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“Black
Star Forever you will be A shining star, shining star Be whatever you can be, […] You will always be a black star. Black star”
(Black Star,
Avril Lavigne)(1)
A Sofia, che credo mai lo leggerà
E a mio nonno, che mi ha sempre sostenuto e continuerà a farlo
Figlia della notte
“…perché la vera magia è nel cuore di ciascuno” (2)
Prologo
S
nape è una cittadina a poche miglia da Londra che conta poco
più di trecento abitanti. Circa la metà di essi è costituita da famiglie di
maghi e streghe che con molta abilità riescono a confondersi tra le persone
comuni, i cosiddetti Babbani. Per questo Snape è uno di quelle città chiamate
dalla popolazione magica come paese semi-magico.
Verso la fine dell’anno 1959 vi si trasferì una donna
dall’aria misteriosa incinta di pochi mesi, che portava il nome di Helena
Stones.
Il suo nome fu subito sulla bocca di tutti i cittadini più
curiosi, parte di ogni pettegolezzo del paese. Di lei si mormorava che venisse
da una potente famiglia Purosangue, trovata un giorno morta sotto le macerie
della villa di famiglia. Lei ne era stata l’unica sopravvissuta e per questo si
diceva che fosse stata proprio lei a causare l’esplosione che aveva ucciso i
genitori.
Helena Stones, però, si mostrò fin da subito tutt’altro che
come una potenziale assassina.
Ben presto seppe acquistare simpatia presso le altre
famiglie magiche del paese e ogni pettegolezzo negativo su di lei svanì nel
nulla, così com’era comparso.
Ciò cui gli abitanti di Snape non seppero mai dare una
spiegazione e di cui Helena stessa si rifiutò di parlare, fu chi fosse il padre
del bambino che stava crescendo nel suo ventre.
Fu così, che qualche mese dopo l’arrivo della donna al paese,
nacque Sophie Stones e come tutti gli abitanti si aspettavano, ricevette il
cognome della madre. Sophie crebbe e si rivelò presto una bambina molto
intelligente. Ad appena un paio d’anni stava già in piedi su due gambe e a tre
sapeva già parlare, anche se in un inglese un po’ infantile.
Fu Helena stessa a istruirla, evitandole così di farle
frequentare scuole Babbane. Fin da piccola, infatti, Helena impartì alla figlia
le differenze tra le varie “razze” magiche, trascinandola via ogni volta che la
bambina tentava di fare amicizia con qualche bambino Babbano. Dovette però
acconsentire, per non risultare troppo schiva e isolata agli occhi di tutti,
che la bambina frequentasse gli altri bambini provenienti da famiglie magiche,
anche se Mezzosangue.
A cinque anni Sophie fece la sua prima magia. Era un giorno
come tanti e la bambina stava accompagnando la madre a fere compere nel mercato
del paese. Sophie amava particolarmente quel luogo: le piaceva ammirare le
varie merci esposte sui banconi e riusciva sempre a farsi dare dai commercianti
più socievoli qualche frutto fresco da assaggiare. Fu proprio a uno di quei
banchi di frutta e verdura che Sophie s’imbatté in un viscido rospo. Sua madre
aveva appena acquistato una grande zucca da intagliare per la vicina festa di
Halloween e quando Sophie fece per controllare che fosse abbastanza grossa,
l’ignaro animaletto uscì da un buco sul fondo del frutto saltandole in piena
faccia. La bambina, spaventata, lanciò un urlo di paura e il rospo fu scagliato
in aria a tutta velocità andando a finire dritto in faccia al venditore.
Andò a finire che Helena fu costretta a trascinare via la
figlia, prima che qualcuno potesse capire quel che realmente fosse successo, e
che quell’Halloween non ci fu alcuna zucca ad illuminare l’ingresso di casa
Stones.
Un altro episodio che segnò particolarmente l’infanzia di
Sophie avvenne in una fredda mattinata di dicembre, qualche anno dopo. Quel
giorno Helena era andata al mercato del paese, lasciando Sophie a casa a
prendersi cura di una pianta magica che, chissà come mai, aveva deciso di non
prendere più acqua e stava così appassendo. Helena era in ritardo e Sophie stava
cominciando a preoccuparsi, quando finalmente la donna varcò la porta di casa.
La bambina ebbe presto modo di scoprire il motivo di quel ritardo: Helena entrò
in casa con un sorriso a trentadue denti e una cesta di vimini tra le braccia.
Per tornare a casa dal mercato la donna doveva attraversare un ponte su un
canale, ed era stato proprio in quel punto che aveva udito un lieve miagolio.
Era stata così attratta da una cesta di vimini contenente un cucciolo di gatto,
abbandonato lungo la riva del canale.
Tra l’animale e la bambina nacque subito una solida amicizia
e Sophie lo chiamò Lumos, come il primo incantesimo che aveva appreso.
L’evento che Sophie considerò per buona parte della sua vita
come il momento più bello, però, accadde la mattina del suo undicesimo
compleanno. Helena tornò in cucina, dopo aver ritirato come ogni mattina, la
posta sullo zerbino di casa. Tra le mani teneva un pacco di lettere che si
rivelarono essere biglietti d’auguri per la figlia dalle varie famiglie magiche
del paese e una spessa e pesante busta di pergamena giallastra che consegnò a
un’eccitata Sophie. La busta era chiusa con un sigillo di ceralacca color
porpora e recava uno stemma araldico: un leone, un corvo, un tasso e un
serpente intorno a una grossa “H”.
Note:
1_Le
parole appartengono a una canzone di Avril Lavigne, Black Star e la traduzione
della è questa:
“Stella nera Sarai sempre Una stella splendente, stella splendente Sii tutto quello che puoi essere, […] Sarai sempre una stella nera Stella nera” 2_
Vi chiedo di memorizzare questo sottotitolo perché comparirà nuovamente più
avanti. Non lo metterò a tutti i capitoli perché mi da un po’ fastidio vederlo
sempre lì. Mi è venuto così, ma mi sembra di averlo già sentito da qualche
parte.
Angolo autrice:
Bene, vi rubo qualche secondo
per darvi alcune dritte.
Per prima cosa questa è una
revisione di una storia che ho già pubblicato quasi un anno fa, sotto il nome
di “Sophie Stones” e di cui ho scritto sei capitoli per poi lasciarla nel
pensatoio fino a poco prima delle vacanze, quando l’ho riletta e ho deciso di
riscriverla tutta da capo. Ho aggiunto molte cose e ne ho cambiate molte altre.
Qualcosa sulla storia. Che
Sophie sia nata a Snape non è un caso, intendiamoci, è non lo è neanche che sia
nata nel 1960. Ma lascio il resto alla vostra fantasia (ah, è a proposito, non
so se Snape possa essere considerato un villaggio semi-magico, ma per me è
così).
Ho passato un anno intero a tracciare
la trama di questa storia e ora posso dire di essere pronta a pubblicarla tutta
per intero senza troppe pause tra un capitolo e l’altro. Secondo un breve
calcolo la storia dovrebbe contare circa 60 capitoli per la prima parte e
altrettanti per la seconda.
Questo è solo il prologo ed è
corto, ma i prossimi saranno molto più lunghi. Già il capitolo numero uno conta
quasi dieci pagine di Word.
Se siete arrivati fino a qui
sappiate che vi ringrazio infinitamente e vi ringrazierò ancora di più se
vorrete lasciare una recensione. Lo so, è il primo capitolo e non avete ancora
la minima idea di come andrà avanti, però… bè, fate voi. Non voglio mica
obbligarvi ;)
“…perché la vera magia è nel cuore di ciascuno” (1)
Parte I
Anni 1971-1981
Capitolo I
Una nuova Serpe
L
e persone strane, si sa, esistono. Il concetto di “strano”
potrebbe variare da persona a persona ma chiunque si fosse aggirato nei pressi
della stazione King’s Cross di Londra, quella mattina, avrebbe, senza ombra di
dubbio, trovato decisamente strane la maggior parte delle persone che quel
giorno affollavano l’ingresso ai binari.
Il primo pensiero che poteva passare per la testa degli
ignari passanti era che si potesse trattare di qualche vacanza organizzata da
agenzie di viaggio oppure di semplici convegni di moda. La prima ipotesi era
piuttosto insolita dato che per la maggior parte dei lavoratori le vacanze si
erano concluse da poche settimane. La seconda ipotesi, invece, sembrava
piuttosto coerente con l’abbigliamento di quelle strane persone: erano per la
maggior parte vestiti di lunghe vesti dei colori più assurdi e portavano dei
cappelli a falde larghe di tutte le forme e dimensioni; alcuni portavano dei
lunghi mantelli che sembravano veramente poco adatti per la stagione; coloro
che potevano essere considerati i più “normali”, invece, portavano pantaloni e
giacche ormai fuori moda.
Ciò che attirava di più l’attenzione dei passanti, però,
erano i carrelli che servivano per portare i bauli. Essi erano pieni delle più
insolite cianfrusaglie come calderoni vecchi e arrugginiti o nuovi di zecca
scintillanti, contenitori di svariate forme, libri di ogni colore e dimensione,
bilance d’ottone, d’oro o d’argento, provette di vetro o cristallo, telescopi,
e in qualche carrello erano presenti anche dei manici di scopa che di tanto in
tanto sembravano vibrare.
Il tutto era sottolineato da un gran caos tra miagolii di
gatti affamati o nervosi, gracchiare di rospi o rane che saltavano su e giù,
tubare di gufi e civette di tutte le tonalità di marrone, grigio e bianco
appollaiati sui manici del carrello o nelle loro gabbiette di metallo.
Erano le dieci e mezzo del primo di settembre dell’anno
1971. Poteva sembrare un giorno qualsiasi per chiunque, ma non lo era per tutte
quelle “strane” persone. Esse si trovavano lì per un motivo ben preciso. La
maggior parte di quelle persone ignorava come il proprio aspetto potesse
attirare l’attenzione e ignorava il motivo per cui erano indicate da alcuni
passanti che ridacchiavano o bisbigliavano tra di loro.
Alle undici meno un quarto la folla cominciò a diminuire di
numero fin quasi a scomparire. Nessuno si chiese che fine avessero fatto tutte
quelle persone e nessuno fece caso al fatto che nessuna di esse poteva aver
preso uno dei normali treni in circolazione, perché, nel breve lasso di tempo
tra le dieci e mezzo e le undici meno un quarto, nessun treno aveva fatto
capolinea o si era fermato alla stazione.
Quando ormai sembrava essersi tutto tranquillizzato, una
donna entrò nella stazione seguita dalla figlia.
La ragazza, che doveva avere non più di undici anni,
spingeva faticosamente un carrello che conteneva un grosso baule di pelle,
mentre la madre teneva stretto tra le braccia un gatto di medie dimensioni. Le
due donne si assomigliavano in tutto e per tutto. Sarebbero sembrate una la
gemella dell’altra se non fosse stato per la differenza d’età. Erano entrambe abbastanza
alte e avevano capelli neri, lisci e lunghi fino alla vita. Sembravano
affannate, come di chi aveva appena corso per un lungo tratto di strada.
Le due non sembravano volersi fermare e non lo fecero
neanche quando il grande orologio della stazione segnò le undici meno otto
minuti, ma, al contrario, sembrarono aumentare la velocità, per quanto le loro
gambe potessero permettergli.
Le due percorsero velocemente la banchina da cui partivano i
binari.
« Binari uno e due, tre e quattro, cinque e sei… » contava a
bassa voce la madre, mentre sfrecciavano affianco ai binari.
« Binari sette e otto, nove e dieci! Finalmente! » esclamò
con un sospiro la donna. La ragazza fermò di colpo il carrello. La donna si
guardò intorno nervosa e dopo essersi assicurata che nessuno le guardava, fece
un segno alla ragazza che tenendo ben saldo il carrello cominciò a correre
verso il punto di mezzo tra i binari nove e dieci. Aumentò sempre di più la
velocità fino a quando non c’era ormai più spazio né tempo per frenare, e
quando stava per andare a sbatterci contro chiuse gli occhi. Nessun muro frenò
la sua corsa e quando riaprì gli occhi, si ritrovò in uno spazio del tutto
uguale a quello precedente. Si affrettò a frenare il carrello e per poco non
andò a sbattere contro un gruppetto di persone. Qualche secondo dopo, la madre
comparve dietro di lei con un’aria soddisfatta sul volto.
Nonostante tutti i racconti e le descrizioni della madre, la
ragazza rimase incantata mentre osservava lo spazio intorno a lei.
Alla sua destra una locomotiva a vapore scarlatta lanciava
sbuffi di fumo che si alzavano
in grosse volute verso il soffitto. La banchina era gremita di famiglie. Molti
ragazzini della sua età parlavano con i genitori e li salutavano tra baci e
abbracci. Alcuni di loro piangevano per la commozione e altri ancora erano
già sul treno e si affacciavano dai finestrini salutando a gran voce i
genitori.
Animali di tutti i tipi passeggiavano liberamente tra la
gente e le voci delle persone che si mescolavano nell’aria rendevano allegra l’atmosfera.
Alla
testa del treno un cartello recava la scritta Espresso per Hogwarts, ore 11, mentre un altro, attaccato a un arco
di ferro battuto dietro di lei, diceva Binario
9 3/4.
La donna sorrise all’espressione stupita della figlia e si chinò
verso di lei stampandole un bacio sulla guancia. « Allora… sei pronta? Il
momento che avevi tanto atteso è finalmente arrivato » le disse sorridendo.
Sophie si guardò ancora una volta intorno, poi tornò con gli
occhi sulla madre.
« Non sono più tanto sicura di voler partire… ».
Helena s’irrigidì un attimo, stupita dalla risposta della
figlia. Poi la strinse in un forte abbraccio pieno di affetto.
« E perché? » chiese, anche se pensava di saperne già il
motivo. Sophie sembrò pensarci su un attimo, poi rispose. « E se non finisco a
Serpeverde? »
Helena le sorrise e le accarezzò la testa lentamente. « E
perché mai non dovresti finirci? Evita di farti queste preoccupazioni, tesoro.
Piuttosto, fossi in te mi preoccuperei di attraversare il lago senza cadere
dalla barca ».
Sophie rimase un attimo interdetta, poi un sorriso le colorò
il viso.
Un lungo fischio risuonò lungo il binario. Tutti i ragazzi
si affrettarono ad allontanarsi dalle proprie famiglie e a salire in treno.
Sophie trascinò il proprio baule e con l’aiuto della madre
lo caricò a bordo della vettura. Quest’ultima le passò il gatto e la salutò un’ultima
volta. Sophie chiuse la porta del treno dietro di se. Tirò giù il finestrino e
si affacciò. Sua madre era sulla banchina e le sorrideva raggiante.
Con un rombo il treno si mise in moto e partì, acquistando a
poco a poco velocità.
Madre e figlia si salutarono fino a quando il treno non
scomparve dietro ad una curva.
Con un sospiro la ragazza si avviò lungo il corridoio del
treno, guardandosi intorno alla ricerca di uno scompartimento vuoto, con Lumos
al seguito. Lungo il percorso s’imbatté in diversi gruppetti di ragazzi che
chiacchieravano con i propri amici. Superò un paio di ragazze che dovevano
essere del terzo anno perché sentì una delle due dire « Chissà se esiste un
negozio di vestiti a Hogsmeade ».
Verso metà treno urtò contro un ragazzo dai capelli neri e
dalla carnagione pallida, che doveva avere la sua età, ma sembrava aver fretta
e non le porse neanche le sue scuse.
Trovò uno scompartimento vuoto verso la coda del treno e ci
entrò. Sistemò il baule sull’apposita ringhiera e si sedette sul sedile
portando le ginocchia al petto.
Lumos si sdraiò al suo fianco e cominciò a fare le fusa,
cercando le sue attenzioni. Quando si accorse che la padrona non lo
considerava, le diede le spalle, offeso, e chiuse gli occhi con l’intenzione di
farsi una bella dormita.
Sophie
guardava la campagna scorrere di là dal finestrino, senza però vederla
realmente, immersa nei propri pensieri.
Anche se sua
madre l’aveva messa sul ridere, lei non si sentiva in grado di scherzare.
Temeva veramente di finire in una casa diversa da quella di Serpeverde. La cosa
che la preoccupava di più era di deludere suo padre. Che cosa ne avrebbe pensato
di lei? Sarebbe diventata la strega che le aveva sempre promesso da bambina?
Anche se non lo voleva ammettere a se stessa, aveva paura. Era una brutta
sensazione. Si accorse solo in quel momento di avere mal di pancia, mal di
pancia per la paura. Scosse la testa, come per scacciare dalla mente i brutti
pensieri e si appuntò mentalmente di non fare la stupida e di non preoccuparsi
per cose così sciocche. Aveva affrontato cose ben peggiori di quella e le aveva
superate senza troppi problemi. Come suo padre le ricordava spesso, aveva più
coraggio di un qualsiasi altro uomo e sapeva fare cose che nessuno si sarebbe
potuto immaginare, da una ragazzina di appena undici anni.
Il filo dei suoi pensieri fu interrotto da un basso ringhio.
Quando si girò, vide Lumos a quattro zampe, con la schiena inarcata che
guardava verso la porta dello scompartimento, soffiando piano. Sophie conosceva
bene i comportamenti del gatto e sapeva che quando era in quella posizione
significava pericolo, o che semplicemente, qualcuno che non conosceva si stava
avvicinando alla sua padrona.
Sophie alzò lo sguardo verso la porta e vide una ragazza
fare capolino. « Ehm, possiamo
entrare? » disse, guardando storto il gatto.
Sophie annuì
e si affrettò a prendere il gatto in braccio, prima che quello le saltasse
addosso. Lumos si distese tra le sue braccia ma rimase in allerta.
La ragazza
entrò seguita da un ragazzino che Sophie riconobbe subito come quello che
l’aveva urtata nel corridoio.
Aiutò loro a
sollevare i bauli e a metterli nell’apposita ringhiera, accanto al suo.
Quando ebbero
finito si sedettero. Sophie dov’era prima, e gli altri due sui sedili al lato
opposto.
Sophie si
prese un po’ di tempo per osservarli. La ragazza era leggermente pallida, e
dagli occhi arrossati Sophie capì che aveva appena pianto. Aveva i capelli
lisci e di colore rosso scuro. Quando i loro sguardi s’incrociarono, Sophie si
perse negli occhi verde brillante dell’altra e si sorprese a pensare che
fossero proprio belli. La ragazza arrossì e distolse lo sguardo imbarazzata,
rivolgendolo al finestrino.
Il ragazzo
era molto pallido e magro. Aveva l’aria di uno che non aveva passato una bella
infanzia, ma al contrario dell’altra era felice e si guardava intorno
raggiante. Aveva un lungo naso adunco e dei lunghi capelli unticci che gli
scendevano fino alle spalle.
Lumos soffiò
di nuovo e Sophie gli accarezzò la testa per calmarlo. Il gatto però miagolò
spaventato. La ragazza stava per dirgli qualcosa per farlo smettere quando un
altro miagolio le fece capire il motivo del disagio del suo gatto.
La ragazza
dai capelli rossi si era alzata e stava tirando giù dalla ringhiera una gabbia
per gatti dalla quale tirò fuori un cucciolo di gatto nero come la pece. Come
Lumos, anche il gatto della ragazza sembrava infastidito e teneva le orecchie
ritte e gli occhi socchiusi, come se fosse pronto a difendere la sua padrona da
un possibile attacco. I due gatti si fissarono a lungo soffiando piano.
Seguì un
silenzio imbarazzato.
Alla fine il ragazzo parlò: « Non sembra che siano felici di
conoscersi ». La tensione si allentò e la ragazza dai capelli rossi sorrise.
Sophie fissò il ragazzo con curiosità. Lui la guardò di
rimando e poi abbassò gli occhi verso Lumos imbarazzato. Sophie sorrise mentalmente
ripensando a quando la madre le aveva raccontato di come da giovane riusciva a
zittire un uomo solamente guardandolo intensamente negli occhi. Pensò anche a
come assomigliava alla madre e si compiacque di se stessa.
Lily
intervenne. « Bé, ciao. Io mi chiamo Lily Evans e questo è il mio migliore
amico Severus Piton. » poi accennando al gatto disse « e questa è Ophelia, la mia gatta. Perdonala ma non si
fida degli sconosciuti. Facciamo il nostro primo anno a Hogwarts. E tu? »
Schiarendosi
la voce Sophie rispose « Sì, anch’io ». « Mi chiamo Sophie e lui è Lumos »
aggiunse.
Passò un
altro minuto di silenzio in cui i gatti sembrarono rilassarsi e smisero di
soffiare.
« In quale
casa vorresti finire? » chiese il ragazzo di nome Severus.
Sophie si
animò. « Serpeverde naturalmente, è la migliore. I miei genitori sono stati lì »
Severus
guardò Lily sorridendo. Sembrava soddisfatto della sua risposta.
« Visto? »
disse. Poi si rivolse a Sophie. « Anch’io voglio finire a Serpeverde ».
Sophie guardò
Lily interrogativa. Ella arrossì chinando lo sguardo imbarazzata.
« Ehm, io
sono nata in una famiglia di non maghi » disse con lo sguardo basso.
Sophie rimase
interdetta. Fin da quando era piccola, le avevano sempre insegnato che i maghi
e le streghe Nati Babbani non erano al livello degli altri e che non erano
degni di ricevere le sue attenzioni. La ragazza s’incupì e si rivolse al
ragazzo. « Anche tu un Nato Babbano? ».
Quello la
guardò vagamente imbarazzato, poi bofonchiò un « no » sommesso. « Sono
mezzosangue ».
Sophie
sospirò sollevata. Lei era una quasi purosangue e i mezzosangue non le dovevano
creare poi tanti problemi.
« C’è qualche
problema? » chiese Lily scettica.
Sophie la
fissò con aria di sfida. Poi strinse a se Lumos e si ripromise di non farlo
giocare con l’altro gatto, come se questo potesse nuocergli gravemente.
« No, nessuno
» rispose Sophie scettica. « Dopotutto non è colpa tua se sei una Nata Babbana
» concluse riportando lo sguardo al finestrino. Sophie ritornò ai suoi pensieri
e i tre ragazzi non si parlarono più fino alla fine del viaggio. Lily parlava a
tratti con Severus, ma non si dissero nulla di rilevante.
Quando la
sera stava ormai calando al di fuori del finestrino, una voce risuonò lungo
tutto il treno, annunciando che erano quasi arrivati a destinazione e di
cominciare a preparare la roba che avrebbero dovuto lasciare sul treno.
Sophie chiuse
Lumos nella sua gabbia e la sistemò sul baule, cercando di fare in modo che non
cadesse. A quel punto aprì la porta con l’intenzione di uscire nel corridoio,
già affollato da altri studenti. « Ci vediamo in giro » disse rivolta ai due
ragazzi che si stavano preparando dentro. Lily le rivolse uno sguardo
sprezzante e le diede le spalle con la scusa di mettere Ophelia nella gabbia.
Severus invece le fece un cenno con la testa in segno di saluto.
Con un altro
fischio acuto il treno si fermò e la fiumana di ragazzi si accalcò sul binario
buio.
Una voce
possente richiamò l’attenzione dei ragazzi del primo anno, chiedendo loro di
seguirlo. Era un uomo molto robusto, con una folta barba che gli ricopriva il
viso. Sophie comprese subito che l’uomo che aveva di fronte era un mezzo
gigante.
Scivolando e
incespicando i ragazzi lo seguirono lungo uno stretto e ripido sentiero.
« Tra poco,
prima panoramica di Hogwarts » annunciò Hagrid.
Il gruppo
svoltò l’angolo e Sophie per poco non scivolò sulle rocce bagnate per lo
stupore.
Un castello
gigantesco con una moltitudine di torri e torrette si stagliava contro il cielo
notturno, appollaiato in cima ad un’alta montagna. Sotto di esso si estendeva
un gigantesco lago nero.
« Solo
quattro per battello, mi raccomando » annunciò il vocione di Hagrid.
Solo in quel
momento Sophie si accorse di trovarsi su una sporgenza che dava sul lago. Di
fronte a se, la ragazza vide una flotta di piccole imbarcazioni che galleggiavano
placide sull’acqua. Sophie si unì a un ragazzo dai capelli neri disordinati,
con un paio di tondi occhiali, e al suo amico, seguita subito da un'altra
ragazza. Quando tutti furono su una barca, quelle si staccarono dalla riva e
cominciarono ad avvicinarsi a Hogwarts. Sophie tenne a mente le raccomandazioni
della madre e si tenne ben stretta al bordo dell’imbarcazione, per evitare di
cadere nel lago e fare così una pessima figura. Intanto la ragazza accanto a
lei cominciò a chiacchierare allegramente, attirando l’attenzione degli altri,
che giustamente stavano ammirando il panorama in silenzio. Questa non sembrò
curarsene più di tanto e continuò imperterrita, narrando ai compagni di barca
quella che pareva il giorno in cui aveva compiuto la sua prima magia. Sophie la
ignorò completamente, concentrandosi sull’imponente figura del castello e
immaginando il momento in cui avrebbe finalmente potuto metterci piede ed
esplorarla tutta da cima a fondo.
Le barche
attraversarono una cortina d’edera e un lungo tunnel buio fino ad urtare
dolcemente contro la riva di una grossa scogliera. I ragazzi saltarono giù
dalle barche e si arrampicarono tra le rocce, preceduti dalla fioca luce della
lampada di Hagrid. Uscirono di nuovo allo scoperto sull’erba morbida e umida
all’ombra del castello, salirono i grandi gradini di pietra di un’imponente
scalinata e si affollarono tutti di fronte al gigantesco portone di quercia,
dove Hagrid, dopo essersi accertato che nessuno si fosse perso per strada,
bussò tre volte con il pugno gigantesco.
Passarono
pochi istanti in cui nessuno parlò, poi la porta si spalancò e sulla soglia
comparve un’alta donna dai capelli corvini e dall’espressione severa, vestita
di una lunga veste color verde acido. Sorrise al mezzogigante e lo ringraziò
poi si mise da parte e fece segno ai ragazzi di entrare.
Sophie sentì
il nervosismo crescere dentro di lei, mentre con il cuore in gola entrava nella
gigantesca sala d’ingresso, illuminata da torce fiammeggianti che lanciavano
ombre sinistre sulle pareti. Di là da un’altra porta si udiva un forte brusio e
Sophie intuì che si dovesse trattare del resto della scolaresca.
« Benvenuti a
Hogwarts. Il mio nome è Minerva McGranitt e insegno trasfigurazione in questa
scuola » si presentò la donna.
Cominciò a
spiegare che cosa sarebbe successo ai ragazzi ma Sophie, che sapeva già tutto
grazie a sua madre, non l’ascoltò e si concentrò invece sul resto dei suoi
futuri compagni. Erano tutti nervosi: c’era chi ascoltava la McGranitt con
attenzione, chi si torceva tra loro le mani sudate, chi gettava di tanto in
tanto occhiate veloci alla porta della Sala Grande (anche di questo Sophie
sapeva già) e chi invece non l’ascoltava proprio, come lei. Sophie si accorse
con un sussulto che un ragazzo la stava osservando. Era abbastanza alto, aveva
dei capelli neri abbastanza lunghi e gli occhi di un castano brillante
sembrarono perforarla da parte a parte. Sophie strinse gli occhi e lo guardò di
sottecchi. Al contrario di Severus, lui non distolse lo sguardo ma le sorrise,
mostrando i denti di un bianco smagliante. Il volto di Sophie si trasformò in
una smorfia disgustata mentre tornava a guardare la McGranitt che aveva finito
di parlare e stava dicendo ai neo studenti di disporsi in una fila ordinata.
Tutti ubbidirono e Sophie si ritrovò al fianco della ragazza della barca che si
era zittita e si guardava intorno eccitata.
La porta
della Sala grande si spalancò e i ragazzi avanzarono all’interno.
Sophie dischiuse
la bocca in un sorriso mentre tutti spalancavano la bocca stupiti. La sala,
come le aveva spiegato sempre Helena, non dava sul cielo esterno, come molti
avrebbero potuto pensare, ma era stato incantato perché lo rispecchiasse alla
perfezione. Quella sera era di un bel blu scuro, punteggiato di piccoli e
splendenti puntini bianchi: le stelle. A mezz’aria galleggiavano migliaia di
candele accese che illuminavano, insieme a numerose torce alle pareti, i visi
degli studenti e i lunghi tavoli cui sedevano. Erano quattro, uno per ogni
Casa. Sophie riconobbe subito il tavolo dei Serpeverde, punteggiato qua e là
dai colori verdi e argento dei mantelli degli studenti.
La McGranitt
si fermò davanti al tavolo dei professori, in fondo alla sala, e sistemò un
vecchio cappello tutto rattoppato su uno sgabello. Dopo qualche istante di
silenzio si aprì uno strappo nella stoffa e con gran sorpresa dei nuovi ragazzi
il cappello cominciò a parlare.
Il discorso
non durò molto e il cappello specificò le doti richieste da ciascuna delle
quattro Case: coraggio e generosità per Grifondoro, lealtà e pazienza per Tassorosso, intelligenza
e saggezza per Corvonero, ambizione e astuzia per Serpeverde. Sophie rabbrividì all’ultimo nome e l’ansia della
mattina la assalì di nuovo.
Quando il Cappello Parlante terminò il suo discorso, la sala
scoppiò in un applauso fragoroso cui Sophie partecipò con scarsa convinzione.
La professoressa McGranitt aspettò pazientemente e quando
tornò il silenzio, srotolò un lungo rotolo di pergamena. Spiegò brevemente che
cosa sarebbe successo ai ragazzi del primo anno e poi cominciò.
Sophie sentì qualcosa cominciare a pesargli sullo stomaco e
strinse i pugni imponendosi di rimanere calma.
« Ameline Marion! »
Una ragazzina dai capelli riccioli e bruni si avvicinò allo
sgabello e si sedette. Il cappello le calò sulla testa e dopo qualche secondo
gridò:
« CORVONERO! ».
Il tavolo dei Corvonero esultò e batté forte le mani mentre
la ragazza si andava a sedere.
« Avery Charon »
Fu il primo Serpeverde dell’anno e Sophie lo applaudì
insieme con gli altri.
« Black Sirius! »
Sophie osservò il ragazzo che le aveva sorriso poco prima,
avanzare verso il tavolo degli insegnanti e sedersi. Sophie conosceva il suo
cognome: era una delle poche famiglie purosangue ancora in circolazione e sua
madre si era spesso lamentata a proposito di una di loro, o forse uno… non se
lo ricordava. Sapeva che la famiglia Black era solita vantarsi, oltre alla
purezza del proprio sangue, del fatto che tutti i propri membri fossero stati
smistati a Serpeverde. Sbuffò, mentre realizzava che avrebbe dovuto conoscere
il ragazzo. Poi s’irrigidì al pensiero che forse non ce ne sarebbe stato
bisogno, perché non era per forza detto che dovesse finire a Serpeverde pure lei.
Ci fu un lungo silenzio e infine, tra lo stupore generale,
il cappello gridò:
« GRIFONDORO! ».
Il tavolo dei Serpeverde rimase impietrito mentre quello dei
Grifondoro applaudì allegramente.
Il ragazzo, del canto suo, sembrava felice e si unì ai
Grifondoro con piacere. Sophie lo osservò attonita e si chiese perché mai
dovesse essere contento alla notizia di aver appena violato la tradizione di
famiglia. Scosse la testa tornando a preoccuparsi dello smistamento e dei suoi
problemi.
Dounby Rose, che Sophie riconobbe come la ragazza chiacchierona,
fu smistata a Serpeverde e Gaius Anne fu la prima Tassorosso.
« Evans Lily! »
La ragazza dai capelli rossi del treno salì i gradini di
pietra con le gambe incerte e si sedette sullo sgabello traballante. Con la
coda dell’occhio Sophie notò Severus torcersi le mani nervoso mentre il
cappello le calava sugli occhi.
Un secondo dopo essersi posato sulla chioma rosso scuro il
cappello urlò « GRIFONDORO! »
Sophie ghignò al flebile gemito di delusione del ragazzo e
osservò la ragazza correre verso il tavolo dei Grifondoro. Ma a metà strada si
fermò e si voltò verso di loro, rivolgendo a Piton un rapido sguardo e un
sorrisino triste. Quando raggiunse il tavolo, Black le fece posto sulla panca
ma Lily, dopo averlo guardato, incrociò le braccia e gli voltò le spalle con
decisione, andando a sedersi più lontano.
Anche Lupin Remus, un ragazzo dall’aspetto malaticcio, fu
smistato a Grifondoro e lo seguirono anche una certa McDonald Mary, McKinnon
Marlene e Minus Peter, un ragazzo mingherlino che si sedette allo sgabello
tremando.
« Mulciber Adam! »
Un ragazzo dall’aria tutt’altro che simpatica si andò a
sedere sullo sgabello.
« SERPEVERDE! »
Quando ormai erano rimasti solo una dozzina di ragazzi, la
McGranitt chiamò:
« Piton Severus! »
L’interpellato si fece avanti e si lasciò cadere sullo
sgabello.
« SERPEVERDE! »
Sophie lo seguì con lo sguardo mentre si sedeva al tavolo
dei Serpeverde e un ragazzo biondo con una spilla da Prefetto gli dava una
pacca sulla schiena, facendolo sedere accanto a sé.
Potter James fu l’ennesimo Grifondoro e si sedette al loro tavolo
con spavalderia, come se gli appartenesse, salutando Black con un gran sorriso.
« Stones Sophie! »
Alla ragazza mancò un battito e guardò il Cappello Parlante
tremando lievemente. Poi si calmò, si fece forza e raggiunse lo sgabello. Sentì
la McGranitt calcargli il cappello sulla testa e chiuse gli occhi, deglutendo a
fatica.
Uhm… hai una bella
testa ragazza. Vorresti finire a Serpeverde? Bé, credo di doverti accontentare.
Però… no, va bene « SERPEVERDE! »
Sophie tirò un sospiro di sollievo e riconsegnò il cappello
alla McGranitt per poi girarsi e andare verso il tavolo che stava applaudendo
forte. Sorrise a Severus e gli si sedette di fronte. « Serpeverde! Contento? »
gli chiese. Il ragazzo la guardò e annuì lentamente mentre un certo Wilde Elia
veniva smistato a Tassorosso. (2)
« Hei! Quanto entusiasmo, ragazzo! ». A parlare era stato un
ragazzo dai capelli scuri e anche piuttosto carino (Sophie si pentì di pensare
una cosa del genere) che doveva essere del quinto o sesto anno. Sorrise ai due
e cominciò a rigirarsi il bicchiere dorato tra le dita. « Mi chiamo Rabastan, e
fossi in te, sarei abbastanza contento ».
« Già,
avresti preferito finire tra i Grifondoro? » ribadì il ragazzo biondo con la
spilla da Prefetto.
Severus
rabbrividì impercettibilmente.
« O peggio, i
Tassorosso? » rise un altro della stessa età, ma s’interruppe quando nel resto
della sala si fece di colpo silenzio.
Sophie fece
scorrere lo sguardo per il tavolo dei professori e vide che il preside si era
appena alzato.
Lo conosceva
abbastanza bene. Si chiamava Albus Silente e nella sua infanzia i genitori non
avevano fatto altro che ripetergli di non dargli mai troppa confidenza. Suo
padre, poi, le aveva espressamente vietato di parlargli e anche solo di
guardarlo negli occhi. Il tono con cui glielo aveva detto, qualche giorno prima
di partire per Hogwarts, l’aveva fatta rabbrividire. Sembrava che ci tenesse
tanto e Sophie si era messa in testa di non deluderlo. Così, quando Silente
percorse con lo sguardo la sala, abbassò gli occhi sul suo piatto e ascoltò le
sue parole senza prestargli molta attenzione.
« Do’ il mio caloroso benvenuto agli studenti del primo anno
e il bentornato a quelli dal secondo in su. Mi dispiace dovervi intrattenere
per molto ma devo darvi i soliti avvertimenti d’inizio anno ». Cominciò. «
Prima di tutto devo ricordare che l’accesso alla Foresta Proibita è, per
l’appunto, severamente proibito. Com’è naturale che sia, è vietato fare gare di
magia nei corridoi nelle pause tra una lezione e l’altra.
« Infine chiunque sia interessato ad appartenere alla
squadra di Quidditch della propria casa è pregato di rivolgersi al signor Boris
o agli eventuali capitani ». Il suo sguardo vagò per la sala e si soffermò
nuovamente sulle facce per niente interessate a ciò che stava dicendo degli
studenti, se non per qualche rara eccezione. Sorrise. « Beh, buon appetito! ».
Detto ciò batté le mani e i vassoi si riempirono delle più gustose cibarie.
Sophie passò una delle cene più belle della sua vita.
Chiacchierò allegramente con Severus e con molti altri ragazzi del primo anno.
I ragazzi più grandi spiegarono loro alcune cose e Sophie li ascoltò
affascinata, soprattutto Rabastan. Quello poi sembrò trovarla in simpatia e
parlarono insieme delle lezioni, soffermandosi su Difesa contro le Arti Oscure.
Quando la cena finì, Sophie si accorse di essere molto stanca.
Seguì il Prefetto biondo insieme agli altri del primo anno, con le palpebre
pesanti. Rimase un attimo affascinata dalla Sala Comune, ma non vi si soffermò
più di tanto. Seguì le altre ragazze della sua età su per una scala che portava
ai dormitori. Individuò subito il suo letto e il suo baule grazie alla gabbia
di Lumos che, notò perplessa, era aperta, e grazie al gatto, che stava
placidamente dormendo sul suo letto. Si mise velocemente il pigiama, spostò
senza troppe moine l’animale e si lasciò cadere pesantemente sul materasso.
Si addormentò quasi subito, pensando al primo giorno di
scuola che l’attendeva l’indomani.
Note:
1_ Vi chiedo di memorizzare questo sottotitolo perché comparirà nuovamente
più avanti. Non lo metterò a tutti i capitoli perché mi da un po’ fastidio
vederlo sempre lì. Mi è venuto così, ma mi sembra di averlo già sentito da
qualche parte.
2_ Note sullo smistamento:Ameline Marion me
la sono inventata.
Ho sfogliato il dizionario dei nomi inglesi per cercare un nome ad Avery
(dato che di lui sappiamo solo il cognome) e l’ho chiamato Charon, che tradotto
sarebbe Caronte. Mi sembra che suoni abbastanza bene e mi piaceva il
collegamento con il traghettatore di anime della Divina Commedia. Anche il nome
Adam è inventato. Non ha nessun riferimento (anche se si potrebbe pensare ad
Adamo ed Eva – ma non lo fate, non centra niente -) ma mi piaceva.
Rose Dounby è inventata anche lei. A parte il nome, il cognome l’ho preso
da una cartina geografica dell’Inghilterra.
Gaius Anne invece non è del tutto inventata. Nel capitolo della Pietra
Filosofale in cui Harry viene smistato compare anche una certa Gaius Sally Anne
ma poi viene completamente snobbata in tutto il resto della saga. Siccome il
suo cognome somiglia molto a Gaia, il mio nome, siccome mi ha fatto pena per il
fatto che non venisse più nominata e siccome avevo bisogno di qualche
Tassorosso (che tra parentesi vengono snobbati un po’ anche loro) ho voluto
inserire qua una che le assomiglia. Tanto non credo di fare torto a nessuno con
questa mia decisione.
Anche Elia Wilde è di mia invenzione e ho voluto con questo citare il
celebre scrittore di nome Oscar.
Nel settimo libro si fa un accenno allo smistamento di Piton & Co.
Siccome è stata tradotta dall’inglese, Potter viene smistato prima di Piton
(Snape). Siccome questa storia la scrivo io che sono italiana, ho voluto
invertirli.
Angolo autrice:
Ed eccomi tornata con il primo
capitolo della storia. Ho mantenuto la promessa e questo è più lungo del
precedente di ben 3852 parole (contatore di Word) ed è quindi di 4674 parole.
Magari a voi non interessa, ma a me piace vedere di volta in volta quante
parole scrivo. Quindi ogni tanto vi metterò il numero di parole (senza
naturalmente contare quelle delle note e delle Nda), magari quando sarà un
numero strano, o quando batterò il mio record personale (che per adesso è
quello di questo capitolo) :D
Sorvolando su questo spero che
il capitolo vi sia piaciuto. Con questo ho presentato la maggior parte dei
personaggi che vedremo nella storia. O meglio nella prima parte della storia.
Se non lo aveste notato, infatti, all’inizio del capitolo ho messo
un’indicazione che spero terrete a mente (insieme al sottotitolo, che è
abbastanza importante anche quello). Questa è solo la prima parte della storia,
che va dagli anni 1971 al 1981. Lascio a voi il compito di spaziare con la
fantasia (cosa che credo non farete, a meno che non siate veramente interessati
alla storia).
Scrivendo mi sono venuti molti
dubbi che leggendo la saga non mi erano mai passati per la testa. Per prima
cosa mi piacerebbe tanto sapere l’anno di nascita di Lucius Malfoy. No perché,
su Wikipedia (sito a cui mi affido pienamente), mi
dice che è nato nel 1954 e quindi nel 1971 dovrebbe avere 17 anni e dovrebbe
frequentare il suo ultimo anno a Hogwarts. Il problema è che nel settimo libro,
nei ricordi di Piton, si dice che ha una spilla da Prefetto. E allora mi
chiedo, che cavolo di età ha? Anche perché mi pare che al settimo anno i
prefetti divengano capiscuola. Se per caso non riuscissi a sbrogliare questa
matassa mi arrangerò attenendomi alla Rowling e dando a Lucius un anno in meno
di vita, ovvero facendolo diventare del 1955 (anche se mi passerebbe per la
testa di metterlo al 1954). Ho reso Rabastan Lestrange un suo coetaneo (visto
che di lui non sappiamo la data di nascita), tanto per dare qualcosa in più
alla storia (ho recentemente scoperto che nessuno dei personaggi più o meno
importanti, oltre ai protagonisti, ovvio, frequenta Hogwarts in quegli anni) ;)
Ah già, quasi dimenticavo. Devo
dirlo: nel capitolo troverete alcune citazioni prese dalla Pietra Filosofale e
anche dai Doni della Morte (ricordi di Piton). Sono messe lì volontariamente,
per rendere omaggio alla cara zia Jo :)
Quando Harry va a Grimmuld Place
e trova la lettera di sua madre, scopre di aver avuto un gatto. Ho pensato di
dare questo gatto a Lily e ringrazio mia nonna per il suggerimento del nome
(che a me piace tantissimo!!!).
Bene, spero di aver detto tutto.
Mi piacerebbe che recensiste. Lo so che questa frase e monotona e viene spesso
ripetuta da molti, ma mi piacerebbe tanto sapere che cosa ne pensate.
Vi ricordo che questa storia è
la rielaborazione di quella intitolata Sophie Stones, arrivata al sesto
capitolo e poi fermatasi per ben sei mesi.
Potete venire a trovarmi sulla
mia nuova pagina Facebook: http://www.facebook.com/Gageta98?ref=hl(è piuttosto nuova e per ora ha solo pochi “mi
piace” di alcuni miei generosi amici).
Grazie per l’attenzione e vi
saluto al prossimo capitolo, Gageta98.
ophie
sedeva sullo sgabello, tutti gli occhi della Sala erano puntati su di lei. Il
cappello le calò sugli occhi, nascondendo il suo sguardo nervoso a occhi
indiscreti, e una vocina cominciò a parlarle nell’orecchio. « Uhm… hai una
bella testa ragazza… ».
Ma
la voce era strana. Era gelida e distante. Una voce che conosceva bene, eppure…
come faceva ad essere lì, nel Cappello Parlante?
«
…però… ». Sophie sentì l’ansia crescerle nel petto. Però cosa? Lei doveva
assolutamente finire a Serpeverde!
Una
risata gelida le risuonò nella testa. Il cappello le sparì dal capo e davanti
agli occhi comparve un volto a lei ben conosciuto. L’uomo alzò la bacchetta e
poco dopo un lampo di luce verde la accecò…
Sophie
si svegliò di soprassalto. Sentì subito qualcosa di molliccio appiccicarle le
guance. Con gli occhi ancora impastati di sonno si tamponò con le mani il viso
e con un brivido si accorse di avere qualcosa in faccia. « Argh! »
Tra
le risate delle sue compagne di dormitorio la ragazza caracollò giù dal letto a
baldacchino mentre un viscido rospo saltellava tra le mani della sua padrona.
«
Per Salazar! Che cosa vi salta in mente? » esclamò infuriata.
Le
ragazze uscirono sghignazzando e parlottando tra loro dalla stanza.
«
Ti conviene muoverti. Non vorrai arrivare in ritardo al primo giorno di
lezione, vero? »
A
parlare era stata una ragazza dai lunghi e folti capelli castani, che le
ricadevano in perfetti boccoli sulla schiena. Era l’unica a essere rimasta
nella stanza.
Sophie
non le rispose ma si limitò a lanciarle un’occhiata rabbiosa. Si voltò e
cominciò a cercare nel grosso baule la divisa scolastica da indossare.
«
E dai! Non ti sarai mica arrabbiata per lo scherzo! Era solo un innocuo rospo »
le fece quella da dietro.
«
Io odio i rospi! » rispose Sophie a denti stretti. Indossò la gonna e la
camicia bianca, per poi coprirsi ulteriormente con la lunga tunica nera, la
divisa scolastica. Quando ebbe finito, si diresse verso la porta ma non fece in
tempo ad abbassare la maniglia che l’altra le si parò davanti.
«
Ehi! Non ci siamo ancora presentate! Io mi chiamo Rose Dounby, e tu? » disse
tendendole la mano.
Sophie
le rivolse uno sguardo annoiato e sospirò « Sophie, Sophie Stones ».
Rose
le strinse la mano con foga e le fece un gran sorriso. « Lieta di conoscerti! ».
Sophie
fece per sorpassarla e uscire, ma questa la bloccò nuovamente, afferrandole
saldamente il braccio, e le sventolò qualcosa di verde sotto il naso. Sophie si
ritrasse, inorridita, pensando che la ragazza volesse ributtarle il rospo in
faccia.
«
Stai dimenticando questa! Penso che tu non voglia essere scambiata per qualche
Tassorosso… ».
Quando
riuscì a mettere a fuoco ciò che conteneva la mano di Rose, Sophie fece una
smorfia irritata e strappò il piccolo pezzo di stoffa dalle mani della ragazza.
Afferrò la bacchetta da sotto la veste e mormorò un piccolo incantesimo.
Osservò soddisfatta lo stemma di Serpeverde, che si era magicamente incollato
sulla sua veste.
«
Wow! » Rose guardò il lavoro della ragazza, stupita, e le sorrise complice. «
Dove l’hai imparato? » chiese curiosa.
Sophie
la ignorò e scese le scale del dormitorio. Finiti i gradini, però, si fermò e
si guardò intorno, con un sorrisetto sulla labbra. La Sala Comune dei
Serpeverde era un sotterraneo lungo e basso, con le pareti e il soffitto di
pietra. Da quest’ultimo, appese a grosse catene, pendevano lampade rotonde, che
emanavano nella stanza bagliori verdastri. In fondo alla sala c’era un grande
camino dalle sculture elaborate, nel quale scoppiettava un allegro fuoco. Qua e
la per la stanza c’erano delle poltrone che a prima vista parevano molto
confortevoli e tavoli di legno dove alcuni studenti erano seduti e
chiacchieravano allegramente o facevano i compiti.
La
sera prima non vi si era soffermata più di tanto, stanca com’era, ma quella
mattina rimase incantata dalla sua nuova Sala Comune.
«
...sai? Mio padre era un Nato Babbano e quando ricevette la lettera per … »
Sophie
si girò di scatto verso la ragazza, che incurante della disattenzione della
compagna di stanza, aveva continuato a parlare imperterrita, e le rivolse uno
sguardo a metà tra lo stupito e il disgustato. « Scusa? ».
«
Scusa, cosa? » chiese confusa Rose. Non le piaceva essere interrotta mentre
parlava e del resto nessuno lo faceva quasi mai.
«
Che hai detto? » ripeté Sophie nervosa.
Rose
rivolse alla ragazza uno sguardo stranito poi sembrò capire e ridacchiò tra se
e se. « Ho detto che mio padre era un Nato Babbano! Non sarai mica una di
quelle Purosangue altezzose che non sopportano di avere contatti con i Babbani,
vero? » disse con aria divertita.
«
No, non sono Purosangue, non del tutto almeno. È solo che, ecco, non mi piace
stare con… quelli, insomma » rispose Sophie lievemente imbarazzata.
Rose
la guardò e annuì poi le sorrise. « Spero per te che non sia così, altrimenti
credo che dovrai sopportarmi per tutto il resto dell’anno. Comunque, mio padre
era un Nato Babbano e mia madre era una strega Purosangue. Ti basta per essere
mia amica? ».
Sophie
sbuffò e si diresse verso l’uscita della Sala.
«
Oh… e dai! Che ti ho fatto di male? » continuò Rose, correndo dietro alla
ragazza.
Sophie
la ignorò nuovamente e si unì a un gruppetto di Serpeverde, con la speranza che
si dirigessero verso la Sala Grande. Cominciava ad avere una certa fame e aveva
intenzione di mangiare qualcosa prima di lezione.
Rose
continuò a parlarle, imperterrita, elencando tutte le ragioni per le quali,
secondo lei, non dovevano esistere distinzioni tra Nati babbani, Purosangue e
Mezzosangue.
Quando
avevano quasi raggiunto la Sala Grande Sophie si fermò e si voltò verso la
ragazza, sbuffando. « Ma la vuoi finire? Possibile che tu non stia neanche un
attimo zitta? ».
Rose
incrociò le braccia e la fronteggiò. « No, sono una tipa piuttosto
chiacchierona. E comunque sto cercando di fare amicizia con te, se non te ne
fossi accorta! ».
«
Perché dovrei fare amicizia con una che mi ha appena buttato un rospo in faccia
e che continua ad assillarmi con le sue storie? » ribatté Sophie seccata.
L’espressione
decisa di Rose traballò e la ragazza si morse un labbro, punta sul vivo.
Senza
aggiungere una parola, Sophie si girò e continuò la sua strada verso la porta
oltre la quale la aspettava la sua colazione.
La
sala era gremita di studenti. I più mattinieri, avendo finito di mangiare,
parlavano con i vicini.
In
fondo alla sala alcuni professori vegliavano vigili sugli studenti mentre altri
si scambiavano qualche saluto. Il soffitto incantato quel mattino era di un
azzurro pallido, segno che quello fuori non era da meno, e le candele spente
galleggiavano nell’aria come piccoli occhi impertinenti.
Rose
ci pensò su qualche istante, poi raggiunse la ragazza con passi veloci e stava
per ribattere all’accusa quando Sophie si allontanò verso il tavolo dei
Serpeverde. Sbuffò, adirata, e la seguì. Sospirando, afferrò un piatto di
Pudding e si sedette sulla panca vicino a un ragazzo dall’aspetto malconcio che
mangiava col capo chino.
« Come
va? » chiese Sophie al ragazzo. Lui alzò gli occhi dal piatto che stava
fissando con una certa ostinazione e fece vagare lo sguardo sulle due ragazze.
Fece un cenno di saluto a Sophie e si soffermò su Rose, incuriosito.
Felice
che qualcuno la stesse finalmente considerando, Rose aprì bocca per parlare «
Ciao! Sono…»
«
Lei è Rose Dounby, una mia compagna di dormitorio. Ti consiglio di non
chiederle niente o rischierai di non scrollartela più di dosso » la interruppe
Sophie.
Il
ragazzo annuì e si presentò con aria laconica « Mi chiamo Severus Piton ».
Rose
ignorò il tono acido con cui Sophie l’aveva interrotta e sorrise a Severus «
Piacere di conoscerti! ».
In
quel momento un professore di mezz’età, direttore della Casa di Serpeverde,
passò tra gli studenti, consegnando ad ognuno un foglietto di carta con gli
orari delle lezioni.
«
Alle prime due ore Erbologia con i Tassorosso, e alla terza Trasfigurazione con
i Grifondoro. Mattinata interessante » commentò Rose allegramente.
Sophie
diede un’occhiata all’orario e poi cominciò a parlare con enfasi delle lezioni.
Anche Severus si unì e Rose lo seguì, anche se con una certa riluttanza.
Sophie
scoprì di non essere l’unica ad avere interesse per la magia: anche Severus era
impaziente di conoscere tutto il possibile su di essa. Rose, al contrario,
sembrava più interessata al Quidditch e non vedeva l’ora che iniziassero le
lezioni di volo. (« Peccato che i ragazzi del primo anno non possano far parte
della squadra. Mi piacerebbe tanto diventare cacciatrice! » aveva esclamato).
Finito
il pasto si alzarono dal tavolo e si assieparono insieme al resto dei ragazzi
sull’ingresso.
«
Ehi Sev! » gridò qualcuno nella massa. Severus si
fermò e allungò il collo verso il punto da dove era arrivata la voce. Una
chioma rossa spuntò tra le teste seguita subito dopo da una ragazza dal viso
gentile che salutò il ragazzo con gioia.
«
Ciao! Come va? La Sala Comune dei Grifondoro è fantastica! » Lily interruppe il
suo entusiasmo quando notò Sophie in piedi accanto al suo migliore amico. La
fissò con ostilità e Sophie ne ricambiò lo sguardo con altrettanta. Severus del
canto suo rimase imbarazzato a guardare le due.
Rose
analizzò la nuova arrivata dalla testa ai piedi e si soffermò sullo stemma di
Grifondoro appuntato accuratamente sulla divisa scolastica della rossa.
Socchiuse gli occhi. Da quanto aveva capito i Grifondoro erano i nemici numero
uno dei Serpeverde. Di sicuro non sarebbe stata lei a rompere quel pensiero.
Voltò
decisa le spalle alla ragazza e si avvicinò a Sophie lanciandogli un’occhiata
da “è meglio se ce ne andiamo”. Sophie colse il messaggio e con un ultimo
sguardo agli altri due si allontanò, seguita a ruota da Rose.
«
Fammi indovinare. Quella ragazza non ti sta molto simpatica, vero? » domandò Rose
quando si furono allontanate di qualche metro dal luogo dell’incontro.
«
Sinceramente non capisco cosa Severus ci trovi di tanto speciale in una Nata
Babbana » rispose Sophie in un soffio. « Piuttosto, perché non ti sei presentata
anche a lei? Mi sembrava di aver capito che fossi intenzionata a conoscere più
gente possibile » aggiunse guardandola di sottecchi.
Rose
abbassò lo sguardo e disse « Ognuno ha le sue idee. Tu non sopporti i Nati Babbani,
io non sopporto fare figuracce. Se i Serpeverde non sopportano i Grifondoro
vuol dire che anche noi dobbiamo fare altrettanto, no? ». Sophie annuì in
silenzio.
Rose
si fermò di scatto e Sophie le andò addosso pestandole un piede.
«
Che cosa ti prende? » domandò scocciata.
«
Ehm… Haiidea di dove si trovino le
serre di Erbologia? » rispose Rose ignorando il dolore al piede.
Sophie
si guardò intorno perplessa. Parlando erano uscite dal castello. Nessuna delle
due si era resa conto della strada da prendere e in quel momento si trovavano
in un giardino che si estendeva a perdita d’occhio davanti a loro.
«
Serve aiuto? » fece una voce strascicata alle loro spalle. Le due ragazze si
voltarono di scatto. Un ragazzo molto alto e di bell’aspetto le squadrava
dall’alto verso il basso con aria di superiorità. Aveva una chioma biondo
platino che teneva raccolta in una coda e sulla sua veste risplendeva una
spilla da Prefetto, che sfoggiava apertamente gonfiando il petto. Quando
riconobbe Sophie le fece un cenno di saluto con la mano.
«
Ma guarda chi si rivede! Che fine ha fatto il tuo amichetto? » domandò sogghignando.
Rose
guardò Sophie interrogativa, ma lei la ignorò nuovamente e rispose al ragazzo.
« Si è attardato nell’ingresso. E comunque lui non è mio amico » aggiunse cupa.
Il
ragazzo alzò un sopracciglio e ghignò di nuovo. « Allora? Di cosa avete
bisogno? » disse annoiato.
«
Ehm. Stiamo cercando le serre di Erbologia. Ci potresti indicare la strada? »
chiese Rose titubante.
«
Lascia stare Lucius, ci penso io ». Alle spalle del ragazzo comparve una
ragazza poco più giovane, anch’essa con i capelli biondi ma dalla carnagione
molto più chiara.
Il
ragazzo di nome Lucius osservò per un attimo la nuova arrivata, la quale
arrossì lievemente e distolse lo sguardo, poi girò sui tacchi e si allontanò.
Appena
una decina di metri distanziarono Lucius dal gruppetto, la bionda sorrise alle
due ragazze. « Vi conviene evitare di chiedere a Malfoy, sebbene sia Prefetto
si diverte ancora a prendere in giro gli studenti più piccoli » disse.
«
Che bella cosa… » commentò Rose a bassa voce.
Narcissa
squadrò attentamente le due ragazze, poi si presentò con aria di sufficienza. «
Piacere di conoscervi. Il mio nome è Narcissa Black, anche se i miei amici mi
chiamano Cissy… »
Rose
squadrò la ragazza, con la strana sensazione di trovarsi davanti a una di
quelle inquietanti bambole di ceramica con cui giocava da piccola, solo che in
quel momento era a dimensioni reali e le parlava pure. « Sono Rose Dounby e lei
è Sophie Stones. Oggi è il nostro primo giorno di scuola e non sappiamo dove
andare per la lezione di Erbologia… ».
Narcissa
annuì e spiegò loro brevemente il percorso. Appena ebbe finito Sophie la ringraziò
e si allontanò, trascinando via Rose a forza, prima che questa avesse il tempo
di aprire bocca e iniziare un nuovo discorso.
Fecero
appena in tempo a infilarsi nella serra che la campanella suonò. Trafelate si
riunirono intorno a un tavolo già occupato da un gruppetto di Serpeverde. Una
giovane donna piuttosto robusta fece il suo ingresso nella stanza e si presentò
come la professoressa Redera.
«
Benvenuti alla vostra prima lezione di Erbologia, ragazzi ». Sorrise
apertamente a tutti gli studenti e continuò « Spero che questa materia possa
interessarvi abbastanza da darvi un motivo per studiarla. L’Erbologia è quella
branca della magia che studia tutto ciò che abbia a che fare con le piante e,
in generale, con la vegetazione. Negli anni che passeremo qui, insieme,
cercherete di approfondire la vostra conoscenza sulle proprietà magiche di
alcune piante. E magari, perché no, potrete approfondire anche la vostra
conoscenza in Pozioni. Infatti, queste due materie hanno molto in comune. Cosa
che mi sembra abbastanza ovvia, la maggior parte degli ingredienti che userete
nelle lezioni del professor Lumacorno saranno per l’appunto piante e loro
derivati.
«
In questa prima lezione, non vi chiederò niente di speciale. Voglio solo capire
a grandi linee qual è il vostro rapporto
con le piante. Vedete i vasi e le piante sopra i tavoli? ».
I
ragazzi annuirono all’unisono. Sophie notò che una ragazza di Tassorosso, Anne,
le pareva che si chiamasse, guardava le piante con sospetto e si mordeva il
labbro inferiore.
«
Bene! » esclamò la Redera. « Avete tutto il tempo fino alla fine della lezione
per prendere le piante dal loro vaso e ripiantarle in uno nuovo. Ma fate
attenzione! La cosa non è così semplice, naturalmente. Le piante che avete
davanti sono infatti esemplari di una non molto rara pianta da un nome
stranissimo che eviterò di dirvi per non confondervi troppo le idee. Come stavo
dicendo, queste piante hanno una straordinaria passione nell’estrarre le loro
spine quando qualcuno le tocca ».
I
ragazzi si guardarono l’un l’altro, preoccupati.
La
professoressa ridacchiò e continuò « Non preoccupatevi tanto e state
tranquilli. Ora guardate come si fa e prestate molta attenzione ai miei
movimenti, non c’è niente di cui aver paura ».
Detto
questo si infilò un paio di guanti di pelle e con gesti veloci afferrò la
pianta per il tronco. Con l’aiuto di alcuni attrezzi da giardinaggio la
estrasse dal vaso e la ripiantò nell’altro.
Sorridendo
allo sguardo attonito dei ragazzi divise la classe in gruppetti da tre persone
e assegnò loro un vaso con pianta e un vaso vuoto ciascuno.
Sophie
e Rose, con grande disappunto di quest’ultima, si ritrovarono in gruppo con
Severus. Tra loro cadde subito un silenzio imbarazzato, rotto soltanto dal
rumore prodotto dai loro movimenti.
«
Secondo me non dovremmo essere amici dei Grifondoro » esordì dopo un po’ Rose
con noncuranza.
Severus
avvampò. « Lily non… Lei è diversa. È molto simpatica. Forse dovreste
conoscerla un po’ meglio » si giustificò.
«
Grifondoro o non, rimane sempre una Nata Babbana » replicò Sophie scettica.
Nessuno
parlò più per un po’. Quando Sophie fu quasi punta dalla pianta che stavano
cercando di piantare però il discorso ritornò sulla scuola e sulle materie da
seguire.
A
fine lezione il terzetto fu l’unico a riuscire nel compito, più per il grande
impegno di Sophie e Severus che per quello di Rose.
La
professoressa Redera si mostrò felice e elogiò i tre ragazzi davanti a tutta la
classe, assegnando poi loro i primi dieci punti per Serpeverde.
Dopo
il loro esordio in Erbologia i tre ragazzi dimenticarono ogni ostilità e si
avviarono verso la lezione di Trasfigurazione chiacchierando animatamente.
Quando
raggiunsero la classe tuttavia, Severus si congedò dalle due nuove amiche e
andò a sedersi vicino a Lily, che gli aveva prontamente tenuto il posto. Sophie
e Rose si sedettero qualche banco più indietro e cominciarono a tirare fuori i
propri libri dalle borse.
In
quel momento la professoressa che gli aveva accolti la sera prima davanti ai
portoni d’ingresso, entrò nell’aula e dopo aver aperto il registro fece
l’appello. Forse fu solo una sua impressione, ma quando la McGranitt lesse il
suo nome e alzò lo sguardo per individuarla tra i banchi, Sophie intravide un
lampo di rancore nei suoi occhi. Tuttavia la professoressa non si soffermò più
di tanto su di lei e riprese l’appello.
«
La Trasfigurazione è una delle materie più complesse e pericolose che
apprenderete a Hogwarts » cominciò, dopo aver chiuso il registro. Incrociò le
braccia al petto e cominciò a girare tra i banchi. « Chiunque faccia
confusione nella mia aula verrà espulso e non sarà più riammesso. Siete
avvisati ».
Rose
e Sophie si scambiarono un’occhiata perplessa e quest’ultima pensò che era
meglio non contrariarla. Da come si presentava, la donna pareva una professoressa
molto severa che sarebbe stata pronta a punirli al primo passo falso.
La
McGranitt completò il giro tra i banchi e tornò davanti alla cattedra. «
Durante le mie lezioni imparerete a trasformare, o meglio trasfigurare, un
qualsiasi oggetto in un altro oggetto, o persino in un animale ». Si fermò un
attimo ed estrasse dalla veste la propria bacchetta. Pronunciò una formula e
con un’abile gesto della mano trasformò, sotto lo sguardo attonito dei ragazzi,
la cattedra in un maiale e viceversa. Dalla classe si alzò un forte brusio
concitato e la McGranitt fu costretta a battere la mani per ottenere nuovamente
il silenzio. « Naturalmente, ci vorrà un grande impegno da parte vostra per
arrivare a questo livello e un notevole studio della materia, sia sui libri,
che sugli appunti che prenderete ascoltandomi ». Ci fu un momento di pausa in
cui le sedie grattarono per terra e tutti i ragazzi si affrettarono a prendere
fogli e penne dalle borse. Sophie prese la sua penna e intitolò il foglio che
aveva davanti. Dopodiché spostò lo sguardo sulla McGranitt, insieme a tutti i
compagni, aspettando che ricominciasse a parlare.
Quando
tutti furono pronti la McGranitt ricominciò a girare per la classe e cominciò a
spiegare le varie fasi per una trasformazione completa e senza errori.
«
E ora stupitemi! Prendete il fiammifero che vi consegnerò e provate a
trasformarlo in un ago. Naturalmente non mi aspetto che qualcuno ci riesca,
almeno non totalmente ».
Ripassò
nuovamente tra i banchi consegnando a ciascuno il proprio fiammifero.
Sophie
sospirò pesantemente e seguendo le istruzioni che aveva appena appuntato sul
foglio cominciò a mormorare incantesimi, muovendo la mano secondo le
spiegazioni della McGranitt.
Durante
tutto il corso dell’ora, accanto a lei, Rose fece di tutto tranne ciò che le
era stato chiesto: ai primi tentativi non successe nulla, poi l’ago cominciò a
rotolare per il banco. Qualche tentativo dopo ancora, il fiammifero prese fuoco
e per un pelo non rischiò di bruciare tutto il banco. La McGranitt intervenne e
spense velocemente il piccolo incendio, facendo poi un bel discorsetto alla
ragazza. Sophie, intanto, se la rise insieme ai compagni. In particolare, i due
Grifondoro nel banco davanti, mimarono il gesto di Rose e cominciarono a
prenderla in giro, infischiandosene di abbassare la voce per non essere
sentiti.
Quando
finalmente la professoressa richiamò il silenzio, i due ragazzi, che Sophie
aveva infine riconosciuto come Black e Potter, continuarono a sogghignare sotto
i baffi e fare battute tra loro. Rose parve turbata e per il resto della
lezione non proferì più parola.
Nel
frattempo, Sophie riuscì a dare al fiammifero un vago color argento e ad
appuntirne i due estremi. Alla fine dell’ora la McGranitt ritirò tutti i
fiammiferi e si scoprì che quasi nessuno era riuscito a fare molto con il
proprio. Solo Sophie e Severus erano riusciti a dare una vaga forma
all’oggetto. Dopo aver osservato per bene i due fiammiferi ed aver constatato
che in effetti i due ragazzi avevano fatto un buon lavoro, la McGranitt, anche
se con una certa riluttanza, assegnò loro dieci punti. (1)
Sophie
uscì dall’aula trionfante sotto lo sguardo furente di Rose, che sembrava quasi
sul punto di piangere per la rabbia.
«
E dai! Non ti sarai mica arrabbiata per una sciocchezza del genere! » la
pungolò Sophie.
Rose
scosse la testa e indicò con un cenno della testa i due ragazzi che stavano
uscendo dietro di loro. « Non è per quello! Non vedi quei due? Non la smettono
di ridere e prendermi in giro… ».
Sophie
si guardò intorno e individuando coloro a cui Rose si stava riferendo sbuffò
contrariata e guidò l’amica per il corridoio, lontano da Black e Potter. «
Lasciali perdere… sono solo dei Grifondoro, no? » le disse sorridendo
comprensiva.
Rose
annuì, poi si fermò di botto. « Aspetta un attimo! » esclamò.
Sophie
si girò e la guardò interrogativa.
«
Non starai mica cercando di consolarmi, vero? » sorrise Rose.
Sophie
alzò gli occhi al cielo e sbuffò, ricominciando poi a camminare.
Rose
le corse dietro e le si affiancò. « Questo vuol dire che siamo diventate
amiche? » chiese allegramente, improvvisamente dimentica della lezione
precedente.
Sophie
si prese un attimo di tempo per rispondere, poi alzò lo sguardo verso la
ragazza che stava aspettando una sua risposta.
«
Può darsi » rispose vagamente e continuò a camminare verso l’aula della lezione
seguente.
Rose
sorrise tra sé e sé. Non sarò brava con i
fiammiferi, ma nessuno può resistere alla mia amicizia, pensò orgogliosa.
Note:
1_Ho preso come esempio
la lezione della McGranitt del capitolo 8 della Pietra Filosofale. Ho sempre
pensato che i professori ripetano sempre le stesse cose durante le prime
lezioni con i nuovi studenti, e lo stesso ho pensato per la McGranitt.
Angolo autrice:
Ed eccomi tornata.
Questo capitolo è un po’ più corto del precedente. Ovviamente
quello era il primo e nel descrivere l’intero viaggio in treno e lo smistamento
è venuto molto lungo. La lunghezza dei capitoli varierà a seconda di quello che
succede al loro interno.
In questo capitolo conosciamo Rose, un personaggio che ci
accompagnerà per buona parte della storia come amica di Sophie.
Per quanto riguarda i Malfoy (dei quali di solito il pubblico è
molto interessato), li ho inseriti per un motivo ben preciso. Saranno
abbastanza presenti nella storia e soprattutto verso la fine avranno un ruolo
di una certa rilevanza (ma non fantasticateci troppo, per “verso la fine”
intendo proprio gli ultimi capitoli della storia che, secondo la mia scaletta,
arriveranno tra circa centodieci capitoli).
Ma ora lasciamo perdere i Malfoy.
*guarda quello che ha
scritto poco convinta* Mi sa che mi sto
dilungando troppo. Se continuo così va a finire che vi rivelo tutta la trama u.U
Ah già, quasi dimenticavo! Un ringraziamento va soprattutto a
voi… 3 preferiti, 6 seguiti e 3 recensioni… caspita! Non mi era mai successo! Vi
ringrazio di cuore <3
Continuate a farmi sapere che cosa ne pensate, mi raccomando :)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Nel prossimo cambieremo
un po’ punto di vista e andremo a curiosare… no, non ve lo dico *risata crudele* XD.
Bè, ci vediamo al prossimo capitolo!
Ciao, ciao,
Gageta98
P.S. che ne dite di fare un giretto sulla mia pagina Facebook?
Tra un capitolo e l’altro posso tenervi aggiornata sulla storia… ;) : http://www.facebook.com/Gageta98
elena
Stones entrò in casa, fradicia di pioggia. Strofinò per un buon minuto i piedi
sullo zerbino, cercando di eliminare più fango possibile dalle scarpe. Era
talmente stanca che si dimenticò persino di essere una strega. Imprecò ad alta
voce e con un colpo veloce di bacchetta ebbe di nuovo ai piedi un paio decente
di scarpe.
Chi
l’avrebbe mai pensato che l’aria limpida della mattina si sarebbe presto
trasformata in una tempesta? Eppure avrebbe dovuto aspettarselo, in fondo in
Inghilterra il tempo poteva cambiare rapidamente. Avrebbe dovuto portare con sé
un ombrello, si sarebbe sicuramente risparmiata un bel raffreddore, che, ne era
sicura, non avrebbe tardato ad arrivare. Il fatto era che portarsi appresso un
ombrello per tutto il giorno era abbastanza scomodo, soprattutto se facevi un
lavoro come il suo. Sempre che si potesse chiamare lavoro ciò che la teneva
impegnata per più di mezza giornata. Ormai si era arresa a chiamarlo così. E
poi, che altro nome avrebbe potuto dargli?
Si
tolse il mantello e lo appese sull’attaccapanni dell’ingresso. Prima di entrare
in casa si era programmata mentalmente ogni movimento e spostamento che avrebbe
dovuto fare, così per risparmiare tempo. Una volta entrata e aver assaporato il
tiepido calore che alleggiava nell’aria, però, dimenticò totalmente tutti i
suoi programmi e si lasciò cadere sul divano del salotto, chiudendo gli occhi.
Era
stata una giornata piuttosto pesante. Forse “lavoro” non era il nome più adatto
per definire ciò che faceva. Era forse più un obbligo, un dovere, un impegno.
Sì, era un impegno. Aveva scelto lei quella vita, più di vent’anni prima, e
ormai non poteva più fare niente per tirarsi indietro. E non voleva neanche
tirarsi indietro. Il suo “impegno” era la sua vita.
Sospirò,
ripensando agli eventi della giornata. Era stato un giorno pesante e ora si
sentiva stanca. Una stanchezza che provava da molti anni e che alla fine aveva
imparato ad accettare. Di certo non avrebbe mai voluto deluderlo. Il solo
pensarlo le faceva venire i brividi.
Ma
il problema non era lui, piuttosto erano loro. Un giorno o l’altro l’avrebbero
fatta impazzire, ne era sicura.
Sempre
con la mania del sangue puro, che non potevano allontanarsi prima di non aver
rivendicato il loro diritto Purosangue.
Anche
lei era Purosangue. Ma Helena non si considerava un Purosangue come loro. A lei
il contatto con un qualunque Babbano o Mezzosangue, non faceva né caldo né
freddo. Erano persone normali, persone uguali a lei, uguali a loro. Ma questo
suo pensiero aveva sempre dovuto tenerlo per se. Nessuno nella sua famiglia
avrebbe mai accettato che lo esprimesse ad alta voce, e neanche adesso, che
della sua famiglia non era rimasto nient’altro che cenere, non si sarebbe mai
neanche sognata di farlo. Il suo impegno le richiedeva questo, e anche molto
altro.
La
prima cosa era la sua vita, dedicare l’intera vita al suo impegno. Tutto, ogni
suo movimento, ogni sua azione era per ciò. Non aveva mai avuto ripensamenti su
quello. Aveva sempre pensato che la sua vita dovesse essere diversa da quella di
una qualunque altra persona, e così era successo.
Anche
il resto era per quell’impegno. Pure, anche se non le piaceva ammetterlo,
Sophie. L’amore che provava per sua figlia era tutto ciò che le rimaneva di una
vita ormai dimenticata. Un amore che i suoi genitori non le avevano mai dato e
che l’aveva portata a prendere la sua decisione.
Aveva
cercato di dare a Sophie tutto ciò di cui avesse bisogno e le aveva insegnato
tutto ciò che le avevano chiesto di insegnarle. Ma per una cosa aveva fatto di
testa sua. Le aveva insegnato ad amare e a essere amata. Sapeva che sua figlia
non avrebbe mai negato la sua compagnia e sapeva che avrebbe fatto di tutto per
lei, per sua madre. Il solo pensiero la fece sorridere. Sophie la teneva
attaccata a un mondo che aveva provato a dimenticare, ma che in fondo non era
mai riuscita ad abbandonare.
Il
sorriso venne sostituito da una smorfia di disgusto al pensiero dell’orrore del
mattino. Perché quello era stato un orrore, nient’altro.
“È stato inevitabile”.
Quelle parole continuavano a rimbalzarle nella mente. La sua voce, gelida e
distante, era l’unica cosa che le aveva sempre dato sicurezza, e che continuava
a dargliela tuttora. Quello che faceva era per lui. Ormai era diventata una
bambola nelle sue mani. Era lui a comandarla, a dirle cosa fare in ogni
momento.
Le
urla strazianti le tornarono in mente, i lamenti, le preghiere di essere
risparmiati. Ma nessuno veniva risparmiato. O facevi come ti era chiesto, o
morivi. Era questa la regola, una regola che doveva rispettare anche lei alla
fine.
Si
rigirò da una parte e schiacciò il viso contro il cuscino, incapace di
scacciare il senso di disgusto che la opprimeva. Doveva pensare a
qualcos’altro, dimenticare quella brutta giornata. In fondo lo aveva fatto
molte volte, non sarebbe dovuto risultarle poi così difficile. Eppure,
nonostante la sua esperienza, non ci riuscì.
Sospirò
e chiuse gli occhi. Pensò all’unica persona che poteva farla sentire meglio,
pensò a Sophie. Che cosa stava facendo in quel momento?
“No! Lascialo! Lascialo stare!”
Scosse
la testa, non doveva pensarci.
“Siete dei vigliacchi! Tornate indietro!”
Sophie
doveva essere a Hogwarts, magari era nella sua nuova Sala Comune a fare i
compiti o passare il tempo con i suoi nuovi amici.
“Avada Kedavra”
Aprì
gli occhi di scatto e si costrinse a tornare a respirare normalmente.
Che
cosa le stava succedendo? Dopo anni e anni avrebbe dovuto dimenticare con un
semplice sospiro e una bella doccia calda. Una doccia calda… sicuramente non le
avrebbe fatto male.
Scosse
la testa e si alzò dal divano. Prima di dirigersi verso il bagno, però, venne
attirata dall’invitante porta aperta della cucina. Come a confermare il suo
pensiero, il suo stomaco brontolò.
Una
nuova idea si fece strada nella sua mente. Un bicchiere di latte caldo, una
bella doccia, e poi avrebbe potuto lasciarsi accogliere dalle morbide coperte
del letto.
Come idea non era male…
«Accì!»
***
Ormai
erano passate più di tre settimane dall’inizio della scuola. Quella mattina di
fine settembre Sophie si svegliò di malumore.
Il
giorno prima era rimasta sveglia fino a notte fonda per completare un tema
piuttosto difficile che il professor Lumacorno aveva assegnato alla classe alla
fine della precedente lezione: trenta centimetri di tema sulle proprietà del
Bezoar. Ma Sophie e Severus, il quale di pozioni ne sapeva forse più di quelli
del secondo anno, avevano voluto strafare ed erano arrivati fino a cinquanta
centimetri esatti. La verità era che il tema aveva particolarmente incuriosito
i due ragazzi, tanto che avevano fatto una lunga ricerca in biblioteca,
consultando decine di libri sull’argomento. Rose, al contrario, si era limitata
a un breve riassunto, copiato dai temi dei due amici, contestando apertamente
il loro comportamento. “Se impiegate così
tanto tempo per fare un tema di pozioni, quando avete intenzione di fare il
resto dei compiti?”. Sophie l’aveva guardata stizzita e le aveva ricordato
che lei, i compiti per le altre materie, li aveva già fatti, mentre Rose era
impegnata a leggere un libro sul Quidditch, scelto accuratamente tra decine, dopo
un pomeriggio intero passato in biblioteca.
La
ragazza era particolarmente eccitata quella settimana, perché, il venerdì
pomeriggio, ci sarebbe stata la prima lezione di volo su scopa con il professor
Boris. Sophie e Severus erano poco attratti all’idea, ma non per questo Rose
non si era risparmiata lunghi discorsi sulla corretta impugnatura del manico e
sulla corretta postura da tenere sulla scopa.
Gli
eventi della mattinata non contribuirono di certo a migliorare l’umore di
Sophie. Per tutta la durata della lezione di Trasfigurazione, la McGranitt non
fece altro che criticare i lavori dei Serpeverde che aveva dato di compito.
Sophie si era arrabbiata a tal punto che, per sbaglio, aveva polverizzato il
calice d’argento che dovevano colorare di giallo. Aveva così preso un brutto
voto e i tre ragazzi di Grifondoro (a Black e Potter si era aggiunto, non si
sapeva come, un ragazzino mingherlino di nome Peter Minus) non avevano potuto
fare a meno di ricordarglielo ogni volta che la incontravano.
L’unica
nota positiva della giornata fu, forse, solo quando il professor Lumacorno si
complimentò con i due giovani Serpeverde per il compito, assegnando loro dieci
punti di premio.
Tra
una cosa e l’altra la giornata passò e arrivò il momento di dirigersi al campo
di Quidditch.
Severus
lasciò le due amiche Serpeverde nel Salone d’Ingresso per unirsi alla sua amica
Grifondoro. Oramai Sophie non provava neanche più a criticare quel
comportamento con Rose: sembrava che ogni volta che comparisse la rossa,
Severus diventasse sordo a qualunque critica e si univa immediatamente a lei,
qualche volta dimenticandosi anche di salutare.
Rose
non fece altro che parlare per tutto il tragitto. Sophie si era abituata anche
a questo: le chiacchiere di Rose la accompagnavano per quasi tutta la giornata,
ovunque andasse, qualunque cosa facesse. Aveva però imparato a ignorarla, tanto
che a volte Rose doveva addirittura scuoterla per ricevere nuovamente la sua
attenzione.
A
un certo punto Sophie pensò di tornare in Sala Comune e di darsi per malata:
non aveva proprio voglia di umiliarsi davanti a tutti facendo una caduta epocale
dalla scopa. Naturalmente Rose non glielo concesse e così Sophie si trovò ad
essere trascinata per un braccio dall’amica per i prati di Hogwarts.
Entrarono
nell’immenso (Sophie era la prima volta che ne vedeva uno, e lo trovò
decisamente grande) campo di Quidditch. La cosa che forse la colpì di più
furono gli immensi stendardi che pendevano dalle tribune. Erano quattro, una
per ogni Casa, e ognuno era dotato dei colori principali che la
rappresentavano: giallo e nero per Tassorosso, rosso e oro per Grifondoro, blu
e bronzo per Corvonero, verde e argento per Serpeverde.
Si
diressero verso il centro del campo, dove il professor Boris li aspettava
pazientemente.
«Buon
pomeriggio a tutti!» li salutò allegramente. Rivolse loro un caldo sorriso,
indicando poi una fila di scope magiche che giacevano disposte ordinatamente
una di fianco all’altra sul terreno umido.
«Penso
che molti di voi siano contenti di essere qui, quest’oggi».
Molti
ragazzi, compresa Rose, annuirono felici. Del canto suo, Sophie incrociò le
braccia al petto e sbuffò annoiata.
«Per
prima cosa, vi chiedo di disporvi ognuno di fianco a una scopa».
I
ragazzi obbedirono. Sophie seguì, anche se a malincuore, Rose, e prese la scopa
di fianco alla sua. Per sua enorme sfortuna, davanti a lei andò a sistemarsi
niente di meno che Potter.
Appena
la vide, il ragazzo sogghignò e tirò una gomitata a Black, di fianco a lui.
Sophie
ignorò accuratamente entrambi e rivolse lo sguardo al professore, che stava
prendendo posto accanto a una scopa.
«Chi
di voi ha già volato?» chiese Boris. Molti ragazzi alzarono la mano, convinti,
compreso Potter. Anche Rose alzò la mano e sorrise contenta a Sophie.
«Bene!»
sorrise il professore. «Abbiamo una buona classe! Molto bene… Per chi non ha
ancora avuto la fortuna di provare, niente paura! Siamo qui per imparare, no?»
Sophie
annuì, poco convinta.
«Cominciamo.
Per prima cosa… o forse era la seconda? Bè sì, insomma, per seconda cosa,
tendete la mano sopra la scopa e ordinatele di volare fino alla vostra mano. Vi
basta dire, SU! Forza, forza! Cominciate!» li incitò.
Potter
non diede neanche il tempo al professore di finire la frase, che la scopa era
già fremente nella sua mano. Anche Rose non ebbe difficoltà e poco dopo teneva
già saldamente nella mano il legno liscio del manico.
Sophie
tese la mano verso la sua scopa e dopo un attimo di esitazione disse «SU!». La
scopa non si mosse di un centimetro. Sbuffò sonoramente e ripeté l’operazione.
Niente. Provo più volte, finché la scopa non si mosse. Al posto di salire verso
l’alto, però, rotolò nell’erba, andando a sbattere contro il piede di Rose, la
quale sorrise e scosse la testa.
«Non
sei abbastanza convinta!» esclamò con l’aria di chi la sapeva lunga. Sophie
alzò gli occhi al cielo, irritata, e recuperò la sua scopa, rimettendola al suo
posto. Tese nuovamente la mano e stava per ripetere il famoso «SU!» quando un
lamento di dolore si levò da qualche parte nella massa di ragazzi. Sophie
allungò il collo, insieme a molti altri ragazzi, e individuò una scopa sospesa
a mezz’aria che dava violente bastonate in testa a un ragazzo dai capelli neri.
Sophie inarcò un sopracciglio, stupita, mentre Piton cercava inutilmente di
scacciare l’improvvisata arma.
In
molti scoppiarono a ridere. Anche la Evans sorrise allo spiacevole incidente
dell’amico.
Con
sua grande fortuna il professore intervenne, prima che Severus potesse farsi
veramente male.
Sophie
scosse la testa e tornò a concentrarsi sul suo lavoro. Prima che potesse farlo,
però, fu attirata dall’improvviso confabulare di Black e Potter. Con sua somma
sorpresa, vide una bacchetta sparire velocemente dentro la tasca della divisa
di uno dei due.
Fece
finta di niente e ricominciò.
Alla
fine riuscì nell’intento anche lei e fu finalmente il momento di cavalcare.
Inutile dire che l’impresa si rivelò completamente inutile per Sophie. Un paio
di volte rischiò di cadere dalla scopa, mentre una terza venne disarcionata;
per fortuna, o forse per prontezza di riflessi, riuscì comunque a cadere su due
piedi e ad evitare così di fare brutte figuracce.
Fu
un sollievo, quando il professor Boris dichiarò ufficialmente conclusa la
lezione. «Spero di rivedere qualcuno di voi in qualche squadra l’anno prossimo»
si raccomandò poco prima di salutarli.
Sophie
ignorò completamente l’ultimo commento e si diresse senza troppe cerimonie
verso l’uscita del campo. Rose arrivò al suo fianco poco dopo, saltellando
felice. «Hai visto come sono brava? Ora spero che la smetterai di ripetermi che
sono un’ignorante fannullona!» esclamò compiaciuta.
Sophie
si limitò ad annuire mentre si allontanavano verso il castello. Quando
entrarono nell’atrio d’ingresso, però, furono bloccate da una strana piccola
folla, che si era raggruppata al centro della stanza.
Rose,
incuriosita, si fece largo tra gli studenti. Con sua somma sorpresa, al centro
del cerchio stavano Potter, Black, la Evans e Piton. Sophie si affiancò
all’amica e osservò in silenzio la scena che le si presentava davanti.
«Siete
stati voi, ne sono certo!» stava dicendo Severus, puntando un dito accusatorio
contro i due Grifondoro.
«E
dai, Mocciosus, non te la sarai mica presa per un piccolo scherzo, eh?» ribatté
Black con un sorrisetto furbo dipinto sulle labbra.
«A
quanto pare, in questa scuola vanno di moda gli “innocui scherzi”» commentò
sarcastica Sophie a bassa voce a Rose, la quale le sorrise complice.
«E
smettetela di chiamarmi così!» esclamò Severus infuriato.
Lily
lo afferrò per un braccio e cercò di allontanarlo dalla scena. «Lascia stare
Severus, non ne vale la pena» disse calorosamente.
«Andiamo
Severus, tesoruccio mio!» commentò James imitando la voce altezzosa della
ragazza.
La
rossa arrossì lievemente e rivolse al ragazzo uno sguardo carico di rabbia.
Stava per ribattere alla presa in giro, quando la voce severa della McGranitt
si fece udire al di sopra del chiacchiericcio degli studenti. «Che cosa sta
succedendo qui?»
Black
si limitò a scuotere la testa e a stringersi nelle spalle. «Niente di che
professoressa…»
«…
è solo che Mocciosus ci sta accusando di aver cercato di fargli del male»
concluse Potter sogghignando.
«Ci
vediamo in giro!» sorrisero i ragazzi, e si allontanarono verso la Sala Comune
di Grifondoro.
A
poco a poco la folla si disperse, sotto lo sguardo severo della professoressa
di Trasfigurazione.
Sophie
sospirò e si diresse verso i sotterranei.
«Non
ho capito che cosa è successo…» mormorò Rose dopo un po’.
«È
successo che Black e Potter si sono presi gioco di Severus». Rispose
spazientita Sophie. «Li ho visti usare la bacchetta durante la lezione di volo.
Sono stati loro a stregare la scopa di Severus» spiegò.
«E
perché non lo hai detto subito?». Rose si fermò dibotto e la guardò stupita. «Severus è nostro
amico, no?»
Sophie si strinse nelle
spalle e riprese a camminare. «Se me lo avesse chiesto, lo avrei aiutato
volentieri. A quanto pare, però, la Evans è più utile» concluse aspramente.
***
La
mattina seguente il dormitorio delle ragazze del primo anno di Serpeverde
rimase silenzioso fino a tarda mattinata.
Quando
Rose si svegliò, rimase per un po’ a fissare la sommità del suo letto a
baldacchino, pensierosa. Era ancora molto presto e, essendo sabato, le sue
compagne stavano ancora dormendo. Il giorno prima si era divertita moltissimo:
la lezione di volo era stata forse il momento più bello di tutta la giornata.
Era riuscita a dimostrare a Sophie e a tutti coloro che la conoscevano, di
essere brava in qualcosa e non, come tutti sostenevano, una fannullona
incapace. Era fiera di essere brava in qualcosa dove invece Sophie era
completamente negata. L’amica la sorpassava in tutte le materie. Erano due ragazze
molto diverse: lei amava il Quidditch e Sophie amava studiare. Forse erano
state le differenze tra loro a unirle. Forse Sophie non lo avrebbe mai ammesso,
ma Rose sapeva che anche lei la considerava una sua amica.
Sospirando
si sedette sul letto e aprì le tende lasciando entrare la fioca luce presente
nel dormitorio. La stanza, infatti, benché fosse situata sotto terra, riluceva
sempre di una fievole luce verdastra. Era evidentemente un modo per non
lasciare nel buio più completo i dormitori degli studenti.
Quando
si affacciò dal letto, Rose scoprì di non essere l’unica già sveglia. Il letto
di Sophie era già rifatto e la ragazza se ne era già andata. La cosa sorprese
non poco Rose, che dopo la giornata precedente aveva pensato che l’amica si
sarebbe riposata un po’ più del solito. Si strinse nelle spalle e cominciò a
vestirsi.
Trovò
Sophie in Sala Grande a fare colazione. O meglio, a leggere. La ragazza era
seduta in disparte da tutti gli altri ragazzi della casata e beveva una tazza
di latte mentre leggeva quello che sembrava il loro libro di pozioni.
«Giorno!»
trillò Rose.
Sophie
non si diede neanche la pena di alzare lo sguardo, limitandosi a un lieve
grugnito in risposta.
«Come
mai già sveglia a quest’ora?» chiese curiosa Rose, mentre allungava la mano
verso una fetta di torta dall’aria invitante.
«Sto
cercando il modo migliore di preparare un Distillato della Morte Vivente, così
che possa ucciderti senza destare sospetti» ribatté Sophie stizzita. Poco dopo
tornò a leggere come se nulla fosse successo.
Rose
ridacchiò alla battuta dell’amica e addentò la sua colazione. «Che si fa oggi?»
mormorò tra un boccone e l’altro.
Lo
stormo di gufi con la posta del mattino salvò probabilmente Rose da qualche
altra parola malefica da parte della ragazza. Le due non fecero molto caso a
quell’usuale evento, dato che nessuna delle due non aveva nessuno da cui
ricevere qualche lettera, o meglio, nessuno che avesse qualcosa da dire loro in
quel momento.
Naturalmente
però le cose accadono quando meno te le aspetti, e quel mattino Rose ricevette
posta per lei. Guardò il gufo che le atterrò davanti stupita, prima di rendersi
conto che le stava porgendo la zampa, dove teneva stretta una lettera allegata
a una copia della Gazzetta del Profeta. Slegò con cura la posta dall’animale
per poi dargli un biscotto in segno di ringraziamento.
Afferrò la busta di
pergamena e se la rigirò tra le mani pensierosa. L’indirizzo recava scritto:
Dounby Rose,
Hogwarts,
Scozia
Corrugò la fronte e la
aprì. Riconobbe subito la piccola e ordinata grafia della madre.
Vorrei che tu leggessi questo
articolo, Rose.
È con mio grande dispiacere che ti
dico che la scorsa mattina la famiglia Robert (la famiglia che abitava l’ultima
casa della nostra via, ricordi?) è stata assassinata.
Ricordi la bambina con cui giocavi qualche
estate fa? Ebbene, non hanno risparmiato neanche lei. Forse te lo sto dicendo
in modo molto duro, però non so come dirtelo meglio. Io e tuo padre siamo molto
scossi da ciò che è successo. Domani si svolgeranno i funerali.
Ti prego, stai attenta. Non
cacciarti in guai più grossi di te e sii ragionevole.
Con affetto,
Mamma.
Rose
rilesse la lettera più volte, incredula, fino a quando la consapevolezza di
quel che era realmente accaduto non le piovve addosso. Senza che se ne
accorgesse, le lacrime presero a scivolargli giù per le guance. Ripiegò con
cura la lettera, mentre i volti della famiglia Robert le scorrevano davanti
agli occhi. Ricordava perfettamente il signor Robert, un uomo sulla quarantina
con uno spesso paio di occhiali e il sorriso perennemente stampato in faccia.
Lui e sua moglie avevano avuto una figlia, qualche anno prima: si chiamava
Alyssa, ed era una bambina bellissima. Al pensiero di quello che era successo,
le si strinse il cuore. Come avevano potuto? Doveva essere stato sicuramente
qualcuno che conosceva i Robert, qualcuno che voleva avere qualcosa da loro.
Per qualche oscura ragione le venne da pensare al fatto che il signor Robert
fosse un impiegato abbastanza importante al Ministero.
Con
gli occhi lucidi alzò lo sguardo verso il giornale, con tutta l’intenzione di
leggere l’articolo dell’assassinio, ma qualcuno ci aveva già pensato prima di
lei.
Sophie
aveva momentaneamente abbandonato il libro e stava fissando con un’espressione
atterrita sul volto la prima pagina della Gazzetta.
Rose
si chinò in avanti, cercando di capire cosa aveva appena turbato l’amica.
Ciò
che riuscì a scorgere fu solo un’immagine, grande quasi come metà pagina.
Ritraeva una casa di periferia, molto simile alla sua a dire il vero, mezza
distrutta, ma la cosa più inquietante era sicuramente ciò che stava al di sopra
della casa: un enorme teschio dalla cui bocca usciva un serpente riluceva
sinistramente stagliandosi contro il cielo nuvoloso. La scritta recitava: “Setta di assassini uccide intera famiglia
in mattinata”.
Angolo autrice:
Mamma! Sono proprio in ritardo, eh? Caspita… perdonatemi, vi
prego!!!
Sabato non ho potuto pubblicare perché ero fuori casa e il
capitolo non era ancora del tutto pronto.
Ieri invece era tutto pronto, ma all’ultimo minuto, chissà perché,
il computer ha cominciato a fare le i capricci e non sono riuscita a collegarmi
a internet.
Spero di essermi rifatta con questo capitolo. Che ne dite?
Grazie a tutti coloro che hanno recensito gli scorsi capitoli e
un ringraziamento anche a chi ha inserito questa storia tra le preferite/seguite/ricordate.
L’appuntamento per il prossimo capitolo è venerdì o sabato, a
seconda di come andrà la settimana, e naturalmente a seconda di come si
comporterà il mio computer :) (per la storia non dovrebbero esserci problemi,
la prima scena è già pronta!)
entamente
la stagione estiva aveva lasciato il posto a quella invernale: le giornate
ventilate di novembre erano scivolate poco alla volta in quelle fredde di
dicembre. Le verdi colline che circondavano Hogwarts ora erano di un candido
bianco; il grande platano nei pressi della Foresta Proibita scuoteva di tanto
in tanto i propri rami, cercando di scrollarsi di dosso la bianca e fredda neve
che vi si depositava scendendo con estrema lentezza in grossi fiocchi.
Dentro
il castello, ormai, gli studenti e i professori avevano cominciato a girare
coperti. Ognuno girava imbacuccato a propria scelta: sciarpe, cappelli,
mantelli e guanti, tinti con i colori della propria Casa, erano di gran lunga
preferiti ai colori cupi come il nero, il grigio e tutte le loro tonalità. Nei
corridoi del castello faceva molto freddo e gli studenti raramente sostavano
più di qualche minuto in giro: solo nelle stanze chiuse, come le Sale Comuni, i
Dormitori, la Sala Grande, la biblioteca e le aule possedevano un
riscaldamento.
Nonostante
il freddo, però, tra tutti, insegnanti compresi, riluceva una certa allegria.
Il Natale si stava avvicinando e con esso anche le vacanze. C’era già chi
cominciava a fantasticare sui regali. Gli studenti dal terzo anno in su, erano
appena stati ad Hogsmeade e tornati dal piccolo paese, erano cominciati a
girare doni di ogni tipo. I più in voga erano forse gli scherzi di Zonko, che,
tra luci colorate, polveri brillanti e piccoli Babbi Natale, adornavano
felicemente le stanze.
In
una mattinata gelida e nuvolosa poco prima delle festività, due vispi occhi
azzurri osservavano affascinati il paesaggio di Hogwarts e dintorni, dietro al
vetro di una grande finestra.
Con
un sospiro, Albus Silente si staccò dalla vetrata e passò lo sguardo intorno a
sé. Si trovava nel suo ufficio, collocato su una delle innumerevoli torrette
del castello.
La
stanza era illuminata, oltre che dalla luce esterna, da alcune candele che
volteggiavano pigramente nell’aria a pochi metri da terra. In un angolo strani
strumenti d’argento giacevano silenziosi sopra un tavolino dalle gambe sottili;
al centro della stanza troneggiava un’enorme scrivania con zampe ad artiglio su
cui era posata in modo disordinato una massa di fogli ingialliti. Le pareti
circolari erano tappezzate di quadri che rappresentavano i precedenti presidi
di Hogwarts e che in quel momento riposavano tranquilli nei loro rispettivi
quadri. Poco più in là c’era un trespolo d’oro occupato da uno splendido
uccello rosso fuoco, anch’esso placidamente addormentato.
Il
preside si avvicinò alla scrivania e guardò la pila di fogli con aria stanca.
Si passò una mano sulla fronte, si sedette e inforcò gli occhiali. Iniziò poi a
prendere un fascicolo alla volta, e a scartarne uno dietro l’altro. Dovette
arrivare quasi fino in fondo alla pila prima di trovare ciò che cercava.
Osservò
attentamente le parole scritte in bella calligrafia sulla copertina azzurro
opaco del fascicoletto: Tom Orvoloson Riddle.
Silente
gettò un’occhiata al quadro oltre la scrivania. L’ex preside di Hogwarts,
Armando Dippet, sonnecchiava appoggiato alla cornice del suo quadro. Era stato
proprio lui, molti anni prima, a scrivere quelle tre semplici parole e a
classificare l’allora studente insieme a tutti gli altri.
Il
preside aveva impiegato mesi per trovare quel semplice fascicoletto, sepolto in
uno scaffale nell’immenso archivio della scuola. Naturalmente ogni fascicolo
era stato protetto con un incantesimo anti-appello e questo gli era costato un
faticoso lavoro in più. Non aveva neanche chiesto aiuto ad alcuno. Perché?
Perché semplicemente non poteva.
Lo
aprì ed estrasse delicatamente i fogli all’interno, avendo cura di non
rovinarli. Percorse velocemente con lo sguardo le pagine ingiallite dal tempo,
leggendo sprazzi di frasi qua e là. Sfogliò quei fogli per un buon quarto
d’ora, alla fine del quale ebbe la certezza di non aver scoperto niente di più
di quello che già non sapesse. Ore e ore di lavoro buttate via.
Chiuse
gli occhi e si accarezzò pensieroso la lunga barba argentea.
La
notizia dell’uccisione della famiglia Robert non era certo passata così com’era
arrivata. Ancora adesso, a più di due mesi di distanza, gli Auror stavano
indagando sui possibili assassini. I vicini avevano detto di aver sentito dei
rumori provenire dalla casa e di aver poi visto smaterializzarsi nel cortiletto
un gruppo di persone incappucciate. La cosa che inquietava sicuramente di più
era lo spaventoso simbolo che era comparso misteriosamente sopra la casa.
Dopo
l’assassinio della famiglia altre cose erano successe: in tutto il paese erano
state segnalate misteriose sparizioni, e tutte erano molto stranamente capitate
a maghi o streghe Mezzosangue o Nate Babbane.
Non
sapeva perché, ma qualcosa gli diceva che tutto quello avesse a che fare con
una persona in particolare.
Ricordava
bene i suoi anni da insegnante e ricordava altrettanto bene gli anni in cui era
stato insegnante di Tom Riddle. Pochi sapevano che quel ragazzo ora era
diventato un potente mago oscuro e che si faceva chiamare Lord Voldemort. Molti
erano stati ingannati dalla sua aura: il ragazzo, infatti, si era dimostrato
fin dall’inizio un ottimo studente, bravo in tutto, ma terribilmente attratto
dalle Arti Oscure.
Anni
prima Riddle era tornato, dopo un periodo di misteriosa assenza, e aveva
tentato di prendersi il posto di ministro. Ma qualcosa in lui era cambiato.
Aveva iniziato a proporre le sue idee, aveva creato intorno a se un gruppo di
seguaci. Il suo pensiero era stato chiaro fin da subito: allontanare tutti
coloro che avevano sangue Babbano nelle vene dalla comunità magica.
Naturalmente
aveva avuto subito l’appoggio delle più potenti famiglie Purosangue, che, anche
se in minoranza, avevano senz’altro molto più potere su tutti gli altri.
Ma
Silente sapeva che cosa Riddle voleva veramente, e forse lo aveva sempre
saputo, fin dal primo momento in cui aveva incrociato il suo sguardo con quello
di quel bambino lugubre e misterioso. Quando aveva visto in quegli occhi neri,
privi di ogni più piccola briciola di dolcezza, l’odio, per tutti quelli che
gli stavano intorno.
Era
stato lui, la causa di tutte quelle morti e sparizioni era solo lui, Tom
Riddle.
Silente
percorse ancora una volta con lo sguardo quel nome, sospirando. Di certo non
poteva cambiare il passato, ormai Riddle era diventato ciò che era diventato.
Non credeva ci fossero ancora possibilità per quell’uomo, se così poteva ancora
dirsi, di redimersi. L’oscurità lo aveva fatto suo e molto probabilmente lo
aveva fatto per sempre.
Si
alzò e tornò davanti alla finestra.
Un
pallido sole aveva fatto capolino dietro a una collina e ora illuminava con i
suoi raggi il paesaggio circostante, dipingendolo di rosa. In lontananza uno
stormo di gufi si stava avvicinando lentamente.
Un
solo pensiero passava per la testa del preside, e cioè che, in un modo o
nell’altro, avrebbe fatto del suo meglio per mettere fine a quella storia una
volta per tutte. Forse ci sarebbero voluti mesi, magari anni. Avrebbe dovuto
affrontare un altro mago oscuro, magari avrebbe dovuto anche ucciderlo questa
volta. Ma se questo era ciò che doveva fare lo avrebbe fatto, come meglio
poteva.
Albus Silente pensava
ciò, ma non poteva sapere quanto questi suoi pensieri sarebbero presto stati veri.
***
La
Sala Grande era, come ogni mattina, gremita di ragazzi pronti ad affrontare una
nuova giornata di duro lavoro. Il soffitto incantato quella mattina era di un
grigio cupo che sembrava prepararsi a rilasciare la sua tristezza attraverso
un’altra abbondante quantità di bianca neve.
«Buongiorno!»
salutò allegramente Sophie, sedendosi sulla panca al suo solito posto.
Rose
mugugnò qualcosa e si sedette al suo fianco afferrando una fetta di pane
tostato.
«Sei
pronta per il test di Lumacorno?» chiese Sophie con un sorrisetto furbo dipinto
sul volto.
In
tutta risposta, ricevette dall’amica, solo un sonoro sbadiglio, che esprimeva
tutto l’interessamento di Rose nei confronti della materia.
Sophie
gongolò all’espressione dell’amica e afferrò la brocca del succo di pompelmo
con l’intenzione di versarsene un po’ nel bicchiere quando una gomitata nelle
costole non gliela fece quasi cadere di mano. Sbuffando guardò verso il punto
che Rose le indicava con la mano.
La
sagoma nera di Severus era accostata alla parete di fianco all’ingresso della sala.
Non le fu difficile scorgere accanto a lui la chioma rosso fuoco della sua
amica Grifondoro.
Sophie
sospirò sonoramente e distolse lo sguardo, irritata. «La vuoi finire con questa
storia?» sbuffò amareggiata. «Non ci posso fare niente se Severus insiste sul
voler stare insieme alla Evans!» esclamò.
Era
da mesi che lei e Rose cercavano di convincere il loro compagno a staccarsi una
volta per tutte da Lily, ma non erano riuscite ad ottenere alcun risultato.
Severus trascorreva la maggior parte del suo tempo libero con lei e la
considerava la sua migliore amica. Anche Sophie e Rose erano sue amiche, ma con
loro trascorreva solo il tempo necessario per finire i compiti e rimaneva in
loro compagnia nella Sala Comune di Serpeverde, l’unico luogo della scuola dove
la rossa non potesse accedere. Sophie e Severus erano i migliori Serpeverde del
loro anno e anche grazie al loro aiuto Rose se la cavava abbastanza bene. Anche
la Evans se la cavava: forse per il fatto che fosse una Nata Babbana, ma il
professore di pozioni Lumacorno non faceva altro che lodarla.
«Buongiorno!».
Severus si sedette al loro fianco e addentò un biscotto, sul volto dipinto un
gran sorriso. Ma esso s’incrinò quasi subito, quando vide l’aria truce delle
due. Distolse lo sguardo e lo rivolse verso l’alto, attirato da un improvviso
rumore di ali.
Lo
stormo di gufi della posta fece il suo ingresso attraverso la vetrata laterale
della Sala, volteggiando poi sui quattro lunghi tavoli, alla ricerca del loro
destinatario, a cui dovevano assolutamente recapitare la posta. Uno
particolarmente vecchio raggiunse il tavolo dei Serpeverde e atterrò con
goffaggine di fianco al piatto di Sophie.
La
ragazza guardò il rapace particolarmente stupita. Lo esaminò attentamente e
slegò poi una lettera dalle zampe.
Scorse accigliata la
minuta calligrafia della madre e sempre più curiosa cominciò a leggere:
Ciao Sophie,
mi dispiace di non essere riuscita
a scriverti prima ma ho avuto alcune faccende da sbrigare.
Proprio per questo motivo, credo di
non poter farti tornare a casa per questo Natale. Mi dispiace, ma non posso
farti proprio tornare.
Dai il tuo nome per coloro che
resteranno per le vacanze. Non ti abbattere, vedrai che lì ad Hogwarts ti
divertirai.
Ho letto le tue precedenti lettere,
sappi che sono orgogliosa di te. Continua così.
Un bacio,
Helena
Rilesse
la lettera più volte finché non la seppe quasi a memoria.
«Chi te la manda?». Rose si sporse verso di
lei per leggere la lettera ma Sophie fu più veloce e si ritrasse.
«Niente
che ti riguardi» rispose Sophie, gelida. Piegò la lettera e la ripose nella
borsa dei libri.
Passò
tutta la mattinata pensando alla lettera e a ciò che sua madre avrebbe dovuto
fare di tanto importante da non poter occuparsi di lei per appena due
settimane.
«Si
può sapere cosa ti abbatte così tanto?» le bisbigliò Rose qualche ora dopo,
durante un test particolarmente difficile di pozioni.
Sophie
distolse per un attimo lo sguardo dalla sua pozione che si stava man mano
colorando di un viola brillante. Controllando che Lumacorno non le stesse
guardando, le bisbigliò in risposta:
«Lascia
perdere. Piuttosto, pensi di andare via per Natale?» domandò.
La
ragazza la guardò, stupita per la domanda, e allo stesso tempo indignata per
non aver ricevuto una risposta alla sua di domanda.
«Sì»
disse infine. «Penso che passerò il Natale insieme alla mia famiglia, come al
solito. Perché?» chiese incuriosita.
«Perché
io rimango qui» mormorò Sophie abbattuta.
Rose
rimase interdetta. «Ma non dovevi mica…?».
«Hem,
hem» tossicchiò Lumacorno da sopra la spalla delle due, che colte di sorpresa
sobbalzarono, spaventate. «Signorine! Per favore… se dovessi sentirvi ancora
parlare sarò costretto a farvi interrompere il vostro test e a mettervi un
brutto voto» le rimproverò pazientemente il professore. Le squadrò per qualche
secondo, poi ammiccò loro e ricominciò a girare per la classe, esaminando al di
sopra dei suoi baffoni da tricheco le pozioni dei suoi studenti.
Sophie
arrossì lievemente al rimprovero del professore e si zittì, seguita a ruota da
Rose.
«Ancora
dieci minuti!» annunciò Lumacorno.
Le
due ragazze non si scambiarono più parola. Quando il tempo a disposizione scadde,
gli studenti imbottigliarono le loro pozioni e si avvicinarono alla cattedra
per consegnarle al professore.
Sophie
e Rose si attardarono perché quest’ultima, all’ultimo momento, aveva avuto la
splendida idea di urtare il suo calderone e il suo contenuto si era rovesciato
per terra.
Sophie
riuscì comunque a recuperare un po’ di pozione e a imbottigliarla ugualmente.
Stringendo i denti per evitare di strozzare Rose, Sophie si diresse verso la
cattedra seguita dall’amica, che cominciò a porgerle le proprie scuse
incessantemente.
«Mi
scusi per il danno. La pozione però dovrebbe essere ancora buona» sussurrò
imbarazzata Rose.
Lumacorno
tuttavia la ignorò e si rivolse a Sophie. «Le faccio i miei complimenti,
signorina Stones! Credo proprio che lei abbia un talento naturale per le
pozioni» si complimentò gioviale. «Ah, e anche voi laggiù!».
Due
ragazzi che stavano uscendo dall’aula si fermarono di botto.
«Siete
tutti e tre invitati alla festa natalizia che ho personalmente organizzato. Si
terrà dopodomani sera, alle nove in punto nel mio ufficio. E naturalmente
potete invitare qualche amico!» disse ammiccando verso Rose.
Sophie
rivolse uno sguardo agli altri due ragazzi. Non si stupì di vedere davanti all’uscio
Severus e la Evans.
«Rose,
ti vada venire con me?» chiese, distogliendo lo sguardo. L’altra annuì, poi le
due uscirono dall’aula senza aggiungere una parola.
Due
giorni dopo Sophie scese, puntuale, nella Sala Comune, dove numerosi Serpeverde
parlavano tra loro o svolgevano i compiti per il giorno dopo.
Si
avvicinò al caminetto dove Rose la stava aspettando e si accorse indignata che
con lei c’era anche Severus. Squadrò un attimo quest’ultimo con aria critica: «Hai
deciso di unirti a noi questa sera?» chiese acida.
Severus
si morse il labbro e annuì, silenzioso. Sophie sbuffò e si diresse rapida verso
l’uscita della Sala, cominciando a chiacchierare animatamente con Rose.
Non
dovettero fare molta strada, l’ufficio di Lumacorno non era molto lontano dai
sotterranei. Quando entrarono, la prima cosa che notarono furono sicuramente le
decorazioni natalizie che occupavano l’intera stanza, colorandola di un rosso e
verde brillante. Sophie si accorse anche che la stanza era stata ingrandita: di
certo non poteva essere che il professore avesse un ufficio così grande. Si
chiese quali incantesimi avesse usato.
«Benvenuti
al Lumaclub» li accolse Lumacorno a braccia aperte. «Prego, prego. Accomodatevi
e godetevi la festa!» trillò contento. Dopodiché si girò verso i pochi invitati
e li presentò loro: «Questi due ragazzi sono tra i migliori del loro anno. E
non solo in pozioni, sia chiaro…» ammiccò verso Severus e Sophie e senza
degnare di uno sguardo Rose si allontanò, ricevendo altri ragazzi che stavano
facendo il loro ingresso in quel momento.
«Certo
che è proprio maleducato» mugugnò Rose. «Secondo me non si ricorda nemmeno qual
è il mio nome!» esclamò, incrociando le braccia al petto.
Sophie
si strinse nelle spalle e si avvicinò a una poltrona dall’aria comoda, poco
lontana dal caminetto.
Gli
invitati non erano molti. Vicino al tavolo del buffet si trovava un piccolo
gruppetto di Corvonero, che spiluccavano svogliatamente qualche pezzo di torta,
mentre dalla parte opposta qualche coppia accennava alcuni passi di danza su
una melodia lenta e monotona. Nonostante fosse quasi Natale, e gli studenti
fossero abbastanza contenti di questo per le vacanze imminenti, sembrava che in
quella stanza l’allegria fosse stata risucchiata tutta dai festoni, lasciando
agli studenti un’aria annoiata.
«Non
devono essere molto movimentate queste feste di Lumacorno…» mormorò Rose,
guardandosi intorno.
«Ma
guarda un po’ chi si rivede, Mocciosus!».
I
tre ragazzi si voltarono di scatto, posando lo sguardo sui due nuovi arrivati.
I
due Grifondoro si guardavano intorno con aria baldanzosa. Black sogghignò e
rivolse a Severus uno sguardo diabolico. Potter, invece, si infilò le mani in
tasca e guardò la scena con un sorriso ebete sul volto.
«Stai
alla larga da qui, Black» sibilò Sophie in risposta.
Dopo
il primo scherzo alla scopa, James Potter e Sirius Black non si erano fermati.
Sembravano aver preso Severus, che chissà perché loro apostrofavano Mocciosus,
di mira. Il fatto era che Severus ogni volta si arrabbiava, e i due erano
sempre più convinti a prenderlo in giro. Sophie aveva provato più volte a
dirgli di ignorarli, ma Severus sembrava non ascoltarla e ogni volta che Black,
Potter, o entrambi comparivano, s’inventava qualche scusa e spariva
improvvisamente alla vista. Il più delle volte, però, i due Grifondoro riuscivano
a fermarlo e gli facevano scherzi di ogni tipo.
Una
volta avevano aspettato che uscisse dalla biblioteca e appena il ragazzo aveva
messo piede fuori gli avevano rovesciato in testa una cesta di castagne appena
raccolte nel giardino della scuola. Un’altra volta, invece, durante una lezione
di Trasfigurazione, avevano incantato il ragno che dovevano trasfigurare, e lo
avevano fatto volare nei pantaloni di Severus che, colto di sorpresa, aveva
cominciato a saltellare sul posto, tentando inutilmente di far uscire
l’animale.
Altre
volte ancora spuntavano fuori a sorpresa dai corridoi e utilizzavano il
Serpeverde come cavia per provare i nuovi incantesimi che avevano imparato.
Sophie
sapeva che Severus, se avesse voluto, avrebbe potuto farsi rispettare di più. Tuttavia
il ragazzo non sembrava riuscirci: Black e Potter erano molto più veloci di lui
e ogni volta che provava anche solo ad afferrare la bacchetta si ritrovava già
in qualche situazione imbarazzante.
La
mano di Severus corse subito alla bacchetta nella veste ma Black, il quale notò
il brusco movimento del ragazzo, alzò le mani in segni di resa e ridacchiò:
«Ehi! Tranquilli… a Natale si è tutti un po’ più buoni, no?»
«Già»
annuì Potter. «Pensavamo di renderti un po’ più facile la vita, almeno fino alla
fine delle vacanze».
«Oh!
Ma che gentili…» commentò Sophie ironica. Dopodiché si alzò e puntò un dito
minaccioso contro i due. «Provate a fare una sola mossa falsa, e vi giuro che
ve la farò ricordare per tutta la vita!» sibilò.
«Aiuto!»
boccheggiò Potter guardando Sophie con aria subdolamente spaventata. «E cosa
mai potrebbe farci la signorina Stones di tanto vendicativo?»
Sophie
ridusse gli occhi a due fessure e sfilò la bacchetta dalla veste. «Vogliamo
fare una prova?»
In
quel momento, però, si sentì spingere di lato e la Evans la oltrepassò,
frapponendosi tra i litiganti.
«Lasciatelo
in pace! Non vi ha fatto nulla di male!» esclamò infuriata.
Sirius
esplose in una risata sonora e scambiò uno sguardo furbesco con James, che rise.
«Non
ci serve il tuo aiuto, Evans» disse Sophie, secca.
La
ragazza Grifondoro si girò verso di lei e la guardò truce. «Si da il caso che
io sia la sua migliore amica e che abbia tutto il diritto di aiutarlo!» ribatté
adirata. Le due ragazze si fissarono con odio reciproco, improvvisamente
dimentiche di ciò che le succedeva intorno.
Il
professor Lumacorno si fece strada tra il gruppetto che si era andato formatosi
intorno ai litiganti e cercò di placare gli animi. «Suvvia ragazzi, non c’è
bisogno di fare tutte queste sceneggiate. È Natale no? Divertiamoci!»
Il
gruppo si sciolse. James e Sirius si allontanarono ridendo mentre Sophie e Lily
non accennavano a muoversi. Severus, rosso in viso, le squadrò «Ehm… non
riuscite ad andare d’accordo?» chiese titubante.
Rose
lo guardò come se le avessero appena detto che le vacanze di Natale erano state
annullate.
Sophie
si girò lentamente verso il ragazzo e lo guardò, accigliata, mentre Lily lo
squadrava come se fosse la prima volta che lo vedeva.
«Stai
scherzando, spero…» mormorò Rose.
Severus
sembrò arrossire ancora di più mentre abbassava la testa, improvvisamente
pentito di ciò che aveva appena detto.
Sophie
sbuffò. Rimise la bacchetta al suo posto e fece un cenno a Rose. Insieme si
allontanarono verso il lato opposto della stanza.
Lily
osservò con apprensione il suo migliore amico. «Come credi che possa fare
amicizia con quella?» osservò. «Storce il naso ogni volta che passo. Anche se
volessi non ci riuscirei».
Severus
sospirò.
«No,
hai ragione. Non credo che riuscireste ad andare d’accordo» mormorò
tristemente.
Angolo autrice:
Salve a tutti!
Questa volta ho mantenuto la promessa… che ve ne pare? Ho controllato
più volte il testo (tanto che lo so quasi a memoria) e non mi sembra che ci
siano troppe ripetizioni ne errori.
Dunque… questo capitolo, lo ammetto, non è un granché. Non ci
sono novità eccezionali, a parte naturalmente i pensieri di Silente all’inizio (mica
lo messo tra i personaggi principali per niente XD). Per adesso (e cioè se
non cambierò idea), credo che non rivedremo Silente per un po’ di tempo.
Bene, non mi sembra di aver nient’altro da dire.
Vi saluto alla prossima,
Gageta98
Angolino
pubblicità:
Ok. Sta cosa me la sono inventata al
momento (e mi sto già pentendo di averla anche solo pensata).
Bè… *sprofonda sotto il tavolo per l’idea
totalmente priva di senso*
In più, questa volta volevo dirvi che
mentre scrivo questa fanfiction mi diletto
con gli Esercizi di Stile, una raccolta di Drabble (che a volte sforano di un
po’) piuttosto strana (e se lo conoscete, sì, prendo spunto dall’omonimo libro).
Non so… se vi va fateci un giro.
D’accordo la finisco qui. Mi sento
davvero un’idiota. Bah… queste sono le idee che mi vengono ogni tanto.
ophie
si lasciò cadere sulla poltrona più vicina al caminetto e sprofondò la testa
tra i cuscini.
Era
aprile.
Se
ci pensava, Sophie stentava a crederci. Quell’anno scolastico era volato.
Le
sembrava solo il giorno prima, quando si trovava sul treno per Hogwarts.
Ripensò alle sue paure, a quella stupidissima ansia che l’aveva attanagliata per
tutto il viaggio di andata: aveva avuto paura di non finire a Serpeverde.
Pensandoci ora, a più di sette mesi di distanza, le sembravano tutte
preoccupazioni inutili. Possibile che proprio lei, Sophie Stones, fosse stata
angosciata per una cosa così banale? Ogni volta che ci pensava si sentiva una
stupida. Davvero aveva creduto di non finire a Serpeverde?
Lei
di cervello ne aveva. Era brava in tutte le materie, nessuna esclusa, e ogni
professore la lodava. Era orgogliosa di se stessa e ambiziosa. Insomma, tutte
qualità adatte per una Serpeverde. Eppure c’era qualcosa che la innervosiva
ogni volta che pensava allo smistamento, ma non riusciva proprio a capire
quale. Le sembrava di ricordare qualcosa, un piccolissimo particolare che le
aveva dato da pensare in quei mesi, ma per quanto si sforzasse di pensare non
riusciva a riportare alla memoria proprio niente.
Pochi
giorni prima aveva avuto un breve dialogo con Lumacorno al riguardo.
«Sono
proprio orgoglioso di avere una studente così nella mia Casa» le aveva detto il
professore durante l’ultimo appuntamento del Lumaclub.
Lei
aveva sorriso e aveva ribattuto «E io sono orgogliosa di appartenere a questa
Casa, professore. Ammetto che se fossi stata smistata a Grifondoro,
probabilmente me ne sarei andata…»
«Oh
oh! Addirittura? Dai, su, le altre non sono mica poi tanto male…» aveva
sorriso. «Comunque fai bene ad esserne orgogliosa, in pochi possono dire di
essere nella Casa giusta. In molti dicono che qui le persone sono tutte
disoneste, inutili e presuntuose. Io invece non la penso così. Noi ne siamo
l’esempio vivente, o no?». Il professore aveva scosso la testa, amareggiato.
«Non tutti i maghi che escono da Serpeverde divengono maghi oscuri…».
Sophie
era rimasta stupefatta all’affermazione del professore e qualcosa aveva
cominciato ad agitarsi nel suo stomaco. Quando l’uomo l’aveva guardata con aria
truce, poi, l’ansia era cominciata a crescerle nel petto.
«Bè…
dovremmo impegnarci per cambiare l’opinione comune» aveva infine concluso
Lumacorno e Sophie aveva tirato un sospiro di sollievo, annuendo.
Lumacorno
era forse il professore a cui stava più simpatica. La McGranitt invece sembrava
che la odiasse con tutto il cuore, benché lei non le avesse fatto niente di
male. Tutte le volte che rispondeva correttamente a una sua domanda, o anche
quando alzava solo la mano per provarci, la professoressa la fissava con astio
ed era sempre restia a darle punti bonus. Durante i lavori in classe, poi,
evitava sempre accuratamente di passarle di fianco e Sophie faticava a
ricordare anche solo una volta in cui si fosse complimentata con lei per
l’ottima trasfigurazione ottenuta. Cosa che tra l’altro avveniva quasi sempre.
L’unica
che sembrava essere simpatica a tutti i professori era forse Lily Evans. Sophie
non riusciva proprio a capire perché, ma la ragazza era brava almeno quanto
lei, cosa che le sembrava abbastanza strana, data la sua provenienza totalmente
Babbana.
Per
un certo periodo si era ostinata a pensare che fosse tutto merito di Severus,
con cui la rossa passava quasi tutti i pomeriggi a fare i compiti in
biblioteca. Quando, però, (molto stranamente a dire il vero) il ragazzo si era
preso un brutto voto in Erbologia e la ragazza aveva invece preso il massimo
che si potesse prendere, Sophie aveva dovuto rassegnarsi al pensiero che fosse
solo merito personale, e che nessuno l’avesse aiutata. La cosa la irritava non
poco.
Le
due ragazze erano in conflitto. Sembrava che ognuna delle due cercasse di
superare e di dimostrare all’altra quanto fosse migliore. Severus, del canto
suo, aveva tentato più volte a farle diventare amiche. Superfluo dire che la
cosa si era dimostrata del tutto inutile.
Sophie
si rifiutava categoricamente anche solo di pensarlo, mentre la Grifondoro,
anche se leggermente più incline ad accettare l’idea, ci ripensava sempre
quando vedeva i modi altezzosi e arroganti dell’altra. Insomma, le due non
potevano sopportarsi.
Poi
c’erano i Malandrini. Ormai tutti nella scuola li chiamavano così. Erano in
quattro. C’era James Potter, con l’aria superba di chi si sente il migliore,
che andava in giro per la scuola come se ne fosse il padrone. Non da meno era
Sirius Black, che si faceva apparentemente beffe del suo nobile cognome e non
perdeva occasione per dimostrarsi “un vero Grifondoro”, come andava in giro a
dire. Al contrario dei primi due, c’era Peter Minus, un ragazzo minuto e
fragile, che si limitava a ridere delle bravate dei suoi amici, rimanendo
sempre dietro le quinte. L’ultimo arrivato, ma non per questo da considerarsi
meno, era stato Remus Lupin, un ragazzo che sembrava essere capitato nel gruppo
per caso. Tra gli amici rimaneva sempre in silenzio, senza mai dare loro troppo
corda, tentando invece di sopprimere le loro idee insensate. Forse per la sua
aria quasi sempre malaticcia, o forse per il fatto che fosse dall’animo molto
più calmo, ma sembrava che fosse capitato tra i malandrini per caso. Alla fine,
però, partecipava anche lui alle malefatte del gruppo.
Sophie,
Rose e Severus cercavano sempre di evitarli. Alla fin fine, però, succedeva
quasi sempre che i tre ci rimettessero qualcosa, o meglio, che Severus ci rimettesse
qualcosa, come una figuraccia per esempio. I professori si lamentavano spesso
dei Malandrini. Durante tutto l’anno, i ragazzi erano finiti in punizione
almeno una ventina di volte. Questo però non sembrava fermarli.
Anche
per questo Sophie era orgogliosa di appartenere a Serpeverde. In quella Casa,
potevano anche essere tutti disonesti e arroganti, ma per lo meno erano di
animo molto più quieto. Tranne forse per un piccolo gruppo di ragazzi del sesto
e settimo anno.
Sophie
gettò un’occhiata al centro della Sala Comune, dove Lucius Malfoy sedeva su un
divanetto, accerchiato da Rabastan Lestrange e altri ragazzi dall’aria
tutt’altro che pacifica.
Sophie
aveva avuto modo di conoscerli, durante le vacanze di Natale. Benché non ci
avesse proprio parlato, si era limitata ad osservarli da lontano.
Rose
se ne era andata dai suoi, in vacanza in scozia, così lei era rimasta con
Severus. Nessuno del primo anno era rimasto, a parte un ragazzo di nome Charon
Avery e uno di nome Adam Mulciber, entrambi semplicemente chiamati con il loro
cognome. Erano del dormitorio di Severus, e siccome passarono anche loro le
vacanze ad Hogwarts Sophie ebbe modo di conoscerli.
Con
i tre ragazzi aveva più volte origliato involontariamente i discorsi del gruppo
di Malfoy. Il ragazzo, che a quanto pareva ne era il capo, parlava sempre al
suo gruppo di qualcosa, che tutti denominavano il Grande Segreto. Sophie non
era riuscita a capire di cosa si trattasse, e tutto sommato non voleva nemmeno
saperlo. Avery e Mulciber, però, non la pensavano allo stesso modo, e avevano
più volte provato a scoprirlo.
Dagli
origliati discorsi, aveva però capito una cosa: Lucius Malfoy era profondamente
innamorato di Narcissa Black. Lui cercava sempre di nasconderlo, ma i suoi
amici glielo ripetevano continuamente, tanto che ormai lo sapevano pure i muri.
Durante le vacanze natalizie, poi, data la mancanza della ragazza in questione,
i ragazzi non avevano fatto altro che parlarne.
Narcissa
era del sesto anno, uno in meno di Malfoy e dello stesso di Lestrange. Sophie
aveva avuto modo di conoscere la sua sorprendente capacità di arrabbiarsi senza
battere ciglio. Quando qualcuno la irritava rimaneva ferma e immobile come una
statua di ghiaccio, fissando quel qualcuno con uno sguardo gelido e scostante,
finché il povero malcapitato non si decideva ad allontanarsi.
Solo
Malfoy sembrava saper resistere a quello sguardo. Anche perché quando c’era
lui, la ragazza era abbastanza nervosa e l’effetto non era quello che si voleva
ottenere: finiva sempre che il ragazzo avesse la meglio.
Finite
le vacanze di Natale, spinto dai suoi compagni, Malfoy aveva cominciato a
corteggiarla.
I
primi tentativi erano andati a vuoto. Al primo il ragazzo era riuscito solo a
fare una pessima figura (almeno a quanto le avevano riferito). Al secondo era
andata un po’ meglio, ma la ragazza se ne era andata con una scusa, prima che
Malfoy avesse il tempo di invitarla ad uscire con lui. Il terzo tentativo era
andato sicuramente meglio: Malfoy era riuscito a darsi un controllo e aveva
chiesto a Narcissa, con una stranissima lucidità, di uscire con lui. La scena
era avvenuta in Sala Comune e quindi quasi tutti i Serpeverde ne erano al
corrente. La giovane Black, imbarazzata, aveva accettato.
Stranamente
nessuno era riuscito a sapere come fosse andato l’incontro, ma si presupponeva
che il risultato fosse stato positivo. E infatti il risultato fu più che
positivo: i due ragazzi si misero insieme a metà marzo. Fu un evento di cui
molti parlarono per settimane. E se ne parlava ancora.
In
quel momento Narcissa sedeva accanto a Lucius, abbastanza rigida, e ascoltava
in silenzio i discorsi del gruppo.
Rose
scese le scale del dormitorio e arrivò a passi pesanti vicino a Sophie, per poi
sedersi sul bracciolo della poltrona. Sbatté con rabbia il libro di Difesa
contro le Arti Oscure sulle ginocchia dell’amica e lo aprì a una pagina ben
precisa.
«Che
cav…?» fece in tempo a dire Sophie che Rose puntò un
dito contro una pagina del libro, adirata.
«Si
può sapere che cosa vuol dire?» sbuffò.
Sophie
mise a fuoco le parole del libro con una certa difficoltà, per poi scoppiare a
ridere dopo averle lette. «Ma stai scherzando?» disse tra una risata e
un’altra.
«Si
può sapere per quale motivo ridi?» sbottò Rose e incrociò le braccia al petto,
contrariata.
La
ragazza aveva talmente alzato la voce che in molti si girarono verso di loro,
guardandole contrariati.
«Vuoi
dirmi che non capisci le parole “l’incantesimo di protezione più efficacee sicuramente Protego”?» ribatté Sophie, abbassando un po’ la voce.
Rose
stava per ribattere quando qualcuno dietro di loro parlò. «Direi che questa
affermazione non è del tutto vera…»
Sophie
alzò lo sguardo e lo fissò su un ragazzo del gruppo che, seduto poco lontano da
loro, le guardava con aria beffarda.
«Esistono
alcuni incantesimi che riescono ad eludere la protezione del Protego… dico bene, Lucius?» sogghignò,
girandosi verso l’amico biondo.
Malfoy
alzò lo sguardo e sorrise al ragazzo. «Bè, sì. Ma non credo che al primo anno
si studino gli incantesimi più difficili di magia oscura, Fred».
Rose
rabbrividì e le sue guance si imporporarono leggermente. Sophie, invece,
sogghignò e incrociò le braccia al petto, fissando Lucius con falsa curiosità.
«E quali sarebbero questi incantesimi?» chiese con voce tagliente.
Rose
spalancò gli occhi e guardò l’amica con stupore, quasi spaventata. Anche
Rabastan alzò lo sguardo verso Sophie e la guardò stupito.
Il
sorriso sulle labbra di Malfoy si fece ancora più largo, mentre alzava il mento
e guardava la ragazza, fiero. «Temo di non poterti dire molto altro, stupida
ragazzina… i professori potrebbero sospendermi per questo. Sei ancora troppo
piccola».
Sophie
scattò in piedi, riducendo gli occhi a due fessure e guardando Malfoy con astio
per l’offesa appena ricevuta.
Qualcuno
da qualche parte nella sala ridacchiò e Sophie si accorse che quasi tutti i
presenti avevano appuntato la loro attenzione sulla discussione. «Forse, ci
sono cose che nemmeno uno del settimo anno dovrebbe sapere…» sibilò.
Il
sorriso di Malfoy si spense del tutto mentre il viso impallidiva e si induriva
per la rabbia. Il ragazzo sciolse Narcissa dall’abbraccio e si alzò, avanzando
lentamente verso Sophie. «Che cosa vorresti dire con questo?» ribatté, acido.
Sophie
sogghignò nuovamente. «Ci sono cose che qualcuno non dovrebbe sapere. Per
esempio quegli incantesimi che tu e il tuo gruppo usate spesso quando credete
di non essere visti».
Ora
tutti guardavano Sophie a bocca aperta. Rose trattenne il respiro mentre Malfoy
impallidiva sempre di più. Anche Rabastan si alzò, avvicinandosi a Lucius.
Molti del gruppo avevano cominciato a guardare prima Malfoy e poi Sophie,
alternando con stupore lo sguardo tra i due.
Nessuno,
a memoria di coloro che stavano nella Sala Comune in quel momento, ricordava
che qualcuno avesse mai osato tenere testa a Malfoy. Senz’altro nessuno del
primo anno.
La
mano di Malfoy scattòverso la
bacchetta, mentre il volto si induriva sempre di più. «Come osi…?» disse, e la
sua voce assomigliava sempre di più a un ringhio.
Sophie
inarcò un sopracciglio, guardando il ragazzo con falso stupore. «Come oso fare
cosa?»
Malfoy
scattò in avanti verso Sophie, e stava per afferrarla quando Rabastan lo prese
per un braccio e lo trattenne.
Sophie,
del canto suo, non si scompose e continuò a guardare Malfoy con un sorriso impertinente
sul volto. Rose rimase impietrita al suo posto.
In
quel momento Severus fece il suo ingresso in sala, accompagnato dagli amici
Mulciber e Avery. Tutti e tre si fermarono sull’uscio, guardando la scena che
li si presentava davanti accigliati.
«Dovreste
fare un po’ più di attenzione agli incantesimi che usate…» continuò Sophie
imperterrita.
Fu
al nuovo sguardo omicida di Malfoy che Rose si decise. Avanzò verso l’amica e
le prese il polso con mano tremante, come a intimarle di fermarsi.
«Tu,
stupida, ignorante ragazzina… chi ti credi di essere?» ringhiò Malfoy.
Questa
volta Sophie ricambiò lo sguardo di Malfoy con altrettanto odio. Avanzò di un
passo e puntò un dito contro il ragazzo «Pensi di…?»
Ma
non fece in tempo a finire la frase. Rose la scosse e la tirò per la mano,
cercando di allontanarla da Malfoy. «Che diamine ti salta in mente?» mormorò
spaventata. «Scusate…» mormorò poi rivolta al gruppo.
Sophie
gettò uno sguardo pieno di rancore verso Malfoy e i suoi amici per poi
lasciarsi trascinare su per la scala del dormitorio dall’amica.
Rabastan,
ancora fermo con una mano stretta intorno al braccio di Malfoy guardò la
ragazza allontanarsi mentre uno strano brivido gli percorreva la schiena.
Lucius
si ribellò dalla sua stretta e si guardò intorno disgustato. «Bè? Che avete da
guardare?» sbottò.
Ognuno
tornò alle proprie occupazioni, mentre Malfoy, rosso in viso per la figuraccia
appena fatta, si risedeva al suo posto.
«Devi
però ammettere che la ragazza ha del fegato…» mormorò Rabastan, continuando a fissare
il punto dove Sophie era sparita.
«Si
può sapere cosa ti salta in mente?» sbottò Rose, una volta che furono arrivate
nella stanza.
«Mi
salta in mente cosa?» mormorò Sophie sovrappensiero.
«Ti
sei appena messa contro Malfoy e la sua banda!» ribatté Rose esasperata.
«E
allora?»
«E
allora quelli non te la faranno passare liscia, cosa credi? Non riusciresti a
tenerli testa nemmeno con tutte le tue forze!». Ora Rose guardava l’amica con
apprensione, spaventata dalle conseguenza che la discussione di poco prima
avrebbe potuto portare.
Sophie
spostò lo sguardo su Rose e sorrise amaramente. «Tu credi?»
Rose
scosse la testa e la guardò quasi con timore.
«Quelli
non sanno a che cosa vanno in contro, Rose. Un giorno Malfoy si rimangerà le
sue parole, te lo assicuro» concluse Sophie, e nella sua voce c’era una punta
di stizza.
***
La
stanza era immersa nelle tenebre. L’oscurità avvolgeva i presenti con il suo
manto scuro e quasi soffocava le ammantate figure che sedevano apparentemente
immobili.
La
fioca luce che filtrava a fatica da una piccola finestra da un lato della
stanza illuminava i capi chini di una dozzina di persone. Il silenzio gravava
pesante su di loro e nessuno sembrava voler violare quel muto accordo.
Una
figura si elevò sulle altre e un brivido percorse silenziosamente la setta.
Gli
occhi rosso sangue della creatura percorsero i volti degli uomini e delle
donne, soffermandosi con cura su ognuno. Erano pochi, troppo pochi.
Aprì
le labbra e un nuovo brivido percorse i presenti. Quando parlò, la sua voce risuonò
cupa, gelida e sibilante. Rimbombò per le antiche pareti della stanza,
spezzando definitivamente la quiete che l’aveva accompagnata fino a quel
momento. «Vi ho creato perché mi aiutaste a conquistare il mondo magico» sibilò
serpentino.
Nessuno
si mosse. Nessuno sembrava respirare, sotto il suo sguardo distante.
«Ho
riposto la mia fiducia in voi…» continuò. Un raggio di luce più violento degli
altri riuscì a farsi strada nell’oscurità e colpì il pallido e freddo volto
dell’uomo, illuminando il profilo magro del suo volto. Un lampo attraversò i
suoi occhi, pieno di odio, rabbia e disprezzo. «…e voi ne avete approfittato!»
continuò.
L’uomo
strinse la mano a pugno e lo sbatté sul liscio piano di legno del tavolo,
facendo risuonare la stanza di un basso e cupo rombo.
Il
terrore percorse come un’onda i presenti, facendo pressione su ognuno di loro.
Mentre
la rabbia defluiva attraverso quella mano e si disperdeva nell’aria pesante
della sala, l’uomo rimase immobile, a capo chino, cercando di calmare la
collera che lo opprimeva. Soppesò attentamente le parole, cercando di trovare
quelle più adatte alla situazione.
Avevano
agito come degli scellerati. Avevano approfittato della sua fiducia e avevano
mandato a monte il piano. Inizialmente dovevano cercare l’appoggio della
società, poi avrebbero potuto fare quello che volevano. Prima di arrivare alla
soluzione finale dovevano aspettare pazientemente.
Alzò
nuovamente lo sguardo verso i suoi seguaci. «L’assassinio dei Robert non è
passato inosservato…». La calma era tornata nella sua voce. Non poté non notare
la paura che trafiggeva gli uomini vicino a lui. Era su questo che si basava il
suo regime, sul terrore. I suoi continui sbalzi di umore non facevano che
terrorizzare ancora di più i suoi uomini, e lui lo sapeva bene.
«Gli
Auror hanno gli occhi puntati su di me!» esclamò rabbioso. «La prossima volta
potrebbe essere l’ultima!». Rimase, ansimante, stringendo con le mani i bordi
del tavolo, il volto carico di rabbia repressa.
«Mio
signore…» una voce di donna risuonò flebile, raggiungendo le orecchie del
padrone a fatica. «Io ho cerc…»
«SILENZIO!»
ruggì, l’uomo. «Non mi interessa niente delle vostre banali scuse!». Trasse un
respiro profondo e cercò di placare la sua ira. «Non deve più succedere…»
disse, e la sua voce era tornata calma e distesa.
La
sedia grattò per terra e l’uomo cominciò a camminare per la stanza, seguito
dagli sguardi bassi e pentiti dei suoi seguaci. I suoi passi rimbombarono
cupamente nell’aria mentre compiva un paio di giri intorno alla lunga tavolata,
lo sguardo basso e pensoso. Si fermò in un punto preciso e abbassò il busto,
arrivando con il viso a pochi centimetri da quello di una donna, la quale
continuò a tenere gli occhi fissi di fronte a sé, senza muovere un muscolo.
«Mi
sembrava di essere stato chiaro…» sibilò dolcemente. «L’ordine era uno solo».
La
donna deglutì a forza, senza spostare lo sguardo.
L’uomo
strinse gli occhi a due fessure e continuò «Ti ho dato potere su di loro, ti ho
chiesto di tenerli a bada».
«Mio
signore…» mormorò la donna.
«Non
voglio più tornare su questo discorso!» esclamò l’uomo, questa volta rivolto a
nessuno in particolare. «Voglio che i miei ordini siano eseguiti alla
perfezione, nessuno sbaglio, nessuna sbavatura nel mio piano perfetto…»
«Mi
sono spiegato?» sibilò ancora, e la donna annuì lentamente.
L’uomo
tornò eretto e continuò a camminare intorno al tavolo. «Ho bisogno…» il suo
sguardo saettò tra le figure ammantate. «…di nuovi seguaci. Ho bisogno di
nuovi, uomini e donne, che siano convinti della propria causa e che tentino il
tutto e per tutto per ottenerla».
Tornò
al suo posto e poggiò le mani sul tavolo, puntando lo sguardo davanti a sé,
fissando la parete. «Voglio fare punta sulle famiglie Purosangue, loro sanno
molto bene ciò che voglio ottenere e so per certo che lo vogliono anche loro».
Un
uomo, verso metà tavolo si alzò e guardò il suo padrone, fiero. «Mio signore,
mio figlio… Credo che possa essere pronto» mormorò speranzoso.
Lo
sguardo dell’uomo a capotavola si fermò sugli occhi grigi del proprio seguace e
un sorriso si fece strada tra le sue labbra. Un sorriso privo della benché
minima gioia. «Non sono io a dover decidere. Voglio solo che sia convinto di
ciò che sta facendo».
L’uomo
annuì velocemente, felice della notizia.
«Voglio
solo…» continuò il padrone con voce flebile, rivolto più a se stesso che a
chicchessia. «…che sia all’altezza di Lord Voldemort».
Angolo autrice:
Etvoila!
Ecco il quinto capitolo.
Devo dire che scrivere questo capitolo è stato abbastanza interessante.
La scena della discussione tra Malfoy e Sophie è forse una delle scena a cui ho
pensato per prima, durante la stesura della trama. La nostra amica ha un bel
caratterino, eh? ;)
Ci credete? Ho scritto ben mezza pagina di word sui Malfoy… Vi
svelerò un segreto (perché naturalmente a voi interessa…*sguardo omicida*).
All’inizio questo capitolo doveva intitolarsi Amore Purosangue, e doveva essere
interamente centrato su di loro. Ma sapete una cosa? Non mi piaceva. Credo che
vi dovrete accontentare della metà pagina. Non so perché, ma ho un certo
rifiuto naturale per quei due…
Bene, dopo questo interessantissimo discorso posso anche
ritirarmi nel mio angolino. Ah, a proposito degli angolini… ho eliminato
l’angolino pubblicità. *i lettori esultano di gioia*
Ok, ok, la finisco qua.
E naturalmente (non sia mai che non lo facessi), un grazie per
le vostre recensioni! Sono sempre ben accette.
Al prossimo capitolo…
Gageta98
P.S. (elimina l’angolino pubblicità ma pubblicizza la sua pagina
ugualmente… che trovata, eh?): http://www.facebook.com/Gageta98
La
luce del sole, alto nel cielo azzurro, illuminava gioiosa la collina della
cittadina di Potton, nel Bedfordshire.
Ma nel cimitero non c’era niente di gioioso.
Le
uniche presenza di vita era una piccola famiglia di tre persone: madre, padre e
la figlia di dodici anni. Si stringevano l’un l’altro, come se avessero freddo.
E forse in quel cimitero sulla collina il freddo c’era, ma non nell’ambiente,
bensì nel cuore di quella famiglia. Era il freddo della tristezza, del dolore e
anche della paura.
Era
estate. Il sole brillava, illuminava le lisce e bianche lastre di pietra che
spuntavano in file ordinate dal terreno.
Se
ci si fermava, anche solo un momento, a guardare quel cimitero, lo si trovava
molto più allegro di qualunque altro. I fiori colorati spuntavano qua e là tra
le lapidi, ognuna con la sua forma, le sue statue e le sue immagini sbiadite di
vite passate. Tutto questo, però, uniti al sole di mezzogiorno, non riuscivano
a rallegrare il luogo.
Nel
cimitero regnava costante il silenzio.
La
brezza soffiava, leggera, e scompigliava i capelli della giovane ragazza. I
mantelli dei tre svolazzavano vitali nell’aria, avviluppando le loro alte
figure.
Un
sbuffo di vento più forte degli altri soffiò tra gli alberi a ridosso del
cimitero, e qualche foglia prematuramente ingiallita si staccò da un ramo di
essi, svolazzando poi nell’aria, attratta dal terreno erboso. Poco prima che
toccasse terra, un nuovo sbuffo la risollevò alta nel cielo, per poi lasciarla
ricadere lentamente.
Gli
occhi della ragazza vennero attirati da quel lieve turbamento nell’oziosità del
luogo, e si soffermarono sulla foglia fino a quando essa non si depositò
definitivamente a terra, a pochi metri dalla lapide che stava esaminando fino a
poco prima.
Era
strano pensare come qualcuno si fosse potuto sentire così, come quella foglia,
molto tempo addietro. Anche quell’apparentemente insignificante parte di albero
aveva avuto la sua vita. Da un germoglio era nata, da quel sole che stava in
quel momento alto nel cielo, cresciuta. Aveva avuto i suoi giorni di splendore.
Aveva brillato con il suo intenso colore verde chiaro, tipico delle foglie più
giovani, e poi, lentamente, si era spenta. Aveva passato tutte le possibili
tonalità di verde fino ad appassire definitivamente e a staccarsi infine dal
tronco che le aveva donato l’esistenza.
Gli
occhi della ragazza scorsero ancora una volta, un’altra infinitesima volta,
quelle parole tristi e terribilmente vere, incise nella dura pietra. I nomi in
nero dei Robert spiccavano in contrasto con il colore bianco della lastra.
Ognuno di loro aveva una data di nascita, la propria data di nascita. Le date
di morte, invece, erano uguali per tutti. Forse era proprio quello a dare
ancora più tristezza alla lapide, ancora più della foto in cui i tre membri
della famiglia sorridevano felici all’obbiettivo.
Anche
loro avevano avuto una nascita, esattamente come la foglia ai suoi piedi.
Avevano avuto il loro periodo di splendore, la loro giovinezza, che era
lentamente scivolata nell’età adulta.
L’unica
differenza che avevano con la vita di quel piccolo organo vegetale, era che
loro non avevano potuto avere le loro tonalità: non avevano potuto appassire,
lentamente, e staccarsi infine dall’albero, coscienti della loro vecchiaia. La
loro vita era stata spezzata precocemente. La piccola bambina, poi, non aveva
neanche avuto il suo periodo di splendore.
La
ragazza strinse i pugni, mentre lacrime di rabbia e frustrazione le scivolavano
lungo le guance rosee.
Era
stato terribilmente ingiusto. Ancora non riusciva a capire come qualcuno avesse
anche potuto pensare di spezzare la vita di quella famiglia, ancora alle radici
della sua storia.
Guardò
la foto, ancora resistente alle intemperie, e i suoi occhi cercarono di
colmarsi di quella felicità, che in quel momento le mancava del tutto. Il
sorriso di quei volti, inconsapevoli del destino che spettava loro, le si
stamparono nella mente.
Avrebbe
voluto strappare la foto da quel luogo, così privo di allegria, e sbatterla
davanti agli occhi di quelle persone che avevano osato distruggere la vita
della famiglia Robert. Avrebbe voluto dimostrare loro quanto fossero stati
egoisti e crudeli.
Possibile
che non si fossero resi conto della brutalità delle loro azioni? Possibile che
l’idea del male che avevano inflitto non avesse neanche sfiorato i loro animi?
Aveva
un’agghiacciante voglia di trovare quegli assassini e di infliggere loro lo
stesso male che avevano causato loro. Voleva fargli provare il dolore che aveva
provato mesi prima, e che provava tutt’ora al pensiero di quell’orrore. Perché
quello era stato un orrore, niente di più.
Sua
madre le si avvicinò e le cinse le spalle. Anche lei aveva il volto rigato da
lacrime ormai seccate dall’aria ventosa di quel giorno. La strinse in un
abbraccio, cercando di infondere un po’ di calore in quel gesto.
L’aria
era già di per se calda, in quell’estate afosa. Quel calore sommato
all’abbraccio però non seppe raggiungere il cuore della ragazza.
«Quelle
persone non la passeranno liscia, mamma» mormorò. «Se non riusciranno gli
altri, sarò io a portarli ad Azkaban, indipendentemente di chi si tratti».
La
madre sorrise, fiera della sua unica figlia. «Se puoi, fai tutto il possibile,
tesoro».
***
In
una delle cupe notti di mezza estate la placida cittadina di Little Hangleton
riposava tranquilla. Solo la luna e qualche stella solitaria riuscivano a
illuminare fiocamente le intricate strade del paese.
Una
collina dominava incontrastata sul piccolo villaggio, e sopra questa collina si
stagliava la spettrale e sinistra figura di una casa abbandonata. L’edera
cresceva incolta sulla sua facciata, le finestre erano inchiodate e al tetto
mancavano alcune tegole.
Tutti
gli abitanti del paese si tenevano alla larga da quella casa. Anni prima era successo
qualcosa di terribile e spaventoso là dentro, qualcosa che nessuno era mai
riuscito a spiegare.
Ormai
la casa era disabitata da molto tempo. Nessuno che fosse mai passato dal paese
aveva mai voluto anche solo dargli un’occhiata. Nessuno, dopo la misteriosa
morte dei suoi vecchi abitanti, aveva mai voluto comprarla.
Eppure,
un tempo la villa era stata una delle più allettanti di Little Hangleton. Era
solita essere una delle attrazioni più in voga del paese. Spesso, i passanti si
fermavano lungo il cammino e la additavano con curiosità e interesse.
Un
tempo, la facciata della villa era stata di un bianco sgargiante e le piante
più belle avevano adornato il grande giardino che la attorniava. I fiori
colorati avevano brillato alla luce primaverile, punteggiando vivacemente le
folte chiome degli alberi.
Ora
solo qualche tronco secco spuntava dal terreno e qualche albero, ancora
straordinariamente in piedi, riversava i rami flosci verso il terreno pieno di
erbacce.
Quella
che un tempo doveva essere stata un’imponente fontana ora giaceva erosa dalle
intemperie tra l’erba alta. Dagli aloni calcarei che aveva lasciato, si poteva
facilmente intuire che una volta in essa era scorsa vivacemente dell’acqua
limpida.
Nel
perfetto quadro di quella notte, improvvisamente un lampione all’angolo di una
delle strade principali del paese, si spense di colpo.
Non
passò che qualche secondo, quando il silenzio notturno fu spezzato da un sonoro
schiocco. Nel bel mezzo della via, dove fino a pochi secondi prima non si
trovava niente, ora si ergevano due figure d’uomo, strette nei loro lunghi
mantelli neri.
Dopo
essersi guardati freneticamente intorno, le due figure avanzarono velocemente
lungo la via, facendo attenzione a non fare il minimo rumore. I loro sforzi,
però, servirono a ben poco: i passi dei due rimbombavano cupamente tra i muri
delle case che si affacciavano sulla strada acciottolata.
Seguirono
un percorso ben preciso e dopo alcuni minuti che sembrarono interminabili
sboccarono in un ampio piazzale dalla quale partiva un sentiero, costeggiato da
alti cipressi. Non si persero in troppo indecisioni e partirono alla svelta,
calpestando velocemente il terreno che si faceva a mano a mano sempre più
tortuoso e difficile da percorrere, per via di alcune pietre mancanti nell’ordine
apparentemente perfetto della strada.
La
salita non fu lunga. Quando girarono l’ultima curva i due uomini si ritrovarono
di fronte a un alto cancello di ferro arrugginito dal tempo. Al di là di esso
si stagliava la netta e imponente figura della spettrale casa sulla collina.
Il
più giovane dei due uomini represse un brivido di paura. Nonostante le ripetute
descrizioni del padre, dal vero la casa risultava essere molto più lugubre e
spaventosa. Si fece coraggio e seguendo l’uomo più anziano si accinse ad
entrare.
I
suoi occhi grigi individuarono un campanello manomesso, poco lontano da dove si
trovava. Si aspettava che il padre si avvicinasse ad esso e lo premesse, per
poter accedere alla casa, ma con suo grande stupore l’uomo ignorò del tutto
quello che era il normale modo per avvisare il padrone di casa del loro arrivo.
Al contrario si avvicinò al cancello e alzò il braccio sinistro con un gesto
secco.
Il
ragazzo non poté che rimanere sorpreso, mentre le inferriate si aprivano con un
acuto cigolio, lasciando loro libero accesso al cortile.
Il
padre si avviò con passo deciso verso la casa e il ragazzo lo seguì.
Attraversarono il giardino dismesso e si ritrovarono di fronte a un portone di
grandi dimensioni. Nonostante fosse molto vecchio, nell’oscurità si riuscivano
ancora a distinguere le intricate intarsiature nel legno di quercia quasi
marcio. Al contrario del cancello d’ingresso, qui i due uomini furono costretti
a spingere con forza sul legno finché questi non si aprì, emettendo dai cardini
uno strano rumore, come se non venisse aperto da secoli.
Si
ritrovarono in un ampio atrio d’ingresso. Il pavimento di marmo bianco era
ricoperto da un sottile strato di polvere, dove altre scarpe avevano lasciato
le loro impronte. Davanti a loro si innalzava una scalinata che portava ai
piani superiori mentre le pareti della stanza, colorate di un azzurro scurito
dal tempo, mostravano in diversi punti alcune forme rettangolari di un azzurro
leggermente più chiaro, traccia sicuramente lasciata da qualche antico quadro,
recentemente spostato in chissà quale altra stanza della casa. Il ragazzo,
abituato al lusso in cui viveva agiatamente, fece una smorfia di disgusto.
I
due non salirono le scale ma imboccarono un corridoio alla loro destra, nel
quale, al contrario dell’atrio d’ingresso, le pareti erano completamente
spoglie e davano un strana sensazione di desolazione. In alcuni punti
l’intonaco si era staccato e lasciava dei buchi irregolari nella parete. Alla
fine del corridoio i due uomini si bloccarono di fronte a una nuova porta. Il
respiro del ragazzo cominciò ad accelerare: erano arrivati a destinazione.
L’uomo
si voltò verso il figlio e lo osservò dall’alto verso il basso. Per un attimo i
loro sguardi si incrociarono e il ragazzo vide un lampo attraversare gli occhi
del padre. Non seppe dire se di orgoglio o di paura.
L’uomo
annuì piano e il ragazzo capì cosa doveva fare. Tese una mano tremante e
abbassò la maniglia della porta, che si aprì silenziosamente rivelando una
vasta sala immersa nell’oscurità.
Rimasero
un attimo sull’uscio, osservando attentamente il luogo intorno a loro.
Tutto
il mobilio che prima doveva aver adornato la nuova sala era stato accatastato alle
pareti, lasciando così spazio al centro della stanza dove in quel momento si
trovava un gruppetto di persone incappucciate, avvolte in lunghi mantelli neri.
La sala risuonava del brusio delle loro voci, ridotte quasi a un sussurro.
Verso il fondo della stanza si trovava un ampio caminetto, nel quale crepitava
del fuoco che illuminava le pareti di cupi bagliori.
Quando
la porta si aprì e i due uomini fecero il loro ingresso, la sala piombò nel
silenzio. Quasi all’unisono tutti i presenti si voltarono verso i nuovi
arrivati e alcuni cominciarono a bisbigliare animatamente con il loro vicino.
Una
figura alta e snella si staccò dal gruppo e si avvicinò ai due uomini, con
passi lenti e cadenzati. Si fermò esattamente di fronte a loro e alzò
leggermente il capo, scrutandoli attentamente da sotto il cappuccio. «Mostrati»
mormorò.
Il
padre fece gli fece un cenno, e il ragazzo ubbidì all’ordine, afferrando i
lembi del cappuccio con le dita e tirandolo indietro. La luce emanata da un
lampo di fuoco più forte degli altri raggiunse il punto in cui si trovavano i
nuovi arrivati, e per un attimo la chioma biondo platino del ragazzo brillò di
una strana luce.
La
figura incappucciata lo esaminò attentamente ancora un attimo, poi annuì
lentamente e portando anche lei le dita al cappuccio lo abbassò, rivelando il
pallido volto di una donna di bell’aspetto. Un lieve sorriso increspò le sue
labbra, poi si voltò con uno scatto verso il gruppo di persone, che spaventato
dall’improvviso movimento si zittì completamente. La donna avanzò velocemente
nella stanza, verso il caminetto, e il gruppo di persone si divise in due parti
per lasciarla passare.
Lo
spazio che si liberò nel mezzo della stanza, permise al giovane Malfoy di
vedere una poltrona di pelle poco lontano dal caminetto, che dava le spalle ai
presenti.
La
donna si avvicinò ad essa e dopo un attimo di esitazione si chinò in avanti.
Malfoy la vide parlottare concitatamente per qualche minuto e poi zittirsi. Si
risollevò e si girò verso i presenti.
Come
in risposta a un muto ordine, tutte le persone incappucciate che presiedevano
nella stanza si riunirono in cerchio.
Abraxas
Malfoy spinse in avanti il figlio e poi si unì alla cerchia, prendendo posto di
fianco a un uomo tarchiato.
Lucius
aspettò pazientemente, mentre l’ansia cominciava a crescergli nel petto, continuando
a fissare curioso la poltrona in fondo alla stanza. La donna lo osservava
silenziosa, le braccia dietro alla schiena. Non seppe perché, ma nella mente di
Lucius qualcosa collegò l’immagine che aveva davanti con quella di qualche mese
prima, a Hogwarts. Ebbe la strana e angosciante sensazione di averla già vista
da qualche parte. Aveva lunghi e lisci capelli neri, che quasi andavano a
confondersi con il mantello del medesimo colore, e due occhi scuri che brillavano
intensamente. La curva delle labbra era leggermente incurvata, dandole un
aspetto saputo e orgoglioso.
Una
figura si erse dalla poltrona, stagliandosi contro il baluginare del fuoco, e
si voltò verso di lui.
Lucius
deglutì.
Davanti
a lui si ergeva un uomo alto ed emaciato, ma non per questo privo di bellezza.
Il volto pallido donava all’uomo una nota di solennità, mentre le labbra pine e
carnose si piegavano in un ghigno sprezzante.
L’uomo
avanzò nella stanza mentre la donna si univa al cerchio, serrandolo. Si fermò
esattamente al centro e con un cenno della testa, gli fece segno di
avvicinarsi.
Lucius
lanciò uno sguardo veloce al padre, poco lontano, ma non riuscì a cogliere
niente nei suoi occhi. Riprese a fissare l’uomo davanti a lui e con passo titubante
si avvicinò.
Un
bagliore illuminò per un attimo il volto dell’uomo e Lucius notò un lampo di
trionfo baluginare nei suoi occhi. Fu quasi con spavento che si accorse che
erano di un rosso lugubre e allo stesso tempo scintillante.
Si
bloccò a pochi passi dall’uomo e respirò profondamente cercando di darsi un
aspetto dignitoso.
«Bene,
bene, bene…». La voce dell’Oscuro Signore risuonò gelida e distante, quasi un
sibilo.
Lucius
rabbrividì.
«Vedo
che tuo padre ti ha convinto ad unirti a noi, caro Lucius».
Il
ragazzo annuì.
Il
sorriso sul volto pallido dell’uomo si spense di colpo e la sua espressione si
fece dura. «Stai per fare una scelta dopo la quale non potrai più tornare
indietro» mormorò, talmente piano che Lucius fece quasi fatica a sentirlo.
«Io…»
esitò il ragazzo.
Gli
occhi dell’uomo si dilatarono contrariati, ma a parte questo, non fece
nient’altro, aspettando invece una nuova reazione del ragazzo.
Agitato,
Lucius annuì velocemente, affrettandosi poi a rispondere «Certo, signore».
«Mio signore» lo rimbeccò l’altro, mentre
un nuovo sorriso tornava a incresparli le labbra. «Unendoti a me potrai avere
tutto ciò che vuoi. Gloria, potere e molto altro ancora, se ti dimostrerai un
servo fedele potrai avere tutta la mia fiducia».
Lucius
chinò il capo, riconoscente. «Non vi disubbidirò, mio signore».
L’uomo
si passò la lingua sulle labbra, pensieroso. «Non ammetto tradimenti» ribadì.
Lucius
alzò di nuovo lo sguardo e fissò i suoi occhi grigi in quelli vermigli dell’Oscuro
Signore. «Non lo farei mai».
Qualcuno,
nel cerchio, si lasciò sfuggire un risolino sommesso, che però non sfuggì
all’acuto orecchio dell’uomo. «Ci trovi qualcosa di divertente, Dolohov?»
sibilò, nient’affatto divertito.
Lucius
vagò con lo sguardo fino a posarsi su un uomo poco lontano da lui, che
all’avvertimento del padrone si era ricomposto e aveva abbassato lo sguardo,
penitente.
«Ti
ho fatto una domanda!» ribatté Voldemort gelido.
Dolohov
si inginocchiò di colpo. «Mi scusi, mio signore».
L’uomo
sbuffò annoiato e si rivolse a Lucius. «Inginocchiati» ordinò.
Il
giovane Malfoy obbedì e si abbassò, fino a toccare terra con una gamba.
«Dammi
il tuo braccio sinistro» sibilò nuovamente l’uomo.
Lucius
si slacciò velocemente il polsino della camicia e tirò poi su la manica della
veste, scoprendo la pelle pallida e lucida dell’avambraccio.
L’oscuro
signore tirò fuori la propria bacchetta che, forse per l’atmosfera del luogo, a
Lucius sembrò emanare un’aura di potere e grandezza. «Mormosdre» disse in un soffio.
Un
intenso bruciore partì dalla bacchetta dell’Oscuro Signore e si dipanò per
tutto l’avambraccio, facendo sfuggire al giovane ragazzo un gemito di dolore.
Lucius abbassò lo sguardo, mentre sulla sua pallida pelle si allargava
velocemente una macchia nera, che mano a mano prese forma, trasformandosi in un
teschio dalla cui bocca usciva un serpente.
Non
ci volle molto. Circa un minuto dopo la bacchetta si staccò dalla pelle del
giovane e tornò nella veste dell’uomo, lasciando un Lucius vagamente stordito
ai suoi piedi.
Voldemort
si girò e si allontanò, tornando al suo posto davanti al caminetto.
Lucius
si affrettò a rimettersi a posto la manica della veste e ad alzarsi. Rimase in
piedi al centro del cerchio, aspettando un nuovo ordine.
A
parlare, però, non fu l’Oscuro Signore, ma bensì la donna alla sua destra.
«Prendi posto affianco a tuo padre, giovane Malfoy» disse, e la sua voce
risuonò molto più calda di quella dell’uomo.
Malfoy,
obbedì ancora una volta, unendosi alla cerchia, e si rimise il cappuccio.
«Benvenuto
nei Mangiamorte» sibilò la donna e un sorriso increspò nuovamente le sue labbra,
seguito poco dopo da quello, anche se molto tirato, dell’uomo. Un applauso si
levò dai presenti e Lucius abbassò la testa, lievemente imbarazzato.
Poco
distante da Voldemort, invisibile agli occhi di tutti grazie al mantello
dell’invisibilità, un altro sorriso si unì a quello dei due adulti.
Sophie
Stones, osservava in silenzio la scena.
Note:
Ci tengo a dire che sono
presenti alcune citazioni dal libro “Harry Potter e il Calice di Fuoco”.
Angolo
autrice:
Prima di dire qualsiasi cosa mi scuso enormemente per il
ritardo. Purtroppo è stata una settimana un po’ difficile, e, lo ammetto, ho
iniziato a scrivere questo nuovo capitolo solo venerdì pomeriggio. Per questo
non sono riuscita a finirlo per sabato e neanche per domenica, dato che ho
dovuto studiare una trentina di pagine per la verifica di storia dell’arte
(che, tra parentesi, incrocio le dita perché sia andata bene). Domani ho una
verifica di scienze e dopodomani di latino. Per fortuna ci sono le vacanze e
spero di non dover tardare molto per il prossimo capitolo. Purtroppo, però,
anche la settimana prossima sarà un vero delirio (una verifica al giorno). Se
arrivo in ritardo e solo per questo. D’altronde, la scuola prima di tutto! ;)
Tornando al capitolo. Prometto che questa è l’ultima volta che
sentirete nominare i Robert. Lo so, forse sono un po’ ripetitiva, però non
credo che Rose lascerebbe la cosa così a metà. Di certo un giretto al cimitero
lo farebbe.
Ci ho riflettuto su a lungo e alla fine ho deciso che Lucius
conclude qui la scuola. Ringrazio dark_nemesis per
avermi chiarito un po’ le idee, però mi torna più comodo farlo finire ora la
scuola. Di conseguenza, Rabastan Lestrange non è più un coetaneo di Lucius, ma
bensì ha un anno in meno.
Devo dire che scrivere questo capitolo è stata una vera e
propria fatica. Se notate, ci sono molte descrizioni, cosa che non sono
abituata a fare.
Il capitolo, se non lo aveste capito, si svolge nell’estate del
1972. Quindi Sophie & Co. hanno finito il loro primo anno. Comunque non vi
preoccupate, spiegherò tutto meglio nel prossimo.
Ok. La finisco qui con le note. Ringrazio sempre tutti coloro
che seguono questa storia (non sapete quanto mi fate felice) e un grazie
soprattutto a Ginny_17 che fin’ora si è preoccupata di recensire tutti i
capitoli. Un vero grazie di cuore :D
ophie
osservava il paesaggio scorrere silenzioso fuori dal finestrino.
I
due mesi di vacanza erano stati troppo pochi, troppo per poter passare una
vacanza decente in compagnia di sua madre. E ora era di nuovo partita per
Hogwarts. Certo, finalmente era al secondo anno e non sarebbe più stata
trattata come un primina, ma sentiva che l’unico anno che aspettava con
impazienza di frequentare era il settimo, lì sì che ci sarebbe stato da
divertirsi.
La
porta dello scompartimento si aprì e una ragazza fece il suo ingresso.
«Grazie
mille per avermi aspettato, eh!» sbuffò Rose, trasportando il suo baule dentro
a fatica.
Sophie
non disse niente, limitandosi ad osservare l’amica sollevare il bagaglio e
metterlo nell’apposita griglia.
Rose
si sedette pesantemente sul sedile e sospirò malinconica. Anche per lei
l’estate era volata. Non poteva sapere come l’avesse passata Sophie, ma aveva
l’intenzione di farselo raccontare prima o poi. Per il momento la ragazza non
sembrava aver voglia di parlare, quindi si limitò a portare le gambe al petto e
appoggiata la testa sulle ginocchia ripensò agli ultimi giorni di scuola, più
di due mesi prima.
***
Era
una bella giornata di inizio estate.
Mancavano
pochi giorni all’inizio degli esami finali e tutti i ragazzi del primo anno
giravano per la scuola costantemente con i libri in mano, ripetendo con gli
amici gli argomenti più importanti già studiati nel corso dell’anno.
Anche
Sophie era abbastanza preoccupata per gli esami, anche se, forse, sicuramente
meno di Rose, che di voglia di studiare ne aveva ben poca. Sophie e Severus si
trovavano spesso in biblioteca con Rose. A volte, con gran disprezzo di Rose e
Sophie, si univa a loro anche Lily Evans.
All’inizio
le due ragazze Serpeverde erano abbastanza scettiche sul fatto di accettare con
loro anche la Grifondoro. La prima volta, quando la videro arrivare, guardarono
storto l’amico e quando anche Lily le guardò scettica di rimando, Severus fu
costretto a spiegare. «Volevo solo che studiassimo tutti insieme…» si era
scusato.
Rose
e Sophie si erano alzate e se ne erano andate senza aggiungere una parola. Le
volte successive, entrambe le ragazze, dopo essere arrivate in biblioteca e
aver visto già occupato il tavolo dall’amico e dalla rossa, si erano sedute
poco lontano, sotto l’occhio critico della Grifondoro.
Nei
giorni successivi la cosa era andata meglio. Le due coppie si trovavano spesso
a ripetere gli stessi argomenti, quindi, alla fine, si erano unite, anche se
tenendo una certa freddezza quando si rivolgevano l’una all’altra. La cosa non
andava a genio tra Rose, Lily e Sophie, soprattutto tra quest’ultime due. Non
facevano altro che fissarsi in cagnesco e ogni volta che qualcuna interrompeva
l’altra per dare lei una risposta litigavano, e si mettevano poi a braccia
incrociate, in silenzio a studiare da sole.
Quando
non andavano in biblioteca, Severus, Rose e Sophie si ritrovavano in Sala
Comune, a ripassare a volte anche con Mulciber e Avery. Poteva sembrare strano,
ma Rose e Sophie ormai si erano abituate alla presenza dei due nuovi ragazzi.
Erano compagni di dormitorio di Severus, e, a quanto sembrava, erano anche i
suoi unici amici maschi all’interno della scuola.
Nessuno
sembrava voler fare amicizia con Severus Piton. Perché? Bé, la risposta era
semplice. James Potter e Sirius Black non facevano altro che prenderlo in giro
e ridicolizzarlo sempre di fronte a tutti. Ormai non era più ben visto dalla
scuola, sempre che lo fosse stato, almeno una volta.
Gli
unici che sembravano aver simpatia per Severus erano i professori, ma neanche
tutti per la verità. Il più simpatico era sicuramente Lumacorno, che lodava
sempre le sue doti in pozioni e lo invitava a tutte le feste del Lumaclub che
organizzava.
La
professoressa McGranitt di trasfigurazione non sembrava aver in simpatia
nessuno del gruppo di Severus. A dire il vero, Sophie pensava molte volte al
modo di comportarsi della McGranitt. Ogni volta la guardava con una luce negli
occhi che a Sophie non piaceva per niente. Aveva, però, imparato ad ignorarla e
a comportarsi come se non si fosse accorta di niente. Ma, a volte, non poteva
fare a meno di pensare a quale fosse il motivo di tanto astio.
Un
bel giorno gli esami cominciarono.
Sophie,
Rose e Severus fecero del loro meglio in tutte le prove, scritte e non.
Alla
fine, quando uscirono i cartelloni nelle Sale Comuni, si scoprì che tutti i
ragazzi del primo anno ce l’avevano fatta. «Lo sapevo, quelli del primo anno
passano sempre tutti!» aveva commentato un ragazzo di terza che, evidentemente,
era stato rimandato.
Anche
Pottere Black ce l’avevano fatta e per
i giorni successivi, in attesa dell’inizio delle vacanze, non fecero altro che
andare in giro per la scuola ad urlarlo ai quattro venti.
Sophie
guardò i suoi risultati, tutti con il massimo dei voti, con gli occhi pieni di
gioia. Era stato un anno fantastico, in fatto di voti, e non poteva fare a meno
di pensare alla faccia che avrebbe fatto sua madre quando lo avrebbe saputo.
Non che non se lo aspettasse, naturalmente.
Infine
era arrivato anche il momento di ripartire. Sophie e Rose avevano occupato uno
scompartimento tutto per loro in fondo al treno, dove avevano passato tutto il
tempo del viaggio di ritorno giocando a sparaschiocco
e a scacchi magici. Sophie se la cavava abbastanza con gli scacchi e riuscì a
battere Rose, che, al contrario, era una asso nell’altro gioco.
Severus,
invece, non si fece vivo per tutto il viaggio. Naturalmente Sophie e Rose non
se ne preoccuparono: sapevano benissimo che il ragazzo si trovava in qualche
scompartimento con l’amica Grifondoro.
Una
cosa che le sorprese particolarmente accadde qualche ora prima di arrivare a
King’s Cross.
Mulciber
e Avery entrarono trafelati nello scompartimento delle due e si chiusero
velocemente la porta alle spalle. Sophie e Rose guardarono i due con tanto
d’occhi e così loro si affrettarono a spiegare. «Abbiamo incontrato Potter in
corridoio e lo abbiamo pietrificato alle sue spalle!» risero i due ragazzi.
«Non vedo l’ora di scoprire che faccia farà quando scoprirà che siamo stati
noi».
Rose
e Sophie risero insieme ai ragazzi, e passarono il resto del tempo a
chiacchierare su vari argomenti, primo tra tutti a fantasticare su qualche
scherzo da fare ai Malandrini l’anno dopo.
Il
treno fischiò ed entrò in stazione.
Quando arrivò il
momento di salutarsi, Rose e Sophie si strinsero la mano. O meglio, Rose cercò
di abbracciarla ma Sophie si scostò quanto bastò per farle capire che non ne
aveva la minima voglia, così si limitarono alla stretta di mano. Rose avrebbe
tanto voluto conoscere la madre della sua nuova amica, ma quando uscirono dal
treno la folla le travolse e quando la ragazza riuscì di nuovo a guardarsi
intorno scoprì che Sophie se ne era già andata.
***
«Quella
sulla banchina era tua madre?» domandò Rose pensierosa.
«No,
mia nonna… ma ti pare?» ribatté Sophie seccata.
Rose
fece spallucce e si accoccolò su se stessa. Rose sapeva che avrebbero passato
un anno intero a litigare, così non chiese più nient’altro per tutto il resto
del viaggio, lasciando in pace l’amica almeno per quelle ultime ore.
Sulla
banchina, in attesa dell’arrivo del treno, era riuscita ad individuare Sophie e
quella che aveva intuito essere sua madre. A dire il vero era rimasta
abbastanza stupita di quella vista: Helena Stones era la copia identica di Sophie,
solo con un po’ di anni in più. A differenza della figlia, però, aveva un
aspetto molto meno rigido e, contrariamente a quanto Rose si sarebbe aspettata,
madre e figlia si erano salutate con un abbraccio che da Sophie non si sarebbe
mai aspettata.
Il
silenzio regnò sovrano per tutto il tempo, quando il treno si fermò alla
stazione di Hogsmeade, però, Rose ruppe quella bolla di tranquillità e cominciò
a chiacchierare del più e del meno, raccontando a Sophie come erano andate le
sue vacanze estive.
Sophie,
come sempre, la ignorò.
Quell’anno
non avrebbero attraversato il lago, quindi Sophie e Rose seguirono la massa di
studenti degli anni superiori per il binario e poi per un sentiero, reso
fangoso dalle piogge dei giorni precedenti, alla fine del quale si ritrovarono
davanti a una strada occupata da cento carrozze. Rose le guardò stupefatta.
«Ma… sono carrozze senza cavallo?»
Sophie
abbassò lo sguardo irritata verso le carrozze e sbuffò. «Hai mai visto morire
qualcuno, Rose?» chiese.
L’amica
la guardò storto e dissentì con la testa.
«Naturalmente…»
ribatté Sophie e gettato un ultimo sguardo ai Thestral,
entrò nel veicolo. Abbassò lo sguardo, pensierosa. Sapeva che solo coloro che
avevano visto la morte erano in grado di vederli. Nessuno, che non avesse visto
morire qualcuno poteva anche solo arrischiarsi ad immaginare che le carrozze di
Hogwarts in realtà non erano trainate dalla magia, ma bensì da dei cavalli.
Sempre che si potessero chiamare cavalli, quegli animali. Doveva ammettere che
se li era immaginati abbastanza diversi. Trovarsene davanti uno dal vero era
impressionante. Non sembravano essere molto docili, ma a quanto sapeva Sophie,
invece, lo erano, e anche molto. Erano delle specie di cavalli, alati, la
sottile pelle nera che li avvolgeva lasciava intravvedere ogni singolo osso
dello scheletro dell’animale. Sarebbero stati abbastanza spaventosi per
chiunque, ma per Sophie no. Sapeva che avrebbero studiato quella razza in
quinta, quindi per il momento lasciò perdere quei pensieri e si limitò a
guardare fuori dal finestrino.
Le
carrozze partirono e, cigolando e oscillando, si arrampicarono su per il
sentiero, sballottando con forza i ragazzi al loro interno.
Passarono
fra le alte colonne di pietra dell’ingresso al territorio della scuola. Il
castello si stagliava scuro contro il cielo notturno e solo qualche luce fioca
illuminava qua e là le varie stanze del castello. Da dove si trovavano in quel
momento, però, Sophie riuscì a scorgere le brillanti luci della Sala Grande,
che contrastavano con il buio all’esterno.
Dopo
qualche ulteriore sballottamento si fermarono con un cigolio sinistro vicino
alla grande scalinata di pietra.
Le
due Serpeverde scesero dalla carrozza e salirono le scale di pietra.
Quando
entrarono nella Sala Grande le avvolse un tiepido calore e il profumino lontano
di pietanze fece venir loro l’acquolina in bocca. Si sedettero al tavolo di Serpeverde,
salutando brevemente i vari compagni che avevano conosciuto l’anno prima.
Lentamente, tutto il resto della scuola fece il suo ingresso all’interno della
stanza e si sedette al proprio posto. Il chiacchiericcio dei ragazzi che si
raccontavano a vicenda come avevano trascorso le proprie vacanze riempì l’aria
e questo sembrò contagiare anche Sophie, che nonostante tutto, cominciò a
parlare con Rose.
Poco
dopo qualcuno le interruppe con la sua voce sommessa. «Ciao!» salutò Severus.
Sophie
spostò distrattamente lo sguardo dall’amica e lo fissò sul ragazzo, che nel
frattempo si era seduto davanti a loro. Fece un cenno con la testa in segno di
saluto e dopo che Rose ebbe fatto il suo solito monologo, ricominciò a parlare.
Quando
tutta la scuola sembrava aver ormai preso posto ai quattro tavoli delle quattro
Case, i fantasmi fecero il loro ingresso e si sistemarono a proprio piacere tra
gli studenti, occupando gli spazi lasciati vuoti sulle panche.
Dopo
qualche attimo nella stanza si fece subito silenzio. Sophie appoggiò le braccia
sul tavolo e rivolse lo sguardo verso la porta d’ingresso. Passò qualche
secondo, poi una lunga fila di ragazzi sugli undici anni fece il suo ingresso
nella sala, capeggiato da un’impettita professoressa McGranitt, che teneva saldamente
in mano uno sgabello con sopra appoggiato un cappello tutto rattoppato.
Sophie
osservò con interesse la fila di ragazzi, ripensando all’anno prima, quando
anche lei si era ritrovata sotto lo sguardo del resto della scuola e si era
preparata con ansia al fatidico momento dello smistamento. Cercò di scorgere i
volti dei ragazzi, ma in mezzo a tutte quelle teste non ci riuscì. Si limitò
così ad ascoltare il discorso del Cappello Parlante, che parlò delle quattro
Case, con strofe in rima che Sophie trovò abbastanza carine. Quando finì
applaudì insieme a tutti gli altri con entusiasmo, contrariamente a quanto
aveva fatto l’anno prima. Stranamente, in quel momento si sentiva di buon
umore.
Gli
applausi durarono poco e quando la sala fu nuovamente avvolta nel silenzio, la
professoressa McGranitt srotolò un lungo rotolo di pergamena e dopo aver tratto
un respiro veloce cominciò a elencare i nomi dei nuovi studenti, uno per volta.
Sophie
si perse il primo nome, in quanto Rose le sussurrò all’orecchio qualcosa che
non riuscì a capire. Infastidita annuì e tornò a guardare lo smistamento.
«Black
Regulus!»
Sophie
sgranò gli occhi e scambiò uno sguardo veloce con Rose.
Un
ragazzo magrolino, del tutto diverso dal fratello, si fece largo tra i ragazzi
e si diresse verso lo sgabello, sedendosi poi sopra. Sophie fece appena in
tempo a scorgerne il volto che il cappello gli calò sugli occhi.
In
attesa del giudizio del cappello, Sophie si guardò intorno e si soffermò
sull’altro Black, seduto dall’altro lato della sala vicino al suo migliore
amico Potter. Il ragazzo guardava con attenzione il fratello e, notò Sophie,
teneva le dita incrociate sotto al tavolo. Sembrò che il cappello fosse
indeciso, perché lo tenne fermò sullo sgabello un po’ di più del dovuto. Sophie
notò che il ragazzino stringeva forte i bordi dello sgabello e non poté fare a
meno di chiedersi che cosa il cappello gli stese dicendo di tanto preoccupante.
Finalmente,
uno strappo nel cappello si aprì e la voce risuonò forte e chiara per tutta la
stanza. «SERPEVERDE!»
Un forte applauso si
elevò dall’omonimo tavolo e Sophie applaudì insieme agli altri. Rose gli tirò
una gomitata nelle costole e le fece notare lo sguardo per niente contento di
Sirius Black, che osservava il fratello con un’aria da funerale, come se si stesse
avviando verso la propria fine. E forse, aveva ragione di crederlo.
***
«Buongiorno!»
salutò allegramente Mulciber, e si sedette sul divano vicino a Rose. La ragazza
alzò lo sguardo da libro insonnolita, e lo salutò di rimando. «Giorno,
Mulciber».
Il
ragazzo si protese verso la ragazza e spiò al di sopra della sua spalla, per
cercare di capire di cosa parlasse il libro, ma Rose lo chiuse e si alzò.
Mulciber
sbuffò. «Di cosa parla?» si limitò a chiedere.
«Di
Quidditch» rispose con un sorrisetto Rose.
Mulciber
scoppiò a ridere e la guardò come se lo stesse prendendo in giro, cosa che
irritò non poco la ragazza. «Bé? Che cosa c’è di tanto divertente?»
«Ti
piace il Quidditch?» sghignazzò divertito il ragazzo.
Rose
annuì e si strinse il libro al petto.
«Non
dirmi che cercherai di entrare a far parte della squadra di Quidditch,
quest’anno…»
La
ragazza sorrise nuovamente. «Scommettiamo che riesco a prendermi un posto nella
squadra?» disse, e tese la mano verso l’amico con aria di sfida.
Mulciber
sembrò pensarci un attimo, poi annuì e strinse la mano alla ragazza.
«Vedremo…».
Intanto,
Sophie, Severus e Avery giunsero dai rispettivi dormitori e si avvicinarono ai
due ragazzi già pronti.
«Giorno!»
salutò Sophie, appena in tempo, prima che uno sbadiglio la interrompesse.
Insieme
andarono in Sala Grande e fecero colazione, discutendo sul problema del nuovo
professore di Difesa contro le Arti Oscure, che anche quell’anno era cambiato.
«Sembra
che ci sia una specie di maledizione su quel posto…» disse Avery.
«Già!
Ormai Silente fa sempre più fatica a trovarne uno nuovo per ogni anno».
Sophie
si limitò ad annuire, evitando accuratamente di partecipare alla conversazione.
Vagando con lo sguardo per la Sala, invece, trovò il piccolo Black che stava
entrando in quel momento, in compagnia di un paio di ragazzi del suo anno, che
Sophie riconobbe come alcuni ragazzi dello smistamento del giorno prima. Si
sedette poco lontano da loro e Sophie perse parte della conversazione,
impegnata a guardare il nuovo arrivato. Avery dovette accorgersi dello sguardo
assente della ragazza perché le chiese «Hai notato il nuovo Black, vero?».
Sophie
sussultò, poi annuì.
«Chissà
come sarà contento Sirius di avere un fratello Serpeverde…» mormorò divertito.
«Tutta
la loro famiglia è stata a Serpeverde» ribatté Sophie con aria noncurante,
mandando giù un sorso di succo di zucca.
Avery
la guardò stupito. «Come fai a saperlo?»
Sophie
sorrise e si pulì le labbra con il tovagliolo, prima di rispondere. «Non sei
l’unico Purosangue qua dentro, Charon».
Avery
sorrise. «Ance tu Purosangue? Non pensavo…».
Sophie
si morse un labbro, titubante, poi annuì lentamente. «Diciamo quasi Purosangue»
disse poco dopo.
«Come
sarebbe a dire “quasi Purosangue”?» chiese Avery curioso.
Sophie
scosse la testa velocemente e si affrettò a liquidare il discorso con un cenno
della mano, addentando poi una brioche, afferrata da un vassoio lì vicino.
Come
ogni inizio anno Lumacorno fece il suo giro per il tavolo dei Serpeverde,
assegnando ad ogni studente il proprio orario. I ragazzi osservarono attentamente
il piccolo foglio di carta nelle loro mani, e poi si alzarono, diretti verso
l’aula dove si svolgeva la prima ora dell’anno scolastico, ovvero
Trasfigurazione. Erano quasi arrivati alla porta della Sala Grande quando
Sophie si accorse di aver dimenticato il suo orario sul tavolo. «Uff! ho dimenticato l’orario! Cominciate ad andare, arrivo
subito» disse, per poi tornare indietro.
Si
diresse al posto che aveva occupato fino a poco prima e quando fece per tornare
indietro per poco non andò addosso a un ragazzo che, testa chino sull’orario,
non stava facendo attenzione a dove si stava muovendo.
«Scusami!»
disse subito il ragazzo, alzando lo sguardo.
Con
un sobbalzo Sophie si accorse che si trattava del secondogenito Black. Lo
guardò, stizzita, e lo riprese «Fai più attenzione a dove metti i piedi». Fece
per tornare verso la porta quando il ragazzo la richiamò.
«Scusami
ancora, per favore… E’ il mio primo giorno e alla prima ora ho lezione di
incantesimi, ma non so dove si trovi l’aula. Potresti dirmi qual è la strada?»
Sophie
lo guardò male, e il ragazzo arrossì lievemente, senza però scomporsi. Rimase
dritto e a mento alto, fissandola con aria di superiorità.
«Sono
già in ritardo di mio» mentì Sophie. «Perché non chiedi al tuo fratellino?»
Il
ragazzo la guardò a bocca aperta e stava per ribattere quando un’altra voce
imperiosa suono dietro di lui.
«Qualcosa
non va, fratellino?» chiese Sirius, guardando Sophie sogghignando.
Il
ragazzo guardò il fratello appena arrivato e incrociò le braccia al petto,
arrabbiato. «Penso di sapermela cavare anche da solo, Sirius!»
«Sì,
certo» lo interruppe Sirius. «Difatti vai a parlare proprio con la Stones. Te
la cavi alla grande, fratellino!».
«Gli
stavo giusto dicendo di chiedere a suo fratello, Black» sibilò Sophie.
Sirius
scoccò un’occhiata piena di disprezzo alla ragazza e puntandole un dito contro,
disse «Non provare a trasformare mio fratello in una sottospecie di… di…»
«Serpeverde?»
gli suggerì Sophie e scoppiò a ridere. Rivolgendosi poi a Regulus disse «Stai
attento, ragazzo. Potrei anche ucciderti».
Regulus
abbassò lo sguardo, imbarazzato, poi si rivolse al fratello. «Sono un
Serpeverde, Sirius, lasciami in pace. Almeno io non ho deluso la mia famiglia…»
Sirius
aprì e richiuse un paio di volte la bocca, senza sapere come rispondere
all’accusa del fratello.
Sophie
sorrise e guardò Regulus. Il ragazzo guardò Sophie a sua volta e colse nel suo
sguardo uno strano luccichio.
«Ci
vediamo stasera in Sala Comune, Regulus» sorrise Sophie. Poi scoccò un’occhiata
al fratello maggiore e aggiunse con enfasi «Nella Sala Comune di Serpeverde…».
Detto questo se ne andò.
Regulus
seguì la ragazza con lo sguardo fino a quando non voltò l’angolo e sparì alla
vista.
Non
seppe perché, ma in quel momento capì che Sophie non era una ragazza qualunque.
Si tenne le sue considerazioni per sé, poi, rassegnato, dovette chiedere al
fratello la strada per l’aula di incantesimi. Sirius gliela disse velocemente e
se ne andò, senza neanche salutarlo.
Mentre
si avviava verso l’aula un pensiero gli passò per la testa. Sophie sapeva farsi
rispettare. Anche lui avrebbe voluto diventare così e si ripromise che un
giorno ci sarebbe riuscito.
In
seguito, arrivò a pentirsi di questa scelta.
Angolo autrice:
Rullo di tamburi… ed eccomi tornata!
Avevo detto che avrei avuto un periodo piuttosto impegnativo e
purtroppo avevo ragione. Sono lieta di farvi sapere che tra le verifiche che ho
fatto solo una è risultata insufficiente, quindi ora devo recuperare ben poco.
Comunque, sorvolando sulle cose di cui non vi interesserà
proprio un bel niente, veniamo al capitolo.
Ecco fare il suo ingresso in scena il nostro caro amato Regulus
Black. Per ora rimarrà un personaggio di sfondo, ma più avanti avrà anche lui
la sua parte.
Se per caso dovessi ritardare ancora e voleste sapere che fine
ho fatto, potete trovarmi qui, su Facebook: http://www.facebook.com/Gageta98
Lì dico sempre il motivo dei miei ritardi e do anche alcune
curiosità sulla storia, se mai voleste saperle.
E dopo avermi fatto pubblicità (restando in tema, ho scritto una
drabble su Regulus che se volete potete trovare sul mio profilo) non mi resta
che salutarvi e sperare di riuscire a scrivere il prossimo capitolo per venerdì
prossimo.
Un bacione,
Gageta98
P.S. (il post scrittum c’è sempre…)
Grazie mille per le recensioni!!! :D
on
l’avvicinarsi dell’autunno i giorni si erano fatti più freddi e grigi.
Le
giornate nel castello si svolgevano lente e noiose, una dietro l’altra.
Sembrava solo pochi giorni prima che la scuola era iniziata, e, invece, era già
ottobre.
Nonostante
le giornate si susseguissero incessantemente, tutte uguali tra loro, tra gli
studenti di ogni anno si poteva facilmente intravvedere una certa agitazione.
Non
c’era nessuno nella scuola che non sapesse a cosa era dovuta questa agitazione:
ottobre, era il mese delle selezioni per ricavarsi un posto nella squadra di
Quidditch della propria Casa, nonché mese della prima competizione dello sport
che appassionava tanto il mondo dei maghi.
I
ragazzi di tutte le classi dal secondo anno in su erano in fermento, non erano
pochi coloro che volevano far parte della squadra della propria Casa. I
favoriti erano principalmente gli studenti più grandi, ragazzi corpulenti e
forti, di certo più adatti per un ruolo da Cacciatore o Battitore. I più visti
per il ruolo di Cercatore erano, invece, gli studenti più piccoli, anche se
molti altri ragazzi degli anni superiori ambivano a quel posto, dato che era
visto da molti come il ruolo migliore della squadra Quidditch.
Quando
si parlava di Quidditch, Rose si sentiva sempre presa in causa e si intrufolava
nei discorsi, anche di studenti con cui non aveva mai parlato.
Quell’anno
anche lei era abbastanza in fermento. Finalmente era al secondo anno, e
finalmente poteva realizzare il suo sogno: entrare a far parte della squadra di
Serpeverde.
Come
certo si può prevedere, Rose non faceva altro che parlare di Quidditch, e per
questo in quel periodo non tiravano buone acque tra lei e Sophie. A
quest’ultima importava molto poco dello sport e cercava di concentrarsi di più
sullo studio. Cosa pressoché impossibile con un’amica come Rose. L’unica cosa
positiva che Sophie riusciva a vedere in tutto quello, era che, in quel periodo,
la biblioteca era quasi del tutto vuota, ed era molto più facile appropriarsi
dei libri scolastici. La maggior parte dei ragazzi, infatti, cercava di
svolgere i propri compiti il più velocemente possibile durante le ore buche o
subito dopo pranzo, così da poter uscire e ad avere tutto il pomeriggio libero
per allenarsi nel volo con la scopa o per rintracciare i capitani delle varie
Case, cercando di estrapolare loro qualche informazione su come si sarebbero
svolte le selezioni per entrare in squadra.
Rose
non facevano altro che stressare tutti quelli che le stavano intorno ed era un
sollievo quando la ragazza si addormentava finalmente la sera.
Non
era solo la ragazza Serpeverde a essere agitata. Anche Adam Mulciber era deciso
a guadagnarsi un posto in squadra e passava la maggior parte del suo tempo a
parlare con il suo migliore amico, Avery, di Quidditch. Per questo, Sophie non
era l’unica a essere stressata dal Quidditch.
Severus
passava le sue giornate a sentirsi raccontare la storia del tanto famoso sport.
Tra regole, falli, Bolidi, Boccini e porte, stavano veramente rischiando anche
lui un esaurimento nervoso.
Per
fortuna, a fargli compagnia c’era Sophie, con la quale si trovava molte volte
in biblioteca a studiare, mentre i loro amici si godevano le ultime giornate di
sole della stagione. Perfino Lily era diventata un po’ stressante in quei
giorni. Severus odiava ammetterlo ma certe volte cercavano sempre un modo per
allontanarsi dalla fedele amica. La ragazza, infatti, essendo una Nata Babbana,
non faceva altro che chiedergli informazioni sul Quidditch, che a quanto
pareva, sembrava affascinarla ogni giorno di più. Severus, purtroppo, di esso
sapeva ben poco, e tutto ciò che poteva dirle, era qualche monosillabo con
risposta alle sue domande.
In
compagnia di Severus, Sophie poteva finalmente rilassarsi e pensare alle cose
che la interessavano di più. Quando non c’era di mezzo la rossa, Sophie si
dilungava in argomenti di ogni tipo, passando dai più importanti argomenti
scolastici ai più futili, come, per esempio, gli scacchi magici.
Ogni
tanto, in Sala Comune, Sophie e Severus si sfidavano in lunghe e (agli occhi di
tutti) noiose partite. Entrambi erano ottimi giocatori ed entrambi erano troppo
orgogliosi per voler perdere anche solo una partita. Le loro sfide diventavano
così accanite guerre di stratagemmi e lunghi silenzi pensierosi, sotto le
occhiate perplesse degli altri amici Serpeverde, che libri e regolamenti alle
mani, elaboravano ipotesi su come passare il provino.
«Non
esiste un qualche tipo d’incantesimo che riesce a renderti più forte e veloce per
una giornata?» chiese Mulciber un giorno.
«Se
vuoi c’è la Felix Felicis, ma dubito che tu riesca a prepararla…» gli rispose
Severus pensieroso, mentre un cavallo di Sophie gli mangiava un pedone.
La
ragazza sorrise all’amico e all’espressione allibita di Mulciber, che non aveva
neanche la più pallida idea di cosa potesse essere una Felix Felicis. «Adam
forse no… ma tu, se ti ci metti d’impegno, potresti riuscirci, mi sa!»
ridacchiò Sophie.
Severus
arrossì, e in quell’attimo di distrazione fece una mossa sbagliata, lasciando il
via libera a Sophie per vincere la partita. «Scacco matto!» urlò infatti la
ragazza, esibendosi in un piccolo balletto di gioia.
Severus
sbuffò e incrociò le braccia al petto. Erano rare le volte in cui Sophie
riusciva a batterlo. Nonostante il suo orgoglio fosse stato intaccato, però,
non riuscì a non sorridere all’espressione felice di Sophie.
«Allora
domani è il grande giorno!» s’intromise Rose, arrivata in quel momento da chi
sa dove, con il mantello bagnato fradicio di pioggia.
Mulciber
la squadrò da capo a piedi e scosse la testa con aria di superiorità.
«Preparati a venir delusa, Rose».
La
ragazza gli fece la linguaccia. «Lo vedremo, Adam…».
Sophie
era talmente contenta per l’inaspettata vittoria che si espresse in un sorriso allegro
per Rose e alzandosi disse «Verremo tutti a fare il tifo per voi, domani».
Rose
spalancò gli occhi stupita e dopo aver scoccato un’occhiata d’intesa con Mulciber,
si affrettò ad augurare la buona notte a tutti quanti e a seguire l’amica su
per la scala del dormitorio.
«Che
ti succede? Da quando in qua ti interessi al Quidditch? O meglio, ti interessi
a me?» chiese, una volta seduta sul letto, lavata e profumata in attesa di
mettersi sotto le coperte.
Sophie
fece spallucce. «Così, tanto per… non può farmi che bene distrarmi un po’ dallo
studio».
Rose
si strinse nelle spalle e si mise sotto le coperte, sperando di riuscire ad
addormentarsi, nonostante l’agitazione che la avvolgeva.
***
«Avanti,
muoversi!» gridò il ragazzo.
«Una
scopa a testa e seguitemi…»
L’allegra
combriccola di ragazzi seguì il ragazzo fuori dallo spogliatoio, all’aria
aperta sul campo di Quidditch.
Rose,
insieme a Mulciber e un altro paio di ragazzi del loro anno, chiacchieravano
animatamente tra loro.
«Visto?
Non c’è nessuna ragazza nella squadra!» stava dicendo Mulciber, mentre l’aria
fredda della mattinata li colpiva improvvisamente sul viso, strappandoli dalla
tiepida aria dello spogliatoio.
Rose
sbuffò. «Non hai notato che solo Serpeverde non ha giocatrici femmine? Siete
proprio dei maschilisti…»
Mulciber
rise di gusto e si fermò davanti a quello che sperava, sarebbe stato il suo
futuro capitano.
«Buongiorno
a tutti, ragazzi. Sono Rupert Williams, il capitano della squadra di
Serpeverde». Il suo sguardo passò in rassegna gli aspiranti nuovi giocatori,
soffermandosi su Rose, l’unica ragazza del gruppo. Alzò un sopracciglio. «E tu?
Che ci fai qui?» chiese.
Rose
alzò il mento e lo fronteggiò, caparbia. «Sono qui per fare il provino,
ovviamente!»
Il
gruppetto rise sommessamente e anche il capitano sorrise ironico. «Non siamo
qui a discutere di smalti, vestiti e pettinature ragazzina…».
Rose
incrociò le braccia al petto, per niente decisa a mollare, mentre i ragazzi
intorno a lei continuavano a ridere. «Non mi pare che sul regolamento ci sia
scritto “vietato il gioco alle ragazze”».
«La
squadra di Serpeverde non ha mai avuto giocatrici femmine» ribatté
cocciutamente il capitano.
«E
allora vorrà dire che io sarò la prima!» esclamò Rose stizzita.
Il
ragazzo scosse la testa e a un suo cenno i ragazzi si zittirono. «Va bene…
vedremo. Dividetevi per ruolo: chi vuole fare il Cacciatore da una parte,
Battitori da un'altra e così via…».
Con
gran sorpresa di tutti, Rose si unì al gruppo dei Cacciatori. I ragazzi più
grandi già in fila per quel posto la osservarono accigliati. Rose li guardò e
sorrise loro con aria di sfida. Erano tutti molto più alti di lei e molto più
muscolosi.
Mulciber
si unì al gruppo dei Battitori e si allontanò con loro verso un altro punto del
campo, dopo aver salutato l’amica con un sorriso che esprimeva tutta la sua
disapprovazione.
«Cominciamo!
Salite sulle scope e proviamo» esclamò Rupert. A un suo cenno il primo ragazzo
del gruppo dei battitori si alzò in volo sulla propria scopa, con la mazza in
mano, e si portò a una discreta altezza. Rupert aprì la valigia contenente le
palle da Quidditch, e con la massima cautela slegò dal laccio la palla color
nero pece. «Pronto?» chiese.
Il
ragazzo annuì e il capitano libero definitivamente la palla, spostandosi poi
subito di lato per evitare di prendersela in faccia.
La
palla schizzò fuori e dopo quello che sembrò un attimo d’indecisione, partì a
razzo verso il gruppo dei Cercatori, che si sparpagliò spaventato. Il ragazzo
volò veloce verso la palla e riuscì ad intercettarla con un forte colpo, prima
che essa potesse colpire qualcuno. Il Bolide partì dalla parte opposta e a un
cenno del capitano un altro ragazzo si alzò in volo, correndo dietro alla palla
e ricacciandola indietro con un altro colpo.
Quando
arrivò il turno di Mulciber, dagli spalti si levò un urlo d’incitamento.
Stupita, Rose alzò lo sguardo verso di esso e vide Avery che agitava
forsennatamente le braccia, urlando a squarciagola il nome dell’amico.
Mulciber
sorrise e si alzò in volo. Il bolide venne spedito dritto verso di lui da un
ragazzo del quinto anno. Era un colpo potente e tutti credevano che l’avrebbe
colpito, ma all’ultimo momento Mulciber caricò e sferrò un potente colpo con la
mazza, mandando il Bolide quasi in faccia a un altro ragazzo.
Con
la coda dell’occhio Rose, vide il capitano sorridere compiaciuto.
Andarono
avanti così per un bel pezzo, mentre gli aspiranti Battitori colpivano
ripetutamente la palla, cercando di fare del proprio meglio. Alla fine i
ragazzi scesero dalle proprie scope e andarono a cambiarsi, aspettando il
giudizio del capitano che sarebbe arrivato solo alla fine.
Venne
il momento dei Portieri. I ragazzi si distribuirono davanti ai vari anelli, e a
turno, cercarono di parare alcune Pluffe, lanciate dai vecchi Cacciatori della
squadra.
A
mano a mano che i vari ruoli venivano assegnati, il cielo si scuriva. Quando
arrivò il turno dei Cacciatori, Rose si stiracchiò, mezza intorpidita, e salì a
cavalcioni della scopa. Insieme agli altri ragazzi si alzò in volo e fece un
girò del campo per riscaldarsi. Rose sfrecciò per il campo, mentre sentiva
l’adrenalina scorrerle per il corpo. Finalmente era arrivato il suo momento.
Si
fermò di colpo davanti al capitano, mentre questi si alzava anche lui in volo,
tenendo stretta nella mano una Pluffa vermiglia.
Al
suono del suo fischietto passò la palla a un ragazzo lì di fianco, che dopo
averla afferrata, se la mise sotto braccio e partì spedito verso l’anello
centrale. In men che non si dica tutti gli altri ragazzi gli furono addosso,
cercando di carpirgli la palla da sotto il braccio, o di bloccare la sua corsa
veloce. Rose rimase un attimo spaesata, poi corse anche lei incontrò agli
altri, tentando inutilmente di farsi passare la palla. I ragazzi, invece, non
la degnarono neanche di uno sguardo e con abili mosse riuscirono a fare goal
nell’anello sinistro. Il ragazzo che aveva segnato volò in circolo alzando le
mani al cielo e ululando felice.
Il
gioco riprese. Rose tentò più volte di appropriarsi della Pluffa, ma gli altri
ragazzi erano troppo forti e la spingevano sempre via.
Quando
ormai si stava giungendo alla fine e il capitano sembrava che stesse per fermare
il gioco, Rose si guardò intorno sconsolata.
Alcuni
ragazzi, seduti a guardare le selezioni sugli spalti, la indicavano
ridacchiando.
Rose
strinse i denti, arrabbiata, mentre sentiva il suo sogno di Cacciatrice
scivolarle via dalle mani. Il suo sguardo si posò su Sophie, che seduta di
fianco a dei festanti Mulciber e Avery, la guardava fisso. Quando incrociò il
suo sguardo, Sophie sorrise all’amica e Rose colse in quel sorriso un tentativo
d’incoraggiamento. Rose ripensò alle parole che l’amica le aveva detto il
giorno prima e strinse i pugni. Se doveva perdere, l’avrebbe fatto combattendo.
Con
nuovo vigore tornò ad osservare il gioco. Un ragazzo aveva appena segnato e il
portiere si stava affannando per recuperare la Pluffa.
Con
un’improvvisa idea in testa si avvicinò lentamente al gruppo di ragazzi che
aspettava di ricevere la palla e osservò attentamente i movimenti del portiere,
tenendosi ben salda sul suo manico di scopa.
Il
ragazzo afferrò la Pluffa e risalì verso l’anello, fermandosi davanti ad esso.
Dopo aver dato una veloce occhiata alzò il braccio e con un gesto veloce lanciò
la Pluffa verso i ragazzi che aspettavano impazientemente.
A
Rose sembrò di vedere tutto al rallentatore. Con un calcolo veloce riuscì a
capire dove sarebbe andata a finire la palla e con uno scatto in avanti si lanciò
verso di essa. Era piccola e riuscì a schizzare tra gli altri ragazzi più
velocemente di loro. Con un balzo riuscì ad afferrare la Pluffa e un attimo
dopo stava già sfrecciando verso gli anelli. Gli altri ragazzi le furono subito
attorno.
Il
gioco di squadra prevedeva che la palla dovesse essere passata tra i vari
giocatori, perché essa potesse riuscire a superare la difesa nemica e andare in
porta. Purtroppo per lei, però, Rose sapeva che se l’avesse passata a qualche
compagno, egli se ne sarebbe appropriato e lei non avrebbe avuto altre
possibilità per cercare di entrare nella squadra. Così si disse che, meglio di
niente, ci avrebbe provato.
Zigzagando
tra i ragazzi, Rose volò verso gli anelli. Era veloce e riusciva a sfuggire
dalle possenti mani dei ragazzi più grandi che, goffamente, cercavano di
fermarla. Teneva ben salda la Pluffa sotto il braccio, mentre il vento le
fischiava forte nelle orecchie. Con una rovesciata riuscì ad evitare un ragazzo
che le stava davanti e con un abile cambio di direzione ne evitò un altro.
Ormai era quasi arrivata e si preparò a segnare. All’ultimo momento, però, un
ragazzo sbucò da sotto e le si parò davanti, bloccandola. Rose tentò di
sorpassarlo ma inutilmente. Qualcun altro la chiamò, più avanti. Era un ragazzo
biondo, del quarto anno, che agitava velocemente le braccia, cercando di
attirare la sua attenzione. Rose respirò profondamente e si arrese. Anche se lo
avesse voluto, non sarebbe mai riuscita ad eludere il ragazzo che le stava di
fronte. Così alzò il braccio con la Pluffa e con una bella finta riuscì a
passare la palla al ragazzo biondo che afferrata la Pluffa, tirò e segnò.
Il
fischio del capitano risuonò acuto per il campo, segnando la chiusura del
provino per i Cacciatori.
Rose
atterrò goffamente sull’erba, lo sguardo basso per la delusione. Non era
riuscita a procurarsi un posto in squadra.
Si
avviò triste verso lo spogliatoio femminile e si liberò della divisa di seconda
mano, datale in prestito per l’allenamento. Ci impiegò un sacco a cambiarsi e
quando uscì di nuovo nel campo, si accorse che i provini erano finiti. Tutti i
ragazzi si stavano radunando intorno al capitano, che teneva in mano una
tavoletta per gli appunti, sul quale, immaginò Rose, stavano scritti i nomi dei
nuovi componenti della squadra.
Sophie
raggiunse l’amica e, con grande sorpresa di quest’ultima, le strinse la mano e
si complimentò «Sei stata bravissima! Dovevi vedere la faccia degli altri
ragazzi quando sei riuscita a prendere la Pluffa!»
Rose
spalancò gli occhi stupita e la guardò insicura, cercando di capire se l’amica
la stesse prendendo in giro. Ma non fece in tempo a replicare che il capitano
chiamò tutti all’attenzione e cominciò a parlare. «Siete stati tutti bravi, ma
purtroppo per voi i posti in squadra sono limitati e soltanto i migliori
possono averne uno» fece una pausa, poi ricominciò. «Prima di tutto voglio dire
che i giocatori della squadra dell’anno scorso sono tutti confermati anche
quest’anno».
Tra
i vecchi componenti si alzò un applauso e i ragazzi si scambiarono pacche
gioviali sulle schiene.
Rose,
invece, abbassò lo sguardo. Se i membri della vecchia squadra erano tutti confermati,
voleva dire che i posti disponibili per il ruolo di Cacciatore si riducevano a uno
solo.
«E
ora passiamo ai nuovi componenti». Rupert abbassò lo sguardo sulla tavoletta e
dopo aver tossicchiato per attirare l’attenzione cominciò. «La squadra di
Quidditch di Serpeverde dell'attuale anno scolastico sarà composta da: Dean
Bellow nel ruolo di Portiere; Hadrian Macready e Adam Mulciber nel ruolo di
Battitori…»
Mulciber
sorrise e si scambiò una pacca sulla spalla con l’amico Avery. Poi si voltò
verso Rose e le fece l’occhiolino. Rose distolse lo sguardo, infastidita, e
tornò ad ascoltare il capitano.
«…Kenneth Raine nel ruolo di Cercatore, e Bruce Jarrel, Rupert Williams…»
Rose
chiuse gli occhi.
«…e
Rose Dounby nel ruolo di Cacciatori».
Il
cuore di Rose perse un colpo. Sentì le urla di protesta levarsi tra i ragazzi
che avevano perso il posto mentre la voce del capitano cercava di calmarli,
inutilmente.
«La
ragazza ha fegato da vendere. È agile e veloce e riesce ad evitare gli
avversari con abilità. Sfido chiunque a dire che non si è meritata questo posto
nella squadra!» urlò a gran voce Rupert, sovrastando le chiacchiere degli altri
ragazzi.
Si
fece improvviso silenzio, mentre i ragazzi lanciavano a Rose occhiate feroci e
alcuni se ne andavano imprecando.
Sophie
le saltò addosso da dietro e la abbracciò, contenta. «Allora? Sei felice?» le
chiese e Rose non poté non notare il suo sguardo allegro. Possibile che fosse
veramente contenta per lei?
Rose
aprì la bocca per replicare ma da essa non le uscì alcun suono per l’emozione.
Mulciber
gli stampò una manata sulla schiena, talmente forte che per poco non la fece
cadere. «Te lo sei meritato, Rose» annuì convinto. «Qua la mano, nuova compagna
di squadra…» e le porse la mano che Rose strinse con vigore, mentre un sorriso
le si apriva sulle labbra.
Il
capitano si avvicinò ai ragazzi e si complimentò con Mulciber per la sua
potenza, poi si rivolse a Rose. «Complimenti, Rose. Mi hai stupito, davvero. In
effetti, non avevo pensato ai vantaggi che ci può portare una Cacciatrice abile
e veloce. Magari non riuscirai a segnare, ma puoi facilmente arrivare vicino
agli anelli e passare la Pluffa a qualcun altro. Sono sicuro che riusciremo a
vincere anche quest’anno. Veramente un bel lavoro, ragazza» e le diede una
pacca sulla schiena, sorridendole.
Rose
sorrise a sua volta al ragazzo e poi, insieme ai suoi amici si avviò verso il
castello.
«Ho
vinto la scommessa, Adam. Visto?» rise Rose, mentre varcavano l’ingresso della
Sala Grande.
Mulciber
annuì e le sorrise. «Te lo sei meritato» ripeté. «Però anch’io sono entrato in
squadra. Ho vinto anch’io la scommessa!»
Rose
scosse la testa ridacchiando e si sedette sulla panca.
Si
stava servendo una coscia di pollo quando un urlo di trionfo si alzò da qualche
parte dietro di lei.
I
ragazzi Serpeverde si girarono sorpresi verso il tavolo di Grifondoro, dove un
gruppo di ragazzi aveva appena fatto il suo ingresso.
Rose
allungò il collo, cercando di intravvedere cosa stesse succedendo. Poi, nella
folla, intravide Sirius Black e James Potter, e quest’ultimo teneva saldamente
in mano una pallina dorata delle dimensioni di una noce, dotata di minuscole
ali. James Potter, teneva in mano un vecchio Boccino D’oro.
Angolo autrice:
Eccomi tornata con l’ottavo capitolo (nono, contando anche il
prologo).
La nostra Rose è riuscita a tirare fuori la sua grinta e a
conquistarsi finalmente il suo ben meritato posto in squadra. Dove riuscirà ad
arrivare? Intanto, credo proprio che ne vedremo delle belle nel prossimo
capitolo, che, vi anticipo, credo proprio parlerà della prima partita. Il
secondo anno scolastico delle nostre amiche è principalmente dedicato al
Quidditch, come avrete intuito. Credo che il prossimo sarà l’ultimo del secondo
anno, sempre che io non riesca a dilungarlo troppo, tanto da doverlo dividere
in due parti… bè, vedrò durante la stesura.
Ringrazio i seguiti/preferiti/ricordati e la mia fedele
recensitrice :) (e colgo l’occasione anche per ringraziarti di cuore per avermi
messa tra i tuoi autori preferiti: quando lo visto mi sono quasi commossa XD).
Il vento le sferzava il volto,
costringendola a stringere gli occhi, impedendole così di vedere bene i suoi
compagni di squadra.
Un ciuffo biondiccio spuntò
improvvisamente alla sua destra, e con una manovra fulminea riuscì a passargli
la Pluffa appena in tempo, prima che HadrianMacready riuscisse a strappargliela di mano. Bruce Jarrel
afferrò saldamente la palla e arrivato nei pressi dell’anello centrale tirò.
Dean Bellow si gettò verso la Pluffa e riuscì a
pararla con un colpo della mano, prima che essa riuscisse a sorpassare
l’anello.
Il fischio del capitano risuonò per
il campo e i componenti della squadra si avviarono verso il suolo, atterrando
poi con un lieve tonfo sull’erba. Rose atterrò poco lontano da Bruce, piantando
bene i piedi per terra e tenendo lo sguardo basso.
Rupert passò lo sguardo sui
ragazzi, mentre il viso gli si imporporava per l’indignazione. «Vi sembra
questo il modo di giocare?» cominciò.
Rose cominciò a sfregarsi
nervosamente le mani, guardando tutto fuorché il suo capitano.
«Se andiamo avanti così… possiamo
anche evitare di giocare la partita di sabato!» urlò.
Lo sguardo di Rupert si infiammò,
mentre percorreva velocemente i volti dei suoi compagni di squadra. Con uno
sforzo immenso cercò di calmarsi, stringendo i pugni per placare la rabbia.
«Avete tirato venti Pluffe in porta quest’oggi... e ditemi, quante ne sono
entrate?»
Rose sbuffò silenziosamente e si
costrinse ad alzare lo sguardo verso il ragazzo.
«Non lo sapete? No? Bene, ve lo
dico io quante sono entrate! Cinque! Cinque palle su venti!»
Kenneth Raine
alzò gli occhi al cielo e sbuffò alquanto sonoramente, tanto che Rupert dovette
guardarlo male. Il ragazzo si strinse nella spalle. «Possiamo per lo meno dire
che Dean è un bravo portiere…»
Rupert spalancò gli occhi. «Hai
anche il coraggio di fare battute, Kenneth?». Il ragazzo interpellato scosse la
testa amaramente e abbassò il capo, fissando con molta attenzione il manico
lucido della sua scopa.
Rivolgendosi al resto della
squadra, poi, Rupert continuò. «Che cosa avete intenzione di fare sabato?».
Sospirò profondamente e incrociò le braccia al petto, fissando i volti dei
compagni in attesa di una risposta. «È la prima partita dell’anno, e noi ce la
perdiamo così?».
Qualcuno nelle retrovie grugnì,
mugugnando qualcosa.
Rupert sospirò ancora una volta e
guardò in alto negli spalti, dove alcuni manifesti erano già stati appesi per
l’imminente partita. La gigantesca testa di un Grifone rosso e oro si
affacciava sul campo, guardandolo come per sfidarlo. Non potevano assolutamente
perdere la partita contro i grifoni, sarebbe stato un duro colpo per la squadra
delle serpi, e avrebbero deluso i loro compagni di Casa, rendendosi anche
ridicoli davanti ai loro più acerrimi nemici. Gli occhi gli si posarono sulla
piccola figura di Rose Dounby, mentre questa parlava sottovoce con il Battitore
della squadra, Adam Mulciber. Quella ragazza aveva fegato da vendere ed era
forse, tra tutti, una delle migliori. Rupert riponeva molta della sua fiducia
in lei e sapeva che non lo avrebbe deluso. Il problema era che era molto
piccola e esile, e sapeva che i giocatori di Grifondoro l’avrebbero subito
presa di mira, riuscendo a impedirle i movimenti anche più semplici.
Sbuffò di rabbia, più a se stesso
che agli altri. Quell’anno aveva ricevuto la nomina di capitano e cosa stava
facendo? Stava portando la squadra sull’orlo del baratro. Si passò una mano sul
volto, stanco, cercando di pensare a un modo per tirare su la squadra.
Dopotutto era ancora lunedì, mancava ancora una settimana a sabato, potevano
ancora farcela. Socchiuse gli occhi e guardò ancora una volta la sua squadra,
soffermandosi sul volto di ognuno.
Poi, finalmente, prese una
decisione. «Basta, per oggi va bene così» mormorò.
I ragazzi lo guardarono
esterrefatti, pensando che stesse scherzando. «Ma come?» mugugnò Macready. «È solo un’ora che siamo qui…»
«Non mi interessa» ribatté aspro
Rupert, poi sorrise tetro. «Per oggi basta così. Ora tornerete tutti al
dormitorio e penserete a quello che avete fatto oggi. Voglio che pensiate a
quello che state facendo e che troviate un modo per migliorarvi. Dato lo scarso
impegno che avete dato oggi, ci ritroveremo qui, ogni giorno, per tutta la settimana,
alla stessa ora».
I lamenti si alzarono subito da
tutta la squadra, che guardava il capitano come se fosse impazzito.
Kenneth alzò lo sguardo verso il
coetaneo. «Ma sei impazzito? Tutta la settimana?»
Rupert annuì. «È la prima partita
della stagione e per lo più è anche contro Grifondoro. Non voglio assolutamente
perdere».
«Ma, Rupert, non esistiamo solo
noi… anche le altre squadre avranno prenotato il campo…» intervenne Bellow.
Rupert sogghignò ancora una volta.
«Non importa, vuol dire che ci alleneremo fuori nel parco…».
I ragazzi lo guardarono tutti
esterrefatti ma nessuno osò ancora replicare.
Rupert rimase ancora qualche
secondo, aspettando che qualcuno dicesse qualcosa. Quando vide che nessuno
aveva più intenzione di proferire parola salutò tutti con un cenno della mano e
si avviò verso gli spogliatoi. I ragazzi si guardarono l’un l’altro, e poi lo
seguirono, sbuffando e brontolando ad alta voce.
Mulciber si affiancò a Rose e,
insieme, si avviarono verso il castello.
«Mi chiedo come faremo questa settimana…»
cominciò il ragazzo.
«Già! Con tutti i compiti che ci ha
dato la McGranitt e il tema per Lumacorno, non so proprio come faremo» sospirò
Rose avvilita.
Mulciber la guardò divertito. «E tu
ti preoccupi per i compiti?». Poi, allo sguardo interrogativo di Rose continuò
«per quelli ci sono sempre Severus e Sophie…».
Rose sorrise e scosse la testa.
Dubitava fortemente che Sophie le avrebbe concesso di usufruire dei suoi
compiti, soprattutto considerando la situazione in cui la ragazza si trovava in
quel momento. Sapeva per certo che non sarebbe proprio riuscita a combinare
proprio un bel niente con l’amica quella settimana, non se c’era la rossa di
mezzo.
***
Lily Evans sedeva sulla poltrona di
velluto rosso, davanti al caminetto rigorosamente acceso della sua Sala Comune.
Le fiamme scoppiettavano allegre, mandando bagliori sul suo volto, mentre gli
occhi verdi scorrevano velocemente le parole scritte sulla pagina del libro di
pozioni.
La ragazza si interruppe e sbuffò,
poi chiuse con uno scatto il libro. Tanto era inutile, non sarebbe mai riuscita
a concentrarsi, non in quello stato. Rivolse lo sguardo alla finestra di fianco
a sé, e scrutò con apprensione il buio oltre il vetro. Al posto di concentrarsi
sul paesaggio esterno, però, si soffermò a guardare il suo riflesso.
«Ehi, Lily!»
La rossa si girò di scatto verso
colei che l’aveva chiamata. Marlene e Mary erano in piedi, una affianco
all’altra, e guardavano Lily speranzose.
«Vieni con noi a studiare in
biblioteca?» chiese la prima.
Lily sorrise tristemente, poi
scosse la testa. «Mi dispiace, ma oggi non posso…»
Mary sbuffò «Ti prego, non dirmi
che devi ancora stare con i Serpeverde…»
Lily arrossì lievemente e annuì
piano con la testa.
«Ma poi cosa ci trovi di tanto
interessante in quella?»
Lily tornò a guardare il suo
riflesso nel vetro. Già, cosa ci trovava di speciale nella giovane serpe? Tutte
le volte che ci pensava si sforzava di pensare che fosse soltanto perché era
amica di Severus. Dopotutto era lui che ci teneva tanto a farle andare
d’accordo. Però poi ci ripensava e si accorgeva che in fondo non era così. Si
ricordava la prima volta che si erano guardate negli occhi, il primo giorno sul
treno. Era bizzarro, ma in qualche modo si era sentita strana in quel momento,
come se in qualche modo si fossero legate improvvisamente. Poi, ogni volta che
si insultavano a vicenda, Lily se la prendeva sempre, come se ci tenesse a
ricevere un giudizio positivo dalla ragazza.
«Va bè, sarà per un’altra volta, è
Lily?»
La Evans tornò a guardare le sue
due compagne di stanza e sorrise debolmente. «Certo, la prossima volta non
mancherò, promesso». E, mentre le due amiche se ne andavano, Lily sperò con
tutta sé stessa che andasse veramente così.
***
«Sophie Stones»
La ragazza alzò lo sguardo di
scatto dal libro che stava leggendo e lo posò sul giovane che le stava davanti.
Rabastan Lestrange la fissava con
gli occhi socchiusi, quasi a voler imparare a memoria i tratti del suo viso.
Sophie aprì la bocca stupita,
mentre il ragazzo spostava la sedia e si sedeva di fronte a lei al tavolo,
poggiando al suo fianco un paio di libri scolastici. «E così tu sei la ragazza
che ha dato del filo da torcere a Lucius Malfoy l’anno scorso…» sorrise
Lestrange.
Sophie deglutì mentre il ragazzo le
sorrideva sinistro.
«Sei coraggiosa ragazza mia…
nessuno, e dico nessuno, in sei anni che lo conoscevo si era mai permesso di
parlargli in quel modo…» continuò. Sorrise ancora a Sophie, poi, notando che
lei lo guardava ancora stupita, inclinò la testa da un lato e la guardò
interrogativo. «Bé? Che ti prende?» Sophie si riscosse e arrossì lievemente.
«Sì, certo…» mormorò debolmente.
Rabastan continuò ad osservarla
curioso poi prese un libro dalla sua pila e lo aprì con aria distratta. «Ti
dispiace se sto qui con te?» chiese, mentre cercava una pagina e cominciava a
leggerla.
Sophie rimase ancora più sorpresa
dalla richiesta del ragazzo e si chiese che cosa stessa veramente pensando
Lestrange nella sua testa. «No, non mi dispiace» rispose laconica.
Per tutto il tempo che ne seguì,
Sophie cercò inutilmente di concentrarsi sul suo libro di Difesa contro le Arti
Oscure, ma si accorse presto che la cosa risultava completamente impossibile.
Rabastan Lestrange sedeva composto al suo posto, leggendo silenziosamente le
pagine del libro, che ora Sophie sapeva essere di trasfigurazione. Non rivolse
più la parola a Sophie, ma si limitò a lanciarle qualche occhiata ogni tanto,
come ad assicurarsi che fosse ancora lì e non se ne fosse andata. A un certo
punto Sophie alzò lo sguardo verso l’orologio appeso sopra al camino della Sala
Comune e spalancò gli occhi stupita. Erano già passate le quattro, quando lei
avrebbe dovuto trovarsi in biblioteca alle quattro meno un quarto. Con lo
sguardo saettò dall’orologio a Rabastan, incerta sul da farsi. Poi cominciò a
raccogliere tutti i libri e li ripose tutti nella borsa. Lestrange, accortosi
dei movimenti della ragazza, aspettò che questa finisse poi alzò lo sguardo dal
suo libro e lo posò su di lei. «Te ne vai di già?» sorrise.
Sophie annuì e si strinse nelle
spalle. «Sì, e mi sono anche accorta di essere in ritardo» mormorò.
Rabastan sorrise e annuì. «Bè,
allora ciao. E grazie per la compagnia».
Sophie lo salutò di rimando e si
avviò verso il muro di uscita della Sala Comune. Pochi passi prima di uscire,
però, le venne in mente una cosa e si fermò. Si voltò nuovamente verso il
ragazzo, ancora seduto al tavolo e intento a leggere.
Di certo doveva aver fatto la
figura della stupida. Lei, che era riuscita a rispondere a Malfoy, si era
comportata come una ragazzina timorosa con Rabastan Lestrange. Guardò
attentamente il ragazzo, approfittando del fatto che lui non la vedesse. Era un
bel ragazzo, dopotutto. Ricordò la prima volta che ci aveva parlato, al primo
banchetto in Sala Grande perla cerimonia dello smistamento. Sapeva di aver
fatto colpo fin da subito con le sue conoscenze sulle Arti Oscure. E in fondo
era proprio questo che voleva: far vedere a tutti chi fosse veramente. Sorrise
al pensiero di quello che avrebbero detto Malfoy e la sua banda se avesse
rivelato il suo segreto. La cosa era pressoché molto buffa: Sophie sapeva
qual’era il segreto che univa Rabastan Lestrange, Lucius Malfoy e tutta la ex
banda, ma loro non sapevano il suo.
Accarezzò distrattamente la
spallina della borsa dei libri ripensando a quel lontano giorno d’estate. Se
solo avessero saputo che lei era lì, ad osservare Lucius Malfoy unirsi alla
setta. Ricordava come se fosse stato il giorno prima l’espressione a tratti
terrorizzata del biondo quando era entrato nella stanza. E ricordava di aver
sorriso alla sua espressione. Lei non aveva paura.
Alzò fieramente lo sguardo verso il
ragazzo che sedeva poco lontano e si avvicinò nuovamente, ignorando il battito
del cuore che accelerava nel suo petto e l’orologio in fondo alla parete che le
ricordava quanto fosse già in ritardo. Ma non aveva importanza, la sua
reputazione era molto più importante di uno stupido appuntamento in biblioteca.
«Ehm… scusa una cosa» mormorò.
Rabastan alzò lo sguardo, sorpreso
di vederla ancora lì di fronte a lui.
Quando Sophie fu certa di aver
ricevuto la sua attenzione gli sorrise cordiale. «Sei il fratello di Rodulphus Lestrange, vero?».
Il ragazzo annuì piano, cercando di
capire che cosa volesse veramente la ragazza.
Sophie sorrise ancora. «Quindi sei
il cognato di Bellatrix Lestrange, giusto?»
Rabastan la guardò storto e annuì
nuovamente, serio. «Perché me lo chiedi?» disse poi.
Sophie si strinse nella spalle.
«No, niente. Era tanto per sapere se anche tu ti unirai a loro quest’estate…».
Detto questo si girò verso l’uscita e andò al suo appuntamento in biblioteca,
lasciando un Rabastan Lestrange immobile e pallido nella Sala Comune di
Serpeverde.
***
Un sedia si spostò rumorosamente,
ricevendo un’occhiataccia da Madama Pince, e una trafelata Sophie si sedette
ansimando al tavolo della biblioteca.
«Alla buon’ora!» esclamarono
all’unisono Lily, Severus, Rose, Avery e Mulciber. Sophie lì guardò male,
mentre tirava fuori a fatica i libri dalla borsa, poggiandoli sul tavolo già
ingombro di pergamene, piume e altri libri.
«Cominciavamo a pensare che non
saresti più venuta…» sorrise Lily, e ricominciò a ricopiare alcune frasi del
libro sulla pergamena che aveva davanti.
Rose guardò interrogativa Sophie, e
quest’ultima intuì che volesse sapere il motivo del suo ritardo. «Non ora» si
limitò a rispondere.
«Molto bene!» si intromise Severus.
«Mentre non c’eri abbia mo iniziato a svolgere i compiti per la McGranitt, dato
che anche Lily ce li ha uguali a noi. Se ti concentri so che riesci facilmente
a recuperarci…»
Sophie sorrise trionfante. «Non vi
preoccupate, sono arrivata già a metà tema prima».
Mulciber e Avery la guardarono
stupiti, alternando lo sguardo con le loro quattro righe di tema che erano
riusciti a fare in quella mezz’ora. «Ma come fai?» chiesero sconsolati.
Sophie sorrise di rimando e riprese
a ragionare sul suo tema, ignorando gli sguardi ammirati degli amici.
Il tempo trascorse veloce, tra
compiti, risate e quant’altro. Prima che i ragazzi potessero accorgersene il
cielo oltre le finestre si fece nero pece e l’orologio della biblioteca
rintoccò le sei del pomeriggio. Rose scattò in piedi, riordinando le sue cose
furiosamente.
Gli altri ragazzi la guardarono
interrogativi, mentre anche Mulciber sembrava avere improvvisamente fretta.
«Ve ne andate?» chiese Severus
tristemente.
Rose annuì velocemente, mentre
Mulciber si prese la briga di rispondere. «Williams ha deciso di allenarci
tutti i giorni».
«Tutti i giorni? Dovete proprio
averlo fatto arrabbiare…» mormorò Sophie.
«Ma oggi il campo di Quidditch è
dei Grifondoro!» esclamò Lily.
I Serpeverde la guardarono storto e
la ragazza abbassò lo sguardo, arrossendo. Rose alzò un sopracciglio e si
rivolse alla rossa. «Pensi veramente che Rupert si faccia fermare da questo? Ha
detto che se il campo è occupato ci alleniamo nel prato di Hogwarts. Spero
vivamente che questo sia vietato, almeno posso tornare in Sala Comune e evitare
di prendermi un brutto voto in Incantesimi domani».
Avery si alzò e disse di voler
accompagnare il suo migliore amico al campo. Così i tre ragazzi salutarono e
uscirono dalla biblioteca. Rimasero solo Lily, Severus e Sophie, i quali
sembravano aver poca voglia di parlare tra loro e tennero le teste chinate sui
loro lavori per tutto il tempo.
Un’ora dopo Severus poggiò la sua
piuma sul tavolo e dichiarò di aver finito. Sotto lo sguardo stupito delle due
ragazze disse di voler andare a chiedere qualcosa a Lumacorno, e rifiutò di
farsi accompagnare da Lily, la quale prontamente gli offrì la sua compagnia.
Fu così che Sophie e Lily rimasero
da sole, una di fronte all’altra, senza parlarsi e senza osare alzarsi dal
tavolo e andarsene, per timore di dover salutare l’altra.
Alla fine, Lily raccolse il suo
coraggio da Grifondoro e smise di far finta di leggere, chiudendo il libro
davanti a sé. «Io avrei finito…» mormorò.
Anche Sophie chiuse il suo libro e
guardò la rossa. «Anch’io».
Si fissarono, occhi neri dentro
occhi verdi, poi Sophie si alzò e mise a posto le sue cose, seguita a ruota
dalla rossa. Quando ebbe finito Sophie salutò velocemente e fece per andarsene,
ma Lily la bloccò per un braccio. Si girò, osservando la ragazza interrogativa.
«Senti…» cominciò.
Si fermò un attimo, cercando le
parole adatte per parlare alla serpe, poi alzò lo sguardo verso di lei e la
affrontò, da pari a pari. «Io credo che Severus non dovesse chiedere proprio un
bel niente a Lumacorno».
Sophie capì dove la ragazza voleva
arrivare e si divincolò dalla sua stretta, guardandosi intorno preoccupata.
Poi, ignorando il senso di allarme che si era acceso in lei, la prese per mano
e la condusse fuori dalla biblioteca, lungo il corridoio e poi dentro un’aula
vuota, dove si chiuse la porta alle spalle. A quel punto fissò la rossa
dall’alto in basso, socchiudendo gli occhi. «Va avanti» disse poi, con una
smorfia dipinta sul volto.
Lily sentì il cuore cominciarle a
batterle forte nel petto, mentre le parole che ormai pensava da più di una
settimana si riversavano fuori dalla sua bocca. «Severus è nostro amico. Mi ha
chiesto di essere clemente con te, cosa che credo abbia chiesto anche a te, per
alcuni giorni e di provare a passare un po’ di tempo insieme. Credo che poco fa
se ne sia andato per darci modo di parlare, senza imbarazzo».
«Parlare?» disse scettica Sophie.
Lily strinse i pugni, cercando di
ignorare il tono per niente convinto di Sophie e si apprestò a continuare. «Sì,
parlare. Non so che cosa tu abbia in contrario ai Nati Babbani, e non so perché
tu mi possa odiare così tanto, anche perché non ti ho fatto nulla di male. So
che Severus vuole che noi due diventiamo amiche e so che in fondo lo voglio anch’io.
Severus è il mio migliore amico, e mi piacerebbe passare del tempo con lui
senza dover temere di vederti spuntare da un momento all’altro e doverlo vedere
nell’imbarazzo di scegliere ogni volta che sia io che te gli proponiamo
qualcosa». Si fermò un attimo, prendendo fiato. Chiuse gli occhi e mentre
acquistava sicurezza e il rossore sulle sue guance spariva, ricominciò.
«Voglio provare a essere tua amica.
Abbiamo molto in comune e potremmo passare proprio dei bei momenti insieme a
Severus. Io ho fatto lo sforzo di stare con voi Serpeverde oggi, perché ci
tengo veramente all’amicizia con Severus. Se anche tu ci tieni a Severus, non
puoi provare a farlo contento e essere mia amica? Ti chiedo di farlo per lui,
se non per te stessa».
Sophie guardava la rossa parlare,
con la testa completamente vuota. Le stava chiedendo di essere sua amica.
Quando Lily finalmente si fermò
rimase un attimo immobile, fissandola negli occhi sorpresa.
Lily guardò Sophie, mentre il nodo
allo stomaco le si scioglieva. Sorrise, contenta di ciò che aveva appena detto
e aspettò il verdetto di Sophie.
La ragazza Serpeverde spostò il
peso da un piede all’altro e guardò Lily come se fosse la prima volta che la
vedesse. «Io…» balbettò. Si sentì girare la testa e qualcosa le disse di girare
sui propri tacchi e andarsene, lasciando la rossa e le sue idee lì.
Qualcos’altro, invece, le disse di accettare. Poi guardò Lily Evans negli
occhi. Il verde acceso dei suoi occhi, così pieni di vita e speranza la colpì.
Si sentì accolta da quello sguardo. Per la prima volta in vita sua sentì che
poteva fidarsi di quella ragazza, sentiva che quello che le stava chiedendo era
possibile. Per la prima volta da quando la conosceva sentì di voler tentare di
essere sua amica.
«Va bene» decise infine, e quando
vide la rossa sorridere allegramente per quella sua risposta sentì il cuore
alleggerirsi.
«Solo per Severus» aggiunse, poco
convinta.
Lily sorrise, e le si avvicinò.
«Affare fatto, allora…» disse, tendendole una mano.
Sophie la strinse e sorrise alla Grifondoro.
Fu così, che tra le pareti di
un’aula vuota, persa nei meandri di un castello, nacque un’amicizia che si
sarebbe protratta a lungo nel tempo.
Sophie, non si pentì mai della
scelta di quel momento. Mai.
Angolo autrice:
Allora? Siete
stupiti? Ve lo aspettavate? Spero proprio di no, perché l’amicizia tra Sophie e
Lily doveva essere un po’ una sorpresa, una delle tante che vi riserverò in
questa storia :P
Allora sono riuscita
a mettere il nuovo capitolo finalmente.
Perdonatemi per
l’immenso ritardo ma tra scuola, Natale e quant’altro sono rimasta un po’
indietro con i tempi. Vi chiedo perdono e vi chiedo anche di avere un po’ di
pazienza. Adesso partirò per la montagna, quindi fino a venerdì 4 non
aggiornerò sicuramente. Spero solo di riuscire a scrivere qualcosa su in
montagna…
Ora vi saluto che
sono un po’ di fretta (vi dico anche che non l’ho riletto, quindi spero non ci
siano gravi errori). Ringrazio preferiti/ricordati/seguiti e Ginny_17 che si
preoccupa di recensire ogni capitolo :D (veramente grazie).
Mi piacerebbe sapere
anche il parere di qualcun altro, però XD
Arrivederci al
prossimo capitolo (questa volta veramente l’ultimo del secondo anno e vedremo
la tanto attesa partita da Grifi e Serpi),
Nessun
rumore turbava la tranquillità del luogo, a parte le urla provenienti
dall’esterno. Gli della stanza, e i componenti della squadra di Serpeverde lì
riuniti non davano segni di percepirli. Erano tutti seduti sulla stessa panca e
guardavano il medesimo punto davanti a loro, e cioè il loro capitano Rupert
Williams, che camminava nervosamente avanti e indietro per la stanza.
Solo
una persona era estranea a sé stessa in quel momento: Rose Dounby fissava le
proprie mani, morsicandosi le labbra per l’ansia. Tra i ragazzi riuniti nello
spogliatoio era forse l’unica che riusciva a sentire tutto quello che avveniva
fuori. Riusciva a sentire le urla di gioia del resto della scuola. Sentiva gli
inneggi alle due squadre che si sarebbero sfidate quel giorno: Grifondoro e
Serpeverde.
I
cori che si innalzavano nell’aria erano gioiosi e ansiosi. Tutti, quel giorno,
erano curiosi di sapere quale sarebbe stato il risultato della sfida tra le due
Case. Tutti, meno che lei.
Era
la sua prima partita e, come sarebbe capitato a chiunque nella sua situazione,
era agitata. Si erano allenati duramente tutta la settimana, ma lei non si
sentiva ancora pronta. Sapeva che tutti i suoi compagni di squadra avevano
fiducia in lei e in quello che sapeva fare, e forse era proprio ciò il motivo
del suo nervosismo. Sapeva che se non sarebbe riuscita ad aiutare la squadra li
avrebbe delusi tutti, soprattutto Rupert, l’unico che aveva avuto fiducia in
lei fin dall’inizio.
Proprio
il capitano, in quel preciso istante, cominciò a parlare.
Rose
non riuscì ad ascoltarlo, troppo intenta a rimuginare i propri pensieri.
Ad
un tratto tutti i ragazzi si alzarono di scatto. Rose si guardò intorno,
spaesata.
Mulciber
le si avvicinò e le sorrise. «Allora, sei pronta?»
Rose
sospirò di rimando e si alzò anche lei. Annuì poco convinta.
«Qualcosa
non va?» le chiese il ragazzo, notando il viso pallido dell’amica.
Rose
rimase un attimo interdetta, fissando la porta dello spogliatoio dove la
squadra si stava ammassando, in attesa di uscire. Sì, aveva qualcosa che non
andava. Si chiese per quale motivo avesse scelto di entrare a far parte della
squadra. Forse, non era ancora pronta ad affrontare una situazione del genere.
Ripensò a tutto quello che aveva fatto per arrivare fin lì. Ripensò ai duri
allenamenti dei giorni prima e a quanto si era impegnata per far sì che quella
partita non andasse persa invano.
Guardò
Mulciber negli occhi e annuì nuovamente, questa volta con più convinzione.
«Facciamo vedere a quei Grifondoro di che pasta siamo fatti…» sorrise.
«È
questo lo spirito che voglio!» esclamò il ragazzo.
Al
di là della porta dello spogliatoio le grida dagli spalti si intensificarono.
L’acuto
suono di un fischietto risuonò nell’aria. La porta dello spogliatoio si
spalancò. La squadra entrò in campo.
∞∞∞
«Ciao
ragazze!» salutò Lily allegramente.
«Guarda
un po’ chi si vede…» commentò Mary McDonald con una strana smorfia sul volto.
Lily,
però, parve non farci caso e si accomodò sul divanetto vicino al fuoco della
Sala Comune, il solito posto che occupava. «Venite oggi alla partita?» chiese
poi sovrappensiero.
Le
due ragazze Grifondoro si guardarono negli occhi, poi guardarono Lily che,
ignara, giocherellava con un cuscino di velluto rosso.
«Sì,
ci andremo. E tu? Con chi ci andrai?» la sfidò Marlene, sapendo già quale
sarebbe stata la sua risposta.
Lily
rimase un attimo paralizzata, fissando le due compagne di dormitorio. Poi
arrossì violentemente e abbassò lo sguardo.
Mary
sospirò e scosse la testa, lasciandosi cadere su un divanetto vicino.
«Come
non detto…» bofonchiò Marlene con una punta di indignazione nella voce. «Ci
andrai ancora con la tua amica?»
disse, sottolineando l’ultima parola con forza.
«Magari
non tiferà neanche per Grifondoro. Anzi, perché non chiedi a Silente di rifare
lo smistamento? Se finisci a Serpeverde forse sei più contenta…» ribatté Mary,
con la speranza che Lily negasse la sua affermazione e ribattesse dicendo che
sarebbe andata alla partita con loro.
Ma
non fu così.
Lily
strinse i pugni e alzò lo sguardo guardando le due compagne con sorpresa. «La
smettete? Certo che tiferò Grifondoro! Come potete pensare che io voglia essere
una Serpeverde?»
Mary
e Marlene si scambiarono un’occhiata. «Bè, sai... passi tutto il tuo tempo con
Piton e la Stones…»
«E
allora?» ribatté Lily.
«E
allora? E allora? E allora cosa?».
Mary spalancò le braccia, come a voler sottolineare le sue parole. «Ma ti senti
quando parli? Sai quello che dici, o no?»
Lily
rimase un attimo stupita dalla risposta dell’amica. Cominciò a percepire
intorno a sé aria di litigio. Si morse un labbro, cercando le parole più adatte
per tornare a discutere su toni più calmi. «Sentite… io non voglio litigare…»
Le
altre due Grifondoro sbuffarono all’unisono. «È dall’inizio dell’anno che non
fai altro che dirci “sarà per la prossima volta”, ignorando i nostri inviti e
preferendo quel branco di Serpeverde a noi!».
«Io…
io non preferisco loro a voi… è solo che… bè, Severus è il mio migliore amico e
Sophie…»
«È
la tua migliore amica?» la sfidò
Mary.
Lily
arrossì nuovamente e cominciò a tormentarsi le mani, nervosa. «È mia amica,
ecco. È da più di un anno che io e Sev cerchiamo di
convincerla a stare con me, e ora che ci sono riuscita…» si bloccò, senza
sapere come continuare la frase.
«Come
non detto» commentò Marlene.
«Quindi
siamo le tue amiche di riserva? È questo quello che vuoi dire?» chiese Mary,
assottigliando gli occhi.
Lily
scosse la testa ma rimase in silenzio, senza sapere come ribattere, mentre gli
occhi cominciavano a diventarle lucidi.
Marlene
fece un cenno all’altra e le due se ne andarono in silenzio, senza salutare.
Appena
prima di uscire dal buco nel ritratto, però, Marlene si voltò tristemente verso
Lily.
«Quando
avrai le idee più chiare noi siamo qui, ricordatelo. E ricordati anche che dei
Serpeverde non ci si può fidare. Magari quando te ne accorgerai rimpiangerai di
averci rifiutate adesso» concluse, e se ne andò.
Lily
sospirò, mentre una lacrima le rigava il volto.
Era
così difficile scegliere. Che poi, perché avrebbe dovuto? Non potevano essere
tutti amici? Cominciava ad odiare le divergenze tra la Casa di Grifondoro e
quella di Serpeverde. E anche i pregiudizi tra di esse. Non era vero che i
Serpeverde erano inaffidabili, Sophie e Severus ne erano la prova. E anche
Avery e Mulciber non erano da meno. In fondo, li aveva conosciuti e non erano
niente male.
Sbuffò,
mentre sentiva il lontano orologio della Torre rintoccare le dieci e mezza. Si
alzò sovrappensiero e si avvolse nella sciarpa e nel mantello che riportavano i
colori della sua Casa, Grifondoro.
Poi
si avviò verso il buco nel ritratto, preparandosi ad assistere alla partita che
avrebbe visto le due Case scontrarsi.
∞∞∞
Sophie
aspettava nell’Ingresso, seduta in una nicchia nella parete, rigirandosi l’orlo
del mantello verde tra le dita. Era arrivata in anticipo e neanche i compagni
Serpeverde erano ancora arrivati. Il fatto era che il testo per Lumacorno si
era rivelato più facile del previsto e aveva finito prima. Non sapendo che fare
si era preparata e si era trovata una nicchia vicino all’ingresso dove ora
aspettava da più di venti minuti.
Nel
frattempo aveva visto passare di fronte a sé quasi metà della scuola. Prima tra
tutte la squadra di Quidditch di Grifondoro al completo. Tra i componenti della
squadra era spiccato particolarmente il giovane Potter, che si divertiva a
giocherellare con un Boccino d’oro preso da chi sa dove. E il bello era che
tutti lo guardavano ammirati, come se fosse stata la loro pietra preziosa,
colui che li avrebbe portati alla vittoria. In quel momento le era parso che
per Rose e la sua squadra non sarebbe stato per niente facile vincere la
partita di quel giorno. Non sapeva perché, ma aveva l’impressione che James
Potter avrebbe riservato alla scuola intera una bella sorpresa.
Sentì
il rumore di alcuni passi avvicinarsi.
Alzò
di scatto la testa, sperando di vedere qualcuno dei suoi amici, ma invano.
Le
due ragazze Grifondoro, Marlene McKinnon e Mary McDonald, scendevano le Scale
d’Ingresso, parlando tra loro animatamente. Quando la notarono nella nicchia
smisero immediatamente di parlare e la guardarono con odio. Sophie inclinò la
testa da un lato e le fissò con una smorfia divertita sul volto. Non sapeva
precisamente il motivo di tanto astio, anche se il solo fatto che fosse una
Serpeverde diceva tanto, ma era quasi sicura che il motivo principale fosse un
altro.
Mentre
le due le passavano davanti, Mary le sibilò «Goditi la partita Stones…»
Sophie
le guardò accigliata poi rispose «Anche tu McKinnon…».
Esattamente
come pensava. Le due si erano nuovamente arrabbiate perché Lily si era rifiutata
un’altra volta di stare con loro. Sorrise. C’era uno strano piacere ad essere
invidiata da due orgogliose Grifondoro.
Se
qualcuno glielo avesse detto solo un anno prima, Sophie si sarebbe messa a
ridere e lo avrebbe liquidato senza tante storie. Eppure era successo. Quello
che aveva pensato tanto impossibile era accaduto: Lily Evans, la giovane
Grifondoro amica di Severus, era diventata amica sua. E non un’amica qualunque,
tanto per far piacere a Severus. No, erano diventate amiche, nel vero senso
della parola. Era strano, ma Sophie si trovava bene in sua compagnia. Forse
perché negli ultimi mesi si era abituata alla sua presenza, o forse perché… bè
sì, perché era lei.
Lily
era una ragazza solare, che sapeva regalare allegria a chiunque le stava
intorno. E la stessa cosa era successa a Sophie. Lily le trasmetteva allegria e
spensieratezza, tanto che poteva perfino dirsi cambiata.
Altri
passi risuonarono nell’atrio, ma questa volta Sophie era pronta e non fu
sorpresa di scoprire che non erano i suoi amici Serpeverde, o meglio, non i
Serpeverde che aspettava lei.
Regulus
Black e un altro paio di ragazzi della sua età stavano attraversando l’atrio.
Il giovane fratello di Sirius era particolarmente felice quel giorno. Sophie
sapeva, grazie ai mezzi discorsi che aveva origliato senza volerlo in Sala
Comune, che Regulus era particolarmente attirato dal Quidditch e, come Rose
l’anno prima dopotutto, avrebbe voluto provare ad entrare in squadra l’anno
seguente. Regulus le passò davanti e quando la notò le sorrise timidamente.
Sophie lo salutò con un cenno del capo e il ragazzo abbassò lo sguardo rosso in
viso.
Sophie
sorrise sommessamente alla reazione del ragazzo e portò lo sguardo sulla
ragazza che stava scendendo le scale in quel momento.
Lily
Evans si guardò un attimo intorno, cercandola, e quando la vide le si avvicinò.
«Finalmente!
Stavo quasi pensando di dover andare alla partita da sola…». Fu il salutò di
Sophie.
Lily
le sorrise «Figurati… di solito quando dico una cosa la mantengo…».
Sophie
la guardò negli occhi e si accorse che la ragazza sfuggiva al suo sguardo, come
se volesse nasconderle qualcosa. «C’è qualcosa che no va?» chiese.
Lily
alzò distrattamente lo sguardo verso l’amica, poi scosse la testa velocemente,
senza poter evitare però di arrossire lievemente.
Sophie
si strinse nelle spalle, poi capì. «Ho visto passare le tue amiche prima…»
«Ah…
ti hanno detto niente?» chiese Lily titubante.
Sophie
sorrise sommessamente. «Mi hanno detto di godermi la partita».
Severus
scese le scale in tutta fretta, cercando di farsi largo tra la folla di ragazzi
che, come lui, si stava dirigendo verso l’Ingresso. Tra i ragazzi
privilegiavano i colori rosso e oro di Grifondoro e il verde e l’argento di
Serpeverde. Chiacchieravano tutti sull’imminente partita e passando, Severus
colse alcuni stralci di frasi o scommesse su chi avrebbe vinto.
Quando
finalmente raggiunse il Salone d’Ingresso il ragazzo si fermò, cercando con lo
sguardo le due amiche. Dopo qualche minuto le avvistò in un angolo, che
chiacchieravano amabilmente.
Con
un sospiro di sollievo si avvicinò alle due e le salutò allegramente.
«Eccolo
qui!» replicò Lily in risposta con un largo sorriso dipinto sulle labbra.
«La
prossima volta vedi di prepararti prima, anziché stare fino all’ultimo a
studiare…» aggiunse Sophie, atona.
«Scusatemi…»
borbottò Severus.
«Avery
non viene con noi?» chiese poi Sophie, non vedendo arrivare l’amico dietro
Severus.
«No,
Avery è già al campo. Ha accompagnato Mulciber» spiegò Severus.
Dopo
di che si unirono al resto degli studenti e uscirono all’aria fredda del
mattino.
Camminarono
fianco a fianco nel parco di Hogwarts parlando del più e del meno. Ad un certo
punto Sophie ripensò alla squadra di Grifondoro passata prima nell’atrio. «Ma,
Lily, che tu sappia, che cosa nasconde Potter? Prima è passato con la sua
squadra e sembrava abbastanza sicuro di sé… anzi, anche troppo secondo me».
Lily
sembrò sorpresa della domanda. «Non lo so… so solo che è il nuovo Cercatore,
tutto qui».
Severus,
che al solo sentir nominare il ragazzo aveva storto il naso, commentò «Data la
sua arroganza credo che si sentirà il re del mondo solo per essere parte della
squadra…»
Le
ragazze risero al commento dell’amico.
Si
ritrovarono alla fine davanti all’ingresso del campo di Quidditch. Dopo una
breve discussione salirono le scale sulla loro destra e si ritrovarono nell’ala
est degli spalti del campo. In seguito a un suggerimento di Lily, i tre
salirono più su e presero posto a circa metà scalinata. Da lì si riusciva a
vedere tutto il campo, anche se, forse, l’aria fredda che sferzava loro il viso
non era tanto piacevole.
Sophie
si strinse nel mantello e si sistemò la sciarpa, cercando di coprirsi il più
possibile. Ci mancava solo che si prendesse qualche malanno.
Nel
giro di una decina di minuti gli spalti si riempirono di gente, e alcuni gruppi
di ragazzi appassionati cominciarono a intonare cori di incoraggiamento alle
proprie squadre. Sophie vide in giro per le tribune cartelli colorati di ogni
tipo. Ne notò uno in particolare, proprio dall’altro lato di fronte a sé. Era
uno striscione rosso e oro e vi era scritto sopra: “Potter sei tutti noi”. Fu
con una mezza risata che scoprì che dietro di esso c’erano Mary McDonald e
Marlene McKinnon. Con un cenno fece notare la cosa a Lily, che si morse un
labbro e sorrise timidamente.
Sophie
non sembrò fare caso all’imbarazzo dell’amica e commentò amaramente «E tu
dovresti stare con quelle? Guarda quanto si rendono ridicole a urlare a quel
modo…». Ed era vero: le due giovani Grifondoro stavano urlando a squarciagola
il nome della loro squadra e agitavano le braccia in alto a ritmo del coro.
Lily,
del canto suo, si strinse nella sua sciarpa rossa e oro e evitò di commentare.
Avery
si unì al gruppo di amici poco dopo, dicendo che la partita stava per iniziare
e che lo avevano cacciato dallo spogliatoio.
Infatti
non dovettero aspettare molto, che un fischio risuonò per il campo, e gli
studenti cominciarono a inneggiare ancora più forte di quanto non stessero
facendo prima. Sophie si ritrovò a sbuffare infastidita, cercando di coprirsi
in modo da non dover diventare sorda per il troppo rumore.
Vide
la squadra di Serpeverde entrare in campo, dalla parte opposta rispetto a dove
si trovava lei, e scorse senza fatica la figura minuta di Rose, che stonava tra
quegli armadi che si ritrovava come compagni di squadra. Erano tutti in fila
indiana, preceduti dal capitano, Rupert Williams. Contemporaneamente entrò in
campo anche la squadra di Grifondoro, esattamente sotto alla tribuna dove
sedeva Sophie, tanto che la ragazza si accorse della loro presenza solo quando
raggiunsero la metà campo.
I
due capitani si strinsero la mano, poi i giocatori delle due squadre
inforcarono le proprie scope e vi si misero a cavalcioni, pronti a partire.
Il
professor Boris, responsabile di tutto ciò che riguardava il Quidditch nella
scuola e in quel momento arbitro della partita, si fece avanti nel campo fino a
raggiungerne il centro. Con un’ultima occhiata alle due squadre alzò il
fischietto e un nuovo fischio risuonò per il campo, mentre lanciava la Pluffa
in alto.
Sophie
si preparò a sorbirsi ore di noiosissima partita, e incrociò le braccia al
petto.
Il
Cacciatore di Serpeverde Bruce Jarrel fu il più veloce e riuscì ad afferrare la
Pluffa per primo. Si fiondò quindi verso gli anelli dei Grifondoro. A metà
strada venne però intercettato dal Cacciatore dei Grifondoro, che gli bloccò la
strada. Bruce non si fece prendere dal panico. Al contrario, cercò tutt’intorno
a sé finché non vide poco distante il compagno Rupert, anche lui braccato da un
Cacciatore dei grifoni. Appena questi riuscì a liberarsi del Grifondoro, grazie
a un Bolide inviato verso l’avversario direttamente da Mulciber, Bruce passò la
Pluffa al capitano.
Rupert
riuscì a schivare per un soffio un altro Bolide lanciato da un Grifondoro e si
precipitò verso l’anello centrale, protetto dal portiere, il quale lo osservò
stupito, cercando di capire quali fossero le sue reali intenzioni.
Sophie
acuì la vista, cercando in tutta quella confusione l’amica Serpeverde. Si
accorse quindi, che Rose non era andata avanti come i suoi compagni, ma era
apparentemente rimasta indietro, continuamente tenuta sott’occhio da un
giocatore della squadra avversaria.
Sophie
non fece in tempo a chiedersi il perché di quella scelta quando, mentre Rupert
era ormai a un soffio dalla porta avversaria, Rose si appiattì sulla propria
scopa e partì a razzo verso il capitano.
Il
ragazzo avversario che la stava tenendo d’occhio rimase un attimo sorpreso
dalla reazione della ragazza, e fu lento a partire per inseguirla. Nel
frattempo, infatti, Rose era già a metà campo, schiacciata contro le tribune,
probabilmente per non farsi vedere dai giocatori Grifondoro.
Sophie
rimase spiazzata, quando con un agile mossa Rupert si girò e lanciò la Pluffa
verso Rose che afferratala sfrecciò vero l’anello destro e con un semplice tirò
centro perfettamente il cerchio d’orato, lasciando di stucco il portiere
Grifondoro.
Gli
spalti popolati dai Serpeverde sembrarono vibrare sotto le urla gioiose dei
ragazzi che saltarono in piedi dalle loro panche e cominciarono ad agitare i
propri striscioni e a ripetere in coro il nome di Rose, che aveva già fatto il
giro di metà campo a tutta velocità, in segno di vittoria.
Sophie
fu forse l’unica a rimanere seduta, con gli occhi sbarrati per lo stupore. Non
poté però fare a meno di applaudire all’amica. Questa volta l’aveva proprio
sorpresa.
Grazie
alla sua abile mossa, Rose diede vita alla partita e speranza ai Serpeverde,
studenti sugli spalti e giocatori in campo. La partita sembrò scorrere più
vivacemente e Sophie si lasciò travolgere dall’euforia dei compagni, tanto che si
ritrovo in piedi ad applaudire quando Bruce Jarrel riuscì a segnare per la
seconda volta.
Lei
e Lily si divertirono a commentare la partita e il più delle volte si
ritrovarono in disaccordo su vari aspetti. Sophie, infatti, sembrava essersi
dimenticata che l’amica era lì per tifare la sua Casa, Grifondoro.
La
partita sembrava filare liscia come l’olio per i Serpeverde, che accumulavano
punti su punti, grazie alle abili mosse di Rose, che stava acquistando mano a
mano che i minuti passavano sempre più popolarità e stima nei Serpeverde di
ogni età.
Dopo
un po’ però, Sophie si accorse che qualcosa non andava. Guardò per tutto il
campo e infine lo trovò.
Il
giovane Potter era a cavalcioni della sua scopa e si guardava intorno con
frenesia, cercando evidentemente il Boccino d’oro.
Sophie
sorrise. I Serpeverde erano in vantaggio di cento punti. Ancora cinquanta e
recuperare il Boccino non sarebbe più servito a niente per i Grifondoro. Si
ritrovò a incrociare le dita perché Potter non vedesse la piccola pallina
d’orata ancora per un po’.
Non
l’avesse mai fatto.
Nel
giro di qualche secondo, Potter spalancò gli occhi e si gettò in picchiata
verso il terreno. Sophie rimase un attimo senza respiro.
«Attenzione
ragazzi! Potter sembra aver visto qualcosa!» esclamò il cronista di turno.
Sophie
spalancò gli occhi e cercò. Alla fine lo vide. Il boccino d’orato era a poca
distanza dal terreno, che svolazzava velocemente, zigzagando nell’aria.
Quando
anche il cercatore di Serpeverde si gettò all’inseguimento era ormai troppo
tardi. Con un accelerata pazzesca James Potter gli fu davanti e con mano salda
afferrò il Boccino d’oro.
Sophie,
in piedi per l’ansia fino a quel momento, si lasciò cadere sulla panca, mentre
gli spalti dei Grifondoro esultavano, rischiando di romperle i timpani.
James
Potter fece il giro del campo, stringendo allegramente la pallina d’orata tra
le dita.
«E
Grifondoro vince la partita per duecentocinquanta punti a centocinquanta!» urlò
il cronista.
Al
suo fianco, Avery si lasciò andare in imprecazioni, stringendo i pugni per la
vittoria soffiata. «Non è possibile! Come diamine ha fatto? Uff…»
Sophie
si prese la testa tra le mani e si afflosciò sulla panca, mentre Lily esultava
insieme agli altri Grifondoro. Si dovette trattenere dall’urlarle qualcosa per
farla star zitta, tanta era la rabbia che si sentiva addosso.
Guardò
James Potter atterrare tra i festosi compagni e non poté fare a meno di
ripensare al momento in cui l’aveva visto passare nell’atrio: forse la prossima
volta era meglio se evitava di pensarle, certe cose.
Angolo
autrice:
*tira un sospiro di sollievo*
Non ci credo… l’ho pubblicato? Cioè,
ho pubblicato finalmente il nuovo capitolo?
Ah… ehm… sì, insomma, me la sono presa
un po’ comoda. Però non vi ho abbandonato! Che sia chiaro, non lo farò se non
previa dichiarazione. Quindi non temete, prima o poi vi metterò anche il
prossimo capitolo.
*schiva i pomodori*
Ok. Che dire? Non so neanche io perché
ci ho messo così tanto. Mi sa proprio che ho avuto un bel blocco… Ma lasciamo
perdere, l’importante è essere qui ora no?
Bene, e ora commentiamo il capitolo.
Mi dispiace, ma ho dovuto farlo.
Purtroppo, che ci piaccia o no, Potter rimane sempre un ottimo Cercatore e la
partita ho dovuto (per questa volta, sia chiaro) lasciarla vincere a lui. Ma
Rose avrà il suo riscatto naturalmente, non temete.
Direi che con il prossimo capitolo
possiamo anche passare all’estate e poi inizieremo con il terzo anno. Ci sarà
un piccolo salto di tempo, ma dopotutto se faccio troppi capitoli per anno,
primo, poi non so più che inventarmi per gli altri anni, secondo, diventa una
storia ancora più lunga di quanto non lo sia già.
Come sempre ringrazio chi ha recensito
e tutta quella brava gente che ha messo la storia tra
preferiti/seguiti/ricordati (ma sapete che siete davvero tanti? xD).
Per ultimo, bè, se vi capita di fare
un giretto per il forum di EFP, scoprirete che ho organizzato un contest (e sì,
proprio io), intitolato “Esercizi di Stile contest”, con scadenza l’8 aprile.
Se foste interessati…
Ok basta farsi pubblicità.
Vi saluto e vado a vedermi un bel film
con la mia famiglia. Vi faccio gli auguri per passare una bella settimana e, a
risentirci,
Gageta98
(ho anche scoperto come si scrive il
mio nome in greco^^ -Γαῖα)
circa metà anno scolastico arrivò il problema
della materie da scegliere per l’anno seguente.
Sophie, Rose e i loro amici si
ritrovarono sommersi dagli opuscoli informativi. Sophie
era molto indecisa: fosse stato per lei le avrebbe scelte tutte, ma sapeva che
ciò era impossibile. Così aveva cominciato con lo scartare quelle che le
interessavano di meno. Tra le prime, scartò subito Divinazione. «Potrebbe
essere interessante…» aveva commentato Rose.
«Sinceramente non mi interessa prevedere
il futuro. E poi, mi sembrano siano tutte sciocchezze».
«Cosa ne sai?» aveva insistito Rose.
«Hai mai sentito parlare di una profezia
che si sia avverata? E anche se fosse, non credo di essere portata per queste
cose…»
Alla fine Rose aveva scelto di frequentare
Divinazione, mentre Sophie sembrava più interessata
al corso di Antiche Rune.
Un giorno, mentre sedeva in Sala Comune si
ritrovò a parlare per l’ennesima volta con RabastanLestrange. Il ragazzo, dopo le parole che Sophie gli aveva detto, era rimasto molto colpito e
sembrava provare per la ragazza un rispetto che riservava solo a pochi.
Rabastan aiutò Sophie con le materie da scegliere, convincendola a non
frequentare Cura delle Creature Magiche e Babbanologia.
La convinse, piuttosto, a frequentare Antiche Rune e altre materie che assicurò
essere interessanti per chi sapeva comprenderle e Sophie
si sentì lusingata di quel complimento indiretto.
Naturalmente nella scelta delle giovani
serpi contribuì anche il parere di Lily. Sophie e Severus si ritrovarono un po’ di pomeriggi in sua compagnia
e insieme definirono le materie veramente importanti per loro, riuscendo infine
a scegliere tutti e tre le stesse, o quasi.
Severus scelse di frequentare
insieme a Lily il corso di Cura delle Creature Magiche, ma Sophie,
nonostante l’insistenza della rossa, si impuntò e non volle sentire ragioni. A
lei, delle creature magiche, gliene importava ben poco.
Rose, invece, si limitò a scegliere meno
corsi possibile. «Così posso concentrarmi meglio su quelle che mi interessano
di più e lasciare un po’ di spazio anche al Quidditch»
aveva spiegato un giorno.
Dopo la partita con Grifondoro
la squadra di Serpeverde si era scontrata con quella
di Tassorosso e con quella di Corvonero,
vincendo in entrambi i casi. Ma ciò che scottava di più a Rupert e ai
componenti della squadra era la sconfitta con i Grifondoro.
La Casa rosso-oro era riuscita a vincere contro tutte grazie alla straordinaria
capacità di James Potter. I Serpeverde non lo
avrebbero mai ammesso neanche sotto tortura ma sapevano che il ragazzo era un
avversario da non sottovalutare e, secondo la logica di alcuni ragazzi molto
simpatici, un problema da eliminare al più presto. L’impegno di Serpeverde per sconfiggere i grifoni, però, non impedì a
questi ultimi di conquistarsi la Coppa del Quidditch
di quell’anno. Rupert lasciò così il suo posto di capitano con l’augurio ai
compagni di battere un giorno il temibile Potter. L’anno seguente si sarebbe
liberato anche il posto di Cercatore e Rupert si raccomandò di trovarne uno
all’altezza del giovane Grifondoro.
Arrivò così la fine dell’anno.
Tutti i ragazzi del secondo anno furono
promossi all’anno seguente e Sophie fu soddisfatta
del suo ottimo rendimento, soprattutto quando scoprì di essere stata una delle
più brave del suo anno, affiancata naturalmente da Severus
e Lily.
L’ultimo giorno, a cena, ci fu la
premiazione finale della Coppa delle Case. Fu una vera soddisfazione per Sophie vedere l’espressione sconsolata di Lily che
commentava con i propri compagni di squadra il punteggio di distacco presente
tra le due squadre rivali.
Al loro ingresso, infatti, i Serpeverde ebbero la piacevole sorpresa di vedere gli stendardi
verde-argento ornare le pareti della Sala Grande, con un soddisfatto e allegro
professore Lumacorno che salutava giovialmente tutti
i componenti della Casa, in particolare coloro che avevano contribuito a
portare il punteggio a quel livello.
Nonostante l’ottima posizione di Grifondoro nel Quidditch,
infatti, Serpeverde era comunque riuscita ad
aggiudicarsi la Coppa della Case. Almeno quella, pensò Sophie,
rimaneva in mano a loro.
Il giorno seguente, a colazione, vennero
consegnati agli studenti del secondo anno, ovvero del futuro terzo, vari fogli:
il primo conteneva il solito avviso in cui si ricordava che era vietato l’uso
della magia durante le vacanze estive, e un altro dove compariva il permesso
per le uscite ad Hogsmeade. Sophie
dette un’occhiata veloce al primo e sorrise noncurante. Per il secondo, invece,
dovette rimanere parecchi minuti in più per spiegare a Lily, con l’aiuto di Severus, che cosa fosse Hogsmeade
e perché avessero bisogno di un permesso.
Alla fine arrivò il momento di partire.
Il gruppo di Serpeverde,
con la sola eccezione di Lily Evans, si prese uno scompartimento del treno
tutto per sé, e passò l’intero viaggio a divertirsi, tra partite di Sparaschiocco e Scacchi Magici.
Lily si ritrovò più volte a ripensare a
tutti i bei momenti che aveva passato con i suoi nuovi amici e pensò che Mary e
Marlene fossero solo gelose. Non c’era motivo per il quale Lily non dovesse far
parte di quel gruppo: durante il corso di quell’anno si era divertita
tantissimo, e neanche per un solo momento aveva pensato di avere in qualche
modo sbagliato le sue scelte. Si trovava bene con i Serpeverde,
e per un attimo, si ritrovò perfino a pensare per quale motivo non fosse stata
smistata in quella Casa: forse avevano ragione Mary e Marlene, forse il
cappello aveva sbagliato a smistarla. Ma la cosa era pressoché strana, così si
strinse nelle spalle e evitò accuratamente di pensare ancora a cose del genere.
Quando il treno si fermò alla stazione di King’s Cross il tempo sembrava essere passato anche fin
troppo velocemente.
Lily aiutò Sophie
a prendere il baule dall’apposita ringhiera, mentre lei cercava di far
rientrare nelle proprie gabbiette i due gatti: Lumos
e Ophelia non avevano tardato a fare amicizia, come
le loro rispettive padrone, e ora sembravano non volersi lasciare.
«Bè, allora e
venuto il momento di salutarsi…» sorrise Lily.
Sophie sorrise a sua volta, ma
poco prima di rispondere, un brivido l’attraversò da capo a piedi. Lily si
accorse dell’improvviso cambiamento di espressione sul volto di Sophie, e la guardò stranita. «Qualcosa non va, Sophie?» chiese.
La ragazza si guardò intorno, poi, una
volta constatato che nessuno le stava ascoltando, si rivolse all’amica. «Ehm…
forse è meglio se ci salutiamo qui, Lily…» e arrossì lievemente.
Lily parve un attimo sorpresa, così Sophie si spiegò: «Io… non vorrei, ma sai… i miei non vanno
molto d’accordo con i Nati Babbani…»
Lily rimase un attimo impietrita: era da
un sacco di mesi che Sophie non l’apostrofava così.
Si era quasi dimenticata delle provenienze di Sophie.
Spostò il peso da un piede all’altro, poi
annuì. «Sì, va bene, ti capisco». Le sorrise convinta. «Ci vediamo l’anno
prossimo, Sophie…»
Si salutarono a vicenda, poi Sophie, con un peso in meno sul cuore, scese dal treno.
Allungò subito lo sguardo, cercando di intravedere la madre in mezzo alla folla
che occupava l’intera banchina del binario 9 e ¾.
La scorse poco lontano, vicino a una
colonna. Le si avvicinò e appena la madre la vide un sorriso si aprì sul suo
volto. Le due donne si abbracciarono e dopo qualche convenevole Helena si avviò
verso l’uscita.
Poco fuori dal binario, Sophie scorse Severus e sua madre
che si allontanavano silenziosamente. Non riuscì però a vedere il volto della
donna. Al contrario, riuscì a vedere i volti dei genitori di Lily Evans. Ma non
poté soffermarsi molto su di essi: sua madre se ne accorse e le lanciò
un’occhiata interrogativa.
***
Lily Evans si dondolava lentamente
sull’altalena, la testa appoggiata alla catena e gli occhi che scorrevano
veloci le pagine del libro di Incantesimi.
Altri libri, invece, giacevano sotto ai
suoi piedi in ordine sparso, aperti sull’erba del parchetto giochi, con le
pagine che ogni tanto giravano colpite da un improvviso sbuffo di vento.
L’ambiente era immerso nel silenzio ozioso del pomeriggio e solo qualche
uccellino solitario ne rompeva la quiete con qualche sparuto cinguettio.
Era passato quasi un mese dall’inizio
delle vacanze estive, e Lily aveva finalmente deciso di iniziare a svolgere i
compiti, per non dover rimanere troppo indietro con il lavoro. A breve,
infatti, lei e la sua famiglia sarebbero partiti per una vacanza al mare, e
Lily non aveva la minima intenzione di rimanere a fare i compiti mentre i suoi
si divertivano con la sorella.
Aveva così organizzato di vedersi con Severus al parco giochi per fare un po’ di compiti insieme
in tutta tranquillità. Aveva anche provato a chiedere alla sorella, ma Petunia
si era categoricamente rifiutata di studiare in compagnia di “quel brutto
pipistrello”.
Era ormai lì da qualche ora, e Severus era in ritardo. Lily non se ne era preoccupata più
di tanto, e aveva deciso di iniziare anche senza il fidato amico.
L’aria calda del pomeriggio, però, non
facilitava la concentrazione e Lily si era ritrovata a fare disegnini sui
margini del libro, senza un senso logico.
Dovette aspettare almeno un’altra mezz’ora
prima di sentire i passi affrettati dell’amico avvicinarsi. Severus
comparve tra i cespugli, i capelli lunghi leggermente disordinati e il fiato
corto per la corsa. Si fermò davanti all’altalena e si scostò i capelli
dall’occhio. Lily alzò lo sguardo e lo salutò con uno dei suoi sorrisi. «Come
mai questo ritardo?»
Severus si prese un attimo di
tempo prima di rispondere, riprendendo fiato, poi scosse la testa, come a voler
scacciare un brutto pensiero. «No… niente…»
Lily osservò l’amico con tristezza, ma non
insistette per avere una risposta meno ambigua. Sapeva bene che tra i genitori
del suo migliore amico non correva buon sangue, e sapeva anche che Severus si teneva sempre bene dal parlarne.
«Hai già iniziato?» chiese lui per
cambiare discorso, indicando con un cenno del capo il libro aperto che Lily
teneva in mano e gli altri sparsi per terra.
Lily scosse la testa «No, ho appena
iniziato… Sai? Non è facile concentrarsi d’estate».
Severus sorrise e si sfilò la
borsa con dentro i libri dalla spalla, lasciandola poi cadere a terra senza
curarsene troppo. Poi si sedette a terra pure lui e prese il libro di
incantesimi.
Cominciarono così il loro pomeriggio di
studio.
Quando il sole cominciò a scendere oltre
l’orizzonte Lily si lasciò cadere sull’erba e si sdraiò, osservando il cielo
con serenità.
Dopo un attimo di indecisione, Severus le si avvicinò e le si sdraiò affianco.
«Hai mai pensato di volare via e andare
oltre le nuvole?» esordì Lily, mentre fissava una nuvola di passaggio,
pensierosa.
Severus si morse un labbro,
mentre il pensiero correva alla sua famiglia, sempre che si potesse chiamare
famiglia la sua. «Non so… sì?» borbottò distrattamente.
Lily sospirò. «A volte quasi invidio chi
sa volare su una scopa…»
Severus diventò di colpo rosso
in viso e voltò la testa per guardare l’amica in volto.
Lily non parve però accorgersi
dell’improvvisa agitazione dell’amico, e sorrise al cielo. «Darei qualsiasi
cosa per saper volare su una scopa. Ti immagini Sev?
Vedere il mondo dall’alto, volare insieme agli uccelli, l’aria fresca sferzarti
il volto…»
«Non mi piace il Quidditch…».
Lily scoppiò a ridere e si voltò anche lei
a guardare l’amico negli occhi «Non stavo parlando del QuidditchSev… è solo che è l’unico modo che conosco per poter
volare, salire su una scopa volante. Conosci un modo diverso?»
Severus arrossì ancora un poco
per la risata di Lily, poi scosse la testa. «Non mi sono mai interessato
all’argomento…» si scusò.
Lily si strinse nelle spalle e tornò a
guardare il cielo. Rimasero sdraiati sull’erba ancora un po’ poi a Lily venne
un’idea. «Credi che Rose me lo farebbe fare un giretto sulla sua scopa?»
chiese.
Severus sbuffò «Non lo so Lily.
Ma se glielo chiedi probabilmente sì».
«E a Sophie?
credi che a lei piaccia volare?»
«Ne dubito. Sophie
è interessata ad altre cose…»
«Già…» concordò la rossa. «Come è
possibile che due ragazze diverse come noi possano aver fatto amicizia
così, Sev?»
«Te lo avevo detto che sarebbe stata
un’ottima amica. Alla fin fine avete molto in comune, no?».
Lily inclinò leggermente la testa da un
lato. «Dici? Non mi sembra…»
Severus si tirò su a sedere e
guardò Lily dall’alto. «Bè, vi piace ad entrambe lo
studio e…» si bloccò. In effetti, oggettivamente, le due ragazze non avevano
molto in comune. Forse era solo lui che le considerava quasi uguali. Avrebbe
potuto dire che erano entrambe ottime amiche, simpatiche, che non si
soffermavano alla prima impressione di una persona ma sapevano andare oltre;
nello specifico, che entrambe preferivano la sua intelligenza al suo aspetto
fisico. Severus sapeva di non essere una grande
bellezza: anzi, odiava quel suo naso adunco e i suoi capelli unti. Però stranamente
con le due amiche non si era mai dovuto preoccupare di ciò.
«Vedi? In comune abbiamo solo la passione
per lo studio, niente di più…» disse Lily, non accorgendosi dell’imbarazzo
dell’amico. «A volte ho l’impressione che Sophie ci
nasconda qualcosa… non pensi?»
Severus si riscosse dai suoi
pensieri e soppesò le parole dell’amica. «E cosa dovrebbe mai nasconderci?»
«Bo, non so… ha sempre quell’aria un po’
strana, quasi oscura… Anzi, ora che ci penso non la vedo quasi mai sorridere».
Un pensiero assurdo passò per la testa di Severus. Neanche lui sorrideva quasi mai, e questo era
dovuto al fatto che i suoi genitori non andavano d’accordo, lo aveva sempre
saputo. Che Sophie fosse nella sua stessa situazione?
Forse anche lei non aveva avuto un’infanzia molto felice.
Quando espose i suoi pensieri a Lily, la
ragazza si morse un labbro, pensierosa. «Potrebbe anche darsi… in effetti non
sappiamo quasi niente sulla sua famiglia».
Severus sospirò. «Bè… tra i
Purosangue ci sono delle voci…»
Lily storse leggermente il naso a quella
parola, ma continuò a guardare l’amico in attesa che continuasse.
Severus vide la curiosità
colorare il volto dell’amica e si sistemò più comodamente per raccontarle ciò
che sapeva. «Ho sentito che la famiglia Stones era
una famiglia Purosangue tra le più importanti, quasi al pari dei Lestrange. Però un giorno è successo qualcosa di terribile»
fece una pausa, aspettando la reazione di Lily che non tardò ad arrivare.
«Terribile? In che senso?» chiese infatti
Lily, mentre si metteva anche lei a sedere e fissava Severus
con crescente curiosità.
«Bè… un giorno
gli Stones sono stati trovati morti sotto le macerie
della villa di famiglia. Si dice che sia stata un’esplosione a causare il
crollo della casa. Penso fossero i nonni di Sophie…».
Lily spalancò la bocca stupita.
«Solo sua mamma si è salvata» proseguì Severus. «Poi non so più niente, se non che ora Sophie abita a Snape con sua
madre».
«E suo padre?» chiese Lily, mentre gli
occhi le si velavano di tristezza per l’amica.
«Non lo so. Hai presente quanto Sophie sia restia nel parlarne, no?».
«Lily!» un urlo spezzò la tranquillità che
si era venuta a creare.
La ragazza rossa si voltò verso colei che
l’aveva chiamata.
«Tunia! Che ci
fai qui?»
«Come cosa ci faccio qui? È tardi e non
sei ancora tornata. La cena è pronta!» spiegò Petunia, mentre con una smorfia
posava gli occhi su Severus.
Lily sembrò improvvisamente accorgersi che
il sole era quasi del tutto tramontato. Scattò in piedi e raccolse tutte le sue
cose sparse intorno a lei. Quando ebbe sistemato tutto alla bell’e meglio
salutò Severus e si avviò con la sorella verso casa
sua.
Severus, del suo canto,
raccolse le sue cose in tutta calma e poi si avviò verso Spinner’s
End con passo felpato, mentre il discorso di poco prima continuava a ronzargli
in testa.
***
Sophie camminava, cercando di
mantenere il passo con l’uomo che la precedeva.
Vedeva come da molto lontano la figura
magra e slanciata del padre, mentre avanzavano nella semioscurità della
foresta.
Solo poche ore prima si trovava a studiare
nella sua stanza a casa Stones, distesa comodamente
sul letto. Poi Helena aveva bussato e lei era stata costretta a interrompere lo
studio. Ma quando sua madre le aveva detto che suo padre voleva vederla Sophie era scattata subito su. Era da più di un anno che
non lo vedeva ed era curiosa di sapere che cosa voleva da lei.
La curiosità l’aveva accompagnata per
tutto il tempo fino a quel momento e ora non stava più nella pelle.
Tom Riddle si
fermò qualche minuto dopo, in una piccola radura circondata da bassi arbusti. Sophie si fermò a pochi passi di distanza, in attesa di un
qualche suo ordine.
Non dovette aspettare molto. L’uomo
inspirò a fondo l’aria fresca della foresta, poi si chinò nell’erba. «Vieni qui
Sophie…» disse.
Sophie avanzò piano fino a
raggiungerlo e gli si sedette di fronte. Riddle alzò
lo sguardo verso di lei e le regalò un sorriso enigmatico mentre Sophie si limitò a fissarlo negli occhi, anche se non poté
ignorare il brivido che le percorse la schiena.
«Come è andato quest’anno, Sophie?» chiese con la sua voce calma e suadente.
Sophie annuì e abbassò
leggermente lo sguardo. «Bene, padre…».
Riddle fu infastidito da quel
gesto. Alzò una mano e la portò al mento della ragazza, costringendola a
guardarlo nuovamente negli occhi.
Sophie rabbrividì al tocco del
padre, ma non poté opporsi, e dovette puntare lo sguardo dentro quello cremisi
dell’uomo. In un attimo ne fu totalmente avvolta e i ricordi di quegli ultimi
mesi le sfrecciarono davanti agli occhi. Rivide Severus,
Rose, Avery, Mulciber e i
luoghi di Hogwarts che aveva frequentato, come la
biblioteca, la Sala Grande e la sua Sala Comune. Riddle
si soffermò un po’ di più sul volto di Albus Silente,
durante uno dei suoi discorsi a cena, e in un attimo di libertà Sophie vide un sorriso di scherno colorare il volto del padre.
Sophie si ritrovò la mente
sondata in lungo e in largo e rivide perfino uno dei suoi tanti discorsi con RabastanLestrange.
Quando Tom Riddle
ebbe finito lasciò andare il mento della ragazza, che rilassò i muscoli, prima
leggermente tesi, e si sistemò meglio sull’erba.
«Chi era quella ragazza dai capelli rossi?
E il ragazzo con cui parlavi in Sala Comune? Era il giovane Lestrange?»
la interrogò.
Sophie parve leggermente
infastidita dal sondaggio del padre, ma si costrinse ad obbedire e a
rispondergli. «Era… Lily Evans, padre, una Nata Babbana…».
Voldemort fece una smorfia di
disgusto a quelle parole, così Sophie si affrettò a
continuare. «È una Grifondoro, si stava per sedere al
nostro tavolo di studio, e le ho detto di andarsene…» mentì prontamente. Per
nessun motivo l’uomo doveva venire a sapere che aveva passato quasi tutti i
suoi pomeriggi in compagnia di Lily.
Riddle sembrò rincuorarsi
dalla risposta della ragazza, e non si preoccupò di accertarsi se stesse
dicendo la verità o meno.
«E… il ragazzo è RabastanLestrange, sì…» continuò Sophie.
«Uhm… lo stiamo aspettando… dovrebbe
unirsi a noi, sai?»
Sophie annuì. «Lo so, padre…»
Tom fissò un attimo la ragazza, poi
sorrise ancora.
Sophie si morse un labbro e
deglutì. Era pazzesco il modo con cui riusciva ad affascinarla, anzi, con cui
riusciva ad affascinare tutti: perfino i Mangiamorte
al suo cospetto non riuscivano a distogliere lo sguardo dal suo, ed erano
costretti a lasciar scorrere i propri ricordi davanti all’uomo, senza
possibilità di ribellarsi.
A Sophie
accadeva la stessa cosa ogni volta che lo incontrava e ogni volta sapeva di non
poter far niente per nascondere anche le cose che le premevano di più. E alla
fine lui veniva sempre a sapere tutto. Sophie era
quasi certa che un giorno sarebbe stata come lui.
«Bene» sospirò l’uomo. «E ora cominciamo…»
Sophie sembrò risvegliarsi
improvvisamente. Finalmente la sua curiosità sarebbe stata saziata.
Voldemort si guardò un attimo
intorno, poi emise dalle labbra un lungo suono sibilante.
Sophie ne rimase attratta,
mentre il suono sembrava entrarle in testa e un brivido freddo la attraversava
da capo a piedi.
Da un arbusto vicino provenne un sibilo
simile, e la testa di un serpente fece capolino, per poi avvicinarsi e
trascinarsi dietro tutto il suo viscido corpo. Contrariamente a quanto ci si
sarebbe potuti aspettare, Sophie non fece nessun
verso schifato o di ribrezzo, ma anzi, rimase immobile a fissare l’immenso
serpente avvicinarsi, con sorpresa.
L’animale si avvicinò all’uomo strisciando
e arrivatogli vicino alzò il capo, fermandosi ad un niente dal suo viso.
Tom Riddle alzò
una mano e accarezzò le testa dell’animale, sibilando altre parole in serpentese.
Sophie rimase immobile, mentre
il serpente, a un suono del padrone, si voltava verso di lei e strisciava
lentamente, avvicinandosi.
«Ti presento una delle tue nuove amiche Sophie…» sibilò Tom Riddle.
Osservò divertito la sua espressione esterrefatta, mentre Sophie
osservava il serpente con il cuore che le batteva a mille. Ad un gesto di
incoraggiamento del padre, Sophie alzò una mano
tremante e accarezzò il capo squamoso dell’animale, prima con titubanza, poi
con maggiore sicurezza.
Ad un altro sibilo dell’uomo il serpente
si staccò dal tocco della ragazza e le strisciò attorno, formando un anello
sull’erba e bloccandola.
«Quest’estate imparerai a parlare serpentese, Sophie…» disse Voldemort con il sorriso sulle labbra. «Solo noi possiamo
farlo, sai?».
Sophie annuì affascinata,
mentre continuava a osservare il serpente, che ora aveva appoggiato la testa su
una delle sue ginocchia e sibilava obbediente.
«Mi prometti che ti impegnerai a
impararlo?» chiese l’uomo.
Sophie alzò lo sguardo verso
suo padre e dopo un attimo di esitazione annuì.
Voldemort sorrise e guardò la
ragazza trionfante: tutto procedeva secondo i suoi piani.
Angolo autrice:
Buonasera a tutti e bentornati ad un
nuovo capitolo.
Allora? Come vi è sembrato? Il titolo
non mi convince molto, per questo credo che se me ne verrà in mente uno
migliore lo cambierò.
Abbiamo il piacere di assistere ad un
primo dialogo tra Voldemort e Sophie.
Devo confessare una cosa: non sono sicura di averlo reso bene. Anche perché già
è difficile scrivere di Tom Riddle, se poi ci
aggiungiamo che qui sta parlando con sua figlia…
Per questo stavo pensando di aggiungere
alla storia l’avvertimento OOC (con due o, se non sbaglio). Non so, ma mi
sembra che sia meglio così. Voglio dire, il personaggio della Rowling non
avrebbe mai e poi mai potuto avere una figlia, così come ci è stato descritto.
Però, insomma, mi sembra un OOC veramente lieve. Non so, voi cosa ne pensate?
Passando ad altro. In teoria ci sarebbe
dovuta essere anche un’altra scena, ma il capitolo sarebbe diventato ancora più
lungo di quanto non lo è già, così ho deciso di metterla nel prossimo.
Per quanto riguarda il dialogo tra Lily
eSev… bè,
tenetelo a mente ;)
Bene, non mi sembra di aver nient’altro
da dire.
Naturalmente ringrazio chi ha recensito
e tutti i preferiti/seguiti/ricordati. Mi fa piacere vedere che state
aumentando ;)
Non so quando arriverà il prossimo
capitolo, ma non dovrei impiegarci molto a scriverlo. Quindi, mi permetto di
salutarvi con un “a presto” :D