Twisted souls - seconda parte

di bluemary
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: I due fuggiaschi ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Dopo la tempesta ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Sussurri nella notte ***



Capitolo 1
*** Prologo: I due fuggiaschi ***


-Prologo: I due fuggiaschi-

Lensin stava scappando.
Il suo cavallo, spronato alla massima velocità, avanzava senza alcuna esitazione lungo uno degli stretti sentieri tracciati dai viaggiatori che preferivano arrivare a Northlear per una via più nascosta rispetto alla vistosa strada principale, così l’uomo poteva perdersi nelle sue riflessioni, senza concentrarsi troppo sul percorso.
Non si era mai ritenuto una persona particolarmente coraggiosa: detestava la guerra e considerava la vita il suo bene più prezioso, tuttavia, una volta arruolato a forza nel castello di Ghedan, una sottile ribellione aveva cominciato a farsi strada in lui un giorno alla volta, fino a trasformarlo in una sorta di timido paladino degli oppressi, che agiva nell’ombra e combatteva gli Oscuri riportando ai ribelli le informazioni di cui veniva a conoscenza.
Fino a quel momento, aveva limitato il suo compito al riferire le intenzioni di Ghedan agli abitanti di Northlear che non si erano rassegnati al giogo dell’impero, manifestando la sua antipatia nei confronti dei dittatori di Sylune con qualche segreta conversazione portata avanti a sussurri; tuttavia, appena il giorno prima, i suoi propositi di non farsi coinvolgere in prima persona erano venuti meno. Per la prima volta aveva messo davvero in gioco la sua vita, aiutando dei ribelli non a fuggire dalla città, ma ad entrare a palazzo.
Una ragazza bionda, apparentemente troppo giovane per possedere quell’espressione fredda ed impassibile dei veterani, era giunta da lui con una missiva da parte di Alista, in cui l’anziana donna aveva espresso la speranza che lui le offrisse tutto il suo aiuto, e l’assurda richiesta di supportarla nei preparativi del suo assalto contro l'Oscuro. Con un atteggiamento brusco, quasi minaccioso, che l’aveva fatto sentire a disagio, lo aveva interrogato a lungo sulle abitudini di Ghedan e sull’ubicazione degli ingressi del castello, dimostrando di avere in mente una strategia ben precisa per il suo attacco.
In un primo momento aveva tentato di scoprire le sue intenzioni, ma lei gli aveva solamente detto che doveva trovare il modo di incontrare l’Oscuro, senza accennare al piano con cui progettava di sconfiggerlo.
Incalzato dalle sue domande, le aveva riferito tutto ciò che sapeva, stupito dalla sicurezza con cui quella guerriera sconosciuta parlava di sfidare ed uccidere un nemico apparentemente immortale, temuto per la sua crudeltà in misura ancora maggiore di quanto lo fosse per la sua magia.
Al momento di congedarsi, ammirato dal suo coraggio più che realmente convinto delle sue possibilità di vittoria, le aveva regalato uno dei suoi tesori più preziosi: un’accurata mappa del castello stilata in mesi interi di servitù, comprensiva anche di alcuni passaggi sconosciuti alla maggior parte degli altri subordinati dell’Oscuro.
Così quella mattina in cui tre ribelli abbastanza giovani da poter essere quasi suoi figli sfidavano uno dei più potenti esseri di Sylune lui era scappato.
Mentre il cavallo galoppava rapido per una discesa ed il paesaggio sfrecciava attorno a lui ridotto ad un’indistinta macchia di verde e marrone, si chiese se quei ragazzi erano già stati scoperti, se lo spietato mago di cui era stato il servitore li avesse uccisi o, peggio, presi prigionieri, ma non osò sperare in una vittoria.
Quando, dopo essere fuggito da Darconn, aveva fatto tappa a Northlear per incontrarsi con la guaritrice, lei gli aveva riferito che i compagni della guerriera bionda sarebbero stati semplicemente un combattente divenuto uomo solo da pochi anni ed una spadaccina ancor più giovane, e questa scoperta aveva ulteriormente alimentato il suo scetticismo per una vittoria quanto mai improbabile.
Non riusciva nemmeno a concepire la possibilità che Ghedan venisse sconfitto, la sola idea che tre ragazzi riuscissero lì dove perfino i Protettori guidati da Lux avevano fallito gli sembrava tanto assurda da rasentare il ridicolo; ma qualcosa nello sguardo della guerriera che era andato fin dentro il castello per incontrarlo e nella quieta convinzione di Alista gli aveva lasciato almeno una fragile speranza di non aver rischiato invano la sua vita.
Subito sentì il cuore contrarsi in preda alla preoccupazione, non appena la sua mente venne sfiorata dal pensiero dell’anziana amica. La guaritrice aveva preferito rimanere nel villaggio, nonostante tutti i suoi sforzi di convincerla a partire con lui: sapevano entrambi che, qualunque sarebbe stato l’esito dello scontro, gli Oscuri non avrebbero incontrato difficoltà a risalire fino a loro come complici dei tre ribelli.
Il pensiero di lasciare in balia di quei maghi spietati la donna che lui aveva ormai cominciato a considerare come una madre lo torturava con un’intensità quasi insopportabile. Per un istante venne invaso dall’impulso di tornare a Northlear e costringerla a scappare con lui, o difenderla a costo della vita, ma sapeva che non sarebbe stato in grado di mantenere nessuno di questi due propositi, così continuò a cavalcare in silenzio, mentre le ore passavano lente ed il sole, prima alto nel cielo, cominciava ad abbassarsi all’orizzonte.
Giunto infine ad un bivio più marcato dei precedenti, fermò il cavallo, soffocando la preoccupazione che lo tormentava.
Il suo cuore sanguinava ancora al pensiero di Alista, ma adesso doveva compiere una scelta.
Lanciò uno sguardo da cui trapelava un’intensa amarezza verso la strada di sinistra, un sentiero poco battuto che portava ad alcuni poveri villaggi ancora privi del giogo imperiale, dove avrebbe potuto nascondersi, forse perfino sopravvivere per alcuni anni senza che gli Oscuri lo trovassero; ma poi l’altro percorso catturò la sua attenzione, tentandolo con un pensiero che da diversi minuti cercava invano di reprimere con tutto se stesso: sapeva che le informazioni di cui era depositario sarebbero state molto importanti per almeno una persona, forse abbastanza da scambiarle con il perdono per il suo tradimento.
Per lunghi, preziosi minuti rimase indeciso tra il rischio e la salvezza, il desiderio di giustizia e la vigliaccheria, quindi i suoi lineamenti si tesero in un’espressione dura.
Senza più guardare l’altro sentiero, spronò il cavallo facendolo impennare sul posto, prima di indirizzare il suo galoppo sfrenato verso il lontano castello di Daygon.

L’uomo aprì gli occhi, silenziosamente grato al fitto fogliame che gli schermava il volto dalla luce troppo intensa di un sole ormai prossimo al tramonto.
Si guardò attorno, senza la forza di muovere il capo. Giaceva su un morbido tappeto di aghi di pino ed arbusti, immerso nella fresca ombra creata dai grossi alberi che lo circondavano. Non si udiva alcun suono, al di fuori dei sommessi rumori della natura, e Beck si chiese confusamente il motivo per cui si trovasse in quel luogo sconosciuto.
Nella sua testa vorticavano immagini confuse e frammentarie di uno scontro con Devil, il giovane ma spietato braccio destro di Daygon e suo diretto superiore, e di una fuga disperata attraverso la foresta, ma la sua mente annebbiata dallo stordimento non riusciva a ricordare altro.
Provò a muoversi, contraendo i muscoli intorpiditi, e l’improvvisa sensibilità agli arti lo avvolse in un’ondata di sofferenza tanto violenta da mozzargli il respiro: tutto il suo corpo bruciava, con tale intensità da spingerlo a chiedersi se la magia subita durante lo scontro con il suo comandante non gli avesse causato dei danni permanenti; tuttavia, una volta ripresosi dalle fitte improvvise, si rese conto che era la sua stessa pelle ad ardere per la debolezza e la febbre, e gli bastò un istante per riconoscere la fonte principale della sua sofferenza.
Spostò lo sguardo sul braccio sinistro, fasciato rozzamente con un lembo dei suoi stessi vestiti, che pulsava in maniera quasi insopportabile; non osò spostare la benda incrostata di sangue per paura di riaprire la ferita, tuttavia sapeva con ineluttabile certezza che la guarigione non sarebbe stata per niente facile o scontata.
Concentrandosi sul dolore che lo pervadeva, in modo da non abbandonarsi ad un’incoscienza da cui probabilmente non si sarebbe mai più risvegliato, provò a ricostruire le sue ultime azioni prima della fuga e, secondo dopo secondo, tutti i ricordi delle ultime ore riaffiorarono nella sua mente esausta per la febbre e la tensione.
Aveva tradito Daygon.
Approfittando della sua partenza, aveva infine scelto di sottrarsi al suo dominio, inseguendo un cammino irto di pericoli ed incertezze che, con ogni probabilità, non gli avrebbe risparmiato la vita.
Per un istante ripensò quell’inusuale conversazione, in cui l’Oscuro, per la prima volta da quando le loro strade si erano incrociate, gli aveva affidato i pieni poteri durante la sua assenza. Una parte di lui sapeva che avrebbe dovuto ragionare sul motivo per cui il mago aveva ritenuto tanto urgente lasciare il suo castello, senza nemmeno attendere il ritorno di Devil, ma la spossatezza penetrata in ogni centimetro del suo corpo gli annebbiava anche i pensieri, lasciandolo in balia di un fluire incoerente di immagini e persone, senza la lucidità necessaria per soffermarsi su di esse per più di qualche secondo.
Come in sogno si rivide mettere in pratica la prima parte del suo piano, confidando in una strategia preparata in breve tempo, ma, almeno in apparenza, efficace.
Momentaneamente a capo del castello, aveva deciso di schierarsi con Kysa, la giovane prigioniera del suo generale, aiutandola a scappare dalle stanze in cui era rinchiusa; purtroppo Devil era tornato in tempo per fermarlo e, per quanto la sua opposizione avesse fatto guadagnare qualche prezioso minuto alla ragazza, alla fine si era ritrovato costretto a fronteggiare un manipolo di guardie, riuscendo a sopravvivere seppur al prezzo della profonda ferita che lo tormentava, mentre il braccio destro dell’Oscuro si gettava all’inseguimento della fuggitiva.
Non sapeva se Kysa fosse riuscita a scappare da sola, ma la consapevolezza degli incredibili poteri del suo comandante non gli lasciava spazio per un’ultima speranza.
Contrasse i pugni, ed ancora una volta il peso del proprio fallimento gravò su di lui
Rivide gli occhi della ragazza, quell’azzurro sconsolato in cui aveva letto una rassegnazione al di là della morte e della speranza, e la ripensò in balia del suo generale che non conosceva né pietà né esitazioni; poi l’inaspettato ricordo della propria città gli attraversò la mente, portando con sé i volti delle persone con cui aveva trascorso la prima parte della sua vita, primo fra tutti quello di suo fratello. Ferito da quelle immagini improvvise, non riuscì a fermare in tempo la profonda nostalgia che indissolubilmente si accompagnava ad esse, rammentandogli il giorno in cui aveva dovuto scegliere tra il benessere della propria gente e la giustizia. Era pienamente conscio di cos’avesse rinunciato quando si era unito a Daygon, tuttavia il sangue che gli macchiava le mani era parso un prezzo accettabile per salvare la sua città. Schierato dalla parte dei suoi nemici, aveva trascorso anni interi lontano dalla sua casa e dalla sua famiglia, senza vedere gli amici ed i parenti ed ora sapeva che, se fosse morto in quella foresta, non ne avrebbe avuto più l’occasione.
All’improvviso i suoi occhi castani velati dal dolore parvero animarsi, sostenuti da una nuova energia.
Con una lucidità impensabile per un uomo nelle sue condizioni, si mise a valutare le proprie possibilità, nel tentativo di trovare una via di scampo in quella situazione apparentemente disperata. Non era la prima volta che si trovava ferito, tuttavia i suoi nemici di allora non erano minimamente paragonabili a quelli attuali per pericolosità e ferocia.
Fece una smorfia.
Devil non si sarebbe rassegnato tanto presto alla sua fuga, probabilmente non avrebbe avuto pace fino a quando non fosse riuscito ad ottenere la sua testa, e l’unica sua speranza di sfuggirgli dipendeva dai capricci della sorte: se fosse riuscito a trovare un nascondiglio sicuro, avrebbe potuto rimanerci fino a quando non fosse guarito abbastanza da riprendere il cammino, sempre se avesse evitato l’infezione.
Un forte senso di sfiducia si abbatté su di lui, quando comprese cosa stava chiedendo alla propria buona sorte: con quella profonda ferita sul braccio sarebbe già stato troppo pretendere di curarsi da solo e sopravvivere senza alcun aiuto; sperare allo stesso tempo di riuscire a sfuggire a Devil rappresentava una mera utopia.
All’improvviso, attraverso lo stordimento sempre più appressante da cui era avvolto, percepì l’inconfondibile rumore di sterpi e foglie spezzate che annunciavano l’arrivo di qualcuno.
Nonostante tutti i suoi sforzi non riuscì ad alzarsi, così rimase immobile, con le orecchie tese, mentre quei passi si facevano sempre più vicini, per poi fermarsi di colpo.
Con uno sforzo quasi insostenibile, si voltò, puntando lo sguardo alla sua destra, dov’era appena comparsa una bambina di forse cinque anni, con i lunghi capelli biondi trattenuti da un nastro bianco e gli occhi chiari sgranati per lo stupore e, forse, la paura.
La fissò silenziosamente per diversi secondi, lottando contro la propria debolezza che gli impediva perfino di pensare lucidamente, mentre lei, come ipnotizzata, rimaneva immobile, a pochi passi da una grande quercia con il tronco contorto.
Infine aprì la bocca, sentendo con stupore quanto gli risultasse faticoso un movimento tanto semplice e scontato.
- Aiu… tami. – riuscì a mormorare, riconoscendo a stento la propria voce in quel borbottio rauco ed appena percettibile.
La bambina si mise un dito in bocca, scrutandolo con un’aria inquisitrice che in un’altra occasione l’avrebbe fatto sorridere per la serietà fin troppo marcata impressa sul volto infantile.
- Vado a chiamare la mamma. – disse poi, dopo qualche secondo di silenzio.
Senza nemmeno attendere una sua risposta gli diede le spalle ed in pochi secondi svanì nella vegetazione.
Per la prima volta da quando aveva ripreso i sensi, Beck permise al delicato tocco della speranza di aprirgli le labbra in un sorriso: forse avrebbe potuto salvarsi.
Si guardò attorno, alla ricerca di un modo per liberarsi di ogni segno distintivo del suo rango; in qualità di ufficiale di Daygon, aveva sempre goduto di un’immunità ed un’obbedienza pressoché totali da parte di chiunque, ma, anche tra le città conquistate dagli Oscuri, erano ben pochi i reali sostenitori dell’impero e comunque non sarebbe stato benaccolto da nessuno di loro, dopo il suo tradimento, quindi l’anonimato sarebbe stata una condizione di gran lunga più sicura, per lui.
Fortunatamente il cavallo con cui era fuggito era scomparso, quindi non avrebbe dovuto nasconderne i ricchi finimenti, ma attorno al collo portava ancora il ciondolo raffigurante la Fiamma Nera ed i suoi stessi vestiti ne recavano l’insegna, una decorazione di filo nero intessuta all’altezza del cuore.
Con uno sforzo immane, si issò a sedere e strappò il pezzo di stoffa incriminato assieme al pendente, quindi occultò questi simboli del suo vecchio padrone seppellendoli nella terra friabile.
Infine il suo sguardo esausto si posò sulla spada, ancora infilata nel fodero attaccato alla cintura, che rispecchiava indiscutibilmente la propria provenienza dalle armate degli Oscuri.
Non possedeva la forza necessaria per scavare una buca abbastanza profonda dove sotterrarla, ma, a pochi passi da lui, si accorse della presenza di un laghetto seminascosto dalla vegetazione, che avrebbe potuto servire al suo scopo.
Trascinandosi dolorosamente sui gomiti, riuscì a raggiungerne la riva e, con le ultime energie di cui disponeva, sollevò l’arma che più volte gli aveva salvato la vita e la spinse nell’acqua. Mentre la guardava affondare, nei suoi lineamenti contratti per la sofferenza comparve per un istante un guizzo di malinconia, conscio che la sua compagna di mille battaglie forse sarebbe rimasta per sempre in quel torbido bacino, sepolta dal fango e dalle piante acquatiche.
Poi, senza nemmeno la forza di tornare nel posto in cui si era svegliato, si sdraiò a terra, esausto.
Confusamente si accorse che la ferita sul braccio aveva ricominciato a sanguinare, macchiando ancora il polveroso pezzo di stoffa con cui l’aveva bendata, ma ormai era giunto al limite e sapeva che, se non fosse giunto nessuno ad aiutarlo, quelli sarebbero stati i suoi ultimi momenti di coscienza.
Chiuse gli occhi, incapace anche solo di stringere la fasciatura per arrestare l’emorragia.
Non si accorse neppure quando una figura aggraziata si chinò su di lui, seguita dagli occhi curiosi della bambina bionda e da un ragazzo incredibilmente sviluppato e robusto per l’età che trapelava dal suo volto adolescente.
- Credi che… sia morto? – chiese quest’ultimo, rivolgendosi alla donna.
Lei lo osservò attentamente per qualche secondo, quindi scosse la testa.
- Respira ancora.
Con un movimento aggraziato gli appoggiò la mano sul braccio sano.
- Mi senti? – gli chiese, cominciando a scuoterlo con delicatezza – Svegliati.
A fatica, Beck riuscì ad aprire gli occhi per mettere a fuoco la fonte di quel tocco gentile che lo aveva strappato all’oblio, poi il suo sguardo venne catturato dal giovane al suo fianco.
- Ryon? – mormorò, con voce impastata che avrebbe potuto esprimere sgomento o incredulità.
Lui lo fissò di rimando, senza capire.
- Che cosa?
Il soldato batté rapidamente le palpebre e l’immagine familiare dell’uomo di cui sapeva di essersi guadagnato l’eterno rancore si dissolse nei lineamenti sconosciuti del ragazzo che lo sovrastava. Lo studiò in silenzio, nel tentativo di recuperare la lucidità necessaria ad analizzare la situazione in cui si trovava, ed una parte della sua mente, ormai abituata ad accorgersi inconsciamente di ogni dettaglio, registrò la forte somiglianza tra lui e la donna, tipica di chi condivide un legame di sangue: al contrario della bambina, prudentemente immobile a qualche passo di distanza, avevano entrambi i capelli e gli occhi castani e, nonostante i lineamenti del giovane apparissero più marcati e virili, i loro volti erano atteggiati ad un’identica espressione corrucciata.
Un’ondata di sollievo lo invase, quando si rese conto del particolare più importante rilevato da quei brevi secondi di studio: per quanto ancora non conoscesse le loro intenzioni nei propri confronti, non erano servitori dell’impero.
- Chi sei? Cosa ti è successo? – chiese la donna, esaminando con lo sguardo le numerose ferite superficiali che l’uomo aveva riportato ed il braccio fasciato ancora sanguinante.
Lui ricondusse la propria attenzione sulla donna.
- Briganti… mi hanno… aggredito… - pronunciò a fatica, prima di chiudere nuovamente gli occhi, sopraffatto dalla debolezza.
Il giovane lanciò un’occhiata alla bambina, che fino a quel momento era rimasta a distanza di sicurezza, con gli occhi curiosi puntati verso lo sconosciuto steso a terra, ma apparentemente priva del coraggio di avvicinarglisi; quindi, certo di non essere udito da lei, fece cenno alla donna di rialzarsi e raggiungerlo.
- Cosa facciamo, Hylean? Guarda il suo aspetto, questo non è un mercante o un contadino, è un guerriero. – la sua voce si smorzò fino a ridursi ad un sussurro, mentre portava la mano all’impugnatura del lungo coltello che portava infilato alla cintura - Potrebbe essere pericoloso.
- È vero, ma non possiamo lasciarlo qui a morire. E poi nelle sue condizioni non è in grado di farci del male.
- Ed una volta guarito? Magari è un malvivente, o peggio, un assassino.
La donna sostenne il suo sguardo senza alcuna esitazione.
- Sono pronta a correre questo rischio.
- Certo, immaginavo. – replicò il giovane con voce improvvisamente inespressiva - Un guerriero potrebbe darti informazioni interessanti.
Lei sgranò gli occhi, il volto in fiamme come se l’avesse schiaffeggiata.
- Come puoi pensare una cosa simile di me, Natiel? Considerarmi così meschina? – la sua voce si spezzò, nel tentativo di contenere le lacrime – Credi davvero che curerei qualcuno solo per ottenere qualcosa in cambio?
Pentito all’istante delle proprie parole, il ragazzo le appoggiò una mano sulla spalla, lasciando che dal suo volto trapelasse il dolore per averla ferita, ma le sue labbra rimasero strette in una piega severa.
- Certo che no, conosco il tuo altruismo. Ma allo stesso tempo conosco anche la speranza nascosta nel tuo cuore. Pensi ancora a lui, ed io questo non posso accettarlo. - i suoi lineamenti si contrassero in un’espressione incollerita – Non dopo che ha abbandonato te e la sua stessa figlia.
La donna parve accasciarsi su se stessa a quelle parole che la ferivano più di quanto avrebbe potuto fare una spada.
Aprì la bocca per replicare, ma poi, spinta da un impulso improvviso, si volse a fissare la bambina, che, sempre in silenzio, si era avvicinata quanto bastava per poter ascoltare almeno in parte la loro conversazione. Subito riportò il proprio sguardo sul suo interlocutore, il volto improvvisamente invecchiato dalle rughe appena comparse sulla sua fronte e le labbra agitate da un tremito appena percettibile.
- Nonostante tutto tu speri ancora di avere sue notizie, e per questo hai deciso di curare questo sconosciuto senza nemmeno soffermarti sui rischi che questa tua scelta potrebbe comportare. Non è così, sorella? – le disse ancora lui, gli occhi ridotti a due fessure incollerite.
- Ti prego, Natiel, non adesso.
Per un istante il ragazzo parve intenzionato ad ignorare la sua richiesta, sfogando la propria rabbia, ma poi, seppur controvoglia, annuì.
- Allora, Hylean? – le chiese, con non tono in cui l’irritazione non ancora assopita appariva tuttavia abbastanza contenuta da non sfociare in una provocazione - Spetta a te scegliere cosa farne di lui.
La donna abbassò lo sguardo, ma quando parlò la sua voce non conteneva alcuna esitazione.
- Per ora portiamolo a casa, decideremo in seguito. Siran, fai strada. – disse alla bambina, che subito sparì nella vegetazione.
Un secondo più tardi rivolse la propria attenzione al soldato, ormai cosciente solo in parte.
- Riesci ad alzarti?
Beck aprì appena le palpebre, ma si costrinse ad annuire.
A fatica, sostenuto dalle robuste spalle del ragazzo, si rimise in piedi. Poi, quando anche la donna fu al suo fianco, pronta ad offrire il suo aiuto, strinse i denti e cominciò a zoppicare nella direzione in cui era scomparsa la bambina.
Nonostante il suo istinto di guerriero lo avesse abituato a memorizzare istintivamente un tragitto sconosciuto, in quei lunghissimi momenti gli parve di attraversare solo un sentiero sfocato e privo di riferimenti, che avrebbe faticato non poco a ripercorrere se, una volta guarito, avesse voluto recuperare la propria spada. Mettere un piede davanti all’altro era divenuta una fatica che richiedeva tutta la sua attenzione, e più di una volta si ritrovò sul punto di perdere i sensi e gravare completamente sul ragazzo e sulle spalle esili della sconosciuta che lo sostenevano.
Quando infine giunsero in una piccola casa al centro di una radura delimitata da alti alberi da frutto, non sapeva se fossero trascorsi solo pochi minuti o intere ore, ormai i suoi occhi riconoscevano a stento l’ambiente attorno a lui e solo grazie alla sua incrollabile forza di volontà era riuscito a mantenersi cosciente.
Dopo essere entrato a fatica attraverso la stretta porta di legno, si sentì trascinare quasi di peso verso una camera, dove i suoi due salvatori lo adagiarono gentilmente sul letto.
- Adesso ti ripulisco la ferita, tu riposa pure, se riesci. – gli disse la donna con un sorriso rassicurante, prima di rivolgersi al fratello - Natiel, vai a scaldare dell’acqua.
Stremato per la camminata, Beck chiuse gli occhi, consapevole solo in parte del suo tocco abile e delicato sul proprio braccio. L’attimo dopo era scivolato in un oblio privo di suoni e colori, un’incoscienza in cui, nonostante la situazione di estremo pericolo in cui versava, riuscì quasi a ritrovare la tranquillità.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: Dopo la tempesta ***


Ecco il nuovo capitolo, grazie mille ad Animor94 e a Maysilee per i commenti!




-Capitolo 1: Dopo la tempesta-

Kilik si stese sul letto, incapace di contrastare una stanchezza più opprimente e soffocante di quella puramente fisica.
Lui, Rafi e Sky erano giunti in quella locanda appena mezzora prima, dopo la fuga disperata attraverso la foresta, con cui pareva fossero riusciti a far perdere le tracce ai loro inseguitori. Nonostante fossero tutti esausti per lo scontro in cui erano riusciti ad uccidere Ghedan, avevano cavalcato senza sosta per ore, consci di doversi allontanare il più possibile da Darconn, la città dove avevano compiuto l’assassinio, per evitare di venire individuati dagli altri Oscuri.
Il cielo azzurro aveva cominciato ad incupirsi con le tinte della notte, mentre il giorno volgeva al termine, quando infine avevano raggiunto il rifugio a cui li aveva indirizzati Lensin, ed una volta di più Kilik era rimasto sorpreso dalla forza di volontà dimostrata in quel frangente da Rafi: pur dovendo sopportare la ferita al fianco, l’assassina era rimasta in sella fino alla fine e non aveva ceduto al dolore neppure una volta smontata da cavallo, riuscendo ad entrare nella locanda sulle sue gambe ed a dirigersi verso le stanze al piano superiore senza un lamento.
Schiacciata dalla sofferenza proveniente dalla costola fratturata, era crollata solo a metà delle scale e lui era stato costretto a prenderla in braccio, nonostante la debolezza e l’imbarazzo per un contatto tanto intimo con la sua nemica. Mentre la stava portando verso le camere l’aveva sentita pronunciare un nome, Locket, ed allora si era davvero preoccupato, convinto che il dolore la stesse trascinando verso il delirio e la follia; tuttavia, non appena si era ritrovata stesa sul letto, Rafi l’aveva aggredito come suo solito, colpendolo al volto e cacciandolo dalla propria stanza con una veemenza tale da fargli dubitare che fosse ferita. Prima di chiudere la porta dietro di sé, l’aveva vista chinarsi faticosamente sul suo zaino per prendere il sacchetto di erbe che le aveva dato Alista.
Nuovamente tornò a chiedersi quali segreti fossero racchiusi nei gelidi occhi dell’assassina, tuttavia questa domanda perse presto la priorità nei suoi pensieri, nel momento in cui altri quesiti gli attraversarono la mente, richiedendo la sua attenzione in maniera ben più pressante.
Aveva riflettuto a lungo su ciò che gli era successo nei sotterranei di Ghedan, quando aveva liberato un potere sconosciuto ed abbastanza potente da distruggere il suo stesso corpo in una vampata d’incommensurabile energia.
Subito il ricordo del fratello s’insinuò simile ad una brace rovente tra i suoi pensieri, nel tentativo di catturare la sua attenzione come già aveva fatto durante l’interminabile fuga da Darconn, ma lui lo rifiutò con fermezza, troppo esausto e logorato dalla tensione delle ultime ore per permettersi di soffrire ancora per quel giorno. Impegnando ogni fibra del suo essere per cancellare dalla sua mente l’immagine di Kohori, si concentrò invece sullo strano comportamento della sua magia, chiedendosi per l’ennesima volta in virtù di quale strano fenomeno fosse riuscito a sopravvivere.
Conosceva fin da bambino la legge che regolava i poteri di cui gli Eterei come lui erano dotati: nessuno sarebbe riuscito ad utilizzare appieno i propri poteri, in quanto essi erano una componente essenziale della loro esistenza, così come la carne ed il sangue, ed i pochi folli che provavano a disobbedire ad una simile costrizione perivano tutti entro pochi istanti: privati dell’energia vitale, i loro corpi smettevano quasi immediatamente di respirare e le loro coscienze si spegnevano nell’oblio.
Contro Ghedan aveva esaurito quasi totalmente la sua magia, giungendo sul labile confine tra la vita e l’annientamento. Avrebbe dovuto morire anche solo per il tentativo di bruciare ogni singola goccia della sua magia con quell’esplosione di collera disperata dinanzi al cadavere del fratello, ed invece essa era accorsa al suo richiamo, più violenta di quanto fosse mai stata, e perfino la spossatezza che l’aveva fatto cadere in ginocchio subito dopo era svanita in pochi secondi, permettendogli poi di utilizzare nuovamente i suoi poteri per curare l’assassina.
Scosse la testa, incapace di comprendere cosa gli fosse successo.
E c’era un altro particolare che lo incuriosiva e terrorizzava al tempo stesso: quella che si era risvegliata nei sotterranei e gli aveva invaso le vene con l’insostenibile intensità di un fiume in piena, non era la sua magia. Una forza tanto impetuosa ed inarrestabile, quell’energia allo stato puro in cui era stato pronto ad annullarsi per sempre, di cui forse solo i Custodi potevano rivendicare il possesso, non poteva appartenergli, neppure nei momenti finali della sua esistenza, a prezzo della sua stessa vita.
Studiò in silenzio il palmo della sua mano destra, quasi credesse di poter ritrovare la traccia di quel terribile potere che l’aveva avvolta solo qualche ore prima, ma sulla pelle liscia non c’era nulla a dimostrazione dell’accaduto.
Distolse lo sguardo e sospirò, troppo esausto per riflettere lucidamente e trovare le risposte alle sue domande.
Un discreto bussare alla porta lo distolse dai suoi pensieri, restituendogli un leggero sorriso. Prima ancora di aprire e trovarsi di fronte il suo volto da bambina, sapeva già che si sarebbe trattato di Sky. Era stata lei ad occuparsi di tutte le formalità con il gestore della locanda, chiedendogli alloggio per la notte ed un pasto caldo.
- La cena è servita!- esordì, mostrando trionfalmente i due vassoi ricolmi di cibo che teneva in mano.
Pur non avendo riportato vere e proprie ferite, né avendo subito la stessa terribile esperienza dell’Etereo di trovare il cadavere di un proprio familiare, la visita nel castello di Ghedan non era risultata indolore neppure per lei: i lividi violacei attorno al collo dove l’Oscuro aveva cercato di strangolarla, uniti ai rochi sussurri che avevano preso il posto della sua voce solitamente argentina e squillante, ne erano la chiara dimostrazione.
Accorgendosi del precario equilibrio delle vivande, Kilik afferrò entrambi i vassoi, togliendoli delicatamente dalla presa incerta dell’amica.
- Se sei d’accordo preferisco mangiare in compagnia. – le disse, facendole cenno di entrare nella stanza.
Sky gli sorrise.
- Anche io. – dopo una rapida esplorazione della camera con lo sguardo si diresse sul letto, prendendo posto accanto all’Etereo, che si era appena seduto con i piatti sulle ginocchia ed ora le stava porgendo la sua porzione - Sai, per un attimo ho pensato che mi volessi defraudare della cena.
- Non oserei mai. – rispose lui con un ghigno appena accennato, silenziosamente grato a quella presenza loquace e solare che allontanava dal suo animo le ombre della solitudine.
Nonostante la stanchezza, attaccarono entrambi la cena con una voracità simile all’ingordigia, terminando tutto in pochi minuti. Solo quando ebbe ingoiato l’ultimo boccone di cibo, Kilik parve ricordarsi dell’altra loro alleata.
- Rafi ha già mangiato?
La ragazza scosse la testa con aria avvilita.
- Non l’ho più vista da quando siamo arrivati. Prima di venire da te ho provato a bussare alla sua porta, ma non mi ha risposto e si era chiusa a chiave, così le ho lasciato il vassoio fuori dalla stanza. – la voce le si velò di preoccupazione - Come stava quando l’hai portata in camera?
- Bene, direi. – replicò laconicamente lui, mostrandole il lato sinistro del volto su cui spiccava un livido scuro, più recente di quelli riportati durante lo scontro con Ghedan.
Quando la spadaccina comprese cosa intendeva, assunse uno sguardo sorpreso.
- Perché?
Kilik scosse le spalle.
- Credo abbia frainteso le mie intenzioni. – rispose, mentre ricordava che l’assassina aveva recuperato la propria lucidità proprio nel momento in cui la stava adagiando sul letto, in una posizione troppo ravvicinata per non sembrare compromettente - Prima ed ultima volta che la porto in braccio.
La ragazza esitò un istante, prima di porre una seconda domanda.
- E tu come stai?
- Se ti dicessi che sto bene mi crederesti? – replicò l’Etereo.
Sky scosse la testa.
- Lo sapevo che era morto, però… - mormorò lui, senza riuscire a continuare per il sordo dolore che aveva cominciato a crescere nel suo petto ed ora cercava di infrangere il suo autocontrollo per liberarsi in un violento singhiozzo.
- Kilik… - sussurrò la ragazza, incapace di dire altro.
Conosceva fin troppo bene il dolore straziante di perdere una persona amata ed altrettanto tristemente sapeva che non esisteva alcuna cura per mitigare una simile sofferenza.
Lentamente spostò la propria mano fino a sfiorare la sua, abbandonata sul materasso su cui entrambi erano seduti, per poi accarezzarla e stringerla senza dire nulla, preferendo affidare il proprio desiderio di confortarlo ad un gesto silenzioso piuttosto che a parole vuote ed inutili.
Senza rompere quel momento di mutismo, l’Etereo ricambiò la stretta dell’amica, poi le cinse la schiena con le braccia e l’attirò dolcemente contro il suo petto, nel tentativo di scacciare la solitudine che aveva già gettato ombre cupe nel suo animo. Non voleva piangere, il suo dolore per la morte di Kohori raggiungeva un’intensità troppo elevata per sperare di poterlo sfogare attraverso le lacrime, tuttavia, nonostante tutti i suoi sforzi, la sua vista divenne a poco a poco sempre più sfocata, fino a quando una scia umida si fece strada lungo la guancia.
Timidamente, senza staccarsi da lui, la ragazza cominciò ad accarezzargli la testa, con fare impacciato ma pervaso di una dolcezza quasi materna, e per interi minuti nella stanza non ci furono altri suoni all’infuori dei loro respiri e dell’impercettibile rumore causato dal regolare movimento della sua mano immersa nei corti capelli neri dell’amico.
Poi, in maniera quasi improvvisa, Kilik si sciolse dall’abbraccio senza guardarla.
- Domani me ne andrò. – disse, la voce indifferente come lei non l’aveva mai sentita.
Spalancò la bocca, sorpresa e per un istante ammutolita da una simile affermazione che non comprendeva.
- Cosa?
- Passerò qui la notte per recuperare le forze, ma poi me ne andrò per la mia strada.
A queste parole, Sky balzò in piedi.
- Perché? Pensavo volessi uccidere gli Oscuri. – rimase in silenzio un attimo, alla ricerca di una motivazione per una simile scelta, prima di continuare a parlare, con voce sensibilmente più bassa - È per tuo fratello?
L’Etereo si alzò a sua volta dal letto e scosse la testa.
- No, lo faccio per voi.
- Come sarebbe a dire “per noi”?
- Tu e Rafi ve la caverete meglio senza di me. – distolse lo sguardo da lei per puntarlo verso la parete più lontana - Per colpa mia avete rischiato di morire.
- Per colpa tua? Cosa stai dicendo?!
Kilik trasse un respiro profondo, quasi avesse bisogno di tutto il suo coraggio per tornare a fissarla negli occhi.
- Sono stato io a chiederti a di non uccidere subito Ghedan, convinto di avere la situazione sotto controllo, quando invece vi ho praticamente condannate.
La spadaccina provò a mettergli una mano sulla spalla per confortarlo, senza che il gesto avesse un qualche effetto su di lui.
- Ma alla fine ce l’abbiamo fatta, cosa importa se Rafi l’ha ucciso al mio posto? L’importante è che siamo ancora tutti vivi, no?
- Certo non per merito mio! – esplose il ragazzo – Avrebbe potuto morire. Tu avresti potuto morire! Tutto perché io non sono stato in grado di contrastare l’incantesimo di Ghedan. Ha ragione Rafi, non sono di alcuna utilità, allora tanto vale che combatta da solo, così almeno non verrete uccise per colpa mia.
Respirando a fatica a causa dell’opprimente amarezza nel suo petto, si lasciò nuovamente tormentare dai sensi di colpa per quella folle richiesta con cui aveva quasi decretato la fine di due persone; perfino il pensiero che l’odiata assassina avesse rischiato di perdere la vita a causa della sua sconsideratezza lo turbava con un rimorso difficile da comprendere, dopo essersi ripromesso più volte durante i giorni precedenti che in un futuro non molto lontano l’avrebbe uccisa con le sue stesse mani. Era stato necessario vederla in bilico tra la sottile linea di demarcazione tra la vita e la morte per fargli capire che, nonostante tutto, aveva ormai cominciato a considerare quella silenziosa guerriera come una compagna, un’alleata difficile da sopportare, ma di cui avrebbe pianto la scomparsa.
Squadrò la spadaccina, che era rimasta in silenzio, sconvolta dalla violenza delle sue parole, ed un’altra fitta di dolore gli morse il petto alla sola idea di averla potuta mettere in una simile situazione di pericolo.
- Non sono stato in grado di proteggere mio fratello e certo non riuscirò a proteggere voi. Fareste meglio a trovarvi un altro compagno per la vostra lotta, se volete sopravvivere. – concluse con voce amara, fissando l’amica negli occhi per meglio rafforzare le proprie parole.
La mano della ragazza si abbatté improvvisamente sulla sua guancia con uno schiocco violento, lasciando dietro di sé una bruciante sensazione di dolore e la sagoma ben impressa di cinque dita.
- Se non ci fossi stato tu, nessuno di noi sarebbe vivo ora. Ghedan l’abbiamo sconfitto insieme! Se ti sento dire un’altra volta una sciocchezza simile sarò costretta a prenderti a calci fino a quando non mi faranno male le gambe!
Con il palmo premuto contro il volto percosso, sconvolto dalla reazione così diversa dal solito atteggiamento amichevole e gentile dell’amica, Kilik la fissò stranito: i suoi occhi castani ardevano per la collera e, nonostante in essi si potesse scorgere un luccichio di lacrime trattenute a fatica, la sua voce non aveva tremato in alcun modo durante la violenta replica.
Sempre con lo sguardo attonito fisso su di lei, rimase in silenzio per un paio di secondi, prima che la rabbia gli restituisse la voce.
- La mia magia è troppo debole, se non sono riuscito a contrastare neppure Ghedan, che speranze potrei avere con gli altri Oscuri? – urlò, riversando in quella domanda tutta la frustrazione ed i sensi di colpa che lo stavano tormentando.
- Le stesse che abbiamo io e Rafi! Cosa credi che ci sarebbe successo se tu non avessi dissolto la magia che lo difendeva?! Siamo riusciti a sconfiggere un simile avversario solo perché abbiamo unito le nostre forze, e tu adesso stai progettando di abbandonarci?
Le parole della ragazza lo colpirono come un secondo schiaffo.
Indietreggiò istintivamente, mentre la consapevolezza di essere guidato dall’altruismo e dal terrore di poter assistere alla morte delle sue alleate risvegliavano in lui una rabbia profonda, nel ricevere una simile accusa di cui non si sentiva colpevole.
- Credi che mi piaccia la solitudine?! – ringhiò, incurante di sfogare la propria amarezza proprio con l’amica che desiderava difendere ad ogni costo - Se ho deciso di lottare da solo è per il vostro bene, almeno in questo modo potrò proteggervi dai miei stupidi piani!
- Dovresti proteggerci con la tua magia, non lasciandoci sole! – replicò la spadaccina ancor più violentemente, nonostante il dolore alla gola le arrochisse la voce.
Strinse i pugni e chiuse gli occhi, mentre sentiva le lacrime che era riuscita a trattenere fino a quel momento rigarle suo malgrado le guance.
- Sei un idiota, Kilik!
Si volse all’improvviso, per non mostrare al compagno quel segno di debolezza, ma lui riuscì lo stesso a scorgere il riflesso dei suoi occhi lucidi e questa immagine spazzò via la sua collera in un istante, lasciandolo solo con un bruciante senso di colpa al pensiero di averla fatta piangere per la seconda volta in quel giorno.
- Scusa. – le disse, afferrandole dolcemente le spalle per arrivare a guardarla in viso.
Sotto la gentile pressione delle sue mani, la ragazza acconsentì a voltarsi, ma prima d’incrociare il suo sguardo si passò un braccio sugli occhi, in modo da cancellare ogni traccia delle lacrime.
- Credevo che ormai fossimo amici, come hai potuto pensare di abbandonarci così? Posso capirti se non vuoi più combattere, ma non puoi andartene per lottare da solo contro un nemico tanto forte. Vorrebbe dire condannarti a morte certa, condannare anche noi! Tu non sei in grado di sconfiggere da solo un Oscuro e credi forse che io e Rafi possiamo avere una qualche possibilità di andare lontano senza la tua magia? – si bloccò per riprendere fiato solo lo stretto necessario, in modo da impedire all’amico di intervenire prima della fine del suo discorso - Se è stata proprio lei a chiederti un’alleanza, nonostante il suo odio per la tua gente, come puoi pensare di essere inutile?!
Momentaneamente zittito da una replica tanto accorata, l’Etereo si prese qualche secondo di silenzio, durante il quale lottò ferocemente con se stesso, diviso tra l’impulso di contraddire la compagna per rimarcare le proprie colpe ed il desiderio quasi disperato di poter credere alle sue parole ed accettare la sua incondizionata fiducia.
- Mi dispiace, Sky. – mormorò poi in maniera appena percettibile - Sono stato proprio un idiota.
La ragazza annuì senza dire nulla ed un altro minuto di silenzio passò prima che trovasse il coraggio di porgli la domanda che le torturava la mente.
- Rimarrai?
- Come potrei non farlo, dopo quello che mi hai detto? – replicò lui, con un debole sorriso, prima di tornare serio – Ma se la prossima volta cercherò di fare ancora simili sciocchezze, non ascoltarmi e tirami un pugno.
Invece di concordare con le sue parole, la ragazza scosse la testa.
- Io nella tua situazione avrei fatto lo stesso. – commentò, con una voce tanto pacata e sicura da dargli l’assoluta certezza della sua sincerità - E sono convinta che anche Rafi, se avesse una persona a cui tiene davvero, avrebbe anteposto la possibilità di trovarla alla propria salvezza.
Per quanto non attenuassero in alcun modo il suo senso di colpa, simili parole scaldarono il cuore del mago, che per un istante si sentì quasi rinfrancato.
- Grazie. – le disse, senza guardarla
Sospirò, quindi ricercò gli occhi dell’amica, con uno sguardo in cui la collera aveva lasciato spazio ad un’intensa amarezza.
- Non mentivo, come Etereo sono un fallimento. Credo di essere il mago più debole di tutta la mia razza.
- A me non sembravi tanto male. Sei riuscito a contrastare un incantesimo di Ghedan, non mi sembra una cosa da poco!
- Per farlo però ho consumato quasi tutta la mia energia. – replicò Kilik – Contro gli altri Oscuri non ho alcuna speranza di essere d’aiuto.
- Allora allenati. – replicò la ragazza, sorridendogli per incoraggiarlo a liberarsi da quell’opprimente sensazione di sfiducia che trapelava dalle sue iridi viola, ma lui scosse la testa.
- La magia è una capacità innata, non la si può allenare.
- Se non provi come fai a dirlo?
Kilik scosse le spalle.
- Lo so e basta. Viridian non te ne ha parlato? La quantità di magia che un Etereo possiede è sempre costante. Può cambiare l’abilità con cui ci si serve di essa, ma non la si può aumentare a proprio piacimento. – commentò, deciso a chiudere il discorso con quell’ultima frase.
Sky rimase a fissarlo senza alcun cedimento nell’espressione decisa.
- Secondo me dovresti comunque provare.
- Non avrebbe senso.
- Fai come preferisci. Io comunque continuerò a chiedertelo finché non accetterai, e sappi che so diventare davvero insopportabile, quando mi impegno! - lo minacciò, con uno sguardo serio che avrebbe voluto sembrare truce e spietato.
Kilik scosse la testa, mentre un leggero senso di pace affiorava dai suoi lineamenti e nel suo cuore, senza tuttavia cancellare l’angoscia con cui aveva rivissuto ogni secondo del combattimento e quei terribili momenti nelle celle di Ghedan, con gli occhi fissi sul cadavere del fratello. Si costrinse a reprimere quel sordo dolore dentro di lui, quel vuoto quasi palpabile che l’avrebbe tormentato per sempre, e rilassò il volto, in modo da non far preoccupare ulteriormente la compagna.
- A volte sei proprio una bambina. - commentò, con un sospiro di falsa rassegnazione e l’ombra di un ghigno, che cercò con tutte le sue forze di non far risultare forzati.
La ragazza accennò un sorriso.
- Solo perché tu e Rafi siete troppo seri. Non lo sai che ogni tanto ridere fa bene?
- Non pensavo di esserne ancora capace. - mormorò l’Etereo dopo un po’ di silenzio.
Da quando aveva perso il contatto con Kohori le sue labbra si erano raramente piegate verso l’alto senza alcun accenno di sarcasmo o ironia, tuttavia in compagnia di Sky gli sembrava che prima o poi avrebbe potuto nuovamente abbandonarsi a quella sensazione su cui credeva di aver perso ogni diritto.
L’attirò a sé, in un abbraccio improvviso che le fece quasi perdere l’equilibrio, comprendendo in quell’istante come quella ragazzina fosse riuscita ad entrare tanto in profondità nel cuore di Viridian. Con l’amica adagiata contro di lui e la sua guancia all’altezza del cuore, la sensazione di disperazione e sconfitta che gli attanagliava il petto pareva affievolirsi fino a divenire quasi sopportabile.
Sky ricambiò con trasporto, nonostante la stretta convulsa dell'amico le rendesse quasi impossibile respirare.
- Allora, domani comincerai ad allenarti? - gli chiese, con la voce semisoffocata dal suo torace, dopo qualche secondo di silenzio.
Kilik incurvò le labbra in un sorriso, allontanandosi di un passo da lei, in modo da poterla fissare direttamente negli occhi.
- Sei esasperante!
- Te l’ho detto che sono testarda! – replicò la ragazza, quasi con fierezza – Allora, lo farai?
Senza che il suo volto rivelasse la sofferenza da cui era tormentato senza tregua, il mago le sfiorò i capelli, con un gesto a metà tra una carezza appena accennata ed un tentativo di scompigliarglieli amichevolmente.
- Promesso.

Lo vide con gli occhi della mente senza neppure il bisogno di cercarlo, già a diverse miglia dal suo castello.
Stava volteggiando nel vento, i suoi passi leggeri sfioravano l’erba per un solo istante prima di prendere lo slancio per un nuovo salto, quasi portare i colori del cielo e delle nuvole lo rendesse un’eterea creatura dell’aria in grado di muoversi senza sforzo alcuno, mentre il paesaggio sfrecciava attorno a lui in una macchia indistinta.
Nonostante fosse pronto ad allacciare un contatto con i suoi pensieri, scelse di rimanere una presenza muta, quasi impercettibile, lasciandosi andare ad un raro momento di ammirazione per quella che rimaneva la sua pedina più preziosa, il suo alleato più sincero ed indecifrabile al tempo stesso; quando lo vide rallentare, tuttavia, si rese conto che era stato in grado di percepire il contatto della sua mente, pur non avendo proferito alcuna parola per attirare la sua attenzione.
Ormai consapevole dell’inutilità del suo silenzio, s’insinuò in maniera più profonda nei suoi pensieri, ma non si manifestò dinanzi ai suoi occhi com’era successo durante l’ultima loro conversazione, preferendo limitare il loro contatto telepatico al solo dialogo.
- Hai già compiuto il compito che ti avevo affidato?
Il giovane si fermò, con il respiro regolare e quasi impercettibile, in cui non si riscontrava alcun affanno per la lunga corsa appena interrotta, e gli occhi incolori fissi sulle stelle appena comparse nel cielo.
- Sì, la Fiamma Nera è stata rinvigorita.
- Hai notato qualcosa di strano?
L’albino scosse la testa.
- Il sigillo è intatto, nessun Etereo è riuscito a liberarsi dall’Esilio.
- Dunque l’assassino di Ghedan dev’essere un Alher. – commentò Daygon, trovando nel silenzio del suo interlocutore un muto consenso.
Come al solito la mente del suo alleato era un libro aperto ai suoi occhi, un luogo familiare e conosciuto in cui si era addentrato infinite volte senza che alcun ostacolo cercasse di fargli deviare il cammino. Kyzler si offriva a lui privo di protezioni: per quanto la sua persona rappresentasse ancora un enigma di difficile comprensione, durante quei momenti di contatto telepatico si abbandonava in sua totale balia come la più indifesa delle creature, che non aveva mai neppure fatto il tentativo di nascondergli le sue emozioni più intime e nascoste.
Grazie a questa conoscenza quasi assoluta dell’altro mago, gli bastò qualche secondo per accorgersi di una nota stonata dentro di lui. C’era un’impalpabile inquietudine nei suoi pensieri, simile ad una leggera increspatura sulla superficie di un lago che avrebbe dovuto essere invece liscia quanto uno specchio.
- I ricordi ti tormentano, Kyzler? – chiese, nel percepire il volto confuso di una giovane Eterea attraverso quel turbamento tanto flebile ed inconsistente, di cui poteva solo indovinare l’esistenza.
- Sempre. – mormorò in un soffio l’albino.
All’improvviso parve ritrarsi nella parte più intima del suo animo, pur senza alcun tentativo di sfuggire al contatto con la sua mente.
Daygon preferì non indagare oltre, conoscendo le ombre presenti nel suo giovane alleato come se ne venisse angosciato lui stesso.
- Dovresti dimenticare il passato. – commentò, senza alcuna emozione, ma le parole con cui avrebbe desiderato archiviare un simile discorso ottennero una replica appena percettibile, che, come in altre occasioni lo lasciò muto, ad interrogarsi sul suo significato.
- Il passato è l’unico posto in cui ho vissuto.
Quando anche l’eco di questa risposta svanì dalla sua mente, il più forte sovrano di Sylune si costrinse ad ignorare l’accenno di frustrazione che l’aveva colto nel riconoscere ancora una volta quanto il suo alleato potesse risultargli incomprensibile, in modo da poter introdurre il motivo principale di quella conversazione.
- Allora forse potrò distrarti da simili pensieri. Sei pronto a scendere in campo al mio fianco?
Un bagliore di vita illuminò gli occhi del giovane Oscuro, cancellando lo sguardo spento con cui fino a quell’istante aveva fissato l’aria dinanzi al suo volto.
- Che genere di nemico sarebbe tanto pericoloso da richiedere la mia presenza?
- Dovresti saperlo, Kyzler. Credo sia giunto il momento di lasciarmi alle spalle chi non è fidato.
- Quale dei tuoi alleati desideri eliminare? – chiese ancora l’albino, con una vena di aspettativa nella voce priva di ogni apprensione - Forse entrambi?
Daygon sorrise.
- Non posso privarmi sia di Lotar che di Sawhanna, non ancora. Ma presto relegherò entrambi nelle tenebre.
- Pensi di riuscire a governare Sylune unicamente con il mio supporto?
- Ho anche Devil al mio fianco.
La replica sommessa del giovane non si fece attendere.
- È umano. Non ti basterà il suo aiuto per mantenere viva la Fiamma Nera. Anche se gli hai fatto dono della magia, resta una creatura estranea ad essa, non possiederà mai i nostri poteri.
- Per questo tu cercherai l’Alher che ha ucciso Ghedan e mi porterai la sua magia. – gli disse l’Oscuro più vecchio, con un tono autoritario che non sarebbe stato possibile scambiare per una semplice richiesta - I tuoi poteri superano di gran lunga quelli di Lotar e Sawhanna, non ti sarà difficile arrivare alla tua preda prima di loro.
Per la prima volta dall’inizio di quella conversazione, la voce di Kyzler assunse una sfumatura sorpresa.
- Per quale motivo allora li hai incaricati dello stesso compito che mi stai affidando?
- In questo modo saranno troppo impegnati a ricercare l’Alher per complottare contro di me. – replicò il suo interlocutore, con appena un velo d’ironia - Sono convinto inoltre che su Sylune ci sia almeno un altro possessore della magia, oltre a noi Oscuri ed all’assassino di Ghedan, e desidero averlo al più presto nelle mie mani.
L’albino rimase un istante in silenzio, all’inseguimento di un dubbio che lo tormentava da quando aveva provato a percepire i tre ribelli, ricavandone una strana sensazione di familiarità.
- E se non fosse un Alher? – chiese poi, prima di abbassare ulteriormente la voce con cui parlava nella mente di Daygon - O se lo… riconoscessi?
- I miei ordini non cambierebbero.
I lineamenti del giovane Oscuro ebbero un guizzo improvviso.
- Mi stai chiedendo di uccidere un Etereo?
- Non sarebbe la prima volta, Kyzler. – replicò dolcemente il signore di Sylune - Le tue mani sono impregnate del sangue del tuo popolo fin da quando eri un bambino.
Attese invano una risposta dal suo giovane alleato, ma il silenzio all’interno della sua mente era tanto profondo ed assoluto da fargli dubitare per un istante di avere ancora un collegamento con lui. Una ruga infastidita comparve sulla sua fronte per quell’inaspettato indugio da parte di chi gli aveva sempre obbedito senza alcuna obiezione, poi il suo sguardo severo venne mitigato dall’ombra di un sorriso.
- Vorresti forse ribellarti a me? - la voce venata di blando divertimento con cui gli si era rivolto assunse un’accezione di velata minaccia - Io ti ho reso ciò che sei, Kyzler, te ne sei dimenticato?
- No, questa è l’unica cosa che non potrei mai fare. – rispose lui, con uno strano tono di voce in cui s’intrecciavano gli echi di mille emozioni.
- Allora, sei pronto ad obbedire ai miei ordini e portarmi la magia che ti ho chiesto?
L’albino chinò il capo in un silenzioso segnale di sottomissione, prima di volgere un’ultima volta lo sguardo al cielo, con gli occhi nuovamente spenti in cui si riflettevano i gelidi bagliori delle stelle lontane.
- Sì, maestro.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: Sussurri nella notte ***


Ancora grazie ad Animor94 per il commento!




-Capitolo 2: Sussurri nella notte-


Kilik stiracchiò le membra esauste, lasciandosi andare a uno sbadiglio che risuonò nitidamente nella stanza, divenuta silenziosa ormai da diversi minuti. A dispetto dell’energia di cui faceva inconsciamente sfoggio ad ogni occasione, Sky era stata vinta dalla stanchezza poco dopo essersi seduta più comodamente sul suo letto e aveva chiuso gli occhi quasi senza accorgersene, una volta terminata la loro discussione. La guardò con un sorriso, riconoscendo nei suoi lineamenti distesi la tranquillità tipica di un sonno profondo, privo di incubi o preoccupazioni, e per un istante lo colse la tentazione di seguirla in un riposo assoluto, in cui finalmente ogni suo pensiero si sarebbe spento nel nulla, senza più assordargli la mente esausta; tuttavia aveva ancora una faccenda di cui occuparsi, un compito urgente che non avrebbe potuto rimandare alla notte successiva.
Attento a non svegliare l’amica, si stese accanto a lei, troppo spossato anche solo per pensare di andare in un’altra camera, in modo da lasciarle l’intimità di un risveglio solitario. Poi chiuse gli occhi e si concentrò per trovare Viridian.
Sapeva come arrivare alla buia prigione in cui l’Eterea si era volontariamente rinchiusa per evitare la cattura da parte degli Oscuri, ma, quando provò a raggiungerla, un’altra percezione gli sconvolse la mente, aggredendola con una collera di cui mai aveva sperimentato l’uguale. Rimase immobile, congelato da quell’urlo dal timbro irriconoscibile, furioso come il cielo in tempesta, che parlava con l’idioma di un odio ormai al di là di ogni freno o perdono, inneggiando al sangue e alle morti, alla devastazione e alla rovina.
Stordito da una simile violenza, provò a guardarsi attorno alla ricerca della fonte di quella voce che possedeva l’inconfondibile impronta della magia, mentre il desiderio quasi palpabile di annientare ogni cosa lo trafiggeva con un’intensità insostenibile, costringendolo a combattere con tutte le sue forze per non soffocare nell’odio smisurato da cui era avvolto.
L’istante successivo, prima ancora che riuscisse a scoprirne la provenienza, quel suono terribile e disumano scomparve senza lasciare tracce.
Senza fiato, l’Etereo si ritrovò a vagare nel limbo creato dalla sua stessa coscienza, il respiro affannoso per quel potere che lo aveva assalito senza il minimo preavviso e l’animo invaso dal timore mai sopito di venire scoperto e poi catturato dai suoi nemici, come già era successo al suo gemello.
Abbassò un attimo le palpebre per recuperare la calma, poi si lasciò guidare verso il luogo in cui si trovava l’amica, seguendo la debole percezione subentrata a quell’attacco improvviso, una familiare traccia di potere che gli sarebbe risultata impossibile da rintracciare se già una volta non l’avesse scoperta per caso.
Non appena si materializzò all’interno della cupa prigione, aprì gli occhi per guardarsi attorno, pronto al fato che lo attendeva. Sapeva quanto fosse pericoloso vagare con la mente nella dimensione onirica in cui si rifugiava durante il sonno, in particolar modo dopo aver richiamato l’attenzione dei suoi nemici con l’assassinio di Ghedan, e forse ad attenderlo in quella stanza illuminata a stento dalla luce di una candela non ci sarebbe stata Viridian, ma un Oscuro.
In quel secondo d’incertezza fece appena in tempo a scorgere i suoi lineamenti stravolti dall’ansia prima di essere avviluppato in un abbraccio che quasi gli tolse il respiro.
- Ti aspettavo. – mormorò la ragazza, rivelando la propria ansia con il tremito della voce e del suo stesso corpo.
Lui la cinse a sua volta, la guancia premuta contro i suoi capelli e gli occhi chiusi, per meglio assaporare quel momento di sollievo.
- Scusa se ho tardato.
- Sky…? – chiese l’Eterea, dopo qualche secondo di silenzio, senza il coraggio di terminare la propria domanda.
Il mago si permise un debole sorriso di rassicurazione.
- Sta bene. – la strinse a sé con forza, per ribadire una risposta da cui sperava di attingere un po’ di tregua dal rimorso che gli torturava il petto - Stiamo tutti bene.
Rimasero abbracciati in silenzio per un tempo quasi infinito e solo quando Kilik sentì qualcosa di umido bagnargli i vestiti e il collo si rese conto che l’amica non era riuscita a trattenere il pianto; prima di dargli l’opportunità di confortarla, tuttavia, lei si staccò bruscamente dal suo abbraccio, spinta dall’urgenza di esprimere a voce alta la speranza che le bruciava le labbra.
- Ce l’avete fatta? L’avete ucciso?
Il mago annuì.
Finalmente fu libero di studiare le condizioni dell’Eterea, ritrovando nel suo volto pallido e scavato il tormento dell’attesa e l’onnipresente paura di venire scoperta da Daygon, i segni della sua logorante prigionia in una dimensione puramente onirica; tuttavia i suoi occhi cerchiati e lucidi per le lacrime appena versate erano animati da una nuova luce, che durante la sua ultima visita non c’era.
- Raccontami tutto. – gli chiese, la voce che portava ancora gli echi del suo sfogo, ma pervasa da un’eccitazione quasi palpabile, mentre si accomodava sul gelido pavimento della stanza.
Kilik si sedette accanto a lei.
- È stata più dura di quanto pensassi. – mormorò, rivelando il piano con cui, assieme a Sky e Rafi, era riuscito a introdursi nel castello dell’Oscuro.
La sua voce sicura cominciò a vacillare non appena giunse a parlare del proprio tentativo di interrogarlo per ottenere delle informazioni su Kohori e di come avesse miseramente fallito, senza il coraggio di sollevare lo sguardo da terra.
Viridian non lo interruppe mai, ma gli appoggiò la mano sull’avambraccio in una timida carezza per dimostrargli la sua comprensione, senza spostarla per tutta la durata del suo racconto.
- Ci siamo salvati per un soffio. Se non fosse stato per Rafi adesso io e Sky saremmo due cadaveri. – concluse lui con durezza, quasi desiderasse risvegliare il rancore dell’amica nei propri confronti.
- Non devi colpevolizzarti, Kilik, si trattava di tuo fratello. E poi almeno adesso sapete molte più cose sugli Oscuri.
- Questo è vero – acconsentì, il biasimo rivolto verso se stesso momentaneamente soppiantato da un’espressione riflessiva – Sembra quasi che la loro magia non dipenda in alcun modo dalla salute del loro corpo. Però sono mortali. – aggiunse con un sorriso.
Lei lo ricambiò cautamente, manifestando nel suo sguardo il contrasto tra la paura di affidarsi a una simile scoperta, a cui ancora non sapeva se poter credere del tutto, e la neonata speranza che ci fosse davvero la possibilità di sconfiggere i sovrani di Sylune e salvare il suo popolo.
- Tu stai bene? – le chiese all’improvviso l’amico, lo sguardo costernato da cui si evinceva chiaramente il suo senso di colpa per non averle posto prima una simile domanda.
- Uno degli Oscuri mi ha scoperto.
Il volto di Kilik si velò di preoccupazione, mentre ripensava alla scarica di collera e magia che l’aveva aggredito meno di un’ora prima.
- Chi? Daygon?
La ragazza scosse la testa.
- Se mi avesse scoperto lui non sarei qui a parlarti. Si trattava di un altro dei Cinque Re. – trasse un sospiro, come se la frase successiva le risultasse in qualche modo dolorosa – E io lo conoscevo.
- Tu cosa?! – esclamò l’Etereo, certo di aver frainteso le sue parole.
Si alzò in piedi di scatto, ma la debolezza che fino a quel momento era rimasta sopita in un angolo della sua mente lo invase al punto da farlo barcollare.
Subito la ragazza fu al suo fianco, pronta a sostenerlo, con il volto pervaso dall’ansia.
- Stai male?
- Non preoccuparti. – rispose lui, sentendo a malapena la propria voce – Adesso… ho bisogno di riposare.
Maledì silenziosamente lo sfinimento che minava la sua concentrazione proprio nell’attimo in cui l’amica aveva espresso una rivelazione tanto importante, lottando invano contro il drappo di oscurità che stava ottenebrando i suoi sensi; avrebbe desiderato rimanere ancora a lungo in compagnia di Viridian, per ascoltarla e poi parlarle dello strano comportamento della propria magia e di quello che era successo nei sotterranei di Ghedan, certo di poter contare sulla sua comprensione, ma ormai era allo stremo.
Accadeva raramente, tuttavia, quando uno della sua razza si stancava a tal punto da non riuscire nemmeno a crearsi un ambiente dove poter riposare, l’unica alternativa risiedeva in uno stato di completo torpore, in cui anche i pensieri venivano soppressi per dare la possibilità alla mente di recuperare le energie e ciò che rimaneva della consapevolezza di sé erano poche e sporadiche intuizioni, per la maggior parte prive di ogni razionalità.
Era la prima volta che a Kilik capitava una simile sensazione, sebbene ne avesse già sentito parlare; molto diversa dalla totale incoscienza in cui era precipitato diversi giorni prima, quando era stato colpito e poi catturato dai soldati dell’Impero, questa caduta verso il nulla lo spaventava con una sgradevole percezione di oblio senza fine, che avrebbe dovuto sopportare immerso in un vuoto tinto di tenebre.
Con un’ultima ribellione contro la spossatezza che lo stava lentamente sopraffacendo, poggiò una mano sulla spalla di Viridian e la strinse come se fosse il suo ultimo appiglio per la salvezza.
- Tornerò… una di queste notti. – riuscì a mormorare, mentre il volto preoccupato dell’amica cominciava a divenire un’indistinta macchia di colori.
Gli sembrò di vederla annuire e muovere le labbra in quello che avrebbe potuto essere un saluto, poi tutto divenne nero attorno a lui.



L’aveva atteso per giorni interi, dopo che gli Oscuri avevano continuato le loro conquiste, espugnando le più grandi e potenti città di Sylune, con un’inarrestabile avanzata, intrisa di sangue e violenza, a cui nessuno pareva avere il potere di opporsi apertamente. L’aveva atteso in silenzio, con una trepidazione generata in pari misura dall’orgoglio e dal timore, inspiegabilmente fiero di una consapevolezza che avrebbe sconvolto la sua vita, chiedendosi silenziosamente se sarebbe stato in grado di esprimere a parole la risposta che si era già incisa nella sua mente. E, infine, il momento in cui avrebbe dovuto scegliere quale fazione sostenere era arrivato.
I Protettori erano giunti nel suo villaggio alle prime luci dell’alba, capeggiati da Lux in persona, tre combattenti a cavallo di cui uno solo, l’indiscusso comandante di quel piccolo gruppo, portava l’armatura.
Prima di soffermarsi su di lui, ormai da mesi il simbolo stesso della speranza, lo sguardo di Beck era stato catturato dai due ribelli che lo accompagnavano. Pur non avendoli mai incontrati, li conosceva di fama: l’abile spadaccina che non si era mai piegata dinanzi a un uomo e la sua muta guardia del corpo, due mercenari apparentemente invincibili in un mondo in cui la vita era effimera quanto un battito di ciglia e le morti si susseguivano troppo rapide per poter essere conteggiate.
Grazie alla sua capacità di discernere il valore di un guerriero sconosciuto con una rapida occhiata, nata in pari misura dall’istinto e dall’esperienza, gli era parso subito evidente che le voci sul loro conto fossero fondate. I loro fisici allenati e muscolosi, lo sguardo inespressivo, tipico di chi preferisce non rivelare le proprie mosse, la confidenza con cui poggiavano la mano sull’impugnatura della loro arma, in maniera quasi inconsapevole, erano solo alcuni, tra i particolari di cui aveva mentalmente preso nota, che li qualificavano come avversari di tutto rispetto.
La sua attenzione si era poi rivolta al terzo visitatore, un uomo di media statura, con i lunghi capelli castani lasciati sciolti sulle spalle e il corpo robusto e scattante di uno spadaccino coperto da un’armatura bianca, che non nascondeva i segni di numerose battaglie ma appariva stranamente lucida e pulita.
- Gli Oscuri hanno invaso una nuova città. – aveva commentato il Protettore senza alcun preambolo, le sue prime parole dopo il breve saluto che si erano scambiati.
Beck aveva faticato non poco per sostenere il peso del suo sguardo, comprendendo subito come quell’uomo fosse riuscito a riunire sotto di sé la maggior parte dei ribelli e a trovare il coraggio di sfidare i dominatori di Sylune con il solo acciaio della sua spada: c’era qualcosa nei suoi occhi, un’incrollabile determinazione che non offuscava in nessun modo la loro limpidezza e rispecchiava una giustizia priva di esitazioni, dandogli la certezza che lui avrebbe continuato a lottare anche se fosse rimasto l’unico uomo a ergersi contro la magia dei Cinque Re.
La propria replica, l’unica risposta che avrebbe potuto dargli, gli era affiorata alle labbra senza alcuna esitazione, ma pronunciarla era stato più difficile di quanto avesse ritenuto, disegnando una smorfia sul suo volto al suono cinico e indifferente della propria voce.
-
Non è un mio problema.
- Ma lo sarà presto. Per quanto credi possa durare questa tua fuga dalla realtà? Gli Oscuri stanno conquistando tutta Sylune, non si fermeranno certo davanti al tuo villaggio.
Il tono conciliante e pacato del Protettore l’aveva sorpreso, mitigando appena il significato delle sue parole, di cui lui stesso conosceva la fondatezza.
- Lo so. Però fino a quel momento desidero vivere in pace.
Nel sentire questa risposta, la donna gli aveva lanciato uno sguardo gelido, prima di rivolgersi al suo capo.
- Comandante, è inutile rimanere a discutere, lui non è come noi.
Beck si era irrigidito d’istinto per l’insinuazione nascosta dietro il suo commento.
- Non sono un codardo, se è questo che intendi. – aveva replicato, imprimendo alla propria voce una nota di minaccia.
Per quanto se lo fosse aspettato, l’aveva ferito la consapevolezza che lo considerassero un semplice vigliacco, senza comprendere le ragioni alla base della sua scelta, ragioni che aveva vagliato senza sosta per giorni interi, fino a esserne ossessionato, per poi giungere a quell’inevitabile risposta.
Si era soffermato sul volto indurito dalle battaglie della mercenaria, troppo orgoglioso per provare a spiegarle le proprie motivazioni, in attesa di una sua replica, ma, sorprendendo entrambi, era stato Lux a prendere la parola.
- Erian non intendeva offenderti, sappiamo bene che non temi la morte. È il sacrificio che ti manca, Beck, il coraggio di cancellare ogni legame, di rinnegare ogni emozione. Solo rinunciando a queste debolezze si può percorrere il passo che separa un guerriero da una leggenda. – sul suo volto era comparso un inaspettato sorriso velato di amarezza, che lo aveva invecchiato di parecchi anni, offuscando per un attimo l’innegabile fierezza dei suoi tratti - È per questo che è tanto difficile diventare degli eroi. – aveva poi concluso, con una sfumatura d’ironia rivolta a se stesso.
Beck era rimasto a fissarlo in silenzio, riconoscente per la sua comprensione e allo stesso tempo turbato per ciò che aveva lasciato trapelare; per la prima volta aveva visto in lui non un incrollabile guerriero, ma un semplice essere umano, con le sue debolezze e i suoi rimpianti.
- Tu l’hai compiuto, questo passo? – si era poi ritrovato a chiedergli, senza riuscire a trattenere la propria curiosità, mentre si domandava silenziosamente chi fosse stato l’uomo che aveva di fronte, prima di prendere l’identità di capo dei Protettori e assumersi la responsabilità della salvezza di tutti loro.
- Non si può combattere contro gli Oscuri se si ha paura. – era stata l’inespressiva replica del ribelle, pronunciata come se non avesse potuto rispondere diversamente.
Lui aveva scosso la testa.
- Tu sei un eroe, Lux. Ma io sono solo un buon guerriero, che ama la pace e desidera proteggere a ogni costo il proprio villaggio.
- Presto o tardi verranno anche gli Oscuri a richiedere i tuoi servigi. Accetterai la loro proposta?
- Se questo servisse a salvare la mia gente, sì. – aveva replicato Beck, senza esitazioni, nonostante comprendesse quanto fosse rischiosa una simile risposta; rispettava troppo il capo dei Protettori per mentirgli.
Come se avesse intravisto i suoi pensieri, Lux gli aveva sorriso.
- Dovrei ucciderti adesso, solo per il pericolo che potresti rappresentare per noi, ma non sono un assassino.
Gli era bastato un cenno rivolto ai due mercenari per annunciare il congedo che avrebbe poi espresso a parole.
- Addio Beck, spero davvero che tu riesca a mantenere questo sogno di pace in un mondo flagellato dalla guerra.
Il gigantesco guerriero era rimasto immobile, schiacciato dalla scelta che lui stesso aveva appena effettuato.
Aveva rifiutato di prendere parte ad una lotta per cui non si sentiva pronto, troppo egoista per permettersi di perdere ogni legame instaurato durante la sua esistenza, troppo debole per rischiare delle vite che non gli appartenevano, e nel momento in cui aveva visto Lux dargli le spalle era stato colto dall’amaro presentimento di aver deciso in maniera irrevocabile il proprio destino.
- Addio, comandante. – aveva mormorato, lasciando che un velo di rimpianto si posasse sui suoi lineamenti.
L’aveva seguito con lo sguardo fino a quando era scomparso all’orizzonte, una figura di gran lunga meno imponente del mercenario che lo scortava, ma dotata di una sicurezza e un’eleganza in ogni suo gesto tanto palesi da catalizzare su di sé ogni attenzione.
Nemmeno quando aveva percepito un’altra presenza uscire dalle stradine del suo villaggio per raggiungerlo, aveva distolto gli occhi dalla fitta boscaglia in cui era scomparso il capo dei Protettori.
- Quello era Lux, vero? – aveva chiesto una voce profonda, dal timbro simile al suo ma meno controllato.
Lui aveva assentito senza voltarsi. Gli era bastato udire i suoi passi per riconoscere senza ombra di dubbio l’uomo che era comparso al suo fianco.
- Perché non ti sei unito a loro?
Non gli aveva nemmeno domandato quale fosse il motivo della loro visita; sapevano entrambi quale interesse potesse aver portato i ribelli in un villaggio all’apparenza tanto insignificante.
- Sai bene che se mi unissi ai Protettori la nostra gente subirà l’ira degli Oscuri. – aveva replicato Beck, girandosi infine a fissarlo. Si era ritrovato a fronteggiare un uomo entrato solo da pochi anni nell’età adulta, meno imponente di lui, pur dotato di una corporatura superiore alla media, con gli occhi identici ai propri socchiusi in uno sguardo chiaramente ostile.
La stessa espressione che si era visto rivolgere quando, nei mesi precedenti in cui la guerra aveva lambito le terre attorno al suo villaggio, aveva proclamato la propria neutralità.
- Nobiltà d’animo? È sotto queste spoglie che nascondi la tua codardia? – lo aveva accusato il giovane.
Una fuggevole amarezza si era incisa sui lineamenti del guerriero, senza tuttavia trasparire dalla voce decisa con cui aveva risposto.
- Non ho bisogno di giustificare le mie scelte di fronte a te.
- Beck, se non ti unisci ai Protettori lo rimpiangerai. La visita di Lux non sarà certo passata inosservata, hai idea di chi saranno le prossime persone a richiedere i tuoi servigi?!
- Io ho preso questa decisione e io ne pagherò le conseguenze.
- E come reagirai quando gli Oscuri busseranno alla tua porta?! Un tempo ti ammiravo. Non deludermi adesso.
Beck gli aveva appoggiato una mano sulla spalla, un piccolo gesto con cui aveva cercato di risanare la frattura che si era generata tra loro da quando si era rifiutato di prendere attivamente parte ai conflitti su Sylune.
- Posso sopportare il pensiero di deluderti. Ma non metterò mai in pericolo la mia gente. – aveva lasciato scorrere lo sguardo sulle piccole case che costellavano il prato alla sua destra, prima di riportarlo sul giovane uomo di fronte a sé, e i suoi occhi si erano impercettibilmente addolciti – Per me non esiste nulla di più importante di te e del villaggio. Ricordatelo, Ryon.


Beck spalancò gli occhi all’improvviso.
Trasse un profondo respiro per dissipare le ultime immagini del sogno, alla ricerca dei familiari contorni della sua stanza nel castello di Daygon, ma quel poco che riusciva a intravedere attraverso la debole luce della luna gli risultava completamente sconosciuto.
A qualche metro di distanza poteva percepire le stesse voci sommesse che lo avevano strappato al dolce riposo, troppo flebili per sentirle distintamente attraverso la confusione da cui era avvolta la sua coscienza. Anche il suo corpo, pur intorpidito dall’oblio in cui era scivolato la notte precedente, gli sembrava più pesante del normale, pervaso da un disagio di cui non si capacitava, che lo spinse ad abbassare nuovamente le palpebre. Rimase immobile nell’oscurità, mentre quella blanda impressione di fastidio si acuiva fino a squarciare i suoi sensi, ovattati da qualcosa di più sfiancante della semplice stanchezza, con una vivida fiammata di dolore. E allora non ci fu più il sonno, né lo stordimento del risveglio, e lui ricordò ogni cosa.
Si morse le labbra nel riconoscere le brucianti fitte che s’irradiavano dalla ferita alla spalla lungo tutti i suoi nervi con un’intensità quasi insostenibile, ma attese ancora ad aprire gli occhi e muoversi, in modo da non dare alcun segno del suo essere cosciente.
Per un istante, nel percepire la voce maschile a pochi metri da lui, lo attraversò il timore che i soldati di Mizar l’avessero trovato. Trattenne il respiro, chiedendosi silenziosamente se avrebbe avuto la forza di combattere o scappare, nel caso si fosse rivelato necessario; tuttavia gli fu sufficiente prestare più attenzione alle parole incollerite che sentiva provenire dalla stanza attigua e alle repliche appena percettibili, dal timbro indiscutibilmente femminile, per comprendere che si trattava dei suoi salvatori, impegnati in un aspro litigio.
Reprimendo la debolezza e il desiderio di riposare ancora, tese le orecchie, nel tentativo di scoprire quale fosse la causa del loro scontro.
- Devi dimenticarti di lui! – sentì esclamare il giovane somigliante a Ryon, il cui tono smorzato veniva però compensato dal velenoso rancore di cui era imbevuta ogni sua parola.
- Tu non puoi capire. – mormorò la donna, con una calma quasi irreale se confrontata con l’impeto irato del fratello.
- Cosa dovrei capire, Hylean? Ti ha abbandonato dopo essere riuscito a infilarsi nel tuo letto, lasciandoti incinta e con il cuore in frantumi.
- Lui non ha mai promesso di amarmi, ha sempre detto che si sarebbe fermato nel villaggio solo per qualche mese. E poi non sapeva di Siran.
- Perché, credi forse che la sua nascita avrebbe significato qualcosa per uno come lui? Gli assassini a pagamento sono feccia della peggiore specie, una bambina, seppur con il suo stesso sangue, non l’avrebbe di certo cambiato. E nemmeno tu.
- Adesso basta, Natiel! Non tollero che parli in questo modo del padre di mia figlia! – replicò la donna, alzando la voce per la prima volta da quando era cominciata la discussione.
Il fratello accusò le sue parole senza alcun cedimento, ugualmente in collera.
- E invece devi guardare in faccia la realtà, Hylean! Quello era un uomo che ha ucciso. Un assassino. E adesso, per ottenere delle informazioni che lo riguardano, hai scelto di ospitare un guerriero che potrebbe essere ancora più pericoloso.
- Era un Protettore, non un assassino!
- Questo è quello che ti ha detto lui! Hai il cuore troppo tenero, sorella. Non capisci che raccontarti il suo desiderio di diventare un Protettore è stato semplicemente il modo più rapido per infilarsi nel tuo letto?!
Le successive parole della giovane rivelarono un accenno di sorriso, nella loro pacata dolcezza.
- Ti sbagli. Nonostante non mi avesse mai nascosto il suo passato, mi ha rivelato le sue intenzioni e la sua meta solo quando ormai stava per partire e mentirmi non sarebbe stato di alcuna utilità. Sarebbe andato a Hoken, per chiedere a Lux di accettare i suoi servigi. Era pronto a rischiare la vita per salvare Sylune, io lo so, ho visto il suo volto mentre me ne parlava. – la sua voce si spezzò all’improvviso, prima di risuonare nuovamente nella stanza con una nota d’incrollabile sicurezza. – E dovresti almeno perdonarlo, per questo.
Il fratello scosse la testa.
- Non posso. – mormorò, sentendo suo malgrado una vena di disperazione insinuarsi nelle sue parole – Non dopo quello che ti ha fatto.
L’istante successivo parve ritrovare la propria compostezza e il suo tono tornò gelido come al principio della discussione.
- Domani dobbiamo trovare un modo per disfarci di questo sconosciuto. Se tu sei pronta a rischiare la tua vita per ricevere delle informazioni, io non lo sono.
- Non ti obbligherò certo ad aiutarmi a curarlo, ma non ho intenzione di lasciarlo morire. – commentò lei, trasudando indignazione a ogni sillaba.
- E per un uomo che nemmeno conosci sei disposta a mettere in pericolo anche Siran? – le chiese Natiel, lasciandola momentaneamente incapace di replicare – Adesso vado a dormire, ti consiglio di fare lo stesso. – aggiunse dopo qualche istante di silenzio.
Beck sentì i passi del giovane che si allontanavano, mentre la sorella si lasciava sfuggire un singhiozzo, subito soffocato dalle sue stesse mani.
La stanchezza stava richiedendo il suo pegno al suo corpo esausto, ma, prima di abbandonarsi nuovamente ad un sonno ristoratore, registrò con cura le informazioni ricavate da quella conversazione, soffermandosi con particolare attenzione sulle ultime battute. Solo grazie all’aiuto della giovane donna che aveva insistito per portarlo nella sua casa avrebbe potuto avere qualche speranza di salvarsi e adesso, dopo aver ascoltato le sue accorate repliche alle accuse del fratello, aveva appena trovato il mezzo più semplice per guadagnarsi la sua fiducia.

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