L'invasione degli ultracoiti

di LawrenceTwosomeTime
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Connessione ***
Capitolo 2: *** Avvicinamento ***
Capitolo 3: *** Simmetria ***
Capitolo 4: *** Allontanamento ***
Capitolo 5: *** Disconnessione ***



Capitolo 1
*** Connessione ***


”Devi starmi a sentire, Don! Questa volta ho una bomba per le mani, roba da far squagliare lo schermo!”
“L’unica cosa che si squaglia sono i miei coglioni, Clara. Quante volte sei piombata nel mio ufficio dicendo ‘oh, Don, ti prego stammi a sentire perché ho una bomba tra le mani…”
Per le mani”
“Come ti pare. Ormai ho perso il conto delle ‘bombe’ che mi hai recapitato, so solo che qui dentro c’è tanta retorica da far saltare in aria le due torri… di nuovo”
Clara sbuffò lasciandosi scivolare su una delle comode poltrone imbottite. Marguerite, la segretaria di Don, portò due tazze di caffè senza che nessuno gliel’avesse chiesto.

“Insomma, Clara, chiariamoci: le tue sceneggiature non sono proprio da buttare via… L’ultimo film, com’è che si chiamava?”
“Annaspando nel circuito infinito dell’agonizzante circo agonistico insubordinato preternaturale”, disse Clara perentoria.
“Ecco. A parte che sembra il titolo di un film della Wertmüller, non era esattamente roba da Oscar. Ma ha incassato abbastanza da coprire i costi di produzione. Detto ciò…”
Pausa ad effetto.
“Lo sai perché non ti ho ancora fatto bandire da Cinecittà?”
Clara lo sapeva. Sperava che non ne facesse menzione, quell’argomento le provocava sempre un’acuta fitta al petto.
“Certo che lo sai. Tua madre era un’attrice di prim’ordine, una donna di classe e un’artista tra le più equilibrate che abbia mai conosciuto”
“Don…”
“Ogni giorno aspiranti sceneggiatori imberbi bussano alla mia porta elemosinando un po’ d’attenzione, e tu hai la precedenza su tutti loro, sempre. Ma la mia pazienza si sta esaurendo, sono, be’, più o meno cinque anni che si sta esaurendo…”
“Questa volta è diverso”
Le mani di Clara tremavano, dovette appoggiare il caffè sulla scrivania.
Don le lanciò uno sguardo penetrante.
“In che senso, è diverso?”
“L’Inchiostro di Bastet”
“L’inchiostro di chi?”
“È una sostanza magica, un tramite con il mondo delle idee. L’ho usato per scrivere la sceneggiatura che hai davanti”

L’espressione da fanatica non giocava a suo favore, ma Don decise se non altro di indagare sulla faccenda.
“Non capisco come puoi credere che adoperando un qualche tipo di inchiostro colorato per stendere i tuoi deliri tu possa…”
“No, hai frainteso. L’Inchiostro di Bastet è un composto allucinogeno, si assume per inalazione”
Don si mosse sulla sedia.
“Di bene in meglio. In pratica ti sei drogata e mi porti qui il frutto del tuo parto malato. Se siamo fortunati, ci troveremo alle prese con una versione handicappata di un romanzo di Burroughs”
Clara si tirò in piedi. Era alta, paragonata alla tozza figura rincagnata di Don.

“Sono rimasta in stato di semi incoscienza per più di tre giorni, scrivendo come una forsennata (“A mano”, le fece eco Don), senza bere, mangiare o andare in bagno. Il risultato sono venti pagine traboccanti di illuminazione. Ritengo che tu debba loro rispetto”
Le tue lampadine si sono fulminate da un bel po’, pensò Don, ma evitò di dirlo ad alta voce.
“Almeno le hai rilette?”
“Certo che no! Perché rischiare di corromperne la purezza? Questo film va girato immediatamente, senza secondi ciak, senza revisioni! Solo così potremo consegnare al nostro pubblico il capolavoro che tanto a lungo ha atteso!”
Don si accese un sigaro.
“Se prometto di dargli una letta, tu in cambio fai voto di non stressarmi più con le tue matterie?”
Clare esitò. Se c’era qualcuno che aveva il diritto di leggere il suo lavoro, quello era Don. Annuì.
“Bene. Ora fuori di qui”

Quando fu sicuro che Clara fosse lontana due o tre miglia dal suo studio, Don guardò per la prima volta il fascio di carte che aveva davanti.
L’invasione degli ultracoiti.
Storse il naso, preparandosi al peggio.

Venti minuti dopo, si ricordò di rinserrare le mascelle e assumere una posizione decorosa.
Certo, era fastidiosamente breve e sprovvisto di note o qualsivoglia indicazioni, anche se con un paio di aggiunte, magari una bella infoltita e sviluppando meglio la progressione narrativa… ma non era questo il punto.

Per la prima volta da che la conosceva, Clara Manetti gli aveva consegnato una sceneggiatura decente.

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Capitolo 2
*** Avvicinamento ***


Clara era entusiasta. Era accaduto tutto così in fretta.

Marguerite le aveva telefonato per informarla che il progetto era avviato, e per trattare il suo compenso.
Chi se ne importava dei soldi, possedeva un patrimonio esoso lasciatole dalla defunta madre, forse l’unico atto d’amore che avesse mai ricevuto. L’importante era che quell’industria cinematografica così elitaria, classista e autarchica sarebbe stata scossa dall’interno.
Buffo come ‘Cinecittà’ suonasse tanto simile a ‘cecità’… ma presto un bagliore, un fulgore con la forza di mille strali l’avrebbe ricondotta sulla retta via.

In realtà aveva raccontato a Don una piccola bugia: l’incipit l’aveva letto, non era riuscita a trattenersi.
L’invasione degli ultracoiti era sostanzialmente una rivisitazione in chiave moderna del film a cui faceva riferimento: una razza di organismi unicellulari senzienti simili a batteri invadeva il pianeta terra, prendendo il controllo di uno sparuto gruppetto di esseri umani che in seguito tentavano di contagiare il resto della popolazione: chi entrava in contatto con questi “alieni” sperimentava un acuirsi delle facoltà sensoriali oltre il livello di tollerabilità; mostruose ondate di sensazioni invadevano il suo corpo, enfatizzando e dilatando odori, sapori, suoni e via dicendo. Fino a che il cervello dell’ospite non implodeva per gli stimoli eccessivi e colava fuori dalle orecchie.
Clara si sentiva esaltata al pensiero di come avrebbe potuto evolversi una simile storia.

Pedalava con enfasi in sella alla sua graziella, tagliando per i giardini pubblici e lanciandosi per le discese più infide. Era il primo giorno di riprese. L’emozione era a mille.
Quasi non notò la sagoma in ombra di un uomo che si contorceva ai piedi di un albero. Ciò che la fece trasalire fu il lamento improvviso scaturito dall’oscurità. Sterzò bruscamente e si esibì in una derapata degna di Coppi, e finalmente frenò.
Abbandonata a terra la bici, si avvicinò alla figura tremante che implorava aiuto. Realizzò lentamente cosa aveva davanti.
Questo non ci voleva proprio.

Il ragazzo sanguinava copiosamente da una serie di ferite al torace. Sembravano fori prodotti da un’arma da fuoco. La sua camicia a quadri blu era zuppa di sangue.
Esalò una serie di respiri strozzati che contenevano abbozzi di parole.
Clara si chinò per sentire meglio.
“Ho… ho provato… Ma non potevo… da solo… Hanno deciso… che non gli servivo…”
“Ok, calma, calmati”, disse Clara, più a sé stessa che al ragazzo morente.
Chiamò un’ambulanza e poi si ricordò che doveva arrestare la fuoriuscita di sangue. Si tolse la camicia e la premette contro gli squarci. Nonostante tutto, l’emozione più vivida che provava era il fastidio.
Si, insomma, era il primo giorno di riprese e questa disgrazia capitava proprio a lei. A lei.
Avrebbe dovuto seguire il ragazzo in ospedale. La polizia avrebbe fatto domande, sarebbe stata interpellata in qualità di testimone. Un girotondo infinito di scartoffie, umidi antri odorosi di muffa e telefonate alle sei del mattino.
Non ci pensava proprio.
“Ce la fai a tenerla premuta?”
Il ragazzo annuì debolmente. Sembrava aver ripreso miracolosamente un po’ di colore.
“Bravo. Bravo. Io, uhm… vedo se riesco a trovare aiuto. Prima che arrivino i paramedici, voglio dire”
“Mi sta… abbandonando?”
Clara si morse il labbro.
“È che… devo salvare un’altra vita”

Detto questo rimontò in sella alla bici e sfrecciò via.
Era la sua vita, la sua propria vita che doveva salvare.

Diciotto minuti dopo

“Perché non porti niente sotto il cappotto?”
“Lascia perdere, è una lunga storia”

Il regista, Ampelio Tinelli, aveva deciso di optare per una serie di lunghi pianisequenza. Avrebbero mantenuto in vita la tensione del racconto, o almeno queste erano le sue intenzioni.
Il set era stato arredato e illuminato splendidamente, le attrici protagoniste erano state imbellettate per bene; tutto era pronto per essere messo in moto.
Don studiava l’ambiente da lontano, fremendo perché non poteva fumare i suoi sigari.
Clara sedeva di fianco ad Ampelio in qualità di consulente; inutile dire che la cosa le procurava un’evidente impennata di orgoglio.

Finalmente, la voce del regista scandì: “L’invasione degli ultracoiti, scena uno… azione!”

”Mara, devo parlarti”
“Che succede?”
“In privato”

“Di cosa si tratta?”
“È Roberto. Non sembra più lui. Stamattina mi guardava con un’aria allucinata, come se non mi riconoscesse”
“E poi?”
“Ha vomitato sul tavolo del soggiorno. Ondeggiava, diceva cose sconnesse. E la cosa strana è che sembrava felice. Mi ha messo paura”
“Dov’è adesso?”
“Ho chiamato il dottor Gava. Quando è arrivato Roberto stava… facendo numeri di giocoleria con la frutta. Gli ha dato dei calmanti e l’ha messo a letto. Mi ha chiesto se faceva uso di droghe, io non ho saputo cosa rispondergli… Adesso dorme, e non so come farò quando si sveglierà”
“Devi rivolgerti a uno specialista. Magari è una crisi di nervi. Stress da iperlavoro…”
“Spero che sia solo questo”
“Tienimi aggiornata”


“Eee stop! Buona! Cinque minuti di pausa, gente”

Clara era estasiata. Quelle due recitavano benissimo. Il lavoro stava procedendo a gonfie vele e presto il suo manoscritto sarebbe diventato cinema. Cinema!

Tornò a casa con l’euforia nel cuore, senza pensare a ragazzi dissanguati sotto gli olmi, alla sirena dell’ambulanza o agli interrogatori della polizia.

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Capitolo 3
*** Simmetria ***


La parte centrale del film era anche la più criptica.

Si erano accordati per girarla con una videocamera a mano, in digitale.
“Ecco, Clara, la tua sceneggiatura mi piace, lo sai, ma mi vuoi spiegare cosa succede in questa cavolo di scena?”, disse Don in tono diffidente.
Lei si girò di tre quarti. Osservò il vicolo in cui si sarebbe svolta l’azione.
“Francamente, Don, non lo so. Devi capire che è una sorpresa anche per me; io la sceneggiatura non l’ho letta e posso solo indovinare di cosa si tratta. Nel caso specifico…”
“Aspetta, non mi dirai che è una di quelle sequenze oniriche-allegoriche rappresentanti qualcos’altro, qualcosa che non si vede o stronzate analoghe?”
“Lasciami dire come la vedo io”, si intromise Ampelio.
“In questo particolare momento”, attaccò, e intanto gesticolava per dare forza alle sue convinzioni, “la protagonista sta cercando di metabolizzare il fatto che il suo mondo, la realtà che conosce da quand’era bambina, sta cambiando per sempre, e non c’è un punto di ritorno; ovviamente questo fa riferimento all’invasione aliena, ma non solo… si tratta della globalizzazione, dell’unificarsi tra le varie identità nazionali, il nuovo, l’asettico, il certificato che prende il posto del vecchio, eterogeneo, fallibile e quindi realmente comunitario, insomma l’insorgere di un conservazionismo liberale spogliato della sua rincuorante maschera capitalista. E lo fa filmando. Filmando gli alieni che lei interpreta come alieni, ma che in realtà sono più di una cosa sola; gli alieni siamo noi. Noi che giriamo, noi che diveniamo spettatori del processo di distruzione, che ci appropriamo delle sue problematiche come fossero le nostre e le suggiamo l’anima in un inconsapevole salasso intellettuale, un salasso ombra, una ricerca, un’evasione silenziosa”
Don si schiarì la gola.
“Per cosa ti pago, Tinelli? Per darmi lezioni di antropologia?”
“Io volevo solo…”
“Si, si, insomma, tutto questo per dire che la protagonista deve filmare noi mentre noi filmiamo lei, un’introspezione sulla ‘realtà’ che francamente considero presuntuosetta… Insomma, mi credete uno scemo? Ho letto Oblomov, sapete? Voi volete dire a me, spettatore pagante, che i film sono come la vita e la vita è un film, giusto? Niente seghe mentali, è questo che volete dirmi?”
Clara guardava dall’uno all’altro con fare ansioso. Le era piaciuta l’interpretazione del regista, ma trovava che stessero cavando fuori dal suo lavoro più di quanto ci fosse da ricercare.

“Diciamo che lei vuole documentare il comportamento degli alieni per capirli, per decidere se deve cedere al fascino della ricerca del sé. E non si rende conto che anche gli alieni la spiano, forse per capire a loro volta la sua reticenza”

Don batté le mani con vigore.
“Clara, ultimamente sei molto più simile a tua madre. Mi compiaccio. Forza, gente, basta battere la fiacca! Al lavoro!”

L’attrice si aggira nel vicolo come una pedina sopra una scacchiera di luce e d’ombra.
Rumori insinuanti, rumori osceni, le dicono che non è sola.
Li guarda, ci guarda, con quello strumento costruito per guardare, quell’occhio di plastica. Noi ci riflettiamo in lei.
Chissà se qualcuno ascolterà le sue implorazioni. Ciò che ho visto contiene un’altra verità?
Se lo domanda mentre gira, gira su sé stessa, la pressione le comprime i timpani.
Fugge con la compostezza dei condannati a morte.


“Stop! Buona! Bene, ragazzi, per oggi basta così! Ottimo lavoro, tutti quanti!”

Clara ritornò a casa sentendosi vuota, in qualche modo spersonalizzata. Rovesciò una pentola mentre si preparava da mangiare.
Gli occhi indugiarono sotto il lavello. Si sentì osservata.
Dormì con la luce accesa.

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Capitolo 4
*** Allontanamento ***


Clara non vedeva l’ora di archiviare il film. Uno straziante bisogno di lasciarsi alle spalle il mondo del cinema l’aveva attanagliata senza preavviso, sorprendendo lei per prima.
Allo stesso tempo, però, sentiva che la fine delle riprese avrebbe sancito un cambiamento i cui effetti erano imprevedibili. In un certo senso, sarebbe stato come rompere la guaina di un involucro prezioso fatto di sogni e speranze, per lasciarne uscire… cosa?

Quel giorno si girava l’ultima scena.
La troupe era chiaramente desiderosa di chiudere in bellezza; il girato era buono, chi aveva visto i giornalieri non faceva che ripetere quanto fosse buono, e in cuor suo chiunque ne era consapevole.
Tinelli ostentava un’espressione, un cipiglio tra il serio e il grottesco, che poteva voler dire “ancora un piccolo sforzo e poi faremo baldoria e raccoglieremo i frutti del nostro lavoro, e magari stavolta ci scappa pure il Leone d’Oro alla Carriera”.

Clara osservava il set stranamente familiare con la sensazione di aver capito qualcosa di importante, ma di non riuscire a ricomporre il quadro complessivo.
La voce di Ampelio la strappò alle sue riflessioni.
“Eee… azione!”


“Ho… ho provato… Ma non potevo… da solo… Hanno deciso… che non gli servivo…”
“Ok, calma, calmati”

“Ce la fai a tenerla premuta?”

“Bravo. Bravo. Io, uhm… vedo se riesco a trovare aiuto. Prima che arrivino i paramedici, voglio dire”
“Mi sta… abbandonando?”
“È che… devo salvare un’altra vita”


“Stop! Era l’ultima scena! Cazzo, mi sono venuti i brividi! Ogni cosa al suo posto, nemmeno una sbavatura! Tu che cosa ne pensi, consulente alla regia? Ehi, Clara, ti senti bene?”
Clara guardava fisso davanti a sé. Le veniva da vomitare.
“…normale”
“Come?”
“Tutto questo non è normale”
Ampelio si grattò la testa, imbarazzato. Non sapeva cosa dire.
Lei lo prevenne raccogliendo le sue cose e abbandonando il set.

Ventisette minuti dopo, stava per infilare la chiave di casa nella serratura, quando una mano le calò sulla spalla, facendola trasalire.
Era Luisa, la vicina, una donna con cui era sempre stata in ottimi rapporti. Pareva turbata.

”Clara, devo parlarti”
“Che succede?”
“In privato”
Clara la invitò a entrare e preparò il tè.
“Di cosa si tratta?”
“È Giovanni. Non sembra più lui. Stamattina mi guardava con un’aria allucinata, come se non mi riconoscesse”
“E poi?”
“Ha vomitato sul tavolo del soggiorno. Ondeggiava, diceva cose sconnesse. E la cosa strana è che sembrava felice. Mi…”
“Aspetta un attimo, fermati”
“Cosa?”
“È uguale alla scena in cui…”
“In cui cosa? Quale scena?”

Clara sbatté la tazza sul tavolo di marmo e tirò in piedi Luisa a forza.

“Devi andartene di qui. Questo non è posto per te”
“Mi vuoi spiegare perché…”

Le sbatté la porta in faccia e andò a raggomitolarsi sul divano.

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Capitolo 5
*** Disconnessione ***


Quella sera stessa

“Pronto?”
“Don, sono io”
“Clara! Come mai chiami a quest’ora?”
“Io, io… senti, c’è un problema”
“Ha a che fare col compenso?”
“Al diavolo il compenso! Ci sono quelli là, fuori dalla porta, che grattano”
“Grattano?”
“Si, cos’altro potrebbero fare?”
“Ti riferisci ai gatti?”
“Devo venire da te”
“Cosa? Io… be’, non posso. Ho dato un party, ci sono alcuni miei colleghi… Ho degli ospiti da intrattenere, capisci?”
“Ti prego, è una questione di vita o di morte!”
“Oh, e va bene. Ti aspetto”
Clunk.

Suonò e venne accompagnata nell’atrio da un maggiordomo in livrea.
Dirigendosi verso il luogo da cui proveniva la musica, lasciò dietro di sé una serie di impronte bagnate; grondava dalla testa ai piedi perché aveva pedalato sotto la pioggia.

La sala era addobbata con sfarzo, la musica era decisamente troppo scatenata per un incontro formale tra signori di mezza età; notò che anche gli ospiti si muovevano in modo inusuale. Una coppia ballava un tango appassionato al centro della congrega, salutata da fischi e ovazioni.
Poi vide Don che le faceva segno di avvicinarsi da dietro una colonna. Sembrava ansioso di nascondere la sua presenza agli amici, quasi che lei fosse una macchia di sugo sulla sua altrimenti immacolata camicia conviviale.
“Eccoti, finalmente. Sono stato in pena, quando ti deciderai a comprarti una macchina?”
“Don, andiamo in un posto più tranquillo”

Scuotendo la testa e fumando nervosamente, il produttore la condusse nel suo studiolo.

“Allora, di cosa volevi parlarmi?”
Clara raccolse il coraggio a due mani.
“Ci sono state delle coincidenze in questi giorni… che non possono essere semplici coincidenze”
“Spiegati meglio”
“Non ci riesco. Ma lo sento, tutto intorno a me. L’aria è cambiata. Sento che mi spiano”
“Clara… Non avrai ricominciato a prendere quell’Inchiostro di Bastet, vero?”
“Tu non capisci…”
“Sei tu che non capisci. Comprendo perfettamente la soddisfazione che può dare mandare in porto un progetto vincente. Da’ alla testa, in effetti. Io ci sono abituato, ma tu potresti aver perso il senso delle cose, non so se mi spiego”
“Loro sono qui. Ci guardano anche in questo momento”
“Li hai mai visti in faccia, ‘loro’?”
“Io… no, ma io…”
Don si appoggiò allo schienale di una sedia a dondolo.
“Ti confesserò una cosa. Tua madre era una grande attrice; ma anche lei aveva dei, be’, dei cosiddetti disturbi mentali. A volte vaneggiava…”
Clara lo fissava a bocca aperta.
“Fui io a consigliarle uno specialista, lo stesso che ha in cura mia moglie, tra l’altro. Comincio a chiedermi se non sto buttando via i miei soldi…”

Clara piangeva in silenzio, di un pianto senza lacrime.

Sentiva distintamente gli schiamazzi degli ospiti mutarsi in urla selvagge, la cacofonia dei bicchieri rotti.
Qualcuno bussò violentemente alla porta.

Non si voltò.

Sapeva già che cosa avrebbe visto.

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