Niente di particolare

di Leliwen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un posto per pensare ***
Capitolo 2: *** Alfa ***
Capitolo 3: *** Chi trova un amico ***
Capitolo 4: *** Il branco ***
Capitolo 5: *** Odore di sangue ***
Capitolo 6: *** Rinforzi ***
Capitolo 7: *** Il nemico del mio nemico è mio amico ***
Capitolo 8: *** Tentativi di spiegazione ***
Capitolo 9: *** Ricerche e racconti ***
Capitolo 10: *** Torniamo alla normalità? ***
Capitolo 11: *** Il compagno. ***
Capitolo 12: *** Derek e Stiles ***
Capitolo 13: *** Resta ***
Capitolo 14: *** Come corteggiare un ragazzino ***



Capitolo 1
*** Un posto per pensare ***


ATTENZIONE! SPOILER 2° STAGIONE!


Capitolo I
Un posto per pensare

Derek lo guardò andare via. Peter gli rimase accanto, Isaac era a pochi metri da loro.

Ma lui si sentì solo, come era destinato a rimanere, del resto.

"Ha detto di non voler far parte del tuo branco."

La voce di Peter era un coltello che affondava nelle sue carni. Seducente e letale.

"Lo so."

Chiuse gli occhi per un istante assaporando la propria sconfitta, odorando il sapore dell'abbandono.

"Ha detto che vuole un Alfa, ma non te."

Bloccò il viso nella solita maschera, lasciò che fosse la rabbia – quella rabbia perenne verso se stesso – a indurirgli i lineamenti. Non doveva – non voleva – mostrarsi debole, né scoprire le proprie carte, ma con Peter era dannatamente difficile.

"So anche questo."

Isaac li osservava, i suoi occhi enormi e carichi di dolore e comprensione erano fissi sulla sua schiena. Poteva sentirne il calore, fuoco che gli ardeva il corpo.

Peter sembrava non essere interessato alla sua presenza: probabilmente lo riteneva innocuo o inoffensivo.

"E pensi di fare qualcosa in merito?"

"Del mio meglio, come sempre."

"Vuoi lui, ma non vuoi me. Posso sapere perché?"

Cambio di argomento. Repentino. Dal parlare di Scott al rivangare il passato. Un salto da capogiro.

Un sorriso storto, amaro, pieno di rimpianti e di non detti incurvo le labbra serrate.

"Se te lo dicessi saresti tu a non voler rimanere."

Aveva mantenuto un tono incolore, nessuna emozione, eppure sentiva Isaac tremare, probabilmente consapevole del suo dolore. L'aveva creato lui, dopotutto, e lui non se n'era andato come tutti gli altri. Non poteva nascondergli certe cose.

"Non credi sia giunto il momento di liberarti la coscienza?"

"Smettila di psicoanalizzarmi." si voltò verso lo zio, incontrando così gli occhi enormi di Isaac "Vuoi un motivo per andartene? Ce ne sono a centinaia: il primo è che non mi fido di te e tu non ti fidi di me; il secondo è che sono assetato di potere quasi o forse più di quanto non fossi tu; terzo tu hai più carisma di quanto non ne potrò mai avere io. Davvero hai bisogno di qualcosa di più?"

"Credi davvero a quello che hai detto?"

Per la prima volta sentiva la voce di Peter quasi... paterna; per la prima volta sembrava veramente preoccupato.

Non gli rispose, si limitò a lasciare che l'altro scrutasse nelle sue iridi, viaggiasse nei suoi occhi e trovasse da solo le sue risposte. Peter finì per scrollare la testa, sconsolato.

"Non ti libererai di me tanto facilmente. Ma è evidente che hai bisogno di tempo per riflettere sul da farsi. Vedi di decidere in fretta: Gerard potrebbe essere ancora vivo, il branco degli Alfa s'è fatto vicino e i tuoi due fuggitivi potrebbero finirci in mezzo. Scott potrebbe addirittura decidere di entrare a farne parte, e tu sai cosa comporterebbe. E cerca di capire cosa farne di Lydia e Jackson."

Girò sui tacchi e se ne andò, salutando Isaac con un gesto della mano.

Il ragazzo aspettò un paio di lunghissimi minuti prima di aprire bocca, ma Derek lo prevenne.

"Peter è in grado di far cantare anche un muto, quindi no, non ti dirò nulla."

"Capisco, ma non cercare di fare sempre il supereroe. È per questo che Boyd ed Erica hanno deciso di andarsene."

"Ci sono cose che sono una mia responsabilità, non le posso scaricare sulle spalle di qualcun altro. L'ho capito con Jackson: io l'ho abbandonato e lui è divenuto un Kanima nelle mani prima di Matt e poi di Gerard. E la sola cosa cui io ho pensato è stato a come farlo fuori. Dovevo uccidere Peter, dovevo divenire un Alfa, ma non sono mai stato preparato per questo compito."

Isaac gli si avvicinò, la testa leggermente inclinata metteva in evidenza la linea pronunciata della mandibola, la piega triste delle sue labbra. Era un mistero, Isaac. Un mistero dolce e forte, debole e amaro. Quando aveva scoperto di potersi fidare di lui s'era sentito sollevato ed atterrito: un errore – dirgli troppo, o troppo poco, affidarsi completamente a lui o lasciarlo del tutto da parte – e avrebbe potuto distruggerlo irrimediabilmente, quanto suo padre non era mai riuscito a fare.

Il sorriso che gli riservò sapeva di comprensione, rendendolo tremendamente bello.

"È per questo che ci siamo noi, non trovi?"

Derek chiuse gli occhi.

"Cerca di capire se Erica e Boyd stanno bene. Nel caso t'imbattessi nel branco degli Alfa, mostrati sottomesso e torna indietro, non affrontarli per nessun motivo."

"Se trovo Erica e Boyd li riporto indietro?"

"No. Dì loro di non cercare gli Alfa, che un gruppo numeroso è pericoloso. Ricorda loro quali sono le regole per non attirare gli Argent e gli altri cacciatori. Dagli questi."

Gli allungò una mazzetta di soldi stretta da un laccetto bianco e Isaac sgranò quegli occhi profondi a rendersi conto di quanti soldi fossero.

"Non posso fare più di così. Loro sono un'altra mia responsabilità, non posso lasciarli completamente in balia del destino."

"Sai Derek, sarebbe bello se anche gli altri vedessero il tuo lato umano, ogni tanto."

Le labbra dell'Alfa si stirarono in un sorriso morbido, così raro da vedere che Isaac trattenne il fiato, per cercare di assorbirlo tutto, in ogni sua sfumatura.

"Vattene Isaac, prima che decida di farti a brandelli."


Per quale motivo avesse raggiunto la catapecchia bruciata degli Hale era un mistero. Voleva pensare a tutto quello che era successo e le sue mani avevano condotto la jeep proprio lì. Derek gli aveva detto che per qualche tempo la casa era stata presa di mira dagli Argent e che quindi non andava più bene come quartier generale – anche perché col branco allargato quelle quattro mura bruciate sarebbero crollate presto – quindi si aspettava di non trovarci nessuno.

Invece Derek era lì.

Fortuna sfacciata la sua.

"Scott e Allison si sono lasciati." gli riferì senza un vero motivo dopo pochi secondi di silenzio.

"Vorrei l'avessero fatto prima."

Non s'era mosso di un millimetro, seduto sul gradino sgangherato davanti al portone d'ingresso, i gomiti poggiati sulle ginocchia, le spalle leggermente curve come piegate da un peso immenso.

"Capisco che lei sia una vostra arcinemica – o qualcosa di simile – ma non ti pare di essere un po' troppo tragico?"

"Stiles. Hai la pretesa di aver letto tutto sui licantropi, sui mannari, sui mutaforma e non sai la cosa più banale?"

"E sarebbe?"

"Siamo lupi."

"Sì, è evidente."

"I lupi hanno un compagno per la vita. Uno, non dieci, non venti, non due. Uno."

"E se Allison è quello di Scott..."

"O torneranno insieme o Scott rimarrà solo per tutta la vita. Ecco perché non volevo che stessero insieme."

"È destino?"

"Non lo so. È chimica, credo. È trovare un cuore che batte come il tuo, un'immagine cui aggrapparti quando la bestia prende il sopravvento. Non ho mai sentito di un cambiamento radicale in tal senso, non dopo il primo amore."

"Anche per te è stato così?"

"Come per tutti."

"Quindi sei stato innamorato... te lo chiedo solo perché Scott era preoccupato per il fatto di vederti sempre solo e che questo sarebbe potuto essere anche il suo destino e quindi mi chiedevo se tu avessi una compagna da qualche parte e se ci fosse perché non fosse qui. Ipoteticamente, s'intende. Non è che passiamo il tempo a parlare di te. Insomma non tutto il tempo, solo quando qualcuno tenta di ucciderci, non so bene perché ma finiamo a parlare di te. Costantemente. Il che è un po' sconveniente, me ne rendo conto. Però non è che possiamo farci molto, sei pur sempre il primo mannaro che abbiamo incontrato. E con cui era possibile provare ad avere una conversazione che non fosse fatta unicamente di ruggiti e ossa che si spezzano. Ecco. Quindi... sei innamorato?"

Derek posò la fronte sulle dita della mano destra. Respiri profondi sembravano tenere a bada la bestia dentro di sé.

"Stiles, lo sai che potresti anche evitare di blaterare tanto?"

"Non hai risposto alla domanda."

Il sospiro di Derek era udibile anche da quella distanza. Ma non sembrava in procinto di farlo a pezzi. Si sorprese comunque quando l'Alfa gli rispose.

"Sì, Stiles, sono stato innamorato. Lei è morta. Sono ancora innamorato di lei."

Stiles si cristallizzò sul posto. Non avrebbe voluto, non avrebbe mai voluto toccare un nervo tanto scoperto. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte prima di riuscire ad articolare uno strozzato "mi dispiace".

Non si aspettava però di vedere la rabbia invadere le iridi verdi, rabbia rivolta non verso di lui ma verso se stesso.

"A me dispiace solo di non averla uccisa con le mie mani."

Stiles fece un salto indietro, come se fosse stato colpito dalla forza di quelle parole – o dalla disperazione che vi si nascondeva – e Derek alzò lo sguardo, puntando i suoi occhi in quelli terrorizzati dell'altro.

"Non tutte le storie d'amore finiscono bene." si giustificò il licantropo scrollando le spalle ed alzandosi da quella posizione scomoda. "Ad ogni modo, com'è che sei venuto qui?"

Stiles si rese conto di non sapere cosa rispondere e di non avere alcuna scusa plausibile – se non addirittura convincente – da rifilargli, salvo poi ricordarsi che i lupi sanno distinguere le bugie. E allora, che la verità venga a galla!

"Volevo pensare."

"E tu per pensare vieni qui?"

"E tu?"

"Mia sorella è sepolta qui."

"Eh?" lo sconcerto sul volto di Stiles durò appena pochi istanti "Oh, giusto." si riprese subito. Era ovvio che lui avesse fatto in modo che lei tornasse a casa. Si mosse lentamente, lo sguardo spaziò per la radura davanti la casa "Per me qui è iniziato tutto questo." spiegò. "Non avrei mai immaginato che potessimo avere qualcosa in comune." sorrise tentando di cacciare il peso che si era annidato nel suo stomaco e la tensione che d'un tratto pareva tagliarsi col coltello.

Derek gli fu alle spalle in un batter di ciglia.

"Perché sei qui?" ripeté.

Stiles rabbrividì ma non si mosse.

"Oggi sono andato ad allenarmi con Scott. Non è stata una buona idea, anche se dubito che lui si sia accorto completamente del mio disagio. È un licantropo." si voltò per fronteggiare quegli occhi verdi, per farli scontrare coi propri e sperare di vincere almeno una volta. "Lui, tu, Jackson... siete licantropi, siete più forti più preparati, più tutto mentre io continuo ad essere me stesso e continuo a far cazzate. E se il Kanima non avesse fatto fuori tutto il distretto di polizia mio padre sarebbe ancora disoccupato per colpa mia e dei miei maldestri tentativi di aiutarvi. E la cosa terribile è che non rimpiango nessuna delle scelte che ho fatto, ma ora... ora non sono sicuro di poterle ripetere. Forse sono più consapevole dei miei limiti, forse l'aver perso definitivamente Lydia – perché non sono un folle, so che quei due ora che si sono ritrovati non si lasceranno mai più e sicuramente non per uno come me – dicevo, l'aver perso Lydia probabilmente ha fatto scemare la mia voglia di mettere in mostra le mie capacità, non ne sono molto sicuro. Al momento mi sembra solo di stare affogando e non c'è nulla, nulla per cui valga la pena cercare di tenere la bocca chiusa, non respirare acqua. Fa male, talmente male da lasciare senza fiato, ma ancora non tanto male da uccidere. E mi ritrovo a chiedermi se non sarebbe meglio abbandonare tutto, lasciare che gli eventi scivolino lontano da me, tornare alla mia normalità invece che affannarmi nel tentativo di respirare appresso a voi. Poi mi rendo conto che la mia normalità non sarà mai più tale perché il mio migliore amico è un licantropo e la ragazza che mi piace dalle elementari sta con un licantropo. Auguri e figli maschi. E io? Come faccio a proteggere me e mio padre da tutto questo? Non posso. La sola cosa che riesco a fare è continuare ad affogare. E non è piacevole."

Gli occhi verdi di Derek per un momento parvero persi. Il suo volto era più pallido del solito e la barbetta incolta sottolineava maggiormente l'incavo delle guance. La sua voce, però, quando spezzò il silenzio, era ferma e salda come sempre.

"Vuoi essere come noi?"

Stiles si allontanò di un passo, gettando le braccia al cielo e ruotando su se stesso. Decisamente frustrato. Se fosse stato un po' più lucido si sarebbe preso a schiaffi da solo: quello non era un comportamento da utilizzare davanti a Derek Hale, lupo mannaro Alfa dalla personalità decisamente borderline.

"Tu non hai davvero capito un cazzo."

"Sembrava fosse ciò che mi stavi chiedendo."

"Derek, l'ho detto a Peter e lo ripeto a te: per quanto la proposta possa essere allettante non ho intenzione di prendere ora una decisione tanto drastica che potrebbe cambiare per sempre la mia vita. Il fatto che tu ci sia nato e che quindi lo ritieni normale non ti facilita il compito di capire la portata del mio no, non sono interessato."

"Peter ti ha offerto il morso?"

Ecco ora, per chissà quale motivo, Derek era furibondo. Stiles si costrinse a rimanere immobile nonostante tutto il suo essere lo stesse pregando di scappare lontano da lì. Racimolò tutto il suo coraggio tentando di minimizzare l'accaduto.

"Storia vecchia."

Stranamente sembrò funzionare. Il mannaro fece un passo verso di lui, osservandolo incuriosito e soppesando le parole per evitare di essere preso nuovamente per deficiente o di esser subissato di parole, parole, parole.

"Allora cosa vuoi?"

"Se lo sapessi pensi sarei venuto qui, a cercare di pensare davanti ad una casa vuota, fatiscente e potenzialmente irta di pericoli mortali? Posso assicurarti che il mio istinto di sopravvivenza è più sviluppato di così."

Derek stava per controbattere quando i suoi occhi divennero improvvisamente scarlatti.

Stiles seguì la direzione del suo sguardo e il panico l'assalì.

Isaac stava trascinando Boyd, decisamente messo male, e aveva in spalla Erica, svenuta.

Sentì il ringhio furioso di Derek riempire la foresta. Quella era, a tutti gli effetti, una dichiarazione di guerra.

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Capitolo 2
*** Alfa ***


Capitolo II
Alfa

L'ufficio del Dottor Deaton non era mai stato tanto affollato come quella notte. Quando Scott arrivò trafelato non poté non spalancare gli occhi: c'erano quattro licantropi nella stanza – cinque se si andava a contare anche lui – e il Dottor Deaton e Stiles sembravano far caso a malapena alla minaccia che li circondava troppo concentrati nel tentativo di bloccare l'emorragia di Erica. Isaac la teneva ferma, nel caso in cui si fosse svegliata e Boyd, seduto in un angolo, era accudito da Derek.

Fu proprio quest'ultimo a distoglierlo dalle sue elucubrazioni, ordinandogli di chiamare Jackson immediatamente. Bastò meno di un'occhiata e un mugolio da parte di Erica per convincerlo a metter mano al cellulare e a scontrarsi col malumore di un Jackson buttato giù dal letto.

Quando chiuse la chiamata notò che Stiles sembrava un morto per quanto era bianco ma col suo olfatto poté giurare che non fosse ferito. Boyd, da terra, emise un suono strozzato quando il suo infermiere strinse forte – molto forte – la benda attorno al suo torace. Mentre si avvicinava al tavolo operatorio per cercare di aiutare, le mani insanguinate di Derek si posarono sulle spalle contratte di Stiles e questi sobbalzò appena.

"Vai a sederti." gli ordinò sussurrando nel suo orecchio con voce calda, bassa, calmante. Non aveva mia sentito prima d'ora quel tono di voce provenire dall'Alfa. Solo in quel momento Scott si rese conto che era Derek a sostenere il suo amico in procinto di svenire "Hai fatto un ottimo lavoro, ora lascia fare a noi."

Stiles reclinò per un istante la testa all'indietro, andando a posarla sulla spalla del licantropo, e respirò profondamente, ad occhi serrati e labbra dischiuse.

Peter e Jackson fecero capolino in quel momento, scortati da Lydia – tesissima perché obbligata ad uscire senza trucco – e Scott sentì, anche senza vederla, l'espressione di Peter nell'osservare Stiles e Derek uniti in quella specie di abbraccio. Avrebbe voluto intimargli di non fiatare, ma fu la voce di Jackson a sovrastare ogni altro suono.

"Qualcuno vuole spiegarmi che sta succedendo qui?"

Stiles si separò da Derek sfilandosi con decisione i guanti e raggiungendo il lavandino per lavarsi le mani. Fu lui a risponde, e la sua voce tentennò appena un poco, giusto all'inizio.

"Qui dentro siete tutti licantropi. Tranne me e Lydia, almeno. E il Dottor Deaton, forse."

Il dottore sbuffò a quell'appunto ma non disse una parola, intento a somministrare un qualche farmaco alla ragazza svenuta.

"Siete stati chiamati perché in città è arrivata una minaccia – come potevate immaginare notando lo stato di Erica e Boyd, probabilmente – ed è una minaccia che nessuno di voi, per quanto potente, possa prender sottogamba. È un branco di Alfa. Non ho idea di come un branco possa esser composto unicamente da Alfa, probabilmente più che branco dovremmo definirlo gruppo, ma noi abbiamo solo Derek – e il suo branco non è molto unito, quindi i suoi poteri non sono sviluppati al massimo – e Peter – che ha abbastanza anni sulle spalle da poter, forse, tener testa ad un Alfa – tutti gli altri sono davvero troppo giovani. Io propongo di dirlo agli Argent e lasciare fare a loro, ma dubito che il vostro orgoglio di lupi-forti-e-fighi vi permetta di prendere in considerazione l'idea."

Mentre Stiles ancora parlava, Scott e Isaac avevano fatto rinvenire Erica. Le loro vene si erano riempite del suo dolere e la ragazza aveva aperto gli occhi di scatto, tentando di sedersi.

Un attimo prima le mani di Derek erano sui capelli biondi della licantropo, l'attimo dopo si erano serrate su quelle di Stiles che le stava ancora sfregando sotto il getto dell'acqua fredda. Scott nemmeno si rese conto del movimento. O del fatto che la mani dell'amico erano arrossate e graffiate dove le sue stesse unghie avevano cercato di togliersi la pelle.

Si voltò verso Peter, mentre Derek sussurrava a Stiles di fermarsi, incrociando lo sguardo atterrito di Lydia e l'abbraccio possessivo di Jackson. L'uomo fissava Derek, intensamente, la mascella serrata.

L'Alfa non interruppe l'abbraccio finché Stiles non lo sciolse, nuovamente padrone di sé. Fu la sua voce a dar ragione dei deliri del ragazzo.

"I branchi di Alfa sono molto più pericolosi di quanto possiate pensare: non è un branco – come ha detto Stiles – perché non ci si protegge a vicenda; un Alfa solitamente ha la presunzione di non aver bisogno di protezione. Solitamente questi gruppi sono composti da Alfa che hanno distrutto il proprio branco."

Un silenzio glaciale cadde sul gruppo.

Il vocione profondo di Boyd spezzò il silenzio.

"Abbiamo dovuto dir loro del rifugio."

Erica ansò, tirando fuori le parole una ad una, come se facessero male, abbandonandosi contro il petto di Isaac cercando calore tra le sue braccia.

"Sapevano già della casa."

Derek arpionò le mani al lavandino, gli occhi fissi in quelli di suo zio.

"Ce n'eravamo accorti. Può essere qualcuno che conosciamo?"

Quello alzò le spalle, incurvando le labbra nel solito sorrisino ironico che diceva tutto e non diceva nulla.

"Di psicopatici è pieno il mondo. In quanti erano?"

Scott alzò per un istante gli occhi al cielo. Il Dottor Deaton li osservava pacificamente, senza essere ancora intervenuto ma Scott notò che stava tenendo d'occhio Jackson, ancora abbracciato a Lydia. La ragazza aveva gli occhi spalancati e terrorizzati. E le si allargarono ancora di più quando Erica rispose a Peter.

"Noi ne abbiamo contati quattro."

"Perché siete ancora vivi?"

Derek doveva imparare a porre meglio le domande. Erica si strinse contro Isaac e Boyd si costrinse ad alzarsi in piedi, assumendo un tentativo di posizione di difesa. Conciato com'era probabilmente l'avrebbe fatto fuori persino Stiles.

Lo sguardo di Derek vagò sui suoi tre licantropi per poi fermarsi su Isaac.

"Non guardare me. Quando li ho trovati erano entrambi svenuti."

Boyd, da bravo maschio, cercò di attirare l'attenzione di Derek su di sé, in modo che non se la prendesse con Erica.

"Si sono divertiti. Non sapevamo cosa fossero... abbiamo chiesto di poterci unire a loro ma ci hanno attaccato."

Scott si chiese se ci fosse del tenero tra quei due o se, semplicemente, sentivano di appartenersi l'un l'altro in quanto figli dello stesso Alfa. E lui? Lui non era stato trasformato da Derek, ma da Peter, e ora Peter sembrava appoggiare Derek. Lui sapeva che non avrebbe mai appoggiato Peter, per nessuna ragione. Ma forse, se Derek fosse diverso avrebbe potuto provare davvero ad unirsi a loro, rimettendo le proprie decisioni nelle mani di qualcuno di cui si sarebbe potuto fidare ciecamente.

"Credo fosse il loro test d'ingresso."

Erica cercò di fare dell'ironia, ancora sostenuta da Isaac.

"Non credo di averlo passato..."

"Beh, sei viva."

Il tono di sufficienza nella voce di Peter lo portò a fargli scoprire le zanne.

Jackson reagì immediatamente alla minaccia, i suoi occhi più azzurri che mai.

Derek li ignorò, passandosi una mano tra i capelli.

"Probabilmente quello era per me. Secondo te perché mi vogliono?"

"Sei un Alfa piuttosto solitario. E se sono davvero in quattro probabilmente vogliono il quinto elemento. Ho sentito dire che cinque è il numero perfetto per un branco di Alfa."

Jackson e Lydia avevano fatto un passo indietro, per togliersi dalla linea visiva dei due licantropi: era evidente che quei due stesero combattendo una guerra tutta loro, una guerra che probabilmente durava da molto tempo e che nessuno di loro sarebbe stato in grado di combattere.

Scott notò che anche Isaac si era avvicinato di più Erica, posandole una mano tra i capelli, come a volerla tenere contro di sé, dove poteva proteggerla.

"Erano già venuti prima?"

"No. Il branco degli Hale è sempre stato troppo grande e unito perché osassero attaccarci."

La mascella di Derek già contratta si strinse ancora di più. Il Dottor Deaton prese un profondo respiro iniziando a muoversi con circospezione per prendere la scatola con tutte le erbe essenziali per tenere a bada dei mannari. Ma i due non sembrava volessero – almeno per il momento – venire alle mani.

"E avere uno di noi nel loro branco sarebbe fonte di lustro e prestigio?"

"Esattamente. Che intendi fare?"

Derek chiuse gli occhi, si passò una mano tra i capelli e stiracchiò i muscoli contratti del collo. Sembrava stanco. Quasi spossato. Quando li riaprì, non erano più i pozzi di gelo che tutti conoscevano fin troppo bene: erano liquidi, destabilizzanti, umani. Il ghigno che gli incurvò le labbra sembrava più disperato che strafottente.

"In generale? Cacciarli da qui: queste sono le nostre terre. Non permetterò a dei forestieri di dettar legge."

"Hai sentito cos'ha detto il tuo piccolo umano, vero? Non sei in gradi di sconfiggerli da solo. E come Beta non posso far molto nemmeno io."

Derek ignorò il "che c'entro ora io" sibilato da Stiles che era saltato sull'attenti alle parole di Peter e si staccò dal lavandino, sembrando per un momento imponente. Il suo branco si ritirò intimidito, lui e Jackson si ritrovarono a ringhiare piano mentre Peter fece finta di nulla.

"Che c'è, t'è tornata la voglia di fare l'Alfa e di unirti a loro?"

"No, Derek. Come ti ho già detto, non è mia intenzione: volevo vendicarmi, ci sono riuscito, non c'è nessun altro che reputi responsabile per quella tragedia, quindi non ho più bisogno dei poteri dell'Alfa. Tuo padre era un Alfa, Derek: è una cosa che hai nel sangue. Ma lo sai come si fortifica un branco, e tu non hai mai fatto nulla di concreto in tal senso. Anzi, continui a cercare aiuto dove sai di non poterlo trovare."

O era un bugiardo terribilmente bravo, o era davvero sincero.

Derek invece era scosso. Si stava chiedendo quale ne fosse il motivo, quando lo vide fare due passi veloci in direzione dell'uscita. Venne bloccato dalla presa ferrea di Peter.

"Derek, ne abbiamo già parlato: dimmi cosa ti tormenta."

Nuovamente quegli occhi destabilizzanti. Si liberò in un attimo dalla presa di suo zio e lasciò la clinica veterinaria. Isaac, dopo un attimo, fece ridistendere Erica e gli andò appresso ignorando l'ordine di Peter di lasciarlo solo. Poi quello sguardo di ghiaccio si posò su Stiles.

"Hai intenzione di seguirlo anche tu?" gli chiese.

"Credo sarebbe prima di tutto fuori luogo e oltretutto completamente inutile. Per non parlare del fatto che fuori ci sono quattro Alfa ostili e che probabilmente ho il vostro odore addosso e che quindi le mie probabilità di passare inosservato si riducono drasticamente a valori molto vicini allo zero. E io odio i valori molto vicini allo zero." si guardò ancora per una volta intorno "Ora – se non ti dispiace, è ovvio – potresti spiegare anche a noi il divertente siparietto messo su da voi due? Non so per gli altri, ma per me è stato un po'... come dire... terrorizzante, ecco. E non siete nemmeno venuti alle mani. Era sempre così a casa vostra?"

Come facesse il suo blaterare ad avere quell'effetto calmante sui nervi di tutti era un mistero tutto ancora da scoprire.

Peter finse d'ignorarlo e Stiles sbuffò sonoramente, come al suo solito.

Boyd aveva raggiunto Erica e lo sguardo dell'uomo si era fissato su loro due.

"Voi cosa avete intenzione di fare? Ancora intenzionati a scappare o la crisi adolescenziale vi è terminata?"

Era stata lei a rispondere, mentre il dottore ricominciava a passare tintura di iodio sui tagli provocati dai quattro Alfa. Dopotutto, tra loro due era lei quella che prendeva le decisioni, lui si limitava a scegliere se seguirla o meno.

"Cosa ci nasconde Derek?"

"Forse faccio prima ad elencarvi cosa vi ha già detto piuttosto che quello che vi ha taciuto." minimizzò Peter osservandoli ma controllando Jackson e Lydia con la coda dell'occhio. "Derek non è solo il capobranco, lui è nato lupo in una famiglia di lupi: le cose che lui sa e che ancora non vi ha detto – per mancanza di tempo o perché non lo riteneva ancora il momento – sono infinite. I motivi che lo spingono a rendervi partecipi ma, soprattutto, quelli che lo fanno tacere sono talmente tanti che non mi basterebbe una vita per elencarveli, figuriamoci per spiegarveli. Vi dovrete fidare. Se non vi è possibile, quella è la porta. Non date retta agli sconosciuti, tenete un profilo basso e cercate di stare alla larga dalle famiglie di cacciatori. Per il resto, andate e divertitevi."

Scott aggrottò le sopracciglia per nulla soddisfatto, incapace di afferrare l'ultimo, semplice concetto.

"Sei disposto a lasciarli andare senza provare a fermarli?"

"Per me sono una responsabilità solo se fanno parte del branco. Io sono il Beta di Derek, così come lo è Isaac. Se loro hanno deciso di essere Beta di se stessi, come hai deciso tu, o Omega vagabondi per il mondo, io non posso impedirglielo."

Stiles sobbalzò lievemente, ma non aprì bocca. I suoi occhi però si fecero distanti, come alla ricerca di qualcosa che non riusciva ancora a comprendere.

L'attenzione di Peter passò a Jackson. E questi snudò le zanne.

"Siamo messi bene..." sospirò affranto pensando probabilmente a quanto lavoro ci fosse ancora da fare "Tu verrai con me. Non posso lasciarti vagabondare a tuo piacimento: abbiamo sottovalutato la tua situazione una volta, non commetteremo due volte lo stesso errore."

"E se fossi io a non essere interessato?"

L'altro sorrise e alzò le spalle, noncurante.

"Spiacente, ma non hai molta voce in capitolo."

Stiles uscì in quel momento dal suo mondo dei sogni e Scott si rese conto che non era, dopotutto, un mondo così slegato dalla realtà.

"Hai parlato al plurale. Cioè, ora, riferendoti a Jackson hai parlato al plurale. Non mi sembrava che tu e Derek andasse d'accordo, perlomeno fino ad un attimo fa... ma potrei sbagliarmi, magari saltarsi alla gola è un modo che hanno i licantropi per manifestare il proprio incondizionato affetto."

"Stiles."

Scott quasi non si rese conto di aver parlato: l'espressione di Peter non gli diceva nulla di buono. Sembrava ce l'avesse col suo amico, anche se non riusciva a capirne il motivo. Anche prima, quando Derek gli si era avvicinato, Peter non aveva reagito bene. Qual era il suo problema?

Peter, nonostante Stiles si fosse zittito, non sembrava avesse voglia di spostare la propria attenzione.

Poi, d'un tratto, dovette leggere qualcosa nelle iridi atterrite dell'altro perché sorrise, in quel modo tutto suo, quello che dava i brividi.

"Siamo un branco, Stiles. Le decisioni del capobranco sono inevitabilmente le decisioni di tutto il branco e le decisioni del singolo sono per forza di cose responsabilità del capobranco. Spero che ora sia chiaro a tutti."




Grazie per i meravigliosi commenti. Spero che questo capitolo sia all'altezza del precedente ^_^
Scusatemi il ritardo con cui posto - qesto capitolo è pronto da una settimana - ma la vita reale che sembrava essersi in qualche modo stabilizzata, ha deciso di farsi nuovamente valere. E non credo che riuscirò a far meglio di un cap a settimana.
Grazie ancora

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Capitolo 3
*** Chi trova un amico ***


Capitolo III
Chi trova un amico

Lo raggiunse al parcheggio. La Camaro scura aspettava quieta il proprio conducente, come una fiera fedele.

"Derek, qualunque cosa tu stia nascondendo a Peter non ti sta facendo bene."

La macchina si aprì con un suono ovattato, permettendo al proprietario di scivolarvi dentro.

"Isaac, smettila."

Il ragazzo lo seguì sedendosi al posto del passeggero, ignorando l'occhiataccia – e la supplica mascherata da ordine – del suo Alfa. Sfacciatamente, gli puntò i suoi occhi azzurri addosso e incurvò le labbra in un sorriso birichino.

"Dove stai andando?"

Spazientito, Derek mise in moto, stanco di giocare col più piccolo che, al momento, sembrava in tutto e per tutto un cucciolo.

"A casa. Devo riflettere."

Prese una curva in velocità e Isaac si aggrappò con entrambe le mani alla portiera, più per abitudine che per reale necessità. Corrucciò le sopracciglia quando, tornati sul rettilineo, si arrischiò a guardare Derek.

"Mi pare di ricordare che per colpa degli Alfa a piede libero, quello non fosse più un posto sicuro."

"Quello non sarà mai un posto sicuro, non importa quello che succederà. C'è troppo dolore affumicato su quei legni, troppa rabbia. Mio zio ha placato un poco quelle anime, ma non è certo riuscito a zittirle."

Si iniziava a vedere il bosco in fondo alla via. Ad Isaac quella sembrava davvero una pessima idea. Doveva trovare una maniera per farlo desistere ma non sapeva come fare e le emozioni che provenivano da Derek erano quanto di più ambiguo avesse mai sentito.

"Allora perché ti ostini a tornarci? Non credo sia un posto che faccia bene ai tuoi nervi."

"Quella è casa mia."

Isaac ci vide rosso. Letteralmente. I suoi occhi, la dentatura, tutto il suo sembiante stava per tramutarsi in quello di un lupo. Il ringhio che fuoriuscì dalle sue labbra fu assolutamente feroce.

"No. Quella era casa tua. Noi ora siamo la tua casa e tu la nostra."

Derek gli mise una mano sulla coscia e strinse forte. Il ragazzo tornò se stesso in una manciata di secondi, imbarazzato per aver perso il controllo in quella maniera. Gli occhi di Derek si fecero liquidi e preoccupati, mentre entrambe le mani tornavano a stringere il volante. Isaac provò a tornare al discorso d'origine.

"Dobbiamo trovare un nuovo posto ed attrezzarlo prima che gli Alfa si muovano e inizino a battere la città in lungo e in largo per trovarti."

"Lo so. Ma..."

Isaac esultò. Derek aveva fermato la macchina. Sentiva brividi percorrergli la pelle per il pericolo imminente. Non aveva ancora imparato a distinguere i brividi propri da quelli dell'Alfa: quando gli era particolarmente vicino le due cose si confondevano terribilmente. Ad ogni modo, quando Derek scrutava la notte stringendo gli occhi non era mai un buon segno.

"Io ho ancora la casa di mio padre. Potremmo attrezzarla come rifugio provvisorio. Oltretutto sono vicino dei Whittemore, e da lì potremmo tenere d'occhio Jackson, dato che dubito che abbia intenzione di scappare di casa."

Derek ingranò le retromarcia e fece inversione. Isaac tirò un sospiro di sollievo.

"Ok, da te."

"Provvisorio: tu e tuo zio dovrete trovare al più presto un nuovo rifugio. Quella casa è troppo scontata."

Lo redarguì col tono di una maestrina e Derek si lasciò scappare un ghigno storto che alleggerì la tensione degli ultimi minuti.

"Lo so."

Isaac sorrise, sollevando il mento. Era il momento di cambiare argomento.

"Bene. Cosa c'è tra te e Stiles?"

Derek corrucciò le sopracciglia, l'espressione si fece assorta, il suo cuore sembrò battere più forte. Non più veloce, solo più forte. Era una cosa strana, che Isaac non aveva mai sentito prima e che gli fece inconsciamente sollevare gli angoli delle labbra in un sorriso mite. Ma Derek non parve notarlo.

"Niente di particolare, credo. Perché?"

Il ragazzo sollevò le spalle, mentre Derek prendeva l'ennesima curva a gomito un po' troppo allegra.

"Peter era furioso. Perché?"

Chiese osservando di sottecchi le reazione dell'altro. Ma non pareva che Derek avesse troppi problemi a parlare dell'argomento. Pulsazioni regolari, voce bassa un po' triste, ma nessun tentennamento.

"Le mie relazioni – che siano d'amicizia o sentimentali – non hanno mai portato a nulla di buono. Sembra che io attiri i guai come il miele attira le api. Peccato che le mie api siano più pericolose di uno sciame di calabroni impazziti. Credo sia per questo che Peter non è contento."

Il suo cuore accelerò proprio sul finale, e Isaac lo guardò storto mentre, parcheggiata la macchina dietro l'abitazione, scendevano entrambi.

"Davvero?"

"Non lo so, è possibile."

Sbuffò chiudendo la portiera e facendo segno all'altro di fare strada.

"Oggi sei stato molto più che amico con Stiles."

Chiuse la porta alle loro spalle, osservando l'ambiente che non era cambiato di una virgola da quando l'aveva lasciato. Non gli piaceva tornare lì: c'era suo padre e non c'era per tutto il tempo. Si chiese, marginalmente, come Derek riuscisse a resiste coi fantasmi di tutta la sua famiglia ad alitargli addosso.

"Ho imparato a conoscere quali sono i suoi limiti e oggi li aveva abbondantemente superati. Non potevo lasciarlo in balia di se stesso."

Derek era entrato in cucina e aveva aperto il frigo richiudendolo immediatamente. Prese una busta per i rifiuti poi, trattenendo il fiato, ci svuotò dentro tutto il contenuto del frigo. E la richiuse bene.

Isaac, dallo specchio delle porta lo osservava interagire con la propria casa come se fosse stata la sua e, dentro di sé, sorrise. Ma c'era una questione più urgente da affrontare.

"Perché no? Non fa parte del branco."

Derek si girò, poggiò le spalle contro lo sportello chiuso poi, lasciata la spazzatura, infilò le mani nelle tasche, quasi non sapesse che farne.

"Tu dici? Io non ne sarei così sicuro. Come non sono più molto sicuro di Scott, o di Erica o di Boyd o di Jackson. La verità è che al momento non sono più sicuro di nulla."

Isaac si sentì ricolmo della fiducia che l'Alfa gli stava concedendo: vederlo fragile. Poteva non dirgli tutto, poteva sviluppare le strategia solo con Peter, ma era con lui che si faceva vedere in quel modo. Il suo cuore sembrava volergli esplodere nel petto.

E Derek scosse la testa, rassegnato.

"Smetti immediatamente di pavoneggiarti."

Il sorriso di Isaac si fece più largo.


Il Dottor Deaton guardò i due ragazzi che erano rimasti a dargli una mano per pulire la sala dopo che i licantropi se n'erano andati.

Scott era irrequieto, probabilmente perché erano cinque minuti abbondanti che Stiles non apriva bocca e, anche prima, non aveva parlato più di tanto.

"Come mai eri qui?"

Il dottore sollevò un sopracciglio al tono di Scott. Insinuante. Aveva probabilmente avvertito la tensione di Peter e notato il comportamento quasi socievole di Derek e... e cosa? Erano davvero tutti così ciechi gli adolescenti?

Le spalle di Stiles si tesero e la schiena si raddrizzò di colpo. Quello non avrebbe sicuramente fatto bene ai suoi nervi.

"Li ho incontrati per caso."

Una risposta ragionata, un modo per nascondere la verità pur dicendo la verità. Ma Scott inspirò profondamente, allargando le narici in quello che era, senz'ombra di dubbio, un avvertimento.

"E perché non mi hai chiamato immediatamente?"

Gli occhi di Stiles erano enormi, quasi non riuscisse a credere di dover rispondere a quell'interrogatorio. Nuovamente si prese il suo tempo per rispondere. Molto tempo.

"Dovevo guidare."

"Stiles, cosa mi stai nascondendo?"

Scott aveva mangiato la foglia ma non si rendeva conto che Stiles stava per esplodere.

"Cosa vuoi che ti nasconda? Al momento pare che la sola persona cui riesca a mentire sia mio padre e questa non è una bella sensazione."

Scott abbassò la testa, come un cane bastonato e Stiles si morse un labbro.

"Senti, lo so che non è colpa tua, vorrei solo che ricominciassi a fidarti di me."

Il Dottor Deaton provò a inserirsi nel discorso, per evitare che il suo impacciato assistente combinasse qualche casino, ma questi proruppe – quasi un ringhio, in effetti – prima che potesse fermarlo.

"E' difficile fidarsi di te quando Derek ti si struscia addosso!"

Gli occhi castani per poco non uscirono dalle orbite, la bocca si spalancò, annaspando in cerca di una risposta degna. Appena una frazione di secondo prima che il fiume in piena tracimasse dalle labbra esangui.

"Derek cos... oh Dio, dimmi che non hai detto quello che ti ho sentito dirmi! Derek e suo zio sono due psicopatici ma inizio a credere che non sia colpa loro ma che sia un effetto collaterale della vostra maledetta luna piena! Se proprio vogliamo essere puntigliosi avrei preferito avere il mio migliore amico a preoccuparsi della mia sanità mentale! Ma forse, chissà, solo gli Alfa si rendono conto di queste cose. Dovrei proprio andare a controllare, dato che il mio migliore amico da quando è licantropo ha tentato un paio di volte di sbranarmi mentre uno psicopatico non ha fatto altro che salvarmi la pelle!"

Uscì sbattendo la porta, senza nemmeno salutare.

Il Dottor Deaton si mise tra Scott e l'uscita, un'espressione severa e delusa sul volto.

"Credo tu abbia davvero esagerato."

"Devo andare da lui."

Gli rispose provando a superarlo. Ma questi alzò una mano, il palmo rivolto verso il ragazzo, il volto irremovibile. Come riuscisse a bloccare un lupo era una cosa che Scott si stava evidentemente chiedendo e che gli era costata anni e anni di addestramento. Pensione. Lui ci sarebbe morto continuando a fare il suo lavoro, era questa la sola verità.

"No, tu ora resti qui e mi spieghi cosa t'è preso. Perché non hai mai trattato così il tuo amico prima d'ora. E mi sembra di ricordare che è stato lui a rimanerti vicino, nonostante le trasformazioni, la paura ed il resto."

Scott si voltò, serrò una mano e diede un pugno sul tavolo operatorio che, fortunatamente, resistette. Chiedere ad un adolescente di controllarsi era già difficile in una situazione normale e fortunatamente Scott era un ragazzo coi piedi per terra, ma era pur sempre un adolescente e un lupo. Il controllo non faceva parte delle sue abilità primarie al momento.

"Peter."

Ringhiò il nome dell'altro Beta, quasi che in quel modo potesse farlo a pezzi. Il dottore strinse gli occhi, ricordando il comportamento di quell'uomo, rimettendo insieme i pezzi per cercare di spiegarli al ragazzo che aveva innanzi.

"Peter era furioso ogni volta che Derek si avvicinava a Stiles."

Tornò a voltarsi verso di lui e ciò che si scorse nei suoi occhi neri era solo smarrimento. Forse aveva perso i suoi riferimenti e ora, ritrovare la strada di casa, gli sembrava molto più difficile. Sollevò una mano e la lasciò oscillare, come se il movimento potesse mettere un po' d'ordine, o bastasse a riavvolgere il nastro di quella serata assurda.

"Derek era diverso dal solito e Stiles... Stiles si è fatto toccare. Solitamente salta come un grillo appena quello gli si avvicina."

Appoggiò i palmi aperti sul piano operatorio e restò lì, in attesa di una mano che lo conducesse verso la giusta direzione. Una mano che lui, come suo medico e suo – in qualche modo – mentore, era intenzionato ad offrirgli.

"Quindi? Cosa dedurresti da tutto questo?"

E sapeva che il tono usato scavava nella coscienza del mannaro fino a trovare le risposte e a portarle a galla. Non serviva la sua guida. Scott era in grado di trovare da solo la sua strada. Serviva solo compagnia, perché intraprendere certi percorsi da soli potrebbe essere ancora più spaventoso.

"Non lo so. Ma Stiles blatera sempre tanto e non so quanto di ciò che dice o che ha detto sia... ah, non lo so nemmeno io."

"Allora sarà il caso che ti chiarisci le idee prima di andare da lui."

Gli sorrise, posando anche lui le mani sullo stesso piano, senza invadere il suo spazio ma entrando a farne parte. E fu questo a spostare l'attenzione di Scott da se stesso verso il proprio amico. Solo in quel momento fu pronto a sapere cosa altri occhi avevano notato, a sentire una verità diversa – eppure non aliena – dalla propria.

"Lei che ha visto?"

"Un ragazzo fragile, spaventato, che s'è fatto in quattro per i suoi amici. Probabilmente il più forte di tutti quelli che erano in questa stanza. Peter Hale se n'è accorto."

Un cenno della testa del dottore, poi un cenno di quella di Scott. I pezzi di un puzzle tornarono a posto, collocando Peter nuovamente come alleato, anche se sorvegliato speciale. Ma il nodo non era lo psicopatico. Il nodo era tutt'altro.

"E Derek?"

"Derek è l'Alfa del suo branco."

Un'ovvietà con risvolti tutt'altro che banali. Appunto.

"Stiles non fa parte del suo branco."

"Nemmeno tu. Eppure lui ha chiamato tu sei venuto, lui ti ha ordinato di chiamare Jackson Whittemore e tu l'hai fatto."

Il Dottor Deaton lo vide stringere i pugni e gonfiarsi come sul punto di esplodere. Sapeva che aveva ragione, non importava quanto bruciasse. Derek chiamava e loro rispondevano in massa. Nonostante la testardaggine. Appunto.

"Non cambia il fatto che io non faccio parte del suo branco... oddio le parole di quello psicopatico! Ha detto a Stiles che loro sono un branco! Loro, Stiles incluso!"

Il Dottor Deaton si frappose nuovamente tra Scott e la porta: non poteva permettergli di uscire in quelle condizioni. Sia che avesse raggiunto Stiles sia che si fosse messo sulle tracce di Derek, c'era un'alta possibilità di catastrofe.

"Calmati."

"Come posso calmarmi?"

Il suo ringhio fece tintinnare le ampolle e le fiale contenute in quella sala operatoria e forse fu proprio quello a calmare Scott. Il ragazzo, dopotutto, non aveva intenzione di far del male a qualcuno – né tantomeno al proprio chirurgo, non in quel momento per lo meno – o di distruggere anni e anni di lavoro.

Il Dottore alzò le spalle e gli occhi gli sorrisero, come se gli stesse per confidare un importante segreto.

"Beh, pensa che, se è parte del branco, nessuno del branco gli farà mai volontariamente del male."

Ma era evidente che Scott non ne fosse affatto felice.




Salve lettori!
Spero che questo capitolo vi piaccia anche se è un po' un capitolo di passaggio - se così vogliamo chiamarlo.
Spero ardentemente di riuscire a finire il 5° per la prossima settimana così da potervi pubblicare il 4° ma al momento ho un problema di POV non indifferente. Vedremo che ne uscirà fuori.
Grazie per i commenti che mi avete lasciato. Sono uno sprone ad andare avanti.
Alla prossima settimana!

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Capitolo 4
*** Il branco ***


Capitolo IV
Il branco

Era salito sulla jeep come una furia: non capiva cosa fosse preso a Scott, quella sera. O cosa fosse preso a tutti i licantropi, a voler essere puntigliosi.

Strinse i denti e scalò marcia. Voleva che tornasse tutto tranquillo e noioso com'era prima che ritornasse Derek a inseguire i suoi fantasmi. Un colpo di spugna che li avrebbe riportati ad essere un gruppo di teenagers, non un branco di…

Frenò all'improvviso.

La jeep scartò leggermente mettendosi un poco di traverso lungo la carreggiata, con uno stridore di dischi metallici che chiamavano a gran voce la revisione di un meccanico. Stiles chiuse gli occhi e fece crollare la testa tra le braccia.

Non voleva guardare.

Non voleva sapere se di fronte a sé s'era piazzato un uomo o un animale, un cacciatore o un licantropo. Non lo voleva sapere.

La botta contro il finestrino lo costrinse ad alzare gli occhi.

Gerard.

Era ancora vivo.

Ed era armato.

 

Arrivarono a casa di Isaac che era da poco passata la mezzanotte. Peter non sembrava interessato ad aiutarli quindi toccò a loro fare da sostegno ai due feriti. E non poté evitare di ridacchiare al broncio offeso che aveva messo su Lydia quando la tintura di iodio le aveva definitivamente macchiato la giacca. Lui era stato più previdente: prima di farli collassare sul sedile posteriore della propria Porsche, vi aveva teso un'incerata, così da evitare di sporcare gli interni.

Ovviamente Peter s'era rifiutato di aiutarli o di dare un passaggio ai due.

Simpatico come un calcio tra le palle.

Lydia e la Reyes entrarono per prime, mento alto e schiena dritta come se si fossero presentate ad un ricevimento. Erica aveva seguito il comportamento di quella pazza della sua ragazza nonostante l'evidente dolore per le ferite riportate.

Boyd, aggrappato alle sue spalle, non pesava niente: era come sollevare Lydia. E per questo si sentiva potente. Ma la presenza di Peter dietro di lui era come un monito perenne, che gli incuteva una paura atavica.

Iniziava già ad odiare quel suo sentirsi impaurito, fuori posto, come un bambino incapace di comprendere i problemi dei grandi.

Mollò il suo peso sul primo divano e si guardò intorno, Lydia nuovamente tra le sue braccia.

La casa di Isaac sapeva di polvere e disinfettante. Di sapone per i piatti. Di schegge di legno e di vetri infranti.

Inspirò a pieni polmoni catalogando la sua paura, quella di Lydia, e paragonandole a quella sprigionata da quelle mura. Era una sensazione che aveva sempre avvertito ma a cui non era riuscito a dare un nome o un posto.

Abbandonò l'esplorazione di quei mattoni e di quei legni per passare agli abitanti. Li sentiva tutti lì – tranne McCall e Stilinski – Lydia tra le sue braccia, i due feriti che avevano iniziato a scherzare con Isaac, Derek e Peter solidi e potenti qualche porta chiusa più in là a discutere di cose più grandi di loro e, per un attimo, ebbe come la certezza di esser tornato a casa, come se i volti dei suoi familiari, cercati in ogni sogno, avessero avuto finalmente un contorno.

 

"Sa, non credo che quella sia poi così indispensabile…"

La pistola che gli premeva sul fianco tendeva a distrarlo molto e guidare di notte su una stradina in mezzo al bosco, con l'ennesimo psicopatico a bordo e con la certezza di essere nuovamente finito in mezzo ai guai non aiutava la sua concentrazione.

"Tu pensa a guidare. Decido io cos'è indispensabile."

Aveva la voce affannata e decisamente una brutta cera. Non come l'aveva avuta Derek quando era stato colpito da un proiettile degli Argent, ma non riusciva a non pensare che quella fosse un'ennesima, assurda storia di vita vissuta.

Perché queste situazioni impossibili capitavano sempre, solo a lui?

"Sa, vero, che io non sono un licantropo? No, perché abbiamo già appurato come torturare me non porti a grandiosi risultati, no?"

Ricordava fin troppo bene quanto quel vecchiaccio picchiasse duro e non aveva voglia di ripetere l'esperienza: essere un ostaggio, essere picchiato per far del male psicologico a qualcun altro non era mai stato lo scopo ultimo della sua vita.

"Ti dai troppa poca importanza, ragazzino."

La voce di Gerard Argent era aspra, crudele, amara. Non gli dava una bella sensazione.

Alzò gli occhi al cielo, il polso scivolato sul volante e il corpo proteso in avanti nel tentativo di guadagnare qualche centimetro di visuale.

"O forse è lei che me ne dà troppa, non crede? A chi sta dando la caccia questa volta? Ancora Derek? Se vuole posso provare a chiamarlo sul cellulare, magari è ancora svegl… ok, ok sto zitto."

La pistola premette più forte sul suo fianco e Stiles sbiancò.

Doveva trovare un modo per uscire da quella maledetta situazione: oltretutto suo padre sarebbe rincasato a momenti e, non trovandolo, l'avrebbe sicuramente cercato sul cellulare. Non poteva toccarlo senza provocare una reazione violenta nel vecchiaccio ma non poteva nemmeno lasciare la suoneria attiva: se avesse squillato quel proiettile l'avrebbe sicuramente preso in pieno.

"Ferma la macchina."

Stiles spense la macchina e tirò il freno a mano e si guardò intorno con le sopracciglia inarcate.

"Lo sa che qui non c'è nulla?"

Chiese dopo poco.

"Questo lo credi tu."

E accese gli abbaglianti.

 

"C'è qualcosa che non va."

La voce di Derek invase salone di casa Lahey facendo voltare tutti i presenti verso lo specchio della porta che dava in cucina. Jackson si rese conto che nessuno di loro aveva origliato la conversazione tra l'Alfa e Peter: come se tutti temessero le conseguenze. O come una forma di rispetto verso l'implicita richiesta di avere un po' di privacy.

La voce della Reyes espresse il sentimento collettivo, mentre Lydia gli stringeva la mano, scivolando sul divano accanto alla mannara.

"Sì, ma non sappiamo cosa."

Peter prese la parola. Jackson inspirò profondamente, non più per cacciare il senso di pericolo ma per assaporare quello di appartenenza.

"Il gruppo degli Alfa al momento si sta muovendo, il che non è mai un buon segno. Come vi ho detto dal Dottor Deaton, non provocateli e cercate di non entrare in uno scontro diretto con loro."

Isaac nel frattempo si era spostato, appoggiandosi al muro accanto allo stipite dove Derek era rimasto immobile. Jackson sentì qualcosa fiorire in fondo al petto, un calore mai provato prima.

Strinse un po' più forte la mano di Lydia e le fece l'occhiolino.

"A meno di non avere una molotov con autoinnesco a portata di mano, ovviamente."

Disse sfidando apertamente Peter. E questi, dopo un momento di stallo in cui i nervi degli altri si sarebbero potuti tendere da una parete e l'altra della casa, ridacchiò annuendo.

"Ovviamente."

Derk si staccò dalla porta con un movimento fluido, la mandibola serrata faceva quasi difficoltà a muoversi, ma la sua voce non ebbe alcun tentennamento quando mise gli altri al pari delle decisioni pratiche prese poc'anzi.

"Questa sarà la nostra base operativa finché non troveremo un posto migliore. Jackson, tu potresti esser preso di mira dagli Alfa. Cerca di non avventurarti da solo, almeno per il momento. So che forse non hai intenzione di unirti al branco ma…"

Il ragazzo non lo fece finire. Fece un mezzo passo in avanti – e non indietro come finora era sempre successo – continuando a tenere la mano di Lydia.

"NO, va bene!"

La sua ragazza strabuzzò gli occhi, alzandosi di botto e frapponendosi tra lui e l'Alfa.

"Cosa? Ma Jackson, cosa dici?"

Jackson l'abbracciò ma, senza darle altre informazioni o delucidazioni, ribadì quanto appena detto.

"Va bene, sono… sono con voi."

Gli occhi di Isaac luccicarono soddisfatti. Boyd e Reyes sembravano più sconvolti di Lydia. Peter aveva aggrottato le sopracciglia mentre Derek non sembrava stupito della decisione dell'altro.

"Jackson, sai cosa significa unirsi davvero al branco?"

"No, non lo so. Ma mi fa sentire bene."

Peter ridacchiò a voce piuttosto alta, scoccando al neofita un'occhiata speculativa.

"Beh, Derek, ora hai almeno tre Beta. Stai facendo progressi figliolo."

L'Alfa storse la bocca ma non disse una parola.

 

Il cellulare suonò in quel momento.

Gerard, accanto a lui, si voltò di scatto ordinandogli di non rispondere.

Stiles osservò il display luminoso e sbuffò sonoramente, cercando di ingoiare la paura che gli attanagliava le viscere. Scosse la testa, tenendo il cellulare in mano, pronto ad accettare la chiamata.

"È mio padre. È lo sceriffo della città, se non rispondo allerterà ogni pattuglia della polizia della contea: per voi sarebbe fastidioso, no?"

Erano già passati quattro squilli. La donna lanciò uno sguardo agli altri tre, poi si rivolse a Gerard che ancora lo teneva sotto la minaccia della pistola. Come se tutto il resto non fosse sufficiente.

"Lascialo rispondere. Sa benissimo di non poter dire nulla."

Gerard la osservò, mentre il quinto squillo riempiva la radura in mezzo al bosco, poi fece un segno affermativo verso Stiles.

"Ehi, papà!"

"Stiles dove sei? Scott..."

Non lo lasciò finire. Sapeva che i licantropi erano in grado di sentire anche le parole del padre, quindi doveva fermarle prima che dicessero qualcosa di sconveniente. Come il fatto che Scott era con lui.

"Sì, sono con Scott. Lo so che ho fatto tardi, ma dovevamo finire un saggio per il prof di chimica. Resto a dormire da lui stanotte."

Il cuore gli batteva all'impazzata. Il labbro finì tra i denti e il respiro divenne faticoso. Uno degli Alfa si era avvicinato a lui e quasi gli alitava sul collo.

"Stiles, cosa stai..."

… dicendo. Bloccò anche quella domanda prima che potesse essere formulata, cercando di risultare persino allegro.

"Eddai, papà, non arrabbiarti. Ci vediamo domani, ok?"

"Sei nei guai?"

Cristo, sì, sono nei guai fino al collo!

Ingoiò il magone che gli era salito in gola e, stirando le labbra salutò suo padre. Alle sue orecchie – e forse anche a quelle del genitore – le sue parole sembravano tanto un addio.

"Ti voglio bene papà."

"Te ne voglio anch'io."

Il licantropo che l'aveva annusato durante tutta la conversazione gli prese il cellulare e chiuse la chiamata. Poi lo spense e lo lanciò tra le foglie secche. Un ringhio salì dalla sua gola facendogli tremare le ossa.

"A me pare che abbia mangiato la foglia."

Certo che ha mangiato la foglia, è lo sceriffo razza di scimmione pompato ad anabolizzanti!

Invece scosse la testa, cercando di risultare il più convincente possibile.

"No, lui fa sempre così. Si preoccupa ma Scott è la copertura migliore che potessi inventare."

"Stai mentendo."

Fu lei a puntualizzare l'ovvio. Beh, ovvio che stava mentendo, ma loro non sapevano che c'erano due menzogne in quella affermazione.

"Beh, diciamo che ultimamente quando sono con Scott mi caccio in un mare di guai... ma non potevo tirare in ballo qualcun altro."

I quattro Alfa lo scrutarono a lungo e gli occhi di Gerard divennero due capocchie di spillo, ma alla fine gli credettero. Chi più, chi meno. Tirò un sospiro di sollievo cercando di placare i brividi che avevano iniziato ad attraversargli la schiena.

Nonostante il tempo passato con Scott, Derek e Peter.

 

Il telefono di Derek squillò poco dopo.

Era McCall che chiedeva notizie di Stilinski. Quel ragazzo era nuovamente nei guai. E Derek stava uscendo fuori di testa. Con classe, però: aveva chiuso gli occhi, stretto la mandibola e inspirato a fondo.

"Gli Alfa hanno preso Stiles."

Comunicò solamente.

Un silenzio pesante era sceso sul gruppo. Sembrava come se fosse qualcosa di dannatamente serio.

"Quindi ora che si fa? Andiamo a salvarlo?"

Jackson ruppe il silenzio, guardandosi attorno lievemente smarrito.

"No, vado io. Voi rimanete qui."

"Derek."

L'Alfa s'era avvicinato a grandi passi all'uscita ma Peter l'aveva fermato solo chiamandolo con quel tono di rimprovero degno di un genitore. Lydia aveva il terrore di Peter. E lui non aveva il potere di farglielo passare.

Derek si voltò verso di loro, gli occhi enormi e determinati.

"Non vi mando al macello."

"Sei vulnerabile da solo."

Lydia s'intromise in quel dibattito, sporgendosi un poco dal divano su cui era nuovamente crollata. Dovevano parlare di quello che era successo, di quello che d'ora in poi sarebbe accaduto, ma non ora. Ora dovevano sopravvivere a quella notte. Tutti insieme.

"Possiamo sapere perché quegli Alfa hanno preso Stiles se vogliono te?"

Derek grugnì, sbuffando dal naso e voltando la testa di lato. Peter fece un'espressione tra lo schifato e il rassegnato, rispondendo al posto dell'altro.

"In qualche modo, fa parte del branco."

"Stiles?"

Jackson non poté frenare il proprio stupore. E Derek lo interpretò male, perché si voltò, rispondendo stizzito.

"Sì, Stiles."

Fece per andarsene ma fu nuovamente Peter a fermarlo.

"Nipote, tu non te ne vai senza di noi."

L'Alfa alzò gli occhi al cielo, poi li fissò spazientiti in quelli di Peter e successivamente in quelli di Isaac che si era immediatamente avvicinato.

"Ok. Solo tu e Isaac. Jackson, proteggi la casa e chi c'è dentro. Non permettere a nessuno di entrare. Guarda dentro di te, tu sai come si fa."

Jackson si staccò da Lydia e in un istante li raggiunse sul portone d'ingresso. Aveva le palpitazioni accelerate e sembrava assolutamente incapace di pensare razionalmente.

"No, che non lo so!"

Gli urlò appresso. Derek tornò indietro, gli mise una mano dietro al collo e se lo tirò addosso, stringendolo in un abbraccio protettivo. Jackson non si ritrasse. Una parte del suo essere sentiva ancora la sensazione degli artigli affondati nella sua carne ma un'altra, quella più forte, sapeva che ora non sarebbe successo nulla di grave.

"Jackson, fidati. Tu lo sai. Lo sai da sempre."




Nuovo capitolo! V'è piaciuto Jackson? Quelragazzo mi dà una marea di grattacapi!
Beh, che dire, sono in crisi col cap 6 - e credo che a questo punto abbiate un'idea del perchè il cap 5 e il cap 6 possano metermi in crisi - ma spero fortemente di riuscire a pubblicare comunque per martedì prossimo!
Un bacio a tutti e grazie infinite per i bellissimi commenti
Leli

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Capitolo 5
*** Odore di sangue ***


Capitolo V
Odore di sangue

Odore di sangue, sudore, pelo di lupo, saliva. Gli occhi assunsero una sfumatura scarlatta prima che il gomito di Isaac lo riportasse alla situazione attuale.

Lo sceriffo allargò gli occhi a quella vista.

Peter si frappose tra loro.

Scott si mise alle spalle dell'umano, cercando di attirare la sua attenzione.

"Signor Stilinski, ci sono alcune cose che... ancora non sa... ma dobbiamo sbrigarci a trovare Stiles prima..."

"Scott."

La voce di Derek, un ringhio a malapena trattenuto, bloccò il balbettio del ragazzo. Tutto il suo corpo gli urlava a gran voce di sbrigarsi, ma il suo ruolo di capo lo obbligava a istruire i suoi sottoposti e a dare ordini precisi nella speranza che, data la situazione, venissero ascoltati.

"Prendi lo sceriffo e seguite quel crinale cercando di non fare rumore: dovreste riuscire a rimanervi sottovento."

Bastò una sua occhiata e lo sceriffo evitò di protestare. Avrebbe dovuto dare spiegazioni, una marea di spiegazioni se ne fosse uscito vivo. Non che facesse particolare affidamento su quell'eventualità.

"Peter, prendi la macchina e segui il sentiero: fermati al vecchio cedro. Sai cosa fare."

La macchina era piena di tutto quello che poteva servire per fermare un lupo. Uno, non quattro.

Si tolse la giacca di pelle e la gettò sul cofano della macchina, senza preoccuparsi di metterla via, poi tornò a voltarsi verso gli altri.

"Isaac, ti voglio alle mie spalle."

Poi osservò i due licantropi più giovani e lo sceriffo, che ancora lo guardava male.

"Voi occupatevi di Stiles. Io e Peter penseremo agli Alfa."

Si voltò facendo segno ad Isaac di seguirlo. Stava per svanire oltre gli alberi, fuori dalla luce della luna, quando la voce di Scott lo fece girare.

"Ho avvertito Alison prima di venire qui."

Per un istante, nuovamente, l'ira rischiò di farlo trasformare, poi sentì la voce di Stiles dentro le orecchie sbeffeggiarli perché incapaci di chiedere aiuto, quando serviva, a chi poteva offrirlo. E si calmò.

"Viene suo padre?"

"Credo..."

Scott lo guardò come fosse stupito di essere ancora vivo e Derek non poté fare a meno di inclinare leggermente gli angoli delle labbra.

"Fa' in modo che nessuno di loro faccia del male al mio branco. Le conseguenze diverrebbero spiacevoli per tutti."

Non aspettò la replica: l'urgenza di raggiungere Stiles e salvarlo dal gruppo di Alfa s'era nuovamente impossessata di lui. Se quelli avevano osato morderlo, si disse, non si sarebbe limitato a cacciarli dalle sue terre.

     

La voce bassa dello sceriffo gli fece voltare la testa prima ancora che la mano callosa si chiudesse sul suo braccio.

"Scott, spiegami cosa sta succedendo e cosa c'entrano gli Hale con tutto questo."

Il ragazzo guardò gli occhi preoccupatissimi dell'uomo e inspirò profondamente, l'ansia che gli cresceva nel petto. Essere sottovento implicava sentire meglio tutti gli odori che provenivano dalla piccola radura dove s'era fermata la jeep di Stiles.

"Sceriffo, la prego, non ora..."

"Tu sai in che guai s'è cacciato mio figlio?"

Scott fece oscillare un poco la testa da una parte all'altra, quasi saltellando sul posto, prima di decidersi a rispondere.

"Ne ho una vaga idea. Senta, qualunque cosa vedrà stasera, rimanga calmo. Le spiegheremo tutto più tardi."

Si sentì un ruggito, in quel momento, seguito da altri a breve distanza, e lo sceriffo si portò la mano alla pistola.

"Ci mancavano i leoni di montagna."

Scott scosse la testa, ricominciando a percorrere il sentiero che li avrebbe condotti al crinale che gli aveva indicato Derek.

"Non sono leoni di montagna."

Disse, gli occhi che si tingevano d'oro e le zanne che iniziavano a spuntare tra i suoi denti.

"Sono lupi."

    

Isaac osservò Derek palesarsi. I quattro Alfa avevano gli occhi avidi, puntati su di lui.

Stiles, in mezzo a loro, era legato a due alberi per polsi e caviglie e osservava Derek con occhi sgranati. Era stato picchiato: non era sicuro, ma poteva quasi sentire le ecchimosi scurirsi sul suo corpo.

"Lasciatelo!"

Al ringhio di Derek gli altri risposero mostrando il proprio morso. La donna snudò gli artigli, ma non sembrò raccogliere la provocazione.

"Questo bocconcino è troppo interessante per cederlo tanto facilmente."

"Lui è con me!"

La voce melliflua della donna era irritante e fastidiosa, quella di Derek prometteva dolore, tantissimo dolore.

Isaac storse il naso per nulla felice: se quello fosse stato un branco normale, Derek gli avrebbe tenuto testa senza problemi. Ma così... forse poteva contrastarne due, ma tutti loro potevano al massimo tener testa ad un altro. Il quarto avrebbe avuto tutto il tempo per distruggerli tutti.

Lei, intanto, aveva fatto un passo avanti, ancheggiante.

"Sappiamo che è con te, ci è stato riferito da una fonte che aveva una gran voglia di parlare, non è così?"

Da dietro uno degli alberi che tratteneva Stiles uscì Gerard Argent, una mano al fianco e una luce esultante nello sguardo.

Isaac vide Derek riuscire a contenere la propria rabbia e ricominciò a respirare. Dietro, tra le ombre lunghe della luna, Scott e lo sceriffo stavano scendendo il crinale, lentamente, per non farsi sentire.

"Dato che avete lui, cosa volete da me?"

"Oh, ma lui non ci interessa. Se proprio dobbiamo tenerci un Beta con noi, sceglieremmo il tuo amichetto. Chi vorrebbe un vecchio rancoroso?"

Rideva, la donna, facendo ridere anche gli altri tre. Isaac si spostò appena, usando il momento di distrazione. Gerard non era felice di quelle prese in giro, ma la cosa non lo riguardava, almeno per il momento.

"Quindi che farete, lo lascerete andare o vi divertirete con lui come avete fatto con Erica e Boyd?"

Sapevano entrambi la risposta ma prendere tempo era tutto quello di cui, al momento, avevano bisogno.

"Non ci sarebbe gusto, non trovi? Lui non è tuo. Questo ragazzino invece... che ne dici di iniziare da lui?"

"Non provate a toccarlo!"

La terra quasi tremò per la forza del rombo che proveniva dal torace di Derek. La donna indietreggiò mentre uno dei tre si fece avanti, dondolando la testa. Evidentemente, lei era la mente e lui il braccio. Più o meno.

"Perché, altrimenti che farai? Ci attaccherai? Da solo? Non essere ridicolo."

"Perché volete me?"

Quello ridacchiò, in modo completamente diverso dalla risata della donna: la sua era più bassa, profonda, ma sicuramente folle.

Isaac aveva paura. Sentiva tutto il corpo percorso da brividi e, dando un'occhiata oltre gli alberi, vide come anche Scott aveva assunto la sua forma di Beta, pronto a scattare al minimo segnale di pericolo.

Stiles. Il loro obiettivo era solo Stiles.

L'Alfa ritornò serio, facendo un cenno con la mano.

"Perché sei un Hale. Certo, il piccino di casa e noi speravamo in qualcuno di un po' più... come dire... adulto, ma dopotutto vai bene anche tu."

Il corpo di Derek parve crescere, peli ispidi cosparsero il suo corpo e il muso si deformò completamente. La voce, che proveniva dalle profondità di quella cassa toracica, era gelida e potente.

"Allora... venite a prendermi!"

                  

Scott aveva sentito brividi freddi accapponargli la pelle, il respiro farsi più corto, la paura prevalere su tutto il resto, anche sulla volontà di recuperare Stiles. Da lontano aveva visto Isaac muoversi circospetto, cercando di tenere costantemente sott'occhio i quattro Alfa: i suoi occhi erano color topazio e il volto stava per assumere la forma finale.

Sapeva, anche in quel momento, di non avere un aspetto migliore. E infatti, o sceriffo sussurrò il proprio sconcerto, talmente piano che persino a lui fu difficile sentirlo.

"Non è il momento, sceriffo."

La voce gli era uscita così bassa da nascondersi tra i borbottii della notte.

Gli Alfa, intanto, si tenevano testa.

"Cosa siete?"

Aveva ansimato il signor Stilinski e Scott, nascondendosi dietro un albero per raggiungere Stiles, gli aveva sussurrato la verità.

Poi Gerard Argent si era fatto vedere e Scott si era dovuto mordere la lingua per impedirsi di urlare tutta la sua frustrazione: aveva fatto di tutto per non farlo mordere da Derek e ora quel bastardo era stato comunque morso da un altro licantropo.

"Anche il preside della scuola c'entra col rapimento di Stiles?"

"E' stato lui a picchiarlo dopo la partita di Lacrosse. Voleva diventare un licantropo. E ora è stato morso."

"E mio figlio?"

"Da qui non ne posso essere sicuro."

L'urlo di Derek li aveva colti entrambi di sorpresa: uno degli Alfa si stava avvicinando a Stiles e quel ringhio era riuscito a bloccare il movimento e a distogliere completamente l'attenzione dal ragazzo. Il corpo di Scott mutò immediatamente al sentire quell'urlo. Non era solo un avvertimento, era un urlo di guerra.

Fece segno allo sceriffo di fare silenzio, grato alla poca luce del sottobosco che impediva la visione completa delle sue attuali fattezze, e insieme scesero verso i due alberi. Isaac nel frattempo si avvicinava per distrarre gli Alfa permettendogli di liberare Stiles. Una missione suicida, come quella di Derek.

Erano quasi arrivati a destinazione senza essere visti quando Derek si trasformò completamente.

Lo sceriffo guadagnò parecchi metri, ignorando quello che accadeva per concentrarsi unicamente su suo figlio e sull'evitare di fare rumore, ma Scott si fermò, per un momento dimentico degli ordini.

Avrebbe voluto seguire Derek. 

Ma poi la voce di Stiles lo riscosse.

"Non farti ferire!"

Stava urlando a squarciagola, tendendosi in avanti. Uno degli alfa fece un passo indietro, caricando il manrovescio e Scott fece appena in tempo a balzare sopra allo sceriffo Stilinski, appiattendosi nel sottobosco.

"E' il tuo sangue che vogliono!!!"

Sangue.

Un rivolo scuro dal labbro spezzato e un livido che presto gli avrebbe occupato tutta la parte destra del volto.

Uno degli Alfa finì contro un albero, abbattendolo. Quello che aveva colpito Stiles  fece un ghigno sadico poi si voltò verso lo scontro. Per la prima volta, Scott sperò che gli Argent arrivassero in fretta.

           

Suo nipote aveva aperto le danze. Era tempo di fare la sua parte.

Maneggiare lo strozzalupo non era mai stato piacevole e in quel momento avrebbe preferito di gran lunga starsene a casa sua, un film o un libro, un bicchiere di scotch e il caminetto acceso. Era l'età che si faceva sentire, sicuramente.

Aprì il cofano della macchina, sganciò il coperchio di una valigetta chiusa ermeticamente e ne estrasse una boccetta sigillata. La aprì e vi immerse, l'una dopo l'altra, tutte le frecce della propria balestra. La nausea lo colpì immediatamente. Gli occhi iniziarono a baluginare di azzurro, mentre preparava i dardi. Sarebbero stati sufficienti per uno solo di quelle faine.

Come potevano definirsi lupi degli individui egoisti che sacrificano il branco per la loro sete di potere? Le immagini della sua famiglia gli invasero gli occhi – lo strozzalupo stava facendo effetto anche su di lui – il ricordo di Laura e di quello che ere successo quella notte gli fece snudare le zanne: non voleva ucciderla, ma la coscienza, in quei giorni, era appena presente e la sola cosa che lo muoveva era istinto e vendetta.

Si nascose, il corpo quasi interamente mutato, e osservò Derek combattere contro due Alfa e tenergli testa. Un bestione era vicino a Stilinski e un altro osservava divertito il combattimento. McCall e lo sceriffo avevano ormai quasi raggiunto il ragazzo legato e Isaac, dall'altro lato, era pronto a scattare.

Sparò il primo dardo, conficcandolo nel corpo del bestione. Poi altri due, prima che il quarto Alfa non iniziasse a correre nella sua direzione e Isaac si lanciasse contro il bestione.

Peter indietreggiò, un ghigno a stirargli le labbra, e l'Alfa stramazzò a terra. Sotto di lui lo strozzalupo disegnava il segno della vendetta.

Tenendolo d'occhio si allontanò da quel corpo di lupo per correre poi verso Isaac. Nonostante tutto, erano ancora gli Alfa ad essere in vantaggio.

      

Quando arrivarono alle sue spalle gli venne quasi un infarto. Suo padre estrasse un coltello e iniziò a tagliare le corde mentre Scotto lo reggeva e si dava da fare coi suoi artigli.

L'Alfa che era stato colpito dai tre dardi diede una spinta poderosa ad Isaac che stava lottando contro di lui e si avventò contro Scott mentre lui franava sul padre.

Gli occhi di Stiles tornarono ai tre lupi che si stavano combattendo ferocemente al centro della radura. A una prima occhiata sembravano tutti uguali, ma Stiles era convinto di riuscire a distinguere chiaramente Derek e non aveva dubbi su chi, dei due rimasti, fosse la donna.

Lui e suo padre si alzarono e indietreggiarono – Stiles aveva una caviglia slogata – mentre Scott veniva scaraventato lontano e Isaac cercava di ripartire all'attacco.

La piccola radura rimbombava del ringhiare dei lupi.

Suo padre lo aveva afferrato per un braccio e lo stava tirando verso la macchina quando Gerard si piantò d'avanti a loro.

La pistola dello sceriffo fece fuoco prima ancora di poter capire cosa l'altro volesse.

Non colpì un punto vitale ma il vecchio Argent s'accasciò a terra.

"Questo, è per aver picchiato mio figlio."

Gerard si risollevò piano, la capacità curative dei mannari erano state probabilmente attivate, anche se ancora non aveva passato la notte. Lentamente, la ferita stava guarendo. Il vecchio si gettò sullo sceriffo e Stiles fu costretto ad appoggiarsi ad un albero.

Si guardò indietro spaventato.

Peter aveva raggiunto Scott e Isaac e stava cercando di tenere uno dei lupi occupato. Le ferite che si erano aperte sui corpi dei più piccoli faticavano ai richiudersi com'era avvenuto per quelle di Erica e Boyd.

Derek era in svantaggio e, nonostante gli tenesse ancora testa, iniziava a perder terreno.

Ringraziando il cielo non vedeva il quarto Alfa, ma comunque non erano abbastanza forti.

Altri due colpi d'arma da fuoco.

Stiles voltò la testa di scatto verso suo padre, spaventato a morte.




Quant'è difficile raccontare uno scontro? Ve lo dico io, TANTO! Spero vi sia piaciuto perché l'avrò riscritto più o meno dieci volte =_="
Ad ogni modo! Grazie per i meravigliosi commenti che mi lasciate, sono un carburante davvero efficace! Il capitolo VI è finito, il VII lo devo ancora cominciare: spero, per la prossima settimana, di riuscire a terminarlo così da poter pubblicare, nonostante l'agenda della RealLife sia un po' troppo fitta...
Un bacio a tutti, che siano lettori o recensori. Grazie del tempo che dedicate a questa storia.
Alla prossima
Leli

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Capitolo 6
*** Rinforzi ***


Capitolo VI
Rinforzi

Gli artigli penetrarono nella carne, slabbrando i tessuti, tagliando i nervi. Sentì la licantropo uggiolare saltando di lato, prima di venir attaccato dall'altro che, con una zaffata di pino nero, gli si avventò addosso, grinfie e morso pronti all'attacco.

Derek scivolò di schiena, puntò un piede contro il ventre del lupo e lo catapultò contro la donna che si stava rialzando, la ferita già parzialmente assorbita.

Isaac uggiolava di dolore, Peter ringhiava infuriato, Scott si era appena aggrappato all'Alfa nel tentativo di gettarlo a terra.

Parò un assalto con la sinistra, stringendo il polso possente e peloso tra le dita, cercando di rompere l'osso, schivò il colpo di lei, girò su se stesso per evitare quello di lui, facendo perno sul braccio che finalmente si spezzò. Lei gli fu addosso, contro la schiena, una gamba enorme a bloccargli il braccio contro il petto, una zampa ad afferrargli il muso deformato dalla trasformazione, l'altra elevata per sferrare il colpo.

Un primo colpo di pistola.

Lei s'immobilizzò l'attimo necessario perché lui si ribaltasse di schiena, schiacciandola contro un ramo spezzato. S'incontrò con l'altro a metà strada, in un cozzare di muscoli ed artigli. Lei gli fu nuovamente addosso, le fauci spalancate pronte a mordergli la giugulare.

L'odore del sangue era inebriante e nauseante al contempo. Sapeva che era il sangue del suo branco ad essere versato, eppure quell'odore lo spingeva a cercare altro sangue, ad essere ancora più spietato.

Liberò una mano dalla stretta dell'altro licantropo e la tirò indietro, facendo un passo indietro per allontanare il fianco scoperto, ed affondò gli artigli nella spalla di lei.

Non era la furia che doveva prevalere, ora.

Stiles.

Doveva proteggere Stiles.

E il padre di lui. E il proprio branco.

Non era più tempo per la rabbia cieca.

Altri due spari. In rapida successione.

Lei, questa volta, non si spaventò. L'altro licantropo gli storse il braccio che ancora gli bloccava, gli artigli conficcati nella carne. Lei lo morse sul braccio che la stava ferendo prima di assaltargli la giugulare.

Derek non poté far altro che urlare di dolore.

   

Lydia osservava Jackson muoversi per quella casa sconosciuta, prendendo misure e contando porte e finestre e, davvero, non riusciva a capire a cosa tutto quello servisse. Si sentiva spaventata, come lo era stata quando era stata costretta ad aiutare Peter, ma era disturbante il pensiero che fosse Jackson, ora, a renderla inquieta. Aveva provato a chiedere agli altri due cosa stesse succedendo, cosa Jackson stesse facendo, ma nemmeno loro lo sapevano.

Poi lui tornò con dei fogli e un penna.

"Una cuspide per ogni lupo, una linea per ogni cucciolo d'uomo, un quadrato per ogni porta, una tacca per ogni finestra e un cerchio per legare il tutto."

Cantilenò, quasi in trance, mentre tutti gli altri, avvicinatisi al tavolo, lo guardavano eseguire ad occhi chiusi ciò che le parole stavano suggerendo. Lydia sgranò i propri osservando ciò che gli altri pareva non notassero: le iridi di Jackson brillavano, ad intermittenza, di una luce azzurra, intensa, innaturale. Cercando di ritrovare la salivazione provò a parlare, riuscendo a non balbettare troppo.

"Cosa dovrebbe significare?"

"E' un glifo."

Aveva risposto Erica, crollando immediatamente dopo sulla sedia di fronte a Jackson, esausta.

"Serve per proteggere la casa."

Rispose il ragazzo osservando strabiliato il proprio disegno.

"A me sembrano solo un'accozzaglia di segni senza senso."

Boyd recuperò il foglio, osservandolo attentamente.

"Mai visto nulla del genere né da Derek né al vecchio rifugio."

"Tu come puoi conoscerlo? Te l'ha insegnato lui?"

"Oh, andiamo, e quando l'avrebbe fatto? In un sogno? Non si sono più rivisti da quando si è finalmente trasformato."

Lydia li ascoltava solo con una parte del cervello; l'altra, la maggior parte, era occupata a cercare di decifrare l'espressione del proprio ragazzo e le parole mute dal movimento quasi impercettibile delle labbra. Tentativo vano.

Erica sbuffò, riconcentrando tutta l'attenzione su di lei.

"Tenerci all'oscuro non significa rimanere tutto il giorno a girarsi i pollici."

Jackson iniziò a guardarsi intorno freneticamente e Lydia, credendo si sentisse a disagio da quell'interrogatorio, si mise in mezzo.

"Cosa Derek gli abbia detto non è affar nostro: la sola cosa importante è che gli abbia affidato la casa, quindi direi che poiché la momento non siamo esattamente al sicuro, ci conviene fidarci di qualcuno che, per un motivo o per l'altro, può fornirci protezione. Credo sia più comodo agire ora e preoccuparci più tardi, che ne dite?"

Boyd scosse la testa ma poi diede il proprio consenso. Erica sembrava ancora tremendamente scettica, o forse solo gelosa, ma poi annuì convinta.

Lydia cercò allora di attirare l'attenzione di Jackson e, al terzo tentativo, il ragazzo le spiegò cosa farne di quei glifi.

Dovevano essere replicati – uno all'esterno e un all'interno – su ogni porta e ogni finestra. Dopodiché sarebbero stati un po' più al sicuro. Non garantiva l'assoluta inattaccabilità della casa, ma avrebbe impedito ogni tipo di attacco a sorpresa e gli avrebbe fornito un po' di tempo per organizzarsi contro la minaccia.

Jackson e Boyd si occuparono dell'esterno, Erica del piano terra e Lydia del resto della casa. Venti minuti dopo erano nuovamente tutti in salotto.

Erica si tolse una medicazione, la ferita si era quasi del tutto rimarginata. Si mise accanto a Boyd, che ormai riusciva a tenersi in piedi per conto suo, e guardò attentamente Jackson.

"E ora che si fa?"

"Si aspetta che tornino Derek e gli altri o di venire attaccati dagli Alfa."

"Oh, perfetto, programma magnifico."

Jackson si sistemò sul divano con quella sua posa artefatta strafottente e provocante che gli riusciva tanto bene. Alzò un sopracciglio ghignando e guardandola con sufficienza.

"Suggerisci qualcosa di più movimentato? Nelle tue condizioni? Hai lasciato il branco, per poco non hai fatto ammazzare te stessa e il tuo compagno e hai ancora il coraggio di recriminare?"

"Chi diamine ti credi di essere, tu? Solo perché Derek ti ha preso con sé, non significa che tu sia speciale."

Lydia rise, un po' istericamente. Era stanca di tutta quella tensione: sarebbe voluta andare a casa, rintanarsi dentro il letto – possibilmente col proprio fidanzato – e dormire fino al mattino. Invece era bloccata con tre mannari che stavano cercando di sembrare più importanti di quanto in realtà non fossero.

"Oh, beh, considerata la furia con cui è uscito, credo proprio che l'unica persona che Derek consideri speciale è Stiles, quindi sarebbe il caso di smettere di litigare su questo punto."

Gli altri l'osservarono stupiti, ma non dissero una parola per molto tempo. E Lydia ringraziò ogni entità conosciuta per quella tregua.

   

Scott si volse immediatamente verso il rumore degli spari e verso l'urlo disperato di Stiles. Gerard stava bloccando il braccio dello sceriffo verso l'alto e la pistola aveva colpito a vuoto. Si ricordava perfettamente il male di un colpo di pistola ma sapeva anche che contro Gerard, nonostante fosse stato appena morso, non aveva avuto l'effetto sperato. Forse il fatto che fosse già stato morso da Derek gli aveva in qualche modo già iniziato la trasformazione e una volta che il corpo s'era liberato dell'aconito ora reagiva più velocemente al morso di un altro Alfa.

Non aveva idea di cosa fosse successo, ma aveva fatto un casino, se ne rendeva conto solo ora.

Un manrovescio lo lanciò contro un tronco, annebbiandogli per un attimo la vista.

Derek si stava liberando del lupo che gli immobilizzava un braccio e aveva iniziato a scrollarsi la lupa che l'aveva aggredito da dietro attaccandolo alla giugulare. Erano uno spettacolo spaventoso.

Vide Stiles fa rimbalzare gli occhi da suo padre a Derek e in quel momento decise.

E vide Isaac approvare la sua decisione lanciandosi di potenza contro l'Alfa, nonostante avesse ferite più gravi delle sue. Derek gli aveva ordinato di occuparsi di Stiles.

S'abbatté contro Gerard, staccandolo dallo sceriffo e iniziarono a rotolare sulle foglie secche.

Fu in quel momento che sentì l'urlo di Stiles.

Seguito da quello disperato dello sceriffo.

   

Stiles vide Scott gettarsi su Gerard. Fece appena in tempo a tirare un sospiro di sollievo nel vedere suo padre alzarsi, che una palla di pelo munita di zanne e artigli lo scaraventò a terra.

Il panico s'abbatté su di lui come uno tzunami, lasciandolo boccheggiante, le mani protese nel tentativo di difendersi da quegli artigli che gli stavano lacerando la pelle. Rotolò su se stesso, col lupo che tentava di morderlo, dilaniarlo, farlo a pezzi.

Meglio la morte, pensò con un lampo di lucidità. Non voleva esser reclamato da quell'Alfa, chiunque esso fosse. Non sentiva più le urla o i rumori di chi lo circondava, solo in raspare di gola del licantropo sopra di lui e l'odore del suo fiato.

Poi, d'un tratto, aria fresca.

Sbatté le palpebre un paio di volte e rotolò su un fianco, per alzarsi con più facilità: aveva sicuramente qualche osso incrinato – se non addirittura rotto – e le mani erano sporche di sangue – il proprio sangue.

Alzò lo sguardo e vide Derek, davanti a lui, in sua protezione. Il licantropo che l'aveva attaccato giaceva scomposto qualche metro più in là mentre un altro lo stava, ora, fronteggiando. Si alzò traballante sulle gambe e il corpo del lupo gli si spinse contro, quasi ad indicargli di tornare a terra.

La mano di Stiles finì nel pelo scuro di Derek, impiastricciandosi di sangue fresco. Lo osservò meglio e sotto la luce lunare intravide il riflesso scarlatto imbrattargli il pelo in più punti.

"ISAAAC!!!"

L'urlo lontano di Peter diede il via all'ultimo duello.

Nell'istante in cui Stiles alzava gli occhi, cercando di scandagliare il buio davanti a sé, i due lupi partirono all'attacco, cozzando a meno di due metri da dove si trovava.

Fu come se tutto viaggiasse al rallentatore. Si sentì urlare il nome dell'Alfa mentre sentiva colpi di pistola e vedeva dardi conficcarsi nell'ammasso di carni davanti a sé.

Erano arrivati i cacciatori.

   

Si erano spostati in cucina per cercare qualcosa di commestibile da mangiare. Ovviamente, l'idea di chiamare un fattorino per le pizze era stata immediatamente bocciata come quella di mandare qualcuno a comprarne. Il frigo era vuoto, ma nella dispensa c'erano un po' di sottolio e sottaceto con cui avrebbero potuto cucinare qualcosa di commestibile.

Jackson stava tirando giù una scatola di riso, imponendosi di pensare ad altro, quando le braccia di Lydia andarono a circondargli la vita.

"Che succede?"

Aveva sbuffato per fingersi scocciato dal comportamento appiccicoso della propria ragazza.

"Vuoi raccontarmi come facevi ad essere a conoscenza di quel glifo?"

"Perché vuoi saperlo? Non ti fidi nemmeno tu?"

Si era immediatamente allontanato da quelle braccia, sentendosi quasi scottato. Era stanco di non esser parte di qualcosa, di non esser creduto, di avere sempre paura di essere sbagliato.

Stava per perdere il controllo, gli occhi lampeggiavano bagliori azzurri, ma il ricordo del calore dell'abbraccio del suo Alfa lo fece calmare.

Voleva che Lydia gli credesse, voleva che lei non lo guardasse come un oggetto da mostrare, che per lei fosse importante… ma aveva altrettanta paura di quei desideri, di ciò che era, di chi era.

La voce della sua ragazza lo riportò alla realtà, all'acqua che bolliva sul fuoco, alle scatolette ancora da aprire.

"Io mi fido di te. E non so nemmeno perché dovrei fidarmi, dato che non sono mai stata la cosa più importante della tua vita, ma io non posso smettere. Non posso semplicemente decidere di non fidarmi più, o di non amarti più, perché sei parte di me, perché ne abbiamo passate tante. Però sono stanca di essere lasciata, costantemente, all'oscuro. Non posso stare con te, non posso esprimere tutto il mio amore per te, se tu mi nascondi la tua vita, non mi dici quello che pensi, tieni sotto chiave i tuoi sentimenti. Io sono qui. Sono qui per te. Ma vorrei che tu ci fossi per me allo stesso modo, altrimenti che senso ha tutto questo?"

Una lacrima scivolò sul suo viso e Jackson si mosse prima ancora di riuscire a formulare un pensiero, uno qualsiasi.

"Ho visto un bambino…"

Le disse tra i capelli, appoggiandosi al tavolo per evitare di perdere l'equilibrio. Lei lo strinse ma non disse nulla: se l'avesse interrotto, lui non sarebbe riuscito ad andare avanti, di questo ne era certo.

"Aveva i capelli scuri e gli occhi grandi. Credo stesse studiando. Non so chi fosse, ma sento una nostalgia mai provata prima a pensare a lui."

La luce di un mattino illuminava una cucina, anche questo si ricordava. C'era rumore di stoviglie, da qualche parte, ma lui non poteva vedere da dove provenisse quel suono.

"Teneva una matita in mano e su un foglio stava riproducendo per la… non so credo, terza o quarta volta, quel glifo."

Più che una matita sembrava un carboncino. L'odore di bucato appena ritirato attirava di tanto in tanto la sua attenzione, ma subito dopo le dita morbide del bambino gli facevano il solletico e lui tornava a prestare la massima attenzione ai compiti che l'altro stava svolgendo.

Quei ricordi, quel sogno, non aveva senso.

"Una cuspide per me, una per la mamma, una per la zia, perché noi siamo lupi. Una linea dritta per te, che sei ancora un cucciolo d'uomo. Tre quadrati, uno per la porta d'ingresso, uno per la porta in veranda, una per quella sul retro. Devono stare sotto, perché sono quelle più facili da cui entrare. Poi devo fare tutte le tacche per le finestre. E questa volta non devo sbagliare. Contiamo insieme?"

Lydia lo osservò con gli occhi dilatati dallo stupore. Lui le sorrise, crollando subito dopo la testa sulla sua spalla.

"E' ciò che ricordo: lui che impara e io che gli sto vicino e… farfuglio qualcosa, credo. Era prima, molto prima che venissi adottato."

Le mani di Lydia gli finirono tra i capelli e lui non poté fare a meno di abbracciarla, baciarla, perdersi nel sapore inebriante di lei.

"Non è un sogno… non è così?"

Sussurrò appena, ma non fu la voce della propria fidanzata a rispondergli, ma quella di Erica.

"Credo siano ricordi."

"Ma quindi…"

Lydia guardò i due mannari vicino alla porta della cucina. Il riso borbottava nella pentola e ormai doveva esser fatto, ma non importava più a nessuno. Gli occhi di Erica si assottigliarono mentre la comprensione si faceva strada, facendole storcere il naso.

"Sei come Derek. Sei un purosangue."

Gli disse prima di lasciare la cucina sbuffando.




Scusatemi innanzitutto se non ho ancora risposto ai vostri meravigliosissimi commenti: ad un mese di merda non poteva che seguire l'ennesimo inizio settimana di merda, e scusatemi i francesismi ma, davvero, questa volta ci vuole.
Purtroppo, proprio la mia RealLife potrebbe far slittare il prossimo aggiornamento. Spero, con tutto il cuore, di riuscire a ritagliarmi quei dieci minuti al giorno per poter scrivere, ma non so se ne sarò in grado. La cosa renderebbe triste me per prima dato che, finalmente, la storia entra nel vivo!
Detto questo, v'è piaciuto il capitolo? Lo spero davvero tanto! Il punto di vista di Derek si capisce o è troppo incasinato? L'infanzia di Jackson vi intriga?
Fatemi sapere che io, al più presto, cercherò di rispondervi!

PS: scrivendo ho scoperto di detestare un pochino Erica...

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Capitolo 7
*** Il nemico del mio nemico è mio amico ***


Capitolo VII
Il nemico del mio nemico è mio amico

Dolore, dolore, dolore.

Il proprio nome urlato forte, vicinissimo a lui. L'avversario scappato veloce, illeso. L'olfatto come solo mezzo per interpretare un mondo sfumato. Fruscio ovattato di foglie smosse velocemente, odore di sangue, un tonfo sordo, odore del sangue del proprio branco, il proprio nome ripetuto più volte tra altre parole indistinte, Peter, lontano, ad incitare Isaac a non mollare, a restare sveglio. Quasi stesse spronando entrambi.

Dolore, dolore, e un corpo caldo.

I sensi di Derek erano intorpiditi dopo che un proiettile gli aveva trapassato il fianco. Poco prima i due Alfa gli avevano quasi strappato un pezzo di collo: ferita grave, almeno un paio di giorni per il pieno recupero, a meno di non morire prima per l'aconito. Sentiva gli artigli graffiare il terreno e quel corpo caldo, tremante, stringersi al suo, l'aroma penetrante di foglie smosse.

Poi una voce profonda, nota.

"Punta immediatamente quell'arma da un'altra parte, o il tuo cervello sarà concime per le piante."

Lo sceriffo. Fetore di polvere da sparo, lampi a malapena distinguibili di due persone in piedi di fronte, lo scintillio della canna di una pistola contro di lui, il lieve sentore di strozzalupo. Il ginocchio di Stiles contro il terreno, le sue braccia attorno al proprio collo, i propri denti così vicini alle sue carni, il profumo inebriante del suo sangue.

Derek si sentì ringhiare, poi le dita lunghe, affusolate, scivolarono tra la pelliccia del suo collo, calmandolo all'istante.

"E' Derek, è venuto a salvarmi."

La minaccia cessò in pochi istanti e la mano sottile slittò sulla pelle liscia, impiastricciandosi di sangue, mentre il lupo si trasformava in uomo. Derek si ritrovò abbracciato alla vita di Stiles, il corpo scosso da spasmi mentre l'aconito iniziava ad entrare in circolo e le foglie del sottobosco li accoglievano entrambi.

Palmi morbidi esaminarono il suo corpo, ansimi trattenuti man mano che le mani scoprivano nuove ferite.

Dolore immenso.

Volto contro la camicia larga a quadri. Un profumo buono.

Poi quello di polvere da sparo dello sceriffo si fece più intenso. Stilse trovò il foro della pallottola.

"Signor Argent! Con cosa avete sparato?"

"Strozzalupo."

La risposta arrivò lontana, ovattata. Avvertì a malapena il corpo del ragazzo tendersi poi una scossa di adrenalina lo facesse urlare. I propri artigli affondarono nella stoffa abbondante dei vestiti di Stiles, prima di riuscire a rendersi conto, anche solo vagamente, di cosa stesse facendo e decidere di allontanarsi con forza dal corpo sottile che continuava a proteggerlo.

Se il dolore atroce non gli avesse ottenebrato tutti i senti avrebbe riso di sé: il mannaro, l'Alfa, che si faceva proteggere da… Stiles. Ma il suo corpo era in fiamme mentre espelleva la tossina nociva e il suo stesso sangue stava imbevendo il sottobosco.

La lucidità tornò poco alla volta, con lo scemare del dolore.

Vide Stiles, ancora inginocchiato per terra, che lo osservava teso, come in procinto di raggiungerlo. Lo sceriffo teneva una mano sulla spalla del figlio, un gesto a metà tra il sollievo di saperlo in salvo e la paura che potesse scappargli di nuovo. Isaac era ancora a terra e non accennava a volersi riprendere. Il cacciatore che aveva iniziato a far domande a Peter su come fossero riusciti a intrappolare uno degli Alfa con così poco preavviso stava facendo schizzare la pazienza del lupo ben al di sotto della soglia di guardia ma, fortunatamente, se ne stava già accorgendo. Alison  aveva raggiunto Scott e lo stava aiutando a camminare: la gamba aveva un'angolatura strana, e il ragazzo teneva le labbra strette per non urlare.

Si sarebbe dovuto occupare del proprio branco, subito, e invece era il sentore del sangue di Stiles a farlo reagire come una molla. Incurante del proprio corpo che lo pregava per un po' di riposo, fece un balzo avanti, arrivando quasi addosso al ragazzino e a suo padre, e le mani, prima di tutto, scattarono verso la camicia, sfilandogliela con forza. Si accorse di avere almeno tre pistole puntate contro – una era quella dello sceriffo – ma le ignorò. Aveva altro, di più importante, a cui pensare.

"Sei stato ferito."

Tentò di articolare, mentre l'ansia gli attanagliava le viscere e un nodo si era stabilito alla base della gola e non ne voleva sapere di andarsene.

"Anche da me."

Aggiunse con rabbia, artigliandogli la maglietta slabbrata in più punti.

"Devo controllare che non ci siano morsi e che le artigliate non siano troppo profonde."

Sentì Chris Argent posizionarsi dietro di lui e Stiles affermare di non esser stato morso.

"Anche se ci sono andato maledettamente vicino…"

Aveva aggiunto Stiles prima che la maglietta gli scivolasse oltre le spalle, strozzandogli le parole. Quasi non si rese conto di essere mezzo nudo davanti a una platea estremamente eterogenea. Ma forse era solo ancora troppo agitato per aggiungere l'imbarazzo alla marea di emozioni che stava provando.

"Si può divenire licantropi anche per un graffio?"

Le pistole si erano finalmente abbassate, lo sceriffo osservava ogni movimento delle mani di Derek sul corpo del figlio con un cipiglio niente affatto soddisfatto. Derek cercò di evitare, il più possibile, di pensare a quello sguardo. Le sue dita stavano vagliando il corpo del ragazzino, come lui stesso aveva fatto pochi minuti prima, mentre era ancora incosciente, saltando da un graffio all'altro alla ricerca di qualcosa che sperava, con tutta l'anima di non trovare.

Fu Chris a rispondere per lui alla domanda.

"Sì, se è abbastanza profondo."

Stiles scrollò le spalle, rimediandosi un'occhiataccia. E mise il broncio. Nemmeno sapeva di farlo, lo faceva e basta. Era un broncio particolarmente atterrito, ma comunque un broncio.

"Non mi pare di aver ricevuto artigliate profonde."

Mugugnò. Derek lo strattonò più vicino, per esaminargli il torso e la schiena.

"Sento l'odore del tuo sangue."

E del tuo cuore che batte all'impazzata, avrebbe voluto aggiungere. Finalmente l'adrenalina era scemata e l'imbarazzo aveva fatto capolino in quella testolina buffa.

"Oh, che cosa romantica. Non è che vuoi mangiarmi, vero? No perché, come ho già detto più e più volte, non sono molto appetitoso. Troppe ossa e poca carne, direi."

Derek lo strattonò per le braccia, guardandolo nuovamente torvo.

"Comunque potresti anche smetterla di spaventarmi a morte, sai? Non ho molta voglia di crepare giovane."

Trovò la ferita che sanguinava maggiormente, quella che gli aveva fatto temere il peggio. Era sotto al gomito. Se l'avvicinò al naso per odorarla.

"Ecco, lo sapevo, vuoi mangiarmi! Ti rendi conto che al momento ci sono troppi testimoni? E cacciatori, non dimentichiamoci i cacciatori."

Derek sollevò lo sguardo sul suo viso in fiamme e, ridendo sotto i baffi, gli leccò la ferita.

Stiles divenne bordeaux, cessando immediatamente di parlare, per poi scolorire fino a divenire bianco come un morto.

Derek lo lasciò immediatamente sollevando un sopracciglio. E Stiles ricominciò a respirare.

"Non sei stato graffiato in modo grave. Quella ferita te la sei procurata cadendo. Vai a farti disinfettare."

Si alzò traballante sulle gambe osservando gli altri membri del branco. La ferita alla base del collo gli faceva ancora male, ma aveva iniziato lentamente a guarire. Perlomeno la vena aveva smesso di zampillare tutto il suo sangue. Peter era ancora chino su Isaac, Scott ancora sorretto da Alison. Doveva occuparsi di loro.

Si voltò nuovamente verso Stiles.

"Rivestiti."

Gli ordinò, facendolo nuovamente avvampare.

Si avvicinò a Scott e si inginocchiò davanti alla gamba martoriata.

"Devo rompertela nuovamente: si sta ricalcificando male."

"Alison, allontanati."

"Ma Scott, io…"

"Ho detto allontanati. Farà male, e io non voglio ferirti."

Gli occhi enormi della Argent oscillarono tra l'uno e l'altro, prima di sciogliere la presa sul corpo dell'ex-fidanzato. Derek scosse mentalmente la testa: quella situazione non avrebbe portato a nulla di buono.

Si fece carico del peso di Scott e lo fece stendere sul manto erboso. Poi gli ruppe la gamba. Ignorando le urla ruotò i due pezzi in modo che fossero allineati, provocando nuovo dolore.

Il ragazzo non si trasformò completamente. Lui sorrise, si alzò e gli passò una mano tra i capelli.

"Bravo ragazzo, stai imparando."

Scott proruppe in un paio di frasi irripetibili mentre l'osso tornava a guarire normalmente. Poteva anche pesare di aver deciso di non far parte del branco di Derek, ma il suo corpo reagiva come se invece ne fosse membro: la frattura che gli aveva procurato l'altro Alfa ci stava impiegando una vita a saldarsi e stava anche guarendo male; quella di Derek, invece, si stava già rimarginando.

Si appoggiò a un albero per riprendere fiato prima di raggiungere Peter e Isaac.

Forse, quella serata non era stata un completo fiasco.

Dietro di lui, da qualche parte, gli Argent erano pronti ad andarsene, col loro bottino incatenato da quintali di strozzalupo. Alison non aveva voglia di rientrare col padre e i due avevano preso a discutere. Stiles si era avvicinato a Scott, e questi l'aveva abbracciato stretto, chiedendogli di perdonarlo per non esser andato via con lui.

Su questo, molto presto, lui e Scott avrebbero avuto una bella chiacchierata.

Scivolò accanto allo zio.

"Non riprende i sensi. Ho provato in tutti i modi, ma niente da fare."

Derek provò a schiaffeggiarlo piano, ma l'altro non reagì. Aveva un braccio quasi completamente staccato e la grossa emorragia, oltre allo shock corporeo, avevano portato allo svenimento. Peter era riuscito a fermare l'emorragia, ma se Isaac non fosse tornato cosciente, non c'era nulla che potesse accelerare il processo di guarigione e permettergli di recuperare il braccio.

Guardò le proprie vene pulsare sangue e la luce della mezza luna illuminare a malapena il campo.

"Credi che possa farlo?"

Suo zio annusò l'aria: quella non era la Luna della Rinascita, ma forse poteva funzionare. Sarebbe stato il sangue di Derek a fare il resto.

"Credo sia l'unico modo. Se ha riportato indietro me, che ero morto, dovrebbe riuscire a risvegliare lui. Anche se lui non è un purosangue. Vado a prendere l'aconito."

"Lo odio, ci fa sembrare dei vampiri."

Borbottò, seguendo lo zio che correva verso la Camaro e tornava con lo strozzalupo.  Avvolse il rampicante attorno al corpo di Isaac e fece segno a Derek di continuare: questi si ferì il polso con gli artigli di Isaac e gliel'avvicinò alle labbra esangui.

Derek avrebbe voluto trasformarli tutti in guerrieri, ma la verità era che il suo branco era, al momento, formato da una marea di cuccioli. Fece scivolare le dita della mano libera tra i riccioli biondi incrostati di sangue e, in quel momento le labbra di Isaac si serrarono sul suo polso.

Peter stava rimuginando su qualcosa. Si sedette comodo, in attesa che il ragazzino si riprendesse.

"Credo sia questo il motivo per cui quegli Alfa ti vogliono. Stilinski ha urlato qualcosa sul non farti ferire. Non mi pare che tu abbia seguito il suo consiglio."

Peter osservò Isaac bere il sangue di Derek, goccia a goccia, e riprendere colore ed energie ad una velocità altrimenti impensabile.

"Credi che abbiano un morto da risvegliare?"

"O vogliono verificare che le dicerie siano vere."

La mano sana di Isaac scattò contro il polso di Derek per tenerlo fermo, mentre la sua lingua calda lappava il sangue e i denti continuavano a ferirlo.

Derek prese un sospiro prima di voltarsi verso lo zio.

"Credi siano tutti Alfa di seconda generazione?"

"Siamo sopravvissuti. E tu non hai nemmeno dato il meglio di te, dato che la missione non era distruggerli ma salvare il tuo compagno."

Derek non poté ribattere in alcun modo perché in quel momento Isaac urlò, inarcando la schiena e cercando di alzarsi.

Era sveglio, era cosciente, e aveva ancora un braccio parzialmente staccato.

Il suo urlo richiamò i cacciatori che stavano per andarsene e Scott e Stiles corsero da loro, più veloci degli altri.

Derek stava stringendo Isaac al petto, questi gli artigliava la schiena col solo braccio funzionante, Peter cercava di tenergli l'altro braccio in modo da agevolare la guarigione ma nulla di quello che potevano fare gli avrebbe alleviato il dolore.

"Resta sveglio, Isaac. Lo so che fa male, ma resta sveglio."

Continuava a ripetergli Derek, osservando il lento processo di guarigione. Se non gli avesse dato il suo sangue, non sarebbe mai riuscito a risanare quel braccio.

I suoi occhi si accesero di rosso.

I nervi del collo di Peter erano un fascio duro e contratto.

Vendetta.

Per quello che avevano fatto a Stiles, per quello che avevano fatto al loro cucciolo.

Vendetta.

Alzò gli occhi sugli spettatori. Tutti, tranne il giovane Stilinski, fecero istintivamente un passo indietro.

"Cacciatore, una tregua?"

Chiese Derek guardando dritto negli occhi Chris Argent, la figlia stretta in un abbraccio protettivo. Le urla di Isaac erano soffocate dal petto di Derek. Il suo braccio che si risanava era uno spettacolo affascinante e raccapricciante insieme.

Chris Argent spostò lo sguardo dal processo di guarigione e soppesò gli occhi del capobranco, fino a concedere.

"Un gruppo di Alfa è un pericolo che da soli non possiamo gestire."

"Voi avete un'esca, o un prigioniero. Ma non so se gli altri verranno per lui."

Isaac scivolò sul petto di Derek, fino a raggiungere la ferita al collo che gli avevano procurato i due Alfa e iniziò a leccarla.

Il processo di guarigione ebbe una seconda impennata. E Derek fece un sorriso glaciale, mentre continuava ad accarezzare la nuca del suo Beta.

"Forse non verranno per lui. Ma verranno per me."




Non chiedetemi come ho fatto... non saprei che dirvi! Appena appena in tempo!!!
Eccovi il nuovo capitolo! Spero davvero che vi piaccia ;D
Mi sono permessa un po' di licenze poetiche e di interpretazioni personali dei fatti del telefilm, spero che me le passerete per buone senza troppi patemi d'animo...
OK, alzino la manina tutti quelli che si erano accorti di quello che stava succedendo, laggiù sullo sfondo del teleschermo, ad Isaac! Su forza, su quelle mani!!! XD

Grazie infinite a tutti quelli che commentano, a tutti quelli che seguono questa storia, che la tengono tra le preferite o tra le storie da ricordare. Grazie davvero! Non mi sarei mai immaginata di avere tanto pubblico!
Un saluto a tutti
Leli

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Capitolo 8
*** Tentativi di spiegazione ***


Capitolo VIII
Tentativi di spiegazione

Il rientro a casa era stato leggermente surreale.

Derek aveva abbaiato ordini a destra e a manca, mentre teneva Isaac tra le braccia, scortato da Peter. Erano inquietati, tutti sporchi di terra e sangue, i corpi scolpiti laceri, i pantaloni di Derek – unico vestiario ancora indosso – praticamente a brandelli, l'espressione feroce di Peter e quella sofferente di Isaac.

Peter aveva guardato Chris Argent scortarli alla jeep di Stiles come se fremesse dalla voglia di staccargli la giugulare a morsi, ma si era limitato ad aprire la portiera e a far accomodare Derek e Isaac sul sedile posteriore mentre lui prendeva posto su quello del passeggero, ricominciando a sorreggere il braccio ancora parzialmente staccato allineato al moncherino.

Alison aveva baciato Scott sulla guancia – molto vicino alle labbra – prima di correre verso la macchina di Derek, oltre la radura. Si sarebbero visti a casa di Isaac, poi da lì qualcuno li riavrebbe accompagnati, lasciando poi a Stiles la propria jeep.

Il resto degli Argent avrebbero portato l'Alfa prigioniero in un luogo sicuro e avrebbero iniziato a montare la guardia e a tentare di farlo parlare.

Surreale era stato passare da Scott, così che sua madre potesse dare un'occhiata alle sue ferite, e gli sguardi e le parole sussurrate che i due adulti si erano scambiati.

Una volta seduti nella loro cucina la conversazione con il padre era stata a sua volta surreale. Scott, che aveva l'ordine tassativo di non perderlo d'occhio, stava appoggiato al lavandino, in modo da lasciar loro tutto lo spazio possibile, e lui aveva raccontato ogni cosa: da come Scott era stato morso, a Peter e il suo coinvolgimento con gli omicidi, al fatto che fosse morto, ucciso da Derek e poi resuscitato con un rituale che non conosceva messo su da Lydia, che era immune al morso; agli Argent e il loro ruolo all'interno di quella giostra, a Gerard Argent e al suo totale egocentrismo; a Jackson e gli altri mannari, fino al Kanima finalmente sparito. Aveva parlato per quasi due ore, mentre il disinfettante aggrediva le sue carni, portandolo a sfregarsi le bende che coprivano le ferite, con Scott che interveniva ogni tanto, per puntualizzare questo o quell'argomento.

L'uomo, alla fine del racconto, si passò volta i polpastrelli sugli occhi, sulla fronte, sulle tempie, in cerchi concentrici come a voler scacciare un principio di emicrania.

"Quindi, Gerard ti ha picchiato per rendere Scott più malleabile e indurlo a fare quello che gli aveva chiesto."

Stava ricapitolando. Scott annuì, precisando che lui era stato comunque più furbo di quel vecchiaccio.

"A parte per le botte, vorrei precisare che non sono stato minimamente coinvolto in questo piano. Scott, sono quasi orgoglioso di come hai gestito quella situazione. Devi solo imparare a tener conto anche dei particolari."

Blaterò Stiles, per cercare di cambiare argomento o alleggerire la tensione.

"Mi vorresti dire che sei tu la mente degli altri piani?"

Chiese lo sceriffo ignorando il borbottio sarcastico di Scott su quanto Stiles facesse invece attenzione ai dettagli. Non stava più parlando come padre e Stiles si ritrovò a scuotere violentemente la testa. Balbettava, cercando di trovare una maniera di spiegare al padre la propria posizione in quel marasma di mostri e psicopatici, che però nemmeno lui capiva.

"Io faccio ricerche, di solito. E cerco di tenermi lontano dai guai, davvero, però sono i guai che alla fine trovano me."

"Faccio finta di crederti. Almeno per ora."

   

Ci fu come un allarme che risuonò nella casa: qualcuno aveva appena parcheggiato davanti al cancello. Lydia fece un salto, rintanandosi sul divano, quasi a voler sparire. Jackson, invece, si diresse alla finestra e, viste la jeep di Stiles e la Camaro di Derek, corse alla porta e l'aprì come un indemoniato proprio mentre Derek stava per entrare in casa.

"Derek, Erica dice che sono un purosangue!"

Quasi lo assalì, scortandolo dentro il salotto dove gli altri lo guardarono sconvolti. Jackson notò a malapena i suoi abiti a brandelli, come notò appena la risposta scocciata del suo Alfa.

"Non ora, Jackson."

Ma il ragazzo continuò il suo sproloquio, scortandolo fino in una camera da letto da cui Derek prese una coperta, per poi fiondarsi nuovamente fuori, verso la Jeep parcheggiata col motore acceso.

"Ma non ha senso, tu mi hai morso per farmi diventare un licantropo…"

"Jackson, non ora!"

Gli ringhiò nuovamente sulla porta d'ingresso, prima di infilarsi nella jeep e lasciarlo a sproloquiare da solo. Lydia, in piedi sulla soglia, guardava Alison scendere dalla Camaro e Derek entrare nella Jeep.

"OK, ma… io sapevo di quel glifo senza che tu me ne parlassi… come facevo a sapere del glifo? Perché mi stanno tornando dei ricordi che non è normale che io abbia? Insomma, quei ricordi risalgono a quando avevo appeno un anno, quale bambino si ricorda cosa ha fatto a un anno?"

"Io, Jackson. Io qualcosa mi ricordo. Ma ORA non è il momento per parlarne!"

Derek riemerse tenendo tra le braccia il corpo esanime di Isaac. I capelli biondi spuntavano incrostati di sangue dalla calda coperta e il braccio sinistro sembrava avere una piega assolutamente inusuale.

"Oh, Cristo! Cos'è successo?"

Esalò il nuovo licantropo e Lydia si premette a forza una mano sulle labbra proprio mentre Chris Argent scendeva dalla Jeep, seguito da Peter.

"Salve Jackson. Quindi sei riuscito ad ottenere quello che volevi."

Derek ringhiò, voltandosi verso la minaccia. Isaac, ancora stretto al suo petto, gemette piano.

"Argent, lascialo in pace!"

"Oh, è uno dei tuoi quindi?"

Il modo come lo disse fece venire i brividi a Jackson che si avvicinò di più al suo Alfa. Si sentiva un bambino e la sensazione non gli piaceva, ma la sola cosa che potesse fare era rimettersi completamente nelle mani si chi l'aveva trasformato.

Gli occhi di Derek, visti dal riflesso sul parabrezza, si tinsero di rosso e Jackson si sentì rincuorato.

"Sparisci. Ti trovo io. Peter, riaccompagnali a casa loro, poi lascia la Jeep da Stiles e torna qui. Se tarda solo un minuto il nostro patto verrà meno."

Il cacciatore ghignò sarcastico, per nulla impressionato, almeno in apparenza.

"Sono quasi onorato da tanta fiducia."

"Sono sicuro sia reciproca. Jackson, facci entrare."

Non appena dentro venne assalito da un fiume di parole che lo scortarono fino alla camera da letto da dove aveva preso la coperta. Sembrava una stanza per gli ospiti.

"Derek, cos'è successo?"

"Quello che temevo: quattro Alfa sono troppi per noi."

Borbottò entrando nella stanza, con codazzo di adolescenti appresso.

"Isaac come sta?" "A cosa si riferiva quel cacciatore?" "È normale che non si svegli?" "Dobbiamo modificare i glifi?" "Deve arrivare ancora Peter?"

"ORA BASTA! Fuori di qui, tutti quanti!"

  

Sotto lo sguardo preoccupato, arrabbiato e stanco di suo padre, Stiles si sentì in colpa: per essersi fatto male, per non esser riuscito a proteggerlo, per aver dovuto spiattellare i segreti di tutti all'autorità cittadina e aver messo suo padre davanti all'incresciosa scelta se arrestarli tutti o coprirli.

Quando parlò, però, la sua voce era vibrante: contro chi aveva fatto del male a suo figlio, prima di tutto, ma anche contro che pensava di essere al di sopra della legge.

"Posso capire perché Gerard Argent ti abbia usato come… incentivo per Scott. Ma perché l'ha fatto per avere Derek?"

"Non ne ho idea. Lui continua a puntare Derek. Probabilmente voleva nuovamente arrivare prima a Scott: Derek lo vuole nel suo branco e credo che i lupi siano molto protettivi tra loro."

Stiles vide il suo amico storcere la bocca e incrociare le braccia al petto, ma fece di tutto per ignorare quel nuovo campanello d'allarme: anche lui era stanco, la giornata era stata terribilmente intensa, e non aveva più voglia di stare attento a quello che diceva, come lo diceva, e cosa gli altri potessero capire.

"A me è sembrato che Derek Hale fosse molto protettivo anche nei tuoi confronti. E tu particolarmente nei suoi."

Stiles scrollò le spalle accasciandosi contro lo schienale della sedia e lasciando ciondolare la testa, gli occhi che ondeggiavano sul soffitto.

"È venuto a salvarmi… ho solo provato a ricambiare il favore. Comunque, a me Derek è sembrato spaventoso come al solito…"

Mormorò a mezza bocca.

"Stiles, c'è qualcosa che ti lega a Derek Hale? Qualcosa che non mi hai ancora detto?"

Non era l'accusa che gli aveva rivolto Scott una manciata di ore prima, ma qualcosa di molto simile. Chiuse gli occhi per un istante, cercando di mantenere la calma. La testa tornò a sovrastare le spalle cadenti: lo sguardo era lontano mentre provava a mettere insieme una risposta soddisfacente da dare al padre.

"Niente di particolare. Ci aiutiamo a vicenda nei momenti di crisi. Ma so per certo che lui non si fida di me e io ovviamente non mi fido di lui. So che tra tutti i mannari Alfa con cui ho avuto a che fare, lui è quello mentalmente meno instabile, quindi preferirei mantenerlo vivo, ma se non ci fossero altre minacce non mi dispiacerebbe saperlo morto. O molto molto lontano."


Derek aveva adagiato Isaac sul letto gli aveva messo il braccio in modo da accelerare – o almeno non ostacolare – il processo di guarigione, gli aveva rimboccato le coperte per tenerlo in caldo. Il ragazzo aprì appena gli occhi, le immagini gli danzarono innanzi senza riuscire a dare una forma a quello che vedeva.

"Isaac, cerca di rimanere sveglio."

La voce del suo Alfa gli rimbombò nella cassa toracica, inducendolo a provare a fare come gli era stato ordinato. Si sentiva uno straccio. Provò a parlare un paio di volte prima di riuscire ad articolare uno striminzito "fa male".

Derek gli passò nuovamente le dita tra i capelli e le palpebre scivolarono per un momento sugli occhi stanchi, cullato da quel gesto carico di un affetto che non aveva mai sperimentato.

"Lo so. Passerà. Ci metterà un po' ma passerà."

Provò ad annuire, ma la testa gli girò e rischiò di perdere i sensi. Cercò un punto fermo nella stanza e la sola cosa immobile sembravano essere gli occhi di Derek. Quando le vertigini passarono lo sguardo si fissò sul collo dell'Alfa e, improvvise, gli tornarono le immagini di quello che aveva fatto e il sapore ferroso ma buono del sangue di Derek gli esplose in bocca.

"Ho bevuto il tuo sangue… è normale?"

Cercò di allungare una mano verso al ferita ancora aperta, ma la stanchezza era troppa e l'arto ricadde sul materasso dopo appena un paio di centimetri di volo.

Derek scosse la testa, stringendo gli occhi alla scintilla di dolore che gli contrasse i muscoli indolenziti del collo. Però poi la sua voce era ferma e vibrante come sempre.

"No, non è una cosa che si può fare sempre né in tutte le occasioni. Abbiamo tentato e ha funzionato."

"È perché sono un tuo Beta?"

"Probabile."

Ammise, quasi fosse una colpa. Isaac avrebbe voluto prenderlo per un braccio, stringerselo al petto, ringraziarlo per averlo – ancora una volta – salvato. Ma non fece nulla di tutto ciò. Mentre il suo potere ricreava i tendini e saldava le ossa, strinse i denti tra le labbra, rischiando di aprirsi una nuova ferita e cercò di racimolare ogni oncia di fiato a disposizione.

"Devi farci diventare più forti… Peter… ha detto che tu non stai facendo nulla in tal senso…"

"Peter parla sempre troppo, ma ha ragione. D'ora in poi farò quello che devo, hai la mia parola. Siete il mio branco, dopotutto."

     

Scott posò le mani sul tavolo che separava gli altri due, prendendo la parola.

"Credo che Derek abbia deciso che tu fai parte del suo branco."

Stiles si alzò di colpo, riuscendo in qualche modo a non inciampare nella sedia che per poco non si era rovesciata a terra per la foga. Stava iper-ventilando, ma l'aria non ne voleva sapere di entrare nei polmoni. Un principio di attacco di panico.

"Secondo il dottor Deaton non è una cosa malvagia…"

La rabbia prese il sopravvento su tutto il resto. Non sentì suo padre che chiedeva spiegazioni riguardo al Dottor Deaton, non si diede pena di osservare l'espressione di Scott mutare da pensierosa a terrorizzata. Semplicemente, esplose.

"Non è una cos… cosa?! Ti ho già detto una volta che avresti dovuto prendere seriamente in considerazione l'idea di lasciare quel lavoro, ma tu mai che mi dessi retta! E ora ci ritroviamo con un folle che pensa che non sarebbe un'idea malvagia se io entrassi a far parte di un branco di licantropi!!!"

Scott tornò ad appoggiarsi al lavandino: evidentemente potevano non essere necessarie iridi scarlatte o dentatura appuntita per terrorizzare un Beta, ma a questo Stiles al momento non ci pensava affatto. Aveva alzato le braccia al cielo e ora stava misurando la cucina a lunghi passi, inveendo contro i licantropi in generale, gli Alfa in particolare, Derek nello specifico, sotto lo sguardo attento di suo padre e quello sconvolto del suo migliore amico.

"E dannazione ci ho parlato proprio oggi pomeriggio con quell'Alfa da strapazzo e pensavo che avesse capito come io non sia interessato in nessun modo a divenire un licantropo! Lo sa lui, lo sa Peter, lo sanno persino quegli altri quattro venuti a cercare il sangue di un Hale! No, grazie, preferisco rimanere vivo che tentare la roulette con un morso. E quel deficiente con quello sguardo da figo che decide di sua iniziativa? Che io gli appartengo! Ma dico stiamo scherzando?"

Scott l'aveva raggiunto e aveva provato ad afferrarlo, ma Stiles si era divincolato sfuggendogli quasi completamente, solo un braccio era ancora stretto nella mano del licantropo. Non aveva voglia di ascoltarlo, aveva solo voglia di tirare fuori tutta la propria frustrazione e la propria rabbia.

"E tu sei d'accordo? Voi che faccia parte del branco? Ma che vi fa la licantropia, vi annebbia quei pochi neuroni che ancora cercano la propria eco nel vostro cervello?"

"No, aspetta, aspetta, fermati! Hai detto a quegli Alfa che non volevi essere morso?"

Non c'era solo stupore negli occhi di Scott, ma anche ansia. C'erano le tessere di un puzzle antico come i secoli che si stavano mettendo al proprio posto nella sua mente, ma ancora non riusciva a scorgere il disegno che avrebbero dovuto comporre.

Stiles si liberò con uno strattone, riaggiustandosi la maglia tirata dalla foga del mannaro.

"Certo che gliel'ho detto! Stavano finendo di banchettare col corpo di Gerard – a proposito dovrò fare qualche ricerca in merito – quando lei s'è avvicinata ancheggiando chiedendomi se mi sarebbe interessato essere morso da uno di loro. Era ancora sporca del sangue di Gerard e mi chiedeva se volessi essere morso… oh, beh, non in questo modo gentile, ovviamente. È stata spaventosa quasi quanto Derek."

Tentò di fare dell'ironia ma si accorse che stava fallendo miseramente. Non era solo Scott, ora, ad essere preoccupato, ma anche suo padre.

"E lei che ha fatto?"

Come una legge del contrappasso, Stiles ricadde sulla propria sedia mentre suo padre si alzava per andargli vicino. La voce carica di tensione di Scott gli aveva fatto tremare le gambe che avevano smesso di sorreggerlo; quelle ultime ore erano perfettamente impresse nella sua memoria e nel suo corpo dolorante. La voce gli uscì rotta e sottile, il cuore aveva preso a martellargli nel petto.

"Mi ha finito di legare, mi ha guardato in modo raggelate, e mi ha detto che era inutile provare ad irretire il compagno di un altro e infine, tanto per gradire, mi ha picchiato."




Salve a tutti!
Innanzitutto, grazie a tutti coloro che hanno commentato, anche una sola volta, questa sotria. Mi fa sempre estremamente piacere ricevere i vostri commenti.
Poi, grazie a tutti i lurker abituali, ovvero quei lettori che hanno questa stroria tra le preferite/ricordate/seguite. Il vostro numero in continua crescita mi sconvolge enormemente.
E infine un grazie a chi passa e legge.

Ebbene sì c'è la fregatura. Vi stavate chiedendo il eprchè di tutto questo cappello introduttivo pieno di buoni sentimenti, no? Risposta semplice: non so se sarò in grado di mantenere il ritmo di un cap a settimana. Più probabile che diventi uno ogni 10gg...
Purtroppo la Real Life da complicata s'è fatta tragica. E quindi il prossimo capitolo non è ancora finito - a differenza di quello che riuscivo a fare prima, ma non mi andava di saltare l'aggiornamento senza avervi prima avvertito.
Ora, per provare ad ingraziarvi nuovamente, che faccio? Vi bacio tutti!
Un bacione
Leli

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Capitolo 9
*** Ricerche e racconti ***


Capitolo IX
Ricerche e racconti

Scott aveva avuto paura. Quando Stiles si era infuriato aveva avuto una paura irrazionale che se ne andasse, che decidesse di abbandonarli tutti. E ora, quella parola l'aveva messo nuovamente in allarme. Compagno: a chi si era riferita la licantropo? Chi era il compagno di Stiles? Non c'era verso di riuscire a dargli un volto, o un nome. E poi, compagno? Al maschile? Ma di che parlava?

La voce di Stiles, sottile e sconvolta, tornò ad invadere quelle mura mentre lo sceriffo gli stringeva una spalla, come aveva fatto nella radura poche ore prima.

"Le parole di quella pazza non hanno senso, comunque le rigiri, persino Gerard sembrava non capire."

Stiles prese la mano di suo padre: era come se ora che non aveva altre preoccupazioni sovrannaturali – tra cui un salvatore grande e grosso e una manciata di cuccioli di lupo – potesse finalmente farsi accudire da suo padre, com'era giusto e naturale che fosse. Come se fosse stato suo compito proteggere quel gruppo scapestrato che non faceva che portargli guai, rogne e gatte da pelare e che solo ora che erano tutti al sicuro potesse pensare a se stesso. Scott si sentì di troppo, davvero di troppo: se fossero stati soli probabilmente si sarebbero abbracciati sul divano davanti a una partita di un qualche sport a caso, solo per avere un sottofondo, una coca per Stiles e una birra per l'altro. Magari Stiles gli avrebbe raccontato di come il soprannaturale fosse entrato nella sua vita tra una chiacchiera leggera sulle battute in campo. Ma c'era Scott lì con loro. C'erano Derek e le sue fissazioni, c'erano i licantropi feriti per salvarlo. C'erano altri problemi, troppo grandi per esser contenuti in un divano.

Scott si sentì in dovere di togliere un peso sulle spalle troppo sottili del suo amico.

"Stiles, io non credo che Derek ti voglia mordere."

D'un tratto gli occhi di entrambi gli Stilinski si puntarono su di lui.

"Hai detto che mi vuole nel suo branco. I branchi sono composti da lupi, o meglio da licantropi, non da sedicenni logorroici figli dello sceriffo di Beacon Hills."

Puntualizzò Stiles, rafforzando la presa sulla mano dell'uomo.

Scott si dondolò sui piedi, le mani sprofondate nelle tasche, la testa incassata tra le spalle.

"So cosa ti ho detto e so cosa ho visto in quella radura: Derek era terrorizzato dall'idea che tu fossi stato morso. È venuto da te prima di venire da me o da Isaac. Pensaci. Prima è venuto da te per accertarsi che fossi ancora umano; poi è venuto da me e lo sai che corte mi sta facendo per entrare nel suo branco; infine è andato da Isaac. Perché?"

La mano dello sceriffo accarezzò la spalla del figlio mentre gli occhi di Stiles vagavano innanzi a sé alla ricerca di una risposta, trovando solo un leggero balbettio.

"C'era Peter con Isaac: era in buone mani."

Le mani di Scott tornarono visibili e iniziarono a disegnare figure astratte nell'aria.

"E' stato il sangue di Derek a salvare Isaac, non quello di Peter."

"Il sangue… possibile che vogliano Derek per poter far quello?"

Gli occhi di Stiles erano atterriti mentre dava sfogo alla sua preoccupazione.

Ma Scott scrollò la testa: non lo sapeva e non c'era modo di accertarsene, a meno di non chiedere a Derek in persona e al momento nessuno dei due voleva provarci, e Stiles stava cercando di cambiare argomento. Riuscendoci perfettamente, oltretutto.

"Credete quindi che ce ne sia un altro?"

Domandò loro lo sceriffo; Scott non s'era accorto che l'uomo aveva iniziato a prendere appunti, come se quella fosse un'indagine.

Stiles si rialzò, le mani vagavano tra i suoi capelli corti evidente segno di agitazione.

"Se gli serve Derek per guarire qualcuno come è stato guarito Isaac sì, ce ne dovrebbe essere almeno un altro. Ma costui sarebbe assolutamente inerme… quindi io direi altri due: uno da salvare e uno a controllare che nessuno gli si avvicini. A meno che…"

Si interruppe e Scott terminò il suo pensiero, con aria grave.

"Peter."

Lo sceriffo aggrottò le sopracciglia cercando di rimettere insieme i pezzi.

"Oh, già. Mi avete detto che Peter Hale è riuscito in qualche modo a resuscitare."

"Uno morto e sepolto non ha bisogno di un guardiano, specialmente se il morto è stato sepolto in un luogo che non possa esser in alcun modo depredato."

"In questo caso gli Alfa nemici sarebbero cinque, nell'altro sei."

Scott seguì il ragionamento di Stiles, non arrivando a una conclusione certa. Poi l'amico si mosse di scatto, diretto verso le scale.

"Potremmo cercare di capire se esiste una relazione tra branchi e numeri: non so, magari sei è il numero perfetto, o lo è il sette e allora avremmo che il branco non solo sta cercando di salvare un proprio membro ma sta anche cercando di acquisirne uno."

Stiles salì verso la propria camera, seguito dagli altri due: Scott con la fronte aggrottata nel tentativo di seguire i suoi ragionamenti e lo sceriffo che forse tentava di capire come suo figlio potesse passare da una crisi di nervi a questo stato di eccitazione quasi febbrile.

"Che ne sarà del branco se l'Alfa se ne va?"

"Non lo sappiamo. Non ci hanno detto tutto… ma non credo che farà una bella fine."

Scott scrollò le spalle per lo sconforto e Stiles storse le labbra.

"Già, non lo credo nemmeno io… beh, allora io vado in camera a cercare un po' di bibliografia per questo nuovo problema… anche se temo che dovrò svaligiare la biblioteca un'altra volta. Devo capire se la bibliotecaria mi odi a morte o ci stia provando con me."

"Ti do una mano."

Si propose immediatamente Scott, ben consapevole che Derek l'avrebbe fatto a pezzi se avesse perso d'occhio Stiles un'altra volta.

La voce dello sceriffo dallo specchio della porta era in qualche modo rassegnata.

"State per passare la notte in bianco?"

Stiles annuì, lanciandogli uno sorrisetto di scuse e chiedendo se gli potesse preparare un paio di caraffe di caffè.

            

Quando Peter aveva preso un respiro profondo e aveva bussato a casa Lahey si aspettava di trovare il panico, invece i lupacchiotti erano silenziosi e assorti, tesi come violini ma incredibilmente quieti. Derek doveva averli sgridati per benino per esser riuscito ad ottenere un simile risultato. L'odore del sangue di Isaac impregnava tutto il piano terra e, ad aguzzare l'udito, si potevano quasi percepire le fondamenta della casa scricchiolare e raddrizzarsi come le ossa del proprietario.

Si guardò intorno, osservando i glifi alle finestre e alle porte: un buon modo per difendersi, ma purtroppo concedevano al nemico di sapere quante persone c'erano in casa.

"Quei sigilli non servono a nulla se il numero di persone segnalate o le aperture della casa cambiano."

Disse, palesandosi ai quattro ragazzi accoccolati tra divano e poltrone.

Erica scattò in piedi immediatamente snudando i denti prima di rendersi conto di chi aveva di fronte. Quella ragazza aveva l'istinto della guardia del corpo, più che quello del leader. Boyd, invece, aveva appena alzato lo sguardo, la sua attenzione era completamente focalizzata sulla stanza in cui stavano Derek e Isaac.

"Credi che se la caverà?"

Peter scrollò le spalle. Non ne aveva idea, avevano azzardato qualcosa che non gli era mai stato insegnato e non sapeva quali conseguenze ci sarebbero potute essere per quel gesto, ma non poteva certo dirlo a quei tre lupacchiotti spaventati! Optò dunque per un fumoso "Dovremmo averlo ripreso in tempo".

Boyd s'alzò in piedi, frustrato, fronteggiandolo coi suoi occhi scuri e il suo muso duro.

"Tutto questo è una follia. Io ho accettato questo perché speravo mi avrebbe aiutato, anche a mantenere la mia famiglia… e invece ora mi trovo braccato."

Peter si appropriò di una poltrona, come se non servisse rimanere in allerta per la furia dell'altro Beta. Poi se lo squadrò da capo a piedi, con quel sorriso canzonatorio che tanto gli era proprio e una luce malvagia nello sguardo. Una parte marginale del suo cervello notò come, un tempo, non avrebbe goduto nello spiattellare la verità in faccia a qualcuno che non era pronto a sentirsela dire, ma ora… ora era un divertimento cui non avrebbe di certo rifiutato.

"Se l'avessi realmente fatto per la tua famiglia non andresti appresso ad Erica, qualunque decisione lei prenda, che sia avventata o meno. Se l'avessi fatto per la tua famiglia, avresti mollato Derek immediatamente, saresti divenuto un Omega, avresti mantenuto un profilo basso e avresti fatto il tuo bravo lavoro, andandoti a nascondere in qualche tugurio nelle notti di plenilunio per non far del male a nessuno. Ma non l'hai fatto. Boyd, forse è il caso che pensi bene a quali siano le reali motivazioni che t'hanno spinto ad accettare l'invito di Derek."

Il ragazzo s'era pian piano accasciato nuovamente sul posto che inizialmente occupava, incapace di ribattere alcunché, senza avere nemmeno la forza di provare a spaccargli la faccia.

Peter si congratulò con se stesso: aveva scelto il momento migliore, considerato lo stato di salute dell'altro.

Com'era ovvio che fosse, la voce acuta e aspra di Erica giunse in soccorso del suo amico.

"Noi non siamo guerrieri."

Peter sollevò per un istante gli occhi al cielo, incrociando le mani in grembo. Non sapeva quando s'era assunto il ruolo di portavoce di Derek, ma a quanto pareva in quanto membro anziano, gli toccava questo ruolo seccante. Prese quindi un respiro profondo e s'apprestò a rispondere a tutte le loro domande.

"No Erica, non lo siete. Voi siete predatori. Veloci, letali, spietati predatori. E siete un branco. Eravate un branco di teenagers, ora siete un branco di licantropi. È un bel salto di qualità, peccato che dubito che qualcuno di voi sia pronto per sopportare questa responsabilità."

Un silenzio profondo li avvolse. Non sarebbe sicuramente durato, ne era perfettamente consapevole, ma era piacevole quel momento di pace, mentre le rotelline nelle teste degli altri si muovevano lente per assimilare le sue parole.

Un grido strozzato di Isaac li fece sobbalzare tutti, e Lydia sbarrò gli occhi. Non si aspettava che prendesse la parola, non ora che Stiles non c'era, ma forse, per un branco venuto su come il loro, era qualcosa che si sarebbe dovuto aspettare.

La sua voce non era acuta e tremante come si sarebbe aspettato, ma calma e bassa, quasi stesse parlando a se stessa.

"Perché la ritieni una responsabilità? Mi pareva che tu non volessi altro che vendetta."

Peter sorrise. Lei, dopotutto, si meritava la verità. Gli altri erano un semplice danno collaterale di cui si sarebbe occupato in seguito, se fosse servito.

"Hanno sterminato il mio branco, Lydia. Hanno annientato la mia famiglia, la mia vita è finita in quell'incendio sei anni fa. Certe cose ti cambiano fin nel midollo. Ammetto senza alcun problema di esser peggiorato, ma alcune cose, i precetti fondamentali, continuano a essere ben stampati nella mia mente."

"Cos'è una specie di Comandamenti?"

"Una specie. È più un codice comportamentale. E Derek ve lo spiegherà tutto, ma un po' alla volta. Il branco degli Alfa è troppo forte per essere affrontato faccia a faccia. E quello che è successo ad Isaac potrebbe accadere ad uno qualsiasi di noi. Nessuno di noi è mai stato preparato per affrontare una simile minaccia e ci sono molte probabilità che non riusciremo a vincere questo scontro."

Aggiunse grave.

Poi la voce di Derek ridacchiò amara dallo specchio della porta della stanza degli ospiti.

"Li stai terrorizzando apposta."

I quattro ragazzi fecero rimbalzare lo sguardo tra entrambi per poi accendersi d'ira dopo aver capito di esser stati presi in giro.

"Ah, Derek, ammetto la mia colpa. Ma non li trovavi deliziosi quegli sguardi adoranti?"

Peter ghignò, indicandogli una poltrona accanto a lui e il nipote lo raggiunse scuotendo la testa. "Oh, io preferisco questo sguardo alla 'hai osato prendermi in giro e ora te sdrumo', a dirla come farebbero a Oxford."

Peter si passò la lingua sulla labbra, in un gesto di pura goduria, terrorizzando Lydia senza nemmeno rendersene conto, lo sguardo perso nel vuoto.

"Assolutamente splendido."

Sussurrò tra sé e sé come se stesse degustando un ottimo vino d'annata. Poi tornò alla realtà, osservando il proprio Alfa seduto sulla poltrona che gli aveva indicato. Un piccolo gesto, ma così pregno si significato: Derek, il ragazzo che non si sarebbe più fidato di nessuno, non avrebbe mai accettato nemmeno un invito tanto banale.

Forse il giorno in cui entrambi avrebbero detto addio ai fantasmi del passato, liberandosi la coscienza, non sarebbe stato poi così lontano.

"Stavamo parlando di quelli che saranno i tuoi doveri, non appena Isaac si riprenderà a sufficienza da poter interagire con te."

Nulla nel tono della voce fece presagire quello che aveva in mente.

"Grazie mille per aver notato come la mia carotide abbia appena smesso di lanciare il mio sangue in giro per la città."

Derek riuscì ad ironizzare su se stesso. Era la prima volta che succedeva da… beh, almeno dieci anni, forse anche di più. Era sempre stato un ragazzino ombroso, e le continue prese in giro di sua sorella non avevano certo aiutato a migliorare il suo carattere, ma da qualche anno prima della tragedia, da quando aveva iniziato ad interagire davvero coi non licantropi, a rendersi conto di quanto autocontrollo dovesse riuscire a sviluppare, il suo carattere era peggiorato. E ora aveva aperto una breccia. Una piccolissima breccia.

Rise, di cuore, facendo un gesto noncurante con la mano.

"Ma smettila di fare tutta questa scena!"

Gli occhi di Derek scintillarono divertiti, la ferita messa in mostra dalla testa appoggiata sul pugno. E i ragazzi lo guardarono incerti come a chiedersi se bastasse davvero solo questo per divenire un branco, se lo stare seduti tutti assieme fortificasse le loro anime.

Il respiro affannato di Isaac nell'altra stanza sembrava quasi una colonna sonora al loro pensare.

Poi Jackson strinse a sé Lydia prima di prendere la parola.

"Derek… io, ecco, per prima, scusami. Non volevo darti noia, non con Isaac in quelle condizioni."

L'interpellato si strinse nelle spalle, indulgente, mentre la ragazza gli si rigirò tra le braccia, fissando i suoi occhi di miele in quelli del licantropo. Voleva provare ad essere ragionevole.

"Jackson, tesoro, non te n'è mai fregato nulla di Isaac, perché dovrebbe iniziare ad importartene ora?"

"Le priorità sono cambiate. Di gran lunga"

"Ok, bene, vorreste spiegarmi cosa sta succedendo qui?"




Ciao!
No, il prossimo capitolo non è ancora finito, ma posto lo stesso... so già che la perdita di regime mi porterà alla follia, come al solito, ma ormai dipendo da voi, molto più di quanto voi possiate dipendere da me. Quindi, al diavolo la tabella di marcia, io pubblico lo stesso XD
Spero che questo capitolo possa essere di vostro gradimento, nonostante questo e il prossimo saranno un po' dei capitoli di transizione. Verso dove, non c'è dato sapere, ma da qualche parte arriveremo!
Detto questo, grazie per aver letto, per aver gradito questa storia, e a chi la commenta, tutto il mio affetto!
Leli

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Capitolo 10
*** Torniamo alla normalità? ***


Capitolo X
Torniamo alla normalità?

Il giorno seguente Lydia era di pessimo umore. Si era svegliata prestissimo, Jackson e Peter l'avevano scortata fino a casa dove s'era finalmente potuta cambiare d'abito e s'era data una sistemata, mentre i due licantropi parlottavano sul tetto della sua abitazione e poi, tornati a casa di Jackson, avevano finalmente preso la Porche e si erano recati a scuola, inventandosi una scusa col padre di Jackson per la notte passata fuori. Scusa che, tra l'altro, non stava né in cielo né in terra.

Credeva, veramente, di non potercela più fare: era stanca di stranezze, stanca di sovrannaturale, stanca di correre appresso ad un ragazzo che non la prendeva in considerazione, che la metteva costantemente in secondo piano. Prima era lo sport a tenerli lontani, ora era il branco.

E lei nemmeno poteva entrare a farne parte!

Da quanto aveva capito era sopravvissuta al morso di Peter – e questo li aveva legati in un modo che si era rifiutata di indagare dato che non era ancora riuscita a estirparlo dalla propria memoria il ricordo della sua rinascita – ma non si era trasformata, quindi poteva dirsi immune alla licantropia.

Sbuffò entrando nell'aula di chimica. Il professor Harris era di spalle e stava cancellando dalla lavagna la lezione precedente, così lei poté sedersi e continuare a farsi i fatti suoi.

Stiles e Scott entrarono poco dopo, stavano parlando fitto ma la conversazione sembrava tutt'altro che distesa. Dovevano essere ai ferri corti se Stiles si era seduto in un angolo e aveva fulminato con lo sguardo l'altro impedendogli di sederglisi vicino.

Lydia decise di raccattare le proprie cose e di spostarsi accanto a Stiles.

Un sorriso tirato e un ampio cenno della testa fu tutto ciò che ottenne.

Aveva intravisto un occhio nero e la mandibola era leggermente livida; apriva e chiudeva la mano sinistra come se avesse difficoltà a distendere le dita e la maglietta a maniche lunghe non era riuscita a coprire le escoriazioni dovute dalla corda con cui era stato legato. Non avrebbe dovuto preoccuparsi della propria nottata, considerata quella dell'altro ragazzo.

La penna che Stiles teneva nella destra, pronta a prendere appunti, oscillava nervosamente mentre il piede tamburellava a terra isterico.

"Da quanto ho capito nemmeno tu sei uno di loro."

Stiles fece un salto, voltandosi di scatto, mettendo in mostra tutti i lividi del proprio viso. Lidya lo guardò con un'espressione di "scusa se ti ho spaventato ma volevo solo parlare" e lui tentò di stendere un'altra volta le labbra.

"Già, io sono fin troppo umano. Ma ci tengo a rimanere tale."

Lydia inclinò appena un poco il volto, facendo frusciare i suoi morbidi capelli ramati.

"Come lo gestisci?"

"Cosa?"

Stilinski era assente. Ma non in contemplazione della sua chioma, come spesso succedeva. Aveva la mente altrove, come se stesse seguendo un pensiero troppo complicato per essere afferrato in fretta.

Lei alzò gli occhi al cielo, dandogli mentalmente del disturbato. Stavano parlando di cose importanti, sarebbe stato carino se l'altro la stesse a sentire.

"Il tuo rapporto con loro. Insomma… tu sei una figura importante sia per Scott che per quell'altro… Derek."

Stiles strabuzzò gli occhi boccheggiando mentre il professor Harris iniziava la lezione. L'aula s'era riempita quasi senza che i due se ne accorgessero.

"Scott è mio amico. Derek invece mi sopporta solo perché sono amico di Scott e lui lo vuole nel suo branco."

Fulminò l'amico con un'occhiata glaciale e quello spostò la propria attenzione verso la lavagna.

Lydia aggrottò le sopracciglia: possibile che Stiles avesse capito che Scott stava origliando? Lei aveva smesso di cercare di avere una propria privacy con Jackson.

Scacciando quei pensieri, tornò alla conversazione: le parole di Stiles stonavano terribilmente con quello che aveva potuto osservare di persona.

"Io non ne sarei troppo sicura, fossi in te."

Lo contraddisse evasiva. Non aveva voglia di immischiarsi in qualcos'altro di strano e incomprensibile. Fece passare qualche minuto, dando uno sguardo alla lavagna e uno al vicino di banco che continuava a far roteare la penna tra le dita, senza scrivere un solo appunto.

"Comunque, non hai risposto alla mia domanda: come lo gestisci?"

Il volto del ragazzo spaziò sulla classe, individuando i tre licantropi presenti, fissandosi poi sul suo migliore amico.

"Con Scott? Do una mano. Faccio ricerche. Faccio attenzione che il resto del mondo resti all'oscuro dell'esistenza dei licantropi e cerco di risolvere i loro casini. O almeno ci provo… nell'ultimo periodo non mi sta riuscendo molto bene."

La voce s'era fatta più cupa man mano che parlava. Sembrava davvero come se avesse un grosso peso sul petto che non riuscisse a togliere.

"Da Derek cerco di stare alla larga…"

Concluse e Lidya provò a tirare le somme.

"Quindi fai parte del branco di Scott?"

"Cosa?"

La testa di Stiles si voltò talmente rapidamente verso la ragazza che fece un sonoro crack. I tre licantropi si voltarono tutti nella loro direzione.

Lydia stese le labbra per incoraggiarli a tornare a farsi i fattacci loro, prima di rispondere a Stiles.

"Sì, beh, ieri sera Derek mi ha informata che, in quanto compagna di Jackson, io faccio parte del suo branco. Mi sento come se fossi un oggetto…"

Aggiunse borbottando dopo un attimo e fulminando il proprio ragazzo che aveva iniziato a sghignazzare accanto a Danny che lo guardava come si guarda un povero matto, scuotendo la testa.

Stiles, invece, stava boccheggiando come un pesce, prima di riuscire ad esalare parole leggermente strozzate.

"Aspetta, aspetta, aspetta! Mi vuoi dire che nel branco ci sono anche umani?"

"Così pare… perché, non te l'aveva detto?"

Lydia si trovò a sbuffare. Era assurdo: Stiles sapeva dei licantropi da quasi un anno, e lei era venuta a conoscenza di un'informazione tanto vitale dopo soli pochissimi giorni da quando ne era stata informata. La vita, a volte, riservava interessanti sorprese.

Come non trovare più l'aria adorante negli occhi di Stiles, mentre lo sentiva tenere la voce bassa per non sovrastare quella del professore concentrato nella spiegazione.

"Ovviamente no. Però… che idiota! Derek l'aveva detto che a casa Hale, quando c'è stato l'incendio, non sono morti solo licantropi!"

Stiles si era schiaffato una mano sulla bocca, facendo voltare Scott. Ed Erica. Jackson invece era concentrato, la fronte corrucciata a seguire i percorsi tortuosi del proprio pensiero, non certo per i procedimenti che Harris stava spiegando alla lavagna.

"La zia di Alison ha appiccato quell'incendio, giusto?"

Si ritrovò a pensare, guardando dritta davanti a sé la penna che si ostinava a seguire i passaggi eseguiti dal professore.

Stiles prese un profondo sospiro, come se i ruoli si fossero invertiti e fosse ora lui il docente e lei la scolara.

"Sì. Dai cacciatori ti devi sempre guardare le spalle, anche se non sei un licantropo. Tu sei il punto debole del tuo lupo. Se ti sei sentita un oggetto, all'interno del branco, pensa che sei un oggetto estremamente prezioso. Inestimabile."

Stiles tornò al punto di partenza – come se i suoi pensieri non seguissero alcun filo logico, anche se Lydia era certa che così non fosse – e Jackson si voltò verso di loro, fulminando l'altro con lo sguardo. Lei lo liquidò con un gesto della mano e il suo ragazzo tornò a far finta di seguire la lezione, irriso silenziosamente da Denny. Continuava a non esser troppo convinta delle parole di Stiles, eppure c'era qualcosa nel modo di parlare dell'altro che la spingeva a credergli.

"Dici? A me sembra che Jackson sia sempre più distante, con questa storia del purosangue!"

Stiles aveva l'aria di uno che stava per tornare in carica per tranquillizzarla, quando qualcosa sembrò entrare in profondità nel suo cervello. Boccheggiò per un secondo abbondante prima di esalare un paio di domande poco interessanti.

"Purosangue? Jackson?"

Per la seconda volta, Stiles sembrava essere completamente fuori dalla grazia di Dio.

Lydia storse il naso. S'era seduta accanto a lui alla ricerca di risposte, non aveva voglia di risolvere le sue domande.

La penna seguì quello che il professore stava scrivendo alla lavagna ma i suoi occhi rotearono, sbirciando poi sottecchi il compagno.

"A quanto pare, gli occhi dei licantropi sono: rossi per gli Alfa; gialli per i trasformati; azzurri per i purosangue, trasformati con sangue di licantropo nelle vene."

Minimizzò, tamburellando sul tavolo per sottolineare ciò che stava elencando. Stiles le bloccò la mano, facendola voltare verso di lui.

"Come diamine sai tutte queste cose? Io sono secoli che cerco informazioni dettagliate e non ho trovato nulla!"

Lydia scosse le spalle, chiudendo appena gli occhi prima di rispondere.

"Ce ne ha parlato Derek."

E Stiles scoppiò.

"COSA?!"

"Signor Stiliski, vuole completare lei il bilanciamento di questa reazione chimica?"

Il professor Harris s'era voltato verso di loro, con la solita sfumatura di sadismo nello sguardo. Stilse boccheggiò una risposta mentre il professore faceva vagare gli occhi per la classe, le labbra atteggiate nella solita smorfia saputa.

Poi qualcosa cambiò.

La pelle si fece per un istante bianca e gli occhi si sgranarono appena.

Con un ultimo sguardo al ragazzo che stava ancora balbettando delle scuse, tornò alla lezione come se non fosse mai stato interrotto.

          

Quando Harris l'aveva ignorato Stiles aveva soppesato ogni licantropo presente in sala: Jackson aveva gli occhi accesi dalla ferocia del lupo. Al suono della campanella scattò in piedi per primo e fece in modo da farsi seguire dal branco. Come fece ad afferrare Jackson e sbatterlo contro le mattonelle del bagno non seppe spiegarselo.

"Non farlo mai più!"

Gli urlò addosso.

Lo sguardo canzonatorio di Jackson gli mandò il sangue al cervello e, con le mani ben aperte sul petto marmoreo, lo spinse nuovamente contro le mattonelle.

"Hai idea del guaio in cui ti sei e mi hai cacciato? Harris sa più di quanto tu non creda: lui ha dato a Kate le indicazioni su come uccidere gli Hale e tu ti sei appena scoperto con lui! E hai messo in mezzo anche me dato che per nostra sfortuna il professore, a differenza tua, non è un idiota!"

Scott entrò in quel momento e arretrò immediatamente dopo, il lupo pulsava leggermente sotto la superficie. Gli altri entrarono uno dopo l'altro, seguendo l'esempio di Scott e rimanendo in disparte. Ma ciò non fece altro che far aumentare la rabbia di Stiles.

Quando gli occhi di miele di Lydia saettarono da lui al suo ragazzo intrappolato contro il muro, la voce di Stiles scese di almeno un'ottava, divenendo bassa minacciosa.

E finalmente l'altro si fece attento, quasi preoccupato.

"E come se non bastasse, hai anche messo in pericolo Lydia. Lei è la tua ragazza, razza di cretino. Cosa credi potrebbe succedere se qualcuno scoprisse cosa sei? Come credi che reagirebbe? Ci sarebbe una caccia alle streghe senza fine e pensi che si limiteranno a te? No, cercheranno te, i tuoi genitori, la tua ragazza, i tuoi amici perché non potevano non sapere."

Gli diede un'altra spinta facendolo cozzare per le terza volta e incrinando una mattonella. Se fosse stato completamente umano, Jackson di sarebbe ritrovato un bernoccolo proprio sulla nuca.

Sapeva come il branco lo stava guardando, come Scott o Lydia lo stavano guardando: con soggezione e sospetto. Col terrore che, dopotutto, uno di quegli Alfa l'avesse trasformato. Ma lui non si sentiva diverso, né più forte. Era solo incazzato. Nero.

E quei lupi dovevano capire che anche un banale umano logorroico poteva diventare pericoloso se lo si faceva arrabbiare.

"Ti suggerirei di provare a pensare, prima di agire stupidamente con un istinto vecchio di millenni! Sarebbe un comportamento da adulto e non da poppante."

Si fermò un attimo. Gli occhi di Jackson erano gli occhi del Kanima: occhi in cerca di attenzioni, di affetto, di qualcosa che Stiles riusciva a sentire sulla pelle ma a cui non sapeva dare un nome.

"Senti, capisco che questa cosa l'hai bramata e ora che l'hai finalmente ottenuta non vedi l'ora di usarla, ma ci sono più pericoli là fuori di quanti tu non ne possa immaginare!"

Aveva il fiato corto. Jackson, finalmente, aveva abbassato la cresta e stava incassando la ramanzina. E Stiles decise che era arrivato il momento di guardarli per bene, uno ad uno. Lui aveva dovuto sopportare colpe molto più pesanti di quante avessero sperimentate tutti loro. E tutte le loro tragedie lui le aveva studiate, catalogate, incasellate, in modo da evitare di ripetere gli stessi errori in futuro.

Gli altri dovevano capire, possibilmente senza dover sperimentare sulla loro pelle la medesima angoscia e paura.

"Dovete smetterla, tutti quanti, di fare gli sbruffoni, di atteggiarvi ad eroi tragici o a supereroi dei fumetti. Siete solo ragazzini, più difficili da gestire di tutti gli altri, ma siete questo! Iniziate a crescere o, di nuovo, le persone che amate saranno quelle che soffriranno di più."

Gli mancava l'aria.

Prese un paio di respiri, cercando di farla entrare nei propri scontrosi polmoni, ma non sembravano interessati a collaborare.

Incespicando, cercò di agganciare una mano al bordo di uno dei lavandini che aveva dietro, la cosa più simile ad un sostegno che potesse trovare in quei locali. Appoggiò il fondoschiena esattamente sul bordo di porcellana ed entrambe le mani finirono sul volto per ostacolare – e dunque favorire – il ritorno ad una  respirazione normale.

"Cos'ha?"

Stava chiedendo Jackson.

"Un attacco di panico."

Gli rispose Erica, minimizzando l'accaduto. Per lei che era abituata a crisi epilettiche, quelle erano bazzecole da poco conto.

"Stiles… ehi, reagisci…"

Scott gli si avvicinò e, prima che potesse capire cosa stava succedendo, venne avvinghiato, il volto di Stiles finì contro il suo maglione. Non era la prima volta che succedeva, ma questa non se l'aspettava.

Stiles sperò che gli altri capissero. Cosa significa affogare, sentirsi mancare il respiro, annaspare alla disperata ricerca di un salvagente. Che capissero e che provassero a smettere di cacciarlo nei guai più disparati, sperando che la fortuna continui ad assisterli.

Alla fine fu Boyd, che li aveva raggiunti per ultimo non avendo lezione con loro, a rendersene conto. O forse era la sua particolare situazione familiare a farlo più ricettivo.

"Stare appresso a noi di logora, non è così?"

Chiese, incassando le spalle come se temesse di non averle sufficientemente larghe per assorbire il colpo e s'apprestasse ad incassare. Ma Stiles scrollò le proprie, riemergendo dal rifugio sicuro che era il petto del suo migliore amico.

"Me ne sono fatto una ragione…"

Cercò di sdrammatizzare, l'aria che ancora faticava a raggiungere i polmoni.

Jackson si stava mordendo il labbro, ancora addossata alla parete contro cui era stato spinto. Poi i suoi occhi tornarono a specchiarsi in quelli di Stiles e le sue labbra si aprirono in un sorriso.

Il sorriso di un bambino che ha fatto una marachella, è stato sgridato ma ha comunque raggiunto il proprio scopo.

"Allora… possiamo andare a trovare tutti quanti Isaac, dopo scuola? Derek mi ha detto che la nostra presenza può accelerare il processo di guarigione."




Salve a tutti! Sono appena tornata a casa e tra poco devo riuscire... ma almeno la giornataccia di oggi mi ha fatto finire ed iniziare il prossimo capitolo e il successivo. ;)
Detto questo... è un altro capitolo di transito, scusatemi. Dal prossimo entreremo nel vivo, ci sarà un po' più Sterek e le cose inizieranno a girare come devono! Contente?
Che altro dire... beh, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, che Lydia vi sia simpatica quanto sta simpatica a me, che la sfuriata sia stata di vostro gradimento!
Un bacio a tutti - siete tantissimi e questa cosa inizia a spaventarmi...
Leli

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Capitolo 11
*** Il compagno. ***


Capitolo XI
Il compagno.

Peter era fermo in un angolo, intento a consumare il suo pasto frugale. Derek era ancora una volta con Isaac. Le labbra gli si incresparono per un istante: gli piaceva quel ragazzino: era interessante perché era chiaro come tra Derek e Scott preferisse i metodi di quest'ultimo, ma prevaleva il fortissimo legame con l'Alfa che l'aveva creato. Era leale, fin nel midollo. E quello era un tratto che lui apprezzava moltissimo. Sapeva che la pace di quella casetta si sarebbe spezzata molto presto, e per questo si stava godendo ogni singolo istante.

Quando Stiles entrò funereo, seguito dal resto del branco, ghignò soddisfatto. Ancora una volta, aveva avuto ragione. E a pensarci ora, a mente lucida, non poteva che essere la scelta migliore. Anche se non era stata una scelta.

Derek comparve immediatamente dopo nello specchio della porta che conduceva alla stanza di Isaac.

Appunto. Davvero non poteva che essere lui.

"Ho sentito che hai iniziato a spiegare un po' di cose ai tuoi lupi."

Lo aggredì immediatamente il piccoletto. Aveva una faccia tosta non indifferente, o forse era solo impulsività.

Derek gli rispose allargando un po' di più gli occhi, come a dire "e allora?".

Stilse indicò il nuovo licantropo e quasi stava fumando dalla rabbia. O dalla preoccupazione.

"Allora, potresti spiegare a questo scemo che andare a spaventare Harris potrebbe non essere saggio?! O spaventare e svelarsi ad un umano qualsiasi, a voler essere precisi!"

"Jackson?"

Il nome del ragazzo era stato pronunciato con ben più di una punta di rimprovero.

"L'avrebbe messo in punizione da qui alla fine della giornata."

Si giustificò il purosangue e Peter sghignazzò piano dal suo angoletto. Non troppo piano probabilmente, dato che più di un paio d'occhi si puntarono su di lui.

Derek ringhiò.

"Zio, cosa vuoi?"

"Io? Nulla! Solo è interessante come tutti stiano proteggendo Stiles; non trovi anche tu, nipote?"

Insinuò: era tempo che l'Alfa si rendesse conto di cosa fosse successo, della cosa fondamentale che gli era sfuggita di mano. E, a giudicare dall'assottigliamento della sua pupilla, doveva aver individuato almeno in parte dove sarebbero andati a parare quei pensieri.

"Cosa stai insinuando?"

"Io? Nulla."

Si fece il verso, mostrando la chiosa di denti bianchissimi e perfetti. Non era certo Derek il solo esibizionista della famiglia.

"Io osservo. Così come ha osservato Allen e addirittura Lydia. È un peccato che solo io sembri aver capito cosa questo comporti."

Concluse, facendo l'occhiolino alla ragazza. Jackson si mise immediatamente in mezzo, impedendogli di gustarsi il pallore affiorare su quelle guance di pesca.

Fu Stiles, però, ad alzare la voce.

"Spieghereste anche a me cosa sta succedendo?"

"Oh, ma allora hai anche tu le unghie, micetto!"

I Beta si misero in posizione di difesa, non appena le spalle di Stiles s'irrigidirono alle parole del lupo. Ma fu Derek ad intervenire per placare gli animi.

"Zio, smettila. Non è il momento."

Altro segno evidente di quello che stava succedendo: non si ricordava che fossero mai successe tante stranezze tutte assieme.

"Già, non lo è. Ma pare che anche tu inizi finalmente a capire…"

Derek sbiancò violentemente, sgranando gli occhi e iniziando a fare respiri profondi: quella situazione non gli piaceva al punto da procurargli un fastidio fisico. Aveva capito, proprio come suo zio si era immaginato.

"Cosa? Qualcuno vuole spiegarmi cosa state dicendo?"

Peter osservò il ragazzino umano immettersi nella loro conversazione, esigere attenzione ed ottenerla. Beh, dopotutto era ora di dare qualche risposta, probabilmente se la meritavano tutti.

Era comunque sconcertante.

"Ti sei imposto in modo alquanto veemente, e nemmeno lo sai… questa cosa ha dell'incredibile."

Derek scrollò la testa, facendo un passo avanti e mettendosi tra Stiles e Peter. Gli altri avevano lo sguardo confuso di chi non è in grado di leggere tra le righe quello che i due stavano svelando.

"Zio, non può essere lui, non ha senso che sia lui!"

"Perché?"

La domanda insinuante arrivò puntuale e attesa. Il sorrisetto che fiorì sulle labbra di Peter era assolutamente indecente e il sopracciglio alzato raccontava tutta una sequenza di parole non dette, di fatti taciuti. L'auto-risposta la seguì un istante dopo.

"Perché colei che avevi scelto per te era una pazza invasata con manie omicide e razziste?"

Derek balbettò. La terra sembrava dovesse franargli da un momento all'altro da sotto i piedi.

"Lo… lo sai…"

Kate. Kate che era stata la sua ragazza, lui che non era stato in grado di essere sufficientemente scaltro da capire che non era adatta ad essere la sua compagna, lui che l'aveva comunque scelta, inevitabilmente scelta come sua.

"Certo che lo so. Come lo sapeva tuo padre. Avrei preferito che fossi venuto tu a dircelo, ma lo sapevamo da tempo."

La voce di Peter diede corpo ad anni di silenzi, di segreti, di cose non dette.

Derek affondò le unghie nei palme e contrasse i muscoli delle braccia per trattenere la rabbia. Il sangue iniziò ad imbrattargli le mani, denso e vischioso.

"Perché non mi avete fermato?"

Ringhiò. E in quel ringhio c'era tutta la disperazione che il giorno del rogo gli aveva gettato addosso.

Peter si appoggiò al mobile alle sue spalle, in atteggiamento remissivo. Era il suo Alfa, quello che aveva davanti, non solo suo nipote. E il suo Alfa era arrabbiato mentre suo nipote era solo distrutto. Ma non poteva affrontare l'uno senza ferire l'altro. Per questo optò per la distanza e la verità. Poi, a seconda di quale dei due avesse preso il sopravvento, si sarebbe comportato di conseguenza.

"Te ne saresti andato. Con lei, senza di lei, ma te ne saresti andato. E nessuno di noi voleva far di te un Omega vagabondo."

Stiles posò una mano sul braccio di Derek, e l'Alfa lasciò il posto al ragazzo incasinato che era sempre stato.

"Quel giorno… è colpa mia, lo sai vero?"

Questa volta il tono basso cercava di nascondere le lacrime agli sguardi del suo branco. Essere debole non era un'opzione per un capobranco. Ammettere le proprie colpe, sì.

Peter si avvicinò, gli posò una mano dietro al collo, obbligandolo ad una posizione vulnerabile perché era così che il giovane uomo si sentiva in quel momento. E lui sarebbe stato, in quel frangente, la sua coperta. Poi il testimone sarebbe passato a Stiles, dato che l'aveva già afferrato fermamente.

Il sorriso che gli dedicò era riconciliante. Né comprensivo né paterno: ma aveva capito cosa l'aveva spinto e accettava le sue scelte.

"Certo che lo so. E so che ti odi per questo e odi lei forse più di quanto l'hai amata. Non sarebbe mai potuta essere lei, non era adatta a questo compito e avrebbe impedito a te di diventare un Alfa. Lo sai questo?"

"Era il motivo per cui Laura era l'Alfa, non io."

La mano di Stiles era ancora serrata al suo bicipite. Il ragazzo era fermo, al fianco di Derek, e non mollava la presa. Sarebbe stato perfetto, il compagno perfetto.

"Esatto. Mi dispiace nipote, ma hai fatto una pessima scelta sotto innumerevoli fronti. Ma pare che qualcuno abbia deciso di sua iniziativa di porvi rimedio."

Rivolse un'occhiata di fuoco al ragazzino al suo fianco. Stiles strinse la mano sul braccio di Derek e l'Alfa finalmente voltò lo sguardo verso di lui.

"Io? Ma… ma di che diamine state parlando? Io non ho fatto niente!"

"Tu ci hai protetto, curato, accudito, coperto."

Gli occhi di Derek erano pieni di quella consapevolezza che l'aveva finalmente colpito come un fulmine.

"E allora?"

Il sorriso di Peter si allargò a dismisura mentre gli rispondeva.

"E allora questo fa di te la femmina Alfa di questo Branco."

     

Scott allargò gli occhi e Stiles riuscì solamente ad esalare uno strozzatissimo "COSA?" che fece salire di parecchie ottave la sua voce.

Derek scrollò le spalle, il braccio ancora imprigionato dalla presa del ragazzo. Scott aveva notato quel gesto e aveva notato come l'Alfa non s'era scostato, a differenza di tutte le altre volte. Non era possibile, eppure era evidente come le cose stessero prendendo una piega assolutamente folle.

"Andiamo da Isaac. Credo debba sapere anche lui. E ormai si sarà svegliato."

Stiles intensificò la stretta e Derek si voltò a guardarlo. Negli occhi una luce diversa dalle altre.

"No, no, fermati, spiegami cosa significa!"

L'Alfa scosse la tesa.

"Da Isaac." Ordinò quasi trascinandosi appresso Stiles. La mano del ragazzo, che era scivolata lungo il braccio quando l'altro s'era incamminato, s'era ritrovata stretta tra le dita del licantropo. Un brivido percorse la schiena di Scott a quell'immagine, un brivido caldo. Era come se qualcosa, dentro di sé, stesse facendo le fusa.

Le fusa. Un lupo.

No, non voleva pensarci.

Entrati tutti nella stanza si accorsero come Isaac fosse stremato. Le occhiaie erano due segni neri e pesti, il volto era cesellato da piccole ferite ed ematomi, il braccio era ancora uno strazio di carne viva.

"Che succede?"

Esalò appena, incatenando gli occhi a quelli di Derek dopo che il suo sguardo s'era soffermato su quelle mani unite.

Peter ridacchiò apertamente mentre esclamava, fin troppo contento, "Abbiamo la nostra femmina Alfa!".

Derek lasciò la mano di Stiles, che rimase immobile accanto a lui, e guardò lo zio come se questi si fosse improvvisamente trasformato in un cucciolo di tre anni.

"Peter, ti prego!"

Scott se lo guardò sbattendo gli occhi. Isaac riuscì a stento a ricacciare indietro il sorriso stupito e sconcertato.

Stiles tornò all'attacco l'attimo dopo.

"Qualcuno vuole spiegarmi?"

Derek lo spinse contro il letto di Isaac. E Scott non si sentì in dovere di intervenire. La sensazione era stranissima.

"Siediti, credo sia meglio."

Sedutosi, prese la mano sana di Isaac tra le sue, e il lupo sorrise, chiudendo gli occhi, soddisfatto. Stiles se ne accorse appena. Lydia li guardava a bocca aperta, stringendo la mano di Jackson. Erica e Boyd parevano leggermente disinteressati alla cosa.

I secondi si allungarono indefinitamente prima che Stiles incalzasse i due licantropi a parlare.

"Allora?"

Derek allargò le braccia e scrollò la testa.

"Come ti dissi una volta, Stiles, ti sei sempre dimenticato della parte fondamentale del nostro essere licantropi: siamo lupi."

Scott vide Isaac cercare di alzarsi leggermente per provare a vedere meglio le espressioni del suo Alfa. Stiles strinse gli occhi allungando il collo.

"E allora?"

La voce di Derek, quando rispose, era diversa dal solito: didascalica, secca, concisa, ma non fredda.

"In un branco di lupi non c'è solo un maschio Alfa, ma anche una femmina, che solitamente è la compagna del maschio. Questo perché i maschi hanno maggiore forza fisica delle femmine e nel branco si formano due gruppi distinti che si occupano di due cose distinte."

I ragazzi si guardarono intorno, fissandosi ovviamente su l'unica licantropo del gruppo.

Jackson aprì la bocca per fare la domanda stupida che aleggiava sulle bocche di tutti i presenti.

"Erica?"

Peter rise apertamente e Scott notò come Derek stesse sorridendo divertito a sua volta.

"Ti pare più debole di Boyd? O di Scott?"

Jackson abbassò la testa, il mento si appoggiò sulla spalla delle fidanzata.

"No…"

Ammise il nuovo purosangue facendo gonfiare l'ego già sproporzionato della licantropo.

Stiles alzò gli occhi al cielo, già stanco di quelle informazioni date col contagocce.

"Quindi? Chi sono le femmine in un branco di licantropi?"

"I branchi non sono composti solo da lupi. Se fosse così saremmo troppo visibili. Una parte del branco è fermato da umani."

Peter aveva preso la parola, gli occhi illuminati da una luce divertita. Derek sbuffò.

"Così come tra il lupi c'è un Alfa, così tra gli uomini c'è una figura di riferimento, un Alfa. Come tra i lupi, l'Alfa licantropo è solitamente il compagno dell'Alfa umano."

Scott sentì la mascella arrivare a toccare il pavimento. Gli occhi di Stiles erano vitrei e fissi sul pavimento poco oltre i piedi del letto. Isaac gli teneva fermamente la mano, alcune rughe erano sparite dal suo volto e l'odore di sangue s'era fatto meno intenso.

Stiles provò a parlare almeno un paio di volte, fallendo miseramente. Il suono forsennato del suo cuore lo si sarebbe potuto sentire a kilometri di distanza, probabilmente.

Jackson aveva un principio di risa incastonato dentro la gola e lo stava soffocando tra i capelli ramati di Lydia. La ragazza, invece, osservava l'Alfa sconvolta, riportando poi lo sguardo su Stiles.

Scott lo sentì prendere un respiro profondo per cercare di tranquillizzarsi.

"Quindi intendeva questo quella pazza? Io sarei il compagno di…"

"Sì, tu saresti il mio compagno."

Peter sembrava divertirsi come un pazzo per tutta la situazione. Scott non sapeva più che pensare.

"Di solito è il licantropo a scegliersi il compagno e questo solitamente diventa l'Alfa umano. Questa volta… beh, Stiles s'è preso quel compito senza chiedere niente a nessuno."

Ridacchiò divertito il redivivo.

Stiles guardò Derek, non riuscendo a capacitarsi di quello che stava succedendo.




Salve a tutti!
Grazie per i commenti al precedente capitolo: questi 10 giorni sono stati allucinanti e non ho ancora avuto modo di rispondervi o di rileggere lo scorso capitolo per eliminare gli errori. Scusatemi tanto!!!
Sul capitolo attuale, che dire... si capisce? Spero ardentemente di sì. Ammetto, senza alcuna remora, che tutta questa storia è nata dall'idea di far sghignazzare Peter per la relazione Alfa/Alfa tra Derek e Stiles. Ho un debole pazzesco per quell'uomo e farlo ridere è lo scopo della mia vita... ehm... ;)
Inoltre, che ne dite di questo inizio di Sterek? Dite la verità, vi aspettavate una cosa simile? Spero di no: spero che il colpo di scena ci sia stato!
Un bacione a tutti, spero di trovare il tempo per rispondere ai precedenti commenti quanto prima.
Ci si sente tra 10giorni
Leli

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Capitolo 12
*** Derek e Stiles ***


Capitolo XI
Derek e Stiles

Era scappato da casa di Isaac immediatamente dopo la rivelazione. Scott l'aveva seguito, ma Stiles non l'aveva fatto entrare in camera lasciandolo – imbarazzatissimo – in salotto con suo padre.

Misurò un paio di volte la stanza a grandi passi continuando a mormorare un "non è possibile" strozzato tra i denti.

Derek apparve alla sua finestra un'ora dopo.

"Cosa ci fai tu qui?"

Derek non si mosse di un passo, rimanendo ritto accanto alla finestra appena oltrepassata.

"Dobbiamo parlare."

"Trovi? Tu sapevi cosa stava succedendo? Perché non mi hai avvertito?"

Riuscire a urlare tra i denti era un’abilità che il ragazzo aveva imparato ben presto ad utilizzare. Nonostante suo padre sapesse, ora, dei licantropi non era proprio il caso di informarlo anche di questa novità.

"Stiles, te l'ho detto ieri: i lupi si trovano un compagno per la vita. Kate era la mia compagna, ne sono certo, ecco perché non ho mai pensato che tu potessi assumere quel ruolo."

I capelli corti corti vennero maltrattati, gli occhi strofinati istericamente mentre la lingua cercava di trovare un modo per ordinare i suoi pensieri.

"Questo… tra noi… ecco, non so nemmeno se ci sia un noi… ma che comporta? Cosa cambia? Dobbiamo… devo fare qualcosa? Ho… ho dei doveri dei…"

"Stai iperventilando."

"E ti sembra così strano?"

Urlò per la prima volta da quando l'altro era arrivato e gli occhi di Derek divennero per un istante rossi. Stiles nemmeno ci fece caso, ricominciando a sproloquiare.

"Io ho sperato che tu morissi, che ci lasciassi in pace! E ora scopro che sono il tuo compagno! Come credi che mi dovrei sentire?"

Derek alzò appena un sopracciglio e Stiles si ritrovò a sbuffare e a fare una piroetta su se stesso prima di buttarsi a peso morto sul letto. Il licantropo fece un paio di passi, appoggiandosi alla scrivania e rimanendo ad osservarlo per qualche istante, prima che l'altro alzasse la testa e lo guardasse in attesa.

"Davvero hai sperato che morissi?"

La testa di Stiles ricadde sul cuscino con un leggero puff di piume.

"Mi facevi una paura immane. Mi fai una paura immane! Soddisfatto?"

"Eppure mi hai sempre tenuto testa."

Stiles si alzò  precipitosamente, guardandolo davvero male, rialzandosi di botto.

"Non è mia abitudine tenere la bocca chiusa."

Borbottò piano, mettendosi a buttare robaccia nel cassetto delle magliette, in modo da dare la schiena al licantropo. Lo sentì sospirare e fare un paio di passi nella sua direzione ma s'impose di non voltarsi: sua la camera, sue le regole, Derek non avrebbe fatto nulla di strano.

"Sì, l'abbiamo notato tutti. Stiles, né tu né io siamo soddisfatti di come si sono messe le cose, ma…"

"Hai detto che un compagno era un cuore che batte come il tuo, non una serie di ruoli sociali preimpostati! Avevi detto che un compagno era per la vita, che nessuno lo cambiava mai!"

Nemmeno s'era accorto di star stringendo il cassetto tanto forte da gonfiare i muscoli delle braccia. Derek fermò all'improvviso sia il suo discorso che il suo incedere.

Stiles sentì brividi partirgli dalla nuca – dove certamente gli occhi dell'altro stavano scavando un tunnel – e scivolargli giù fino alla base della colonna vertebrale. Aveva la pelle d'oca e non sapeva nemmeno perché.

Il silenzio invase la stanza per diversi minuti, il rumore attutito delle chiacchiere del padre e di Scott riguardo una partita di baseball continuavano imperterrite, incuranti del dramma che si stava svolgendo al piano di sopra. O forse Scott aveva ascoltato tutto fin dall'inizio e Stiles iniziò a pensare ad un posto dove potersi scavare una fossa con le sue stesse mani.

Cosa gli era saltato in mente di dire? A Derek, poi?

Il silenzio del licantropo, inoltre, si poteva interpretare solo in un modo: nel modo peggiore.

"Aspetta un secondo… ma a te dà fastidio il fatto di essere il mio compagno o il fatto che non c'è il romanticismo che ti avevo raccontato?"

La bocca di Stiles si ritrovò d'un tratto arida. Come volevasi dimostrare, il licantropo aveva interpretato le sue parole nel modo peggiore possibile. Ciò che non capiva era perché il proprio incarnato pallido fosse virato tanto violentemente verso il porpora acceso.

Si voltò di scatto, tenendo la testa bassa, intenzionato a sparire in bagno e a rimanerci per il resto dei suoi giorni, possibilmente cercando di avere l'ultima parola, schermandosi da quello che l'altro aveva capito.

"Non fare domande idiote."

No, la sua testa doveva funzionare davvero male, se la sua lingua aveva incespicato nel dire quelle semplici parole. Nemmeno con Lydia si ritrovava a tremare in quel modo.

No, pessimo pensiero.

Derek l'afferrò per un braccio prima che potesse sorpassarlo e Stiles si ricordò, solo in quel momento, dell'udito spettacolare dei licantropi. Sperò che perlomeno a Derek sarebbe venuto un gran mal di testa col concerto di percussioni che s'era installato nel suo petto in quel momento, perché lui s'era ritrovato con una violenta emicrania.

"Non era poi così idiota come domanda."

Stiles si sentì perso guardando quegli occhi verdi osservarlo attentamente, scivolando piano su quelle labbra mezze aperte per poi tornare a fissare quegli occhi verdi. Prese fiato e riordinò i pensieri, perché nella sua testa c'era un caos che non capiva, che non sapeva come fosse montato né quando scrutare quegli occhi verdi avesse iniziato a farlo sentire così.

Spaventato. Ansioso. Attorcigliato. Elettrico.

"Derek, com'è che era?"

Gli chiese con un filo di voce che divenne poi ferma e cinica.

"Ah, sì, io non mi fido di te e tu non ti fidi di me. Come può un rapporto di qualsiasi tipo fondarsi su queste basi?"

Sentì quello sguardo trapassarlo nuovamente, il nero allargarsi invadendo quasi interamente il verde e una scintilla rossa accendersi velocemente.

"Tu vuoi avere un rapporto con me?"

Stiles cercò di capire cosa nascondesse il tono di Derek ma non riuscì a capire nulla. Il licantropo rimaneva un mistero per lui, un mistero che non riusciva a districare. E avrebbe rivoluto indietro il suo braccio, ma la stretta dell'altro era impossibile da sciogliere.

"Non mi pare che al momento ciò che io voglio abbia alcun valore. Io sono il tuo compagno. E tu sei il mio. E non ho idea di dove tutto ciò ci condurrà."

"Non lo so nemmeno io."

Stiles allargò gli occhi. Derek aveva sorriso.

Appena appena. Niente a che vedere col sorriso aperto e falso che aveva mostrato alla reception della stazione dello sceriffo, capace di stregare anche una donna che sapeva perfettamente tutti i capi d'accusa che avevano gravato sulla sua testa.

Questo, invece, era un sorriso piccolo, più un distendersi delle labbra, un abbandonare la propria maschera da duro, appoggiandola di lato.

"E la cosa non ti preoccupa?"

Nel momento stesso in cui smise di lottare per riavere il proprio braccio, la stretta dell'altro si fece più leggera. Fiducia, possibile?

"Dovrebbe? Tu non sei un pazzo invasato, non hai attentato alla sopravvivenza del mio branco ma, anzi, hai sempre cercato di fare in modo che le cose andassero a posto. La tua presa di posizione ha colmato le mie lacune."

Stiles si allontanò di un passo e le mani di Derek scivolarono nuovamente sulla sua pelle. Stiles sentì nuovamente un brivido scivolargli lungo la schiena, ma il sangue gli tornò alla testa e ignorò il brivido. Alzò la voce stizzito.

"Quindi sarebbe colpa mia se ci troviamo in questa situazione?"

                           

Derek iniziava a sentirsi spossato. Parlare con Stiles non gli era mai sembrato tanto difficile: dopotutto però, solitamente lui abbaiava qualche ordine, Stiles gli rispondeva per le rime, lui lo guardava male. Fine della conversazione. Questa invece andava avanti ormai da un bel po' e, probabilmente, non sarebbe finita presto.

"Non ho detto questo."

"Ah no?"

Strinse la presa sul suo polso. Gli piaceva avvertire la sua pelle premergli contro il palmo della mano, gli sembrava di sentirsi più sicuro di sé.

"No. Tu mi hai salvato e hai salvato il mio branco."

"E il tuo branco viene prima di tutto?"

Stiles provò nuovamente a staccarsi ma lui non lo permise, rivoltandolo nuovamente verso di sé. Gli piacevano gli occhi di Stiles, più di quanto sarebbe stato lecito.

Gli rodeva ammetterlo, ma suo zio aveva avuto ragione: Stiles era il suo Alfa più di quanto non fosse stata Kate. Era come se lei fosse stata la sua prova generale, andata malissimo. La prima, però, era ora con lui.

"Dovrebbe."

Concesse molto di più di quanto l'altro avrebbe dovuto intuire. Eppure Stiles prese un profondo respiro e annuì, contrito.

"Ok… parliamone."

"Ne stiamo già parlando."

Gli veniva da ridere come non gli succedeva da tanto tempo. Si era sempre dovuto sforzare di rimanere serio con lui, ma ogni giorno la cosa si faceva più difficile. Avrebbe dovuto capirlo anche solamente da quello.

Stiles non voleva più fuggire. Quindi lo lasciò andare e lo osservò mentre, piroettando, arrivò fino al letto. Era la seconda volta che ci si buttava scompostamente sopra e trovava la cosa leggermente ambigua.

"No, io sto sfogando la mia isteria e tu… tu te ne stai lì senza fare niente."

Gli si sedette vicino, le mani vicine a quelle dell'altro.

"Vorresti che facessi qualcosa?"

"Non lo so!"

Stiles si passò le mani sugli occhi prima di riuscire a completare il suo pensiero.

"Non so come mi dovrei sentire, se l'essere divenuto il tuo compagno modifichi qualcosa, come succede quando si diviene licantropo o se questa… cosa che ho dentro c'è sempre stato e tuo zio gli ha semplicemente dato un nome."

"Hai i battiti troppo accelerati."

Aveva un tamburo nel petto e la cosa che lo incuriosiva era che il proprio batteva lo stesso ritmo. Con Kate non era mai successo, non in modo così intenso.

"Lo so, dannazione a te, lo so!"

Fu in quel momento che prese la decisione. Salì a cavallo del bacino del ragazzo, piantò le mani ai lati del suo viso, in modo da incastrarlo lì.

"Ci tieni davvero al mio branco? A tutti loro? Anche a Jackson? Da quanto ho capito lui ti ha soffiato le ragazza che ti piace e da quello che vedo quello rimarrà un legame indissolubile."

"E' proprio così importante per te?"

"Sì, è importante. Non lo è stato prima e le conseguenze sono state devastanti: ora devo mettere il branco davanti a tutto il resto."

Gli occhi dorati scivolarono oltre le sue spalle.

"Anche davanti al tuo compagno?"

"Lo stai facendo ancora."

Lo rimproverò. Era stanco di quel tira e molla, quel dire e non dire, chiedere e ritrattare subito dopo. Lui doveva essere sicuro, dannatamente sicuro. Avrebbe preferito essere solo a vita piuttosto che mettere un'altra volta il branco in pericolo. E Stiles attirava i pericoli come il miele attira le api.

E lui nemmeno sembrava accorgersene.

"Sembra che tu voglia essere il mio compagno."

"Io non…"

"Riconosco quando menti."

Lo bloccò immediatamente e l'altro prima impallidì poi divenne scarlatto in volto e sul collo. La sua pelle chiarissima con un paio di nei scuri ad esaltarne ancora di più il candore si era tinta di un bel rosso fiammante. Delizioso.

Aprì le labbra e soffiò fuori, piano, quasi stesse parlando a se stesso e non all'altro che ancora lo sovrastava.

"Io non lo so. Ecco, l'ho detto. Non so cosa voglio. So solo che quando sto con te ho le palpitazioni e la tremarella e le parole faticano ad uscire e, cazzo, sono sempre preoccupato o sul chi vive. Perché, Derek? Paura o… o altro?"

La mano di Derek agì di propria iniziativa andando a sfiorare dolcemente la guancia accaldata.

"Tu non hai paura di nulla."

"Ne sei proprio sicuro?"

"Sì, direi di sì."

La mano scivolò verso l'orecchio, andando a massaggiare i capelli troppo corti per essere afferrati ma così morbidi al tatto.

"E tu hai paura?"

Gli sorrise e si rialzò sedendosi sui propri talloni, sempre restando a cavalcioni del suo bacino.

"Sinceramente? Sì."

Stiles balbettò. Non c'era più nient'altro, solo loro due: erano un universo sufficiente per perdersi.

"E lo dici a me perché…"

"Perché tu sei il mio compagno ed è questo che i compagni fanno: si svelano."

Stiles si puntellò sui gomiti. Un'ombra scura, uno dolore lontano nel tempo ma forte nel cuore, gli oscurò l'espressione, facendo tornare la pelle del suo usuale colore.

"Ed è per questo che ci si può ferire tanto profondamente?"

"A volte."

"Già."

L'avvertiva, pesante tra loro eppure eterea, semplice da spazzare via con un gesto della mano.

"Ora hai paura."

"Sì. E non so di cosa."

Derek decise che si sarebbe dovuto svelare ancora un po'. Non era una cosa che gli desse fastidio.

"Io ho paura che tu te ne vada."

Stiles ridacchiò incredulo.

"Non è vero."

Derek tornò a toccargli il volto. Gli era indispensabile.

"Per colpa tuo sono quasi morto più di una volta, sono finito in prigione per molto più di quanto non sia lecito, ma accanto a te sono più forte, se tu ci sei c'è il mio branco. Eppure, ogni volta che sei in pericolo non è al mio branco che penso, ma a te."

Due cuori che battono all'unisono.

"E… questo da quanto succede?"

Balbettare non gli era mai sembrato altrettanto affascinante.

"Credo da quella volta in piscina. Quando mi hai lasciato andare per recuperare il telefono e poi sei tornato a prendermi. Ero inerme ma la sola cosa cui pensavo era che, se uscivi dall'acqua, il Kanima ti avrebbe ucciso e io non avrei potuto impedirlo."

Le dita di Stiles si adagiarono, tremanti, sulla sua mano ferma sulla guancia candida e Derek le intrappolò tra le proprie, tirandosele poi verso il proprio petto. Gliele posizionò proprio dove il cuore gli batteva all'impazzata.

Stiles tornò color pomodoro maturo.

"Credo stia arrivando il romanticismo…"

Derek avvicinò il volto a quello dell'altro per poi allungare il collo per potergli sussurrare direttamente nell'orecchio.

"Un po' di corteggiamento non fa mai male."




E' passata la mezzanotte, quindi sono ufficilamente con un giorno di ritardo, scusatemi.
Spero che non ci siano errori, ma non ci metterei la mano sul fuoco.
Scusatemi ancora per non aver risposto ai vostri bellissimi, meravigliosi, numerosi commenti. Li adoro, tutti quanti dal primo all'ultimo. A dio piacendo, domani dovrei avere un attimo di tempo così da potervi dedicare tutto il tempo che vi meritate per le splendide cose che mi scrivete.

Passando al capitolo, spero che quest'impennata vi sia piaciuta. A me tanto! E da adesso in poi, le cose come si metteranno? Avete delle idee che volete condividere con me? Scrivetemi un commento! Io un'idea già ce l'ho, ma potrebbe sempre cambiare ^_______^
Un bacio grandissimo a tutti voi che leggete, a chi mi segue, a chi commenta. Siete la mia boccata d'ossigeno.
Gazie a tutti
Leli

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Capitolo 13
*** Resta ***


Capitolo XII
Resta

Scott avrebbe voluto sotterrarsi.

Ladies and gentlemen, leading off the second inning Giants centre fielder Bobby Rayburn.
Well, the forecast is for rain tonight.
There's a mist falling as Rayburn steps towards the box.
He's been more aggressive the last month of the season.
Who do we have on line two?*

Lo sceriffo lo aveva inchiodato per un'ora in un interrogatorio serrato che l'aveva lasciato spossato. Fortunatamente sembrava averlo convinto di almeno un paio di cose: Stiles non sarebbe divenuto un mannaro; Derek sarebbe stato tenuto a bada.

Dopodiché lo sceriffo aveva acceso la TV, selezionando un canale di sport e iniziando a guardare una partita di baseball, obbligandolo a sederglisi accanto per guardarla insieme.

E Scott imparò a ringraziare il cielo, perché quando Derek entrò in camera di Stiles l'azione era entrata nel vivo e il suo sussulto passò inosservato.

Come on, Bobby. Come on.
Out.
Now batting, Jimmy Lanz.*

 

"Stai iperventilando."

"E ti sembra così strano? Io ho sperato che tu morissi, che ci lasciassi in pace! E ora scopro che sono il tuo compagno! Come credi che mi dovrei sentire?"

 

Subito dopo, invece, si ritrovò ad imprecare tra i denti: sentiva quello che i due di sopra stavano dicendo, nonostante tentasse in tutti i modi di concentrarsi sulla voce del commentatore.

Non avrebbe dovuto ma schizzò in piedi.

You'll be all right.
You still want that interview?
You'd let Bobby Rayburn do an interview with a...? What was it?*

 

"Io ho paura che tu te ne vada."

"Non è vero."

"Per colpa tuo sono quasi morto più di una volta, sono finito in prigione per molto più di quanto non sia lecito, ma accanto a te sono più forte, se tu ci sei c'è il mio branco. Eppure, ogni volta che sei in pericolo non è al mio branco che penso, ma a te."

Lo sguardo dell'uomo non era per nulla rassicurante: era evidente che conoscesse lui e Stiles molto meglio di quanto i due volessero sperare. Ovvero, finora aveva chiuso un occhio, se non entrambi.

"Mi gira un po' la testa."

Si giustificò alzandosi in piedi.

"Vado un momento in bagno. Potrebbe prendermi un po' d'acqua con ghiaccio?"

"Scott, non provare a nascondermi qualcosa."

"Signore, si fidi, non vorrei mai."

Si sedette sulla tazza e s'infilò le mani tra i capelli.

Cazzo, il suo migliore amico era divenuto il compagno di Derek e, quel pazzo psicotico ora faceva pure il romantico!

Non voleva nemmeno immaginare Derek fare gli occhi dolci a qualcuno – in realtà non credeva davvero che fosse possibile che il suo Alfa, com'era strano chiamarlo così ora, beh, che lui potesse avere un'espressione diversa dalle due varianti tenebrosa/furiosa del costante broncio acido – mentre poteva tranquillamente immaginare Stiles perdersi in contemplazione di qualcuno avendo avuto il privilegio di osservarlo per anni sbavare appresso a Lydia. Si, ecco, ora la nausea ce l'aveva sul serio per l'iperbole fatta dai suoi pensieri.

Perché Lydia ora era da Alison e Alison non era più sua.

 

"Quindi… esiste il romanticismo? Non devo temere che mi salterai addosso come un invasato per reclamarmi o qualche altra cosa simile?"

 

La voce di Stiles era timida, e lui non l'aveva mai sentita così. Ci mise un po', invece, per interpretare le vibrazioni basse che ne seguirono: pareva un ringhio, ma non aveva nulla di minaccioso.

Era una risata.

Bassa, calda, sommessa.

Ingoiò a vuoto, sconvolto, alzandosi subito dopo ed iniziando a misurare il bagno con lunghe falcate. Doveva uscire di lì, trovare una maniera per svicolare dalle domande dello sceriffo e scappare lontano, dove non sarebbe stato in grado di ascoltare il suo migliore amico tubare con il suo Alfa.

Ma lo sceriffo era lì ad attenderlo con un bicchiere d'acqua ghiacciata in mano.

"Scott, c'è qualcos'altro che non mi hai detto?"

Lui prese il bicchiere e bevve un sorso che per poco non lo soffocò.

 

"Certo che ho voglia di saltarti addosso…"

 

"Scott, tutto bene?"

Lo sceriffo lo osservava attentamente e lui si sentì sempre peggio, perché stava coprendo il proprio amico con suo padre quando lui stesso non era esattamente convinto che quella fosse la cose migliore da fare. Il suo cervello stava andando in pappa: voleva smettere di ascoltare perché non era giusto, perché erano cose private, perché Stiles aveva il diritto di tenere le dichiarazioni di Derek per sé. E lui stava origliando.

Deglutì a vuoto.

"Sì, signore, è stata solo…"

 

"… ma so che Scott sta ascoltando,"

Derek si stava divertendo a metterlo in difficoltà, ne era sicuro.

"… la nausea. Se per lei va bene…"

 

"e tuo padre sta qui sotto con lui."

Oh, ma allora se n'è accorto anche lui?

Scott aveva la bocca secca, nonostante il bicchiere ormai vuoto.

"… io tornerei a casa. Se preferisce chiamo…"

"Oddio, Scott! Me n'ero dimenticato"

Scalpiccio sulla sua testa. La porta della stanza di Stiles che si apriva.

"… chiamo qualcuno. Qualcun altro, insomma."

Soffici i piedi – dovevano essere scalzi – scesero le scale fermandosi ad appena un paio di gradini dalla fine.

"Scott, stai sudando. Che ti prende?"

"Ho un po' di nausea, tutto qui."

"Scott?"

Stiles era scarmigliato, titubante ma, fortunatamente, solo. E lui prese un respiro di sollievo, davvero molto profondo. Non aveva molta voglia di affrontare il proprio Alfa.

"Stai bene?"

Lui gli sorrise e annuì. Era evidentemente preoccupato, probabilmente perché temeva che la nausea fosse a causa sua, forse temeva di averlo perso.

"Sono solo stanco, Stiles. Sono successe tante cose e… e ho bisogno di dormire."

"Papà, gli hai fatto il terzo grado?"

"Sei tornato a casa sconvolto, cosa pretendevi che facessi?"

"Avrei preferito che aspettassi me per parlare."

Scivolò sugli ultimi gradini. Leggero come non era mai stato.

Scott si sarebbe preoccupato se non fosse un licantropo e non avesse un fiuto eccezionale: il ragazzo era ancora completamente umano, esattamente come l'aveva lasciato poche ore prima quando era scappato da casa di Isaac. Solo gli occhi gli brillavano in una maniera che non aveva mai visto.

"Scott, ti accompagno alla porta. Puoi andare a casa, non ho bisogno di tutta questa protezione."

Gli disse posandogli una mano tra le scapole e dirigendolo verso l'uscita, lasciando suo padre indietro. Scott ricominciò a respirare normalmente.

Si fermò poco prima di arrivare al portone d'ingresso, voltandosi a guardarlo.

"Chiudi a chiave, stanotte. Anche la finestra della tua camera. Non è detto che non ci riprovino."

Stiles sorrise e annuì.

"Mi dispiace."

"E per cosa?"

Chiese stringendosi nelle spalle fingendo di non aver passato le due ore peggiori della sua vita.

"Per me, per Derek, per mio padre… scegli tu. Non avrei mai immaginato che il tuo coinvolgimento in questa storia mi potesse coinvolgere così a fondo. E che io finissi per complicarti le cose."

Scott trovò la forza di sorridere. Sarebbe voluto scappare, perché tutte quelle informazioni lo sconcertavano, ma gli occhi dell'altro, così vivi e aperti e preoccupati – com'erano sempre stati, eppure più belli – lo inchiodavano lì. Stiles era il suo amico e niente, niente, poteva far mutare l'affetto che provava per lui. Però ora Stiles era un Alfa del branco di Derek.

"Non me le stai complicando…"

Cerò di spiegare, grattandosi la nuca imbarazzato. Il suo amico lo guardava con un'ombra di terrore.

"Diciamo non ero preparato a pensare a te come…"

"Scott, no."

Lo fermò prima che potesse dire altro ma, incredibilmente, aveva capito esattamente cosa veramente lo preoccupasse.

"Tu sei il mio migliore amico, ok? Non mi importa niente di qualunque cosa possano dire gli altri. Io e te siamo e saremmo sempre amici prima di essere qualsiasi altra cosa, mi sono spiegato?"

Non c'era possibilità d'errore. Scott annuì sorridendogli.

"Ci vediamo domani."

"Sicuro."

Stiles chiuse la porta e Scott inforcò la bicicletta.

 

"Stiles, cos'è successo con Scott?"

"Nulla, papà. Era solo preoccupato: ho un po' di pensieri per la testa al momento."

"Ne vuoi parlare?"

"Non oggi. Oggi vorrei solo tornarmene in stanza e dormire."

 

Derek lo osservava dalla finestra della stanza di Stiles. I suoi occhi sembravano un faro nella notte, acuti e vivi. Prese un forte respiro e sostenne lo sguardo.

"Non era mia intenzione origliare."

 

"Non erano informazioni segrete."

 

Scott storse il naso e la bocca.

"C'è più di una ragazza che sarebbe pronta ad uccidere per molto meno."

 

"Stiles non è una ragazza."

 

"E la cosa non ti disturba?"

In sottofondo sentiva il suo amico e lo sceriffo chiacchierare riguardo alla cena. Era come un ronzio sommesso, un cicalare senza significato che però si piantava nella sua mente in ogni singola parola.

 

"Perché dovrebbe? Non è Kate. È meglio. Il mio istinto l'ha accettato, il lupo l'ha accettato."

 

Scott non era in grado di decifrare il tono dell'Alfa. La luce nella stanza di Stiles era accesa, quindi lui poteva vedere i tratti distesi sul volto spigoloso. Non riusciva a capire.

Per questo s'azzardò a chiedere.

"E tu?"

 

Derek sorrise.

"Io sono un lupo."

L'attimo dopo Stiles entrò nella stanza.

"Scendo a cenare con mio padre, vorrei evitare che mangiasse schifezze anche questa sera. Appena finito torno subito qui sopra."

La voce si fece esitante, timida.

"Tu resti?"

 

Erano entrambi spariti dalla finestra e Scott aveva iniziato a dare le prime pedalate per allontanarsi da lì.

 

"Tu cosa vuoi?"

 

Un attimo di pausa, mentre lui svoltava l'angolo. Poi, lontano, come un pensiero sussurrato al vento, sentì la sua risposta.

 

"Resta."

 

 

 

* da The Fan – il mito (http://it.wikipedia.org/wiki/The_Fan_-_Il_mito)




Ciao!!!
Mi sono quasi messa in pari con le risposte ai vosti commenti, sono stata brava? Per i commenti allo scorso capitolo... che dire... GRAZIEEEE!!! Vi voglio bene, a tutti quanti! Verrei a darvi un bacio uno ad uno!
*Ecco... ora li ho spaventati... spero di no!*
Tornando al capitolo... che ne dite? V'è piaciuto? A me ha divertito a scriverlo :) Spero che a voi abbia divertito leggerlo.
Alla prossima!
Leli
PS: spero che l'HTML non abbia fatto scherzi e mi abbia messo tutte le righe vuote... SGRUNT

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Capitolo 14
*** Come corteggiare un ragazzino ***


Ho litigato per un'ora e un quarto con la formattazione HTML e, per questo, ho saltato il compleanno di Lord Voldemort di 15min =_=
No, so che l'avete pensato in molti, ma non sono scomparsa! Solo... la vita reale è un casino. Proverò a riprendere il ritmo ora, ma non vi prometto nulla e sono in ritardissimo i commenti, scusatemi!
Questo capitolo è dedicato a tutte/i voi che seguite questa storia, a chi la tiene tra i preferiti, a chi ha commentato e non ha ancora ricevuto risposta e a chi se l'è letta d'un fiato nonostante fosse ferma da tanto tempo e ha lasciato traccia del suo passaggio.
E ovviamente la dedico a Lord Voldemort, per il suo compleanno! Augurissimi mia cara!
E ora, godetevi il capitolo, spero vi piacerà!


Capitolo XIII
Come corteggiare un ragazzino

Peter era sdraiato sul divano, sveglio, ad aspettarlo. Derek era tornato a casa di Isaac solo verso le cinque e trenta del mattino successivo. I suoi occhi erano più luminosi di quanto suo zio li avesse mai visti, la postura aveva perso quella rigidità granitica, rimanendo comunque severa. Qualcosa era successo. Qualcosa di bello.

"I ragazzi ti hanno aspettato fin dopo cena, mentre Isaac è stato alzato fino a mezzanotte prima di crollare."

Lo informò con un tono i velato rimprovero.

"Avresti almeno potuto mandare un messaggio."

Derek si sedette su quella che era divenuta la sua poltrona e affondò la testa nello schienale alto, senza rispondergli. Aveva un odore diverso dal solito, ma non sapeva di sesso come Peter s'era aspettato.

"Non hai colto il tuo frutto proibito."

Sogghignò, sapendo che questo gli avrebbe sciolto la lingua. E infatti il nipote rispose subito alla provocazione.

"Stiles non è il mio frutto proibito."

"Lui forse no, ma la sua verginità sì."

La testa di Derek cadde nuovamente contro il cuscino con uno sbuffo. Gli occhi chiusi, la pelle leggermente arrossata, il respiro bloccato da qualche parte sotto lo sterno. Peter capì d'aver toccato un altro punto nevralgico di tutta la questione e provò a dargli il suo sostegno. Sostegno, non consiglio, perché per lui la sola cosa che c'era da fare era andare a reclamare la controparte di ciò che l'altro si era preso.

"È normale che il ragazzino sia recalcitrante. Dopotutto non vi siete proprio messi insieme."

Derek rimase in silenzio per lunghi minuti, il respiro che piano piano si regolarizzava e il corpo che riacquisiva tutto il proprio peso, come se fino a poco prima si fosse librato a dieci centimetri dal suolo.

"Zio, come si fa a sedurre un ragazzino?"

Chiese, senza giri di parole, con una tranquillità disarmante. Peter sorrise a quel comportamento. Derek, il piccolo Derek che sgambettava tra i membri del loro branco, era proprio così: disarmante. Con quegli occhi enormi aperti sul mondo e quel modo spensierato e imbarazzante di porre le domande e di chiedere le risposte.

"Intendi, quando l'aria da bello e dannato non basta più?"

"Stiles è… stoico."

"Non per farmi completamente gli affari vostri, ma che avete fatto tutta la notte?"

"Parlato. Lui per la maggior parte. Respirato la stessa aria."

Quando il silenzio si protrasse troppo e Peter capì che non ci sarebbe stato altro, si alzò dal divano dove s'era sdraiato e lo scrutò nei minimi dettagli, le proprie sopracciglia inarcate all'inverosimile.

"Mi stai dicendo che siete rimasti svegli tutta la notte a non fare… nulla? Tutto questo non è normale, non è così che funziona."

Derek posò i gomiti sulle ginocchia e si passò le mani tra i capelli. Era stanco, evidentemente stanco. E vagamente frustrato. Eppure pareva essere soddisfatto di come le cose fossero andate. Nascosto nella curva strana delle labbra c'era il ragazzino di un tempo che si lanciava in imprese assurde e poi era assolutamente entusiasta dei folli risultati ottenuti. Laura l'aveva costantemente preso in giro per questo e lui alla fine aveva smesso di sognare in grande. O forse aveva continuato a farlo, ma senza informarli dei suoi esperimenti.

Come non Kate.

"Stiles è fuori da ogni schema."

"Continua a litigarci e a tenergli testa. Non essere accondiscendente. Non lasciarlo solo."

Si ritrovò a snocciolare senza sapere nemmeno lui perché. Quel ragazzino lo aveva sempre turbato, fin dall'inizio. Lo voleva nel suo branco quando era un Alfa, lo aveva voluto accanto a loro in seguito, quando aveva capito che le sue capacità erano fuori dalla norma, ma in qualche modo lo spaventava.

Lui e Derek avevano sofferto talmente tanto che ora, ritrovarsi a dipendere, in qualche modo, dalle decisioni di un teenagers logorroico e caciarone non era esattamente quello che avrebbe voluto nel loro futuro. Per Derek tutta quella situazione sicuramente sembrava ancora più assurda.

"Vado a prenderlo dopo gli allenamenti di Lacrosse."

Lo informò senza batter ciglio, alzandosi per recuperare una colazione.

"Per protezione contro gli Alfa, contro gli Argent o perché già ti manca?"

Derek si immobilizzò a metà di un passo, una postura decisamente buffa. Poi rilasciò il respiro e distese le dita delle mani, contratte già da tempo. Non gli avrebbe risposto, lo sapeva: rispondere avrebbe significato dissotterrare una parte di cuore che l'altro credeva perduta per sempre, qualcosa che probabilmente non era ancora pronto ad affrontare.

Rimase immobile per un tempo ridicolmente lungo prima che un lamento di Isaac gli desse l'opportunità di svicolare la domanda e concentrare la propria mente su un'urgenza che non gli avrebbe massacrato il cuore.

Peter sospirò stancamente.

Suo nipote era stato uno sciocco e un pazzo a regalare il proprio cuore ad una psicopatica, ma purtroppo certi istinti erano difficile da reprimere. Ora, raccattare i pezzi di quel cuore in frantumi e donarli a qualcun altro avrebbe portato via tempo e non si poteva nemmeno avere la certezza che quel qualcuno – per leggerezza, per errore, o per intenzione – non rendesse i frammenti ancora più piccoli.

Riprese i fogli che aveva sparsi per terra, ignorando il pc lasciato in carica sul tavolino da fumo. Quattro Alfa in gruppo: una donna, tre uomini. Uno di questi era originario di lì – informazione ottenuta da Chris Argent solo il giorno prima. Degli altri sapevano solo che erano venuti per Derek o, più precisamente, per il suo sangue.

Sangue di generazioni di mannari. Il sangue più puro di tutti gli Stati Uniti d'America. Sangue in grado di ridar vita ai morti le cui proprietà erano una leggenda che veniva tramandata attraverso i secoli.

E Jackson, i cui genitori erano stati uccisi tanti anni prima.

Un puzzle interessante, sotto molti punti di vista. Una storia che poteva finire tragicamente male in troppi modi diversi.

Avrebbe dovuto parlarne con Derek e con Stiles molto, molto presto.

            

"Dunque… il matrimonio è stato consumato?"

La voce acida di Erica fece sobbalzare Stiles e digrignare i denti di quel mastino di Scott. Altro che lupo, quello era un vero cane da guardia.

Insulto banale. Poteva fare di meglio.

"Ma che vuole quella?"

Jackson sorrise alla propria ragazza. Poteva non avere il suo stesso udito sovrannaturale, ma fiutava i guai meglio di chiunque altro.

"Non capisco cosa ci guadagni a infastidire Stiles: Derek non la terrà sicuramente in maggiore considerazione e il resto di noi non la eleggerà ad eroina."

"Al massimo ad eroinomane."

Ridacchiò Jackson, per una volta perfettamente concorde con la propria ragazza.

Stiles nel frattempo aveva spalancato gli occhi, era arrossito e poi era tornato alla calma imperturbabilità che aveva avuto per le ore precedenti. Le mani vagarono nell'aria disegnando ghirigori inconsistenti.

"Dunque… ti piace così tanto cacciarti nei guai."

Non proprio una domanda.

"Tu non sai niente di me."

Sibilò la bionda, qualcosa a metà tra una minaccia e una risata, ruotando sullo sgabello dove s'era accomodata per la lezione di letteratura.

Lydia ghignò soddisfatta alla reazione di Erica alle parole di Stiles.

Gli occhi di Scott erano d'oro.

E la sua ragazza decise come quel momento di massima tensione fosse perfetto per pontificare.

"Quell'oca si sente importante solo perché non è più una povera, patetica sfigata."

Erica dovette averla sentita – e Lydia non era minimamente interessata o preoccupata della cosa – e la sua reazione fu alquanto infantile: uscì sculettando dalla classe col naso all'insù come una diva.

Jackson sbuffò infastidito dal comportamento idiota della licantropo.

Stiles intercettò gli occhi di Lydia e le sorrise con gratitudine prima di ritornare agli appunti che stava ripassando in attesa dell'arrivo della professoressa: la verifica di economia era imminente e il mister aveva minacciato di cacciarli dalla squadra se non avessero avuto almeno la sufficienza. Incredibile come, nonostante tutto quello che era successo loro, avessero ancora i compiti e le verifiche come primo problema.

Quel veloce scambio di sguardi, comunque, aveva irritato Jackson.

Non gli era mai piaciuto Stiles: troppo rumoroso, troppo impulsivo, troppo sfigato. Ma ora era "Madre" così come quello sbruffone di Derek era "Padre". E si era ritrovato ad essere con loro "famiglia" più di quanto la sua famiglia adottiva sarebbe mai stata.

"Jackson, ma che prende ad Erica?"

La professoressa era entrata in quel momento e Lydia si era immediatamente preparata ad ascoltare e a prendere appunti, mentre lui si era sbracato un po' meglio sulla sedia, avvicinandosi così a Danny, e il ragazzo ne aveva approfittato.

"Niente, è solo stronza."

Gli rispose cercando di non dar troppo peso alle parole, ma la successiva osservazione dell'amico lo fece scattare come mai avrebbe immaginato potesse succedere.

"E' la prima volta che la vedo prendere di mira uno sfigato come lei."

"Stiles non è uno sfigato."

Danny alzò un sopracciglio valutando ogni tratto irrigidito del volto dell'amico. Jackson sapeva di aver esagerato, sapeva che sarebbe dovuto stare più attento, ma solo chi faceva parte del branco poteva denigrare i membri dello stesso.

E questa da dove gli era uscita?

"Jackson, ti prego! Passi Scott che improvvisamente è divenuto un campione di Lacrosse, ma Stiles?"

Stava intanto infierendo l'altro. Proprio in quel momento il soggetto del loro discutere si esibì in uno sbadiglio sguaiato seguito da una parziale caduta dalla sedia, che sarebbe stata inevitabile se non ci fosse stato Scott a fermarlo.

"Ecco, che… ehi!"

Danny strabuzzò gli occhi guardandolo in volto.

"Perché quella luce nello sguardo?"

Lui scrollò lo spalle: non aveva veramente la più pallida idea di dove l'altro volesse andare a parare.

"Eri intenerito."

"COSA? Ma non dire eresie!"

La professoressa li riprese fermamente facendoli tacere per la successiva manciata di minuti, Jackson chiuso in un silenzio preoccupato e riflessivo e Danny con la voglia, stampata in faccia, di continuare a punzecchiare in quel modo il suo amico.

E infatti, appena Jackson scivolò nuovamente sulla sedia, gli bisbigliò all'orecchio.

"Tu non fare gli occhi dolci alla goffaggine di Stilinski e io non dirò cose sgradite."

"Tu vaneggi."

Sentiva i battiti del proprio cuore battere forte nella cassa toracica e sapeva che Scott l'aveva sentito e si rese conto che anche Stiles li stava guardando. Doveva calmarsi.

"Non io, bello."

Ironizzò Danny riappoggiandosi contro lo schienale della sua sedia e cominciando a seguire la lezione.

Quando la campanella suonò la fine dell'ora Jackson quasi fuggì dalla stanza.

"Ehi, Danny!"

Sentì Scott richiamare il suo amico e in quel momento capì cosa aveva cercato di dirgli l'altro sul non poter fare a meno di ascoltare certe discussioni anche se non si sarebbe voluto.

"Che è successo a Jackson? Non so perché ma credo che tu ne sia più informato di me."

"Guarda che ti sbagli…"

"Senti McCall, non prendermi per il culo, vuoi? So che Jackson è stato strano nell'ultimo periodo, o almeno più strano del solito, e ora lo scopro fare gli occhi da triglia verso di voi. Qualcosa deve essere successo, qualcosa che non mi volete dire. Ok, va bene, non è quello il rapporto che abbiamo tra noi. Ma non sperate che io sia collaborativo. Più di quanto non lo sia già stato."

L'aggiunta seguita dal balbettio di Stiles fece capire a Jackson che Danny era stato già coinvolto.

Jackson si rinchiuse nello spogliatoio per pensare.

Peccato che non arrivò da nessuna parte: Stiles continuava ad essere quella creatura strana per cui continuava ad avere ribrezzo e affetto; Scott era una sua appendice fastidiosa e irascibile; Derek era colui che gli aveva fatto battere i denti dalla paura e che ora lo faceva cuocere in una sensazione di appagante tranquillità anche quando la situazione era stata tutt'altro che calma; Lydia era sua, e solamente sua e si sentiva geloso di ogni occhiata che le veniva lanciata e ogni cosa che lei guardava, ma il suo orgoglio continuava a stridere a quella sensazione di possesso; Erica stronza era prima e stronza era rimasta anche ora; Boyd gli era completamente indifferente; Peter era incomprensibile e terrorizzante; con Isaac non sapeva cosa pensare o cosa provasse.

I compagni di squadra iniziarono ad entrare alla spicciolata, iniziando a cambiarsi per l'allenamento di Lacrosse.

Danny gli si sedette accanto, gli occhi puntati, come lui del resto, sull'armadietto spoglio di Isaac.

"Notizie?"

Gli chiese indicando il posto vuoto con la testa.

"Perché dovrei avere notizie di Isaac?"

Danny sbuffò voltandosi per fronteggiarlo, gli occhi scuri ardenti.

"Forse perché ti è vicino di casa ed è uno dei migliori giocatori che abbiamo?"

Chiese con le sopracciglia inarcate e gli occhi sbarrati in una buffa, esasperata espressione. Il ragionamento di per sé non faceva una piega, eppure Jackson temeva ci fosse altro dietro.

Scrollò il capo per nascondere l'imbarazzo di pensieri che non capiva né sapeva dove l'avrebbero condotto e cercò di risultare esasperato.

"Ok, ok, farò maggiore attenzione. Comunque non ne ho notizie."

Gli replicò, sentendo gli occhi neri perforarlo da parte a parte. L'agitazione aumentava minuto dopo minuto e non sapeva cosa fare per riprendere la calma.

"Farei meglio ad occuparmene io. Per queste cose tu non sei affidabile."

Decise Danny e gli occhi di Jackson divennero irreali.

"Ho detto che ci penso io!"

Fortunatamente l'allenatore interruppe immediatamente quella che poteva divenire una litigata incomprensibile.




Le note questa volta erano in cima... comunque,
CIAO! Sono tornata! Spero, come detto, di riuscire a ricominciare a pubblicare con regolarità.
Un bacio a tutti voi che passate per di qua e ancora auguri a Lord Voldemort! ♥

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