anche su facebook, una pagina dedicata alle mie storie: http://www.facebook.com/MillysSpace potete lasciarmi qua i commenti e vedere tutte le altre storie in programma ^^ e anche le foto dei personaggi (quando le avrò messe) ^^.

Fatevi sentire, mi raccomando.

Buona notte e sogni d’oro.

La vostra Millyray.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo due ***


YOU ARE MY SUNSHINE

CAPITOLO DUE

Tyler aprì la portiera dell’auto piuttosto pigramente e si sistemò gli occhiali sul naso, mentre sua madre arrivava ad aiutarlo.

“Ragazzi!” esclamò una voce allegra e squillante.

Amanda, ferma sotto il portico della casa, non appena li vide, corse da loro e li strinse in un abbraccio spaccaossa che per poco non li soffocò. Amanda somigliava molto alla sorella Kelly, nonostante avessero sette anni di differenza. Erano alte uguali, avevano la stessa corporatura, più o meno, lo stesso viso ovale e gli stessi occhi azzurri. A volte, assumevano pure gli stessi atteggiamenti e gli stessi tic. L’unica cosa che le distingueva, alla fine, erano i capelli: la più giovane, ovvero Amanda, li aveva castani, l’altra, invece, biondi.

Il ragazzo dovette resistere un po’ di più nell’abbraccio da orsi della zia e, quando finalmente si liberò, lei rimase un attimo a guardarlo e gli scompigliò i capelli.

“Wow! Certo che sei diventato proprio un bel ragazzo”. Constatò lei, senza togliersi il sorriso dalle labbra. “L’ultima volta che ti ho visto non eri così alto e nemmeno così figo”.

Tyler sorrise alla spontaneità e sincerità della zia.

“L’ultima volta che mi hai visto è stato due anni fa”.

“Be’, certo che in due anni si cambia tanto”.

“Ah, non te lo so dire. È da un po’ che non mi guardo allo specchio”. 

Mandy ridacchiò divertita e si rivolse alla sorella.

“Kelly, ti va di entrare? Vi faccio vedere la casa, vi riposate un po’ e dopo vi aiuto a sistemare le vostre cose”.

“D’accordo. Ho preso delle cose da mangiare. Le prendo ed entro, voi intanto andate”.

“Va bene. vieni, Tyler”. La sorella mora prese il nipote per le spalle e lo condusse in casa, continuando a chiacchierare delle cose più inutili, esuberante come sempre.

I due entrarono dentro e, quando vennero raggiunti anche da Kelly, Amanda fece fare loro il tour dell’abitazione. Era abbastanza modesta, con due camere da letto e un bagno al primo piano, al quale si accedeva tramite una comoda scala a chiocciola. Una cucina abbastanza spaziosa e un salotto accogliente erano, invece, al piano terra. Era anche abbastanza luminosa, aveva un portico all’entrata e un bel giardino sia dietro che davanti dove si poteva piantare qualcosa. L’affitto non era nemmeno alto per una casa del genere, prima ci abitava un’anziana signora che, dopo la morte del marito, aveva deciso di trasferirsi.
Un po’ come i nuovi abitanti.

“E’ carina la tua stanza”. Commentò Kelly, osservando la nuova camera da letto del figlio. “E’ spaziosa. Lì hai il letto, un comodino accanto, davanti una finestra e sotto alla finestra una scrivania”.

“E l’armadio dove sta?”

“Accanto alla finestra. E sopra al letto ci sono delle mensole, così puoi metterci i libri”.

Tyler, semplicemente, annuì col capo e abbassò lo sguardo.
Con un sospiro, la madre si sedette accanto a lui sul letto e gli prese una mano fra le sue.

“Vedrai che staremo bene qui”. Cercò di confortarlo, capendo la sua preoccupazione.

“Lo spero”.

“Non essere sempre pessimista”.

Tyler voltò il capo verso di lei, puntando gli occhi chiari sul suo braccio.
Kelly, allora, lo abbracciò accarezzandolo sui capelli.

“Dai, tu ora riposati un po’ mentre io scambio quattro chiacchiere con la zia. Poi verrò ad aiutarti a sistemare la tua camera”.

Non appena la madre lasciò la stanza, il ragazzo si distese sul letto comodo e chiuse gli occhi, cercando di svuotare la mente.

***

“Come sta?” chiese Amanda, togliendo il caffè dal fuoco, non appena vide la sorella entrare in cucina.

“E’ solo un po’ stanco”. Rispose l’altra, sedendosi al tavolo rotondo.

La mora afferrò due tazze e servì il caffè ancora bollente sia a sé che alla sorella, accomodandosi, poi, di fronte a lei.

“Avete fatto bene a venire qui”.

“Me lo auguro. Sai, crescere un figlio diciassettenne e non vedente non è proprio semplice”.

“Lo posso immaginare. Senza Richard, inoltre, sarà ancora più dura”.

“Già. E Tyler sta ancora soffrendo molto”. Kelly strinse forte tra le mani la sua tazza, come se fosse l’unico appiglio a cui poteva tenersi attaccata per non cadere di nuovo nel baratro della tristezza e della malinconia.

“Vedrai che si riprenderà e tornerà ad essere il Ty di una volta. In fondo, sono passati solo due anni. Lui non ha perso solo il padre”. Amanda provava in tutti i modi a consolarla, sapendo che l’unica cosa che bisognava fare in momenti come quelli era essere fiduciosi.

“Sì, ma mi chiedo quanto dovrò ancora aspettare per vederlo sorridere di nuovo”.

***

“Questo dove lo vuoi mettere?” chiese Tyler, tirando fuori da un’enorme scatola di cartone un oggetto che non riuscì ad identificare ad un primo impatto. Se lo rigirò fra le mani, constatando solo che era qualcosa di duro, freddo, forse fatto di un qualche metallo, e con delle forme spigolose. Molto probabilmente una statuina, ma non gli veniva in mente quale potesse essere. Sicuramente si trattava, quindi, di un acquisto recente.

“Oh, questo me lo ha portato la mia amica Bezzy dall’India. Lo mettiamo sulla mensola sopra la TV”.

Tyler infilò di nuovo la mano nello scatolone trovandola quasi vuota. Sua madre aveva deciso di portarsi dietro tutta la casa, buttando negli scatoloni qualsiasi cianfrusaglia trovasse e per poco non aveva fatto esplodere il bagagliaio. Meno male che avevano un’auto abbastanza spaziosa se no avrebbero dovuto ricorrere ai camion dei traslochi, nonostante non dovessero trascinarsi dietro i mobili.
Ma c’erano ancora una ventina di scatole da svuotare e quindi non era ancora il momento di tirare alcun sospiro di sollievo.

“Allora, ti piace la nuova casa?” chiese Kelly, mentre riponeva in una credenza il servizio di porcellane che le aveva regalato la madre di Richard per il matrimonio.

“Oh sì, è stupenda. Penso che la vista sia fantastica”. Le rispose il figlio con un tono sarcastico.

Kelly sospirò. Effettivamente la sua era stata una domanda stupida, ma non l’aveva di certo fatto apposta. Si dimenticava ancora che il figlio non poteva vedere e che, quindi, era meglio evitare domande che lo potessero mettere a disagio.

“Be’, c’è una bella vista effettivamente. Le case qui non sono brutte come nella nostra vecchia città”.

“Se lo dici tu”.

Improvvisamente qualcuno suonò alla porta e la donna corse immediatamente ad aprire, per tirarsi fuori da quella situazione un po’ ostile in cui si era ritrovata col figlio.
Si trovò davanti una signora con un sorriso a trentadue denti dipinto in faccia che inquietava un po’, con un orribile caschetto che sembrava più una parrucca. Era alta la metà di Kelly. Non sembrava nemmeno essere più vecchia di lei, anche se tutto quel trucco attorno agli occhi e il fondotinta che sembrava essersi semplicemente schiaffeggiata in faccia rendevano la sua età impossibile da definire.

“Buongiorno, voi dovete essere i Bennett…”. esclamò questa, con una voce che a Kelly ricordò tanto quella della venditrice ambulante del film Edward mani di forbice. Effettivamente le somigliava anche e solo in quel momento si accorse che la donna teneva tra le mani una torta chiusa in una teca di vetro. “… i nostri nuovi vicini di casa”.

“Oh sì!” esclamò Kelly, presa un po’ alla sprovvista. Poi si spostò per farla entrare. “Prego, si accomodi”.

La donna non si fece pregare due volte e si diresse immediatamente in cucina, come se già sapesse dove si trovasse.

“Io sono Corinne Tanen, ma potete chiamarmi Cory. Abito nella casa qui di fronte”. Si presentò la donna, tenendo ancora la torta in mano e senza togliersi quel sorriso dalla faccia.

Kelly, allora, gliela prese e l’appoggiò sul tavolo.

“Io sono Kelly e lui, invece, è mio figlio Tyler”.

La signora Tanen sembrò accorgersi del ragazzo soltanto quando l’altra glielo indicò e, non appena lo vide, le si illuminarono gli occhi e gli andò incontro.

“Oh, ma che bel ragazzo! Sai, ho una figlia della tua stessa età, si chiama Emily, sono sicura che andrete d’accordo”.

Tyler inarcò le sopracciglia chiedendosi come diavolo facesse quella signora a sapere la sua età, ma non si era di certo accorto che questa gli aveva offerto la mano aspettandosi che lui gliela prendesse. Per la verità non sapeva nemmeno da che parte fosse, la sua voce era talmente squillante ed echeggiava in tutta la casa che non riusciva ad orientarsi in base a quella.
Così, lui se ne stava semplicemente a fissare la parete dietro la donna senza che lei avesse ancora capito che lui era cieco.

Infatti, quando Corinne si voltò verso Kelly, la bionda le indicò coi gesti che lui non poteva vederla.

“Oh!” esclamò la vicina di casa un po’ in imbarazzo. “Sì… dicevo che abito nella casa di fronte”. Continuò allontanandosi da Tyler e facendo finta che non fosse successo niente, ma era chiaramente in imbarazzo. “La 24G. Io e mio marito siamo soliti organizzare dei barbecue quando arriva un nuovo vicino di casa, così mi chiedevo se foste liberi per questo fine settimana, così ci troviamo a casa nostra e ci conosciamo un po’. Che ne dite?”

La signora Tanen mostrava talmente tanto entusiasmo che era impossibile dirle di no, così Kelly si trovò semplicemente ad annuire, pentendosene immediatamente.

“Oh perfetto!” esclamò l’altra, battendo le mani e per poco non si mise anche a saltare. 

Quando finalmente se ne andò, Kelly guardò un attimo il figlio e poi entrambi, come se si fossero letti nella mente, scoppiarono a ridere.

***

“Tesoro, abbiamo finito le provviste della zia. Dobbiamo fare la spesa”. Disse Kelly, ferma di fronte al frigorifero quasi vuoto.

“D’accordo. Tu vai, io ti aspetto qui”. Le rispose Tyler, con le cuffie dell’Ipod nelle orecchie, completamente disinteressato al fatto che in casa non ci fosse più cibo.

La donna richiuse l’anta del frigo e si sedette sul divano accanto al figlio, stringendo un cuscino contro il petto.

“Io però vorrei che tu venissi con me”. Aggiunse, assumendo un tono da bambina capricciosa, come faceva sempre quando voleva convincerlo a fare qualcosa.

Tyler appoggiò la testa allo schienale e chiuse gli occhi.

“E perché? Non ti servo io per fare la spesa”.

Kelly, allora, si decise a non tergiversare più dato che non era molto brava con i giri di parole e sbottò con tono deciso.

“Voglio che vieni con me, Ty, così esci un po’. È da una settimana che sei chiuso qui dentro, dovresti cominciare ad abituarti…”.

“Non voglio abituarmi a un bel niente, mamma!” la interruppe lui bruscamente.

“Eddaaaaiii! Ti prego, fallo per tua madre”.

Il ragazzo sospirò frustrato. Detestava quando sua madre faceva così, si comportava peggio di una bambina e alla fine lo convinceva sempre, un po’ perché non voleva sentirla fare i capricci e un po’ perché gli dispiaceva non accontentarla.

“D’accordo. Ma non voglio stare in giro troppo”.

“Perfetto! E magari andiamo anche in una videoteca a prendere un film horror, così stasera ce lo guardiamo”.

Tyler ridacchiò. Sua madre sarà anche una bimba troppo cresciuta, ma era anche per questo che l’adorava, per questo suo modo di essere, libero e spensierato, di chi cerca di affrontare tutto con un sorriso sulle labbra senza mai abbattersi. Anche lei ha sofferto molto, però, dopo quell’incidente, ma ha saputo risollevarsi e anche meglio di quanto non abbia fatto lui. Sua madre era una donna forte, molto più forte di lui.
Aveva fatto molto per lui, in tutti i modi aveva cercato di farlo ridere, di stargli vicina, anche quando si vedeva chiaramente che avrebbe solo preferito scoppiare in lacrime pure lei.

Cercò, però, di scacciare via tutti questi brutti pensieri non appena montarono in macchina e partì a tutto volume la musica dei Beatles, accompagnati dalla voce un po’ stonata di Kelly. Erano il gruppo preferito di entrambi, nonostante ormai non fossero più in attività già da un bel po’. Ma i Beatles sono i Beatles.

“Che cosa devi prendere?” chiese Tyler, non appena sentì che la madre aveva spento l’auto.

“Un po’ di cose. Penso che prenderò tanta cioccolata. E i pop corn per stasera”.

Smontarono dalla macchina e, a braccetto, si diressero all’interno del supermercato in cui, per fortuna, non c’era molta folla, essendo forse il pomeriggio di un giorno lavorativo.

Vagarono tra gli scomparti per un bel po’ di tempo. Siccome non lo conoscevano ed essendo il negozio anche piuttosto grande, faticarono un po’ ad orientarsi. Kelly dovette impegnarsi a leggere i cartelli sopra ad ogni scaffale e quando trovavano ciò che cercavano da una parte, dovevano tornare indietro per prendere le altre perché si trovavano dall’altra parte del negozio.

In pratica, dopo aver fatto circa una ventina di giri su e giù, si ritrovarono a dirigersi alla cassa sfiniti solo per aver fatto la spesa.

“Oh no!” esclamò ad un tratto la donna, battendosi una mano in fronte.

“Che c’è?”

“Ho dimenticato la carta igienica!”

Tyler sbuffò.

“Senti, non ti preoccupare. Tu aspettami qui, vado io a prenderla. Non ci metterò molto”.

“Ma…”.

“Aspettami qui vicino a questo scaffale, col carello. Io arrivo subito, promesso”.

Non gli lasciò nemmeno il tempo di fiatare che corse via, lasciando il figlio interdetto ad ascoltare solo il rumore delle sue scarpe da ginnastica che si allontanavano.
Alla fine, resosi conto che non c’era nessuno attorno a lui, si rilassò, appoggiando una mano al manico del carello e l’altra stretta attorno al bastone bianco.

 

 

MILLY’S SPACE

Ma ehi! Eccomi di nuovo qui!

Volevo regalarvi questo aggiornamento per consolarvi dopo il primo giorno di scuola (per quelli che l’hanno avuto, insomma, come me ^^).

Allora? Che ne pensate?
Si scopre qualcosa di più su Tyler…

Ebbene, non mi trattengo molto, vi invito solo a visitare un’altra pagina su Facebook che abbiamo creato io e la mia amica ed è dedicata a Queer as Folk ma anche a tutto ciò che riguarda il mondo lgbt. http://www.facebook.com/ZiaLula
Spero anche che mi lascerete qualche recensione.

Un mega bacione a todos ^^

Milly.

fede15498: ehi, potrei denunciarti per stalking ^^ ahaha no, scherzo xD mi fa tantissimo piacere che mi segui ovunque, sei la mia lettrice più assidua mi sa. Bene, spero che Tyler continui ancora a piacerti e spero di sentirti presto… un bacione. M.

roxy_black: bene, sono contenta che la storia ti piaccia, amiga!! Devo dirti che i personaggi mi son venuti molto spontanei, non ho dovuto rifletterci molto. Spero che ti piaceranno anche gli altri. E continua a seguirmi : ) un bacione, Milly.

Stefanmn: EHI!! In verità pensavo a te quando scrivevo di Blake, non di Tyler ^^. Ma va be’… a me questa fic piace molto, a dirti il vero, è piuttosto semplice e non succederà niente di particolare ma mi sono affezionata ai personaggi.
Spero sia così anche per te… un bacione, M.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


YOU ARE MY SUNSHINE

CAPITOLO TRE

Blake detestava fare la spesa, come detestava fare shopping. Provava una specie di repulsione per tutti i tipi di negozi, che non fossero quelli di dvd, di dischi o di elettronica.
E sua madre, nonostante lo sapesse perfettamente, lo aveva mandato comunque a comprare quelle dannate patate per fare il purè. C’era di buono che almeno avrebbero mangiato purè a cena, visto che lui lo adorava.

Ad un tratto però, dirigendosi di malavoglia verso la cassa, passò accanto allo scaffale della pasta e sgranò di colpo gli occhi sentendo il cuore fare le capriole nel suo petto.

Dannazione! Quello era il ragazzo del locale.

Velocemente, si nascose dietro allo scaffale vicino e restò lì per recuperare un attimo il fiato.

Sperava tanto che non lo avesse notato, ci avrebbe fatto proprio una pessima figura. Adesso doveva soltanto prendere un’altra strada per andare alla cassa senza passare accanto a lui.
Ma, non appena fece per andarsene, si bloccò di colpo e ritornò su suoi passi. Sicuramente il suo amico Ken gli avrebbe dato del coglione, non poteva comportarsi come un coniglio spaurito. Avrebbe almeno potuto presentarsi, era solo un ragazzo, non l’avrebbe mica mangiato. E poi era curioso di sentire la sua voce.

E così, facendosi coraggio e stringendo forte il sacco con le patate, attraversò lo scaffale di pasta e andò incontro al suo ignaro principe azzurro.

“Ciao!” lo salutò, non appena gli fu davanti. Era esattamente come se lo ricordava, bello da mozzare il fiato, più alto di lui di una ventina di centimetri, i capelli tirati un po’ indietro con un paio di ciuffi che gli cadevano sulla fronte spaziosa e gli occhiali scuri a dargli un’aria un po’ misteriosa.

“Ciao”. Ricambiò l’altro con un tono stranito, alzando il capo nella sua direzione.

“Ehm… forse non ti ricordi… sono quello del locale, vi ho servito il cibo”.

L’altro inarcò le sopracciglia nel tentativo di ricordarsi a che cosa alludesse il tipo che gli si era piazzato davanti, ma poi gli venne finalmente l’illuminazione.

“Ah sì, ora mi ricordo!” esclamò, portando una mano a scompigliarsi i capelli. “Certo che hai una bella memoria tu, per ricordarti ancora di me”. Aggiunse mostrando un sorriso sghembo e Blake per poco non svenne.

Certo che mi ricordo di te. Mi hai colpito al cuore.

“Sì, be’… ho una buona memoria”. Si giustificò, sorridendo imbarazzato. Sentì improvvisamente caldo, significava che era diventato rosso. Maledizione! Sperò che l’altro non se ne accorgesse. “Comunque, non ti preoccupare se tu non ti ricordi di me, non mi offendo mica e poi sembro un altro senza la divisa, sai, un po’ come quelle persone che senza i vestiti che portano di solito sembrano irriconoscibili…”. Aveva iniziato a blaterare cose senza senso, se ne rendeva conto anche da solo, ma era come se avesse inserito l’automatico, ormai non riusciva a bloccarsi.

“Tranquillo, ho capito cosa intendi”. Lo interruppe il moro, senza smettere di sorridere. “Ma anche se avessi voluto…”. Sollevò il bastone bianco per farglielo vedere. “Sai, ho un piccolo problemino alla vista”.

Blake sgranò gli occhi scioccato. “Oh, cazzo… tu sei…”.

“Eh sì”.

“Accidenti, non me n’ero neanche accorto. M… mi dispiace”.

“Ti dispiace di non essertene accorto o perché sono cieco?”

“Non lo so, per tutte due credo”.

L’altro ridacchiò. “Non dispiacerti, meglio che non te ne sia accorto. Di solito è la prima cosa che le persone notano in me quando mi guardano”.

“Oh davvero?”

Non è possibile. Come fanno? Sei talmente bello che non si potrebbe notare nient’altro oltre la tua bellezza.  

Però adesso si spiegavano un bel po’ di cose: ad esempio, perché portasse gli occhiali da sole anche nei luoghi al chiuso e perché non lo stesse guardando in viso mentre gli parlava.
Certo che era stato un idiota a non essersene accorto prima. E dire che l’aveva osservato bene quando l’aveva visto la prima volta.

“Comunque, non mi sono neanche presentato. Io sono Blake”. Disse alla fine, per cambiare discorso visto che quello era diventato un po’ ostico. Fece per porgergli la mano, ma alla fine ci ripensò, ritrovandosi a scrollarla in aria come se stesse scacciando via i moscerini. Tanto l’altro non l’avrebbe vista.

“E io Tyler”.

“Piacere, Tyler”.

Improvvisamente, un tizio grosso quanto un barile gli passò dietro col carello e Blake si dovette spostare per farlo passare in quello stretto spazio. Ma facendo questo, si ritrovò quasi addosso a Tyler. Non appena alzò lo sguardo si accorse di quanto erano vicini, talmente vicini che riusciva a sfiorargli le converse con le proprie e, se si fosse sollevato sulle punte, avrebbe potuto anche baciarlo. E ne fu terribilmente tentato, fu terribilmente tentato di prendere possesso di quelle labbra color pesca, così perfette e così morbide.

“Tyler!”

Entrambi voltarono la testa nella direzione da cui proveniva quella voce e Blake vide una donna piuttosto giovane, dai capelli biondi raccolti in una coda di cavallo e un pacco di carta igienica sotto braccio venire loro incontro.

“Scusa se ci ho messo tanto, ma questo posto sembra un labirinto”.

“Ehm… mamma”. Fece Tyler, guardando per terra. “Questo è Blake”.

La donna spostò lo sguardo sul ragazzo accanto a suo figlio, curiosa. Era un tipo parecchio più basso di suo figlio, magro e senza muscoli particolari, addirittura la maglietta che aveva addosso gli stava abbastanza larga. Aveva i capelli biondo rossicci, gli occhi verdi e qualche lentiggine sparsa sul viso. Ma tutto sommato era carino, aveva uno sguardo da cucciolo bisognoso di coccole.

“Ciao, Blake. Io sono Kelly, la madre di Ty”. Si presentò lei, porgendogli la mano.

“Sua madre? Wow, avrei detto che fosse sua sorella”.

Kelly rise divertita. “Oh caro, lo prendo per un complimento”.

“Certo!”

“Comunque, noi ora dobbiamo andare”. Aggiunse, riponendo la carta igienica nel carello.

“Sì. Ehm… pure io. Mia madre mi aspetta. Ci vediamo Tyler”.

Li salutò entrambi frettolosamente, per l’ennesima volta in imbarazzo, e corse via, sorridendo allegro fra sé e sé.

***

Ken si stava preparando un succulento panino alla mortadella e, proprio mentre stava abbondando con il ketchup e la mostarda, sentì dei forti ed insistenti colpi alla porta.
Volle, però, prima finire di preparare il panino, ma quello che bussava sembrava avere particolarmente fretta, visto che non smetteva un attimo di schiaffeggiare la porta.

“Arrivo!” gridò dalla cucina, asciugandosi le mani in uno strofinaccio.

Lasciò di malavoglia il suo panino e, attraversando il salotto, arrivò alla porta d’ingresso e l’aprì, sperando tanto che fosse qualcosa di veramente importante, visto che aveva dovuto mollare la sua cena.

“Oh Blake”. Disse con tono un po’ deluso, trovandosi davanti la solita faccia da schiaffi dell’amico.
Spalancò la porta per farlo entrare e gli voltò le spalle per tornare in cucina.

Blake lo seguì fedele come un cagnolino, anzi, per poco non si mise addirittura a sbavare da quanto contento era in quel momento.

“Non sai cosa mi è appena successo”. sbottò, dietro le spalle di Ken che finalmente poteva finirsi il suo tanto agognato panino. Ma l’altro sembrava proprio che non vedesse l’ora di confidargli quello che gli era appena successo e l’amico seppe subito che non si sarebbe liberato tanto facilmente.

“Ricky Martin è venuto a bussare alla tua porta?” ipotizzò Ken ironico, ma usando un tono indifferente, come di chi è leggermente annoiato. In realtà, però, doveva ammettere che si divertiva ad ascoltare le storie di Blake e a volte le ascoltava con piacere.

“Ehm, quasi”.

“Wow. Allora non tenermi sulle spine”.

Kenny prese il suo panino dal piatto e cominciò finalmente a mangiarlo, gustandoselo e assaporando tutti gli ingredienti. Con gli occhi cercò di prestare attenzione all’amico.

“Hai presente il bellissimo ragazzo del locale che ho visto la settimana scorsa?”

“Quello che hai descritto come se fosse Patrick Sweyze in Dirty Dancing?”

“Sì, proprio lui. Ebbene, l’ho visto al supermercato poco fa”.

Il ragazzo del panino sgranò gli occhi e per poco non si strozzò con la mortadella per la sorpresa.

“Dici… dici sul serio?”

“Sììììì!” gridò Blake tutto contento, battendo le mani e saltellando.

“E...?” fece l’altro, affinché l’amico continuasse. Intanto diede un altro morso al panino.

“Ho scoperto che si chiama Tyler, che è parecchio più alto di me e che la donna che sembrava sua sorella è in realtà sua madre e si chiama Kelly”.

“Wow! E ci hai parlato?”

“Sì, e ha una voce stupenda. Forte, profonda…”.

Ken si aspettò di sentire una lista di aggettivi, tutti positivi, che descrivessero solo la voce di questo misterioso ragazzo, ma Blake si zittì di colpo e sembrò rabbuiarsi.

“E adesso che c’è?”

“Ho scoperto un’altra cosa su di lui”.

“Cioè?”

“Be’… è… cieco”.

Ken lo guardò con una faccia confusa. “Che intendi per… cieco?”

“Intendo che è cieco. Cos’altro dovrebbe voler dire?”

“Oh! Quindi, non… non ci vede”.

“Eh già”.

“Accidenti”. Finì di mangiarsi il suo panino in silenzio, per poi aggiungere. “Senti, secondo me dovresti lasciarlo perdere. Con tutta probabilità sarà etero e comunque sia, se anche dovesse succedere qualcosa tra voi, non è facile stare accanto ad una persona che ha un handicap…”.

“Ma non posso lasciarlo perdere, Ken. Io mi sono innamorato e adesso che ho scoperto di questo suo problema… sento di amarlo ancora di più”.

L’amico sospirò. “Ci soffrirai e basta, Blaky”.

“Questo lo dici tu. Comunque ora devo andare, mia madre sta aspettando le sue patate”.

“Quali patate?”

Non fece nemmeno in tempo a finire la domanda che Blake se n’era già andato. Quel ragazzo era totalmente matto, ma aveva anche un filo di masochismo dentro le vene. Insomma, doveva volersi veramente male per innamorarsi della prima persona che vedeva. Quindi, o era masochista o stupido.
Ma Blake non era stupido. Era un grande sognatore, terribilmente romantico e lunatico, un po’ imbranato e sbadato, con la testa perennemente tra le nuvole. Era rimasto un po’ bambino, credeva facilmente in tutto ciò che gli si diceva. Il suo più grande difetto era, forse, che si fidava troppo delle persone.
E credeva nell’amore, in quello a prima vista.
Non era certo una persona superficiale, anche se la maggior parte dei ragazzi di cui si era innamorato avevano un bell’aspetto. Lui diceva di sentire una specie di segnale, come una freccia o un fulmine che gli attraversa gli occhi, per poi colpirlo dritto al cuore e all’anima, percuotendolo come vengono percossi gli alberi dal vento.

Molto poetico, sì.

Ma non era più poetico, né romantico quando poi, riceveva il due di picche da tutti quelli che lui aveva vanamente, ma veramente creduto veri amori, scoprendo che, invece, l’avevano solo usato per portarselo a letto o ingelosire qualcun altro.
E lui ci rimaneva male, terribilmente male, ogni volta che lo lasciavano pensava fosse colpa sua e si tormentava, si rintanava nel letto e non mangiava per giorni. Così toccava a lui e  Lucy cercare di tirarlo su di morale.  Per fortuna che a Blake ci voleva poco per riprendersi, ma allo stesso tempo soffriva di sbalzi d’umore peggio di una donna incinta.

Eh sì, era proprio unico nel suo genere.

 

 

MILLY’S SPACE

Buonsalve… finalmente riesco ad aggiornare qualcosa… questa è stata una settimana da delirio, la scuola è appena iniziata e già mi son fatta la gobba sui libri.

Ma non voglio annoiarvi coi miei problemi.

Che ne pensate di questo capitolo?
Blake ha scoperto che Tyler è cieco ma sembra averla presa piuttosto bene… e cosa ne pensa Tyler del bel rossino?
Leggete il prossimo capitolo per scoprirlo ^^.

 

ROXY­­_BLACK: be’, sembra che tu abbia indovinato ^^ comunque no, non sei scema se non te ne sei accorta. Non ho voluto svelare subito questo lato, quindi, meglio ^^. Un bacione grande grande… alla prossima, M. : )

FEDE15498: Tyler: cosa? Sarebbe una figata il fatto che io sia cieco??!! *le sbatte il bastone in testa in preda a una rabbia feroce* Milly: a cuccia, tu!! Hola chica ^^ appena ho letto la tua recensione mi sono guardata intorno sentendomi osservata, sai, un po’ come se ci fossero le telecamere del Grande Fratello (e sì, conosco anche Friends, ma non l’ho mai guardato ^^). Ma dovrei sentirmi in colpa per averti fatta diventare sadica? O.O Però son contenta che la storia ti piaccia, continua a seguirmi e sarai ricompensata… non so da cosa, ma va be’ ^^. Un bacione, Milly.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


YOU ARE MY SUNSHINE

CAPITOLO QUATTRO

Blake si sedette sulla spiaggia, di fronte al mare, a fissare le onde che si infrangevano contro la bianca sabbia e gli scogli.
Osservò alcuni ragazzi che surfavano e riconobbe fra essi Lucy, la sua migliore amica. Era una delle surfiste più brave, le estati precedenti aveva partecipato ad un paio di concorsi e si era guadagnata una medaglia d’oro e una d’argento.

Lei amava il mare; sapeva nuotare, guidare una barca e un motoscafo, fare immersioni e riusciva a restare sott’acqua per quasi due minuti.

Ma d’altronde, anche i suoi genitori vivevano in simbiosi con quest’elemento: sua madre era una veterinaria di animali acquatici e suo padre era proprietario di un acquario che, praticamente tutti  i giorni era pieno di gente e vivevano nella casa di fronte al mare praticamente da quando Lucy era nata.
Ed era anche una bella casa, o per meglio dire una villetta con tanto di piscina e una piccola palestra all’interno, nella quale la ragazza si allenava spesso per tenere in forma il proprio fisico. Perciò non si poteva dire che fosse una brutta ragazza, anzi, in molti desideravano uscire con lei, anche se Lucy non si lasciava toccare tanto facilmente.

Il ragazzo vide l’amica uscire dall’acqua e correre nella sua direzione con la tavola da surf sotto il braccio.

“Ciao!” lo salutò lei con un sorriso allegro, sedendosi accanto a lui sulla sabbia.

“Ciao, Lucy”.

“Cosa ti porta qui al mare, baby?”

“Avevo voglia di un po’ di sole”. Blake osservò il profilo di Lucy, seguendo la linea del suo corpo abbronzato nascosto leggermente dalla muta che, però, metteva ancora più in risalto le sue forme e il seno piccolo.

“E’ da un po’ che non ti vedo. Raccontami che ti è successo, dai”. Lo spronò, raccogliendo i capelli castani in una coda bassa.

“Mah, sai, niente di che… diciamo che… ho conosciuto un ragazzo…”. Cominciò l’amico, facendo un po’ il vago, ma in realtà stava solo aspettando che la ragazza gli chiedesse di più.

Lucy, allora, si voltò a guardarlo con gli occhi sgranati e gli mollò un pugno scherzoso sul braccio.

“Ehi, birbante! Racconta!”

Blake, allora, le raccontò di Tyler, di come lo avesse conosciuto e tutto il resto, mentre lei lo ascoltava, interessata molto di più di quanto non lo fosse stato Ken. Forse perché lei non aveva ancora preso tutta questa familiarità con le cotte dell’amico, come invece aveva fatto l’altro.

“E adesso che cosa hai intenzione di fare?” gli chiese, alla fine del racconto.

“Be’, non saprei. Intanto voglio conoscerlo, poi chissà… non so, forse sarà come le altre volte, magari non mi porterà a niente e soffrirò come sempre… però, in qualche modo sento che sarà diverso, lui ha qualcosa… non so come spiegartelo, Lucy”.

La ragazza rimase a fissare la sabbia ai suoi piedi con sguardo perso e sognante.

“Che romantico”. Sospirò. “Chissà perché voi ragazzi perfetti dovete sempre essere così impossibili”.

“Io perfetto?” fece lui con tono stupito.

“Sì, tu saresti praticamente il sogno di ogni ragazza. Sei così romantico, dolce, gentile con tutti, comprensivo, non pensi sempre e solo al sesso come fanno la maggior parte dei ragazzi. E poi, sei anche carino”. Gli spiegò lei.  

“Davvero?”

“Certo. E sei anche molto modesto”.

“Ma… sarei perfetto anche per una come te?” le chiese allora Blake, in tono malizioso.

“Questo te lo puoi scordare”. Lucy gli mollò un altro spintone scherzoso che diede inizio ad una gara di spintoni, di pugni, finché non si misero a rincorrersi sulla sabbia e a buttarsi l’un l’altro in acqua.

Quando si stava in compagnia di Lucy era praticamente impossibile fare qualcosa di calmo e tranquillo, come stare seduti a guardare un film davanti alla Tv, oppure giocare una partita a monopoli.
Non era certo una ragazza da ricami o lavori a maglia e riviste di moda lei, preferiva di gran lunga giocare una partita a calcio o a qualsiasi altro tipo di sport.

Se Blake era il ragazzo perfetto per ogni ragazza, lei, allora, era la ragazza perfetta per ogni ragazzo.

***

“Mamma, ti prego, dimmi perché siamo qui”.

“Perché siamo stati gentilmente invitati e perché, se non vogliamo fare la figura degli associali, dobbiamo quanto meno conoscere i nostri vicini”.

Tyler sbuffò frustrato e seguì la madre fino al cancello dei Tanen.

Kelly premette il campanello e il suono squillante si sentì fin fuori casa, arrivando alle orecchie dei due che rabbrividirono leggermente.

Arrivò ad aprirgli una Corinne Tanen tutta in ghingheri, ancora più truccata di quanto non lo fosse stata l’ultima volta che l’avevano vista e con un vestitino a pois lungo fino alle ginocchia. Peccato che i pois ormai non andassero più di moda già da un bel po’ e che quel trucco non le donasse affatto, troppo pesante per una donna della sua età.

“Ragazzi! Aspettavamo proprio che arrivaste voi! Venite, prego, entrate”.

La Signora Tanen aprì la porta per farli entrare in casa propria, ma non li fece accomodare come i due si aspettavano. Li trascinò, invece, fino alla porta sul retro che li condusse in un ampio giardino dove altre persone erano già accomodate attorno ad una tavola.

“Vi presento i miei figli Jacob ed Emily”. Corinne indicò i due ragazzi, seduti uno accanto all’altro. Jacob era un ragazzino sui dodici anni, un po’ grassottello e dall’aria viziata. Emily, invece, era una ragazzina piuttosto carina e per fortuna non somigliava troppo alla madre, anche se aveva i capelli scuri come lei e sembrava piacerle mettere in mostra le parti migliori del suo corpo con una magliettina un po’ stretta che le evidenziava il seno e una minigonna che scopriva le gambe lunghe.

“Loro, invece, sono mio marito Scott…” Continuò la signora Tanen. “…e i nostri amici, nonché vicini di casa, abitano qui di fianco. Lei è Anne Peterson e suo marito Rupert”.

I presenti li salutarono con un coro di Salve, mentre i signori Peterson vennero a porgere loro la mano. Il marito di Corinne, invece, si scusò che non poteva abbandonare il barbecue e la carne che aveva già messo sul fuoco.

Anche Kelly e Tyler, allora, si accomodarono a tavola e vennero serviti di un aperitivo ciascuno prima che il pranzo fosse pronto, mentre la padrona di casa faceva avanti e indietro per portare ancora alcune cose che non aveva messo in tavola.

Si parlò del più e del meno, si spettegolò di come la zitella che abitava in fondo alla via avesse piantato dei nuovi fiori che emanavano un odore tremendo, di come al signore vedovo dall’altra parte della strada avessero rotto il finestrino della macchina per rubargli l’autoradio e, solo quando finalmente la carne venne servita, si entrò nel vivo dei discorsi.

Rupert Peterson parlò del suo lavoro e di come tutti avessero paura del capo per la faccia inquietante che aveva e alcuni ipotizzavano addirittura che avesse una doppia vita e che facesse il mafioso. Sua moglie Anne, invece, fece le lodi al figlio ventenne che frequentava un college a New York, non mancando di inserire aggettivi come intelligente, bello, brillante e un ottimo atleta, avendo vinto pure alcune medaglie partecipando a gare di atletica leggera.
Corinne Tanen, invece, si vantò della sua bravura in cucina descrivendo minuziosamente i biscotti che aveva cucinato qualche giorno fa, prodigandosi, ovviamente, ad elencare anche gli ingredienti della ricetta ai quali aveva inserito dei condimenti di sua iniziativa, mentre Scott raccontò di come l’altro giorno avesse portato il figlio al campo da baseball insegnandogli a colpire la palla con la mazza.

Kelly parlò poco, mentre gli altri tre ragazzi non dissero praticamente niente, a parte Jacob che ogni tanto grugniva mentre il padre parlava dell’allenamento a baseball. Quando, però, le chiesero perché lei e Tyler si fossero trasferiti lì e dove fosse il signor Bennett, l’aria intorno si fece più pesante non appena la bionda rispose che era morto un paio di anni fa e Corinne provvide subito a cambiare discorso.

Tyler, con la testa ciondolante sullo schienale della sedia, stava per addormentarsi, quando, ad un tratto, sentì toccarsi il braccio e qualcuno che si chinava di fianco a lui.

“Scusa, penso di non essere l’unica a trovare questi discorsi tremendamente noiosi ed inutili”. Gli sussurrò all’orecchio una voce da ragazza, probabilmente Emily. “Ti va se fuggiamo e ci andiamo a fare un giro?”

Tyler ci pensò un attimo su, forse non era una buona idea abbandonare lì sua madre e andare via con qualcuno che neanche conosceva. Ma decise di mandare tutte le sue insicurezze a fanculo e si alzò dalla sedia seguendo Emily fuori dal cortile di casa, anche perché avrebbe seriamente rischiato di cadere addormentato e quello non gli sembrava il caso.

“Scusa, mia madre a volte tende ad essere molto esuberante e non è capace di tenere la bocca chiusa”. Disse Emily, una volta che si furono allontanati da casa per ritrovarsi a passeggiare lungo il marciapiede della loro via.

“Oh, tranquilla. Anche mia madre è piuttosto espansiva come persona, pensa che a volte sembra tornare bambina e tocca a me fare l’adulto della situazione”.

“Davvero?”

“Sì, non sto scherzando”.

Emily scoppiò a ridere divertita, senza che però Tyler la imitasse. Ormai erano molto poche le cose che lo facevano ridere.

“Senti un po’, anche tu frequenterai la scuola che c’è qua vicino, dopo l’estate?” gli chiese la ragazza, quando si fu di nuovo calmata.

“Sì, penso di sì, mia zia ha già pensato ad iscrivermi da qualche parte”. Le rispose il ragazzo, sistemandosi gli occhiali sul naso.

“Posso farti una domanda?”

Tyler assentì, ma iniziò a temere la domanda che gli avrebbe fatto perché di solito, quando uno ti chiedeva il permesso di porgertela, voleva dire che era seria e che voleva una risposta seria.

“Com’è che sei diventato… sì, insomma, da quando sei…”.

“Da due anni”. La interruppe lui, risparmiandole la fatica e l’imbarazzo di concludere la frase, anche perché si immaginava che gli avrebbe chiesto questo. “Sono diventato cieco due anni fa per un incidente. Ma se non ti dispiace, preferirei non parlarne”.

“Oh sì, certo, non ti preoccupare. Mi dispiace per avertelo chiesto”. Cercò di scusarsi lei, per paura di essere apparsa troppo indiscreta. “Immagino che la ferita sia ancora aperta, in fondo è successo poco tempo fa e deve essere stato terribile…”.

Tyler sospirò. Emily aveva ragione, la ferita era ancora piuttosto aperta e ancora preferiva non parlare dell’argomento, ancora gli faceva troppo male.

“Sì, è stato brutto, ma… mi ci sono abituato. Ho dovuto abituarmici”.

“Certo. Comunque, spero che possiamo diventare amici, visto anche che frequenteremo la stessa scuola. Se avrai bisogno di qualcosa, non esitare a chiedermelo”.

Continuarono a passeggiare, arrivando fin quasi nel centro della città e durante il percorso parlarono delle cazzate più stupide ed inutili, alternandole con momenti di silenzio.
Forse, se fosse stato per Tyler, sarebbero stati in silenzio per tutto il tempo, era Emily quella che cercava di trascinare il ragazzo in discorsi che a lui stavano totalmente indifferenti, come se il silenzio le desse fastidio.

Be’, forse era più simile alla madre di ciò che sembrava.  

MILLY’S SPACE

Non so, ultimamente ho la tendenza ad aggiornare di notte, quando tutto il mondo è infilato sotto le coperte. E anche io vorrei essere a letto ora, ma ci tenevo ad aggiornare. Eh, non potete dire che non vi voglio bene : )

Allora, in questo capitolo non succede nulla di che, solo un paio di conoscenze… abbiamo visto chi è Lucy, già nominata nel capitolo precedente, e conosciuto Emily, la classica troietta che non si leverà dai piedi tanto facilmente ^^.

Be’, non mi dilungo in troppe parole, solo ricordatevi di lasciarmi qualche recensione (altrimenti i miei sforzi potrebbero sembrare inutili ç__ç sigh sigh) e di mettere un Mi piace alla mia pagina Facebook. http://www.facebook.com/MillysSpace dove posterò anche le foto dei personaggi, più avanti.
Inoltre, ho pubblicato una raccolta di One Shot ^^
Andate a dare un’occhiata qui
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1287119&i=1 se volete sapere di cosa si tratta ^^.

Bene, ho finito di rompere…

Buonanotte a tutti,

vostra, Milly.

FEDE15498: carissima, non ti preoccupare, Tyler è andato a dormire perciò non ti minaccerà per il momento ^^ *Blake cerca di infiltrarsi nella camera da letto di Ty.
Milly: ehi, tu, dove vai?! >.< Blake: i…io? Ma da nessuna parte. Milly *lo infila in un cassetto* ^^ bene, stavo dicendo: Tyler è a letto e presto lo sarò anche io ^^ comunque sono molto contenta e pure onorata di avere questo potere, mi stimola molto sapere che ci sono lettori che non vedono l’ora di leggere i miei scritti. Sono molto contenta che i personaggi ti piacciano, diciamo che ciascuno di loro ha una caratterizzazione particolare e qui hai conosciuto anche Lucy, spero ti piaccia pure lei ^^.
Bene, ho finito. Alla prossima e… buonanotte <3

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


YOU ARE MY SUNSHINE

CAPITOLO CINQUE

“Be’, sono contenta che tu abbia deciso di uscire e questa volta di tua spontanea volontà”. Confessò Kelly, afferrando il menù e mettendosi a leggerlo, forse più per fare qualcosa che per decidere che cosa mangiare. “Ma mi dici che cosa te lo ha fatto decidere?”

“Niente. È solo che a casa mi annoiavo, tutto qua”. Le rispose il figlio, il più innocentemente e indifferentemente possibile. In realtà un motivo preciso per cui era venuto lì c’era, ma non lo capiva nemmeno lui del tutto.
E per non pensare ad altro, tese le orecchie per captare qualche interessante discorso proveniente da altri clienti. Lo faceva spesso quando andava da qualche parte. Se non poteva guardare la gente che passava, almeno poteva ascoltarla.

Nonostante fosse orario di pranzo, non sembravano esserci molte persone e loro erano riusciti a trovare un tavolo anche abbastanza isolato.

“Toh’, ma chi si rivede!” esclamò, improvvisamente, una voce giovane e maschile.

“Blake?” fece Tyler riconoscendola.

“Hai indovinato, baby! Ti meriti un premio”.

Kelly ridacchiò e guardò il figlio con un’espressione strana, ma lui ovviamente non se ne accorse.

“Vi porto la stessa cosa della volta scorsa?” chiese allora Blake, afferrando la matita da dietro l’orecchio e stringendo il bloc-notes.

“Se ti ricordi che cos’era per me sì”. Lo sfidò il moro.

“Certo che mi ricordo. Ho una buona memoria io”. Ribatté deciso l’altro ragazzo, puntandosi la matita contro il petto. “Anche per lei, giovane madre di Tyler?”

“Certo!” esclamò la donna con un sorriso, sia per il complimento sia per la simpatia del ragazzo.

Blake si allontanò dal loro tavolo piuttosto velocemente, lasciandoli di nuovo soli.

Kelly si protese verso il figlio e gli sussurrò: “Ma sapevi che Blake lavorava qui oggi?”

“No, non ne avevo la più pallida idea”. Le rispose il figlio facendo finta di niente. In realtà dentro di sé sapeva che tra i motivi che l’avevano trascinato fin lì c’era anche il desiderio di incontrare di nuovo Blake.
Quel ragazzo l’aveva colpito, in un certo qual modo, ma non sapeva perché. Forse erano la sua simpatia o la sua spontaneità o magari… il suo profumo?

Blake ritornò quasi subito con i loro due piatti stretti tra le mani e li servì come un bravo cameriere sa fare. Poi, anziché tornare in cucina come avrebbe dovuto fare, si sedette accanto a Tyler e allungò le gambe sotto al tavolo per stiracchiarsi un po’.

“Scusate, se non vi dispiace vorrei sedermi un attimo. È tutta la mattina che corro avanti e indietro”. Disse, massaggiandosi il collo.

“Ma non hai dei clienti da servire?” gli chiese Tyler, sgranocchiando una patatina. In realtà, però, non poteva dire che gli dispiacesse che Blake si fosse seduto con loro.

“Oh no, son già tutti soddisfatti, se no mi chiameranno”. Rispose il rosso, rubando una patatina dal piatto del moro. “Comunque, non vi ho mai visti in questo quartiere. Siete appena arrivati?”

“Sì, ci siamo trasferiti dall’Indiana da quasi due settimane”. disse Kelly che, come sempre, non perdeva occasione di chiacchierare un po’.

“Indiana, eh? Ho sentito dire che ci sono dei bei paesaggi”. Commentò Blake, fregando un’altra patatina dal piatto di Tyler.

“Non ti sei perso niente”.

“Ah sì?” e allungò di nuovo le mani sul piatto dell’altro.

“Ma la smetti di fregarmi le patatine?” sbottò a quel punto il moro, puntando gli occhi sul rossino.

“Come hai fatto ad accorgertene?”

“Sono cieco non deficiente”.

Kelly, allora, scoppiò a ridere, mentre Tyler grugniva scontento e Blake gli rubava altre patatine, ridendo anche lui.

Quando la situazione si fu nuovamente calmata e tutti tornarono seri, il cameriere decise di continuare ancora la conversazione.

“Abitate qua vicino per caso?”

“Sì, abbastanza. Nella Sleepy Avenue, dove abitava un’anziana signora che ci ha dato la sua casa in affitto”. Rispose Kelly.

“Ah, forse ho capito quale. E tu Tyler, andrai nella St. James High School?”

“Ah ah”.

“Davvero?!” esclamò allora Blake con gli occhi che gli si erano illuminati tutto d’un colpo. “Allora saremo compagni di scuola!”

“Sul serio? Io credevo che tu andassi ancora alle elementari”. Lo provocò, invece, Tyler.

“Spiritoso”.

 “Ma questa è una bella notizia!” pure Kelly mostrò parecchio entusiasmo a quella notizia, l’unico che invece sembrava totalmente indifferente era il moro. “L’altro giorno abbiamo conosciuto un’altra ragazza che frequenta quella scuola”.

“E chi è?”

“Emily Tanen. La figlia dei nostri vicini di casa”.

“Ah”.

“La conosci?” chiese la bionda, curiosa.

“Sì, diciamo che nella nostra scuola è molto conosciuta. E’ nella squadra delle Cheerleader, ma non è questo il punto… è un po’… come dire, sì ecco… un po’ troietta”.

“Ah, ho capito il tipo”.

“Sì, ecco. Ci prova con tutti i ragazzi della scuola. Con quelli più belli ci sta insieme per un paio di mesi e invece quelli un po’ più brutti se li porta soltanto a letto. È che fa anche delle scommesse con le amiche e poi, sa di essere bella. Alcuni ragazzi cascano facilmente ai suoi piedi”. 

“Ci aveva provato anche con te?” gli chiese Tyler che adesso sembrava un po’ più interessato al discorso.

“Sì, una volta. Ma quando le ho detto che sono…”. Blake, improvvisamente si bloccò, rimanendo con la bocca aperta. Forse non era ancora il caso di dire che era gay.

“Che sei?” insisté il moro.

“Che sono… che non sono interessato, ha lasciato perdere. Ma Emily ti piace?”

“Oh no!” esclamò Tyler sorpreso per la domanda e Blake tirò un sospiro di sollievo senza farsi notare. “No, l’ho vista solo una volta. Non mi è parsa niente di speciale”.

Non aveva certamente pensato ad Emily in quel modo. In realtà, era da un po’ che non pensava ad una ragazza in quel senso. Aveva avuto molti altri pensieri per la testa, per preoccuparsi di trovare anche una ragazza.

***

Kelly e Tyler stavano tornando dalla loro passeggiata fino alla videoteca che avevano deciso di fare quel tardo pomeriggio, quando, improvvisamente, la donna avvistò una figura familiare che passava davanti a casa loro.

“Ehi! Blake!” gridò, sbracciandosi per salutarlo.

Il ragazzo ricambiò e in poco tempo se li ritrovò davanti, Kelly con un sorriso e Tyler perplesso.

“Blake, che ci fai qui?” gli chiese il ragazzo.

“Ho portato a spasso Lula e mi sono ritrovato qui per caso”. Rispose lui fintamente innocente. In realtà era da almeno mezz’ora che faceva avanti e indietro davanti a casa dei due con la scusa di beccare Tyler. Sua madre l’aveva mandato fuori a portare a spasso il cane, così ne aveva approfittato per cercare la casa in cui abitava.

“Lula?” chiese il moro, curioso.

“La barboncina che ora ti sta annusando i piedi”. Gli rispose il rossino, riferendosi alla piccola cagnolina ai piedi di Tyler.

Sia Kelly che Blake capirono immediatamente che gli si erano illuminati gli occhi, nonostante portasse gli occhiali scuri, perché tutto il suo viso aveva assunto un’espressione diversa, più radiosa si poteva quasi dire.

“Oh mio Dio! Hai un cane!” esclamò e, immediatamente, si inginocchiò lì, in mezzo al marciapiede, mollando il bastone ai suoi piedi e prendendo in braccio la piccola barboncina per coccolarla. Lei non sembrava affatto dispiaciuta di tutte quelle attenzioni, ma anzi, prese anche a leccare la faccia al ragazzo e a scodinzolare tutta contenta.

La madre e Blake rimasero a guardarlo increduli, soprattutto quest’ultimo che, anche se lo conosceva soltanto da pochi giorni, aveva capito che Tyler non era tipo da lasciarsi andare ai sentimentalismi e a cose del genere, anzi, gli era sembrato piuttosto duro e serio. Però, vedendolo lì con Lula, si intenerì immediatamente e non riuscì a togliergli gli occhi di dosso e capì che in realtà Tyler non era così come cercava di apparire.

“Ty adora i cani”. Specificò Kelly al ragazzo di fronte a lei come se non lo avesse già capito.

“Te la lascerei volentieri, ma mia madre mi ucciderebbe. È troppo affezionata a Lula”.

Il moro, allora, resosi improvvisamente conto che forse stava dando spettacolo in mezzo alla strada, lasciò andare la cagnolina e si rialzò in piedi spolverandosi i pantaloni.

“No no, riportatela pure  a casa”. Gli disse, tornando di nuovo il ragazzo serio di prima.

“D’accordo, infatti dovrei anche andare”. Concluse infine l’altro, guardando l’orologio che aveva sul polso sottile. “Però, visto che ci siamo incontrati, volevo… volevo chiederti…” cominciò, imbarazzandosi subito. Ma perché doveva essere così difficile? In fondo, mica doveva chiedergli di uscire. “La mia amica Lucy compie gli anni questo sabato e organizza una festa sulla spiaggia. Ci saranno anche alcuni compagni di scuola. Ti andrebbe di venire?”

Tyler sembrò piuttosto perplesso. “Ahem… veramente, non saprei”.

“E dai, Ty! Che ci sarà di male? Così potrai conoscere qualche tuo nuovo futuro compagno di scuola”. Insisté la madre con, di nuovo, il tono da bimba.

Il ragazzo sembrò pensarci un attimo e, alla fine, con un sospiro di rassegnazione, acconsentì.

“Perfetto! Allora passerò a prenderti in moto, alle nove. Ok?”

E senza neanche aspettare la risposta dell’altro, Blake afferrò il guinzaglio di Lula e corse via salutando i due con la mano, intanto che il sole, all’orizzonte, cominciava a tramontare.

 

 

MILLY’S SPACE

Hola!! : ) Ho deciso di regalarvi un altro aggiornamento questa settimana, ma non so se ve lo siete tanto meritato u.u insomma, ragazzi, qualche recensione in più è gradita, eh u.u

Va be’, ovviamente non costringo nessuno, lo so che spesso è una palla star lì a scrivere e pensare a che cosa scrivere, però non sapete quanta gioia potete dare a qualche scrittore in esordio con anche solo qualche piccola parola messa in croce.

Detto questo, non ho altri commenti da fare. Spero vi sia piaciuto il capitolo e spero veramente che vi facciate sentire.

Un bacio grande grande.

Milly : )

P.S. e venite a visitare la mia pagina facebook (Milly’s Space) per avere informazioni su altri aggiornamenti o altre storie… ^^

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


YOU ARE MY SUNSHINE

CAPITOLO SEI

Tyler arrivò in cucina dove la madre stava finendo di lavare i piatti e si appoggiò al tavolo.

“Wow, tesoro! Che sexy!” esclamò Kelly, non appena lo vide vestito tutto pronto per la festa alla quale lo aveva invitato Blake. Indossava una camicia nera a maniche corte, con i primi due bottoni aperti alla quale, poi, aveva abbinato un paio di jeans scuri e strappati. I capelli li aveva pettinati all’indietro con un po’ di gel.
In realtà i vestiti glieli aveva scelti sua madre, purtroppo al tatto non poteva certo percepire i colori, ma almeno era ancora in grado di vestirsi da solo.

Il ragazzo, per tutta risposta, si diresse al frigorifero per prendersi qualcosa da bere.

“Dov’è l’acqua?” chiese alla madre, puntando gli occhi dentro il frigo.

“Alla tua destra. Tra dieci minuti Blake dovrebbe arrivare, no?”

“Sì”.

“Chiamami se c’è qualche problema, ok?”

“Ok”.

“E non fare l’associale”.

Tyler sbuffò ma non disse niente. Non era che faceva l’associale, era solo che di solito non trovava nessuno con cui andare d’accordo, in quei due anni per lo meno.
Si buttò sul divano sorseggiando il suo bicchiere d’acqua, finché pochi minuti dopo, il campanello della porta non gli trapassò le orecchie.

Sua madre corse ad aprire, sicura che si trattava di Blake.
Infatti, non appena spalancò la porta, si trovò il ragazzo lentigginoso davanti e immediatamente chiamò il figlio perché si muovesse ad uscire.

Tyler si alzò dal divano, afferrò il bastone bianco e si calò gli occhiali sul naso, raggiungendo Blake alla porta. Questi, appena lo vide, per poco non tirò un fischio di compiacimento, ma riuscì a limitarsi a restare solamente ad occhi spalancati, cosa che, molto probabilmente, Kelly aveva notato visto che gli stava davanti. Il rossino gli sarebbe volentieri saltato addosso in quell’istante, da quanto lo trovava figo.

“Andiamo?” fece allora il moro, notando che nessuno dei due sembrava voler dire o fare niente.

“Eh? Ah sì, sì… andiamo”.

La madre di Ty augurò loro di divertirsi e li congedò alla porta, mentre i due ragazzi si dirigevano alla moto.

“Reggiti forte”. Disse Blake, una volta che furono montati in sella entrambi.

Tyler circondò la vita di Blake con le braccia e si strinse forte a lui per non cadere. Non aveva paura di andare in moto, ci era stato un paio di volte con il padre, però… però doveva ammettere che gli piaceva sentire la consistenza dei muscoli del rossino sotto le dita. Così le premette ancora di più, stropicciandogli la maglietta, senza neanche accorgersene. 
Blake, dal canto suo, cercava di tenere gli occhi fissi sulla strada e di concentrarsi su quello che stava facendo, ma era difficile con il ragazzo per il quale sbavava da giorni ormai attaccato praticamente alla sua schiena.
Sentiva le sue braccia muscolose stringergli la vita e desiderò tanto intrecciare le sue dita con quelle dell’altro, desiderò ricambiare la stretta e… forse fare anche molto di più e il pensiero di tutto quello che avrebbe voluto fargli cominciò a fargli indurire ciò che aveva tra le gambe.
E questo non andava affatto bene, non in quel momento.

Per fortuna il viaggio durò poco e gli ultimi minuti li passò a canticchiare mentalmente le canzoni dei Jonas Brothers che ascoltava sua sorella per non fare troppi pensieri sconci.

Parcheggiarono la moto vicino alla spiaggia, dove ce n’erano molte altre e scesero in spiaggia sulla quale era già stato acceso un grande falò attorno al quale molti ragazzi ballavano al ritmo di una musica piuttosto orecchiabile, non il solito tunz tunz da discoteca. La notte era già scesa e con essa qualche stella si intravedeva in cielo. 

Non appena Lucy vide arrivare i due ragazzi, corse loro incontro con un sorriso smagliante e quasi saltò addosso a Blake per abbracciarlo.

“Wow! Sei bellissima stasera, baby”. Le disse il ragazzo osservandola e notando com’era vestita. Una maglietta scollata ma non troppo esagerata con una scritta particolare in centro, dei jeans lunghi e attillati. Sarebbe stato troppo chiederle di mettersi una gonna corta, anche se si trattava della sua festa, però aveva deciso di rinunciare alla solita coda di cavallo almeno per quella sera e si era lasciata i capelli sciolti, così ora le arrivavano fin quasi al sedere.

“Grazie, caro. Nemmeno tu sei malaccio”.

“Ehi, Lu… ti presento Tyler”. Blake le indicò il moro che se ne stava un po’ in disparte dietro di loro.

La ragazza lo salutò con un sorriso e un bacio su ogni guancia. “E così sei tu il famoso Tyler”. All’occhiataccia dell’amico, però, si corresse. “Famoso nel senso che Blake mi ha parlato di te un paio di volte”.

“Ah sì?” fece Tyler perplesso.

“Sì, ma non ti preoccupare, Blake non è uno che sparla degli altri”. Lo tranquillizzò lei. “Comunque, volete venire un attimo nella mia baita che vi mostro una cosa?”

Lucy li precedette per condurli fino ad una piccola casetta di legno ed evitò di farli passare per la folla di gente che si dimenava sulla sabbia.
La baita era di proprietà della sua famiglia, si trovava a poca distanza dalla casa in cui abitavano e di solito la usavano per riporci qualche attrezzo o altro oggetto che li serviva per il mare.

Quando entrarono, la prima cosa che saltò loro agli occhi, almeno a quelli di Blake e Lucy, fu un oggetto piuttosto lungo posto al centro della stanza e coperto da un telo arancione.
La ragazza gli si avvicinò e, con un tadan, buttò giù il lenzuolo e scoprì una tavola da surf con dei disegni piuttosto raffinati ed eleganti che la decoravano.

Blake rimase ad occhi sgranati per lo stupore. “Ma questa non è la tavola da surf che desideravi?” le chiese, ricordandosi bene la prima volta che erano andati in giro per i negozi e lei l’aveva vista. Da quel momento, non aveva fatto altro che parlare di quella tavola e di quanto la desiderasse e, molto probabilmente, l’aveva elogiata anche davanti ai suoi genitori, sebbene non fosse una ragazza troppo esigente o viziata che voleva a tutti i costi quello che le piaceva.

“Sì, è proprio questa!” esclamò lei tutta contenta.

Blake si avvicinò per ammirarla meglio e ci passò le dita per sentire com’era al tatto. Lui non era un appassionato di surf  e non si intendeva con le tavole. Sapeva nuotare al massimo in stile ranocchio, figurarsi fare cose spericolate tra le onde.

“Vieni, Tyler. Senti com’è”.

Il moro, rimasto vicino alla porta fino a quel momento, si avvicinò ai due orientandosi con le loro voci e i rumori dei piedi sul pavimento. Blake gli afferrò una mano per fargliela poggiare sulla tavola.

“E’ molto leggera, quindi sarà un po’ come volare sulle onde”. Aggiunse Lucy che, si capiva bene, stravedeva per quella tavola da surf. Sembrava felice soltanto per quella e non per la festa che aveva organizzato.

Improvvisamente, la porta della baita si aprì come se qualcuno avesse voluto sprangarla e un ragazzo dai capelli castani e un po’ spettinati entrò nella stanza tutto trafelato.

“Oh ragazzi! Siete qui!”

“E dove pensavi che fossimo?”

“E io cosa ne so?!”.

“Kenny!” esclamò Blake, allora. “Ehm… ti presento Tyler”.

Il nuovo arrivato spostò lo sguardo sul ragazzo in questione e lo squadrò da cima a fondo.

“Tyler… e così sei tu. Piacere, io sono Kenneth”. Gli si avvicinò e gli strinse la mano con una stretta abbastanza forte, alla quale però, Ty riuscì a rispondere senza esitare. “Ma puoi chiamarmi Ken”.

“E tu puoi chiamarmi semplicemente Tyler”.

Ken ridacchiò.

“Senti, Blake. Verresti un attimo fuori con me? Devo farti vedere una cosa”.

Il rossino esitò un attimo, non gli andava di lasciare da solo Tyler, ma alla fine decise di accontentare l’amico. In fondo, con il moro poteva restarci Lucy.

“Torno fra poco, ragazzi”.

Quando gli altri due rimasero da soli nella baita, calò un silenzio di piombo, si udivano solo le risate e le chiacchiere dei ragazzi che stavano fuori.

“Ehm… vuoi accomodarti? Lì c’è un divano”. Disse allora Lucy, indicando il divano con un cenno della mano. Improvvisamente, però, si ricordò che lui non poteva vederla, così cercò di correggersi subito, un po’ imbarazzata. “E’ dietro di te, un po’ disordinato ma non badarci”.

“E’ da un po’ che non bado all’aspetto estetico delle cose”. Cercò di sdrammatizzare il ragazzo, raggiungendo con cautela il divano.

“Certo, immagino. Posso offrirti qualcosa da bere?”

“No, grazie”. Le rispose semplicemente. Quando, però, calò di nuovo il silenzio, si sentì leggermente in imbarazzo anche lui e disse la prima cosa che gli capitò a mente, sebbene non fosse molto incline alle chiacchiere. “E così ti piace surfare?”

“Sì, pratico surf praticamente da quando avevo dieci anni. Ho vinto anche un paio di medaglie. In realtà mi piacciono tutti gli sport d’acqua, so anche andare in vela e fare immersioni. Una volta ho persino fatto scii nautico”.

“Sei fortunata a vivere vicino al mare, allora”.

“Sì, il mare è come se lo avessi nel sangue. E tu? Pratichi qualcosa?”

“Mi piaceva il basket”. Tyler aveva preso a tormentare uno strappo nei jeans, ancora leggermente in imbarazzo.

“Ti piaceva? Significa che non ti piace più?”

“No, è solo che… diciamo che non lo pratico più da un po’”. Il ragazzo non volle addentrarsi in altre spiegazioni e Lucy sembrò capirlo, visto che non insistette.

“Capisco”. Disse semplicemente.

In quel momento si riaprì la porta della casetta e Blake rientrò di nuovo dentro.

“Rieccomi, scusate l’assenza”.

“Che voleva Kenny?”

“Oh, niente, semplicemente mostrarmi le nuove canne che suo cugino gli ha procurato”.

“E’ fissato col fumo quel tipo”.

“Lascia stare, Lu”.

Decisero di uscire perché lì dentro cominciava a fare parecchio caldo e si riemersero nella folla di giovani corpi pieni di ormoni che ballavano e si divertivano.
Blake rimase un altro po’ con Tyler, chiacchierarono del più e del meno, o meglio, fu Blake a parlare soprattutto, commentando la festa e le persone presenti, assaggiarono vari tipi di drink e di snack.

Quando il rossino si allontanò, Tyler rimase un po’ con Ken e un po’ con Lucy che cercarono di tenergli compagnia, farlo sentire a suo agio e conoscerlo un po’ di più per capire che cosa ci fosse in lui che attirava Blake così tanto, oltre all’aspetto fisico naturalmente.

Ma Lucy doveva spesso correre tra i vari invitati che le chiedevano sempre qualcosa oppure controllare che tutto andasse bene, visto che era la festeggiata, mentre Ken non era molto capace di stare sempre fermo nello stesso posto e ogni due minuti veniva qualcuno a salutarlo e a scambiare quattro chiacchiere con lui.

Così, dopo un po’, il moro si ritrovò da solo, appoggiato al tavolo delle bibite e sorseggiando una bottiglia di birra. E per passare un po’ il tempo, nell’attesa che tornasse Blake, aveva allungato le orecchie per captare qualche discorso interessante proveniente dagli adolescenti che lo circondavano. Ok, in realtà non c’era niente di interessante, solo un gruppetto di ragazze che spettegolavano su un tipo della scuola che si era messo con un’altra tipa e alcuni ragazzi che continuavano a ridere perché qualcuno doveva aver fatto una qualche battuta.

“Quegli occhiali ti servono per proteggerti dalla luna o dal fuoco del falò?” chiese improvvisamente una voce maschile che non conosceva.

Gli ci volle un po’ per capire che si stava rivolgendo a lui, però alla fine rispose, senza cambiare l’espressione indifferente. “Solo per non farmi vedere le brutte facce”.
Tyler continuò a sorseggiare la birra sperando che il tipo se ne andasse, ma questi non sembrava affatto intenzionato a farlo, ma anzi, si appoggiò anche lui al tavolo, molto vicino al moro.

“E fino ad ora ne hai viste molte?”

“Qualcuna sì”. Ridacchiò Tyler, ma per cosa non lo sapeva nemmeno lui. Di facce non ne aveva proprio viste neanche una, ma il nuovo arrivato non sembrava essersi accorto che era cieco.

“Sei un amico di Lucy? O magari un parente?” chiese allora l’altro in vena di conversazione.

“Lucy l’ho conosciuta soltanto oggi”.

“Ah, avrei giurato che fossi un suo parente. Sei un po’ scorbutico come lei”.

“Non mi sembra scorbutica lei”.

“A volte lo è con le persone che non le piacciono”.

Il moro ridacchiò di nuovo.

“Comunque, come ci sei arrivato qui allora?”

“Mi ci ha portato Blake”.

“Ah, Blake”.

“Lo conosci?”

“Lo conoscono quasi tutti a scuola. Dicono che sia gay”.

“E chi lo dice?”

“Be’, tutti”. Lo sconosciuto stava iniziando leggermente a stupirsi della continua indifferenza di Tyler, sembrava completamente disinteressato a qualsiasi cosa gli dicesse. “Ma poi se lo vedi capisci subito che lo è. Si veste sempre con vestiti che andrebbero bene anche ad una ragazza, gesticola quando parla e a volte sembra che saltelli quando cammina”.

Il moro stava iniziando a stufarsi di quei discorsi. Aveva capito che tipo di persona era quel ragazzo e non gli piaceva per niente. Uno che giudicava senza neanche conoscere, soltanto guardando le apparenze e gli piaceva sparlare un po’ troppo.

“Non tutti i gay sono così. E poi, anche se lo fosse, chi se ne frega”.

Non gli importava se Blake era gay. Non aveva niente contro di loro, ognuno era libero di vivere la propria vita come più gli piaceva. Chi era lui per giudicare?

“Ehi, Tyler!” si sentì chiamare proprio dalla voce del rossino che raggiunse l’amico e gli si piazzò di fronte.

“Scusa se ti ho lasciato solo. Tutto a posto?”

“Sì, sì, è tutto ok”.

Dopo un po’ Blake si accorse anche dell’altro ragazzo vicino a loro e storse leggermente il naso non appena lo vide.

“Oh ciao, Johnatan”. Lo salutò, più per educazione che simpatia. Johnatan gli rispose con un cenno della testa, ma non disse niente. Blake, invece, tornò a rivolgersi a Tyler.

“Perché te ne stai qua in disparte?”

“E’ che c’è… un po’ troppa confusione per me”.

Il rossino si guardò un attimo attorno. “Sì, hai ragione effettivamente. Vieni con me”.

E, senza lasciare all’altro il tempo di dire niente, lo afferrò per mano senza neanche accorgersene e lo trascinò via dalla folla.
Arrivarono in una zona più aperta, dove la musica arrivava più attutita e dove nessuno rischiava di pestarli i piedi ballando.

“Ti va se ci sediamo qui, sulla sabbia?” chiese Blake e Tyler semplicemente annuì. Così si sedettero per terra, uno vicino all’altro, rivolti verso il mare che, per fortuna, quella sera era piuttosto tranquillo. La sabbia non era appiccicosa, quindi non rischiavano di sporcarsi i pantaloni e il venticello fresco rinfrescava loro i visi e accarezzava i capelli di entrambi.

“Mi piace stare seduto sulla spiaggia, di notte. Guardare le stelle, ascoltare il rumore del mare che si infrange sulla riva… ce ne sono tante stasera, di stelle intendo”.

Tyler sorrise debolmente. Anche a lui piaceva guardare le stelle, gli piaceva guardare molte cose a dire la verità.

“Preferisco limitarmi ad ascoltare il mare”. Gli disse.

“Immagino”.

Tyler si stupì un po’ del fatto che Blake non gli chiedesse niente, che non fosse curioso di sapere come fosse diventato cieco o cose del genere. Però questo contribuì a fargli crescere ancora di più la simpatia nei suoi confronti.
Blake, dal canto suo, era curioso di saperlo, ma non voleva chiedergli niente. Non si sarebbe guadagnato la sua fiducia né la sua simpatia se ficcanasava troppo. Preferiva che fosse l’altro a decidere se e quando parlargliene.

Così, rimasero entrambi lì seduti, in silenzio, senza dire neanche una parola. Ma non era un silenzio pieno di imbarazzo o tensione, anzi, ci stavano bene. Ascoltavano il fruscio del mare, si godevano il vento che li accarezzava, Blake si beava della presenza di Tyler accanto a lui e Tyler si gustava l’odore che emanava la pelle di Blake. Non capiva perché gli piacesse così tanto il suo odore, era un odore del tutto naturale, si capiva, non quello artificiale di un profumo, eppure lo attirava e molto anche.

“Ehi! Che ci fate qui soli soletti?” esclamò la voce di Lucy, interrompendo il silenzio e la tranquillità nei quali erano sprofondati.

I due ragazzi si riscossero di colpo, quasi addormentati.

“Possiamo unirci a voi?” chiese la voce di Kenny.

Senza attendere una risposta, gli appena arrivati si sedettero sulla sabbia accanto agli altri due e sospirarono.

“Ragazzi! Vi va di provare le canne che mi ha dato mio cugino?” chiese ad un certo punto Ken, illuminandosi al solo pensiero.

“Non lo so, forse non è una buona idea…”. Soffiò Lucy, un po’ pensierosa.

“Eddai, Lu! Non ti succederà nulla”. Insistette l’amico, estraendo già le sigarette. “E poi, è il tuo compleanno. Dobbiamo inaugurarli in qualche modo questi diciassette anni”.

Alla fine tutti e tre si decisero ad assentire e poco dopo si ritrovarono con una canna accesa in bocca, a fumare sulla sabbia, lontani dagli occhi indiscreti di tutti.

“Hai già fumato prima d’ora, Tyler?” chiese Lucy dopo un po’, rivolta al ragazzo moro.

Il ragazzo negò, espirando una ventata di fumo trasparente.

“Allora è la prima volta di tutti e due”.

“Ma Lucy, non dovresti stare con gli altri invitati?” le chiese Blake anche se non sembrava molto interessato alla risposta che gli avrebbe dato, aveva lo sguardo perso a fissare un punto impreciso nell’oceano, gli occhi leggermente appannati.
Sembrava già leggermente fatto, come lo erano anche gli altri tre.

“Oh, loro si possono arrangiare anche senza di me. Francamente non so neanche perché li ho invitati. La maggior parte di loro mi sta indifferente”. Rispose la ragazza, rigirando fra le dita la sua canna.

Non aggiunse altro e nemmeno gli altri dissero più niente, così piombarono di nuovo in silenzio, si udivano solo i loro respiri più pesanti per il fumo e le onde del mare, mentre sopra le loro teste le stelle si stavano facendo sempre più luminose nel cielo scuro.

“Sapete, io a volte non capisco mia madre”. Sbottò improvvisamente Ken, facendo sobbalzare Blake. “Ho la patente da un anno ma lei non mi lascia ancora guidare l’auto. Così devo sempre prendere la moto”.

“Tua madre si preoccupa anche per cose inutili, Kenny. Se starnutisci pensa subito che tu abbia il raffreddore”. Disse il rossino, come se lui conoscesse meglio la madre dell’amico.

“Sì, ma mi chiedo se un giorno me la farà guidare, sta maledetta auto”. Sospirò l’altro, espirando un anello di fumo.

“Da’ retta a tua madre”. Si aggiunse, allora, Tyler, sdraiato sulla sabbia con un braccio piegato sotto la testa. “Le macchine sono pericolose, non sai mai cosa ti può capitare quando ti metti alla guida. Magari ti vai a schiantare contro un’altra auto e in un attimo non ci sei più. Oppure peggio, magari rimani paralizzato o perdi un braccio, una gamba. O la vista”. Aveva fatto tutto quel discorso con tono annoiato, indifferente, tenendo sempre gli occhi puntati al cielo, ma i ragazzi capirono benissimo che in realtà lo riguardava, che quelle parole non gli erano venute per caso.

Blake gli lanciò un’occhiata, un po’ stupito perché era la prima volta che lo sentiva dire più di cinque parole insieme e un po’ sperando che desse qualche spiegazione in più. Voleva tanto sapere come aveva perso la vista, ma non si azzardava a chiederglielo.
E del resto, nemmeno gli altri.

“Nella vita può succederti di tutto”. sospirò, allora, Lucy. “Non sai mai cosa aspettarti”.

Calò di nuovo il silenzio, per altri cinque minuti e poi fu Blake a interromperlo per primo.

“Ma che ti ha detto Johnatan quando è venuto da te?”

“Hai conosciuto Johnatan?!” esclamò Ken.

“Non mi ricordo neanche che cosa mi abbia detto”. Rispose Tyler, rimettendosi a sedere.

“Lascialo perdere quello. È un idiota che si crede chissà chi”. Aggiunse Lucy e se lo diceva lei allora voleva dire che era vero. Non era una ragazza che amava parlare male degli altri o criticarli, quindi se lo faceva c’era sempre un buon motivo.

Restarono lì per un altro po’, anche quando finirono di fumarsi le canne, ma non sprecarono più altre parole.

 

 

MILLY’S SPACE

Rieccoci qui : ) capito un po’ più lungo del solito, ma non abituatevi troppo, è successo solo perché non volevo dividere la festa in due parti ^^. Se no non si va più avanti…

Be’, non ho molte cose da dirvi, spero lo facciate voi lasciandomi una recensione, anche striminzita va bene… mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate, è importanti per gli autori…

Inoltre, vi invito ancora una volta a mettere un mi piace alla mia pagina Facebook sulla quale, col prossimo capitolo probabilmente, vedrete le foto dei personaggi ^^ questo è il link http://www.facebook.com/MillysSpace

E date un’occhiatina alla mia pagina di EFP per vedere le recenti storie che ho pubblicato.

Un bacio a tutti e buon sabato : )

FEDE15498: ehi, ragazza!!! Eh no, mia cara, non va bene u.u non puoi dimenticarti le cose u.u ahah no, dai scherzo : )  lo so che tu mi segui sempre, anche quando non recensisci ^^. Comunque, eccola qua la tanto attesa festa di Lucy... cosa ne pensi? Si cominciano a scoprire delle cose su Tyler e... aspetta e vedrai come evolverà la cosa : )  
Spero di risentirti e un bacione grande grande... M.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


YOU ARE MY SUNSHINE
CAPITOLO SETTE

Blake si buttò di peso sul divano accanto alla sorella e sbuffò di noia. Osservò che cosa stavano facendo alla tv e inorridì non appena si accorse che era uno dei film di High School Musical.
Sua sorella si era vista quei film almeno un centinaio di volte e ancora non si era stufata di guardarli. Non capiva come facesse, era una cazzata tremenda, i personaggi non facevano altro che cantare, ballare e pensare ai vestiti e alla moda. Oltretutto, un film pieno di cliché.

“Come fai a guardarti sempre questo stupido film?” le chiese, osservando come Troy Bolton stava giocando a golf nel campo del padre della bionda Sharpay.

“Non è un film stupido!” rispose lei indispettita, senza togliere gli occhi dallo schermo.

“Se lo dici tu”.

Il ragazzo avrebbe tanto voluto cambiare canale, ma se si azzardava a farlo la sorella si sarebbe incazzata di brutto e l’avrebbe pure picchiato. In realtà non aveva niente da guardare alla tv, anzi, non aveva proprio niente da fare, ma piuttosto che guardarsi High School Musical preferiva andare già a dormire.

“Blake! Susy!” si sentirono chiamare dalla voce della madre. “E’ pronta la cena”.

Il rossino si alzò subito senza farselo ripetere due volte e si diresse in cucina, mentre la ragazzina stoppò il registratore e lo seguì un po’ pigramente.

Quando si sedettero, la madre li servì e tutta la famiglia cominciò a mangiare e a parlare, come facevano sempre durante la cena. Il padre si dilungò in discorsi di quello che gli succedeva a lavoro, mentre la dodicenne Susy raccontava di quello che avevano fatto lei e la sua amica Sharon. La madre, invece, stava ad ascoltarli anche piuttosto interessata.
L’unico che non sembrava minimamente interessato e che non disse neanche una parola fu Blake. Continuava a mangiare quello che aveva nel piatto quasi controvoglia, senza neanche accorgersene, gli occhi fissi in un punto impreciso della tavola e la mente persa in chissà quali pensieri.

“Che cos’hai, Blake?” gli chiese il padre in tono gentile, notando che era piuttosto pensieroso. “Mi sembri un po’ sulle nuvole”.

Il figlio sollevò lo sguardo a guardarlo, ma non fece in tempo a rispondere che la sorella intervenne.

“E’ innamorato”. Cantilenò.

“Stai zitta, tu!” la sgridò, allora, il fratello, girandosi per lanciarle un’occhiata minacciosa.

La ragazzina, però, per tuta risposta, scoppiò a ridere rischiando di rovesciarsi il succo addosso e, in quel momento, anche la madre spostò gli occhi sul figlio interessata.

“Davvero, tesoro?” gli chiese.

“E anche se fosse?” fece Blake, abbassando lo sguardo nel piatto, imbarazzato. Era un pessimo bugiardo, se provava a mentire sua madre se ne sarebbe sicuramente accorta e poi, in genere, non c’erano molte cose che le nascondeva.
I suoi genitori sapevano quasi tutto di lui, persino che era gay e non si erano fatti molti problemi su questo. All’inizio erano rimasti un po’ scioccati, certo, ma gli volevano bene lo stesso. A loro bastava che fosse felice.

“E dimmi, chi è?” domandò ancora la donna che amava molto i pettegolezzi. “E’ figo?”

“Be’, abbastanza”. Si decise a parlare finalmente il figlio. “Si chiama Tyler, abita nella Sleepy Avenue…”.

“Ah, forse ho capito chi è”. lo interruppe il padre, servendosi altri spaghetti al pomodoro. “Si tratta mica di Tyler Bennet, quello che si è trasferito insieme alla madre nella casa della vecchia Signora Pegg?”

“Sì, proprio lui”.

“Ah. Ma quel ragazzo non è mica… cieco?”

“Sì, lo è”.

“Davvero?!” esclamò la madre sorpresa.

“Ma tu come fai a sapere chi è, papà?”

“Me ne ha parlato il signor Tanen, sono stati a pranzo da loro. Effettivamente mi ha anche detto che sua figlia Emily non ha fatto altro che ripetere quanto fosse attraente”.

Il ragazzo scrollò le spalle. Il padre di Emily lavorava  con il suo e andavano anche parecchio d’accordo, perciò era normale che si raccontassero alcune cose l’un l’altro.

“Mi ha anche detto che ha saputo che il padre di Tyler è morto in un incidente”. Aggiunse l’uomo.

Questa volta fu il turno di Blake di sgranare gli occhi per la sorpresa. “Davvero?!”

“Non lo sapevi?”

Il ragazzo negò col capo. No, non ne aveva idea. Effettivamente, aveva conosciuto solo sua madre, un presunto padre non l’aveva mai visto e il ragazzo non gliene aveva mai parlato. Ma non si era di sicuro immaginato che potesse essere morto.
Poi rimase un attimo a pensare e provò a fare due più due. Il padre di Tyler era morto in un incidente, poteva essere stato un incidente d’auto, il ragazzo, inoltre, alla festa aveva detto che in auto si potevano fare degli incidenti e che si poteva morire e poi aveva fatto un allusione che lui aveva perso la vista proprio in un incidente…
Non poteva essere che…

“Ma dimmi qualcosa di più di questo Tyler”. Insistè allora la madre, distraendolo dai suoi pensieri.

“E che cosa vuoi sapere?”

“Be’, che rapporto avete, ad esempio. Siete amici?”

“Sì, credo di sì”.

“Ma anche lui è gay?”

“Non lo so, non credo”.

“E lo sa che tu lo sei?”

“No, non gliel’ho detto”.

“Dovresti dirglielo”.

Il ragazzo annuì debolmente. Non aveva molti problemi a dire di essere gay, né a negarlo se glielo chiedevano, però non gli era mai capitato di doverlo proprio specificare. Di solito la gente lo capiva o almeno lo sospettava quando lo vedeva.
Quando lo vedeva, appunto, ma Tyler non lo poteva vedere.

Quando la cena fu terminata e anche l’interrogatorio da parte della madre, Blake si alzò dalla sedia e andò in camera sua, buttandosi di schiena sul letto.
Rimase un attimo ad ammirare il soffitto e a pensare ancora a Tyler e a come poteva dirgli che era gay, soprattutto a come avrebbe reagito a quella notizia.

Improvvisamente, sentì il cellulare vibrare e trovò due messaggi, uno di Lucy e l’altro di Ken.

Lucy: ehi, grazie ancora per il regalo, mi è piaciuto molto. Tu sì che hai gusto, sei il mio amico gay preferito xD. Ci vediamo presto, vienimi a trovare quando vuoi.
P.S. Tyler è proprio figo, adesso capisco perché ti sei innamorato di lui.

Ken: alla festa di Lu ci siamo divertiti, vero? E tutto per merito delle canne. Domani ci vediamo? Spero di sì. E magari porta anche Tyler, me lo scoperei volentieri. Cerca di scoprire se anche lui è gay.

Blake sorrise tra sé e sé. Lucy e Ken erano degli amici fantastici, non sapeva che avrebbe fatto senza di loro.
Ma decise di rispondere più tardi ai messaggi, in quel momento si sentiva abbastanza stanco e non aveva voglia di far niente, nemmeno di muovere un muscolo.

***

La madre di Tyler continuava a correre in giro per la casa, ogni volta dimenticandosi qualcosa. Riporre il portafoglio in borsa, indossare la maglietta, mettere il profumo...

Era il suo primo giorno di lavoro come segretaria nel museo d’arte dove lavorava anche la sorella ed era piuttosto agitata.
Chiedeva al figlio se magari aveva messo troppo profumo, se indossava una maglietta troppo scollata, dimenticandosi pure che lui non la vedeva, e il figlio le rispondeva con un sei perfetta, mamma come un disco rotto, tenendo gli occhi fissi alla tv sul quale stava guardando, o meglio, ascoltando un programma di cucina su Real Time.

“Più tardi arriverà la zia Mandy, così non starai tutto il tempo da solo, ok?”

“Ok”.

“Se hai bisogno di qualcosa, chiamami. Basta che schiacci in basso del tasto grande del telefono, va bene?”

“Va bene”.

Kelly sistemò un’ultima volta la borsa e indossò la giacca.

“Sei sicuro che ce la farai a stare da solo?”

“Sì, mamma, non ti preoccupare. Non è la prima volta”. Le rispose Tyler, leggermente frustrato.

“Ok, ti voglio bene”. gli sussurrò, dandogli un bacio sulla guancia.

“Anche io, mamma”.

La donna uscì velocemente e il ragazzo rimase finalmente solo, nel silenzio che circondava la casa.
Appoggiò la testa allo schienale del divano e chiuse gli occhi, concentrandosi per ascoltare il programma che stavano trasmettendo in Tv, ma improvvisamente, una certa fiacchezza lo colse e sentì di star cominciando pian piano ad entrare nel mondo dei sogni.

Quando le braccia di Morfeo stavano per coglierlo, il campanello della porta lo destò di colpo e per poco non lo fece balzare fino al soffitto.

Maledisse la zia Mandy che era già arrivata, se la aspettava molto più tardi.

Si alzò lentamente dal divano e andò alla porta, sbattendo contro il tavolino di vetro e tirando imprecazioni.

“Entra pure, Mandy”. Disse non appena aprì la porta, girandosi subito dall’altra parte per tornare in salotto.

“Non so chi sia questa Mandy, ma di sicuro io non sono lei”. Disse, invece, una voce maschile dietro di lui.

“Blake?!” esclamò Tyler sorpreso.

“Indovinato, baby”.

“Scusa, credevo fossi mia zia”.

“Sei rimasto deluso?”

“No, affatto!” esclamò il moro, sincero. In realtà, era contento che Blake fosse venuto. “Accomodati”. Gli disse, tornando a dirigersi in salotto. Qui inciampò di nuovo nel tavolino di poco prima, sbattendo forte il ginocchio. Questa volta, però, il mobile l’aveva fatto sbilanciare e così si era ritrovato a mulinare con le braccia in avanti, sentendo di stare per cadere.
Ciò però non successe perché Blake lo aveva afferrato da dietro con le braccia magre, circondandolo per la vita.

Riuscì a rimettersi dritto e poi si girò verso il rossino per ringraziarlo. Ma questi, non appena lo vide in volto, sgranò gli occhi ed esclamò: “Oh mio Dio!”

“Che c’è?” chiese Tyler un po’ preoccupato.

“Tu… tu hai degli occhi stupendi”.

“Eh?”

Blake rimase imbambolato a fissare gli occhi dell’altro, come incantato. Non aveva mai visto degli occhi come quelli di Tyler, erano azzurri, ma non un azzurro semplice. Erano come il cielo in estate, un cielo sereno e senza nuvole, mentre attorno alla pupilla diventavano sempre più chiari, assumendo tonalità di grigio.

Cristo, Tyler, perché devi essere così bello?

“Davvero, Tyler. Tu hai dei bellissimi occhi”.

Il moro li abbassò leggermente, sentendosi in imbarazzo. Blake, allora, lo lasciò andare, anche se avrebbe voluto stringerlo ancora tra le proprie braccia e magari baciarlo, ammirare ancora i suoi occhi che finalmente riusciva a vedere.

“Dovresti farli vedere più spesso, anziché metterti sempre gli occhiali. Sono davvero belli”.

“Ma tanto non mi servono a niente”.

Tyler sembrava essere diventato improvvisamente malinconico, forse anche sul punto di piangere, ma in poco tempo riuscì a riscuotersi e a tornare come era di solito: duro e impenetrabile.

“Comunque, posso offrirti qualcosa? Da bere? Da mangiare?”

“No, grazie. Piuttosto, vorrei vedere la tua stanza, se posso”.

“Certo. È di sopra”.

Il moro lo condusse su per le scale a chiocciola, mentre Blake gli stette dietro, attento che non si facesse male di nuovo.

“Wow! Non è male!” esclamò il rossino non appena fu entrato dentro. Tyler si buttò sul letto e vi si sedette sopra a gambe incrociate, aspettando che l’altro finisse di ammirare l’ambiente.
Blake fu attirato da una fotografia incorniciata e appoggiata ad uno scaffale che rappresentava il moro da piccolo, più o meno doveva avere dieci anni e lo riconobbe per quei particolari occhi azzurri, abbracciato ad un uomo piuttosto alto, ma ancora abbastanza giovane. Erano seduti per terra, in un giardino dal prato verde e ben curato ed entrambi sorridevano all’obbiettivo, anche il ragazzo aveva un sorriso radioso, come Blake non gliel’aveva mai visto fare.

“Chi è quest’uomo che è con te nella foto?” chiese a Tyler, quello in versione più grande seduto sul letto.

“Mio padre”. Rispose l’altro.

Blake rimase ancora un po’ ad ammirare la foto, come se fosse la cosa più bella o più straordinaria che avesse mai visto. Ma, improvvisamente, sentì una certa tristezza assalirlo. “Ti somiglia. Avete gli stessi occhi”.

“Mia madre si ostina a tenermela in camera anche se non posso vederla”.

“Be’, è un bel gesto”.

Piombarono entrambi in silenzio, Tyler perché non sembrava voler aggiungere altro e Blake mettendosi a scorrere i titoli dei libri che riempivano le mensole sopra la scrivania. Ne prese uno in mano e cominciò a scorrere le pagine incuriosito.

“Che strani questi libri”. Commentò, per poi esclamare subito dopo. “Ma sono scritti in brail?!”

“Sì”.

“Wow! Non ne avevo mai visto uno”.

“Adesso puoi dire di averlo visto”.

“Li hai letti tutti?”

“Alcuni sì”.

“Chi te lo ha insegnato?”

“Sono andato in una scuola”.

“Scusa, forse sto facendo troppe domande”. Disse poi Blake, notando che Tyler sembrava rispondergli un po’ controvoglia, come se fosse obbligato.

“No, è tutto ok. Solo che… non mi piace parlare di questo, tutto qui”. Fece l’altro, abbassando lo sguardo.

Blake ripose il libro e si appoggiò alla scrivania guardandosi intorno, come se volesse evitare lo sguardo del moro.

“Senti, Ty, ma io e te… siamo amici?” gli chiese un po’ imbarazzato.

Tyler assunse un’espressione perplessa. “Sì, direi di sì”.

Il rossino, allora, sorrise a quella risposta. Se non potevano stare insieme, almeno sarebbero stati amici. Anche se, doveva ammettere, non gli sarebbe stato semplice essere amico di qualcuno che amava.

“E ci possiamo raccontare tutto, quindi?”

“Blake, se vuoi sapere qualcosa da me, basta che me lo chiedi. Non servono tutti questi giri di parole”. Sbottò, infine, Tyler che aveva l’impressione di aver capito dove l’altro volesse andare a parare.

“No, no!” si affrettò a rispondergli Blake. “E’ solo che io… ti devo dire una cosa”.

“Dimmi”.

“Io sono… ecco, io sono… sono… gay”.

Tyler rimase con gli occhi fissi al muro di fronte a lui, senza cambiare espressione.

“Ok”. Disse infine.

Blake spalancò gli occhi. “Ok? Tutto qui?”

“Be’, che altro dovrei dire? Se ti piacciono gli uomini sono affari tuoi”.

“Ma non ti dà fastidio?” Il rossino era leggermente stupito, ma anche piuttosto sollevato.

“Perché dovrebbe darmi fastidio? Mica mi salterai addosso come un maniaco pervertito”.

Non sai quanto ti sbagli, Tyler. Non faccio altro che desiderare di farlo fin dal primo momento che t’ho visto.

Il rossino, allora, si sedette sul letto accanto al moro e, senza che l’altro se lo fosse assolutamente aspettato, lo abbracciò forte.

“Blake!” esclamò l’altro, trovandosi a soffocare nella sua morsa d’acciaio.

“Grazie, grazie, grazie…”. Cominciò a dire l’altro, senza lasciarlo andare. Tyler si ritrovò sdraiato sul letto sotto il peso del corpo di Blake che gli stava quasi sopra.

“E per cosa?”

“Be’, per avermi accettato per quello che sono”.

“E come ti dovrei accettare se no? E  poi, anche tu mi stai accanto nonostante io sia cieco”.

“La cecità non è mica trasmissibile”.

“Nemmeno la gaiezza”.

(NDA: sei sicuro? ^^)

Blake ridacchiò divertito e si rimise seduto. “Sai, Tyler, sei divertente a volte”.

“Davvero? Sei il primo che me lo dice”.

“Be’, è vero”.

“Ma i tuoi lo sanno? Che sei gay, intendo”.

“Sì, lo sanno. All’inizio, quando gliel’ho detto, erano rimasti un po’ scioccati, ma poi lo hanno accettato”.

“E i tuoi amici?”

“Lucy è stata la prima a saperlo, praticamente quando l’ho scoperto anche io. Ci conosciamo dalla prima liceo. Ken, invece… be’, diciamo che l’abbiamo scoperto insieme, di essere gay”.

“Anche lui è gay?!” questa volta sì che Tyler parve un po’ sorpreso.

“Sì. Io e lui ci conosciamo da quando avevamo nove anni”.

“Ma… fra voi due c’è qualcosa?”

“Oh no, no. Siamo solo amici, anzi, a volte è come se fossimo gemelli, praticamente ci piacciono le stesse cose e ci intendiamo anche senza parole”.

“E’ bello avere un amico così”. Sospirò il moro, un po’ malinconicamente.

“E tu? Ce l’hai?” gli chiese Blake con cautela, temendo di fare un’altra domanda inappropriata.

Tyler fece una smorfia. “No. Ho avuto parecchi amici una volta, ma… diciamo che le persone ti stanno accanto solo quando fa comodo a loro. Le persone preferiscono non avere molto a che fare con me perché pensano che poi dovranno sempre starmi appresso e quelli che mi stanno vicini di loro spontanea volontà lo fanno perché li faccio pena”.

Era la prima volta che il ragazzo diceva qualcosa di più su se stesso senza allusioni o giri di parole e Blake ne rimase un po’ stupito. Però gli fece anche piacere che si stesse aprendo con lui, da un lato almeno, dall’altro, invece, venne di nuovo assalito dalla tristezza.
Non era giusto, Tyler era un ragazzo fantastico che meritava di essere accettato e di essere felice.
Perché felice non lo era, Blake l’aveva capito in quel momento.

“Sai, anche per me è difficile essere accettato dagli altri. Oltre Ken, Lucy, i miei genitori e mia sorella nessun’altro sa che sono gay. I compagni a scuola credo lo sospettino perché io sono uno di quelli che si capisce subito che sono dell’altra sponda. Quindi, preferiscono starmi alla larga”.

Il moro sospirò. “Non serve circondarsi di molte persone. Ne bastano pochi, purché siano buoni”.

“Già”.

Cadde di nuovo il silenzio, ma solo per pochi secondi, poi fu Tyler il primo a interromperlo, cambiando totalmente argomento. “Hai una sorella?”

“Sì, si chiama Susan, ha dodici anni ed è una rompiscatole. Pensa che si guarda ancora High School Musical e le piacciono i Jonas Brothers”.

Il moro ridacchiò. “Se le piacciono i musical le consiglio di vedersi Mamma mia o Grease. Sono decisamente meglio”.

“Tu li hai visti?”

“Praticamente guardo solo quelli o gli horror, visto che mettono parecchie musiche e posso capire qualcosa”.

“Oh già, immagino”. Disse Blake. “Io, invece, gli horror non li sopporto, mi mettono paura. Lucy li adora e a volte mi costringe a guardarli, ma poi sto sempre con la faccia coperta”.

“Basta solo che pensi che si tratta soltanto di un film”.

“E’ facile dirlo”. Il rossino si mise ad osservare lo scaffale sopra il letto, notando che c’erano un sacco di CD. “Ti piace ascoltare la musica?”

“E’ praticamente una delle poche cose che riesco ancora a fare”.

“Ti piacciono tanto i Queen”.

“Già”.

“Oh mio Dio!” esclamò Blake, improvvisamente, saltando in piedi.

“Che c’è adesso?”

“Non ci credo! Anche tu leggi la saga di Connor Jempsy?”

“Be’, la leggevo. Non dirmi che piace anche a te?”

“Io l’adoro! Me li sono riletti non so quante volte”.

“Oh, io sono arrivato al quarto libro e a metà del quinto. Poi, sai… ho avuto questo piccolo problemino alla vista e non sono più potuto andare avanti. Mi hanno raccontato la storia, ma non nei minimi dettagli”.

“Se vuoi posso leggertelo io”. Si offrì Blake tutto contento.

“Adesso?” fece l’altro stupito.

“Sì, a me non dispiace leggerli di nuovo e poi gli ultimi sono quelli più belli”.

“Be’, se hai così tanta voglia, va bene”.

Blake si sdraiò nel letto accanto al moro. “Abbiamo trovato una cosa in comune”. Gli disse il rossino prima di iniziare a leggere e l’altro sorrise, preparandosi ad ascoltare. 

 

 

MILLY’S SPACE

Ed eccomi di nuovo qui con un altro capitolo bello lungo, per compensare l’attesa.
Allora: nemmeno qui succede nulla d’interessante, a parte Blake che svela a Tyler di essere gay. E meno male che Ty l’ha presa bene ^^.

Una piccola precisazione: la saga di Connor Jempsey l’ho inventata io. In realtà inizialmente avevo pensato a Harry Potter ma siccome la storia è ambientata più o meno nel nostro periodo e Tyler è rimasto cieco due anni fa, avrebbe fatto a tempo benissimo a  finire di leggere tutta la saga ^^.
Dettaglio insignificante ma ci tenevo a dirvelo.
Scommetto però  che vi starete chiedendo dove sono le foto che ho promesso l’altra volta ^^ ehehe… sì sì ci sono… se andate sulla mia pagina Facebook
http://www.facebook.com/MillysSpace sull’album You are my sunshine le troverete : )

E ricordatevi di lasciarmi qualche commentino.

Baci, baci,

M.

FEDE15498: secondo me le fotuzze sono belle, ma poi i gusti son gusti ^^ ma preparati a sbavare su Tyler ^^ Spero che ti sia piaciuto anche questo cappy e fatti risentire ^^.
E, mi raccomando, non sgobbare troppo sui libri o diventi gobba e cieca come Leopardi ^^
Un bacione, Milly.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo otto ***


YOU ARE MY SUNSHINE

CAPITOLO OTTO

In quelle ultime due settimane Blake era venuto praticamente tutti i giorni a casa di Tyler, mattina, pomeriggio, sera, poco importava quando, tutte le volte che aveva del tempo libero, dopo il lavoro e se non doveva fare niente di importante, veniva a trovarlo e si mettevano sempre sul letto del moro a leggere il libro.
E stavano lì come minimo per un paio di ore, durante le quali il rossino riusciva a leggergli anche cinquanta pagine, mentre l’altro stava ad ascoltarlo sempre attento, preso sia dalla storia che dalla voce tranquilla e pacata dell’amico.
E dopo la lettura, capitava anche che uscissero a fare un giro, una passeggiata fino a qualche bar e un paio di volte era capitato pure che Blake si fermasse a cenare insieme a Tyler e Kelly.

Anche quel pomeriggio, mentre il sole fuori splendeva parecchio e faceva abbastanza caldo da trattenere tutti quanti a casa oppure da farli correre al mare, i due ragazzi se ne stavano nella stanza del moro, sdraiati sul letto, Blake a pancia in giù col sesto libro della saga di Connor Ramsey stretto tra le mani e Tyler disteso a pancia in su, le braccia sotto la testa e gli occhi chiusi come se dormisse, anche se in realtà ascoltava.

Ad un tratto, però, arrivato ad un punto, Blake spostò un attimo lo sguardo dal libro e lo posò sul ragazzo accanto a lui. E rimase a fissarlo, con un sorrisetto e un’espressione sognanti, soddisfacendo i suoi occhi che forse non si sarebbero mai abituati alla sua bellezza. Le gambe lunghe che arrivavano fin quasi in fondo al letto, coperti da un paio di jeans scuri, la maglietta leggermente scollata che lasciava intravedere qualche pettorale e che scopriva le braccia forti, una mano poggiata sulla pancia che si sollevava e abbassava al ritmo del respiro, il viso dall’espressione dura, le labbra piene e morbide e il naso un po’ all’in su e alcune ciocche di capelli che gli scivolavano sugli occhi chiusi.

“Perché ti sei fermato?” chiese improvvisamente proprio il moro, senza aprire gli occhi né spostare un muscolo. Probabilmente aveva notato che Blake aveva smesso di leggere da un po’, ma di certo non si era accorto che l’aveva fatto per poter ammirare lui.

Il rossino, dal canto suo, non disse niente, sembrava essere talmente incantato che non si rendeva nemmeno conto di dove si trovasse, né che stesse facendo.
Si sollevò sulle ginocchia, si avvicinò al viso di Tyler e, senza neanche pensare alle conseguenze, probabilmente non era nemmeno del tutto cosciente di quello che stava per fare, posò le sue labbra sopra quelle dell’altro, catturandole in un bacio che non era assolutamente niente di pretenzioso, ma che fece per un attimo dimenticare a tutti e due dove si trovassero, soprattutto a Blake.
Tyler, però, non lo respinse, forse era stato talmente colto alla sprovvista che non riusciva neanche a farlo o forse non aveva ben capito che cos’era successo.

Quando poi Blake si staccò, restò a guardare l’altro dritto negli occhi azzurri che in quel momento erano spalancati, forse per la sorpresa.
Soltanto in quel momento si rese conto di quello che aveva effettivamente fatto e avvampò immediatamente di vergogna. Se avesse potuto, in quel momento si sarebbe scavato una fossa da solo e si sarebbe seppellito per uscirci soltanto fra qualche anno.

“Tyler, io… io”. Iniziò il ragazzo, non sapendo bene né che dire né che fare. “Io devo andare”. Concluse infine, con la cosa che gli sembrava più ovvia. Si alzò frettolosamente dal letto e si diresse alla porta.

“Blake! Aspetta!” cercò di fermarlo l’altro, messosi seduto.

“Non posso, Tyler, sul serio devo andare. Mi dispiace”. E lanciando un’ultima occhiata ai suoi occhi azzurri pieni di confusione, uscì dalla stanza, chiedendosi pure lui se quel mi dispiace era per il fatto che se ne doveva andare o per il bacio.

Forse scappare a quel modo lasciando l’altro nella confusione più totale non era stata una buona idea, però… però doveva ammettere che in quel momento non avrebbe avuto il coraggio di affrontarlo e fare finta di niente sarebbe stato ancora peggio.
In quel momento troppe cose gli vorticavano nella testa ed era troppo agitato per poter dire qualche cosa di sensato.

***

“Blake! Ti vuoi dare una calmata?!” sbottò Lucy, ad un tratto, perdendo tutta la sua pazienza. E se qualcuno riusciva a far perdere la pazienza alla calma e tranquilla Lucy, allora era veramente un caso disperato.
Erano quattro giorni che Blake non faceva altro che piangersi addosso e ripetersi quanto era stupido e tonto.

“Ma, Lucy, come faccio? Ho combinato un casino madornale!” Blake sbatté la testa contro il tavolo e se la coprì con le braccia.

“Be’, l’hai solo baciato”.

“E ti par poco?”

“Non mi sembra che tu abbia commesso un reato grave”.

Blake sospirò pesantemente, forse presto si sarebbe messo anche a piangere, mentre Lucy e Ken si sedevano accanto a lui, uno da una parte e l’altro dall’altra.

“Ascolta”. Iniziò Ken, allora. “Sono già passati quattro giorni e magari lui se ne è pure dimenticato…”.

“Non credo”. Lo contraddisse Blake con tono sconsolato e rassegnato.

“Comunque sia…”. Continuò a quel punto Lucy. “Sono passati quattro giorni senza che vi siate più sentiti e non credi che si meriti almeno una spiegazione?”

“E che dovrei dirgli?”

“A questo punto digli la verità. Digli che sei innamorato di lui”. concluse Kenny.

“Ma non posso! Rovinerei la nostra amicizia se gli dicessi una cosa del genere. A lui non piacciono i maschi, tanto meno gli piaccio io”. Il rossino sembrava sempre più disperato.

“E cosa ne sai?!” provò a farlo ragionare l’amica. “Hai detto che non ti ha respinto. Magari il bacio gli è piaciuto e di sicuro questo non lo potrà ignorare”.

“Tu dici?”

“Sì, tesoro. Dovresti parlargli, chiarire la situazione. Al limite, se lui non prova niente per te, potrete comunque continuare ad essere amici. Sono sicura che col tempo la cotta per lui ti passerà”.

“Io non credo. Lui è… lui è diverso da tutti gli altri con cui sono stato. È così… non lo so, però… non mi piace solo perché è bello. Sento che in lui c’è molto di più di quello che cerca di far apparire e… vorrei conoscerlo, io vorrei che lui fosse mio”.

Lucy gli sorrise teneramente e Ken gli spettinò i capelli. Blake era proprio innamorato perso.

***

Tyler si alzò lentamente dal letto e si trascinò alla finestra per prendere un po’ d’aria.

Non riusciva a dormire quella notte, anzi, erano già circa quattro notti che non riusciva a dormire e quattro giorni che non vedeva e non sentiva Blake. Persino sua madre si era accorta che il ragazzo era sparito, ormai veniva talmente spesso a casa loro che era diventato quasi uno di famiglia. Quando, poi, gli aveva chiesto che fine avesse fatto, lui aveva dissimulato solo con un “Sarà impegnato”.

E in tutto quel tempo Tyler non aveva fatto altro che pensare a lui e a quel bacio che si erano scambiati. Perché sì, se lo erano scambiati: Blake aveva preso l’iniziativa, ma lui non lo aveva di certo respinto e non perché fosse stato colto alla sprovvista, ma perché non aveva proprio voluto respingerlo. Gli aveva creato delle sensazioni piacevoli, gli aveva provocato brividi sulla schiena, gli aveva fatto battere forte il cuore e sentire le farfalle nello stomaco, il dolce sapore delle labbra di Blake l’aveva inebriato e, doveva ammetterlo, l’aveva pure eccitato.

Quindi, sì, quel bacio gli era piaciuto. E non poco.

Si sedette sul davanzale della finestra ed inspirò l’aria fresca dell’estate.

Aveva un terribile bisogno di parlare con Blake, ma non sapeva dove trovarlo né come contattarlo. Forse sarebbe potuto andare al locale dove lavorava.

Continuava a pensarci in modo quasi maniacale e, come se non bastasse, sentiva di avere bisogno di lui. E non poteva ignorare questi sentimenti, anche se era qualcosa di nuovo e strano per lui. Non aveva mai pensato che potesse essere gay, e forse non lo era, però per Blake qualcosa lo provava e non era semplice amicizia.
Inoltre, in qualche modo lo attraeva, l’odore della sua pelle, per esempio, gli era piaciuto quando lo aveva abbracciato quelle poche volte e in quel momento avrebbe tanto voluto trovarsi stretto fra le sue braccia. Questo doveva pur significare qualcosa, no?

In realtà, poi, Blake lo aveva attratto fin dall’inizio, per quel suo carattere così spontaneo e sincero, allegro e disponibile. Era un po’ l’opposto di lui e, se n’era accorto soltanto in quegli ultimi tempi, lo faceva stare bene come ormai non era stato più dopo l’incidente. Forse con lui avrebbe potuto ritrovare quella felicità che aveva perso.

Ma in quel momento aveva una tale confusione in testa che, se non riusciva a capire i propri sentimenti, figuriamoci se avrebbe potuto sapere che cosa voleva.
Voleva Blake, di questo ne era certo, ma… in che modo?

Amico o amante?

***

Blake prese un grosso respiro e si avvicinò alla casa di Tyler.
Alla fine Lucy e Ken lo avevano convinto ad andare a parlargli, ma loro non potevano immaginarsi quanto coraggio gli ci era voluto.

Il piccolo cancello di ferro era aperto, così il ragazzo lo varcò quasi con cautela e il cuore gli andò in gola non appena si accorse che Tyler era proprio lì, a pochi passi da lui, seduto sulla panchina sotto al portico, le ginocchia piegate sul petto e i piedi scalzi, le braccia che circondavano le gambe e lo sguardo rivolto verso un punto di fronte a lui che non riusciva a vedere. Ma sembrava piuttosto triste, o forse solo pensieroso.
Doveva anche essersi appena fatto una doccia, visto che indossava solo dei semplici pantaloni di una tuta e una canotta blu scuro e aveva i capelli scuri un po’ umidi.

Il rossino si incamminò con passo felpato, come se non volesse svegliare qualcuno che dormiva e raggiunse il portico, rimanendo sulla soglia. Tyler sembrava non averlo sentito, visto che non si mosse né disse niente.

“Tyler?” lo chiamò allora, cercando di tenere la voce il più ferma possibile.

L’altro sobbalzò. “Blake?”

Blake salì i due scalini che aveva davanti e fece cigolare le scarpe sul pavimento di legno.

“Dove sei?” gli chiese il moro, senza spostare lo sguardo.

“Qui”. Gli rispose l’altro, sedendosi immediatamente sulla panchina, accanto a lui. “Ascolta, Tyler”. Disse allora, raccogliendo tutto il coraggio che riuscì a trovare. “Non so che mi sia successo quando ti ho baciato, mi sono semplicemente lasciato guidare dall’istinto. È solo che… che tu mi piaci e tanto, mi sei piaciuto fin dal primo momento che ti ho visto”. Gli prese la mano e lo guardò dritto in viso, mentre Tyler continuò a tenere gli occhi puntati davanti a sé. “Io sono innamorato di te e… e ora non so che fare. Non so che fare perché sicuramente ho rovinato la nostra amicizia e questo mi dispiace un sacco…”.

“Baciami!” lo interruppe, allora, l’altro.

Blake spalancò gli occhi. Forse non aveva capito bene. “Che cosa?”

“Baciami”. Ripeté Tyler, girando finalmente il volto nella sua direzione. “Voglio che mi baci, di nuovo”.

“Ma…”.

“Stai zitto e baciami”.

Non se lo fece ripetere un’altra volta. Gli prese il viso tra le mani e lo baciò. E questa volta fu un bacio vero, dato con la lingua e con passione. Nessuno dei due si tirò indietro, rimasero lì a baciarsi finché non ebbero bisogno di riprendere fiato. E anche allora continuarono a coccolarsi, ad accarezzarsi, Tyler scivolò con la lingua sul collo di Blake, forse per assaporare meglio il suo odore, mentre Blake si spinse contro il corpo di Tyler cercando di averne un maggior contatto. E poi ripresero di nuovo a baciarsi.

Continuarono così per un po’, finché non si calmarono e rimasero semplicemente seduti, Tyler appoggiato al petto di Blake e Blake con un braccio attorno alle spalle di Tyler.

“E adesso?” fece il rossino, interrompendo il silenzio nel quale erano precipitati.

“E adesso voglio soltanto godermi questo momento”.

“Ma anche tu sei… sì, insomma, sei gay?”

“No”. Rispose il moro in un primo impulso, ma immediatamente dopo cercò di correggersi. “Cioè… non lo ero prima di conoscerti. Insomma, non lo so nemmeno io. Il fatto è che anche tu mi piaci, credo e… non lo so. Mi fai star bene”.

“Ma quando mi hai baciato…”.

“Era perché ti volevo baciare”.

“Ma noi adesso siamo… cioè… stiamo insieme?”

“Se tu lo vuoi sì”.

“E tu lo vuoi?”

“Be’… perché no?”

Blake sorrise felice e diede un altro bacio a Tyler. Questi si lasciò andare contro di lui, rilassato e con una piacevole sensazione addosso.
Non aveva idea di come le cose sarebbero andate da lì in poi, non sapeva se tutta quella storia aveva un senso o se avrebbe avuto un futuro, per le coppie omosessuali non era mai facile, ma… in quel momento tutti quei se e quei ma non gli interessavano. Sapeva solo che stava bene e che Blake era ciò che voleva.
E questo gli bastava.

Al diavolo tutto il resto.

 

 

MILLY’S SPACE

Eccovi un nuovo aggiornamento, finché ho tempo ne approfitto ^^

Sono però un po’ delusa, insomma, neanche un recensione : ( mi rendete triste, ragazzi. Almeno le foto potevate commentarle o quantomeno mettere mi piace.
Le recensioni servono molto, sapete? U.U

Va be’, non sto a rompervi tanto.

Vi rinvito a mettere mi piace alla mia pagina facebook e se avete tempo e voglia date un’occhiata al nuovo forum che ho creato: http://111.forumcommunity.net/

Baci : )

M.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo nove ***


YOU ARE MY SUNSHINE

CAPITOLO NOVE

“Ehi! Ti va se andiamo a farci un giro sulla spiaggia?” propose Blake ad un certo punto, con voce squillante, girandosi verso Tyler.

Il moro sbadigliò. “D’accordo. Anche perché qui rischio di addormentarmi”.

I due ragazzi si alzarono dal letto, Blake ripose il libro che fino a quel momento stava leggendo e Tyler fece per prendere il suo bastone bianco ma, non appena lo afferrò, l’altro gli bloccò la mano.

“Aspetta. Ti fidi di me?”

“Sì”. Rispose il moro senza neanche pensarci.

“Allora lascialo a casa. Ti guido io”.

Tyler sorrise fra sé e sé. Non poteva negare che la cosa gli faceva molto piacere.

Arrivati al piano di sotto, avvisarono Kelly e si fiondarono subito fuori per salire sulla moto di Blake e partire in direzione della spiaggia, Tyler abbracciato al rossino proprio come quella volta che erano andati alla festa di Lucy. Solo che questa volta poté godersi la consistenza del  suo corpo senza doversi preoccupare di trattenere i propri impulsi.

Quando raggiunsero la spiaggia, Blake spense la moto e subito dopo si girò verso Tyler.

“Ti andrebbe di fare una cosa?” gli chiese.

“Che cosa?”

“Hai mai guidato una moto?”

“Sì, quando avevo quattordici anni”.

“E ti andrebbe di riprovare?”

Il moro strabuzzò gli occhi. “Qui? Adesso?”

“Sì”. Gli rispose Blake come se avesse detto la cosa più ovvia del mondo.

“Ma, Blake, io…”. Tyler non capiva come una cosa del genere potesse essergli saltata alla mente. O era uno che amava il rischio, ma non gli dava proprio questa impressione, oppure era terribilmente masochista. Insomma, far guidare lui…

“Non c’è nessuno qui, la strada è quasi del tutto dritta e io ti dirò dove andare. Ci facciamo solo un giro sulla spiaggia, niente di più”.

Tyler parve un po’ perplesso e rimase un attimo a pensare. Era un po’ pericoloso, forse, però… non era così impossibile. E gli sarebbe piaciuto poter guidare di nuovo. Ma perché Blake lo faceva? Per farlo sentire normale almeno per un po’? O per qualcos’altro che lui non riusciva a capire?

“Sei sicuro di volerlo fare?” gli chiese, poi.

“Certo. Per te farei qualsiasi cosa”. Rispose Blake sinceramente e con una voce assolutamente naturale, come se avesse appena detto che per cena voleva mangiare gli spaghetti.

Al moro, allora, iniziò a battere forte il cuore, ma alla fine si convinse anche lui e, con un po’ di agitazione, salì davanti sulla moto e mise le mani sul manubrio.
Fece partire la moto, all’inizio piuttosto lentamente, ma poi, acquisita più pratica e anche più coraggio, aumentò la velocità e cominciò ad andare abbastanza spedito.
Blake gli disse solo un paio di volte di girare il manubrio perché non finissero in acqua, era lui chiaramente che teneva gli occhi fissi alla strada, ma era anche abbastanza rilassato. Voleva soltanto che Tyler si sentisse normale per un po’, voleva fare tutto ciò che poteva per renderlo felice.

Fecero un paio di giri e, quando finalmente si fermarono, Tyler si scoprì a tremare ancora leggermente, sia per l’emozione che per l’agitazione, ma un po’anche per l’adrenalina che ormai stava andando via.

“Allora, ti è piaciuto?” chiese Blake, voltandosi verso il suo ragazzo.

“E come potrebbe non essermi piaciuto? Grazie Blake”. Gli rispose l’altro con un sorrisino sghembo a decorargli le labbra.
Il rossino, allora, si sollevò sulle punte delle scarpe da ginnastiche per raggiungere le labbra di Tyler e gli diede un bacio a sorpresa, circondandogli il collo con le braccia. Il moro, invece, abbassò leggermente il capo per colmare quella evidente differenza di altezza e ricambiò il bacio, stringendo forte a sé il ragazzo e facendolo cozzare contro il proprio petto.
Non c’era nessuno che poteva vederli, erano solo loro due, ma probabilmente, anche se ci fosse stato qualcun altro, se ne sarebbero fregati.

Quando si staccarono, con un po’ di malavoglia, si avvicinarono alla riva tenendosi per mano e si sedettero sulla sabbia, Blake appoggiato alla spalla di Tyler e l’altro a circondargli la vita con un braccio, proprio di fronte al mare, col sole che tramontava e dipingeva il cielo coi colori del fuoco.

Era proprio un panorama stupendo, a Blake dispiacque che Tyler non se lo potesse godere, perciò non fece alcun commento.

“Sai, quando ero piccolo…”. Iniziò il moro ad un tratto e  l’altro sobbalzò leggermente. “… mio padre mi portava tutte le estati in campeggio al lago. Partivamo la mattina presto, ci portavamo qualcosa da mangiare, i sacchi a pelo e la tenda. Facevamo il bagno, pescavamo anche per ore e poi, la sera, mangiavamo il pesce che avevamo preso. La notte, invece, prima di andare a dormire, ci sdraiavamo per terra e ci mettevamo a guardare le stelle. Facevamo sempre a gare su chi riusciva a contarne di più, oppure a chi riusciva a vedere più stelle cadenti. Mi ricordo che una volta io ero riuscito a catturare un pesce enorme, ma era talmente pesante e grande che lui mi aveva dovuto aiutare a tirare la canna e per poco non eravamo finiti entrambi in acqua”. Blake ridacchiò immaginandosi la scena, ma immediatamente si accorse che, invece, Tyler sembrava piuttosto malinconico e continuava a tenere gli occhi fissi sul mare. “Alla fine, però, siamo riusciti a prenderlo e l’abbiamo arrostito sul fuoco. Non ne avevamo avanzato neanche un pezzo. E quello era stato l’ultimo campeggio che abbiamo fatto”.

Smise di parlare e cadde un silenzio un po’ pesante, piuttosto malinconico. Passò qualche secondo e Blake pensò che l’altro non avrebbe aggiunto più niente. Forse avrebbe dovuto dire lui qualcosa, ma non trovava le parole, magari quello era uno di quei momenti in cui si doveva restare semplicemente in silenzio.

“Lo so che muori dalla voglia di chiedermelo”. Fece di nuovo Tyler. Forse pure lui cominciava ad essere stanco di stare sempre in silenzio, forse aveva bisogno di sfogarsi ma per tutto quel tempo aveva soltanto cercato la persona giusta con cui farlo.

“Che cosa?”

“Lo sai benissimo che cosa”.

Sì, Blake lo sapeva benissimo. C’erano un po’ di cose che voleva chiedergli e già da parecchio, ma fino a quel momento si era sempre trattenuto. Adesso, magari, poteva soddisfare la sua curiosità. Che, poi, non era semplice curiosità, ma anche desiderio di conoscere di più Tyler, il suo ragazzo.

“Che è successo a tuo padre?”

Il moro attese un attimo prima di rispondere, come se dovesse trovare il coraggio. “E’ morto in un incidente esattamente due anni fa, lo stesso incidente d’auto in cui io ho perso la vista”.

Blake, allora, si staccò dalla sua spalla e si mise seduto, voltando lo sguardo verso di lui e guardandolo quasi scioccato. Era successo solo due anni fa?

“Quel giorno eravamo andati a vedere una partita di basket in un posto che era ad un’ora di distanza da casa nostra. Quando stavamo tornando, era già notte fonda, però noi due non eravamo stanchi. In macchina ci siamo divertiti a commentare la partita e a raccontarci altre cose divertenti. Eravamo in una strada poco illuminata, ma ad un certo punto abbiamo visto dei fari piuttosto forti venirci incontro. Mio padre aveva capito che si trattava di un’altra macchina che guidava in senso opposto, ma quando aveva tentato di sterzare ormai era troppo tardi. L’altra auto ci è venuta addosso e io e mio padre ci siamo praticamente trovati a testa in giù. Lui era svenuto, io, invece… io ero sveglio, ma non capivo bene che cosa fosse successo. Avevo un terribile mal di testa e volevo soltanto poter dormire. E poi… l’ultima cosa che ricordo furono le sirene dell’ambulanza che venivano a soccorrerci”.

Durante tutto il discorso non aveva assolutamente spostato lo sguardo e aveva praticamente parlato con un tono talmente inespressivo che sembrava stesse raccontando la storia di qualcun altro.
Ma Blake aveva capito che invece stava soffrendo molto di più di quanto non volesse dare a vedere. Se non avesse avuto quel carattere così orgoglioso e duro, probabilmente avrebbe anche lasciato andare le lacrime che gli rendevano lucidi gli occhi.

“In seguito ho scoperto che il tizio che ci era venuto addosso con l’auto era ubriaco e che mio padre era morto sul colpo. Io, invece, ero stato in coma per qualche giorno e quando mi sono svegliato… non vedevo più niente a causa di un’emorragia cerebrale. E quando ho scoperto che non ci avrei mai più rivisto e che non avrei più avuto accanto mio padre ho sentito come se l’intero mondo mi fosse crollato addosso. Quando, poi, sono tornato a casa dall’ospedale sono stato a letto per un mese, una parte del tempo la passavo a dormire e l’altra a piangere. Non volevo né mangiare né alzarmi se non per andare in bagno. Continuavo a sperare che fosse tutto soltanto un brutto incubo, che mi sarei risvegliato e che avrei scoperto di vederci ancora e che mio padre mi avrebbe aspettato a tavola con la colazione. E quando, poi, mi accorgevo che, invece, non sarebbe stato così mai più, avevo voglia di spaccare tutto e davo la colpa a lui per quell’incidente, perché era morto e perché io ero rimasto cieco. Ma sapevo che in realtà non era stato lui, che quel tizio ubriaco ci era venuto addosso, allora mi sentivo in colpa io per averla data a mio padre e desideravo soltanto che lui fosse ancora accanto a me. Non m’importava se io ero rimasto cieco, volevo soltanto che lui fosse ancora vivo”.

Adesso era Blake che si stava per mettere a piangere. Aveva ascoltato tutto quel discorso senza emettere fiato, sentendosi sempre più peggio. Capiva quanto male doveva essersi sentito Tyler, quanto aveva sofferto.
Se fosse stato al posto suo… oddio, non riusciva nemmeno ad immaginare che avrebbe fatto.

“Allora ho anche desiderato raggiungerlo, ho desiderato morire pure io e non sai quante volte ci ho pensato, al suicidio. Una volta ci ho pure provato: ho preso delle forbici e volevo tagliarmi le vene. Ti giuro, ero lì… Ma mia madre mi ha beccato. Credo di averle fatto perdere vent’anni di vita. E ancora oggi ho gli incubi su quella notte, mi risveglio di colpo sudato e con un’incredibile voglia di piangere. Oppure sogno qualcos’altro, sogni in cui riesco ancora a vedere e… quando mi risveglio ho voglia di piangere ancora di più”.

Quando finì di parlare, abbassò lo sguardo e si passò una mano sugli occhi.
Blake, invece, si sforzava di non scoppiare a piangere.

“Dio, Tyler… mi… mi dispiace. Io…”. Bofonchiò, ma non aveva idea di che cosa poteva dire.

“Fa niente. Ormai è passato. È andata così e ora è inutile piangersi addosso”.

“Sì, ma…”.

“Possiamo tornare a casa?” lo interruppe il ragazzo, alzandosi di scatto in piedi. A quanto pareva, non voleva sentire alcun commento su quella storia. Era già stato doloroso per lui riviverla.

Blake, allora, non aggiunse altro. Si alzò anche lui e insieme raggiunsero la moto per tornare a casa di Tyler.

Una volta arrivati, il rossino accompagnò il ragazzo fin nella sua stanza, anche perché aveva dimenticato di prendere il libro e decise che era ora che lui tornasse a casa.

“Ty, io dovrei andare adesso”.

Tyler però non gli rispose. Era rimasto appoggiato al muro accanto al letto, con la testa piegata in avanti, così l’altro non riusciva a vedergli bene il viso. Riusciva, però, a vedere che stava tremando, come se fosse scosso da… dei singhiozzi?

“Tyler?” lo chiamò, avvicinandoglisi. In quel momento, allora, si accorse che stava piangendo. Il suo volto era rigato di copiose lacrime che non si preoccupava nemmeno di nascondere.

“Oddio! Vieni qui, tesoro”. gli sussurrò il rossino, abbracciandolo e sedendosi sul letto.

Il moro affondò il viso nella sua maglietta e si lasciò andare ad un pianto quasi disperato. Blake lo strinse forte a sé e prese ad accarezzarlo e coccolarlo, lasciandolo sfogare. Aveva capito che il ragazzo aveva bisogno soltanto di sfogarsi, probabilmente non aveva ancora finito di versare tutte le lacrime dopo quell’incidente. Aveva capito che quel suo carattere così duro e impenetrabile era soltanto una corazza che si era costruito per non apparire debole o vulnerabile. Voleva mostrare agli altri che non gli importava, che gli andava bene così.

Ma, in realtà, dentro di lui soffriva… troppo.

“E’ successo oggi. Oggi è l’anniversario della morte di mio padre”.

 

 

MILLY’S SPACE

Eh lo so, è da un po’ che non aggiorno… ma i giorni prima delle vacanze di Natale sono state un delirio… l’altro giorno comunque, sulla mia pagina, vi avevo promesso che aggiornavo qualcosa… ed eccomi qui, alle 4 di mattina davanti al pc a soddisfare i miei lettori ^^ ditemi che non sono una fantastica scrittrice ^^

Ahaha, no ok, è che semplicemente non riesco a dormire…  mi succede sempre durante le vacanze: mi alzo alle dodici e mi addormento alle cinque…

Va be’, che ci possiamo fare??

Comunque, una piccola precisazione sul capitolo: la scena in cui Blake fa guidare la moto a Ty in realtà lo fregata a un’altra mia storiella (La luce dei miei occhi). Se qualcuno di voi l’ha letta probabilmente se ne sarà accorto ^^.

Detto questo vi lascio, sicuramente non vi interessano i miei sproloqui…

Vi invito però a lasciarmi qualche recensione, anche piccola piccola, così da sapere che cosa ne pensate di questa storia e di questo capitolo un po’ malinconico rispetto agli altri…

Nei prossimi giorni dovrebbe arrivare anche l’aggiornamento di qualche altra fic…

Oh e naturalmente non dimenticatevi di cliccare un mi piace alla mia pagina facebook dove potrete vedere anche le foto dei personaggi di questa storia : )

Un bacione,

Milly.

P.S. e non abbuffatevi troppo coi panettoni, mi raccomando ; )

Link alla pagina : http://www.facebook.com/MillysSpace

STEFANMN: eehi : ) ho letto tutte le tue recensioni… grazie mille, sei sempre fedelissimo… come un cagnolino ^^ sono contenta che ti sia piaciuto lo scorso capitolo… cosa ne pensi di questo, invece?? Comunque non ti preoccupare… sì, sono piuttosto sadica perché mi piace far soffrire i miei pg ma penso che Tyler abbia già sofferto abbastanza… direi che un po’ di felicità gliela possiamo regalare, no? Bene dai, fatti risentire, mi raccomando : ) un bacione e vai a vederti le foto ^^

FEDE15498: ehi bella : ) grazie mille per la recensione, mi è piaciuta un sacco… e scusami se ti ho fatta attendere molto, spero mi potrai perdonare… concerto degli one direction?? No, mia cara, Milly non approva u.u e nemmeno Tyler e no, neanche Blake u.u ahaha, no scherzo ^^ allora, tornando alla storia… oddio, non so, pure io ho adorato la parte in cui Tyler dice a Blake: “Stai zitto e baciami”. Lo trovo così… così… boh, non so… dolce ^^ ahaha, mi faccio i complimenti da sola… eh, sarà per l’ora credo, sto delirando… figurati che non so più nemmeno che cosa sto scrivendo… ok, la smetto di romperti che è meglio… fammi magari sapere che cosa ne pensi di questo capitolo e cerca di non dimenticartelo… e guarda che non ti cadono le dita se recensisci subito ^^
Un bacione, Milly.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo dieci ***


YOU ARE MY SUNSHINE

CAPITOLO DIECI

Tyler non riusciva a dormire. Era da un po’ ormai che se ne stava disteso sul letto, gli occhi aperti fissi ad un soffitto che non poteva vedere.
Continuava a ripensare alla giornata appena trascorsa in spiaggia con Blake. Era stata bellissima, gli aveva fatto guidare la moto, aveva potuto sentire di nuovo il vento scorrergli tra i capelli, sentirsi di nuovo normale almeno per un po’.
Il fatto di essere cieco gli pesava un sacco, non lo faceva vedere ma era così. Aveva dovuto rinunciare a molte cose, al basket ad esempio: era sempre stato il suo sport preferito, con suo padre ci giocava fin da quando era piccolo e gli ripeteva spesso che era un campione. E Tyler si sentiva un campione, era bravo e lo sapeva bene. Gli piaceva anche leggere, da bambino sua madre gli regalava spesso dei libri e lui li divorava in poco tempo. E ora aveva dovuto rinunciare anche a quello. I libri in breil non gli piacevano e men che meno gli audiolibri.
Per non parlare, poi, che per alcune cose aveva ancora bisogno di aiuto.

Tutto per colpa di quel giorno, quel giorno in cui era andato tutto a puttane.
E lui di certo non poteva cambiare le cose.

Aveva pregato tutti gli dei del mondo, di tutte le religioni, aveva supplicato anche il suo angelo custode nel quale non credeva, ci aveva messo di mezzo pure i santi, madre natura e qualsiasi cosa gli fosse venuta in mente ma non era servito niente.

Cieco era diventato e cieco sarebbe rimasto. E aveva tanta voglia di spaccare il muro.

Sua madre pensava che lì le cose sarebbero un po’ migliorate, che magari lui si sarebbe sentito meglio, che si sarebbe aperto un po’ di più. Non glielo aveva detto ma lui l’aveva capito.
Ma Tyler ormai si era rassegnato. Niente sarebbe più tornato come una volta.

Però c’era Blake adesso. Blake era un ragazzo così carino, simpatico, dolce, spontaneo e sincero. Aveva accettato il suo problema senza farne drammi, come se si fosse trattato di una cosa di poco conto.
Ma non era certo una cosa di poco conto, non per Tyler almeno.

E, quindi, non poteva fare a meno di pensare che Blake fosse quel piccolo barlume di luce di cui aveva bisogno.
Ed era il suo ragazzo. Brividi strani lo percorsero a questo pensiero. Era strano, non credeva si sarebbe mai messo con un ragazzo. Anzi, in verità non aveva mai pensato molto a questo, non era uno a cui interessavano molto nemmeno le ragazze.
Però era bello, gli piaceva farsi coccolare da Blake, baciarlo, sentire le sue mani su di lui…

Non sapeva quanto sarebbe durata, ma sperava che durasse.

Improvvisamente sentì la porta della sua stanza cigolare e dei leggeri passi muoversi sulla moquette.

“Tesoro, sei sveglio?”

“Sì, mamma”.

“Stai bene?”

“Certo”.

“Non riesco a dormire”.

“Nemmeno io”.

Nel buio della stanza la donna si avvicinò al letto di Tyler e si sdraiò accanto a lui. Lui le circondò le spalle con un braccio e lei appoggiò la testa sul suo petto muscoloso. Sembrava che fosse lei la bimba piccola e lui il padre che la doveva proteggere.

“Ho raccontato tutto a Blake”. Sbottò ad un certo punto il ragazzo.

Kelly alzò lo sguardo osservando il suo viso duro e serio.

“Proprio tutto?”

“Sì”. Non le disse che però si era messo a piangere come un bambino. Un po’ iniziava a turbarlo questo fatto e cominciava a credere che non fosse stata una buona idea aver raccontato tutto a Blake. Forse era troppo presto.
Ma lui aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno e Blake… be’, Blake gli sembrava la persona giusta.

“Mamma, ti ricordi quella volta che… che ho tentato di… sì, insomma…”.

“Sì, me lo ricordo”. Lo interruppe la donna, capendo che cosa Tyler non riusciva a dire. Quella era una cosa che non avrebbe mai dimenticato, aveva ancora impressa nella mente l’immagine di Tyler che, con un paio di forbici, si incideva i polsi.

“Non ti ho mai chiesto scusa”. Le disse lui.

“Non mi devi chiedere scusa”.

“Sì, invece… ti ho spaventata. Mi dispiace, non dovevo farlo… tu…”.

“Ho capito, tesoro. Posso capire come ti sentivi, avevi solo quindici anni e… anch’io se fossi stata al tuo posto credo che…”.

Tyler sospirò. Voleva un immenso bene a sua madre, lei aveva fatto tutto ciò che aveva potuto per lui in quegli ultimi due anni, sebbene non sia stato facile nemmeno per lei.

“Ti voglio bene, mamma”.

“Anche io, Ty. Anche io”.

E, abbracciati così, si addormentarono.

***

Quel giorno Tyler e Blake avevano deciso di andare a vedere gli allenamenti di tennis di Lucy. Oltre a tutti gli sport acquatici che praticava, aveva aggiunto pure quello. Non si poteva certo dire che non si tenesse in forma.

Si stava allenando insieme ad Emily Tanen, nel momento in cui i due ragazzi arrivarono, ed era proprio la bionda ad avere la meglio.
La divisa di Emily non la tradiva di certo, con una gonnellina bianca corta e una magliettina piuttosto attillata, i capelli raccolti in due lunghe trecce che le scendevano ai lati. Invece Lucy era decisamente più pratica, con dei pantaloncini aderenti e corti, una semplice maglietta a maniche corte e una fascia e tenerle lontani i capelli dal viso.
Di certo lei non avrebbe mai indossato una gonna, tanto meno mentre praticava uno sport.

Non appena finirono, le due ragazze vennero loro incontro e li salutarono. Emily era felicissima di vedere Tyler, un po’ meno nel vedere Blake, però.

Decisero di farsi una passeggiata lungo il campo, ma alla fine si sedettero su una panchina di fronte a quello da basket. Era un piccolo campetto con due canestri ai lati, creato per i ragazzi che volevano farsi qualche partitina o allenarsi un po’. Nel mezzo c’era una palla abbandonata.

Rimasero lì qualche minuto a chiacchierare e a ridere, poi Blake si alzò per andare nel campo. Afferrò la palla e prese a palleggiarla, ma non era molto esperto. Provò a tirare a canestro ma fallì miseramente, la palla non lo sfiorò nemmeno.

Emily e Lucy lo fischiarono divertite.

Il ragazzo mostrò loro una boccaccia e ci riprovò.

“Rinuncia, Blake, non riuscirai mai a fare canestro”.

“Questo lo dici tu”.

Al terzo tentativo fallito, il rossino sbuffò.

“Devi tenere gli occhi sul canestro finché tiri la palla”. Gli disse allora Tyler dalla panchina. “Anzi, concentra lo sguardo sul quadrato che c’è sopra e fai un piccolo salto quando tiri la palla”.

Blake lo ascoltò attentamente, ma non era convinto che ci sarebbe riuscito. Lui e l’attività fisica non andavano molto d’accordo.

“Perché non me lo fai vedere tu?” chiese al moro allora, avvicinandoglisi.

“Cosa?”

“Dai!” il rossino lo prese per una mano e lo trascinò in campo senza che l’altro avesse il tempo di dire qualcosa. Lo piazzò di fronte al canestro e gli diede la palla. “Forza fammi vedere!”

Tyler sospirò ma alla fine si arrese. “Allora, le gambe devono essere un po’ distanziate l’una dall’altra, le ginocchia leggermente piegate e le mani con le dita ben aperte sulla palla. Gli occhi fissi al canestro. Quando tiri la palla allunghi le ginocchia per fare un piccolo saltello”.

Il ragazzo fece tutto quello che aveva detto e tirò la palla, confidando già che non avrebbe centrato il canestro.
Gli altri, però, rimasero zitti.

“Che è successo?” chiese, allora, Tyler scettico.

“Succede che hai fatto canestro”.

“Davvero?!” esclamò sorpreso con un piccolo sorrisetto sulle labbra.

Allora anche le due ragazze sedute sulla panchina cominciarono ad applaudire e a gridare “Bravo, Tyler!”

“Giocavi a basket?” chiese all’improvviso Emily, non sapendo che andava a toccare un tasto dolente.

“Sì, ci giocavo quando ero piccolo con mio padre. A quattordici anni ero entrato nella squadra della scuola, ma poi… be’, ho dovuto mollare”.

Blake abbassò lo sguardo, capendo benissimo perché Tyler aveva dovuto mollare lo sport che gli piaceva.

“Eri bravo?” chiese ancora Emily. Ma perché non stava mai zitta quella ragazza?

“Ero uno dei migliori”.

Blake, non volendo che il ragazzo ricordasse momenti tristi, prese in mano la situazione e gli rubò la palla dalle mani.

“Prova a prenderla!” gridò divertito al moro. Tyler non se lo fece ripetere due volte e si aggrappò alla sua maglietta, sovrastandolo con la sua altezza. Ma Blake teneva la palla stretta al petto e non la mollava.

Alla fine cascarono entrambi per terra, distesi sull’asfalto del campo a tenersi la pancia dal ridere. Quando si calmarono, Blake salì  cavalcioni sopra a Tyler e rimase un attimo a guardarlo negli occhi azzurri.
Infine lo baciò e rimasero a baciarsi per un po’, ignari del fatto che potesse vederli qualcuno.

Come Emily, ad esempio: seduta sulla panchina un po’ più distante da loro non capì subito che cosa stessero facendo, ma quando lo realizzò, sgranò gli occhi.

Lucy, accanto a lei, ridacchiò.

“Be’, di che ti stupisci?” le chiese.

“Ma io… non… io…”. Non sapeva che dire. Era sorpresa, sì. Sapeva che Blake era gay, glielo aveva detto lui stesso, ma non si aspettava che lo fosse anche Tyler. Lui era così figo, così forte… era uno spreco. E poi, come poteva stare con uno come Blake? Certo Blake non era brutto, ma era così… così… effeminato.

Forse era più delusa che sorpresa.

***

Blake parcheggiò la moto nel cortile di casa sua e aiutò Tyler a scendere.

“Benvenuto nella mia modesta dimora”. Disse il rossino sorridendo.

“Wow! E’ meravigliosa!” scherzò Tyler, senza lasciare la mano dell’altro.

I due fecero per avviarsi, quando, improvvisamente, una voce squillante e spaccatimpani si mise ad urlare.

“Blaaaaaaaakeeeeeee!!!”

Il ragazzo si voltò nella direzione dalla quale proveniva la voce e, non appena vide una ragazzina un po’ bassetta con un vestitino svolazzante corrergli incontro, esalò un sospiro di frustrazione e rassegnazione.

“Preparati a sorbirti l’uragano di mia sorella”.

Tyler ridacchiò e subito dopo percepì una presenza davanti a loro.

“Ciao, Blake!” salutò Susan, non appena li raggiunse. Poi spostò lo sguardo sul moro che teneva la mano a suo fratello.  “Tu sei il nuovo fidanzato di mio fratello?” gli chiese e Blake arrossì fino alla radice dei capelli. Non capiva perché ma gli faceva ancora strano concepire Tyler come il suo fidanzato.

Il moro, dal canto suo, mostrò un sorriso sghembo e del tutto rilassato alla ragazzina e rispose senza problemi: “Certo!”

“Non capisco come fai a sopportarlo. È un rompiscatole”.

“Ehi, ragazzina maleducata! Ritira quello che hai detto!” le gridò il fratello, sporgendosi per saltarle addosso ma Tyler lo trattenne tirandolo per un braccio e scoppiando a ridere.

Così Susan fece una pernacchia in direzione del rossino, per poi tornare a rivolgersi di nuovo a Tyler: “Ma è vero che sei cieco?”

Questa volta Blake desiderò ardentemente prenderla per tirarle il collo, ma si limitò a sgridarla. “Susy, certo che potresti anche frenare la lingua. Non si trattano così le persone”.

“No, va bene”. cercò di calmarlo il moro che non si sentiva affatto infastidito. “Sì, è vero”. Aggiunse, rivolto alla ragazzina.

“Posso vedere i tuoi occhi?” chiese ancora la dodicenne, senza fare assolutamente caso a quello che le aveva detto il fratello.

Blake si conficcò le unghie nel palmi per trattenersi.

“D’accordo”.

Tyler si abbassò per essere alla sua altezza e  alzò gli occhiali sul capo per mostrare gli occhi azzurri.  
Susan sgranò leggermente occhi e bocca ma non disse niente. Rimase per un po’ ad osservarli e poi, come se qualcuno gliel’avesse ordinato, corse via facendo cozzare i suoi sandaletti contro la ghiaia del vialetto.

Il moro inarcò le sopracciglia.

“Credo che sia rimasta affascinata… o scioccata”. Gli rispose Blake, guardando la sorella andare via. Prese di nuovo la mano al suo ragazzo e lo condusse in casa.

Raggiunsero la stanza del rossino e si accomodarono entrambi sul letto, Tyler appoggiato ai cuscini e le gambe incrociate e Blake contro il muro con le gambe a penzoloni.

“Posso farti una domanda?”

“Tipo?”

“Hai mai… sì, insomma… avuto una ragazza o… fatto qualche esperienza… di quel tipo?”

Il moro ridacchiò. “Sì, be’… ragazza fissa proprio no. A tredici anni ho dato il mio primo bacio”.

“Ah sì? Raccontami!” Blake era sinceramente curioso e si mise comodo per ascoltare.

“Be’, non c’è molto da dire. È successo ad una festa, lei aveva una cotta per me e così mi ha chiesto se potevamo darci un bacio. Chiaramente era imbarazzatissima, ma io ho accettato perché volevo provare. Così ci siamo ritirati in una stanza e niente… ci siamo dati un bacio”.

“Ma con la lingua?”

“Sì, sì”.

“E come si chiamava lei?”

“Claire. Eravamo compagni di scuola anche alle superiori e mi hanno detto che poi è diventata molto bella”.

Tyler abbassò lo sguardo e si appoggiò del tutto contro i cuscini, mentre Blake prese a tormentare un lembo del lenzuolo, leggermente in imbarazzo.

“E poi… cos’altro hai fatto?”

Il moro scoppiò a ridere. “Certo che sei curioso”.

L’altro arrossì e ringraziò il cielo che Ty non lo potesse vedere. “Non devi dirmelo se non vuoi”.

“No, no, tranquillo. Te lo dico”. Tornò serio e si mise di nuovo comodo. “A quattordici anni mi sono fatto fare un… pompino”.

“Coooosa?!”

“Sì. È successo dopo gli allenamenti di basket. Gli allenamenti erano finiti, ma io mi ero trattenuto ad esercitarmi ancora un po’, così i miei compagni erano già andati a casa. Alla fine sono andato a fare una doccia negli spogliatoi, ma poi è entrata una tipa. A quei tempi era la ragazza di uno dei miei compagni di squadra e aveva un anno più di me. Io non avevo niente addosso, nemmeno l’asciugamano… inutile dire quello che è successo dopo”.

Anche Blake stavolta scoppiò a ridere ma, quando tornò serio, guardò il suo ragazzo con aria maliziosa e prese ad avvicinarglisi gattonando. “Ma quindi eri figo già a quattordici anni”.

“Hmm… può darsi”. Rispose Tyler con voce maliziosa.

“E anche ben dotato”. Aggiunse il rossino, facendo scivolare una mano tra le cosce del fidanzato.

Il moro gli mostrò un sorrisetto malizioso ma gli bloccò la mano.

“Aspetta. Adesso tocca a te raccontare”.

Blake si bloccò e rimase un attimo a fissare l’altro. Poi si riscosse e si mise seduto di fronte a lui a gambe incrociate e prese a raccontare, non proprio allegro.

“Io ho avuto qualche ragazzo, ma diciamo che le mie storie non sono durate molto. Ma non certo per colpa mia, io sono sempre stato un ragazzo molto romantico che crede nel vero amore e quando conosco qualcuno finisco sempre per innamorarmene. Non lo faccio apposta, semplicemente accade. Però gli altri non mi ricambiano mai o semplicemente lo fanno solo per portarmi a letto. Almeno i ragazzi che ho incontrato io”.

Calò un attimo di silenzio nella stanza, ma poi Tyler sussurrò: “Mi dispiace”.

“Be’ sì, ma pazienza. In fondo, sono io che devo stare più attento. E tu che mi dici? L’hai mai… fatto?”

“No, io non l’ho mai fatto. Dopo… dopo l’incidente non ho più nemmeno pensato alle ragazze e alcuni dei vecchi amici si sono allontanati”.

Non era un argomento di cui Tyler parlava facilmente o volentieri, però con Blake non gli riusciva così difficile. E poi lui aveva il diritto di saperlo, essendo il suo ragazzo.

“D’accordo, non parliamone più”. concluse il rossino, avvicinandosi di nuovo all’altro. “Adesso stiamo insieme e non conta ciò che abbiamo fatto nel passato”.

Eliminò tutte le distanze tra loro due e appoggiò le sue labbra su quelle del moro per trascinarlo in un bacio lento e passionale. Le mani di Tyler scivolarono sulla schiena di Blake, accarezzandolo sotto la maglietta.

Sarebbero andati avanti così per un bel po’ se ad un certo punto la porta non si fosse spalancata di colpo facendo sobbalzare i due ragazzi che si staccarono immediatamente, voltandosi verso l’ingresso della stanza.

“Mamma!” esclamò il rossino, divenuto bordeaux per l’imbarazzo. “Ma quante volte ti devo dire di bussare!?”

“Ops, scusa, tesoro”. ridacchiò la donna che non sembrava minimamente dispiaciuta. “Non pensavo fossi impegnato”.

Blake si batté una mano in fronte, mentre Tyler cercava di non scoppiare a ridere. Quella giornata era diventata parecchio divertente. Ma, d’altronde, con Blake si divertiva sempre un sacco.

“Tu devi essere Tyler, vero?” disse poi la signora, rivolgendosi al moro con un ampio sorriso che lui purtroppo non riusciva a vedere. Voltò il capo nella sua direzione ma abbassò gli occhi.

“Ehm… sì, piacere signora”.

“Oh, chiamami Mel. Non mi piacciono tutti questi convenevoli”.

“D’accordo”.

“Ma sai che sei anche più bello di come Blake ti ha descritto?”

“Mamma!” gridò il figlio, trattenendosi dal lanciarle una scarpa in faccia. Sua madre gli faceva sempre fare delle pessime figure. Adesso capiva da dove Susy avesse preso quel carattere.

“Oh, che c’è? Sto solo dicendo un dato di fatto”.

“Puoi anche startene zitta ogni tanto”.

“Va bene, va bene”. sospirò la donna, alzando le mani in segno di resa. “E comunque sono solo venuta a vedere se avevi della roba da lavare”. Afferrò il cesto con i vestiti sporchi e si diresse alla porta. “Vi lascio in pace. Se avete bisogno di qualcosa chiamatemi”.

Blake tirò un sospiro di sollievo e ringraziò il cielo che non fosse rimasta troppo a lungo. Ma dovette ritirare tutto quando la madre, prima di richiudere del tutto la porta dietro di sé, sporse di nuovo la testa dentro e, con un sorriso malizioso, esclamò: “E mi raccomando, non fate troppe porcate che i vicini vi sentono”.

Il rossino per poco non si strozzò con la sua stessa saliva ma, con una prontezza di riflessi, afferrò il cuscino dal letto e lo tirò in faccia alla madre che, però, se n’era già andata.

Tyler, intanto, se la rideva come un deficiente.

“Che hai tu da ridere?!” lo sgridò il fidanzato.

“Dai, tua madre è simpatica”.

“Troveresti più piacevole un palo ficcato su per il culo”.

“Hmm… be’, chissà…”. Rispose il moro con uno sguardo malizioso e questa volta nemmeno Blake riuscì a non sorridere.

 

 

MILLY’S SPACE

Buooooonaaaaseraaaa!!!

Lo so, sono imperdonabile e ormai non ho più scuse… da quant’è che non aggiorno una fanfic?? Da tanto, troppo tempo… ma ormai lo sapete com’è, non sto a ripetervi mille volte gli impegni che mi assillano. Troppe cose da fare e poco tempo per farle.

Che mi dite di questo capitolo? La scena tra Tyler e Susy l’ho presa da un film di cui non ricordo il nome però l’ho trovata piuttosto simpatica, quindi l’ho voluta inserire anche qui : ) e che mi dite della madre di Blake? Forte, eh? XD

Cercherò di aggiornare qualcos’altro in questi giorni, anche perché poi parto per la Spagna. Però non prometto niente, come al solito, perché la settimana prossima, oltre alle valigie da preparare, ho tre compiti -.-‘’ ma chi me l’ha fatto fare di andare in un liceo… va be’.

Dai, vi lascio… ma voi recensitemi (ditemi pure che siete arrabbiati per questo mega ritardo) e mettete un po’ di mi piace alla mia pagina face: http://www.facebook.com/MillysSpace

Baci : )

FEDE15498: ma che auguri speciali (e sto parlando di quelli che mi hai fatto per Capodanno ^^), grazie mille cara anche se sono un po’ in ritardo, ma sai com’è… eh sì, Ty ha fatto uscire il suo lato tenero nello scorso capitolo ma adesso che la sua vita ha iniziato a prendere una piega positiva, abbandonerà un po’ la corazza da duro che lo ha contraddistinto fin dall’inizio. Bene, che altro dire? Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo e, soprattutto, spero che ti ricordi ancora della storia. Un bacio, cara. Che farei io senza le tue bellissimissimissimissime recensioni : ) <3

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo undici ***


YOU ARE MY SUNSHINE

CAPITOLO UNDICI

Blake, Ken e Lucy erano seduti sulla veranda della casa di quest’ultima a mangiare ciascuno una fetta di torta preparata l’altro giorno dalla madre della ragazza.

“Allora, Blake, raccontaci come va la tua storia con Tyler”. Esclamò Ken ad un certo punto, poggiando il piattino vuoto sul tavolo di fronte a lui.

“Oh, fantasticamente!” rispose l’altro con un sorriso che gli illuminò pure gli occhi.

“E si vede, mi sembra che tu sia più felice da quando stai con lui”. aggiunse Lucy, terminando anche lei la sua torta.

Blake arrossì e abbassò lo sguardo imbarazzato.
Era vero, da quando stava con Tyler si sentiva più felice ed era sempre pronto ad iniziare una nuova giornata. Be’, era stato così anche tutte le altre volte che si era innamorato, ma questa volta di più… sentiva che con Tyler non sarebbe stato un totale fallimento.
Ma era così evidente la sua felicità?

“Be’, è vero…”. Mormorò. “Ma vorrei fare qualcosa per rendere felice anche lui”.

I due amici lo guardarono perplessi.

“Perché? Non è felice di stare con te?” gli chiese Ken.

Blake rialzò il capo di scatto, facendo sì che il sole gli illuminasse le lentiggini che aveva sparse per il viso.

“Oh no, non intendevo quello. Nel senso che… lo vedo sorridere raramente, la maggior parte del tempo mi sembra sempre un po’ cupo e giù di morale”.

“Oh be’, credo dipenda dal fatto…”. Iniziò Lucy.

“… che è cieco, sì”. La interruppe il rossino. “Mi ha raccontato com’è successo. Anche se forse non dovrei dirvelo…”.

“Non ti preoccupare, lo sai che noi sappiamo tenere le bocche chiuse”. Cercò di rassicurarlo Ken che era sempre curioso di sapere i fatti degli altri.

“E’ successo due anni fa”. Si convinse alla fine Blake. In fondo, erano suoi amici e di loro si fidava. “… in un incidente d’auto in cui suo padre ha perso la vita”.

Gli altri due si guardarono dispiaciuti.

“Lui ci sta ancora male”.

“Be’, certo. È passato poco tempo”.

“Stavano tornando dallo stadio, era notte e un tizio ubriaco è venuto loro addosso con l’auto. Suo padre è morto sul colpo, invece Tyler era ancora cosciente. In ospedale, però, ha avuto un’emorragia cerebrale ed è stata questa a fargli perdere la vista”.

“Oh mio Dio”. Sussurrò Ken sconvolto.

“Deve essere stato terribile”. Aggiunse Lucy.

“Dopo che me lo ha raccontato è scoppiato a piangere”.

Gli altri due sgranarono gli occhi. Nessuno riusciva ad immaginarsi che un ragazzo come Tyler, all’apparenza duro e insensibile, potesse in realtà piangere come un qualsiasi altro essere umano.

“E tu che hai fatto?”

“Ho cercato di consolarlo. Che potevo fare se no? Ma non sapevo che dirgli”.

“Nessuno l’avrebbe saputo. Ci sono certe situazioni che non hanno bisogno di parole”. Cercò di rassicurarlo Lucy.

Blake sospirò. Gli si era stretto il cuore quando aveva visto Tyler in quello stato, temeva di fare o dire qualcosa che avrebbe potuto peggiorare la situazione. Non era abituato a consolare la gente, di solito era lui quello che aveva bisogno di una spalla su cui piangere.

Però doveva assolutamente fare qualcosa per rendere felice il suo ragazzo. E forse aveva già mente un’idea.

***

“Ciao, Tyler!” esclamò Blake non appena il moro gli comparve di fronte, dopo aver aperto la porta.
Non gli lasciò il tempo di dire niente che gli diede un veloce bacio a stampo sulle labbra.

“Vieni con me, devo farti vedere una cosa”. Aggiunse poi, prendendolo per una mano.

Tyler strabuzzò gli occhi, ma non si fece trascinare come l’altro avrebbe voluto.

“Dove andiamo?”

“Qui nel giardino”.

Il moro sbuffò frustrato ma lo seguì senza opporre lamentele.

“Allora?” chiese quando si furono fermati e aveva sentito che l’altro gli aveva lasciato la mano.

All’improvviso sentì il sonoro abbaiare di un cane che doveva essere nelle vicinanze, ovvero lì davanti a lui.

“Hai portato il tuo cane?” chiese a Blake inarcando le sopracciglia.

“Non è il mio cane. È il tuo”.

“Cosa?”

Il cane a quel punto, si mise su due zampe e quelle anteriori le poggiò sulla pancia di Tyler che indietreggiò un po’ per lo spavento. Ma subito gli portò le mani al muso e prese ad accarezzarlo e coccolarlo. L’animale sembrava gradire parecchio visto che tirò fuori la lingua cominciando a scodinzolare.

“Sembra che gli piaci” ridacchiò Blake.

Tyler si inginocchiò per terra per coccolarlo meglio e il cane si distese con le zampe in aria.

“Ma dove l’hai trovato?”

“In un canile” rispose il rossino. “E’ un labrador. Era il cane di un anziano signore cieco e questo cane gli faceva da guida. Il signore è morto qualche settimana fa e siccome nessuno poteva prendersi cura di lui è finito in un canile. È un cane piuttosto vivace, mi ha detto la tipa del canile, però è bravo e affidabile”.

Il moro alzò lo sguardo in direzione del rossino e gli mostrò un sorriso un po’ sorpreso. “E tu l’hai preso per me?”

“Be’… sì. Siccome ti piacciono i cani pensavo… sì, insomma, mi pareva che fosse strano che non ne avessi uno per…”.

“Oh, Blake, ti adoro!”

E senza che Blake se lo aspettasse, Tyler si slanciò per stringerlo in un forte abbraccio. Entrambi si ritrovarono a rotolare nell’erba, ridendo e baciandosi con il cane che correva loro intorno, volendo anche lui, probabilmente, essere coinvolto nell’abbraccio.

“Grazie” sussurrò il moro all’altro, appoggiando la testa sul suo petto.

“E di che? Sei il mio ragazzo, volevo solo renderti felice”.

“Sono felice. Da quando sto con te”.

Blake, a quelle parole, si sentì sciogliere e non poté far altro che avvicinare il viso a quello del moro e dargli un appassionato bacio sulle labbra.
Il labrador si arrampicò di nuovo con le zampe anteriori sulla schiena di Tyler e abbaiò ai due ragazzi che a quel punto si staccarono e scoppiarono a ridere.

“Mi sa che qualcuno cui è geloso” commentò Blake, mettendosi seduto e accarezzando l’animale.

“Rientriamo in casa, che dici?” propose Tyler, passandosi una mano tra i capelli.

“Sì, andiamo”.

Si alzarono entrambi da terra e cominciarono a dirigersi verso la porta di casa, seguiti dal cane.

“Ah, per la cronaca, il cane si chiama Freddie” esclamò Blake prima che varcassero la soglia.

“Come Freddie Mercury?”

“Sì, come Freddie Mercury”.

Appena raggiunsero il salotto Freddie si accucciò accanto al divano come se quella fosse la sua postazione ormai da anni e chiuse gli occhi. Sembrava già perfettamente a suo agio, probabilmente sentiva che non doveva temere quei due ragazzi e che in quella casa sarebbe stato trattato benissimo.

“Mia madre non c’è. Saliamo in camera?” chiese Tyler, dirigendosi già verso le scale.

Blake assentì e prese a seguirlo. Ma prima di salire in cima il moro gridò in direzione del labrador.

“E tu, Freddie, non fare casini”.

Freddie, per tutta risposta, alzò il muso nella sua direzione ed emise un basso uggiolio, forse per dire che aveva capito.

Non appena entrarono, Blake si chiuse la porta alle spalle e con le braccia circondò la vita di Tyler che gli dava le spalle. Poi, salendo sulle punte, gli diede un bacio sul collo.
Tyler, a cui solo quel contatto non bastava, si girò verso di lui e cominciò a baciarlo facendo attorcigliare le loro lingue.
Continuando a baciarsi indietreggiarono fino al letto e Blake finì a sbattere con le gambe contro il bordo perdendo l’equilibrio. Cadde sulle coperte e Tyler lo seguì salendogli sopra a cavalcioni. Non smise però di baciarlo, ma questa volta scese più in giù, andando sul collo, sulla clavicola…

“Hmmm, Tyler” mugolò il rossino, infilandogli le mani sotto la maglietta. Allora il moro smise di baciarlo e si tolse la maglietta. Poi fece lo stesso con quella di Blake e, facendone un mucchio, le lanciò entrambe contro il muro.

Si chinò di nuovo per riprendere a baciarlo. Questa volta scese fino ai capezzoli. Prese a morderli e leccarli. Intanto, Blake sotto di lui restava a subire senza dire niente. Soltanto dei bassi mugolii che ogni tanto gli uscivano dalle labbra facevano capire che la cosa gli piaceva. Chiuse gli occhi e sentì la pelle d’oca che gli cresceva per il piacere.

“Blake?” lo chiamò ad un tratto Tyler.

“Sì” rispose l’altro con voce roca.

“Sono eccitato” gli sussurrò all’orecchio, per poi leccargli il lobo con la punta della lingua.

“Anche io”.

“Bene”.

Il moro questa volta prese ad armeggiare con i pantaloni del rosso. Slacciò prima la cintura poi il bottone e infine glieli sfilò senza che l’altro opponesse alcuna resistenza. Erano rimasti però i boxer. Ostentando un po’ di incertezza Tyler tolse anche quelli, liberando il sesso di Blake che dimostrava che non aveva mentito quando aveva detto di essere eccitato. Peccato solo che Tyler non potesse vederlo. Poteva però toccarlo.

Lentamente prese il membro del rossino con la mano destra e cominciò a muoverla su e giù con fare piuttosto esperto.

“Ty” lo chiamò l’altro. “Scopami”.

Tyler mostrò un sorrisetto sghembo e malizioso e portò le mani sui suoi pantaloni per toglierglieli.

“Aspetta!” lo bloccò Blake, però. “Faccio io”.

Si mise seduto e con mani un po’ tremanti tolse il bottone dall’asola dei jeans e glieli sfilò come prima aveva fatto Tyler coi suoi. Fece lo stesso coi boxer e rimase per qualche secondo a guardare il sesso del suo ragazzo leggermente sorpreso. Probabilmente non se lo aspettava così dotato.

Con le gambe nude circondò la vita di Tyler per mettersi comodo e il moro fece lo stesso.

“Scopami!” gli ordinò di nuovo il rossino all’orecchio. Era eccitato, parecchio eccitato, ma allo stesso tempo anche emozionato e un po’ spaventato. Chissà come sarebbe stato fare l’amore con Tyler.
Il moro, nonostante fosse la sua prima volta, sembrava ostentare così tanta sicurezza come se ne fosse già esperto. Avvicinò il proprio membro all’apertura di Blake e, lentamente, si fece spazio e lo penetrò.

Blake si morse la lingua per non tirare un urlo e affondò le unghie nella spalla di Ty. La parte iniziale era sempre la più terribile.

Sempre lentamente Tyler cominciò a muoversi dentro al rossino chiudendo gli occhi e lasciandosi pervadere dall’eccitazione e dal piacere. Entrambi i ragazzi presero a mugolare e gemere di piacere, finché Blake non poggiò le labbra sul collo del moro prendendo a mordergli e leccargli la pelle.

Andarono così per un po’, scordandosi di tutto il resto, scordando dove erano, non pensando più a niente, nemmeno al fatto che la madre di Tyler sarebbe potuta tornare da un momento all’altro. O forse non li importava.

Continuarono semplicemente a fare l’amore, stretti uno all’altro, i bacini a contatto, i corpi uniti.

Finché non arrivò l’orgasmo.

***

“Sai perché non ho un cane?” sbottò ad un tratto Tyler, dopo alcuni minuti di silenzio nel quale i due ragazzi erano piombati dopo aver finito di fare l’amore.

“Perché?” chiese Blake senza smettere di accarezzare i capelli all’altro che gli teneva la testa poggiata sul petto nudo.
Erano entrambi nudi, sprofondati sotto le coperte e ancora abbracciati.

“Perché vivevamo in un condominio e la signora che abitava di fronte a noi era allergica al pelo degli animali. In realtà era allergica a tutto quella donna ed era una maniaca della pulizia. Puliva casa sua tutti i giorni. Quando mia madre, dopo che tornai dall’ospedale, tornò a casa con un Collie la signora per poco non ci denunciò. Così l’abbiamo dovuto dare via”.

“Che stronza!” fu il commento di Blake. 

“Già. La odiavano tutti nel palazzo”.

Dopo quel breve scambio di battute, tra i due cadde di nuovo il silenzio nel quale rimasero a coccolarsi ripensando a quello che avevano appena fatto.
La seconda volta fu Blake a infrangerlo.

“Sai, Ty, per essere la tua prima volta sei stato bravo”.

Tyler alzò lo sguardo nella direzione del rossino. “Solo bravo”.

Blake lo guardò serio per qualche secondo, ma poi non resistette e scoppiò a ridere.

“D’accordo, sei stato fantastico”.

Gli salì sopra appoggiando le braccia ai lati del letto per non pesargli troppo e lo guardò dritto negli occhi azzurri. “Mi piace, Tyler. Mi piace tutto di te, il tuo corpo, il tuo viso, i tuoi occhi, la tua risata…”.

“Anche tu mi piaci, Blake” rispose il moro, portando una mano al suo viso per accarezzarlo delicatamente. “Di che colore hai gli occhi?” gli chiese.

“Verde chiaro”.

“E i capelli?”

“Biondo rossicci”.

“Hmm… e scommetto che hai anche le lentiggini”.

Blake sbuffò. “Uff, sì” bofonchiò. “Soprattutto in estate. Sembra che abbia la varicella permanente”.

Tyler ridacchiò.

“Non c’è niente da ridere” si lamentò l’altro dandogli un buffetto sulla fronte,

“Che c’è di male? Sono carine le lentiggini”.  

“Lo dici solo perché non le puoi vedere. Scommetto che se mi vedessi mi lasceresti all’istante”.

Il moro tornò immediatamente serio.

“Ehi” lo chiamò. “Non dire stupidaggini. Non mi interessa il tuo aspetto, tu mi piaci per ciò che sei. Sei un ragazzo fantastico, Blake, indipendentemente dal tuo aspetto. E mi piacerai sempre”.

Blake non poté far altro che sorridere a quella che, sotto sotto, voleva essere una dichiarazione d’amore.
Sì, aveva ragione: Tyler non era come tutti gli altri ragazzi con cui era stato, non era superficiale, né un arrogante presuntuoso. E sotto quella corazza dura e impenetrabile si nascondeva un ragazzo dolce che aveva voglia di amare e di essere amato.

“Ti amo, Ty” gli sussurrò prima di chinarsi a dargli un bacio.

Ad un tratto, però, mentre si baciavano, sentirono il rumore di una macchina che parcheggiava davanti al vialetto di casa e subito dopo uno sbattere di portiere.

“Cazzo, mia madre!” esclamò il moro.

Senza attendere altro tempo, entrambi i ragazzi saltarono fuori dal letto e si misero alla ricerca dei propri vestiti.

“Muoviti, che se ci scopre siamo morti!” lo esortò Tyler, afferrando una maglietta che aveva trovato per terra.

“Ty”.

“Che c’è?”

“Quella è la mia maglietta”.

“Oh” il moro la tirò nella direzione del rossino. Questi gli passò la sua insieme ai jeans e in fretta si rivestirono e si misero un po’ in ordine.

“Tyler?” si sentì la voce chiara della donna chiamare dal piano di sotto.

“Arrivo, mamma!” le gridò il figlio di rimando.

Si diedero un’ultima occhiata, o meglio, Blake la diede a tutti e due, e poi aprirono piano la porta e cominciarono a scendere le scale.

“Ciao, mamma, sei tornata” esclamò Tyler con voce più innocente possibile, non appena lui e il rossino arrivarono in salotto.

“Cosa ci fa questo cane qua?” chiese la donna voltandosi in direzione dei due.

“Chi, Freddie?”

“Ehm, signora, l’ho portato io. Un regalo per Tyler” rispose Blake

“Oh” fece Kelly leggermente sbigottita.

“E, a proposito, dovremmo portarlo a spasso, anche” aggiunse il ragazzo avvicinandosi al cane. Era leggermente imbarazzante parlare con la madre del proprio ragazzo dopo averci appena fatto sesso. E lui non era bravo a mentire.

“Sì, mamma. Noi usciamo, eh” aggiunse il moro prendendo il guinzaglio che l’altro gli stava passando.

“D’accordo, ma…”.

Non lasciarono neanche il tempo alla donna di concludere che si fiondarono fuori dalla porta.

Kelly rimase un po’ interdetta a guardare la porta dalla quale suo figlio e il suo amico erano appena scomparsi, ma poi decise di lasciar perdere e andò di sopra a cambiarsi.

Ah, i giovani e i loro misteri.

 

 

MILLY’S SPACE

Buongiorno.
Ce l’ho fatta ad aggiornare : ) purtroppo i numerosi impegni, scolastici e non, mi impediscono di aggiornare le mie storie con regolarità come vorrei. Mi scuso per questi numerosi ritardi, mi scuso anche con quelli che stanno seguendo le altre mie fanfiction, dovete solo avere un po’ di pazienza. Anche se con ritardo, gli aggiornamenti arrivano, non sono solita abbandonare le storie che ho iniziato.

E, siccome anche adesso ho poco tempo, non sto qui a rileggere il capitolo. Perdonate eventuali errori, perciò e se ce ne sono di gravi ditemelo che provvederò a correggere.

Intanto, spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero che continuerete a seguire questa storia. Lasciatemi anche qualche recensione, è importante per me perché questo mi stimola a continuare più in fretta : )

Grazie mille, ora vi lascio, ma non prima di avervi ricordate di venirmi a trovare anche sulla mia pagina f acebook. Se volete potete recensirmi anche lì, darmi dei consigli e dirmi quello che vi piacerebbe leggere. http://www.facebook.com/MillysSpace

Un bacio,

M.

FEDE15498: ehi, carissima : ) eh, lo so che tu non mi deludi mai!!!! Sei la mia fedelissima lettrice e recensitrice. Alloraaaa che dire?? Be’, spero ti sia piaciuto anche questo capitolo un po’ hot e un po’ romantico.
Sì, sono stata in Spagna e…. che dirti? La Spagna è meravigliosa, ci devi andare un giorno. E non ti preoccupare, nemmeno io sono una che viaggia molto. Se non ci fossero le gite scolastiche andrei fuori dall’Italia solo in estate, in Croazia, dove ho la mia casuccia e i miei parenti. Tu stai a Milano? Che bello *__* Io invece abito in una cittadina sperduta dove abitano solo vecchietti (la casa di riposo all’aperto la chiamano). Ma sai che a Milano ci abita pure Tiziano Ferro che è il mio cantante preferito? Ok, probabilmente non te ne frega niente.
Va be’, dai, ti lascio. Fatti sentire, mi raccomando ^^
Un bacio,
M.
P.S. ma domani è il tuo compleanno? Ok, ti farò gli auguri su face…  ciau

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo dodici ***


YOU ARE MY SUNSHINE

CAPITOLO DODICI

Blake e Tyler arrivarono al parco vicino a casa di quest’ultimo praticamente correndo, senza mai lasciarsi la mano, con il cane che correva davanti a loro, la lingua fuori, agitando la coda.
Non appena ci entrarono, si sedettero sulla prima panchina libera che trovarono, il fiato grosso per la corsa appena fatta e le labbra ancora piegate in un sorriso divertito.

“Oh, Santo cielo, che imbarazzo!” esclamò Blake quando i battiti del suo cuore furono tornati a un ritmo abbastanza normale. “Credo di essere diventato completamente rosso in faccia”.

“Oh sì, sembri un peperone!” lo prese in giro l’altro.

Blake gli lanciò un’occhiata obliqua, ma poi, rendendosi conto che era soltanto uno scherzo, gli mollò un pugno sul braccio. “Idiota!”

Freddie, accucciato per terra davanti alla panchina, abbaiò per reclamare la sua attenzione. Blake si chinò per togliergli il guinzaglio, così che potesse correre nel parco, cosa che il cane fece subito.

“Lasciamolo divertirsi un po’”, disse il rossino al suo ragazzo. Poi si voltò per dargli un veloce bacio a sorpresa.

I due ragazzi rimasero seduti, in silenzio, Blake con la testa appoggiata sulla spalla di Tyler, una mano intrecciata con quella del moro, come se da ciò dipendesse la loro vita.

“Non hai ancora detto a tua madre di noi due?” chiese il rossino dopo un po’, lo sguardo fisso a terra.

Tyler esitò un attimo prima di rispondere. Sentiva quella domanda come una specie di accusa, sebbene il ragazzo gliel’avesse fatta in tono normale, senza particolare enfasi o interesse per la risposta.

“No, ancora non gliel’ho detto. Ma cercherò di farlo al più presto”.

“Oh no, non devi. Non è un problema, era solo per sapere. Una volta frequentavo un tipo che aveva dei genitori molto omofobi, non potevamo nemmeno tenerci per mano nel parco come facciamo io e te”.

“Mia madre non è così, almeno credo. In realtà coi miei non ho mai parlato di queste cose, non era una cosa a cui pensavo. Però non penso… non penso sia omofoba”. Non ne era molto sicuro, ormai non era più sicuro di molte cose. Sua madre non si era mai espressa in merito. Aveva una mentalità abbastanza aperta, certo, però… però chissà. Di certo non si aspettava di avere un figlio omosessuale. Nemmeno lui sapeva di esserlo.
“E’ strano, però”, sospirò infine.

“Che cosa?”

“Quello che è successo tra noi due. Insomma… non ho mai pensato che un giorno mi sarei innamorato di un ragazzo. Non ho mai pensato… sì, insomma, di essere gay”.

“Non è detto che tu sia gay. È solo un’etichetta. La sessualità è una cosa che alle volte può cambiare. Chissà, magari un giorno ti stufi di me e poi ti metti insieme ad una ragazza”. L’aveva detta in tono scherzoso, l’ultima frase, però dentro cuor suo temeva seriamente che Tyler si stufasse prima o poi. Succedeva sempre.

Il moro si voltò verso di lui puntandogli gli occhi azzurri addosso e lo guardò seriamente. “Non credo mi potrò mai stufare di te”.

“Davvero?” esclamò Blake sorpreso. Se avessero potuto i suoi occhi avrebbero assunto la forma di due cuoricini rosa.

“Chi altri potrei trovare che mi sopporta e mi porge una spalla su cui piangere”.

“Credo ci sia una fila di persone che lo farebbe, sai?”

“Ma non dire idiozie”.

“Non le dico mica. Nessuno ti ha mai detto che sei figo?”

“Ah, quindi ti sei innamorato solo del mio bel faccino!” Il moro assunse un finto broncio offeso incrociando le braccia e tornando a volgere lo sguardo davanti a sé.

“Ma lo sai che non è vero!” rispose Blake, aggrappandosi al suo braccio. “Mi piace tutto di te, anche quando facevi il tipo misterioso e serio”.

Tyler non poté non scoppiare a ridere e Blake lo seguì a ruota. Lo adorava quando rideva, aveva un sorriso bellissimo, lo eccitava da morire. E quei denti bianchi e perfetti. Quelle labbra carnose color pesca…

Basta, Blake, o rischi di saltargli addosso in un luogo pubblico, il che non è tanto consigliabile.

“Che ne dici se torniamo a casa? O mia mamma si preoccuperà”.

“D’accordo”.

Richiamarono Freddie e gli misero il guinzaglio attorno al collo così che Tyler potesse tenerlo.
Raggiunsero la casa del moro in poco tempo, ma si fermarono davanti alla porta d’ingresso.

“Ti va di entrare?”

“No, potrei imbarazzarmi di nuovo davanti a tua madre”.

Tyler ridacchiò.

“D’accordo, allora… grazie per…”.

“Ti va di uscire domani sera?” lo interruppe Blake. “Solo io e te”. Aveva uno sguardo incredibilmente speranzoso. “Potremmo andare a mangiarci una pizza o al cinem… o dove vuoi tu”.

“Stavi per dire cinema”.

“No, non è vero”.

“Sì che è vero”. Il moro stava cercando di non scoppiare a ridere in faccia all’altro. Il rossino stava negando l’evidenza, era chiaro.

“Sì ok, è vero”, ammise l’altro infine. “Ma…”.

“Se vuoi ci andiamo”.

“Ma tu come fai?”

“Ascolterò i suoni. E poi tu mi descriverai le immagini”.

“Va bene”. Blake si era avvicinato di più al suo ragazzo, mettendogli le mani sui fianchi.

“Scegli un bel film, mi raccomando”.

“Certo”. Il rossino avvicinò il viso a quello dell’altro e gli diede un veloce bacio a stampo. Poi se ne andò.

 

Tyler si sedette a tavola e la madre servì la cena accomodandosi anche lei. I due cominciarono a mangiare in silenzio, l’unico rumore che si sentiva erano i respiri di Freddie. Anche lui si godeva il suo cibo da una grande ciotola posta in un angolo della cucina.

“Domani sera viene a cena la zia Mandy”, disse Kelly ad un certo punto, mettendo in bocca una forchettata di purè.

“Domani sera esco con Blake”, le rispose il figlio.

“Di nuovo? Ma vi vedete tutti i giorni!”

“Sì, perché?”

“Be’, niente… solo che… sembrate molto legati. Ti ha pure regalato un cane”.

“Voleva solo essere gentile”. Tyler continuò a mangiare, sperando che la madre non indagasse troppo. Probabilmente aveva cominciato a sospettare qualcosa  e magari sarebbe stato il momento di dirle della sua relazione con Blake. Ma non si sentiva ancora pronto, doveva prima prepararsi psicologicamente e poi pensare anche a un discorso.

“E’ anche troppo gentile. Dovremmo ricambiare in qualche modo”.

“Non credo che lui mi frequenti per ricevere qualcosa in cambio”.

“Certo che no, però… insomma, ogni tanto fagli anche tu un regalo”.

“Per il suo compleanno glielo farò”.

Kelly sospirò, ma alla fine decise di lasciar perdere il discorso. Però aveva come l’impressione che il figlio le nascondesse qualcosa, lui era bravo a farlo. Però almeno lo vedeva più sereno, più tranquillo, sorrideva più spesso e parlava di più. Amanda aveva avuto ragione, quel posto sta facendo bene a tutti quanti.

 

Mandy, con un colpo di reni, salì sul tavolo della cucina e afferrò il sacchetto di patatine che vi era appoggiato sopra, cominciando a mangiarle.

“Non dovresti mangiarle adesso o dopo non riuscirai a cenare”, la avvertì Kelly, impegnata ai fornelli. Aveva proprio l’aspetto da cuoca quella sera, con i capelli raccolti in cima alla testa in una crocchia disordinata che sembrava tanto un nido d’uccelli e il grembiule legato attorno alla vita.

“Ma lo sai che il mio stomaco può contenere di tutto, non ti preoccupare”, la tranquillizzò la sorella, continuando ad abbuffarsi di patatine. “E poi non posso stare senza tenere le mani occupate. Tu non mi lasci cucinare”.

“Perché fai sempre disastri quando cucini. Come minimo mi faresti saltare in aria la cucina, se non l’intera casa”.

“Spiritosa”. Amanda le lanciò un’occhiataccia che però Kelly, girata di schiena, non notò.

“Tyler cena con noi?” chiese, allora, la mora per cambiare argomento.

“No, lui esce con Blake”.

“Quel ragazzo di cui mi avevi parlato?”

“Sì, ormai si vedono tutti i giorni”.

“E che c’è di male?” chiese la mora notando un tono strano nella voce di Kelly.

“Niente è solo che… mi sembra un po’ strano, tutto qui. Nemmeno io uscivo così spesso con le mie amiche”.

“Sono ragazzi, sai com’è. Magari vanno a visitare un club a luci rosse”. L’ultima frase l’aveva detta con voce maliziosa.

“Tyler?” fece Kelly guardandola come se avesse detto che aveva visto un coniglio volare dentro ad una calza.

“Guarda che ci sono anche quelli dove puoi toccare non solo guardare”, rispose l’altra, allargando le braccia.

Kelly bofonchiò qualcosa che Amanda non capì e che non volle neanche capire. Si limitò a mangiare le sue patatine.   

In quel momento la porta della cucina si spalancò e Tyler fece il suo ingresso seguito da Freddie. La zia, non appena lo vide, fece un fischio. “Vai a rimorchiare?”

“No, perché?”

“Be’, sei tutto in tiro”.

Il ragazzo scrollò le spalle come a dire che non sapeva di che cosa la zia stesse parlando, e raggiunse il frigo.
Effettivamente aveva cercato di vestirsi bene, gli piaceva sentirsi guardato da Blake. Si era pure tirato indietro i capelli con del gel, sperando di aver fatto una cosa decente. Non potendo vedersi era un po’ dura pettinarsi.

“Ti viene a prendere Blake?” gli chiese la madre.

“Sì”.

“E ti riporta anche a casa?”

“Sì”.

“A che ora tornate?”

“Non lo so. Non aspettarmi alzata”.

Il ragazzo uscì dalla cucina, seguito sempre da Freddie come fosse la sua guardia del corpo, e andò in salotto.
Le due sorelle rimaste si guardarono l’un l’altra, poi sentirono il campanello suonare.

 

 

MILLY’S SPACE

Arrivo un po’ tardi con l’aggiornamento, ma questo capitolo non l’avevo pronto e l’ho scritto tutto stamattina.
Spero vi piaccia e spero che non ce l’abbiate troppo con me ^^.

Allora, vi avviso che la storia è ormai agli sgoccioli. Non so esattamente quanti capitoli mi mancano, dipenderà dalla mia ispirazione, ma non sono tanti.

Detto questo, non ho altre precisazioni da fare. Spero mi lascerete qualche recensione, anche per criticare o consigliare. Non mi offendo : )
E venite a visitare anche la mia pagina face (
https://www.facebook.com/MillysSpace) ci trovate le foto dei personaggi.

Baci,

M.

CESCA81: grazie mille per la recensione e i complimenti. Sì, Freddie è un cane guida per ciechi : )  spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo e spero di risentirti.
Un bacione,
Milly.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo tredici ***


YOU ARE MY SUNSHINE

CAPITOLO TREDICI

“Adesso che sta succedendo?”

“Si stanno sparando a vicenda”.

“Oddio, perché?”

“E che ne so! Sono nemici!”

Tyler e Blake  non si poterono impedire di scoppiare a ridere, così si portarono una mano alla bocca per cercare di non fare troppo rumore. Erano chiusi in una sala del cinema da quasi due ore a guardare un film. O meglio, Blake guardava e Tyler seguiva i suoni chiedendo ogni due minuti al suo ragazzo che cosa stesse succedendo.

“Oh no! Hanno sparato al cane!” esclamò Blake ad un certo punto, smettendo di ridere.

“Quale cane? C’era un cane?”

“Sì, era il cane di Hugh. No, non voglio più guardare. Povero cane. Oh, adesso Hugh si è incazzato”.

“Perché gli hanno ucciso il cane?”

“Sì. Oh, l’altro è morto”.

“E’ morto?”

“Sì be’, sta per morire”.

I due ragazzi si zittirono quando i due attori nel film presero a parlare, al che poi seguirono i titoli di coda e una dolce musica che segnarono il termine del film.
Gli spettatori cominciarono pian piano ad alzarsi e ad andarsene, ma Tyler e Blake rimasero seduti ancora un po’, sprofondati nelle poltrone.

“Che film assurdo”, commentò il rossino.

“L’unica cosa che ho sentito sono stati i colpi di pistola”.

“Non hanno fatto altro che spararsi per tutto il tempo, effettivamente”.

“Dai, usciamo”.

Alla fine anche i due ragazzi decisero di abbandonare la sala, ridacchiando ad ogni commento del film che facevano.

***

“Certo che il film era proprio pessimo”. Blake bevve un sorso della sua Coca Cola e si guardò attorno. La pizzeria nella quale erano venuti per cenare era piuttosto affollata quella sera e non avevano potuto avere un tavolo più appartato, così si trovavano quasi nel mezzo della sala. “Non andrò più a vedere un film d’azione”.

“Forse è meglio evitare del tutto il cinema”, aggiunse Tyler.

“Hai ragione. Tutte le volte che ti raccontavo le scene la signora accanto mi guardava male”.

“Davvero? Non mi sono accorto di nulla”, scherzò il moro. Blake gli prese delicatamente una mano e intrecciò le loro dita.

“Vorrei che quest’estate non finisse mai”, sospirò il rossino, tornato improvvisamente serio.

“Come mai?”

“Perché sto così bene. Siamo solo tu e io, senza altri pensieri”.

“Be’, continuerà ad essere così”.

Blake alzò lo sguardo negli occhi azzurri del compagno e rimase ad osservarlo intensamente.

“Sì, ma poi ci sarà la scuola. E ciò implica che… che ci saranno dei problemi”.

“Ti riferisci a qualcosa in particolare?” Tyler inarcò le sopracciglia, curioso e attento.

“No… però, ho paura che magari certi eventi possano allontanarci”.

“Intendi per quello che penseranno i nostri compagni o gli insegnanti se sanno che stiamo insieme?”

Il rossino sospirò e attese un po’ prima di rispondere. “Anche. Per me in realtà non è mai stato un problema quello che pensano gli altri. Lo sa tutta la scuola che sono gay. Però tu…”.

“Neanche a me importa…”, lo interruppe il moro. “Ho smesso di interessarmi a ciò che pensa la gente. Se avrò voglia di baciarti nel corridoio o vicino all’armadietto lo farò”.

Blake sorrise felice, ma poi si ricordò che l’altro non poteva vederlo. Così esclamò: “Davvero?!”

“Certo!”

“Ti amo”.

“Anch’io ti amo”.

Si allungarono sul tavolo per potersi baciare, ma in quel momento arrivarono le loro pizze.

***

Blake parcheggiò la moto di fronte al cancello della casa del suo ragazzo, poi lo prese per mano e lo accompagnò fino alla porta.
Lì si fermarono, uno di fronte all’altro, il moro appoggiato al muro e il rossino di fronte a lui, con lo sguardo fisso nei suoi occhi. Poi prese a giocherellare con un bottone della sua camicia bianca.

“Vuoi… vuoi entrare?” gli chiese Tyler.

“No, è tardi ed è meglio se torno a casa”. Fece scivolare il bottone nell’asola e gli allargò la camicia sul petto, scoprendo i suoi pettorali. Con due dita glieli accarezzò. Poi si alzò in punta di piedi e lo baciò. L’altro ricambiò il bacio e cominciarono a giocherellare con le lingue, pieni di passione e desiderio.
Tyler con una mano avvicinò il ragazzo a sé premendogli sulla schiena, mentre l’altra affondava tra i suoi folti capelli. Blake, invece, teneva ancora una mano sul suo petto, ma con l’altra aveva circondato il collo del moro.
Erano talmente presi che non si accorsero nemmeno della porta di casa che si apriva.

Soltanto quando si furono staccati per riprendere fiato, Blake si voltò trovando la madre di Tyler sulla soglia che li guardava come se avesse di fronte due alieni.

“Ehm… salve, signora”, borbottò con l’espressione di un bambino colto con le mani nella Nutella prima di cena.

Anche Tyler si voltò verso la madre, di colpo diventato bianco come un cadavere.

“Mamma?!” esclamò, ingurgitando la saliva.

La donna, però, non disse niente e il figlio in quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per poter vedere la sua espressione. E sprofondare nel terreno, anche.
Dopo un po’, però, sentì la porta richiudersi e capì che era rientrata in casa.

“Ty…”, iniziò Blake con tono basso. “Mi dispiace. Veramente, io…”.

“Non importa”, lo interruppe Tyler. “Prima o poi gliel’avrei dovuto dire. Così almeno mi facilito le cose”.

“Ora è meglio che vada. Vorrei poterti aiutare, ma non saprei che dire”. Il rossino si staccò e mise  un piede giù dallo scalino.
L’altro avrebbe voluto che rimanesse, almeno per dargli il sostegno morale. Ma sapeva anche lui che era meglio così, se Blake restava forse la situazione sarebbe peggiorata.

Si diedero un ultimo bacio veloce e poi Blake si allontanò verso la sua moto.

Tyler raccolse il coraggio nel cuore che gli batteva fortissimo e aprì la porta. Oltrepassò la soglia e richiuse l’uscio subito dietro di sé, appoggiandosi di schiena alla porta, il capo chino.

“Mamma?” chiamò, cercando di mantenere la voce il più ferma possibile.

“Sono qui”, rispose la donna. Il ragazzo rialzò immediatamente la testa senza puntare lo sguardo da nessuna parte in particolare. Nemmeno dal suo tono riusciva a capire di che umore fosse la madre e non sapeva come comportarsi, né che dire. Così rimase lì fermo, in silenzio, il cuore che gli batteva fortissimo.

“Siediti!” sbottò allora sua madre con voce ferma. Tyler obbedì subito e si staccò dalla porta, andando verso il divano. Si sedette e incrociò le gambe. Poco dopo anche Kelly lo raggiunse e gli si sedette accanto, sospirando. “Quando avevi pensato di dirmelo?”

“Ecco io…”, borbottò il figlio, lo sguardo puntato di fronte a sé. “Io… te l’avrei detto. Cercavo solo… solo il momento giusto”.

“Da quanto tempo… da quanto tempo va avanti questa storia?” Ancora Tyler non riusciva a capire se la madre era triste, arrabbiata o altro. La sua voce era ferma, impassibile. Sembrava quasi che gli stesse facendo un interrogatorio.

“Da quasi un mese”.

“E perché non me l’hai detto subito?”

Il ragazzo attese un attimo prima di rispondere, come se stesse cercando le parole giuste. “Perché… perché avevo paura, credo”.

“Di cosa?” Finalmente nel tono della donna era cambiato qualcosa, sembrava celare curiosità e questo era un buon segno.

“Non lo so… paura che tu non volessi, che ti arrabbiassi o…”.

Kelly capì immediatamente che cosa il figlio intendesse dire e immediatamente si protese verso di lui per abbracciarlo. Tyler, che non se lo era minimamente aspettato, sobbalzò, ma si ritrovò a sorridere un poco più sollevato.

“Tesoro, tu sei mio figlio e puoi dirmi qualsiasi cosa, non devi avere paura. Non potrei mai cacciarti di casa o cose simili, tantomeno per una stupidaggine come questa”.

“Davvero?” Voltò il capo verso di lei, quasi commosso.

“Certo. Non mi importa di chi sei innamorato. Mi basta solo che tu sia felice”, disse guardandolo dritto negli occhi.

Tyler, allora, sentendo come se un grosso macigno gli fosse appena scivolato di dosso, l’abbracciò e affondò il viso nell’incavo del suo collo. La madre ricambiò la stretta, massaggiandogli la schiena delicatamente.

“Ti voglio così tanto bene”.

“Anch’io mamma”.

***

Kelly, Tyler e Amanda avevano deciso di andare sulla spiaggia quella mattina, a rilassarsi un po’ e godersi il sole.
Si trovavano seduti su un paio di asciugamani, proprio davanti al mare, in costume da bagno, a parlare del più e del meno sgranocchiando patatine.

“Dai, Ty, raccontami di te e Blake”, sbottò ad un tratto la zia, mollando una leggera gomitata al nipote e facendo un occhiolino alla sorella.

“Ahem… che vuoi sapere?” Il ragazzo si passò una mano tra i capelli, sicurissimo che gli avrebbe chiesto qualcosa di imbarazzante.

“Dai, non fare il finto tono. L’avete già fatto?”

Ecco, come non detto.

“Mandy!” esclamò lui avvampando, ma divertito. “Questi non sono affari tuoi”. Pure Kelly era scoppiata a ridere.

“Uff, sono tua zia”.

“Appunto!”

Amanda aprì bocca per aggiungere qualcos’altro, ma improvvisamente vide il nipote cadere sulla sabbia sotto la spinta di un altro ragazzo che gli si era lanciato addosso come per abbracciarlo. Tyler lanciò un grido completamente colto alla sprovvista e si trovò a rotolare sulla spiaggia.

“Ciao, tesoro!”

“Blake, cazzo! Mi hai appena sfracellato un paio di costole e perforato un polmone”.

“Eh, esagerato”. Il rossino premette le labbra contro quelle dell’altro che le dischiuse leggermente, ricambiando il bacio.
Qualcuno dietro di loro tossicchiò e i due si staccarono.

“Ciao, Blake”, salutò la madre di Tyler divertita.

“Ehm… signore”, ricambiò lui con un sorriso a trentadue denti, un po’ imbarazzato. Le sue lentiggini spiccavano molto sotto il sole.

In quel momento anche Lucy e Ken li raggiusero, lei con la tavola da surf sotto il braccio e lui con indosso una maglietta dei Rolling Stones.

“Così lo soffochi, Blake!” rise la ragazza.

Blake si voltò di nuovo verso Tyler che si era messo seduto, il sole a illuminargli il viso.

“Toglili, questi non ti servono”, gli disse il rossino, portandogli gli occhiali da sole sopra la testa.

“Sì che mi servono!” si lamentò l’altro, riposizionandoli davanti agli occhi.

“No!”

“Sì!”

“No!” E per non farglieli rimettere, Blake lo baciò sugli occhi e lo spinse di nuovo con la schiena sulla sabbia, dandogli un altro bacio sulla bocca.

“Andiamo a nuotare?” gli chiese poi.

“Va bene”.

Gli altri rimasti sulla spiaggia guardarono i due allontanarsi nel mare, illuminati dal sole che splendeva alto, rendendo calda quella giornata.

“Comunque piacere, io sono Lucy e lui è Ken”, disse allora Lucy, presentandosi alla madre e alla zia di Tyler.

“Piacere, ragazzi. Siete amici di Blake?” chiese Kelly.

“Sì, purtroppo”, scherzò il ragazzo.

“Sedetevi pure qui, teneteci compagnia”, li invitò Amanda. I due ragazzi non fecero complimenti e accettarono pure le patatine che li vennero offerte.

“Sono proprio una bella coppia”, disse Lucy dopo un po’, indicando con un cenno del capo Tyler e Blake.

“Sì, decisamente”, concordò Mandy.

“Che fortuna che ha avuto Blake”, iniziò Ken. “Anche io lo voglio un ragazzo come Tyler. Cioè, guardate che culo, che corpo…”.

“Ehi, non farti fantasie su mio figlio!” lo redarguì Kelly, ma aveva un sorrisetto divertito dipinto in volto per cui non venne presa sul serio da nessuno.
Lucy scoppiò a ridere e diede uno scherzoso spintone all’amico.

 

 

MILLY’S SPACE

Ebbene, signori e signore, eccomi qua ad aggiornare questa fanfiction : )
Credo che il prossimo capitolo sarà l’ultimo…
Be’, che mi dite? Spero vi sia piaciuto. Finalmente Tyler è riuscito a fare coming out con la madre.

Fatemi sapere con una recensione e venitemi anche a trovare sul sito di Milly’s  Space. I commenti me li potete anche lasciare lì o darmi qualche suggerimento o dirmi se c’è qualcosa in particolare che vorreste leggere su questa fanfic. Inoltre ho pubblicato un paio di nuove foto con Ty e Blake e alcune citazioni.

Dai dai, non fate i preziosi : )

Baci,

Milly.

FEDE15498: eh, la fine della scuola è una benedizione per tutti ^^ Ebbene, a quanto pare Kelly non ci ha delusi e ha accettato l’amore fantastico dei nostri due eroi. Ehehe, Mandy l’adoro anche io. Be’, c’è ancora da attendere un po’ prima di dire addio a questa storia, ma sappi che di Millyray non ti libererai mai xD muahah.
Ok, la smetto di blaterare. Spero di risentirti, un bacione.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo quattordici ***


YOU ARE MY SUNSHINE

CAPITOLO QUATTORDICI

Amanda e Ken si stavano praticamente rotolando sul tavolo dalle risate e probabilmente non avrebbero smesso finché il ragazzo che era salito sul palco non avesse smesso di cantare. Anzi, forse avrebbero continuato anche dopo.
Per la verità tutti al loro tavolo erano scoppiati a ridere, ma almeno gli altri avevano avuto la decenza di darsi un contegno. Loro invece non si preoccupavano nemmeno delle teste che si giravano per guardarli storto.

“Non dovreste ridere così”, li ammonì Kelly, lanciando un’occhiataccia soprattutto alla sorella. Ken lo poteva capire, ma lei era un’adulta. “Ha avuto coraggio a salire sul palco e dedicare una canzone alla sua ragazza”.

“Sì, ma era meglio se non lo avesse fatto”, la contraddisse Tyler, nascondendo un sorrisetto. “Si sarebbe risparmiato una figuraccia”.
Blake ridacchiò e strinse la mano al proprio ragazzo mentre Freddie, ai loro piedi, abbaiò la sua approvazione.

Kelly, invece, alzò gli occhi al cielo ma non aggiunse altro. Kenneth, che finalmente era riuscito a calmarsi e si stava asciugando gli occhi per le lacrime, esclamò: “Lucy, hai avuto un’idea geniale a venire qui. Era da tanto che non mi divertivo così”.

“Dovremmo trascorrerle più spesso le serate al karaoke”, aggiunse Amanda, sulle labbra ancora evidenti le risatine che l’avevano scossa prima. Mandò in gola un sorso di birra, sperando forse di riuscire a darsi un minimo di aspetto da persona adulta.

Finalmente il ragazzo stonato che aveva cantato sul palco tutto quel tempo e per cui Mandy e Kenny avevano riso così tanto aveva abbandonato la scena tornando al suo tavolo e il presentatore aveva ripreso in mano il microfono, cercando di convincere qualcun altro a salire e cantare qualcosa.

“Ehi, Blake!”

Il biondino voltò il capo verso l’amico che lo aveva chiamato, curioso di sapere che cosa volesse.

“Ma quello non è il ragazzo con cui uscivi un paio di anni fa?” gli chiese Ken.
Blake si protese per vedere a chi si riferisse, ma non vide nessuno di interessante. “Dove?”
“Quello vicino all’uscita di emergenza”.
Il ragazzo guardò stavolta nella direzione indicatagli e subito dopo spalancò la bocca per la sorpresa.  “E’ vero! E’ lui!”

Anche Lucy e Amanda, curiose, guardarono vicino alle porte di emergenza. “E’ quello con la maglietta rossa?” chiese la donna.

“Sì”, le rispose la ragazza. “Ma non lo ricordavo così… grasso?” Storse la bocca in un’espressione un po’ schifata.

“E’ vero, è ingrassato”, concordò Blake. “Una volta era molto più figo. Ma chi è quello insieme a lui?”

All’improvviso, però, sentì qualcuno tossicchiare accanto a lui e, voltandosi, vide Tyler con lo sguardo rivolto verso di lui, gli occhi assottigliati, come se lo stesse minacciando mentalmente. Immediatamente, fece un sorriso molto innocente.
“Ehm… non che la cosa mi interessi. Ero solo… curioso”.

“Oh Dio, Blake!” esclamò di nuovo Ken, facendo fare un balzo a tutti quanti. “Ti ricordi il pizzaiolo dell’anno scorso? Quello sì che era figo!”

“Eh, come scordarselo”, sospirò il biondino.

“Ordinavi la pizza tutte le sere solo per fartele portare a casa da lui”.

“Quale pizzaiolo? Di quale pizzeria?” chiese Tyler in tono piuttosto acido. Blake si voltò di nuovo verso di lui, mettendogli una mano sul petto. “Niente, tesoro. Non era nessuno”.

“E allora perché ordinavi la pizza tutte le sere?”

“Perché… perché mi piace la pizza. E comunque quella è una storia vecchia”. E per far cessare ogni protesta, si protese verso le sue labbra e lo baciò, senza preoccuparsi di chi li stava guardando.
Lucy li guardò sognante, Amanda e Kelly si lanciarono un’occhiata maliziosa e Ken finì di bere la sua Coca Cola.

Quando si staccarono, Tyler si passò la lingua sulle labbra come per assaggiare il sapore di Blake e il biondino sorrise contento, specchiandosi nel riflesso degli occhiali scuri del compagno.

“Ehi, Ty!” chiamò ad un tratto Mandy. Il moro voltò il capo nella direzione da cui proveniva la sua voce. “Ho avuto un’idea!”

“Cioè?” le chiese il nipote, ma già immaginava che non doveva essere chissà che idea.

“Perché non vai anche tu  a cantare?”

Il ragazzo strabuzzò gli occhi dietro le lenti. “Cosa?!”

“Dai, tu sei molto più bravo di tutti loro messi insieme. Farai un figurone”.

“No, io non canto”.

“Davvero sai cantare?” gli chiese Blake guardandolo con occhi luccicanti.

“No, che non so cantare”.

“Sì che lo sa, è solo troppo modesto”.

“Dai, Tyler, potresti farlo”, cercò di convincerlo anche la madre.

“Ti ci metti pure tu?” si lamentò il ragazzo che sperava, probabilmente, di poter sprofondare sotto terra.

“Se non vuoi cantare da solo canto io con te”, disse Amanda allora. Sembrava che farlo cantare quella sera fosse diventata una questione di vita o di morte per lei. “Possiamo cantare The last time. Conosci il testo a memoria”.

“Ma io…”.

“Oh, Ty, sarebbe carino sentirti cantare”, si aggiunse Lucy e, se avesse potuto, il moro l’avrebbe sicuramente guardata malissimo.

“Dai, fallo per me”, gli sussurrò allora Blake, circondandogli il collo con le braccia e guardandolo con un’espressione da cucciolo supplicante che l’altro non poteva vedere ma che poteva benissimo immaginare.

Tyler, alla fine, sospirò rassegnato e sbottò: “E va bene! Ma me la farai pagare, Mandy!”

“Ah sì!” esclamò la zia battendo le mani come una bimba contenta, senza fare per niente caso all’ultima affermazione del ragazzo.

I due si alzarono e, camminando a braccetto, si avvicinarono al palco. Lì vennero presentati e subito dopo si posizionarono davanti al microfono.
Poco dopo partì la musica, una musica di pianoforte piuttosto lenta. In sala era calato il silenzio, si udiva solo qualche basso mormorio da parte del pubblico trepidante.
La prima ad attaccare con la prima strofa fu Amanda: “I found myself at your door, just like all those times before. But I’m not sure how I got there […] and you open your eyes into mine and everything feels better”.

Poi fu il turno del ritornello che cantarono insieme, in tono basso e melodioso. “Right before your eyes I’m breaking and fast, no reasons why just you and me”. Tyler stava ben attento a non sovrapporre la sua voce con quella di Amanda. Dopo però cominciarono ad aumentare sempre più d’intensità il tono della voce, perfettamente in accordo l’uno con l’altra, senza coprirsi mai. “This is the last time I’m asking you this. Put my name at the top of your lips. This is the last time I’m asking you why, you break my heart in the blink of an eye, eye, eye”.

Amanda cantò da sola un altro paio di strofe e dopo fu il turno di Tyler, finché non arrivarono ad alternarsi i versi. “This is the last time you tell me I’ve got it wrong. This is the last time I say it’s been you all along. This is the last time I let you at my door. This is the last time, I won’t hurt you anymore, ooh”.

Quando arrivarono all’ultima strofa cantarono di nuovo insieme, questa volta sovrapponendo le loro voci, sempre più forte, sempre di un tono più alto. “This is the last time I’m asking you this, last time I’m asking you this, last time I’m asking you this”.

E finalmente terminarono, lasciando il pubblico completamente incantato. L’applauso partì solo dopo qualche secondo, un vero applauso e i fischi che qualcuno lanciavo loro erano di soddisfazione.
Anche il presentatore fece loro i complimenti. Tutti avrebbero voluto un bis, ma i due decisero di lasciare il palco per tornare al loro tavolo.
Nel passare in mezzo alla gente, si trovarono a dover sorridere e ringraziare tutte le persone che facevano loro i complimenti. Non che ad Amanda questo dispiacesse.

“Wow! Non sapevo cantaste così bene”, commentò Ken una volta che Tyler e Amanda riuscirono a tornare al sicuro.

“Be’, adesso lo sai”, gli rispose lei con un sorrisetto soddisfatto.

“Perché non mi hai detto che sapevi cantare?” chiese Blake, prendendo la mano del proprio ragazzo.

“Perché non è così importante”.

“Potresti avere successo”.

“Ma figurati! Non ho intenzione di fare il cantante”.

Anche Freddie pareva contento. Con un balzo mise le zampe anteriori sulle ginocchia del suo padrone che gli accarezzò il capo.
Blake invece gli si strinse più forte, notando tutte quelle ragazze che stavano lanciando occhiatine maliziose al suo ragazzo, sicuramente attratte dal suo bell’aspetto e ora anche dalla sua voce.

***

“Tyler da piccolo usava sempre lo stesso cuccio”, iniziò a raccontare Kelly seduta nella sala da pranzo della casa di Blake a chiacchierare con i genitori del ragazzo dopo aver pranzato abbondantemente e aver tracannato qualche bicchiere di vino di troppo.
Forse per questo ora era così esagitata e parlava come una macchinetta, raccontando anche cose che forse non avrebbe mai osato raccontare. “Non voleva mai cambiarlo. Quando cercavo di dargli un altro ciuccio si metteva a piangere. Ma il brutto è che il suo era diventato completamente nero, era persino brutto da guardare. Non capisco come facesse lui”.

La madre di Blake scoppiò a ridere divertita, ma il padre rimase impassibile a  sorseggiare il suo bicchiere di vino rosso. Ormai aveva rinunciato a cercare di intromettersi nei discorsi delle due donne, partite per la tangente a raccontarsi i più succulenti pettegolezzi.

“Mamma, ti prego!” esclamò Tyler esasperato. Aveva già sentito troppo e non gli andava che si mettesse a parlare anche degli affari suoi.

“Che c’è?” gli chiese la donna che non sembrava nemmeno essersi resa conto di quello che stava dicendo.

“Non puoi raccontare queste cose!”

“Be’, perché no? Non sto mica raccontando chi sa che”.

Il ragazzo sospirò ma non aggiunse altro. Tanto era inutile.
Blake, allora, con un mezzo sorriso, poggiò il suo piatto del dessert sul tavolo e prese la mano al proprio ragazzo. “Dai, Ty, andiamocene. E’ meglio non stare qui”. Lanciò un’occhiata obliqua alla madre.
Prima di varcare la porta, però, vide il padre che lo guardava con espressione supplicante, come a volergli chiedere di portarlo via da lì. Ma il figlio gli rispose semplicemente con una scrollata di spalle a mo’ di scusa e trascinò Tyler verso le scale.

Quando entrarono, il moro richiuse la porta dietro di sé e vi si appoggiò sopra. E prima che Blake si allontanasse, gli afferrò il polso per bloccarlo. Il ragazzo si voltò di scatto, leggermente sorpreso, e vide negli occhi dell’altro una strana luce, una luce di desiderio.
Tyler cominciò a risalire con le mani lungo le sue braccia, arrivando fino alle spalle, poi al collo, al viso. Con i pollici gli accarezzò delicatamente i zigomi, scendendo sulle sue labbra e infine, abbassò il capo per baciarlo, un bacio pieno di passione e urgenza, come se lo baciasse per la prima volta dopo tanto tempo.
Blake ricambiò, cercando di reggere la passione dell’altro, ma ben presto si trovò a essere sottomesso  dalla lingua prepotente del compagno. Era rimasto piuttosto sorpreso da quel bacio, Tyler non aveva mai preso l’iniziativa prima di allora.

Si staccarono solo quando si accorsero di dover riprendere fiato, ma subito dopo il moro assalì di nuovo le labbra dell’altro. Con un colpo di reni scambiò le loro posizioni, sbattendo Blake contro il muro e inchiodandogli le braccia sopra la testa. Il biondino lo lasciò fare, preso alla sprovvista, ma anche dal piacere.
Poi Tyler spostò le sue mani sui fianchi del ragazzo e, prendendogli i lembi della maglietta tra le dita, gliela sfilò. Blake non oppose resistenza neanche stavolta.

“Tyler, che ti prende?” chiese soltanto, con voce roca, una volta che le sue labbra furono di nuovo libere.

“Ho voglia”, gli sussurrò il moro, mordendogli il lobo dell’orecchio. “Il cioccolato è un afrodisiaco, lo sapevi?” chiese, riferendosi alla torta al cioccolato che avevano mangiato poco fa.

Blake ridacchiò e lo spinse sul letto, slacciandogli la cintura dei jeans, completamente dimentico che non aveva chiuso la porta a chiave. Si tolse anche lui i pantaloni, alzandosi poi per prendere un preservativo dal cassetto.
Quando si risedette sul letto, prese una mano di Tyler e glielo diede. “Dai, mettilo”.

“No”, rispose il ragazzo. “Voglio che sia tu a farlo”.

“Cosa?!” Il biondino strabuzzò gli occhi.

“Voglio che sia tu a farlo stavolta”. E gli mise davanti il preservativo.

“Sei sicuro?”

“Sì”.

Blake non aggiunse altro e fece come il ragazzo gli aveva chiesto. “Guarda che ti farà male”, lo avvertì.

“Lo so”.

Lo fece sdraiare a pancia in giù e gli si mise sopra. Cominciò a leccargli la zona della spina dorsale, dall’alto in basso, facendolo eccitare parecchio. A quel punto, gli infilò il medio nell’apertura e Tyler, che non se lo aspettava proprio, emise un singulto di dolore. Blake andò più in profondità e vide l’altro inarcare la schiena.

“Shhh, rilassati”.

Poi infilò anche l’indice e a quel punto il moro si morse la lingua per non urlare.

“Posso smettere se vuoi”.

“No, vai avanti”, gli ordinò, ma Blake poté sentire nel tono della sua voce il dolore che provava. Fece però come Tyler gli aveva chiesto, anche perché era parecchio eccitato e non gli sarebbe piaciuto tornare indietro.
Avvicinò il proprio sesso all’apertura dell’altro e lo penetrò pian piano, cercando di fagli meno male possibile, benché la cosa fosse impossibile.
Tyler, che non voleva di certo staccarsi la lingua, morse il cuscino e lasciò andare qualche lacrima, cercando in tutti i modi di trattenere i singhiozzi. Sentiva l’altro spingersi dentro di lui, ma faceva dannatamente male e non provava alcun piacere.
Quando lo ebbe penetrato del tutto, cominciò a muoversi su e giù, sempre lentamente, seguendo un ritmo cadenzato. Improvvisamente, però, sembrò che fosse andato a toccargli un punto delicato, perché una pura ondata di piacere andò a pervadere il moro, facendogli mollare il cuscino e desiderare ancora di più.
Allora cominciò anche lui a muoversi, facendo capire a Blake che gli andava bene. Il biondino aumentò la velocità delle spinte, aggrappandosi ai fianchi di Tyler. E poco dopo vennero, insieme, con un gran sospiro di piacere.

Blake si buttò di fianco sul letto, accanto al proprio ragazzo che se ne stava ancora a pancia in giù, il viso affondato nel cuscino.

“Wow, Tyler. È stato molto bello”, sospirò il biondino, accarezzandogli delicatamente la schiena  con le dita. Ma l’altro parve non reagire. “Tyler?” lo chiamò allora, preoccupato.
Soltanto in quel momento il moro si scosse un poco, voltando il capo verso di lui e aprendo gli occhi azzurri e leggermente umidi. Blake si accorse delle lacrime che avevano solcato il suo viso e assunse un’espressione mortificata. “Oh Dio, Ty! Ti ho fatto male, mi dispiace!” esclamò, puntellandosi sul gomito per sollevarsi.

“No, no!” cercò di tranquillizzarlo allora l’altro, sorridendogli dolcemente. “Non mi hai fatto male”.

“Sì, invece!”

Tyler socchiuse gli occhi e sospirò. Era inutile negare l’evidenza. “Ok, un po’ mi ha fatto male. Però è stato bellissimo”.

Il biondino gli accarezzò i capelli con una mano, asciugandogli le lacrime che vedeva sul bordo dei suoi occhi con il pollice, e poi gli depositò un piccolo bacio sulla palpebra. Lo faceva spesso e a Tyler piaceva moltissimo, lo trovava terribilmente dolce.
Il moro invece gli poggiò una mano sul petto, spingendosi di più verso di lui. Poi affondò il viso nell’incavo del suo collo, lasciando che l’altro gli circondasse la schiena con un braccio.

“Che cosa c’è?” chiese Blake in tono dolce.

“Niente”, mormorò il moro contro la sua spalla. “Voglio solo che mi abbracci”.

Il biondino esaudì il suo desiderio e lo strinse forte a sé.

“Ti amo tanto, Blake. Non lasciarmi mai”.

“Mai e poi mai”.

Poco dopo, quando si furono addormentati, la madre di Blake aprì piano la porta per chiedere loro se volevano altro da mangiare. Ma quando sbucò con la testa oltre la soglia, trovò i due ragazzi stretti l’uno all’altro sul letto, completamente nudi, eccetto un lenzuolo leggero che copriva loro solo le gambe.
Non riuscì a trattenersi dal sorridere a dell’estrarre il suo cellulare dalla tasca per fare una foto.

***

Tyler sedeva sul letto nella propria stanza, un libro in breil poggiato sulle gambe e le cuffie dell’ipod nelle orecchie.
Improvvisamente, però, sentì bussare alla porta, seguito dal solito cigolio che questa emetteva quando veniva aperta.

“Ciao, tesoro!” lo salutò sua madre allegramente. “Posso farti un po’ di compagnia?”

“Certo!” Il ragazzo si spostò un poco per farle spazio e la donna si sedette accanto a lui, ponendo in mezzo una ciotola con i pop corn. “Ho portato qualcosa da sgranocchiare”.

Tyler allungò una mano e incontrò i pop corn.

“Hai ripreso a leggere!” notò Kelly con piacere.

“Sì”.

“Sono stati gentili i genitori di Blake ad averci invitati a pranzo”.

“Sì, è vero”, concordò il figlio, gli occhi fissi sul muro davanti. “E sua madre cucina molto bene”.

“Penso che tu e lui siate una bella coppia”.

“Lo penso anche io”.

Cadde un momento di silenzio, interrotto solo dallo sgranocchiare dei pop corn.

“Sei felice?” chiese Kelly, in tono serio. Era chiaro che la risposta a quella domanda le importava molto.

“Sì”.

La donna sorrise. Era stata una risposta monosillabica ma era tutto ciò di cui aveva bisogno. Tyler non aveva aspettato troppo prima di rispondere, non aveva tentennato. Ciò significava che era veramente felice. Finalmente, dopo tanto tempo.

“Anche io”.

“Pensi che lo sia anche papà?”

Kelly lanciò un’occhiata alla foto di suo marito e  suo figlio che il ragazzo teneva sulla scrivania. Poi riportò lo sguardo su Tyler. “Certo. E penso che sia orgoglioso di te”.

Il moro, senza aggiungere altro, si protese verso di lei e l’abbracciò, saltandole al collo come faceva da piccolo. La madre ricambiò l’abbracciò, il naso solleticato dai capelli del figlio che sapevano lo stesso odore di quelli di Richard. Avevano anche la stessa consistenza. Tyler era molto simile a Richard.
Suo marito le mancava immensamente, la vita che avevano prima di quell’incidente le mancava immensamente. Ma adesso un po’ meno. Adesso le cose stavano cambiando, si stavano a poco a poco aggiustando, anche se non sarebbe mai tornato tutto come prima.
Però, almeno, stavano uscendo da quel brutto periodo.

La felicità c’era ancora, non li aveva abbandonati come avevano pensato.

E tutto stava andando bene.

THE END

 

MILLY’S SPACE

È sempre strano concludere una storia. Da un lato si prova una soddisfazione pazzesca e anche un pizzico di sollievo, ma da un altro è sempre un peccato. È come lasciare una parte di sé. Ma le cose non possono durare in eterno, specialmente quelle belle, come spero sia stata questa fanfiction. So che non ci sono stati grandi colpi di scena né i personaggi hanno vissuto delle avventure particolari, però questa storia è nata col puro intento di essere qualcosa di molto innocente e molto dolce. E spero ci sia riuscita.

Bene, non voglio dilungarmi in troppe parole, non l’ho mai amato particolarmente. Ci tengo solo a precisare alcune cose su questo capitolo: la canzone cantata da Amanda e Tyler si intitola appunto The last time ed è cantata da Taylor Swift e Gary Lightbody (del gruppo dei Snow Patrol). In verità sono stata molto indecisa tra questa e Everything has changed (sempre di Taylor Swift e Ed Sheeran). Alla fine ho scelto la prima perché musicalmente mi piaceva di più.
La storia, invece, del ciuccio è una cosa vera ^^ da piccola avevo un cuccio che non volevo mai cambiare ed era diventato completamente nero. Quando i miei provavano a darmene un altro lo buttavo via XD 

Bene, e ora passo ai ringraziamenti. Be’, innanzitutto ringrazio tutti quelli che hanno seguito questa storia, che l’hanno letta, che l’hanno amata, che hanno aspettato con trepidazione l’aggiornamento. E ringrazio anche quelli che l’hanno solo aperta e abbandonata dopo il primo capitolo. Ringrazio in particolare quelli che mi hanno recensito fedelmente ogni capitolo e anche quelli che l’hanno fatto saltuariamente. Non sto a nominarvi uno per uno perché non finirei più, io so già chi siete e vi adoro tutti quanti.
Infine, ringrazio anche i lettori silenziosi e vi sprono a non essere timidi e a recensire più spesso. Agli scrittori fa sempre bene ricevere commenti, non tanto per mostrare qualcosa agli altri, quanto più invece per sapere se la storia piace, per avere delle soddisfazioni, per essere invogliati a scrivere. Pure le critiche vanno bene e anche i consigli. Quindi, non abbiate paura ^^. Almeno con me, io non mordo, lo sapete…

Ed ecco, al solito ho scritto un papiro. Be’, spero di non avervi annoiati.

Spero che mi seguirete ancora anche nelle altre storie. Mi trovate anche su facebook, su Milly’s Space. Cliccate mi piace e, se volete lasciarmi messaggi, potete farlo lì : ) ditemi anche se c’è qualcosa che vi piacerebbe che io scriva, cercherò di accontentarvi.

Questo penso sia tutto.

Un bacione,
la vostra fedelissima Millyray.

FEDE15498: crisi d’astinenza da Milly? Addirittura?? Ahah, che bello ** sono contenta che le mie storie riescano a prenderti così tanto. Be’, che dire, anche secondo me Ty e Blake sono troppo dolci, ma lasciamoli fare. Non chiamiamo la polizia, dai ^^. Kelly è una madre fantastica, me la sposerei pure io ^^ o forse preferirei Amanda, non so ^^ ahaha.
Già, la storia è conclusa, ma come ben sai il sito di EFP non si libererà tanto presto di me.
Ti ringrazio molto perché tu sei una di quelle che mi ha sempre seguito e recensito. Lo apprezzo.
A presto, Milly.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1252423