Exuviae

di Solitaire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***
Capitolo 5: *** Spirale reciproca ***
Capitolo 6: *** IV ***
Capitolo 7: *** V ***
Capitolo 8: *** Psicopompo ***
Capitolo 9: *** VI ***
Capitolo 10: *** Seconda parte ***
Capitolo 11: *** VII ***
Capitolo 12: *** Anisotropia ***
Capitolo 13: *** VIII ***
Capitolo 14: *** IX ***
Capitolo 15: *** Brachistocrona ***
Capitolo 16: *** X ***
Capitolo 17: *** XI ***
Capitolo 18: *** Paradigma ***
Capitolo 19: *** XII ***
Capitolo 20: *** XIII ***
Capitolo 21: *** XIV ***
Capitolo 22: *** Terza parte ***
Capitolo 23: *** XV ***
Capitolo 24: *** Interferenza ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


Questa è la primissima volta che scrivo qualcosa fuori dal mio fandom di nascita, cioè Buffy, e mi sento un pelo spaesata. Tra l’altro, Kingdom Hearts è qualcosa che conosco per vie traverse e per ragioni puramente casuali. Sono allergica ai videogiochi. Non mi piacciono, mi annoiano da morire, quindi non ci ho mai giocato.

E perché una che non gioca deve mettersi a scrivere una fanfic su un videogioco?

Facile. Mi sono innamorata dei nobody. No, non di Axel o Demyx o di un particolare nobody perché lo trovo bellissimo, sexy da paura, eccitante, o quel che volete (anche se Xemnas e Saïx… ehhh! Basta, discorso chiuso).

Per la verità, non ho neppure una grande considerazione di come l’Organizzazione conduce la sua guerra. Insomma, che senso ha affrontare il nemico uno per volta quando ne basterebbero due o tre a lavorare di concerto per disossare Sora come un pollo?

Immaginate solo che razza di iradiddio sarebbero insieme Xigbar, Luxord e Zexion. Controllo di spazio, tempo e percezioni. In contemporanea. Oppure Xaldin, Larxene e Axel. O Marluxia, Lexaeus e Larxene. Personalmente, trovo che anche Axel e Demyx potrebbero fare cose creative e pittoresche, insieme.

Le combinazioni sono innumerevoli e molto carine ^__^

E invece no. Devono fare i puri, duri e solitari a tutti i costi, devono fare :(

D’altra parte, Sora ha un vantaggio non trascurabile. Bara. Lo possono uccidere quante volte vogliono. Lui risorge sempre, pronto a un'altra partita, fino a che l’avversario non muore stremato. Traduzione: il giocatore capisce il trucco.

Tristezza :(

Dovrebbero fare un videogioco con opzione finale. Se perdi, ci resti secco sul serio.

 

Comunque, mi sono innamorata dell’idea concettuale di nobody e di tutto il potenziale di seghe mentali che ne consegue. Quindi mi concentro su di loro. In questa particolare storia, anche su Riku, che è troppo improponibile come eroe per non essermi simpatico.  Insomma, prima o poi riuscirò a scrivere qualcosa dalla parte dei buoni. Anche se non ci credo neppure io.

 

Ho cercato di restare in carattere, solo che nel gioco non viene dato moltissimo spazio alle personalità dei vari membri dell’Organizzazione e a me dell’idea che se ne fa il fandom non ne può importare di meno. Quindi non è detto che i miei personaggi siano esattamente come appaiono in genere nelle fanfic. Prendiamo il mio prediletto, Zexion, che viene spesso descritto come un adolescente dolente, depresso e in cerca di affetto, indifeso come un gattino malato. Ma dieci anni prima degli eventi del gioco era uno scienziato affermato. Come fa a essere un adolescente? Era professore a sei anni? Poi dubito molto che in un gruppo di distruttori di mondi e masse si sia guadagnato un titolo come Cloaked Schemer per il suo animo sensibile.

Casomai, invento con i poteri dei personaggi. Se so che Pinco controlla l’acqua e Pallino la vegetazione, parto da quello e ci ricamo sopra. Acqua è acqua e non è mica detto che si deve andare in giro a tirare margherite in faccia ai nemici. Di forme di vita vegetali ce ne sono tante. Oh, quante ce ne sono.

 

Non so se il gioco è stato tradotto in italiano e, in quel caso, come. Mi prendo quindi parecchie libertà con le traduzioni. Non me ne vogliate. Spero si capisca in ogni caso.

Ero in dubbio se tradurre nobody ed heartless e alla fine ho deciso per il no. In genere non uso termini stranieri. Qui l’ho fatto per evitare eventuali ripetizioni e indesiderati giochi di parole, che, comunque, sono presenti nei loro stessi nomi.

 

Temo che la storia finirà molto per virare sul lato 'dark' della faccenda. Ma com'è possibile non farlo, con protagonisti come Riku e i 13?

  

Disclaimer: Tutti i diritti su Kingdom Hearts appartengono alla Disney e alla Square Enix. Questa fanfiction è stata scritta senza scopo di lucro e non si intende violare nessun copyright.

 

 

 

 

 

 

Prima parte

 

 

 

Le cose delle quali l'una può essere sostituita dall'altra mantenendone intatta la verità, sono le stesse.

 

Principio di identità degli indiscernibili, Gottfried Wilhelm Leibniz

 

 

 

* * * * * * * * * * *

 

 

 

io?

 

 

Sogna mondi.

Mondi di notte perenne e mondi sempre in bilico sull’istante del tramonto.

 

Sogna città.

Strane città immerse nel buio e il ronzio di luci al neon che lampeggiano parole aliene nella pioggia.

 

Sogna mari neri e oleosi e lune a forma di cuore.

 

Sogna tempeste elettriche e fiori e fuoco e ombre.

 

 

io

 

 

Sogna persone. Soprattutto, sogna persone.

Sogna i colori che portano nei loro occhi e quando si sveglia, quando cammina per le strade della città e lavora e parla con amici e conoscenti, quando vive la vita sonnacchiosa dell’isola, continua a cercare quei colori e non li ritrova mai e la sua esistenza è diventata monocromatica.

 

 

io sono

 

 

 

* * * * * * *

 

 

 

“Chi sono, io?”

 

La voce è una lama di rasoio coperta di seta.

E’ stata la prima cosa di cui l’uomo ha avuto consapevolezza non appena ripresi i sensi, a parte il dolore.

La prima cosa che invece ha visto è stato il keyblade conficcato nella sabbia.

C’è sangue sull’arma. Schizzi di sangue ovunque, soprattutto sulla lama laterale. Sangue e grumi di materia scura, troppo densa per essere sangue.

 

“Chi sono?”

 

Per l’uomo ferito, respirare è diventato un impegno consapevole. Vorrebbe ingozzarsi d’ossigeno, ma non può. Se lascia che il respiro segua il suo corso automatico, è come se qualcosa gli frughi nel torace con un attizzatoio arroventato. Così, deve coscientemente controllare il ritmo respiratorio e regolare l’afflusso d’aria nei polmoni.

E’ atroce, ma è la migliore delle sue alternative.

 

“Chi sono?”

 

Inspira, espira.

Non troppo veloce, non troppo lento.

Non troppo avido, non troppo moderato.

Un’azione volontaria, anche se non tanto da poterla interrompere.

 

“Dimmi chi sono.”

 

Colui che lo ha colpito è ancora lì, inginocchiato sulla spiaggia, a un paio di metri da lui. Tiene una mano in grembo e l’altra appoggiata all’arma piantata a terra.

Lo osserva. E ripete sempre la stessa domanda.

 

“Chi sono, io?”

 

All’inizio, quella voce è stata solo un suono che ha interrotto il silenzio e il rumore delle onde e il bizzarro gorgoglio che l’uomo sente nel suo torace.

Però, il suono ha acquisito un frammento di significato ogni volta che si è ripetuto, fino a quando non si è composto in una domanda.

 

“Chi sono?”

 

Espira. Inspira.

 

“Chi sono?”

“Sora.” risponde, alla fine.

“Come mi chiamo?”

“Sora.”

 

Inspira. Espira.

 

“Il mio nome.”

“Sora.”

“Dillo.”

 

Stavolta, l’uomo si rifiuta di rispondere. E’ stanco e parlare è uno sforzo immane e c’è altro che ha attirato la sua attenzione.

 

“Chi sono?”

 

Il keyblade. Uno dei grumi di materia nerastra di cui è imbrattato scivola lungo una delle punte della lama laterale. Si lascia dietro una traccia sanguinosa, sul metallo chiaro. Si lascia dietro anche qualche minuscolo frammento di sé stesso.

Ricorda lo strisciare di una lumaca con la sua scia di bava.

 

Espira. Inspira.

 

“Chi sono?”

“Sora.”

 

Ecco. Adesso il grumo ha raggiunto l’estremità inferiore della lama.

Si ferma.

Tremola un poco e si gonfia. Continua ad avere quell’aspetto di mollusco grasso e strisciante. Un mollusco che esita prima del salto.

Quando diventa troppo pesante perché l’adesività riesca a contrastare la gravità, il grumo cade e va ad aggiungersi a quelli che l’hanno preceduto.

Tutta la sabbia sotto il keyblade è impregnata di chiazze di un limo nerastro simile a bitume.

Sta guardando qualcosa che fino a pochi minuti prima era dentro al suo torace diventare parte della spiaggia.

 

Inspira…

 

“Chi sono, io?”

 

Espira…

 

“Roxas…”

“Ciao, Riku.”

 

 

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Capitolo 2
*** I ***


Exuviae

 

I

 

 

Sora lo ha chiamato al mattino presto, dicendogli di correre da lui. La voce monotona e priva di inflessione e talmente poco da Sora da spaventare Riku.

La porta d’ingresso della casa dell’amico è aperta. Come in tutte le case dell’isola, se non del pianeta. Tutte, tranne in quella di Riku. Lui non ci riesce proprio.

Vero che in questa particolare casa vivono due portatori di keyblade. Più che dei padroni, ci si dovrebbe preoccupare della salute di chiunque cerchi di introdursi senza invito.

Anche l’interno buio non è sorprendente. Su quell’isola tropicale, in piena estate, la luce è talmente intensa da fare male. Ma se il resto dell’abitazione è solo scura, la camera da letto è talmente buia che persino lui, la cui visione notturna può fare invidia a un felino, non è in grado di vedere altro che sagome indistinte. Sora e Kairi devono avere sigillato la stanza contro ogni possibile fonte di luce. Dovrebbe attingere a quell’altro modo di vedere. Quello che non dipende dagli occhi corporei.

Suo malgrado, Riku si ritrova a sospirare di sollievo. C’è una parte di lui - No. Una parte dentro di lui - che anela sempre all’oscurità, persino a un’oscurità inerte e puramente fisica come quella.

La temperatura è piacevolmente fresca, quasi fredda a paragone del caldo torrido esterno, e si sente il lieve ronzio del climatizzatore.

C’è odore di sesso, pungente e pesante.

La cosa dentro di lui comincia a cantare lietamente, beandosi del buio che permea l’ambiente, e inizia a risvegliare i sensi necessari a navigare nelle tenebre, assopiti dalla luce.

Un altro odore. Uno sottilmente, fastidiosamente familiare. Uno di cui non vuole scoprire l’origine.

I profili e le forme cominciano a definirsi.

Stizzosamente, Riku spalanca tende e imposte e lascia riversare la luce del sole nella stanza. La cosa dentro di lui ruggisce furibonda e si ritira ringhiando e brontolando e borbottando.

Riku la ricaccia nel profondo della sua psiche.

 

Fottiti, Xehanort. E sta’ zitto.

 

E’ stato un po’ insano da parte sua avere dato un nome all’Oscurità che controlla - che vuole controllarmi - dopo che Xehanort, lo Xehanort individuo, è svanito. Ma se le dà un nome, se continua a credere che, in qualche modo, un frammento del mostro è sopravvissuto, può quasi convincersi che quello che prova, quello che gli fa bramare certe cose, quel secondo modo di pensare e agire che talvolta salta fuori, parallelo al suo normale modo di pensare e agire, non è un aspetto della sua personalità che viene nascosta e frustrata giorno dopo giorno, non è lui, ma il risultato di una volontà estranea. Poi trova ironico pensare al travolgente, astuto e sarcastico demone come a qualcosa di talmente debole da essere dominato e ridotto al silenzio con tanta facilità.

La luce lo acceca molto più di quanto non ha fatto il buio. Riku deve aspettare diversi minuti prima che la vista gli si accomodi e riesca a distinguere qualcosa.

La scena che si presenta ai suoi occhi, i suoi occhi umani, i soli con cui vuole vedere, è scioccante.

Kairi è immobile nel letto, sdraiata su un fianco, un braccio sotto il cuscino e l’altro piegato davanti a lei.

Morta.

La pelle è grigiastra e le labbra secche, ma nessuna espressione di sofferenza o paura o sorpresa.

E’ solo morta.

Sora è seduto su quello stesso letto, al lato opposto del cadavere della moglie. Testa bassa, gomiti appoggiati alle ginocchia, volto fra le mani.

Che strano effetto è quello della luce sui suoi capelli. Anni di sole e salsedine hanno dilavato lo scialbo castano del giovane in biondo, ma Riku non si è mai reso conto che è un colore così acceso, così puro. Così metallico.

Gli si inginocchia di fronte, gli prende le mani e gliele scosta dal volto. Vuole guardarlo bene, in faccia, negli occhi.

 

“Cosa è successo?” chiede.

 

Kairi è morta, idiota. Ecco cosa è successo. Mortamortamortamortamortamortamort…

 

Ha una gran voglia di urlare, ma qualcuno deve pur mantenere la calma.

 

Guarda che qui sono tutti calmissimi. I viventi, perlomeno.

 

Sora non piange. Non ha neppure una vera espressione.

 

“Non lo so. Mi sono svegliato e lei no.”

 

No. Tutti sotto shock, non calmi. E’ diverso.

 

Riku sospira e inizia a compilare un elenco mentale di quello che deve fare.

Chiamare la polizia, chiamare i medici, chiamare i genitori di Kairi, quelli di Sora…

Sono davvero tante, le cose da fare.

 

 

* * * * * * *

 

 

Il ragazzo è assiderato e fradicio per il viaggio fatto attraverso le strade delle ombre, prive di calore, poi nel mondo nero, battuto dalla pioggia. E’ immobile sul letto dove è stato deposto, nudo sotto la coperta in cui qualcuno si è preso il disturbo di avvolgerlo.

Dodici figure scure lo circondano come una spettrale veglia funebre. Uguali in quei paludamenti neri e lunghi che nascondono tutto. Ma abbassano i cappucci e, sotto quegli abiti lugubri e identici, ci sono volti e occhi e capelli che sono le tavolozze cromatiche di una mezza dozzina di mondi diversi.

 

 

un bambino?!

 

muto?

afasico?

sordo?

cieco?

demente?

 

inutile!

 

 

Sono cauti nell’avvicinarlo.

Non sanno quali siano i suoi poteri e hanno avuto esperienze sufficientemente dolorose e sconvolgenti da avere imparato la prudenza.

Il comportamento dei nuovi arrivati è del tutto imprevedibile. Possono essere lucidi e razionali, oppure rivoltarsi come tigri furibonde, masse di zanne, artigli sguainati e muscoli guizzanti, o cercare di scappare, o giacere paralizzati mentre l’organismo cerca di assestarsi alla nuova condizione, o raggomitolarsi in un angolo a tremare e urlare, o, peggio di tutto, provocare perturbazioni caotiche negli elementi che dominano.

E’ difficile pensare a qualcosa di peggio di quello che è riuscito a fare un terrorizzato e inconsapevole manipolatore del tempo, ma un evento è impossibile fino a quando non capita. Anche se nessuno prima d’ora è mai stato così completamente passivo, al punto di non essersi mosso né avere avuta la minima reazione da quando è stato trovato, nessuno sa come sia e di cosa sia capace un nuovo nobody fino a quando non lo mostra con le sue azioni. L’esteriore fragilità fisica non è un argomento sufficiente a ritenerlo innocuo.

Un uomo con occhi verde giada è il primo a tentare la fortuna. Soffia impercettibilmente sul volto del dormiente e sulla pelle si forma la brina. Il ragazzo rabbrividisce e starnutisce debolmente.

 

“Perlomeno, possiede un certo grado di sensibilità tattile.”

 

Un altro uomo, il volto sfregiato e privo di un occhio, tocca con un dito il viso del ragazzino.

 

“E’ molto giovane. Non abbiamo mai trovato nessuno così giovane. Forse la causa del suo stato è proprio questo.”

“Fino a quando non completiamo l'analisi dello spostamento dello spettro energetico e gli esami genetici e psichici, non possiamo dire a quale mondo e specie appartenga, quindi qualsiasi illazione in merito alla sua età non ha senso. Per quel che ne sappiamo, potrebbe anche essere adulto o appartenere a una specie neotenica.”

“Ma la maggior parte delle razze umanoidi cresce allo stesso ritmo e presenta le stesse caratteristiche infantili. Se davvero è un bambino, che razza di bambino è così forte da sopravvivere alla perdita del Cuore senza degenerare?”

“Ha mantenuto forma umana, però non è detto che sia riuscito a mantenere integro anche il complesso mentale.”

 

Prima che l’altro uomo possa replicare, il ragazzino balza in piedi. Intorno alle sue mani, spire e volute di luce liquida si condensano e in un attimo lui stringe due complesse e bizzarre armi. Sembrano ibridi fra spade, asce e chiavi, con una lama principale filigranata e scolpita ed estroflessioni laterali puntute e multiple. Nera l’una, bianca l’altra, ma comprendono anche i colori delle aurore boreali.

Sono ipnotiche per i presenti.

Emettono un canto pieno di malignità, una vibrazione che entra in risonanza con la loro frequenza vitale, che cerca di spezzarli come il suono può spezzare il cristallo.

Minacciano, rendono consapevoli della loro esistenza. Avvertono che sono lì per loro, fatte per quelli come loro, fatte per disfare il groviglio di volontà indomabile che li tiene in vita. Che sono più forti di loro.

I dodici esseri sono inorriditi.

Quelle cose possono squarciare le loro carni come le carni di qualsiasi creatura materiale e sono mortali per loro come per qualsiasi essere completo. Forse anche di più.

 

Il ragazzo falcia un doppio colpo verso quelli che gli stanno più vicini e nessuno di loro è sufficientemente lontano o veloce per salvarsi.

Una scarica elettrica lo colpisce prima che possa completare l’arco dei fendenti.

La donna si è mossa nell’attimo stesso in cui si è mosso l’attaccante, ma i suoi riflessi sono più rapidi e la sua accelerazione superiore e ha terminato l’azione prima di lui, tirandosi indietro e scagliandogli addosso il fulmine.

Il ragazzino barcolla e viene investito dal fronte d’onda del potere rilasciato dal solo altro abbastanza veloce da reagire al suo assalto, a una frazione di secondo dietro la donna.

Il mondo del ragazzo si disfa.

Onde di sinestesi vanno a cortocircuitare i suoi sensi. Le percezioni si rimescolano l’una con l’altra. Odori e suoni prendono il posto delle figure e figure dipingono i rumori.

La realtà si liquefa, cerca di ritrovare una forma coerente, fallisce e ricomincia a cercare, assumendo forme nuove e distorte, diverse da quelle a cui è destinata. Alcune immagini si moltiplicano, altre si contraggono e spariscono. Tutto quello che deve essere si scompone e ricompone, alterato di ogni caratteristica propria.

Lascia cadere le armi e si copre occhi e orecchie, nel tentativo di ripararsi dalle onde frangenti di quella realtà fluida. Ma quel potere colpisce direttamente i centri cerebrali di elaborazione sensoriale senza passare attraverso le terminazioni nervose e non c’è modo di isolarsi. Si raggomitola a terra e si stringe in sé stesso, mentre la sua ombra gli si arrampica addosso e cerca di divorarlo. 

La sua mente cede e lui resta immobile e in silenzio, così come è stato in silenzio fin dall’inizio.

 

Il responsabile di tutto non ha battuto ciglio durante il suo attacco. Se ne è rimasto in disparte, un po’ lontano dagli altri, circondato da ombre che nessun corpo solido proietta, con i capelli grigioazzurri che gli pendono sul volto e quasi lo nascondono.

Adesso si dirige verso il caduto, gli si inginocchia accanto e si toglie i guanti, scoprendo mani bianche come porcellana. Senza gentilezza né particolare rudezza, prende il ragazzo fra le braccia. Gli passa una mano sulla pelle, fra i capelli, lo tocca, lo fiuta, lo lecca.

Non esita neanche un istante prima di fare lo stesso con le due strane spade.

Vuole raccogliere il maggior numero di dati e vuole farlo il più rapidamente possibile, perché quelle cose possono svanire in ogni istante, come fanno sempre le loro armi, e già cominciano a brillare e diventare inconsistenti.

Rilevato dei suoi sensi acutissimi, un flusso di informazioni gli si riversa nella mente, viene processato, elaborato e archiviato in attesa di un uso futuro.

Forma, dimensioni, massa, odore, temperatura, sapore…

Ogni dato serve. Ogni dato è importante quanto gli altri.

Il suo potere gli permette di tessere illusioni che agiscono su ogni senso. Illusioni di quello che riesce a immaginare e di quello che conosce. Una volta o l’altra, potrebbe dover replicare il ragazzo o le sue armi e più informazioni è in grado di raccogliere, più l’illusione sarà realistica.

Potenzialmente, se conoscesse tutti i dati di quello che simula, l’illusione sarebbe realtà. Purtroppo, finora l’indeterminazione è stata un ostacolo insormontabile, ma questo non gli impedisce di tentare di raggiungere quel risultato.

Le armi svaniscono, ma lui continua la sua opera sul ragazzino e, intanto, mentre questo è incosciente e le sue difese abbassate, ne invade la mente inerme e la esplora.

Alla fine, l’uomo dai capelli grigioazzurri è soddisfatto. Abbandona a terra il ragazzo e si rialza.

 

“Non ha premeditato l’attacco.” dice, mentre si reinfila i guanti.

“Niente?” chiede l’uomo con gli occhi verdi, lo stesso che per primo ha toccato il ragazzino.

“No. Non fino al momento in cui ha attaccato. Non ho potuto prevedere la sua reazione perché non c’è stata anticipazione, neppure un’anticipazione inconscia. Apparentemente, sembra addirittura che non ci sia stata elaborazione encefalica. E’ stato molto più simile a un arco riflesso che a un comportamento complesso. Comunque, non è cieco, né sordo, né catatonico. E’ amnesiaco.”

 

 

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Capitolo 3
*** II ***


II

 

II

   

Non lo troveranno. Non in tempi brevi, almeno.

Questa è la sua spiaggia, il suo approdo privato. L’ha comprata per tenerci le imbarcazioni e perché sia un rifugio, non per intrattenere ospiti. Non invita mai nessuno e nessuno osa avvicinarlo tranne Sora e Kairi e anche loro di rado. Non ha mai capito se per fastidio o per rispettare il suo desiderio di solitudine.

Nessuno, quindi, sorprenderà Roxas nella sua opera omicida.

O, almeno, Riku spera che a nessuno venga in mente di venire qui proprio oggi. Ancora adesso ha incubi su quello che può fare un singolo nobody superiore d’alto rango alle sue vittime. Forse Roxas non è mai stato molto creativo nell’uso dei suoi poteri, non come alcuni fra i suoi simili, ma potrebbe estinguere l’intera popolazione dell’isola senza neppure cominciare ad avere il fiato corto.

Riku non prova grande trasporto per i suoi conterranei, ma non ha nessuna voglia di vederli preda del mostro. 

Anche se la cosa, ormai, non lo riguarda. Roxas farà degli abitanti dell’isola, poi dell’arcipelago, poi del mondo, quello che vorrà. Lui non ha più potere né voce in capitolo.

 

Si sente…

 

frizzare

svaporare

disperdere

svanire

morire

 

Tentacoli, volute e spire di Oscurità si intrecciano a formare polmoni e un sistema respiratorio fittizio per sostituire quello sfondato. Con maggior sforzo, si plasmano in neuroni, si diramano in assoni e dendriti, allacciano e riconnettono sinapsi virtuali. Fili di Oscurità si tendono e si aggrappano alle estremità dei nervi tranciati e li riuniscono con un ponte neurale.

Suo malgrado, Riku urla quando fitte di dolore che provengono da quelle parti del suo corpo che dovrebbero - che bella parola, dovrebbero - essere isolate riescono a superare l’abisso del suo sistema nervoso reciso e a raggiungere la coscienza.

Ma il tentativo dell’Oscurità di ricostruirgli un corpo efficiente è fallito in partenza. Quegli organi sostitutivi nascono già avvelenati del keyblade e si corroderanno in breve tempo senza risanarlo.

 

Roxas ha un’espressione di blanda curiosità. 

Sa benissimo cosa sta accadendo. I nobody sono creature del Crepuscolo. Non appartengono né all’Oscurità né alla Luce, sono rifiutati dall’una e dall’altra, ma hanno potere su entrambe. Roxas può vedere il processo chiaramente come vede la sabbia, il mare e le palme. Meglio, probabilmente.

Riku lo ha riconosciuto l’istante stesso in cui lo ha visto.

Anche se lo ha chiamato e ha continuato a chiamarlo Sora, sperando che questo bastasse a negare la sua esistenza.

Anche se si sono incontrati oltre dodici anni prima e allora Roxas era solo un ragazzino.

Anche se non ha più pensato a lui.

A parte l’insignificante particolare del suo assassinio - vuole credere che Sora non avrebbe mai fatto una cosa simile, nonostante un suggerimento ricevuto tempo prima che non è mai stato davvero dimenticato - ci sono differenze evidenti fra i due.

In realtà, non si somigliano molto, anche se i loro volti sono l’uno la copia dell’altro ed è difficile dire dove differiscono, eccetto quel particolare così evidente dei capelli biondi di Roxas. I singoli lineamenti sono pressoché uguali. Nell’insieme, il risultato è del tutto diverso. Il viso sarebbe quello di Sora, se solo Sora fosse ridisegnato da un artista fissato con un canone ideale. C’è qualcosa di troppo perfetto e senza tempo nell’aspetto di Roxas, quella perfezione così tipica dei nobody, non importa quale età mostrano o quante cicatrici portano sul corpo. Roxas sta a Sora come Xemnas stava a Xehanort.

Gli occhi, più di tutto, sono diversi. Occhi troppo chiari, troppo brillanti, troppo fissi, senza fremiti.

Ma è cambiato dal Roxas che conosceva. I nobody non invecchiano, però questo nobody ha trascorso dodici anni come parte di un essere completo e, adesso, di fronte a Riku non c’è un ragazzino, ma un uomo adulto.

Dubita che la cosa lo abbia reso più trattabile.

 

E’ stato cauto e prudente, Roxas. Di una cautela inutile, perché nello stesso momento in cui sono stati Roxas contro Riku, Riku è stato spacciato ed è abbastanza onesto con sé stesso da ammetterlo.

Non esiste potere che gli avrebbe permesso di sconfiggere Roxas, a meno che non avesse voluto farsi possedere ancora da Xehanort. E quello lo avrebbe escluso anche se il vecchio demone non fosse mortosvanitosvaporato o qualsiasi altra cosa facciano i demoni una volta fatti fuori. Quando non decidono di fare una visita inaspettata a un vecchio amico, naturalmente.

A meno che non avesse voluto usare ancora il potere dell’Oscurità. E questo lo avrebbe invece più che considerato. Peccato solo che non usa quel potere da quasi dieci anni e manipolare le Forze è sì una faccenda di essere, ma è anche una scienza applicata e un esercizio. Dopo un decennio di inattività, gli sono rimaste quelle doti inestricabilmente connesse al suo organismo, come vedere al buio, ma se si fosse messo una benda per camminare con le tenebre avrebbe solo finito per inciampare nei suoi piedi e correre sulle pareti verticali di un grattacielo è qualcosa assolutamente da escludere.

Combattere contro un guerriero nobody - contro Roxas, nientedimeno - rientra nei reami dell’impossibile.

Non può ragionevolmente pretendere che sarebbe riuscito a ritrovare l’antica abilità in quella frazione di frazione di frazione di secondo passata tra l’essersi accorto di una presenza alle sue spalle e il momento in cui il keyblade lo ha praticamente tagliato in due.

A ogni modo, Roxas non si è annunciato. Si è materializzato e lo ha colpito alla schiena. La lama laterale del keyblade si è incassata profondamente nella sua spina dorsale, separando vertebre e fibre nervose. Mentre cadeva, un secondo colpo lo ha preso al petto e ha mandato in briciole il torace.

Fine della storia.

 

Sora. Maledetto te e le tue paure… Maledetto me per averti ascoltato.

 

Forse non è giusto e i rimpianti sono inutili, ma al momento non si sente molto giusto e i rimpianti sono le sole cose che gli restano, a parte osservare l’essere che lo ha assassinato e tremare all’idea che sia di nuovo sguinzagliato per i Mondi.

Per adesso, il mostro ha la placida serenità di un arcangelo di pietra. Non ha pronunciato parola da quando Riku si è rassegnato a riconoscerlo. Appare trasognato, quasi.

 

“Non mi uccidi?”

“Ti ho ucciso.” mormora Roxas in tono lievemente sorpreso, come offeso all’idea che Riku possa anche solo sospettare che proprio lui, il perfetto nobody, non porti a termine una missione omicida una volta deciso di intraprenderla.

 

Non vantarti troppo, ragazzo d’oro. Già per due volte non sei stato abbastanza pronto a eliminarmi.

 

Ma allora, tanto per cominciare, Roxas non aveva intenzione di ucciderlo. Era stato attaccato e aveva solo cercato di difendersi.

Adesso, invece, è stato lui a cominciare la caccia, quindi la finirà. Quelli della sua stirpe portano sempre a termine quel che decidono di fare, qualunque cosa sia, e non li si può convincere, pregare, impietosire, suggestionare, sottomettere. Per fermarli, bisogna ucciderli.

E’ stata la prima lezione che gli ha impartito DiZ, quella.

 

I nobody sono incarnazioni della volontà ed è solo la volontà che li tiene in essere.

 

Però Roxas ha ragione e lui non si sente in grado di contestarne l’affermazione, neppure per illudersi. Ha visto e causato troppe morti per non sapere che niente lo salverà.

Se fosse umano, il primo fendente lo avrebbe tranciato a metà e il secondo sarebbe stato solo un'inutile esagerazione, ma Riku non è umano da un pezzo. Non del tutto, perlomeno. Proprio l’Oscurità, che gli dona una forza sorprendente, fornisce ai keyblade il terreno per agire con la loro magia oltre che con le lame fisiche. Al tempo stesso, la sua fondamentale umanità rallenta, ma non interrompe, l’azione delle armi.

Che fortuna.

Certo, Roxas potrebbe decidere di dargli il colpo di grazia e mettere fine alla sua agonia fin troppo consapevole, ma non è detto che una cosa simile funzionerebbe.

Se anche lo facesse a pezzi e dividesse il suo corpo in frammenti, forse l’Oscurità manterrebbe viva la sua coscienza fino a quando non avrebbe più potuto contrastare l’effetto del keyblade.

Immagina che è questo il motivo per cui il giovane è qui a fargli la guardia. Assicurarsi che muoia, anche se il processo dovesse metterci ore. Oppure non ha altro da fare.  

Cerca di non pensare alla faccenda dell’essere fatto a pezzi. Roxas potrebbe leggergli nella mente e considerarlo un suggerimento.

 

“Sei già morto, Riku. Il tuo corpo deve solo rendersene conto.” esita un attimo, prima di continuare “Stai tranquillo. Per te non saranno mesi.”

 

Solo Riku, ormai, è in grado di cogliere la malignità e l’amarezza di quella frase.

E’ la cosa più simile a un’emozione esplicita ottenuta finora dal nobody. E’ una affermazione di odio puro. Una dichiarazione di guerra.

Spera solo che non sia una sentenza di morte per i Mondi.

 

Per creature che si suppone essere prive di emozioni, i nobody sono passionali in modo inquietante. Perseguono i loro scopi con mezzi esclusivamente razionali e cerebrali, ma lo scopo può essere benissimo di origine emotiva. Anzi, si può dire che agiscano solo per soddisfare necessità di tipo emotivo. Ragione, intelletto e concentrazione assoluta applicati al solo fine di esaudire passioni egocentriche.

Riku li ha visti distruggere universi per nostalgia. Cosa potrebbero fare per rabbia, è qualcosa che non vuole neppure considerare.

 

 

* * * * * * *

 

 

Il funerale è finito e se ne sono andati tutti, eccetto lui e Sora

Kairi è stata sepolta su una collina affacciata sull’oceano, un luogo dove soffia sempre il vento.

Un bel posto. Per quello che adesso può servire o importare a Kairi.

Ma è il modo di fare dell’isola, questo. A vivere in un luogo simile, gli abitanti hanno sviluppato la passione per il panorama. Tutto deve essere perfetto, scenografico, spettacolare. Tutto deve essere fissato nell’inquadratura giusta. Tutto deve essere ricondotto alla giusta estetica. E’ il modo di fare di questo mondo.

Un mondo troppo stretto.

Il pianeta è quasi completamente ricoperto dagli oceani. La terraferma è rappresentata solo da arcipelaghi di piccole isole, tutte confinate nella fascia temperata e tropicale. Molte delle isole non sono che scogli disabitati. C’è una sola cultura ed è anche troppo.

La razza umana non è neppure autoctona del pianeta. Gli abitanti possono dire o pensare quello che vogliono, non c’è spazio né condizioni sufficienti perché si siano evoluti esseri come gli umani, né ci sono mai stati.

L’umanità è arrivata da qualche altro mondo o qualche altra dimensione. Forse come naufraghi o fuggiaschi, come la stessa Kairi. O come turisti, magari. Quella dei turisti sembra a Riku l’ipotesi più probabile. Un gruppo di facoltosi e ben equipaggiati turisti spaziali. Questo può spiegare l’alto livello tecnologico della loro civiltà, la mancanza di progresso che sembra caratterizzarli da che la loro storia ha memoria e li ha congelati in un’eterna scampagnata, la sonnacchiosa soddisfazione che permea i suoi conterranei e l’indulgere pigro e superficiale all’aspetto scenografico della vita, quella cosa a cui nessuno dà vera importanza, ma a cui nessuno vuole rinunciare.

Devono avere cercato attentamente per trovare un posto adatto all’ultimo riposo della principessa venuta dal cielo, l’eroina delle guerre dei keyblade. E chissà come ne romanzeranno la storia quando la racconteranno.

Tra una o due generazioni, della vita di Kairi, quella vera, non resterà traccia.

Probabilmente seppelliranno qui anche loro due, lui e Sora. Sora nel punto più assolato e illuminato e lui in quello più scuro e all’ombra, nell’appropriata rappresentazione simbolica delle loro esistenze. Quando arriverà il loro momento. Il più tardi possibile, grazie.

O, forse, lo faranno solo con Sora. Come Eroe, Riku deve ammettere di essere un po’ improbabile. E’ un po’ improbabile per qualsiasi definizione, a meno che non ci si voglia riferire a lui come al semi-heartless addomesticato di Sora. Per quanto ne sa, una volta morto potrebbe benissimo svaporarsi in nebbia nera.

Riku comincia a sentirsi morboso. Anche più del solito.

 

Il cuore di Kairi ha ceduto, è quello che hanno diagnosticato medici e taumaturghi.

Il suo fisico è stato troppo provato negli anni in cui lei ha combattuto nelle guerre, hanno detto. Ne ha passate troppo. La perdita del Cuore, la ricombinazione con Naminé, l’uso del keyblade, che si nutre della vita del portatore, i residui energetici accumulati con i viaggi tra i Mondi. Gli effetti si sono già mostrati in modo orribile negli anni, questa è solo l’ultima e definitiva conseguenza.

E’ l’altra faccia della medaglia. Il corpo umano non è fatto per incanalare quelle Forze senza danno. Lasciare scorrere in sé simili energie non è diverso che lavorare con elementi radioattivi o tossici.

Kairi aveva un Cuore possente, più di quello di chiunque, ma nel fisico non è mai stata molto forte.

 

Sora è in piedi di fronte alla neo tomba, perfetta icona del vedovo in lutto. Non c'è traccia di sudore sull'abito nero.

Riku ha voglia di togliersi la giacca e infilarsi in un paio di calzoni corti o in un costume da bagno. Il caldo è tale da fondere le pietre, oggi. Nemmeno il vento lo rende tollerabile. Sente quasi la pelle friggere.

Si sfrega lievemente le tempie. Gli fanno male. Colpa degli occhiali da sole. Dove le stanghette si appoggiano alle orecchie, partono fitte di dolore che, poco per volta, si sono diffuse all’intera testa.

Li toglie un attimo e, con una bestemmia sottovoce, li rimette subito, mezzo accecato dalla luce.

Se mai avesse bisogno di un’ulteriore riprova al fatto che la sua razza non è originaria di questo mondo, gli basterebbe guardarsi allo specchio. E’ del tutto privo di difese biologiche contro le condizioni ambientali del pianeta e, pur con la variabilità individuale, gli altri abitanti dell’isola non sono diversi da lui. Occhi chiari, pelle priva di pigmentazione, scarsa capacità di termoregolazione alle alte temperature. La loro intera specie non è adatta a un mondo inondato di radiazione solare, luce e caldo.

 

I suoi pensieri se ne stanno andando per i fatti loro. Non starebbe dissertando con sé stesso sull’evoluzione umana, altrimenti.

E’ che non sa cosa dire o cosa fare. La morte di Kairi è qualcosa che si è trovato spesso a considerare probabile. In certe occasioni anche molto probabile, proprio come la morte di Sora e la sua stessa morte, ma, di sicuro, non ha mai pensato a lei stroncata dalle coronarie a ventotto anni. Non dopo essere sopravvissuta alle guerre e a Saïx.

Magari è quello che vuole pensare per non ricordare che è stato lui a darle il keyblade.

 

“Se hai bisogno di qualcosa…” comincia Riku, giusto per rompere il silenzio.

“No. Va tutto bene.” ribatte seccamente Sora.

 

Riku non insiste.

Si avvicina di qualche passo alla parete della collina che scende a picco verso un mare blu scuro con chiazze bianche di schiuma.

Conosce la spiaggia che sovrasta.

E’ proprio lì che, anni prima, lui, Kairi e Sora si recavano spesso, prima del sorgere del sole, rubavano il motoscafo a qualcuno dei residenti - e questa era sempre un’idea di Riku - e lo portavano fuori dalla baia, in mare aperto, per spingerlo alla massima velocità e gridare pazzamente e gareggiare con i pesci volanti che fuoriuscivano dall’acqua come stormi di uccelli iridescenti, alterando la superficie specchiante del mare all’alba. Poi si immergevano in apnea, facendo a chi riusciva a restare più sotto e andare più in profondità. Ed era sempre Kairi quella che vinceva ed emergeva stringendo una conchiglia piatta delle sabbie per provare che era arrivata fino al fondo, e li sfidava a batterla, se ci riuscivano, e si reimmergeva subito, come fosse un delfino, uno di quei delfini maculati che ogni tanto si avvicinano alla riva.

Erano lui e Kairi che guidavano. Erano lui e Kairi i primi ad avventurarsi in nuove imprese, i primi a tentare. E Sora dietro a loro. C’era sempre qualcosa a frenarlo, qualcosa che non gli permetteva di trasformare quello che avrebbe potuto fare, in quello che voleva fare.

Eppure, Sora è il ragazzo che si è lanciato fra i Mondi armato di speranza, sacro fuoco di giustizia e una chiave gigante. Non era il coraggio che gli mancava, quando erano bambini. Era la motivazione.

Ma c’erano loro due, per quello.

La loro infanzia è stata bella. Ne ha buoni ricordi. Adesso riesce a considerare buone anche le liti.

Ma qualcosa è andato male, a un certo punto. Qualcosa si è rotto e, anche dopo averlo aggiustato, le linee di frattura sono sempre state lì, pronte a spezzarsi alla minima tensione.

Il suo legame con l’Oscurità. Quella cosa che Sora è sempre stato incapace di dimenticare e perdonare, non importa quanto si sia sforzato.

Man mano che ha imparato cos’è l’Oscurità, Riku ha cominciato anche a capire che in essa non c’è nulla di male e nulla di bene, se non che è una delle forze costituenti l’universo, qualcosa senza la quale niente potrebbe esistere, almeno non nella forma attuale, quindi si può definire buona, ma questo è il solo significato morale che le si può attribuire. A essa e a tutte le altre Forze. Lui è solo nato capace di manipolarla e questo non lo rende necessariamente un mostro, non se decide di non esserlo.

Se invece che in un’isola persa nel nulla fosse nato in un mondo come Radiant Garden, avrebbe potuto studiare e diventare un grande mago o un grande accademico. Sarebbe stato aiutato e seguito. Gli avrebbero insegnato a usare le sue doti. O sarebbe stato annegato alla nascita. I manipolatori di Oscurità si portano addosso le stimmate del male su molti mondi.

Tutto questo Sora non è mai riuscito a capirlo. E’ sempre stato sicuro che l’Oscurità sia qualcosa di intrinsecamente malvagio e, alla fine, anche Riku si è convinto delle sue ragioni. Così, ha deciso di negare la propria natura e ha passato l’ultimo decennio cercando di liberarsi, per quanto possibile, delle tenebre e di qualsiasi cosa lo leghi a esse.

O, forse, non ne è mai stato davvero convinto e lo ha fatto per quieto vivere.

Vuole solo pensare di non averlo fatto per una specie di assurdo e autolesionistico sistema per fare ammenda dei suoi peccati.

Ma l’Oscurità fa parte di lui e non può strapparsela di dosso ed è solo riuscito a non essere più capace di usare proficuamente i suoi doni. Come un uomo nato con le capacità di un atleta che smette di fare esercizio, i suoi muscoli si sono atrofizzati.

La cosa ironica è che Sora non lo ha mai accusato per quello che ha fatto come seguace della Strega o per avere aperto la porta delle tenebre sull’isola. Non gli ha mai fatto pesare le vite perse a causa delle sue azioni. Ma non accetta il suo legame con l’Oscurità. Non accetta che Riku cerchi di considerarla parte normale della sua vita. Fino a che la combatte, va bene, anche se poi finisce per cedere, ma non deve fare compromessi. Non deve vedere in essa nulla di meno che negativo.

Ma non può incolpare solo Sora per quello che è capitato. Lui ha fatto la sua parte. Fosse solo che è stata sua la scelta di accettare una tale restrizione.

Adesso, si ritrova qui e non riesce neppure a dire qualcosa al suo migliore amico riguardo alla morte della moglie, che è stata, incidentalmente, la sua seconda migliore amica, ex amante, ex alleata nelle guerre, ex avversaria, ex un sacco di cose.

 

Irrispettoso o no, Riku deve togliersi la giacca e slacciare i primi bottoni della camicia a collo alto, o corre il rischio di sciogliersi.

 

Sotto di lui, le onde appaiono immobili, come se l’oceano fosse pietrificato. Solo quando fissa lo sguardo su una delle creste di schiuma e la osserva a lungo senza distogliere l’attenzione, riesce a cogliere il suo lento avanzare.

Non si è mai accorto che l’altezza crei simili strane distorsioni sensoriali. E’ un po’ come se, da un punto di osservazione tanto lontano, lui non faccia parte della stessa sequenza temporale del mare.

 

Qualche volta, sogna che le navi atterrino di nuovo.

Qualche volta, sogna altri esseri, forme che suscitano risa o disgusto, ma sempre, sempre meraviglia.

Non vuole credere di sognare che si frantumino ancora i muri fra i Mondi.

 

Non lo fai?

 

Di certo, ogni tanto, sogna di poter riaprire i corridoi delle ombre.

Facile, no?

Tocca una superficie. Si può fare anche nell’aria o in un liquido, ma a contatto con un solido è più semplice. Un solido a reticolo cristallino è il meglio di tutto.

Ora devi risolvere una certa equazione a molte incognite - e devi farlo a mente - fino a che non c’è uguaglianza fra la materia sotto le dita e il pensiero. Adesso che sono in fase, puoi vedere la disposizione atomica.

Centra e zooma l’immagine.

Gli atomi sono formati da elementi costitutivi, che sono a loro volta formati da altri elementi costitutivi. Se riesci ad aumentare l’ingrandimento a sufficienza, ti accorgi che, alla fine, tutto si riconduce a filamenti di cinque elementi fondamentali e dei loro contrari. E’ un po’ come guardare un giornale. Se ti avvicini abbastanza, ti accorgi che quelle che a distanza sembrano immagini e scritte, sono in realtà una miriade di minuscoli puntini di pochi colori base.

Bene, a questo punto cerca di guardare fra i puntini. Bisogna proprio focalizzare la vista, per questo, ma si può fare e quando ci riesci… sorpresa! Tra un puntino e l’altro, ecco apparire la matrice grigio-nera. Il luogo che sta dietro agli universi. Il teatro che contiene il palcoscenico dove c’è la rappresentazione.

Se sei così in gamba da essere arrivato sin qui, allora lo sei per intrufolare una sottile sonda di pensiero fra i puntini e toccare la matrice, e usare questo filo di pensiero come leva per allargare il passaggio - niente paura se compaiono spirali, fumo e sbuffi neri. Sono tutte lagne che fa l’universo - per attraversarlo e ritrovarsi al di là. Dietro al palcoscenico.

I nobody, con il loro straniante senso dell’umorismo e la mania per i nomi altisonanti e vagamente poetici, lo chiamano - lo chiamavano - il Mondo in Mezzo e Altrove. Un po’ eccessivo, sicuro, visto che non è un Mondo, non sta in mezzo a niente e altrove a nulla, semmai il contrario, e questo lo hanno scoperto proprio i nobody. Ma, in fin dei conti, i nobody sono stati i primi esseri senzienti a conoscerlo, a studiarlo così approfonditamente e adoperarlo così estensivamente. Era un po’ in loro diritto dargli il nome. Anche un nome tanto ridicolo e fuorviante.

Adesso che sei di là, viene la cosa difficile. Davvero difficile. No, non sopravvivere. Strano a dirsi, ma ci si sopravvive benissimo, freddo permettendo. Il difficile è arrivare da qualche parte e arrivarci sani di testa.

Non ci sono veri sistemi di riferimento. Hai un punto di partenza, si presume che tu ne abbia uno di arrivo. Devi tracciare una rotta che unisca i due punti e devi farlo senza compasso, senza astrolabio, senza sestante, senza GPS, senza nessun sistema di navigazione tranne il tuo cervello, senza nessun modo di rappresentarla in concreto. Devi disegnare la mappa giusta, devi riuscire a immaginarla nei minimi dettagli, fino a quando non la vedi come se fosse solida e presente, ed è qui il problema, perché nessuno ha abbastanza concentrazione da fare una cosa simile. Proprio nessuno. Infatti, i nobody potevano perché la loro capacità di concentrarsi era pressoché infinita. Perché ci riuscivano gli heartless, che, salvo un’eccezione o forse due avevano le capacità intellettive di una larva di zanzara, solo i cieli lo sanno.

Quando hai la rotta, devi calcolare il vettore di spostamento e seguirlo. Senza mai distrarti, neppure una frazione di istante, o ti perderai nelle nebbie. O impazzirai. O entrambe le cose.

Se ci riesci, allora vuol dire che puoi camminare lungo i sentieri dell’ombra e navigare fra i Mondi senza bisogno delle navi. Come i nobody. Come gli heartless.

Tutto qui.

Facile.

Peccato che gli esseri umani e, in generale, tutti gli esseri completi non possono farlo.

Peccato che tu, Riku, sei stato capace di farlo.

Il che lascia sgradevoli quesiti sull’umanità. Nello specifico, sulla tua umanità.

Ma era esaltante poterlo fare.

Oh, quanto esaltante.

Essere liberi.

 

Ma i Mondi sono di nuovo sigillati e i viaggi finiti. Sei qui, Riku. Qui resterai. Qui morirai. Esiliato dietro la porta chiusa.

I viaggi sono finiti.

La libertà è costata il caos.

Valeva la pena?

Il caos per la libertà.

 

“C’è odore di tempesta.” mormora Sora “Non uscire in mare, oggi.”

 

Riku cerca di liberarsi dall’ottundente presenza della Luce che satura tutto il loro mondo. E’ un po’ come cercare di vedere attraverso una garza fitta. Persino Sora tiene una mano a schermargli occhi.

Non c’è traccia di nubi, ma Sora ha ragione. Il vento è quello che porta cattivo tempo.

 

I Mondi per la libertà.

Valeva la pena?

 

Riku si avvicina ancor più al limite dello strapiombo, fino a essere direttamente affacciato sul vuoto. Qualche ciottolo scivola sotto le suole e cade oltre il ciglio.

Senza troppa convinzione, ma anche senza fare resistenza, si fruga nella mente e cerca di ritrovarne la chiarezza. Così, giusto per vedere se ci riesce ancora.

La chiarezza che ordina il pensiero.

Il pensiero che risolve la formula.

La formula che apre la porta.

La porta che permette la fuga.

Dall’isola. Dalla gabbia.

 

“Riku…”

 

C’è un lieve tono di avvertimento nella voce di Sora e Riku si allontana dal precipizio. Però il monito non si riferisce a quello. E’ stato più come un tirare di redini. Leggero, impietoso e inflessibile.

Gli occhi di Sora sono del colore del mare in inverno. Più grigio che blu.

Da sotto la superficie che è l’Uomo, affiora il Custode del keyblade.

Riku rabbrividisce nel caldo e nella luce.

 

Migliaia, milioni di vite per la libertà.

Valeva la pena?

 

“Non ho sentito i bollettini nautici, ma credo ci vorrà almeno ancora un altro giorno.” risponde Riku, in tono neutro.

 

Sora gli ha voltato le spalle. Adesso lo ignora completamente.

E’ diventato un po’ strano dopo i loro viaggi e/o conseguente salvataggio dei Mondi conosciuti e svariate dimensioni del tutto ignote. 

Ogni tanto, fissa le cose come se non fosse troppo sicuro della loro vera natura. Ogni tanto, parla da solo o ascolta voci che non esistono. Ogni tanto, cammina nel sonno e deve essere recuperato nei posti più impensabili. Ogni tanto, scoppia a ridere quando non c’è proprio nessuna ragione per farlo, oppure resta imbambolato e piange in mezzo all’allegria generale.

E, ogni tanto, osserva la gente come se studiasse il punto migliore dove colpire.

Riku ha la sensazione che a Sora manchi un nemico da distruggere.

Insomma, Sora è bravo, buono e bello, ma non è mai stato precisamente l’Eroe Riluttante. Non è come se non ci provasse gusto a squartare heartless e nobody, soprattutto quelli sospettosamente simili a persone.

Ma chi, fra loro, non è diventato strano? E’ sicuro che, qualche volta, anche lui si è messo a urlare 'Oscurità’ come il fantasma demente di Xehanort.

 

Valeva la pena?

 

“Sora, mi chiami. Per qualsiasi cosa, tu mi chiami.”

 

Sora ha già cominciato a scendere il sentiero che porta giù dalla collina e non risponde.

 

Vale la pena?

 

Xehanort ridacchia e fa un commento non proprio educato all’indirizzo della sua onestà intellettuale.

 

 

* * * * * * *

 

 

E’ il capodanno del pianeta capitale di quel sistema solare e il mondo è in festa.

Le strade della città sono piene di musica e di gente con maschere nere e dorate e lunghi nastri di seta intorno ai polsi e alla fronte. I palazzi filigranati sono decorati di veli e ghirlande di fiori, e fragili navi con polene di vetro soffiato e quarzo solcano i canali dove sono stati riversati quantità di organismi bioluminescenti che accendono le acque di flussi policromi.

 

Lui cammina per le strade, apparentemente senza meta, coperto di pelle nera dalla testa ai piedi, invece che dalle vesti sciolte e variopinte portate quasi da tutti.

E’ bellissimo con quei suoi strani abiti e lei lo nota subito.

Forse è un marinaio sbarcato da poco, che non ha avuto modo di trovare un costume adatto. Oppure è un alieno. Uno di quelli che talvolta lasciano le sedi diplomatiche e le visite ufficiali per avventurarsi nelle vie della città e osservare stupefatti il loro mondo. Uno di quelli che provengono dagli altri piani della realtà e che non sempre hanno aspetto umano.

Se davvero è un alieno, questo è umano abbastanza.

I suoi occhi sono azzurri e verdi e grigi e così trasparenti che sembra ci si possa immergere e scendere di strato in strato e non raggiungere mai il fondo. Hanno il colore dei laghi sotto il sole dell’estate e dei torrenti dopo il disgelo e, se si guarda bene, ci sono bagliori argentati e dorati, proprio come il riverbero della luna e del sole sull’acqua.

Le vengono in mente tutte quelle stupide metafore dozzinali e non capisce da dove saltino fuori, e se ne vergogna, perché è una ragazza moderna e le ragazze moderne non pensano e non dicono, soprattutto non dicono, simili imbarazzanti sciocchezze. Così, gli dice solo che è bellissimo, anche se dentro di sé continua a pensare a torrenti e a laghi.

Lui ride e le mormora all’orecchio. La sua voce ha il suono delle onde e delle gocce di rugiada che cadono dalle foglie.

Camminano su strade lastricate dove ogni piastrella porta impresso un diverso simbolo araldico, lungo le rive di pietra scolpita dei canali. Le tiene la mano con dita guantate e le trattiene lo sguardo con il sorriso.

Adesso sono qui, sotto un pergolato di cristallo, le colonne ricoperte da rampicanti dalle foglie rosse e lui la sta baciando. La sua bocca ha il sapore dell’acqua ghiacciata.  

Poi cominciano a ballare, al ritmo della musica che riempie le strade.

Lei è ubriaca. Ubriaca di vino e di suoni quel tanto che basta a cancellare anche la fragile diffidenza della sua gente. Abbastanza da seguire e baciare un uomo senza nome.

Ma il giovane è troppo veloce e c’è forza nel suo abbraccio. Quel genere di forza opposta che si subisce quando si nuota in una leggera corrente contraria. Quella forza che non si avverte sino a quando non si cerca di fermarsi e, allora, ci si rende conto che la corrente non lascia andare, che contrastarla è molto più difficile del previsto.

Un velo di sudore copre uniformemente la pelle della ragazza.

 

“Basta…” esclama ridacchiando.

 

Lui non si ferma. Anzi, aumenta la velocità e il ritmo. La donna incespica, cerca di svincolarsi e non riesce. In un istante, il sudore diventa copioso al punto da inzupparle gli abiti.

Una fitta di dolore, contemporanea e in tutto il corpo. Come se ogni singola cellula fosse stata punta da un ago elettrico.

Lei sbarra gli occhi ed emette un grido di sorpresa.

 

Non sono soli. Due figure si sono materializzate in cima a due delle colonne.

La ragazza incespica, spaventata dalla loro presenza inaspettata. Spaventata dalla loro comparsa, perché fino a qualche secondo prima non c’erano e non è possibile che si siano arrampicati fin lì senza che lei se ne sia accorta. Anzi, non è proprio possibile che si siano arrampicati e se ne stiano lì. La cima di quelle colonne rastremate ha un diametro troppo piccolo perché una persona ci stia sopra così tranquillamente.

Spaventata che siano qui, con gli stessi strani abiti neri del suo accompagnatore.

Riesce a guardarli bene per un attimo e si accorge che sono contrapposti nel loro aspetto.

Uno è un ragazzino biondo, rigidamente eretto in piedi con le mani dietro la schiena. L’altro un uomo massiccio, acquattato sulla colonna come il doccione di una cattedrale. I suoi strani e lunghi capelli neri sono agitati dal vento. Solo che non c’è vento, neppure un alito.

 

Il giovane ride mentre stringe la ragazza per le mani e la fa girare intorno a sé. Il sudore comincia a gocciolare a terra.

La fitta di dolore si ripete e questa volta non si interrompe.

 

Ci sono anche altre presenze insieme a loro, ombre pallide e oscillanti dalle proporzioni grottesche. Sono comparse un po’ dovunque nello spazio sotto il pergolato e fra le colonne e continuano a comparire.

 

A un tratto, è ferma e libera. Le è permesso cadere a terra. Le è permesso tremare e piangere.

Però le lacrime sul suo volto si stanno prosciugando. Si prosciugano le lacrime non ancora versate.

 

Sono mostri, quegli esseri. Cose orribili, bianche come larve o fiori cresciuti al buio.

E ondeggiano.

Avrebbero quasi forma umana, se gli umani fossero deformati da un incubo.

Ondeggiano.

Arti gracili e disossati e punte uncinate al posto delle mani.

Ondeggiano.

Teste enormi, occupate solo da bocche smisurate.

Ondeggiano, ondeggiano, ondeggiano.

Un moto perpetuo e nauseante.

 

Cerca di urlare, ma dalla gole le esce solo un gemito prolungato.

Il dolore è una pulsazione lenta e continua e in crescendo, ogni picco più alto del precedente.

Ogni ombra di ebbrezza è stata spazzata via. Non è mai stata così lucida e non ne capisce la ragione. Il dolore dovrebbe stordirla, dovrebbe gettarla in un panico demente, non acuire i suoi pensieri.

Ha le mani viscide. Le guarda e si accorge che sono fradice. Le sfrega sui vestiti per asciugarle, ma sono di nuovo, subito, bagnate.

 

Il bambino la osserva con occhi che sembrano pezzi di vetro azzurro, troppo grandi per il suo volto.

Non c’è crudeltà sul quel viso, non c’è divertimento, né interesse, né compassione. Se non fosse per i suoi pochi, apatici movimenti, se non fosse per i suoi colori così vivi e luminosi, sembrerebbe una statua di cera. O un cadavere.

 

Rivoli d’acqua escono dalla bocca e dal naso e dai pori della ragazza, la pelle ribolle. E’ scossa da un tremito convulso e picchia la nuca contro terra. Il suono lamentoso che emette si scioglie in un gorgogliare luttuoso.

Si sta dividendo in due. Sta per nascere un suo doppelgänger. Riesce quasi a vederlo. E’ una seconda immagine gelatinosa e fluida che si sovrappone al corpo di carne e diventa più definita di secondo in secondo. Un doppione fatto di acqua che smania per svincolarsi dalle catene della solidità.

Tira, strattona, lacera, strappa.

Non ha mai provato tanto male. E’ sicura che ogni cellula del suo corpo si stia gonfiando sino al punto di rottura.

Il dolore è qualcosa che aiuta il clone a liberarsi, che lo spinge fuori, che lo concretizza, che lo rende più forte di lei e lo assiste nel venire al mondo.

Quando sente che il suo essere è proprio sul punto di scindersi, il mostruoso travaglio si blocca.

Il dolore è congelato nel momento del suo massimo picco. I fluidi del suo corpo vibrano in uno stato di indeterminatezza. La mente si sta per liquefare.

 

L’uomo sulla colonna si sporge verso di lei. Ha qualcosa di belluino nella posa e nell’aspetto, ma gli occhi viola brillano di una lucida intelligenza esclusivamente razionale.

Non cade, anche se è impossibile non cadere da una posizione così squilibrata e precaria.

 

Adesso lei sa che sono davvero alieni e che non fanno parte di una delegazione diplomatica.

Da qualche anno, arrivano voci e racconti da altre dimensioni. Voci di mostri neri e bianchi. Voci di mondi morti e dissolti. 

Quando le voci sono diventate più consistenti, il governo ha deciso di costituire una forza di difesa. Ma è un mondo di pace, questo, un mondo dove la violenza è sconosciuta. Non è un popolo di combattenti e le voci provenienti dalle altre dimensioni non bastano a cambiare una realtà radicata da generazioni.

Ora, qui, ci sono mostri bianchi e mostri neri.

 

Il ragazzino biondo ha il suo sguardo inumano fisso su un punto dello spazio.

All’improvviso, alza una mano in un gesto imperioso. Subito, lui e l’uomo con gli occhi viola svaniscono in una nebbia nera e tentacolare. Gli esseri bianchi li imitano e spariscono uno dopo l’altro.

 

Lei è di nuovo sola con il giovane che l’ha attirata in questa trappola.

Ha sempre creduto che, in qualche modo, i mostri rivelino la loro natura nell’aspetto. Non che siano necessariamente orribili o repellenti, ma che abbiano comunque qualcosa che li tradisca. Uno sguardo freddo, sinistro. Un sorriso ambiguo. Un’impressione di minaccia. Qualcosa del genere, almeno. Qualcosa che può anche essere affascinante, ma in modo distorto.

Non è così. Certi mostri sono invitanti come la superficie di un mare sereno.

 

Il giovane libera la donna da quella situazione di stasi in cui è bloccata e tutta l’acqua fuoriesce di scatto dal suo corpo, separata dalle altre componenti.

Gli occhi si prosciugano. I bulbi oculari implodono in polvere, la pelle si asciuga e si crepa, le labbra si ritirano e i denti cadono dalle gengive disseccate. Il sangue si incenerisce, si spaccano le membrane cellulari.

La ragazza si scioglie in qualche decina di litri d’acqua.

Lo spazio si rompe. Dalle brecce, sciami di creature nere si rovesciano come sangue da una ferita.

L’agonia di un unico essere è stato il loro faro guida per questo mondo.

 

Mentre si allontana dai pochi chili di materia disidratata rimasti a terra, l’assassino canta con la voce della pioggia. Sul lastricato scolpito della piazza, una pozza liquida danza in una parodia di vita, prima di defluire nei canali.

In città, la musica è sostituita da urla.

 

 

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Capitolo 4
*** III ***


III

 

III 

 

 

Ascolta il rumore.

Il crepitare degli incendi.

Il fragore di passi in corsa.

La cacofonia di metallo su metallo, metallo su pietra, metallo su carne.

Sopra a tutto, le urla, che annegano ogni altro suono.

Ascolta le urla.

 

Non è niente più di un’operazione di routine, tanto semplice che, insieme a Roxas, c’è solo un altro neofita, uno dei più giovani e meno bellicosi. Non sa combattere, ma sa pensare e, in caso di necessità, può elaborare piani e strategie in un istante, anche se nessuno si aspetta problemi. E’ un mondo a limitato sviluppo tecnologico e metapsichico, questo. Gli abitanti non possiedono armi in grado di costituire un pericolo.

La razza dominante è rappresentata solo dal ceppo umano più comune fra i Mondi, ma le condizioni ambientali l’hanno frammentata. Deserti, alte montagne, scarse vie di comunicazione come mari e fiumi agibili separano le popolazioni. In altri tempi, le condizioni sono state diverse e hanno permesso la dispersione della specie che si è poi trovata in ambienti dissimili, molto competitivi e isolati l’uno dall’altro. L’isolamento riproduttivo, la deriva genetica e la selezione hanno fatto evolvere un gran numero di sottospecie omogenee. E’ possibile che, in questa variabilità, siano comparsi caratteri di un certo interesse o di una qualche utilità. Non ci sono altre specie senzienti.

Anche le culture sono microcosmi senza scambi l’uno con l’altra e non hanno ancora raggiunto un grado di tecnologia che permetta loro di superare con efficacia gli ostacoli geografici. Solo sulle coste dei mari tropicali qualche città-stato ha cominciato ad ampliare i propri confini.

Le risorse naturali utili sono presenti, ma scarse.

Nell’insieme, è un mondo moderatamente interessante. Sono molti i mondi simili a questo, negli universi.

Fondamentalmente, è solo un serbatoio di Cuori.

 

Per giorni, i due nobody hanno controllato l’estrazione delle poche risorse geologiche ed elementali e hanno catturato esemplari per gli scienziati. Una volta finita quella fase, hanno dato via all’invasione e hanno fatto cadere un’area dopo l’altra.

La città che è il loro attuale obiettivo è arroccata come il nido di un’aquila sugli altopiani di montagne altissime, ma la posizione strategica e le mura di basalto che nella storia l’hanno protetta dagli assalti dei vicini non sono servite contro un nemico che ignora lo spazio.

Alcune case sono state incendiate nella confusione e fiocchi di cenere svolazzano nell’aria secca e rarefatta. Una conseguenza inevitabile al fatto che gran parte degli edifici è costruito in legno.

Gli abitanti hanno tutti occhi e capelli verde scuro e pelli color mattone, adattate a proteggerli dei violenti raggi solari dell’alta montagna. In mezzo a loro, l’aspetto di Roxas e del suo compagno afferma alieni ad alta voce. E chissà quale sarebbe stata la reazione di quella gente non abituata alla moltitudine di colori e forme dei popoli dei Mondi, se li avessero visti. Ma i due non si sono mostrati apertamente e ora non ha più importanza.

I nativi fuggono dagli heartless sciamanti e, al momento, la loro sola occupazione è urlare, piangere o morire.

Qualche individuo è riuscito a superare il trauma del vedere le ombre prendere vita e tenta di reagire, ma, anche se le armi ordinarie possono uccidere gli heartless, ce ne sono troppi perché le difese abbiano una qualche efficacia. Le creature braccano e si avventano in massa sulle prede, strappano loro quel viluppo di energia che è il Cuore e lo trasformano in un nuovo heartless, incrementando il numero degli attaccanti.

Quelli che cercano di fuggire dalla città trovano le strade chiuse dai nobody.

Roxas imbranca i fuggiaschi e li respinge fra le fauci degli heartless. Il ragazzo non si è ancora preso il disturbo di evocare i keyblade, ma il controllo che esercita sulle sue truppe personali, formate da una variante particolarmente letale di nobody di basso rango, è straordinario, soprattutto considerato che lui stesso, talvolta, non sembra molto più complesso di uno di loro.

Ma anche coloro che riescono a superare la sorveglianza di Roxas trovano le via di fuga sbarrate.

Luxord ha piazzato una rete di trappole temporali intorno alla città. Trappole dove, a distanza di pochi atomi l’una dall’altra, ci sono sacche puntiformi di tempo difforme. Coloro che ne sono catturati si trovano a essere contemporaneamente in zone dove il tempo scorre a velocità diversa, con conseguenze sconvolgenti sull’intero organismo. Oltre questa prima falange ne ha piazzata un’altra, una circonferenza battuta da onde temporali che si sollevano e frangono a ritmi alterni. Chi ne entra si ritrova sballottato al ritmo di un sistema di moviola impazzito, che rallenta e accelera senza tregua né ordine né costanza.

Nessuno è in grado di sfuggire alle maglie di quella rete.

Anche se gli abitanti di questo mondo la chiamano città, è soltanto un villaggio che conta poche migliaia di individui. Ci vuole poco perché sia pieno solo di esseri d'ombra.

Roxas materializza i keyblade e si avventa sulle strade per farne strage. Più lento e misurato, Luxord lo segue. Ora a lui resta poco altro da fare, se non abbattere qualche casuale heartless che gli si avvicina troppo e ammirare le evoluzioni di Roxas.

Ogni apatia è svanita nel ragazzo. E’ uno sfolgorio oro e nero, troppo rapido per essere visto con chiarezza, la cui velocità e agilità possono confrontarsi a quelle di Larxene.

Finora non ha manifestato un’interconnessione con il suo elemento stretta quanto quella dei suoi compagni, quella che rende così rischioso avvicinarsi ad alcuni di loro. In compenso, il legame che ha con le sue armi è la più intima che Luxord ha mai visto. Non le usa. Ne fa parte.

Guardare Roxas combattere è come guardare un delfino nel mare.

E’ uno stato di grazia, il suo.

 

Qualcosa di freddo e lieve si posa sul volto di Luxord. Adesso, fiocchi di neve si mescolano a quelli di cenere. In pochi secondi, una fitta nevicata cade sul campo di battaglia.

Un brivido percorre il nobody. Il soffio di un freddo diverso da quello causato dalla neve.

Uno spasmo fa vibrare la membrana elastica dello spaziotempo. Un’ombra attraversa il cielo e, quando passa, la luce è cambiata. Scolorita.

In quel momento, le navi vedetta in orbita lo chiamano e gli trasmettono l’analisi spettrale della corona solare, dandogli solo una conferma di quello che ha subito saputo.

Gli heartless hanno raggiunto il sole anche prima di raggiungere il Cuore del mondo.

In quei giorni, ovviamente, non hanno potuto abbatterli tutti. Qualcuno sfugge sempre. Quelli sopravvissuti hanno raggiunto altri esseri viventi e si sono moltiplicato con la velocità di un’infezione. In un mondo come questo il loro tasso riproduttivo è esponenziale.

La variazione nello spettro della corona solare è il primo indizio che gli heartless hanno cominciato ad attaccare la stella e, se la stella collassa, le sue contrazioni bloccheranno anche i sentieri delle ombre per tutto lo spazio e il tempo influenzato dai suoi campi d’esistenza. Questo vuol dire che, se non se ne vanno al più presto, saranno obbligati a lasciare il pianeta a bordo di una delle navi piene di nobody inferiori.

In quel momento, si accorge che Roxas non sta più combattendo.

Se ne resta imbambolato con il volto alzato al cielo, ammiccando appena quando i fiocchi di neve gli cadono negli occhi spalancati. I keyblade sono abbandonati lungo i fianchi.

 

“Roxas.” esclama Luxord.

 

Il ragazzo lascia andare i keyblade, che si dissolvono anche prima di toccare terra, e tende le mani con le palme aperte verso l’alto. Qualche fiocco cade sui guanti neri.

Roxas li osserva, poi si lecca una mano per assaporare la neve.

 

“Roxas, muoviti.”

 

Neppure si gira.

La cosa stupisce Luxord e non sono molte le cose in grado di stupirlo. A quanto ne sa, Roxas non ha mai disobbedito a un ordine. La prima volta poteva non averlo sentito, ma adesso è certo di essere stato volutamente ignorato.

Luxord si dirige verso da lui e lo guarda in faccia.

Di solito, il ragazzino non ha espressione. Il suo linguaggio corporale è pressoché inesistente, la mimica facciale nulla, ma, adesso, ricambia lo sguardo dell’altro uomo con attenzione e sul suo volto c’è l’ombra inconfondibile della curiosità.

 

“Che cos’è?” chiede.

 

Non è una domanda educata. E’ un ordine che esige una risposta.

 

“E’ neve. Non possiamo metterci a giocare. Dobbiamo andare.”

 

Già, però Roxas non gioca mai.

Luxord apre un portale che avrebbe permesso il ritorno nella loro dimensione e prende Roxas per un braccio. Lui fa resistenza e si libera di scatto.

La cosa comincia a essere preoccupante.

Luxord è quasi tentato di trascinarlo a casa di forza, ma contrariare il ragazzino non è proprio il comportamento più prudente da tenere, se si ha cara la salute.

 

“Sono arrivati al sole. Il sistema collasserà con noi dentro. Hai capito? Adesso andiamo.”

 

Questa volta, Roxas lo segue senza altre obiezioni. Però, mentre attraversano il portale, continua a guardarsi alle spalle.

 

Si rimaterializzano nella distesa desolata al di fuori della città.

Nel mondo buio piove una pioggia glaciale e scrosciante. E’ un peccato che quando si proviene da altri piani di realtà non sia prudente materializzarsi direttamente all’interno del castello, ma lo scarto d’errore cresce con il modulo del vettore di spostamento e, una volta qui, ben pochi hanno la forza e la voglia di aprire un’altra volta un portale solo per evitare di bagnarsi.

Roxas non fa neppure il gesto di ripararsi dalla pioggia ed è fradicio prima che lui abbia il tempo di tirargli su il cappuccio. Quando si incammina verso casa, il ragazzino lo segue docilmente.

Mentre attraversano le vie della città, le ombre si sollevano dai loro piani bidimensionali e li spiano con occhi gialli da pesce. Nessuna di esse prova ad attaccarli.

Non appena sono finalmente all’interno e all’asciutto, Luxord si accovaccia davanti all’adolescente e gli scopre la testa.

Roxas se ne sta lì, in tutto il suo inutile splendore dorato, in tutta la sua giovinezza inutile, lo sguardo a terra. Quando il giocatore gli prende il mento e lo obbliga a fissarlo, lo fa senza ribellarsi. Con i capelli chiari incollati alla testa e gli enormi occhi azzurri spalancati in una stolida passività, sembra una bambola animata da un burattinaio disinteressato.

E’ questo il suo comportamento normale, non quello mostrato sul mondo appena lasciato.

Roxas ascolta, osserva, obbedisce a tutto ciò che gli è chiesto, è diventato indipendente per ogni operazione bellica, ma, escluso questo, non prova mai apparentemente interesse per nulla. E’ come un automa. Una macchina da guerra.

Eppure, per la prima volta, ha avuto una reazione spontanea diversa dall’ammazzare qualsiasi cosa si muova davanti ai suoi occhi o starsene fermo. Per la prima volta, qualcosa ha suscitato curiosità in lui.

E’ stato sorprendente come se uno degli heartless si fosse messo a declamare una poesia, quindi Luxord vuole capire quello a cui ha assistito.

Non ha mai davvero fatto caso a Roxas. All’inizio, l’idea di un nobody che controlla due keyblade è stata sensazionale, ma, a parte questo, il ragazzo ha ben poco di interessante. Ha conosciuto sassi con maggiore personalità. In mezzo al temperamento degli altri è pressoché invisibile e la curiosità dovuta alla novità si è presto spenta. Ma, ora, Luxord guarda Roxas, non l’alimentatore di due armi micidiali, e quello che vede è sorprendente.

E’ stato davanti ai suoi occhi per settimane e non se ne è mai accorto. Adesso deve decidere.  

 

Se qualcuno gli chiedesse un parere, Luxord direbbe che non arriveranno a niente e non hanno mai avuto nessuna possibilità. Ma nessuno gli chiede nulla e lui non è come Marluxia, che fa di tutto per farsi ascoltare.

Luxord passa e vuole passare inosservato. E’ dotato di un potere devastante, immane sino al ridicolo. Una cosa così spropositata da essere virtualmente inutile, perché, se volesse usarla ad alti livelli, la sola cosa che otterrebbe sarebbe annichilire la realtà. Non un mondo, o due, o innumerevoli mondi. Proprio l’intera realtà e questo non è disposto a farlo, nemmeno per salvare sé stesso. Tanto, a quel punto, anche lui sarebbe fra i perdenti e voler distruggere con sé più nemici possibili è un concetto demenziale, se non porta nessun beneficio tangibile. Così, usa poco il suo potere e per fare ben poche cose. Pasticciare con il tempo è la sola cosa su cui non è disposto scommettere.

E’ convinto che Xemnas si sia prefissato un obiettivo troppo grandioso per essere attuabile. Bisogna sempre mirare a qualcosa di fattibile e questo non lo è.

Se lo scopo di Xemnas è dichiarato, meno comprensibili sono le sue motivazioni. Forse vuole davvero aiutare la sua gente. O si crede un dio. O usa loro e le loro capacità per un fine tutto suo. Oppure è impazzito e illuso, un altro pazzo da aggiungere al gruppo.

Tutte le ipotesi sono plausibili. L’ultima, gli sembra leggermente più plausibile delle altre.

Non è che gli interessi davvero. Potrebbe essere interessato alle motivazioni altrui solo se intendesse usarle per uno scopo pratico, ma non è questo il caso. Comunque, le cose finiranno sempre nello stesso modo.

E’ un maledetto fatalista, se ne rende conto e non gli importa nemmeno di questo.

Il problema è il perché lui gli dia retta. Ma la risposta è semplice. I popoli dei Mondi hanno un modo semplice e diretto per avere a che fare con i nobody. I Cuori hanno imposto il loro dominio in modo ferreo e, in tutti i pianeti dove sono riconosciuti, i nobody sono sterminati a vista. Non solo i membri del loro gruppo, cosa che riesce a comprendere, ma qualsiasi nobody, bellicoso o pacifico che sia. A chiunque non è un Cuore non è concesso il diritto di esistere e Luxord vuole esistere. Per quanto poco propenso alla violenza, non è disposto a farsi schiacciare e non gli frega proprio niente della convinzione degli abitanti dei Mondi. Se per salvarsi ha dovuto trasformarsi in un devastatore, che sia.

Non durerà ancora a lungo, ma da solo sarebbe già morto, così è meglio essere qui.

Anche se non ha mai creduto di riavere il Cuore, il suo premio è ogni ora di vita in più che riesce a strappare al nulla.

Ma qualunque sia la ragione, qualunque siano le motivazioni, qualunque siano gli scopi, le cose sono alla fine. Sono avviati a velocità incrementante verso un collo di bottiglia probabilistico. Al di là di quel certo punto, le possibilità della loro sopravvivenza in massa sono così esigue da non essere verosimili.

Non può salvarli. Lo farebbe, se potesse. Non è pazzo, non odia nessuno dei suoi compagni e se deve mettere sul piatto della bilancia la sopravvivenza dei suoi simili o quella degli altri esseri, non ci pensa un istante. Solo, non può.

Ha cercato ogni possibile deviazione dalla strada che hanno intrapreso, ma non ce ne sono più. Sono su un’imbarcazione che si avvicina alle cascate, ma ormai sono presi dalla corrente e non possono evitarle.

Inaspettata, adesso vede una possibilità. Far sopravvivere qualcuno di loro. Qualcuno che non sarà lui.

C’è una linea molto chiara nel suo futuro. E’ buio oltre quella linea. E’ lì che finisce il suo tempo. E’ lì che lui finisce.

Ha combinato e ricombinato mentalmente ogni possibile mossa. Lo ha fatto per anni, prima di rassegnarsi al fatto che non ci sono vie d’uscita. Seguendo determinate strade finirà prima, seguendone altre arriverà sino a quel punto, ma non oltre, mai oltre. Ha sempre pensato che non gli importa nulla di cosa viene dopo, ma ora si accorge che forse può piantare un seme oltre la barriera del suo futuro.

Segue la scia delle possibili rotte di Roxas nel mare del tempo. Sono tutte rotte per la tempesta. Molte di esse, la maggior parte in realtà, si perdono fra i flutti. Eppure, ce ne sono altre che attraversano l’uragano e portano poi di nuovo nella bonaccia.

Con una probabilità sufficiente.

 

Luxord sospira.

Potrebbe semplicemente infischiarsene e continuare la sua esistenza fino all’inevitabile conclusione. Per lui non cambierà nulla, in nessun caso. Ma allora, se non fa differenza e può scegliere, preferisce che qualcuno e qualcosa della sua gente superi la catastrofe. E obbligare il tempo a imboccare una strada possibile, ma così difficile che, nel flusso spontaneo degli eventi, resterebbe quasi certamente solo un’ipotesi teorica.

 

Prende il ragazzo per mano e, anche prima di andare a fare il suo rapporto, si dirige verso un’area del castello che si è sempre guardato bene dal frequentare.

 

Si chiede quanti degli altri saranno compiaciuti di quella prima traccia di personalità in Roxas. Alcuni sì, ne è certo, ma non tutti.

Ci sono già abbastanza problemi, abbastanza ribelli. Non è un caso che i nobody nascano solo dagli spiriti più forti. Ma gli spiriti più forti sono anche quelli meno disposti a tollerare ordini e volontà superiore alla propria e tutti loro non sono altro che una massa di individualisti insofferenti.

Roxas è prezioso e così com’è non dà problemi. Se fosse diverso, potrebbe essere addirittura il peggiore di tutti.

Ma, tanto, era solo questione di tempo.  

 

Non utilizza i meccanismi dimensionali artificiali disseminati un po’ dovunque e gli ci vogliono parecchi minuti di cammino per raggiungere l’ala del palazzo dove vive e, di solito, lavora Zexion, ma, una volta arrivati, bastano pochi passi prima che un’onda di gelo stremante passi sulla sua mente.

Le ombre cominciano a muoversi e si muovono in modo non concorde a ciò che le proietta.

Qualcosa si è messo in agguato fra i picchi dei suoi pensieri.

Si ferma e aspetta. Tanto non sa come proseguire in quella specie di immane e labirintica biblioteca che è il regno del telepate.

E’ come avere una belva invisibile che gira intorno, intenta a scrutare ogni movimento, in attesa di un passo falso. Qualcosa che si sa esserci, ma che non si può vedere né sentire.

Solo che questa belva fa in modo di far sapere che è qui.

Luxord non si è mai dato all’attività così in voga fra i membri più giovani del gruppo, quella di sottovalutare e disprezzare i sei fondatori. Che lo facciano sul serio, per invidia, per quella pulsione tanto umana di voler denigrare i propri superiori, per passare il tempo, poco importa. Lui non lo fa e non l’ha mai fatto. I primi sei possono essere molte cose, ma soprattutto sono individui che sono stati capaci di superare, da soli, una condizione sconvolgente e sconosciuta. Si sono trovati in un altro mondo senza sapere cosa era successo loro e qualunque essere completo sembrava spinto a distruggerli per istinto. Eppure, sono sopravvissuti nove anni. Hanno fatto sopravvivere tutti loro molto più a lungo di quanto non avrebbero fatto con le loro sole forze. Ed è una coincidenza ben strana quella per cui, dopo di loro, solo un pugno di persone su svariati miliardi di esseri distrutti dagli heartless ha originato un alto nobody, mentre i primi sei hanno tutti mantenuto forma e raziocinio.

Lui li rispetta e li teme, di sicuro non li sottovaluta. Non sottovaluta colui che è venuto a cercare.

E’ un gioco pericoloso, questo. Manipolare il manipolatore.

Sa che se solo lascerà fluire un pensiero sbagliato, un’intenzione sbagliata, Zexion lo attaccherà con una violenza e una crudeltà tutte sue che nessun altro è in grado di eguagliare.

Non si può scherzare con leggerezza con quest’uomo. Odia essere disturbato. Odia essere destato dai suoi sogni a occhi aperti e uno Zexion irritato è capace di essere molto convincente e molto fantasioso sul modo con cui comunicare la sua irritazione. Non gli farebbe davvero del male, naturalmente. Alla fine, ne uscirebbe illeso. Il problema sarebbe arrivare a quel momento.

Potrebbe fargli passare le prossime ore facendogli provare la sensazione di essere scuoiato vivo e strappato di tutti i muscoli, strato per strato, o qualcosa di altrettanto esaltante. Potrebbe farlo anche solo perché ha osato avvicinarlo senza chiedere l'incontro, né essere stato convocato.

E’ che Zexion ha bisogno di un ampio spazio personale. Con i suoi sensi acutissimi e le capacità telepatiche, l’improvvisa e inaspettata apparizione di un altro individuo nella fascia più ristretta del suo campo percettivo deve essere come una frustata data con un pezzo di filo spinato. Ma fra esseri per cui non esistono barriere e porte chiuse, è facile dimenticare il concetto di riservatezza e alcuni dei membri del loro gruppo sembrano farsi un punto d’onore nel non rispettare neppure i più elementari principi di discrezione.

Questo lo rende difensivo all’inverosimile. E’ un meccanismo di autodifesa, ma, poiché lo scienziato dà sempre la risposta più efficace al problema posto, sfocia spesso in uno di aggressione preventiva.

Per questo Luxord non ha preso scorciatoie dimensionali. Quando si tratta di Zexion, evitare di teletrasportarsi è un modo saggio per presentarsi. Se lo si avvicina camminando, gli si dà l’opportunità di percepire in anticipo chi arriva.

 

La belva sta pizzicando i suoi centri neurali, evocando lo spettro di un terrore nauseante. Le ombre lo hanno circondato e offuscano la luce.

 

Non è proprio un attacco, ma neanche precisamente un caldo benvenuto. 

La presenza, le ombre… tutto serve a creare quell’aura di paura che altro non è se non un’ulteriore arma nell’arsenale dell’illusionista.

Almeno non ha preso di mira il ragazzino e Roxas è tranquillo come sempre. Buona cosa. Luxord avrebbe potuto trovarsi fra le mani un custode di keyblade in preda al panico o intenzionato ad aggredirlo.

No. Non un attacco. E’ solo un avvertimento.

Luxord non si allontana.

 

Le ombre defluiscono in cima ad una scalinata e si coagulano nella figura di un uomo seduto sul primo gradino. Probabilmente, è stato davanti a lui dal momento in cui Luxord ha messo piede nel suo dominio, ma anche l’invisibilità è un’illusione.

 

Con alcuni degli anziani, Luxord userebbe la massima deferenza per farsi ascoltare, ma c’è un solo modo realmente significativo per mostrare a Zexion quanto sia importante. 

L’arma estrema del manipolatore, quella da usare in caso ultimo. La verità.

Abbassa completamente le barriere mentali e dà il consenziente invito al telepate di violarlo.

Spera che la belva sia solo curiosa e non affamata.

 

 

* * * * * * *

 

 

Va bene, adesso ragioniamo.

Perché Roxas è qui. Come Roxas è qui, soprattutto.

Roxas è svanito da oltre dodici anni. Molto più che morto.

Cancellato, annullato, obliterato. Revocato dall’esistenza è, forse, la definizione più corretta.

Riunito alla forma da cui ha avuto origine, la sua individualità si è dispersa in quella di Sora come un bicchiere d’acqua rovesciato in mare.

Allora com’è che, improvvisamente, è tornato dal nulla, vivo, vegeto e di pessimo umore?

Improvvisamente?

E’ stato davvero improvvisamente?

 

Sora. Sora potrebbe fermare Roxas.

 

Questo conduce a una domanda. Dove è finito Sora?

Perché le possibilità sono svariate e qualcuna persino rassicurante.

Può essere un heartless ed essere in giro a sbranare ignari passanti. Può avere mantenuto la sua personalità come ha già fatto in passato ed essere qui da qualche parte. Può non essere da nessuna parte, così come Roxas non è stato da nessuna parte fino a poco tempo prima. Le loro personalità possono essersi semplicemente invertite senza frammentazione fisica.

 

“Dov’è Sora?”

 

Ancora una volta, la sua voce sembra riportare Roxas a forza sulla terra da qualche luogo lontanissimo in cui il giovane sembra del tutto felice di stare.

 

“Roxas, dimmi dov’è Sora.”

“Non esiste Sora. Sora è morto.”

“Morto?”

 

Roxas lo osserva con l’espressione speculativa di un predatore annoiato.

 

“Mi sono strappato il Cuore e l’ho distrutto.”

“Non puoi…”

 

Ma lo aveva già fatto quando era Sora. E’ possibile che lo abbia rifatto. E’ possibile anche che stia mentendo.

Forse ha mentito.

Possibile?

Possibile, certo. Improbabile, però.

 

“Come hai fatto a tornare?”

“Ho consumato Sora dall’interno. Me lo sono mangiato, se preferisci. Io sono mente e vita. Sora era soltanto quello che avanzava e me lo sono mangiato.”

 

Possibile?

Possibile.

 

In fin dei conti, tecnicamente, il corpo è sempre stato quello di Roxas. Il Sora che ha recuperato forma e mente razionale dopo il breve periodo passato come heartless era solo un simulacro forgiato con l’Oscurità. Il suo corpo originario lo ha riavuto quando si è riunito a Roxas.

Almeno crede. Non è che abbia mai capito davvero la meccanica per cui da un essere completo si originano un heartless e un nobody.

Non sa cosa avviene in concreto durante la scissione e neppure durante la ricombinazione. Non ha assistito con i suoi occhi all’atto finale di quella di Sora. Ha visto Roxas introdotto nella sala che conteneva il corpo dormiente di Sora e da quella sala ne ha poi visto uscire soltanto quest’ultimo.

Non sa cosa è successo. Se si sono visti luci ed effetti speciali. Se i due corpi si sono uniti in coniugazione. Se ci sono state ancora urla, ribellione e furia, o solo il quieto e silenzioso svanire di quella che, fino a un istante prima, era stata una creatura viva e senziente.

Sa solo che ha preferito non ripensare più a tutta quella nauseante e grottesca faccenda.

Però, se l’involucro fisico è quello del nobody, è possibile che l’individualità Roxas abbia con esso una relazione ben più stretta di quanto non ne abbia Sora e che, quindi, Sora sia stato rigettato come un parassita o un elemento estraneo.

 

Possibile?

Possibile sì.

 

Roxas deve avere percepito i suoi pensieri o ha capito quello a cui sta pensando e, con un gesto svogliato delle dita, gli getta addosso un po’ di sabbia.

 

“Non perdere tempo a diventare accademico, Riku. Non è una scienza esatta, questa.”

 

Riku non replica, ma pensa che, in fondo, non ha molto altro da fare, a parte aspettare.

E’ strano trovarsi a speculare mentre sta morendo. Presume che dovrebbe disperarsi, essere spaventato, ma non è che la paura abbia mai fatto davvero parte della sua vita. Neanche altre forti emozioni, a dire il vero, se si escludono rabbia, impazienza e irrequietezza. Sono le sole cose che sia mai riuscito davvero a provare.

E rimuginare. Quello gli è sempre venuto bene.

Tutto il resto lo ha sempre più o meno recitato, a beneficio dell’una o dell’altra persona con cui si è trovato ad avere a che fare. Più o meno come un nobody.

Tra l’altro, al momento si sente splendidamente consapevole.

Perché no? Se si assopisce morirà, quindi l’Oscurità lo tiene il più sveglio possibile.

 

“Quando è successo?”

 

Roxas sembra quasi insofferente nel rispondergli. Resta da capire perché, in ogni caso, risponde. Potrebbe semplicemente ignorarlo.

Potrebbe semplicemente andarsene.

 

“Non ha importanza. E’ successo.”

 

Sbaglia. Ha importanza. Un’importanza enorme. Perché Kairi è morta solo una settimana prima.

 

“Quando?”

“E’ successo quando ho cominciato ad avere i miei ricordi e non più solo quelli di Sora.”

“Quando?”

“Vuoi sapere in quale giorno? Non lo so. Qual è il tuo primo ricordo? Quando sei stato cosciente di essere un individuo? Forse vuoi sapere se una settimana fa ero io o era Sora?”

 

Ancora una volta, Riku percepisce una certa malignità in Roxas e non ha idea di come lo possa sapere, visto che il giovane non ha cambiato espressione né tono.

E’ strano. Non ricorda Roxas come una creatura particolarmente maligna.

Spietato e implacabile. Quello sì.

Il nemico più pericoloso che ha mai affrontato. Quasi certo.

Demone dell’ego, risultato incarnato della frantumazione di una psiche, sterminatore di masse, distruttore di mondi, portatore di caos, bambino sperduto. Tutti termini più che adeguati a descriverlo e nemmeno lontanamente sufficienti a comprenderlo.

Probabilmente anche un po’ pazzo - un po’ tanto pazzo - ma non maligno.

Però, alla fin fine, non è che lui lo ha mai conosciuto realmente ed è un Roxas con una storia in più, questo.

 

Non cancellato. Non annullato. Non obliterato.

Sedato, imprigionato, accecato.

Perso.

 

Ma, come frammenti di mercurio, le molecole dell’entità Roxas si sono riunite l’una all’altra nel mare che è la personalità di Sora, fino a quando il mostro è stato di nuovo completo e ha divorato la sua prigione.

Adesso sa perché Kairi è morta.

 

“Dodici anni… perché ci sono voluti dodici anni?”

“Se fossero stati dieci, o venti, ti saresti fatto la stessa domanda. Un tempo doveva pur essere.”

 

 

* * * * * * *

 

 

Zexion è rimasto stupito nel percepire la presenza di Luxord, quasi nei suoi alloggi.

Di tutti i neofiti, è il più discreto e riservato e, di sicuro, il meno problematico, oltre a essere uno dei membri mentalmente più stabili del gruppo stesso. Non rifiuta nessun ordine, ma non si fa mai avanti, evita con cura meticolosa di attirare l’attenzione dei suoi superiori e gioca la parte del vigliacco e dell’incapace che, probabilmente, è la più contraddittoria con quello che è. Così, è una sorpresa sentirlo arrivare con Roxas a rimorchio.

I due erano impegnati in missione. Lo sa bene, perché è stato lui a inviarceli. Sa anche che sono appena tornati, ma non c’è ragione ordinaria perché si presentino a lui.

La pianificazione e la strategia delle campagne belliche fanno parte dei suoi compiti e ci si attiene doverosamente, ma nient'altro. Non vuole essere immischiato in tutto quello che riguarda la parte gestionale. E’ ad altri che si risponde e si riferisce dell’esito della guerra.

Quindi, se non è una ragione ordinaria a spingere qui i due, si tratta di una ragione fuori della norma.

Interrompe il lavoro e li osserva per un po’, pizzicando le sensazioni di Luxord, ma l’uomo non si lascia intimidire.

Evidentemente, considera quello che ha da dire tanto importante da sfidare la collera del suo superiore.

Deve ammettere che nutre una certa considerazione per Luxord, per la sua intelligenza e sensibilità. Persino per la decisione di non usare il suo potere, che non è un capriccio, ma una scelta ponderata e consapevole.

Probabile che valga la pena ascoltarlo.

 

Ne è valsa la pena. Quello che gli ha portato è il più prezioso dei doni. Informazioni.

Ha detto molte cose e altre non ha avuto bisogno di dirle.

 

“Nessuna possibilità di errore?” gli ha chiesto, appena prima che se ne andasse.

“Io non sono un indovino da sagra paesana, Zexion. Non prevedo la buona sorte. L’ultimo svincolo che ci avrebbe permesso di lasciare questa linea temporale è passato da parecchio e non possiamo tornare indietro. Il nostro tempo è alla fine.”

 

Roxas si è seduto sul pavimento, con il mento appoggiato alle ginocchia.

Zexion non lo guarda. Lo fiuta. I dati olfattivi compongono nella sua mente il simulacro polidimensionale del ragazzo. Massa, stato fisico, attività neuromuscolare.

La sua presenza fisica è chiara e in condizioni perfette. La presenza mentale, d’altra parte, è molto meno definita. Se Zexion volesse descriverla usando un paragone visivo, cosa che ha poco senso, ma che qualche volta si è ritrovato a fare per cercare di spiegare le aure mentali, direbbe che è come se qualcuno avesse disegnato Roxas con l’inchiostro, poi avesse passato un dito sporco di grafite sui contorni del disegno, confondendoli.

La chiave del destino. E’ così che Luxord lo ha chiamato. Un termine un po’ impegnativo per un ragazzino semiautistico.

Zexion soppesa attentamente le informazioni ricevute. Le studia, le osserva da ogni angolazione. Alla fine, le lascia cadere nello schema degli eventi che ha costruito e conserva nei suoi pensieri.

I nuovi addendi si incastrano nel disegno. La rete di probabilità si dimena, cambia, assume una nuova configurazione.

 

Crede a Luxord, ma non completamente.

Crede all’approssimarsi di una crisi, quello sì. Da tempo si è accorto anche lui della convergenza di eventi sfavorevoli, alcuni dei quali macroscopici, a cui si avvicinano.

Sono apparsi i portatori di keyblade e sono nemici da non sottovalutare. Il Re è astuto e abile e si è deciso a scendere in campo. Potrebbe fungere da centro di aggregazione per i Mondi.

Poi c’è Marluxia. Il suo arrivo è stato forse l’evento più rivoluzionario della storia nobody e la situazione non è certo migliorata da quando Larxene si è unita a lui. I due giovani gettano semi di dubbio e inquietudine che stanno fiorendo ovunque. Quasi inevitabile, visto cos’è Marluxia. Cambiare e causare cambiamenti fa parte della sua natura. Sembra che nessuno si rende conto a cosa realmente lui è legato, ma, se ci si pensa bene, fa quasi paura. Anche se è proprio il contrario. Non dovrebbe fare affatto paura. La paura è proprio l’ultima cosa che dovrebbe fare. Purtroppo, in questa situazione, rappresenta una forza centrifuga. Finora nessun nobody ha mai alzato la mano su un suo simile. Sono troppo pochi, soli in miriadi di Mondi universalmente nemici. Non possono permettersi frantumazioni. Se lasciato libero, prima o poi Marluxia attirerà nella sua orbita molti di loro e siccome Xemnas è tutt’altro che insensibile o svagato come sembra, se ne renderà conto ben prima di quel momento. Quello che accadrà allora segnerà la svolta.

No. Non ha problemi nel credere a Luxord riguardo allo squilibrio imminente.

In un certo senso, alcune delle loro capacità sono analoghe, ma si basano su principi del tutto dissimili e lui ha restrizioni molto precise. Si limita a estrapolare schemi matematici ad altissima attendibilità dai dati che possiede. Non può inserire il fattore individuo nell’analisi. Invece, Luxord osserva i flussi temporali, è in grado di percepire le perturbazioni che li attraversano e può contemplare anche le interferenze imprevedibili dovute a fattori soggettivi e caotici.

Quello a cui Zexion non crede è l’inevitabilità. Non crede all’impossibilità di modificare gli eventi.

Il tempo non è predeterminato, anche se non è neppure a possibilità infinita in ogni istante. Ha leggi e limiti, come qualsiasi aspetto della natura. E’ come un bacino idrografico. L’acqua può scendere da più versanti, ma la probabilità che ne prenda alcuni è bassa. Tuttavia, esiste sempre la possibilità che l’acqua scenda dal versante meno probabile. In presenza di determinate condizioni, può persino risalire.

Il tempo è elastico, quindi c’è la possibilità di intervenire.

Se potesse stupirsi di qualcosa, si stupirebbe del fatto che Luxord, con tutto il suo immane potere e la sua intelligenza, non ha fatto alcun tentativo per modificare gli eventi, neppure quelli a lui sfavorevoli.

Ma i loro poteri li influenzano, nella misura in cui si lasciano influenzare. Non potrebbe essere altrimenti. Fanno parte di loro, concorrono a formare le loro personalità. In alcuni casi, si tratta della convinzione che l’individuo possiede nei confronti dell’elemento che domina. In altri, di un’influenza ben più concreta.

Luxord vede troppo. Troppi universi potenziali svanire nel mare delle eventualità non realizzate. Forse si è rassegnato al fatto che alcune linee temporali sono troppo improbabili per cercare di imboccarle.

Lui, invece, non vede altro che schemi e numeri, e schemi e numeri sono strumenti da manipolare. Questo lo porta a considerare ogni cosa come soggetta alla sua volontà.

E’ possibile che sbaglino entrambi. Dubita che qualcuno conosca la formula giusta per vivere, ma, perlomeno, il suo punto di vista è più produttivo. Male che va, arriverà allo stesso risultato di Luxord. Se però va bene…

Devono cambiare, perché sono cambiate le condizioni da quando è iniziata la loro avventura. Non possono restare legati a comportamenti validi in un ambiente diverso.

D’altra parte, non si è mai aspettato una perpetua invariabilità di stato.

E’ possibile che la loro ricerca non abbia più una possibilità, semmai ne ha avuta una. Zexion non si è mai preoccupato di chiedersi se ci ha mai creduto. E’ un particolare di nessuna importanza.

Se quello che li aspetta è questo, allora occorre prepararsi ad affrontare un’instabilità di sistema imprevedibile, non fissarsi su un unico possibile scenario che si crede inevitabile.

Se quello che li aspetta è addentrarsi in territorio sconosciuto, allora meglio essere muniti di bussola e mappa.

Se quello che li aspetta è la solitudine, meglio avere tutte le armi possibili, perché l’universo è sempre e solo nemico.

E, per quanto lo riguarda, se la scelta è fra vivere senza Cuore o morire, allora la scelta non esiste proprio.

 

Il giovane si mordicchia pensosamente il polpastrello di un dito. Un gesto che è eredità di una vita passata, di cui non si è mai deciso a liberarsi.

 

“Vieni qui, Roxas.”

 

Il ragazzino si alza e obbedisce senza esitazioni. Obbedisce sempre. Non è malleabile come Demyx, o convinto come Saïx. Obbedisce perché non sa fare altro.

Roxas, il signore della Luce. Che adesso lo studia con occhi chiari e freddi come la banchisa. Che sembra in attesa di sentirsi dire cosa fare.

I suoi capelli sono ancora umidi di pioggia e ha una crosta non del tutto rappresa sul labbro inferiore. C’è un livido e un taglio e il sangue che ne è uscito si è solidificato quasi completamente, ma non tanto da avere perso la sua lucentezza rossa e liquida.

Chiunque altro avrebbe fatto almeno il gesto di ripulirsi in modo che non si formasse quella massa.

 

Un bambino.

 

La chiave del destino.

 

Chiamalo come vuoi, con tutti i titoli altisonanti che vuoi. Resta sempre un bambino, ignorante e inerme nonostante la sua forza e il suo potere. Fuori di qui, da solo, non ha possibilità di sopravvivere. Sarebbe capace di lasciarsi morire di fame o di freddo solo perché non sa cosa deve fare per mangiare e ripararsi. Una fine miserabile per la chiave del destino.

 

Non è demente. Gli manca il complesso psichico necessario a rapportarsi al mondo esterno. Una volta stabilito che è utile anche così come si trova, nessuno ha avuto interesse e tempo per rimediare alla sua condizione.

Adesso, ha mostrato la prima espressione di una personalità autonoma. Con il tempo, accumulando esperienze, supererà la sua mancanza. Peccato che il tempo è proprio ciò che manca.

Allora, non può lasciare che le cose seguano il loro corso naturale.

 

Una chiave, sì. Ma non del destino.

 

Prende le due poltrone più comode del suo studio e le piazza l’una di fronte all’altra, sfila il pesante mantello e i guanti di Roxas e lo fa quindi accomodare su una di esse, mentre lui prende posto sull’altra.

La comodità non è precisamente importante, ma i loro corpi esistono comunque nel mondo fisico e se dovessero provare disagio, la loro attenzione ne sarebbe compromessa. E’ in grado di isolare le sensazioni dolorose, ma deve fare una cosa faticosa, che richiede il massimo impegno, e tutto con le sue sole forze. Niente aiuto dalle droghe psicoattive che usa estensivamente sui suoi soggetti abituali per aprire le loro menti. L’uso di tali artifici altera irreparabilmente la piena funzionalità dei neuroni e Roxas non è una cavia sprecabile.

Non ha nessuna intenzione di consumare energia e concentrazione per regolare qualcosa che può essere facilmente tenuto sotto controllo da un cuscino.

 

 

* * * * * * *

 

 

Anni prima, un uomo morente aveva cercato Roxas in Sora e non lo aveva trovato. Annullato negli abissi di un ego alieno, in quel momento Roxas non esisteva. Non era rimasto più nulla di lui per rispondere a quella supplica e Axel era morto solo, circondato da nemici.

Forse non assistere alla sua fine è stata una delle poche cose misericordiose nell’esistenza di Roxas, ma adesso il giovane ricorda. Le memorie appartengono a lui. Tutte le memorie. Le sue e quelle di Sora.

Non tutti sono bei ricordi. Maledettamente pochi, in realtà.

La cosa peggiore è che, per Sora, quelli erano buoni ricordi e adesso lui si ritrova a sapere che, in quei momenti, è stato felice di quello che ha fatto. Che ogni morto è stato solo un passo avanti.

Ha le sensazioni di quello che ha provato Sora come se fossero sue e, al tempo stesso, valuta quelle sensazioni come sé stesso e sente di avere assassinato la sola famiglia che ha mai conosciuto.

 

Adesso è Riku che cerca Sora in lui.

Forse dovrebbe godersi l’ironia della cosa. Forse dovrebbe semplicemente andarsene e lasciarlo morire solo. Ma non si sente così compassionevole. Riku lo apprezzerebbe.

Non vuole essere preso in ostaggio dall’affetto di Sora per quest’uomo. E’ già abbastanza difficile così.

Riku è l’uomo che popola i suoi incubi. E’ solo un altro nemico e tra un po’ sarà un nemico in meno.

E’ già abbastanza difficile ricordare.  

E’ già abbastanza brutto che quei ricordi si mescolano a quelli dove Riku è più di un fratello.

 

Riku non lo odia. Non spreca emozioni, una di quelle preziose emozioni da essere completo, per uno come lui. Riku ne prova repulsione. O lo disprezza, al massimo. Disprezza tutti loro, come li disprezzano tutti gli esseri completi. Come persino alcuni di loro stessi si disprezzavano.

 

Saïx, che portava il lutto per la sua famiglia con la pazzia…

 

Per quanto riguarda Roxas, vale più di tutte le lacrime versate da tutti gli esseri completi di tutti gli universi pensabili.

 

Adesso ha la risposta a una vecchia questione ancora aperta.

Si è perso per cercare il passato, ma quel passato appartiene a un altro uomo.

Il suo passato non è lungo nemmeno due anni. Deve farselo bastare.

 

“Non esiste Sora.” si limita a dire “Sora è morto.”

 

 

* * * * * * *

 

 

Roxas si sveglia ed è notte fonda.

Notte per il suo personale ciclo biologico. Per il mondo è sempre e solo buio.

Sente il suono di un respiro un po’ roco.

Zexion è seduto di fonte a lui. In qualche modo, è riuscito a mettersi a gambe incrociate sulla poltrona. E’ profondamente addormentato, le mani abbandonate in grembo e la testa reclinata sul petto. Il suo respiro è reso elaborato dalla posizione disagevole.

Roxas non si chiede come mai si trova nello studio di Zexion. Ha tutti i ricordi di come è arrivato qui. E’ ancora sulla stessa poltrona dove il telepate lo ha fatto sedere diverse ore prima, e il suo mantello e i suoi guanti sono gettati negligentemente a terra.

Si alza e, senza fare rumore, comincia muoversi per la stanza e a osservare quello che lo circonda.

E’ la prima volta che entra nell’appartamento di uno degli altri.

C’è una finestra che occupa quasi un’intera parete e si apre su un balcone. Il cielo esterno è una massa di svariate sfumature di nero. L’oscurità dell’ambiente è attenuata solo dalla luce quasi inesistente che entra dalla finestra e da quella artificiale di pochi led di alcuni computer. Nulla, in pratica. Ma, tanto, il buio non è un ostacolo per lui.

Ci sono parecchi strani oggetti, complicati insiemi di frammenti metallici e cristallini combinati in forme e colori svariati. Sembrano avere una forma definita sino a quando li guarda con la coda dell’occhio, ma se poi li osserva direttamente, diventano solo agglomerati caotici. Ne tocca uno e quello emette un lieve suono tintinnante.

Ci sono altre cose, compresse negli scaffali alle pareti e in gran parte dei possibili spazi vuoti, persino per terra.

 

libri

 

Libri su supporti usati in diversi mondi. Carta, pelle, rotoli, schede elettroniche, cristalli mnemonici. Libri tattili, olfattivi, audiolibri. Ogni forma di archiviazione e trasmissione di dati immaginabile.

E questi sono solo quelli che identifica. Non esclude che ce ne siano altri che lui non è in grado di riconoscere come libri. Forse anche le strane sculture lo sono.

Libri in un’infinità di lingue e caratteri.

Ne legge i titoli, quando hanno titolo e quando riesce a capirli. Sono parecchi. Non tutti, ma parecchi.

Gli incantesimi di mimesi sono tra i primi a essergli stati insegnati. Quando occorre, può imitare gli abitanti di quasi ogni mondo, assumendo la loro forma e il loro complesso mentale, compreso il sistema di comunicazione, oppure solo una di queste caratteristiche. Ma è una cosa estemporanea e difficoltosa, legata al mondo visitato e alla possibilità di disporre di un modello da mimare. Quando torna alla sua forma o cambia pianeta, perde anche la lingua.

Adesso, però, non sta usando sistemi di traduzione. Legge perché sono lingue che conosce.

Non sa quante siano. Più di una di sicuro. Non sa neppure come le ha imparate. Le ha sempre conosciute.

In qualche modo, sa anche che la lingua con cui comunica con i suoi compagni non è la sua lingua madre.

 

Passa la mano sul sensore della finestra, aprendola quel tanto che basta per scivolare sul balcone. La pioggia è torrenziale.

Nella corte del castello, forme d’acqua sorgono dalle pozze e ballano l’una con l’altra e schiaccianodilaniano le ombre. Le ombre urlano il loro strazio senza voce e muoiono. Da qualche parte, Demyx gioca con il suo elemento.

I capelli inzuppati gli si appiccicano addosso e rivoli ghiacciati gli scivolano lungo il volto, il collo e le mani.

Rientra, si siede di nuovo e appoggia la testa allo schienale.

C’è qualcosa che punge sul labbro inferiore. Con la lingua, sente uno sgradevole sapore metallico e una piccola massa ruvida. La mordicchia. La gratta con un’unghia. La crosta si stacca e dal taglio fuoriesce del sangue. Lo lecca via e preme il taglio fino a quando non smette di sanguinare.

E’ molto stanco. I muscoli del collo e delle spalle sono tirati e doloranti. Risente la fatica dei giorni appena trascorsi.

 

Ascolta i suoni.

Il lieve russare di Zexion.

Lo scrosciare della pioggia sulle pareti esterne e sulla finestra.

L’acqua che scorre su vetro e metallo.

Sotto a tutto, il silenzio.

 

Gli occhi gli si chiudono.

 

Ascolta il silenzio.

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

Innanzi tutto, grazie a tutti per i complimenti. Sono lieta che vi diverta ^__^

Vediamo di dare qualche risposta.

   

The Bookman: Già. I nostri nobody soffrono della sindrome del pellerossa dei vecchi film western. Sai quelli che si mettevano allo scoperto a girare in tondo attorno a una postazione fortificata, così da essere comodamente abbattuti come al tirassegno?

Che poi arriva il topo, ma intanto ci sono già il cane e il papero. E sì, perché, almeno per una volta, i buoni non soffrono di tale deplorevole cavalleria (altresì detta idiozia senza ritegno) e attaccano in tre contro uno.

E fanno bene!

E vincono!

 

E’ vero. Zexion ha l’aspetto da ragazzino e credo che sia davvero giovane per essere quello che è. Solo che mi è capitato di sentirlo definire adolescente, o dargli poco più dell’età di Roxas e non credo che sia ‘così’ giovane.

 

Kairi? Via il dente via il dolore. In realtà non mi è tanto odiosa, anche se è un po’ troppo ‘Princess in distress’ per i miei gusti. Solo non me ne frega niente di lei. Quella che davvero non sopporto è Naminé.

 

Narakun: Grazie. Sono davvero contenta che Zexion ti piaccia, perché è il mio protagonista secondario. O principale, da un certo punto di vista. E’ troppo divertente scrivere di un soggetto simile e il bastardo è anche il mio personaggio preferito ^__^

E’ sempre così maltrattato, povera stella e, a parte la faccenda dell’età, mi resta incomprensibile tutta quella parte che riguarda la depressione e la sensibilità.

Insomma, è il tizio che ha convinto gli altri ad approfondire le ricerche sull’Oscurità, che è capace di farsi un frappé con i cervelli altrui. E’ lo stratega di gente che ha dichiarato guerra all’universo. Il suo lavoro è quello di studiare i vari mondi, decidere quale e in quale ordine attaccare per sterminarne tutti gli abitanti e quale andamento bellico adottare. Non riesco a immaginarmelo a scrivere poesie angoscianti sul suo diario segreto o tagliarsi le vene per passare il tempo. Semmai dovrebbero essere depressi gli altri all’idea di incontrarlo.

Oh, avanti. Guardatelo bene. Dietro quel faccino adorabile c’è una scritta flashante che dice: “Sono qui per distruggere voi e tutto quello che vi è caro, trascinarvi in un abisso di angoscia e disperazione e gettare i vostri mondi nel caos. E voi darete la colpa a qualcun altro!”

E’ proprio il mio genere di uomo ^__^

 

Per la cronaca, vado pazza pure per Riku.

Lo trovo un personaggio fantastico, complesso all’inverosimile, anche se è un dannato ipocrita. E il termine bastardo va benissimo anche per lui. Un bastardo spietato, contorto, letale come uno sciame di cavallette in un campo coltivato e cattivo come l’aglio.

 

Lexaen: A me i 13 piacciono tutti, però ho un debole per Zexion, Marluxia, Xemnas, Xaldin, Saïx, Larxene e Roxas. Cioè, i più pestiferi. Eccetto Roxas, naturalmente, che è sì pestifero, ma soprattutto è la vera vittima sacrificale del gioco. Colpisce il mio istinto materno, povero piccolino.

 

Xemnas e Saïx sono fantastici, e non intendo dire che sono maledettamente belli (anche se!). Sono grandi figure tragiche. Epiche, direi. Non capisco proprio perché piacciono così poco.

 

Forse quello che mi piace meno è Axel. Molto intelligente e astuto nell’immediato, solo che il suo fine è a brevissimo termine e non valuta le conseguenze nel tempo. Ed è la causa della sua stessa distruzione e di quella di Roxas. Non ha un vero scopo se non quello di creare caos, il che mi andrebbe anche bene. Il problema è che è autolesionista e si suicida e io ho problemi relazionali con gli autolesionisti e i suicidi.

 

Atlantislux: Io amo i nobody proprio per quello che sono. Se fossero diversi, magari non li potrei sopportare. I miei piccoli nichilisti portatori di caos. Sono così fantastici come genocidi a sangue freddo. Non ho intenzioni di trasformarli in patetiche ombre penitenti.

Tra l’altro sono interessanti. Ho sempre scritto dal punto di vista dei nemici, cercando di non fare moralismi, ma qui è un caso estremo e le ragioni non sono esattamente cristalline. Credevo che per me sarebbe stato impossibile amare gente simile. E invece…

E’ divertente scrivere dal loro punto di vista. Se li addomesticassi, finirebbe tutto il bello.

E’ che mi piacciono le persone consapevoli. Quelli che agiscono o per uno scopo logico o per il puro piacere. Basta che si prendano la responsabilità di quello che fanno e non scarichino le colpe addosso ad altri. I 13 sanno bene quello che combinano, quindi sto dalla loro ^__^

In realtà, mi urtano molto di più i discorsi degli altri personaggi. La cosa più carina che dicono è che i nobody non devono esistere, che non esistono, che non hanno diritto di esistere, che ammazzarli è più o meno come gettare dell’immondizia. E sarà indubbiamente un problema mio, ma a me ‘sti commenti fanno sempre leggermente girare le palle.

Poi quel che davvero mi fa accapponare la pelle è la storia di Roxas. E’ di una brutalità e di una tristezza mostruosa. Roxas fa una fine tremenda. Non so chi sia il sadico che ha inventato quel gioco, ma non si possono fare cose simili! Mi ha fatto venire il magone :(

 

Demyx, il dolce, caro, gentile Demyx… che amore di ragazzo. Lo trovo uno dei più inquietanti e potenzialmente letali. Insomma, con la gente stessa che è in pratica un serbatoio semovente.

Lo so che siccome è bello, giovane, allegro e viene praticamente obbligato dall’eroe a fare a botte, è stato trasformato in un orsetto del cuore, ma mi pare spingere un po’ all’estremo quello che è. I bravi orsetti del cuore non si aggregano a organizzazioni che fanno saltare per aria i pianeti. E questo detto con tutto l’affetto che provo per i 13.

Credo che il mio Demyx avrà poco dell’orsetto del cuore. Certo, a meno che non si intenda che il cuore te lo estrae dal torace usando un plettro come bisturi.

 

Ringrazio sentitamente anche per la parte della ‘sensualità’, che, se c’è, è stata del tutto involontaria. Io puntavo all’horror :)

 

Frisumilite: Beh, grazie ^__^

 

Ladyblackmoon: Hai perfettamente ragione. Il riassunto fa schifo. Purtroppo sono logorroica, sono brava ad analizzare, ma nella sintesi faccio davvero pena. Ma credo di avere trovato la soluzione ^__^

 

 

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Capitolo 5
*** Spirale reciproca ***


I Interludio

 

Spirale reciproca

 

 

Xemnas si è sempre meravigliato di come si possa credere Zexion un tipo laconico. Se non viene fermato, è capace di parlare per ore. Di stordire, con le parole.

Non potrebbe essere altrimenti. In lui, tutto ciò che è pensiero ed elaborati del pensiero sono armi mortali, fatte per piegare, convincere e sedurre gli altri alla sua volontà.

La parola è una di queste armi. Sarebbe strano se non la usasse.

Può uccidere anche solo con la voce.

Deve tenerlo sempre a mente, questo.

 

Il giovane siede a una scrivania e divide la sua attenzione fra i colleghi e un monitor che mostra un complicato insieme di segmenti di diversi colori e luminosità, connessi fra loro a vari angoli.

La cosa non gli impedisce di continuare a discutere senza interruzione.

 

“Parlare di Corpo e Mente come entità distinte, se non da un punto di vista puramente discorsivo, è commettere un errore semantico perché, a nostra attuale conoscenza, sono funzione reciproca l’uno dell’altra. Cosa che non è applicabile al Cuore, e il Cuore può essere separato dal Corpo senza provocarne la distruzione o l’incapacità. Senza Cuore, si può esistere e anche il Cuore isolato può avere una sua esistenza. Ma gli heartless mostrano caratteristiche che dovrebbero essere esclusive del Corpo. Hanno percezioni. Hanno reazioni agli stimoli e si adattano alle variazioni ambientali. Hanno istinto. Sono capaci di comunicazione. Alcuni heartless hanno mantenuto memoria, intelligenza e razionalità.”

“Stai facendo parecchi passi indietro. Gli heartless hanno un corpo costituito da Oscurità, lo abbiamo stabilito da anni. Una volta accettato che gli heartless possono organizzarsi un involucro materiale, non vedo poi così assurdo che si ricostruiscano anche un sistema sensoriale e reattivo.” brontola Xigbar.

“D’accordo, ma l’istinto? L’Oscurità non ha istinto, non più di quanto ne abbia la gravità. Perché gli heartless lo possiedono, allora? Posso anche accettare che gli heartless plasmino un corpo di Oscurità che mima fin alle più sottili funzioni il corpo origine, al punto da elaborare un pensiero cosciente, ma che ricostruiscano anche un complesso istintivo peculiare… questo mi riesce incomprensibile.”

“Ha ragione.” esclama Lexaeus “L’istinto è un comportamento, anche complesso, uguale per tutti gli individui di una specie e trasmesso per via genetica. Fa capo solo alla sfera fisica. Si sviluppa con la storia evolutiva della specie cui appartiene. Per quello che consideriamo che sono, gli heartless non possono avere istinto.”

“Lo riversano o lo duplicano dalla loro vita come esseri completi?”

Lexaeus scuote la testa.

“In questo caso, erediterebbero l’istinto della specie da cui sono originati. Invece, possiedono istinti propri solo degli heartless.”

“Però li possiedono. Quindi è possibile.” obietta Xigbar.

“Sì, e se fosse per la causa più semplice?”

“Cioè?”

Lexaeus sorride freddamente.

“Se una cosa assomiglia a un cavallo, nitrisce e puzza di cavallo… probabilmente è un cavallo.”

“Esatto, Lex.” riprende Zexion “Eppure, noi non abbiamo fatto altro che credere di trovarci di fronte un cane travestito. Ci siamo attenuti alla soluzione complessa senza neppure considerare l’alternativa semplice.”

“Scusate, bambini, ma ad andare avanti a indovinelli facciamo domani.” esclama Xigbar.

“Gli heartless hanno tutte le caratteristiche degli esseri viventi. Abbiamo sempre detto che dipende dal fatto che hanno un Corpo plasmato con l’Oscurità che imita le funzioni dei viventi. Questa è la soluzione complessa. La soluzione semplice è che hanno le funzioni dei viventi perché sono viventi e possiedono un Corpo proprio.”

“Vuoi dire che sono diverse… entità, rispetto al Corpo? E’ questo a cui vuoi arrivare, nel tuo modo involuto?”

“Sì. Elementi esogeni, piuttosto che intrinseci all’individuo.”

“Quindi sono soggetti a sé stanti, giusto? E’ come se parlassi di parassiti.”

“No. Parlo di una condizione che mi è sempre stato sotto gli occhi e che, per mia negligenza, non ho mai considerato.”

“Ma è solo una tua supposizione, non supportata dai fatti.”

“Scaturita dall’osservazione. Fino a prova contraria, adesso noi basiamo tutte le nostre azioni sulla supposizione inversa che è solo un postulato, negato nel momento stesso in cui il primo heartless ha cominciato a esistere.”

“Puoi tagliare una mano a una persona, metterla in una soluzione nutriente e questa continuerà a vivere. Non per questo fai della mano un individuo diverso.” obietta Xaldin.

“Quali sono le caratteristiche che definiscono i viventi, in tutti gli universi e in tutti i mondi? I viventi possiedono un programma autoregolante organizzato in Corpo, che sia materiale o meno. Comunicano e ricevono comunicazioni con l’ambiente. Hanno una reazione immediata agli stimoli e si adattano alle variazioni ambientali. Soprattutto, la vita contrasta l’entropia mantenendo coerente nel tempo la propria organizzazione, pur rinnovandosi nelle componenti costituenti. E riproduce sé stessa. La mano isolata non fa tutto questo. Gli heartless sì. Dammi una buona ragione del perché facciamo affidamento su una costruzione macchinosa e paradossale, invece di attenerci alla definizione stabilita da noi stessi, cosa che avremmo fatto se fossimo stati di fronte un qualsiasi altro ente che presenta tali caratteristiche.”

 

Con sorpresa di Xemnas, la voce di Zexion ha un lieve cedimento. Per un istante, ha tradito un filo di stanchezza.

Anche Lexaeus se ne è accorto e interviene di nuovo.

 

“Se i nostri studi fossero stati diretti su soggetti che presentavano le stesse caratteristiche, nelle stesse condizioni, senza che però sapessimo si trattava dei Cuori, avremmo sicuramente attribuito loro la condizione di viventi. Il problema è che noi sapevamo su cosa stavamo lavorando e i cieli solo sanno quanto questo ci ha influenzati. Abbiamo vissuto fin dall’inizio nell’immondizia raccontataci da Ansem e dalla storia e non abbiamo mai messo in dubbio la natura dei Cuori. Li abbiamo studiati, ma abbiamo mai saputo realmente cosa stavamo studiando?”

“E la carenza emozionale causata dalla loro mancanza?” chiede Xigbar.

 

Zexion picchietta per qualche istante sulla tastiera. Alcune linee si formano sullo schermo e vanno a posizionarsi nella griglia di segmenti colorati che è il suo sistema di catalogazione personale.

Nessun altro è in grado di interpretare gli schemi sottintesi da quell’insieme apparentemente caotico di linee, colori, luci pulsanti e movimenti, ma per lui sono più semplici da leggere di un testo scritto o una formula matematica.

 

“A parte che la natura vivente dei Cuori e gli effetti della loro presenza sul nostro organismo non si escludono a vicenda. Il sistema emotivo è un meccanismo omeostatico, quindi è finalizzato alla conservazione degli individui. L’organismo tende all’equilibrio e a mantenere lo stato ottimale al variare delle condizioni attraverso meccanismi di autoregolazione. Adesso, diciamo che non abbiamo vere emozioni, ma solo simulacri di emozioni, nate dalla memoria e dall’analogia.”

“Metti in dubbio anche questo?”

“Metto in dubbio tutto quello che non ritengo così inoppugnabilmente provato da essere considerato a prova di dubbio. Le emozioni sono una risposta a situazioni ambientali rilevate, analizzate e interpretate tramite il sistema nervoso che, vorrei ricordare, nel nostro caso funziona perfettamente.”

“Ti ringrazio per aver chiarito quello che già sappiamo.”

Zexion gli sorride.

“Lo sapete solo per avere modo di ignorarlo deliberatamente? Le risposte date a una determinata situazione sono le più adatte alle circostanze, proprio per mantenere l’equilibrio. Che questa risposta sia interpretata tramite analogia con esperienze passate di cui abbiamo memoria, o che sia solo una risposta riflessa, il risultato è uguale. Può essere un processo sostitutivo. Un sistema per sopperire alla perdita di un meccanismo necessario. Sappiamo bene che in caso di determinate lesioni cerebrali, le funzioni svolte dalle aree danneggiate possono essere eseguite da aree del cervello che normalmente non svolgono quei compiti, che si adattano e imparano a svolgerle. Ma questo significa anche che, nel corso della storia razziale, è già avvenuta la perdita del Cuore per un periodo sufficientemente lungo e a un numero sufficiente di individui da essersi evoluto il sistema sostitutivo. E’ però altrettanto possibile che quello che crediamo solo un sistema sostitutivo, sia in realtà quello originale.”

“Però il Cuore esiste fin dall’inizio della vita dell’originale. Questo non dovrebbe indicarti che la nostra è una condizione innaturale?”

“Ci sono razze che nel corso della loro storia evolutiva hanno inglobato nel DNA virus letali e hanno imparato a conviverci. Era una condizione innaturale, la loro, prima di quell’evento? Sarebbe innaturale, se il virus ne fosse sottratto? Vi ricordo che non conosciamo esseri senzienti originariamente privi del Cuore, ma abbiamo svariati esempi di forme di vita senza Cuore. Conosciamo addirittura Mondi interi dove non se ne rileva la minima presenza. Persino nel nostro mondo dorigine gran parte degli esseri viventi ne è sprovvista, anche se tendiamo a non considerarlo.”

“Cioè?”

“I vegetali, ad esempio. Moltissime specie animali.”

“Ma, per quanto ci riguarda, siamo stati noi la causa diretta della nostra condizione.”

“Costruiamo case e astronavi. Anche questo fa parte della nostra natura. Nulla di quello che capita nella realtà è innaturale. Se un evento avviene e una razza è in grado di adattarsi a esso, è insensato pretendere di fare distinzione se il fatto sia avvenuto per intervento diretto della specie stessa oppure per un fattore esterno.”

 

Xemnas si alza e si avvicina alla finestra, stiracchiandosi.

Non ha guardato da quanto sono impegnati in questa discussione e ha sempre avuto difficoltà nel valutare a mente lo scorrere del tempo.

E’ iniziata come una conversazione amichevole, ma adesso ha la sgradevole sensazione di viaggiare su un mezzo guidato da un pilota sconosciuto che non gli ha chiesto né dove vuole andare, né se ci vuole arrivare.

Si sente un po’ intorpidito, un po’ infreddolito, anche se lo studio è caldo e confortevole.

Non ha controllato le rilevazioni geologiche, ma è sicuro che si stanno avvicinando alla stagione invernale.

Si potrebbe credere che su questo pianeta non esistono stagioni, ma non è così. Le sorgenti geotermiche che permettono di temperare il clima hanno fasi che possono essere paragonate alle stagioni. Sono cicli aritmici, generati dai flussi di anomalie gravitazionali ed elettromagnetiche di questo universo malato, ma, dopo tanti anni, Xemnas ha cominciato a riconoscere i segni premonitori. Tra un po’, i giorni di pioggia interminabile saranno interrotti da periodi sereni. Poi, cominceranno le nevicate e il ghiaccio reclamerà la terra e il mare.

 

Sta per tornare al divano, quando intercetta un cenno da parte di Xigbar che gli indica la caffettiera sul tavolo.

E’ ancora mezza piena, e bollente. Questo gli dà il senso del tempo trascorso dall’inizio della loro riunione. Non è molto. Molto meno di quanto non gli sembri.

Riempie di caffè due tazze, aggiunge anche una dose generosa di brandy e torna dagli altri.

 

“Sora ha mantenuto la propria personalità anche come heartless.” mormora, mentre passa una delle tazze a Xigbar e si accomoda nuovamente sul divano.

“Ha mantenuto ricordi coscienti della sua vita precedente, almeno in misura imprecisata, visto che non abbiamo dati attendibili su Sora e possiamo analizzare solo quelli che provengono da osservazioni casuali, spesso riportate da osservatori non affidabili, rilevate in condizioni non verificabili. Anche altri heartless hanno mantenuto ricordi del passato in forma di engrammi profondi. Però Sora, e anche Xehanort, sono rimasti senzienti, quindi possono dare espressione ai loro ricordi. Finora io non ho parlato di personalità e, su questo, vorrei tornare in seguito. Tutto quello che noi possiamo dire è che l’attuale Sora, tecnicamente un heartless, si comporta basilarmente come si comportava in precedenza.”

 

Xemnas inarca leggermente le sopraciglia, quasi aspettandosi il peggio, ma Zexion non è così avventato da fare commenti sul comportamento di Xehanort di fronte a lui.

 

“Questo è un altro fattore che mi spinge a considerare gli heartless dotati di una corporalità propria.” prosegue il giovane “La memoria ha una componente puramente fisica, che nelle nostre specie è rappresentata da collegamenti dendritici e da configurazioni molecolari depositate nei neuroni, ma può assumere altre forme, come gli schemi energetici nelle razze non materiali, e una componente mentale che è la capacità di associazione degli eventi. I dati e il programma in grado di leggerli ed elaborarli. Entrambe le componenti sono necessarie per ricordare. Se, in qualche modo, la componente fisica della memoria fosse stata archiviata solo nell’entità Cuore fin dall’inizio, questo potrebbe portarla con sé nel momento della frammentazione. In questo caso, sarebbe persa per il nobody. Per fare un esempio banale, è come se tu avessi un computer dotato di due dischi rigidi, memorizzassi dei dati solo su uno di essi, poi lo scollegassi dal computer. Quei dati non sarebbero più consultabili.”

“Le nostre amnesie frammentarie.”

“Sì. Questo implica però che il Cuore aveva un Corpo proprio dove immagazzinare i dati. Naturalmente, per adesso, questa è davvero solo una mia supposizione.”

 

Xemnas stringe le mani intorno alla tazza e abbassa il volto, fissando le volute di vapore che si sollevano dal liquido caldo.

Si sfiora il collo in un gesto meccanico, prima di ricordare che non indossa il mantello. Sente la mancanza del cappuccio che gli permetterebbe di ritirarsi nel rifugio inviolabile del suo spazio personale. Inconsapevolmente, lascia ricadere i folti capelli bianchi sul volto.

Conosce l’espressione che ha Zexion in questo momento. E’ quella un predatore affamato, ma Xemnas sa benissimo che nessun predatore, in nessun mondo, in nessuna condizione, è altrettanto famelico e vorace.

Perlomeno, tutti gli altri predatori prima o poi si saziano.

 

Il freddo è anche più intenso, ora.

 

“Ora comprendo il perché sei così affascinato da Roxas. E’ la cosa più simile a un nobody senza memoria di una vita precedente.”

“Purtroppo, non è niente del genere. Roxas non ha memoria cosciente del passato, ma non è completamente amnesiaco. La sua prima azione, appena ripresa conoscenza, è stato aggredirci, con i keyblade. Come poteva sapere della loro esistenza, di poterli evocare, come usarli? Anche il solo fatto di saper parlare e leggere, significa che ha conservato un livello di cognizione appresa. Ma i suoi ricordi sono strutturati solo in schemi di memoria ripetuta estremamente forti e ben organizzati.”

“La differenza?”

“Ha mantenute conoscenze acquisite nel corso della storia personale, ma non ha ricordi degli avvenimenti che lo hanno portato ad apprendere. Dal punto di vista puramente pratico, è come se sapesse leggere, scrivere e usare i keyblade per solo istinto, anche se, ovviamente, non è così. Adesso, abbiamo sempre affermato che sono i ricordi che abbiamo della vita umana a sostenere la nostra personalità e il nostro impianto emotivo. Che siamo memorie viventi. Che le nostre emozioni esistono solo quando abbiamo memoria di un momento in cui le abbiamo provate. Tuttavia, Roxas sta sviluppando e sostenendo un sistema emotivo e i soli ricordi consapevoli che ha sono di un tempo successivo alla sua mutazione in nobody, quindi questo contraddice l’affermazione precedente.”

“A me sembra abbastanza inerte come individuo.” commenta Xaldin.

“Prenditi il disturbo di conoscerlo, allora. La sua mancanza di personalità è, più che altro, una mancanza di espressione. Man mano che accumula ricordi, che impara a esprimersi, la sua personalità si rivela. Ora resta da vedere se questa sarà paragonabile alla nostra, visto che tutti noi basiamo almeno parte del nostro complesso emotivo su esperienze avute prima di essere nobody. Roxas no. Vorrei sapere quale genere di personalità potrebbe sviluppare un essere privo di Cuore fin dalla nascita. E, nel caso delle specie senzienti, se e come lo sviluppo di questa ne verrebbe influenzato.”

 

Gli occhi di Zexion sono annebbiati e fissi. La sua voce è slittata a un’inflessione più monotona. Indizi sufficienti a capire che, mentre parla loro, sta anche operando sul piano mentale.

 

“Chiedevi della personalità, Xigbar. C’è un’altra cosa, in Roxas. Non ha nulla di Sora. Non i ricordi, non gli schemi mentali. Non esiste il minimo indizio che sia mai stato Sora. In compenso, tutto porta alla conclusione opposta.”

“E da dove salta fuori, allora, il nostro piccolo custode di keyblade? Non dirmi germinazione spontanea, perché non ti credo.”

 

Zexion passa alla comunicazione telepatica e chiede formalmente il permesso di mostrare loro il seguito. Quello di cui ha parlato finora è solo un’introduzione, ne sono ben consapevoli. La reale sostanza delle sue ricerche deve ancora essere esposta e non può essere discussa adeguatamente a voce.

 

Esitano tutti, incerti.

Non è un’esperienza piacevole per nessuno di loro quella di entrare nel mondo mentale, vasto e selvaggio, che è la vera dimensione del telepate, che non possono raggiungere né navigare con le loro sole forze. Un universo dove sono disarmati e vulnerabili e di cui solo la loro guida conosce le strade.

Ma la curiosità è stata stuzzicata e vogliono avere tutte le informazioni.

Così, acconsentono e, uno dopo l’altro, vengono attratti nell’edificio mentale che il giovane ha eretto mentre discuteva e, con la loro presenza, ne completano l’architettura.

 

E’ un sistema di sei stelle luminose, ognuna caratterizzata da un suo colore.

Orbitano intorno a un nucleo di dati puri trasmessi e mostrati, non contaminati dall’esposizione verbale, non fraintesi dall’inadeguatezza della parola.

 

Uno a uno, i sei planano verso il perno del sistema con ardite manovra di declinazione orbitale.

Consultano, analizzano, assimilano, metabolizzano le informazioni esposte.

Uno per uno, aggiungono commenti, osservazioni, correzioni.

Tentano modifiche sperimentali al modello. Provano a sommare o sottrarre addendi. Testano il risultato.

Uno per uno, uniscono le loro voci in un coro.

 

 

Epistasi!

la personalità originale del corpo inespressaimpedita dal Cuore

una volta sottratto il Cuore, la personalità originale repressa viene alla luce

 

 

Solo una delle stelle, quella bianca, resta in disparte.

Non interviene.

Osserva.

 

 

Nel caso si mantengano le memorie della vita precedente, questa personalità avrebbe convinzione di essere sempre lo stesso soggetto, senza soluzione di continuità…

Ricominciare tutto?

 

 

I suoi compagni invitano la stella bianca fra loro, ma essa rifiuta l’Unità.

Pensa.

 

 

Sora potrebbe continuare a comportarsi come Sora perché crede di esserlo

noi ricordiamo quello che siamo stati e, di conseguenza, ne siamo influenzati

Abbandonare?

 

 

La stella bianca si allontana.

Vaga per un po’, assorta e sola, negli spazi della dimensione mentale.

Valuta.

 

Le voci degli altri lo accompagnano, impegnate nella loro conversazione.

 

 

il modello sottinteso dal Cuore come fonte del complesso emotivo presenta troppe falle, troppe contraddizioni

InadeguatoParadossaleRidondante. Obsoleto!

 

 

Le informazioni sono esposte in modo impeccabile. Una ricostruzione allettante.

Ne sono convinti tutti.

 

La stella bianca si dissocia dalla rete mentale.

Rende facile comunicare, ma, rifiutando di usare il pensiero incanalato da un altro, Xemnas afferma la sua indipendenza. Con la telepatia, Zexion li obbliga a scoprirsi, a lasciare un varco dove può introdursi. Inoltre, Xemnas non è sicuro che lo stratega non lasci filtrare solo quei concetti che gli fanno comodo. In realtà, si stupirebbe del contrario.

 

Nel mondo fisico dove è riemerso, adesso è solo.

Intorno a lui, i suoi compagni sono inerti, gli occhi fuori fuoco. I soli movimenti sono i loro lenti respiri e occasionali sbattere di palpebre.

 

Conclusione…

 

Chiude le barriere mentali. Ora, più che mai, è imperativo che non si lasci sfuggire nulla.

 

Uno dopo l’altro, i cinque si risvegliano dalla loro trance.

Non parlano, anche se la conclusione inespressa a cui arrivano tutti è chiara.

Se fosse vero, cambierebbe tutto. Cambierebbe ogni cosa.

 

“Roxas potrebbe essere solo un’eccezione. E’ diverso da tutti noi.” mormora incerto Xigbar, rompendo il silenzio.

 

La sua sicurezza si è consumata. Adesso si limita a fare questioni senza vera convinzione di avere ragione.

Zexion lascia disfare la sua architettura mentale e risponde con la sua voce sorprendente.

 

“Roxas è diverso da tutti noi. E anche Xemnas è diverso. E Naminé.”

 

eccezioni

fenomeni

mutanti

aberrazioni di sviluppo

O, semplicemente, qualcosa che non rientra nell’Effetto del Fondatore che sino a quel momento ha selezionato la loro razza.

Se fossero in numero sufficiente…

 

“E’ difficile definire eccezioni tre su quattordici. O anche uno su quattordici. Non posso considerare Roxas un caso eccezionale, per il semplice fatto che non abbiamo un campione consistente. Siamo troppo pochi per definire cosa è normale per il nostro stato. Non ci sono eccezioni fra noi, perché non c’è una norma, così siamo tutti eccezioni. Ognuno di noi. Le sole creature viventi naturalmente prive di Cuore che conosciamo appartengono tutte a specie non senzienti, quindi è impossibile anche fare uno studio comparato. L’ideale sarebbe avere un nobody umano tale fin dalla nascita.”

“Purtroppo, finora nessuno dei nostri tentativi in merito ha avuto il successo sperato.” interviene Vexen “Ho ottenuto esemplari privi di Cuore fin dallo stadio di gastrulazione, che è il momento in cui, negli embrioni animali, i Cuori sono riconoscibili. Generare nobody è difficoltoso, ma non impossibile. In ogni caso, qualunque fosse l’età del soggetto o il suo stadio di sviluppo, non ho mai ottenuto nobody superiori, di nessun rango, men che meno umani. D’altra parte, la percentuale di nobody naturali che mantengono forma e individualità è molto bassa e io non ho potuto dedicarmi pienamente a questo progetto.” 

 

Le parole di Vexen arrivano a sorpresa.

E’ tutta la sera che Xemnas si aspetta una sua intromissione, ma lui lo ha disatteso, limitandosi ad ascoltare con attenzione quello che è stato detto. Anche adesso, il tono è stato solo quello di una pacata puntualizzazione.

Insolito, da parte sua, che non è certo un tipo taciturno. Raramente si lascia sfuggire l’occasione di contraddire aspramente uno di loro, in particolare quando si tratta di uno più giovane, e i suoi rapporti con Zexion sono sempre stati, almeno da parte sua, conflittuali.

Ma Vexen non si lascia ostacolare da problemi personali, se considera valida una linea di ricerca. Non è mai stato un uomo particolarmente intuitivo e raramente ha un’idea originale, ma nessuno ha la sua abilità tecnica e nessuno come lui è in grado di verificare, confutare o sviluppare appieno una teoria.

La sua concentrazione e il suo silenzio significano solo che sta valutando il potenziale implicito nell’esposizione di Zexion.

Inoltre, Vexen si è sempre opposto alla loro politica aggressiva nei confronti dei Mondi. I primi tempi, il suo dissenso è stato talmente energico che gli è costato ufficiosamente il rango e, anche se da anni è virtualmente escluso da ogni decisione in merito al governo del gruppo, Xemnas è sicuro che non perderà occasione di sostenere nuovamente un movimento che possa fornire da supporto alla sua causa originaria.

 

“E Naminé?” chiede Xemnas “Perché non usare lei? E’ nelle condizioni di Roxas.”

“Per quanto mi è possibile, preferisco evitare un rapporto così stretto con Naminé.” risponde placidamente Zexion.

 

In quel momento, afferra e stringe in una morsa la mente di Xemnas, oscura le sue percezioni e lo sigilla nel buio assoluto del nulla sensoriale. Xemnas brancola nell’indeterminatezza del tempo trascorso rinchiuso in quella mancanza di punti di riferimento. Poi, tutto torna normale.

Nessuno degli altri si è accorto di nulla.

E’ stato un attimo e Zexion si è premurato di paralizzargli qualsiasi reazione fisica involontaria che potesse tradire quella loro brevissima schermaglia privata.

E’ solo un avvertimento a non proseguire con l’argomento.

 

Doveva aspettarsi una reazione del genere.

Zexion sembra provare nei confronti di Naminé un disagio che sfiora l’avversione personale. Lo stesso atteggiamento mostrato anche da Saïx e Larxene, anche se, nel caso di Larxene, l’avversione diventa ostilità esplicita.

Ma se il comportamento di Larxene non è così sorprendente, lo è invece quello dei due uomini, che non lasciano mai trasparire sentimenti personali verso altri individui. Mai niente di così evidente, almeno.

Saïx ha addirittura chiesto ufficialmente di sopprimerla e Xemnas è convinto che Zexion lo avrebbe appoggiato, se non fosse stato per l’interesse accademico verso un caso simile. Ma rifiuta di avere contatti mentali con Naminé ed è stato il più acceso sostenitore della necessità di non permetterle di unirsi a loro e di tenerla il più possibile isolata.

Le spiegazioni date dai due, nonostante le differenze con cui sono stata espresse, suonano coerenti.

Secondo Zexion, la ragazzina soffre di una condizione mentale di tipo schizofrenico, con una serie di sintomi che comprendono allucinazioni, deliri da controllo, alterazioni di percezione, progressiva demolizione dei confini del sé, scollegamento con la realtà esterna.

Questo non disturberebbe Zexion, ma Naminé è anche una potentissima telepate e proietta il suo stato con tutta la forza che si ritrova. E’ normale che il giovane sia il più sensibile. Le capacità mentali sono la sua forza, ma lo rendono anche particolarmente vulnerabile agli influssi psichici.

Xemnas sospetta anche che le alterazioni di percezione facciano sì che Naminé abbia una risposta distorta ai poteri di Zexion. Forse la rendono addirittura immune o capace di vedere oltre i suoi inganni. Anche se di questo non avrà mai conferma diretta.

Quanto a Saïx, è stato categorico ed eloquente con la sua risposta. Naminé ha la puzza della morte e di un’infezione.

 

Sul tavolo di fronte a lui, c’è un cavo.

Distrattamente, Xemnas lo raccoglie. E’ flessibile, ma con una certa resistenza. Un cavo di connessione, privo di attacchi a entrambe le estremità, probabile resto di qualche lavoro fatto sui computer dello studio.

Quasi senza accorgersene, comincia a rigirarlo fra le dita.

 

“A ogni modo, di una cosa abbiamo certezza. Senza Cuore, la nostra esistenza è precaria e viviamo in uno stato d’indeterminatezza. Siamo sempre a rischio di degenerare in una forma inferiore di nobody o, addirittura, di cessare di esistere.” esclama Xaldin.

“A prescindere da cosa sono e quale parte giocano nella personalità, i Cuori si riflettono sulla consapevolezza dell’individuo.” replica Zexion “Noi esistiamo grazie a un continuo atto di volontà e gli effetti del Cuore sostengono la volontà. I Cuori non sono la fonte delle emozioni, ma sono un sistema di riferimento. Servono per relazionare le emozioni all’ambiente. Servono, soprattutto, per riconoscerle consciamente. Danno loro un significato individuale. Sono una bussola, una carta di navigazione. Le emozioni servono perché fanno da supporto alla volontà. Se non per tutti, per molti di noi. Ci permettono di restare legati a questo mondo, di trovare una ragione per esistere. Noi usiamo schemi di memoria per sostituire il sistema di relazione fra il complesso emotivo e l’esterno. L’operazione di analogia che effettuiamo per elaborare risposte emotive è automatico e non richiede alcuno sforzo volontario, tuttavia ha una resistenza. Esiste un tempo di attrito che rallenta la velocità di risposta emotiva. Per quanto non sia percepibile a livello conscio, il ritardo viene però ugualmente rilevato e interpretato come un senso di falsità e di inadeguatezza della risposta stessa. A questo si somma un mancato riconoscimento del proprio corpo. Nella mutazione, la maggior parte di noi ha subito un cambiamento fisico più o meno rilevante, che altera la percezione di sé. Non riconosciamo la nostra entità corporale, non riconosciamo le nostre pulsioni, non riconosciamo le nostre sensazioni. Quello che siamo adesso e il sistema a cui facciamo riferimento non coincidono. Alcuni di noi pensano di non esistere, di essere morti. Morti che, per qualche inesplicabile ragione, continuano a camminare. L’equazione è semplice. Niente del mondo riesce a suscitare reazioni riconoscibili, quindi non si risponde al mondo. E chi non risponde al mondo sono i morti. Per altri, si è verificato il processo opposto. Hanno cominciato a credere di essere i soli ad avere un’esistenza reale. Il mondo non provoca sensazioni perché è il mondo a non esistere. Credono di essere i soli e che tutto il resto sia solo il riflesso della loro fantasia o della loro memoria. Molti di noi stanno cominciando a vivere in una condizione psicotica. Saïx, Axel e Naminé sono gli esempi più immediati, ma sono certo che altri non ne siano immuni. Compresi alcuni di noi sei. Se riuscissimo a fissare il sistema di copia incolla che effettuiamo con i ricordi, limitando i tempi di attrito, potremmo risolvere il problema della stabilità.”

“Come si concilia questa incapacità di mantenere la stabilità con quello che dici sulla natura dei Cuori? E’ evidente che sono una parte indispensabile dell’essere, o non avremmo bisogno di meccanismi di controllo.”

“Anche un essere completo può decidere di lanciarsi testa in giù in uno strapiombo. C’è una grossa differenza fra gli esseri viventi e il resto del mondo. I viventi esistono anche sulle leggi della convinzione individuale, non solo della fisica. Se la percezione di noi stessi è quella di esseri con un vuoto interiore, ci comporteremo come tali. Se siamo convinti, convinti fin nell’inconscio, che i Cuori sono necessari, che, anzi, rappresentano il vero significato dell’esistenza, potremmo comportarci come se questo fosse vero e per noi, quindi, diventerebbe vero. Potremmo addirittura arrivare a non rilevare o non riconoscere tutto quello che esula o contraddice questa condizione. A maggior ragione, dobbiamo definire su cosa fondiamo le nostre convinzioni. Non possiamo continuare a esistere in una tale mancanza di conoscenza. Quando inventiamo anche una sola cosa per sopperire a quel che non sappiamo, allora poniamo il primo mattone di un edificio inesistente. Sul nulla non si può costruire.”

 

A un tratto, Xemnas si accorge di avere le mani strette insieme. In qualche modo, giocherellando con il cavo, ha finito per aggrovigliarsi.

 

Volti, voci.

Persone.

Si chinano su di lui e mormorano parole rassicuranti mentre gli legano i polsi e lo immobilizzano e scuotono i lacci per assicurarsi che non riesca a liberarsi.

Chiedono se è comodo mentre conficcano elettrodi roventi nel suo cervello e nel suo cuore.

Le porte della capsula si chiudono e adesso è solo in quel microuniverso. Quel che sta al di fuori, è come se fosse su un pianeta diverso.

D’istinto, cerca di alzarsi per raggiungere quell’altro mondo oltre il vetro. Ma non può muoversi ed è tardi e si trova proprio dove vuole essere, nella situazione in cui ha chiesto di essere, e il solo a poterlo aiutare è lui stesso se decide di interrompere l’esperimento, ma sa che non lo interromperà mai, anche se vorrebbe tanto trovarsi in un momento precedente per ripensarci.

Poi solo collera e terrore e le sue mani tremano impercettibilmente mentre svolge il cavo e lo getta da parte.

 

Xaldin è seduto al suo fianco.

Vexen e Lexaeus sul divano opposto.

Xigbar è drappeggiato scompostamente su una poltrona equidistante ai due gruppi, e tira lente boccate da una sigaretta.

Dalla sua scrivania, Zexion lo fissa, i denti che tormentano la punta dell’indice. I suoi occhi hanno una tinta indefinita. Può sembrare blu, o viola, o grigio. Qualche volta, persino nero. E’ come le ombre. Non un vero colore. Solo la sottrazione di luce dagli altri colori.

Xemnas reprime il suo ricordo prima che lo tradisca, se non è già successo. Ma, probabilmente, è già successo.

In realtà, l’intera conversazione è viziata per sua stessa natura.

Questa sera, per una volta, Zexion sembra del tutto sincero ed esplicito, ma con lui non si può essere sicuri di quello che si sta vivendo.

Per quanto ne sa Xemnas, potrebbero essersi immaginati ogni singola parola pronunciata, ogni singolo gesto compiuto.

Potrebbero non essere neppure qui.

 

Paranoia?!

 

Senza spingersi troppo in là con la fantasia, anche quegli indizi di nervosismo che Zexion lascia trasparire, quella leggera stanchezza che trasmette, possono essere intenzionali. Si adatta alle aspettative dei suoi interlocutori, compreso l’apparire vulnerabile, accontentandoli per far abbassare loro la guardia e dirigere i loro pensieri.

 

Controllo. E’ questa la sua forza. Controllo su sé stesso, in primo luogo e, essendo quello che è, questo significa controllo sull’ambiente nel quale gli altri credono di essere, cioè controllo su di loro.

La mente ordina e influenza la realtà, quindi qual è il vero potere di chi ha potere sulla mente?

 

Solo adesso fa caso all’abbigliamento del giovane, che indossa solo un paio di calzoni di una tuta e una maglia a maniche corte.

Niente di strano. Nessuno dei presenti, lui compreso, è in uniforme.

Per chiunque altro è solo una questione di comodità, ma c’è una ragione molto più seria del perché, di tutti loro, Zexion è il più pronto a liberarsi della pesante tenuta che li isola dal mondo. Il suo potere dipende da quello che percepisce, sia con le capacità telepatiche che con i recettori sensoriali, quindi elimina ogni ostacolo possibile alla rilevazione dei dati ambientali, per ridurre al minimo l’eventualità di errori di valutazione.

Zexion non si è presentato a un incontro informale con vecchi colleghi. Si è preparato a uno scontro ed è arrivato in pieno assetto di guerra.

Il solo modo per avere un confronto alla pari, sarebbe quello di chiuderlo in una stanza di deprivazione sensoriale. Così, lo si taglierebbe fuori dalla sua fonte.

 

Sto diventando paranoico?

 

Lieve, ma implacabile e inconfondibile, Xemnas avverte il primo accenno di un attacco di claustrofobia.

Sa cosa lo aspetta. Quello che al momento è solo un leggero senso di apprensione - ridicolo. Lui provare apprensione - si trasformerà, in qualche ora, in agitazione, poi irrequietezza, poi insofferenza, poi intolleranza.

Se non le darà sfogo, diventerà in un’emicrania straziante che non ha senso di esistere, ma che da anni sfida ogni possibilità di analisi, tutta la scienza medica di Vexen, tutti i trucchi psicologici di Zexion, tutte le conoscenze farmacologiche di Marluxia.

Inutile combattere. Dopo tanto tempo, ha imparato che non c’è modo per uscirne vittorioso. Farà il suo corso. Come sempre. E si esaurirà. Come sempre. Fino alla volta seguente.

 

“Zexion, l’universo non può permettersi ancora la tua curiosità.”

 

Il giovane non risponde, né Xemnas si aspetta altro.

Solo loro sei conoscono il vero ruolo giocato da Zexion nella storia che ha portato a questo. Mai una volta, in tutti questi anni, Xemnas lo ha sentito rimpiangere quell’idea.

Il bambino prodigio di Ansem.

Un ragazzino innocente.

Padre della morte dei Mondi.

Teorico della morte di suo padre.

E loro lo hanno ascoltato. Lui lo ha ascoltato.

 

Non ha la pretesa di capire quello che passa nella testa del suo compagno, ma, se volesse scommettere, scommetterebbe che Zexion è lieto degli spaventosi poteri che ha ottenuto, della sua capacità di ordinare il pensiero in schemi di inimmaginabile complessità senza essere distratto dalle debolezze mortali.

Xemnas non riesce a credere che chi è in grado di volare voglia essere di nuovo inchiodato a terra. Per nessuna ragione.

 

Meglio terminare la riunione. Prima finisce, prima potrà essere fuori dal castello.

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

Avanti con le risposte ai commenti, e scusate il ritardo :)

 

Lord Larry: Che bello. Un altro fan di Marluxia ^__^

Io lo adoro, ma cominciavo a credermi più unica che rara.

 

Non avere scrupoli a far notare ripetizioni e mancanza (o sovrabbondanza) di virgole. Tu segnala, io provvedo.

 

Come dicevo all’inizio, non ho mai giocato, quindi mi sono fatta un’idea dei personaggi probabilmente molto più legata alla loro storia personale o ai loro poteri che a quello che mostrano nel gioco. Con Demyx ho puntato tantissimo sul suo elemento ^__^

 

In realtà,  trovo abbastanza divertente come vengono giudicati di solito i 13. Prendi Axel. A leggere la stragrande maggioranza delle fanfic, passa per essere impulsivo e molto, molto coraggioso. Ora, se ricordo bene, è il tizio che per far fuori Zexion aspetta che sia ferito e fa pure fare il lavoro a un altro, e assassina Vexen colpendolo di spalle (Vexen. Non parliamo di Saïx. Insomma, cosa può fargli Vexen? Tirargli in testa una beuta?). Per carità, tanto di cappello. Amo chi usa il cervello e non le gonadi, ma, con azioni del genere, posso solo considerarlo un killer astuto e manipolatore e, se dovessi giudicare sul piano del coraggio, cosa che non faccio perché non sono impressionata dal coraggio, lo metterei alla pari con Demyx che se la svigna.

Altro che non riconosco mai è Saïx. Il Saïx canonico è calmissimo, ma passa per quello che, se gli chiedi l’ora, ti salta alla gola ululando come un lupo mannaro. Eppure, quante volte fa una cosa simile? Una! Nei confronti del moccioso che ha massacrato tutti i suoi compagni, distrutto la sua unica ragione di esistenza e si prepara ad ammazzarlo. E grazie. Vorrei vedere a chi non verrebbero i cinque minuti.

Per tacere di Marluxia, che, poveraccio, è il più strapazzato di tutti.

 

 

Frisulimite: A dire la verità, l’idea di arrendersi al destino io la trovo proprio sconclusionata, solo che secondo me Luxord fa più o meno quello. Già il fatto di essere un giocatore, credo che lo renda piuttosto fatalista. Fortuna, sfortuna… credere a cose simili che altro è se non essere fatalisti? Poi dovevo trovare un perché al fatto che usa così poco i suoi poteri. Probabilmente sono superiori a quelli di chiunque e, invece di usarli, ci giochicchia persino quando si tratta di salvare la pelle. Comunque, non è proprio che si arrende. Lui fa una scelta e sceglie quella che considera la carta migliore di quella che vede come una pessima mano.

 

Zexion si è conquistato il posto in prima fila a spallate, detronizzando i legittimi proprietari ^__^

All’inizio la storia doveva essere Roxas/Riku, ma per me Zexion è il personaggio ideale. In teoria dovrebbe essere Vexen, ma è troppo fragile e vulnerabile per essere del tutto di mio gradimento. Zexion è perfetto, come carattere, come ruolo e anche come poteri. Nemmeno lo avessi ordinato su misura. E’ molto divertente e, tra l’altro, mi lascia aperta una possibilità.

Sono davvero contenta che piaccia a così tanta gente come mi sta saltando fuori ^__^

 

Sulla perfidia dei 13 e la bontà di Sora, aspetta prima di parlare.

So che i 13 non sono esattamente bambolini di peluche, ma non hai idea di quello che penso di Sora & company. Mica li ammazzo per niente ^__^

 

D’altra parte, è proprio questo che mi piace di KH. Non cerca di obbligare a schierarti per gli uni o per gli altri e non ci sono giudizi morali. E l’azione più orrenda viene compiuta dai buoni a danno di uno dei nobody.

Odio quando ci sono i buoni e i cattivi prestabiliti. Mi piacciono le sfumature di grigio e non sopporto le lezioni. Decido io da sola per chi tenere, se voglio. Anche se si tratta di distruttori di mondi ^__^

 

 

Krisalia Kinomiya: Grazie. Troppo gentile. Io invece temo proprio di essere un’orgogliosa rappresentante del Dark Side ^__^

 

Demyx è adorabile e non avrei il coraggio di torcergli un capello (a nessuno di loro, in realtà. Uno dei motivi per cui non gioco ai videogiochi. Mi innamoro dei personaggi destinati a schiattare, quindi correrei il rischio di perdere apposta. E poi sai che goduria far crepare Sora in tutti i modi possibili?), però francamente la scusa ‘Sono un pacifista’ per me non sta in piedi.

Non ho previsto di inserirlo fra i personaggi principali, ma salterà fuori almeno un’altra volta, più incarognito che mai ^___^

Di certo non sarà l’indifeso adolescente obbligato dal brutto e malvagio Xemnas a fare cose cattive. Un minimo di rispetto per lui! Avrà pur una sua volontà.

 

Luxord ringrazia sentitamente. Povero tesoro. L’ho reso un po’ patetico, però è anche una delle poche persone davvero decenti della mia storia :D

 

Non credo che Zexion eserciti abitualmente. Sai, ha il problema che i pazienti fanno fatica ad arrivare vivi al suo studio.

Però, adesso che ci penso, potrebbe aprirsi una filiale in un mondo più agevole. Successo garantito. I pazienti o li guarisce, o fa credere loro che sono guariti. In ogni caso, i soldi se li prende ^__^

 

Naturalmente, grazie a tutti per i complimenti ^__^

 

 

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Capitolo 6
*** IV ***


IV

 

IV 

 

 

I Mondi sono tanti. Tantissimi.

Infiniti, se si dà retta a Xigbar.

Se gli si dà troppo retta, e lui è di umore giusto, il guerriero si fa da parte per lasciare posto all’antico fisico e Xigbar si mette a scrivere su qualsiasi superficie disponibile, su muri, pavimenti e soffitti, per dimostrare perché i Mondi sono infiniti, differenziati fra loro da una singola nota, un suono unico e irripetibile, che basta a distinguerli e separarli gli uni dagli altri. Perché giacciono in quel nesso che i loro sensi rilevano solo come un gassosoleosovuoto grigioneroviola, percorso dai sentieri dell’ombra, che è chiamato il Mondo in Mezzo, anche se non è affatto un mondo o una dimensione, ma è come il fluido interstiziale fra le cellule di un organismo e porta vita agli universi, e gli universi che ci galleggiano dentro sono arazzi intessuti con i fili delle cinque Forze, Oscurità, Luce, Crepuscolo, Alba, Nulla, e delle loro antiforme. Come, di là dal loro, esistono innumerevoli altri insiemi di universi, che non si possono raggiungere, perché sono organismi diversi, ognuno immerso nella sua matrice, forse grigia, ma forse no.

Recita i suoi poemi di geometrie e spazio e scrive saltando da una superficie all’altra, fino a quando i muri sembrano un ricamo che racchiude un’epica in una lingua straniera.

E nessuno, naturalmente, capisce molto, ma quello non conta davvero.

Quello che conta, in questo momento, è che, di tutti gli infiniti Mondi, possono tenersene uno per loro.

 

E’ un Mondo dove non ci sono Cuori, questo, inutile per i grandi piani di coloro che infrangono gli universi, ma, siccome non ci sono Cuori, nessuno dà loro la caccia e, per intanto, possono godersi la loro effimera libertà.

Ed è un segreto. Un segreto solo finché nessuno lo vorrà scoprire, naturalmente. Ma tutti loro hanno qualcosa che conservano solo per sé stessi. Un posto dove andare. E, siccome lo hanno tutti, nessuno ha davvero voglia di scoprire il luogo segreto dell’altro, così che, quando è il proprio turno, il favore viene ricambiato.

Non sorprende che questo è il luogo segreto di Marluxia.

I vegetali coprono gran parte del pianeta, dalle giungle tropicali così fitte che la luce del sole non può raggiungere il suolo, alle distese di licheni incrostanti che crescono sulle calotte polari, alle alghe che colonizzano gli oceani. E foreste, boschi, savane, canneti, arbusti, cespugli, fiori, erbe, fronde, liane.

Un mondo che è solo una serra.

 

Roxas rovescia la testa all’indietro per capire fino a dove s’innalzano gli alberi che lo circondano. Il suo sguardo corre verso l’alto, lungo rette verticali che paiono le linee prospettiche tracciate per un fuoco all’infinito, e non riesce a trovarne la sommità.

E’ una foresta di giganti. Tronchi diritti, ricoperti da una corteccia loricata bruno rossiccia, con un diametro tale che può allargare le braccia al massimo e arriva a malapena a coprirne un quarto dei più grandi. Svettano fino a impensabili altezze, come i grattacieli del mondo buio.

Tocca uno dei colossi e rimane sorpreso dalla morbida corteccia spugnosa, dai frammenti che restano attaccati alle dita e sotto le unghie.

Mentre cammina, i suoi piedi sprofondano nel soffice strato del sottobosco, coperto da uno strato di foglie decomposte che attutiscono i passi.

La colonna sonora è lo sgocciolio dell’umidità condensata che cade da migliaia di foglie, migliaia di rami, ogni goccia con una sua frequenza e un suo ritmo. Lo scricchiolare del legno. Il placido ronzio di piccoli esseri volanti, simili agli insetti così comuni su gran parte dei mondi.

Quello che vede è immerso in un mosaico di luce rosa e oro, frantumata e ricomposta da foglie aghiformi.

E gli odori. Quelli dominano su tutto. Odore dolciastro di decomposizione, odore d’acqua e legno. Il profumo denso della resina. Odori cui non riesce ad associare nulla, ma che esistono, a prescindere dalla definizione, e sono ben distinti l’uno dall’altro.

L’intera foresta è un assalto sensoriale.

 

Non è abituato a camminare tanto su un terreno così disagevole, ma, adesso, attraversare i sentieri delle ombre sarebbe un controsenso. Non deve arrivare da nessuna parte e, per una volta, è interessato al viaggio, non alla meta.

 

E’ attratto da un riflesso luminoso, un po’ come l’effetto di una luce tangenziale su una superficie bagnata.

Si avvicina e scopre la causa di quel bagliore.

Una strana struttura si spiega fra i tronchi di due giganti. Un insieme di fili sottilissimi ancorati agli alberi, che formano un’architettura poligonale.

Incuriosito, ci gira intorno.

La struttura si estende solo in due dimensioni e ha un diametro di svariati metri. I filamenti sono talmente sottili da essere quasi invisibili, tranne quando la luce scivola su di essi. La loro disposizione ha una regolarità geometrica.

Roxas ne sfiora uno con un dito. E’ un po’ appiccicoso.

Subito, una creatura esce da una fessura nella corteccia di uno dei due alberi che sostengono la tela e corre rapidissimo sui fili. Di riflesso, il ragazzo allontana la mano.

L’animale si ferma una volta raggiunto il punto toccato da Roxas. E’ una creatura artropode, un po’ più piccolo della mano del nobody, con dieci zampe articolate, una bocca composta, grandi occhi sfaccettati e un carapace colorato di verde, marrone e giallo, perfetto per mimetizzarsi nella foresta.

Roxas sfiora un diverso filo della ragnatela. La creatura si gira e corre verso quel punto, per poi arrestarsi di nuovo.

Il ragazzo ripete più volte l’operazione. Se avvicina solo la mano senza muovere i fili, non ottiene risposta, ma se appena ne sfiora uno, anche se si limita a soffiarci sopra il più debolmente possibile, la creatura reagisce.

Ha capito quello che succede. L’animale percepisce le vibrazioni trasmesse dai filamenti quando questi vengono scossi anche impercettibilmente. Tutti i filamenti sono collegati fra loro in una struttura radiale, quindi può percepire la vibrazione causata, qualsiasi sia il filo coinvolto.

La tela è tirata in uno spazio aperto.

Ci sono una moltitudine di esseri volanti, nella foresta.

Non è difficile collegare le cose.

E’ una trappola, questa. Una trappola ingegnosa. Il massimo spazio coperto con il minimo impegno.

Il ragno si ferma nel centro della tela, in un punto di snodo di diversi fili che si connettono agli altri, e tira i fili radiali, uno dopo l’altro, cercando di provocare altre vibrazioni per localizzare la posizione di quella vittima fantasma di cui adesso non riceve più informazioni. Stavolta, Roxas lascia stare la ragnatela e, dopo qualche tentativo, l’essere torna al suo rifugio sul tronco.

Ormai, però, l’effetto mimetico che lo nasconde è svanito agli occhi di Roxas. Il ragazzino gli tocca il dorso e subito il ragno si volta ad affondarlo, una furia di mandibole e zampe uncinate sollevate minacciosamente.

E’ curioso vedere quella piccola creatura indifesa affrontare un nemico tanto più grande e forte in modo così impavido e feroce.

Forse pensa di non avere altra scelta.

Forse non pensa.

E’ inerme e neppure sa di esserlo.

Basterebbe un dito per schiacciarlo.

Con lentezza, Roxas allunga una mano e la appoggia a palmo insù sul tronco di fronte al ragno.

Invece di attaccare, l’animale retrocede lentamente di qualche passo, poi avanza di nuovo. Per un po’ continua questa sua specie di balletto, spingendosi verso la mano immobile del'adolescente per tirarsi indietro prima di raggiungerla. Alla fine, si decide. Allunga un arto e tocca cautamente la mano. Un tocco rapidissimo e timido e una veloce ritirata.

Roxas non osa muoversi.

Rassicurato, il ragno sembra dimenticare quello che, poco prima, ha considerato un attacco e prende confidenza. Analizza con maggior sicurezza la mano, le gira intorno e, finalmente, sale sul palmo aperto. Il peso della creatura è considerevole, considerate le dimensioni. Le zampe sono coriacee, fredde e solleticano un po’ la pelle, mentre continua la sua esplorazione spingendosi sul polso, poi sull’avambraccio.

Soddisfatta la curiosità, la bestiola torna al nascondiglio fra la corteccia, in pazienza attesa che qualcosa di più commestibile di un indiscreto ragazzo alieno cada nella sua trappola di fili luminescenti, e Roxas riprende i suoi vagabondaggi.

Non ha chiesto lui di essere portato in questo mondo, ma, adesso, si sta godendo il viaggio molto più di quanto potesse immaginare.

Marluxia ha raccontato che, anche se in altre zone del pianeta le cose stanno diversamente, qui non c’è niente di pericoloso, nessun predatore abbastanza forte, nessuna creatura velenosa, nessuna condizione ambientale rischiosa. Così, gli altri lo hanno lasciato libero di fare quello che preferisce. Persino Axel, la sua fin troppo zelante guardia del corpo, gli ha lanciato solo una disinteressata occhiata nel vederlo allontanarsi ed è poi tornato a discutere con gli altri due.

E’ la prima volta che riesce ad avere un po’ di solitudine, fuori dell’ambiente controllato del castello. Quando sono su altri mondi, è sempre sorvegliato e protetto e non gli è permesso allontanarsi. In realtà, anche nel mondo buio non riesce mai a restare solo, se non quando si chiude nelle sue stanze. A volte, neppure in quei momenti.

Xemnas gli ha messo addirittura Axel alle calcagna e Axel ha interpretato il ruolo di custode a modo suo. Invece di seguire Roxas, se lo trascina sempre dietro.

Conosce le ragioni di simili cautele. Lui è troppo utile, come arma e soggetto di studio, perché non lo si salvaguardi da rischi non necessari. Certo è che, da qualche tempo, comincia a sentirsi un po’ ingabbiato. In fin dei conti, sono ben poche le cose in grado di costituire un pericolo per un nobody e lui ha dimostrato più di una volta di essere in grado di difendersi.

 

Quando si decide a tornare indietro, sono passate ore ed è pomeriggio inoltrato.

La foresta termina senza soluzione di continuità ai margini di una ripida cresta coperta dal verde, che scivola a picco verso le rive di un mare non salato. I fianchi della scarpata si spezzano in lame e frange di basalto che si estendono nel mare e, abbracciata fra le pareti di roccia, c’è la spiaggia di una piccola cala. La vegetazione arriva quasi fino al mare e si dirada solo nei punti di battigia, lasciando sabbia nuda intervallata da scogli e pietre.

I suoi tre compagni di viaggio sono ancora lì, dove li ha lasciati quando si è allontanato per esplorare la foresta sull’altipiano. Riesce a vederli con chiarezza anche dal suo punto di osservazione elevato. Si sono liberati di mantelli e anche di buona parte dell’abbigliamento. Ci sono solo loro e, fra loro, non c’è bisogno di nascondersi.

Il sole è leggermente rosso, un colore intensificato con l’avvicinarsi della sera. Sotto quella luce, le loro braccia nude sono macchie rosate e i capelli di Axel hanno il colore del sangue arterioso.

Roxas apre un portale per superare l’ostacolo del precipizio e si rimaterializza sulla spiaggia.

I tre nobody stanno parlando fra loro. Perlomeno, parlano Marluxia e Axel. Larxene ha steso il mantello sotto di lei, accanto a Marluxia, ed è impegnata a sonnecchiare e prendere il sole. Indossa un costume bagnato e anche pelle e capelli sono bagnati. Deve essere uscita dall’acqua da poco, troppo poco perché abbia avuto il tempo di asciugarsi.

Nessuno dei tre dà segno di essersi accorto del suo ritorno, ma se ne sono resi conto, Roxas non ha il minimo dubbio.

Il ragazzo cerca un angolo di prato il più possibile privo di pietre e si sdraia.

I fili d’erba sono alti. Con il volto girato di lato, gli sembra di essere immerso in una composizione di pennellate verdi che coprono il paesaggio di sfondo.

Si rilassa e lascia che i segnali del mondo gli si riversino addosso.

All’inizio della sua esistenza, a circondarlo era un universo di nebbia senza consistenza. Gli bastava sorvegliarlo per rilevare eventuali pericoli e solo quello che era una minaccia o un obiettivo assumeva importanza ed era degno di attenzione. Tutto il resto, scivolava su di lui.

Ma i giorni sono passati e, in quella massa confusa e priva di spessore, alcune sensazioni hanno cominciato ad apparire in rilievo. Voci, immagini, sapori. Giorno per giorno, il mondo ha demolito i muri dentro il quale era rinchiuso e tutto è diventato un qualcosa, dotato di una sua unicità, invece di essere solo parte di un grigio sfondo inerte. A quel punto, Roxas ha cominciato a osservare e ascoltare. Osservare e ascoltare tutto.

Non sa molte cose, ma sa che accumulare informazioni è necessario. E’ vitale. E’ la cosa più importante che deve fare. Potrebbe tralasciare tutto il resto, ma non quello.

Non sa perché deve farlo, non è neppure davvero cosciente di quello che fa. E’ come se si fosse attivato un meccanismo, in lui. E’ diventato una spugna. Qualsiasi cosa percepisce, la assimila e la memorizza. Anche se si tratta solo delle chiacchiere e delle interminabili discussioni dei suoi compagni.

 

“Non ho bisogno di un Cuore per sapere che esisto.” dice Marluxia “E non ho bisogno di un Cuore per sapere che non voglio esistere nel cordoglio e nell’attesa di non sentirmi più in lutto. Non sento altro che lamenti e rimpianti. E tutti si aspettano che anch’io mi lamenti e provi cordoglio e rimpianto. Ma perché? Io non ho fatto niente.”

Diversamente dalla compagna, lui è sdraiato sulla terra nuda, le braccia allargate come per avere il massimo contatto possibile con il suolo e l’erba.

“Marluxia, il tuo mondo esiste ancora? Esiste ancora qualcuno come te, nell’universo?” chiede Axel.

“No, a quanto ne so. Forse qualche superstite sparpagliato in giro. La mia gente non possedeva una tecnologia sufficiente a tenere a bada gli heartless.”

“E adesso sei diventato una delle cose che hanno distrutto il tuo mondo. Come ti fa sentire, questo?”

“Mi fa sentire bene. Lieto di non avere fatto la stessa fine.”  

Axel scuote la testa, poi afferra un sasso e lo getta con tutta la forza verso il mare.

“Qualche volta, credo che tu sia il più mostro di tutti noi.”

“Dovrei lamentarmi perché sono vivo, mentre tutti gli altri no? Non avrei cambiato la loro storia, se fossi morto anch’io. Non ho distrutto il mio pianeta, non ho aperto le porte dell’Oscurità, non ho chiesto di diventare un nobody. E’ capitato, ma l’alternativa era morire, quindi mi ritengo fortunato. Non voglio rigettare anche questa fortuna e non posso provare rimorso per qualcosa di cui non ho avuto nessuna responsabilità.”

“E quello che hai fatto dopo? Quello lo hai deciso tu.”

“Allora è anche più insensato mettersi a piangere, proprio perché sono mie decisioni. Mie, anche quando decido di obbedire a Xemnas. Lamentarsi per quello che siamo non serve, lamentarsi per quello che facciamo è paradossale, se poi continuiamo ad agire nello stesso modo. Semmai, sarebbe sensato smetterla con questo carnaio.”

 

Il ronzio delle creature volanti mescolato al suono della risacca è una miscela narcotizzante che invita Roxas a lasciarsi andare al sonno. Ma dormire gli farebbe solo perdere qualcosa.

Si mette seduto e si sfrega gli occhi. La posizione eretta dissipa subito parte della sonnolenza.

Ci sono boccioli di qualche fiore, fra l’erba, ma nessuno di essi è ancora sbocciato. Sono solo piccole pallottole verdi strettamente chiuse in sé stesse.

 

“Roxas.”

 

A malavoglia, il ragazzo rivolge la sua attenzione a Marluxia.

Non è mai felice che ci si accorga di lui. In genere, significa che gli si chiede anche un coinvolgimento diretto. Riesce a essere cosciente di tutto quello con cui viene a contatto, ma questo non significa che sia concentrato su di esso, o che voglia averci a che fare.

 

“Dimmi un po’, Roxas. Di cosa senti la mancanza?”

 

Roxas non risponde, naturalmente.

Gli sfugge il contesto della conversazione, visto che ha appena fatto tempo ad arrivare e, non inserita in un contesto preciso, quella è una domanda priva di senso. Ma tanto, ha capito bene che lui non c’entra. E’ stato tirato in mezzo solo per essere usato come esempio.

Se possibile, la cosa è anche più fastidiosa della sola attenzione rivolta a lui.

 

“Guarda che Roxas non ricorda niente.” replica Axel.

“Lo so bene. Proprio per questo la sua risposta significa più di quella di chiunque altro. Può rispondere senza essere accecato dal passato.”

“Vuoi dire che non gli può mancare quello che non ha mai conosciuto?”

“Voglio dire che forse non siamo destinati al lutto eterno. Voglio dire che forse è solo una convinzione che ci siamo fatti e non una condizione inevitabile e proprio Roxas può esserne la prova. Lui è libero di essere quello che vuole senza essere condizionato dai ricordi di una vita precedente. Se la nostra natura intrinseca fosse quella dell’eterno rimpianto e brama del Cuore, Roxas ne sarebbe affetto, a prescindere da quello che ricorda.”

 

Axel svanisce in un portale e riappare subito di fronte Roxas, schiacciando alcuni fiori. Fissa attentamente il ragazzino negli occhi, poi gli dà qualche lieve colpo su una guancia.

 

“Se ne aspettano di cose da te, vero, Rox? Il distruttore di heartless di Xemnas, il progetto di Zexion e adesso anche la nostra speranza. Ma ho proprio paura che Roxas sia una speranza di seconda scelta, Maru. Potrebbe convincere chiunque del contrario di quello che affermi.”

Stringe rudemente la faccia di Roxas con una mano e lo volta verso Marluxia.

“Guardalo. Non sarà certo con le vostre pretese che farete diventare questo povero ragazzo qualcosa di più di quello che è.”

“E cos’è, Axel?”

“Il peggiore di noi.”

“Così non rispondi. Cosa siamo noi?”

 

Quasi soprapensiero, Axel intreccia dolorosamente le dita ai capelli di Roxas.

 

“Smettila.” mormora il ragazzino.

 

Axel non dà neppure segno di averlo sentito.

 

“Avanti, Axel.” insiste Marluxia “Adesso non puoi tirartene fuori. Come ti consideri? Alcuni di noi pensano a sé stessi come… onestamente, non ho ben capito. Animali, credo, o meno che animali. Sei uno di loro, Axel? Ti consideri un animale?”

“Siamo gusci. Gusci pieni solo di immagini. Se Roxas è quello che siamo senza le nostre convinzione… no, grazie. Preferisco rimpiangere il passato.”

 

Esasperato, Roxas allontana la mano che continua a tirargli e annodargli i capelli, con una specie di sibilo da gatto rabbioso.

Axel ridacchia, ma si tira indietro. In un istante, scompare in un varco oscuro per riapparire a diversi metri di distanza.

Per quanto le apparenze sembrano affermare il contrario, il giovane non è né stupido né incosciente. Roxas ha l’abitudine di scoraggiare confidenze indesiderate e spiritosaggini con i keyblade. Secondo il suo modo di fare, oggi è stato straordinariamente tollerante. Ha persino avvertito di non tormentarlo ancora. Un segno di considerazione insolito. Non è il caso di sfidare la fortuna.

 

“Siamo fatti di memoria.” prosegue Marluxia, ignorandoli “E’ questo il problema. Gli originali sei sono stati i diretti responsabili di quello che è accaduto loro e non possono dimenticare. Rimangono legati a quello che avevano, a quello che hanno perso. Ricercano quello che ricordano e la ricerca non fa che approfondire il ricordo e il desiderio. E’ un circuito chiuso. Anche nel tuo passato c’è qualcosa sufficiente a cancellare il presente?”

 

La risposta di Axel è un’occhiata in tralice che avverte di fare attenzione. Marluxia si sta addentrando su terreno instabile.

 

“Da quanto sei un nobody, Axel?”

“Da un fottuto numero di anni più di te, ragazzino.”

 

Mette un’enfasi voluta sull’ultima parola e c’è un gelo pericoloso nella voce.

Axel non parla mai del suo passato e non permette che gli facciano domande a proposito. Non rivela neppure il suo nome d’origine.

 

“Io e Saïx, a distanza di pochi mesi, quando i sei si stavano ancora pulendo la bocca dal latte e non avevano ben capito cosa fare di sé stessi. Non vivevano nemmeno nel mondo nero.”

 

Roxas alza la testa, in attesa di sentire altro. Ma, con rammarico del ragazzo, Axel non prosegue e la sua espressione chiarisce subito che non tollererà ulteriori intromissioni in qualcosa che appartiene solo a lui. E’ già insolito che si sia lasciato sfuggire quelle poche parole.

 

“In tutti questi anni, non ti sei ancora stancato di far decidere agli altri cosa fare della tua vita?” chiede Marluxia.

“Ma dai, Maru. Non puoi pretendere da lui una cosa simile.” mormora Larxene, senza aprire gli occhi.

 

Axel sbuffa, ma Roxas si aspettava un intervento della ragazza da un momento all’altro.

Sono strani, quei due. Si spalleggiano sempre, in tutto. Anche quando sono in contrasto, basta che qualcosa si scontri con uno di loro e l’altro arriva subito in suo aiuto e dimenticano le loro divergenze. Sono gli unici ad agire così.

Marluxia si stringe nelle spalle.

 

“Quando ti hanno preso, ti hanno chiesto cosa volevi, Axel? Se è così, sei stato fortunato. A me non è stata data scelta. Mi hanno portato fra loro, mi piacesse o no.”

“Avresti preferito essere lasciato nella Terra del Crepuscolo? Sai quello che fanno ai nobody trovati soli? Hai mai partecipato a un’operazione di reclutamento andata male? Se non lo hai ancora fatto, offriti volontario per andare a recuperare il prossimo e spera tanto di arrivare prima dei nativi.”

Marluxia scuote la testa.

“Mi sta benissimo che mi abbiano trovato e sono grato ai sei per quello che hanno fatto, ma questo non vuol dire avere venduto loro la mia volontà. Sono convinti di essere la causa dell’esistenza dei nobody, di possederli e di poter disporre come vogliono di ognuno di loro, noi compresi. Forse ho davvero perso qualcosa, ma se quello che provo è come quello che ho perduto, se non sento differenza… allora perché dovrei preoccuparmi che il meccanismo è diverso? Perché dovrei impazzire per correre dietro a qualcosa che ho già sostituito? Perché dovrei anche solo negare che l’ho sostituito?”

“Vedo che hai aderito con entusiasmo all’ultima teoria di Zexion.”

“Una congettura. Quella di Zexion è una congettura. Lo è per adesso per adesso, perché la dimostrerà, ne sono sicuro. Dagli solo tempo. Poi la chiuderà in biblioteca, un nuovo trofeo per la sua collezione di enigmi risolti. Se ne farà un uso pratico, la userà per convincere gli altri a fare qualcosa di particolarmente schifoso e pericoloso. Zexion cerca la prova scientifica che noi esistiamo ed esistiamo per noi stessi, peccato solo che quanto arriverà finalmente alla scontata conclusione, probabilmente non ci sarà più nessuno a cui possa servire. Dobbiamo permettergli di decidere come dobbiamo vivere la nostra vita solo perché ne capisce la meccanica? Che siamo stati creati, generati, nati, fatti, che siamo il prodotto di un errore di valutazione, di una disattenzione, di un’imprudenza, di volontà, che nessuno ha mai voluto che esistessimo… non ha importanza. Adesso siamo qui. Siamo vivi.”

“A metà.”

“Se ti piace pensarlo, fai pure, idiota masochista. Ma ricorda che, comunque, mezza vita è sempre meglio di nessuna.” scatta Larxene, sollevandosi.

 

Prima che si alzi in piedi, Marluxia la afferra per la vita, la tira giù di nuovo e la stringe a sé.

Lei gli schiaffeggia la mano e borbotta qualcosa di incomprensibile in una lingua sibilante, ma si rilassa subito.

 

Axel studia freddamente i due.

 

“Non siete diversi da quel coglione di Demyx.” brontola.

 

La ragazza si irrigidisce e stringe gli occhi. Un lieve crepitio, l’atmosfera si carica in risposta alle sue fluttuazioni umorali.

E, in un attimo, tutto torna alla normalità. Larxene sorride e la sua postura perde la tensione.

 

“E allora? Se sta bene a noi, a chi altro deve importare? E’ mezza vita fino a quanto tu pensi che lo sia. Mi sono stancata di questi piagnistei. Ho più potere ora di quanto non ne avevo prima. Non invecchio. Ho visto cose che sul mio mondo neanche ci sognavamo. Queste sono buone cose. Ottime cose. Ho perso qualcosa e ho guadagnato qualcosa. Ci posso anche stare e, comunque, non posso farci niente. Tanto vale che mi rassegni e mi goda i vantaggi.”

“Ci consideriamo incompleti,” prosegue Marluxia “ma come puoi definirti incompleto per la mancanza di qualcosa senza la quale continui a vivere, pensare, non soffri di decadenza fisica e mentale e hai superiori possibilità di sopravvivenza? Rispetto agli esseri dotati di Cuore, siamo più intelligenti, più forti, più adattabili, più resistenti, abbiamo maggiori capacità di controllare il mondo. Se proprio devo giudicare, io lo definisco un miglioramento del progetto originale.”

“Un miglioramento costato un mondo per ognuno di noi.”

“Le cose funzionano così, nella vita. A colpi di catastrofi. Chi le supera, ha una carta in più rispetto agli altri e ha il diritto di andare avanti. Ogni singolo nobody, persino quelli di rango più basso, è una persona straordinaria, qualcuno dotato di tale forza e volontà da vincere la morte. Noi tredici, con i ricordi della nostra vita, abbiamo fatto qualcosa di più, siamo speciali anche fra loro. Non ha molto senso volere tornare indietro.”

“Io non ho ricordi.” sussurra Roxas.

“Cosa?”

“Hai detto ricordi. Che noi siamo speciali perché abbiamo ricordi, che siamo fatti di memoria. Continuate tutti a parlare di memoria e di ricordi. Io non ho ricordi.”

 

Tutti quanti si aspettano che chieda loro qualcosa, oppure che arrivi a una conclusione, ma lui torna al suo mutismo, con le mani che si intrecciano l’una con l’altra.

 

“Ti piace vivere, Roxas?” chiede Larxene.

 

Il ragazzino è preso di sorpresa. Fino a questo momento, Larxene non ha dato neppure segno di essersi accorta di lui e, all’improvviso, riconosce la sua presenza con una domanda simile.

 

Larxene si alza e va a inginocchiarsi di fronte a Roxas, in modo che i loro occhi siano allo stesso livello.

Il ragazzo si ritrae impercettibilmente.

Ha paura che lo tocchi. Non gli piace essere toccato.

Lei non lo sfiora neanche.

 

“Ti piace vivere?” chiede di nuovo.

 

Roxas osserva diffidente la giovane donna.

Non sa cosa rispondere e teme che qualsiasi risposta sarebbe la più sbagliata, per lui.

Forse Larxene vuole solo divertirsi a sue spese. E’ uno dei passatempi favoriti quasi da tutti, quello di ingaggiare duelli verbali, cercare di sopraffare, umiliare e sottomettere con le parole. Larxene è una fuoriclasse, in questo, mentre lui non può competere con nessuno. E’ una vittima inerme e ne è cosciente.

 

“Allora? Ti piace? Non ti piace? Non te ne frega niente?”

 

Ma, forse, prendersela con lui non le darebbe abbastanza soddisfazione da valere la fatica, quindi potrebbe anche essere sincera.

 

“Non so…”

“No, non è a me che interessa.” mormora la donna “Però vedi di pensarci. E’ quello che risponde a ciò che ti stai chiedendo. Solo tu puoi dirti chi sei o, comunque, dovresti ascoltare solo te stesso quando ti chiedi chi sei. Chiunque altro ti darà solo la risposta che gli fa più comodo. Ti vorranno far credere di essere qualcosa di meno o di essere qualcosa di diverso. Magari, qualche volta, ti diranno anche la verità, ma è meglio dubitare sempre, che credere a una sola volta sbagliata.”

 

Gli occhi della ragazza sono chiari e luminosi quasi quanto quelli di Axel e quasi dello stesso colore, ma a sfumature inverse, più azzurro che verde.

I suoi movimenti, di solito così rapidi da non essere del tutto percepibili, sono rallentati sino all’indolenza.

L’acqua su di lei si è quasi asciugata. Il costume, invece, è ancora bagnato.

Nell’acqua, il potere di Larxene si trasforma in una trappola mortale per la sua stessa padrona, però lei ha voluto entrare in mare.

Roxas è tentato di chiederle il perché di un simile paradosso, poi ci ripensa.

 

“Tu sei il mio primo ricordo.” le dice.

 

Lei e il fulmine scagliato dalla sua mano, che è stato il dolore della nascita.

Non c’è nulla, prima.

 

Axel si è alzato e si è avvicinato. In piedi, getta un’ombra su di loro.

 

“Come mai tanta premura verso il marmocchio?” chiede.

Ha un tono vagamente ostile, come se considerasse l’azione di Larxene una violazione dei suoi diritti territoriali su Roxas.

“Perché nessuno si prende mai la briga di chiedergli niente.”

“E, siccome sei la solita, vai controcorrente.”

“Diciamo così.” afferma la donna “Tu gli hai chiesto se aveva voglia di venire qua o te lo sei solo trascinato dietro? Nemmeno noi due ci siamo preoccupati di quello che voleva, quando ti abbiamo visto arrivare con lui. Adesso voglio chiedere.”

“Tanto direbbe di sì. Obbedisce sempre a tutti. Dovrei provare a lanciare un bastone per vedere se va a riprenderlo.”

 

Larxene si stringe nelle spalle e si dirige al mucchio di abiti gettati sulla spiaggia. La temperatura si è un po’ abbassata. La ragazza si sfila il costume e indossa pantaloni e casacca, quindi si sdraia di nuovo accanto a Marluxia.

 

“Tutti abbiamo almeno una vita alle spalle, ma lui conosce solo noi. E’ ovvio che obbedisca, Axel, ma tu hai mai pensato di metterlo davanti a un’alternativa? Intanto, oggi ha preso decisioni in modo autonomo. Andare a esplorare la foresta, il tempo in cui restarci, quando tornare, sono tutte scelte che ha fatto da solo. La prossima volta, prova a chiederglielo. 'Vuoi venire con me?' Magari non risponderà, magari sì.”

 

Axel lascia Roxas, si avvicina alle rive del mare e si accovaccia proprio nel punto di risacca.

Piccoli esseri che sembrano stare a metà strada tra pesci e anfibi si crogiolano sulle pietre, rimanendo nel campo delle onde lambenti. Strisciano via appena li si avvicina, muovendosi su arti che sono ancora più pinne che zampe, e si tuffano in mare, lasciandosi dietro scie di muco vischioso.

Creature invertebrate simili a insetti si muovono sulla spiaggia. Balani e cirripedi, o cose che assomigliano a balani e cirripedi, sono attaccati alle rocce. Lunghe foglie giallastre galleggiano nel mare e si aggrovigliano mentre il movimento ondulatorio delle acque le spinge negli interstizi degli scogli.

Stende la mano su quella moltitudine di vita. L’aria comincia a tremolare, riscaldata.

 

“Non farlo.”

 

Axel sobbalza leggermente, preso alla sprovvista dalla voce di Marluxia.

Il giovane si è girato sullo stomaco, il mento appoggiato alle braccia incrociate. Sul suo volto c’è quel mezzo sorriso gentile che è quasi una sua espressione fissa, ma gli occhi color cobalto sono attenti e con niente di gentile.

Marluxia è inesperto, arrogante e tremendamente ingenuo, ma ha un controllo sul suo elemento che eguaglia quello di molti dei sei e, in realtà, non si sa di preciso quello che è davvero in grado di fare.

E’ che in tutti c’è il sospetto di qualcosa di troppo vasto per essere compreso appieno e che nessuno ha davvero voglia di testare. Marluxia, di sicuro, non lascia intendere niente.

Axel alza le mani in segno di resa e sorride malignamente.

 

Roxas studia i boccioli nel prato.

I fiori devono essere blu. Si intravede una sfumatura bluastra sotto i sepali serrati.

Sicuramente sono blu.

 

Con l’approssimarsi del tramonto, la pressione atmosferica su terra e acqua è all’equilibrio. La brezza che ha soffiato fino a quel momento è calata e il mare si è placato.

Non che fosse mosso, prima, ma c’erano increspature a frantumare la superficie, qualcosa che rendeva chiaro che si tratta di una massa liquida soggetta a movimento.

Adesso è immobile, come l’aria.

Senza il vento a trascinare via i suoni, il ronzio degli insetti e lo sciacquio della risacca sembrano più forti.

 

“Voi non avete ancora capito bene cosa siete diventati e cosa significa. Siamo confinati nel mondo buio. Fuori da lì, chiunque vuole la nostra pelle. Volete vivere sempre nascosti, sempre come fuggiaschi o bestie braccate?”

“Axel, questo è demenziale. Abbiamo eserciti, abbiamo flotte. Li usiamo per devastare pianeti. Perché invece non usarli per prenderci il nostro spazio?”

“Conquista?! Andiamo, noi non conquistiamo mondi. Che ce ne faremmo?”

“Distruzione? A che serve? Nessuno ci concederà mai il diritto di esistere, nessuno ci dovrà mai nulla, siamo noi a doverlo imporre. Potremmo difenderci dagli attacchi, obbligarli a riconoscere la nostra esistenza e a lasciarci in pace, ricostruire la nostra vita. Ognuno di noi ha il potere di distruggere un universo, eppure ci nascondiamo come topi in una fogna. Non siamo come loro, sono i primi a dichiararlo, e hanno ragione. Non lo siamo. Allora perché dovremmo adeguarci a quello che loro considerano giusto? Perché dovrebbe anche solo importarci di quello che considerano giusto, invece di cercare un nostro modo di vivere, giusto per noi? Conquistare non ha senso, è vero. Non serve. C’è spazio sufficiente per tutti, negli universi. Moltissimi pianeti come questo, vuoti di vita senziente, privi di Cuori, che potrebbero essere nostri, invece di arrancare in un mondo dove ogni singolo giorno è una scommessa.”

“Secondo te, allora, perché non lo facciamo?”

“Perché vorrebbe dire rinunciare a questo stato di indeterminazione. Vorrebbe dire avere deciso di cominciare davvero a vivere e non più solo a esistere.”

“Sei un sognatore, Marluxia.”

“Tu, invece, sei saldamente ancorato alla realtà. Ma credi davvero che Xemnas otterrà quello che vuole?”

“Sai una cosa? Non ci ho mai pensato.”

“Io sì, invece. Ci ho pensato e non ci ho mai creduto e, adesso, ci credo anche meno. Se proprio devo scegliere, credo molto più alle capacità scientifiche di Vexen, Zexion e Lexaeus che a quelle di Xemnas. Perlomeno, credo di più alla loro obiettività.”

“O, magari, preferisci credere a loro perché forniscono elementi di sostegno a favore di quello in cui credi. Dovrebbe essere il contrario, non pensi?”

“Credere a coloro che negano quello di cui sono convinto?”

“Voglio dire che dovresti prima valutare le teorie, poi decidere qual è la più convincente.”

“Axel, so già chi ha ragione. L’ho sempre saputo. La vita è una sfida riuscita alle leggi del caos, qualcosa che perdura e rimane sé stessa quando il resto dell’universo cerca di disfarla. Noi siamo vivi, più di chiunque, e Zexion ci è arrivato dopo solo nove anni di lavoro. Non ho bisogno di conferme, da gente così.”

 

Marluxia si solleva e si siede a gambe incrociate. Fa in modo di spostare gentilmente Larxene, fino a quando lei non ha la testa appoggiata nel suo grembo.

Prende una delle antenne piumose della ragazza, simili a quelle di una farfalla notturna, e se la lascia scorrere fra le dita.

 

“Stiamo impazzendo e spazzando via interi mondi per diventare quello che distruggiamo e, nel processo, siamo diventati quello che dicono che siamo. Mostri.”

 

C’è un cambiamento nel tono della sua voce. Adesso non è più solo un modo come un altro per riempire il tempo, un pigro giocare con possibilità e parole.

 

“Se pure riuscissimo a ottenere quello che cerchiamo, potremmo scoprire di essere rimasti soli nel nulla.”

 

Axel immerge una mano nelle acque del mare e le rimescola lentamente.

Fili di vapore si sprigionano dalla superficie. Il giovane ha perso la sua solita espressione arrogante. Appare quasi abbattuto.

 

“E’ un sogno.” ripete “Sognare è una cosa pericolosa per noi, credimi. Nessuno verrà mai a patti con un nobody, non importa quello che facciamo o non facciamo. Non importa quello che diciamo. Se cercassi di parlare, non ti ascolterebbero, Maru. Per loro non sei un animale. Sei solo una cosa e le cose non parlano. Credo che non sentirebbero neppure le tue parole, nemmeno se urlassi fino a perdere la voce.

 

Il sole è diventato di un rosa elettrico. Tocca l’orizzonte e il suo riflesso si scioglie in un mare che è una lastra di cromo liquefatto.

 

“Mi piace, questo posto.” afferma quietamente Roxas “Voglio tornarci ancora.”

 

Larxene gli sorride.

 

“Certo. Di tempo ne abbiamo quanto ne vogliamo.”

 

La sua voce si perde nel silenzio del tramonto.

 

Axel si alza, recupera il mantello e se lo getta su una spalla.

 

“Fate un po’ quello che volete, bambini. Vi dovrete svegliare fin troppo presto. Io ho fame e sono stanco. Vado a cercare un posto decente per mangiare e me ne torno a casa.”

 

Roxas osserva e ascolta. Non capisce, però sa che, se osserverà e ascolterà abbastanza, alla fine capirà tutto.

Mentre gli altri raccolgono i loro abiti, preparandosi a lasciare il pianeta, resta seduto, intento a fissare l’erba e le minuscole macchie blu dei fiori sbocciati che adesso la costellano.

 

 

* * * * * * *

 

   

Fa caldo.

Il sole è quasi perfettamente sulla verticale rispetto all’isola e la luce è incandescente. Gli occhiali scuri, uno scudo indispensabile contro l’asprezza del suo mondo, sono caduti quando Roxas lo ha colpito. Sono abbandonati sulla spiaggia, accanto al nobody, irraggiungibili.

E’ insensato sentire la mancanza di un paio di occhiali da sole in un momento simile, ma non può farne a meno, come non può fare a meno di avere caldo.

L’aria è una specie di zuppa vischiosa e, sdraiato a terra, non solo Riku è esposto in pieno, ma assorbe anche il calore del terreno. Il vento del mare non riesce a toccarlo. Serve solo a sollevare la sabbia e a fargliela finire addosso.

 

I colpi di keyblade hanno introdotto a forza brandelli della camicia nelle ferite. Sotto di lui, la spiaggia bianca è nera di sangue.

L’Oscurità, nell’incessante opera di mantenerlo in vita, cerca di ricostruire e rimettere insieme tutto quello che era il suo corpo. Il sangue la confonde. Il sangue è parte di lui, deve essere riunito alla forma a cui appartiene. Il sangue e quello a cui è legato.

Così, l’Oscurità fonde stoffa e sabbia con la carne. Ricostruisce fibre nervose e le estende nel terreno e negli abiti insanguinati, estroflette tentacoli dal suo organismo che inglobano tutto ciò in cui percepisce anche un solo frammento di lui.

Riku sta diventando, letteralmente, tutt’uno con l’isola.

Chissà se la sua coscienza non finirà per riversarsi nella terra. Se, dopo la sua morte, rimarrà l’ombra di lui, un fantasma legato per sempre a questo mondo che odia, immobilizzato, impossibilitato ad andarsene e a sparire fino a quando non perdurerà la materia dell’Isola.

Consapevole. Immerso nella luce. La luce del sole e quell’altra Luce.

Quella c’è sempre.

E’ un mare ostile che Riku ha tenuto a bada tutta la sua vita, ma adesso sembra che Essa si sia resa conto della sua debolezza e gli si frange addosso con onde lente e continue intese a disgregarlo.

Roxas sembra berla. Sembra generarla.

E’ anche così che lo ha sorpreso, attaccandolo nel momento dello zenit della Luce, mescolato a essa, confuso con essa, muovendosi in essa, mentre Riku era al suo minimo.

 

“Sei stato tu. Tu hai ucciso Kairi.”

Roxas annuisce, quasi impercettibilmente.

“Lei se ne sarebbe accorta.”

 

Certo, se ne sarebbe accorta e allora cosa avresti fatto tu, Riku?

Per un attimo, immagina di essere al posto di Roxas.

Ti risvegli, nuovamente te stesso dopo dodici anni di silenzio. Ti accorgi di essere imprigionato nel corpo di un altro uomo, il tizio che ha passato la vita a sterminare quelli come te. Che il tuo amico del cuore è il tale che ti ha rapito, ripassato come un tappeto e consegnato nelle mani del carnefice.

Che fai?

Semplice. Appena ne hai la possibilità, li uccidi entrambi. E non ci pensi su un secondo.

Gran trovata. Molto umana.

Ma Roxas non è umano. Non pensa come un essere umano. Non reagisce da essere umano.

Svegliarsi improvvisamente, trovarsi preda di una collera avventata, correre a cercare il nemico odiato per ucciderlo… non sono cose da nobody.

Un nobody non agisce così. Un nobody si prende il suo tempo, studia il nemico, cerca il momento più favorevole, anche se questo gli costa giorni, o mesi, o anni. E allora, prima o poi, la moglie se ne accorge. Soprattutto se questa moglie è, a sua volta, una portatrice di keyblade.

Certo, Kairi non è mai stata la custode più abile dei Mondi, ma neppure del tutto inetta. E’ stata capace di attraversare i sentieri delle ombre senza impazzire o perdersi. Conosce i nobody e i loro trucchi anche meglio di chiunque altro. E, dentro di sé, custodisce l’anima di Naminé.

Soluzione. La moglie deve essere tolta di mezzo.

Inutile chiedersi come ci sia riuscito. Su Kairi non si è trovato segno di violenza fisica, né tracce di veleno, né di incantesimi letali, né qualsiasi altra cosa che potesse far pensare all’omicidio. Ma ci sono cose più sottili della violenza, del veleno, della magia conosciuta sull’Isola.

Per quel che ne sa, Roxas usa di preferenza le armi materiali, piuttosto che manipolare le Forze, ma questo non vuole dire che non possa farlo, all’occorrenza. Persino lui è capace, o è stato capace, di usare la sola Oscurità per uccidere e Roxas domina la Luce, di gran lunga più letale per la vita.

Deve avere fatto qualcosa alla struttura della forma fisica di Kairi che ha fermato il suo cuore senza lasciare traccia. Poi si è addormentato al suo fianco, sapendo bene che lei non si sarebbe svegliata. E, probabilmente, a quel punto ha fatto posto a Sora, lasciando che fosse lui a destarsi accanto alla moglie morta.

Perché Riku è certo di avere parlato con Sora, dopo la morte di Kairi. Era Sora al mattino, era Sora durante il funerale.

Sora, non Roxas.

Allora, più che altro, c’è da chiedersi perché lui non se ne sia accorto. Le parole di Roxas lasciano intendere che, forse, la metamorfosi ha preso un po’ di tempo.

La cosa potrebbe non essere stata così immediata. Forse i due si sono scambiati i ruoli più di una volta, la loro coscienza fluttuante saltuariamente, almeno i primi tempi.

Oppure l’uno ha sostituito lentamente l’altro e, per un po’, l’entità di fronte a lui non è stata esattamente né Sora né Roxas, ma un po’ entrambi.

A ogni modo, una cosa è certa. Lui non si è accorto di nulla.

 

“Niente di personale…”

“Molto personale, invece. Ne andava della mia vita. La considero una faccenda estremamente personale. Poi, era il solo modo che avevo per uccidere quello che restava di Naminé.”

 

Fa caldo e Riku non ha dubbi che il caldo non farà che aumentare.

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

Lord Larry: Dove voglio arrivare? Ma al punto dove ho iniziato, no? ^__^

Presumo che, arrivata a questo punto, dovrei mettere l’avviso di What If. Non tanto perché sconvolgo la trama esistente, quanto perché ricamo sui particolari e sui personaggi. Insomma, quello che succede nel gioco lo metto dentro, però man mano che costruisco la storia, probabilmente ci sbatto dentro particolari che mi invento di sana pianta.

Comunque la trama è quella. Non ci saranno grandi rivoluzioni. Almeno credo.

Eccetto, naturalmente, quella parte che è ambientata nel futuro rispetto al gioco. E quando mi lasciano aperte delle scappatoie. Lì mi riservo la massima libertà.

In realtà, non è nulla di particolarmente sconvolgente. Sono abbastanza prevedibile. Perdo molto più tempo dietro ai rimuginamenti dei personaggi e a giocare con il loro ruolo che ad altro.

Come avrai capito, questa è una cosa che adoro.

 

Grazie per avere scritto un commento simile. L’ho davvero molto apprezzato ^__^

 

Ti perdono l’accidia, ma tu mi perdoni il ritardo con cui ti ho risposto  ;)

Ahimé, è un difetto di cui non mi libererò mai. Sono spaventosamente lenta a scrivere.

 

Ciao

 

 

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Capitolo 7
*** V ***


V

 

V

 

 

I nemici lo circondano, uomini corazzati e uomini in volo su oggetti che sembrano un po’ alianti e un po’ insetti, un po’ macchine e un po’ organismi, tanto piccoli da avere posto per un solo passeggero, il pilota che li governa con il pensiero mentre combatte.

E’ la prima, vera situazione di guerra, per Roxas. Prima d’ora è stato mandato solo in mondi primitivi, oppure pacifici. Questo non è né una cosa né l’altra e gli abitanti sanno cosa sono i nobody.

Sono qui per il pianeta, non per i Cuori, e non possono rilasciare gli heartless. Il rischio che distruggano il mondo intero è troppo grande. Non possono neanche usare le navi per abbattere forze terrestri e frammentate. Hanno bloccato i collegamenti a lungo raggio e disattivato le difese strategiche, ma sono rimasti gli eserciti, addestrati ad agire autonomamente, e quelli devono affrontarli apertamente.

Nemmeno Roxas può muoversi e combattere ininterrottamente. Un istante in cui tira il fiato, e sente un colpo violento ma attutito sulla schiena, all’altezza della scapola destra.

Non si preoccupa. E’ abituato a essere colpito durante gli scontri con i suoi compagni, anche duramente. Mai una volta ne ha riportato danni. Mai una volta si è fatto davvero male.

Però, appena fa un passo, il keyblade gli scivola dalla mano e questa è una cosa inaspettata. Inaspettata e impossibile. Lui non perde la presa sulle sue armi, né sbaglia mai. Si china per riprendere la spada, ma non riesce più a stringere il pugno.

Le dita si rifiutano di obbedirgli.

Anche l’altro keyblade è troppo pesante da reggere. Si ritrova in ginocchio e non si è accorto di essere caduto. La schiena gli fa male e sente caldo.

C’è un foro sul davanti del suo mantello, appena sotto la clavicola, e il sangue ne esce a fiotti. Un proiettile lo ha attraversato da parte a parte. Biasima sé stesso per non avere intessuto uno scudo protettivo.

Qualcuno lo sovrasta. Un soldato dell’esercito nemico, su una di quelle piccole macchine volanti. Non sa se è quello che lo ha preso. Presume di no. Quest’uomo ha fra le mani un’arma pesante e sa che non è stato colpito con quella. Probabilmente, è stato solo un tiro fortuito, arrivato da chissà dove.

Il soldato mira alla sua testa e spara.

Il ragazzo vede distintamente il proiettile fuoriuscire dalla canna e arrivargli addosso, ma, tanto, non può schivarlo. Sono armi incantate e il proiettile tracciante ha agganciato il suo segnale vitale.

A parte il dolore puramente fisico, la sola cosa che Roxas prova è una specie di clinica curiosità, anche se sa che sta per morire. Ha visto l’azione di quei proiettili sui nobody inferiori. Esplodono, una volta all’interno del corpo.

I suoi riflessi sono rimasti i soliti, tanto rapidi da permettergli di seguire il percorso di un proiettile, ma il corpo traumatizzato dalla ferita non può starci dietro. Non riesce a muoversi e non riesce neppure a ordinare i pensieri abbastanza chiaramente da formulare un incantesimo difensivo. Stavolta, non ha possibilità di salvarsi.

I nobody sopportano ferite fatali per qualsiasi essere completo, ma neppure un nobody può sopravvivere a un colpo che distrugge il cervello. L’uomo sta per ucciderlo e, in questo momento, lui non riesce a trovare un sistema per impedirglielo.

Ma il proiettile rallenta e si ferma nella traiettoria. Rimane così, per un istante, congelato nello spazio, poi viene risucchiato indietro.

L’uomo che ha sparato emette una specie di strano verso e si contrae, si accartoccia e ripiega su sé stesso fino a sparire, mentre lo spazio collassa dentro di lui e lo inghiotte insieme alla sua aeromobile e al proiettile partito.

Adesso, accanto a Roxas, c’è Xigbar. Peccato che non può operare il suo trucco su vasta scala, o potrebbe eliminare tutto l’esercito. Ma quel che ha fatto non è cosa da poco e non può nemmeno ripeterla spesso.

Uno sciame di quelle strane piccole macchine volanti lo hanno seguito e lo circondano come calabroni rabbiosi.

L’uomo solleva Roxas e se lo mette sotto un braccio, compreso il keyblade che ancora regge fra le ditta molli.

 

“Scommetto che non ci prendono.” sorride “Tu non guardare.”

 

A quel punto, fa qualcosa. Lo spazio si rovescia e subito dopo - No. Proprio nello stesso momento - sono altrove. Poi ancora altrove. E ancora.

Il ragazzino non ha tempo di rendersi conto di quello che li circonda e già si trovano da qualche altra parte, dove tutto è diverso. Xigbar sta operando con il suo potere di alterare lo spazio per teletrasportarli continuamente, ma i nemici continuano a circondarli. Riescono a seguirli anche mentre saltano da un punto all’altro del pianeta.

 

Sono in piedi sulla parete verticale di un edificio di vetro e acciaio. Sotto di loro si stende una città titanica e anche il secondo keyblade è scomparso, ma hanno già cambiato posizione, e adesso sono diritti sul nulla.

C’è il mare sopra di lui. Sopra la sua testa.

Grigio, ondoso, mosso, schiumoso, fragoroso, dinamico. Sopra la sua testa.

Una massa liquida ondeggiante con un angolo di una trentina di gradi rispetto al suo asse. Sopra la sua testa.

Forse basterebbe alzare il braccio per toccare l’acqua. Ma è l’idea di alzare il braccio - Alzarlo! - per toccare la superficie del mare che è assolutamente, completamente, irrimediabilmente sbagliata.

Le onde si alzano - Abbassano!

Sotto i suoi piedi, un cielo grigio di nubi ribollenti.

Suo malgrado, Roxas urla.

Xigbar gli prende la testa e gli preme il viso contro il suo petto, impedendogli di vedere.

 

“Non guardare. Non vomitarmi addosso.”

 

Non gli piace quest’uomo che si prende sempre troppa confidenza con lui, ma ora si ritrova a stringerlo fino quasi a mozzargli il fiato.

Non è mai stato così spaventato.

Non è mai stato spaventato.

 

Xigbar ride mentre si lancia nel colabrodo in cui ha trasformato lo spazio, sfidando ogni volta la sua capacità di spazzare via particelle e molecole dell’atmosfera che potrebbero fondersi alle loro, sfidando ogni volta la sua capacità di prevedere dove c’è solo aria e dove invece materia solida o liquida. Sfidando ogni volta la possibilità di finire amalgamati a una montagna.

Roxas si rende conto che a Xigbar tutto questo piace. Piace davvero, non per imitazione o ricordo o finzione. Quella forma di telepatia che tutti loro condividono gli permette di saperlo con certezza. In quel momento, per l’uomo non c’è ieri, non c’è domani, non c’è tempo se non il presente.

Nessun ricordo di qualcosa che è stato. Nessuna operazione di copia incolla da una precedente esperienza di vita umana.

Xigbar non sta nemmeno pensando, se non per formulare quei pensieri che gli permettono di riordinare lo spazio.

Sta volando.

 

Il ragazzo guarda ancora, solo di sfuggita, e quello che vede gli fa rimpiangere la sua decisione. Stanno precipitando in un abisso. Salto dopo salto, il fondo è più vicino. Una fontana di scintille e fiamme e frammenti incandescenti di metallo fuso piove su di loro, resti di una delle macchine volanti che si è schiantata contro le pareti del precipizio, ma si sono già traslati e i detriti taglienti attraversano lo spazio che occupavano senza colpirli.

Poi sono fermi. Roxas si azzarda ad aprire gli occhi e vede che sono in un deserto di roccia. Terra solida. Piano orizzontale.

 

“Hanno perso.” ghigna Xigbar, scoprendo denti aguzzi quasi quanto quelli di Saïx.

 

Uno dopo l’altro, i loro inseguitori si sono schiantati contro pareti di pietra e acqua e tutti quegli ostacoli che Xigbar ha evitato.

 

Roxas è talmente scosso che non cerca neppure di liberarsi dalle braccia che ancora lo stringono e aspetta che sia l’uomo a metterlo a terra.

Riesce a non cadere, anche se ha la sensazione di essere in piedi su un materasso ad acqua semivuoto o su della gelatina.

Sta gemendo, con strani suoni che sembrano vagiti. Qualcosa che considererebbe vergognoso, se solo gli importasse qualcosa, ma, in questo momento, non ci pensa neppure a difendere la sua dignità.

Ha ancora la sensazione che il mondo debba sparire da un istante all’altro per ricomparire del tutto cambiato.

 

Xigbar aggrotta la fronte.

 

“Stai bene?”

“Non lo so…” borbotta lui.

 

Fa qualche passo per riprendere l’equilibrio. Dopo pochi metri, sospira, si piega in due e rigetta quello che ha mangiato.

 

Durante i salti, anche quando si è trovato a testa in giù, non ha provato la sensazione di essere davvero capovolto. L’effetto di rovesciamento è dovuto all’angolazione del piano di equilibrio individuale rispetto al piano gravitazionale. Ma Xigbar ha operato un continuo e completo capovolgimento del loro personale campo gravitazionale, applicato a ogni singola cellula del loro corpo, compresi labirinto e sistema propriocettivo, e Roxas non ha avuto quindi modo di avvertire con le proprie percezioni di equilibrio le strane angolazioni. Ma quelle immagini rovesciate, angolate, piazzate dove secondo logica non avrebbero dovuto esserci, sono state sconvolgenti. Siccome Roxas non si è sentito sostenuto da un piano sbagliato, l’impressione avuta è che a essere sbagliati fossero il mare, la terra e il cielo, che stessero per piombargli addosso.

 

Finalmente, il suo stomaco smette di fare i salti mortali.

Il ragazzo si asciuga la bocca e cerca di riordinare i pensieri.

 

Xigbar è davanti a lui. La sua espressione è un po’ di disgusto e un po’ di preoccupazione.

Ci sono solo loro due, qui. Il terzo, lo hanno lasciato solo quando sono scappati. L’ultimo ricordo che ha di lui è averlo visto immobile, la testa bassa coperta dal cappuccio, le braccia abbandonate lungo i fianchi, circondato dai nemici. Poi, non ha più avuto modo e tempo per preoccuparsene.

 

“Marl…” comincia, ma prima di riuscire anche solo a finire il nome, è interrotto da un nuovo conato e si ritrova a vomitare i suoi succhi gastrici.

Xigbar salta indietro prima che il vomito gli schizzi sugli stivali.

“Se quella gente ha solo un po’ di cervello, gli starà lontana.” dice, e sogghigna.

 

Roxas ansima, chino in avanti.

Questa volta, non dice una parola ed evita qualsiasi movimento che potrebbe far riprendere gli spasmi e la nausea.

Gli occhi gli lacrimano e la cosa gli impedisce di vedere chiaramente.

Man mano che passa lo stato di alterazione dovuto alla battaglia, comincia ad avvertire dolore alla schiena, e anche la testa gli fa male. Come delle specie di pulsazioni che si originano dietro gli occhi e si ripercuotono in tutto il cranio.

 

Forse Xigbar ha ragione. Ci sarà pure un motivo per cui in un gruppo che comprende gente come Xaldin, Saïx, Axel e Larxene, proprio Marluxia è chiamato assassino.

Vuole che sia così, che quel nome non sia solo un’attribuzione poetica.

Roxas non sa cosa significa sperare. Nei suoi mesi di vita, ha ottenuto tutto quello che ha voluto e non ha mai dovuto attendere. Quando ha chiesto qualcosa, Xemnas o uno degli altri si è affrettato ad accontentarlo. Quindi, il solo modo che ha per sperare è volere. Oppure non volere.

Non vuole pensare a Marluxia come a qualcosa di morto. Sarebbe una condizione troppo innaturale.

 

Xigbar gli appoggia una mano sulla spalla illesa.

Il ragazzino sussulta e tenta di liberarsi, ma l’uomo stringe la presa fino a fargli quasi male e lui smette di ribellarsi. Chiude gli occhi e si aspetta il peggio, ma, questa volta, la traslazione è molto più tranquilla e il loro campo gravitazionale resta coerente a quello del pianeta. 

Il teletrasporto di Xigbar è molto diverso da quello che conosce. Non è come navigare nei sentieri delle ombre. Quello non è trasporto immediato. Occorre aprire la porta, entrare nel limbo grigio, traslarsi fino a raggiungere il punto corrispondente al luogo che si vuole raggiungere e quindi rientrare nel mondo materiale.

Questa volta è qualcosa del tutto differente, qualcosa che Roxas non ha mai sperimentato, ma lui controlla la Luce, che è la Forza di ordito di Spazio e Gravità, e può seguire e capire, concettualmente, come opera Xigbar.

In qualche modo, contrae lo spazio per far sì che i due punti, quello di partenza e quello di arrivo, coincidano, si aggancia al punto di arrivo, poi lascia che lo spazio torni alla forma originale, saltando come un elastico, e venendo trascinato con esso.

Non ha idea di quanto tempo è passato da quando Xigbar lo ha portato via, ma, ora, il campo di battaglia ha cambiato aspetto. Sembra che sulla terra sterilizzata e calpestata e sugli edifici grigi siano state rovesciate secchiate di colore. Verde, soprattutto. Innumerevoli sfumature di verde. I rumori sono diversi. Niente urla, spari, rumori meccanici e i sibili sfrigolanti dei raggi. C’è solo silenzio, e un fruscio.

C’è anche uno strano odore.

Odore di sangue e metallo e quell’odore che c’è all’interno dei corpi, ma quelli se li aspettava. Quelli ci sono sempre.

Quello che è strano è un altro, e pervade tutto. Un sottofondo olfattivo, meno forte, ma più pregnante.

E’ un odore come di salvia. Odore di miele.

Marluxia è quasi nello stesso punto in cui si trovava quando loro due sono fuggiti. Immobile, solo che, adesso, invece di essere in piedi e tenere il capo chino e coperto, è seduto a terra, il volto rivolto al cielo e il cappuccio abbassato. I suoi capelli sono insolitamente scuri, insolitamente aderenti alla testa. Anche sul viso ha ombre e macchie nere.

Intorno a lui, i soldati dell’esercito mandato ad abbatterli.

Molti di loro sono semplicemente fatti a pezzi, smembrati come se una gigantesca belva li avesse straziati. Arti privi di corpi, corpi privi di arti, teste bisettate.

Ma molti altri sono strani. Davvero strani. La loro pelle ha colori insoliti. Blu ciano, oppure verdastro, o rosa. Le loro sagome sono anche un po’ indistinte, un po’ sgranate. Alcuni corpi si muovono ancora. Sono gonfi, deformati, e sussultano e sobbalzano in spasmi convulsi, come se ci fosse qualcosa ad agitarsi sotto l’epidermide.

Non appena si avvicina, Roxas ne capisce la ragione.

E’ gente trasformata in campi di coltura, e strani vegetali sono fioriti sopra e dentro di loro, nutrendosi della loro carne e dei loro fluidi.

Le spore sono sbocciate nei polmoni, intasandoli.

La pelle è spaccata dove piccoli fiori dalle corolle variopinte hanno radicato.

Cuscinetti di minuscole foglie fuoriescono dalle narici e dalla bocca.

I viticci hanno aperto i bulbi oculari e i timpani per farsi strada verso la luce del giorno.

Tralci spinosi li hanno abbracciati con tale forza da recidere anche le ossa.

Tossine sono state riversate nei tessuti, mutando la loro chimica.

Il processo continua anche ora, sotto gli occhi di Roxas. Alcuni corpi si squarciano, mentre gli esseri che crescono dentro di essi cercano la loro via per l’esterno, si espandono, strisciano sulle pietre, si muovono in cerca di terreno da colonizzare. I fiori aprono le corolle, le foglie si spiegano alla luce vitale e iniziano a fotosintetizzare e nutrire i loro tessuti, il colore passa da un giallo sbiadito al verde smeraldo.

Non una goccia di sangue o un frammento di carne sono andati perduti, e il campo di battaglia è ora un campo di fiori.

E’ quasi esaltante, quel tripudio di vita che travolge così violentemente la morte.

 

Xigbar studia attentamente il complesso di edifici adesso ornati di fiori e volute verdi. Le piante hanno aperto crepe nelle pareti e rilasciano nubi di spore all’interno.

L’uomo sorride e batte lentamente le mani, un po’ sul serio, un po’ canzonatorio.

 

Marluxia lo ignora. Ha gli occhi annebbiati e il respiro leggermente accelerato.

I suoi capelli sono scuri perché incrostati di sangue. Anche le macchie sul volto sono sangue e ha sangue sugli abiti. Il nero rende difficile accorgersene, ma adesso, così da vicino, Roxas può vedere che ne è quasi completamente ricoperto.

Neppure una goccia è sua. Il sangue di Marluxia non è così rosso.

Appoggia la fronte alle ginocchia.

Alcuni filamenti verdi gli avvolgono le gambe e le braccia, scompaiono sotto le maniche di pelle e nel terreno, come vene e tendini estrusi dal suo stesso corpo che lo uniscono alla terra.  

Vicino a lui fa freddo, tanto da sentirlo anche attraverso la pelle degli abiti. Un freddo che sembra emanato dal corpo del giovane, ma che, in realtà, è causato da una sottrazione di calore all'aria. Marluxia deve avere usato una quantità spropositata di forza, al punto da esserne prosciugato. Per recuperare, sta assorbendo ogni forma di energia metabolizzabile e questo raffredda l'ambiente che gli sta intorno.  

 

Roxas prova qualcosa nel vederlo illeso, qualcosa che non sa come chiamare. Ma, di sicuro, è qualcosa di buono. Sollievo, forse. E stupore, quello è certo.

Non ha mai combattuto al fianco di Marluxia, prima. Per prova, quello sì, ma mai sul serio, e non si è mai reso conto della vera estensione del suo potere.

In realtà, prima di questo momento, Roxas non è mai neanche riuscito a capire come il giovane operi con il suo elemento. Gli è sempre sembrato impossibile che sia in grado di attingere a qualcosa che sembra comparire dal nulla, senza fonte, in aperta contraddizione con tutto quello che sa della natura della realtà. Ma, naturalmente, non funziona così e niente appare dal nulla.

La vita non ha una fine, e non ha neppure una fine e un inizio. E’ uno stato di trasformazione, un flusso continuo che cambia solo forma. Come un flusso di energia.

Al posto di questi uomini, ora il fiume della vita scorre nei fiori e Roxas vede un senso nell’uccidere diverso dall’essere una necessità della guerra o un suo effetto collaterale. Ha un significato nell’atto stesso.

Marluxia uccide per liberare l’energia vitale delle sue vittime, convertirla in uno stato utilizzabile e ottenere la sorgente del suo potere.

 

Roxas si china su una delle piante neonate. I fiori non sono rosa uniforme, come appaiono da lontano. Invece, sono formati da un gran numero di screziature e sfumature diverse.

Anche la vegetazione è fredda, petali e foglie coperti da gocce di condensa.  

I filamenti verdastri si agitano nel sentire il suo calore e il suo sangue, e si protendono verso di lui.

 

“Stai attento.” esclama Xigbar “Non toccarli, e stai lontano anche da lui.”

 

Il ragazzo non capisce l’avvertimento di Xigbar e non crede che Marluxia sarebbe capace di fargli del male, ma non ha né la voglia né la forza di mettersi a discutere. Il suo cervello è avvolto da una specie di bambagia, anche se il dolore è chiarissimo, per niente attutito. Anzi, ha la sensazione che, mentre passa il tempo, il dolore si definisca a discapito di tutto il resto.

 

Xigbar si è accorto della sua espressione sofferente. Gli si avvicina e allunga una mano verso la cerniera del cappotto, ma Roxas si ritrae con energia, senza permettergli di esaminarlo.

L'uomo sorride, alza le spalle e, questa volta, non fa niente per trattenerlo.

 

Roxas si lascia andare a terra e sfiora inavvertitamente il suolo con il braccio ferito. Sussulta e cerca una posizione che gli sia il più confortevole possibile.

Un colpo stupido e fortunato. Fortunato per lui, soprattutto. Se fosse stato raggiunto da uno di quei proiettili esplosivi, adesso avrebbe un cratere al posto di metà del torace. Ma, anche così, il colpo gli ha sbriciolato la scapola e l’articolazione della spalla. Non è grave, per uno come lui, ma è doloroso. Almeno crede. Non ha una misura di paragone per il dolore. Spera che questo sia un dolore forte. Se non lo è, vuol dire che il peggio è ben altro, qualcosa che potrebbe dover ancora sperimentare.

La testa gli pulsa rabbiosamente.

 

“Perché siamo qui?” chiede.

 

Gracchia, non parla.

Gli brucia la gola, in bocca ha sapore di acido e ha una sete disperata. Le labbra sono tanto secche che, mentre parla, gli si spaccano.

 

Marluxia solleva per un attimo la testa. Sembra considerare l’idea di rispondere, poi guarda Xigbar, riappoggia la fronte sulle gambe e resta in silenzio.

Intorno a lui, i vegetali si intrecciano e competono per la luce.

 

“Cosa ci facciamo, in questo posto?” chiede ancora Roxas. Parlare è come inghiottire sabbia.

 

Xigbar sbuffa, infastidito.

Roxas scuote la testa e, con quel movimento, le fitte alle tempie si acuiscono, nemmeno il cervello stesse sbattendo contro le pareti interne del cranio. Il ragazzo afferra un sasso e lo scaglia stancamente contro Xigbar. L’uomo non ha capito la sua domanda e lui, al momento, non è in grado di formulare in modo comprensibile quello a cui sta pensando.

Comunque, non è la persona giusta a cui chiedere. Probabilmente, non gli interessa capire o non ha voglia di dargli retta. E’ sempre pronto a scherzare e a fare l’idiota con lui, ma cambia subito atteggiamento se Roxas cerca di avere risposte serie.

 

Ormai il dolore monopolizza la sua attenzione. Non importa quanto cerchi di concentrarsi. La sua attenzione torna sempre lì, alla schiena che sembra messa a contatto con una lastra di metallo incandescente.

A un tratto, non riesce più a pensare coerentemente.

Sa solo che vuole non essere qui.

Vuole non sentire dolore.

Vuole non dovere più pensare che il giorno dopo potrebbe anche non esistere.

Vuole essere a casa.

Vuole, semplicemente, non provare nulla.

Se le emozioni sono queste, allora non le vuole.

Però è qui, sente male, e prova, e non sa come reagire.

 

In queste poche ore è stato sottoposto a più sensazioni e sollecitazioni di quante non ne abbia provate nei mesi precedenti. Ha raggiunto il limite e la sua psiche neonata cede per semplice sfinimento.

Così, fa la sola cosa che gli viene in mente per sfuggire a tutto questo. Si raggomitola a terra e si addormenta, come un animale preso in trappola.

 

 

* * * * * * *

 

 

“Naminé?”

 

Roxas non risponde. Accarezza affettuosamente la lama del keyblade, quella imbrattata di sangue e di qualcosa troppo denso e grumoso per essere sangue.

Ha lasciato dissolvere l’altra spada, quella nera, subito dopo avere sferrato i colpi mortali al suo nemico e si stringe a questa come se fosse una specie di spaventoso orsetto di pezza. Forse è il suo oggetto di conforto.

Buffo che, quando si erano trovati a combattere fianco a fianco, gli avesse passato uno dei keyblade senza esitazione, con la stessa indifferenza con cui gli avrebbe passato un’arma ordinaria.

 

Pare insensibile alla temperatura torrida. Forse lo è. Non ha neppure una macchia di sudore. Riku non ha idea di come i nobody reagiscano alle intemperanze ambientali.

Forse gli piace solo il caldo.

Fortunato lui.

 

“Perché hai voluto uccidere Naminé?” ripete Riku.

 

Ancora non ottiene risposta.

 

“Perché è stata lei? Perché ha cancellato la tua memoria?”

 

Roxas reclina appena la testa e appoggia la guancia al keyblade.

 

Perché è lei che gli ha cancellato la memoria, perché temeva che lo tradisse ancora, perché si annoiava… Riku può pensare a innumerevoli risposte possibile e, magari, si dimenticherà di considerare la sola che è quella giusta. Morirà con la curiosità di sapere perché Roxas ha voluto distruggere anche le ultime vestigia di esistenza della sorella.

A quanto ne sa, Roxas e Naminé provavano affetto l’uno per l’altra, almeno per quanto i nobody possono provare affetto, ma era stata proprio Naminé a spazzare via tutti i ricordi della breve esistenza del ragazzo, annullandolo in pratica come entità autonoma, prima che DiZ lo ricombinasse in Sora e lo annullasse definitivamente come creatura vivente.

Non ha mai capito perché lo avesse fatto. Lui voleva salvare Sora e, per quanto lo riguarda, Roxas non è mai stato altro che un letale nemico, ma Naminé… perché avrebbe dovuto favorire la vita di Sora a discapito di quella di Roxas? I nobody agiscono solo sulla base della logica per perseguire i propri fini e, allora, qual è stata la logica di Naminé? Cosa l’aveva spinta a una simile azione?

Certo, DiZ ci era andato giù pesante, con lei, ma i nobody non possono essere obbligati. Non c’è forza nell’universo in grado di distoglierli da quello che decidono di fare, né di convincerli a fare quello che non vogliono. Se Naminé non avesse voluto cancellare la memoria di Roxas, DiZ avrebbe anche potuto farla a pezzi frammento per frammento e non le avrebbe fatto cambiare idea. Quindi, lei aveva voluto fare una cosa simile, convinta che fosse la cosa migliore, per Roxas, o per sé stessa. O per chissà cosa.

Di tutti i nobody, Naminé era una dei meno comprensibili. Anche se forse può dirlo perché la ragazza è stata il solo nobody con cui ha avuto un minimo di contatto personale. A parte lei, non ha mai avuto modo di scambiare parola con uno di loro, eccetto le minacce di morte o il cercare di manipolarsi a vicenda. Persino il breve periodo passato a contatto con Roxas, non lo aveva certo trascorso cercando di conoscerlo.

Con Naminé ci aveva provato, qualche volta, ma la ragazzina era rimasta inaccessibile a qualsiasi tentativo di… dire amicizia è un po’ troppo. Convivenza civile, forse è meglio. Anche se la loro situazione non era proprio niente di civile e, dopo un po’, accorgendosi dell’ipocrisia della cosa, Riku aveva smesso di cercare di essere civile con lei. Più o meno quando si era reso conto che DiZ gli avrebbe ordinato di ucciderla, prima o poi.

Naminé e la sua intera specie erano rimasti un enigma insoluto.

Nonostante i suoi spaventosi poteri le avrebbero permesso di liberarsi con facilità, la ragazza non aveva mai neppure tentato di usarli su loro due, nemmeno per difendere sé stessa, e i suoi atti di ribellione erano stati rarissimi, limitati quasi esclusivamente a fughe nella città simulata dove Roxas era tenuto prigioniero e tentativi di comunicare con lui.

Però c’era stata anche un’altra occasione, una sola, che aveva chiarito bene una cosa. Naminé obbediva a tutto quello che le veniva ordinato, ma la sua passività e la sua sottomissione erano deliberate. Quindi, il suo scopo era fare esattamente quello che aveva fatto, annientare il gemello.

Allora è davvero così difficile capire perché Roxas ha voluto distruggerla?

Magari anche lui è convinto di averle fatto un favore.

 

Maledizione ai nobody e alla loro imperturbabilità.

Maledizione a lui. Perché gli importa? Cosa gli frega sapere del perché ha fatto quello che ha fatto?

 

E’ perché, in un certo senso, è sicuro di trovarsi ancora di fronte Sora, non il mostro che lo ha consumato dall’interno?

E’ perché continua a essere certo che dentro Roxas, da qualche parte, ci sia Sora e Sora non permetterà che faccia davvero qualcosa di estremo - ha ucciso Kairi! Cosa deve fare che tu possa considerare estremo? Disintegrare un sistema solare, popolazione compresa? - e che, a chiamarlo a voce sufficientemente alta, Sora riuscirà a svegliarsi?

Assurdo.

O, forse, non così assurdo.

Molti nobody identificavano Sora con Roxas. Non riuscivano a convincersi che lui non era Roxas e cercavano di parlargli, anche mentre li massacrava a colpi di keyblade. Persino gli spettrali esseri biancastri a volte gli andavano incontro senza attaccarlo e, pur nella loro inspiegabilità, sembrava proprio credessero di avere davanti un amico.

Se lo facevano loro, allora è più che possibile che lui sia caduto nell’errore opposto.

 

Roxas si sfrega lievemente la base del medio e dell’indice della mano sinistra.

 

“Cerchi una ragione perché almeno darà una causa alla morte di Kairi diversa dalle conseguenze delle tue azioni?” chiede “Mettiamola così. Se non fosse stato per quelle, non mi sarei mai neppure sognato di tornare in questa fogna di mondo e di Kairi non me ne sarebbe importato niente.”

 

Qualcosa risale nella gola di Riku. Qualcosa di dolciastro e salato che riconosce come sangue, e qualcos’altro. Qualcosa più amaro del sangue, qualcosa che corrode il palato.

L’Oscurità ha perso la presa ferrea sul suo corpo quel tanto che basta perché bile e sangue gli intasino le vie respiratorie.

Tossisce, ma non riesce a liberare la trachea.

Sta soffocando. Non va bene. No, va più che bene.

Comincia a essere stanco, sa che non riuscirà a mantenere l’autocontrollo ancora a lungo e, a questo punto, la morte è la cosa migliore, fosse solo per smetterla di sentire l’aria che si fa strada nei suoi polmoni come se si aprisse un varco con coltelli affilati e uno scherzo di natura che lo osserva con la spassionata curiosità di un collezionista di insetti di fronte a uno scarafaggio infilzato.

Sta morendo, sta finendo tutto. Deve convincersi che va bene.

In questo modo, tutto quello che deve fare è non lasciarsi andare al panico ancora per qualche minuto.

 

Le lenti a specchio degli occhiali dimenticati sulla sabbia riflettono una luce più accecante di quella del sole, più vicina e velenosa.

Riku si sente risucchiare all’interno di sé stesso in una specie di tunnel di buio ottundente.

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

C’è proprio una cosa che devo dire. Ho commentatori fantastici che fanno commenti (e complimenti) bellissimi e mi danno l'opportunità di esercitare la mia logorrea ^___^

Grazie.

 

Siccome sono tutti più o meno riferiti alle stesse cose, spero non offenderò nessuno se lascio una risposta/delirio comune.

Per prima cosa, volevo dire che mi fa un piacere immenso sapere che si notano e apprezzano i ‘tecnicismi’ e le descrizioni naturalistiche. In certe cose, il mio punto di vista si avvicina a quello di Vexen e sapere che riesco a tirare fuori qualcosa di interessante e gradevole usando tecnicismi e scienza piuttosto che appellandomi all’emotività, è una vera e propria soddisfazione personale ^___^

Perdipiù, sono una lettrice di fantascienza classica, quella con viaggi spaziali e pianeti vari. Progettare gli ambienti per me è una delle parti più piacevoli dello scrivere.

 

Penso che ormai si sia bell’e capito che punto tantissimo sulla faccenda della dogmatica non-esistenza dei nobody, che, per quanto mi riguarda, è proprio questo. Un dogma. Ossia, aria fritta.

Ogni volta che sento o leggo che ‘non-esistono’ o ‘non-sono’ mi viene voglia di urlare. Ovviamente esistono. Sono lì, sono materiali, la loro presenza causa eventi. Come è possibile dire che non esistono? E quanto all’essere, semmai il loro problema è che di identità e/o personalità ne hanno fin troppe.

Anche se ammetto che mi urta non poco la loro scarsa autostima, il correre dietro a una specie di illusione e l’insicurezza che mostrano in merito a sé stessi e alla loro esistenza, paradossale se messa a confronto con la decisione che mostrano nell’agire. Fa tutto parte del loro fascino, senza dubbio, ma spesso mi verrebbe voglia di prenderli a scappellotti dietro il coppino.

 

Sì, ma quelli che davvero mi fanno saltare i nervi sono gli abitanti degli altri mondi. Questi lugubri figuri perseguitano i nobody perché non garba loro il modo con cui elaborano le emozioni, o non-emozioni che siano. Ma sono scemi o che? E’ una cosa che, al massimo, va bene come campo di ricerca in neurologia.

Notare che poi vanno a infastidire tizi che possono alterare il tempo e la gravità, far cadere fulmini, ridurti il cervello a quello di un vegetale, e amenità del genere. Non solo sono fanatici, sono pure demenzialmente suicidi.

I nobody fanno bene a fare saltare i loro pianeti. Lo farei anch’io. Cioè, mi dici che non ho diritto di vivere per il modo con cui gestisco la mia emotività? Ma faccio fuori te, la tua famiglia e tutta la tua razza, così elimino anche la possibilità che nascano altri idioti. 

 

Ecco perché amo tanto Roxas. Perché fino all’ultimo respiro continua a difendere il suo essere un individuo. Infatti rimango sempre un po’ perplessa quando viene tratteggiato come un malinconico e dolce ragazzino felicissimo di essere fagocitato da Sora.

Ma dov’è che Rox ha detto di voler trovare Sora per svanire? Perché onestamente questo passaggio non lo ricordo. Anzi, da che ricordo, ha affermato la sua individualità piuttosto vivacemente, tanto che Riku ha dovuto convincerlo a seguirlo spaccandogli la testa. E, sempre se ricordo bene, l’ultima cosa che ha detto a DiZ è stato ‘Ti odio’, non ‘Grazie per avermi fatto sparire dopo essere stato pestato, rapito e seviziato’.

E non posso certo biasimarlo. Al suo posto, avrei voluto usare i keyblade su DiZ e Riku in modo improprio e di traverso.

Va da sé che la fine fatta da Roxas mi ha fatto venire la pelle d’oca. Probabilmente è perché, se c’è una cosa che considero sacra e intoccabile è l’unicità dell’individuo, ma, per quel che mi riguarda, Roxas non viene reso di nuovo completo, non gli viene fatto un favore. Viene torturato e giustiziato a sangue freddo in un modo che avrebbe fatto scappare Hannibal Lecter a piangere dalla mamma.

 

Applicando il medesimo principio, è ovvio il motivo per cui non amo Naminé, anche se la trovo un personaggio interessantissimo. Naminé commette, ai miei occhi, un peccato imperdonabile. Si adegua al pensiero che lei, in quanto nobody, non deve esistere. Dove Roxas combatte come una belva per vivere, lei si rassegna, e, peggio che mai, aiuta chi li distrugge.

Se avesse improvvisamente deciso di cancellare le memorie di DiZ e Riku, ci avesse anche solo tentato, si fosse opposta alla demenziale pretesa che non deve esistere, sarebbe sicuramente stata di mio gradimento. Ma così com’è, non mi fa né pena né tristezza. Mi fa rabbia.

L’autoimmolazione è un concetto che non solo mi è sconosciuto, ma che mi dà profondamente sui nervi anche negli altri.

 

In un certo senso, questa è anche la ragione del mio affetto per Larxene e Marluxia. Sono poco portati all'autodenigrazione e sono ribelli all’ordine costituito. Non ho la più pallida idea del perché i due ragazzuoli mettono in piedi la rivolta. Spero che sia un motivo meno demenziale del voler conquistare il potere su un mondo quasi morto, 13 persone e uno svariato numero di creature semidecerebrate, perché sarebbe davvero banale. Voglio credere che esseri abituati a pensare in termini di massimi sistemi non scadano così in basso. Io mi sono inventata i miei, di motivi. Che poi siano quelli canon o meno, non lo so, ma tanto più o meno il mio è un AU.

Quel che mi risulta strano, è che sono generalmente considerati i nobody ‘cattivi’. Ma cosa hanno fatto questi due poveri ragazzi di diverso dai loro colleghi, per essere così malvisti? A quanto ne sappiamo, sono contrari a Xemnas, e Xemnas, con tutta la… simpatia, chiamiamola simpatia… che provo per lui, è proprio il tizio che fa cadere i mondi come birilli, ergo, chi gli si oppone magari potrebbe dare una regolata anche alla faccenda mondi disintegrati. Non dico che sia così per forza, ma peggio di quello che già succede…

Tra l’altro, Marluxia e Larxene sono simpatici, attivi e brillanti. Lei è anche la sola donna che vale qualcosa, lì dentro, visto che in KH c’è una carenza di personaggi femminili forti davvero drammatica. Forse piacciono poco proprio per questo. Non sono abbastanza angst.

Poi sono una coppia così bella che anche il mio animo, se non romantico perlomeno estetico, non può fare a meno di ammirarli.

Come potrei non amare una coppia formata da una sadica e da un assassino? ^___^

 

 

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Capitolo 8
*** Psicopompo ***


Psicopompo

 

Psicopompo

 

 

“Congratulazioni.”

 

Due identiche figure umane fissano Lexaeus. Due identici Zexion, uguali in tutto, eccetto per l’abbigliamento e l’apparato che li circonda.

Uno dei due indossa il camice che usa sempre in laboratorio ed è coricato su una poltrona di esame, una complessa struttura meccanica di circuiti, a cui è collegato da una serie di sensori, sonde ed elettrodi. Un’aureola di aghi fotonici, una corona di sette spine di luce, gli circonda e gli trafigge la testa. Pannelli olografici fluttuano intorno a lui e sotto le sue mani.

Un dispositivo quasi identico circonda e pervade Lexaeus.

 

L’altro Zexion, quello nudo e confinato in un campo di analisi simile a un mosaico poligonale di tasselli luminosi e variopinti, si disintegra nel nulla.

 

“Per otto microsecondi, l’Illusione è stata Materia.” esclama Lexaeus, rivolto al solo Zexion rimasto, ora che il duplicato illusorio è svanito “Ci sei riuscito.”

 

Tutto a un tratto fa freddo, un gelo che non ha nulla a che vedere con la temperatura fisica. Le ombre si dispiegano dal niente e si propagano nel laboratorio, attenuandone le luci, come se una colata di grigio fosse stata riversata nell’aria. I rumori subiscono un rallentamento e acquistano una qualità d’eco. Voci e suoni sussurrano dagli angoli. Bizzarre immagini appaiono all’estrema periferia del campo visivo. Il laboratorio si fa indefinito, mentre la realtà si distorce per adeguarsi all’umore del telepate.

Per uno sconfortante e infinito istante, Lexaeus ha la sensazione di espandersi.

Ha sempre conosciuto esattamente i confini della sua persona, del suo corpo, della sua mente. Adesso, questi confini si stanno rarefacendo, non sono più limitati a quello spazio che lo ha contenuto fino a quel momento. E, mentre si espande, lui perde definizione.

Le percezioni si mescolano l’una con l’altra e, con il cadere delle differenziazioni fra una percezione e l’altra, cadono anche le barriere fra la consapevolezza di sé e la coscienza del mondo esterno.

Non ha più certezza di dove termini il suo essere e dove cominci tutto il resto.

Ben poche volte, in tutti quegli anni, ha assistito a una tempesta mentale, il manifestarsi del potere di Zexion puro e inadulterato piuttosto che mirato e rimaneggiato, ed è pronto a scommettere che mai una volta lo ha visto espresso a piena forza, ma è più che consapevole del suo potenziale letale.

Il pensiero di Lexaeus sprofonda nella crosta planetaria sino al nucleo del mondo, che è fuoco e metallo a una temperatura in cui dovrebbe evaporare, ma che la pressione mantiene liquido. Si aggrappa a quell’ancora ardente di concretezza e di certezza contrapposta all’incostanza delle ombre, al calore che dissolve il gelo. Rifiuta di dare retta ai sensi ingannevoli che gli dicono che gli arti si sciolgono in pozze mercuriali e scorrono sul pavimento.

Non opporsi è il solo modo di resistere.

 

Il giovane non lo sta attaccando. Non sta neppure facendo caso a lui. Ha solo lasciato aperta la porta a rabbia e disappunto, e i sensi di Lexaeus interpretano in questa forma il suo umore.

Bastano pochi istanti prima che Zexion recuperi il ferreo controllo di sé e quei preludi di tempesta mentale si plachino.

 

“Hai finito?” chiede placidamente Lexaeus.

“Riproviamo.” esclama Zexion, ignorando il tono vagamente canzonatorio dell’altro uomo.

“Non adesso.”

 

Gli occhi di Zexion sono subito puntati su di lui.

I suoi movimenti sono troppo bruschi e veloci. Li termina prima che possano essere percepiti. Non ci si rende conto del movimento, solo che ha cambiato posizione. Come fa Larxene. E Roxas. Anche il ragazzo, ultimamente, ha cominciato a manifestare quello strano slittamento temporale.

Disturbante. Soprattutto per la lentezza di Lexaeus.

Ma Zexion, di solito, evita di manifestare in quel modo il suo potere e adegua la sua velocità a quella altrui. Non farlo, è indizio sufficiente a rivelare che la sua irritazione non si è ancora dissipata.

Lexaeus decide di ignorarlo.

Zexion ha bisogno di lui. Gli occorre un soggetto su cui applicare il suo potere e di lui si fida. Non ha ragione di non farlo e non ne ha motivo. Lexaeus sa che non ha motivo di dubitare di lui, perché in lui stesso non c’è ombra di desiderio di tradirlo.

Più di qualsiasi altra considerazione, questo lo assicura sulla sua immunità.

 

“Ho perso la concentrazione.” sibila Zexion “Mi sono accorto di quello che è successo e ho perso la concentrazione. Forse avrei potuto tenere stabile la materia, se mi fossi controllato.”

 

Lexaeus non si prende neppure il disturbo di far notare che avere avuto un attimo di sorpresa è stata una reazione più che normale, considerate le circostanze.

Considerarsi normale, sotto qualsiasi punto di vista, non è mai stato un difetto di Zexion.

 

“E’ solo un inizio. Non puoi pretendere più di questo.”

 

Il giovane aggrotta interrogativamente la fronte. Certo che lo può pretendere e lo ha preteso.

 

“Riproviamo.”

“Riposati un po’, prima.”

“Non ho nessuna voglia di riposare. Voglio continuare. Non sono stanco.”

Lexaeus si mette a ridere.

“Controlla tu stesso i risultati del monitoraggio.”

 

Non che ne abbia bisogno. Il dispositivo a cui è collegato riversa direttamente e in tempo reale i dati acquisiti nella mente di Zexion, senza che lui debba utilizzare parte delle sue risorse per autorilevarsi. Se non si controlla, con la sua sola presenza altera le percezioni altrui in modo continuo, come eco inconscia dei suoi poteri, e avvicinarlo in quei momenti vuol dire andare sempre incontro a qualche strano fenomeno sensoriale, ma mantenere un’illusione coerente e stabile per periodi prolungati gli richiede energia e concentrazione e, questa volta, è andato ben oltre.

E’ stanco, lo voglia ammettere o no, ma se vuole intestardirsi, per una volta Lexaeus ha il coltello dalla parte del manico.

 

“Quei fusi nei tuoi diagrammi mentali, secondo te, cosa sono?”

 

Finalmente, il giovane sembra rendersi conto di quanto sia puerile il suo atteggiamento. Che sta combattendo una debolezza con un’altra debolezza come la cieca ostinazione su una posizione che non può, oggettivamente, difendere.

 

I meccanismi e il campo di analisi si spengono, i sensori fotonici ramificati nel loro sistema nervoso si ritirano e si assorbono nelle corone, seguiti dagli aghi e dalle sonde inserite nelle braccia dei due nobody.

Zexion si alza e comincia il controllo degli apparecchi e il recupero dei dati che hanno registrato, cominciando da quello di Lexaeus.

 

“Amico mio, cosa farei senza di te a tenermi in riga?” mormora.

 

Lexaeus sorride freddamente.

 

Quello che hai sempre fatto. Troveresti qualcun altro e andresti avanti.

 

“C’è stata completa identità.” afferma “Per il tempo in cui si è concretizzata, la Forma ha manifestato assoluta corrispondenza con te. Ti sei duplicato materialmente.”

“Se non ci fosse stata corrispondenza, non ci sarebbe stata materializzazione.” mormora Zexion, con l’evidente tono di chi afferma l’ovvio, mentre termina il controllo dell’apparato di Lexaeus e passa al suo.

 

E’ più complesso di quello del compagno. Possiede il sistema di comandi principale e comprende anche un supporto vitale ausiliario. Zexion è l’unità trasmittente dell’esperimento, dissipa una spropositata quantità di energia vitale, e il supporto lo tiene costantemente sotto controllo, pronto a entrare in funzione nel caso il suo fisico dovesse collassare.

 

“Hai bisogno di aiuto?”

“No.”

 

L’uomo non insiste con l’offerta di assistenza. In ogni caso, non può fare molto. Le sue possibilità d’azione sono limitate. Le apparecchiature sono state progettate da Zexion e sono sotto il suo completo controllo mentale. Solo nel caso dovesse accadergli qualcosa, un sistema secondario di comandi entrerebbe in funzione e permetterebbe a Lexaeus di agire in autonomia.

La cosa lo lascia con una sensazione di fastidiosa inutilità, ma era consapevole di quello a cui andava incontro, quando ha accettato di assistere Zexion.

Sa che il giovane preferirebbe fare tutto da solo. In seguito, una volta che avrà capito come stabilizzare e controllare questa nuova capacità, e Lexaeus non ha dubbi sul fatto che ci riuscirà, quando dovrà studiare gli effetti potenzialmente pericolosi delle illusioni materializzate, testare quanto esse siano in grado di interferire con la realtà concreta e fino a che punto possono agire sugli esseri viventi, potrà usare cavie non consenzienti. Per adesso, ha bisogno di un collaboratore spontaneo.

Questo non significa che sia disposto a lasciargli il controllo, anche parziale, del lavoro. Zexion evita, per quanto gli è possibile, di essere coinvolto in prima persona nelle attività materiali del gruppo, ma, per quanto riguarda quello che considera i suoi interessi, non li lascia nelle mani di nessuno.

Comunque, per una volta, Lexaeus è lieto dalla sua inattività. Il doversi occuparsi della strumentazione sta facendo svanire quello che resta del nervosismo di Zexion.

 

Il telepate è concentrato sull’unità biomeccanica innestata sul suo polso sinistro, simile a un bracciale diramato fin sulle dita, che contiene un terminale inserito in una delle vene superficiali sul dorso della mano.

Solleva la placca di protezione che copre l’innesto, gratta leggermente il punto in cui penetra la carne ed estrae con cautela il sensore, simile a un filo di microscopiche perle metalliche, dalle sue vene.

 

“Non riesco a capire la ragione del tuo disappunto. E’ stato un successo.” mormora Lexaeus.

 

Zexion osserva con critica curiosità il sensore insanguinato. Il campo di luce violetta che emette si interrompe a circa un terzo della lunghezza. Lo getta in una bacinella piena di liquido che subito si tinge di rosso, e ne preleva uno intatto da un contenitore sterile.

 

“E’ stato un trucco. La cosa deve essere ripetibile e, in questo caso, devo riuscire a prolungare i tempi di stabilità.”

“Ma ci sei riuscito. Hai superato l’ostacolo dell’indeterminazione.”

“E’ sempre questo il problema.” brontola il telepate, mentre inserisce con cautela il sensore nel bracciale e nella vena “Superare l’indeterminazione. Ovviamente, la mia forma è quella di cui ho maggiori informazioni, visto la conoscenza che ho del mio corpo e del fatto che ho un collegamento diretto e stabile con la sorgente dei dati, che è il mio stesso essere. Conseguire la materializzazione di qualcos’altro, è una faccenda ben diversa.”

“I primi risultati, in genere, si ottengono dai test semplici. La complessità viene con il progredire del lavoro e con le informazioni derivate dai primi tentativi.”

Zexion regola i settaggi del bracciale.

“Lo so… ma non è questo. Non è una questione di semplicità. La mia replica è complessa. Oggettivamente, molto complessa. Di parecchi ordini più complessa di qualsiasi cosa non vivente, persino di quei dannati keyblade. Eppure, al momento attuale, non sono in grado di ottenere l’informazione completa di qualsiasi cosa non sia me stesso, neppure di un oggetto semplice e inanimato.”

“Credi che sia un ostacolo insormontabile?”

Il giovane chiude il dispositivo sul suo polso e scuote tristemente la testa.

“Non ne ho idea. Non riesco neppure a capire se mi è impossibile ottenere la completezza dello schema di quello che voglio riprodurre, oppure non sono in grado di tenerla in memoria, o di rappresentarla nella sua totalità.”

 

Per la prima volta, Zexion lascia filtrare un senso di inadeguatezza e una vaga, innaturale, paura.

Le sue obiezioni non hanno senso per Lexaeus, ma questo non significa che non abbiano senso in assoluto.

Il giovane opera in quell’elusivo campo che è la psiche. E’ abituato a ragionare in termini diversi di quelli di tutti loro. E’ diverso il suo modo di pensare, non necessariamente lineare. Lui può effettuare salti mentali impossibili agli altri. Probabilmente il senso esiste, almeno per lui.

 

Zexion sta già riesaminando i dati ottenuti da quegli istanti in cui è riuscito a concretizzare la sua illusione. Pochi istanti in cui ha ottenuto migliaia di informazioni da analizzare.

Inaspettatamente, chiude quasi subito l’elaborato, lo appoggia a terra e si adagia contro lo schienale della poltrona, le braccia incrociate sulla fronte.

Questa è davvero una sorpresa. Lexaeus non si aspettava una simile resa incondizionata sulla questione riposo. Ma, visto che il telepate si è rassegnato alla pausa, ne approfitta a sua volta per alzarsi e fare qualche passo per sgranchirsi. Ha guadagnato un po’ di tempo, ma il giovane resisterà poco all’inattività.

Versa qualche dito di liquore in un bicchiere e indica a Zexion se ne vuole anche lui. Naturalmente, l’offerta è rifiutata.

Certo. Niente che possa compromettere la funzionalità dei suoi preziosi neuroni, ma voleva vedere se, per una volta, avrebbe fatto eccezione.

E’ confortante che non sia stato così. Lo assicura che il controllo di Zexion è ancora al suo posto.

 

Ienzo era un ragazzo intransigente, incapace di tollerare errori in sé stesso e negli altri. Un genio, fin troppo consapevole di esserlo, che non aveva né pazienza né comprensione per le limitazioni altrui, e dotato di una fantasia sadica che era capace di applicare con la precisione di un microchirurgo.

 

Sua, l’idea di bandire Ansem nel Nulla. Non ucciderlo. Troppo semplice e pietoso. Cancellare la sua forma fisica e lasciarlo vivere come ricordo e rimpianto in un non-luogo dove la fisicità non ha senso.

 

Ma, per quanto fosse un potente telepate, Ienzo non aveva il potere del nobody. Ienzo era solo umano.

Era il loro faro guida.

 

Zexion si è già alzato e si è diretto alla finestra del laboratorio.

All’esterno, lungo i profili e dove imperfezioni e sporcizia ne interrompono la levigatezza e consentono all’umidità di fare presa, il vetro è ricamato di ghiaccio.

 

Xehanort era stato così felice che ci fosse finalmente qualcuno al suo livello, e i due avevano spalancato l’universo per tutti loro.

 

E noi ad arrancare dietro, fino a che non spiegavano e tutto diventava chiaro.

 

Erano giovani, e mondi interi di possibilità si aprivano davanti a loro.

Erano invincibili, e niente e nessuno avrebbe potuto fermarli.

Era bello. Fino a quando era durato.

 

Ansem non poteva accettare di essere messo da parte dai suoi allievi. Non poteva accettare di restare indietro. Non poteva accettare tutto quello che non conosceva.

 

Aveva dimenticato cosa vuol dire essere un esploratore. Lo aveva dimenticato per essere solo un re.

 

Forse, se Ienzo avesse cercato di fargli comprendere, invece di esigere…

 

Troppo giovane… era davvero troppo giovane. Per lui era tutto assoluto, tutto semplice, tutto bianco o nero. Un bambino, a giocare con l’universo.

 

Non poteva ammettere che altri non capissero quello che per lui era chiaro.

 

Non ha capito la paura di Ansem.

 

In tutti gli anni trascorsi dalla loro trasformazione, Zexion è riuscito a domare le intemperanze del suo carattere. A smussare, almeno in parte, gli angoli. Ha imparato il compromesso e a convivere con le debolezze e le imperfezioni. Non che sia diventato più benevolo nei loro riguardi, ma il suo atteggiamento è cambiato. Osserva, studia, usa, ma non si preoccupa più di correggere, secondo i suoi canoni, le imperfezioni. Gli esseri viventi sono fatti così. Se ne è fatto una ragione e il cinismo ha preso il posto dell’intolleranza.

Ironico, che proprio il signore delle ombre e dell’indefinito ha dovuto capire che esistono il grigio e le sfumature.

 

Fasciata nel camice bianco, la sagoma di Zexion si staglia contro il nero oltre la finestra.

Sta tracciando ghirigori con un dito lungo i bordi della vetrata, dove questa si inserisce nel telaio, seguendo soprapensiero i disegni formati dai cristalli di ghiaccio esterni.

 

Di tutti loro, almeno di loro sei, Zexion è quello fisicamente cambiato meno. I lineamenti leggermente diversi, ma poco altro. Una maggiore e più corretta percezione di sé gli ha permesso di mantenere quasi intatte le sue sembianze. Lexaeus non è sicuro che non sia quello cambiato meno anche nel comportamento.

Ha paura che, qualsiasi cosa siano loro in realtà, in qualche modo Ienzo sia ancora lì.

Sempre e solo umano.

 

Spaventosamente umano.

 

Con la sua irragionevolezza e inflessibilità, con i desideri e la malignità dell’uomo, pronto a travolgere il controllo e la logica del nobody.

Potrebbe distruggerli. Potrebbe dissolvere le loro personalità, cancellare del tutto la loro esistenza. Bloccare l’impulso nervoso che ordina le funzioni fisiche, comprese le stesse funzioni cerebrali, o invertire quell’impulso. Potrebbe drenarli di tutta l’energia vitale. E potrebbe farlo in un tempo più breve di quanto chiunque loro sia in grado di percepire. Potrebbe farlo con la velocità del pensiero, e Zexion pensa e reagisce a una velocità superiore a quella di chiunque, eccetto forse Larxene e Roxas. Non si accorgerebbero di nulla. Svanirebbero, senza neppure sapere cosa succede loro. Senza neppure sapere che sono esistiti.

Il nobody potrebbe farlo se lo ritenesse necessario. L’uomo lo farebbe se non avesse ragioni sufficienti per non farlo.

Eppure, nonostante tutto, lui ha deciso di seguirlo e aiutarlo anche questa volta, qualunque sia la follia in cui lo trascinerà.

Talvolta, Lexaeus desidererebbe essere diverso, ma non importa quello che desidera, non può essere altro che quello che è.

Questa volta, ha avvertito qualcosa che non gli piace nell’atteggiamento di Zexion. Il nervosismo per essersi lasciato sfuggire il controllo di un risultato che insegue da anni, questo lo capisce, ma c’è altro, qualcosa che assomiglia troppo a paura e a una disperata urgenza, come se temesse di non avere il tempo di finire.

 

Zexion si mette a frugare in un contenitore su uno scaffale, ne tira fuori una barretta di cioccolato, quindi torna alla poltrona di analisi e ci si adagia sopra comodamente, una gamba piegata e l’altra a penzoloni.

Indica con un cenno della testa una delle scrivanie del laboratorio, mentre scarta meticolosamente la barretta.

 

“Guarda nel secondo cassetto.”

 

All’interno, Lexaeus trova un lettore digitale e un plico di fogli stampati tenuto insieme da una graffetta. E’ sul punto di portarli a Zexion, ma il giovane scuote la testa.

 

“Leggi.”

“Cos’è?”

“La relazione preliminare di Luxord sull’architettura scoperta nella nostra ultima conquista.”

 

Una conquista costata cara, con gli eserciti tornati mutilati da pesanti perdite in uomini e mezzi e persino i tre di loro inviati su campo sofferenti. Il tutto anche per quella struttura. Non solo, certamente no, ma è stata proprio l’esistenza di quel palazzo a determinare la decisione definitiva di acquisire il pianeta.

Lexaeus si immerge nella lettura, il suo interesse subito risvegliato.

 

“Il Castello dell’Oblio… Quel ragazzo ha uno strano senso dell’umorismo.” mormora, senza distogliere un istante l’attenzione dalla relazione.

 

Zexion sorride. Luxord non può fare a meno di aggiungere il suo tocco personale e non perde mai l’abitudine di dare bizzarri nomignoli praticamente a ogni cosa, ma i suoi rapporti sono i più precisi che è possibile ottenere, meticolosi, dettagliati e corretti. Inoltre, non ha il vizio di lasciare correre la fantasia.

E’ un vero peccato che non ha educazione scientifica, né ha mai mostrato particolare interesse ad acquisirla. Sarebbe stato una splendida aggiunta al loro gruppo.

 

Il rapporto è lungo e Lexaeus si prende sempre il suo tempo. Soprattutto se ha deciso che lui deve riposare. Inutile cercare di cambiare le cose. Sarebbe come voler spianare una montagna solo schioccando le dita. Mostrare impazienza servirebbe solo a incoraggiarlo ad allungare ancora i tempi.

Zexion finisce di sgranocchiare il cioccolato e materializza un rompicapo. Occupato con il lavoro, non ha ancora avuto tempo di cominciarlo. Questo è un buon momento.

E’ un insieme irregolare di innumerevoli facce cristalline e snodi metallici che permettono alle facce di slittare e ruotare, che esiste in quattro dimensioni spaziali.

Il principio su cui si basa e le regole da seguire sono semplici. Occorre completare delle sequenze basate su numeri primi e configurazioni delle facce. Ogni volta che riesce a chiudere una sequenza, le facce cambiano disposizione e numero e si apre una nuova sequenza da completare. Il risultato da raggiungere, è quello di trasformare la forma in un ipersolido regolare.

Lo ha trovato in un mondo che lo ha fornito di molti fra i più avvincenti e complessi fra i suoi giochi.

Peccato che il mondo sia scomparso.

 

Attiva il gioco e gli vengono presentati i primi tre numeri della prima serie.

 

 

1601 – 1777 – 2017

 

 

Lexaeus interrompe un attimo la lettura e guarda Zexion con espressione indecifrabile, ma trasmette una chiara disapprovazione. Il giovane lo ignora. Lexaeus gli ha praticamente ordinato di riposare. Ha obbedito. Come decide di farlo, sono affari suoi.

 

La sequenza numerica è facile da scoprire. E’ basata su una progressione aritmetica immediata ed evidente.

 

 

2153 – 2393 – 2609 – 2729 – 2897 – 3089 – 3257

 

 

La completa in pochi istanti.

Le facce cambiano configurazione e si apre un nuovo schema di inserimento. Anche questa volta, appaiono tre numeri.

 

 

514643 – 513283 – 511933

 

 

Il rapporto fra essi è meno palese e la sequenza più lunga di quella precedente, ma ancora semplice.

 

 

511033 – 509843 – 509123 – 508223 – 507163 – 506573

 

 

Lexaeus chiude la relazione di Luxord e la posa sul tavolo.

 

“Più interessante del previsto.”

 

 

505663 – 504983 – 504143 – 503563 – 503053

 

 

“Vero?”

“Qualche idea su chi lo ha costruito?”

 

 

502393 – 501703 – 501343 – 501043

 

 

“Nessuna. Se vai avanti, ho fatto alcune proiezione di eventi partendo dalle situazioni ipotizzate nella relazione.”

 

 

500723 – 500473 – 500363

 

 

“Naturalmente, hanno solo valore congetturale, ma è stato divertente farle. Ho bisogno di avere dati più ragguagliati. Luxord è intelligente e preciso e le sue capacità riducono la probabilità di errore, ma la sua preparazione tecnica lascia alquanto a desiderare.”

 

 

500173 – 500113

 

 

“Quindi, ho intenzione di andare a effettuare un’analisi di persona.”

 

 

500083

 

 

Il secondo schema del gioco si chiude e si apre il terzo. Questo è diverso e i tre numeri presentati sono valori angolari. Zexion fa svanire il rompicapo nel nulla e si stiracchia.

 

“Bene. Pronto a ricominciare?”

“Zexion…”

“Ho riposato e ti ho dato il tempo che volevi. Adesso riproviamo.”

 

Lexaeus è tentato di continuare con le sue obiezioni, ma il telepate ha già deciso per entrambi.

I due meccanismi di analisi si illuminano e tornano alla vita, e il campo dove deve essere materializzata la replica si attiva.

Zexion si è adagiato nella sua poltrona, gli arti e la testa nella giusta posizione.

Aghi e filamenti si estrudono dai loro alloggiamenti e iniziano ad avvolgerlo.

L’aureola di sensori si allarga dietro alla sua nuca. Tre coppie di aghi di luce a simmetria bilaterale, più un singolo elemento posteriore. E’ simile a uno scorpione a sei zampe con la coda pronta a colpire.

 

“Lex, se ti interessa, e ne trovo il tempo, posso effettuare una ricerca storica al castello…”

 

La coppia di aghi anteriore lo trafigge alla fronte, al di sopra degli occhi, e la macchina gli parla con la voce priva di suono e di parole del pensiero.

 

 

[elementi frontali interfacciati]

 

 

“… anche se non sono esattamente il più qualificato, per questo.”

 

La coppia di aghi laterali si chiude sulle tempie.

 

 

[elementi parietali interfacciati]

 

 

“Vorrei accompagnarti, se lo permetti.”

 

Due sottili fibre scorrono negli alloggiamenti dei bracciali e si collegano ai sensori filiformi inseriti nelle vene dei polsi.

La terza coppia di aghi perfora la parete craniale dietro alle orecchie.

 

 

[elementi temporali interfacciati]

 

 

“Sei il benvenuto.”

 

L’ultimo ago, quello singolo, penetra nella base del cranio e si suddivide in due propaggini che corrono nell’encefalo e nel tronco cerebrale.

 

 

[elemento limbico-occipitale interfacciato]

 

 

Appena all’interno del suo corpo, i sensori si estendono e si ramificano in tutto il sistema nervoso.

Il supporto vitale invade sangue e organi.

Uno schermo olografico cilindrico si spiega intorno a lui e una serie di spettrali comandi ausiliari si materializza sotto le mani.

 

 

[sistema operativo]

 

 

Adesso, Zexion è tutt’uno con la macchina.

Nel secondo apparato, i cavi si sollevano come serpenti risvegliati dal letargo mentre aspettano Lexaeus.

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

Prima di tutto, questo capitolo è fortissimamente ispirato ai romanzi del ciclo del Milieu Galattico di Julian May e a uno dei personaggi in particolare, Marc Remillard. Non so dirvi esattamente dove. E' così in generale. Se qualcuno conosce i romanzi, capirà. Se non li conoscete, beh, dovreste ^___^

 

Via al consueto, delirante papiro.

Ragazze, devo proprio dirvi una cosa. Voi avete davvero strani gusti in fatto di uomini. Prima faccio Demyx che si diletta nell’idrolizzare corpi umani, e qualcuno ci sbava dietro. Mo’ faccio Marluxia in versione sinistro mietitore, e me lo trovate sexy.

 

Eh, ma Marluxia è grande ^___^

E’ il personaggio più incompreso di tutto il gioco, e mi dispiace sempre quando viene semplicisticamente liquidato come una donnetta isterica solo per via dei capelli e dei fiori, e qualcuno mi deve ancora spiegare che c’entrino un pigmento e i vegetali con la femminilità. Accettato che nel mondo di KH ci sono persone con i capelli blu, argentati, occhi rossi, gialli, da Axel, sirene e maledetti paperi parlanti, dovrei sconvolgermi per una chioma rosa?!

Quanto ai fiori… beh, i miei docenti di botanica sono sempre stati solo uomini.

Lord Larry, hai fatto tombola. Mai pensato per un solo secondo che il potere di Marluxia fosse quello di lanciare bouquet. Per me non controlla i fiori, rosa o di qualsiasi altro colore. Marluxia sembra creare e controllare esseri viventi. Forse a causa del mio personale background, ma è quello che mi ha sempre impressionata più di tutti, con la possibile eccezione di Zexion.

Bene, sono davvero contenta di essere riuscita a dargli un po’ di dignità ^___^

 

Roxas… Roxas è una questione spinosa.

So che fa tanto strappalacrime pensare al povero bambino che non doveva esistere e dal destino segnato che decide, di sua spontanea volontà, di sacrificarsi, ma Roxas non sceglie proprio niente. E mi sembra che questo viene spesso dimenticato. Non gli viene data nessuna scelta e dire ‘E’ la cosa giusta per lui.’ oppure ‘Era quello che voleva’ non ha senso.

Non c’è niente di più raccapricciante di chi decide cosa è giusto per un altro, e quanto a dire che la volontà di qualcuno è il contrario di quanto il diretto interessato afferma a chiare lettere e più di una volta, è semplicemente paradossale.

E’ che così si rende anche più accettabile il comportamento di Sora e dei buoni del gioco. Rassicura sul fatto che sono davvero 'buoni'.

Il problema è che Roxas è una persona, e non importa nulla che l’universo intero ha deciso unilateralmente di no. Importa quello che lui pensa di sé stesso, e quello mi pare piuttosto chiaro.

 

Anch’io sono convinta, come Krisalia, che Roxas desideri disperatamente essere al posto di Sora. E come biasimarlo? Facciamo un attimo mente locale e mettiamoci al suo posto.

Vi piacerebbe se qualcuno vi rapisse, cancellasse ogni ricordo della vostra vita, li sostituisse con ricordi finti, vi terrorizzasse con allucinazioni e fantasmi, per poi dirvi che non avete diritto di esistere, vi uccidesse, e usasse la vostra forza per far fuori la sola gente che avete realmente conosciuto?

Non vorreste essere al posto del tizio per cui state per essere sacrificati? Io sì. Lo vorrei eccome. E non mi importerebbe niente se milioni di esistenze dipendono dalla sua. Odierei quel tizio e tutti gli altri. Sarei piena di rabbia e rancore. Vorrei distruggere quelli che hanno fatto una cosa simile, ma soprattutto, vorrei vivere e assicurarmi che nessuno possa rifarmi una cosa simile.

Lo farei non perché è giusto, ingiusto, sbagliato, corretto o qualunque cosa del genere. Lo vorrei solo per continuare a vivere.

Per questo ho fatto sì che Roxas rubi l’esistenza a Sora. Non per contrappasso o per rimediare a un’ingiustizia, ma perché ci è riuscito.

 

Tra l’altro, non è neppure vero che solo uno dei due poteva esistere e che, per permettere a Sora di vivere, bisognava annullare Roxas. Sono esistiti entrambi più che tranquillamente in contemporanea, con Sora con la memoria intatta e che ha continuato a fare il salvamondi per molto tempo dopo la nascita di Roxas, senza effetti collaterali. Il casino è stato combinato da Naminé, che prima pastrocchia con il cervello di Sora (incredibile, ma ne ha uno), poi non trova niente di meglio da fare che usare Roxas per rimediare con più facilità a quello che ha fatto lei.

E poi mi si chiede perché il mio Roxas ce l’ha su tanto con lei.

Mah, chissà ^___^

 

Per il resto, evito di proposito di mettere Roxas a confronto con Axel. E’ che secondo me tutta la storia Axel/Roxas è tirata per i capelli. Non riesco davvero a vederla, neppure a cercare con il lanternino. Per Axel è una sorta di morbosa ossessione masochista. A Roxas, invece, concedo al massimo una rassegnata tolleranza verso Axel, con punte di distratto affetto nei momenti di più scatenata emotività del ragazzino. Niente altro. Non è detto che perché si è attirate le attenzioni di un maniaco, sia obbligatorio ricambiarlo.

Peraltro, Axel non ha una grande parte nella vita di Roxas, se si esclude che sono le sue azione a causarne indirettamente la fine.

Roxas fa un sacco di cose in cui Axel non c’entra una virgola e su cui non credo abbia avuto la minima influenza.

Invece, mi intriga un sacco la mia inventatissima relazione Zexion/Roxas, e parlo esclusivamente di una relazione maestro/allievo.

Perché proprio loro? Perché sono tra i personaggi più cerebrali e caratterialmente compatibili della faccenda. Condividono una curiosità quasi patologica, l’asocialità, l’incapacità di accettare paletti dogmatici, una forza di volontà che rasenta l’assurdo. Potrei dire lo stesso di Riku. E’ un peccato che non sia nato a Radiant Garden ai tempi dei sei apprendisti. Sarebbe stato interessante ^___^

 

Mia cara Chris, non dico che fine farà Riku, però una cosa è chiara. Se Riku vive, muore Roxas.

Riku ha rapito Roxas e lo ha consegnato a DiZ. Roxas, almeno nella mia storia, uccide Kairi e Sora. Aggiungici l’indole e il carattere dei due ragazzi. Non vedo una realistica possibilità che finisca bene per tutti e due, a meno di non volere forzare un happy end. E io non credo assolutamente negli happy end buoni per tutti. Qualcuno perde sempre.

Non dico chi. A me piacciono entrambi quasi in uguale misura ^___^

Diciamo che stavolta qualcuno è obbligato ad ascoltare un nobody, mica come il povero Xemnas con Sora :( 

Certo che anche lui... che testa. Cercare di ragionare con Sora non porta bene ai nobody. Generalmente, è l’ultima cosa che fanno. Diciamoci la verità. Sora ha un po’ l’indole e il comportamento di un serial killer e non si va a parlare con un serial killer se si sa di appartenere alla categoria che considera sua legittima preda.

 

Krisalia, questa non solo non è una fanfic yaoi, ma non è neppure una fanfic romantica. Gli elementi ‘romantici’ che ho messo o potrei metterci dentro sono solo parte di quegli elementi che concorrono a determinare l’ambiente, ma non sono preminenti.

Larxene e Marluxia li vedo troppo affiatati e disinvolti l’una con l’altro per essere solo soci in malefatte. Per il resto, non ho niente in contrario ad accoppiamenti diversi. Non ho coppie preferite e nemmeno coppie che odio ^___^

 

Ah, noto con piacere che tutti sono preoccupatissimi per Sora ^___^

 

 

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Capitolo 9
*** VI ***


VI

 

VI

 

 

Roxas solleva la mano all’altezza degli occhi per osservare meglio l’oggetto appoggiato sul suo palmo.

E’ una piccola palla di plastica rossa, in questo momento, anche se è stato un dado con ogni faccia di diverso colore fino a qualche istante prima.

Giusto il tempo di guardarla e la palla si trasforma in un prisma di vetro, che si apre in una forma variabile e mutevole che continua a piegarsi e dispiegarsi su e in sé stesso, in un modo che può essere descritto solo come fioritura a ritmo accelerato.

Gli spigoli dell’oggetto pungono.

 

“Sei capace di immaginare una cosa come questa?” chiede.

 

Zexion annuisce mentre sorseggia il tè.

Le capacità deduttive del ragazzino sono sorprendenti. Non sono in molti ad avere capito così in fretta l’implicazione delle sue illusioni. Parecchi non ci sono mai riusciti.

 

“Se voglio ottenere un risultato così preciso, devo necessariamente essere in grado di rappresentarlo nella mia mente. Altrimenti, da dove salterebbe fuori l’illusione?”

“Da me.”

“Sarebbe una vera sfortuna dover dipendere dal patrimonio mentale di un’altra persona, invece che dal mio. Se poi dovessi applicare le illusioni su più di un individuo, sarei davvero nei guai. Posso attingere a qualcosa che prelevo dalla tua mente, ma, anche così, tutto è determinato da quanto di quel qualcosa riesco a concepire io.”

“Quindi riesci a immaginare la forma, il movimento, la coerenza dimensionale, e intanto parli con me?”

“Anche la massa, la sensazione tattile, l’odore, il sapore, il suono. Vuoi vedere cos’è davvero?”

Roxas annuisce.

“Guarda.”

 

Adesso, la mano è vuota.

Il ragazzino osserva attentamente. Stringe le dita a pugno, poi chiude gli occhi e appare concentrato, come in ascolto di qualcosa.

 

“L’illusione è quella di prima o è questa?” chiede.

“Cosa te lo fa pensare?”

“Lo sento. Non lo vedo, non posso toccarlo, ma lo sento, anche se non molto. Anche se chiudo gli occhi, anzi, più se chiudo gli occhi.”

“Cosa senti?”

Roxas ascolta ancora, per qualche minuto. Alla fine, si stringe nelle spalle.

“Non lo so.”

“Non sai cosa senti?”

“No. Non so perché ho quest’impressione.”

“Prova ad assaggiare.”

Sembra un gesto privo di senso, visto che non c’è nulla, ma il ragazzo non esita a eseguire.

“C’è il sapore di qualcosa. Solo il sapore, nient’altro.” mormora, sconcertato.

“Ho eliminato solo l’illusione visiva, tattile e di percezione della Luce, i tuoi sensi principali. E’ un errore comune, credere che le illusioni si applichino solo ai sensi che si considerano preminenti. Se non vedi qualcosa e non riesci a sentirne la solidità o lo schema di Luce, automaticamente tendi a dubitare della sua esistenza, anche se altri sensi ti dicono il contrario. Non è così per tutti, nemmeno fra noi. Saïx è più portato a credere che l’illusione si applica all’olfatto. Demyx all’udito. Dipende da qual è il nostro senso principale. Se avverti un’incongruenza in quello che percepisci, una qualsiasi incongruenza, ti consiglio vivamente di cercare sempre di capirne la ragione e di capire dov’è quest’incongruenza, invece di accantonarla come se fosse una tua allucinazione, perché è possibile che l’allucinazione sia proprio quella che credi realtà.”

“Però, in questo caso, l’illusione è proprio questa, non è vero?”

“Non ho detto che sia una cosa facile, capire.”

 

Roxas si sfrega distrattamente la spalla che si è ferito solo pochi giorni prima. Il disagio che trasmette è inequivocabile. E’ un po’ come una nevralgia al nervo di un dente. Un dolore non acuto, ma continuo ed esasperante. 

Zexion ha aspettato fino a questo momento che Roxas si decidesse a parlarne, però adesso il dolore si è intensificato e il ragazzo continua a non dire nulla al riguardo. Anzi, proprio con quel braccio, Roxas sta sorreggendo un oggetto illusorio, ma, per quanto lo riguarda, del tutto reale, sforzando l’arto convalescente in una posizione poco adeguata.

Zexion si estende nella mente del ragazzino. Basta un leggero aggiustamento della trasmissione dell’impulso doloroso, senza neanche bisogno di agire sull’elaborazione cerebrale, per spegnere la sofferenza.

 

“Perché non mi hai detto che ti fa male?” chiede.

Roxas si rilassa mentre i muscoli contratti si distendono. E’ chiaramente risentito dell’intervento del telepate.

“Non fa molto male.”

“Ma che senso c’è nel soffrire un dolore non necessario, anche se non è molto? I tessuti sono ancora irritati. Ci vorrà ancora qualche giorno perché passi completamente.”

“Gli altri guariscono più in fretta di me.”

“E’ un tuo punto debole, questo. Non lo supererai certo ostinandoti di proposito a ignorarlo. Le cinque Forze e le loro antiforme si combinano per formare ogni aspetto della realtà, ma la loro distribuzione non è uguale e simmetrica in ognuno di essi. La Vita e la Corporalità, e ogni loro elemento, hanno un’affinità molto forte con l’Oscurità e il Crepuscolo. La Luce ne è una componente minore. Per Larxene, Saïx, Axel e Xigbar, e soprattutto per te, che sei il più legato alla Luce, è più faticoso ristrutturare la forma fisica rispetto a gente come Marluxia, o Demyx, o Vexen, o me. In teoria, grandi manipolatori di Oscurità potrebbero addirittura ricostruire un proprio Corpo quasi solo con essa, anche se sarebbe di durata limitata alla volontà del manipolatore. Neppure un simile simulacro sarebbe pura Oscurità, naturalmente, perché sarebbe tenuto insieme dal pensiero e già il pensiero non è solo Oscurità, ma è affine al Crepuscolo. Tuttavia, sarebbe abbastanza sbilanciato da non poter avere esistenza autonoma.”

“E’ vero. Neanche gli heartless sono solo Oscurità.”

“No, non lo sono. Se fossero solo Oscurità, sarebbero semplicemente la Forza stessa, perché le Forze sono le sole manifestazioni naturali pure. Ogni altra cosa, è sempre e solo una combinazione.”

“Zexion, perché proprio quel pianeta? Ce ne sono così tanti, potremmo trovare tutto quello che ci serve in mondi incapaci di difendersi. Anche in mondi non abitati, magari. Non sarebbe meglio attaccare solo quelli?”

“E i Cuori?”

“No… quelli no. Però per quelli potremmo sempre usare i mondi deboli.”

“Lo facciamo, appena possibile. Tutto quello che hai detto. Le risorse materiali, cibo, fonti di energia. Ma, talvolta, possiamo avere bisogno di uno specifico mondo.”

“Axel ha detto che noi non conquistiamo mondi, però, adesso, tu dici che è quello che facciamo.”

“Posso solo presumere che Axel intendesse dire che non conquistiamo mondi con le loro popolazioni, per diventarne i padroni. Questo è vero, ma, naturalmente, possiamo conquistare un mondo dove c’è qualcosa di unico che ci occorre. Su alcuni pianeti si sono evolute forme di vita che ci interessano, oppure hanno qualcosa che ci serve. Di solito, è la loro posizione nella rete dimensionale. Il nostro Mondo è molto difficile da raggiungere direttamente dalla maggior parte dei Mondi, ma questo significa che anche noi facciamo fatica a raggiungere altri Mondi. Quindi, ci servono punti d’appoggio.”

“Quel pianeta?”

“Anche. La sua dislocazione lo rende importante, per noi. Da esso, un individuo capace di usare i sentieri delle ombre potrebbe raggiungere senza tappe intermedie la Terra del Crepuscolo e, quello, è il solo mondo da cui è possibile arrivare direttamente al nostro. Per chi si muove con le navi la cosa è molto più complessa, ma, ugualmente, si può arrivare a tracciare una rotta che porta con poche tratte alla Terra del Crepuscolo. Inoltre, sulla superficie abbiamo scoperto una struttura che presenta caratteristiche molto interessanti.”

  

Roxas non appare del tutto convinto, è evidente, ma non chiede niente. Conoscendolo, non farà altro che ripensare a quello che gli è stato detto, fino a quando non riuscirà a chiarire i punti che non capisce. Allora, ritornerà sull’argomento.

Comprensibile questa sua confusione. Fino a questo momento, è stato mandato a combattere solo in svariate battaglie e, a questo punto, deve credere che la guerra sia una sequenza interminabile di scontri frontali.

D’altra parte, fino a che non ha sviluppato un’adeguata complessità mentale, c’è poco altro che ha potuto fare.

 

Intanto, il ragazzo è tornato a interessarsi alla forma che Zexion ha fatto riapparire sospesa in aria. La riprende, stavolta con la mano sinistra.

 

“Cosa succede se cerco di tagliarmi con una di queste punte? Mi ferisco anche nella realtà o lo credo soltanto?”

“Dipende da te.” mormora Zexion, mentre posa sulla scrivania la tazza ancora mezza piena.

“Cosa vuol dire?”

“Ricorda che le illusioni non sono mai perfette e complete perché, se lo fossero, sarebbero reali. Inoltre, c’è sempre quella proprietà degli esseri viventi che è la forza di autoconservazione, che si oppone a qualsiasi minaccia. Posso dare l’illusione di ferire o anche di uccidere, posso darne tutte le sensazioni e, in una certa misura, il corpo reagirà alle illusioni come se fossero reali, ma solo fino a un certo punto. Una mente abbastanza debole può anche cedere e morire per questo, capita spesso, ma combatterà comunque con tutte le sue forze e cercherà qualsiasi incongruenza per sopravvivere. Quindi, se in qualsiasi modo si accorgerà dell’imperfezione che rende l’illusione quello che è, allora percepirà la mancanza di materia del colpo che ho inflitto e si aggrapperà a essa per non essere ferita a morte. Potrebbe anche non avere coscienza consapevole di quale sia questa imperfezione, ma questo non importa.”

“Per questo non combatti mai? Perché sai che il tuo avversario può sempre riuscire a capire dove sta l’imperfezione?”

“Combatto nel campo che mi è più congeniale.”

“Credevo che uno stratega non rivelasse mai i suoi punti deboli.”

“Stai progettando di uccidermi, per caso?”

“No.”

La risposta è data con la massima serietà, nemmeno la domanda fosse stata seria. Ma è seria per Roxas.

“Quello che ti ho detto non è un segreto, chiunque avrebbe potuto rivelartelo. Guarda il tuo dito.”

Roxas obbedisce e si accorge che sul polpastrello dell’indice c’è una piccola puntura da cui esce una goccia di sangue.

“E’ un’illusione anche questa.” esclama.

Zexion si stringe nelle spalle e non risponde.

“Ma tu non me lo diresti se anche lo fosse, vero?” chiede il ragazzo.

“Troppo facile, così. Dimmelo tu.”

 

Roxas osserva bene la puntura. Il sangue si è già fermato. Schiaccia leggermente i bordi e ne esce ancora un po’. Ci passa sopra il dito e il sangue si spande sulla pelle lasciandosi dietro una traccia rosata. Sente anche leggermente pungere. Si lecca il dito e sente chiaramente il sapore del sangue. Niente gli lascia intendere che non sia una vera ferita.

E’ un’illusione? Non ne ha idea.

 

“Allora, se ne avessi la convinzione, potrei anche morire?”

“Puoi metterla così. Se ne avessi la convinzione giusta, e la sufficiente volontà, potresti anche non morire. Il corpo cura sé stesso e ferisce sé stesso. La convinzione altera la forma e le percezioni determinano la convinzione. Quindi, la forma è funzione delle percezioni. Compresa la morte. Compresa la percezione di sé. Ecco perché i nobody hanno un aspetto più o meno differente da quello dell’essere originale. Perché le nostre percezioni sono cambiate e non abbiamo più la stessa percezione di noi stessi.”

 

Roxas abbassa di colpo le barriere e si ritrae in sé stesso in quel guscio di scontroso silenzio che è uno dei suoi atteggiamenti più comuni.

Zexion aspetta, ma, alla fine, è lui che si decide a riprendere la conversazione.

 

“Che cosa non va, adesso?” chiede, mentre fa svanire le ultime vestigia dell’illusione, compresa la puntura.

Roxas si stringe nelle spalle.

“Per favore, Roxas.”

“Io non so com’ero. Allora non dovrei non avere alcun aspetto?”

“Tu non ricordi, ma il tuo essere corporeo sì. Ricorda la forma che aveva. I ricordi ci sono, anche se tu, coscientemente, non te ne rendi conto.”

“Marluxia…”  

Nuovo silenzio.

“Sì? Vai avanti. Che ti ha detto Marluxia?”

Ancora silenzio.

“Roxas, usa la telepatia. Se però preferisci parlare, allora fallo in modo completo e non lasciare all’interpretazione del tuo interlocutore.”

“Tu capisci lo stesso.”

“Io sì. Tu impara a esprimerti correttamente. La parola è importante. Scritta, detta, pensata. Parlare con correttezza significa definire con esattezza, definire significa conoscere e la conoscenza dà potere. Ma il potere funziona in entrambe le direzioni. Se usi la parola in modo tale da costringere colui a cui ti rivolgi a capire esattamente quello che intendi, lo avrai portato in un contesto che tu controlli. Lui sarà obbligato a seguirti e tu avrai il potere. Ma se lasci al tuo interlocutore spazio per una sua interpretazione, allora avrai perso il controllo e sarà lui ad avere potere su di te. Non essere trascurato, con il pensiero e con la parola. Non sprecarli, né usarli a sproposito. Nemmeno tra noi, anche se ti capisco, perché la trascuratezza è un’abitudine che si acquisisce subito e si supera con difficoltà. Non abituarti a essa. Guarda come fanno Luxord o Axel.”

“Axel usa le parole a caso.”

“Lo credi tu. Axel è abilissimo a usare il potere della parola e anche a far credere di non saperlo fare. Adesso, cosa volevi dire a proposito di Marluxia?”

“Ha detto che siamo fatti di memoria.”

“Siamo fatti anche di memoria. Non solo di quella.”

“Ma la memoria è importante.”

“E quindi? Vai avanti.”

“Non puoi aiutarmi?”

“A fare cosa?”

“Leggimi dentro e tira fuori quello che trovi.”

Dentro di sé, il telepate impreca contro tutti loro, compreso sé stesso.

“Non posso.”

“Ti lascerò aperte tutte le porte. Nessuna resistenza.”

“Roxas, non posso. Hai un’idea del tutto sbagliata di quello che posso fare. Io percepisco le sensazioni che i tuoi ricordi hanno creato, ma non il ricordo stesso. Immagina che, in qualche momento della tua vita, hai mangiato qualcosa che ti è piaciuto. Posso percepire il piacere che hai provato di fronte a quel cibo, posso anche rievocarlo, se occorre, ma non conosco il momento e la situazione in cui lo hai assaggiato, a meno che tu stesso non me lo trasmetti, cosa che non fai visto che non ne hai memoria a cui accedere consciamente. La memoria non funziona come la registrazione di un film. E’ una faccenda di associazioni.”

“Ma se l’evento crea l’associazione, non puoi ricavare l’evento stesso da tutte le associazioni e tutte le sensazioni?”

“Per qualche secondo, sì. Poi, man mano che l’evento prosegue, la ricostruzione diventa sempre meno attendibile e, alla fine, è del tutto ipotetica. No, Roxas, non posso aiutarti in questo modo.”

 

Per ordine di Xemnas, Roxas non deve sapere nulla di quello che è e del suo rapporto con Sora.

La peggiore delle decisioni possibili.

Troppo incerta. Troppe incognite. Ci sono modi innumerevoli e del tutto indeterminabili con cui Roxas può venire a conoscenza del suo passato e come potrebbe reagire, a quel punto, è altrettanto imprevedibile. Ma Xemnas diventa irragionevole ogni volta si tratta di quei dannati Cuori e nemmeno lui può disubbidirgli apertamente.

Tutti i nobody sono attaccati in modo morboso all’idea della loro identità e ai loro ricordi. Roxas non ha sentito parlare d’altro fin dal primo giorno di vita e non ha capito che spesso si è trattato di un discorso figurato. Con tutta la sua intelligenza e le sue capacità, in molte cose è come un bambino. Letterale e diretto sino all’incoscienza.

Si sarebbe ugualmente fatto domande, è inevitabile, considerata la sua personalità. Così, la situazione non ha fatto altro che esasperarsi e finire in un vicolo cieco.

Roxas si sente già diverso da tutti e, siccome si sente diverso, quella che all’inizio era solo una curiosità vaga e indeterminata sta diventando il perno intorno a cui ruotano tutti i suoi pensieri.

 

Perché sono diverso da voi?

 

Da qui, è solo un breve passo fino alla prossima domanda.

 

Io chi sono?

 

Si sente diverso. Rimarcare questa differenza, sembra a Zexion un comportamento a dir poco insensato. Invece, occorre legarlo ancora di più al senso di appartenenza a tutti loro.

La convinzione di non possedere una vita emotiva relazionata al presente, porta Xemnas e molti altri a trascurare i legami personali e le motivazioni individuali. Ma queste sono, semmai, persino più vincolanti di quanto non accada fra gli esseri completi, e per ovvie ragioni.

Bisognerebbe coltivare quei legami, invece di ignorarli o cercare di frantumarli. Paradossale. Cercare di frantumare qualcosa che si è convinti non esistere.

E’ solo un aspetto di quello che, da sempre è il problema principale fra loro. Eccetto i primi sei, tutti sono alieni agli altri. Forme di vita aliene, di fatto incomprensibili, potenzialmente molto pericolose.

Linguaggi diversi, pensieri diversi, concetti diversi. Talvolta opposti. E’ talmente difficile trovare un terreno comune di comunicazione. Impossibile, oltre un certo grado abbastanza superficiale.

La conseguenza più immediata è che trovano difficilissimo riuscire a lavorare insieme. Le conseguenze più gravi…

Non è proprio il caso di rafforzare una situazione già drammatica.

Se con la sua ostinazione ha rovinato il ragazzo, Xemnas passerà delle gran brutte nottate in compagnia dei suoi peggiori incubi.

 

“La psiche è come un mare. Ci sono svariati livelli. Posso nuotare in superficie. Posso immergermi fino a una certa profondità senza problemi, poi, diventa sempre più difficile. C’è pressione. L’ossigeno si trasforma in veleno. C’è la temperatura. Ci sono correnti subacquee e termoclini. Allo stesso modo, ci sono molti meccanismi che proteggono la mente. E’ pericoloso per entrambi. Non posso immergermi così profondamente senza rischio. Potrei danneggiare la tua mente, anche inavvertitamente. Causare cortocircuiti. Ma il rischio principale è un altro. Hai una volontà molto forte, Roxas, e le volontà forti non tollerano invasioni. Cercheresti di combattermi, che tu lo voglia o no, cercheresti di distruggermi, di inglobarmi per dissolvermi nella tua psiche e io potrei trovarmi imprigionato. Se mi trovassi in un pericolo simile, se percepissi una minaccia per la mia esistenza o per la mia libertà, non credo che sarei in grado di controllare il mio impulso di autoconservazione. Non credo neppure che lo vorrei. Combatterei per liberarmi e questo probabilmente ti distruggerebbe, o distruggerebbe entrambi. Ma c’è anche una terza possibilità. Provocare una fusione. Non più due persone, ma una sola mente dualistica priva di una propria singolarità. E’ la peggiore delle morti, perdere la propria individualità.”

“Se vuoi immergerti, dovresti chiedere a Demyx. Lui può scendere a qualsiasi profondità e per il tempo che vuole.”

 

Una battuta o solo un caso? Zexion non ne è sicuro.

La sonda mentale sfiora la superficie dei pensieri del ragazzo e trova una conferma. Roxas ha formulato consapevolmente quella frase.

E’ la primissima volta che fa un tentativo di scherzare. Un tentativo piuttosto goffo, eppure è stato spontaneo. E tremendamente amareggiato.

 

“Probabilmente, non sono bravo quanto Demyx. Vuoi che lo chiami qui, la prossima volta?”

 

Roxas scuote la testa lentamente. Preso a piccole dosi, Demyx è tollerabile. Ma solo a dosi molto piccole.

Il ragazzino si dirige alla finestra, la apre ed esce sulla balconata, senza premurarsi di chiudersi la porta alle spalle. Un raffica d’aria gelida investe Zexion, insieme a qualche fiocco bianco e asciutto.

Nevica da qualche ora.

E’ cominciato l’inverno, che in quel mondo privo di sole e di stagioni astronomiche, solo un vagabondo dello spazio, per consuetudine hanno deciso di far iniziare con la prima nevicata.

Zexion apre il computer sulla scrivania, accede a un database e ai file relativi a uno specifico mondo.

Dopo qualche minuto, Roxas rientra nel tepore dello studio.

La neve gli si è già accumulata addosso. Si scioglie subito e Roxas è cosparso di minuscole luci radianti, con le gocce che moltiplicano e diffondono quella Forza che è l’elemento del ragazzo e che ogni essere vivente sembra poter percepire e interpretare solo come luminosità.

Per qualche istante, prima che le gocce siano assorbite da capelli e stoffa, è quasi fastidioso da guardare.

 

“Naminé potrebbe farlo.” mormora.

 

Era troppo sperare che, almeno per adesso, la faccenda fosse chiusa. L’ostinazione è uno dei tratti caratteriali più distintivi di qualsiasi nobody e Roxas non è diverso dagli altri.

 

“Roxas, stiamo parlando della tua esistenza. Non essere così pronto a dare a chiunque la chiave d’accesso. Non è come un gioco di carte, dove se perdi puoi ritirarti o rifare il gioco. Qui, se perdi, sei finito.”

“Permetto a te di entrare nel mio cervello.”

“Io non voglio farti del male e so esattamente quello che sto facendo.”

“Con questo intendi che Naminé vuole invece farmi del male?”

“Non so cosa vuole Naminé e, siccome non lo so, non escludo nessuna ipotesi.”

“Così mi chiedi di credere in te. Perché dovrei?”

“Perché quando ti fai male vai da Vexen e non da Axel?”

“Perché Vexen è un medico. Sa come curare le ferite.”

“Esatto. Anch'io sono un medico, anche se non mi occupo delle ferite del corpo. Naminé non ha neppure conoscenza di quello che è lei. Come sa cosa fare? C’è una certa differenza fra essere in grado di fare qualcosa e saperla fare con cognizione di causa.”

“E io questo come faccio a saperlo?”

“Dai risultati. Non lo saprai, fino a quel momento.”

“Vuoi dire che non ho scelta.”

“Puoi scegliere, ma considera l’alternativa.”

“Non la conosco, l’alternativa.” sibila il ragazzo, con una certa ostilità.

Zexion si stringe nelle spalle, fruga in uno dei cassetti e ne tira fuori un piccolo cristallo che inserisce nel computer.

“I ricordi a cui Naminé può accedere sono gli stessi a cui accedo io, cioè quelli accumulati nella tua vita come nobody. Può anche modificare questi ricordi. Cancellarli. Riscriverli. Aggiungerne di nuovi. Darti un’intera nuova vita. E’ quello che vuoi?”

 

Roxas si zittisce subito. Ha il volto impassibile e gli occhi gelidi, come al solito, ma il suo spirito trema, si scopre e lascia manifestare la vulnerabilità che nasconde sempre e così bene.

Lo ha ferito e lo ha fatto proprio con lo scopo di ferirlo e ricordargli quanto facilmente potrebbe perdere quel poco che ha. Quanto è incerta e fragile la sua esistenza.

 

“Non sei il solo che soffre di amnesie.” mormora dolcemente Zexion, e interrompe per il momento il lavoro al computer “Noi sei, i primi sei, siamo stati trasformati insieme, abbiamo vissuto insieme per anni prima di diventare nobody. A quasi tutti noi mancano ricordi che gli altri conservano. Ci sono moltissimi episodi conosciuti solo per comparazione. Xemnas non ricorda momenti della sua vita che gli sono riferiti da Vexen, Xaldin ricorda parti della vita di Vexen che lui non possiede più, e così via. In questo modo, ci siamo accorti che non è stata serbata memoria di molta della nostra esistenza passata. Quello che mi chiedo è perché proprio quegli eventi, che sono eventi diversi per ogni individuo. Purtroppo, fino a questo momento, non abbiamo trovato la costante in queste amnesie. Quanto agli altri, non sappiamo nulla della loro vita precedente. Sono arrivati soli. Se hanno dimenticato qualcosa, non c’è modo di recuperarlo. Come ti ho detto, nemmeno io posso arrivare così a fondo nella loro mente. Quello che si sono lasciati dietro è perso. Come vedi, è molto più complesso di una semplice questione di dualismo. Tu non sei diverso dagli altri, se non per il fatto che non hai ritenuto quasi nessuna memoria della vita precedente.”

“Nessuna.”

“Roxas, te l’ho già detto. Non sei un foglio bianco. Sai parlare, leggere, conosci molte cose, parlo con te e mi capisci. Esisti da soli quattro mesi. Se tu fossi stato davvero del tutto vuoto, credi che in quattro mesi avresti potuto raggiungere simili livelli? In molti casi, con te si è trattato di risvegliare conoscenze che già possedevi. Si pone di nuovo il problema. Perché hai dimenticato determinate cose e non altre? Hai ritenuto gli schemi di memoria ripetuta, questo è evidente. Hai ritenuto ogni forma di memoria che implica azioni, ma nulla legato all’individuo che eri, o che forse eri. Non posso aiutare te come non posso aiutare nessuno, non in questo.”

 

Il ragazzo si chiude di nuovo nel suo silenzio. Questa volta, Zexion lo ignora, torna al suo computer e seleziona una serie di dati da trasferire sul cristallo.

Dopo qualche secondo, Roxas fa una domanda inaspettata.

 

“Zexion, quando gli heartless ti hanno preso, hai avuto paura?”

 

Un cambio di soggetto un po’ troppo repentino.

Non è finita. Roxas ha solo accantonato la faccenda in attesa di avere altri argomenti con cui tornare alla carica. Oppure, sta girando intorno alla questione per attaccarla da un’angolazione inaspettata.

 

“L’Oscurità straripava dai moduli di contenimento, scorreva nelle sale e nei corridoi e fuori, nella città. Le ombre sorgevano da pavimenti e pareti e ci attaccavano. La mia stessa ombra mi dava la caccia lungo i corridoi dei laboratori. Certo che avevo paura. Ero terrorizzato.”

 

Intorno a Roxas, si innalza l’immagine trasparente di un qualche altro posto. Torri e pinnacoli e fontane di una città incantata, racchiusa fra montagne di vetro blu. Una figura che potrebbe essere Zexion, ma non è proprio lui, e i simulacri evanescenti di altri cinque giovani il cui aspetto è familiare.

Sono solo spettri e si disperdono dopo un istante.

 

Zexion stringe la tazza quasi dimenticata e sorseggia il tè. Ma ormai è freddo e imbevibile e lascia in bocca un sapore limaccioso.

 

“Roxas, non chiedere mai agli altri una cosa simile.” mormora.

“Cosa hanno provato?”

“Cosa hanno provato, come è successo. Potrebbero reagire male.”

“Perché?”

“Perché tu chiedi di ricordare e a loro non piace quando non riescono, e gli piace ancora meno quando ricordano.”

“Cosa c’è di tanto brutto?”

“Quando è stato strappato loro il Cuore, o quello che hanno lasciato alle spalle e non si sono potuti portare dietro.”

“A me piacerebbe ricordare, anche cose simili.”

“Non dirlo, quando non hai modo di giudicare.”

   

Roxas si muove verso la scrivania di Zexion e ci si allunga sopra, i gomiti appoggiati al tavolo, le mani intrecciate che sorreggono il mento.

 

Zexion è uno dei pochi con cui il ragazzo si mostra tanto comunicativo, ma la sua indifferenza è un meccanismo di difesa più che vera apatia. Un tentativo di passare inosservato verso chi lo infastidisce.

Se io li ignoro, loro ignoreranno me. Se li lascio in pace, mi lasceranno in pace. Non è vero?

 

No, Roxas. Non è vero. Non è vero per niente. Non ti ignoreranno. Non ti lasceranno in pace.

 

In questo modo, non fa che confermare le convinzioni di chi lo considera una specie di automa privo di personalità, ma non gli importa di loro. Roxas non fa compromessi con le esigenze di nessuno e non cerca di compiacere nessuno.

Con lui non è mai stato particolarmente apatico, anche se è vero che, questa sera, è insolitamente loquace. E’ anche insolitamente agitato.

Non è abituato a restare fermo a lungo e la forzata inattività della convalescenza lo annoia e, siccome si annoia e non ha molto altro da fare, pensa. Ed elabora. E sperimenta. Tasta i limiti a cui può arrivare. Quelli a cui gli è permesso arrivare.

 

“Parli di tutti gli altri… A te posso chiedere, invece?”

Zexion sospira.

“A me sì, se vuoi.”

“Non ti importa?”

“Mi importa, ma mi importa più di altre cose. E’ passato, Roxas. Ha un’importanza solo soggettiva e negarlo non cambia nulla.”

 

Il ragazzino si sporge da sopra il monitor del computer per guardare cosa scorre sullo schermo. Ma è solo un flusso di colori e forme, senza significato per lui, e se ne disinteressa subito.

Immerge un dito nella tazza abbandonata da Zexion, poi osserva pensoso la sottile pellicola scura che il tè raffreddato gli ha lasciato sulla pelle.

 

“Tu ricordi tutto, vero?” domanda.

“Sì.”

“Anche quando ti hanno strappato il Cuore, anche della vita che non hai più?”

“Ogni secondo.”

“Allora raccontami il resto. Tutta la storia.”

“La conosci già.”

“So cosa è successo, non come è stato.”

 

Sì, Zexion capisce la differenza.

Non basta la cronaca degli eventi. Vuole sapere com’è stato esservi partecipe.

Roxas adora le storie. Non importa di cosa trattino, l’importante è che raccontino qualcosa. Che siano gli sciocchi aneddoti da taverna di Xigbar, i feroci racconti di guerra di Larxene, le complicate avventure di Luxord, le canzoni di Demyx, supplica per ogni frammento di storia che gli viene donato.

Come se, non avendo una storia propria, cercasse di porre rimedio con quelle degli altri.

Questa storia, potrebbe bastargli per mesi.

 

“Va bene, ma non adesso. Un’altra volta.”

 

Naturalmente, non riesce a distoglierlo dall’argomento che ha deciso essere di suo interesse.

 

“Credi che sarebbe successo qualcosa di diverso, se Ansem non avesse voluto fermarvi?”

“Ma Ansem lo ha fatto, quindi non so.”

“Com’è avere paura?”

“Non so dirti neppure questo, Roxas. Le sensazioni non si possono spiegare. Mi rendo conto che è una risposta stupida, ma puoi conoscerle solo quando le provi.”

“Allora io non posso saperlo. Credo di avere avuto paura, ma come faccio a dirlo? Non ho ricordi e se non abbiamo emozioni…”

“Non è vero.”

“No?”

“No. Ti hanno detto che fingiamo, vero? Fingiamo anche fra noi? Che senso avrebbe, fingere fra gente che finge a sua volta? Le emozioni sono prodotte dall’elaborazione del sistema limbico cerebrale in risposta a stimoli ambientali esterni e interni, dalle reazioni neurochimiche determinate da questa elaborazione, dagli effetti fisici causati dalle reazioni chimiche e, alla fine, dal riconoscimento conscio degli effetti fisici. Questo, almeno, per le specie a cui apparteniamo noi. Ricorda, però, una cosa. Le emozioni seguono schemi analoghi nei vari universi e pianeti, non omologhi, e noi siamo di origine svariata. Quindi, in realtà, cerchiamo di raggruppare in un’unica definizione cose che possono essere diverse. Noi possediamo recettori in grado di raccogliere gli stimoli, abbiamo un encefalo in grado di elaborarli e di dare reazione neurochimica, e abbiamo un corpo per rispondere a queste reazioni. Abbiamo emozioni né più né meno di qualsiasi esemplare completo delle nostre rispettive specie d’origine. Prima che me lo chiedi, sì, ne abbiamo le prove. E’ stata una delle prime cose di cui ci siamo accertati.”

Il ragazzo si tira su a sedere, con la fronte aggrottata.

“Allora non capisco. Perché siamo diversi dagli altri?”

“Questo è ancora motivo di discussione. A quanto pare, ogni tanto qualcuno decide di demolire le nostre teorie. Con certezza ti posso dire che è diverso il meccanismo psicologico di riconoscimento conscio delle emozioni. Quello psicologico, non quello neurologico. E che, talvolta, questo meccanismo fallisce e ci manca la capacità di riconoscere consciamente l’emozione. Siccome per definizione il riconoscimento fa parte del processo dell’emozione, in quei casi tecnicamente noi manchiamo di emozioni. Ma il vero problema è che siamo legati all’assuefazione, al ricordo, se preferisci, di come riconoscevamo le emozioni come esseri umani, e percepiamo questo diverso meccanismo e i suoi risultati insufficienti.”

“Ne sei sicuro?”

“Ne sono sicuro sì. Roxas, mi stai facendo tutte queste domande perché sei curioso. La curiosità è un’emozione primaria. Tutti i nostri obiettivi sono basilarmente dovuti a emozioni. Non avremmo motivazioni, altrimenti. Addirittura, saremmo già morti da un pezzo, fosse solo che mancheremmo completamente di senso di autoconservazione, che è dato da un insieme di elementi, tra cui svariate emozioni.”

“Axel dice che quello che ci motiva è l’insoddisfazione per la nostra condizione.”

“Questa è una contraddizione, te ne rendi conto?”

“Credo di sì.”

“Credi?”

“E’ una contraddizione.”

“Lieto di sapere che approvi. Senti, puoi ascoltare Axel per molte cose, ma non questa, perché non è il suo campo. E fatti un favore. Fa lo stesso con Xemnas e Saïx.”

“Insomma, devo ascoltare solo te.”

“Questa è una decisione intelligente.”

“Axel dice anche che sei arrogante.”

“Detto da Axel… Non so se esserne lusingato o preoccupato. Non sono arrogante. Ti dico quello che so, questa non è arroganza. Ti dico quando non sono sicuro delle mie risposte. Nemmeno questa è arroganza. Sarei arrogante se mi vantassi di capacità che non possiedo, se mi prendessi il diritto di insegnare per certo qualcosa che è solo una mia opinione, qualcosa che non è supportata da fatti, o è addirittura negata dai fatti.”

 

Roxas lo studia con attenzione e una certa diffidenza. Ha la capacità di fissare senza quasi battere le palpebre, né distogliere mai lo sguardo per un tempo eccezionalmente lungo. Come fa Saïx.

Entrambi sembrano convinti che potrebbero perdersi qualcosa di vitale, se solo chiudono gli occhi un istante. O che chi gli sta davanti possa compiere un gesto inaspettatamente ostile, se non viene continuamente sorvegliato.

 

“Ti da fastidio che io ti faccia queste domande?”

“No, Roxas. Chiedere non è mai sbagliato. Dovresti essere più cauto, ma la tua curiosità va bene. Non lasciare mai che decidano cosa è giusto che tu chieda, nemmeno io. Cerca solo di non farti male nel processo.”

“Ienzo. Ti chiamavi così, vero? Ma tu sei Ienzo?"

“Non lo so. Potrei essere solo qualcuno che crede di essere stato Ienzo. Qualcuno che era dormiente quando Ienzo esisteva e non poteva esprimersi. Che, quando Ienzo è scomparso, si è risvegliato, si è ritrovato tutti i ricordi accumulati da Ienzo e, di conseguenza, si sente Ienzo. Forse Ienzo è diventato quella cosa nera e strisciante, dimentico di tutto, e io sono davvero qualcosa di nuovo, nato nell’istante della frammentazione della sua psiche. Qualcosa che ricorda solo quello che era prima e crede di essere l’uomo esistito in precedenza. Oppure Ienzo era un individuo diverso, formato dalla somma di entrambi.”

“Ma, in questo caso, dove sarebbe la differenza? Se tu ricordi di essere Ienzo… allora sei lui.”

Il giovane sorride.

“Allora sono lui.”

E’ quasi divertente che questo bambino affermi con tanta sicurezza qualcosa di cui lui non ha nessuna prova.

“Roxas, vuoi che ti dica che sei la persona precedente, oppure il contrario?”

 

Roxas considera attentamente quella domanda, in tutti i suoi possibili significati, prima di rispondere.

Anche lui è insoddisfatto, persino più degli altri, ma la sua insoddisfazione è diversa. Non pianifica il futuro per cercare il passato. Vuole conoscere il passato per capire il presente, per essere nel futuro.

 

“Voglio solo sapere come stanno le cose.”

Zexion china lievemente il capo.

“Nella frammentazione dall’originale essere vivente se ne generano due. Vuoi sapere è se l’individualità originale è il nobody o l’heartless?”

Roxas annuisce lentamente.

“Potrebbe anche non essere nessuno dei due. Innanzi tutto, ricorda che i nobody come noi sono una percentuale minima, quindi ogni ipotesi in merito si basa su un numero troppo limitato di individui per essere realmente significativo. La stragrande maggioranza dei nobody degenera nel fisico e ha una forma mentale estremamente alterata. E’ molto difficile definire l’individualità, con loro. Per dire se siamo davvero le persone che eravamo, dovremmo prima di tutto decidere cosa è l’individualità. Addirittura, se è un concetto univoco. Se è il risultato di uno sviluppo continuo e coerente di un individuo causato da ogni fattore eso ed endogeno. Ambiente e genetica, per così dire. Dovremmo sapere se il Cuore è parte dell’organismo oppure un’entità esterna. E, in questo caso, come influenza l’essere, come ne permette lo sviluppo. Definiamo Personalità quell’insieme di carattere, convinzioni, comportamento e risposta all’ambiente tipico di ogni individuo, e Identità l’insieme di storia biologica e ambientale, compresi i propri ricordi. E, ancora, non è sufficientemente esplicativo. Aggiungiamo allora il termine Anima, cioè quella qualità che ti identifica come soggetto unico e irripetibile, il minimo comun divisore dell’individuo, quello che sei sempre a prescindere dai cambiamenti a cui vieni sottoposto. Non necessariamente Anima, Personalità e Identità coincidono. La Personalità è una qualità dell’Identità e l’Identità è determinata anche dalla Personalità. L’Identità è necessariamente soggetta al cambiamento, con il progredire del tempo e l’accumulo di esperienze. A sua volta, essa può cambiare la Personalità, che risponderà all’ambiente in modo tale da influire sulla storia dell’essere, su come percepisce gli eventi, quindi il modo in cui si evolve l’Identità. Ma riguardo all’Anima? L’Anima è il risultato della somma di Personalità e Identità, oppure una caratteristica propria e indipendente da esse? Immutabile, o soggetta a sviluppo e trasformazione, come ogni aspetto degli esseri viventi?”

 

Si interrompe un attimo per permettere a Roxas di seguirlo, ma il ragazzo è del tutto a suo agio e non trasmette neppure un’ombra di perplessità.

La cosa ironica è che Roxas, a dispetto della sua amnesia, ha una memoria perfetta. Gli basta vedere, sentire, percepire qualcosa perché la ricordi nei minimi dettagli. Non solo. Ha una memoria dinamica. La sua non è solo un passivo accumulare dati. E’ in grado di usarli, elaborarli, trarne conclusioni.

Unito al carattere freddo e speculativo, all’intelligenza acuta, all’abitudine di osservare, alla curiosità analitica, lo rende uno degli individui più affascinanti del loro gruppo.

E’ come era Xehanort. Una mente vergine, assetata, apparentemente senza limiti. E tutto sprecato per essere solo un’arma.

E’ questo che Xemnas e gli altri si aspettano da Roxas, un tesoro inaspettato arrivato dal nulla in un momento di troppo bisogno. Le sue esigenze possono e devono essere sacrificate alle esigenze di tutti.

Sarebbe bello averlo come allievo a tempo pieno, invece di ritagliare solo pochi istanti legittimati dalla necessità di riparare una psiche troppo fragile. Se solo gli fosse permesso.

Ma ci sono molte strade per arrivare allo stesso risultato. Non può dirgli quello che vuole sapere e non può garantirgli che lo troverà, ma nessuno può impedire che lo cerchi da solo.

 

“Io posso essere l’Anima di Ienzo la cui Personalità è mutata dalle mutate condizioni. O l’Anima originale del corpo, a cui la presenza di Ienzo impediva di avere consapevolezza. C’è anche la possibilità che l’Anima sia solo l’espressione di una continuità di esperienza e che, quindi, nel caso di un evento traumatico che spezzi questa continuità, si sviluppi una nuova Anima. In realtà, non abbiamo neppure certezza che l’Anima esista, perché non possiamo provarlo.”

Roxas aggrotta la fronte.

“Questo non lo capisco.”

“Ascolta. Se trasferisco Personalità e Identità da un individuo all’altro e ne cancello quelle originali, questo crederà di essere colui da cui derivano quelle componenti e non potrà pensare altro, e qualsiasi tentativo di indagine in questo senso porterà solo a riferirsi alla memoria, alla storia, all’identità dell’individuo che li ha forniti. Non ho quindi la possibilità di provare l’esistenza dell’altro individuo, almeno non finché non troveremo indicatori univoci legati alla pura Anima, ammesso che ci siano. Fino a quel momento, la sola cosa logica da fare è presumere che le Anime esistano solo come prodotti di Identità e Personalità, e che, quindi, quando queste, o anche una sola componente ne venga variata, l’individuo sia diverso.”

“Allora tu non sei Ienzo.”

“E’ possibile che non lo sia.”

“E io non sono…”

“E’ possibile che tu non lo sia.”

“Ma tu cosa credi di essere?”

“Quello in cui credo è irrilevante, se credo una cosa che potrebbe essere sbagliata. Se non sono in grado di supportare quello in cui credo. Credere senza prova è un atto di fede e la fede è solo il salvagente di una mancanza di conoscenza.”

“Allora non credi neanche di poter riottenere il tuo Cuore.”

“Io non credo, Roxas. Io so, oppure non so.”

“Non sai tante cose, però.”

“Vero. Non le so ancora.”

“Axel ha ragione. Sei arrogante.”

“Perché?”

“Sei sicuro di riuscire a capire qualsiasi cosa.”

“Sono sicuro di avere la possibilità di capire qualsiasi cosa. Che poi ci riesca o no, dipende solo da me.”

 

Roxas ricomincia a giocherellare con il gioco illusorio che Zexion ha fatto riapparire e che ora sembra un fiore di cristallo con petali ondeggianti e profumo di zucchero.

Solo un’illusione. Un’illusione tanto perfetta da non essere distinguibile dalla realtà, ma non materiale. Zexion può dare la sensazione dell’esistenza, non creare materia.

Anche se, fino a quando dura l’illusione, Roxas non saprebbe dire dov’è il beneficio che non sia concreta.

La forma si chiude su sé stessa e torna a essere quella del prisma di vetro.

Questa volta, il ragazzo lo colpisce con un fascio di luce bianca. Il prisma illusorio rifrange la luce e la scompone. Il raggio bianco diventa un arcobaleno che si proietta sulle pareti.

Roxas fa una smorfia, deluso di non essere riuscito a sorprendere lo scienziato.

 

“Sei bravo.” mormora “Io sono veloce, ma non ho avvertito nessun intervallo. Le tue illusioni sono istantanee?”

“No, intercorre un tempo tra quando percepisco lo stimolo e la risposta. Ma il mio tempo di risposta è inferiore a quello che riuscite a rilevare. Tutto qui. Poi, posso sempre farti credere che non ci intervallo, non pensi?”

 

Zexion finisce di trasferire i dati a cui sta lavorando, estrae il cristallo di memoria dal computer e lo passa al ragazzo, ancora seduto a gambe incrociate sulla scrivania.

 

“Tra qualche giorno, ho un lavoro da fare su un certo mondo. Queste sono le specifiche di quel mondo. Preparati e studiale. Mi accompagnerai.”

Chiude il computer, si alza e indica con un cenno del capo la poltrona.

“Avanti, adesso dobbiamo cominciare.”

“Devo proprio?” si lamenta Roxas, subito sulla difensiva.

 

Odia ritrovarsi la mente invasa da un’altra persona. All’inizio non ci sono stati problemi, ma, con il passare del tempo, diventa sempre più difficile e lui oppone sempre maggiore resistenza. E’ individualista persino per un nobody, non sopporta il controllo e sta imparando a erigere barriere mentali piuttosto valide. Sono ancora grezze, ma nondimeno efficaci, grazie alla sola forza bruta che riesce a sviluppare.

Per questo adesso lo fa parlare il più possibile, prima di sottoporlo alle sedute. In genere serve a rilassarlo. E, comunque, è utile anche quello.

Poco prima, Roxas gli ha offerto libero accesso alla sua mente, lo ha praticamente pregato, ma aveva un motivo e uno scopo ben chiaro per farlo. Questo è qualcosa di troppo astratto e indefinito, non riesce a vedere cosa ha da guadagnarci. Poi, ci si mette di mezzo anche una buona dose di ripicca. Perché si tratta di quello che interessa a lui, ora Zexion pretende di fare quello che, per una cosa importante solo per Roxas, ha rifiutato di compiere.

Il ragazzo intende rendergli le cose difficili.

Prima o poi, si ribellerà al punto di non permettergli più di lavorare su di lui, a meno di non usare un deliberato atto di violenza. Ma, a quel punto, non ci sarà più bisogno di continuare.

 

“Sì, dobbiamo.”

“Dopo mi viene sempre mal di testa.”

“Non è vero. Sono molto attento e non c’è motivo per cui tu abbia l’emicrania.”

“Lo so io cosa provo!”

“Non alzare la voce. Sono a pochi passi da te e sento benissimo.”

Il ragazzino sbuffa.

“Roxas, guarda che così non fai altro che allungare i tempi. Non è che facendomi parlare mi dimenticherò di quello che devo fare, sai? Prima finiamo, prima te ne potrai andare.”

“Non capisco neanche cosa fai… Non mi sento diverso, quando hai finito. Però ho mal di testa.”

Zexion sospira pazientemente.

“Sto cercando di consolidare i tuoi schemi mentali, che sono ancora molto fragili. Alcuni circuiti sono errati. Dispersivi. Ridondanti. Prendi i tracciati più lunghi. Quelli inappropriati.”

 

Roxas lo fissa con occhi gelidi e feroci da rapace. Non capisce o, almeno, è quello che pretende di far credere. Ma è anche vero che Roxas non è uno dei cinque. Non può comunicare con lui con il mezzo puro e determinato della matematica e la telepatia non lo aiuterebbe, in questo caso. Il ragazzo non ha addestramento sufficiente. Per ora, percepisce i pensieri in forma di parole o sensazioni, invece che di concetti. Non è ancora capace di acquisire insiemi di informazioni tanto complesse, né di comprenderle, se non attraverso un sistema di elaborazione artificioso. Per spiegarsi in modo chiaro, Zexion deve brancolare con l’imprecisione del linguaggio verbale. Oppure, cercare paragoni e similitudini.
 

Fa apparire l’immagine di una lunga catena ramificata di piccoli cubi, che si chiude su sé stessa ad anello.

 

“Sei come una casa costruita con molte ali e molte stanza, ognuna delle quali, però, ha solo due porte e si apre su due sole altre stanze. Se vuoi passare da una stanza a un’altra non contigua, devi attraversare tutte le stanze che ci sono in mezzo. Se dovesse crollare una parete, sbarrarsi una porta, non solo non potresti più raggiungere quella stanza, ma anche tutte quelle che raggiungi attraverso quella. Io voglio aprire porte per fare in modo che ogni stanza sia contemporaneamente collegata a tutte le altre, così che la casa sia sempre agibile. Certe volte, poi, imbocchi la strada più lunga. Come se per unire due punti con la linea più breve, tu usassi un tracciato a zig zag. In questo modo, la tua mente ha punti di frattura numerosi e molto evidenti. Cerco di ridurli. Cerco di darti il modo di tenere insieme la tua personalità nel modo più efficiente e solido possibile. Hai capito? Adesso siediti.”

 

Cancella le forme metamorfiche e accenna di nuovo alla poltrona.

Roxas lo ignora ostentatamente e comincia invece a vagare per lo studio.

Ci sono diversi oggetti, reperti di dozzine di mondi e dimensioni. Roxas li raccoglie uno a uno e li osserva meticolosamente, prima di posarli. Spassionato, attento, cauto.

E’ ritualizzato, ormai. Un predatore che esplora un nuovo ambiente, anche se per Roxas questo non è più nuovo. Eppure, al tempo stesso, lo è, perché ogni volta la sua mente è in grado di elaborare con un piano di prospettiva in più. Quindi, quello che lo circonda assume ogni volta un livello di profondità diverso.

E’ affascinante osservare il leggero slittamento di comportamento che mostra ogni volta che ripete questo schema.

Ma Zexion sa bene su cosa finirà per soffermarsi. Finisce così ogni volta.

E, infatti, dopo qualche istante, l’attenzione di Roxas viene catturata da un pugnale dalla lama di ossidiana arabescata e l’elsa di corallo rosa. Un oggetto splendido, anche se, come arma, poco pratica.

Naturale. Metti un adolescente in una stanza piena di oggetti di ogni genere. Lui riuscirà a trovare l’unico, vero, pericoloso, tagliente strumento di distruzione e se ne innamorerà.

Principio valido in modo pressoché universale. Evidentemente, anche per i nobody.

 

Roxas sguaina il pugnale dal fodero e ne ammira rapito i disegni della lama.

Comincia a passarselo fra le dita come un giocoliere. La sua abilità è sorprendente. Si è già lasciato indietro Xaldin e Larxene e, ormai, forse solo Saïx e Xemnas potrebbero tenergli testa in un confronto fisico.

 

“Puoi tenerlo, visto che ti piace tanto.”

 

L'espressione di Roxas non cambia, ma, per qualche istante, le luci dell’ambiente aumentano di svariati gradi di intensità.

 

Alla fine, anche lui è solo un altro rompicapo, solo un altro problema da risolvere, e un problema è una soluzione non ancora trovata. La risposta esiste già nell’indeterminato. Basta cercare con attenzione.

 

Zexion indica per l’ennesima volta la poltrona. Roxas sospira, ma, finalmente, obbedisce e va a sedersi, tenendo stretto il pugnale.

Questa volta lo ha comprato con poco, la prossima sarà più difficile. Ma c’è sempre la storia che il ragazzo ha chiesto.

Può farla durare parecchio.

Se le cose continueranno a evolversi a questo ritmo, non ci sarà bisogno di altro.

 

  

* * * * * * *

 

  

Una volta, Lexaeus gli ha mostrato il fossile di un osso. Aveva mantenuto la perfetta forma di origine, persino i segni di una vecchia frattura, ma non c’era più niente del tessuto organico. Con il passare del tempo, la pietra aveva sostituito le cellule, fino a che non era rimasta che una roccia.

Nello stesso modo, negli anni e nelle ultime ore, l’Oscurità ha saturato Riku, sostituendone man mano le componenti. Non tutto, naturalmente, c’è ancora molto dell’essere originale, non come la pietra nel fossile, ma è abbastanza.

Adesso che la volontà del giovane si sta indebolendo, l’Oscurità torna al suo stato primitivo e indifferenziato e Riku sta perdendo coesione. Il suo corpo è una struttura che si scompone secondo disegni definiti, come se si spaccasse lungo piani cristallini. Uno sviluppo iniziato da ore che, adesso, ha subito una brusca accelerazione. I suoi profili si sfaldano in fibre nere. Torace e schiena, dove i keyblade hanno colpito e il processo è a uno stadio più avanzato, sono schemi che si sgretolano in frattali.

E’ un po’ come quello che avviene alla morte di un nobody, solo a un ritmo infinitamente rallentato.

Almeno, così lo vede Roxas.

Un essere umano, forse, continuerebbe a vedere un corpo normale, oppure solo una palude confusa e pulsante di nero ribollente, carne e sangue. Non lo sa. Non ha idea di come vede un essere umano. I ricordi di Sora non bastano, per questo. Nemmeno Sora era realmente umano.

A ogni modo, il risultato è che Riku si sta disintegrando.  

 

Può lasciarlo andare. Può persino affrettargli il trapasso.

Oppure, può riportarlo sulla terra.

 

Lo lascio andare?

Sì?

No?

 

Deve pensare bene, attentamente, cosa fare.

 

Sì?

No?

Forse?

 

Un’altra delle cose a cui deve pensare bene.

Un’altra conseguenza delle odiate e indesiderate eredità di Sora.

Ha i ricordi di Sora e, se ha i ricordi di Sora, allora può avere anche le sue emozioni. O il loro riflesso.

Se solo potesse eliminarli, lo farebbe senza esitare. Non vuole nulla, di Sora.

Non ci riesce e, a questo punto, dubita che ci riuscirà mai. I ricordi di Sora sono lì, in lui, aggrovigliati ai suoi in un gomitolo inestricabile. Può distinguerli solo perché sa, senza ombra di dubbio, che certe cose lui non le avrebbe mai fatte. Ma questa è solo una valutazione intellettuale e a posteriori, non una conoscenza viscerale. Per quello che lo riguarda, i ricordi sono gli stessi.

Con alcune eccezioni.

C’è stata un’interruzione, durante il tempo del suo oblio. Pochi istanti in cui è tornato sé stesso. Non libero, quello no. Sempre un’ombra nella psiche di Sora, però un’ombra dotata di volontà e arbitrio.

Non ha avuto esitazioni su cosa fare.

Si è lanciato contro Sora, in quel duello mentale che forse ha deciso la loro sorte e la storia di tutti i Mondi.

E ha vinto.

Poi ha perso.

 

L’ultima percezione che ha sperimentato, l’ultima come essere individuale, quella che può dire essere realmente sua, è stata quella della lama del keyblade di Sora che lo sventrava. Quasi un modo per chiudere un cerchio, visto che anche il primo ricordo è altrettanto doloroso.

L’ultima sensazione che ha provato è stato stupore, e la recriminazione per avere risparmiato Sora dopo averlo disarmato.

 

Sei stato bravo, Sora.

 

Molto più bravo di lui. Questo ha proprio dovuto dirglielo.

Lui è stato più forte, più veloce, più agile, più abile, ma ha sbagliato. Ha ripetuto lo stesso errore fatto in precedenza con Riku, anche dopo avere imparato a sue spese che significa sbagliare. Ha gettato via la vittoria e, forse, se avesse sferrato il colpo mortale, avrebbe cancellato fin da allora la personalità di Sora.

Sora non soffriva di simili debolezze e non si è lasciato sfuggire il momento e l’occasione. Sora lo ha colpito non per disarmarlo, ma con la volontà di ucciderlo e solo quella. La volontà di annientarlo, di cancellare anche il ricordo della sua esistenza.

Sora ha meritato di vivere e lui ha meritato di morire, perché la colpa è sua. Lui è stato debole e lui ha perso, e la colpa è sempre solo di chi perde.

Una delle tante colpe che si porta addosso. Questa, non se la perdonerà mai.

 

mi dispiace

 

E’ stato l’ultimo pensiero che ha elaborato, con la consapevolezza di non avere perduto solo sé stesso, ma tutti loro. Quella è durata fino all’ultimo, mentre sentiva scivolare via la sua presa sulla coscienza di essere qualcosa, di essere qualcuno.

 

DiZ era in errore. Lui non poteva portare nulla a Sora. Poteva solo renderlo più insicuro, più debole. E’ stata una fortuna, per Sora, che di lui non era rimasto nulla, una volta uniti.

Sora era di gran lunga migliore. Non ha mai lasciato un nemico vivo sul suo cammino. Non ha mai esitato un solo istante e per nessuno, eccetto che per Riku e, anche allora, non ha risparmiato una vita. Ha solo cambiato bersaglio e rivolto la lama su sé stesso, ma ha sempre comunque portato morte.

Non vuole nulla, di Sora, ma qualcosa gli serve.

Se può avere i ricordi di Sora e le sue emozioni, allora può avere anche le sue motivazioni, la sua forza, la sua decisione.

Anni di umanità gli avranno pur insegnato qualcosa.

 

Immerge la mano nella sabbia.

Sembra neve, da quanto è bianca. Ma non lo è. E’ amorfa, e troppo calda.

Sbagliata.

E’ tutto sbagliato, in questo posto. E’ il riflesso distorto di casa sua, come uno degli universi fantasma.

Non ha idea di quanto riuscirà a sopportare di trovarsi qui.

 

Lo lascio andare?

 

Axel ha sempre avuto ragione.

Nessuno sarebbe mai venuto a patti con un nobody ed è ininfluente quello che il nobody può fare o non fare. Il resto dell’universo ha già deciso per lui e ha deciso in un solo senso, ed è impossibile combattere la convinzione di un intero universo.

Combattere l’universo, d’altra parte, è una faccenda diversa. Non impossibile.

 

Si?

No?

 

  

* * * * * * *

 

 

Nel mondo materiale sono passate ore dal momento in cui si è calato nella mente di Roxas.

L’ha ripulita dalle imperfezioni, ha reindirizzato i circuiti mentali sulle strade più brevi e dirette, ha eliminato svincoli ciechi e deviazioni inutili, tracciato strade da prendere e indicato le vie giuste, come ha fatto tutte le volte precedenti, come dovrà fare ancora.

Non è possibile la ristrutturazione di un’intera psiche in una sola volta e deve lavorare lentamente, con pazienza.

Volta per volta, si è precisato quello schema personale che è insieme l’aura mentale di Roxas e la sua impronta olfattiva, che lo identifica come sé stesso individuale, essere singolo e irripetibile.

Che è impossibile definire, perché per questo occorre fare riferimento alle caratteristiche di qualcos’altro, mentre è sempre qualcosa di unico. Che però, una volta, ha cercato di spiegare a Lexaeus.

 

Immagina di passare una notte chiuso in una stanza piena di gente, senza nessuna finestra, senza alcuna apertura sull’esterno. Poi ti accorgi che c’è una porta, esci, e vedi che è l’alba e sei sulla riva del mare. E’ questo l’odore di Roxas. L’odore del mattino sull’oceano.

 

E’ quasi sopraffacente.

Quando ha terminato, resta per un po’ ad assaporare il mattino, prima di prepararsi a un altro compito, uno nel mondo sotterraneo.

Ma c’è qualcosa, adesso. Una presenza bianca e informe che lo spia, timida e nascosta, arrogante nella sua pretesa di passare inosservata.

 

Ti ho vista. So che sei qui.

 

Evoca le ombre e le scaglia violentemente contro la cosa, che si ritira frettolosa. Ma non ha tempo di pensare a lei, ora.

 

Si avvicina al mare che lambisce le rive del reticolo d’oro incandescente che è la mente umana di Roxas. E' un mare nero e tempestoso che ricorda la storia di un’intera stirpe, mescolata alle esperienze di una - due - creature viventi, fin dall’inizio della loro esistenza.

Cammina nelle acque scure, fino a quando esse quasi non lo sommergono. Allora trae il fiato, si immerge e inizia la sua discesa verso il fondo, al di sotto di quel limite che ha affermato di non poterevolere raggiungere.

Quello che ha detto a Roxas non è del tutto vero.

 

Correnti fredde lo sfiorano.

Un’infinita di cose vivono qui. Si sono accorte della sua presenza e nuotano per raggiungerlo, scorrono sotto e intorno a lui, e il loro movimento sposta quell’acqua gelida.    

 

 

Un bambino piange, solo, nel buio.

 

 

Le dita del bambino si allungano in tentacoli gommosi e i suoi occhi bianchi e ciechi sono rivolti a lui come gli occhi di un pesce bollito. Cerca di ghermirlo, di riversare su di lui tutta la sua spaventosa paura infantile di essere abbandonato.

 

 

C’è odore di cannella e vaniglia, e un ritornello composto da otto note ripetute.

Qualcuno canta, ma la canzone non ha niente a che fare con quella musica e i due suoni creano una dissonanza sgradevole, ma c’è odore di cannella e di festa.

 

 

Relitti di ricordi che appartengono a un’altra vita. Vestigia inutili.

Li ignora e ignora i richiami e la pulsione a fare ordine.

Questo è l’abisso e vigono le leggi del caos. Fare ordine, significa distruggere la base dell’essere Roxas.

 

  

Una stanza spoglia di tutto. Il pavimento è coperto da liste di legno lucido. La luce del sole entra in fasci da serrande semichiuse e illumina le particelle di polvere nell’aria.

Il suono scandito di un orologio. In quel silenzio, assorda.

 

 

L’abisso sente l’intruso e vuole stritolarlo. Cerca di fermarlo, incantandolo con i suoi segreti.

 

 

cannellacannellacannella

 

 

E’ una trappola. Se si attarderà, la sua sorte potrebbe essere ritrovarsi parte di tutto questo.

 

Continua la discesa. Forme nere si solidificano e lo guardano passare.

 

Raggiunge il fondo, una membrana elastica che gli si avviluppa addosso e lo imprigiona.

Lacera la membrana che è il fondo di quel mare ed emerge al di sotto.

Fluttua a terra, un piano bianco e infinito. Il cielo è una superficie d’acqua argentata, uno specchio fluido che lo separa dal mondo di sopra.

 

Comincia il cammino e l’area liscia e incolore si costella di sassi e sabbia, fino a quando è un deserto di pietra.

 

Ci sono figure, nude e accovacciate sulla roccia.

Sono umane, ma mancano di lineamenti. Niente occhi, nasi, orecchie. Al posto della testa, solo ovali bianchi.

Picchiano ritmicamente le mani sul terreno, i volti da manichino rivolti al cielo, in adorazione di una stella dorata che domina il cielo notturno, la cui luce uccide la luce di tutte le altre stelle.

 

Crescono alberi spettrali, una foresta pluviale, umida e buia. La foresta ancestrale di un mondo perso e dimenticato nella confusione del tempo e delle dimensioni.

Una snella e aggraziata creatura arborea, dagli artigli affilati, il manto screziato di genetta e gli occhi frontali come zaffiri, lo osserva dagli alberi. Mostra denti che sono aghi di vetro e si accuccia, pronta a saltargli addosso e dilaniarlo.

E’ una vecchia conoscenza, quest’essere. Lo aspetta nei recessi della sua stessa mente e di quella degli altri cinque. Ha sempre sospettato che il popolo delle isole discende da un nucleo originario proveniente dal suo mondo. Non è stata una sorpresa scoprire che condividono la stessa storia evolutiva.

 

Torna ancora indietro e l’aria è densa e satura di vapore.

La mente di Roxas è adesso la mente di un rettile. Un essere coperto sia di squame che di pelo, la forma simile a quella di un lupo e le fauci di coccodrillo, sibila furibondo.

 

Indietro, e la foresta si allaga, il cielo è solcato dal ricordo di giganteschi insetti e il rettile diventa anfibio, poi pesce.

Ora non c’è più nemmeno la terraferma, ma solo un mare grigio e memorie di fame e fuga e caccia.

Un essere corazzato, la bocca nient’altro che un foro dai bordi taglienti, pinne carnose e coda a frusta, nuota sui fondali del mare e gli si scaglia contro.

 

Il mare viene assorbito dalla sabbia e si prosciuga, e il cielo è una distesa di luce abbagliante e colori al neon.

 

  

il cielo è mercurio

 

  

Colori che cambiano continuamente.

Si avvicendano senza tregua, così forti e saturi che, ne è sicuro, lo accecherebbero se li vedesse con gli occhi corporei.

Nessuno di essi persiste più di qualche secondo, prima di trasmutarsi in un nuovo colore, una nuova luce, ugualmente cruda, ugualmente senza ombre.

 

  

il cielo ha il colore delle viole

 

  

La terra non c’è più.

Non ci sono più montagne, alberi, pietre.

Al loro posto, solo sagome nere, varchi aperti sul nulla, ritagli di vuoto contro lo sfondo di quel cielo elettrico.

Dai varchi proviene un suono, un ronzio musicale. E il profumo dell’alba sul mare.

 

  

il cielo è ghiaccio

 

  

Il vuoto si estende anche al disotto. E’ solo la sua volontà a sostenerlo.

Un solo dubbio e la sua convinzione di esserci svanirà e lui precipiterà.

Nel nulla.

 

  

il cielo è acqua vorticante

 

  

Ha raggiunto la sua meta.

Non è la fine della strada, questa. Ci sono altri strati, ancora più profondi, ma non può andare oltre.

   

 

il cielo è fuoco

 

 

Non ha detto tutta la verità, a Roxas, ma neppure gli ha detto tutte menzogne.

Ci sono limiti che neppure lui può varcare.

 

 

il cielo è oro

 

 

Zexion si inginocchia.

Con le dita, scrive sulla terra che non esiste, nell’aria e sui colori del cielo.

Traccia lettere bianche di luce che infrangono il vuoto.

Sempre la stessa parola, ripetuta sino a coprire ogni spazio.  

 

 

… OXASROXASROXASROXASROXASROXASROXASROXASROXASROXASROXASROXASROXASROXASROXASROXASROX…

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

Ho capito. Alle ragazze piacciono i cattivi soggetti   ^___^

Allora mi sa che ne troverete tanti, qui. Non ho neppure cominciato a giocare con i veri cattivi soggetti. Però, se ci fate ben caso, in questo capitolo ne appare uno di sfuggita.

A pensarci bene, il solo soggetto che si può definire realmente ‘buono’, nel senso più comune del termine, qui dentro, è Luxord.

 

Yeah, sì, vai. Che bello. Sono riuscita a fare uno Zexion non emodepresso ^____^

Me tanto felice. Se non si è capito, adoro Zexion.

E pensare che, all’inizio, quando avevo cominciato a leggere fanfic su KH, non mi piaceva per niente. Questo tizio sempre depresso, ipersensibile, delicato, che a una sola parola brusca cadeva in crisi di disperazione suicida come un’adolescente ritardata, mi faceva venire il latte alle ginocchia. Sì, insomma, diciamocelo pure. Io odio gli emo. Qualsiasi cosa siano esattamente.

Poi ho avuto a che fare con il vero Zexion, quello del gioco, e mi sono detta ‘Ma stiamo parlando della stessa persona?!’

Ed è stato amore ^___^

Zexion è un’adorabile carognetta, permaloso, arrogante, intrigante ed elitario, con l’aspetto di un angelo e la coscienza di uno scorpione, leggermente fuori di testa e con tanto di quel potenziale da travolgere tutti i rivali. Troppo, per fermarsi alla carineria e al ciuffo blu sugli occhi. Ma non potevano fargli un taglio alla marine? Almeno si evitavano giudizi superficiali dovuti a un pessimo parrucchiere. Ovviamente, dal suo punto di vista, è meglio così. Chi sospetta di un ragazzino così carino e di aspetto tanto indifeso?

 

Cara Lux, ti chiedi perché Lexaeus è tanto rilassato? Che vuoi, lui e Zexion sono amici di vecchia data ^___^

Sa benissimo che avere a che fare con una persona che basa il suo comportamento sulla logica e l’opportunismo, è tutto sommato riposante. Basta fare sì che non gli convenga farti ammazzare e le cose vanno bene. Il problema è con gli idioti che cambiano modo di fare a seconda di come gli gira al momento.

Zexion è assolutamente inoffensivo, se non ha interesse a farti del male.

Certo, in quel caso…

 

Ma che sto dicendo? Hai ragione tu. Hai assolutamente ragione tu :(

 

Sora comincia vagamente a farmi pena. Sarà perché ho probabilmente parecchi più anni di molti di voi, ma alla mia età l’idea di un bambino a cui viene messa in mano una spada da gente molto più vecchia e a cui vanno i veri interessi della faccenda (e che spesso è volentieri se ne sta a casa al sicuro), e gli si dice ‘vai e uccidi’, è leggermente inquietante.

Che poi non è esattamente il ragazzo più sveglio della terra, non si discute. Roxas, nella stessa situazione se non peggio, è infinitamente più sensibile, curioso, individualista e si fa ben più che una questione. Sora è tristemente ottuso. Uno dei più ottusi fra i personaggi eroici, categoria notoriamente formata da una schiacciante maggioranza di idioti. Il miracolo non è che Roxas esista. E’ che sia nato da Sora.

Ecco perché Sora mi farà anche vagamente pena, ma questo non mi impedirà di dargliene di santa ragione ^___^

 

Yunie, sono lieta io di vedere che qualcuno ha le mie stesse idee su Naminé. Cominciavo a credere di essere una voce sola nel deserto. Naminé è micidiale ed è pure astuta. Con il suo modo di fare da gatta morta ha convinto tutti che è una bambina inoffensiva e bisognosa di protezione. Ma dove? Una tizia che può cancellarti, come fa a essere inoffensiva?

Lei, Topolino e YenSid sono i soggetti più spaventosi di tutta la faccenda.

Perché Topolino? Tsk!

 

 

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Capitolo 10
*** Seconda parte ***


Seconda parte

 

Seconda parte

 

 

 

Dove puoi sopravvivere soltanto a condizione di combattere con il coraggio della disperazione, allora quello è territorio mortale.

 

L’arte della guerra, Sun Tzu

 

 

 

* * * * * * * * * * *

 

 

 

c’è qualcuno?

 

 

Lo ripete da anni, tutte le notti. Sempre lo stesso rituale.

Si sdraia, lascia che il suo corpo fisico si addormenti e si lancia fra le stelle.

 

Dapprima lo ha fatto con speranza. Poter vedere i semi che ha piantato superare la cattiva stagione.

Con il passare del tempo, è diventata sconforto, poi rassegnazione.

 

 

c’è qualcuno come me?

 

 

Non c’è mai risposta.

I Mondi eseguono le loro sinfonie uniche, i pianeti intonano i loro cori di esistenze, le dimensioni brulicano di vita molteplice e multiforme.

Ma nessuno è come lui e l’universo non potrebbe essere più silenzioso e vuoto.

 

 

c’è ancora qualcuno?

 

 

E’ diventata solo un’abitudine, il filo sottile che lo ancora al passato. Un modo come un altro per ricordare.

I semi maturano nel ghiaccio in attesa della primavera, ma un inverno troppo lungo e rigido può uccidere anche quelli più forti.

 

Quando anche la rassegnazione si è stemperata in indifferenza e non si aspetta più nulla, il riflesso di una luce dorata trasfigura per un istante l’orizzonte dei Mondi.

E’ come il preludio del mattino.

 

 

 

* * * * * * *

 

 

 

Sulla cima, ci sono schermi che proiettano i tuoi ricordi.

 

E’ quello che gli hanno detto, ma sugli schermi che costellano la sommità del grattacielo ci sono solo figure quasi indistinguibili, un vortice di forme scollegate, un carosello frenetico e scomposto di macchie e colori in movimento.

E’ una sequenza che dura diversi minuti, termina con un intervallo di buio, quindi si ripete. E’ sempre uguale, ma la ripetizione non la rende più comprensibile. Le immagini sono troppo veloci, troppo indefinite, mescolate l’una con l’altra, frammentate, sfocate.

In mezzo a quella confusione, solo alcune forme si ripresentano con insistenza durante tutta la sequenza e sono, o quasi, riconoscibili.

I keyblade. Quelli sono inconfondibili. E un volto, una persona. Non abbastanza chiaro da essere identificabile con certezza e non abbastanza confuso da essere del tutto incomprensibile.

Una figura coperta da abiti neri, gli abiti della sua gente. Anche se, in certi momenti, intravede del bianco.

Una figura che chiama a sé l'Oscurità.

Una testa argentata, lunghi capelli del colore della neve fresca.

 

Xemnas?

 

Non ne è sicuro.

Sembra Xemnas. A volte. A volte no.

Le immagini sono troppo spezzate e indistinte per capire bene. Non è neppure sicuro che sia sempre la stessa persona. Potrebbero essere figure di individui diversi.

Crede sia Xemnas.

Uno Xemnas come non lo ha mai visto, la sua solita imperturbabile compostezza sconvolta dalla foga della battaglia.

Uno Xemnas che si lancia da questo stesso grattacielo.

Contro di lui.

Combatte, contro di lui.

Non è certo che sia Xemnas e non vede sé stesso, ma, su questo, non ha dubbi. Le immagini sono viste in soggettiva. Sono sentite in soggettiva. Chiunque sia quella persona, il suo nemico è lui.

 

L’uomo cade e muore per mano sua.

Altre volte, invece, è lui a cadere per mano di quell’uomo.

 

Inframmezzate a quelle scene e a tutte le altre scene senza significato, le figure dei keyblade, chiare e prepotenti. I suoi keyblade, ma anche altri che non ha mai visto.

Keyblade impugnati da molte mani diverse. Mani di uomini, donne, fragili mani di bambini. Mani artigliate, squamate, rivestite di pelliccia o di piume.

Keyblade grondanti sangue, risplendenti di luce, velati di tenebre.

Keyblade che spengono stelle, che spengono vite. Che chiudono e spalancano le strade degli universi. Che infrangono catene e serrano gabbie.

 

Roxas si avvicina e, con la vicinanza, le immagini si ingrandiscono, si sgranano e diventano chiazze di colore troppo disperse per essere riconosciute anche solo come figure incoerenti.

Sfiora lo schermo principale. Brevi scariche statiche disturbano la trasmissione e si propagano progressivamente a tutti gli altri schermi.

Si appoggia alla superficie che sembra quasi vetro e chiude gli occhi.

Le scariche diventano continue e la trasmissione si interrompe del tutto, impedita dalle fluttuazioni dei campi provocate dalla sua presenza e dall’energia che incanala.

 

Immagini inutili.

 

Si allontana dagli schermi.

Le figure ricompaiono e ricominciano la sequenza appena trasmessa.

Non ha idea di come interpretare quelle immagini e neppure se ci sia qualcosa da interpretare. Non si è mai aspettato davvero di vedere i ricordi della sua vita, ma se non fosse venuto qui, sarebbe rimasto per sempre con la curiosità di sapere se la storia è vera.

Se sono immagini originate dal suo passato, non le riconosce.

Le osserva da ore, aspettando che cambino, ma non cambia nulla.

 

Volta le spalle agli schermi, nauseato da quello che vede, e si avvicina all’estremità del tetto.

Scuote la testa per far cadere la neve che si è posata sul cappuccio.

Ha iniziato a nevicare e non ha più smesso. Una neve così fitta da limitare la visuale a pochi metri, che, nelle ultime ore, è aumentata di intensità e continua ad aumentare.

Aspetta ancora che Zexion lo chiami per la missione esterna.

Qualche giorno, ha detto.

Potrebbero essere due o duecento. Sarebbero sempre qualche. Zexion non ha mai fretta.

Aspetta da molto più di due giorni.

Giorni di attesa e neve.

Sotto di lui, il panorama della città è confuso dai fiocchi che riempiono il cielo.

La neve gli piace, sin da quando l’ha vista su un pianeta alieno, prima cosa a fare breccia nella sua mente.

Gli piace l’odore. Una miscela di ozono e acqua pulita ed elettricità.

Gli piace il modo in cui si struttura. Ogni singolo cristallo organizzato in una forma che ricorda il disegno della ragnatela e replica sé stessa, ma che pure mantiene una sua unicità. E’ il punto di confine fra l’amorfa massa dell’acqua e la purezza di una geometria esatta.

Gli piace il rumore che fa. Una specie di anti-suono, qualcosa che assorbe il rumore piuttosto che provocarlo. Non che ci siano molti rumori, ma non è neanche del tutto silenzioso. Il ronzio delle luci, il cadere di masse di neve, quando essa si accumula troppo e perde coesione, il saltuario muoversi di qualche nobody o qualche heartless. E’ tutto attutito, come se fosse ascoltato tenendo la testa sotto un cuscino.

 

Per prova, pronuncia una parola, una vocale breve e sorda, un suono senza significato. Per un istante, a confronto con l’ovattato silenzio della notte eterna, è un fragore, ma è subito assorbito e silenziato.

Ci prova ancora, più forte e più a lungo. Poi di nuovo.

In piedi, sulla cima del Grattacielo della Memoria, Roxas urla con tutto il fiato che ha in corpo.

Certo che se qualcuno dovesse sentire, lo crederebbe pazzo. Gridare da solo, in cima a un grattacielo, nel bel mezzo di una nevicata che sembra intenzionata a diventare tempesta.

Ma, tanto, non c’è nessuno e, se pure ci fosse, non gli importerebbe nulla.

Anche la sua voce si perde nella neve.

 

Ama la neve e ama il diritto alla solitudine che ha finalmente conquistato. Niente più sorveglianza speciale. Xemnas ha revocato l’incarico di controllarlo.

In ogni caso, il castello è sempre troppo affollato, per lui.

 

Si volge di nuovo verso gli schermi, che trasmettono le stesse scene.

La figura sullo schermo si contorce e apre la bocca in un urlo muto di orrore.

Per l’ennesima volta, Xemnas agonizza e muore ai suoi piedi.

 

Immagini senza senso?!

 

Roxas fa un passo oltre il bordo del parapetto e si lascia cadere nel vuoto.

Usa la Luce per vincere la gravità e atterra su mani e piedi, in una nube di fiocchi e schegge bianche. Si rialza subito e si incammina lungo la strada principale, lasciandosi il gigantesco palazzo alle spalle.

 

Dietro di lui, ombre nere scivolano negli angoli bui. Sono come immagini viste con la coda dell’occhio, come i colori di una macchia d’olio su una superficie d’acqua.

Lo seguono, scorrendo da un anfratto all’altro, nelle imperfezioni interne dei veli e dei blocchi di ghiaccio, nell’oscurità del terreno e degli spioventi degli edifici.

 

La neve si è unita alle settimane precedenti di gelo per trasfigurare il loro mondo.

Le strade sono canyon imbiancati racchiusi fra le pareti ciclopiche dei palazzi. Festoni, pannelli e lenzuola di ghiaccio drappeggiano gli edifici. Stalattiti trasparenti colano dai tetti. Alcune sono talmente alte da essere arrivate a terra, a formare merletti e colonne intricate.

Le luci al neon tingono tutto di verde criptonite, azzurro elettrico, rosso rubino e giallo come il tuorlo di un uovo.

Sembra che Vexen, in un impensabile slancio di creatività, abbia deciso di decorare a festa la città nera.

 

Qualche ombra è emersa dal suo piano bidimensionale e lo pedina, cauta e timida.

 

Roxas si ferma e si gira un istante. La sagoma del Grattacielo della Memoria è sgranata nella neve e la sua cima invisibile. Solo bagliori di luci colorate tradiscono l’esistenza degli schermi che forse proiettano ricordi, o forse no.

Riprende il cammino e alcuni nobody suoi famigli gli si affiancano, nel tentativo di accompagnarlo o di proteggerlo. Li bandisce con un pensiero che non lascia spazio a dissensi e le creature biancastre svaniscono.

Non vuole nessuno con lui, neppure i suoi guerrieri.

 

La neve scricchiola sotto gli stivali, ed è un suono gradevole e tranquillizzante.

Sui marciapiedi è molto alta e copre gli ingressi degli edifici. Però, per qualche ragione, sulle strade non si è accumulata al punto da impedire il cammino. La neve fresca e soffice è solo uno strato che gli arriva alle caviglie, steso sopra a una massa più compatta dove non si sprofonda.

Deve esserci un sistema che ne scioglie l’eccesso, oppure i nobody che vivono nella città la eliminano.

 

Le ombre al suo seguito sono adesso una piccola folla. Non solo dietro di lui, ma anche al suo fianco. Alcune lo superano e gli tagliano la strada.

Finalmente, si degna di accorgersi di esse e ne resta vagamente stupito.

Non è un comportamento normale, questo. Che lo seguano sì, lo fanno spesso. Che gli si avvicinino tanto e addirittura gli chiudano il passo, no.

Sembrano quasi intenzionate ad aggredirlo.

Sono sempre attratte dai nobody e molte volte attaccano gli inferiori, anche se da loro non hanno nulla da guadagnarci in termini di riproduzione.

Si direbbe quasi che i Cuori odino i nobody, ma lo fanno solo per una questione di polarità. Le Forze si combinano per loro stessa natura e gli heartless sono costituiti quasi esclusivamente da Oscurità. Cercano quindi di compensare la loro difficoltà a esistere in uno stato tanto squilibrato legandosi con altre Forze. I nobody sono manifestazioni di Crepuscolo quasi altrettanto puro. Gli heartless ne sono attratti come pezzi di ferro da un magnete.

Se è così, allora sono richiamati da lui più che da qualsiasi altro nobody, perché la sua natura di essere del Crepuscolo si somma a quella di elementale della Luce, Forza complementare all’Oscurità degli heartless.

Però, nonostante tutto, di solito lasciano in pace i nobody superiori e quelli come lui sono tabù, a meno che loro stessi non siano i primi ad attaccare gli heartless. Ma adesso è solo e con gli heartless è una questione di equilibri. Sono esseri che agiscono in gruppo e hanno una specie di mente-alveare. Il numero e il bilanciamento tra numero e forze sono alla base del loro intero sistema comportamentale.

L’esatto contrario di quello che accade con la sua razza, che è quasi incapace di agire collettivamente. Persino per loro stessi è difficilissimo accordarsi per lavorare e vivere insieme. Forse sono proprio i Cuori a fornire la componente che permette agli esseri viventi di combinarsi in comunità.

Non crede sia paura, quella che impedisce agli heartless di attaccarlo. E’ che devono raggiungere un numero minimo, superato il quale agiscono. E’ un numero diverso a seconda di quale avversario hanno di fronte e anche della varietà di heartless coinvolta. Anche una sola ombra può attaccare un comune essere umano o una creatura dotata di Cuore, ma ne occorre almeno una decina per muovere contro un nobody inferiore e non meno di venti per aggredire uno dei superiori, persino delle varianti più deboli, numero che si riduce se sono supportate da heartless di ordine maggiore.

E’ come se la volontà di quegli esseri, pressoché inesistente, si sommasse. Una volta raggiunta la massa critica, si forma una gestalt, che possiede una propria individualità e capacità di valutazione, superiore alla somma di quella dei singoli individui.  

Ma gli heartless non sono macchine e non sono oggetti. Hanno una volontà, per quanto minima, una facoltà di elaborazione. Qualcuno ha anche un filo di intelligenza. Gli hanno detto che alcuni heartless sono addirittura senzienti. Non ne ha ancora incontrato uno così, ma gli piacerebbe vedere come si comportano quelli.

Le cose sono molto più complesse di quanto non sarebbero se fossero solo macchine. Una macchina non ha scelta. Loro sì.

Allora, forse, non è solo una faccenda di attrazione automatica. Forse odiano davvero i nobody e, forse, odiano lui più di chiunque altro, perché non possono fare a meno di esserne attratti e non hanno modo di impedirselo.

 

Abbassa il cappuccio per avere libero al massimo il campo visivo, reso già limitato dalla neve che si è infittita ancora. Si è anche alzato il vento e i fiocchi, invece di cadere in verticale, ondeggiano nell’aria. Qualcuno gli finisce negli occhi e fra le ciglia.

 

Gli heartless si sono moltiplicati e si sono disposti in modo da circondarlo su ogni lato.

Adesso è sicuro. Vogliono attaccarlo.

Se è così, deve solo aspettare che se ne radunino in numero sufficiente per raggiungere la massa critica. Tutti loro non bastano ancora per affrontare lui. Sono solo deboli ombre, queste, fragili come topi di fronte a una tigre.

Non sa quanti ne devono arrivare. Non ha mai sentito che gli heartless abbiano attaccato spontaneamente un nobody umano.

E’ il momento giusto per scoprirlo.

 

Materializza i keyblade e, con essi, traccia linee nella neve. Una spirale che si diparte da lui e si allarga verso l’esterno, tagliata da diversi raggi. Appoggia la mano al cento del disegno e le linee si accendono di luce, si allungano e si moltiplicano, a formare una complessa struttura radiale che si estende nella città.

Se lo vogliono, ora hanno un faro che li guida a lui. Una trappola di fili di Luce che conduce al ragno.

 

Sagome scure colano dagli angoli bui degli edifici, si condensano al suolo e si sollevano in forme quadrupedi avvolte da vapori di Oscurità.

Le ombre si scostano per lasciare il passo ai loro fratelli maggiori, agili belve nere che si muovono coordinate come lupi in branco.

Il gruppo di heartless che lo circonda è diventato una torma brulicante, eppure esitano ancora.

Si avvicina a uno di loro e lo tocca con la punta del keyblade nero, gentilmente. La piccola creatura si agita e si ritrae al tocco di quella cosa. Roxas lo segue, spingendolo con il lato piatto della spada. L’heartless apre le fauci in un urlo silenzioso e cerca di fuggire.

Il ragazzo continua a incalzarlo e gli altri heartless si allontanano precipitosamente di fronte a lui, per poi raggrupparsi di nuovo appena è passato.

Roxas intrappola la sua vittima designata fra mucchi di neve e la parete di un edificio e la tiene schiacciata al muro con la lama.

L’ombra si divincola in preda al panico. Il contatto con il keyblade gli impedisce anche di teletrasportarsi. Roxas infila con delicatezza la punta della seconda arma sotto la neve ai piedi dell’essere.

Gli altri heartless reagiscono alla paura del loro simile e iniziano ad agitarsi. Le piccole ombre sibilano contro il nobody e allungano le mani artigliate verso di lui. Quelli più grossi si accucciano e raspano la neve. Le volute di Oscurità che li circondano si addensano.

 

“Io sono la tempesta.” sussurra Roxas, e non si sente affatto stupido a dire una cosa simile, e dirla a un pubblico di heartless.

Le creature nere non reagiscono alle sue parole, ma per gli heartless le parole non hanno significato.

 

Roxas solleva di scatto il keyblade e squarcia l’ombra.

E’ una specie di segnale.

Il primo heartless che lo raggiunge è disintegrato in pieno volo, ma lo sciame si muove con una sola volontà e hanno già attaccato tutti.

 

Sarebbe tutto perfetto, se non fosse per le immagini viste sul Grattacielo della Memoria.

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

E vai con i ringraziamenti e le risposte  ^___^

 

Krisalia: Il mio giochino quadridimensionale ha fatto scalpore. Anche una mia amica ne è rimasta colpita ^____^

Non credo proprio sia possibile immaginarlo nella sua interezza, perché non possiamo raffigurarci una figura dotata di quattro dimensioni spaziali perpendicolari. E’ molto facile da concepire concettualmente e da spiegare geometricamente, ma visivamente no. Al massimo, potresti immaginare una sua proiezione tridimensionale. Adoro fare giochi mentali. E’ la prima volta che uso un personaggio dotato di capacità telepatiche e mi diverto moltissimo. Il fatto che poi Zexion ha potere sulle percezioni, perché alla fin fine è questa la faccenda delle illusioni, lo trovo bellissimo.

 

Giuro che nessuno mi aveva mai considerata ‘filosofica’. Beh, la faccenda della formazione delle emozioni nel sistema limbico, più che filosofia è neurofisiologia. La faccenda dell’anima, ovviamente, sono pure e semplici seghe mentali ^____^

 

La curiosità secondo me è il tratto più caratteristico di Roxas, oltre una certa freddezza da far vergognare Vexen. Non che ci voglia molto. Vexen è tutt’altro che freddo. Anzi, lo trovo il più emotivo di tutti i nobody. Lui, Xemnas e Saïx. E se qualcuno mi contesta l’emotività di Xemnas e Saïx, lo prendo a mattonellate di porfido sui denti. Praticamente tutto quello che fanno quei due deriva da una motivazione di stampo emotivo.

Tornando a Rox, probabilmente buona parte del fascino che il suo personaggio, e quello di Zexion e dei sei in generale, esercitano su di me è proprio a causa della curiosità che mostrano, che, lo ammetto, è il mio punto debole. Ho il cuore tenero nei confronti delle personalità curiose, non so che farci ^___^

 

Assolutamente niente contro Demyx. Mi è simpatico, povero tesoro, però il commento sull’essere tollerabile solo a piccole dosi è dal punto di vista di Zexion e Roxas. Tutti e due mi sembrano tipi piuttosto introversi e amanti della tranquillità e poco disposti a vedere il proprio spazio vitale invaso. Demyx invece mi dà l’idea del confusionario senza speranza, espansivo e rumoroso, uno di quelli che ti sparano la musica a tutto volume nelle orecchie e pretendono di trascinarti in mezzo al casino.

Di solito i tipi introversi hanno una bassa soglia di tolleranza a gente simile. Lo so bene, visto che io sono la regina degli introversi. Sai come si dice, ci sono persone che amano i gatti e quelli che amano i cani. Zexion e Roxas sono assolutamente tipi da gatto. Demyx decisamente da cane ^___^

 

Demyx ricomparirà ancora una volta e sarà scatenato al massimo. Purtroppo, è un bel po’ di capitoli più avanti, ma credo che ti piacerà, visto che ti piace il suo dark side. E stavolta lo tirerà fuori con un avversario tosto, non con una ragazzina indifesa ^___^

 

Yunie: Cara, sono davvero lusingata da tutti questi complimenti ^___^

Roxas non ha ucciso Naminé. Ha ucciso Kairi. Non ha potuto uccidere Naminé perché al momento in cui lui si è risvegliato, lei era già bell’e che scomparsa. Altrimenti lo avrebbe fatto eccome.

Potrei tirare fuori un gran numero di ragioni per cui Roxas avrebbe voluto eliminare la sua sorellina, ma alla fine ne basta una sola. Lei ha eliminato lui. Non gli ha cancellato pochi ricordi sparsi a caso, ma l’intera esistenza. Questo ha poi permesso a Diz di sopprimerlo e trasformarlo nella batteria di scorta per Sora, che lo ha usato per uccidere la sola gente reale che ha mai conosciuto. Naminé è anche quella che permette a Riku di sconfiggere Zexion infrangendo le sue illusioni e, nella mia storia, Roxas ha un rapporto quasi filiale con Zexion. Questa parte non è canon, ovviamente, ma io devo essere coerente con quello che scrivo.

Naminé ha fatto tutto di sua spontanea volontà, o non lo avrebbe fatto. Aveva molti modi per sfuggire a DiZ e Riku (Naminé sa aprire i corridoi dell’oscurità), eliminarli e salvare sé stessa e Roxas. Certo, lei aveva le sue ragioni, ma io giudico con il mio metro di giudizio e siccome Roxas è il mio personaggio, riflette il mio modo di considerare le cose. Di conseguenza, è incarognito e assetato di vendetta ^___^

In realtà, non ho fatto nulla di particolarmente originale. Una situazione tipica di molte storie fantastiche o fantascientifiche è quella dove abbiamo un protagonista umano che cerca vendetta su mostri vari per qualcosa che hanno fatto, di solito alla sua famiglia, lasciandolo come unico superstite. Generalmente costui è visto come l’eroe della situazione e le sue azioni sono fatte passare per giuste e lecite. Qui ho utilizzato esattamente la stessa situazione, ma a termini inversi. Il mio eroe è il mostro inumano che cerca vendetta sugli umani per la sua famiglia e la sua vita mandata a catafascio. Se qualcuno me lo giudica cattivo, lo picchio!

 

La scelta di mettere Roxas e Riku a confronto. Mi fa piacere questa domanda, sai? Speravo proprio che qualcuno facesse caso alla scelta dei personaggi ^___^

E' che mi intriga da pazzi la relazione che lega i due. Riku è, in un certo senso, il ‘padre’ di Roxas, visto che Roxas esiste a causa delle sue azioni, però è proprio Riku a dargli la caccia e portarlo a DiZ. Per aiutare Sora, come motivo ufficiale, ma io ho i miei dubbi che uno come Riku si fermi a una ragione così superficiale. Credo che tentasse, in qualche modo, di rimediare alle conseguenze dei suoi atti, riportando tutto a come era prima, compreso svegliare Sora ed eliminare Roxas, e non per intento altruistico, cosa che mi pare talmente fuori carattere che potrei credere di più a Xemnas animale da festa, quanto perché Riku ha paura per sé stesso. Lui vive nelle idee che gli hanno inculcato, cioè che l’oscurità rappresenti il male, quindi la rifiuta, tranne che rivolgersi ad essa quando la cosa gli fa comodo, per poi sentirsi in colpa ed agire quindi come ci si aspetta da un rappresentante della luce.

Inoltre, Riku è quello che, pur avendo fatto quello che hanno fatto i nobody in genere e infinitamente più di quanto non abbia fatto Roxas, sopravvive e gli viene data una seconda, poi una terza e presumo quarta possibilità. E questo solo perché ha un cuore ed è amico di Sora. Roxas vede distruggere la sua vita e tutto quello che conosce in conseguenza alle azioni di un uomo che ha fatto esattamente le stesse cose, ma a cui viene permesso di continuare a vivere come se niente fosse. Non credi che potrebbe prendersela a male?

Mi piaceva quindi l'idea di metterli a confronto. Certo, per adesso hanno parlato poco, ma vedrai che tra un po' si scatenano.

 

Passiamo agli anni. Ho quasi vent’anni più di te. Sono del 73 ^___^

Consigliarti libri? Ti dirò, la mia cultura letteraria è del tutto ordinaria. Ho un’estrazione strettamente scientifica. Mi è sempre piaciuto leggere, questo sì, e fin da piccola ho divorato libri un po’ di ogni genere, con un occhio di riguardo per la fantascienza classica, come Asimov, Heinlein, Clark, Simak (questo te lo consiglio. Quello che scrive è pura poesia. Leggiti City), però leggere è già quello che fai. A parte questo, mai fatto niente per ‘imparare a scrivere’. Per la verità, a scuola non mi piaceva neppure l’italiano, compreso fare i temi. Preferivo di gran lunga matematica e fisica. Ho cominciato a scrivere fanfic per gioco e ho scoperto che è un hobby rilassante. Tutto qui ^__^

Non so se ti piace il mio modo di scrivere, oppure quello che scrivo.

Non sto a darti consigli sulla forma, visto che non sono per niente sicura della mia stessa correttezza formale. Cerco di eliminare tutti gli errori, ma qualcosa mi sfugge sempre. Quello che ti posso dire è di non avere fretta. Prenditi anche più giorni, ma rileggi quello che scrivi per cercare di eliminare più virgole sballate e marchiodonti possibili.

Se è il modo in cui scrivo, cioè termini, frasi, stile, per così dire, onestamente non so dirti come faccio. Mi viene così.

Quanto a quello che scrivo, in parte sicuramente la mia età ha la sua importanza, ma forse la cosa più notevole nelle mie storie è che sono interessata a temi che sono di scarsa presa e del tutto indifferente ad altri che vanno per la maggiore. Però non posso certo consigliarti di scrivere qualcosa su cui magari tu non sei interessata. Ti annoieresti e basta, come io mi annoierei a scrivere love story.

Quello che posso consigliarti è, quando scrivi, di cercare di restare sempre coerente alla storia e non infrangere le regole del tuo mondo virtuale solo perché in quel momento ti farebbe comodo infrangerle, e fare in modo di avere una tua opinione, senza seguire pedissequamente quella che ti viene spacciata per essere quella giusta o che va per la maggiore, se non sei sicura che sia anche la tua.

 

 Un bacio a tutte e spero di continuare a divertirvi.

 

 

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Capitolo 11
*** VII ***


VIII

  

VII

 

 

Un mondo di sole. Un mondo di mare.

Sotto i suoi occhi, scorre un mosaico di acqua turchese e schiuma bianca e barbagli di luce.

Ci sono cose, in quell’acqua. Forme grigie e maculate che scivolano sotto la superficie trasparente, in gara con l'imbarcazione. Sa cosa sono, ma non riesce trovare il nome che dà identità a quelle forme.

Ci sono voci, dietro di lui. Sa di chi sono, ma non riesce a trovare il nome che dà volto a quelle voci.

 

 

* * *

  

  

Lalami I Hane’elekia non è una donna impressionabile ed è brava a capire le persone. Brava a capirle e brava a sapere come agire per far sì che esse si comportino nel modo a lei più favorevole. In caso contrario, non avrebbe superato con pieno successo la rivoluzione che, poco più di un decennio prima, ha stravolto il suo mondo. Una rivoluzione sicuramente positiva per l’economia e il benessere del pianeta e di tutto il sistema solare, ma, nonostante questo, drammatica e scioccante, che ha provocato la caduta di molti dei potenti del tempo precedente. Ma non la sua. Lei è stata capace di adattarsi, sopravvivere ai cambiamenti, gestirli a suo vantaggio e prosperare.

Si vanta di pensare che sia stato per la sua capacità di saper cogliere le occasioni e, soprattutto, di capire gli altri.

Umani, semiumani, alieni. Non cambia molto.

Così è sempre stato, fino a oggi.

 

Porge la tazza di tè al giovane che le siede di fronte. Un gesto di servilismo con cui assume il controllo della situazione.

Il preciso rituale da seguire lega tutti coloro che ne sono coinvolti in un susseguirsi di eventi che lei dirige.

Dosare le foglie, deporle nella teiera, lasciarle macerare un esatto ammontare di minuti, versare il liquido verde scuro nella tazza, aspettare ancora affinché si raffreddi al punto giusto, servirlo ai propri ospiti. Una sequenza che le dà lo scandire del tempo, disciplina le sue stesse azioni, la inserisce in un contesto di cui ha il governo. E’ solo parte della procedura volta a ridurre le variabili al minimo, se proprio non è possibile eliminarle.

In un universo dove la sola costante è l’imprevedibilità, è vitale mantenere salda la presa su schemi conosciuti, su cui si ha possibilità di agire con un certo margine di vantaggio.

Nel prendere la tazza dalle sue mani, il giovane le sfiora le dita in una carezza appena accennata.

 

Per l’ennesima volta Lalami osserva l’altro ragazzo, quello in piedi a braccia conserte, appoggiato di spalle a una parete.

Le fa venire i brividi.

Per una donna abituata a trattare e mediare affari di ogni genere con esseri di ogni razza, è dire molto.

Non ha distolto la sua attenzione da lei un solo istante.

Appena entrato nello studio, si è piazzato dove può sorvegliare ogni ingresso e tutti loro e non si è più mosso, se non per quei minimi spostamenti degli occhi e della testa necessari a tenerla sotto mira, così misurati che sembra non volere sprecare un millimetro più dello stretto indispensabile.

E’ immobile come una statua e altrettanto inespressivo.

I tratti sottilmente alieni gli conferiscono un’aria esotica, di un esotismo astratto e indeterminato che non richiama alla mente nessuna razza precisa, ma gli occhi sono impressionanti. Luminosi, e non in senso metaforico. E’ come se le iridi siano strati di smalto traslucido, azzurro ghiaccio, e dietro sia stata accesa una luce.

Strano, certo. Ma è abituata all’aspetto di creature di gran lunga più strane. Nessuna delle razze dei Mondi è uguale all’altra. Talvolta, è solo un lieve slittamento nelle proporzioni. Talvolta, una differenza così abissale da rendere difficile credere che possano esistere esseri simili. Almeno, costui non presenta nessuna delle forme grottesche di molti dei viaggiatori interdimensionali.

Non può essere il suo aspetto a renderlo così inquietante. Più probabile che sia la mancanza di reazioni comprensibili. La sua immobilità lo rende imperscrutabile.

Nemmeno il fascino del porto è riuscito a distrarlo e non ha degnato di uno sguardo lo spettacolo al di là della vetrata convessa che occupa l’intera parete maggiore dell’ufficio. Uno spettacolo che ha suscitato, nelle migliaia di testimoni che si sono succeduti negli anni, meraviglia, o paura, o impressione. Mai indifferenza.

Non che Lalami si aspettasse una razione troppo evidente, ma una qualche reazione, quella sì. Costui non ha battuto ciglio. Neppure uno sguardo rapido, neppure un accenno di curiosità.

E’ lei, invece, che si ritrova ad abbassare lo sguardo solo per spiarlo di tanto in tanto e scoprire, senza eccezione, che continua a studiarla con quegli occhi snervanti.

Fosforescenti. Sembrano addirittura fosforescenti, secondo l’angolo con cui la luce li colpisce. Forse, al buio, lo sono davvero.

 

Gli si avvicina, ignorando il lieve brivido di disagio e repulsione, e gli tende la tazza.

Ancora, lui non si muove.

Inumanamente, innaturalmente immobile.

Un rifiuto molto più esplicito che se avesse preso la tazza per poi scagliargliela in faccia. Un’ostilità molto più evidente di qualsiasi minaccia.

La donna trattiene a stento l’impulso di ritrarsi. Perdere il controllo in questo momento sarebbe la peggiore delle reazioni. Non si trema e non si scappa di fronte alle belve. Lo può dire con cognizione di causa. Lei, attaccherebbe senza esitazione.

Ma non è ostilità, quella del ragazzino. La considera tale solo perché non ha altri termini di definizione corretti e non è corretto per niente. In realtà, è completa indifferenza alla sua presenza, se non per il possibile pericolo che lei rappresenta e, anche così, non c’è nulla di personale in quell’attenzione.

E’ pronta a scommettere che sarebbe in grado di ucciderla in un istante e lo farebbe con lo stesso trasporto con cui getterebbe via un fazzoletto di carta usato, privo persino dell’emotività di un animale da preda verso la vittima designata.

Al contrario, l’altro essere cela la sua reale natura dietro una maschera fin troppo attraente e innocua. Altrettanto alieno del suo compagno, ma quella che nel ragazzo è inquietante estraneità, in lui diventa un elemento di seduzione.

Ed è giovane. Sono tutti e due talmente giovani che guardarli fa quasi male.

 

Frustrata nel tentativo di mostrarsi civile, Lalami torna alla scrivania.

L'uomo le sorride. Un sorriso misurato, perfetto, come il resto di lui.

Se fosse di questo pianeta, con la sua voce, il suo aspetto e il suo modo di fare avrebbe un futuro assicurato in politica.

D’altra parte, se si dà credito alle vecchie leggende, convincere è il suo mestiere.

 

Decide che non è l’immobilità dell’adolescente, o il suo aspetto, o la possibile minaccia che rappresenta, a renderlo disturbante. E’ la consapevolezza di quello che è, lasciata libera di rivelarsi che, di riflesso, svela quello che sono entrambi.

Solo una generazione prima, i suoi antenati avrebbero saputo dare nome a questi esseri.

Scaccia con fastidio il pensiero, vergognandosi anche solo per averlo considerato, ma non può negare che sia adeguato.

Visto quello che c’è in gioco, è il termine giusto per definirli. Forse non nel senso letterale, ma sicuramente in quello figurato.

Demoni.

 

L’uomo seduto alla scrivania aspira il suo odore, quella lieve e preziosa traccia molecolare carica di informazioni.

Per prime, si rivelano le emozioni primarie. E’ sempre così. Sono la cosa più evidente. Alterano in modo tanto evidente la chimica del corpo che, talvolta, lui si stupisce di come sia possibile esserne inconsapevoli, anche per chi non possiede la sua sensibilità sensoriale.

Rabbia, paura, felicità, disgusto, curiosità. Grezze, grossolane. Formano la trama della sua costruzione emotiva.

Al di sotto, emozioni più complesse.

Attesa, eccitazione, speranza, imbarazzo, invidia, avidità. Potenti, travolgenti.

Colpa e rimorso. Deboli, quasi inesistenti. La donna è abituata a ignorarli e non hanno presa.

Desiderio. Un desiderio tale da dominare ogni altra sensazione. Persino la paura. Persino la prudenza. Che situazione familiare.

Controllo su tutto. Almeno, così ne è convinta lei.

Sono solo emozioni. Ovvie, esplicite, scontate. Non deve neppure cercarle. Le percepirebbe in ogni caso.

Sotto, il gusto più elusivo delle sue condizioni fisiche. Più interessanti, per quanto lo riguarda.

Si porta alle labbra le dita con cui ha appena toccato la mano della donna e ne assapora la lieve traccia fenolica.

L’analisi ricavata da quel velo di sudore e cellule sulle sue dita non fa che confermare quello che ha già scoperto con l’olfatto, che aveva già estrapolato e considerato altamente probabile dai contatti verbali avuti con lei prima di quest’incontro personale.

 

Una delle navi in fase di decollo sembra passare a pochi metri dall’ufficio.

E’ solo un trucco. La vetrata che sostituisce l’intera parete alle spalle della scrivania è convessa, fatta in modo di ingrandire leggermente, ma sensibilmente, le immagini esterne. Modifica anche l’afflusso di luce e la sua qualità.

L’ufficio, come l’intero porto, è scavato nella pietra viva di una scogliera. Per come è stato disposto l’arredamento, la donna appare seduta al limite di uno strapiombo su un mare da dove le navi si adagiano e decollano senza interruzione. A questo si aggiungono le scogliere nere che racchiudono la baia, le cascate che precipitano dalle rocce, l’effetto creato dalla finestra panoramica a lente.

Un’immagine imposta agli ospiti di quella stanza, studiata per impressionare.

Ma il tempo dei preliminari è finito.

 

“Torniamo a noi, vuoi?” mormora il giovane “Dalle vostre ricerche sui nobody, in merito alla nostra longevità, non avete ancora ottenuto nulla o sbaglio?”

La donna sta per obiettare. Lui alza una mano e la interrompe prima che possa dire una sola parola.

“Ti prego, non perdere tempo a negarlo. So quello che fate e non vi biasimo. Se fossi al vostro posto, farei la stessa cosa.”

Lalami sospira e si appoggia allo schienale.

“Nessun risultato utile, almeno fin’ora. Questo non vuol dire che non potremmo riuscirci. A quel punto, naturalmente…”

“A quel punto, naturalmente, potrebbe non servirti più. Il tuo tempo è limitato. Puoi permetterti di aspettare? I tuoi valori fisiologici non sono precisamente negli standard della tua specie. Hai una certa esagerata sensibilità alle radiazioni ionizzanti, insolita fra voi, il che rende il tuo patrimonio genetico particolarmente soggetto alle mutazioni indotte e conseguenti errori di duplicazione del DNA, con effetto a cascata sull’efficienza dell’organismo. Ti sei affrettata a correggere il difetto appena ne hai avuto modo, ma questo non più di undici anni fa, secondo il vostro calendario, quando avete avuto accesso agli altri Mondi e alla loro scienza. Non è servito, visto che l’accumulo di mutazioni puntiformi ha avuto tempo di protrarsi per anni. Come si dice, hai chiuso la porta troppo tardi.”

 

Lalami si volta ancora, suo malgrado, verso il ragazzino e si ritrova di nuovo a incontrare quegli occhi fissi, febbricitanti e vagamente allucinati.

 

“Questo lo sanno solo i miei medici e non permetto di conservare informazioni del genere in un archivio accessibile.”

“Evidentemente, lo so anch’io. La tua condizione non è direttamente fatale, ma ti accorcerà la vita. Hai novantasei anni, sei molto più vecchia di quanto non appari. I trattamenti cosmetici cui ti sei sottoposta sono sofisticati, ma, ovviamente, possono solo mascherare il processo di invecchiamento, non invertirlo. Considerato lo stato ossidativo del tuo DNA mitocondriale e di senescenza cellulare, ti restano approssimativamente una quindicina di anni di vita, escluso eventi accidentali. Molto inferiore alla media della tua gente. Naturalmente, la mia è solo una valutazione grezza. Se lo desideri, posso farti avere una completa analisi molecolare del tuo genoma e un rapporto dettagliato del tuo stato fisico. A quel punto, la mia previsione potrebbe essere corretta e potrei dirti con certezza ragionevole quanto ancora ti resta da vivere, con uno scarto d’errore di circa un anno. Sempre salvo contingenze. Trovi riscontro con quello che ti è stato riferito dai tuoi medici?”

 

Adesso, quello che Lalami prova è solo shock e stupore.

L’uomo si rivolge al suo compagno, mentre aspetta che lei metabolizzi le informazioni.

 

“Roxas, sii gentile. Aspettami nel salone al piano sotto.”

 

Il ragazzo abbandona la sua postazione e, senza una parola o un gesto, esce dall’ufficio.

Di fronte a Lalami, il giovane dai capelli azzurro argentati si mordicchia la punta di un indice. La luce sembra perdere vigore, anche se entra a fiotti dalla finestra.

 

Roxas si chiude accuratamente al porta alle spalle. Mentre attraversa e abbandona quel piano, completamente adibito all’amministrazione del porto, lo staff della direttrice, al lavoro nella sala fuori dell’ufficio, non lo degna di un occhiata. Lo hanno visto entrare insieme a Zexion, in modo del tutto ordinario, e non trovano niente di strano che ne esca.

All’inizio, il ragaazzo è stato un po’ perplesso dalla scelta del luogo e del tempo dell’appuntamento, praticamente sotto gli occhi di tutti. Ma, proprio perché sono sotto gli occhi di tutti, nessuno ha fatto caso a loro. Sono solo due fra le innumerevoli persone che questa donna incontra durante la sua giornata lavorativa.

 

Zexion ha detto solo la sala sotto, senza specificare altro. Immagina che sia la sala principale, quella che gli si apre davanti appena esce dall’ascensore, al piano inferiore rispetto a quello dell’ufficio. Ma se anche non fosse così, non se ne preoccupa. Zexion è in grado di trovarlo in qualsiasi punto di questo mondo.

E’ un locale enorme, articolato in una serie di banconi, suddivisioni, uffici, porte, vestiboli, scale che portano agli ammezzati.

 

Persone.

 

Piena di persone.

Straboccante di persone.

Riempiono quasi ogni spazio e il frastuono assorda. Centinaia di voci diverse si miscelano in un brusio continuo, oscillante e martellante.

 

Cosa deve fare, adesso, non lo sa.

Nell’ufficio, la sua attenzione era disciplinata dalla situazione. Tre individui, coscienti l’uno dell’altro, uno dei quali lui stesso, quindi del tutto consapevole e nel pieno controllo delle azioni. Due variabili, una delle quali relativamente conosciuta e prevedibile, l’altra il nemico, quindi, per principio, pronto a un'azione ostile in qualsiasi momento.

Uno schema semplice da gestire.

Qui è ben diverso. E’ circondato da una moltitudine di esseri diversi indifferenti alla sua presenza. Ma indifferenti fino a quando e in quale grado, questo è difficile da capire e non può fare niente, se non subire la loro presenza.

 

Cammina per un po’, facendo le acrobazie per evitare di essere urtato, fino a che arriva a una sezione adibita, a quanto ne capisce, a luogo di ristoro. Ci sono banchi pieni di cibo e bevande, tavoli, alcove addossate alle pareti che nascondono altri tavoli, terrazze aperte sull’esterno.

 

E persone.

 

Quelle sempre, ma perlomeno sono in numero minore che nel resto della sala e molto meno frenetiche. In buona parte stanno sedute ai tavoli, oppure accanto ai banconi.

Trova una zona meno sgradevole del resto. Un angolo su una terrazza, all’aria aperta, da dove può vedere il mare e controllare, al tempo stesso, la sala e i presenti.

Non era sicuro di cosa aspettarsi, quando Zexion gli ha detto che doveva accompagnarlo. Fin’ora, tutte le sue missioni sono state combattimenti in prima linea, ma non è tanto sprovveduto da aver creduto che sarebbe stato così anche questa volta.

Contro i singoli avversari, o anche nemici in massa, Zexion usa i suoi trucchi mentali, che sono tremendamente efficaci con gli esseri viventi dotati di percezioni. Nel mezzo di una battaglia, quei poteri sono molto meno utili. Non può far impazzire una pallottola vagante, o incantare una freccia, o suggestionare un’esplosione.

Abbassa la testa e si tira i capelli sulla fronte e sugli occhi.

Si sente a disagio anche solo a essere a volto scoperto in mezzo a gente nemica. Non si è mai mostrato a nessuno, eccetto che ai suoi compagni. Oppure sul campo di battaglia, ma quello non conta, perché chiunque lo ha visto è morto subito dopo. Qui, invece, ci sono persone - alieni! - che non stanno per morire. Che possono liberamente guardarlo e continuare a vivere.

Non gli piace per niente, essere qui.

Si contorce, a disagio, e cerca di allargare il colletto troppo stretto della camicia e ridurre l’attrito della stoffa sgradevolmente rigida.

Capisce il perché Zexion ha voluto che si camuffassero materialmente, invece di dissipare energia e concentrazione per modificare l’aspetto di entrambi o, addirittura, renderli invisibili. Forse non sarebbe neppure in grado di mantenere un’illusione coerente e stabile così a lungo e su così tanta gente.

Questo non fa sentire Roxas per niente meglio, né meno esposto. Il telepate avrebbe almeno potuto scegliere qualcosa che li nascondesse.

Ma nessuno fa caso a lui. Zexion sta velando la loro aura e l'aspetto fisico non ha importanza. E’ un centro che fa capo a molti pianeti e il porto è frequentato da esseri di ogni forma.

Due creature simili a centauri, con il corpo di lupo e il torso umanoide, parlano con latrati e movimenti delle mani e della coda. Una specie di colossale serpente è avvolto in spire colorate davanti a un tavolo e conversa con quella che potrebbe essere una palla coperta di piume. Sirene e altre creature acquatiche occupano un’ala della sala d’aspetto allagata.

Per tutti, lui è solo uno dei tanti esseri che affollano il posto, normale come chiunque di loro.

Alla fine, decide che può permettersi di allentare la sorveglianza della folla e concentrarsi anche su qualcosa di più interessante.

Le navi.

E’ da quando è qui che ne è incuriosito e attratto, solo che prima, nell’ufficio della donna, non poteva prestare attenzione a esse.

Dal suo punto di osservazione, gode della vista di una grande frazione del porto costruito all’interno della scogliera di una baia.

La terrazza è incastrata più o meno a metà altezza. Sotto, centinaia di metri di basalto nero precipitano a picco verso il mare. Sopra, quasi altrettante centinaia di metri di parete ripida. L’intera scogliera è crivellata da balconate, bolle di cristallo, piattaforme sporgenti. Il mare è disseminato di conche di approdo, simili a giganteschi nidi ovali, su cui le navi attraccano.

Alcune sono solo navi spaziali, in grado di navigare fra le stelle e niente altro, ma la maggior parte sono ricoperte dai blocchi di materiale gelatinoso che permette loro di traversare le barriere fra i Mondi.

Navi di ormeggio, di assistenza, navette di trasporto e rimorchi si affollano e si muovono senza tregua intorno ai grandi vascelli.

 

Il mare è pieno di colori.

Grigio opaco, quasi nero, verso l’orizzonte. Blu brillante screziato di bianco e di macchie di luce nella fascia intermedia. Verde cupo e torbido, quasi fangoso, dove ci sono i bacini di ancoraggio. Verde chiaro e azzurro vicino alla riva. Incolore dove l’acqua è solo un sottilissimo strato sulle rocce, ma basta che quello strato si approfondisca di poco perché ricompaiano i colori.

Il mare è sporco. Ci sono rifiuti disseminati ovunque, gettati sugli scogli dalle onde.

Non è un mare nero e gelido e simile a uno specchio - turchesecaldotrasparente - sotto un cielo ribollente e senza stelle. Ma il mare di ogni mondo è un mare diverso.

 

Anche le navi sono piene di colori e di sporcizia. Piene di forme diverse.

Alcune sembrano solo blocchi di metallo, altre sono talmente barocche e ornate da avere perso ogni somiglianza con mezzi di trasporto per sembrare opere d’arte.

Potrebbe trasportarsi su quelle navi e chiedere ai marinai da dove arrivano e com’è il mare di casa loro.

 

Zexion si appoggia alla balaustra al suo fianco.

 

“Ti piacciono? Quando ero bambino, mi piaceva guardare il mare e le navi, sia le navi spaziali che le navi marittime. La mia famiglia aveva una casa vicino all'oceano su uno dei pianeti vassalli. Vedevo il porto e i pescherecci che uscivano e rientravano e correvo dai pescatori appena possibile. Mi avevano insegnato a navigare e quella era diventata una delle mie attività preferite. Andavo per mare ogni volta che ero libero.”

“Navi come quelle?” chiede Roxas, e indica uno dei piccoli natanti che circondano le grandi piattaforme.

“Imbarcazioni a vela.”

 

 

ventosolesalsedine gocce d’acqua e sale pungono il viso

 

 

“Non le ho mai viste.”

“L’anno in cui Ansem salì al trono, dovemmo fermare le ricerche. Fu un anno di pausa per tutti. Passai l’estate con mia moglie, a navigare. Attraversammo l’equatore, il mare tropicale e quello temperato e raggiungemmo la calotta polare. Ci furono altre estati, dopo, ma negli anni che seguirono, sino alla caduta, il lavoro diventò frenetico e sempre più difficile. Io e mia moglie non riuscimmo quasi più a incontrarci e mai per più di pochi giorni alla volta. Io avevo il mio lavoro nella capitale e lei il suo su una nave che raramente tornava sul nostro pianeta. Ma quell’anno il mondo aveva un nuovo re, una nuova Grande Luce, e quell’estate fu solo per noi.”

 

Roxas si sfrega il palmo della mano. Dovrebbero esserci i calli causati dal morso delle cime, ma c’è solo pelle sottile.

 

 

pescivolanti ali come arcobaleni

 

 

“Poi l’estate finì. Dopo di allora, il sonno diventò solo un vortice di sogni. Tu non sai che significa dormire senza sognare, vero?”

 

Il ragazzo scuote la testa, mentre quell’ombra di ricordo e persino la sensazione di essere sul punto di ricordare svaniscono.

 

“Gli esseri completi possono farlo. I sogni occupano una piccola parte del loro sonno. Per il resto, è solo vuoto.”

“E’ come essere morti.” mormora Roxas.

“Sì, hai ragione. Ecco perché era così bello svegliarsi. I porti sono finestre aperte su altri luoghi. Anche luoghi dove non sei mai stato. Ti fanno vedere cosa c’è al di là di quello che ti circonda. Quando sono nato, nessuno conosceva l’esistenza delle altre dimensioni. Vivevamo soddisfatti del nostro piccolo spazio, fieri del nostro potere, fieri di correre fra le stelle, così orgogliosi di noi da avere chiamato il nostro mondo Radiant Garden. Nessun pianeta poteva paragonarsi al nostro e credevamo di essere liberi, senza sapere di vivere in un recinto. Che, oltre a esso, ci sono infiniti altri universi, che le strade delle stelle sono solo i sentieri di un’aia domestica. Che qualcuno aveva imprigionato i Mondi.”

 

Zexion non termina quasi neppure di parlare e lo abbandona bruscamente per rientrare e avvicinarsi a uno dei tavoli pieni di cibo e bevande.

Roxas lo ignora. Tanto sa cosa farà adesso e non è niente che lo interessi.

E’ dalle pause che ha imparato a decifrare l’umore di Zexion. Non dalle azioni, ma dal vuoto fra le azioni. Quando agisce tanto in fretta, senza lasciare intervalli, indica che qualcosa lo disturba.

Non glielo ha mai chiesto, ma sospetta che quello sia il suo vero tempo soggettivo, la velocità con cui vive e pensa, e che, qualche volta, dimentica il controllo o non gli importa o, forse, è solo troppo stanco di controllarsi.

Ogni tanto, le sue azioni possono ammassarsi in un groviglio, non solo senza pause, ma contemporanee.  

 

Torna a osservare il mare e le navi, e animali volanti dalle ali a mezzaluna color acciaio che si lanciano dalle pareti della scogliera e si tuffano in mare e risalgono tenendo pesci nelle fauci. Certe volte rimangono sott’acqua per parecchio, prima di riemergere.

Poi si accorge che Zexion ha finito con la sua meticolosa scelta alimentare e si è diretto a una delle alcove semichiuse addossate ai muri. Lo raggiunge e si siede anche lui, nell'angolo più nascosto e in ombra.

Le pareti della nicchia sono foderate di materiale fonoassorbente che smorza il brusio del porto. C’è anche una finestra, ricurva come lo sono, a quanto pare, tutte le vetrate di questo mondo. Può continuare a osservare l’esterno ed evitare gran parte della confusione.

A rendersene conto prima...

  

Il telepate si è riempito il piatto della massima varietà possibile di cibi, in quantità talmente esigue da essere quasi inconsistenti. Proprio quello che Roxas si è aspettato.

 

“Quando credo di conoscere tutta la storia, tu ne aggiungi ancora un pezzo, non tanto da dirmi quello che voglio sapere e abbastanza da farmi desiderare di saperne di più, e scopro che non ti conosco per niente.”

“Quando avrò finito la storia, tu sarai libero da me. Magari non voglio perdere la tua compagnia.” mormora Zexion.

“Quando finisce?”

“Non finisce. E’ solo il narratore che non sa che altro raccontare, ma le storie non finiscono. Passano di bocca in bocca e cambiano. Storia, narratore e ascoltatore si cambiano l’uno con l’altro. Questa, la stai già cambiando solo ascoltandola e, intanto, lei ti cambia. Quando non avrò più niente da dire, apparterrà a te. Una volta o l’altra, potresti essere tu a raccontarla e la cambierai secondo come la interpreti e per quello che ci aggiungerai. Diventerà la tua storia, ma sarà sempre anche la mia, perché sei diventato quello che sei anche con la mia storia e con tutte quelle che avrai ascoltato fino a quel momento e non esiste storia che non merita di essere ascoltata. Tieni, assaggia questo.”

 

Gli passa una specie di rotolo di pasta ricoperto da una glassa bianca. Quando Roxas lo prende, si sfalda leggermente negli angoli, lasciandogli in mano minuscole schegge di sfoglia. La glassa è anche un po’ appiccicosa.  

Non ha un aspetto troppo invitante. Sembra qualcosa di dolce e i dolci non gli piacciono.

 

“Zexion, adesso hai finito, con lei?”

“Finito in modo del tutto soddisfacente.”

“Possiamo tornare a casa?”

“No.”

“Perché mi hai voluto qui? Non c’è nulla da fare, per me.”

“Sono io a decidere cosa c’è da fare, per te. Devi imparare non solo a combattere, ma a scegliere quando e come farlo. Sei forte, Roxas, ma, come hai potuto constatare, c’è sempre qualcosa più forte. Talvolta, può essere semplicemente una traiettoria balistica, o una tempistica inappropriata. Inoltre, tu sei aggressivo, però hai scarse abilità difensive. Essere capace di sopravvivere alle avversità è importante, ma lo è anche essere capaci di evitarle. Entrambe possono significare vincere le battaglie.”

 

L’adolescente giocherella con la pasta, poi si decide e ne morde cautamente un angolo.

C’è qualcosa all’interno, ma non è dolce. Non è neppure salato. E’ come mangiare carta.

La posa sul tavolo, un po’ disgustato.

 

“Hai capito perché siamo qui?” chiede Zexion.

“Dovevi incontrare quella donna.”

“Questo è evidente. Ma ne hai capito la ragione?”

“Perché si è alleata con noi.”

“Non è un’alleata. E’ un’arma.”

“Ma perché lo ha fatto? Distruggeremo il suo mondo.”

“Non parlare senza riflettere. Tu stesso hai giustamente notato che, se volessimo solo raccogliere Cuori, dovremmo rivolgerci a mondi privi di difese. E’ quello che facciamo. Adesso, sii coerente con quello che hai detto. Visto che questo non è un mondo indifeso, cosa ne deduci?”

“Che non siamo qui per i Cuori.”

“Esatto. Quello che ci spinge a volerlo è ben diverso. Guardati intorno. Cosa vedi?”

“Molta gente. Troppa, se vuoi il mio parere.”

“Guarda con attenzione.”

“Gente diversa, proveniente da parecchie dimensioni.”

“C’è qualcosa di insolito, in questo?”

“Di solito, non si vede mai tanta variabilità in un solo posto.”

“Quindi? Conclusioni, Roxas, non farti trascinare passo per passo. O le cose le sai, oppure no. In ogni caso, dillo.”

Il ragazzo si stringe nelle spalle.

“Ci sono molte via di accesso dirette ad altri Mondi.”

“Sì, esatto. Questo Mondo è un raccordo primario, un po’ come quello dove tu sei stato ferito. Ti ho già detto della scarsa accessibilità del nostro Mondo. E’ isolato nella rete dimensionale e questo lo rende sicuro, ma la cosa funziona anche al contrario e per noi è difficile raggiungere altri universi. Il solo Mondo aperto direttamente sul nostro è quello dove si trova la Terra del Crepuscolo. Tutti gli altri, possiamo raggiungerli solo effettuando tappe intermedie. Ci occorrono stazioni che ci permettano di effettuare i salti, soprattutto per i mezzi. Hai mai provato a trasportare masse superiori a quella del tuo abbigliamento attraverso i sentieri delle ombre?”

“No.”

“Non è più di qualche decina di chili, con poche differenze individuali. Anche inferiore a quello che siamo in grado di portare fisicamente, perché il teletrasporto richiede energia, che aumenta all’aumentare della massa trasportata. E ci sono problemi anche con i volumi. Per spostare materiali, strumenti, armamenti, anche solo per fare la spesa se abbastanza consistente, dobbiamo usare le navi e le navi non possiedono la nostra versatilità di movimento. Noi possiamo controllare e modificare lo spostamento anche mentre siamo nel Mondo in Mezzo. Le navi possono solo seguire le rotte programmate prima di effettuare il salto. Quindi, ci servono postazioni in Mondi dotati di un forte magnetismo dimensionale, come questo, per fare da collegamento fra noi e gli altri Mondi. Al tempo stesso, controllandoli, tagliamo ai nemici eventuali via d’accesso al nostro universo. Però, proprio questi pianeti sono i più difficili da occupare. Non interessano solo a noi. Se sono disabitati, o abitati da popoli non abbastanza forti, vengono presto conquistati. Se gli abitanti possiedono un sufficiente grado di capacità difensiva e riescono a tenersi il loro mondo, lo stato di confluenza permette loro di accumulare tecnologia e conoscenza dai mondi collegati, cosa che li può rendere anche più forti. Molti popoli possono allearsi per difenderli, perché sono interessati a mantenerli liberi e agibili. Per avere ragione di mondi simili, abbiamo bisogno di agenti che lavorino dall’interno per consentirci vie di accesso alle loro difese. Questa donna controlla un’importante arteria commerciale. Il suo aiuto potrebbe assumere diversi aspetti. Può influenzare l’attività dei lavoratori portuali e interrompere l’afflusso delle merci importate da altri pianeti e, in poco tempo, la mancanza di carburanti può destabilizzare una società simile. O può interrompere nodi di comunicazione e senza la comunicazione un mondo simile a questo è virtualmente indifeso. O determinare le decisioni del governo planetario in merito al sostegno da dare al Re. O, semplicemente, permettere il passaggio delle nostre navi. Noi non distruggeremo questo mondo.”

“Lei lo sa?”

“Certamente. E’ stata una condizione necessaria perché accettasse.

“Ce ne sono stati altri come lei, su altri mondi, vero?”

“Sì.”

“Qual è il prezzo che dobbiamo pagare a questa gente?”

“Dipende dal tuo interlocutore. Spesso il denaro. Altrettanto spesso, generi di prima necessità. Ci sono coloro che si vendono per sopravvivenza basilare, o per la sopravvivenza di persone a cui sono legati. Mancano di cibo, acqua, riparo, farmaci, oppure dei mezzi per ottenerli, e c’è qualcosa che minaccia la loro vita a brevissimo termine. Altri, invece, cercano informazioni. Uno scienziato può desiderare la soluzione a un problema che blocca una sua teoria. Per un industriale, può essere la formula di un prodotto che sfonderà il mercato. Per un militare, il progetto di un’arma. Per un politico, la notizia che provocherà la caduta dei suoi rivali. Sono sempre informazioni. Poi ci sono i più facili, quelli convinti in un principio.”

“Quale?”

“Uno qualsiasi. Religione e filosofia sono i più utili. Esse pretendono di dare risposte prima ancora di sentire la domanda. Spesso, la domanda la costruiscono sulla risposta. E danno certezze, senza che tu ti affatichi a cercare prove. Così, coloro che credono sono sempre nel giusto e se una persona è convinta di essere nel giusto, significa che tutti gli altri sbagliano, a meno di non condividere le sue idee. E se gli altri sbagliano, occorre convertirli al giusto, qualunque sia il mezzo. Costoro sono i più facili da piegare, se ti presenti come portatore della verità in cui credono. Loro stessi si offriranno per essere piegati. Ma sono anche i nemici più implacabili, quelli con cui non puoi trattare, mai, in nessun caso, se la tua esistenza nega la loro convinzione.”

 

Roxas stacca un altro pezzo della sua pasta e lo mette in bocca.

Non la trova più gradevole di quanto non è stata al primo morso. Non sa proprio di niente, ma quella consistenza collosa è vagamente nauseante.

 

“Qualche volta, può bastare il tuo corpo. Possono essere attratti da te al punto di fare esattamente quello che chiedi, pur di averti.”

Roxas fa una smorfia, poco disposto a credergli, ma Zexion è serio.

“La tua età e il tuo aspetto sono un’arma nelle tue mani, una che non ti costa alcuna fatica ottenere e una delle più efficaci. Sarebbe insensato non usarla, per quanto sgradevole. Roxas, tu sei giovane e, secondo i canoni estetici di svariati popoli, sei molto bello. Tra gli umani, molti ti guarderanno con desiderio. In questa sala, sono parecchi a osservarti.”

Il ragazzo si ritira ancora più nella nicchia e ricomincia a tormentarsi i capelli.

“Questa è una ragione stupida per vendere il proprio mondo.” mormora.

“Eppure, è una causa di rovina molto più comune di quanto non potresti pensare. Ma, di solito, queste persone non vendono il pianeta. Lo perdono. Difficilmente sono individui che accetterebbe di nuocere al proprio mondo o alla propria gente, ma non valutano che qualsiasi azione contiene in sé una conseguenza che non è necessariamente commisurata all’entità dell’azione stessa. Una valanga può nascere da un ciottolo. La tua età… anche quella gioca a tuo favore. Rende più facile fidarsi di te. O sottovalutarti. Proprio per questo in molti luoghi si usano bambini o adolescenti come agenti. Sai cosa sono i venefici?”

“No.”

“Sono bambini modificati geneticamente per produrre tossine specifiche a un determinato individuo su cui vengono sensibilizzati. I loro corpi sono saturati di queste tossine. Vengono fatti avere alla vittima predestinata e quando questa entra in contatto con uno qualsiasi dei fluidi corporei del venefico, le tossine provocano una reazione letale che distrugge quasi istantaneamente il sistema nervoso. La produzione di tossine è inibita fino a quando il venefico non entra in contatto con un campione di tessuto del soggetto bersaglio e se entra in contatto con chiunque altro, è del tutto innocuo. Nonostante si sappia della loro esistenza, restano un sistema piuttosto valido per assassinare i propri avversari.”

“Immagino che il venefico muoia subito dopo.”

“Naturalmente. Il programma genetico include anche il blocco dei sistemi vitali una volta che si è scatenata l’attività tossica. A quel punto, il sicario non serve più, visto che ogni venefico è programmato per un solo individuo e potrebbe fornire informazioni durante un’investigazione.”

“Ma se sanno che i bambini sono usati come armi, non dovrebbero fidarsi di loro, no?”

“No, ma si fidano anche meno degli adulti. Roxas, capisco che la cosa ti riesce difficile da capire, ma spesso la chiave per farli agire è contraddittoria, o può essere giudicata tale. Guarda la donna che abbiamo incontrato. Ti fideresti di chi consideri minaccioso?”

“No.”

“Lei sì, perché si fida della paura. Avrei potuto alterare la sua percezione di noi perché le apparissimo del tutto umani e inoffensivi, ma non avrebbe funzionato.”

“La contraddizione.”

“In apparenza. Lei valuta sulla sua esperienza e l’esperienza le dice che chi si presenta sotto un aspetto solo rassicurante, in genere lo fa perché vuole ingannare. Non ha torto. Se sai di trovarti di fronte un nemico, sai come comportarti. Il problema sorge con chi si presenta come amico. La paura è un’emozione onesta e lei lo sa, così si fida della paura molto più che della sicurezza. Quello che sembra anche più contraddittorio è che proprio il disagio provato nei nostri confronti l’ha resa anche più desiderosa di ottenere quello che le abbiamo offerto, perché ne è attratta e lo vuole per sé per imporlo su altri. Poi, la lusinga il pensiero di avere potere su di noi. Questo capita spesso. Credono di essere in grado di cambiarci, di trasformarci in qualcosa di loro gradimento. In qualcosa che mantiene le nostre caratteristiche, assuefatte alle loro aspettative.”

“Se siamo noi stessi, non possiamo essere quello che vogliono loro.”

“Ma, visto che lo credono, tu approfittane. Qualche volta, è possibile anche non presentarci a loro per quello che siamo. Fingerci umani, con interessi umani. Ma è un rischio. Ricorda che riescono spesso a riconoscerci e, in quel caso, è tutto perduto. L’inganno più difficile da svelare, e per te più facile da controllare, è quello più simile alla verità. Evita qualsiasi menzogna non indispensabile, se non sei certo di poterla gestire.”

“Non mi hai ancora spiegato perché lei lo ha fatto. Non è a causa di nessuno dei motivi che hai detto, vero?”

“No. Lei ha voluto altro. Vedi, il prezzo più appetibile è in noi stessi. Xemnas, Axel e gli altri ti avranno detto che vogliono ucciderci perché sono inorriditi da noi. E’ vero, ma non completamente. Non è solo orrore. E’ invidia.”

“Vorrebbero essere quello che siamo?”

“Vorrebbero avere quello che abbiamo. Noi non invecchiamo. Teoricamente, siamo immortali. Non è il termine più corretto, ma può andare. Immortalità e potere. Se si presentasse loro la possibilità di ottenerli…”

“Ma noi non possiamo trasformare a volontà una determinata persona in nobody. E anche quelli che ci riescono, non sono praticamente mai nobody umani. Chi vorrebbe diventare uno degli altri?”

“Loro non lo sanno. Non sanno che la chiave è solo in loro stessi. Quello non lo considerano.”

“E’ così che hai pagato lei?”

“Ho dato una speranza alla sua vanità e alla sua paura del nulla. Quella donna è potente. E’ l’amministratrice di questo porto, il principale del pianeta. Influenza le decisioni di questo mondo e di altri mondi legati a questo. Ha visto crescere il suo potere sino a livelli che, solo dieci anni fa, non considerava neppure possibili. Ha avuto modo di conoscere piaceri che non credeva concepibili. Adesso comincia a invecchiare e questo è qualcosa contro cui denaro e potere non servono. E' convinta di essere in grado di superare le tenebre. In realtà, è possibile. Niente lascia supporre che non sia una dei pochi capaci di farlo. Naturalmente, niente garantisce il contrario, ma lei lo crede e questo è quello che mi serve. Per renderle più facile la scelta, le ho detto cosa accadrebbe se il Re dovesse chiudere i Mondi.”

“Non capisco.”

“Questo pianeta ha ottenuto un grande benessere dall’apertura dei Mondi. Se le barriere fossero ripristinate, perderebbero buona parte di questi benefici. Avrebbe accettato comunque, ma così è stato più semplice, per me e per lei.”

“Se la catturassero e la interrogassero?”

“Non ne ricaverebbero niente, qualsiasi siano le pressioni a cui potrebbero sottoporla. Le ho inserito un fusibile mentale di controllo. Se dovesse provare sufficiente disagio, il fusibile salterebbe e lei morirebbe. Più intenso il disagio a cui potrebbe essere sottoposta, prima raggiungerebbe il punto di rottura.”

“Lo sa?”

“Certo che no. Quella donna ha venduto il suo mondo per vivere. Credi che accetterebbe di andare in giro con una bomba a tempo nel cervello?”

 

Una risata si eleva sul brusio informe soffocato dai panelli di isolamento acustico.

Tre ragazze dalla pelle iridescente, con fiori di smalto disegnati sul volto, intorno alle braccia e alle gambe, attraversano il salone trascinandosi dietro una quantità spropositata di bagagli. Hanno antenne simili a quelle di Larxene e ali trasparenti e sfrangiate che drappeggiano loro le spalle.

E’ stata una di loro a ridere e quando sono abbastanza vicine, riesce a vedere che hanno la pelle ricoperta da minuscole squame.

 

“Potresti sentire dire da molti che esiste un desiderio definitivo uguale per tutti.” prosegue Zexion “Non è vero. Molte persone condividono gli stessi desideri, questo sì, e i desideri dipendono da molti fattori, ma non c’è nulla di più vario e incostante della volontà degli esseri viventi. Posso dirti quali sono i casi più comuni, non darti la formula valida per tutti. Vogliono potere, vogliono ricchezza. Vogliono cibo, vogliono acqua. Vogliono conoscenza o menzogne. Vogliono essere guardati con invidia. Vogliono qualcosa che lusinghi il loro amor proprio, che li rassicuri che non sono deboli, che non sono dei nessuno. Vogliono vivere, oppure vogliono morire. Non stupirti. Non giudicare. Qualsiasi ragione può essere la migliore delle ragioni o la più insignificante. Di per sé, non esistono ragioni valide se non nella mente di chi le valuta. Cerca solo di capire quali sono per chi hai davanti. Ogni popolo ha il suo modo di agire. Questo è importante, perché comportarsi con gli uni come faresti con altri porta errori di valutazione che possono essere irrimediabili. E, all’interno di ogni popolo, ogni individuo ha le sue priorità, che cambiano a seconda del caso e del momento. Devi trovare quale aspetto assume il loro desiderio, qualunque sia. Trova la chiave delle persone. Offrigliela, ma, meglio ancora, mostragliela e fa credere loro che potrebbero averla, tenendola a un pelo dalla loro mano.”

“Per te è facile. Tu leggi nei loro pensieri più profondi, anche se cercano di nasconderli.”

“Vero, per me è più facile capire, ma, in realtà, la maggior parte delle volte non occorre fare altro che osservarli.” indica con un cenno del capo una fila di persona che fa la coda a uno degli uffici per i biglietti “Guarda quelli. No, non fissarli così direttamente. Guardali, non farti vedere. Si stanno spintonando per guadagnare pochi passi per volta. Tu cosa ne pensi?”

“Non è logico. Fino a quando la persona al banco non ha terminato, quella che viene dopo non può comunque essere servita, anche se avanza di qualche passo.”

“Esatto. Però lo fanno ugualmente. E non una persona, o due, o tre. La maggior parte di loro si comporta così. Eppure, anche se riuscissero a superare colui che sta davanti, cosa guadagnerebbero? Qualche istante?”

“Ma le navi partiranno comunque all’orario stabilito…” mormora Roxas.

“Se glielo domandi, ti diranno la stessa cosa. Lo sanno, eppure non riescono a fare a meno di comportarsi così. In realtà, quello che fanno non ha un fine concreto se non soddisfare il desiderio. Vogliono qualcosa di diverso da quello che hanno, o mantenere quello che hanno già. Vogliono qualcosa in più degli altri, fosse solo qualche passo di spazio o qualche istante di tempo, anche se è inutile, anche se devono farsi del male per averlo. Ecco perché chiedono qualcosa a gente che distruggerà loro o il loro mondo o entrambi. Qualcuno che farà sì che non possano usare proprio quello che hanno ottenuto.”

“Forse non ci pensano.”

“Ci pensano, ma credono anche che la peggiore delle eventualità possibili non capiterà proprio a loro. Ascoltano i resoconti di disastri e li ritengono lontani, appartenenti sempre a qualcun altro. Così, vengono colti di sorpresa. E quando dico loro che non li distruggeremo, vogliono credermi. Se dico che quello che fanno porterà benessere al loro mondo, vogliono credermi. Credere è l’errore più comune e letale che si può commettere. Alla fine, quello che cercano sono solo le loro illusioni.”

 

Roxas guarda al di fuori della finestra. Una delle navi sta facendo uscire i passeggeri e costoro sono coloratissimi. Un flusso di tinte accese. Non riesce a vederli in dettaglio, a quella distanza, ma tutti quei colori lo incuriosiscono. Congela la trama di filamenti di Luce che sostiene i fotoni dell’area localizzata intorno alla nave e la trae a sé, insieme all’immagine che contiene.

I passeggeri sembrano una serie di fiori semoventi e variopinti, dai toni così vividi che rendono smorto tutto il resto.

 

“Ma devo per forza fare solo questo? Combattere, per sempre?”

“Cosa vorresti fare?”

“Cosa voglio?”

“Sì. Tu cosa vorresti fare?”

 

Questo lo confonde. Non intendeva discutere la sua possibilità di scegliere, solo la condizione di tutti loro.

 

“Non vuoi combattere?” chiede ancora Zexion.

“Voglio… nel senso che mi piace farlo?”

“Vuoi nel senso che desideri farlo.”

 

Roxas scuote la testa e cerca il modo giusto per spiegarsi.

Usare la telepatia risolverebbe la questione, ma lo renderebbe vulnerabile. Vuole essere lui a decidere cosa comunicare e con Zexion la telepatia è una condizione troppo impari. Lo scienziato stesso gli ha detto che leggere la mente di un nobody umano cosciente e non consenziente è difficile e faticoso, però Roxas sa anche che il minimo contatto rappresenta un accesso diretto che gli permette di prendere possesso della mente altrui.

 

“Qualche volta desidero combattere. No, sbaglio. E’ una cosa diversa. Sai quando trattieni il fiato e cominci a sentire la mancanza d’aria?”

“Sì, ho presente.”

“Ecco, quando combatto sento la stessa sensazione di quando tiri poi il fiato. Non è proprio piacere, anche se, in quel momento, è piacevole, e non è neppure volere, anche se, a quel punto, vuoi farlo. Però, se non sei nelle condizioni di mancanza d’aria, non pensi di respirare e non provi il desiderio di farlo.”

“Respirare è necessità. Combattere è necessità, per te?”

“Non so. Solo che, certe volte, quando combatto, vorrei non doverlo fare. No. Non capisco come si potrebbe volere una cosa simile, né capisco chi potrebbe volerla.”

“Non è che devi combattere.” mormora Zexion “Puoi anche decidere di non farlo, se te la senti di sopportare le conseguenze.”

 

Questo è qualcosa a cui non ha mai pensato. E’ del tutto fuori dalla sua concezione del mondo, che si possa decidere cosa fare della propria vita.

Però, se Zexion gli ha fatto una simile domanda, significa che quella possibilità esiste.

 

Adesso il giovane sembra concentrato solo su quello che ha nel piatto.

Ha continuato a mangiucchiare quasi senza interruzione dal momento in cui si è seduto, non più di qualche frammento per ogni varietà di cibo.

Non ha fame, vuole solo sperimentare i sapori. Le percezioni sono la sorgente del suo potere. Gli piace esplorare le loro potenzialità. Per Zexion sono un sostituto del tutto soddisfacente della vita emotiva che gli altri ricercano con tanta ansia.

Questo lascia lui, Roxas, in un limbo dove non sa cosa volere.

 

Il ragazzino ricomincia a giocherellare con il dolce sul tavolo. Questa volta, però, non se la sente proprio di mangiarlo.

 

“Perché combattiamo?”

 

Non si aspetta una risposta immediata. Persino lui si rende conto che è una domanda diversa dalle altre. Invece, Zexion non lascia trapelare nessuna sorpresa e non ha la minima esitazione a rispondere.

 

“All’inizio, lo abbiamo fatto per sopravvivere. Quando ci siamo svegliati nella Terra del Crepuscolo e anche dopo, su altri pianeti, abbiamo dovuto difenderci. Poi, quando ci siamo spostati nel mondo nero, ci servivano cibo e mezzi di sostentamento e potevamo trovarli solo su altri mondi. Abbiamo dovuto combattere per ottenerli e, sempre, per difenderci.”

“E adesso?”

“Per sopravvivere. Ci ucciderebbero subito, tutti, se sapessero come trovarci.”

“Non per i Cuori?”

“Quello è solo uno dei tanti aspetti assunti dal desiderio di sopravvivere. Se fossimo come loro, non ci sarebbero nemici. Torniamo al discorso della sopravvivenza. Ma, a quanto pare, la risposta non ti soddisfa.”

“Non mi sembra sufficiente.”

“Hai ragione. Ognuno di noi ha anche altri suoi motivi e non è detto che coincidano con quelli dichiarati, né che siano sempre coerenti con quello che ti ho detto io.”

“Quindi, non mi hai risposto.”

“Ti ho risposto in parte, con la risposta più generica che posso darti. Se vuoi metterti a discutere delle motivazioni individuali di tutti i nobody conosciuti, temo che avremmo bisogno di molto più tempo di quanto possiamo permetterci ora.”

 

Un modo come un altro per dirgli che, per adesso, non gli dirà altro, ma almeno gli lascia tempo.

La risposta non gli basta ed è troppo soggetta a obiezioni, però deve pensarci bene, per identificare quelle incongruenze e quello che davvero non gli torna.

Zexion lo incoraggia sempre a fare domande, però, qualche volta, ha la sensazione che questo complichi solo le cose. Ha sempre almeno una domanda da fare, ma le risposte che ottiene gli fanno venire in mente cose a cui non aveva pensato e nuove domande, così deve ricominciare da capo.

 

“La loro ragione per combatterci, invece, qual è?”

“Non ti aspettare che le loro ragioni siano più semplici delle nostre. I Cuori non tollerano la nostra presenza. Riescono a sopportare l’esistenza di forme di vita priva di Cuore solo se sufficientemente differenti da quella della loro specie, ma niente altro. All’inizio della nostra storia, abbiamo tentato di unire nobody ed heartless per scoprire se formavano un essere completo.”

“Non funziona. Si ignorano oppure si uccidono, non si uniscono.”

“Questo come lo sai?”

“Li osservo. Gli heartless, intendo.”

Zexion annuisce.

“Un po’ scontata, lo ammetto, ma è stata una delle prime congetture formulate e sperimentate. Talvolta siamo riusciti a forzare la ricombinazione, ma solo nel caso di nobody ed heartless generati dallo stesso individuo. Esiste una specie di… chiamiamolo sistema immunitario, che inibisce l’integrazione di un Cuore non originale. E’ comunque un processo estremamente complicato e nessun soggetto è mai sopravvissuto alla ricombinazione. Non abbiamo proseguito le ricerche in quella direzione. Non ci sarebbe stato comunque di aiuto e non abbiamo avuto tempo di continuarle per pura conoscenza accademica. Tranne casi anomali, è possibile trovare nobody ed heartless gemelli solo se fatti nascere artificialmente e mantenuti in un ambiente controllato. A parte quei casi, hai ragione tu, Roxas. Non funziona. Se la mia ipotesi che si tratta di entità separate è corretta, allora potrebbe esserci una componente biologica nella reciproca ostilità. Un comportamento istintivo, almeno da parte dei Cuori. In questa forma, noi rappresentiamo una minaccia per la loro esistenza. Non possono riprodursi né nutrirsi, tramite noi. Non possono avere un involucro. Se i nobody si espandessero, i Cuori perderebbero spazio. I Cuori liberi, gli heartless, sono meno portati ad attaccarci perché, probabilmente, hanno un comportamento alterato dalla condizione patologica che dà loro altre priorità, ma i Cuori incarnati spingono l’ospite a distruggerci.”

“Ma può andare bene per una creatura non senziente. Questi esseri pensano, come noi.”

“Creature senzienti o no, è la stessa cosa. L’istinto può sopraffare la volontà cosciente.”

“Come è possibile?”

“Non è possibile per te perché i nobody non hanno istinti, ma non credere che quello che vale per noi, valga per chiunque. Questo è assolutismo. Poi, per quanto ci riguarda, sopperiamo alla mancanza di istinti con la capacità di apprendere. L’intera nostra costruzione psicologica e comportamentale si basa sull’apprendimento e sui ricordi, sia diretti che della vita precedente, e spesso il comportamento si organizza in schemi di memoria ripetuta, in particolare nelle situazioni di maggior peso, come la salvaguardia della propria esistenza, cosicché, se sperimentiamo una certa situazione ed elaboriamo una risposta efficace, una volta ripresentata la stessa situazione, la risposta assume quasi una natura automatica. Un meccanismo volto a eliminare i ritardi dell’analisi cosciente. La nostra non è un’ostilità congenita, ma dal momento che praticamente qualsiasi nobody conosciuto ha ereditato il ricordo di un’esperienza sgradevole con i Cuori, si comporta aggressivamente nei loro confronti fin da subito. Non escludo che, se fossimo sufficientemente numerosi, cercheremmo di distruggerli con la loro stessa determinazione.”

“E io?” mormora Roxas.

Zexion sorride allo sconcerto del ragazzo.

“Anche tu. I ricordi inconsci sono determinanti quanto quelli consapevoli.”

 

Il brusio attenuato della sala sembra salire di volume. Nelle mani di Roxas, la pasta si sgretola in frammenti adesivi.

L’asservimento al passato è qualcosa che non lo riguarda, ne è sempre stato certo. In bene e in male, la sua condizione di amnesia lo differenzia da tutti. Una linea netta a separare l’umano dalla creatura del Crepuscolo. E’ un fardello che lo rende indipendente. Libero.

Ora Zexion gli rivela che l’umano esiste ancora, incistato nelle ombre dell’anima. Una cosa che piega la sua volontà, sfugge al suo controllo.

Non credere a Zexion, è un’ipotesi che non contempla neppure. Ma può cercare di contraddirlo. Se può confutare uno dei suoi concetti, allora tutti sono confutabili. Il principio è semplice. Basta trovare una cosa, solo una.

 

“Se non li attaccassimo? Non gli heartless, ma gli esseri umani.”

“Non cambierebbe niente.”

“Ma perché? Tutta la gente qui… ognuno è diverso dagli altri. Alcuni sono tanto diversi che non possono neanche comunicare fra loro, se non usano sistemi molto complessi. Quelli, ad esempio. Vedi? Usano tre differenti traduttori. Ognuno ne ha uno, che parla a un terzo, che traduce fra i due traduttori principali che poi ritraducono ai loro padroni. Senza tutti quei meccanismi che si trascinano dietro, non potrebbero neppure cominciare a capirsi. E quelli? Non possono respirare la stessa atmosfera. Nei mondi dove sono stato, ho visto gente anche più diversa. Eppure, in qualche modo, sopportano le differenze gli uni degli altri. Perché non la nostra differenza?”

“Noi abbiamo qualcosa che ci rende diversi da tutti loro, la stessa per cui questa donna ha venduto il suo mondo. Non danno la caccia ai nobody solo per ucciderci, ma anche per scoprire cosa ci rende immortali. L’immortalità è quella cosa a cui gli abitanti di tutti i mondi aspirano. Non smettono mai di agognarla, cercarla, inseguirla. In fondo a tutte le loro strade, si trova il sogno di vivere per sempre e di controllare il loro ambiente. Siccome non possono, allora vorrebbero annientare noi.”

“E questo come li aiuta a ottenerla?”

“Li aiuta a credere di non volerla. Il pensiero che c’è chi possiede quello che non hanno e desiderano è così intollerabile, che solo convincendosi che egli non può essere altro che un mostro, il prodotto di un’alchimia innaturale, riescono a sopportarlo.”

“Quella donna ha trattato con noi.”

“Perché si aspetta un beneficio. Ma è un mezzo che funziona solo su un numero limitato di individui e funziona perché è un numero limitato. Applicato su vasta scala, perderebbe immediatamente la sua valenza. Gli esseri viventi non sono completamente prevedibili, se presi singolarmente, ma nell’insieme, invece, lo sono, e molto. Non c’è sorpresa e le eccezioni non sono abbastanza numerose perché tu possa fare affidamento su esse. Io oso avvicinarmi a questi esseri solo dopo averli studiati a lungo. Roxas, non presentarti mai disarmato di fronte a loro. Ti ucciderebbero, poi si congratulerebbero a vicenda per avere liberato l’universo da un altro mostro. E se non ti uccidessero, sarebbero capaci di farti desiderare di essere morto. Perché credi che gente come Demyx o Luxord stiano con noi? Perché quello che li aspetta fuori è molto peggio.”

“Nessuno di loro mi ha mai fatto niente, se non per difendersi.”

“Non ti hanno mai fatto niente solo perché tu sei stato il primo a colpire. Questa volta non chiedermi di dare prova di quello che dico. Cercala da solo, se vuoi. La troverai subito.”

“Non ho chiesto io di essere così.”

“No, non lo hai chiesto, ma questo, al massimo, è un particolare importante solo per te. Adesso dimmi una cosa. Tu perché combatti?”

“Io?”

“Quello che mi hai detto significa che la ricerca dei Cuori non è una tua priorità. Perché li combatti?”

 

Già, perché.

Si è preoccupato tanto di chiedere il perché degli altri, che non ha pensato che anche lui deve avere una ragione per quello che fa.

 

“Mi dite di farlo.”

“Evidentemente, fare quello che ti si dice di fare è una ragione sufficiente per te. Almeno per adesso.”

 

Indica la pasta che ha gli dato. A furia di giocherellarci, il ragazzo l’ha ridotta a una massa di briciole.

Poteva dire subito a Zexion che non voleva quella cosa, che non aveva nessuna intenzione di mangiarla e che voleva solo andarsene.

Irritato, raduna le briciole in un mucchio e le spinge nel foro che si apre al centro del tavolo, con il risultato di ritrovarsi le dita ricoperte di frammenti appiccicosi.

E Zexion lo osserva con l’espressione che avrebbe se stesse assistendo a una reazione chimica particolarmente interessante, e lui si sente indignato - imbarazzato? - e infantile perché è irritato e l’indignazione si somma all’irritazione e adesso vuolepropriotornareacasa!

Valuta seriamente la possibilità di disintegrare quella cosa che ha osato causare un simile pasticcio e, magari, proseguire l’offensiva sulla sala e i presenti.

Strappa alcuni tovaglioli di carta e comincia a ripulire tavolo e mani.

 

“I Cuori li rendono più forti?” mormora.

“No.”

“Più deboli?”

“Non necessariamente. Non siamo più forti perché siamo nobody. Siamo nobody perché siamo i più forti. Noi abbiamo le nostre, di illusioni. Possono essere diverse, ma non sono meno tiranniche. Un uomo potrebbe giocarsi il suo mondo per soddisfare un suo desiderio, ma chiunque di noi potrebbe fare la stessa cosa.”

“Come hai fatto tu.”

“No, Roxas. Non come ho fatto io. Io non mi sono giocato solo il mio mondo.”

 

Il giovane getta il piatto con gran parte del cibo ancora pressoché intatto nella cavità del tavolo e si alza.

 

“Vuoi vedere la città?”

“C’è una città?”

“C’è una città piuttosto grande, scavata all’interno della montagna. Posso occultare la nostra presenza ancora per un po’. Il tempo di arrivare alla cima della scogliera. Non ho ancora voglia di tornare indietro.”

 

Oggi Zexion lo sorprende. Era convinto che avrebbe voluto andarsene appena finito il suo lavoro. La pressione mentale di tutte le entità ammassate qui è quasi insopportabile persino per lui e la sua sensibilità psichica non è neppure paragonabile a quella del telepate. E l’odore, il rumore, tutte quelle sensazioni incontrollate che gli si frangono addosso.

Come riesca a resistere in questa situazione, non ne ha idea. Non è così tollerante, di solito. Spesso non permette neppure che gli si avvicinino.

Immagina che sia arrivato preparato.

Forse, per lui, ne vale la pena.

Zexion non ha molte occasioni di lasciare il mondo nero e non ha molto tempo libero.

Forse, qualche volta, si sente imprigionato anche lui.

 

“Perché lo chiedi? Se dicessi di no, che voglio andare subito a casa, cosa faresti? Non saprei come tornare da solo, quindi non ho scelta.”

“A meno che non sia io a rinunciare per riportarti indietro, giusto?”

Il ragazzino si stringe nelle spalle.

“Vuoi imparare a effettuare navigazioni per Mondi non contigui?”

In risposta, ottiene una nuova scrollata di spalle.

“Roxas, non ho detto che devi cominciare proprio da me a manipolare la gente per convincerla a fare quello che desideri.”

“Mi insegnerai?”

“Sì.”

“Allora ha funzionato.”

 

Ha ottenuto una vittoria. E’ riuscito a far dire a Zexion quello che, in realtà, è lui a volere.

Il giovane si è già allontanato. Roxas esita solo un attimo per assaporare quell’istante, prima di corrergli dietro.

 

Una volta perse di vista le terrazze, non ci sono più punti di riferimento sull’esterno. Ma quella specie di senso d’orientamento che permette loro di sapere sempre esattamente dove si trovano, anche quando si muovono nella rete degli universi, funziona anche sui pianeti. Si stanno addentrando nella montagna e non c’è una vera linea di demarcazione che stabilisce la fine del salone. Solo, poco per volta, man mano che proseguono, le ampie sale si stringono in corridoi e le luci diventano un po’ meno brillanti.

Finalmente, si trovano affacciati a una terrazza. Non è come le terrazze panoramiche della sala d’attesa. E’ una piattaforma di metallo, con una ringhiera di sbarre di ferro chiazzate di ruggine e guano, ed è aperta su una caverna gigantesca. Una vista che dà l’idea di cosa sia la città portuale e quale sia la sua struttura.

Le pareti di pietra della caverna sono costellate di diversi livelli di terrazze, costruzioni, strade, collegate fra loro da rampe, scale, ascensori, montacarichi, ponti.

Ci sono numerose strutture simili a tubi trasparenti, del diametro di qualche metro, che sembrano partire dalla base della caverna, passare attraverso tutti i livelli e raggiungere l’estremità superiore.

Si vede il mare, sul fondo. Il suono della risacca è amplificato da quella specie di cassa armonica e c’è odore di scarichi e acqua putrida.

La prima cosa che viene in mente a Roxas, è l’ammassarsi confuso di una serie di scatoloni. A paragone dell’immacolato sfarzo del porto, è sporco e squallido. A paragone dell’ascetica purezza del suo castello e del suo mondo, è un caos amorfo e disordinato.

Rifiuti che si ammassano sulla riva del mare.

 

“E’ brutta.” mormora.

Zexion annuisce.

“I muri fra i Mondi sono crollati da quasi dieci anni, secondo il nostro sistema di calcolo del tempo. Ovviamente, i contatti non sono stati immediati. Quando è successo, questa gente si è trovata al centro di una confluenza dimensionale, con conseguente incontro con svariati mondi e relativi abitanti. Le possibilità erano diverse, alcune delle quali drammatiche. Shock culturale. Conquista da parte di civiltà più progredite. Estinzione. E’ stata la sorte di molti dei mondi crocevia. Ma loro sono stati capaci di far fruttare la posizione del loro pianeta nella rete dimensionale. Quando gli heartless e la nostra gente invadono un pianeta, si aprono i sentieri delle ombre. I nostri sono pochi e regolati, relativi al numero di nobody che si muovono singolarmente, ma gli heartless avanzano in sciami. L’instabilità dimensionale è grande, si aprono varchi involontari e incontrollati e numerose scissure. Spesso, abitanti del pianeta ne vengono catturati. Non sono molti quelli che riescono a riemergere o a sopravvivere, ma qualcuno ci riesce e finisce traslato altrove. Costoro diffondono la loro vita, la loro cultura, la loro specie, fra gli universi. La dispersione avviene secondo schemi molto complessi, che non è il momento di spiegarti, ma la maggior parte arriva in mondi come questo, cioè dotati di un forte magnetismo dimensionale. E’ quello che capitò qui. Quando trovarono i primi naufraghi se ne stupirono, ma erano già un popolo culturalmente progredito. Studiarono gli alieni e ci misero poco a capire. Sapevano che potevano guadagnarci e, anche, che dovevano aspettarsi il peggio. Quando arrivò la prima nave, erano preparati. Chi si presentò con intenzioni ostili non tornò più a casa. Gli altri, trovarono una buona accoglienza. Questo era già un porto spaziale. Non è stato difficile trasformarlo in porto dimensionale. La città è cresciuta con gli anni, pezzo per pezzo. Un mosaico di frammenti, culture, gusti, estetiche, necessità differenti. In fondo, è ancora poco più di un accampamento. Non puoi aspettarti la bellezza. Quella verrà in un secondo tempo. Se sopravvivranno, se gli universi resteranno aperti.”

 

Un rumore prolungato e sgradevole distoglie l’attenzione di Roxas. Eppure, nessuno delle altre persone presenti sembra allarmata.

Si volta nella direzione da cui proviene il suono e, dopo qualche secondo, vede due ragazzi correre lungo una delle strade che si diramano dalla piattaforma. No, non corrono. Sfrecciano fra i passanti, in equilibrio su tavole colorate dotate di ruote che manovrano solo con movimenti del corpo. Sono le ruote a provocare quel rumore. Ha appena il tempo di guardarli, che i ragazzi imboccano una rampa collegata al livello inferiore a quello dove si trovano loro.

Quasi senza pensarci, scatta avanti per affacciarsi alla ringhiera e sporgere la testa verso il basso, in attesa che passino sotto di lui.

Riesce a seguirli per poco, prima che si perdano mescolati alla folla, anche se il rumore dei loro strani mezzi di trasporto continua a sentirsi.

Rivolge a Zexion un pensiero interrogativo, ma lo scienziato ignora la sua curiosità, lo richiama con un cenno e lo guida a una delle numerose strutture cilindriche e trasparenti, ascensori che collegano i livelli della città.

Ci sono altre persone in attesa, ma si scostano tutti. Non con la fretta o la decisione di chi sa esattamente cosa fare. I loro movimenti sono distratti, quasi casuali, ma quando finalmente l’ascensore si apre, nessuno di loro entra. Anche i passeggeri già all’interno ne escono, con un’aria vagamente inebetita e, alla fine, i due nobody hanno l’esclusiva della cabina.

L’ascensore attraversa l’intera estensione verticale della città. E’ abbastanza lento, sufficiente per avere idea dei livelli che risalgono, anche se solo delle strade principali, quelle che si aprono direttamente sulla caverna centrale. Sono tutte molto simili, pur nella loro disomogeneità, ma ci sono molte altre strade che si diramano da esse e chissà fin dove si estendono in quel labirinto scavato nella roccia.

Roxas intravede altra gente su quelle strane tavole con le ruote. Sono tutti ragazzi o bambini. Da quello che sa del comportamento umano, dovrebbe significare che le tavole sono giochi.

L'ascensore si ferma più volte durante la sua corsa, ma non sale nessuno di coloro che hanno effettuato la chiamata. Tutti osservano come se non vedessero e le porte si chiudono loro in faccia.

L’ultima fermata si apre su una terrazza all’aperto sulla cima della scogliera, sotto il cielo e il sole.

Il ragazzo si affaccia all’estremità della terrazza. Soffia un vento impetuoso. Caldo, a confronto dei venti freddi che squassano il suo mondo, ma forte.

Il porto, da quell’altezza, è solo un mosaico di colori.

 

Zexion gli ha chiesto se gli piacciono le navi.

Non è certo che gli piacciano.

Piacere è una condizione in cui si è trovato e vuole ritrovarsi nel momento in cui non la sta sperimentando, o qualcosa che vuole quando gli manca.

Non pensa che desidererà ancora trovarsi qui, immerso in questa confusione, quando se ne andranno.

Però non ne è così sicuro. Anche se desidera realmente essere a casa.

 

“Coraggio Roxas, fa tu da navigatore. Calcola la rotta per casa.”

“Ora?”

“Non vuoi imparare a muoverti da solo e non dipendere sempre dagli altri?”

“Ma se non ne sono capace, come faccio?”

“Prova. Traccia la rotta e trasmettimela.”

 

Non ha mai fatto niente del genere. Usa i portali per trasportarsi in luoghi diversi dello stesso Mondo, oppure per saltare fra Mondi contigui, ma non ha mai tracciato rotte per universi così lontani nella rete dimensionale.

Così, fa quello che è capace e applica la tecnica conosciuta a un contesto che sa essere diverso. Non si aspetta di avere fatto la cosa giusta.

Zexion scuote la testa, ma invece di correggerlo o dare spiegazioni, gli trasmette la rotta giusta e i vettori di navigazione e apre il portale che li inghiotte.

Come di consueto, si materializzano nelle pianure disabitate esterne alla città, adesso trasformate in un mare di neve. Diversamente da come fanno solitamente gli altri, Zexion non si avvia a piedi, ma apre subito un altro portale per teletrasportarsi nel castello fluttuante, all’interno di una grande sala circolare dalle pareti coperte di placche semisferiche di vetro.

 

“Non facciamo rapporto?”

“C’è tempo. Voglio farti vedere qual è stato il tuo errore. Tra l’altro, così capirai meglio il perché della scelta del pianeta che abbiamo appena visitato.”

 

Zexion inizia ad armeggiare con il comando portatile della mappa. La sala si trasforma. Pareti, pavimento, soffitto, spariscono nella proiezione. Lo spazio si dilata sino a perdere ogni concetto di misurabilità e sono in piedi nel mezzo di un vuoto grigio coperto da una serie luminosa di simboli, grafici di funzioni, coordinate e segmenti più o meno incurvati.

 

“Questo è solo un modello generale semplificato della rete dei Mondi. Non proietta la situazione reale.”

 

Indica due serie di coordinate, di cui una è quella della loro dimensione.

 

“Ecco, questo è il nostro Mondo, questo quello dove siamo stati, questo il percorso che abbiamo compiuto al ritorno. Ti sei reso conto che era segmentato?”

“Sì, hai fatto quattro salti.”

“E tu, invece, cosa hai fatto?”

“Ho tracciato la rotta per la Terra del Crepuscolo e da lì per il nostro pianeta. Ma, così, anche la rotta che ho calcolato io ci avrebbe riportati a casa. Perché non andava bene?”

“Perché tu hai considerato il punto di partenza, quello di arrivo e quello intermedio come se fossero parte di un sistema chiuso, isolato e senza interferenze, formato solo da tre elementi. Hai suddiviso la rotta alla Terra del Crepuscolo e lo hai fatto perché sai che transitiamo sempre da quel pianeta. La tua è stata un’azione puramente meccanica, non un ragionamento. Una pessima abitudine che è meglio eliminare subito. Tutti i Mondi hanno influenza reciproca. L’influenza è continua, non dipende dal fatto che in un determinato momento tu sei interessato solo a due, o tre, Mondi. Sono sempre collegati tutti l’uno con l’altro. Non la chiamiamo rete senza ragione.”

 

Circoscrive un’area della mappa e traccia un sistema di equazioni.

 

“Il modo più semplice per calcolare una rotta, è usare un sistema come questo. Adesso, in queste condizioni, con solo due enti da considerare, il sistema è lineare e la risoluzione non presenta problema. Ma queste sono condizioni che non incontrerai spesso. In pratica, solo quando ti sposti fra dimensioni adiacenti nella rete. Che è la condizione dove sai già muoverti. Torniamo al nostro viaggio. Non puoi ignorare il resto dei Mondi perché ti sposti fra solo due di essi. Gli universi hanno massa, gravità, magnitudine e campi di interferenza che si estendono nella matrice. Insieme alla loro posizione geografica nella rete, ne determinano la valenza, cioè l’attitudine a formare collegamenti con altri Mondi, e il magnetismo, cioè la misura con cui attraggono. La rete è dinamica, in continua evoluzione, non statica. Gli universi si muovono reciprocamente, nascono e muoiono. Quindi i valori di valenza e magnetismo variano, ma variano anche magnitudine e gravità, in quando gli universi possono perdere e acquisire massa. Il fatto che quando attraversi i sentieri delle ombre ti muovi in un mezzo dove materialmente non incontri ostacoli, non significa che non ci siano. Tu potresti continuare a seguire il tuo percorso, non accorgerti che il campo di interferenza di un Mondo che non hai considerato ha deviato il tuo vettore di spostamento e finire da tutt’altra parte, oppure non finire da nessuna parte.”

“Ci si accorge quando ci si approssima a un Mondo.”

“Sì, te ne accorgi, ma se non sai come correggere la deviazione, o non sai che stai deviando, accorgersene non serve. Inoltre, questa è una situazione ideale e semplificata. Gli universi ordinari non sono gli unici enti a esistere nella rete dimensionale.”

 

Le immagini si arricchiscono di nuovi elementi. Le proiezioni cambiano drasticamente e, in un istante, l’intero schema è rivoluzionato.

 

“Te ne accenno soltanto. Ne parleremo più approfonditamente in seguito, perché è possibile dare una loro definizione corretta ed esplicativa solo matematicamente e, per quella, devi prima avere altre basi. Queste sono le remore. Sono frammenti di universi non formati o di universi disgregati. Sono attirati degli universi ordinari e si attaccano a essi. Possono anche attrarsi l’uno con l’altro, fino a formare una massa sufficiente da avere, a loro volta, una valenza. Questi, invece, sono gli universi ombra, che sono immagini dei nostri universi, impresse in particolari condizioni di condensazione delle Forze. La loro esistenza si misura in nanosecondi. Poi ci sono gli universi fantasma. Sono proiezioni di diverse linee temporali degli universi ordinari. Sono i più determinati degli enti dimensionali non ordinari e sono quelli che possono alterare maggiormente la navigazione.”

“Sono universi paralleli?”

“No. Esiste una sola linea temporale verificata. Reale, se preferisci. Ma ci sono molte probabilità. Gli universi fantasma sono proiezioni di probabilità non verificate. Per contingenza e in risposta a queste proiezioni, le Forze formano l’universo fantasma, ma esso esiste solo fino a quando permangono le condizioni giuste, poi si dissolve. Sono come gli arcobaleni. Si formano in concomitanza a una particolare combinazione di acqua, luce e posizione reciproca fra esse e nel momento che una delle componenti cambia, svaniscono. Non hanno quindi un’esistenza stabile, ma possono essere abitati.”

“Abitati? Da… esseri viventi?”

“Dai doppelgänger. Per quanto l’esistenza degli universi fantasma sia effimera, esistono con tutta la storia che avrebbe dato loro origine se la loro linea temporale fosse stata quella avverata. Questo significa che gli abitanti si sono evoluti coerentemente alle leggi del loro universo. Possono esistere anche solo per qualche istante, eppure il tempo soggettivo di quegli universi è completo. La differenza con gli universi ordinari può essere infinitesima o smisurata, tutto dipende dall’istante e dalla condizione che ha dato origine alla proiezione. Ti faccio un esempio. Un’ora fa, il nostro universo potrebbe avere originato una proiezione del nostro mondo, differenziata per come si è cristallizzata l’acqua atmosferica, e potrebbe esserci quindi un universo fantasma che si differenzia dal nostro solo per la forma di un cristallo di neve. Però, la proiezione potrebbe essere partita dal momento della formazione dei primi aminoacidi, o prima che questo mondo fosse stato strappato dall’orbita della sua stella. Questo fantasma potrebbe apparire adesso, ma conterrebbe in sé tutta la sua storia, non solo a partire dal momento in cui si è originata la proiezione, ma anche tutta quella precedente.”

“Quindi, potrebbe essere questo stesso mondo, ma che orbita intorno a un sole, oppure abitato da esseri che qui non sono mai apparsi.”

“Esatto. Potrebbe anche non esserci una differenza rilevabile. Quando dico universo intendo tutto. Il nostro pianeta e tutto il resto. La probabilità non verificata potrebbe essere la differenza in cui due molecole di idrogeno interstellare si sono incontrate.”

“Ma questi universi esistono, o sono solo speculazioni?”

“Esistono e sono pericolosi. I loro campi di interferenza sono notevoli. E’ persino possibile finirci dentro. Gli universi fantasma hanno una posizione imprevedibile, in quanto le componenti che ne permettono l’esistenza sono molte, molto variabili e dotate di un numero di incognite altissimo, e sono sensibili alle condizioni iniziali, di cui non possiamo, materialmente, avere conoscenza nella totalità. Possono formarsi a grande distanza dall’universo che li genera, ma possono anche intersecarsi agli universi ordinari. Persino agli stessi universi che li proiettano. Possiamo estrapolare uno schema probabilistico basato sulle loro apparizioni a lungo termine, ma non nello specifico. Ecco, guarda.”

 

Proietta un frattale arborescente variopinto nel centro della stanza, che va a sovrapporsi allo schema degli universi.

 

Ti faccio vedere queste immagini per aiutare la tua comprensione, ma questa non è la rappresentazione grafica della rete dei Mondi. Non confondere le due cose e abituati fin da subito a risolvere i problemi in modo analitico, senza uso della raffigurazione, che è fuorviante e, in definitiva, ti rende solo le cose più complesse. Adesso, questo è un universo fantasma. Guarda cosa succede quando si cade nel suo campo di disturbo.”

 

Traccia nella mappa una rotta fra due Mondi lontani. La linea è una retta, ma, non appena inserisce nel sistema i valori dell’universo fantasma, questa subisce una perturbazione che deforma e incurva la traiettoria.

 

“La presenza di universi remora, di quelli fantasma e quelli ombra non è prevedibile in anticipo. Possono esistere contemporaneamente e ognuno di essi provoca una perturbazione. Tieni conto che, se ci fossero stati solo gli universi ordinari, la rotta sarebbe stata corretta.”

 

Allunga il tracciato della rotta e inserisce nuovi elementi. La rotta cambia di volta in volta, fino a che non si ritorce su sé stessa e si trasforma in un cappio.

Cambia nuovamente la mappa.

 

“Questa è la situazione reale al momento in cui siamo tornati. Adesso, guarda la tua rotta dove ci avrebbe fatto finire.”

 

Inserisce nel sistema l’equazione di rotta che il ragazzo ha tracciato per tornare a casa.

Il sistema si risolve in una soluzione che oscilla fra due valori limitati e interi.

 

“Questo significa che saremmo rimasti intrappolati in un anello privo di discontinuità che ci avrebbe riportati sempre allo stesso punto e non saremmo mai usciti dalla matrice. E’ una delle due trappole in cui è più facile ritrovarsi. Questa è l’altra. Così, la rotta ha un limite all’infinito. Anche se incrementi il tuo vettore di spostamento e avanzi, la distanza resta sempre costante e non ti avvicini all’asintoto. In pratica, rimani sempre a una distanza infinitesima superiore a zero dalla parete del Mondo in Mezzo, senza poterla mai raggiungere e, quindi, senza potere mai riemergere. Viaggiando fra dimensioni non contigue devi anche tenere conto dello spostamento di deriva, cioè la deviazione che la pressione delle correnti di Forze trasversali al tuo moto causa alla rotta ideale calcolata. Aumenta con la distanza ed è la ragione principale per cui evitiamo di rimaterializzarci direttamente all’interno del castello, o comunque in spazi limitati, quando proveniamo dagli altri universi. Se al fine pratico la deriva è nulla in caso di spostamenti sullo stesso pianeta, quando ti sposti fra Mondi distanti può, invece, incrementare al punto da invertire la rotta. Con tutte le situazioni intermedie. In ogni caso, è impossibile annullare lo scarto d’errore. Possiamo solo usare sistemi di compensazione. Con il crescere della distanza, cresce la probabilità di ricadere nei campo di interferenza degli enti imprevedibili e la probabilità di errore di calcolo, fino a essere indeterminabile. Il sistema diventa indefinito, ma non puoi navigare seguendo un sistema indefinito. Occorre suddividere la rotta in segmenti che permettono di riportare il sistema a uno stato localmente lineare. Quindi, fare più salti. Questo richiede molta più energia. Energia vitale da parte nostra, carburanti per le navi. Il nostro Mondo è isolato, lontano. Di tutti i pianeti in tutti gli universi abitati, noi possiamo arrischiarci di raggiungere con una sola tratta solo la Terra del Crepuscolo. Se vogliamo raggiungere una dimensione distante, dobbiamo effettuare molti salti, ma questo potrebbe richiederci più risorse di quante non ne disponiamo. Il pianeta su cui ci siamo recati è un punto nodale. Da esso è possibile raggiungere direttamente diversi altri Mondi e noi lo possiamo raggiungere in modo relativamente facile ed economico. Ho fatto quattro tratte. Avrei potuto ridurle a tre, ma non è una gara. Basta arrivare dove si vuole nel modo che è insieme il più semplice e conveniente, non tracciare il sistema con maggior eleganza. Adesso capisci perché non ti abbiamo mai permesso di viaggiare liberamente?”

 

Roxas annuisce e tocca uno dei rami globosi e spiraliformi del frattale.

 

“Zexion, ti riferisci solo a Mondi appartenenti a questo insieme. Cosa c’è, oltre?”

“Altri Mondi. Il nostro Mondo giace al bordo esterno dell’ammasso di condensazione del Crepuscolo. Al di là, paragonabile allo spazio extragalattico, c’è la Distesa Oscura. Ci arrivano segnali di universi situati oltre a essa. Tutti questi universi, quelli appartenenti al nostro grappolo e quelli più lontani di cui abbiamo prova della loro esistenza, giacciono sullo stesso piano, la stessa membrana, e sono tutti collegati dalla matrice del Mondo in Mezzo. In teoria, sono tutti raggiungibili, ma nessuno ha mai tentato l’attraversamento della Distesa, perché le distanze e la conseguente difficoltà di navigazione sono eccessive. Potresti pensare che, essendo uno spazio vuoto, non ci sia nulla a mettere a rischio il viaggio, ma ci sono altri fattori da considerare, oltre ai campi di interferenza degli universi. Tempeste di Forze, correnti, vortici, assottigliamenti nella membrana. Oppure, potresti semplicemente esaurire tutta la tua energia prima di raggiungere qualsiasi luogo dove fermarti. Parallele alla nostra, ci sono altre membrane che contengono altri insiemi di universi in cui possono vigere leggi fisiche diverse da quelle che governano i nostri. Sono teoriche. Non conosciamo modo di passare da una membrana all’altra. La prova che abbiamo della loro realtà è la correttezza formale della costruzione cosmologica che le comprende e il fatto che la loro non esistenza comporterebbe, come conseguenza, paradossi nel sistema di riferimento considerato, cioè l’insieme di leggi naturali che governano le dimensioni e formano un modello coerente e verificato. Ma questo è qualcosa che forse potranno spiegarti meglio Xigbar o Saïx.”

 

Il giovane prende dalla tasca un piccolo palmare e si siede a terra.

Intorno e sotto di loro, la proiezione si trasforma, dal grigio ricoperto di equazioni al nero dello spazio, trapuntato di stelle e galassie e nebulose variopinte.

 

“Per oggi basta. E’ meglio che assimili le nozioni poco per volta e il difficile deve arrivare. Aspetta un attimo e ti lascio quello che devi studiare e qualche problema da risolvere.”

 

Roxas si siede composto davanti a lui e appoggia le mani al pavimento invisibile.

E’ proprio come essere sospeso nello spazio.

 

“Qualche giorno fa sono andato al Grattacielo della Memoria.” afferma.

“Ci siamo andati tutti, una volta o l’altra. E’ stata un’esperienza interessante?”

“Inutile, credo. Ho visto qualche immagine, ma nessuna con un senso. Non credo si trattasse di miei ricordi. Se lo erano, non sono stato in grado di riconoscerli.”

“Gli schermi proiettano molte cose.”

“Hanno una ragione o sono casuali?”

“Non saltano fuori dal nulla, ovviamente. Hanno cause. Il vero problema è che sono cause difficili da riconoscere a posteriori.”

“Che cosa sono? Davvero ricordi?”

“Ricordi, pensieri, sogni, proiezioni di probabilità future. Gli schermi attingono alle menti con cui vengono in contatto, ma non è detto che siano quelli della persona più vicina.”

“Mi sembra di avere visto Xemnas.”

“Cosa faceva?” chiede Zexion, in tono noncurante.

“Non lo so.”

 

combatteva

 

“Non ho visto molto bene.”

 

moriva

 

“Non sono nemmeno sicuro che fosse davvero Xemnas.”

 

per mano mia

 

Zexion non chiede niente, non cerca di leggere nei pensieri del ragazzino e si mostra del tutto disinteressato al suo rimuginare. Però rallenta il lavoro. Roxas vuole parlare. Non avrebbe neppure accennato al suo viaggio al grattacielo, altrimenti.

Il modo migliore per sapere qualcosa da lui è lasciargli il suo tempo. Se lo si forza, può tacere solo per non darla vinta a chi cerca di obbligarlo.

 

“Sul grattacielo, c’erano anche i keyblade. Questo vuol dire che quelle immagini sono relazionate a me.” dice il ragazzo.

“Non necessariamente, ma probabilmente sì.”

“Tu sai cosa sono?”

“I keyblade? Sono le tue armi.”

“Ma non solo le mie. Ne ho visti molti altri, alcuni quasi irriconoscibili, ma io riconoscerei sempre una di quelle cose. Erano impugnati da altra gente. Non so chi, ma di sicuro non io. Almeno, non solo io.”

“Ci sono stati altri custodi, questo lo sai fin dall’inizio. Le nostre armi sono espressioni materializzate della nostra volontà, ma i keyblade hanno esistenza autonoma.”

“Come vengono scelti, i custodi?”

“Non lo so. I popoli dei Mondi hanno creato leggende e mitologie, sui keyblade. Tra quelle più diffuse, è che siano le armi degli eroi. Basta soffermarsi un istante per rilevare l’illogicità di una simile affermazione. Stessa cosa vale per una delle altre dicerie, cioè che i keyblade sono armi benevole. I termini eroe e bene hanno un significato solo soggettivo. I keyblade hanno scelto custodi di razze, culture, epoche differenti, con comportamenti diametralmente opposti l’uno dall’altro. Sappiamo di keyblade custoditi da individui in guerra fra loro, ognuno dei quali eroe e rappresentante del bene per la propria fazione, criminale e maligno per i suoi nemici. I keyblade sono armi estremamente potenti, hanno spesso determinato la vittoria del gruppo che li controllava. Dato che la storia è scritta da chi vince, sono stati i vincitori a decretare cosa doveva essere considerato eroico e giusto e, di conseguenza, per semplice dato numerico, i keyblade. Al di là della leggenda, non abbiamo trovato nessuna informazione attendibile su essi, anche se i riferimenti, diretti o meno, sono numerosissimi. Noi stessi li conosciamo solo da pochi mesi. Capirai anche tu che non abbiamo avuto nemmeno il tempo sufficiente per cominciare a studiarli con l’attenzione che meritano.”

“Quindi, io non ho armi come quelle degli altri. Perché no?”

“La risposta che mi sento di darti è che non ti servono. Quelle armi sono solo proiezioni del pensiero. Servono per focalizzare il potere, o come scorciatoie, o come supporto psicologico. Per alcuni, come Xigbar, Larxene e Marluxia, sono semplici strumenti. Potrebbero scambiarle senza difficoltà con armi ordinarie. Io non ho armi. In tutti i casi, il vero potere risiede in noi. Tu hai un enorme potenziale mentale e hai le tue armi, efficienti e legate a te quanto e più di qualunque altra. Non hai avuto bisogno di altro.”

“I keyblade sono… vivi?”

“No, sono oggetti. Meccanismi molto complessi, che possiedono diverse caratteristiche dei viventi, ma non lo sono.”

“Però operano scelte.”

“Anche un programma euristico può scegliere. Ti assicuro che non sono vivi e non sono intelligenze artificiali. Sono manufatti.”

“Quindi sono stati costruiti. Sai da chi?”

 

Zexion scuote la testa, mentre continua a programmare il suo palmare.

Adesso vorrebbe avere dati precisi su come Sora ha reagito nel sentirsi dire di essere stato scelto come portatore di un’arma leggendaria e mitica, elementi di forte presa sulla mente di un adolescente, e se e quali domande si è fatto. Ma Roxas non attribuisce al keyblade altro significato di quello di uno strumento. Uno strumento di guerra o uno strumento per ottenere frammenti della sua storia sconosciuta.

 

“Stavamo combattendo, io e quella persona che credo fosse Xemnas.” mormora Roxas, dopo diversi minuti di silenzio “Penso di averlo ucciso.”

“Adesso hai paura che succederà davvero.”

“E’ una possibilità reale?”

“Sì, certo che lo è.” lo scienziato distoglie finalmente l’attenzione dal suo lavoro e passa il palmare al ragazzino “Tieni. Qui ci sono una serie di esercizi di prova. Roxas, ti consiglio di non dare troppo credito a quelle immagini. Quella che hai visto è una possibilità, ma sono ben poche le cose che non sono possibilità, in un modo o nell’altro. Non lasciarti influenzare da questo. Uno dei pochi aspetti della realtà privo di simmetria è proprio lo scorrere del tempo. Noi possiamo conoscere il passato, ma non il futuro, perché il futuro non esiste. Non il futuro predeterminato e invariabile, almeno. Ci sono solo probabilità e il presente. Quella cosa che chiami futuro è un'ipotesi che si realizza solo quando diventa presente. Ma se non esiste futuro, allora non esiste il destino. Se però sei convinto che qualcosa sia inevitabile, puoi contribuire a farlo accadere, non perché è in agguato ad attenderti, ma perché potresti seguire, anche inconsapevolmente, quelle strade che ti porteranno al risultato che ti aspetti o che temi. A quel punto potrai dire ‘Ecco, era il mio destino’. A conti fatti, il destino esiste. Solo non è quello che pensi.”

 

Accenna ad alzarsi, ma Roxas gli appoggia una mano sull’avambraccio e lo trattiene.

Questa volta, il telepate resta sorpreso. L’adolescente odia il contatto fisico ed è sempre attento a non sfiorare mai nessuno, neppure per sbaglio. A quanto ne sa, è la prima volta che tocca qualcuno spontaneamente.

 

“Se ucciderò Xemnas, vuol dire che avrò già ucciso molti altri. Xigbar, Xaldin e Saïx non lascerebbero mai che qualcuno tocchi Xemnas. Se arrivo a lui, è solo perché avrò ucciso anche loro. Forse avrò ucciso tutti voi.”  

 

Zexion si lascia cadere schiena a terra, fissando le stelle virtuali sopra e intorno a loro.

 

“Anche questo è possibile.”

 

Roxas giocherella con il palmare e non appare intenzionato ad allontanarsi dalla sala.

 

“Ho anche visto Xemnas uccidere me. I due eventi si escludono a vicenda, non credi?”

 

Zexion si volta sul fianco, allunga una mano verso Roxas e gli tocca quasi le dita con cui stringe il computer. Per una volta, il ragazzo non tenta neppure di scostarsi.

 

“Se tu dovessi decidere fra le due ipotesi, quale sceglieresti?”

 

Roxas rifiuta di rispondere e persino di guardarlo e anche questo è insolito, perché lui guarda sempre quelli con cui parla.

Si è ritirato nel suo brillante guscio mentale quasi inespugnabile e lascia filtrare solo una vaga sensazione di conforto per dove si trova.

Sta fingendo di essere sospeso nello spazio, anche se sente il pavimento solido. Ma gli piace pensarlo e riesce a ignorare deliberatamente la sensazione tattile della superficie su cui è seduto.

Immagina.

Zexion non può.

Una cosa simile gli è addirittura quasi inconcepibile. Può studiare le sue stesse sensazioni, o sperimentarle, o controllarle, ma non ignorarle. Per quello, dovrebbe attivamente chiudere fuori l’impulso nervoso e una cosa simile è semplicemente impensabile. Non percepire significa essere morti. Non può ignorare quello che gli trasmettono i sensi e nessuna illusione funziona su di lui. 

 

Ci prova. Ci ha provato tante volte.

Si concentra sulle stelle, sul buio, sul silenzio. Ma la consapevolezza della superficie che lo sostiene, dello spazio limitato che lo circonda, l’odore di vetro e plastica e metallo, l’atmosfera, le innumerevoli altre sensazioni che gli si riversano nella mente gli rivelano senza possibilità di errore dove si trova. E’ solo una stanza con immagini proiettate.

Chissà com’è, credere in un’illusione. Bizzarro che proprio lui non sia in grado di saperlo, se non in modo indiretto, leggendolo nelle menti e nelle sensazioni e nelle emozioni degli altri.

E’ quello che fa, ogni tanto. Raggiunge un qualche mondo, imprigiona gli abitanti nei miraggi dei suoi universi mentali e assimila quello che provano.

Sperimenta attraverso loro. Si nutre di loro.

 

“Roxas, mi hai chiesto se ho avuto paura quando sono stato preso dagli heartless.”

Questa volta, l'adolescente lo fissa e annuisce.

“Ti rivelo un segreto. Gli heartless non mi hanno mai preso. Sono andato io da loro.”

 

Gli altri sarebbero stupiti nel sapere quello che ha fatto. Alcuni, probabilmente, ne sarebbero sconvolti. Gli abitanti dei Mondi ne sarebbero rivoltati. Roxas no. Lo osserva con i limpidi e freddi occhi azzurri, non stupito, non sconvolto, non disgustato. Solo incuriosito.

A Roxas non importa niente di quello che fa smaniare gli altri, di Cuori e umanità perduta, di case e famiglie cadute nell’abisso. Gli importa di come viaggiare fra le dimensioni, del perché il Grattacielo della Memoria gli ha mostrato certe immagini e non altre, di cosa sono i keyblade. Gli importa di tutte le storie che può ascoltare e di capire come funziona lo skateboard, ma la ricerca dell’umanità è qualcosa troppo vago e indeterminato, per lui. Troppo alieno al suo essere. I suoi legami si sono originati e sono ancorati solo a questa esistenza. Per tutto quello che c’è prima, è solo desiderio intellettuale.

Persino la sua ricerca dei ricordi mancanti non ha nulla di nostalgico, quanto di indagativo. Anche se oggi qualcosa si è aggiunto, quando gli ha detto che proprio quei ricordi estranei possono avere una tale forza da condizionare il suo volere.

Per la prima volta, Roxas è stato consapevole del potere di quell’essere sconosciuto che gli ha dato vita. Il suo odore ha assunto il gusto salato della paura e amaro dell’angoscia. Soprattutto, quello acido della rabbia.

Fino a quel momento, il ragazzino ha cercato il suo passato con la stessa motivazione e determinazione con cui Ienzo ha voluto svelare le incognite dell’universo. Io non so, quindi devo sapere. Adesso, c’è una ragione in più. Conoscere il nemico.

E’ sempre qualcosa che non condivide con nessuno.

Roxas non è umano, né ha i ricordi di esserlo mai stato. Sta imparando a fingere che gli importi qualcosa di quello che importa agli altri, ma è solo una recita e, in questo momento, non recita. Prova curiosità, ma nessuna repulsione alla scelta fatta a suo tempo da Ienzo.

“Nell’ultimo giorno della mia vita umana, ho dovuto scegliere. Le ombre avevano invaso tutto il palazzo e si diffondevano sul pianeta e anche nelle colonie. Io avevo trovato rifugio in un laboratorio protetto da campi di contenimento, in cima a una delle torri. Sono rimasto chiuso lì per giorni. Oltre alla porta, c’erano gli heartless. Li sentivo e loro sentivano me. Picchiavano e cercavano di sfondare le barriere. La sola via di uscita era la finestra e un volo di centinaia di metri prima di sfracellarmi al suolo. Per un attimo, l’ho considerata. Poi ho aperto la porta e sono andato incontro alle ombre.”

“Perché proprio quella scelta, se entrambe erano mortali?”

“Avevo assistito spesso alla morte, dovuta alle cause più svariate. Sapevo bene cosa accade a coloro che muoiono. Sapevo come si spegne la mente. Ma, quando gli heartless avevano preso Even ed Aeleus, avevo percepito qualcosa di diverso. Qualcosa mai sentito, prima.”

“Eri sicuro di vivere?”

“No. Ero sicuro di morire se avessi scelto l’altra strada.”

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

Per prima cosa, un ringraziamento ad Atlantis Lux, mio personale consulente bellico. Se fosse stata al posto di Xemnas, l’organizzazione non avrebbe commesso i clamorosi errori strategici e tattici che l’hanno portata alla sua triste fine. In effetti, se Lux fosse stata al posto di Xemnas, l’organizzazione non si sarebbe neppure sognata di impelagarsi nella donchisciottesca impresa di fare la guerra in 13 a non so quanti mondi. Con i poteri che si ritrovano e le royalties di qualche brevetto, sarebbero diventati ricchi oltre ogni immaginazione, avrebbero comprato i mezzi di informazione dell’universo conosciuto, assunto i migliori specialisti d’immagine e avvocati disponibili, fatto causa a Topolino, YenSid e DiZ per razzismo, abuso di minori, tortura e genocidio. Immaginate soltanto una qualsiasi giuria che si vede arrivare Roxas come testimone d’accusa contro DiZ ^____^

Bastava insegnargli a versare qualche lacrima e gli imputati finivano tutti ai lavori forzati a vita su un pianeta con il clima di Mercurio, ripuliti di ogni singolo centesimo. A quel punto, i 13 si sarebbero trovati un mondo piacevole e temperato e si sarebbero rifatti una vita e il guardaroba. Potevano pensarci.

 

Yunie: Come, non ti piace Riku? Ma se è così bello ^___^

Ti dirò, a me lui piace, ma lo prenderei a legnate che non ne hai idea. Di solito, non sono una di quelle che se gli piace un personaggio, vuole vederlo patire. Proprio il contrario. Voglio vederlo finire bene, felice e contento. Riku è l'eccezione. E’ ipocrita, accidenti a lui, e deve soffrire.

Invece, ho un vero debole per il suo clone. Mi fa una pena immensa e una tristezza infinita. Metto anche lui nel conto di Naminé. Se il mondo fosse giusto, Roxas e la replica di Riku sarebbero stati i soli a sopravvivere in quel macello.

Ah, sì. L’exuvia è un guscio, quello che resta quando certi animali, come gli insetti o i crostacei, fanno la muta. Ha la forma perfetta del loro corpo, sembra proprio quell’animale, ma è vuoto.

 

Macross: tuo commento è uno dei più gratificanti che abbia mai ricevuto. Mi hai detto tutto quello che avrei voluto sentirmi dire.

A parte l’inquietante, che anche per me è un complimento grandissimo e graditissimo, la cosa che forse mi ha fatto più piacere è che mi dici che nella mia storia non ritrovi buoni e cattivi e che tutto è relativo agli egoismi individuali. Odio terribilmente ritrovarmi a leggere storie dove i personaggi vengono suddivisi in schemi. Buoni da una parte, cattivi dall’altra, e la categoria che preferisco (ehm), i tizi che partono cattivi e si redimono durante il corso della storia. E il bello che tutti, a guardare con un filino di attenzione e staccandosi dal punto di vista dell’autore, fanno esattamente le stesse cose. E sì. Sono una fedele seguace del relativismo e sono assolutamente convinta che si agisce solo per soddisfare i propri interessi.  

C’è poi la definizione di ‘asettica’ mi ha mandata in brodo di giuggiole, perché era quello che volevo ottenere. Non so se e quanto conosci il gioco. Io non sono particolarmente impressionabile, ma c’è una parte che mi ha fatto venire la pelle d’oca, cioè quella di Roxas nella città simulata. Altro che asettica. Una lenta, spassionata, esasperante cronaca di una tortura e di un’esecuzione durata sei giorni, scandita da una voce di computer. Mai capito come sia stato possibile inserire una cosa simile in quello che dovrebbe essere un gioco da bambini. Tra l’altro, sono convinta che i bambini si annoino a seguirla. Per me è geniale e di una crudeltà raggelante.

Ho cercato di rifarmi il più possibile a quello. Non so con quanto successo, ma grazie davvero per quello che hai detto ^___^

 

 

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Capitolo 12
*** Anisotropia ***


Anisotropia

 

Anisotropia

 

 

apri le finestre

 

Le pareti dei corridoi e delle sale sono coperte di scaffali, da terra sino quasi al soffitto, e il soffitto si perde in altezza. Poi, ci sono altre librerie, in mezzo e fra le sale, come pareti divisorie, sistemate in modo da formare sentieri, strade, crocevia, piazze e nicchie. Ogni scaffale strabocca di volumi, dal ripiano più basso sino all’ultimo.

Zexion raccoglie libri su ogni mondo. Raccoglie anche altri oggetti, ma i libri hanno la priorità.

L’immensa costruzione, in realtà più simile a una base spaziale fluttuante, ma che suona molto meglio con il nome di castello, non rende certo un problema avere spazio. C’è n’è più di quanto ognuno di loro possa occuparne, anche con la più sfrenata fantasia e se alcuni mantengono un’ascetica austerità nei propri locali, o si accontentano di poche stanze spoglie, altri sembrano avere deciso che, se non hanno Cuore né diritto di esistere, almeno possono godersi tutte le comodità materiali degli universi.

Negli anni, l’ala del castello di proprietà di Zexion si è trasformata in un incrocio tra una biblioteca e un labirinto, qualcosa di cui Vexen ha cercato più volte di imparare la pianta, ma Zexion cambia spesso la disposizione delle pareti e la configurazione del dedalo, quindi studiarla è inutile. Solo lui può fare da guida nel suo intricato regno.

E’ buio, anche. C’è solo il chiarore della neve esterna, che riflette e diffonde e rimanda attraverso le finestre le luci stesse del castello, e la debole fosforescenza del pavimento e del soffitto bianco latte. Nemmeno quella delle pareti, perché le pareti sono ricoperte dalle librerie.

La luce non è necessaria a nessuno, meno di tutti a Zexion, con i suoi sensi innaturalmente acuti persino per un nobody e le percezioni psichiche. E’ solo una questione di abitudine, il ricordo di un tempo in cui la luce era indispensabile alla vista, almeno per alcuni di loro. Ma, anche allora, Ienzo preferiva la penombra.

 

La neve si scaglia contro le vetrate.

 

lascia entrare l’inverno

 

Zexion è seduto per terra, di fronte a una delle librerie.

Tira fuori un libro dal piano più basso, quello a livello del pavimento. Lo studia per alcuni secondi. Guarda la copertina, lo sfoglia qualche minuto. Lo chiude con attenzione e se lo posa sulle ginocchia. Tiene le mani appoggiate sul volume, delicatamente, sfiorandolo appena, togliendo inesistenti e impossibili granelli di polvere. Sembra quasi che abbia paura di rovinarlo solo toccandolo, ma che si rifiuti di tagliare il contatto fisico con esso.

Vexen non sa che genere di libro sia. La copertina è una lastra di metallo verdastro senza alcun simbolo.

Non importa. Potrebbe essere una raccolta di spartiti musicali, il testo unico e originale di qualche pianeta scomparso, un libro di ricette. Il suo atteggiamento non cambierebbe.

 

“Non hai mai avuto alcun rispetto delle persone, eppure veneri i libri, che sono opera loro. Alla resa dei conti, solo un loro derivato.” gli ha chiesto un giorno.

Zexion gli ha sorriso con quel suo sorriso da ragazzino, spontaneo e innocente.

“Perché sono la fonte più ricca da cui attingere. Qui dentro trovo tutto quello di cui ho bisogno per sapere come trattare con loro. Qui c’è tutto quello a cui riescono a pensare, a immaginare, a sognare, a temere. Questa è la loro anima, trascritta e messa a disposizione per chi è in grado di decifrarla.”

 

Da quella volta, Vexen ha capito. Zexion non ama i libri in quanto tali. Essi sono solo il suo territorio di caccia, e i predatori sono i custodi e i protettori del loro territorio.

Non gli ha più chiesto nulla, ma è stato attento a non lasciare mai che leggesse i suoi scritti, e non gli sembra strano che Zexion celi i suoi archivi con un codice indecifrabile. La sua anima non la scopre.

 

Il giovane estrae un libro da una delle file superiori e al suo posto inserisce quello con la rilegatura di metallo verde che tiene sulle ginocchia.

Ricomincia a esaminare il nuovo libro, sereno e infinitamente metodico nel suo modo di agire.

La scarsa pazienza di Vexen comincia ad agonizzare.

 

“Aspettiamo anche Lex.” mormora Zexion, del tutto consapevole dello stato d’animo del suo compagno.

“E quando si degnerà di farsi vedere?”

“Non lo so. Ha detto che doveva terminare un lavoro di manutenzione all’impianto termico di una serra.”

 

Anche se per Lexaeus la parola di Zexion è sempre stata prioritaria su qualsiasi altra cosa e se gli avesse detto di arrivare all’istante, sarebbe già qui. Ma entrambi hanno mantenuto abbastanza buon senso da rendersi conto che non è il caso di abbandonare il lavoro proprio in questa stagione e Zexion non dà ordini. Mette solo le persone di fronte a scelte e fa in modo che esse scelgano quello che lui desidera.

 

Allora perché con me…

 

Ma non gli ha ordinato di raggiungerlo subito. Non gli ha ordinato niente. Ha detto solo che ha bisogno di parlargli e che è una cosa importante. E’ stato lui, di sua spontanea volontà, a presentarsi subito.

Tutto considerato, la colpa di dover attendere è solo sua.

 

Indispettito, Vexen si allontana. I primi passi risuonano fragorosi in mezzo a tutti i libri, ma si smorzano quasi subito. Dopo un po’, non provocano più alcun rumore.

Perde anche l’orientamento. 

I corridoi non sono cambiati, ma non ha idea di quale strada imboccare né dove dirigersi. Avanti, indietro, lateralmente. Il suo cervello non riesce più a elaborare una mappa. Dove si trova, dove deve andare, quale direzione seguire. Mancano completamente i punti di riferimento cognitivi.

Non può neppure pensare di aprire uno dei sentieri delle ombre, perché non ha la minima idea di quale sia la sua attuale posizione spaziale, di dove si trova rispetto a qualsiasi cosa.

Sarebbe curioso o spaventoso, in qualsiasi altro posto, con chiunque altro. Qui, è solo irritante.

Perlomeno, distingue ancora l’alto dal basso, o si troverebbe per terra. No, gli ha solo tolto l’orientamento, non l’equilibrio.

Di una cosa deve proprio dar credito a Zexion. E’ sempre stato un ragazzo pieno di fantasia. Niente di nocivo o doloroso. Gli ha solo reso del tutto impossibile andarsene.

Fissa l’attenzione a uno dei disegni del pavimento e, usandolo come riferimento, retrocede di alcuni passi.

Come previsto, è subito di nuovo accanto a Zexion. Non si è mai allontanato più di un metro o due.

Il giovane non ha battuto ciglio, come inconsapevole della tentata fuga del suo ospite.

Un altro libro, uno dalle pagine colorate, un colore diverso per ogni pagina.

 

“Ho del lavoro da fare.” esclama Vexen, esasperato.

 

Aprire il libro, sfogliare il libro, chiudere il libro.

 

“Aspettiamo Lex.” ripete.

 

Aspettiamo Lexaeus, allora.

 

Riporre il libro, scambiandolo di posto con un altro.

Ricominciare tutto da capo.

 

Talvolta, Vexen ha dubbi su chi sia il più pazzo fra loro. Di sicuro, Zexion è un buon candidato ai primi posti.

I tratti caratteriali di ognuno di loro si sono fissati in ossessioni. Lui stesso non ne è risparmiato, se ne rende conto, e la sua passione per la ricerca è diventata compulsione, così come l’immaginazione sfrenata di Xehanort si è trasfigurata nella natura sognante e irrealistica di Xemnas. Come la leggerezza di Braig è ora l’incosciente indifferenza di Xigbar. Come la dedizione e la disciplina di Aeleus si sono mutate in protettività omicida.

La mente di Zexion è rimasta intrappolata in una rete di complessità. Il suo mondo si è trasformato in flussi di dati connessi l’uno all’altro in strutture estese in troppe dimensioni perché esseri come loro possano comprenderle.

E’ impossibile per chiunque capire quello che Zexion è in grado di percepire e come lo percepisce, perché nessuno ha un sistema di riferimento. E’ impossibile anche solo immaginare quali conseguenze può avere quella corrente continua e immane di informazioni. Come riesce a organizzarla in un insieme ordinato, senza esserne sopraffatto e perdere la ragione, Vexen può cercare di spiegarselo, ma non può, realisticamente, credere di comprenderlo, né di comprenderne gli effetti.

Con loro comunica ancora con i mezzi umani, eppure, Vexen ha la quasi certezza che per Zexion quella sia ormai una lingua straniera, una che conosce alla perfezione, ma che non è la lingua con cui pensa. Che il suo linguaggio, il suo vero linguaggio, sia uno schema cifrato di cui sembra che nessuno abbia la vera chiave di codifica.

E’ convinto che anche gli assurdi rompicapo e i complessi disegni che traccia con le librerie siano un sistema di comunicazione, ma diretto a chi, non lo sa. E non sa neppure chi sia in grado di decifrarlo. Lui, no di sicuro.

 

Il polso sinistro di Zexion è avvolto da quello che sembra un ornamento metallico, un ibrido tra un bracciale e un guanto. Un terminale biomeccanico innestato che gli permette di interfacciarsi a svariati apparecchi. La pelle intorno all’impianto è lievemente arrossata, indizio che non lo estrae da tempo, abbastanza da superare anche l’adattabilità fisiologica di un nobody.

Alcune delle macchine a cui si connette incrementano il suo potere di proiettare il pensiero. Senza aiuto artificiale, può sfondare le pareti dei Mondi più attigui. A mente potenziata, può spingersi in buona parte dei Mondi della rete dimensionale per trovare altri nobody, vagliare pianeti, esplorare, prima di mandare sonde e investigatori.

Niente di strano nell’uso dei dispositivi di magnificazione mentale. E’ il fatto che abbia deciso di rendere permanente l’innesto a impensierire Vexen. Quelle unità sono molto fastidiose. Non rimuoverla significa che ha cominciato a fare un uso delle sue apparecchiature tanto continuo e frequente da rendere poco pratico o inutile l’estrazione.

Perché e a quale scopo, Vexen non lo sa, ma spesso si è trovato a pensare che Zexion sia più a suo agio a comunicare con le sue macchine che con chiunque.

 

Dipendenza dai suoi poteri?

 

In quasi dieci anni, ha avuto modo di scontrarsi con problematiche sanitarie in precedenza sconosciute, perché comparse con la loro specie neonata. I nobody sembrano immuni da gran parte delle situazioni cliniche che affliggono gli esseri completi. In cambio, ne hanno di proprie e caratteristiche, per di più, di solito, individuali, visto che la maggioranza di loro appartiene a specie diverse e la loro natura di origine si mescola alla comune natura acquisita e alla particolarità degli elementi a cui sono legati.

Dal punto di vista del ricercatore, un sogno. Da quello del medico, una follia.

La possibilità di una dipendenza dai propri poteri è tutt’altro che trascurabile, e potrebbe trattarsi di una problematica limitata a un solo soggetto, o una tendenza generale e Zexion solo il primo a manifestarla.

Valuta, infastidito e irritato, la possibilità di quell’eventuale, ulteriore emergenza da fronteggiare, riproponendosi di analizzarla in seguito e cercare eventuali segni comparativi in altri individui, anche più irritato con sé stesso per essersi convinto subito della peggiore delle ipotesi, anche senza la minima evidenza a supporto, quando forse il giovane è solo occupato in qualche progetto di cui non ha discusso.

E’ che lui è quello rimasto più legato alle conseguenze della loro materialità, e la realtà non gli viene ricordata con sofismi e questioni, ma a colpi di ossa frantumate e sangue perso e muscoli strappati. E’ a lui che tocca sanare gente così incoscientemente noncurante della propria stessa incolumità da superare abbondantemente l’insano. E’ a lui che tocca vegliarli quando non sono gli inumani padroni degli elementi, ma solo grovigli di carne e sofferenza, rigettati sulla terra dalla vulnerabilità dei loro corpi.

E’ a lui che tocca riportarli alla perfetta efficienza solo per vederli lanciarsi verso nuove forme di autodistruzione, certi di non potere provare nulla, di non essere esposti a quello che colpisce i mortali, per poi trovarsi ad annegare nella più basilare pulsione di sopravvivenza, quella che è più forte in loro che in qualsiasi altro essere degli universi, quella che li ha tenuti e li tiene in vita. E allora strisciano da lui, per essere riportati in questa esistenza che sembrano così decisi a disprezzare, solo per accorgersi, quando sono sul punto di perderla, che non possono farne a meno.

E nessuno si rende conto che, ogni volta, deve lasciare un po’ di sé stesso in loro, perché nulla si ottiene senza pagare qualcosa in cambio e lui non è Marluxia, che può usare, plasmare, indirizzare la vita altrui, dovunque la trova. Lui può usare solo la sua.

Non se ne rendono conto o non importa loro o tutte e due le cose. Prendono quello che può dare e se ne vanno senza mai voltarsi.

Non c’è nessuno a cui, negli anni, non ha donato almeno una volta un frammento di esistenza.

Vorrebbe odiarli, solo che non riesce. Cerca dentro di sé e quello che trova è una rabbia torpida e senza sfogo. Allora, la sola cosa è tagliare ogni legame con loro, erigere pareti, fare sì che non siano persone, ma solo casi da risolvere e allontanare.

Facile. Lui è ghiaccio e il ghiaccio forma barriere invalicabili.

Così, si aggrappa ai dati materiali. Pianeta, età, specie, cultura, caratteristiche fisiche e ambientali. Non vuole nulla di personale, nulla di individuale.

Non li conosce. Non vuole conoscerli. Non vuole sapere nulla di quello che sono stati. Deve già ricordare sé stesso e gli altri cinque. Non vuole dovere ricordare anche gli altri. Per questo basta Xemnas, che insiste a conoscere ogni particolare della vita dei suoi seguaci.

Per sapere con chi ha a che fare, dice.  

Per nutrire il suo masochismo, rotolarsi nel cordoglio e avere una buona ragione per barattare quelle vite con un infinito numero di altre vite, è convinto Vexen.

 

“Vexen…”

 

Quasi non si è accorto che Lexaeus li ha raggiunti e lo osserva quietamente interrogativo, al fianco di Zexion che ha finalmente abbandonato i suoi libri. Il telepate ha sul volto una specie di mezzo sorriso che intacca pesantemente i nervi di Vexen.

E’ cosciente di essere il più facile a leggere, fra tutti loro. Si tradisce sempre. Quando non sono le parole, che a volte sembrano formarsi spontaneamente suo malgrado, sono i pensieri, e i pensieri non può neppure sperare di controllarli.

Probabilmente, Zexion è del tutto consapevole di essere stato studiato fino a quel momento, e anche delle conclusioni prive di senso a cui lui è arrivato.

Probabilmente, non ha fatto che ridere per tutto il tempo.

Vexen si scuote e fa cenno agli altri due di muoversi. Alla fin fine, può sempre fingere che quello che Zexion, o chiunque altro, pensi di lui sia trascurabile.

Il giovane fa loro strada fra i passaggi del labirinto, fino allo studio che, invece, non cambia mai, se non per l’aggiunta di qualche nuovo oggetto. Appena arrivati, si dirige alla scrivania e si mette ad armeggiare con uno dei computer.  

Quasi un’intera parete dello studio è formato da una vetrata aperta sulla notte e sulle corti del castello.

I vetri vibrano sotto l’assalto della bufera.  

Vexen chiude gli occhi e abbraccia l’inverno, vola con ogni fiocco di neve sopra la città, oltre la città, fino alle rive bianche. Al ghiaccio che ha ricoperto le acque costiere, che allunga lingue e propaggini verso le distese oceaniche. Alla banchisa che ha cominciato a solidificare il mare.

Sorvola le faglie geotermiche disseminate sul mondo, oasi di vita stentata sopravvissuta alla catastrofe che ha strappato il pianeta all’orbita della sua stella. Ogni anno il freddo guadagna qualche passo, ogni anno riduce lo spazio a disposizione dell’esistenza.

Fino a quando non sono arrivati loro, che hanno riempito quel mondo della loro specie scacciata da tutti gli altri mondi. Hanno incanalato il calore residuo. Hanno purificato le acque dai veleni. Hanno mutato la vita per renderla più forte e resistente. Hanno illuminato la notte.

Per la prima volta in milioni di anni, il freddo ha perso terreno.

 

“Cosa è successo alle serre?” chiede a Lexaeus.

“Il freddo ha irrigidito i polimeri isolanti delle condutture idriche nella serra delle colture r-isomeriche.”

 

apri la finestra apri

 

Aprire le porte all’inverno. Lasciarlo entrare in quel castello ai confini del nulla, che da tanti anni gelo e oscurità stringono d’assedio.

 

porta l’inverno

 

Cristallizzare i suoi abitanti, che sfidano con il loro calore e la loro vitalità la lenta e fredda morte del pianeta.

 

toccali tutti, dal solitario re nella sua torre all’arrogante bambino che osa giocare con la tempesta

poi, solo immobilità e pace e silenzio

 

Congelare quegli alieni che hanno osato prendere possesso di un mondo agonizzante che non li vuole, che si ostinano a combattere per restare in vita in un universo che non li riconosce.

 

Follia!

 

Folle come gli altri, anche lui.

Il vento non ha voce. Ha rumore.

La neve non ha voce. Ha silenzio.

E’ solo aria e acqua e il risultato di anni di oscurità.

 

“Ci sono state infiltrazioni?”

“No. Me ne sono reso conto in tempo.”

“E’ presto per un freddo simile.”

“Sì. Peggiorerà.” mormora Lexaeus.

 

Peggiorerà, certo che peggiorerà. L’inverno è iniziato da poco più di un mese. Sono solo al principio.

Un nuovo inverno, ad aggiungersi a tutto il resto, al lavoro interminabile e incessante per restare vivi giorno dopo giorno il ghiaccio ricopre il mare e lui potrebbe ricoprirlo in un battito di ciglia

L’inverno non è buono, non è fonte di piacere.

Sopravvivere nel loro mondo è un impegno a tempo pieno. Ottenere acqua, energia, cibo. Conservarli, distribuirli. Rimediare alla continua usura dei loro sistemi di sostentamento. L’attività geotermica permette la vita, ma rilascia elementi tossici che contaminano le faglie idriche e acidi che corrodono gli isolanti. Gli organismi nativi hanno una biochimica incompatibile a quella di quasi tutti loro e hanno dovuto importarne da altri pianeti, o modificarli drasticamente e tenere sotto controllo le mutazioni.

Inverno vuol dire solo altro pericolo, altre difficoltà. Vuol dire prepararsi a prevenire il disastro e prepararsi a rimediare al disastro che capiterà in ogni caso. Per quanto siano pronti e forti, il pianeta è sempre più forte di loro e infinitamente più paziente e costante, ed erode tutte le difese che innalzano contro di lui.

L’inverno è ogni anno più lungo, ogni anno più freddo il ghiaccio spegne il cuore ardente del pianeta e lui potrebbe spegnerlo in un respiro

 

Zexion si alza e lascia la poltrona della consolle a Vexen.

 

“Vieni, siediti.”

 

A malavoglia, abbandona la finestra e si siede di fronte allo schermo dove scorre un tracciato colorato.

Riconosce subito quello schema. Gli è diventato familiare con gli anni. Lo ha osservato, lo ha studiato, lo ha memorizzato. Lo conosce in ogni dettaglio. Potrebbe disegnarlo a occhi chiusi. Lo ossessiona ogni istante dei suoi giorni. Spesso lo sogna.

Sono le stimmate della loro dannazione. La prova della loro precarietà nel mondo.

Eppure, questo è diverso.

Valuta la possibilità che appartenga a un essere completo, ma non presenta le strade cieche, le deviazioni e la struttura omogenea e amorfa di quelli umani. E’ una struttura di tipo cristallino, a celle regolari e ripetute.

No, indubbiamente è lo schema mentale di un nobody. Un alto nobody. Uno di loro.

Però manca delle tipiche dislocazioni e delle bizzarre distorsioni che costellano gli schemi mentali di tutti loro. Le celle elementari della struttura sono perfettamente simmetriche. Nessuna linea di indebolimento. I tracciati sinaptici sono i più efficienti possibili, privi di qualsiasi ridondanza.

E’ una vera e propria opera d’arte e anche qualcosa di più.

L’irritazione per essere stato strappato al suo lavoro sparisce.

 

Zexion si è appollaiato sull’angolo della scrivania. Stringe in mano un piccolo oggetto lucente e ci giocherella pigramente e aspetta.

 

“A chi appartiene?” gli chiede Vexen.

“E’ Roxas.”

“Sei stato tu?”

 

Il giovane annuisce quasi impercettibilmente.

Per un attimo, Vexen ha la paradossale idea che si tratti di uno scherzo. Una strana, contorta forma di beffa ideata dal telepate.

Ma no. Non può credere che scherzerebbe su una cosa simile. Non perderebbe mai l’occasione di sbattere ancora una volta in faccia a tutti la sua genialità. Vorrebbe dire far credere di essere riuscito a fare qualcosa per poi negarlo. 

No, quello mai.

 

Zexion apre altre schermate. Una serie di grafici comparativi e cascate di dati numerici.

Questa volta le proietta con ologrammi direttamente al di sopra della scrivania, in modo che siano visibili da tutti e tre i presenti.

 

“Questi sono i dati relativi all’evoluzione mentale di Roxas. Qui è all’inizio, appena trovato. La sua struttura psichica non mostra nessuna inconsueta differenza rispetto a quella comune a tutti noi. Qui dopo tre settimane di permanenza fra noi, il momento in cui ho cominciato a lavorare su di lui. Come vedi, ci sono cambiamenti piuttosto limitati, anche se non ha mai mostrato una particolare tendenza alla degenerazione. Questi sono monitoraggi settimanali da quel momento, sino a quello finale, rilevato all’ultima visita di controllo, ieri. A distanza di cinque mesi dalla sua nascita, poco più di quattro mesi da quando ho cominciato a lavorare su di lui.”

“E’ stabile.”

“Né più né meno di un qualsiasi essere completo.”

“Non è più sensibile a fenomeni di degenerazione.”

“No.”

“Come ci sei riuscito?”

“Ho invertito i termini del problema.”

 

Zexion ha pronunciato quelle parole con noncuranza e quanto a Lexaeus, non è particolarmente sorpreso. Non che sia un individuo facile a lasciar trasparire quello che pensa, ma Vexen è sicuro che almeno questo caso lo avrebbe scosso. Lui è scosso, lo ammette.

Forse, Lexaeus sapeva già cosa Zexion voleva mostrare.

Il ladro e il suo complice, come sempre.

 

Ci sono stati altri, oltre a loro tredici. Persino altri riportati vivi nel mondo nero. Eccetto loro, nessun alto nobody è riuscito a mantenere la propria forma e coscienza per più di qualche settimana o qualche giorno o, addirittura, qualche ora. Tutti sono degenerati in una forma inferiore.

Avere accanto un uomo o una donna, pensante e razionale, e sapere con certezza che quella condizione non durerà. Avere davanti i loro schemi mentali e vedere le prime linee di cedimento. Piccole, quasi impercettibili, dapprima. Ma quelle linee cominciano a correre, come crepe su una superficie di ghiaccio. Vedere quelle fratture propagarsi, unirsi l’una all’altra, allargarsi, senza poter fare nulla per fermarle. E nessun segno esteriore del cambiamento in atto. Nessuna alterazione nel comportamento e nella forma. Una trasformazione che si innesca solo secondo il principio del tutto o niente.

E’ solo quando le crepe si sono diramate in tutta la struttura che la mutazione si attiva. Allora bastano pochi minuti, in una totale indifferenza, e al posto dell’uomo o della donna c’è solo una sagoma distorta e pallida e nemmeno il rimpianto di quello che ha perso, perché non c’è neppure più la capacità di rimpiangere.

Ogni giorno, da anni, immancabilmente, monitorizza gli schemi suoi e dei suoi compagni, in cerca dei segni di cedimento che precedono l’inarrestabile mutazione.

Un’altra cosa da mettere in conto per non legarsi a nessuno.

Perché il ghiaccio forma barriere, ma si scioglie e si spezza alla minima crepa.

 

Zexion solleva la mano e la orienta verso il lampadario. L’oggetto trasparente che stringe fra le dita cattura la luce e proietta macchie colorate sulle pareti.

Un prisma, dunque?

No, non un prisma. Non ha la forma di un prisma. Sembra più un cubo di vetro, ma è così piccolo che la mano di Zexion quasi lo nasconde e Vexen non può essere certo della sua forma.

 

“Ho commesso un errore.” mormora il giovane.

“Una novità.” brontola Vexen. Spera che la sua ironia non si perda.

“Ho commesso un errore con Roxas. Non avevo capito chi fosse.”

“Sei stato proprio tu a scoprire da chi è stato originato.”

“Questo rende solo l’errore più grave. Sono entrato nella sua mente quando era priva di difese. Ho visto il momento della sua nascita, ancora fresco nella sua memoria. Ho visto come è nato e da chi, lui e Naminé, una dualità. Ho toccato la mente di Sora, in quell’istante in cui sono stati una sola mente. Ho visto quello che era capace di fare e non mi sono interessato ad altro. Non l’ho più degnato neppure di uno sguardo. Un nobody privo di memoria consapevole, nato con un gemello ombra. Se qualcuno mi avesse chiesto di ipotizzare un caso simile, prima di documentarlo in concreto, avrei considerato molto probabile che non potesse svilupparsi oltre al livello di un crepuscolare. Di certo, che non potesse mantenere la stabilità. Ho sbagliato. Ero talmente convinto che sarebbe degenerato che non mi sono neppure preoccupato di effettuare su di lui un’analisi approfondita e, così, ho perso tempo.”

“Eri preso da un altro lavoro e chiunque avrebbe commesso il tuo errore.” mormora Lexaeus.

“Fossero stati anche tutti gli abitanti di tutti universi a sbagliare, non toglie che io ho sbagliato.”

 

Lo stesso tono che l’adolescente Ienzo usava per tiranneggiare Ansem e tutti gli abitanti del palazzo reale, quando non bastavano lusinghe e ostinazione.

Quel tono che dice chiaramente che sta affermando l’ovvio e che solo uno stupido non sarebbe in grado di accorgersi di una cosa tanto evidente e tu non sei stupido quindi sei d’accordo con me, giusto?

 

“Eppure, alla fine ti sei accorto della sua peculiarità.”

Zexion scuote il capo.

“E’ stato Luxord a portarmelo, circa tre settimane dopo. Aveva notato alcune alterazioni nel suo solito comportamento. Esiste un limite alle sollecitazioni che un essere vivente, umano, nobody, heartless, può sopportare. Immaginiamo le tensioni a cui qualsiasi creatura è potenzialmente sottoposta come un dominio. All’interno del campo degli stati tensionali, il comportamento è elastico, quindi la struttura psichica torna alla forma originale una volta cessata la causa della tensione. Superata la frontiera, il punto di snervamento, la struttura incorre in fenomeni non-lineari, nel caso di una psiche umana la frattura fragile, con conseguente rottura e morte, in quello di un nobody una deformazione plastica, ossia irreversibile.”

“La degenerazione in una forma inferiore.”

“Esatto. La mente di un nobody ha tenacità, duttilità ed elasticità molto superiori a quelle di un essere completo, ma una durezza e un limite di snervamento molto minori al loro carico limite di rottura. Quindi, il carico di tensione dopo del quale la psiche di un nobody si deforma è inferiore a quello superato il quale la mente umana si spezza. Quando Luxord me lo ha portato, ho analizzato Roxas e mi sono accorto che era straordinariamente stabile rispetto a quanto avevo previsto per lui. Lo stato tensionale del suo continuo psicologico era ancora elevato, ma il dominio elastico si era dilatato e si erano formati nodi dove si distribuivano e disperdevano gli stress di struttura. Inoltre, mancava di una buona componente di tensioni interne rispetto a tutti noi. E’ stato poco dopo aver cominciato a lavorare su di lui che mi sono reso conto che non solo Roxas non provava quel senso di incompletezza che abbiamo sempre considerato la costante, praticamente la condizione necessaria, per essere nobody, ma che, per quanto si sforzasse, non riusciva e ancora adesso non riesce a capire cosa intendiamo.”

“A me sembra…”

“Finge. Ci dice quello che noi aspettiamo di sentirci dire.”

“Perché dovrebbe farlo?”

“In parte perché lui stesso è convinto di provare quello che noi proviamo, in parte perché non vuole essere notato e crede che conformarsi sia il modo migliore per mimetizzarsi, come Luxord. Conosco i suoi pensieri e le sue sensazioni meglio di lui. Non c’è traccia di desiderio per la condizione umana. Adesso, per quanto Roxas non sia fisicamente dissimile da noi altri, è differente per due condizioni. La prima è che non ha consapevolezza della sua umanità. Non ha un sistema di riferimento conscio di confronto fra la sua situazione attuale e quella passata. A prescindere dalla nostra possibile differenziazione dall’identità precedente, tutti noi riteniamo comunque coscienza di essere stati qualcosa di diverso. Lui no. Il secondo fattore che lo differenzia è Naminé, e lei è un discorso ben più complesso di quanto non ci siamo permessi di credere.”

“Ero rimasto al tuo rifiuto di avere a che fare con Naminé.”

“Mi rifiuto di avere contatti mentali con lei, non certo di studiarla. Naminé è peculiare e non umana, indubbiamente, ma non è un nobody. Di sicuro, non è il nobody di Kairi.”

 

Questa notizia, almeno, non sorprende Vexen.

Naminé non è stata generata da Kairi, il cui corpo giaceva in coma, ma dallo stesso Sora nel momento della nascita di Roxas.

No, nessuna sorpresa in questa notizia.

Naminé che non è come loro, non lo è mai stata, non lo sarà mai. Nata diversa.

E chissà fino a che punto la presenza di Naminé ha influito sul cosiddetto errore di Zexion. Se la paura - sì, paura - che il telepate prova per la ragazza lo abbia accecato al punto da fargli rifiutare anche i primi contatti approfonditi con il suo gemello, fino a quando l’azione di Luxord non lo ha messo di fronte alla realtà.

 

Gli arcobaleni proiettati sulle pareti sono percorsi dalle ombre riflesse della neve esterna. Chiazze scure che scorrono verso il basso, per sparire non appena escono dalla zona illuminata del muro.

Alcune delle piccole ombre si fermano, tornano indietro, si uniscono, compongono minuscole figure umanoidi, si prendono per mano e cominciano un girotondo.

 

“Nel momento della morte,” seguita Zexion “alcuni individui hanno una tale volontà di continuare a esistere e una tale capacità di manipolazione, che riescono a plasmare le Forze in un nuovo Corpo, a dargli vita e originare un nobody. La memoria, conscia e inconscia, diventa la matrice su cui viene impresso. Siccome il processo non esula dal principio universale della massima disponibilità delle Forze e del minimo dispendio di energia, il nuovo essere è formato, basilarmente, delle stesse Forze che costituivano il corpo origine, anche se la perdita della componenti di Luce e Oscurità è notevole. Il nobody è generato dalla volontà. Inconsapevole, ma nondimeno dalla volontà, cioè da un’elaborazione mentale. La Mente è affine al Crepuscolo, di conseguenza, la Mente sostituisce la massa persa dal corpo origine con equivalente quantità di Crepuscolo. L’heartless, invece, non nasce da un atto volitivo. E’ un’entità individuale che si ritrova privata in modo traumatico del suo ambiente naturale, quello per cui si è evoluta e adattata, che gli permette la sopravvivenza. Quando viene strappato dal corpo, l’heartless sottrae alla massa origine la sua massa propria, ma questo non gli basta per esistere, così sostituisce la componente mancante con equivalente massa di Oscurità, che è la Forza più affine alla Vita. Anche se noi diciamo di essere il corpo originale, in realtà dovremmo definirci come parte di esso rimaneggiato e ricombinato. Purtroppo, sembra che la volontà necessaria a imprimere le Forze in una forma stabile e vitale sia possibile solo inconsciamente e in punto di morte, probabilmente a causa della spinta motivazionale, che è la più pressante concepibile, soprattutto per creature dotate di forte volontà, ossia proprio quelli che danno origine ai nobody.”

“Hai provato a creare duplicati materiali.” esclama seccamente Vexen.

“Ci sono riuscito, se è per questo, solo che la loro esistenza è effimera. Il mio risultato migliore, finora, è durato poco più di due secondi. Naturalmente, io non ho la motivazione dell’estrema sopravvivenza e la matrice che adopero è uno schema di pensiero razionale e cosciente e non un intero continuo mnemonico, e l’elaborazione di un pensiero cosciente e razionale, persino il mio, ha comunque un ritardo, con conseguente perdita di segnale.”

“Potresti provare a scendere in prima linea. Magari, trovarti in pericolo di vita ti fornirebbe dell’incentivo giusto.”

“Magari sì. Per adesso, le mie repliche sono solo illusioni condensate in materia. Non hanno esistenza autonoma perché non sono vive. Se riuscissi ad avere l’insieme completo di tutte le informazioni che compongono un’entità, e sufficiente volontà per imprimere le Forze, ne otterrei un perfetto duplicato, con tutte le caratteristiche dell’originale. Se quello che voglio riprodurre fosse un essere vivente, anche il duplicato sarebbe vivente, visto che la vita ne è un suo aspetto, e gli esseri viventi autoalimentano la propria esistenza. Concretizzando le mie illusioni, credevo di avere superato il problema dell’indeterminazione, eppure il risultato è sempre incompleto, quindi non vivente, quindi instabile. Io sono obbligato a mantenere fissata nella mente l’intera configurazione di quello che materializzo perché, appena perdo concentrazione, la replica si disfa. Colui che origina un nobody non deve farlo. Basta un istante in cui esiste l’immagine perfetta dell’insieme di informazioni che compongono l’essere vivente. Nel momento in cui questa immagine è completa, si forma la sua matrice e questa imprime le Forze a formare il duplicato, o meglio, la rielaborazione della versione precedente. Questo diventa concreto e, siccome è perfetto, allora è anche vivente e, siccome è vivente, continua a esistere, autonomo rispetto al suo creatore che, in effetti, cessa di essere, perlomeno nella forma originale, in quanto la massa di Forze che componeva la sua entità è scissa fra il nobody, l’heartless e, in parte, dispersa.”

“Però i nobody non sono copie identiche all’originale.”

“No, non lo sono. Al di là delle differenze esteriori, che dipendono in buona parte dalla percezione di sé, manca un elemento.”

“Il Cuore.”

“Esatto, il Cuore, che non è parte dell’organismo origine, ma un elemento estraneo. Abbastanza estraneo che la mente inconscia dell’originale sa che è alieno. Evidentemente, nel continuo psicologico degli esseri viventi ci sono gli schemi della loro esistenza come esseri individuali, privi del Cuore, e sono quelli che prendono concretezza. Così, quando il nobody è creato, non ha Cuore, perché esso non è… compreso nel progetto primitivo. E’ solo un’aggiunta successiva, che non viene considerata. La sua mancanza è uno degli elementi che rende il nuovo essere differente, perché, comunque, il Cuore contribuisce all’ambiente in cui si è sviluppato l’originale, a cui si è adattato, che ha concorso a farne quello che è.”

“Il problema che è sempre sorto con la clonazione. I cloni non sono mai la perfetta replica dell’organismo madre, in quando non è possibile ripetere tutte le variabili ambientali a cui esso è stato sottoposto durante la sua vita. Basta la minima variazione a portare a un risultato differente.”

 

Zexion annuisce. Cambia l’orientamento dell’oggetto di vetro e l’arcobaleno si sposta sulla parete. Le piccole figure-ombra corrono per raggiungerlo, tenendosi per mano.

 

“Qui arriviamo a Naminé, nata insieme a Roxas nel momento in cui Sora ha liberato il suo Cuore. Naminé non è effettivamente un nobody e, certamente, non il nobody originato da Kairi, quanto piuttosto una proiezione secondaria della volontà di Sora, influenzata dalla presenza contemporanea nel suo corpo del suo Cuore e di quello di Kairi. Nel Cuore di Kairi potevano esser contenute parte delle memorie di lei o, addirittura, il suo intero complesso mnemonico. Mescolate alle memorie comuni di entrambi i ragazzi, sono servite da matrice secondaria. Quando Sora ha liberato il suo Cuore, quest’ombra ha impresso un secondo essere, che definiamo, non del tutto propriamente, nobody.”

“Sora deve essere un individuo notevole, per essere stato capace di fare una cosa simile.”

“Sora è indubbiamente un soggetto notevole, ma conoscendo il potenziale mentale di Roxas e di Naminé, la cosa mi stupisce relativamente. Continuo a pensare che sia inconcepibile usarlo solo come sterminatore di heartless, senza poterlo studiare. Dovremmo avere qui anche lui, soprattutto visto che abbiamo anche gli altri due.”

“Dubito molto che Xemnas approverebbe una cosa simile.”

“Immagino proprio di no.”

“Come può l’esistenza di Naminé influenzare Roxas?”

“Naminé può essere una delle cause della sua amnesia. Il Sora originale ha subito una doppia scissione e, accertato che la memoria ha una componente concreta, quando di lui è stato portato via da Naminé? Naturalmente, questo vuol dire poco. Le memorie possono essere duplicate, in modo che tutte le componenti le posseggano. Oppure possono essere semplicemente suddivise, con tutte le situazioni intermedie fra questi due estremi. Sappiamo che Xehanort ha mantenuto, almeno in parte, memorie possedute anche da Xemnas. Purtroppo, finora, possiamo limitarci a questo esempio e non siamo mai riusciti ad avere Xehanort sotto controllo per approfondire la questione.”

“Nel caso di Naminé, si tratta di una terza individualità, oltre a Roxas e Sora?”

“Forse una quarta. Noi pensiamo sempre alla scissione in termini di due esseri, heartless e nobody. In realtà, potrebbero essere tre, contando l’individuo origine. La scissione avviene a un livello assai più basilare di quello meramente spirituale. E’ una scissione fisica. Per questo non posso dire se l’Anima d’origine permane e, in quel caso, chi essa sia, il nobody o l’heartless. L’Anima è un aspetto inscindibile del Corpo e il Corpo originale è suddiviso. Non sono in grado di stabilire se quello che resta della massa origine è sufficiente per parlare di stesso individuo, oppure no. Anche se sono sempre più incline a propendere per il no. Nei casi come il nostro, quando la scissione origina un solo essere senziente, è più semplice comportarci come se noi fossimo effettivamente gli individui che ci hanno originato. Roxas mi ha detto che se ricordo di essere stato Ienzo, allora sono Ienzo. E’ una presunzione del tutto scorretta se non viene dimostrata, ma al fine pratico funziona. Quando però la scissione causa la nascita di due esseri senzienti, diventa estremamente complicato definire i limiti della personalità. In questo caso, ne sono coinvolti almeno tre, forse quattro. Roxas, Sora, Naminé e il Sora originario, che non è necessariamente quello attuale. Paradossalmente, questa condizione si è rivelata un vantaggio per Roxas. Gli esseri completi fissano alcuni punti fermi della loro esistenza emotiva, i cosiddetti ancoraggi motivazionali, e li usano come riferimenti e ammortizzatori di tensione. Nel momento in cui Luxord me lo ha portato, Roxas stava cominciando a sviluppare spontaneamente dei nodi di dispersione che sono l’analogo degli ancoraggi motivazionali. Ognuno di questi nodi era rappresentato da combinazioni di condizioni in cui si era trovato. In cui si era trovato come nobody, questo è l’aspetto fondamentale. Mai riferimenti alla sua vita umana, quasi completamente inaccessibile alla sua coscienza. Il meccanismo dei nodi è teoricamente molto più efficace di quello umano, a causa della struttura a reticolo cristallino della mente nobody. Inizialmente, in Roxas il sistema perdeva gran parte della sua efficacia a causa di un’asimmetria di distribuzione e dello sviluppo embrionale dei nodi di dispersione. La potenzialità, comunque, era presente. Ho quindi cercato il modo di aumentare il numero di questi nodi e di distribuirli uniformemente in tutta la sua architettura psichica. Il risultato lo vedete. Il continuo psichico di un nobody è in uno stato di metastabilità. Sufficienti sollecitazioni lo spingono a una modificazione irreversibile verso una nuova condizione di equilibrio con un’energia potenziale inferiore. La duttilità impedisce la frantumazione e la conseguente morte, tuttavia le deformazioni plastiche sono più facili. Il persistere inconscio alla condizione umana fornisce, in determinate concomitanze di tensione, l’energia minima bastante a sconvolgere il metaequilibrio. Ecco perché la degenerazione è più frequente nei primi tempi come nobody. Superata la fase critica di adattamento, si allarga il dominio degli stati tensionali, quindi diventa meno probabile raggiungere il limite di snervamento, ma la possibilità è sempre presente e tutt’altro che esigua. Nel caso di Roxas, invece, la condizione metastabile sarebbe qualsiasi condizione diversa da quella di nobody superiore. Anche se mutato in umano, una qualsiasi perturbazione lo riporterebbe allo stato di nobody.”

 

Vexen si appoggia stancamente allo schienale. Per una volta, non sa che dire.

Tra un po’ sarà in grado di chiedere spiegazioni. Esigere chiarimenti. Porre obiezioni.

Tra un po’. Forse.

Per ora, qualunque commento sarebbe solo inadeguato.

 

“Adesso cosa intendi fare?” si limita a chiedere.

“Adesso devo trovare il modo di applicare la procedura a tutti noi. Con Roxas è stato facile, avevo meno zavorra mnemonica a ostacolarmi.”

“Vuoi spazzare via i ricordi della nostra vita precedente?”

“Non ho certo intenzione di spingermi a tanto. La memoria funziona secondo complesse catene associative. Eliminare i ricordi della vita umana significa cancellare anche tutte le conseguenze di quelle memorie. Ci ritroveremmo con un pugno di dementi fra le mani, in condizioni di gran lunga peggiori di quelle di Roxas al suo arrivo. A ogni modo, ho provato a risvegliare in Roxas qualche ricordo. Non incrinano la stabilità di sistema. Sembra che, una volta ottenuto l’equilibrio, esso viene bloccato e sia autoalimentante, esattamente come quello degli esseri completi. Nelle sue condizioni attuali, non solo non corre il rischio di degenerare, ma non è neppure possibile provocare la sua degenerazione artificialmente. Non sono i ricordi della vita umana a costituire il problema. E’ l’usarli come sistema di riferimento. Ora la volontà di Roxas è alimentata dal suo essere nobody. Se pure ricordasse cosa è stata la vita umana, essa verrebbe semplicemente messa a paragone della sua esistenza attuale, non l’inverso, come facciamo noi. Comincerò quindi col recidere i legami emotivi con i nostri ricordi. Presumo che, al massimo, basterà non renderli accessibili al pensiero cosciente.”

“In questo caso, non ci troveremmo nelle condizioni iniziali di Roxas?”

“Roxas è un caso spontaneo. Io mi accerterei di fare un lavoro mirato, offuscando solo le memorie necessarie.”

“Credi che qualcuno accetterà di perdere i propri legami con il passato?”

“Non vedo la ragione per rifiutarlo. E’ possibile che non siano neppure nostri ricordi e, in ogni caso, se rappresentano una minaccia alla nostra vita, devono essere rimossi. Vexen, se tu avessi tra le mani un paziente con un tumore che minaccia la sua vita, eviteresti di operarlo perché il tumore fa parte di lui? Adesso abbiamo i mezzi adeguati. Il castello Oblio è persino più efficiente di quanto non sembrasse alle indagini preliminari. Noi ancoriamo la nostra volontà a una situazione precedente a quella in cui viviamo, addirittura, forse a una situazione che, in realtà, non abbiamo mai sperimentato direttamente, ma di cui riteniamo i ricordi. Dobbiamo spostare la messa a fuoco della nostra vita a un tempo successivo a quella della trasformazione.”

 

Cancellare la loro vita passata. O cancellare il significato della loro vita passata.

Zexion non capisce. Non avrebbe capito neppure quando era umano, figuriamoci ora.

Eppure…

Vexen è sempre stato contrario alla guerra contro i Mondi, fin dall’inizio. Altri sono della sua idea, ma lui è stato il solo a opporsi apertamente, con asprezza. Gli altri, più vigliacchi - più astuti - sono stati zitti.

Se Roxas, il custode, colui che, grazie alla fantasia di Luxord, tutti chiamano la chiave del destino, fosse realmente la loro salvezza, non per il suo potere e la sua forza. Solo per il segreto racchiuso nel suo cervello. Quella piccola, curiosa particolarità neurologica.

Può apprezzare una simile ironia.

 

La porta del laboratorio si apre. Il rumore spezza la concentrazione.

“Roxas, stiamo lavorando, non puoi entrare senza…” esclama Vexen, sorpreso dall’arrivo inaspettato di Roxas.

“Lascialo stare.” mormora Zexion.

Il ragazzino degna Vexen appena di un’occhiata con cui sembra, più che altro, concedergli di restare in sua presenza. Si dirige verso il divanetto all’angolo del laboratorio, tira fuori un libro mezzo nascosto sotto un cuscino e si mette a leggere, con la tranquilla sicurezza di chi è certo di essere in pieno diritto al posto giusto.

“Perché è qui?”

“Si nasconde. Immagino che qualcuno lo abbia infastidito.”

“E tu gli permetti di restare mentre lavori?”

“Non disturberà e se impara qualcosa, tanto di guadagnato.”

 

La prima di innumerevoli volte in cui ha trovato Roxas nello studio o nei laboratori del telepate, intento a leggere, o ascoltare musica, od osservare, o dormire, persino, mentre Zexion lavorava ad altro. Qualche volta, lo ha intravisto anche nei corridoi della biblioteca.

Zexion si è sempre limitato ad accettare la presenza del ragazzo nel suo santuario quasi inviolabile e quasi proibito per chiunque altro e Roxas va e viene a suo piacere in quel regno labirintico.

Non ha torto a cercare un rifugio, perché Vexen ha notato un progressivo interesse da parte di Axel nei suoi confronti e lui è il primo a riconoscere quanto può essere disturbante l’attenzione del pirocinetico. Per ricordarlo, basta il ghigno spettrale sul volto di Axel, costante che chiude ogni seduta del consiglio in cui si dispone di nuovi mondi da aprire all’Oscurità. Non lo ha mai visto sorridere, quando le decisioni da prendere non riguardano stragi.

In quale sconclusionato mondo onirico si trovava Xemnas quando ha affidato l’incarico di sorvegliare un ragazzino adolescente - fra tutte le cose - proprio ad Axel - fra tutti loro - non riesce neppure a concepirlo.

Adesso, però, si spiega anche la tolleranza di Zexion. Si spiegano molte cose.

Durante le prime settimane di permanenza fra loro, Roxas aveva vegetato in una situazione di quasi completa alienazione, se si escludeva il campo di battaglia. Se qualcuno gli metteva davanti del cibo, mangiava. Altrimenti, digiunava senza chiedere nulla. Se lo portavano nei suoi alloggi, dormiva. Se non lo facevano, dormiva anche per terra.

Prima o poi, avrebbero dovuto decidersi a farlo diventare autosufficiente, a meno di non volere sempre rifilargli una balia, ma c’era la possibilità che ne uscisse da solo, tutto sommato a loro stava bene avere a che fare con un neofita che, per una volta, non causava problemi, e chi aveva voglia di accollarsi il peso di un bambino quasi demente?

Finché Zexion non aveva reclamato il ragazzo. Xemnas aveva solo posto la condizione che non interferisse con l’occupazione bellica di Roxas. Per il resto, poteva farne quello che voleva.

Considerate le competenze di Zexion, molti l’avevano considerata la soluzione più logica. O, forse, erano solo sollevati che non fosse toccato a loro. A Vexen era sembrata una decisione bizzarra. Nemmeno Ienzo aveva mai voluto esercitare la professione medica, se non per il servizio obbligato a cui tutti i membri della loro casta erano tenuti. Come nobody, non si è mai occupato dei novizi, oltre quello che è bastato per schedarli ed erigere una chiara barriera fra loro, molto più efficace di quella che cerca di erigere lui stesso. Eppure, tra tutti, ha scelto proprio quello più bisognoso di cure, attenzione e pazienza.

Lo ha fatto per noia, ha creduto all’inizio Vexen.

La noia è mortale, nel loro mondo. I nobody nascono dalle menti più attive e forti e le menti troppo attive e forti si annoiano in fretta, persino qui, dove il lavoro per restare vivi non ha mai fine. Allora, cominciano a esplorare i limiti dei loro poteri, così, per gioco, giusto per passare il tempo. E per fortuna ci sono tanti universi a disposizione per sfogare la loro irrequietezza, prima che si mettano a stuzzicare il fragile equilibrio del pianeta nero.

Quando è Zexion a cadere preda della noia, nessuno è in grado di prevedere quale mezzo può usare per distrarsi perché, come tutti, giocherella con il suo elemento, ma il suo elemento sono le persone e non sempre si accontenta di gingillarsi con gli abitanti dei Mondi.

Quella specie di bambola animata capitata fra le loro mani, una tela bianca su cui dipingere qualsiasi cosa gli passasse per la testa, deve essergli sembrata un’occasione da non perdere.

Vexen si aspettava che lo allontanasse quasi subito, una volta svanita la novità o non appena trovato qualcos’altro che lo interessasse.

Invece vanno d’accordo e il loro rapporto si è consolidato con il tempo.

Roxas soddisfa le necessità primarie di Zexion. La curiosità e il bisogno quasi spasmodico di risolvere incognite e questo, nel sistema di riferimento del giovane, è qualcosa che si avvicina molto all’amore. Quanto al ragazzo, Zexion è stato il primo a trattarlo con considerazione superiore a quella dovuta a un pezzo di mobilia o un bagaglio da trascinarsi dietro. Le ragioni del telepate lo obbligano a una reciprocità e, almeno in parte, deve anteporre le esigenze di Roxas alle sue, proprio per realizzare le sue, e Zexion è capace di apparire sorprendentemente piacevole, quando vuole, e dare alle persone quello che desiderano, anche se non sanno neppure di desiderarlo.

Vexen non è stato così fortunato con il suo allievo. La sua esperienza è finita con quelli che, se fossero umani, potrebbe definire solo rancore e odio implacabile.

Perlomeno, Roxas ne ha ricevuto in cambio un’anima.

 

“Quindi, quello che hai fatto a Roxas è stato fissarlo indissolubilmente allo stato di alto nobody e la tua idea è di fare lo stesso a tutti noi. Una deviazione radicale dalla strada seguita fino a questo momento.”

“Occorre adattarsi alle condizioni presenti, non a quelle possibili, probabili, eventuali o passate. Viviamo adesso e adesso, in questo momento, la nostra condizione è questa. Ostinarci a fare riferimento a un sistema che era valido quando le condizioni erano differenti potrebbe solo rappresentare la nostra fine. Roxas è il primo nobody realmente adattato al suo stato. Sarebbe paradossale cercare di riportarlo a una situazione che rappresenta un pericolo per la sua esistenza, solo perché è la situazione che consideriamo giusta. Invece, siamo noi a dover essere condotti alla sua. Ci siamo aggrappati alla nostra vita umana, ed è quello che mette a repentaglio la nostra esistenza attuale. Abbiamo nutrito con accanimento proprio la cosa che minaccia continuamente di distruggerci. Non siamo umani, non lo siamo più da quasi dieci anni, se mai lo siamo stati. Credo sia arrivato il momento di accettarlo.”

 

Accettarlo, e abbandonare la speranza di tornare a essere qualcosa di diverso. Abbandonare la convinzione che li ha sostenuti fino a questo momento.

Ma la speranza è illusoria e sterile e mortale, e la costruzione mentale di Roxas si spiega davanti ai suoi occhi ed è splendida, bastante a sé stessa, autoalimentante. Vitale.

Nessuna paura di degenerare. Nessun timore di allentare il controllo, il continuo, interminabile sforzo per esistere. 

 

Si protende verso l’esterno. Cerca il vento e la neve.

Questa volta, c’è solo il sibilo di masse d’aria spinte dalla differenza di pressione che incontrano ostacoli materiali. C’è solo acqua congelata senza voce.

 

Sapere di permanere, di potere continuare la sua vita, le sue ricerche, non dovere più assistere ad altre degenerazioni.

E’ una buona prospettiva. Buona abbastanza.

 

“Comincerò su me stesso.” prosegue Zexion.

“Vuoi provare su di te un’operazione di ristrutturazione mentale mai sperimentata?” esclama Lexaeus, intervenendo quasi per la prima volta.

“Ho l’esperienza accumulata lavorando su Roxas.”

“Esperienza di un solo caso. Tu stesso sei sempre stato il primo a definire un caso unitario non significativo.”

“Resterebbe non significativo anche se lo sperimentassi prima su uno di voi, o anche su tutti voi. I numeri sono, in ogni caso, troppo bassi. Quindi, non esiste motivo logico per rischiare la vita di altri quando sappiamo tutti che, in ogni caso, prima o poi proverò su me stesso e mi ritroverò nella stessa identica situazione. La conoscenza del campo di lavoro è essenziale e non conosco nessuna mente meglio della mia. Sono il soggetto più adatto.”

“Sei in grado di essere contemporaneamente soggetto e agente?”

“In questo caso, sì. Non è certo la prima volta che effettuo un’operazione di auto manipolazione, anche profonda.”

“Non così profonda.”

“No.” ammette il giovane “Così profonda no.”

“Hai valutato le conseguenze di un eventuale e possibile errore?”

“Sgradevoli. Questo non cambia le condizioni.”

“E’ un tentativo che sa di disperazione.”

“Lex, qualcuno potrebbe dire che il confine della disperazione lo abbiamo attraversato da un pezzo.”

“Non mi sognerei mai di discutere la necessità dell’autosperimentazione, ma questo è un caso particolare. Ti rendi conto che nessuno di noi è in grado di assisterti? Nessuno può neppure monitorarti efficacemente.” obietta Vexen.

“Accetto suggerimenti su come rimediare a una condizione naturale. Comunque, potete anche valutare la situazione inversa. Le conseguenze di un eventuale successo.”

 

Nessuno dei due muove altre obiezioni e quelli che hanno già fatto sono appunti deboli, inutili e, alla resa dei conti, senza vera importanza. Zexion farà solo quello che deve fare e nessuno dei due ha mai creduto sarebbe stato diversamente.

Curioso che, pur avendo ripudiato tutte le regole dell’umanità anche prima di perderla, resti attaccato così tenacemente a quello che era il comandamento principale del loro mondo. Essere disposti a subire le conseguenze del proprio lavoro.

 

Il giovane continua a parlare con voce precisa e indifferente e a giocherellare con mani distratte e nervose.

Le figure-ombra insistono a danzare sui muri.

 

“Le vere difficoltà saranno successive. Guardate.”

 

Gli ologrammi mostrano adesso due schemi differenti. C’è una somiglianza di base con quelli precedenti, ma la somiglianza si ferma all’intelaiatura. Il resto è del tutto differente.

Come se, partendo da uno scheletro comune ai precedenti schemi, siano stati schiacciati gli angoli, cambiate le proporzioni, distorto la prospettiva.

 

“Sono, rispettivamente, le strutture mentali di un nobody inferiore e di uno superiore di basso rango. Per la precisione, di un crepuscolare e di uno dei guerrieri di Roxas, la variante di basso nobody più complessa e mentalmente stabile.”

 

Le immagini olografiche mutano lentamente e costantemente. Si ripiegano su sé stesse, cambiano e assumono una conformazione che è, al tempo stesso, uguale e del tutto differente.

Le distorsioni si sono rettificate, gli angoli delle celle cristalline si sono normalizzati e l’impalcatura, adesso, è geometricamente regolare.

 

“Capisco a cosa vuoi arrivare.” esclama Lexaeus “Vuoi invertire il processo di degenerazione.”

“Se un alto nobody può mutare in una forma inferiore, forse è possibile anche il processo inverso.”

“Farli tornare umani?”

“Non posso farli tornare umani, Lex, come non posso far tornare umani noi. Voglio farli diventare nobody umanoidi.”

 

Zexion mette giù la cosa con cui ha giocherellato ininterrottamente fino a questo momento. Le chiazze di luce iridescente che ha proiettato sui muri si spengono, inghiottendo le ombre viventi.

Incuriosito, malgrado tutto, Vexen raccoglie il piccolo oggetto.

E’ proprio un cubo di cristallo, con un lato non più lungo di un pollice, eppure piuttosto pesante. Un fermacarte, forse. E’ sbrecciato su uno spigolo.

Inglobata nel cubo, c’è una farfalla d’argento, una specie di falena. E’ poco più grande di un’unghia e ci sono disegni sulle ali. Grigio su grigio, sono quasi impercettibili, come i disegni del raso, come le macchie sul pelo di una pantera. Gli occhi microscopici sono sfaccettati e iridescenti e non ha una proboscide, ma una bocca articolata in palpi seghettati. Sono stati riprodotti persino i peli dell’addome e i segmenti toracici. E’ talmente perfetta che dubita non sia un insetto vero.

 

Andhasangara.

 

Il nome di una falena predatrice delle brughiere di Radiant Garden, dalle ali esterne grigie e vellutate e quelle interne coperte di disegni fosforescenti e variopinti. La farfalla caccia di notte, scoprendo le ali luminose. Gli altri insetti sono attirati da quelle luci e da quei colori, e si avvicinano alla falena, a portata delle sue fauci.

Ienzo aveva chiamato così il suo amatissimo veliero.

Ma questo oggetto non proviene da Radiant Garden, né lo ha mai visto prima, qui, anche se lui è uno dei più assidui frequentatori dello studio di Zexion. Presume che lo possieda da poco, ma di tutto quello che Zexion ha collezionato nei Mondi, per curiosità, o interesse, o perché gliene piace l’aspetto, questo potrebbe avere un significato diverso.

Le ali della farfalla sono in tensione, riprodotte nel momento di maggior sforzo del volo, all’inizio della battuta discendente, le costole delle ali lievemente inclinate rispetto alla parallela del corpo, le antenne piumate piegate all’indietro, come spinte dal vento.

Vexen sa di non avere una grande immaginazione - a parte sentire ogni tanto voci nella neve - eppure quell’insetto d’argento gli appare rabbioso e disperato, congelato nella sua lotta interminabile e inutile per liberarsi dalla prigione di cristallo.

Capisce perché è piaciuto a Zexion.

 

“Vexen, hai provato a ottenere nobody fin dalla nascita, estraendo il Cuore agli embrioni.”

“Sì, lo sai. Nessuno di loro ha mantenuto forma umana ed escludo una simile evenienza. Logico. Se essere capaci di superare le tenebre è una questione di volontà di sopravvivenza, cosa che anche un embrione può possedere, mantenere forma e individualità è legato alla forza del riconoscimento di sé, e quello è impossibile prima dello sviluppo di una personalità.”

“Hai provato anche a ottenere embrioni da genitori nobody?”

“Non insegnarmi il mio lavoro. E’ stato uno degli obiettivi che mi sono prefisso fin dall’inizio, ma una serie di eventi sfavorevoli mi ha ostacolato. Se il rapporto fra i sessi fosse stato invertito, il lavoro sarebbe stato molto più semplice. Sfortunatamente, abbiamo una sovrabbondanza di gameti maschili, ma fino a diciotto mesi fa, quando è arrivata Larxene, non avevamo a disposizione quelli femminili. Prima di lei, nessuna donna è riuscita a sopravvivere o a mantenere la stabilità più di qualche giorno. Il fatto che i nostri corpi non permangono, non mi ha permesso neppure di conservare cellule riproduttive dalle donne nobody prima della loro degenerazione o della morte. I tessuti isolati dal corpo vivente si degradano rapidamente e, ancora oggi, tutte le nostre tecniche di clonazione non consentono comunque di ottenere materiale germinale vitale. Ho tentato l’incrocio, ma nobody e umani non sono reciprocamente fertili e questa è una barriera che appare insormontabile a ogni metodo di fecondazione esospecifica. Un meccanismo di difesa per impedire l’ibridazione di un’efficacia virtualmente unica. Agli inizi, l’ho considerato incomprensibile, visto che, tecnicamente, molti sono della stessa specie. Alla luce dei fatti attuali, non lo ritengo più così inspiegabile.”

“Dopo l’arrivo di Larxene, hai fatto altri tentativi?”

“Ti ricordo che questa incresciosa guerra occupa praticamente tutto il mio tempo.”

“E’ un no?”

“E’ un no.”

“E’ il momento di rispolverare il tuo progetto. Vexen, ogni evidenza psicometrica comprova l’ipotesi secondo la quale i Cuori sono elementi esogeni. Servono dati biologici, ora.”

“Sai che Xemnas non ci permetterà di continuare con questa linea di ricerca. Tirerà fuori qualche questione prioritaria con cui riempire il nostro tempo e dovremmo rimandare a data a destinarsi.” obietta Lexaeus. “Se insistiamo, potrebbe ricorrere a soluzioni più radicali.”

“Cosa dovremmo fare? Fingere di non essere venuti a conoscenza di tutto questo? Chiudere ancora gli occhi? I risultati ci sono e possiamo solo adeguarci. E questo potrebbe risolvere la questione una volta per tutte, senza tutta quell’assurda macchinazione.”

“La sua assurda macchinazione, Vexen. Potrebbe non accettare soluzioni alternative.”

“Abbiamo rifiutato la censura e la repressione intellettuale di Ansem e del bastardo alieno che lo manovrava, e Xehanort è stato tra i primi a ribellarsi. Credi che proprio lui vorrebbe vestire i panni del tiranno?”

“Ansem aveva decretato la pena di morte per noi e le nostre famiglie, se non ci fossimo fermati. Credevamo di conoscerlo. Credevamo che non sarebbe mai stato capace di una cosa simile.”

 

Zexion stringe gli occhi scuri, però non interviene. China testa e si nasconde dietro la massa dei capelli.

 

“Stiamo parlando di Xemnas. Tutto questo porterebbe beneficio anche a lui. Contrastarci sarebbe un comportamento del tutto irrazionale.” esclama esasperato Vexen.

“La paura fa fare molte cose disperate e illogiche, alle persone.”

“Agli esseri umani. Ma ai nobody?”

“Se agiamo per essere coerenti alla costruzione di Zexion, dobbiamo essere coerenti a essa in tutto, quindi accettare anche la capacità dei nobody di comportarsi irrazionalmente.”

 

Lex sorride e appoggia una mano sulla spalla di Zexion. Il giovane si risolleva.

Non ricambia il sorriso. Sembra quasi spaventato. Sembra quasi chiedere scusa. Chiedersi cosa deve fare, adesso.

 

“Non importa.” mormora Lexaeus “Il genio è fuori dalla bottiglia, ormai, e non può essere ricacciato dentro.”

 

No. Il genio non torna mai nella sua gabbia e quella di Lexaeus non è neppure un’obiezione. E’ solo il riconoscimento di una condizione che, in ogni caso, non li fermerà.

 

Per la seconda volta, contemplano la fine del loro mondo.

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

Poi mi si chiede perché non mi lamento mai delle recensioni ottenute ^___^

Ma come anche solo potrei pensare di lamentarmi? Ragazzi, voi mi viziate.

Lux, addirittura, non solo si subisce i miei deliri da aspirante conquistatrice dell’universo (Non mondo. Qualsiasi scalzacani può fare il conquistatore del mondo), ma ha avuto il coraggio di scrivere una specie di cross-over fra una sua serie di fanfic e la mia ^__^

Ha mescolato magistralmente il mondo di Kingdom Hearts con quello di Mai Otome, un anime poco conosciuto, ma che merita davvero, e sta trattando benissimo i miei cari personaggi. Insomma, andate a leggere:

 

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=196691

 

Chris:  Quello che mi dici, cioè che ora vedresti le cose con occhio diverso, non è solo un risultato lusinghiero. E’ fantastico.

Non so se è per qualcosa che ho scritto, qualcosa che ti ho suggerito, il modo di considerare qualche personaggio, ma credo che non sia possibile ottenere un risultato migliore. Grazie.

Grazie anche per l’apprezzamento alle mie costruzioni tecniche. E’ che prima di tutto devo capire come funziona una cosa o, nel caso di mondi virtuali, a cercare di immaginarmi un meccanismo possibile per quello che succede, e devo inquadrare l’ambiente e le sue ‘leggi’. Mi viene naturale pensare a certe cose. Tipo, ma ‘sti accidenti aprono portali dimensionali col pensiero e poi ci possono trasportare qualsiasi cosa, dal sacchetto di patatine alla portaerei? Senza fatica? Cioè, non consumano energia oppure la rimpiazzano in continuazione? Ma allora portatene uno qui, che saprei bene cosa farne (No. Non quello che pensate!).

 

Zexion e Roxas sono adorabili, vero? Fanno quasi tenerezza. A guardarli da molto lontano ^___^

So che nel gioco non hanno nessuna relazione, ma c’è una motivazione vagamente logica per averli messi insieme. Zexion è una specie di psicologo e Roxas ha problemi di amnesia. L’alternativa era mandarlo in cura da Larxene. Gli faceva terapia a colpi di elettroshock.

Mi fa molto piacere che tu, e anche un’altra persona, troviate interessante la loro relazione.

Cercare di sviluppare i rapporti fra le persone coinvolte nella storia è quello che cerco di fare fin dall’inizio. Oltre alle spiegazioni tecniche e ai massacri ^___^

Il problema è che per qualche ragione, quando si parla di relazioni si finisce per pensare subito a relazioni sessuali e/o sentimentali. Ma fra le persone si formano molti tipi di relazioni. Tra l’altro, costoro non sono umani, non è detto che fondino i loro legami sulle ragioni umane. Questo non vuol dire che siano meno importanti, vincolanti e articolati dei rapporti umani. Potrebbero persino esserlo di più.

Ovviamente, il legame tra Roxas e Zexion è quello che cerco di sviluppare maggiormente, ma ce ne sono anche altri, a parte Marluxia e Larxene che sì, sono ‘innamorati’ o il corrispettivo nobodico di un innamoramento, che spero di riuscire a rappresentare decentemente, senza usare dichiarazioni o comportamenti troppo espliciti.  

Comunque, può anche non sembrare, ma le motivazioni di Zexion non sono esclusivamente egoistiche. E’ capace di fare cose spaventose, ma non è ‘malvagio’. Non compie cattiverie immotivate solo per fare vedere quanto è carogna e, se non ha ragione di fare altrimenti, non esita ad agire a favore di altri. Non è neppure vero che per fare qualcosa deve per forza ricavarne un beneficio. Può agire semplicemente perché, agendo, non ne ha alcun svantaggio. Essere privo di emotività non vuol dire solo essere incapace di volere bene, ma anche essere incapace di volere male.

 

Per Lalami il merito va anche ad Atlantis Lux. Per la verità, la sua idea era che se i 13 volevano cuori senza sbattersi tanto, avrebbero dovuto trovarsi qualche pianeta primitivo, presentarsi come dei in mezzo a lampi, pioggia di fuoco, terremoti e inondazioni, e a quel punto sarebbero stati i nativi stessi a fare sacrifici umani e offrire loro cuori un giorno si e l’altro pure ^___^

In un modo o nell’altro, l’umanità non ne esce con un’immagine molto edificante.

Infatti, Lux mi aveva suggerito di fare di Lalami un’aliena, ma ho preferito evitare. Mi piace legnare la pretenziosità umana di essere il centro morale dell’universo. Devo dire che l’universo di Kingdom Hearts, così ambiguo, sfumato e ipocrita, con coretti Disney che stendono copertine rosa su un mondo grigio scuro tendente al nero, si presta particolarmente bene a questo ^___^

 

Krisalia: No, dai, come fai a confondere? E’ Roxas che ha gli occhi fosforescenti. Se li hanno anche gli altri nobody, non lo so. Immagino Saïx. Roxas ne sono sicura. Si vede bene.

Così ti piace questo mondo? Grazie. Adoro progettare mondi. Sai, in realtà non ho ancora deciso cosa farne. Non è detto che lo distrugga. E’ ancora tutto nel limbo.

Quanto a Demyx, io te lo metterei anche, ma non ho la più pallida idea di che fargli fare, al momento. Un concerto? Per me è un personaggio piuttosto difficile. Se mi sento a mio agio con gente come Zexion, Roxas e Riku, va da sé che trovo un pelo difficile immaginare come può pensare uno come Demyx. E poi sono davvero tantissimi. Finora non ho neppure introdotto Saïx, che pure adoro, e ho dato pochissimo spazio a Larxene e Marluxia che si giocano con Roxas e Zexion il posto di preferiti.

Facciamo così. Se distruggo questo mondo, Demyx avrà una parte nel macello. Se no, devi aspettare. Cosa scegli? ^___^

 

Ma come? Non vorresti uno come Zexion? Un ragazzo così intelligente, bello, educato. E ricorda che ha anche potere sulle percezioni e sui sensi. E’ una dote eclettica, sai? Molto utile, in certe situazioni che non sono necessariamente ostili. Pensaci, prima di rifiutarlo come marito.

D’accordo, ha forse qualche piccolo problema di affettività, ma secondo me nel cambio non perdi molto. E poi, la mancanza di emozioni avrà i suoi difetti, ma anche i suoi pregi. Niente colpi di testa ^___^

Io gli ho dato una moglie per una ragione semplicissima. Sto progettando la storia su come è iniziato il tutto, con i sei apprendisti, Ansem, Radiant Garden. E’ una cosa che mi intriga tantissimo, molto più della faccenda dei keyblade etc, ma è anche molto più complessa. Sto costruendo una vita ai sei e Ienzo mi serve sposato ^___^

 

Ti chiedi perché è andato verso le Ombre? Beh, aveva tre scelte. Morire di fame e di sete, gettarsi da una finestra e sfracellarsi al suolo, o aprire la porta e non mi sembra proprio il tipo con un desiderio di morte. Ha valutato le probabilità di sopravvivenza. Per quanto minima, era meglio quella che la certezza di morire.

 

Kuroro: Mi spiace disilluderti, ma il cordoglio di Sora avrà vita breve, e non perché lui sia particolarmente insensibile alla morte di Kairi. E’ che… No. Qui te lo leggi ^___^

Accetto critiche, non preoccuparti. Dimmi pure quello che pensi e non ti sbrano.

Semmai ti spedisco i sicari a casa  ^__^

 

Atlantis Lux: Lux, cara. Calma. Sei sicuramente più in gamba di Xemnas come tattico, ma lui ha dalla sua argomenti che tu non hai e non potrai mai avere ^O^

Si gioca con Sephiroth il podio come personaggio virtuale più sexy. Solo che Xemnas è un po’ meno ingombrante e rumoroso di Sephi e non ha l’abitudine di fare le sue apparizione con il pieno d’orchestra e le ammonizioni in latino.

Purtroppo, come condottiero fa davvero schifo. Qualsiasi cosa fa, si risolve in un disastro. Quelli degli attacchi in solitaria è la prima cosa che è venuta in mente anche a me. E’ un concetto talmente ridicolo, che credo di non averlo mai applicato neppure io quando a cinque anni giocavo a fare la guerra. Occorre cercare di frantumare l’unità del nemico, poi, una volta che le sue forze sono frammentate, gli fai il culo, possibilmente in venti contro uno. Ma se già ti frammenti tu da solo di tua volontà, è lui che il culo lo fa a te e gli rendi pure il lavoro facile. Soprattutto un nemico che sai è individualmente potentissimo e il cui punto debole sono le capacità intellettuali e/o di valutazione.

La strategia più sofisticata a cui Sora riesce a pensare è ‘Lanciati come un  toro infoiato, pesta come un fabbro ferraio e chissenefrega di tutto il resto, compresa eventuale gente che sta intorno’. Non un finissimo pensatore, come vedi. Gli bastava incontrare un avversario un pelo più scafato di una bambina di cinque anni, ed era morto da un pezzo. E invece di fare giocare lui alle loro condizioni, i nostri glaciali e logici nobody giocano ai suoi livelli. Grazie che poi li ammazza.

Quanto a Zexion, renderlo contraddittorio sarebbe l’errore peggiore da fare su di lui. E se si contraddice, è perché mente con intento di mentire. Ecco, da non prendere per oro colato quello che dice, perché se la cosa gli torna utile, mente senza pensarci un istante ^___^

 

Adesso voglio vedere se riuscirò a mantenere l’andazzo cinico/asettico/egoista quando arriverà Topolino. Ho intenzione di fare almeno un capitoletto con il sorcio. Che se fosse per me lo chiuderei in una stanza sigillata con un Saïx a digiuno stretto da una settimana. Purtroppo, ho anche deciso di seguire gli eventi canon, quindi non posso fare opera di derattizzazione. Almeno, non nel passato ^___^

Intanto ho cominciato con un lavoro di desorizzazione e, come si dice, chi ben comincia…

Il solo custode di keyblade buono è il custode morto. Salvo Roxas, ovviamente ^___^

 

 

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Capitolo 13
*** VIII ***


IX

 

VIII

 

 

L’arena è una palude di nebbia surriscaldata. L’umidità si condensa sulle superfici fredde e gocciola nell’acqua che copre il pavimento, e lo sgocciolio fa da contrappunto a un mormorio musicale e cantilenante.

Le oscillazioni sonore del canto si manifestano in oscillazioni del fluido. L’acqua si innalza e forme ondose rotolano verso i due combattenti, ma Demyx esita a scagliarle. Axel è sulla linea di tiro, tra lui e il nemico, e l’acqua gli causerebbe più danni che a chiunque altro. Questo l’avversario lo sa bene. Ha fatto in modo di dividerli per affrontarli uno per volta e sta attento a restare all’ombra di Axel.

L’indecisione di Demyx spezza la voce con cui guida le acque. Le armoniche discordano, la sorgente che sostiene il moto ondoso si interrompe e i montanti si spianano prima di raggiungere i due contendenti.

Cambiare disposizione sarebbe forse possibile, ad avere tempo. Tempo che il ragazzino non ha certo intenzione di concedere loro, e la velocità gioca a suo favore. Le reazioni del custode si misurano in frazioni di secondo, mentre loro due sono legati a uno scorrere del tempo più ordinario, più languido.

Non può neanche sorprenderlo. Il nemico nemmeno lo sorveglia. Non ne ha bisogno. Ha mutato l’ambiente per renderlo conveniente a sé, per essere sempre e continuamente consapevole di ogni variazione in quello spazio.

Intorno a Demyx, l’acqua si solleva in sagome umanoidi che ripetono i movimenti del loro padrone, fantasmi traslucidi in cerca di una loro forma e una loro solidità, che si sciolgono e si riformano in figure continuamente mutevoli. La volontà che li anima è distratta. Le sequenze di scale, toni e armonie che il giovane compone nella sua mente ed esprime con la voce, non mantengono la loro configurazione e le masse d’acqua cangiano da una forma all’altra, senza trovare stabilità.

Comincia a disperare di sconfiggerlo.

Uno schema semplice, ha creduto. Quattro contro uno. E uno dei quattro Xigbar, niente di meno, e l’altra Larxene, fra tutti.

Facile, sì.

Fino a che cavallo e regina sono caduti quasi prima di cominciare la partita.

 

Axel scaglia verso il nemico uno dei chakram. Il ragazzo lo intercetta in volo e lo rilancia imprimendogli più forza e velocità di quanto non riesca a fare Axel stesso, e il pirocinetico si ritrova a dover sfuggire la sua stessa arma. Quell’istante di disattenzione basta perché il custode irrompa nella sua guardia.

Con il chakram che gli resta, Axel sferra un colpo in diagonale, spingendosi in avanti, aspettandosi che l’avversario si ritragga per schivare. Invece, il ragazzo si lascia cadere sulle ginocchia e, con lo stesso movimento, si allunga verso l’alto distendendo la schiena, il braccio sinistro proteso, e colpisce Axel sulla bocca con la guardia del keyblade.

Questo scontro è finito e il custode si lancia contro Demyx, che perde subito il controllo.

Lo fa sempre quando è spaventato, e lui si spaventa facilmente, più di chiunque loro. Perde il controllo, dimentica quello che è capace di fare e comincia ad agire in modo sconclusionato, con una forza bruta devastante, ma goffa e facile a schivare. Come l’onda montante che, adesso, scaglia addosso al nemico quasi incombente.

Il ragazzino la supera teletrasportandosi oltre la massa d’acqua, a ridosso di Demyx.

Il giovane incespica all’indietro, cade e alza le mani in un gesto di resa.

 

“No.” esclama.

 

Tentativo inutile. Il custode avanza, solleva il keyblade che stringe nella mano sinistra e tocca gentilmente Demyx sulla testa con il piatto della spada.

In tutto, il combattimento non è durato più di un pugno di minuti.

 

Axel si avvicina, una mano premuta sulla bocca e il sangue che filtra fra le dita serrate.

Guarda Demyx, che si è sdraiato di schiena nell’acqua torbida, le braccia allagate a croce.

 

“Alzati, idiota. Hai perso.” brontola con una voce più nasale del solito.

Il giovane si stringe placidamente nelle spalle.

“Hai perso anche tu, e io sono riuscito a non farmi rompere la faccia.”

 

Axel lo colpisce con un piede. Qualcosa di più di solo un tocco, ma non abbastanza da essere doloroso o da essere considerato un calcio.

Demyx ridacchia.

Gli piace vedere Axel irritato. Non ’Voglio farvi credere di essere irritato’ o ’Facciamo finta che io sia irritato’. Irritato in modo genuino. Non capita spesso. Non capita mai. Axel è melodrammatico negli atteggiamenti, ma il suo è solo un modo per indirizzare gli altri verso una valutazione del tutto ingannevole e, al tempo stesso, per essere al centro dell’attenzione. Per il resto, Demyx è sicuro che sia il meno spontaneo e il meno soggetto a emozioni di tutti loro.

Fino a questo momento, avrebbe detto che i soli in grado di suscitare una reazione così incontrollata e intensa in Axel fossero Saïx e Zexion. La differenza è che il cacciatore non lo irrita, lo terrorizza. Zexion, invece, lo inquieta. A quanto pare, anche Roxas è in grado di espugnare le sue difese.

Perlomeno, non si può dire che Axel non sia coerente nei gusti.

Non è la sconfitta a urtare il pirocinetico. E’ il non essere considerato e il non essere determinante, e Roxas non si è limitato a batterlo. Ci è passato attraverso quasi non esistesse.

Quello che Axel non capisce è che a lui, invece, non importa proprio niente della considerazione, né di determinare gli eventi. Si sente del tutto felice come ignorato gregario.

In questo momento, Demyx sente di amare Roxas per essere causa del fastidio del loro compagno. Sorride al ragazzino, che lo ricambia con la sua solita non-espressione da bambola di porcellana che, per qualche motivo, è stata modellata con un cipiglio.

Se avesse voglia di rischiare la pelle, proverebbe a tirargli su gli angoli della bocca con le dita, giusto per vedere se la faccia gli si rompe e cade a pezzi.

Ma Roxas deve avere deciso che ne ha abbastanza di loro, o che non sono tanto interessanti da meritare ancora la sua attenzione, e torna verso il palco. Gli hanno chiesto di battersi e li ha accontentati. Avrebbe fatto lo stesso se gli avessero chiesto di aiutarli ad asciugare i piatti e lo avrebbe fatto più o meno con lo stesso trasporto.

Correzione al precedente pensiero. Axel gli ha chiesto di battersi. Xigbar e Larxene lo hanno sostenuto. Demyx ci si è trovato trascinato dentro.

E’ piacevole pensare che, di tutti e quattro, è il solo a non doversi preoccupare di lividi e ferite.

 

Ad aspettarli alle tribune non ci sono più solo Larxene e Xigbar, i due precedenti sconfitti. In qualche momento, durante lo scontro, altri si sono uniti a loro e si sono sparsi per i palchi. Ci sono Saïx, Luxord e Zexion, ma il più inaspettato è Xemnas, che siede in un angolo in disparte, quasi inosservato.

Deve provenire da qualche laboratorio, visto che indossa il camice bianco.

 

“Fa un ballo con Zexion.” esclama Axel, mentre si tira il bordo della maglia per tamponarsi la bocca.

“No.”

“Coraggio, conosci i suoi trucchi meglio di tutti. Su certi mondi, dare una battuta al proprio mentore è una specie di rito di passaggio per l’età adulta. Conosco un pianeta dove l’allievo deve uccidere il maestro.”

“Mi arrendo.” mormora Zexion “Roxas, hai vinto.”

“Sicuro di non voler provare?”

“Cosa? L’esaltante esperienza di perdere qualche dente? La lascio a voi.”

 

Axel sogghigna. Non è la prima volta che cerca di spingerlo a scendere in campo senza mai riuscirci. Nessuno ci è mai riuscito.

Roxas li ignora e si dirige invece davanti a Xemnas.

 

“Combatti con me, Xemnas.”

 

Sorpreso dalla richiesta, l’uomo scuote la testa.

Naturalmente, l’attenzione di tutti è subito rivolta a loro due. Xigbar si siede al suo fianco.

 

“Dai, Xem. Il bambino ha voglia di giocare. Ha preso tutti a calci in culo. Vendica l’onore dei tuoi uomini.”

 

Xemnas sospira a disagio, pentito di essere venuto qui. Intorno, qualcuno ridacchia.

Roxas continua a fissarlo. Quello che vuole lo ha già detto, inutile ripetere. Però non demorde.

Per un attimo, Xemnas valuta la possibilità che il ragazzo abbia intenzioni ostili, poi scaccia con fastidio quell’ennesima prova della sua paranoia crescente.

Dopo la prima, comprensibile reazione del risveglio, Roxas non si è mai mostrato ostile verso di loro. E’ capace di reagire con forza se non è lasciato in pace, ma di sua spontanea iniziativa non ha mai provocato problemi con nessuno. Anzi, dopo le esperienze quasi traumatiche con gli altri neofiti, è fin troppo tranquillo e controllato, soprattutto considerata la sua età.

 

Il ragazzino aspetta, tutto pericolo e potere immane e inconsapevole.

O forse consapevole. E’ impossibile capirlo.

E’ che tutti loro hanno mantenuto una gestualità derivata dall’abitudine e dalla memoria. Non importa di quanto possa essere diversa a seconda del pianeta o della specie a cui appartenevano. Ci sono sempre espressioni che infrangono l’impassibilità. Sono sempre evidenze di un qualcosa.

Anche se non significano quello che dovrebbero significare. Anche se significano il contrario.

Anche se fingono, e fingere è facile. Facilissimo. Tutti loro hanno ben chiaro il ricordo delle condizioni e delle sensazioni che generavano quelle espressioni, quindi è facile anche la relazione inversa. Volere esprimere qualcosa e trovare l’espressione giusta, quella univocamente legata a ciò che si desidera manifestare. Così facile che nessuno deve nemmeno pensare. Basta farlo.

Inganni per il mondo. Inganni per chi li circonda. Inganni per sé stessi.

Strati su strati su strati di inganni.

Attori, tutti loro e, nella loro menzogna, comprensibili.

Ma Roxas no. Lo ha visto sorridere, qualche volta. Qualche altra volta, ben più spesso, mostrare irritazione. Eppure, c’è qualcosa di sbagliato in quelle espressioni. L’evidenza che il ragazzo recita e non recita neppure troppo bene, spesso nei momenti sbagliati, e senza vero interesse a farlo. Come se facesse qualcosa di faticoso e difficile e per lui incomprensibile.

Un popolo di attori, ma Roxas non ha copione a cui fare riferimento. Può solo imparare imitando gli altri e sta ancora imparando. Così, è il più sincero di tutti e la sua impassibilità è la vera espressione della loro specie, sfrondata di tutti gli orpelli della memoria e le remore dell’umano. Nella sua onestà, è indecifrabile.

Naturalmente. La luce svela gli inganni e svela l’inganno che loro vivono.

Anche leggere i suoi pensieri è impossibile, quando non è lui a decidere di trasmetterli. Ha schermi mentali infrangibili e non lascia mai sfuggire nulla che non sia voluto.

Il solo modo comprensibile con cui esprime i suoi stati d’animo è con le azioni, di solito improvvise e imprevedibili e quel di solito consiglia di maneggiarlo con prudenza.

Roxas può restare passivo per giorni e, tutto a un tratto, senza alcun segnale premonitore, scattare e mostrarsi inaspettatamente feroce, magari in risposta a un gesto che, in base a un suo qualche alieno criterio di valutazione, è inaccettabile e che per chiunque altro non è neppure qualcosa di cui accorgersi.

Però, proprio per questo, l’esibizione di oggi è prova di quanto poco sia disposto alla vera violenza nei loro confronti, visto che in qualsiasi momento, al minimo fastidio, avrebbe potuto scegliere di fare a pezzi il disturbatore, invece di dargli solo una solenne battuta o di scappare, come fa di solito.

 

Sospira, si alza in piedi e si chiede perché, ultimamente, ogni decisione è diventata tanto difficile, per lui. Non era così. Ricorda giorni in cui decidere era facile, era immediato. Giorni in cui sapeva subito cosa fare e quello che aveva deciso era sempre la decisione giusta. O, almeno, era sempre la decisione che considerava giusta.

 

Perlomeno, c’è una cosa su cui non avere esitazioni, visto che finora Roxas ha combattuto senza addosso niente a proteggerlo. Un paio di calzoni corti, una maglietta e niente altro. E’ persino scalzo.

 

“Metti l’armatura. Fallo sempre, d’ora in avanti. Non voglio che duelli senza protezione. Nessuno di voi.”

 

Si alza un coro di sbuffi e lamenti e un coglione espresso con voce rude.

Xemnas si rivolge esasperato a Xigbar. Gli altri sono ragazzini, ma lui…

L’uomo ricambia il suo sguardo senza battere ciglio. E’ stato proprio lui il primo a inaugurare questa pericolosa abitudine, adottata con entusiasmo da quasi tutti i neofiti, e cercare di convincerli è diventata una battaglia persa in partenza.

Però Roxas non replica all’ordine e si dirige subito alla serie di nicchie sotto il palco a prendere la pesante tuta corazzata da allenamento che limita sensibilmente i movimenti. Anche lui evita il più possibile di indossarla, ma deve avere capito che la sola possibilità che Xemnas accetti di combattere è fare a modo suo.

Appare del tutto tranquillo, certo che lui non riuscirà neppure a sfiorarlo. Ha una sicurezza di sé e delle sue capacità che sfiora l’insano.

Possibile che crede davvero di potergli tenere testa?

Con quello che ha appena fatto, non lo esclude.

 

Un po’ goffamente, Roxas comincia a infilarsi l’armatura di placche di resina e ceramica nera, ricoperta di circuiti simili a fregi e disegni dorati, che attingono automaticamente alla sua sorgente di potere per generare campi di protezione.

 

Dal ragazzo si propagano filamenti di Luce che si tendono in tutto il volume dell’arena e anche oltre, una ragnatela di fibre immateriali estese nelle tre dimensioni dello spazio ordinario e in tutte le altre. Come prolungamenti dei suoi terminali sensoriali.

Qualsiasi perturbazione li attraversi, provoca una risonanza percepita istantaneamente da Roxas.

La ragnatela gli ha permesso di rilevare la distorsione causata dal teletrasporto di Xigbar con un anticipo più che sufficiente per spostarsi a ridosso del campo di traslazione sorgente e colpire l’uomo nell’istante in cui stava riemergendo dall’iperspazio.

Come effetto quasi secondario, ma Xemnas è certo che sia stato del tutto inteso, in tutta l’arena si sono generati intensi e frammentati microcampi magnetici che hanno interferito con il potere di Larxene, rendendolo virtualmente inutile.

Roxas è sempre stato del tutto consapevole di ogni movimento e possibilità dei suoi nemici. Così ha messo subito fuori gioco i due avversari più pericolosi. Con la conoscenza dell’ambiente.

Forse la sicurezza che mostra è comprensibile e forse lui dovrebbe esserne irritato, ma Roxas è un bambino. E’ lui a doversi comportare da adulto.

Peccato che la sola scelta adulta sarebbe quella di tirarsi indietro adesso. Subito.

 

Abituato a usarla, Xemnas ha già terminato di indossare la sua armatura, identica in tutto a quella di Roxas eccetto nel colore. Bianco latte ornata di nero, un sistema che attinge a una diversa fonte di potere.

 

“Mi serve un’arma.”

 

Axel e Larxene si fanno avanti, ma prima che possano materializzare le loro armi, Roxas tende i due keyblade.

 

“Prendi quello che vuoi.”

 

Questa è una mossa inaspettata. Non credeva che Roxas avrebbe offerto un keyblade, ma il ragazzo non sembra per niente infastidito all’idea di lasciare toccare e usare uno dei suoi preziosi giocattoli.

Esita un istante. Ma è solo una superstizione, quella di non poter prendere in mano un keyblade. Ha visto Zexion impugnare quelle cose. Lo ha visto leccarle.

Quasi strappa i keyblade a Roxas.

Sfiora le lame con le dita nude. Sembrano vetro e metallo al tempo stesso, fredde e traslucide, lievemente scivolose al tatto. Nelle loro profondità, si agitano pigramente correnti e vortici di luci variopinte.

Leggere, nonostante le dimensioni e la forma ingombrante.

Non deve lasciarsi ingannare. Ha visto Roxas tagliare pietre come se tagliasse carta, con esse.

Per prova, muove i keyblade in un doppio fendente.

Le armi assecondano il movimento, lo favoriscono, moltiplicano la forza del possessore. Ma non sono facili da gestire. Hanno un bilanciamento insensato, cosa non imprevista, vista la forma. Forse, impugnarle come asce, invece che come spade, sarebbe più semplice, ma sono troppo leggere per questo e la doppia guardia dell’impugnatura rende la cosa pressoché impossibile.

D’altra parte, i keyblade non vengono quasi mai usati solo come armi fisiche. Ci sono strumenti di gran lunga più efficienti, per quello. Però resta il fatto che possono anche essere armi fisiche e quelle di Roxas in particolare sono un ammasso di lame, punte e creste taglienti. E quello è solo il loro aspetto più inoffensivo.

I keyblade sono letali per loro.

Roxas ne ha un tale controllo che potrebbe usarli per imburrarci il pane e se decide di non fare male a nessuno, nessuno si fa male, ma lui è un’altra faccenda. Potrebbe ferire seriamente il ragazzo senza volerlo. Potrebbe ucciderlo.

Solo che le sue armi non gli sembrano un'alternativa migliore. Non è possibile usarle in uno scontro amichevole, perché basta sfiorare chiunque per disintegrarlo o ferirlo gravemente.

Ma i keyblade…

 

“Tu quale preferisci?”

 

Roxas si stringe nelle spalle, mentre combatte per infilare l’armatura, impacciato dalla poca familiarità.

 

“Sono uguali. Scegli tu.”

 

La spada nera sembra una scelta leggermente meno azzardata. E’ più pesante e la lama laterale è un vero rasoio, ma, perlomeno, non ha così tante punte che sbucano ad angoli vari e ha una forma che rende le manovre più facili da controllare.

Xemnas restituisce al ragazzo la spada bianca, infila i guanti rinforzati e si allontana di qualche passo, tenendo basso il keyblade.

Si abbassano i visori e un vago senso di claustrofobia pervade Xemnas.

Adesso, hanno perso qualsiasi apparenza di esseri viventi. Sembrano due manichini di vetro colorato, i volti sostituiti da vuoti ovali senza lineamenti.

 

E’ Roxas quello che attacca.

Per qualche istante, è solo una serie di scambi di colpi. Nessun uso di poteri elementali o niente che non sia altro che un banale esercizio di scherma.

Nulla più di un gioco. Non è una battaglia, questo è certo.

Eppure, in breve, Xemnas si rende conto che è molto più faticoso di quanto si è aspettato. Non ha mai grandi difficoltà a vincere chiunque dei suoi compagni e adesso, anche sapendo cosa è Roxas, non può fare a meno di essere sorpreso.

Il ragazzo è eccezionalmente aggressivo. E’ molto più veloce di lui, molto più agile e ha un modo di combattere stremante. Si muove rapidissimo, con corse e salti fluidi, senza schemi prevedibili né la minima interruzione, e non gli lascia respiro, tempestandolo di colpi non violenti e non necessariamente mortali. Solo frastornanti.

Riesce ad annullare lo svantaggio dell’altezza e dell’allungo restando addosso all’avversario e anche l’assurda forma e ingombro del keyblade non lo impacciano. Se lo passa continuamente di mano e non lo usa solo come spada, ma come scudo, oppure stringendolo per la lama a diverse lunghezze.

Per la prima volta da anni, Xemnas si ritrova a difendersi e a pensare che la vittoria non è poi così scontata.

La già vaga, indistinta presenza emotiva di Roxas è del tutto svanita. Non è più il padrone del kayblade. E’ tutt’uno con esso, un’arma vivente. Il keyblade gli dà forza, lui porta l’adattabilità di una mente viva. Ma ha accantonato del tutto la lentezza del pensiero cosciente per abbracciare solo la perfetta serenità dello scontro ed è un po’ ripugnante che una creatura così nuova al mondo possa trovare il suo compimento solo in un atto di distruzione, per quanto simbolico.

Curioso che un essere simile sembra non avere nessuna difficoltà a non esagerare, a mantenersi nei limiti di un gioco.

Forse, il suo controllo è tale che non ha bisogno di sforzarsi per limitarsi. Gli basta calibrare le sue azioni, proprio come si calibra una macchina. Chissà com’è, allora, in una vera guerra, quando può scatenare appieno le sue capacità, invece di funzionare a così basso regime. Non lo ha mai visto combattere sul serio. Può solo riferirsi a quello che gli è stato riferito e ai risultati ottenuti.

Ripugnante, ma utile.

 

Suo malgrado, è obbligato a usare il teletrasporto quando un colpo montante di Roxas apre la sua guardia e lo lascia scoperto l’istante necessario perché il ragazzino quasi lo colpisca con il consecutivo rovescio diagonale. Allora, getta al vento tutti i buoni propositi e, adesso, Roxas deve stare dietro ai suoi continui e bruschi salti dimensionali.

Ma la trappola di Luce che ha ingannato Xigbar è ancora in funzione e se ha giocato Xigbar, Xemnas può, al massimo, sperare di allungare i tempi.

Lo ha sempre addosso. Si smaterializza e quando rientra nell’arena, per quanto si sia spostato, trova Roxas ad attenderlo.  

 

Sta facendo un errore. Pensa. Preoccupato di non fare del male al ragazzo, interessato a studiarlo, resta legato alla realtà con la coscienza e la coscienza rallenta i suoi riflessi.

Tutto a un tratto, Xemnas ha ben chiara una cosa. Non può vincere Roxas solo con l’abilità, né con la forza fisica, ma può giocare al suo stesso gioco. Così, attacca invece di ritirarsi.

La sua improvvisa aggressività non disorienta l’adolescente, che, senza discontinuità, si limita a parare. Non cerca di bloccare colpi sferrati con una potenza molto maggiore della sua. Li devia, invece, lasciando scivolare lama su lama, scaricando la forza di Xemnas nel nulla e rendendola innocua.

Fino a quando Roxas fa qualcosa di inaspettato. A un fendente di Xemnas, si solleva da terra e continua a sollevarsi, sino a essere sospeso a diversi metri nell’aria, circondato da campi iridescenti e fluttuanti, simili alle linee di forza di un campo magnetico. Le luci aumentano, l’aria stessa comincia a brillare, pervasa da veli spettrali di aurore boreali, e il ragazzo diventa una sorgente di fulgore accecante, una stella nata nello spazio limitato di una palestra.

La sua immagine si sgrana e si duplica e più Roxas sono intorno a lui, figure nere e filiformi in quel mare abbagliante. Le prospettive si riducono e pareti e soffitto si stringono addosso a Xemnas.

L’istante seguente, il ragazzino si materializza alle sue spalle e gli assesta un violento colpo di piatto alle reni.

Xemnas guaisce e cade sgraziatamente sulle natiche. Dagli spalti qualcuno fischia e applaude. E’ pronto a giurare che siano Axel e Xigbar.

Ora le dimensioni spaziali sono tornate quelle che devono essere e c’è un solo Roxas, che riassorbe in sé la Luce e si accosta al suo superiore dolorante. Ha la vittoria ha portata di mano, adesso. Invece, abbassa la spada.

Xemnas gli afferra la caviglia e tira con violenza. Il ragazzo perde l’equilibrio e cade e, subito, il re gli calcia lontano il keyblade. Prima che Roxas lo faccia rimaterializzare nelle sue mani, intesse intorno a loro un campo che ritorce lo spazio e li chiude in una microdimensione compattata esclusa dal mondo esterno. Non isolerà il custode dalla sua arma più di qualche istante, ma è sufficiente e, finalmente, è qualcosa che lo confonde.

Xemnas alza il keyblade e sferra il colpo mortale, fermando la lama a qualche centimetro dalla testa del ragazzo.

Partita finita.

 

I due si ritrovano seduti nel nulla, l’uno di fronte all’altro.

Roxas osserva la sacca dimensionale transitoria dove sono racchiusi. Non è possibile vederne l’espressione, coperta dal visore dorato, ma l’ovale del viso è rivolto verso i confini che li separano dal resto del mondo. Anche se non ci sono confini materiali.

Xemnas sfila l’elmo e si tira indietro i capelli chiari incollati alla fronte e inscuriti dal sudore.

Quell’ultima manovra del ragazzo è stata inaspettata, persino più sorprendente della ragnatela di Luce.

Sa che può farlo, certo che lo sa. Tutti loro possono farlo. Solo che quasi nessuno lo fa mai, se non in situazioni di vera necessità.  

Tranne che per Xigbar e per lui stesso, levitare è una delle applicazioni di potere più stremanti e una di quelle che richiede la maggiore applicazione. Qualche secondo basta per prosciugare di ogni energia. Semmai, lo utilizzano per ammortizzare la gravità, ma non per vincerla in modo così completo. Per cosa, poi? Non è volare. E’ più simile a un continuo esercizio di sollevamento pesi effettuato stando in equilibrio su un filo.

Quando vogliono togliersi il gusto del volo, basta recarsi in un universo dove c’è qualche giusta forma di vita e mutarsi in essa.

Roxas si è traslato mentre levitava, e combatteva, e operava sulla Luce. Non è stato solo uno sfoggio di potere, ma di concentrazione e volontà. Di capacità di organizzare il pensiero in più attività coscienti e difficili contemporaneamente. E non si è limitato a usare un corridoio oscuro. Ha risalito il mare di Luce che ha riversato nella palestra.

 

“Sei bravo.” ammette Xemnas.

“Non lo sapevi?” chiede il ragazzino, mentre finalmente toglie l’elmo e se lo appoggia in grembo.

“Sì, ma adesso ne sono realmente convinto.”

 

Corazza o no, quell’ultimo colpo di piatto è stato davvero doloroso. E anche vagamente umiliante.

Il ragazzo lo degna di uno sguardo corrucciato e perplesso, prima di tornare a occuparsi dello spazio.

Ha ragione, naturalmente. Stupirsi di qualcosa che già si sa è un comportamento davvero illogico.

 

Roxas tasta e sonda col pensiero quella specie di bozzolo dimensionale limitato e transitorio dove sono rinchiusi. Cauto, quasi timido, inizia a pizzicarne i fili che lo compongono.

Di riflesso, Xemnas avverte quello che potrebbe definirsi come il toccare un nervo scoperto con uno spillo. Fastidioso, decisamente, e non ha senso mantenere ancora in essere quella struttura, ma è curioso di vedere cosa riuscirà a fare il ragazzo.

Può manipolare la Luce, che è elemento fondamentale del tessuto spaziale in ogni suo aspetto e manifestazione. In qualche modo, deve essere in grado di interferire con un simile ente.

 

“Roxas, perché ti sei fermato? Potevi vincere. Hai fatto un errore quando mi hai creduto sconfitto e hai abbassato la guardia.”

Roxas non distoglie neppure un istante la sua attenzione al lavoro di analisi della sacca dimensionale.

“Stavo solo giocando.”

“Si combatte per vincere, non per gioco.”

“Va bene così.”

 

Tutto a un tratto, Roxas tira alcuni dei fili portanti della costruzione di Xemnas. La microdimensione si spiega e sono di nuovo nell’arena. Accanto a loro, c’è Saïx.

 

“Chi ha vinto?”

“Nessuno. E’ stato solo un gioco.” risponde Xemnas.

 

Solo un gioco, dove nessuno dei due ha neppure lontanamente dato fondo alle proprie capacità. Basta considerare quanto a lungo è durato il duello.

Xemnas si alza e tende la mano a Roxas, ma il ragazzo è già guizzato in piedi, in apparenza del tutto riposato, eccetto i capelli bagnati, e questa volta lascia filtrare un senso di indubbia soddisfazione. Come se avesse ottenuto esattamente quello che voleva.

Senza più guardare il suo signore, si dirige verso le tribune.

 

Luxord si siede accanto a Zexion.

 

“Al bambino piace giocare con la morte. Gli è andata bene che oggi Xemnas è in buona.”

“Roxas non stava giocando per niente. Ha cercato di costruire il futuro.”

“Non credo di capire.”

“Mi ha detto di essere andato al Grattacielo della Memoria. Di essersi visto combattere e uccidere Xemnas. O di essere ucciso da lui.”

“E combattendo così, senza che nessuno dei due si sia fatto male, crede di avere fatto avverare quelle immagini nel modo meno dannoso?”

“Qualcosa del genere, sì.”

 

Luxord immagina che dovrebbe provare un certo compiacimento. In fondo, è stato lui a insegnargli a barare.

Curioso, ma riesce solo a trovarlo patetico.

 

“In ogni caso, è stata un’esibizione notevole.”

“Istruttiva, soprattutto. I keyblade non sono armi e non sono estensioni della volontà del loro padrone, Luxord. Sono rettificatori. Trasformano il segnale multiplo della forza del possessore e degli avversari in uno monopolare e coerente da rivolgere contro il nemico. E’ la ragione per cui i keyblade sono così letali per noi. Utilizzano la nostra stessa volontà per attaccarci e non c’è forza conosciuta superiore alla volontà di un nobody. In questo modo, funzionano anche da scudo. Impediscono al portatore di essere colpito direttamente dai poteri elementali, perché li assorbono prima. Non si può agire sul calore o l’acqua o qualsiasi altro elemento del corpo del possessore. Però questo non gli impedisce di subire i contraccolpi ambientali esterni. Meglio tenerlo a mente, visto che non tutti i custodi sono dalla nostra parte.”

“Tu hai colpito Roxas con il tuo potere, mentre impugnava i keyblade.”

“Sono solo macchine, non presumere che siano perfette. Per proteggersi da me, lo scudo è solo in sé stessi e Roxas ha appena dimostrato di essere ancora ben lontano dal poterlo fare.”

“Questo cosa mi dovrebbe fare pensare?”

“Che non ha sferrato il colpo di grazia a Xemnas quando ne ha avuto l’occasione.”

“Non ha lo spirito dell’assassino.”

E’ un assassino e un assassino che non vuole esserlo lascia aperta una porta alla sua rovina.”

“Zexion, le sue possibilità sono aumentate. Hai tagliato molte delle probabilità avverse. Hai agito correttamente.”

“Sì, io riesco quasi sempre in quello che mi prefiggo.”

 

La sua voce non ha il tono compiaciuto che Luxord si sarebbe aspettato. Insolito, da pare sua.

 

“Dovrei essere compiaciuto per avere mostrato a un bambino la strada più diretta per la sua distruzione?” sibila Zexion.

 

E’ il bello del discutere con un potentissimo telepate, questo. Non bisogna perdere troppo tempo a spiegarsi.

Il brutto è che non bisogna perdere troppo tempo a spiegarsi.

 

“Che è anche la strada della sua possibile salvezza.” mormora Luxord.

“Già, possibile. Possibile non è certo. Forse ho solo abbreviato la sua vita e reso molto più difficile e dolorosa quella che gli resta.”

“Se Roxas sopravvive, per lui sarà valsa la pena patire qualsiasi sofferenza.”

“Certo. In caso contrario, non avrà modo di lamentarsi. Ancora non vedo ragione per compiacermene.”

 

Luxord apre le mani davanti a sé. Sente la testa leggera, un vago senso di ebbrezza che non ha nulla dell’ebbrezza da alcol, ma è più simile all’effetto di un analgesico.

Conosce bene la sensazione. Il presente è sul punto di aprirsi spontaneamente sui possibili futuri.

Capita, qualche volta. Il controllo gli sfugge e le eventualità si spiegano davanti a lui. E’ come osservare due specchi piazzati l’uno di fronte all’altro. Una successione infinita di riflessi ognuno dei quali contiene tutti gli altri.

Sgradevole, ma è inutile preoccuparsi. Una volta attivata la sequenza, non è mai riuscito a fermarla né a interromperla. Deve solo aspettare che la marea del suo potere defluisca da sola.

 

Il suo potere... 

Sempre più spesso, Luxord si chiede se non siano loro le marionette di quei poteri. La loro natura non li esclude dalle leggi dell’universo. Proprio il contrario, invece. Li lega anche più a esse. E’ così che conoscono le vie preferenziali per far sì che queste leggi lavorino a loro favore. Ma non ne sono esenti.

D’altra parte, essere un nobody è anche questo. E’ soprattutto questo. Accettare di essere i padroni e, al tempo stesso, il campo di battaglia delle forze che intrecciano gli universi.

Almeno lui, così, ha potuto vivere innumerevoli vite mai realizzate. Tutto sommato, poteva andargli peggio.

  

“Zexion, ci siamo quasi. Il flesso critico è prossimo. Il sistema collasserà prima della fine dell’inverno. La crisi sarà determinata da tensioni interne.”

Il telepate annuisce.

“Axel…” prosegue Luxord.

“Axel mi studia. Non gli piacciono le sorprese e non gli piace avere a che fare con un nemico sconosciuto. Di me sa molto poco, certo non abbastanza. Quindi, cerca di farmi scontrare con qualcuno ancora in grado, poi, di riferirgli come agisco, e con cosa. Vuole un testimone di quello che posso fare. Cerca un modo per conoscere i miei punti di forza e i miei punti deboli.”

 

Naturale. Axel non lo ha mai visto combattere. Nessuno lo ha mai visto combattere. Non si può veder combattere Zexion. Usa le paure, le ombre e gli incubi. E’ quello che sanno tutti. Ma paure, ombre e incubi possono essere visti solo da chi vuole lui, e chi non è sotto la sua influenza non percepisce nulla. Tutto quello che si conosce è il risultato di quello che fa sulle sue vittime, e le sue vittime non sono mai meno che catatoniche. Così, non è possibile conoscere le sue tattiche, né farsi idea di quali siano le sue vere armi. La sola cosa che tutti sanno con certezza è che è capace di ben altro di quella violenza tutto sommato controllata che molti di loro hanno finito per sperimentare.

 

“Ti considera un nemico?”

“La domanda giusta è chi non considera un nemico.”

“Roxas.”

“Vero. Noi siamo come certi predatori, che tornano di continuo dove hanno scovato una preda. Se troviamo qualcosa che vogliamo, anche se lo consumiamo, non riusciamo a dimenticarci che l’abbiamo avuto proprio da quel luogo, da quell’evento, da quella persona. E quello che vogliamo, più di tutto, sono emozioni riconosciute e soddisfacenti. Quando le proviamo, diventiamo dipendenti da esse. Axel ha ottenuto qualcosa da Roxas che lo ha fatto sentire bene. Probabilmente, gli ha risvegliato la memoria di un evento di forte valenza emotiva e non può più rinunciarci. Su Radiant Garden, si dice che i gatti tornano sempre dove hanno catturato un topo.”

“Da noi si dice che sono i ladri a tornare sul luogo del delitto.”

“Sì, va bene anche così.” ridacchia Zexion “Ma questo è un furto che non gli riesce. Roxas è un giocattolo che lui vuole e che si rifiuta di appartenergli. Axel gli starà dietro fino a quando non lo avrà. Naturalmente, c’è sempre la possibilità che si spacchi la testa cercando di ottenerlo.”

“Se Roxas lo lasciasse fare, poi Axel perderebbe ogni interesse in lui e lo lascerebbe in pace.”

“In quel momento, diventerebbe solo un altro nemico, per Axel. Così è un alleato su cui contare in caso di bisogno. Senza tenere conto che Axel potrebbe seriamente fargli del male, una volta ottenuto quello che vuole. E’ famoso per rompere quello che si lascia alle spalle. Anche respingerlo con vera violenza non sarebbe una scelta intelligente. Ad Axel andrebbe bene, perché allora potrebbe usare la forza. Il trucco è non cedergli mai, ma lasciare intuire che il cedimento è possibile. Roxas usa il sistema giusto.”

 

Probabile. Anche se, a questo punto, la cosa non farebbe più differenza.

Non resta abbastanza tempo perché un’azione di Roxas piuttosto di un’altra nei confronti di Axel modifichi la particolare successione di eventi che li coinvolge. Perlomeno, cedendo, il ragazzino passerebbe poi qualche tempo tranquillo.

A meno che, naturalmente, la cosa non gli piaccia. Questo Luxord non è in grado di saperlo. E’ uno dei meno dotati dal punto di vista empatico. D’altra parte, per lui è difficile considerare gli individui come esseri viventi, piuttosto che come elementi di equazioni. Non esclude neppure che Roxas non sia solo incapace di arrendersi.

Ma il modo con cui lui e Zexion valutano le scelte dell’adolescente riflette la diversità fondamentale fra loro.

Lui cerca quelle vie che, svicolando fra gli ostacoli, lo conducono alla meta. Zexion ha la meta in mente e le strade se le costruisce, spianando quello che ci sta in mezzo.

E’ solo naturale che, messi davanti a due possibilità, di per sé entrambe equivalenti dal punto di vista del risultato, ognuno di loro scelga quella più affine alla propria personalità.

 

Roxas si è avvicinato al gruppo formato da Xigbar, Axel, Demyx.

Come sempre, resta un po’ in disparte. Come sempre, non parla.

Come sempre, la prospettiva sembra convergere su di lui. Come se fosse la sola immagine colorata in un disegno in bianco e nero.

 

“Come fanno a non accorgersene?” mormora Luxord.

“Visione selettiva. Vedono solo quello che si conforma alle loro attese. Si aspettano che il potere si esprima esplicitamente, che sia diretto all’esterno. L’idea che sia chiuso in sé stesso, determinato solo a essere lasciato in disparte, è un concetto che neppure li sfiora. Nemmeno io me ne sono accorto subito. Nemmeno tu. L’umanità continua a ingannarci.”

“Anche noi, che ci facciamo quasi vanto di non essere umani?”

Inganna soprattutto quelli più pronti a sostenere che non c’è umanità rimasta in noi, perché questa stessa affermazione è dovuta solo a una convinzione umana. Alla resa dei conti, la prova che siamo in errore, e con i nostri errori e le nostre ossessioni abbiamo infettato il solo nato incorrotto. Roxas deve liberarsi dell’umanità appresa. Forse l’ordalia che lo aspetta sarà sufficiente e allora sopravvivrà. Se no, nessuno piangerà la sua scomparsa. Sarà solo un esperimento tentato e fallito dall’universo. Uno dei tanti.”

“Sono in molti a considerarlo solo un giocattolo o uno strumento. Saranno anche di più a rimpiangere un simile errore.” mormora Luxord e rabbrividisce nel momento in cui pronuncia quelle parole.

 

Eccolo, il futuro che attendeva.

Questa volta, però, a dispiegarsi non è un mazzo di possibilità. E’ una, una sola, riflesso di avvenimenti quanto mai probabili. E non è neanche sgradevole. E’ la prova che, tutto sommato, forse non saranno solo un altro esperimento tentato e fallito.

Poi la visione termina e lui torna al presente.

 

Zexion è leggermente inclinato in avanti, i gomiti appoggiati alle gambe. Si stringe le maniche del camice, le tira fino a coprirsi le mani e le dita sottili, immagine incarnata e ingannevole di fragilità.

 

“Qual è il mio futuro, Luxord?”

“Credo che tu morirai, durante la crisi.”

“Non mi importa di quello in cui credi. Dimmi quello che vedi.”

“Morirai.”

“Le probabilità, non le opinioni. Lo puoi affermare con una certezza del cento per cento assoluto?”

“No.”

“Allora non morirò.”

“Zexion…”

“Sono cazzate, Luxord. Non morirò.”

 

Il giocatore aggrotta la fronte, sorpreso dal sentire il giovane esprimersi in un modo simile. Non credeva proprio ne fosse capace.

 

“Siamo destinati a svanire. Sento dire cose del genere da quasi un decennio. Non le trovo più convincenti adesso di dieci anni fa.” dice Zexion.

“Sono fatti. Sono le conseguenze delle linee temporali.”

“Allora cambierò il tempo. Destino, dio, fato. Sono solo gabbie, sono solo nomi creati per vincere la paura di camminare lungo un sentiero sconosciuto. Bambinaie che ti diano la sicurezza che domani l’universo sarà ancora al suo posto.”

“Zexion, io so che non c’è destino né dio né fato.”

“Lo sai, sì, però alcune probabilità le ritieni inevitabili e ti affidi ciecamente a esse. Così non fai altro che dare un nome diverso a dio. Proprio tu, tra tutti, dimentichi qual è il significato di probabilità.”

“Cioè?”

“Mancanza di certezza. La realtà è un romanzo incompiuto scritto in un alfabeto di dieci parole, arrivato al punto in cui noi parliamo. Oltre quest’istante, ci sono solo pagine in bianco.”

 

Gli altri presenti si stanno allontanando.

Larxene per prima. E’ saltata giù dalla balaustra da cui ha assistito allo scontro e se ne è andata.

 

Zexion ha paura, dunque. Tutto qui. Nega il futuro probabile perché ha paura.

Onestamente, Luxord non capisce come ci riesca. Il telepate conosce il futuro quanto lui e lui non ha paura da un pezzo.

Non che abbia avuto molta scelta. Sa dove sta andando e sa di non poterlo evitare. Impazzirebbe a vivere così, se avesse paura. Sarebbe già impazzito. La sola possibilità è stata non avere più paura e vivere il suo tempo al meglio.

Forse per Zexion è diverso. O, forse, questa è la sua personale forma di pazzia. Una pazzia che si esprime come un eccesso di razionalità.

Luxord scrolla le spalle. Se lo scienziato può passare i suoi ultimi momenti così, cercare di convincerlo del contrario, riuscirci, forse, sarebbe solo pura malignità e non vuole ancora credere di potere provare piacere nell’angoscia di un altro. E non esclude che l’atteggiamento giusto non sia quello di Zexion. La paura è importante. Spinge a combattere per vivere.

 

Adesso anche Xigbar, Demyx e Axel si sono svaporati nel nero.

Poi se ne va Roxas, da solo, che si è attardato a sfilarsi la tuta corazzata con la stessa difficoltà con cui l’ha indossata.

 

“Zexion…”

“Dimmi.”

“Anni fa, tu hai preso una decisione che ha cambiato la storia dei Mondi.”

“Sì, ricordo abbastanza bene.”  

 

Luxord alza una mano e Zexion si zittisce subito.

Ci sono volte in cui Luxord sa di fare realmente paura. Quando mette da parte la maschera di scanzonata bonarietà e lascia intravedere il potere immane di cui è il custode.

Non se ne compiace, ma, talvolta, ne approfitta.

  

“Lasciami finire, per favore. Avete deciso di proseguire le ricerche sull’Oscurità e sui Cuori. A partire da quel momento, le cose sarebbero potute andare in modo molto diverso, e con grande probabilità di avvenimento. Erano tante le linee che si dipanavano da quell’evento. Tante a portare il caos, altrettante a portare pace e prosperità, e molte a portare sia una cosa che l’altra oppure, nessuna di esse. Non c’era una probabilità maggiore per una piuttosto che per l’altra. Il risultato di quello che avete fatto è stato solo frutto di contingenze, di paura ed errori umani. Non era inevitabile. Anzi, si sarebbe potuto evitare con grande facilità.”

 

La sola espressione di Zexion è una curiosità intenta e interessata. Quando parla, la sua voce è chiara e sicura come sempre.  

 

“Dovresti dirlo a Xemnas, questo.”

“Quello che lui vuole non è sentire che potrebbe anche non avere sbagliato.”

 

Ma Zexion se ne è andato, senza dire altro. L’attimo prima c’era, ora no.

Se ne sono andati tutti, uno dopo l’altro. Eccetto Xemnas e Saïx, che parlano sommessamente fra loro, ma che già si allontanano.

 

Sono le piccole cose a costruire il tempo.

L’umanità cerca i grandi disegni, ma i grandi eventi sono solo le conseguenze percepibili di piccole cose. Come la paura di una singola persona, più determinante del pensiero di un dio.

 

Ecco. Saïx non c’è più e Xemnas lo segue.

 

Ora Luxord è solo, ma non riesce proprio a trovare la volontà di muoversi dall’arena vuota. Non riesce a trovare la volontà di raggiungere gli altri.

Si ritroverebbe a camminare tra i fantasmi.

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

Eh, due mesi. Mica male. Potrei dire di essere stata occupata, di avere problemi, di... boh, qualsiasi cosa. In realtà, sono solo lenta a scrivere. Tutto qui. 

Però rispondo a tutti.

 

Chris: sto cercando di immaginarmi Xemnas in bermuda, sandali, camicia colorata, occhiali da sole e in mano un cocktail con ombrellino. Amabile ^O^

Chiariamo, io Xemnas me lo prenderai anche vestito da ballerina classica. Poi tanto lo sguscio.

 

Sì, lentamente i pezzi cominciano a confluire ^___^

Tutta la vicenda di Castel Oblivion è una delle cose più strane e inspiegabili del gioco. A partire dal colpo di stato di Marluxia e Larxene (Per mettersi al comando di dieci persone? Mi piacciono troppo per avere una così bassa considerazione di loro), per finire con l’assassinio di Vexen e Zexion, che Xemnas lascia impunito.

Cioè, Axel causa la morte di almeno due dei più indispensabili membri dell’organizzazione e Xemnas non fa una piega, invece di annegarlo?

E’ impensabile. Sarebbe come se un soldato eliminasse le risorse pensanti (e sanitarie) di un esercito in guerra perché ha voglia di fare lo spiritoso, e il capo di stato se ne stesse zitto. Minimo lo mette al muro. Come mi ha detto qualcuno, pianterebbe la sua testa su un picchetto davanti alle mura del castello, a monito per tutti gli altri.

O Axel è veramente molto più idiota di quanto già non lo considero, ma allora dovrei credere che anche Xemnas, Saïx, Xigbar e Xaldin siano idioti, e qui la cosa mi torna molto meno, oppure c’è una buona ragione per aver accettato l’assassinio di Vexen e Zexion, se non addirittura averlo ordinato.

E come ragione escludo categoricamente la perfidia di Xemnas o degli altri, che non mi pare assolutamente in carattere.

 

Atlantis Lux: cara, come avrei potuto, proprio io, non dedicare almeno un capitolo al terzetto scientifico dell’organizzazione? I più misteriosi e probabilmente sottovalutati di tutti i tredici. Passano l’uno per un vecchio isterico e pedofilo (?), l’altro per un gigante decerebrato e il terzo per un adolescente emo. Vengono uccisi prima ancora che cominci il gioco vero e proprio e, da quel momento, i nobody, che per anni hanno tenuto testa in tredici a non so quanti mondi, cominciano a perdere terreno. Ma va? Chissà come mai.

Poi mi piace Vexen. Tutti lo detestano, ma a me sta simpatico. Sarà sostegno di categoria. Oppure perché se quello che è stato fatto a lui, fosse stato fatto a un bel ragazzo, la storia sarebbe stata ben diversa. Basta vedere Demyx. E’ giovane, bello, simpatico. Non vuole combattere e sono Sora e i suoi amici che lo provocano e in pratica lo macellano. E’ diventato subito il beniamino delle folle. Eppure, almeno lui ha avuto la possibilità di difendersi, stava attaccando una città e in fondo Sora è un soldato nemico. Per quanto Demyx mi sia simpatico e Sora proprio no, capisco le sue ragioni. Non si fa la guerra a colpi di carinerie.

Vexen viene tradito e assassinato a sangue freddo, in un modo orribilmente sadico, da uno dei suoi a cui non ha fatto niente di male, per motivazioni del tutto inesistenti (se qualcuno conosce una spiegazione logica dell’omicidio di Vexen e Zexion, è pregato di comunicarmela, perché mi sto arrampicando sugli specchi). Il tutto dopo essere stato buttato allo sbaraglio da quell’amore di ragazzo di Zexion. Però Vexen non è molto giovane, non è bello e non è simpatico, ergo, diventa il cattivo. Non solo. Diventa un pedofilo, quando se c’è qualcuno che da quelle parti annusa i bambini un po’ troppo da vicino, non è certo lui.

Ma un giudizio meno cretino di quello fondato sull’aspetto, no, eh?

 

Ringrazio per il termine ‘alieni’. Sai, mi sono leggermente scocciata nel vederli rappresentati come adolescenti giapponesi. Ok nelle storie AU, ma che si comportino come adolescenti giapponesi anche nelle altre, no. Chissà se qualcuno si ricorda mai che non sono terrestri e manco della nostra dimensione.

Perché giapponesi, poi? Ah, già. E’ l’aspetto. Come non scambiarli per giapponesi?

Mi sta venendo voglia di fare una storia prendendo spunto da un kibbutz israeliano. Il socialismo reale applicato all’Organizzazione XIII.

 

Sorina_SA: ma ciao ^___^
Sono rimasta senza parole a un complimento come il tuo, anche se, lo ammetto, trovo alquanto deprimente che, in un fandom su un gioco dove si parla di universi paralleli, poteri mentali e guerre planetarie, si consideri ‘strana’ una storia che parla di… universi paralleli, poteri mentali e guerre planetarie ^O^

Con tutto il rispetto per i gusti altrui, mi viene sempre da chiedermi perché la gente si appassiona a un gioco fantasy-fantascientifico se poi, in realtà, è interessata a una cosa che con il contesto c’entra come i cavoli a merenda. Non fa più in fretta a guardarsi qualcosa di più in tema con i suoi gusti? Mah.

Io continuo a far saltare pianeti, che è meglio.

 

Ah, Riku, che tasto dolente è quel ragazzo. Che mi piace moltissimo, fra l’altro.

Sì, per me è assolutamente ipocrita, ma non ho detto che sia ipocrita verso Sora. Che Riku abbia fatto qualcosa di buono per qualcuno, anche se questo qualcuno è l’eroe della situazione, non vuol dire che non possa essere ipocrita. E’ ipocrita verso Xehanort (o Ansem o comunque vuoi chiamarlo. Insomma, l’heartless), verso i nobody che incontra, e nei confronti della sua stessa natura e dell'oscurità, per cui prova repulsione, ma che non esita a usare quando gli fa comodo.

 

Lieta di vedere che c’è un’altra da aggiungere al club di coloro che vorrebbero Naminé morta.

Purtroppo in questa storia non posso farle un granché, visto che riesce benissimo a farsi del male da sola. Cerco più o meno di restare in canon con le morti, ma non mi dispiace. Con tutta la fantasia macabra e trucida che mi ritrovo, non credo che sarei mai riuscita a pensare nulla di peggio, per lei ^___^

Quanto a Topolino non so ancora se lo farò apparire in prima persona, però esiste, eccome. Non posso proprio ignorarlo. E’ uno dei grandi artefici di tutto quello che è successo. La mente occulta dietro il trono. Il grande burattinaio. Il topo che volle farsi re. Oltre che il vero villain della situazione ^O^

 

 

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Capitolo 14
*** IX ***


Nuova pagina 1

 

 

IX

  

  

 E’ sdraiato sullo stomaco, un braccio ripiegato sotto il mento, la testa che quasi sporge dal bordo dello scafo. E’ scomodo, ma va bene così.

Le forme grigie scivolano nell’acqua con impensabile facilità, quasi che essa non eserciti resistenza sulle loro forme, quasi che nascano a ogni istante dall’acqua stessa. Si danno il cambio l’una con l’altra, ai fianchi dell’imbarcazione e davanti a essa, per farsi sospingere dall’onda di prua. Ogni tanto emergono, spezzando lo specchio turchese della superficie, e il loro respiro è uno sbuffo secco.

Continuano a non avere nome, ma hanno acquisito una natura precisa. Animali.

Si volta sulla schiena.

Il cielo è quasi bianco da quanto è luminoso.

Ci sono due figure, due persone. Non ne vede il volto. Sono solo sagome nere contro lo sfondo abbagliante di quello strano, strano, strano cielo.

 

 

* * *

 

 

La voce mentale di Xemnas lo ha svegliato - interrotto il sogno di mare verdeazzurro e sole e forme grigie - e chiamato nelle serre.

Si ritrova in una specie di caos ordinato, con nobody di ogni classe e almeno metà di loro già presenti, occupati a trasportare carichi, e gli altri in arrivo che, appena messo piede nel vivaio, sono subito al lavoro senza dire una parola. Tutti, da Xemnas ai crepuscolari. Persino Zexion, che non muove mai un dito se non per sistemare i suoi libri, i suoi computer e le sue macchine.

L’aria è talmente fredda che respirarla è come respirare vetri rotti. Vento glaciale, neve e frammenti di ghiaccio entrano a ondate da una spaccatura che si apre nella parete e nella cupola trasparenti.

La forza dell’inverno ha infranto le loro difese.

Solo Vexen, Xaldin e Axel non portano carichi, ma sono altrettanto impegnati. I primi due sono di fronte alla breccia. Vexen sta erigendo un muro di ghiaccio per sigillare le pareti crollate e il freddo che genera mentre opera si somma a quello atmosferico, ma persino per lui è una lotta. Per Vexen è semplice sottrarre calore dalle masse e congelarle, però qui deve combattere contro l’energia cinetica della bufera, che lo ostacola e frantuma il ghiaccio prima che si consolidi a sufficienza, e nemmeno l’aiuto di Xaldin, che cerca di dirigere i venti, gli rende il lavoro più facile. Axel è seduto nel centro della serra, a occhi sbarrati e allucinati. L’aria tremola intorno a lui, mentre cerca di mantenere la temperatura ambientale al di sopra del punto di raffreddamento mortale e limitare i danni ai preziosi organismi del vivaio.

 

C’è un suono, come il rumore di un apparecchio non sintonizzato intervallato da scariche di statica. Nemmeno il sibilo del vento e il frastuono di tutta quell’attività riescono a coprirlo. Non risuona nelle sue orecchie, ma nella sua mente. E’ fastidioso.

 

Di tanto in tanto qualcuno apre i sentieri delle ombre, quando trasporta qualcosa di massa limitata, ma gran parte del materiale è di dimensioni troppo grandi per permettere il teletrasporto, persino per Xigbar. Alcuni carichi sono talmente pesanti e voluminosi che occorrono due o tre di loro per essere spostati.

Ma, ugualmente, varchi oscuri si schiudono quasi senza interruzione.

Ne escono heartless.

Le ombre sono in numero insolitamente elevato. Qualcuna in giro per il castello c’è sempre, ma poche e, comunque, mai nelle serre e nei vivai, protetti come sono dai campi di contenimento più efficienti possibile e una sorveglianza continua.

 

Troppi heartless.

 

Insieme al freddo, l’Oscurità si riversa in ondate oleose dalla breccia.

Non è solo un cedimento strutturale della parete. Gli scudi protettivi che isolano il castello si sono indeboliti in corrispondenza alla spaccatura. Molti dei moduli vetrosi che generano i campi di contenimento sono anneriti. Altri sono sparpagliati a terra.

Roxas guarda in alto, verso i soppalchi e le piattaforme sospese ai vari livelli della serra. Retrocede per avere una vista migliore e per poco non finisce contro Xaldin. Irritato, l’uomo gli rifila un calcio. Si scansa, ma non con la solita prontezza e Xaldin riesce quasi a colpirlo.

Persino gli inferiori sembrano sibilargli contro stizzosamente. Il rumore diventa più forte e la testa gli fa male.

 

Qualcosa vuole entrare. Picchia contro le pareti indebolite.

Aspetta da tanti anni, sempre in attesa dell’occasione giusta per irrompere in questa fortezza di vita.

 

 

affamatoassetatoavidoimpaziente e picchia picchia picchia

 

 

Ci sono sempre più heartless. Si materializzano in ogni angolo, attirati dai Cuori degli animali e di quei vegetali che li possiedono. In questo Mondo sono i soli Cuori e, ora, con i campi di contenimento ridotti, gli heartless possono percepirli ed entrare nel vivaio.

Possono attaccare spontaneamente anche gli alti nobody, Roxas lo sa. Hanno attaccato lui nella città. Vero che, quel giorno, era solo e qui, adesso, sono in tanti, ma ci sono i Cuori, il fattore che cambia gli equilibri.

 

La breccia si allarga. I campi di contenimento si assottigliano.

La pressione nella sua testa aumenta. Quel ronzio continuo e stridente lo stordisce. E’ come essere un muro eretto contro il fronte di una tempesta. Un mare con onde sempre più alte e violente.

 

 

picchia batte martella colpisce insiste frange frange

 

 

“Stanno per attaccarci.” mormora.

“Che hai detto?”

 

Ha parlato più che altro a sé stesso, la voce appena un sussurro nella confusione, ma Saïx gli si inginocchia davanti.

Roxas si ritrova a specchiarsi in occhi gialli e perchéSaïxchiede?

Non riesce a sentire da solo?

Adesso lui quasi non sente altro.

 

 

frange picchiapicchia urta

 

 

“Roxas, che hai detto?”

“Gli heartless. Stanno per attaccarci.”

 

Il cacciatore si rialza, chiama a sé un gruppo dei suoi, distogliendoli dal loro lavoro, e li dispone nella serra.

 

“Togliete di mezzo questi sgorbi.” urla Larxene, con le braccia piene di contenitori, le ombre che quasi le impediscono di camminare.

 

 

urta colpisce spinge picchia spinge

 

 

Uno degli heartless finalmente attacca.

E’ sempre così. E’ sempre uno solo a cominciare. Tutti gli altri lo seguono.

Questo sceglie il bersaglio sbagliato quando sceglie Xaldin. Un raffica di vento solleva frammenti di ghiaccio e terra e investe l’heartless, cancellandolo. Ma l’attacco spezza la concentrazione di Xaldin.

Il rumore nella testa di Roxas diventa un ruggito.

 

 

spinge picchia picchia picchia frange rompe IRROMPE!

 

 

La parete cede, nonostante gli sforzi di Vexen. Un fiume di Oscurità si riversa dalla breccia e gli heartless si materializzano in ogni angolo del vivaio. Non più solo le piccole ombre. Anche gli esseri simili a lupi e creature anche più grandi, dagli esoscheletri corazzati. Esseri che fluttuano a mezz’aria, palloni con fauci irte di denti e tentacoli artigliati. Esseri di forme e dimensioni innumerevoli.

I nobody si ritraggono dalla massa montante. Da sotto i piedi di Vexen, si dirama un reticolo di gelo che vetrifica il pavimento e le pareti e trasforma l’aria in fumo bianco e pesante. La temperatura già glaciale cala a picco e il fiato diventa così condensato che sembra ovatta. Axel e Xaldin scompaiono e ricompaiono all’estremità opposta del vivaio per non essere catturati dal freddo.

Alcuni heartless e animali dimenticati nella serra, meno rapidi dei nobody, muoiono senza neppure cadere, trasformati in statue di ghiaccio. Piante aliene importate da decine di mondi si cristallizzano e si disintegrano in polvere brillante.

Gli impianti e le luci dipendenti da un sistema elettrico ronzano e palpitano. Alcuni saltano in fontane di scintille.

Xemnas e Xigbar si traslano ad armeggiare con l’impianto di controllo dei campi e sigillano il vivaio, imprigionando all’interno sé stessi e tutti loro. Adesso lo scopo principale non è più salvare il salvabile da questa serra, ma impedire che le ombre dilaghino e invadano tutte le altre.

 

I nobody si dividono appena inizia lo scontro. Agire uniti è innaturale, per loro, e in un tale momento di tensione non sono in grado di mantenere un comportamento che si scontra con le loro pulsioni più radicate. Anche gli inferiori, nell’attimo stesso in cui cade il controllo dei loro signori, la sola cosa che li obbliga ad aggregarsi, si disperdono a combattere ognuno per proprio conto.

In contrapposizione al modo caotico e individualista dei nobody, gli heartless si muovono in gruppi coordinati, circondano i nemici singoli e li dilaniano. Da soli non sono nulla, ma il loro numero è enorme e se il numero è sufficiente, persino le piccole ombre possono avere ragione di un nobody. Forse persino di uno di loro.

 

Marluxia urla qualcosa e la sua voce supera anche il frastuono.

Roxas non ha capito le parole, perché Marluxia ha parlato nella sua lingua natale e, quella, il ragazzo non la conosce, però il tono di allarme non ha bisogno di traduzione.

 

Una cosa più grande degli altri heartless si materializza nel centro della serra. Una massa di Oscurità animata che adesso si spiega languidamente in un groviglio di arti spinati e tentacoli sferzanti e diramati - una piovra che esce da un buco nella scogliera - velato da fumi e vapori di tenebre.

Saïx, che ha perso ogni sembianza umana, ma che è anche il solo ad aver mantenuto il controllo della sua corte, circonda con i suoi il gigantesco essere nero.

 

Ci sono voci nel rumore di fondo mentale, quel fruscio di statica che non è mai cessato, solo variato in intensità.

Una cacofonia di voci.

Voci sottili.

Voci profonde.

Voci stridule.

Voci che trasmettono un significato, anche se non trasmettono parole.

 

 

mostro mostro mostromostromostro

 

 

Poi arrivano le sensazioni.

Roxas le conosce bene. Le sente sempre, su tutti i mondi dove liberano le tenebre, quando gli abitanti fuggono davanti alla loro morte, in cerca di una salvezza che non esiste.

Le sensazioni sono quelle. Solo, molto più forti.

 

 

mostromostromostro

 

 

Roxas fende il mare di Oscurità per seguire le voci e trova Zexion.

E’ solo e disarmato. Heartless di ogni dimensione lo accerchiano. Decine e decine. Artigli sguainati e taglienti e fauci fameliche. Lo scienziato non può muovere un passo.

 

Le ombre urlano.

Le ombre hanno voce.

Le ombre vorrebbero scappare.

Sono immobilizzate, tutte quelle che minacciano Zexion e quelle abbastanza vicine, anche se non interessate a lui. Non sono pietrificate. Si dibattono e gridano con le loro voci ultrasoniche. E’ come se i loro arti non siano più in grado di funzionare, come se non sapessero più come comandare al loro stesso corpo di portarle via da dove si trovano.

 

 

mostromostromostromostro

  

 

Zexion non appare neppure interessato alla loro presenza. Ma lui non ha bisogno di guardare il nemico, o essergli vicino, o avere un contatto materiale con esso.

Tutto quello che gli serve è il suo pensiero e i suoi sensi e il pensiero e i sensi del nemico.

In mezzo agli heartless che lo circondano, c’è anche uno di quelli più grandi, uno di quelli corazzati. E’ il solo a muoversi. Afferra le ombre e le dilania, facendole a pezzi come se strappasse fogli di carta.

 

 

mostromostromostroassas…

 

 

C’è incredulità nello stridere delle ombre paralizzate, mentre il loro fratello le falcia una a una. C’è orrore nel pensiero dell’heartless, costretto senza volerlo e senza potersi opporre a sterminare i suoi simili.

Quando non restano più ombre sulla sua strada, il grande heartless inizia a squarciarsi i propri stessi arti con le fauci.

Zexion non ha alterato le percezioni dei nemici per farli vivere in una realtà fittizia e obbligarli ad agire facendo loro credere di fare altro. La volontà di quegli esseri non gli è di nessun ostacolo, non ha necessità di sprecare forza con gli inganni. Ha preso possesso di loro nel modo più diretto. Non della loro consapevolezza, ma solo delle funzioni cerebrali che muovono il corpo. Li manovra come un burattinaio tira i fili delle sue marionette e le creature sono del tutto coscienti di quello che succede loro.

 

Roxas si lascia dietro l’heartless che cannibalizza sé stesso, metodico e implacabile, e si rivolge al resto della serra.

In mezzo alla confusione e alla frenesia, c’è un’oasi di movimenti lenti e misurati. Quasi un balletto.

Saïx e il suo gruppo hanno usato la stessa strategia dei loro nemici. Hanno separato l’heartless dallo sciame e lo hanno bloccato fra i moduli residui dei campi di contenimento, che interferiscono con la sua capacità di teletrasporto e la sua frequenza vitale. L’effetto controproducente è che nemmeno loro possono efficacemente teletrasportarsi in quell’area limitata.

L’essere è in trappola, ma questo non vuol dire che sia sconfitto. La mole lo fa apparire lento e goffo, però reagisce con una rapidità che contrasta con le sue dimensioni e sostiene validamente l’attacco degli aggressori.

L’intera scena appare paradossalmente statica. L’heartless si limita a girare su sé stesso per non scoprirsi ai nemici. Anche i nobody si muovono con calma, quasi rilassati, quasi ponderati. Gli camminano intorno in ampi cerchi finché non attaccano con accecante rapidità e, quasi altrettanto rapidamente, l’heartless li respinge. Talvolta è lui a caricarli e loro a schivare.

E’ come se tutti i contendenti non vogliano sprecare movimenti. A ogni modo, la creatura nera non lascia loro il tempo né lo spazio di manovra necessari ad attaccarlo con efficacia. Saïx e i suoi riescono a danneggiarlo superficialmente, ma devono subito arretrare prima di essere colpiti a loro volta.

Finora, l’agilità e i riflessi fulminei dei nobody hanno permesso loro di non essere feriti, ma non sono riusciti ad aprire la guardia del nemico e stanno solo sprecando forza ed energia, così.

 

Roxas reprime l’impulso di unirsi a loro. Otterrebbe solo di essere attaccato da tutti i presenti. Una delle prime cose che ha imparato è che interferire con uno schema di caccia di Saïx vuol dire solo esserci istantaneamente incluso come preda. Comunque, ci sono schiere di heartless da sterminare, tanti da riuscire a stancare persino lui.

Anche mentre combatte senza pausa, continua a essere attento a Saïx e alla sua battaglia.

 

Uno dei nobody si avventa contro il gigante in un assalto frontale e cieco che contrasta con il comportamento prudente tenuto fino a quel momento. L’heartless lo avviluppa in un intreccio di tentacoli e aculei e lo dilania, ma così facendo si scopre e il resto dei nobody riesce finalmente a raggiungerlo.

Saïx si avvinghia alla schiena della creatura e affonda le mani artigliate nella carne nera, all’articolazione fra il torso e l’escrescenza deforme che è la testa.

L’Oscurità si allarga intorno all’heartless. Saïx chiama a sé la luce, una cascata azzurra che spazza via le tenebre.

L’essere si scuote in preda a contrazioni cloniche, i tentacoli sferzano in modo convulso e Saïx è costretto a lasciare la presa prima di essere afferrato da quegli arti micidiali. Salta a qualche metro dall’heartless e anche i suoi cacciatori si allontanano.

L’essere nero scrolla la testa, si lascia cadere sulle quattro zampe e muove alcuni passi con quei movimenti grotteschi, con quegli arti che si piegano ad angoli impossibili, come se fossero stati spezzati poi rinsaldati nel verso sbagliato, quella bocca che quando si apre è solo un dispiegarsi di fauci protruse. Poi, crolla in un groviglio di tentacoli flagellanti e una pozza di Oscurità e si svapora.

 

Termina all’improvviso.

Gli heartless superstiti svaniscono tutti insieme, non appena cade il loro fratello maggiore.

La volontà cieca e impersonale e insonne che vuole la loro fine si ritira. E’ stata respinta ancora una volta. Respinta, non sconfitta.

Non è finita, naturalmente. Lo squarcio nella parete è ancora aperto, il freddo continua a uccidere le preziose piante e innumerevoli nobody sono morti e per i nobody ogni singola perdita è un disastro.

 

Larxene si è lasciata cadere a terra, a pochi metri da dove si trova lui.

Lo fissa. Anche lei ha sentito quella cosa sibilare, anche lei sa che è sempre là fuori. Che ritenterà ancora, tutte le volte che si presenterà un’occasione. Anche lei sa che sono ancora sotto assedio.

La ragazza si guarda le mani, il coltello variopinto che stringe stancamente fra le dita. Lo pianta con violenza a terra e l’aria crepita leggermente. Le luci elettriche muoiono definitivamente.

 

 

* * *

 

 

Due dita d’acqua sporca e ghiacciata ristagnano in pozze fangose, insieme a resti vegetali che stanno già marcendo, arsi da calore e fulmini, impregnati d’acqua, distorti da alterazioni dimensionali.

C’è ghiaccio dovunque. Buona parte dei vegetali rimasti nella serra sono gelati e ci sono ancora le carcasse irrigidite di alcuni animali.

 

Con la fine della battaglia, Roxas non ha più niente da fare. Ha trovato un buon punto di osservazione accanto alla parete esterna, fra un gruppo di arbusti coperti da grosse bacche rossastre, e si è seduto a terra a gambe incrociate, a osservare l’attività intorno a lui.

Diversi crepuscolari sono intenti a rafforzare le impalcature che sostengono le colate di resine trasparenti con cui hanno sigillato la breccia.

Xaldin e i suoi famigli stanno facendo il lavoro pesante di pulizia e l’inventario dei danni subiti.

Demyx se ne sta solo seduto su una mensola mezza distrutta e strimpella una nenia pentatonale con una specie di chitarra che ha recuperato in uno degli ultimi mondi visitati, il che dà un sottofondo musicale al tutto. Un po’ noioso, forse, ma gradevolmente rilassante. Però il ghiaccio che ha pietrificato la serra si sta liquefacendo lentamente e scorre in rivoli sul terreno.

Inginocchiato a terra, Marluxia sembra in trance. Posati sulle sue mani, spalle e gambe, ci sono piccoli insetti simbionti dei vegetali.

Ce ne sono tanti, di quegli insetti. Sono di un verde intenso, con occhi d’oro. Anche le ali trasparenti hanno una sfumatura verde. In qualche modo, sono riusciti a salvarsi dal crollo delle pareti e dall’invasione degli heartless e adesso escono di nuovo ad appropriarsi del loro mondo in bottiglia. Volano liberi nella serra e si sono posati un po’ dovunque, anche addosso ai nobody, attirati dal loro calore, anche se la maggior parte sono vicini al manipolatore di Vita.

Comunicano fra loro.

Marluxia riceve le configurazioni dei vegetali incorporati nei codici genetici degli insetti, e trasmette loro nuove catene di informazioni, sequenze di ordini che plasmeranno le prossime generazioni, che serviranno da congiunzione con i vegetali. Anche con le loro menti minuscole, gli insetti possono comunicare, ma il flusso di informazioni avviene per via genetica e si riversa di generazione in generazione, piuttosto che fra individui.

A Roxas sembra un sistema complicato e neanche troppo funzionale di esistere. Ma, messa di fronte a diverse possibilità, pare proprio che la vita scelga sempre i sentieri più contorti e complessi.

Lexaeus è occupato a misurare il pH del terreno e l’umidità dell’atmosfera di una serie di vasche sigillate, contenenti campioni a diverse variabili ambientali.

Il vivaio è ricolmo di vegetali di ogni specie. Vegetali bianchi originari del mondo buio, che non utilizzano l’energia della luce, ma quella delle sorgenti geotermiche che scaldano questo pianeta senza sole. Vegetali alieni di molti colori, da fragili alghe allevate nelle vasche a grandi alberi con fiori e frutti. Ibridi di ogni genere, che non esistono in nessun altro luogo dell’universo. E, oltre i vegetali, ci sono animali e altri organismi.

Gli ospiti del vivaio li forniscono di cibo, farmaci e materiali. Anche se continuano a razziare altri mondi, adesso sono molto più indipendenti e diventano più indipendenti di giorno in giorno, ogni volta che ottengono un nuovo esemplare. Le creature native sono forti e tenaci, ma la loro chimica è incompatibile con quella di quasi chiunque loro. Gli organismi alieni sono indispensabili per tentare di ottenere incroci capaci di sopravvivere nell’ambiente del loro mondo e anche di fornirli di prodotti utilizzabili.

Prima o poi, potrebbero riuscire a ottenere creature in grado di colonizzare persino le terre fuori dalle oasi, capaci di riportare vita nel deserto. Per adesso, molte delle creature del vivaio sono fragili, non adatti alle condizioni naturali del pianeta nero.

Lexaeus è il principale responsabile delle loro salute e della coltivazione. Dall’arrivo di Marluxia, ibridi più resistenti e vitali hanno cominciato a invadere le serre, anche se il giovane sembra trovare vagamente indecente l’idea di una crescita controllata. Lexaeus, però, è rimasto il vero padrone dei vivai.

Svariati nobody di rango inferiore sono al loro cospetto, già occupati o in attesa di ordini. Una di loro, una delle delicate danzatrici di Demyx, si è accoccolata di fronte a Roxas, nella sua stessa posa, quasi un’ombra speculare e deforme del ragazzo.

 

“Gli esemplari vitali dei ceppi EE-703CTAGAACTG e RU-012GTTAGTGCA sono persi. Ho recuperato i genomi.” mormora Marluxia con voce meccanica.

 

Roxas si allunga e raccoglie un frutto da uno dei vegetali che lo circondano.

Mordicchia lo strato di ghiaccio che ricopre la bacca e arriva alla pelle. Quando la rompe, il ghiaccio si riempie del succo del frutto, che è aspro, con solo una punta di dolce, non tanto da disgustarlo, ma abbastanza da contrastare il sapore agro. Arriva alla polpa, freddissima e lievemente fibrosa, resa più compatta dal gelo. E’ uno dei frutti che preferisce ed è più buono così, ghiacciato.

La danzatrice di fronte a lui lo imita e raccoglie un’altra bacca.

L’incessante mormorio mentale della creatura è come un canto, come il ruscellare dell’acqua fra le pietre.

 

“E’ il tuo primo inverno.” dice Demyx, e gli sorride “Cose simili capitano tutti gli anni. Capita anche di peggio. Se ce la caviamo solo con una serra sfondata, va bene. Un anno, abbiamo dovuto passare mesi nella città, perché tutti i sistemi di supporto vitale del castello erano saltati.”

 

Demyx sorride in continuazione e Roxas non sa cosa voglia dire. La maggior parte delle loro espressioni non hanno significato, per lui. O hanno un significato che non riesce a definire con precisione.

Quasi tutti loro sorridono.

Zexion sorride per ingannare, ma sorride anche se riesce ad arrivare alla soluzione di un problema, oppure quando trova qualcosa di interessante.

Anche per Xemnas e Lexaeus è così, ma Xemnas sorride molto meno di Zexion e Lexaeus non usa il sorriso come una trappola. O lo fanno e lui semplicemente non lo sa, perché non li conosce quanto conosce Zexion.

Xigbar sorride per schernire e Xaldin non sorride mai. Almeno, non lo ha mai visto fare niente del genere.

Saïx sorride per minacciare. Lui è il più coerente di tutti.

Vexen non sorride, però è capace di ridere.

Luxord sorride spesso, un sorriso appena accennato. Una volta che Roxas gli ha chiesto perché lo fa e cosa significa, ha risposto che non c’è ragione. Non è vero. Qualsiasi azione è dovuta a una causa, quindi non può essere senza ragione. Luxord non gli ha chiarito nulla.

Axel ha tanti modi di sorridere e anche di ridere. Anche il sorriso di Axel è una minaccia.

Marluxia e Larxene sorridono per tutti i motivi degli altri, però hanno anche un altro sorriso, uno che riservano solo l’uno per l’altra, e quello è diverso. Roxas non sa perché, ma è sicuro che sia diverso.

Demyx sorride quasi sempre e, se non sorride, è facilissimo indurlo a farlo.

Il suo sorriso è sempre uguale. Lo ha visto sorridere come ora sorride a lui anche mentre sollevava gli oceani a travolgere terre e città.

Anche nei Mondi si sorride per molti motivi.

Su mondi diversi lo stesso sorriso può avere significati opposti. Ci sono pianeti dove la gente si vergogna a sorridere e si nasconde dietro le mani o dietro gli abiti, quando lo fa. Mondi dove è un crimine sorridere per strada. In altri, è un crimine non sorridere.

Per questo lui non sorride quasi mai. Ci prova, qualche volta, per sperimentare. Non è difficile. Difficile è capire quando farlo e perché.

Un’espressione così indeterminata non può significare molto. Oppure significa troppe cose differenti.

Complicato. Come il sistema di comunicazione degli insetti verdi.

Impreciso. Ingannevole.

 

Non sa perché Demyx gli stia sorridendo, né perché gli abbia detto quella cosa. Sospetta che lo creda spaventato o sconvolto da quello che è successo e che stia cercando di rassicurarlo. Forse scambia il silenzio di Roxas per un incoraggiamento, visto che continua.

 

“Certe volte, l’inverno è così violento che altera i campi gravitazionali e geomagnetici tanto da impedire di usare i sentieri delle ombre. L’inverno scorso, io e Maru ci siamo anche persi. Per poco non siamo finiti nel deserto di neve.”

 

Marluxia continua a riversare nella sua mente le configurazioni genetiche dei vegetali estinti senza dar segno di avere sentito pronunciare il suo nome.

Lexaeus continua il suo lavoro, instancabile.

Roxas continua a non fare niente.

Sta diventando bravissimo in quello. In pratica, se non combatte o non sta studiando, non ha nulla da fare. Gli altri sanno sempre come agire. Lui, solo se qualcuno gli dà istruzioni.

Dal punto di osservazione dove si trova, l’intera città si spiega sotto di loro in un mare di luci colorate, confuse da ondate di neve e pulviscolo di ghiaccio sollevate dai venti.

La bufera imperversa da giorni, al punto che non è quasi più possibile uscire all’aperto. Persino lui ha interrotto i suoi vagabondaggi nella città nera e il solo che osa mettere naso fuori dalla base senza esitazioni è Vexen.

 

“Perché c’è una città? C’erano altre persone, qui, prima di noi?”

Lexaeus annuisce.

“Sul pianeta c’era una razza senziente. Circa diciotto milioni di anni fa, questo universo si è intersecato con un grappolo di universi remora. L’intersezione ha causato lo slittamento della dimensione più al largo nella Distesa Oscura. Le conseguenze entro il Mondo hanno compreso una serie di catastrofi cosmologiche che sono ancora in pieno svolgimento. Collisioni galattiche, evoluzioni stellari accelerate, alterazioni gravitazionali. Le stagioni del nostro mondo sono provocate proprio dai flussi di queste anomalie. Sei milioni di anni fa, questo pianeta è stato avulso dall’orbita solare. Non sappiamo se gli abitanti siano riusciti a fuggire oppure si siano estinti. Nei documenti che restano, non abbiamo trovato traccia di cosa sia successo loro. Gli schermi del Grattacielo della Memoria sono la sola cosa originale preservata integra e indicano che possedevano conoscenza dei Mondi e di come entrarne in contatto. Non sappiamo se sapessero anche viaggiarci. Sulla superficie del pianeta ci sono le rovine di molte altre città, la maggior parte nel deserto. Questa è una delle pochissime in un’oasi geotermica. Quando l’abbiamo trovata, era solo un mucchio di rovine, molto meno ben conservate di quelle che si trovano nel deserto. Le condizioni che permettono la vita sono anche causa di degrado. All’inizio ci vivevamo anche noi e avevamo sistemato quegli edifici dove risiedevamo. Gli altri nobody si sono appropriati dell’intera città, l’hanno ricostruita e la tengono in ordine.”

 

Ha risposto e Roxas non si è aspettato niente di diverso. Rispondono sempre quando chiede informazioni sullo svolgimento o il meccanismo di un fenomeno fisico. Rispondono in modo chiaro, preciso, esplicativo. Se chiedesse, probabilmente Lexaeus sarebbe capace di spiegargli in dettaglio come si è addensato lo sciame di universi remora che ha intersecato questa dimensione e le conseguenze generate da quell’evento.

No, non gli nascondono mai informazioni simili.

 

“Perché lo hanno fatto?”

“E’ difficile capire le ragioni dei nobody inferiori. Forse vogliono solo ricordare quando avevano un posto tra gli esseri viventi e sulle terre.”

“La vita ha posto per tutti.” Marluxia. Naturalmente è stato Marluxia a parlare “La vita ha posto per tutti e la terra accetta chiunque. Sono le persone a decidere che qualcuno non deve avere posto, sono le persone a convincersi di non avere posto, ma nella vita c’è posto per tutti coloro capaci di guadagnarselo e tenerselo, il posto. Non incolpate la vita delle vostre ossessioni.”

“Marluxia, se hai finito, puoi andare.”

Il giovane appare intenzionato a ribattere, ma Lexaeus non gli lascia il tempo per farlo.

“Puoi andare. Grazie per il tuo aiuto.”

 

Marluxia si alza di scatto. Lexaeus non avrebbe potuto trovare modo più esplicito e semplice per imporre il silenzio e Marluxia non può fare altro che obbedire e allontanarsi, bandito dalla serra.

Si è addentrato in quell’area di affermazioni deplorevoli, così come tante volte sconfina in quell’area di azioni deplorevoli, quelle che causano risposte evasive o reazioni inaspettate.

Non nascondono mai informazioni sui fenomeni naturali, ma altre cose non possono essere dette.

 

La danzatrice allunga un arto disossato per sfiorare timidamente una mano di Roxas.

Di solito quella variante non è così temeraria da avvicinarsi tanto spontaneamente a uno di loro, tranne che a Demyx. Costei sembra diversa, più ardita.

Gli hanno insegnato che quelli come lei non hanno mantenuto una vera individualità, che sono solo macchine viventi, ma Roxas ha la sensazione che agli altri, persino agli scienziati, non piace avere a che fare con gli inferiori. Fanno parte di loro stessi, li studiano, sanno chi sono, quello che sono e cosa fanno, ma preferiscono non approfondire troppo la conoscenza di loro.

Quindi, forse, questa non è affatto diversa e tutti loro hanno una propria personalità, solo che nessuno vuole riconoscerlo.

Pensano, parlano, anche se solo con il linguaggio telepatico. Sono abbastanza intelligenti da pilotare navi, condurre eserciti e avere deciso di ricostruire una città morta. Perché non potrebbero avere una personalità?

Come l’heartless che innesca l’offensiva.

Gli heartless sommano la loro volontà e, poco per volta, si forma la gestalt. Occorre il numero, occorre la motivazione, ma occorre anche un’altra cosa. Uno di loro deve rompere l’attesa e agire. Fino a quel momento, lo sciame è in uno stato embrionale e indefinito. Poi uno di loro, di solito una delle piccole ombre, attacca e quello è l’elemento finale che catalizza il consolidamento della volontà collettiva. Solo allora gli heartless si muovono con una sola mente.

Ma quel singolo heartless agisce individualmente.

Roxas vorrebbe davvero capire qual è la differenza che fa sì che a decidersi sia proprio quell’essere in particolare e non quello accanto, in apparenza del tutto identico.

Lo fa perché non sono identici. Nemmeno le ombre sono tutte uguali.

Allora, a maggior ragione, non è possibile che lo siano i nobody.

 

La voce mentale della danzatrice adesso è solo una canzone senza senso.

Non è che non capisce le parole, perché la comunicazione telepatica supera le barriere della lingua. Non capisce il significato.

La nobody canta di una piccola stella e della notte che avanza e di cose – creature? – che devono dormire e non dormono.

E’ tutto comprensibile, i termini e persino le frasi, ma, insieme, non comunicano nessuna informazione. Un elenco di asserzioni a casaccio, un discorso fine a sé stesso.

Rivolge un pensiero interrogativo alla danzatrice e in risposta riceve solo qualche immagine e sensazione, quello che si ottiene sempre da quelle creature quando si fa loro una domanda così vaga.

 

 

Sole e caldo. Una giovane donna con capelli biondi legati in un nodo allentato sulla nuca cammina fra erba alta e dorata. Tiene per mano un bambino.

Il lungo abito di velo verde striscia in terra e si impiglia fra gli steli scricchiolanti della vegetazione. Lei si china a raccoglierlo, scoprendo le gambe abbronzate.

 

 

“Lexaeus…”

 

L’uomo lo degna di una breve occhiata, nel suo modo di dire che lo ascolta.

 

Zexion lo ha avvertito di essere cauto con le domande. Ma non è una domanda personale ed è Lexaeus, questo. Al massimo, se considera inappropriata la sua curiosità, si limiterà a tacere e, a volte, il silenzio è una risposta evidente. Roxas lo sa bene. Anche lui usa quel sistema.

Poi, ci sono cose più importanti che dare retta alla prudenza.

Avere le risposte che si chiedono, ad esempio.

 

 

Sono arrivati al mare.

Grandi statue disposte in fila sulla spiaggia bianca di sale, gli occhi fissi sull’orizzonte. La luce si riflette sulla loro superficie di metallo.

 

 

“Zexion mi ha raccontato la storia di Radiant Garden e di voi sei, però ci sono cose che non capisco. E’ successo tutto dieci anni fa, vero?”

“Quasi.” puntualizza inutilmente Lexaeus.

“Ma i popoli dei Mondi sanno dei nobody. Anche Mondi dove non siamo mai andati. Sembra che ci conoscano da molto più tempo. Sembra che sappiano sempre cosa siamo. E’ sempre stato così?”

“Sì.”

“Fin dall’inizio?”

“Fin da quando ho ricordi. Quando mi risvegliai, gli altri erano intorno a me. Mi avevano trovato subito e mi avevano portato via, in un luogo che usavano come rifugio. Noi siamo riusciti a scappare, oppure siamo stati trovati da altri nobody prima che gli abitanti del pianeta ci scoprissero. Non so come ci siano riusciti Xemnas e Xigbar, che sono stati i primi. Non lo hanno mai detto a nessuno e nessuno ha mai avuto il coraggio di chiedere come sono stati quei loro primi giorni, soli.”

 

 

Il bambino nuota nel mare di un blu che è quasi viola. La donna cammina più vicino alla riva e raccoglie conchiglie. Il vestito si allarga nell’acqua intorno a lei.

 

 

“E’ stato così per tutti?”

“Mandalo via, Lexaeus.” interviene Xaldin.

“Xaldin…”

“C’è del lavoro da finire. Non abbiamo tempo di stare dietro anche a lui.”

“Parla con me.” mormora quietamente Roxas.

“Prego?”

“Parla con me, se hai qualcosa da dirmi.”

 

Lexaeus abbandona il suo lavoro e si siede vicino a Roxas. Non tanto da allontanare la danzatrice, quanto basta per mettersi tra il ragazzino e Xaldin.

 

“Per due di noi, le cose sono andate diversamente.” comincia “Gli umani avevano trovato Saïx per primi, lo avevano aggredito e lui si era difeso. Aveva ucciso tutti coloro che lo avevano attaccato, anche se era in condizioni tali che abbiamo creduto a lungo che non sopravvivesse. Ma era il primo, oltre a noi, e Xemnas si era intestardito a tenerlo in vita e, quando Xemnas decide qualcosa, nessuno riesce a fargli cambiare idea. Alla fine, ha avuto ragione.”

 

Xaldin li osserva entrambi per ben più di qualche istante, gli occhi colmi di impersonale curiosità. Alla fine, si teletrasporta in uno dei piani superiori per continuare il suo lavoro.

Roxas non ha avuto alcuna intenzione di allontanarsi e non sarebbe certo stato Xaldin a piegarlo. Fa tutto quello che gli dicono di fare e, se non gli assegnano compiti, non ha intenzione di giustificarsi, né di andarsene da dove vuole stare. Il problema è loro, non suo.

 

“L’altro chi è stato?”

“Zexion. La sua storia è simile. Si era materializzato in una piccola comunità della Terra del Crepuscolo. Hai visto cosa ha fatto oggi alle ombre? Gli abitanti di quella città erano nelle stesse condizioni. Tutti, dal più vecchio all’ultimo dei neonati. Si strappavano la loro stessa carne a morsi e con le unghie, o lo facevano l’un con l’altro. Nessuno emetteva un solo suono, né Zexion, né gli altri. Anche quando abbiamo allontanato Zexion, loro hanno continuato. Ricordo un uomo picchiarsi una pietra contro il viso, sino a quando non aveva più una faccia, ma un buco. Era morto e continuava a compiere lo stesso gesto. Noi sappiamo solo come gli esseri completi si comportano nei nostri riguardi, sentiamo quello che dicono. Zexion sa anche cosa pensano di noi. Sa cosa provano quando ci vedono. Avevano deciso che era un mostro. Si era comportato di conseguenza. Avevano pensato a lui come a una cosa meno che umana. Li aveva trasformati in quello che pensavano lui fosse. Corpi prigionieri di un pensiero forzato in loro.”

 

Roxas avvicina la sua perfetta e modellata mano umana, forte ed efficiente, all’arto deforme della creatura biancastra, poco più di un tentacolo percorso da una cresta tagliente.

Non c’è differenza esteriore fra lui e uno degli abitanti umani dei Mondi, ma è questa la sua vera sorella, più simile a lui di quanto non potrebbe mai esserlo chiunque di loro.

Lei non è stata capace di mantenere l’aspetto originale. Non è stata abbastanza forte e ha preso la forma di questo abbozzo di essere vivente. Eppure, ricorda il suo passato.

E’ stata abbastanza forte per quello.

 

 

Seduta fra la sabbia, la donna stende un telo di porpora.

Il bambino intreccia un bracciale di fili d’erba e lo infila al polso della madre.

 

 

Lexaeus sta raccontando più di quanto non ha chiesto e lo sta facendo per proteggerlo da Xaldin, o per proteggere Xaldin da lui. Dipende da quali sono le priorità dell’uomo.

Non gli interessa. Le ragioni di Lexaeus non hanno importanza. Importa solo la storia.

Deve essere cauto con le domande, ma nulla può impedirgli di ascoltare quando il racconto è offerto spontaneamente.

 

“Di coloro trovati prima dagli esseri completi che da noi, loro due sono stati i soli a salvarsi e si sono salvati solo perché entrambi erano già dotati di grandi capacità difensive. Ienzo era un potente telepate anche prima di diventare nobody e quanto a Saïx, la sua specie d’origine è molto più forte, agile e veloce della maggioranza delle razze umane, e possiedono zanne e artigli. La trasformazione ha magnificato queste doti, ma non ha dato loro nulla di nuovo. Sapevano come difendersi e lo hanno fatto, usando le capacità che erano loro naturali, solo che non erano più limitate come quando erano mortali e nessuno di coloro che li ha attaccati è sopravvissuto. Ci sono stati altri, oltre a noi tredici. Alcuni li abbiamo trovati in tempo, ma non sono riusciti a mantenere la forma e sono degenerati in forme inferiori o sono morti nel corso degli anni. Qualche volta, quelli che abbiamo trovato erano in condizioni tali che abbiamo preferito sopprimerli noi stessi. Per gli inferiori è anche peggio.”

 

La danzatrice gli stringe le dita. La sensazione tattile è quella di gomma tiepida. Il tocco inaspettatamente piacevole.

La voce telepatica si fa più forte e chiara, e porta con sé il ricordo di mani.

 

 

Sbattono l’una contro l’altra. La mano destra della donna contro quella sinistra del bambino. Quella destra del bambino con quella sinistra della donna.

Mano contro mano, palmo contro palmo.

 

 

“Se sono solo dieci anni… mi sembra troppo poco per aver causato una conoscenza così diffusa di noialtri. Sembra che ci sia qualcosa che non ricordano consapevolmente, fino a quando non hanno a che fare con noi. A quel punto, scatta un meccanismo che li spinge a essere nostri nemici.”

 

Lexaeus sospira fra sé. Sa a quale conclusione sta per giungere Roxas e non può dire di essere del tutto sorpreso. Il ragazzo è abbastanza intelligente da percepire la contraddizione.

Roxas tiene le mani intrecciate a quelle della danzatrice e la nobody appare del tutto soddisfatta della sua attenzione.

Onestamente, Lexaeus non sa cosa stiano facendo. Giocando? Comunicando?

Qualunque cosa sia, i due sembrano piuttosto intenti. 

Se ne stanno così da parecchio. La danzatrice ha interrotto il suo lavoro per accostarsi al ragazzo e non lo ha più ripreso. Dovrebbe ordinarle di ricominciare, ma è più interessante osservarli e un aiuto in più o in meno non è che faccia poi questa grande differenza.

Quegli esseri deformi cercano sempre la loro vicinanza. Pare provino conforto a restare al loro fianco, qualcosa che va oltre la necessità concreta. E, anche se buona parte di loro tratta i nobody inferiori come niente altro che oggetti da usare, ci sono anche coloro che sembrano nutrire vero concerno per le miserabili creature. Xaldin ha più rispetto per le sue truppe che per chiunque altro. E Demyx, anche. Ma lui tratta con riguardo e gentilezza qualsiasi nobody, dal più basso degli inferiori a Xemnas, quindi non fa testo.

Però ci sono anche coloro che sembrano vergognarsi all’idea di essere loro simili, proprio come alcuni esseri umani sembrano vergognarsi di essere animali, anche se a nessuno è mai venuto in mente di distruggerli. Sono armi, molto più efficienti di qualsiasi meccanismo, capaci come sono di pensare e adattarsi con la velocità degli esseri senzienti. Non bisogna sprecarli, perché è difficile sostituirli. Armi preziose, e nessuno con un po’ di buon senso cercherebbe di rovinare le proprie armi perché se ne vergogna.

Roxas non ha mai abusato di loro, ma non si è neppure mai fatto il minimo scrupolo nel lanciarli in attacchi suicidi contro i bersagli più pericolosi.

Armi. Nient’altro.

Però non si comporta con la danzatrice come farebbe con un’arma.  

E’ qualcosa che ha già notato in precedenza. L’adolescente non prova l’inquietudine, per quanto minima, che tutti loro hanno di fronte a quelle creature. Non ha alcuna esitazione a interagirci ed è il solo a poter controllare i guerrieri che formano il suo esercito personale, una variante particolarmente aggressiva e tenace che nessuno è mai stato in grado di assoggettare. Ma lui ne ha preso subito il comando e li domina con pugno ferreo.

Per Roxas i nobody sono semplicemente parte della realtà, come il cielo, la terra, le piante. Non esclude che, per lui, siano molto meno bizzarri e alieni degli umani.

 

“Siamo esistiti già da prima.” mormora il ragazzino fra sé, quindi alza la voce “Siamo esistiti da prima che voi cominciaste le vostre ricerche.”

 

Dimmi chi siamo.

 

“I keyblade… Qualcuno deve pur averli creati.”

 

E’ a questo a cui vuole arrivare. I keyblade e sé stesso.

 

Dimmi chi sono.

 

“Naturale. Non si sono generati spontaneamente. Ma non sappiamo chi, né perché.”

“Per combattere noi.”

“Potrebbe anche essere solo un effetto collaterale secondario. Non presumere che i keyblade siano stati forgiati specificatamente per distruggere i nobody o gli heartless.”

“Però è possibile.”

“Sì, è possibile.”

“Se fosse così, vorrebbe dire che noi siamo già esistiti. Altrimenti non si spiega perché in ogni Mondo ci sono storie e leggende e perché loro sanno della nostra esistenza, anche se non sanno di saperlo. E’ come per i keyblade.”

 

Di più.

 

“Forse i custodi sono la stessa cosa dei nobody. Ci sono stati molti custodi, Lexaeus. Io li ho visti.”

 

Dimmi di più.

 

“Ce ne sono stati molti nel passato. Ce ne sono anche adesso?”

 

Prima o poi, ci sarebbe arrivato e ora è impossibile rispondere con una menzogna troppo evidente. Dirgli di no gli darebbe solo la conferma dell’inganno.

 

“Sì, Roxas. Anche adesso. Non sei il solo, anche se sei il solo in grado di controllare due keyblade alla volta.”

“Gli altri chi sono? Li conosci? Sono nobody?”

“Abbiamo notizia solo di un altro custode e non è un nobody, o sarebbe fra noi. Non lo conosco.”

“Allora come sai che solo io ho due keyblade?”

“So che esiste un altro custode, oltre a te. So quello che fa. Non lo conosco di persona.”

 

Tecnicamente, è la verità. Comunque, gli sta mentendo.

Mente e non è certo che Roxas non sappia che mente.

 

Dimmi quello che ho bisogno di sentire.

 

“Vorrei parlargli.”

“Lui vorrebbe solo ucciderti.”

“Forse non lo farebbe, con me.”

 

Forse anche lui sta cercando di capire chi è, cos’è, perché è toccato proprio a lui.

 

“Lo farebbe soprattutto con te. Ai suoi occhi, saresti il più abominevole dei mostri. I keyblade hanno accettato la tua mano più di quella di chiunque loro. Sei la prova che sbagliano.”

 

Anche questa è la verità. Almeno, parte di essa.

 

Lexaeus si aspetta altre obiezioni. Quando ha aspettato un tempo sufficiente a convincersi che Roxas si è rinchiuso nel suo consueto silenzio, si rialza e torna al lavoro. Ma non smette di osservare il ragazzo e la danzatrice.

La nobody osa addirittura accarezzargli una guancia in un gesto paradossalmente affettuoso e la cosa più sconcertante è che il ragazzino, che non si lascia mai neppure sfiorare senza rivoltarsi, accetta il tocco di quell’essere senza alcun cenno di fastidio.

 

“Ehi, Rox…” chiama Demyx “Magari, quando sarà finito l’inverno e avremo un po’ di tempo, ti porterò a vedere le rovine delle altre città. Che ne dici?”

Roxas annuisce.

“Mi piacerebbe.”

 

Lexaeus dubita molto che Xemnas consentirebbe al suo prezioso custode di addentrarsi nel micidiale deserto di ghiaccio solo per fare una gita, ma ha anche più dubbi che i due ragazzi gli chiederebbero il permesso di allontanarsi.

Comunque, sarebbe impossibile fermarli, se proprio fossero decisi. Non esiste sistema sicuro per confinare un nobody che non vuole essere confinato. Anche i campi di contenimento più efficaci sono solo ostacoli momentanei. La matrice degli universi esiste sempre, quindi esiste il modo per raggiungerla e traslarsi. I campi non fanno altro che nascondere le strade, ma prima o poi, se c’è la volontà giusta e la giusta applicazione, si trova la formula per aprire la porta e se ci sono cose che non mancano loro, sono volontà e applicazione.

Il solo vero modo per impedire loro di andare dove vogliono è debilitarli fisicamente o mentalmente e quello non è certo un sistema accettabile.

Possono minacciarli, certo. Ma per gente incapace di provare soggezione, in cui la testardaggine è il tratto caratteristico principale, le minacce lasciano il tempo che trovano.

Minacciarli di cosa, poi? Di ucciderli per impedire loro di mettersi in pericolo?

La vita che fanno è oppressiva, ognuno ha il suo modo per evadere. Tutti, compresi loro sei. E’ insensato pretendere che non lo facciano anche gli altri o che Roxas sia diverso.

Sa che il ragazzo ha l’abitudine di vagabondare da solo per la città. Da quando ha cominciato a padroneggiare estensivamente i corridoi delle ombre, anche sugli altri Mondi, Lexaeus è pronto a scommetterlo.

Forse sarebbe stato meglio lasciarlo nelle condizioni iniziali. Meglio per loro, meglio per lui. Ammesso che non sarebbe cambiato da solo. Se c’è una cosa che Lexaeus considera incontenibile, è la mente delle creature pensanti. Modifica l’universo e nessuno può sperare di ingabbiarla per sempre.

E’ la cosa che poco prima lo ha convinto ad abbandonare il lavoro per intromettersi fra il ragazzino e Xaldin, in quella che poteva diventare una situazione potenzialmente molto pericolosa. Perché conosce Xaldin e nessuno può dire di conoscere davvero Roxas, però di lui sa una cosa. Non si tira indietro, mai. Può fare di tutto pur di evitare uno scontro, ma, una volta che lo ha iniziato, non si arrende né retrocede.

Lo ha capito anche Xaldin e ha accettato il suo intervento come il pretesto giusto per non proseguire la strada verso un conflitto ancora non esploso, ma che avrebbe potuto innescarsi con una parola, con risultati imprevedibili.

 

Roxas è stato qui tutto il tempo. Non si è allontanato un istante, dal momento in cui si è sfondata la parete.

Si aspetta che qualcuno gli dica cosa fare e nessuno lo fa. Si aspetta che qualcuno dia una ragione alla sua esistenza. Qualcosa che non siano solo ordini di portare morte.

 

Dimmi perché sono qui. Se sono solo un guscio vuoto, perché dovrebbe importarmi di esserlo? Se non posso provare niente, perché fa tanto male pensarlo?

 

Tutto a un tratto, il ragazzino comincia a canticchiare sommessamente.

Ha una voce timida e piuttosto dolce. Gradevole, anche se non del tutto intonata. Esitante, più che altro.

Più che una canzone, sembra una filastrocca infantile, o una ninna nanna. Forse Lexaeus sbaglia, è in una lingua che non conosce. Però il ritmo è quello comune alle ninna nanna e alle filastrocche di innumerevoli pianeti, il suo tra essi.

 

 

Si è fatta notte, una notte illuminata dai rami di una galassia e da nebulose ardenti. La donna e il bambino dormono abbracciati sulla spiaggia, sotto lo sguardo cieco delle statue.

 

 

Nella mente di Roxas, poco per volte, le immagini di quel mondo si mescolano e confondono a quelle di un altro mondo, di un mare più turchese che blu, di sagome grigie che giocano nell’acqua.

 

 

* * *

 

 

“Non possiamo andare avanti così.”

 

La voce di Larxene è controllata e indifferente. Non c’è nulla di indifferente nelle sue parole.

Marluxia annuisce.

 

“Lo so.”

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

Faina di Primavera: che dirti che non ti ho già detto via mail? Un grazie però non te lo toglie nessuno. Non c’è maggior soddisfazione che sentirsi dire di avere fatto pensare  ^___^

Sei riuscita a cogliere particolari che sono molto importanti, come la faccenda dei tre individui su quattordici che non possono essere considerati eccezioni. E che se ci si considera vuoti, ci si comporta come tali. E’ basilare. Ma soprattutto il tuo apprezzamento di Larxene e Marluxia, su cui hai capito proprio tutto alla perfezione.

Sono anche molto felice che apprezzi Zexion senza che, per questo, ti piaccia come persona. Vero, non è quel genere di ragazzo che vorresti come vicino di casa e nemmeno come vicino di pianeta o di universo. Ma non mi interessa creare personaggi simpatici. Voglio che risultino interessanti e Zexion è davvero molto interessante e complesso. L’importante è non dimenticare chi è e qual è il suo ruolo nella storia e non guardare solo la sua faccia.

Quello che dici è vero. Al di là di tutte le carinerie, i nobody sono letteralmente predatori. Micidiali predatori che usano gli universi come loro territorio di caccia e che possono rivoltarti contro le leggi fisiche del tuo mondo.

 

Lux: anche a te, tutto quello che posso dire te l’ho gia detto di persona. Aggiungo che ti ringrazio per l’aiuto che non mi fai mai mancare ^___^

Eh, Roxas è qualcosa che hanno mai visto prima. Il peggiore di tutti i mostri. Un adolescente ^O^

Qualcosa da maneggiare davvero con cautela, anche quando non stringono in mano armi mistiche. A parte questo, fanno pena anche a me, loro e lui più di tutti, perché, volente o nolente, finirà per essere il distruttore di tutta la sua gente e destinato a una fine orrenda.

Ho proprio ragione io. Il mondo non è un posto giusto, nemmeno nelle favole Disney.

 

Sorina: No. Non odio niente e nessuno. Beh, non le fanfic, almeno. La sola cosa che mi spiace è che non trovo storie da leggere. Io mi sono innamorata del gioco per i nobody in quanto tali e il contesto. Nobody e contesto sono inestricabilmente collegati. Gli uni non sarebbero mai esistiti in differenti condizioni e se loro non fossero mai esistiti, il contesto non sarebbe quello che è. Va da sé che se umanizzi i nobody o cambi l’ambiente e lo rendi normale, per me ogni attrattiva termina all’istante. Tutto qui ^__^

 

Xemnas non sembra lì per caso. E’ lì per caso. Se non fosse così, non avrebbe mai fatto simili errori demenziali. D’altra parte è uno scienziato, non un generale. Fa un lavoro che non gli compete. Immagino che in laboratorio sia un genio. Ciononostante, o forse proprio a causa di ciò, io lo amo follemente ^O^

 

Il sorcio lo odi proprio, eh? Tranquilla, lo odio anch’io ^___^

Uno dei pochi perché, in realtà, i personaggi che davvero odio sono rari.

Detesto Naminé perché è la signorina ‘io non devo esistere’ e vaccate simili, Sora perché ha il cervello di una vongola, il sorcio perché è un tiranno liberticida, YenSid perché è un bigotto, vado molto vicino a detestare Axel perché è suicida e non fa una sola cosa logica… basta.

Ecco, ci sarebbe DiZ, ma mi diverto troppo a scrivere di DiZ per riuscire a odiarlo. Personaggio negativo come pochi, vile, debole, plagiabile, ma fantastico da ‘interpretare’. Tra l’altro di un sadismo inverecondo, altro che la povera Larxene (che qualcuno mi deve ancora spiegare perché Larxene sarebbe sadica).

 

Questione emo. Triste da ammettere, ma con emo intendo proprio il luogo comune. Tieni conto che fino a qualche mese fa neanche conoscevo il termine. L’ho incontrato proprio nelle fanfiction su Kingdom Hearts. La musica non mi è mai neppure passata per l’anticamera del cervello ^__^

 

Chris: cara, ma grazie ^___^

Intanto comincio a rassicurarti. Io non sopporto i finali tragici e non provo il minimo fascino per le storie angst, quindi mettiti il cuore in pace. La mia storia è a lieto fine.

Ecco, c’è solo da fare un piccolo distinguo. Non è detto che quello che io considero un lieto fine sia quello che il resto del mondo considera lieto ^___^

Tieni conto che per me gli eroi sono i sei fondatori. Se fossi stata al loro posto avrei fatto esattamente la stessa cosa. Solo che io Ansem lo avrei ucciso, non esiliato nel nulla. Troppo poco risolutiva, come soluzione. E infatti…

Per tornare alla risposta a Sorina, mi sa che Xemnas mi piace tanto perché, in certe cose, è così innocentemente cretino che mi fa tenerezza. Come un gattino armato di spade laser e capace di cancellare pianeti. Lo voglio adottare ^__^

Per questo nella mia storia ho dato la colpa di quella sciagurata imprudenza a Ienzo. Non ce la faccio ad accusare Xemnas.

 

Il potere di Luxord fa paura anche a me. Potere sul tempo. Si può immaginare qualcosa di peggio? Non solo per gli altri, ma anche e soprattutto per sé stesso. E cara grazia che un potere simile è finito a uno come lui. Se fosse finito a un esaltato investito di qualche sacra missione, o fermamente convinto in qualche principio (tre nomi a caso, va’. Sora, Naminé e YenSid), sull’universo ci si poteva mettere la croce. Per questo dico che Luxord è la sola persona davvero decente del gioco ;-)

 

Quanto al rapporto Roxas/Axel… Potere al darkside! ^O^

Comunque, non ho problemi ad ammettere che ci sia un legame reale fra loro. La differenza è che lo considero un legame unilaterale e, soprattutto, assolutamente non romantico o sessuale. Di questo nessuno riuscirà mai a convincermi del contrario, a meno che la Disney stessa non mi si presenti e mi dica che, in un suo prodotto, ha inserito una coppia omo formata da un uomo adulto e un bambino che sembra un 14enne, ma che in realtà ha pochi mesi di vita. E dovrà anche essere molto convincente. Ho l’abitudine di considerare inesistente tutto ciò di cui non è stata provata inequivocabilmente l’esistenza, non il contrario. Fa parte del mio DNA, temo ^__^

Poi non lamentarti. Axel l’ho trattato ben più che dignitosamente in altra sede. L’ho fatto intelligente e vincente, che è molto più di quanto non lo abbiano reso i suoi padri ufficiali.

 

Giodan: grazie per la fiducia, ma ricorda che sto giocando con personaggi inventati da altri. Di mio c’è ben poco.

Darò un’occhiata alla tua storia, ma per continuarla… non so se hai notato la ‘velocità’ con cui aggiorno. Se tutto va bene, ma bene sul serio, una volta al mese. Per me scrivere è giusto un hobby rilassante a cui dedico tempo con il contagocce. Poi ti dirò una cosa che da queste parti forse suona un po’ come un’eresia. Non ho mai voluto fare lo scrittore ^__^

Xaldin? So che può non sembrare, ma sai che è uno dei miei preferiti? Sia lui che Saïx. E’ che sto usando i personaggi che mi servono. Io non ho un personaggio preferito e lo inserisco a costo di forzare gli eventi. Per me funziona proprio al contrario. Ho una storia e utilizzo i personaggi che la determinano. Anche Zexion, non era per niente programmato che diventasse il protagonista.

Stavolta Saïx e Xaldin hanno avuto una piccola parte. Avranno un ruolo più importante fra qualche capitolo, insieme a Xigbar e Xemnas. Comunque, nessuno dei due comparirà molto, mi dispiace, e non perché non mi piacciono, tutt’altro. A meno che non mi venga in mente qualcosa per cui servono proprio loro.

 

 

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Capitolo 15
*** Brachistocrona ***


Brachistocrona

 

Brachistocrona

 

 

Roxas corre su uno skateboard in una sala grande come una palestra e altrettanto vuota. Naminé è sdraiata sul pavimento, intenta a disegnare. Non ha la minima reazione, neppure di riflesso, indifferente anche quando il ragazzo le passa vicinissimo, quasi sfiorandola.

 

Marluxia si china sul tavolo circolare di vetro nero sopra il quale galleggia la proiezione olografica dei due adolescenti, con un’espressione a metà strada tra l’affascinato e l’incredulo orrore.

 

“Dove ha preso quella cosa?”

“Sul mondo Kā’h’onua. Ha visto alcuni ragazzi giocarci e ha voluto procurarsene uno.”

 

Roxas si rovescia mentre cerca di effettuare un salto e cade malamente.

Si limita a rialzarsi e ricominciare, con la seria determinazione con cui fa ogni cosa e che nessun altro di loro, neppure Saïx o Xemnas, riesce a mantenere così bene e sempre. Naminé non lo guarda neanche.

 

“Non corre il rischio di rompersi il collo, così?”

“Marluxia, hai voluto incontrarmi per parlare dei giocattoli dei bambini? Ti consiglio di chiedere direttamente a Roxas.”

 

Marluxia sbuffa e si lascia affondare in una delle poltrone intorno al tavolo.

E’ vagamente nauseato dall’ambiente che lo circonda. Troppo buio, troppo freddo, troppo vuoto. Troppo vetro. Pareti di vetro, pavimenti di vetro, volte di vetro, macchine di vetro. Nell’oscurità quasi completa, scrosci di minuscole luci intermittenti e colorate prodotte da strumentazioni che sono tutt’uno con le pareti.

Vetro e buio che trasforma quel vetro in superfici evanescenti di riflessi. Galassie di luci irregolari moltiplicate in quei riflessi.

 

“Stai per partire di nuovo per Oblio.”

 

Zexion non sente neppure il bisogno di annuire a un’affermazione tanto inutile.

 

“Solo tu e Lexaeus?” insiste il giovane.

“Verranno anche Saïx e Roxas.”

“Non c’è praticamente più nessuno su quel mondo. Portarsi dietro quei due mi sembra esagerato.”

 

Un contesto che comprende Roxas, attuale unico nobody in condizioni di stabilità mentale e fisica, e un lavoro finalizzato a risolvere i loro problemi di degenerazione. E Saïx e un sistema stellare con caratteristiche tanto peculiari da essere un crocevia dimensionale.

Non gli sembrano correlazioni così difficili, da fare. Invece, Marluxia ha subito pensato ai due come a guardie del corpo.

Talvolta, Zexion ha l’impressione che la sua intera specie soffra di una cronica deficienza di valutazione.

 

“Ho proposto a Xemnas di inviare una delegazione a occupare stabilmente quel castello.” dichiara Marluxia.

“E lui come ha reagito?”

“Non mi ha buttato fuori dall’ufficio a calci, se è questo che intendi. E’ sembrato interessato, ma ha detto che non prende posizione personale. Ne parlerà alla prossima riunione.”

“Perché lo hai fatto?”

“Avevo capito che uno studio a lungo termine su campo di quell’apparato fosse una priorità tua e di Lexaeus.”

“Non ho detto che voglio andare ad abitarci.”

“Vuoi fare avanti e indietro su base giornaliera? Siete già andati e tornati almeno una decina di volte, da quando abbiamo preso quel pianeta.”

 

Da quando ho preso quel pianeta. Ecco il sottinteso di Marluxia.

 

La presenza del neofita disturba Zexion.

Quest’ambiente è studiato apposta affinché le variabili siano ridotte al minimo. Gli stimoli sensoriali sono controllati per arginare le sorgenti di distrazione. L’aria è filtrata, le percezioni tattili limitate dall’uniformità del materiale cristallino, i suoni esterni completamente isolati, gli stimoli visivi riportati ad angoli e piani geometrici.

Le luci comunicano con lui. Parlano un linguaggio preciso e sintetico in un alfabeto e una grammatica fatta di intensità, colori e frequenze di intermittenze. Marluxia altera quell’ininterrotto flusso di informazioni. E’ una fonte di discontinuità da inserire nell’insieme.

Ma è la ragione perché ha deciso di riceverlo in questo laboratorio, piuttosto che nello studio. Tagliare il superfluo. Marluxia non sarebbe qui se non lo considerasse assolutamente necessario.

 

“Le mie priorità le conosco, sono le tue che mi stupiscono. Come mai quest’improvviso interesse per la scienza? Non hai voluto saperne quando Vexen voleva fare di te il suo apprendista.”

“Vexen voleva usarmi come cavia.”

“Dobbiamo essere i primi a sopportare le conseguenze di quello che facciamo.” mormora atono Zexion.

 

Marluxia si chiude subito in sé stesso, disgustato.

Zexion sospira. Si è scontrato con una di quelle barriere che disseminano il loro gruppo, formato da individui di troppe razze e culture. Per il manipolatore di vita è inverosimile anche solo concepire un’idea simile, mentre per lui, come per gli altri cinque, è un concetto talmente radicato che, anche adesso, è difficile valutare di adottare un comportamento diverso. Per la loro civiltà era scontato che i membri della casta scientifica che dominava l’impero fossero anche tra i soggetti delle loro stesse ricerche.

Meglio abbandonare un argomento su cui non arriveranno a niente.

 

“D’accordo. Perché sei qui a parlarne con me?”

“Quel castello interessa soprattutto te. Mi sembra logico chiedere la tua opinione.”

“Dipende da quello che vuoi. Se è solo il mio parere, sarebbe stato logico chiedermelo prima di fare la tua proposta a Xemnas.”

“Avresti potuto convincermi a non farlo.”

 

Roxas si ferma con un volteggio e si sdraia sul pavimento, al fianco di Naminé. Sbircia il disegno che lei sta completando. Una specie di essere rettile. Un drago, seppure molto deforme. Le ali sono monconi vestigiali, con brandelli di pelle che pendono dalle coste contorte. Le zampe anteriori sono normali, ma con artigli abnormi, mentre gli arti posteriori solo bozzi carnosi la cui estremità è una massa bulbosa.

Non si parlano. Zexion li osserva senza interruzione da ore, il modo in cui interagiscono, come si comportano reciprocamente e verso tutto quello che li circonda e i due non hanno ancora scambiato una parola, fra loro.

Roxas non parla quasi mai a Naminé. Roxas non parla molto a nessuno, in realtà. A lui, ma solo perché conosce la chiave dell’anima del ragazzo e, anche così, ogni parola è finalizzata allo scopo di ottenere informazioni.

Non parla. Chiede ed esige risposte. Quando non ha nulla da chiedere, il suo desiderio principale è passare inosservato.

Roxas comunica soprattutto combattendo. Non fiata mai, quando combatte, e non si nasconde. Tiene lo sguardo fisso sul suo nemico e gli parla solo con la spada e la volontà.

E’ sempre una battaglia, per Roxas. Anche con loro.

Non parla neppure a Naminé, anche se è la sola contro cui non combatte e da cui non si nasconde. La guarda disegnare e qualche volta si mette a disegnare con lei, ma non parla e Naminé non parla a Roxas.

Non parlano perché comunicano fra loro con il silenzio.

 

“Marluxia, una delegazione stabile presuppone qualcosa di più di due ricercatori in sacco a pelo pronti ad allontanarsi il più in fretta possibile, soprattutto considerate le condizioni di quel pianeta.”

“Ricercatori, un sistema di difesa completo, un impianto di sostentamento autonomo.”

“E quante persone?”

“Non meno di cinque, di cui almeno due dotate di conoscenze tecniche adeguate.”

“Il che restringe il campo a Xemnas, Vexen, Lexaeus.”

“E te, naturalmente.”

“Se non mi avessi già incluso nel gruppo, non saresti qui a parlarmene. Escludo che Xemnas si allontani dal castello per periodi prolungati. Vexen, Lex e io stiamo lavorando insieme e non ci separeremo. Larxene verrebbe, sicuramente.”

“Ovviamente Larxene. Io e lei possiamo fornirvi la protezione adeguata e lasciarvi campo libero per le ricerche.”

“In pratica, vorresti scindere in due le nostre forze.”

“Non è una gran trovata radunarci tutti in un solo posto, così che basterebbe un’astronave piazzata bene per spazzarci via tutti.”

“Certo… Il Mondo dove si trova il castello è esattamente al centro di una confluenza, ci si può finire piuttosto facilmente. C’è in giro il custode del keyblade e i keyblade, per natura stessa, sono dotati di forte magnetismo dimensionale. Non il posto più sicuro dove trovarci. Per quale motivo Xemnas dovrebbe concederti una cosa simile?”

“Questa è un’altra delle ragioni per cui chiedo a te. Larxene appoggia la mia idea, ma vorrei sostegno da parte di uno di voi cinque.”

“E io sono la scelta più logica.”

 

Nemmeno a prendere in considerazione Xaldin e Xigbar. Non è mai stato il loro campo, quello.

Escludiamo subito Vexen, l’ex mentore di Marluxia. In ogni caso, si opporrà a qualsiasi proposta di un neofita, soprattutto questo neofita. Dubita, comunque, che Marluxia si abbasserebbe mai a chiedere a Vexen, che odia in modo quasi viscerale.

Con lui, invece, Marluxia ha sempre avuto un rapporto di accettabile indifferenza reciproca.

D’altra parte, convincere Zexion vuol dire avere dalla propria parte anche Lexaeus, mentre appellarsi direttamente a quest’ultimo non significa convincere Zexion.

Decisamente la scelta più appropriata.

 

“La sola scelta, per quel che mi riguarda. Non credo che riuscirei a tenerti fuori da quel castello. Hai fatto cancellare l’intera popolazione del pianeta per averlo, non ci rinuncerai di sicuro per me. Comunque, ti voglio lì. In effetti, tu sei la ragione principale.”

“Stai andando incontro a un sacco di difficoltà e dubito che tu lo faccia per amore della ricerca.”

“Voglio che continui il tuo lavoro.”

“Lavoro che proseguirò con o senza il tuo interessamento. Vuoi allontanarti dal controllo di Xemnas?”

“Tu no?”

 

Naminé sa che la osserva.

Reciprocità.

Anche Naminé lo studia con attenzione. Nemmeno lui può schermarsi dalla ragazza. E’ sempre lì, a strisciare intorno alla fortezza della sua mente. Fin dal primo giorno in cui è entrata in questo mondo, Naminé cerca il momento più opportuno per vincere le sue difese.

Naminé sembra indifferente a tutto. Non lo è a nulla, loro compresi. Soprattutto loro.

 

“Marluxia, quando ti chiedo qualcosa, sei vivamente pregato di darmi una risposta, non farmi una domanda.”

“Sì. Voglio allontanarmi da Xemnas. Voglio allontanarmi da qui. Tu non vuoi allontanarti?”

“Dovrei?”

“Secondo me, sì.”

“D’accordo, adesso ricominciamo. Perché?”

“Hai detto che puoi trovare una cura per la nostra condizione. Dovrebbe essere il pensiero principale di chiunque noi.”

“Cosa che, evidentemente, non è stato.”

Marluxia si stringe nelle spalle.

“I loro inestimabili ricordi umani. Ecco a cosa hanno pensato quando hai esposto il tuo progetto. Hai minacciato quanto di più prezioso possiedono, quella cosa a cui si aggrappano a costo di farsi del male. La pretesa di essere stati qualcosa di diverso, qualcosa a cui si può tornare. Sono convinti che la nostra sia una situazione transitoria, tanto da rendere secondaria ogni considerazione sulla nostra vita. Loro non hanno ancora capito.”

“Tu, invece, sì.”

“Io l’ho sempre saputo.” 

Zexion solleva appena lo sguardo per osservarlo.

“Sai, Zexion, ho sempre pensato che il tuo lavoro fosse solo un buon modo per perdere tempo, fino a quando non hai suggerito che siamo entità originali e non soggetti umani modificati a causa di una qualche bizzarra metamorfosi.”

"Fisicamente siamo entità differenti e originali rispetto agli esseri umani. Questo non significa che siamo anche individualità diverse.”

“Ho fiducia nella tua teoria.”

“Non è una teoria.”

“Qualunque cosa sia. La tua ipotesi.”

“Giusto. E’ un’ipotesi. Solo un’ipotesi. Conosci la differenza fra ipotesi e fatto provato?”

“Ma se fosse vero…”

“Potrebbe non esserlo.”

“Ma se lo fosse?” insiste freddamente il giovane “Se lo fosse… Zexion, tu quanto credi di avere ragione?”

“Non posso arbitrariamente decidere di credere a qualcosa solo perché mi piacerebbe fosse vera. La mia opinione personale è ininfluente.”

“Perché noi eravamo i corpi abbandonati dai Cuori, ma adesso forse siamo le loro menti, oppure le loro anime. Tutto tranne il Cuore. Giusto?”

 

Roxas allunga una mano verso la sorella. Sul palmo si condensa una piccola figura semivisibile. E’ poco più di un’ombra, uno sbuffo di fumo colorato, un fantasma che si definisce di secondo in secondo, fino ad assumere una forma precisa. I particolare sono semplificati e i colori privi di sfumature, ma è ben riconoscibile. Il drago del disegno di Naminé. Solo che ogni deformazione è scomparsa. Le zampe sono complete e proporzionate, le ali si spiegano in membrane variopinte e traslucide, tese fra ossa sottili.

Un’illusione. Elementare, statica, rispetto ai complessi universi mentali che Zexion può creare. Ma c’è una differenza sostanziale. Quella di Roxas non è il prodotto del mondo soggettivo di un pensiero individuale. Esiste nel mondo oggettivo. Fotoni manipolati.

E’ la prima volta che Zexion assiste a questa manifestazione del potere di Roxas, anche se non arriva inaspettata.

In modo grezzo e spontaneo, lo ha sempre fatto. E’ in grado di alterare la luce su un’area vastissima, di creare distorsioni prospettiche e fenomeni visivi su ampia scala, ma solo in modo informe. Lo fa soprattutto quando combatte o in situazioni di stress. Un meccanismo mimetico naturale. Ma pochi giorni prima, nel duello con Xemnas, Roxas ha dimostrato di essere capace di saper produrre una forma controllata di illusione per confondere l’avversario.

Quello è già stata un’evoluzione, l’applicazione consapevole di un’azione fino a quel momento involontaria, ma il piccolo drago è il prodotto di una forma di manipolazione della luce eccezionalmente complessa e sofisticata.

Non c’è proporzione tra la velocità di sviluppo mostrato da Roxas nelle due fasi della sua esistenza. Mentre prima del completamento della ricostruzione mentale i suoi progressi procedevano a un tasso costante, dopo la fine dell’esperimento c’è stato un incremento esponenziale e immediato nella velocità di apprendimento e di controllo delle sue capacità. Incremento che tuttora non accenna a rallentare. Il ragazzo ha, letteralmente, rotto gli argini.

La nuova condizione psichica ha potenziato e affinato le sue capacità elementali e, ora, può disporre anche di tutta quell’energia che non consuma più nel mantenimento della forma vitale.

L’adolescente sta imparando le possibilità del suo potere, la sua versatilità. Ed è solo l’inizio.

Roxas ha la capacità potenziale di controllare le interazioni fondamentali che tessono la struttura del multiverso. E se può farlo, non c’è ragione per cui non lo faccia. A quel punto, i keyblade torneranno a essere quello che spetta loro, quello che è ogni arma. Giocattoli da bambini. Strumenti per ovviare all’incapacità di essere bastanti a sé stessi.

Quando non ne avrà più bisogno, l’universo intero sarà suo per essere plasmato a piacere.

 

Marluxia si appoggia alla consolle, l’attenzione fissa sulle immagini dei due ragazzini, fluttuanti sopra la superficie di vetro nero.

 

“Qualche volta, sembra proprio che tu odi Naminé.”

“Non la odio.”

“Diciamo che non provi grande trasporto per lei.”

“La considero pericolosa, esattamente come la considerano Saïx e Larxene. Mi chiedo come mai nessun altro sembra essersi accorto di un fatto così evidente.”

“Larxene e Saïx volevano giustiziarla. Stiamo parlando di una richiesta di Saïx. Xemnas ascolta Saïx più di chiunque altro. Eccetto te. Quella volta, tu ti sei opposto. Se non lo avessi fatto, Naminé sarebbe morta. Devi avere avuto una ragione molto importante per fare quello che hai fatto e la sola cosa che mi viene in mente, trattandosi di te, è che si tratta di un soggetto di studio tanto prezioso da correre il rischio. Questo mi dà la prova sufficiente di quanto tu sia convinto della fondatezza della tua ipotesi. Naminé è nata da Sora. Come Roxas, con Roxas. Quante anime possedeva Sora da lasciare alle tenebre? Io non ho le tue restrizioni. Posso scegliere di credere e credo che tu abbia ragione ed è proprio Naminé a far crollare il castello di carte. Noi non abbiamo nulla a che fare con i nostri… come vogliamo chiamarli? Originali? Genitori? A questo punto credo che matrici sia il termine più adeguato. Posso concederti ancora qualche dubbio sui meccanismi dettagliati del processo, ma il disegno generale è tracciato. Zexion, io non ho idea se tu credi davvero nello scopo di Xemnas e neanche mi interessa. Quello in cui credi, o in cui non credi, sono solo affari tuoi, ma ti sei reso conto o no delle implicazioni della tua stessa scoperta o per te è solo una curiosità accademica? Se hai ragione, non è possibile recuperare i Cuori. Non come noi stessi, perlomeno. Non come entità individuali. Tutto quello che ne risulterebbe sarebbe un nuovo essere, forse con la memoria di quello che siamo noi, ma non saremmo noi. A noi non porterebbe nessun beneficio. Se hai ragione, noi esistiamo solo perché non abbiamo Cuore e tutta questa ricerca è la ricerca di un suicidio.”

 

Zexion estende cautamente il pensiero e si scontra con un flusso informe di coscienza aliena.

Se avvicinare Roxas è come avvicinare una stella radiante energia, avvicinarsi a Naminé è come approssimare un buco nero che ingoia ogni desiderio di vita e lascia in cambio solo autocommiserazione e desolazione.

Deve stare attento, perché c’è un limite oltre il quale si è catturati dal vortice gravitazionale e non è più possibile tornare indietro.

E’ stato uno dei più ferventi sostenitore della necessità di non includere la ragazza fra loro, anche se la cosa è stata senza precedenti. Non importa quanto sia inutile, nessun nobody è mai stato respinto prima. Nemmeno Luxord, che si ostina a non usare il suo potere. Nemmeno il più debole fra gli inferiori.

Ma Naminé non è debole e certo non è inutile. Proprio lei è stata la chiave che gli ha permesso di decifrare il meccanismo della loro esistenza, così come Roxas è stata la chiave che gli ha dato accesso ai loro pensieri.

Questo non toglie che, ogni tanto, non rimpianga la decisione di non avere dato ascolto a Saïx, al suo acume.

 

“Io non voglio suicidarmi e non voglio essere distrutto per un’ossessione. Una che non è neppure la mia, fra l’altro. Non ho intenzione di permettere una cosa del genere.” prosegue Marluxia.

“Potrei anche interpretarla come una minaccia.”

“Sono io quello che si sente minacciato, qui. Il fine di Xemnas non è inutile. Alla luce dei fatti che tu presenti, può essere un vero e proprio pericolo per la nostra esistenza. Voglio evitarlo, intanto che non sono ancora caduto in quella specie di depressione che sembra avere colpito tutti voi. Forse, tra un po’, finirò per credere che questo modo di vivere sia quello giusto. Voglio rimediare prima di una cosa simile. Dopo qualche anno così, tutti noi diventiamo pazzi. Axel lo è già e anche Demyx comincia a essere al limite. Luxord è diventato un maledetto fatalista. Il prossimo sono io.”

“E così torniamo al punto di partenza. Perché ti interessa allontanarti da Xemnas e vuoi che mi allontani anch’io?”

“Perché so che hai ragione. Vorrei che se ne convincessero gli altri. Voglio che arrivi fino in fondo, che arrivi a un risultato applicabile a tutti noi. Qui non ci riuscirai. Xemnas troverà il modo di interferire con quello che fai, prima che tu trasformi l’ipotesi in teoria.”

“Davvero?”

“Ti fermeranno, proprio perché hai ragione, e sanno bene che se ti permettessero di continuare arriveresti a quel risultato che loro non vogliono riconoscere. Avresti dovuto tacere.”

 

Un consiglio bizzarro, da parte di un uomo che sta praticamente urlando ai quattro venti ‘non sono soddisfatto dell’attuale gestione, sono convinto che saprei fare di meglio e, prima o poi, molto più prima che poi, proverò a far saltare tutto’.

 

“Zexion, a me interessa la possibilità di continuare a vivere e di farlo senza la paura di svegliarmi una mattina con l’aspetto di un crepuscolare. Tu vuoi tempo e libertà di continuare il tuo lavoro. Mi sembra che siamo d’accordo.”

 

Preservami, Signore, da quello che desidero.

 

Lo ha sentito dire su uno dei tanti pianeti visitati all’inizio della loro avventura, quando cercavano una casa.

Anche se la frase in sé contiene un bizzarro paradosso, l’eleganza di quel concetto lo ha affascinato.

Si cade in conseguenza alle proprie scelte, determinate dai propri desideri. Persino eventi considerati incidentali sono spesso dovuti a situazioni in cui ci si trova per propria scelta.

Ma si è soli a preservarsi da quello che si desidera. A questo punto, il problema è se sia possibile riconoscere quello da cui ci si dovrebbe preservare o, se nel momento in cui lo si riconosce, rimane ancora qualcosa che si desidera, o se invece non lo si rifiuta e lo si escluda quindi da quello da cui occorre preservarsi, per fare posto a qualche nuovo indeterminato desiderio.

E anche voler essere preservati è un desiderio.

Volere è desiderare.

 

“So cosa vuoi, Marluxia.”

“Lo consideri sbagliato?”

“No. In effetti, è molto più sensato di quello che vuole Xemnas.”

“Allora mi sosterrai?”

“Non ho detto questo.”

“Zexion…”

“Puoi sempre provare con Vexen, se non ti sta bene la mia risposta. Adesso esci.”

“No.”

 

Questo lo stupisce davvero.

Sono pochi a osare un aperto atto di ribellione nei suoi confronti, persino fra gli altri cinque. Ma è uno stupore di breve durata. Se qualcuno poteva provarci, sarebbero stati solo Marluxia, oppure Roxas. Nessun altro è così completamente incosciente.

Che lo faccia Roxas è permesso, persino auspicabile. Che osi Marluxia, è una cosa ben diversa.

Non gli piace.

Gli piace ancor meno che il neofita appaia perfettamente rilassato. Prova disagio, ma è dovuto esclusivamente alla sua repulsione per l’ambiente. Niente altro. Ma non ha mai visto Marluxia spaventato o innervosito. Ha una sicurezza di sé inverosimile.

E’ l’eco di una piccola controversia, sfociata in uno sconvolgimento universale. E’ stato proprio lui il primo a dire no ad Ansem e alle sue pretese.

  

Il giovane si è alzato e gli si è avvicinato al punto di invadere la sua sfera di spazio personale. Zexion prova l’impulso si ritrarsi.

 

“Non sono qui per perdere tempo, Zexion. Se hai voglia di fare un confronto verbale, sono disponibilissimo in qualsiasi altro momento. Adesso non ho voglia di giocare.”

 

Marluxia torreggia su di lui. E’ uno dei più alti e robusti, fra loro, e Zexion è consapevole di quanto la sua presenza fisica sia invece modesta, rispetto a quella dell’altro uomo. Ed è ancora seduto, cosa che lo rende anche meno imponente.

Non ha mai avuto problemi con il suo aspetto. Anzi, ne è più che soddisfatto e fin dall’adolescenza si è reso conto di quanto sia un’altra arma in suo possesso, una che spesso gli risparmia la fatica di assumere una forma diversa. L’apparenza e la scarsa indole bellicosa rendono facile sottovalutarlo. Era così a Radiant Garden, è così quasi universalmente fra gli umanoidi che incontra. Per quanto immensamente insensato e pericoloso sia il giudizio basato sull’aspetto, resta uno dei comportamenti più comuni fra i Mondi e sono ben pochi a rendersi conto che se a qualcuno non piace combattere, non vuole combattere ed evita a tutti i costi di combattere, questo non vuol dire che non sia capace di farlo o di farlo efficacemente. In effetti, proprio chi odia la guerra può essere il combattente più spietato perché, quando costretto a scendere in campo, farà di tutto per terminare la battaglia in modo definitivo, far sì che non ce ne sia un’altra, che il suo nemico non possa più minacciarlo.

L’aspetto è stato uno dei metri con cui Ansem ha valutato l’autoproclamato Re dei Mondi.

Pare che Marluxia abbia invertito i termini della questione e stia usando la sua prestanza per intimidirlo.

Si chiede oziosamente cosa potrebbe fare se il giovane decidesse di aggredirlo e, per qualche ragione, i suoi poteri mentali non funzionassero.

Anche sul solo piano materiale e senz’armi, lui è tutt’altro che indifeso, ma non c’è paragone. Marluxia non è solo dotato di un potere devastante, è anche un guerriero abilissimo e letale. La risposta sarebbe scontata. 

 

Che fai se ti trovi di fronte un avversario fisicamente superiore e la tua tanto brillante mente, quella su cui hai sempre fatto affidamento, va in vacanza?

 

Bandisce il pensiero, infastidito. E’ un concetto umano e fallibile credere che l’esistenza sia separata in compartimenti. I loro poteri fanno parte di quello che sono. E’ quello che sono. Se non li avessero, semplicemente non sarebbero loro. Nel suo caso, anche più degli altri.

 

Sì, ma se…

 

Comincia a pentirsi seriamente di avere concesso quest’incontro al neofita. Le esperienze con Luxord e, soprattutto, con Roxas, lo hanno ammorbidito. Gli piaccia o meno, ha dovuto adeguarsi alle esigenze di un’altra persona. A quanto pare, di riflesso, è diventato più disponibile con tutti.

Per qualche istante, giocherella con l’idea che Marluxia sarebbe molto più tollerabile se avesse la capacità volitiva di una delle sue piante.

Si rende bene conto che quel pensiero è fortificato dall’insinuante sensazione che l’uomo può rappresentare un pericolo per la sua incolumità personale. L’impulso di autoconservazione del nobody è stato stuzzicato e sta prendendo a calci la più ovvia delle considerazioni razionali. Cioè, che Marluxia potrebbe avere ragione.

 

“Eccetto importunare me, non hai niente da fare? Se hai terminato il tuo lavoro, sono sicuro di riuscire a trovare qualcosa di tuo gradimento. Io o Vexen.”

Il manipolatore di vita non si lascia impressionare da una minaccia così debole.

“Lo sai, ci sono semi che devono passare una stagione nel ghiaccio per poter germogliare. Senza, rimangono in stasi, in attesa di quella stagione di stenti.”

“Poetico. Lo terrò presente.”

“Hanno bisogno di una stagione di stenti, il punto è che se non arriva la primavera, finiscono per morire. Ma qui l’inverno non finisce. Qui si fa sempre più lungo. Questo mondo non ha più vita da dare e chiunque lo abita può solo resistere il più possibile alla fine. Abbiamo bisogno di un mondo che ci appartenga, a cui appartenere. Senza, saremmo sempre solo nomadi senza un legame con l’esistenza. Dobbiamo cercare un altro pianeta, uno che possa sostenere la vita. Uno che sia una casa, non solo un accampamento di sopravvivenza.”

“Il problema non sono i pianeti.”

“No, il problema siamo noi. Renditi conto dell’assurdità dell’intera situazione in cui stiamo stagnando. Noi accettiamo di considerarci non esistenti, non viventi, non… qualsiasi paradossale affermazione ci sia imposta dagli abitanti dei Mondi. Vuoi dire che una funzione così meccanica come quella emotiva definisce l’esistenza? Noi pensiamo. Per te dovrebbe bastare e a me non servono le convinzioni degli esseri umani per sapere cosa vuol dire vivere, visto che ne so più di chiunque altro. Ci sono un’infinità di pianeti, là fuori. Non mi dirai che non ce n’è uno che non può andarci bene. Li avete esplorati tutti? Sapete con certezza che sono tutti così? Oppure è solo quello in cui credi, senza niente a provarlo? Dimmi, grande scienziato, è fede, la tua?”

 

L’odore di Marluxia è dolce ed esaltante. Odore di vita e cose che crescono e si diffondono, con una punta agra di decomposizione, ma quella è parte inscindibile dell’insieme. Senza, la vita non sarebbe così travolgente.

Edonista, lo chiamano, e con altri termini molto meno lusinghieri e, nella sua breve esistenza, si è guadagnato più chiacchiere di chiunque altro.

Qualche volta, Zexion ha la sensazione di vivere in un convitto di vecchie dame. Il pettegolezzo pare il passatempo più in voga fra i nobody, persino fra gli inferiori. Il mezzo di comunicazione mentale permette loro di passare quasi inavvertibili, a meno che non si rivolgano direttamente, però Zexion percepisce quasi ininterrottamente il flusso di informazioni che quelle creature, i loro fratelli minori, si trasmettono a una frequenza più bassa di quella del pensiero umano, e molte delle informazioni sono commenti sui loro signori.

Essere telepatici ha anche i suoi aspetti ricreativi.

Marluxia è il solo che, appena svegliatosi come nobody, ha mostrato curiosità e non paura o rabbia o confusione. Era del tutto lucido e il modo in cui ha accettato la sua trasformazione è stato semplice. Ne ha preso atto e si è adattato.

All’inizio, molti hanno creduto che si trattasse di ottusità manifestata come indifferenza, ma Marluxia è invece piuttosto intelligente e perfettamente consapevole.

E’ affascinante, in realtà. Lo sono tutti e i neofiti più degli anziani, anche se questo solo perché non li conosce altrettanto bene, perché in loro c’è sempre quella componente aliena che li rende meno ovvi, meno chiari, più complicati da svelare. Marluxia è uno dei più affascinanti.

Anche se è fastidioso. In parte, proprio per quello.

E’ in grado intervenire sui sistemi di codifica che formano il programma strutturale dei viventi in ogni universo, plasmandoli come creta, oltre ad avere la capacità di manipolare quella qualità che rende tali gli esseri viventi come un flusso di energia. Di sottrarla, di trasferirla. Può persino organizzare gli elementi grezzi e inerti in semplici forme vitali. Quell’opera di creazione che le volontà più grandi riescono solo nel momento della morte, che a lui sfugge ancora, Marluxia può farlo consapevolmente e a suo piacere.

Finora ha potuto esercitare un simile potere sui vegetali perché sono gli esseri che presentano meno resistenza, ma la distinzione fra vegetali e resto dei viventi è più una questione di praticità che di vera differenziazione. Facile distinguere una margherita da una tigre, ma, man mano che si scende la scala evolutiva, i confini si fanno più labili fino a sparire. E questo vale solo per il loro universo. Ci sono Mondi dove non ci sono confini a nessun livello, dove vegetali corrono e cacciano come i lupi del suo pianeta natale e animali vivono radicati al suolo e ottengono energia dalle stelle, e Marluxia è ancora molto giovane. Prima o poi, ad avere tempo, supererà le sue limitazioni.

Appena arrivato, è stato sequestrato da Vexen e rinchiuso nei suoi laboratori per testare quel potere. Peccato che Vexen, rude e indelicato come suo solito, non si è premurato di applicare la più semplice cautela nel trattarlo e si è guadagnato solo rancore e nessuna collaborazione per averlo obbligato a sottoporsi alle sue analisi. E se c’è una cosa su cui Zexion è disposto a giurare, è l’intensità e la tenacia con cui un nobody persegue i propri intenti, qualunque siano, fosse anche solo un’antipatia personale. L’inimicizia di Marluxia è qualcosa di cui si sente pronto a fare a meno.

Avrebbero dovuto affidarlo a Lexaeus. Sono i più affini e Lex ha sempre avuto più pazienza di chiunque e nessun orgoglio da imporre.

 

Cose che si diffondono.

E’ questa la parola chiave.

 

“Zexion, voi avete sempre affermato di non essere in grado di sapere chi e se potrebbe dare origine a un nobody. E’ vero, oppure mi sbaglio?”

“No. Ancora adesso, non possiamo prevedere quali siano i soggetti adatti. Non con un margine d’errore accettabilmente limitato.”

“Quindi, in ogni caso, dobbiamo considerare ogni perdita come potenzialmente irrimediabile.”

 

Roxas prende una matita e inizia a disegnare. Con la sua memoria eidetica e il perfetto controllo del corpo disegna bene, anche se non può paragonarsi alla sorella.

Lui e il suo skateboard rappresentano le sole fonti di colore nella sala. Azzurro, oro, giallo e nero. In quel mare di insulsa uniformità, sono quasi abbaglianti. Ma i colori si smorzano accanto a Naminé, inghiottiti e trasformati in una massa di bianco opaco.

Diversissimi, nonostante le caratteristiche fisiche comuni ai due gemelli.

Il pallido biondo cenere dei capelli di Naminé non ha nulla del colore saturo e metallico di quelli di Roxas, così come gli occhi di lei, di un celeste acquoso e slavato in opposizione a quelli quasi luminescenti del fratello.

E’ come se fosse abbozzata. Uno schizzo preparatorio messo di fronte all’opera definitiva.

Contrastano persino nell’abbigliamento. Anche se non ha la divisa, oggi Roxas è completamente vestito di nero. Lei, come sempre, di bianco.

Le hanno portato altri vestiti, più o meno colorati, più o meno diversi, ma Naminé rifiuta di indossare qualsiasi cosa non sia bianca.

I colori sono importanti. I popoli dei Mondi attribuiscono al modo con cui un corpo riflette o assorbe le diverse lunghezze d’onda della radiazione elettromagnetica un significato, proprio come attribuiscono un significato alle Forze che intessono l’universo, alla loro espressione nel mondo.

Sono disposti anche ad averne paura.

 

Ci saremmo risparmiati un sacco di problemi se l’idiota che ha battezzato quelle Forze fosse stato più accorto con i nomi e avesse usato numeri.

 

Lo ha detto una volta Xigbar. Non può dargli torto.

Ma la paura è sempre pronta a saltare fuori. La paura influenza i comportamenti umani e i comportamenti umani influenzano l’universo. Quindi, i colori sono importanti. Hanno un potere che esula dall’effettivo potere della loro natura fisica.

Persino sul suo pianeta permanevano residui di tali anacronistici sentimenti, anche nelle situazioni più impensabili.

Non è insolito, fra gli abitanti di luoghi con clima rigido come quello di Radiant Garden, in gran parte coperto dai ghiacci, che il bianco sia un colore infausto.

Il colore del gelo e del nulla. Il colore del vuoto e del lutto.

 

La massa bianca e amorfa del pensiero di Naminé si spande verso di lui, allunga pseudopodi e tentacoli.

Le ombre sorgono a difesa del loro padrone. Zexion non è inerme come gli altri.

 

Naminé, conseguenza dell’infestazione parassitica del Cuore di Kairi a danno di Sora.

 

“Zexion, viviamo su un mondo che ci chiede molto più di quanto non ne possiamo ottenere. Ci impegniamo in una guerra che manca della fondamentale ragione per cui gli esseri umani combattono le loro guerre, continuare a esistere. Piuttosto, la combattiamo per cancellare noi stessi. Se perdiamo, saremo distrutti, se vinciamo, ci distruggeremo da soli. Sempre che non rimaniamo uccisi mentre cerchiamo di arrivare a quel momento. Non siamo invulnerabili, mi pare evidente. L’altro giorno, nella serra, quanti ne sono morti? Non solo crepuscolari. Anche uno dei cacciatori di Saïx, e questo solo per una parete spaccata su quello che consideriamo il nostro mondo, casa nostra. Ogni volta che uno di noi muore, non sappiamo se qualcuno lo sostituirà. Non importa quanti Cuori saranno inghiottiti dalle tenebre. Forse qualcuno darà vita a uno di noi, ma forse no. Più probabilmente no. Qual è il rapporto tra perdite subite e rimpiazzi? Negativo, ne sono sicuro, così come sono sicuro che tu hai già calcolato il tasso di decremento della popolazione nobody e il punto di estinzione. Le forze che dovrebbero essere usare per sopravvivere le sprechiamo con uno scopo peggio che inutile.”

“Noi non vogliamo che ci siano altri come noi, giusto?”

“Xemnas non vuole che ci siano altri come noi. Non lo vuole Saïx. Non lo vuole Xaldin. Espressamente, non lo vuole nessuno. Io, invece, non ho proprio niente in contrario e non credo di essere il solo. Quello che ci raccontiamo sono tutte menzogne, smentite ogni giorno dai fatti. Vexen e Lex non fanno altro che cercare nuovi ibridi più resistenti, forme di vita che possano sopravvivere in questo ambiente. Vogliono terraformare il pianeta. Anche se non me lo hanno mai detto esplicitamente, io lavoro con loro. Dimmi se ho ragione.”

“Ci aiuterebbe molto.”

“Sei tu lo psicologo, trai le debite conclusioni. Questo non è lo scopo di gente rassegnata a sparire. Vogliate ammetterlo o no, è un progetto di vita, non di morte. Un progetto a lungo termine.”

“Dovresti esserne lieto. Prova che hai ragione.”

“Lo sarei, se solo non fosse impossibile. Questo mondo sta morendo. Anche il più grande degli sforzi non farà altro che prolungare la sua agonia e stremare noialtri. Non possiamo riportare indietro il tempo. Non possiamo vivere qui. Il tuo lavoro può rappresentare la differenza fra l’essere fantasmi in cerca di un’esistenza e persone che possiedono già quello che cercano.”

“Te lo ripeto per l’ennesima volta. Fai un errore. Credi che io sappia con certezza assoluta. Non è così. Quella che ho esposto a Xemnas è un’ipotesi. Fino a quando non sarà verificata, resterà solo un’ipotesi. Non posso fare a meno di farti notare i suoi punti deboli. Se ne sarà verificata l’infondatezza, dovrò accettarlo. Tu, invece, ti comporti come se fosse un fatto provato.”

 

Marluxia allunga una mano verso la proiezione di Roxas. La sue dita attraversano la figura spettrale e l’immagine si scompone in elementi pulviscolari che si ricompongono appena termina l’interferenza.

 

“Perché non vai a dirgli che quello che sta facendo non gli è permesso, di quanto la sua esistenza sia un’offesa all’universo?”

“Credimi. Preoccuparsi per Roxas è tempo sprecato.”

Marluxia lo ignora.

“Non lo fai perché anche tu sai che è non è così. Guardali. Loro, non i soggetti dei tuoi esperimenti. Al posto di un ragazzo morto, ora ci sono due nuove vite. Come può una cosa simile essere sbagliata o mostruosa?”

“Ti confondi di persona. Io non ho mai pensato che fosse mostruoso o… sbagliato.”

“Però reggi il gioco di chi lo pensa. Non ti sembra alquanto ipocrita, da parte tua? Ho studiato la storia del tuo pianeta, Zexion. Tu sei uno di quegli progettati a tavolino, vero?”

“Sì. Tutti noi, in una misura o nell’altra.”

“Perché lo facevate?”

“Sarebbe stato alquanto demenziale lasciare il nostro futuro nelle mani del caso, visto che avevamo la capacità di evitarlo. I figli sono il modo che abbiamo perché qualcosa di noi attraversi il tempo. Dove sarebbe la ragione nel non volerli con la più grande forza, il più grande potere? Che genitore non vorrebbe poter risparmiare loro imperfezioni, debolezza, incapacità?”

 

Roxas deve cominciare a esercitarsi a controllare la radiazione elettromagnetica con un più ampio spettro di lunghezza d’onda e la radiazione prodotta dai processi nucleari e subatomici.

 

Marluxia sorride quasi con dolcezza.

 

“A giudicare dal risultato, direi che eravate capaci di fare un ottimo lavoro.”

“Devo considerarlo un complimento?”

“Se vuoi. Oppure la constatazione della vostra superiorità. Se il mio popolo avesse avuto le vostre capacità e meno paure a fermarlo, probabilmente esisterebbe ancora, come il tuo. Quindi, anche voi eravate ben consapevoli che la vita è sempre una questione di variazione, di miglioramento all’ambiente.”

“Sei lo stesso uomo che non voleva controllare la crescita vegetale?”

“No. Non volevo renderla dipendente dalle condizioni artificiali che le forniamo. Lo hai detto adesso. Perché non voler evitare la debolezza? Xemnas vuole tornare umano. Sarebbe un errore. Sarebbe voler regredire a una forma inferiore. E, comunque, il tuo lavoro trasforma tutto questo solo in una speculazione su qualcosa di impossibile.”

 

L’entità bianca palpa e tocca e sonda, cerca una via di accesso. Se trova la strada giusta, lo distruggerà.

Zexion innalza mura e lame e frastagliati costoni di ombre e riflessi. Cambia gli orientamenti, edifica argini e cammini obbligati, intesse strade di confusione. Attrae la nemica, la indirizza su falsi percorsi.

Zexion non può competere con la forza della bambina, ma lei non può sfondare la sua, di forza.

 

Roxas abbandona le matite, si gira sulla schiena e fissa il soffitto della sala, bianca come un campo di neve, sterile come una sala operatoria. Naminé prende lo skateboard e traccia segni lungo il bordo con un pennarello nero. Non sono disegni e non sono parole. Sono simboli dell’alfabeto di Radiant Garden, morfemi ripetuti e slegati da un contesto, apparentemente privi di significato. Il significato è la loro stessa mancanza di senso compiuto.

 

“Zexion, perché viviamo qui?”

“Perché questo è il solo mondo attualmente sicuro per noi.”

Marluxia si allontana scuotendo la testa. Poi si volta.

“No, a questo non ci credo. Mi sta bene che me lo dica Axel, Xemnas, Saïx, chiunque, ma non tu. Non sei il tipo capace di chiudersi in una scatola a piangere su un Cuore spezzato. Sei stato tu a iniziare tutto. E’ Xemnas che di solito si prende la responsabilità, ma sei stato tu. Il tuo pianeta paradiso ti era troppo stretto. Quell’utopia in cui tutto doveva rientrare nei giusti binari di un programma controllato. Quello che vuoi e hai sempre voluto, adesso lo puoi ottenere più di quanto non sia anche solo concepibile agli esseri mortali. Tu non vuoi essere umano. Ti piace restare qui, al limite del nulla, sulle rive di un mare che nessuno ha ancora attraversato. Aspetti solo l’occasione giusta per salpare.”

 

Marluxia si affloscia indecorosamente a terra, del tutto immobile. Un burattino a cui è stata tolta la batteria.

Questa volta ha superato il labile confine dell’accettabile.

 

Sono sempre tutti convinti che illusione significhi necessariamente imporre la percezione consapevole di qualcosa che non esiste. Naturalmente, vale anche il contrario. E’ anche impedire la percezione di quello che esiste, cosciente o meno. Compresa la percezione del proprio corpo.

Come interrompere il riconoscimento dell’incessante scambio di comunicazione cellulare che permette il funzionamento della macchina biologica.

Il segnale nervoso si disperde lungo gli assoni senza nulla in grado di interpretare le informazioni che trasporta e il sistema biologico, impossibilitato a dialogare con sé stesso, si spegne. I polmoni non si dilatano, il cuore non batte, il sangue non scambia ossigeno, si ferma il metabolismo, si ferma tutto. Niente vita.

Libera subito Marluxia dalla morsa illusoria. E’ stata una reazione sconsiderata, la sua. Una forma di puerile e pericolosa ritorsione al fatto che, poco prima, il neofita lo ha intimorito. Un modo di rimettere le cose in chiaro e ristabilire l’ordine.

Ha perso qualunque vantaggio poteva avere, così.

Marluxia trae un respiro singhiozzante e famelico.

 

Tentacoli sottili di pensiero estraneo frugano alla cieca si estendono lungo strade contorte e cercanocercanocercanocercano

Naminé non si arrende.

Il suggerimento di Xemnas di lavorare su di lei come lavora con Roxas lo aveva fatto rabbrividire. Entrare in contatto con Roxas come fa vuol dire avere accesso alla mente del ragazzo e, contemporaneamente, aprirsi a lui. Non è possibile avere un contatto senza che ci sia uno scambio, anche minimo, in direzione opposta.

Fare lo stesso con Naminé è impensabile. E’ quello che lei aspetta. Cerca un varco nelle sue difese. Se dovesse accettare un contatto telepatico con la ragazza, sarebbe lui stesso a offrirle quel varco.

Per Roxas, lui è un’ancora al mondo. Per Naminé, è un nemico mortale.

 

“Stai attento, Marluxia. Non mi piace che mi si dica cosa voglio. So quanto sei insoddisfatto di questa situazione. Ti capisco e sono convinto anch’io della necessità di un cambiamento, ma tu hai troppa fretta e sei imprudente.”

 

Il giovane si passa una mano sul volto sudato. Boccheggia e trema visibilmente.  

Fa alcuni tentativi inconcludenti di rialzarsi. Alla fine, arriva al compromesso di mettersi seduto sul pavimento.

 

“Devo essere prudente… come te? Devo aspettare dieci anni? O solo fino a quando anch’io non mi sarò rassegnato a tutta questa oscurità e apatia? A me non interessa cercare una ragione per vivere, perché vivere è una ragione più che sufficiente. Tu giochi e noi siamo il palio in posta. Tu, Lexaeus, Vexen. Continuate questa commedia, con voi che date corda alle ossessioni di Xemnas per continuare il lavoro che vi ha portato a tutto questo, a comprarvi le vostre smanie con il nostro futuro.”

Zexion appoggia il mento al dorso delle mani intrecciate.

“Mi hai dato una lezione di psicologia, Marluxia. Lascia che ti ricambi con un problema. Possiamo, noi, coesistere con esseri per la cui esistenza la nostra sola presenza è una minaccia?”

Marluxia deglutisce e scuote la testa.

“No, se occupiamo lo stesso spazio e tempo.”

“La soluzione, quindi?”

“Due soluzioni e, visto che non possiamo cambiare tempo, resta quella che ho detto. Trovare un nostro spazio.”

“Non esiste spazio, a nostra conoscenza, che i Cuori non possono raggiungere. A meno di non chiudere nuovamente i Mondi.”

“Dunque, il problema è questo.”

Zexion annuisce.

“Chiunque vuole la chiusura dei Mondi, è tuo nemico.” continua Marluxia.

Nuovo gesto di assenso.

“E, su questo, non vieni a patti.”

“Marluxia, noi teniamo aperti gli universi. A prescindere da ogni altra considerazione, siamo collegamenti fra i Mondi. Finché esistiamo, i Mondi saranno uniti. Per mantenerli isolati, dovremmo sparire. Non mi sembra proprio la soluzione che tu auspichi.”

“Siamo all’inizio della Distesa Oscura. Oltre, ci sono altri universi. Forse saremmo abbastanza lontani da…”

“Le soluzioni sono tre.”

 

Naminé segue i sentieri ingannevoli che lui ha tracciato e si perde nei labirinti frammentati di specchi taglienti e ombre e inganni che è la sua mente.

Naminé è più forte. E’ un fatto. E’ più forte e, se l’affronta sul piano della pura potenza, lo schiaccerà.

Lui è più esperto, più sottile. Molto più abile.

Problema. Esperienza e abilità possono anche essere acquisite. La forza forse, ma è una scommessa ben più incerta.

Soluzione. Evitare che la nemica abbia tempo e modo di acquisire abilità ed esperienza.

Ma è ancora indispensabile e lui sta giocando con il fuoco.

Naminé studia tutti loro, ma studia Roxas con maggiore attenzione di quella che dedica a chiunque altro. I due ragazzini non sanno di essere fratelli in modo più intimo di quanto non lo sarebbero se fossero fratelli carnali, ma, nonostante siano stati tenuti all’oscuro della loro origine, hanno stretto un legame.

Impedirebbe al ragazzo anche solo di avvicinarla, ma lo conosce abbastanza bene da sapere che non farebbe altro che incitarlo a comportarsi come stato avvisato di non fare.

Per lui, Naminé è un mostro. Per Roxas, è una sorella.

 

“E’ questo, quindi, il tuo obiettivo?” mormora Marluxia.

 

Il tremore alle mani è diminuito, ma le pupille sono completamente dilatate e la sua voce ancora debole.

Gli ci vorrà qualche ora prima di smaltire completamente gli effetti collaterali dello shock neurale. Potrebbe affrettargli la ripresa, ma ormai il danno è fatto e non è male ricordargli, di tanto in tanto, che non si è sempre i più forti in ogni circostanza.

Curioso come la più grande paura di Marluxia rifletta la sua stessa paura, essere una coscienza disincarnata e impotente, obbligata a subire senza poter agire. Ecco perché la sola cosa che Zexion non ha interrotto è stata la sua consapevolezza.  

 

“Uno di quelli considerabili.”

“Allora, su questo, siamo d’accordo.”

“Quindi, su cosa non siamo d’accordo?” sorride Zexion.

“Non lo so. Non lo capisco. Cerchi di obiettare anche a chi sostiene gli stessi argomenti che hai presentato a Xemnas. Perché tanta resistenza?”

“Cosa siamo, noi, Marluxia?”

“Scusa?”

“Cosa siamo? Una specie, un popolo? Oppure l’evento a probabilità molto bassa in un campione di grandezza molto alta? Tu vuoi vivere e hai ragione. Vuoi che tutti noi viviamo e hai ancora ragione. Poi? Non dovrei insegnarlo proprio a te. Facciamo finta che io riesca davvero a trovare il modo di invertire la condizione dei nobody inferiori. Facciamo finta che riesca anche a fissare la nostra condizione ed eliminare il rischio di degenerazione. Questo cosa farebbe di noi? Te lo chiedo ancora. Una specie? Un popolo? No, solo poche migliaia di curiosità statistiche. Qualcosa che non si evolve, che non si diffonde, che non si riproduce. Fino al momento in cui non riusciremo a fissare il nostro stato, è paradossale mirare alla nascita di nuovi nobody. Finché un nobody può nascere solo come occasionale prodotto della mente umana in seguito a un incidente, ogni discorso in merito al nostro futuro è solo un modo per passare il tempo.”

“Avete pensato anche a questo.”

“Pensiamo anche a trovare una soluzione.”

“E?”

“Riuscire a revertire la condizione dei nobody inferiori potrebbe fornirci di un bacino genetico abbastanza ampio da pensare a un programma di riproduzione. Abbiamo bisogno di tempo. Non farmelo ripetere più.”

 

Marluxia non dice nulla, più a lungo di quanto finora non sia stato capace di tacere. 

Pretende di essere interessato solo ai riflessi delle luci su mura e pavimenti di vetro, disgustato dalla ricercata essenzialità di quella gabbia di cristallo e ombre e luci pulsanti.

 

Naminé è in trappola, adesso. Una sfera di continuità dalle pareti di diamante si sigilla intorno alla sua coscienza.

La nemica si dibatte e attacca i confini che la racchiudono, ma scivola sulle superfici levigate. La sfera si stringe.

 

Posso schiacciarti, ora. Piegareavvolgere lo spazio che contiene la tua anima e tu non troverai più l’uscita. Diventerai mepartedime e io berrò la tua forza e la tua vita. Vuoi essere solo un frammento senza identità, solo consapevolezza senza arbitrio?

 

Naminé non vede Roxas, non il Roxas che vede lui.

La ragazzina è forte e Zexion non osa leggere nella sua mente, ma niente e nessuno può nascondergli quello che percepisce.

Lui vede una sorgente di possibilità, una probabilità di salvezza. Il primo chiarore di un’aurora. Naminé vede un essere deforme e scomposto che urla la sua insoddisfazione, una luce contaminata come i fuochi fatui nati dalla decomposizione dei cadaveri.

Per Naminé, il mostro è Roxas.

 

“Zexion, tu stai pensando a un futuro possibile, ma non ci sarà nessun futuro se non ci diamo da fare per sopravvivere adesso. Cominciamo da qui.”

“Il futuro può nascere in questo momento e non ci sarà nessun futuro se ci facciamo uccidere per troppa fretta. Non si costruisce su fondamenta instabili.”

 

Marluxia annuisce. Anche lui si rende conto che non ha senso continuare a insistere. Tutto quello che aveva da dire, lo ha già detto.

Si rialza e si dirige alla piattaforma del sistema di trasmissione dimensionale con passi innaturalmente cauti e pesanti.

 

“Marluxia…” in questo momento, Zexion odia la sua stessa voce, che non può fare a meno di avere un tono implorante “Riprendi i tuoi studi. Quello ci sarebbe davvero utile. Se non vuoi tornare da Vexen, c’è Lexaeus. Gli parlerò io.”

 

Fa tempo a vedere l’espressione di Marluxia prima che il giovane attraversi il velo inconsistente del passaggio. Non lascia dubbio su quale sia la risposta, ma, d’altra parte, sapeva fin da subito che non avrebbe accettato.

 

Zexion apre uno spiraglio nella prigione di Naminé. La massa bianca e protoplasmatica si ritira precipitosa.

Si fa sempre più vicina, di volta in volta. A ogni attacco, riesce a scoprire parte del sentiero nascosto che, alla fine, le permetterà di infrangere le sue difese.

 

Il futuro di Luxord si è stretto intorno a loro, nonostante tutto, a causa delle sue stesse azioni.

Forse dovrebbe sentirsi più sconvolto, ma manca la sorpresa, per quello.

Chi non teme Xemnas ha torto.

Chi giudica la sua svagata tranquillità come tolleranza ha torto.

Ancora una volta, la loro umanità li inganna. Semplicemente, Xemnas non ha nulla da provare, nulla da dimostrare. Non è tollerante. E’ indifferente.

Tranne che per una cosa.

Come Xehanort, Xemnas ha la tendenza ad apparire del tutto scollegato dalla realtà, ma è sempre perfettamente consapevole di chi si muove intorno a lui e, qualche volta, si premura persino di usare questa conoscenza. Non è neppure concepibile che non si sia reso conto dell’insoddisfazione che serpeggia fra le loro file.

Come Xehanort, Xemnas è incapace di fare del male a un insetto fino a quando non lo ritiene assolutamente indispensabile. In quel caso, non ha la minima inibizione di nessun genere e non torna mai sui suoi passi. Non lo farà soprattutto in questo caso.

Ricorda la cosa nera e fredda e travolgente che era la collera di Xehanort. Conosce la cosa nera e fredda e corrosiva che è la collera di Xemnas.

Lex ha ragione e Vexen sbaglia. Xemnas non accetterà nessuna soluzione diversa dalla sua. Non perché non ci siano soluzioni più logiche, ma perché non può farlo. Perché non è capace di fare del male a niente e a nessuno, se non lo ritiene indispensabile. Perché, se esistesse un’altra strada, dovrebbe fare i conti con quello che ha fatto senza necessità.

Non può accettare una cosa che minaccia la sua già precaria sanità mentale, qualcosa che distruggerà la certezza che si è costruito, sola barriera fra lui e la follia.

Non gli sfugge l’ironia della situazione. Che Xemnas, per seguire i dettami di una coscienza troppo pregnante, continuerà a distruggere mondi per arrivare a una soluzione che, nel migliore dei casi, sarà solo inutile.

Quanto a lui, la loro condizione gli è sempre sembrata più interessante che disprezzabile e si è sempre più preoccupato di trovare un modo per fissarla piuttosto che revertirla.

In realtà, non si è mai premurato di credere a Xemnas. Fino all’arrivo di Roxas e Naminé i meccanismi di nascita di un nobody non sono mai stati chiari, né la loro relazione con i Cuori. Allora, il progetto di Xemnas poteva anche sembrare avere senso e la sola cosa importante è stato tenere aperti gli universi e avere completa libertà di esplorazione. Ogni altra considerazione è sempre stata secondaria. Di sicuro, non ha mai considerato il problema in termini di vite perdute. Ma le cose hanno preso una piega inaspettata e la conservazione degli esseri viventi è diventata prioritaria. In effetti, la conservazione degli esseri viventi è la questione stessa.

Marluxia ha visto giusto. E’ improbabile che possano acquisire un Cuore che non hanno in realtà mai posseduto, non con l’attuale forma fisica.

Se esiste una continuità psichica con l’entità umana che ha dato loro origine, non lo sa ancora. Tuttavia, la possibilità che non sia così è sufficientemente alta da considerare che, ancora una volta, Marluxia abbia ragione, che l’eventuale, per quanto improbabile, riuscita del piano di Xemnas, rappresenti la loro fine. Quindi, per esistere, devono restare nelle condizioni attuali e questo è impossibile in presenza di umani.

 

Marluxia non aspetterà. Non fa parte della sua natura.

Un’altra cosa lo differenzia da tutti. Non indugia mai nei ricordi.

Alcuni di loro rimpiangono il passato, altri lo odiano. Roxas ucciderebbe per averne uno e Axel evita così accuratamente di ricordare da essere chiaro a tutti che i ricordi, in bene o in male, sono impressi a fuoco nella sua anima.

Non importa. Che lo amino, lo odino o non lo ricordino, il passato segna l’esistenza di ogni nobody.

Poi c’è Marluxia. Marluxia non ha alcun problema a ricordare. Coloro che amava, quello che odiava. Ne parla liberamente e senza coinvolgimento. Dice di essere stato felice, ma il passato è passato e a lui importa del presente e del futuro.

Non si volta mai indietro. Di sicuro, non aspetta.

 

Nessun nobody è mai stato lasciato indietro e nessuno ha mai abbandonato i propri simili.

Quanto poteva durare?

 

Con o senza il suo appoggio, Marluxia avrà il castello. Xemnas farà di tutto per isolare l’infezione.

Zexion considera l’architettura sua proprietà, ma non è così. Potrebbe esserne escluso. D’altro canto, non può rinunciare a Oblio, non a questo punto. Il castello è parte integrante del suo progetto. La manipolazione della sua stessa mente non richiede nessun ambiente specifico dove operare, ma in seguito dovrà passare agli altri e le particolari condizioni di Oblio gli sono indispensabili. Soprattutto per quanto riguarda gli inferiori.

 

I pattern comportamentali della sua specie sono ancora in buona parte sconosciuti. Non sa come potrà esprimersi l’inevitabile lotta intestina. Dubita fortemente che si presenterà come i corrispettivi scontri fra gli umani.

Se deve ipotizzare qualcosa, sarà un pasticcio. Non hanno avuto modo di fissare schemi efficienti, mancano di storia razziale. Troppo poco tempo e troppo pochi individui provenienti da troppi ambienti ed eredità diversi. Ognuno di loro mostra comportamenti differenti che finiscono fin troppo spesso per collidere.

C’è il rischio tutt’altro che remoto che Luxord, alla fin fine, abbia ragione e il primo scontro rappresenti la fine di tutti loro.

 

E io?

 

A causa della sua natura, è intrappolato nella stessa rete che stringe gli altri. Pensa da nobody e il pensare da nobody è quello che crea problemi. Qualsiasi soluzione è in grado di elaborare, è viziata inevitabilmente dall’essere contenuta nello stesso sistema che rappresenta la limitazione.

Parlare ha significato avviare uno dei motori degli eventi. Tacere non è mai stata un’alternativa accettabile. Non avrebbe fermato la valanga imminente.

Comunque deciderà di comportarsi, il risultato non sarà buono. Non si tratta di scegliere l’alternativa ottimale, o neppure quella mediocre. Solo la meno disastrosa.

Come nella serra, adesso quello che può fare è cercare di non allargare la catastrofe, salvare il salvabile. Salvare qualcosa.

 

Vorrebbe fossero davvero quello che dicono di loro.

Niente orgoglio, niente arroganza, niente rancore. Niente colpa.

Marluxia potrebbe perdonare Vexen. Xemnas potrebbe perdonare sé stesso. Lui potrebbe non doversi disprezzarsi per non avere fatto nulla, prima, quando c’erano tempo e possibilità. O per avere fatto qualcosa dopo, quando è stato tardi.

E anche niente speranza. Niente sete di vita, per quanto fragile e improbabile.

Non sarebbero qui e lui non si farebbe simili problemi. Quindi, allora, è meglio così.

 

La sua attenzione torna alle figure spettrali dei gemelli.

 

Roxas, la chiave di tutto. E’ stato la sua chiave.

Se non fosse esistito, lui starebbe ancora arrancando alla cieca dietro a una soluzione inverosimile.

 

E’ la chiave di Xemnas.

Se non esistesse più...

 

Zexion spegne gli schermi olografici. I dati sono continuamente registrati, non è necessario che li osservi di persona senza interruzione.

 

Preservami, Signore…

 

Non si è preso il disturbo di contare i giorni trascorsi dal suo incontro con Vexen e Lexaeus né, tanto meno, di riflettere sul passare dei giorni, ma nel formulare il pensiero, diventa consapevole dell’esatto ammontare del tempo che intercorre fra l’attimo della fine di quella conversazione e ora.

Sa che sono passati nove giorni. Sa che sono passate anche ore da aggiungere a quei nove giorni. Sa quante ore. E quanti minuti, e secondi. Tempo che continua a sommarsi.

Sa come ha trascorso ogni singolo istante. Ricorda ogni singolo secondo. Eventi registrati indelebilmente, pronti a essere elaborati, processati, studiati, catalogati, archiviati.

La successione degli eventi gli dà la misura del tempo. Senza possibilità di errore, perché non può dimenticare un solo attimo, nemmeno del tempo passato dormendo, perché allora ricorda i sogni e un nobody può solo sognare, mentre dorme.

 

Roxas vuole ricordi perduti in una vita. Xemnas vorrebbe ricordi perduti in due vite.

Qualche volta li invidia.

 

Eppure, ancora non si è deciso a cominciare il lavoro di auto redazione della sua mente. In effetti, ci sono state un sacco di ragioni per rimandare.

Ha dovuto preparare i protocolli.

Ci ho messo meno di un giorno.

Poi c’è stato il lavoro di programmazione dei software necessari.

Praticamente il corrispettivo informatico di un blocchetto e una matita.

E il crollo della serra con tutto il lavoro che ne è seguito.

Una soddisfacente strage di heartless che mi ha lasciato riposato e pieno di energie quanto e più di una dormita e una buona colazione. Non è come se poi avessi più messo piede laggiù a dare una mano per finire di ripulire il disastro.

 

Ora è un momento buono per cominciare.

 

Lui non ha ricordi in una forma riconducibile a una rappresentazione dell’esistenza fisica.

Niente immagini, niente odori, niente sapori. Nessuna sensazione di qualcosa di tangibile o sensibile.

Sono solo flussi di dati. Solo significato puro.

I suoi ricordi non li può rivivere. Può solo analizzarli, tutte le volte che lo ritiene necessario, ma non riviverli. Quindi che differenza potrà mai esserci, una volta recisi i legami emotivi con essi?

Che senso ha, farne tesoro?

 

… da quello che desidero.

 

Dall’altra parte del castello, nella sala bianca, Roxas ha abbandonato il fianco della sorella e ha ripreso a correre sullo skateboard.

Naminé ritocca il disegno fatto dal ragazzo.

Non va bene, ma i disegni non vanno mai bene. Non sono mai completamente giusti, per quanto lei si sforzi. 

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

Un grazie a Giodan e alla mia fedelissima consulente in cose cattive Atlantis Lux ^___^

Ah, Lux, senza di te non riuscirei a fare così male a poveri innocenti.

Hai ragione, sai? Non si rompe a gente che neppure sai chi è e come può reagire. Che poi, rompere a Saïx… quel tipo sembra il figlio illegittimo di un leone e un lupo mannaro. Non dico di giudicare dall’aspetto, assolutamente, ma ha zanne e artigli! E una spada di due metri piena di spunzoni.

I due del finale? Certo che si ricavano il loro spazio. Io li amo, quei due. A parte che mi permettono di inventare alla grande, visto che nessuno sa perché e percome fanno quel che fanno, in mezzo a questi lugubri figuri occorre qualcuno un po’ vivace. E come si fa a non adorare Larxene? Una ragazza che vive con 12 uomini (ok, 11 e ho tanta voglia di crescere) e ha più palle di tutti loro messi insieme. Non è un mito. E’ un punto di arrivo.

 

Un ringraziamento speciale a Otsuru, per avere cercato di spiegarmi gli eventi di Castle Oblivion. Ahimé, mi sa che semplicemente i creatori abbiano voluto far vedere i bad boys come bad e basta, con tutto quello che ne consegue, compresi comportamenti che definire da autolesionisti allucinati è poco.  

Sono così felice che apprezzi Lexaeus. Mi piace Lexaeus. Ok, mi piacciono tutti i sei, senza eccezioni. Quello che dici per Zexion vale al contrario per Lex. L’aspetto di Zexion non comporta certo che sia un tenero e indifeso bambolotto e l’aspetto di Lex non lo obbliga a essere uno stupido e ignorante bue, oppure l’uomo immancabilmente buono ed eroico, cioè le sue due più comuni incarnazioni da fandom.

E’ uno degli scienziati che hanno dato il via a tutto e come i suoi cinque compagni è sicuramente quindi un personaggio molto più complesso di quanto non sembra e deve averne viste e subite d’ogni.

Quanto a Roxas, trovo davvero difficile immaginare come non sia possibile adorarlo, figuriamoci se riesco a odiarlo. Me ne sono innamorata la prima volta che l’ho visto scagliarsi come un ossesso contro quella bestia di DiZ e gli ho definitivamente venduto l’anima quando ha piantato in asso Axel senza voltarsi indietro una volta e ha obbligato Riku a prostituirsi a Xehanort. Un grande, dall’alto del suo metro e un barattolo.

Ammetto invece che il Roxas delle fanfic riesce piuttosto indigesto pure a me. Ma tanto quello non è Roxas. E’ il suo gemello malvagio ^__^

 

Volevo anche ringraziare le persone che hanno messo questo delirio fra i preferiti. Davvero, è molto lusinghiero ^__^

 

 

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Capitolo 16
*** X ***


XI

 

X

 

 

Gli artigli taglienti hanno aperto il palmo della mano sinistra, ma Roxas non si spaventa più nell’essere ferito. Abituarsi ai rimproveri e alle lamentele di Vexen, d’altro canto, è molto più difficile.

Il medico sta proseguendo con la sua paternale da almeno cinque minuti e gli agita davanti il risultato dei suoi esami come se fosse una specie di arma.

Il ragazzo comincia seriamente a credere che dovrà cadere a terra dissanguato prima che Vexen si decida a fare qualcosa.

Forse è il caso di pensarci.

 

“Stavo facendo il mio lavoro.” borbotta esasperato.

“Il tuo lavoro è parte di un programma preciso. Quello che fai, quando passi il tempo da solo a vagare per la città, non è il tuo lavoro. La tua è una vuota carneficina senza scopo.”

“Non ho molto altro da fare.”

“Roxas, come puoi pensare che uccidere può essere un modo per passare il tempo?”

 

Adesso il ragazzo è confuso. Non capisce. Questa non è un’argomentazione e come domanda non ha un presupposto logico. Non è neppure sicuro che sia una domanda.

Il suo sconcerto è una replica sufficiente per Vexen.

 

“Io non ho mai ucciso per noia.” brontola lo scienziato.

“Mi tengo in esercizio. Come vedi, uno scopo c’è.”

“Ti metti in pericolo senza necessità. Chi te lo ha insegnato?”

“Nessuno.”

Vexen getta sulla scrivania la scheda diagnostica che brandisce.

“No, certo. Non ne hai avuto bisogno.”

 

Roxas si stringe nelle spalle e guarda malinconicamente la mano da dove il sangue continua a fluire indisturbato.

All’inizio comandava ai suoi guerrieri di portare a lui gli heartless, li chiudeva nelle corti del castello e, qualche volta, anche all’interno, e li distruggeva, ma così è meglio. Per attirare quegli esseri, lui è l’esca migliore. Poi la città nera è un territorio di caccia molto più interessante dell’ambiente rigorosamente controllato del castello.

C’è l’imprevedibilità del terreno, delle condizioni atmosferiche, del numero di heartless. E le loro varianti. Le piccole ombre non sono nemmeno veri avversari, ma ci sono gli altri. Persino esseri come quelli che hanno invaso la serra. Anche forme nuove, che non ha mai incontrato prima. Non c’è limite all’instabilità degli heartless. Ognuno di loro è diverso, ognuno ha la sua forza e i suoi punti deboli. Trovarli fa parte del gioco.

Non importa. Piccoli o grandi, deboli o forti, pochi o tanti. Alla fine li uccide sempre tutti. La sola incognita è quanto tempo resistono prima di morire.

Anche se uno di loro è stato capace, almeno per una volta, almeno in qualche misura, di ripagarlo.

 

“Ho voglia di farlo. Vexen, mi fa male!”

 

Vexen decide finalmente che non ha senso continuare con i suoi rimproveri. Preleva farmaci e strumenti dal deposito medico di Roxas, sposta il ripiano snodato su cui il ragazzo appoggia il braccio, in modo da averlo nella posizione a lui più agevole per operare, e ci dirige sopra una luce intensa.

Il palmo sinistro del ragazzo è un pasticcio di carne viva e scoperta, sangue semicoagulato e brandelli neri strappati.

I guanti sono di una pelle sottile ed elastica come il materiale dei guanti da chirurgo, fatti per non intralciare i movimenti o infastidire, ma il tessuto finissimo è penetrato nei tagli.

Vexen spruzza sulle ferite una schiuma detergente e disinfettante e, con una pinza, comincia a rimuoverne i frammenti estranei, interrompendosi di tanto in tanto per assorbire l’eccesso di sangue con dei tamponi.

Roxas si torce per non perdere di vista l’operazione. Si sente del tutto a suo agio, del tutto padrone della situazione, vagamente assonnato, piuttosto incuriosito.

La mano fa male, ma il dolore non è travolgente e traumatizzante come lo è stato la prima volta in cui è rimasto ferito. Ora, la sua costanza e la mancanza di sorpresa lo rende solo un fenomeno da analizzare. Qualcosa da provare, non da subire. Quindi, qualcosa da cui non nascondersi. La vista di Vexen che opera sulla sua stessa carne è interessante, con niente di fastidioso. La poltrona chirurgica è inaspettatamente comoda, e la superficie che sostiene il suo braccio è ricoperta da uno strato di materiale spugnoso che si adatta alla forma dell’arto e ha la proprietà di non essere quasi percepibile al tatto.

Se non fosse per l’immobilità, il ragazzo giudicherebbe la cosa piuttosto confortevole.

Almeno fino a quando Vexen non finisce di rimuovere i resti del guanto dalla ferita e porta altri strumenti accanto alla poltrona.

 

“Cosa sono, quelli?”

“Quello che mi serve per la sutura.” mormora Vexen.

 

Roxas osserva disgustato aghi, fili, pinze e non identificati oggetti di metallo.

 

“Vuoi usarli su di me?!”

“Sì.”

“Voglio essere guarito.”

“E’ quello che ho intenzione di fare.”

“Come?”

 

Il medico solleva un oggetto formato da due minuscoli globuli di acciaio, simili a fusi percorsi da scanalature a spirale, uniti fra loro da un sottilissimo filo di metallo intrecciato.

 

“I tendini di indice e medio sono recisi. Questo serve a ricucirli e permetterti una certa mobilità.”

“Come?” ripete il ragazzo, e questa volta l’apprensione è evidente nel tono di voce.

“Inserisco e ancoro le estremità nei monconi tendinei. Tirando il filo, le due porzioni del tendine si ricongiungono e posso suturarlo.”

“Così si rinsaldano? Subito?”

“No. Dovrai restare fermo e limitare la flessione delle dita. Certo non potrai azzuffarti con gli heartless.”

 

Roxas guarda ancora gli strumenti.

Adesso è davvero allarmato. Una cosa è essere ferito in combattimento. E’ una possibilità da mettere in preventivo. Ma che siano usati cose come aghi, fili e acciaio sulla sua carne, quando si potrebbe applicare un incantesimo di guarigione che lo sanerebbe quasi del tutto in pochi istanti, davvero non lo accetta.

Ma Vexen appare serissimo nel suo intento. Roxas cerca freneticamente una via di uscita.

 

“E intanto cosa credi che possa fare? Vuoi prendere il mio posto? Sistemami subito la mano!”

“Un fortunato effetto collaterale della nostra condizione è che ci saniamo in fretta. In non più di una settimana sarai a posto. Se poi dovesse capitare un’emergenza, potrei sempre accelerare la guarigione. Ma, se non è necessario, non ho intenzione di usare farmaci che potrebbero servire per casi davvero gravi. Non sei in pericolo di vita e la ferita non minaccia la tua salute. Devi solo riposare. Stai per partire per Oblio, là dovrai solo lavorare in laboratorio. Se non ti sta bene, va a lamentarti da Xemnas.”

 

Roxas ci pensa solo un istante, prima di scartare l’idea. Xemnas non ha mai interferito con le decisioni di Vexen in campo sanitario.

Però anche Xemnas è un guaritore. E Zexion. Magari potrebbe rivolgersi a uno di loro e chiedere di essere medicato, senza accennare alla sua visita qui. Ma entrambi gli direbbero solo di andare da Vexen.

E Marluxia non è al castello. Se solo non fosse via, sarebbe andato direttamente da lui. Lui non lo allontanerebbe, anche se gli dicesse di Vexen. Soprattutto se gli dicesse di Vexen.

Quando vede i divaricatori tissutali con cui il medico si prepara ad allargare e fermare i lembi della ferita, si sente sul punto di vomitare e, all’improvviso, il dolore non è più così astratto.

 

“Riesci a stare fermo da solo o devo immobilizzarti?” chiede Vexen.

 

Il ragazzino scuote la testa. Vexen non è esattamente il più temibile dei suoi compagni, ma, al momento, appare abbastanza spaventoso. Però il pensiero di essere legato o sedato è molto peggio.

Poi si accorge della possibile via di salvezza. Zexion osserva la scena dall’arcata che separa l’ala dell’infermeria dal resto dei locali. Come sua abitudine, è apparso senza che nessuno se ne sia accorto, anche se non ha usato portali.

Gli si rivolge con aria esasperata. Con suo disappunto, il telepate non interviene in suo favore e, se non lo ha fatto subito, non lo farà in seguito.

 

Sussulta quando Vexen solleva con una pinza un lembo di pelle quasi completamente distaccato e lo taglia con un bisturi laser, anche se è abbastanza accorto da non tentare di sottrarsi.

 

“Non ce la facevo più a stare chiuso qui.” mormora “Non vogliono neanche che usi i sentieri delle ombre, con questo tempo.”

 

aiutamiaiutamiaiutami

 

“Quindi, appena la bufera si è placata un attimo, hai pensato bene di svagarti facendoti ferire.” replica freddamente Vexen.

 

Zexion è intanto entrato nell’infermeria e si è seduto sul bordo di uno dei tavoli.

E’ una forma di manipolazione piuttosto evidente, quella di Roxas, e Vexen non è tanto sprovveduto da non capire che sta cercando di manovrarlo, ma non importa. Il ragazzo usa il sistema che ha maggiori possibilità di fare effetto sul medico, e funzionerà. E’ anche il sistema più semplice, quello che non gli richiede di cercare nulla che già non possiede.

La ferita è brutta. Ci sarebbe voluto ben poco e il ragazzino avrebbe perso le due dita. E’ vero che, rispetto a qualsiasi essere completo, i nobody si rigenerano a una velocità sorprendente e possiedono difese immunitarie di un’efficienza pressoché unica, ma non sono insensibili. Con una ferita simile, deve provare dolore.

E’ questo che Vexen vede e sa, la trappola in cui si sta cacciando e l’esca che Roxas sta usando.

Il medico è un soggetto facile da controllare. Intelligente, ma non molto sottile, troppo sensibile e vulnerabile alle proprie pulsioni, il più pronto a lasciare che soffochino la conoscenza consapevole. Spesso irrazionale nelle sue motivazioni. Ha la necessità di ricevere continue conferme, che gli sia riconosciuta la capacità di ottenere sempre il risultato più perfetto. Sapere che qualsiasi cosa faccia, sia sempre quella più corretta. Un perfezionismo che affonda le sue radici nella necessità di convincersi, in fondo, nonostante tutto, che non può avere commesso errori, adesso o nel passato.

Le sue capacità diventano il suo punto debole.

Collerico e scontroso, ma non può fare realmente del male a uno di loro, almeno non nel caso di un’emergenza medica, o di lasciarlo arbitrariamente soffrire quando può evitarlo. E, se non ne è in grado, è capace di passare notti insonni per cercare una soluzione.

Peccato che non riesce davvero a concepire che la cosa non è necessariamente reciproca.

Vexen è fermo a un mondo che non esiste e non è mai esistito. Un mondo dove ci sono limiti invalicabili e sbranarsi è solo un termine figurativo. Dove cercare la morte altrui è, al massimo, un affare professionale.

E questo dopo tutto quello che ha fatto e visto.

A conti fatti, è un inguaribile illuso.

D’altra parte, Roxas ha già dimostrato di essere un capace giudice di personalità e un abile manipolatore con Axel, e Axel è un soggetto di gran lunga più difficile e pericoloso di Vexen.

Il ragazzo si irrita quando si accorge di essere trattato con la paternalistica sufficienza e tolleranza che molti dei suoi compagni gli riservano. Questo non gli impedisce di usare il comportamento altrui a suo vantaggio e sembra capire bene quali corde pizzicare e fino a che punto spingersi per non superare il limite.

Spera solo che la cosa si concluda in fretta. Ha mal di testa e le continue, pesanti ondate mentali di nausea, sofferenza, paura e fiducia provenienti dall’adolescente si sommano alle fitte alle tempie e alla fronte per intaccargli i nervi.

 

Roxas si morde nervosamente il labbro inferiore e cattura con lo sguardo l’attenzione di Vexen.

 

aiutamiaiutamiaiutami. Puoi farlo

 

“Mi fa davvero male.”

“Adesso ti inietto un anestetico. Non sentirai niente.”

“E dopo?”

 

guardami sonoinermesofferentespaventato nelle tue mani

 

Fino a questo momento, Roxas ha applicato una specie di estraneamento dalle sensazioni, dolore compreso. Ne è stato consapevole, lo ha sentito, ma come se lo osservasse in qualcun altro. Non lo ha sopportando. Lo ha ignorato.

Ora si è lasciato completamente andare a esso e le sue reazioni sono le più spontanee possibili. Il tutto, per una manovra che non ha nulla di spontaneo.

Addirittura, è riuscito a far sembrare il suo atteggiamento precedente come la reazione di panico di un ragazzo traumatizzato, anche se proprio Vexen, più di chiunque, è consapevole di quanto sia difficile che un nobody rimanga traumatizzato e che messo di fronte a svariate possibilità per ottenere qualcosa, sceglierà il metodo che gli permetterà di mentire, ingannare e sopraffare mentalmente chi gli sta di fronte. E’ una tentazione a cui non si resiste, quella.

Zexion è pronto a scommettere che, se ne fosse fisicamente in grado, Roxas si metterebbe a piangere, ma l’esasperante flusso telepatico di dolore che lascia scorrere è una forma di coercizione subliminale sufficiente.

 

aiutamiaiutamiaiutamiaiutami. Tu puoi farlo. Perché non lo fai?

 

Come previsto, Vexen mette da parte tutti i suoi propositi. Ha già dimenticato l’arroganza e la prepotenza con cui l’adolescente lo ha trattato qualche minuto prima.

Passa a Roxas una minuscola fiala contenente la pozione psicoattiva che concentra i processi rigenerativi di un organismo e catalizza l’intervento taumaturgico dell’operatore.

Prende la mano di Roxas, indifferente al sangue che gli cola fra le dita. L’arto del ragazzo si ricopre di un sottile strato di ghiaccio. Il sangue lo colora subito.

Roxas spezza con i denti l’estremità della fiala e ne inghiotte il contenuto con una smorfia, mentre Vexen compone la complessa formula di guarigione, quindi spazza via il ghiaccio che copre la mano dell’adolescente e lo fa cadere in una bacinella di metallo, e la crosta si porta via anche il sangue. Sotto, la pelle è liscia e quasi intatta, con sottili linee rosa dove fino a qualche attimo prima si aprivano i profondi tagli.

Vexen termina iniettandogli un antibiotico ad ampio spettro, ripete l’esame diagnostico e spegne la lampada sul tavolo operatorio.

 

Il ragazzino flette con cautela le dita. Ci vorrà qualche giorno prima che la nuova carne sia consolidata perfettamente, ma, almeno, adesso può muovere la mano.

 

“Grazie.” mormora.

 

E, con questo, si è conquistato definitivamente il medico, eternamente insicuro, eternamente sospettoso, eternamente alla ricerca di elogi. Il riconoscimento di essere riuscito è il suo compenso.

 

“Vai a riposare e cerca di non sforzare quella mano per almeno due giorni.” brontola Vexen “Potrebbe non guarire perfettamente, altrimenti, e finiresti per sentire sempre un po’ di fastidio.”

 

Roxas annuisce rispettosamente e si allontana dall’infermeria. La sua deferenza non è smaccata al punto da essere palesemente falsa. Solo quel tanto che basta.

Mentre supera Zexion, la sua brillante e impenetrabile aura mentale, così simile a una stella, si schiude per un istante.

Sotto la parvenza intimidita e uno strato superficiale di sollievo e sincera gratitudine verso Vexen, fluisce un senso di soddisfatta arroganza all’idea di avere piegato lo scienziato tanto facilmente, solo al costo di qualche moina.

Ancora una volta, Zexion ha il desiderio di incontrare Sora, capire quando il ragazzo umano condivide della complicata ed esigente personalità del gemello.

Di certo, Roxas sta rivelando sfaccettature caratteriali che Sora non ha finora mostrato in nessuna delle osservazioni riportate. Perlomeno, nessuno ha mai riscontrato in lui l’inquietudine e la curiosità di Roxas, né la sua necessità di determinare la propria esistenza.

A meno che Sora non sia completamente appagato dalla sua condizione di strumento. Ma questa sarebbe comunque una differenza sostanziale fra i due.

 

Vexen non si è mosso. Dovrebbe mettere ordine, ma resta seduto. L’operazione lo ha esaurito, ed è già abbastanza stanco.

Zexion gli si avvicina.

 

“Apprezzerei molto se non gli facessi prediche inutili.”

“Dovresti essere il primo a volere che sia capace di autodisciplina.”

“C’è differenza fra controllo di sé e semplice sottomissione, Vexen. Tu le confondi. Adesso, più che mai, è importante che Roxas esprima la sua personalità.”

Il giovane solleva uno degli aghi da sutura e lo osserva assorto.

“Avresti dovuto usare questo.”

“Adesso sei incoerente. Mi hai appena detto di lasciarlo stare.”

“Ti ho detto di non fargli prediche inutili, perché era questa, la tua. Non hai mai avuto intenzione di usarli.”

“Tendini flessori del secondo e terzo dito completamente recisi, con lesioni ai legamenti e ai muscoli delle falangi prossimali.” risponde Vexen, come se la considerasse una motivazione sufficiente.

“Potevi rimediare solo chirurgicamente?”

“Il processo sarebbe stato più lungo e molto più doloroso e ti ricordo che Roxas ha già reagito male a una ferita.”

“Non è quello che ho chiesto. Se avessi usato la chirurgia, il suo recupero sarebbe stato completo, senza ripercussioni funzionali?”

“Sì.”

“Roxas deve imparare a valutare le conseguenze delle sue azioni e ad affrontarle, nel caso. Non ci sarai sempre tu, pronto a coccolarlo.”

“Tu lo avresti fatto sul serio.”

“Io lo avrei curato subito. Spetta a te decidere come, in quali occasioni e per chi usare le risorse sanitarie e nessuno deve contestare il tuo operato. La forza e i farmaci che hai usato per Roxas  non sono illimitati e non si creano dal nulla. Devono essere rimpiazzati. Non si sprecano per un taglio causato da un gioco stupido. La tua era la decisione più logica, ma non avresti dovuto trasformarla in un metodo punitivo. Non desidero che sia punito, né che abbia una vuota paura di agire. Non voglio che si faccia l’idea fuorviante che esistano modi di comportarsi che lo porteranno a essere inevitabilmente castigato oppure premiato. Voglio che ragioni su cause e conseguenze, non su giusto o sbagliato, né intendo imprigionarlo in schemi coercitivi a cui si sentirà in dovere di ribellarsi per presa posizione. Tu hai cercato di fare questo, poi ti sei ritratto e la tua arma ti si è rivoltata contro. Roxas ti ha mentito.”

“Non è possibile che non provasse dolore.”

“Per provarlo lo provava. Tutto quello che ti ha detto era la verità. La menzogna è quello che ti ha fatto capire, la conclusione a cui ti ha fatto arrivare. Ti assicuro che non soffriva al punto di perdere il controllo e non era spaventato, non lo era per niente fino a quando non hai tirato fuori gli aghi. Anche allora, la sua paura non era che tu gli facessi male o di provare dolore dopo l’operazione. Era di non potersi più muoversi per un periodo che lui considera inaccettabile. Così avete solo perso tempo, Roxas ha comunque ottenuto quello che voleva, ha subito una sofferenza non necessaria e tu non hai fatto altro che fargli capire che il suo trucco ha funzionato. Gli hai dato un’arma da usare contro di te. La prossima volta, fai davvero quello che oggi ti sei limitato a minacciare.”

“Sei sicuro che ci sarà una prossima volta?”

Zexion mette giù l’ago e si sposta alle spalle dell’altro uomo.

“Ovviamente. Adesso che sa che può manovrarti.”

 

Appoggia le mani alle tempie di Vexen e gli trasmette parte della sua energia vitale. Non abbastanza da reintegrare quella che il medico ha donato a Roxas, ma sufficiente ad attenuare lo stordimento e fargli sentire ancora più intenso lo sfinimento. Abbastanza da solleticare il suo senso di completezza senza soddisfarlo.

 

“Lo sai cosa fa?” chiede Vexen.

“Va a caccia.”

“Almeno ti rendi conto che il suo è un comportamento stupido.”

“Non ci vuole molto.”

“Allora impedisciglielo.”

Zexion indica con un gesto i depositi dei farmaci, rigorosamente suddivisi per individuo.

“Non tutto va bene per tutti. Siamo di pianeti diversi, specie diverse, siamo diversi. Tu non ci tratti farmacologicamente nello stesso modo. La cura di uno, per un altro è un veleno. E’ lo stesso per il pensiero. Roxas è un alieno, non puoi comportarti con lui come se fosse un ragazzo del nostro mondo. Non puoi comportarti con nessuno di loro come se fossero del nostro mondo. Così Marluxia ti è sfuggito dalle mani appena ne è stato in grado. Quello che per me è un comportamento stupido, per Roxas può essere una necessità. Se gliela impedisco, finirò solo per creare una tensione, in lui. Se tratto una tigre come se fosse un gatto, alla fine qualcuno finirà sbranato. Non provocarlo. Potrebbe essere molto pericoloso.”

“Non ha mai fatto realmente del male a nessuno.”

“Però ha mostrato la tendenza a diventare violento quando si sente in trappola. Ha un netto punto limite al controllo della rabbia. Se mai dovesse superarlo, io non vorrei essergli vicino. Vuoi essere il primo a sperimentare l’effetto di un keyblade?”

“Ma tu vuoi che raggiunga il suo limite, non è vero? Vedo quello che stai facendo.”

Zexion scuote la testa.

“Sto solo cercando di dargli la possibilità di sopravvivere fuori di qui. Così come è adesso, lo distruggerebbero in un attimo.”

 

Peccato che non sia ancora sufficiente. Roxas possiede una fragilità che neppure sa di avere, che probabilmente negherebbe con tutte le sue forze. Qualcosa che non c’entra niente con quello che gli è stato insegnato. Qualcosa che fa parte di lui, che lo rende quello che è. Una debolezza che potrebbe uscire nel momento meno opportuno.

 

Vexen sospira e si alza per andare a lavarsi le mani, ancora imbrattate dal sangue di Roxas. Non è d’accordo, è evidente, ma è anche abbastanza stanco da non avere più voglia di continuare a combattere, o cercare un motivo sufficiente per farlo.

 

“Come preferisci. Il ragazzo è tuo.”

Zexion gli sorride caldamente.

“Bene. Allora non ci sono problemi. Avanti, siediti.”

 

Appoggia nuovamente le dita alle tempie di Vexen. Non ha bisogno di toccare materialmente i suoi soggetti, eppure ha scoperto che, in determinate circostanze e con determinati individui, il contatto fisico o, viceversa, la sua completa mancanza, è una componente rilevante dell’operazione che svolge. Nobody, umani, persino animali, non fa differenza. La differenza è del singolo.

Se mai si fosse azzardato solo a sfiorare Roxas mentre lavorava su di lui, il ragazzo avrebbe serrato le barriere mentali, rafforzandole con ostilità e repulsione. Vexen è diverso e si abbandona contro le sue mani, mentre lui alimenta i torrenti prosciugati di forza vitale e il vuoto stordente è sostituito da un senso di assoluto benessere.

 

“Dovresti essere lieto che Roxas abbia imparato così bene da te. Mi stupisco, anzi, che tu lo hai tradito e mi hai detto del suo trucco.” mormora il medico.

“Così, la prossima volta, dovrà ingegnarsi a trovare qualcosa di meglio.”

 

Vexen si risolleva e si rivolta, senza più traccia di affaticamento o di arrendevolezza. Ed è stupefatto.

 

“Hai iniziato il processo di ristrutturazione mentale!”

“Sì.”

“Perché non mi hai avvertito?”

“Non ho avvertito nessuno.”

“Hai fatto da solo?”

“Evidentemente.”

“Senza controlli esterni?”

“Vexen, sì. Mi sembra che avevamo già chiarito la faccenda. Voi stessi l’avete chiarita. Non siete in grado di monitorarmi, quindi, che siate pronti o no, non cambia nulla. Eccetto allungare i tempi e ogni minuto è importante.”

Il medico indica la poltrona appena abbandonata da Roxas.

“Sdraiati.”

“Vexen, ho già…”

“Sdraiati! Lo hai detto anche tu, qui dentro le cose le gestisco io. Finché stai qui, obbedisci a me.”

 

Inutile resistere. Per liberarsi dovrebbe litigare o andarsene, e comunque la cosa non finirebbe.

Molto più facile perdere ancora qualche minuto e Vexen sarà più incline ad ascoltarlo, così. D’altronde, era scontato che se ne sarebbe accorto. Le capacità del medico sono più intellettuale che psichiche, ma il contatto mentale ha tradito qualcosa di cui non è possibile non accorgersi e che non ha mai neppure avuto intenzione di nascondere.

 

“Hai avuto conseguenze collaterali fisiche?”

“Cefalea.”

 

Vexen reclina quasi completamente la poltrona e Zexion si ritrova a fissare la luce del soffitto.

Il dolore aumenta. Volta la testa e si ripara gli occhi con un avambraccio.

 

“Roxas aveva ragione, fa davvero male la testa. E io ero convinto che esagerasse. Non mi sono neppure disturbato a verificare.” si solleva su un gomito e osserva il compagno, intento a prelevare dei sensori “Credi che dovrei scusarmi con lui?”

“Credi che sappia che vuol dire scusarsi?”

Il giovane sembra pensarci attentamente.

“Non lo so. Io non gliel'ho insegnato di sicuro.”

 

Bruscamente, Vexen lo spinge di nuovo disteso e gli applica i sensori alle tempie.

Zexion chiude gli occhi, cercando di proteggersi dalla luce. Vexen gli solleva una palpebra e gli punta il fascio luminoso di una pila direttamente nella pupilla.

 

“Frequenza e durata del dolore?”

“Ho effettuato tre sedute a distanza di un giorno l’una dall’altra. Finora, il dolore si è presentato sempre. Bilaterale e simmetrico, localizzato nell’area frontale e temporale. Inizia nel momento che riemergo dalla rete mentale. Dura all’incirca quattro ore. Termina improvvisamente.”

“Vomito? Vertigini? Fotofobia?”

“No alla prima, no alla seconda, sì alla terza. Anzi, vorrei che ti sbrigassi. La luce negli occhi non migliora la situazione.”

Vexen lo ignora.

“Disturbi sensoriali?”

“A me? Questo sarebbe interessante.”

“Rispondi, per favore.”

“No. Niente auree, niente suoni, niente odori, niente sinestesia. E niente formicolii o debolezza o mancanza di coscienza. Solo mal di testa.”

 

Finalmente Vexen termina l’esame, legge i risultati e gli permette di risollevarsi e sfuggire all’illuminazione.

 

“Nessuno squilibrio elettrochimico, nessuna alterazione nei livelli dei neurotrasmettitori, nessuna vasocostrizione. Non ci sono ragioni fisiologiche perché tu soffra di cefalea.”

“Grazie per avermi detto quello che so.”

“Possiamo fare esami più approfonditi, se lo ritieni necessario.”

“No. Ho tutte le rilevazioni diagnostiche del caso. Te le faccio avere.”

“Sei un idiota.”

“Prego?”

“Mi hai sentito. La tua è stata solo incoscienza. Un eventuale collasso, come lo gestisci da solo? Adesso dimmi una cosa. Ti saresti degnato di avvertire, o devo ringraziare Roxas e la sua brillante trovata per averti attirato qui?”

Prende un microiniettore e gli si accosta, ma Zexion scuote la testa.

“No. Niente che agisca sul sistema nervoso.”

Vexen non fa neanche il tentativo di insistere. Depone il farmaco, si siede accanto a Zexion e si sfrega stancamente la radice del naso.

“D’altra parte, chi di noi può accusare un altro di incoscienza? Almeno puoi dirmi a che punto sei.”

“Mi ci sono voluti oltre quattro mesi per portare a termine il lavoro su Roxas. Non mi aspetto di finire su di me in tre giorni. Comunque, mi si è chiarito un particolare del meccanismo con cui le memorie umane influiscono sulla percezione delle emozioni e perché esse possono rappresentare l’elemento che sconvolge il metaequilibrio della nostra struttura mentale.”

“Cioè?”

“Non è vero che proviamo emozioni solo se ne abbiamo il ricordo ereditato dall’umano. In un certo senso, è il contrario. Ogni volta che sperimentiamo un’emozione, risvegliamo i ricordi di tutte le occasioni in cui abbiamo provato quell’emozione, anche se non ne siamo necessariamente consapevoli, e riconosciamo quelle sensazioni con un’intensità molto superiore di quanto non facciamo con quelle attuali. Per motivi connaturati, noi possediamo una memoria estremamente efficiente. La struttura mentale a celle cristalline prive di resistenza, un sistema nervoso particolarmente funzionale e non soffriamo di invecchiamento. Perlomeno, in dieci anni non abbiamo rilevato traccia di invecchiamento. I ricordi sono codificati chimicamente all’interno dei neuroni e modificando i contatti sinaptici, ma la memoria non è un archivio dove ogni singolo ricordo è rappresentato da una configurazione chimica o sinaptica. Funziona tramite associazioni. Molecole e sinapsi sono come lettere che possono combinarsi per costruire parole diverse, frasi e discorsi. Anche se le lettere sono in numero finito, la varietà dei discorsi è virtualmente illimitata. E’ così anche per i ricordi. Esiste un limite alla capacità umana di memorizzare perché il loro sistema nervoso invecchia, perde elementi costitutivi e si ritrovano a comporre discorsi usando sempre meno lettere. Le nostre cellule nervose invece si rinnovano. In fase di divisione cellulare sono replicati anche i caratteri mnemonici. Diversi di noi possiedono una memoria eidetica e per quanto riguarda gli altri, è più una questione di minore concentrazione, non di dimenticanza. Ironico, non trovi? La maggior parte di noi soffre, almeno in qualche misura, di amnesia riguardo alla vita umana. Tuttavia, i ricordi mantenuti e quelli accumulati in seguito non si perdono e sono estremamente vividi. Nel nostro caso, il tempo non cura tutto. D’altra parte, un nobody è un essere fatto di memoria. E’ un assunto piuttosto comune.”

 

Vexen si irrigidisce. Considerato il suo normale atteggiamento contegnoso, c’è da stupirsi che non si spezzi sotto il suo stesso peso.

Sapeva che, con una simile affermazione, lo avrebbe irritato. Irritare Vexen è un gioco troppo facile. Non per questo evita di punzecchiarlo, di tanto in tanto. Quando sa di aver solleticato l’interesse accademico di Vexen quanto basta perché si senta obbligato a continuare ad ascoltare.

Anche perché si irrita ancor di più quando si rende conto di essersi comportato come previsto.

 

“E’ una sciocchezza, naturalmente.” prosegue Zexion, mettendo fine al gioco “Non siamo certo fatti di sola memoria, ma la questione è proprio la memoria. Purtroppo, nel nostro particolare caso, l’efficienza mnemonica va a nostro svantaggio. Lo stato vitale è una forma di ordine. Il caos è una condizione incompatibile con la vita. Occorrono schemi di coerenza psicologica ed emotiva. Le emozioni non sono casuali nel loro manifestarsi, né nei loro effetti. Sono un sistema finalizzato alla sopravvivenza, hanno una concreta ragione di esistere esattamente con le conseguenze che causano in coloro in cui si manifestano. Per questo la credenza popolare diffusa in molti mondi che alcune emozioni siano legate inestricabilmente ai loro contrari, o che conducano ai loro contrari, è priva di fondamento. L’odio e la paura non portano né si mescolano ad amore o attrazione. Odio e paura sono reazioni funzionali dell’organismo evolutesi per motivare a evitare situazioni che possono mettere a repentaglio la sopravvivenza. Amore e affetto sono l’esatto opposto. Quindi essi non si confondono, se non in manifestazioni patologiche e deviate. Così come le corrette emozioni devono essere relazionate alla corretta fonte, devono anche essere relazionate al corretto momento. Non solo cosa, ma anche quando. Se ora ti trovi di fronte a un pericolo, provi paura e la paura ti spinge a fuggire per salvarti. E’ una risposta funzionale. Ma se fuggi solo perché ricordi una situazione di pericolo che al momento non esiste, è ben diverso. La chiara differenziazione fra presente e passato è indispensabile. Noi dobbiamo reagire al presente per sapere esattamente cosa stiamo vivendo. I ricordi devono restare al posto che spetta loro, cioè nel passato, non mescolarsi al presente. Ma se il passato causa reazioni superiori a quelle del presente, il sistema comincia a creparsi. Corriamo quindi il rischio di reagire a eventi già trascorsi come se fossero attuali o, viceversa, non reagire a quelli attuali. A considerare maggiormente valido il passato. A non identificare il presente, addirittura.”

“Ma anche negli esseri completi esiste una relazione tra emozioni e memoria. Eppure, nel loro caso, un simile problema non si presenta. Oppure il meccanismo di controllo è rappresentato proprio dal fatto che la loro memoria si attenua?”

“No. Il fattore discriminante è un altro. Un essere umano viene al mondo quasi come una tabula rasa. Si sviluppa e impara a riconoscere sé stesso in modo progressivo e continuo, da un momento addirittura precedente la sua nascita. Noi non abbiamo avuto uno sviluppo graduale. Non abbiamo avuto un tempo di adattamento. Ci siamo trovati in questa condizione in modo improvviso e traumatico. Ricordi la prima emergenza che abbiamo dovuto affrontare?”

 

Ricorda, certo, e vorrebbe poter dimenticare i primi tempi, la minaccia della follia sempre più probabile, un incubo nutrito da ogni istante di sopravvivenza, da cui non era possibile nascondersi né sfuggire.

Solo accettarlo, oppure perdersi in esso.

 

“Sì. Un essere umano che subisce incidenti o interventi che alterano estensivamente il suo aspetto fisico, può incorrere in svariate forme di disordini psicologici perché non è più in grado di riconoscere sé stesso.”

“Già. E questo è il caso di chi si ritrova a gestire solo una sembianza. Noi siamo nati ereditando un’intera storia che consideriamo nostra, ma che appartiene a un essere del tutto differente, non solo con una diversa forma, ma con diverso modo di percepire, di reagire, diversa fisiologia, diverso comportamento. Forse addirittura un’altra entità. Continuiamo a riferirci al passato come alla nostra condizione naturale e avvertiamo lo stato attuale come errato. Quindi, quando le nostre emozioni risvegliano ricordi delle stesse emozioni percepite dall’essere umano, noi facciamo riferimento a esse. Ecco perché spesso non siamo in grado di riconoscere l’emozione attuale, o ci appare così smorzata. Perché il peso delle esperienze passate la offusca. Come capirai, una situazione ben poco favorevole alla sopravvivenza. Per evitare una condizione così pericolosa e sgradevole, tendiamo inconsapevolmente a eliminarne le cause, per quanto possibile. Così si forma un circolo chiuso. Le emozioni ci creano disagio perché non le riconosciamo e creano confusione nella coerenza psicologica, quindi evitiamo di provare emozioni, e questo ci convince che non le proviamo. Si è creata una psicosi indotta da uno stimolo psichico ricorrente. Adesso, non escludo che con il passare degli anni e con l’accumulo di ricordi in questa forma, essa potrebbe risolversi spontaneamente. Tenendo conto che noi raccogliamo a ogni istante una quantità di dati ben superiore a quella umana. I sensi umani sono molto meno discriminanti, loro non possono distinguere gran parte di quello che noi percepiamo, quindi non lo memorizzano. Noi sì, e con molta maggior precisione. Oltretutto, potenzialmente la durata della nostra vita è superiore, quindi più tempo per memorizzare. E dimentichiamo molto meno. La quantità di memorie come nobody finirebbe per soffocare quella delle memorie umane. E’ che bisognerebbe arrivare a quel momento.”

“Recidere i legami emotivi con la vita umana taglia alla fonte la causa del problema.” mormora Vexen “Tutto coincide.”

“Sì.”

“Quindi, sembra proprio che tu sia sulla strada giusta.”

 

Zexion annuisce e si tira su in modo da incunearsi a gambe incrociate nella poltrona.

Fragile. E’ la caratteristica principale di Vexen. Il più fragile di tutti loro. Il più vulnerabile. Persino più di Xemnas.

Come ghiaccio sottile, così inattaccabile in apparenza, così pronto a creparsi e spezzarsi sotto il minimo peso, alla minima scossa. Come neve, pronta a sciogliersi alla minima variazione di calore.

Può esistere solo fra gli stretti e rigorosi confini di un ambiente limitato e difficile.

 

“Marluxia vuole trasferirsi al castello Oblio.”

“Cosa?”

“Vuole trasformarlo in una specie di base secondaria. Anche se ha cercato di vendermelo come… centro di ricerca.”

“E’ pazzo.”

“Mi ha chiesto di accompagnarlo.”

“Marluxia non chiede. Ordina.”

“Per me può anche cantare, se gli fa piacere. Il risultato non cambia. Vexen, ti prego, smettila di competere con un ragazzino.”

“E tu cosa gli hai risposto?”

“Niente, per adesso. Ma andrò. Verrà anche Lex. Dovresti pensarci anche tu.”

“Per quale ragione?”

“E’ quello che ho chiesto anch’io. Perché. Perché lui e Lex hanno ragione. Xemnas non ci permetterà di proseguire il nostro lavoro. Lontano da qui, forse, avremmo qualche possibilità.”

“Forse qualche possibilità… Non è un argomento molto convincente. Da te mi aspettavo qualcosa di meglio.”

“Purtroppo, è la condizione più favorevole che possiamo ottenere. Magari riesco anche a evitare che Marluxia si faccia uccidere.”

“Da quando ti preoccupi della sua incolumità?”

“Mi preoccupo della vita di ogni singolo nobody. Siamo troppo pochi per considerare desiderabile l’uccisione di uno qualsiasi di noi. A maggior ragione di un alto nobody. A maggior ragione Marluxia. Ti rendi conto di cosa potremmo fare con il suo aiuto?”

“Conosco Marluxia meglio di chiunque, qui. E’ pericoloso.”

Aiuto, urla un filo d’erba al vicino, siamo perduti. E’ arrivato un coniglio. Tutti siamo pericolosi per qualcosa, Vexen.”

L’umore di Vexen fluttua dall’irritato all’incollerito.

“Se hai intenzione di andare avanti a colpi di sofismi, puoi uscire subito. Marluxia è un arrogante, ignorante e intrigante bastardo, convinto di essere sempre nel giusto, convinto di dover imporre a chiunque il suo concetto di giusto.”

“Secondo lui, siamo noi quelli pericolosi. Secondo lui, i pazzi siamo noi. Credo salvi dalla pazzia solo sé stesso, Larxene e, probabilmente, Roxas. Secondo lui, siamo noi quelli convinti di conoscere la verità e di imporla. E’ vero. Li obblighiamo ad ascoltarci e, anche se non ci ascoltano, cerchiamo di obbligarli a fare quello che abbiamo deciso sia la cosa giusta. E non ci fermiamo a chiedere loro cosa vogliono. Tutti siamo pericolosi e tutti siamo in pericolo. Vexen, sai cosa può essere Xemnas, se lo si contrasta.”

 

Un nuovo cambio di umore, ma questa volta è paura, non risentimento.

Ne ha ben ragione. Vexen sa che significa essere vittima della collera di Xemnas.

 

“E come puoi essere certo che con Marluxia sarebbe diverso?”

 

Zexion si stringe nelle spalle. Si porta l’indice alle labbra e comincia a mordicchiarsi il polpastrello. Il medico distoglie subito lo sguardo.

Even passava le giornate a togliergli le dita dalla bocca. Vexen non osa tanto, ma il fastidio è rimasto immutato.

 

“A lui interessa che noi si prosegua e che si arrivi a un risultato positivo. Non sopporta l’essere controllato, non sopporta limitazioni, e la sua condizione è la maggiore limitazione che ha, molto maggiore di quelle imposte da Xemnas. Se vuole trasferirsi a Oblio è perché vuole avere spazio di manovra per liberarsi da ogni possibile vincolo. Non mi importa se poi gioca a fare il signore del castello, fino a quando mi lascia lavorare.”

 

Marluxia lo lascerà lavorare, certo. Lascerà lavorare lui. Il suo bersaglio sarà Vexen.

 

“Così, vorresti comprarti la sua collaborazione aiutandolo a ottenere quello che vuole.”

“Lo hai detto anche tu. Sono sulla strada giusta. Adesso non mi fermo.”

 

Vexen non ribatte. Invece, raccoglie i farmaci usati per Roxas e li riporta al loro deposito. Ma qualcosa non deve soddisfarlo perché, invece di riporre il materiale che tiene in mano, osserva il contenuto dell’armadietto per qualche istante. Evidentemente, decide che l’ordine dei farmaci non è quello voluto. Li toglie uno dopo l’altro e li posa sul tavolo.

 

“Vexen, cosa pensi di Xemnas?”

“Cerco di non pensarci.”

“Consideri possibile che possa ottenere un risultato positivo? Gli… credi?”

“Non gli ho mai creduto. Il suo è solo un delirio metafisico.”

 

Vero. Vexen non ha mai creduto in quella caccia al passato. A differenza di lui, però, non ha mai neppure creduto di dover tacere.

 

Quella mostruosità che abbiamo sopra la testa. Sarà completa quando le avremo dato in pasto tutti i Cuori dell’universo?

 

Era stato il commento finale di Vexen, anni prima, quello che aveva fatto perdere il controllo a Xemnas.

 

“Sai che non possiamo escludere completamente il suo successo, vero?”

“Completamente? Non mi sento più in grado di escludere nulla, completamente.”

“E se riuscisse?”

“La prima cosa che farò sarà scusarmi con Xemnas, bere alla sua salute e continuare a bere sino a quando non sarò tanto ubriaco da avere dimenticato tutto questo.”

Zexion sorride.

“Marluxia mi ha fatto notare una cosa che non avevo considerato. Se funziona, noi corriamo il rischio di svanire.”

 

Vexen studia i farmaci ora allineati sul tavolo e inizia a riporli nuovamente nell’armadio. Quasi esattamente nell’ordine precedente, senza togliere né aggiungere nulla.

 

“Io mi sono opposto e tu e Lex, invece di darmi sostegno, siete stati zitti perché, in ogni caso, vi faceva comodo il favore di Xemnas.”

“Ho sbagliato.” mormora Zexion.

“Un po’ tardi per ammetterlo, no?”

Il giovane annuisce docilmente.

“Però pretendi che Roxas non sbagli.”

 

Il bacile metallico dove Vexen ha fatto cadere il ghiaccio che ha coperto la pelle di Roxas è ancora sul ripiano snodato della poltrona. Zexion lo prende e lo stringe fra le mani a coppa.

 

“No, Vexen, non lo pretendo e non me lo aspetto. La realtà è che non può permettersi di sbagliare, eppure sbaglia e continuerà a farlo, ne sono sicuro. Come noi. Siamo sopravvissuti solo grazie a noi stessi, nonostante noi stessi, e non tutti ci sono riusciti. Abbiamo dovuto rimediare a ogni errore pagando un prezzo di fatica e sofferenza e morte. Credi che dovrei augurargli questo? Perché sbaglio io, dovrei desiderare lo stesso per lui?”

 

Il calore delle sue mani ha riscaldato il bacile e i frammenti già quasi sciolti di ghiaccio si sono liquefatti in una poltiglia rossastra dall’odore intenso e univoco.

Lo smuove leggermente e qualche rarefatto filamento di Crepuscolo si innalza da quell’amalgama. Il sangue è ancora fresco e solo poche molecole hanno cominciato il processo di scomposizione.

L’intero mondo è un mondo di odori diversi. L’universo è descritto dagli odori, come è descritto dalle immagini o dai suoni o da tutti gli altri sensi. Ci sono prospettive olfattive, come quelle visive, come quelle acustiche. Tutto quello che esiste è soggetto ad almeno una forma di percezione. Definiscono oggetti ed esseri viventi, masse e volumi, rapporti spaziali e relazioni.

Ogni senso ha la sua esclusività. Ognuno di essi recepisce il mondo dalla sua angolazione caratteristica, cattura particolari diversi, mostra particolari diversi. Ognuno di essi rivela qualcosa invisibile agli altri. Trasmettono informazioni e l’informazione è l’essenza dell’esistenza, perché ottenere l’informazione significa sperimentare.

Il massimo dell’informazione, la maggior correttezza, lo ottiene nel concerto di tutte le percezioni. Ma, nell’insieme, qualche particolare può andare perso e allora, talvolta, gli piace selezionare i dati che arrivano tramite tutti i diversi canali sensoriali. Può scremarli, separarli. Concentrarsi su l’uno o l’altro o più di uno o tutti. Provare diverse combinazioni. Può scegliere un unico segnale, sfilarlo dall’insieme, focalizzarlo, seguirlo sino alla fonte e dare forma e identità alla sua origine.

Gli piace sperimentare con i sensi e l’olfatto è quello che gli dà maggior piacere. Si estende nel tempo, non solo nello spazio. Definisce non solo quello che è, ma quello che era e quello che può essere.

Aspira l’odore del sangue, un messaggio concreto ed esclusivo che traccia la presenza di Roxas.

Il ragazzo non si è diretto nei suoi alloggi, né in alcun altro luogo del castello. E’ fuori, per le strade, a caccia nel mare di neve e ghiaccio.

 

“Vexen, ho bisogno di te. Per favore.”

 

Il medico continua la sua quasi isterica opera di riordino nel deposito di Roxas.

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

Passo ai ringraziamenti a tutti i coraggiosi che leggono, e alle risposte ^__^

 

Giodan: come al solito, sei troppo gentile, ma non crederai che la parte di Naminé finisca così, vero. No, tornerà ancora, sempre più fuori di testa. Posso anche volerla passare in una mietitrebbiatrice, ma è interessante. Quando poi salteranno fuori lei e DiZ, insieme…

Le interazioni fra Naminé è il suo padrone del giorno sono fantastiche, ma le migliori sono certamente quelle con DiZ e Riku. Non vedo l’ora di arrivarci ^__^

In confronto a loro, Xemnas è un luminoso esempio di moderazione ed equilibrio. Se poi pensi che ci sarà di mezzo quella meraviglia di Xehanort (l’heartless) che io adoro, sarà un po’ come la giornata in cui si aprono le gabbie dei manicomi ^__^

 

Otsuru: mi chiedi se Axel è pazzo? Riassumiamo ^__^

In CoM nessuna delle sue azioni è a favore di qualcuno, nemmeno di Roxas (aiutando Sora mette un bel forse sulla sua esistenza). Vuole davvero solo vedere che succede a fare casino? Ok, gli credo. Quindi agisce in modo da distruggere il solo contesto in cui lui stesso può vivere. Della serie ‘Brucio la casa con me dentro per vedere cosa succede’ ^__^

In KH2 si comporta come un ritardato. Il salvataggio di Roxas è condotto con tale efficienza da far piangere dalla commozione. Roxas non ricorda niente, è terrorizzato da quello che gli sta succedendo e per fare in modo che si fidi di lui, Axel che fa? Lo minaccia. Astuto! Con nemici così, DiZ ha ben ragione di ridere.

Continua con la tecnica del non valutare le conseguenze delle sue azioni oltre un futuro superiore ai cinque minuti e mette la ciliegina sulla torta quando crepa pure lui in un modo che definire indecoroso è poco. Suicida per salvare l’alfiere di quelli che considerano lui e la sua specie non-esistenti, oltre che il tizio la cui esistenza causa la fine del suo amico. Magari, se lasciava che gli strappassero il cuore, Roxas tornava. E anche se no, peggio di così…

Peccato solo che, già che c’è, stermina decine di dusk e dà una mano a Sora per raggiungere il loro mondo e così causare la fine di tutti i nobody. Mettila all’inverso. Fai finta che Sora decide che Xehanort gli ricorda Riku. Sa che non è lui, ma glielo ricorda, e per quello getta consapevolmente tutti i mondi in pasto agli heartless. E Axel sa benissimo che Roxas e Sora non sono la stessa persona.

Divertente che Sora, che non è proprio un genio, ma forse non è poi così stupido, pur avendo sparso incantesimi di guarigione per tutto il gioco, si guarda bene dall’aiutarlo.

Poi le personalità sane sono coerenti. Si possono avere diverse sfaccettature, ma non cambiare come fa Axel. In realtà, penso che si tratta solo di pessima caratterizzazione di un personaggio. Virtualmente, faccio finta che sia disturbato. Oppure è deficiente. Punterei anche sul deficiente, ma non voglio idioti nella mia storia. Ho già Sora che basta e avanza ^__^

Per la faccenda del non volere tornare umani, mi sono dovuta inventare un perché alla faccenda Oblio. E’ che, nonostante il loro tanto proclamato intento, non tutti i nobody sono fissati con i cuori. Quelli di Oblio non sembrano mica tanto interessati a tornare umani, Roxas afferma il contrario e Demyx dice di stare bene così com’è. Non vedo perché non dovrei credere a loro invece che a due psicotici intolleranti come Naminé e Xemnas solo perché fa angst. O ai loro nemici, che ovviamente sono motivati a dire quello che fa comodo loro.

Poi non ho idea di cosa sia Zexion, ma nella mia fanfic ne ho fatto uno psicologo. Deve sapere per forza cosa sono le emozioni (cosa sono davvero, non l’idea che ne ha la gente in genere). Le conseguenza sono venute da sé ^__^

 

Lux: mia cara, Daneel? Che complimento. Sono onorata ^O^

Solo che con Zexion le Tre Leggi non funzionano. Meglio così. Per quanto adori Daneel, mi piace il dark side di Zexion che al robottino, tesoro lui, manca proprio.

In realtà, Zexion avrebbe in mente qualcosa per tutti loro. Non ho intenzione di trasformarlo nel villain di regime, quello che una volta sistemato sé stesso, fotte tutti gli altri con un ghigno sulle labbra. Lo Zexion vero è cinico e spietato, ha una sanissima e rispettabilissima paura di morire, ma si preoccupa per la sua specie. Non tanto gli individui, quanto i nobody nell’insieme. Questo chiaramente non lo rende meno cinico e spietato. Di più, semmai.

Anche perché tutto quel macello per riavere il cuore io non lo capisco proprio e se io non lo capisco, Zexion non lo capisce ^__^

Se non avessero emozioni non ne sentirebbero la mancanza, quindi se la sentono vuol dire che le provano. E non importa che elaborano le loro emozioni tramite ricordi. Se due cose non si possono distinguere l’una dall’altra (nemmeno i nobody stessi possono distinguerle) e hanno lo stesso effetto, sono la stessa cosa. Stanno facendo un maledettissimo casino per ottenere una cosa che hanno già o comunque di cui hanno il sostituto identico! Oltre al potere e la possibilità di spostarsi di mondo in mondo!

Dovrebbero cercarsi la ragazza, altro che il cuore. Passerebbero tutte le smanie.

 

Ti ringrazio per avermi chiarito il perché dell’esistenza di personaggi come Naminé, che poi è lo stesso di quelli come Axel. Però preferisco rendere anche lei una disturbata mentale, invece del personaggio fatto per salvare la situazione tramite azioni che non hanno senso.

Sì, è spaventosa, la più spaventosa del gioco. A parte i poteri mentali, che mi impressionano molto più di quelli fisici, mi spaventa la sua acquiescenza a gente chiaramente ostile nei confronti di quello che è lei stessa, che la porta a distruggere spietatamente (ma con tanta tristezza) esseri che invece, secondo logica, dovrebbe difendere. E poi si suicida anche lei. Davvero terribile.

 

 

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Capitolo 17
*** XI ***


XII

 

XI

 

 

“China più che puoi la testa verso il petto. Stai fermo e non parlare. Forse sentirai un po’ di fastidio, ma non possiamo usare su di te i sensori fotonici. Interferisci con il loro funzionamento.” Lexaeus esita un attimo “Se preferisci, posso darti qualcosa per farti dormire. Non abbiamo bisogno che tu sia cosciente.”

 

No!

 

Zexion ride, senza distogliere l’attenzione dagli schermi olografici che si attivano intorno a lui e sotto le sue mani.

 

“Vuole sapere cosa facciamo di lui, essere sempre cosciente e consapevole. Niente segreti. Odia i segreti. Vero, Roxas?”

 

veroveroveroveroveroverovero

 

“Il castello è un apparato di registrazione e simulazione. Ricostruisce ambienti partendo dai ricordi con cui viene a contatto. Voglio registrare il tuo continuo mnemonico nel suo sistema.”

 

???

 

“Di tutti noi, sei quello la cui psiche presenta meno distorsioni, gran parte della tua intera esistenza come nobody è stata capillarmente registrata e io ho impresso nella mente anche la tua rielaborazione soggettiva, come tu hai interpretato gli eventi. Questo ci fornisce un sistema di riferimento per lo studio del castello.”  

 

Lexaeus gli passa un dito lungo la spina dorsale, premendo leggermente sulle vertebre cervicali messe in rilievo dalla curvatura del collo, fino a che non trova il punto giusto.

Il ragazzo rabbrividisce involontariamente al tocco metallico dell’iniettore sulla nuca, poi c’è un colpo e una puntura quando Lexaeus inserisce la sonda a nanofibre alla base del suo cranio.

Sussulta di riflesso, ma il dolore è stato brevissimo e adesso prova solo una sensazione di freddo che si dirama e si diffonde lungo la spina dorsale e la testa. Non è neppure esattamente freddo, ma è il termine che definisce la sensazione più simile a quello che prova. A ogni modo, non fa male e il fastidio non è certo degno di nota.

 

Ricordisoloassociazioni. Tu lo hai detto!

 

“Questa è una delle ragioni per cui vogliamo capire il meccanismo del castello, come funziona, su quali principi si basa. Possiamo comparare le simulazioni con le registrazioni dei tuoi ricordi. Verificare l’attendibilità con cui il sistema rielabora le catene associative per ottenere un insieme coerente. Adesso puoi rilassarti e parlare, se vuoi.”

 

Roxas risolleva la testa e si distende nell’ampia poltrona al centro del sistema di analisi. Mentre i sensori si propagano all’interno del suo corpo, i pannelli traslucidi che circondano Zexion si tramutano in flussi numerici.

 

“Solo quelli? Solo i ricordi di questa vita?”

“A me interessano solo quelli.”

 

 

* * *

 

 

Ci sono schemi precisi nella fuga degli abitanti del pianeta. Percorsi imboccati dalla maggioranza, folle composte da così tanti individui da ostacolarsi a vicenda nella loro frenesia di salvarsi, poi strade scelte da gruppi man mano meno numerosi, fino a sentieri dove la probabilità di scovare i fuggiaschi è tanto esigua da essere quasi nulla.

Le moltitudini in fuga tracciano disegni prevedibili, facili da interrompere.

Gli heartless non hanno bisogno di aiuto per la caccia. Il tropismo per i Cuori e la capacità di attraversare i sentieri delle ombre permettono loro di individuare e seguire le prede dovunque esse cerchino di nascondersi. Non c’è modo di sfuggire loro e, se il mondo perdurasse, ne catturerebbero tutti gli abitanti, ma questi possono eluderli quel tanto che basta, movendosi rapidamente.

Le ombre agiscono alla cieca. Si avventano sui Cuori più vicini e, fino a quando ci sono prede disponibili, trascurano i fuggiaschi più lontani.

Ma lo scopo è effettuare il raccolto più consistente possibile e la probabilità che gli heartless raggiungano il Cuore del mondo o del sole cresce esponenzialmente con la moltiplicazione degli stessi heartless. Quando succederà, in pochi minuti il pianeta sarà cancellato con tutto quello che ci si trova.

Lo spreco delle risorse è imperdonabile. A maggior ragione perché non c’è nessuno con lui, a correggere i suoi eventuali errori. Questa volta è il solo responsabile dell’operazione.

Occorre affrettarsi e questo significa indirizzare o aiutare gli sciami.

Occuparsi delle masse principali dei fuggiaschi, lo lascia fare ai suoi guerrieri. Trovare coloro che si muovono in gruppi più esigui, o soli, è una parte che riserva a sé stesso.

Si lancia all’inseguimento del grosso veicolo in corsa e salta sul tetto. La macchina sbanda violentemente quando il conducente cerca di farlo cadere. Ma contrastare l’inerzia è facile e Roxas resta eretto e immobile sulla vettura, come se ne fosse parte.

Fasci laser affondano nel sistema di alimentazione e il veicolo si blocca. Le porte si spalancano e i passeggeri ne escono. Qualcuno urla, la maggior parte si limita a fuggire per le strade. Mentre scappano, due di essi voltano verso di lui e sparano. I proiettili si dissolvono in sbuffi di luce.

 

 

* * *

 

 

Il luogo dove sorge castello non è e non assomiglia a quello dove ha combattuto e, per la prima volta, ha versato il suo stesso sangue. Non c’è nulla di simile alle pianure coperte di edifici massicci e grigi, non ci sono urla e suoni di esplosioni e spari e terra nuda. Ma l’odore non è cambiato e l’odore identifica quel mondo.

Odore di salvia e di miele.

Distese di fiori ricoprono a tratti irregolari il territorio e le creste contorte di pietra che circondano il castello. Fiori di innumerevoli sfumature di rosa e blu ciano. Fiori dai tentacoli verdi sottili come capelli, che si muovono languidamente e incessantemente.

C’è anche un sommesso mormorio sibilante che proviene da tutte le parti, che sembra inzuppare l’aria stessa.

I fiori comunicano fra loro.

 

 

* * *

 

 

Anche la prima volta che ha visitato il pianeta si è trovato solo, ma una solitudine apparente. Zexion era a un piano di distanza, sarebbe bastato un pensiero per farlo accorrere. Adesso è lontano universi. Tutti loro sono lontani universi e lui ha soltanto nemici, intorno.

Tira l’orlo del cappuccio, si assicura che sia calato su tutto il volto, anche se sa di non essere visibile, nascosto fra le ombre e avvolto in un campo di distorsione visiva di piani slittati di Luce.

Le persone che lo circondano lo intimoriscono ancora, con la loro presenza, la loro sfacciata esibizione di emozioni e pensieri, l’indifferenza con cui si toccano e si urtano, come se toccarsi fosse cosa di nessuna importanza, un gesto da sprecare, da poter riservare a chiunque. Ma è qui per un ben preciso scopo e tutto è secondario a quello.

Le tavole variopinte sono esposte in fila. Sembrano tutte uguali, tranne che per il colore.

La prima è bianca, con piccoli disegni neri. Passa subito oltre.

Le scorre in rassegna. Non può scegliere se non sa fra cosa sceglie. Quando è sicuro di averle vagliate tutte, decide. Una blu. Blu elettrico con il disegno stilizzato di una creatura felina con gli occhi azzurri e il manto giallo ocra a chiazze nere.

Si muove dal suo angolo fra le ombre e prende lo skateboard. Ora ha quello per cui è venuto, ma non può ancora andarsene. C’è un’altra cosa che ha attratto la sua attenzione. Un oggetto sul bancone del negozio, un piccolo cubo di vetro con all’interno una falena d’argento con la bocca di scorpione. Gli hanno raccontato la storia di un pianeta mai visto, dove ci sono farfalle notturne che si ammantano di grigio per cacciare con l’inganno e l’illusione.

Il proprietario del negozio non lo ha visto, nemmeno quando ha fissato nella sua direzione, ma il campo mimetico di Roxas è solo un modo effimero per sviare l’attenzione, non per renderlo realmente invisibile. Se l’uomo guardasse con attenzione, si accorgerebbe di lui.

Nella fretta di prendere l’oggetto senza farsi scoprire, fa urtare il cubo con il bordo dello scaffale e con suo rammarico uno spigolo si scheggia e una piccola linea di frattura compare nel cristallo.

Sorpreso dal rumore, l’uomo si volta nella sua direzione, ma Roxas si è già sciolto nell’Oscurità con il suo bottino. 

 

 

* * *

 

 

Il cielo è una massa di coaguli e viluppi bianchi, grigi, violacei, bluastri, talvolta con sfumature gialle o color ruggine. E’ come quando si mescolano più colori a tempera, quando non sono del tutto miscelati, ma un insieme ancora disomogeneo.

Pigri e continui bagliori di lampi accendono quelle nubi.

Sembra una cosa viva, quel cielo, qualcosa in trasformazione. Qualcosa che cerca una sua forma definitiva e, non trovandola, continua a cambiare. Ha una spazialità esasperata, una prospettiva esagerata.

Il pianeta Oblio è iperattivo in tutto, così vario e vitale rispetto al loro mondo morente.

L’energia della triplice stella innesta una vigorosa attività atmosferica. I mari sono percorsi da correnti impetuose, i cieli battuti da venti e uragani. Gli ambienti sono innumerevoli e instabili, i tre soli inondano il pianeta di una quantità elevata di radiazioni mutagene e la vita ha assunto una quantità di forme e dimensioni sconosciute sulla maggior parte dei mondi.

A volte, violente tempeste elettriche squassano interi continenti. Tempeste dove la pioggia è sostituita da fulmini.

Anche le correnti e le maree di Forze hanno un’energia inconsueta. Si muovono in ritmi e cicli, separate da termoclini e strati, scivolano e si frangono le une sulle altre, più o meno pure, più o meno concentrate, e stringhe libere di energie saettano nella matrice dimensionale.

La natura rifiuta l’assoluto e si esprime solo come composizione di diversità e anche qui le Forze sono inestricabilmente intrecciate l’una all’altra. Ma ogni Mondo ha una sua combinazione unica, così come ha un suo suono, irripetibile. La madre di questo universo è il Crepuscolo.

Anche questa è diversità.

Qualcosa del pianeta si riflette in lui.

Il cuore batte con troppa forza, il sangue scorre un po’ troppo in fretta. A volte, si ritrova a respirare un po’ troppo affannosamente.

Come il giorno in cui l’Oscurità ha sfondato la serra. Ma questa volta non è una minaccia.

E’ un invito.

 

 

* * *

 

 

Vexen non è un uomo tollerante. In particolare, non lo è con i neofiti. Sembra considerarli niente più di un fastidio, qualcosa che esiste solo per turbare l’ordine del suo mondo.

Ma Vexen è anche uno dei più stretti e assidui associati di Zexion e questo lo obbliga ad avere a che fare con Roxas, perché Zexion ha cominciato a esigere, non più solo a permettere, che il ragazzo resti con lui anche mentre lavora. Roxas ha il sospetto che, in qualche modo, Zexion abbia fretta, che la sua imperturbabilità si sia incrinata, e questo è un po’ disturbante.

Di contro, è cresciuta la pazienza di Vexen. Forse, per la costanza della sua presenza, il medico ha finito per sviluppare una soglia di tolleranza nei suoi riguardi piuttosto elevata.

In genere si limita a ignorarlo, però c’è una situazione in cui l’atteggiamento di Vexen cambia. Basta mostrare interesse per il suo lavoro. Allora è capace di passare ore a spiegare e, se quello che dice non è comprensibile, gli si può chiedere di ripetere tutte le volte che serve. Lo fa senza mai perdere la calma, senza mai mostrare fastidio.

La cosa più strana è che parla come se fosse Roxas a fargli un favore, e non lui a dare qualcosa al ragazzo.

 

“Ogni singolo aspetto della Realtà è determinato da una combinazione delle cinque Forze e delle loro Antiforme. Noi, però, siamo espressioni altamente sbilanciate di Crepuscolo. La sola cosa che ci mantiene in essere è la volontà, la stessa che, in primo luogo, ci ha permesso di esistere. Quando la volontà cessa, ad esempio quando moriamo, ci dissolviamo. Anche i tessuti isolati dal corpo subiscono lo stesso processo di degradazione, sebbene molto più lentamente, perché manca la componente traumatica che agisce come catalizzatore alla dissoluzione, apportando un fattore negativo di volontà. Anche con i più efficaci dei fissativi, restano effimeri. Per questo, quando dobbiamo effettuare un’analisi che richiede tempo per essere completata, come un esame del DNA, per prima cosa dobbiamo risolvere il problema di avere un campione stabile, o questo potrebbe dissolversi prima che l’analisi sia completa e, in ogni caso, anche un principio di degradazione altererebbe l’esame. La tecnica più semplice è una duplice replicazione del campione con materia ordinaria. Ogni singolo filamento della doppia elica parentale è lo stampo da cui si ottengono due molecole ibride, ognuna di esse formata da un filamento originale e uno di nuova sintesi. A quel punto, possiamo effettuare un secondo clonaggio per ottenere una doppia elica ibrida e una completamente stabile, oppure possiamo semplicemente limitarci a eliminare i filamenti originali della molecola ibrida. Ci sono antifissativi, ma basta anche lasciare decantare. L’elica originale si dissolve e resta solo la sua complementare. Così abbiamo ottenuto un duplicato stabile del DNA di origine.”

 

Poi, Vexen aggiunge una cosa e ha uno strano tono mentre pronuncia quelle parole. Roxas non lo ha mai sentito parlare così e non è capace di interpretare quel tono e neppure la sua espressione. Gli ricorda Marluxia il giorno in cui hanno conquistato mondo di Oblio. Anche se aveva vinto la sua battaglia, non era sembrato trionfante.

 

“E’ solo una copia inerte che riporta il codice. Niente altro. Non ci è possibile ottenere il clone vitale di un nobody, neppure di un frammento di tessuto.”

 

 

* * *

 

 

Saïx passa quasi tutto il suo tempo nello spazio. Studia le stelle che compongono il sistema trinario, la nana gialla che è il sole intorno a cui orbita il pianeta e le sue due compagne, la più grande stella arancione e la piccola stella rossa.

Di tanto in tanto torna, scarica i dati raccolti nei computer, attende gli elaborati, mangia qualcosa, sempre con il naso affondato nei suoi grafici, e riparte. Raramente scambia una sola parola con chiunque altro. Raramente resta più di qualche ora.

Così, è una sorpresa quando dice che, questa volta, si fermerà giorni.

 

“Non entrare mai nel castello senza preparazione e senza ragione. E senza avvertire.” dice Lexaeus “Se esci dal perimetro del campo, ti consiglio di non togliere l’uniforme. Le piante non sono mortali per noi, ma la loro puntura è comunque piuttosto dolorosa e le tossine provocano fastidiosi effetti. E’ praticamente impossibile vivere qui e non essere punti, prima o poi, ma non conviene farlo di proposito. E quando rientri, vedi di sterilizzarti con cura. Sono velocissime a germinare e basta loro il minimo accesso per infiltrarsi.”

 

Saïx si avvicina al confine del campo di repulsione e si accovaccia in corrispondenza di un piccolo groviglio verde dai delicati fiori rosa. I tentacoli ondeggiano in modo discordante al soffiare del vento e si scontrano con la barriera invisibile.

Saïx li osserva come se osservasse nemici.

 

“Non attaccano la flora e il resto della fauna?”

“La vegetazione è al sicuro. Non avrebbe avuto senso trovarsi su un pianeta deforestato. Per quanto riguarda la fauna, in effetti sono settate solo per reagire a uno stretto range genetico.”

“Sarebbe meglio eliminarle.”

“Più facile dirlo che farlo. Sono estremamente resistenti e adattabili o la popolazione del pianeta ne avrebbe avuto ragione. Comunque, basta un po’ di cautela. Vogliamo estendere i campi di repulsione almeno lungo la strada. A parte che noi siamo esclusi dal range preda, sono state progettate con svariati meccanismi di sicurezza che ne inibiscono la germinazione nel nostro organismo.”

“Non c’è la possibilità che si adattino a noi?”

“Molto meno di quanto non potrebbe farlo qualsiasi predatore naturale, privo di questi meccanismi programmati di sicurezza. Se le piante assimilano il nostro DNA, lo incorporano nella loro matrice genetica. A quel punto, c’è una corrispondenza fra i nostri tessuti e ci riconoscono come loro stesse, non come substrato bersaglio.”

“Perché Marluxia non le ha progettate come carnivori obbligati? Si sarebbero estinte una volta scomparse le loro prede.”

“Questo dovresti chiederlo a lui.”

 

I tentacoli dei fiori strisciano e picchiettano sulla parete invisibile. Cercano una via d’ingresso.

 

Saïx non conosce molto bene Marluxia se considera verosimile che avrebbe mai progettato organismi con una data di estinzione stabilita e nessuna possibilità di sopravvivere.

 

 

* * *

 

 

Appena entra nello studio, l’uomo si immobilizza, trattiene il respiro e il suo cuore accelera. Il fragore di quel battito diventa quasi assordante.

Non li ha visti né sentiti, ma si è accorto di un fattore anomalo nel suo ambiente.

Non è importante. Anche se uscisse, non c’è luogo dove non possono raggiungerlo.

L’umano accende la luce.

Azione curiosa. Non può sapere che né lui né Zexion hanno bisogno di luce per vedere come se fosse giorno pieno e dovrebbe presumere di conoscere lo studio meglio di chiunque. Con il vantaggio del territorio dovrebbe preferire il buio. Ma teme l’oscurità e accende la luce, come se una lampada potesse tenere lontano i suoi nemici come tiene lontane le sue paure. Come se la luce fosse uno schermo, un’arma, il segreto di una difesa.

La sola differenza è che, ora, può conoscere il loro aspetto.

Roxas si abbassa il cappuccio.

Le emozioni dell’uomo cambiano non appena lo vede in volto. Ha sempre paura, ma l’intensità e omogeneità di questa paura è interrotta, anche se impercettibilmente, da stupore e qualcosa che non è troppo sicuro di capire, ma che può definire aspettativa di sopravvivere.

 

“Tutti i pezzi possono essere usati, al momento opportuno.” mormora Zexion “Per alcuni, l’uso migliore è essere rimossi dalla scacchiera.”

 

L’attività elettrica del cuore dell’uomo si altera e assume un ritmo irregolare. Le contrazioni cardiache mutano di conseguenza e si fanno disordinate.

Roxas gli si avvicina di un passo, attento.

Zexion ha i suoi modi e inganna il corpo del nemico per sì che gli obbedisca, e questo nessun altro può farlo, ma ci sono molte strade diverse per giungere allo stesso risultato.

Il corpo è una macchina a funzionamento elettrico. Ogni azione, ogni pensiero, ogni attività, è il risultato di un’attività elettrica che rende gli esseri viventi dei fari animati.

Il cuore è un sistema in grado di autogenerare e regolare gli stessi segnali che lo azionano. Due nuclei principali, uno dei quali origina gli impulsi che attivano la contrazione muscolare del cuore, l’altro che trasmette l’impulso e lo calibra per regolare il battito sistolico che spinge il sangue nelle arterie.

Roxas si estende e pizzica cautamente il flusso successivo calibrato.

La turbolenza elettrica cardiaca aumenta. Le fibre muscolari si contraggono in modo del tutto disorganizzato e casuale, invece che coordinato. Il battito è inefficace.

Qualche istante e la contrazione del muscolo cessa ed è il blocco della circolazione sanguigna.

Zexion si avvicina al cadavere.

 

“Capisci perché non ho voluto che tu usassi armi?”

“Per non lasciare tracce?”

“Non c’è modo di non lasciare traccia del proprio passaggio. Ciò che esiste non può non influire sulla realtà.”

“Allora ogni nostra azione può essere scoperta.”

“Ogni nostra azione può essere rilevata. La sola presenza lascia impronte nel tempo e nello spazio. Più o meno evidenti, ma impossibili da evitare. Quindi, quando occorre, dobbiamo operare per rendere difficile il loro riscontro e la loro interpretazione.”

“Cancellarle?”

“Cancellare i segni del tuo passaggio può essere anche più rivelatore. Meglio mascherarli. Far credere che siano qualcosa che loro conoscono. Qualcosa di familiare, qualcosa che sono in grado di stabilire con certezza. Non cercheranno altro e tu attraverserai il loro mondo come se fossi invisibile. Talvolta, questo vuol dire celarsi in quello che è loro più vicino.”

 

 

* * *

 

 

L’interno del castello è una serie di sale bianche, ornamenti floreali e geometrie rigorose, e disattende la disordinata massa esterna.

Il palazzo si nutre di ricordi e i tredici piani aldisopra e i dodici aldisotto sono un intero universo di possibilità, da riempire con memorie rubate.

Un giorno entra in una stanza con un numero di pareti che varia di momento in momento e in ognuna di quelle pareti c’è una porta. Guarda attraverso quelle porte e ciò che vede sono attimi della sua esistenza.

Con tutti gli eventi che continua a rivivere, certe volte non è neppure più sicuro di quello che è accaduto prima e quello che è avvenuto dopo e questo non va bene. C’è un modo per non perdersi nel castello ed è tenersi stretti i propri ricordi, perché ogni stanza può essere collegata a tutte le altre e ognuna di esse diventa un frammento della propria vita e se si ricorda, allora si ha la mappa di navigazione. Ma se solo si scorda qualcosa, se solo si scorda di quando si è vissuta quella cosa, allora tutte le sale si rimescolano fra loro.

Lì dentro, anche il tempo scorre a un ritmo suo indipendente, perché il tempo è scandito dai ricordi.

Talvolta è convinto di essere rimasto in quelle sale giorni interi, poi esce e trova i suoi compagni ancora intenti nell’attività che hanno iniziato quando li ha lasciati. Ma qualche volta, invece, scopre che i fiori hanno ricoperto un’intera rupe, anche se è entrato nel castello solo pochi istanti prima, quando quelle rocce erano nude, e si accorge che, forse, è trascorsa un’altra stagione senza che lui abbia saputo che ora sia, o che giorno, o che anno.

Si chiede se a casa sua è ancora inverno.

 

 

* * *

 

 

Gli piace la compagnia di Saïx. E’ intelligente quanto Zexion, ma non altrettanto esigente e non lo tratta mai con condiscendenza, né finge di avere riguardi per la sua età.

Non può proprio dire la stessa cosa di tutti.

Pretendono che faccia quello che fanno loro se non che, poi, lo escludono come se fosse incapace di capire.

Non gli ci è voluto molto per rendersi conto che assumono con lui lo stesso atteggiamento che gli umani riservano ai loro bambini, perlomeno negli aspetti più superficiali. Non a suo beneficio, ma al loro. Vogliono solo di mantenere le loro preziose vestigia di umanità a sue spese.

Non Saïx.

Ha sentito su di lui ogni genere di storia e ogni genere di opinione. Il solo punto in comune è che Saïx è molto intelligente e altrettanto squilibrato, ma perché e qual è il punto di squilibrio, non lo ha mai capito. In realtà, non è neppure sicuro di avere capito che significa squilibrato. Andare d’accordo con Saïx è facile. Si circonda di una barriera di spazio e parole e pensiero. Basta non superare mai nessuno di quei confini, basta non cercare neppure di superarli, né fargli mai ritenere che si ha intenzione di varcarli.

E’ la più comprensibile delle ragioni. E’ quello che vuole anche per sé stesso.

Anche l’altro aspetto di Saïx, quello che si mostra in battaglia, è comprensibile.

Lo chiamano invasato.

Non è vero. Non se con quel termine intendono uno stato anormale.

Saïx si lascia affondare in quello stato della mente dove non c’è la riflessione con tutta la sua lentezza, solo pensiero e azione, solo capacità e coscienza senza consapevolezza. E’ una condizione naturale. Può farlo anche lui, con maggior controllo di Saïx, ma non in modo differente.

Allora, forse, tutto questo rende pazzo anche lui.

 

Quando chiede a Saïx se può accompagnarlo in uno dei suoi viaggi nello spazio, l’uomo si limita a guardarlo senza dire né sì né no. Passano settimane e nessuno dei due tira più fuori l’argomento. Fino a quando Saïx non si presenta nei suoi appartamenti per dirgli che partiranno il giorno dopo.

 

 

* * *

 

 

Sul pianeta non c’è una regolare alternanza di notte e giorno, ma solo un complesso ciclo di luce variabile. E’ raro che i tre soli illuminino in contemporanea lo stesso emisfero, mentre l’altro è al buio. Sul continente dove si trova il castello, il vero sole del pianeta è basso a causa della stagione e dell’inclinazione dell’asse planetario. Anche a mezzogiorno, la sua declinazione non è mai molto al di sopra dell’orizzonte e il giorno solare è breve. Le due stelle secondarie non sono altrettanto luminose, ma la luce di anche una sola di esse è sufficiente a impedire la calata di una vera notte. Per la maggior parte del tempo, il pianeta è avvolto da una mutevole penombra crepuscolare, grazie anche alla perenne copertura di nubi spesse.

Siccome tutti i presenti lavorano insieme e sono in numero così limitato, hanno adottato un ciclo sonno veglia sincronizzato, diverso da come capita nel loro mondo, dove ognuno ha i propri ritmi e il castello è sempre in attività. Ma, anche così, Roxas ha molto tempo libero.

Vaga per il pianeta, quando non deve lavorare.

Non può restare sempre confinato nell’accampamento e non può tollerare a lungo una vicinanza tanto stretta con altri. Il campo base è miseramente angusto rispetto all’estensione della loro casa-città, dove lo spazio a disposizione permette di isolarsi in universi privati e di esistere senza doversi necessariamente incontrare.

Ha ordine di non abbandonare il mondo. Per il resto, nessuno lo trattiene, una volta terminato nel castello e nei laboratori.

Mancano gli heartless, ma un intero pianeta a sua disposizione lo tiene abbastanza occupato. 

 

 

* * *

 

 

Un grigio opaco e uniforme che non è colore, ma mancanza di qualsiasi colore. Un freddo che non una temperatura bassa, ma mancanza di qualsiasi temperatura. Uno vuoto che non è uno spazio e un tempo, ma mancanza di dimensioni. Un’immobilità che è solo mancanza di punti di riferimento.

Il Mondo in Mezzo è un ambiente paradossale.

Zexion lo segue. Non permetterà un errore fatale, questo Roxas lo sa, ma sbagliare o fallire sarebbe un errore sufficiente.

Se riuscirà, il suo premio saranno la libertà di viaggiare e l’indipendenza. Una volta imparate le strade per i Mondi, niente e nessuno, se non la sua stessa volontà, potrà trattenerlo.

Fallire è inaccettabile.

Il nulla intorno sussurra menzogne. Lo spinge a spezzare la concentrazione, anche un solo attimo, ma basterebbe a perdersi.

 

Tu non sei. Non c’è soprasotto freddocaldo lontanovicino primadopo. Nell’uniformità del caos, niente ti definisce e se niente ti definisce, non esisti.

 

Calcola la rotta più probabile tra Mondi eternamente in movimento e quel che il pensiero può figurare, la volontà può far diventare realtà. Anche slittare da un universo all’altro. 

Il grigio si sgrana in colori e il nulla diventa una strada da percorrere, non una distesa dove perdersi.

 

Io definisco me stesso. Io penso. Il pensiero scorre in un flusso e questo determina una direzione e una durata. La direzione definisce lo spazio. La durata il tempo. Essi definiscono la dimensione del reale.

Io ho consapevolezza. Io sono. L’essere definisce una differenza. La differenza cancella l’uniformità, abolisce il caos.

Io divento il sistema di riferimento di me stesso e dell’universo.

 

Quando apre la parete dei Mondi, riemerge nel luogo prescelto come meta del suo primo viaggio.

 

 

* * *

 

 

C’è anche un mare, non tanto lontano dal castello. Lo stesso mare che una volta ha visto nel cielo. Un mare grigio che lambisce le rive di un deserto secco ed elettrico dall’atmosfera polverosa.

Ogni tanto, ha voglia di andare a nuotare. Non lo fa mai.

Lui nuota come se fosse nato nell’acqua. Nuota quasi come Demyx. Una di quelle cose che ha sempre saputo fare senza aver mai imparato.

Per questo, anche se gli piacerebbe, non entra in mare.

 

 

* * *

 

 

E’ sempre una questione di attesa e pazienza, con Axel. E’ sempre controllo. Aspettare il momento giusto. Non troppo presto, non troppo tardi. Come camminare su un filo, squassati dal vento.

E’ una questione di equilibrio.

E’ stato tollerante con lui. Lo ha ascoltato per ore. Gli ha parlato, anche. E quando Axel gli sfiora un polso, si rivolta contro quell’imposizione e la sua velocità rende il colpo devastante. Si trattiene quanto basta per non fracassare il ginocchio del compagno.

L’uomo cade a terra, sibilando in una lingua aliena termini dal significato evidente.

Sono in molti a credere che Axel cerca proprio questo. Roxas è di altra opinione. Axel vuole il controllo, vuole attenzione e vuole schiacciare chi gli sta di fronte, sempre e comunque. Non necessariamente con le armi. Anche con le parole, l’ostinazione, la volontà. Qualsiasi tipo di sopraffazione gli va bene e l’acquiescenza non lo tratterrebbe. Proprio il contrario. Axel combatte chiunque, se deve, ma preferisce avversari che non possono reagire e una violenza superiore alla sua è la sola cosa che lo contiene, perché la violenza è un mezzo di comunicazione, il solo che comprende realmente. Allora, tanto vale non sprecare tempo ed energia cercando un linguaggio più consono per parlare con lui.

Finché avrà paura per sé stesso, Axel non esagererà. Nel momento in cui Roxas dovesse cedere, dovesse mostrarsi vulnerabile, anche di poco, allora lo annienterebbe. Comunque, non desisterà.

Non c’è modo di convincerlo a lasciarlo in pace, Roxas se ne è fatto una ragione (anche se, vagamente, il ragazzo si rende conto che esiste una soluzione definitiva, però quella è semplicemente impensabile). Ma, allora, le cose le gestirà lui e può usare le condizioni a suo profitto, perché Axel persegue solo il risultato senza pensare mai alle conseguenze, se non per arrivare a quel risultato. Nemmeno alle conseguenze per sé stesso.

E’ una questione di equilibrio e l’equilibrio sta cambiando.

All’inizio pendeva dalla parte di Axel. L’uomo riusciva a provocarlo a piacere, così controllava le sue azioni. Ma Roxas ha imparato a infrangere le sue aspettative, a non reagire sempre e non sempre quando se lo aspetta. Allora, annulla il suo controllo. Ma Axel è ostinato e rifiuta di arrendersi, e lo insegue nella ricerca di ritrovare il potere che aveva, senza rendersi conto, o forse solo indifferente a questo, che di volta in volta svela un po’ di sé. Ogni volta, diventa più semplice capirlo.

Si accorge che Axel sta diventando dipendente da lui.

Si accorge che anche a lui piace avere il controllo. 

 

 

* * *

 

 

Lo attira la città ciclopica che ha visto mentre fuggiva con Xigbar, quel mare di edifici di acciaio e cristallo, ora regno di una vegetazione sempre più rigogliosa. Allora aveva potuto vederla solo per qualche secondo. Adesso nessuno gli impedisce di esplorarla per il tempo e con tutta la libertà che desidera. 

Non ci sono più esseri umani, su questo mondo. In cambio c’è una nuova vita. La stessa vita che li ha spazzati via, che sta conquistando lo spazio che era stato il loro, che continua a espandersi. 

Mentre percorre le strade deserte, incontra mucchi di vegetali più folti, con fiori più numerosi, da dove le piante si diffondono. Marluxia ha pensato proprio a tutto nel progettare gli esseri che hanno permesso l’acquisizione del mondo, compreso come occuparsi della massa di materia organica in putrefazione nel modo più rapido ed efficiente. Dei cadaveri, sono rimasto solo scheletri perfettamente puliti, intrecciati e tenuti insieme da tralci spinosi, viticci, foglie e fiori. Le piante hanno consumato ogni tessuto organico eccetto quello osseo, ma esse stesse hanno preso il posto di tendini, legamenti e muscoli. La vegetazione si allarga tracciando delle specie di irregolari disegni a ragnatela, con al centro gli scheletri, sorgenti da cui nascono le piante madri. 

E’ la città più grande del pianeta e quella dove i resti degli abitanti sono i più numerosi. Pochi sono caduti nelle abitazioni e tanti, tantissimi, per le strade. Come se non avessero voluto portare la morte nelle loro case.  

 

 

* * *

 

 

Ha letto, per un po’, ma durante la serata si è più o meno sdraiato di fianco sul divano, il collo piegato contro il bracciolo, una gamba mollemente penzoloni. In qualche modo, il libro si è ficcato sotto la sua cassa toracica.

La sua posizione in sfida all’anatomia non è certo comoda, ma il solo pensiero di muoversi è stremante, anche se è per trovare una sistemazione più confortevole o raccogliere uno dei cuscini che ha sparpagliato per terra. E’ tanto più facile restarsene così. Il caldo della sala comune e il suono della pioggia scrosciante all’esterno sono soporiferi. E’ quasi, anche se non del tutto, addormentato.

In sottofondo, a un livello sonoro appena superiore a quello del tamburellare della pioggia, le voci sommesse di Zexion e Luxord. Stanno giocando a carte, un gioco di loro invenzione probabilmente troppo complicato perché gli altri possano capirci qualcosa, anche se volessero unirsi a loro. Cosa che nessuno si sogna mai neppure di fare.

Da un po’ di giorni a questa parte, la temperatura è calata drasticamente e la pioggia è quasi di schegge di ghiaccio. Gli hanno detto che presto comincerà a nevicare. Per ora, fa solo freddo. L’ambiente del castello è controllato e la temperatura costante, eppure è possibile avvertire la differenza di clima e il calore della sala risulta anche più gradevole.

Sprofonda sempre più in quel luogo ovattato di buio e sonno e non ha intenzione di resistere.

 

“Roxas…”

 

Apre gli occhi. C’è Luxord, accanto a lui.

 

“Ti verrà il torcicollo, così.”

 

L’uomo gli toglie il libro dalle costole, raccoglie un cuscino, glielo infila sotto la testa e torna al suo gioco.

Lui si stira, assapora la nuova posizione, affonda nel cuscino, ma l’intervento di Luxord ha interrotto, almeno in parte, la letargia, così si mette a studiare i suoi due compagni.

Non arriveranno a nulla, ne è certo. Non si affidano solo alle capacità mentali e di calcolo. Luxord sfrutta il suo potere sul tempo e sulle probabilità. Zexion adopera la telepatia e non ha il minimo scrupolo a rivoluzionare le percezioni del suo avversario. I loro giochi diventano virtuali scontri all’ultimo sangue. Non c’è da stupirsi se nessuno vuole giocare con loro.

 

“Vi date delle regole, ma non le seguite.” mormora.

 

Zexion si lascia andare contro lo schienale della sua poltrona e gira pigramente il cucchiaio nella tazza di tè.

 

“Dipendere dal caso invece che dalle nostre capacità? Dici che dovremmo provarci, Luxord?”

“Allora perché perdete tempo a dirvi cosa dovete fare?”

“Le regole ci servono. Dobbiamo sapere cosa infrangere, ti pare?”

“Vieni qui.” lo chiama Luxord e indica con un cenno la poltrona accanto alla sua.

Spande le carte in due file parallele sul tavolo.

“Adesso stai attento a quello che faccio.”

 

 

* * *

 

 

Trova una macchina volante simile a un insetto, come quelle degli uomini che li avevano combattuti.

La studia per giorni. Ha visto queste macchine teletrasportarsi, però non è ciò che gli interessa.

Lexaeus gli chiede se vuole aiuto, ma lui rifiuta. Il principio su cui si basa il funzionamento dell’aeromobile non è diverso da quello delle loro navi e dei sistemi di traslazione artificiali che usano nel castello. La diversità è solo nei meccanismi.

Riesce a riattivarla e, per un po’, la usa per volare nelle vie delle città deserte, tra gole di vetro e acciaio formate dalle pareti verticali dei palazzi, o correre alla massima velocità sui campi di fiori, sollevando nubi di spore piumose come semi di soffione.

Gareggia con i suoi guerrieri, che scivolano nelle ombre e nei raggi di sole sfuggiti alle nubi.

 

 

* * *

 

 

“Comunicare fra i Mondi è un problema di difficile soluzione.” dice Zexion “La comunicazione è determinata da un trasmittente, un ricevente, un canale, cioè il mezzo attraverso cui il messaggio si trasmette, e un complesso sistema di codifica che comprende contesto psicologico, comprensione dell’oggetto di comunicazione, linguaggio. Se trasmittente e ricevente non si trovano nello stesso Mondo, il primo ostacolo che si incontra è di ordine puramente fisico, determinato dalla difficoltà del segnale di attraversare la barriera dimensionale inalterato, o con alterazioni limitate al punto che rimanga, comunque, riconoscibile. C’è da fare una distinzione importante. La vera difficoltà non è entrare in contatto con altri universi. Ci sono molti mezzi, naturali e artificiali, per effettuare collegamenti interdimensionali. Gli schermi del Grattacielo della Memoria sono fra i tanti. Ma contatto non significa comunicazione. A nostra conoscenza, nessuno è mai riuscito a costruire un sistema di comunicazione artificiale in grado di superare il muro tra i Mondi. Il pensiero di alcuni individui è la cosa che più si avvicina a farlo. Uno dei miei compiti principali è la ricerca e la ricognizione preliminare dei nuovi ambienti. Non ho bisogno di spostarmi dal nostro universo, per questo. Talvolta, riesco a effettuare un collegamento con altre entità, ma è sempre un caso sporadico. Sono pochi i ricevitori in grado di raccogliere messaggi interdimensionali, almeno quanti sono pochi in grado di trasmetterli. Nel caso della comunicazione telepatica, la difficoltà è spesso il sistema di codifica del messaggio, in particolare il contesto. Mancando una lingua comune, il contatto è possibile solo sul significato del pensiero, ma il contesto? I soli sensi specifici degli individui coinvolti determinano contesti psicologici molto differenti. Anche se non è possibile annullare queste differenze, in alcuni casi si riesce a sviluppare un protocollo di comunicazione comune, un sistema di traduzione. Ma deve essere elaborato e questo premette la conoscenza delle parti. In un primo contatto, non è possibile. Se mi collego a un’entità aliena mai incontrata prima, tutto quello che posso trasmettere ed essa ricevere è il pensiero puro. Non è detto che sia in grado di decifrarlo, che l’oggetto della comunicazione abbia un significato nel suo contesto o, persino, che un significato esista, per me. E viceversa. Anche fra entità dotate di sistemi di codifica comune, la telepatia non è una soluzione, se avviene fra universi differenti. Come ti dicevo, il processo di comunicazione è influenzato dal mezzo attraverso il quale avviene. Persino la trasmissione mentale è distorta, anche con un ricevente adeguato. In buona parte dei casi, si limita a sogni e sensazioni. La sola forma di collegamento che riesco a mantenere in modo continuo è la presenza. Io so sempre se voi continuate a esistere. Purtroppo, è una trasmissione unilaterale e, basilarmente, limitata a una sola informazione, più o meno come le lastre nella sala dell’esistenza. La differenza è che io ricevo anche qualche dato sulla vostra condizione mentale, ma questo non mi dice cosa vi sta accadendo. Tutti noi possiamo richiamare i nostri famigli da altre dimensioni, ma non possiamo scambiare con loro nulla di più complesso di quel richiamo e anche così ci sono restrizioni. Fondamentalmente, il solo sistema sicuro per comunicare fra i Mondi rimangono i corrieri. Capirai anche tu che la mancanza di un sistema di comunicazione diretto e permanente rappresenta un limite e dovresti capire anche quali sono le situazioni in cui questo limite si fa più condizionante.”

 

 

* * *

 

 

Un giorno, punta con la sua aeromobile verso il cielo. Presto è tanto in alto che, sotto di lui, la terra diventa una scacchiera di colori dove le città sono macchie tumorali in regressione, divorate dal verde. Ma si tuffa nello strato di nubi perenni e la terra non si vede più.

Ci sono raffiche di venti violenti e correnti verticali che rendono il volo difficoltoso e, talvolta, quando è catturato da vuoti d’aria, l’apparecchio compie balzi improvvisi e improvvise cadute. La temperatura cala, diventa presto gelida, ma lui si è avvolto in una crisalide protettiva di fili di Luce.

Continua a salire e cariche elettriche gli fanno formicolare la pelle. Le nuvole sono adesso squassate da rovesci di acqua nebulizzata, trasformata in aghi di ghiaccio abrasivo.

Ci sono anche esseri viventi. Innumerevoli. Forme larvali di creature che in età adulta vivono sulla terra ed esseri che passano la loro intera esistenza nel cielo. Distese di piccoli organismi a metà strada fra i vegetali e gli animali, dotati di vescicole piene di idrogeno e altri organi che permettono loro di galleggiare e veleggiare nell’aria. Esseri più grandi, più di lui e della sua nave, con ombrelli trasparenti percorsi da fasci e catene di luci intermittenti e lunghi tentacoli a forma di nastro. Sembrano fragili, come meduse o delicati ctenofori di vetro, ma vivono in questo mondo di nebbia e tempesta e non c’è nulla di fragile in loro.

Ancora più in alto, flagellato dalle correnti, bagnato dalla pioggia, e la coltre nuvolosa si spalanca.

E’ un mondo sopra il mondo. Cascate di gas ionizzati precipitano da montagne di schiuma, fra campi coperti di fiori di fuoco. Il vento solare solleva onde su mari di Luce, a lambire rive fotoniche, e il cielo nero è percorso da fiumi di plasma ardente.

Le scroscianti voci elettroniche dei soli infrangono il silenzio.

Geometrie cristalline di Luce si intersecano a veli evanescenti di Crepuscolo, gli uni e gli altri intrecciati a nubi ribollenti di Oscurità.

La stella rossa e quella arancione sono alte nel cielo, e il sole principale è solo un piccolo spicchio quasi completamente scomparso dietro l’orizzonte. Il triplice spettro stellare si frantuma in migliaia di colori diversi, in una tale molteplicità che può cercare e cercare e non ritrovare mai due volte la stessa sfumatura. Non tutti hanno nome, perché nessun altro può vedere la Luce in tutta la sua rivelazione e quei colori senza titolo sono qualcosa che appartiene solo a lui.

E’ come scivolare fra le valve di una conchiglia.

L’aria è secca, tanto rarefatta che è quasi inesistente e, anche se dopo lo strato di nubi la temperatura è risalita, fa sempre freddo. Più freddo del più freddo giorno sul mondo nero.

La radiazione solare non è più schermata - domatadiminuitaviolata - e brucia con la sua letale forza velenosa. Per lui, ha il tocco carezzevole di una madre. Questo è il suo regno, qui niente può fargli male. Non il freddo, non i frammenti di materia che arrivano dallo spazio e screziano il cielo di stelle cadenti, non la mancanza di ossigeno. Qui vive nutrito dalla Luce, dissetato dalla Luce, pervaso dalla Luce.

Più in alto, ancora.

L’aeromobile sussulta, va in stallo, precipita.

L’abbandona e si lascia cadere per lo spazio che lo separa dalla superficie. Una rete di Luce lo cattura e decelera la caduta, ma non la ferma.

Percorre all’inverso il viaggio fatto per arrivare qui, in una lentissima parabola questa volta verso il basso. Fino a quando l’atmosfera non torna a essere aria pesante e sciropposa, i colori ottenebrati, la superficie si avvicina ed è il momento di abbandonare il cielo e tornare a essere un abitante della terra.

 

 

* * *

 

 

La creatura lo sovrasta da un’altezza che è quasi un terzo superiore alla sua. E’ uno degli esseri con cui spartiscono il mondo. Ce ne sono tanti, diversi gli uni dagli altri, ma condividono tutti la stessa natura, che è anche la loro.

L’uomo che lo accompagna si è interposto fra loro due non appena la creatura si è materializzata. C’è sempre qualcuno con lui, quando non è chiuso nell’area che definisce il suo spazio. E’ consapevole che la cosa non vale per tutti, anzi, gli altri sono spesso soli. Ma non prova stupore o fastidio, né si chiede perché. E’ come sono sempre state le cose. I suoi accompagnatori sono solo parte dell’ambiente, come tutto il resto. Un mondo monotono e uniforme, fatto di elementi appena accennati e ombre nella nebbia.

Tranne questa creatura.

E’ un nodo di colori e luce. Luce e colori che possono diventare suoi.

Cerca di avvicinarsi all’essere e l’uomo lo blocca afferrandolo per il cappuccio. Lui tira e insiste.

La creatura muove passi ondeggianti nella sua direzione. L’uomo materializza un’arma affilata e la usa per tenerla lontana. Ma la forza di attrazione che esercitano l’uno sull’altro non può essere fermata da un ostacolo.

Roxas strattona, cerca di aprire la mano che lo trattiene, richiama una delle sue armi.

L’uomo si allontana prima che essa si materializzi del tutto. L’ombra rarefatta del keyblade si dissolve senza concretizzarsi.

Roxas ignora l’uomo. La sola cosa importante è che non si interpone più.

Ora l’essere gli è davanti. Anche lui lo vuole. Vuole la sua forza. Fluttua sull’orlo della dissoluzione. Legarsi alla struttura mentale del ragazzino vuol dire condividere la maggiore stabilità. Il costo è la libertà individuale e la creatura anela alla libertà, ma la pulsione prima di qualsiasi nobody è sopravvivere a qualsiasi costo. La sua risolutezza è incrinata, divisa fra scopi opposti. Una frattura nella volontà che la indebolisce.

Roxas, invece, non esita. Sa cosa deve fare. Anche se nessuno glielo ha mai detto, lo ha visto fare dagli altri, lo vede nell’intenzione stessa della creatura che lo fronteggia.

Espande il pensiero per incontrare quel pensiero alieno. Come gocce di mercurio che si toccano, le loro menti si fondono. Si delinea l’abbozzo di una struttura formata dai due nuclei di esistenza intorno a cui orbitano le singole coscienze, appartenenti al tempo stesso a entrambi.

Si rafforzano a vicenda, ognuno di essi guadagna abbassando il livello di energia spesa a mantenere il punto di equilibrio e la struttura risultante è più stabile delle parti che la compongono.

Ma non fa parte della loro natura cedere la propria autodeterminazione e la propria individualità. Ogni forma di legame e dipendenza è aborrito, anche quando necessario. Non vogliono condividere. Vogliono appropriarsi ognuno della vitalità dell’altro.

Combattono. Nel mondo fisico, la lotta è più breve di un battito di ciglia. Nel mondo mentale dove si svolge non c’è tempo. Ma la determinazione che ha permesso a Roxas di esistere in questa forma, gli permette di schiacciare qualsiasi volontà non sia quella di uno dei suoi fratelli. La struttura paritaria esistita per un istante diventa un sistema con una sola stella centrale. Ora la creatura sconfitta può esistere solo nella sua orbita, come suo satellite, entità singolare ma non più indipendente.

E’ il primo elemento della sua mente composta.

Altre creature bianche si materializzano. 

 

 

* * *

 

 

Roxas è sulle montagne quando vede la piccola nave discendere verso il campo e manovrare per l’atterraggio. Non ha tanta fretta da teletrasportarsi e quando raggiunge l’accampamento, il vascello è già approdato.

Sente dei lamenti e pensa che il pilota abbia portato con sé un animale e lo stia tormentando. Poi vede cosa emette davvero quei gemiti. Larxene scende dalla nave e si tira dietro Naminé tenendola per i capelli. La ragazzina non è in grado di tenere il passo delle rapide falcate di Larxene. E’ caduta, ma la donna non le ha dato possibilità di rialzarsi e la trascina senza riguardo. Un atto di violenza contenuto rispetto alla volontà di Larxene. La giovane non nasconde nulla delle sue vere intenzioni e la repulsione che riversa deliberatamente contro Naminé è stordente.

Roxas non esiterebbe un solo istante se uno di loro fosse attaccato da un estraneo. Ma non si tratta di estranei e non è abituato a interferire nelle azioni dei suoi compagni se non lo riguardano direttamente e non conosce l’antefatto. Non ha ragione di prendere le parti di Naminé piuttosto che quelle di Larxene.

 

E’ Lexaeus a intervenire. Senza una parola, blocca il passo di Larxene, prende in consegna la ragazzina e la porta all’interno del castello.

 

Larxene ha già accantonato l’episodio. Tende un palmare a Zexion e, mentre lui legge, si mette a vagare per il campo.

Studia incuriosita quello che la circonda, la serie di semisfere argentate delle tende, alcuni crepuscolari affaccendati intorno alla sua nave, intenti a scaricare quello che ha portato, e il castello, naturalmente. L’incombente massa irregolare dalle dimensioni confuse, una forma che sembra essere state disfatta e rimontata mettendo insieme i pezzi a caso.

Roxas si avvicina a Zexion. Lo scienziato è contrariato da quello che sta leggendo. Non dice né mostra nulla, ma non fa neppure nulla per mascherare il fastidio con quella esteriore mancanza di reazioni.

 

 

* * *

 

 

Saïx parla di limiti di luminosità che un corpo soggetto a gravità può emettere, prima di dissolversi in energia.

Parla di stelle blu più luminose di ogni altro corpo celeste, erranti predatori dello spazio nati dalla collisione di altre stelle, che divorano astri per ringiovanire sé stessi.

Parla di Mondi che sbocciano e si espandono nell’istante senza tempo che segue la loro nascita, dalla dimensione di un punto a quella di un intero universo.

Di Mondi che muoiono nel gelo e nel silenzio, come il loro pianeta, e altri che continuano a espandersi sino a farsi a pezzi, materia ed energia distrutta, sino a quando la massa è zero e restano solo brandelli sparpagliati che si disperdono nella matrice grigia, ma che qualche volta possono congiungersi per generare altri universi e rinascere a nuova vita in una forma differente.

 

 

* * *

 

 

Oggi ha compagnia nella città.

L’estraneo è ancora molto lontano, rivelato solo dal suo segnale vitale. Potrebbe evitarlo. Traslarsi, cambiare direzione, semplicemente stare a distanza e continuare i suoi vagabondaggi senza neppure doverlo incontrare. Invece si dirige verso la presenza.

La conformazione specifiche dei campi di Luce del nobody lo rende inconfondibile. Ci sono solo due persone, oltre a lui, così affini alla Luce, e Saïx è di nuovo nello spazio.

 

Larxene è seduta sulla scalinata d’ingresso di un edificio che Roxas sa essere una specie di museo. Legge e sbocconcella un panino. Un blando campo elettrico la protegge da fiori. Vicino a lei, appena al di sotto, lo scheletro umano origine della vegetazione che si allarga sui gradini di pietra bianca. Alcune fronde si stanno diffondendo sulle colonne che affiancano la scalinata.

La ragazza chiude il libro e lo posa al suo fianco, con la cura con cui Roxas ha visto solo Zexion trattare un libro. Avvolge il panino nel tovagliolo di carta e posa anche quello.

 

“Buongiorno, Roxas.”

 

Il ragazzo sale le scale e le si siede accanto.

 

“Sta per scoppiare una tempesta.”

Lei gli sorride.

“Lo so. Sono qui per questo. Ti hanno fatto vedere gli ordini inviati da Xemnas?”

“Sì. Vuole il mondo Kā’h’onua.”

“Zexion non mi è sembrato molto soddisfatto. Ha paura di farsi male?”

“Non vuole portare via tempo al suo lavoro.”

“Quel pianeta ci apre un intero vaglio di Mondi.”

“Quello interessa a Xemnas. A Zexion, adesso, interessa il suo lavoro.”

 

La ragazza annuisce. Roxas ha l’impressione che sia d’accordo con il telepate, ma non ne è sicuro, Larxene lascia subito cadere l’argomento e non c’è niente a confutare o sostenere la sua sensazione.

Una delle piante brancola verso di lui. La incenerisce con un fascio di microonde ad alta energia.

 

“Larxene, perché tratti così Naminé?”

“Perché non posso ucciderla.”

“Non ti ha fatto nulla. Non è una tua nemica.”

“Davvero? Qual è la tua definizione di nemico, Roxas?”

“Qualcuno che vuole farmi del male, oppure qualcuno che mi impedisce il raggiungimento di un mio obiettivo.”

“I tuoi amici scienziati non ti fanno mai male?”

 

No, sta per rispondere. Ma ci sono state le lancinanti emicranie seguite a ogni seduta di analisi a cui lo ha sottoposto Zexion.

 

“Qualche volta.”

“Però non li consideri nemici.”

“Non è loro intenzione. E’ solo un effetto collaterale di quello che fanno.”

 

Ma non sempre. 

 

“Quindi, è l’intenzione che conta, non tanto il risultato. Roxas, se qualcuno ti facesse realmente del male perché convinto che sarebbe la cosa migliore per te, quello non sarebbe un nemico?”

 

C’è il silenzio, che è peggio di tutto. Quello non è solo un effetto collaterale. 

 

“Per quanto ne so, io potrei essere solo il risultato dell’opera di Naminé. Quello che considero reale, essere solo un suo capriccio. E non sarei in grado di rendermene conto. Eppure, solo Saïx ha abbastanza cervello da avere capito cos’è davvero quella strega e cosa bisognerebbe farne. Non riesco neppure a farlo entrare in testa a Maru.”

“Anche Zexion può fare quello che fa lei.”

“Pessimo esempio, Rox. Chi considera Zexion indifeso o innocuo?”

“Nessuno.”

“Già. Noi siamo nobody. Sai che vuol dire?”

“Non abbiamo…”

 

Larxene sorride gentilmente, gli prende la mano sinistra e gli sfila il guanto.

 

“Larxene, lasciami.”

 

Ha mani delicate, Roxas, prive delle rotondità tipiche della sua età. Solo fasci di nervi e ossa fragili come quelle di un uccello, con lunghe dita sottili e forti, e un reticolo di vene azzurre evidente sotto la pelle chiarissima e trasparente. Le cicatrici delle ferite inferte dall’heartless sono quasi invisibili e, in parte, nascoste sotto due anelli elastici a medio e indice.

Lei stringe leggermente. Dalla base delle dita che si era ferito parte una lieve scossa dolorosa che si propaga sino al gomito.

Roxas cerca di sottrarsi, inutilmente.

Una brutta sensazione comincia a formarsi nel retro della sua coscienza. Come se qualcosa di viscido e freddo cercasse di strisciare sulla sua faccia per impedirgli di respirare.

Non può muoversi. Non come vuole. Non del tutto e se non è tutto, allora è niente.

 

“Lasciami!”

 

Si accorge di aver pronunciato quella parola a voce un po’ troppo alta. 

La ragazza lo libera. L’impressione nauseante si perde prima di essere davvero nata.

Larxene continua a tenersi il guanto e quando Roxas si allunga per riprenderlo, allontana la mano.

 

“Non tirarmi fuori la faccenda del Cuore. Quella è solo una nostra peculiarità biologica. O spirituale. O psicologica. Dipende da quale scuola di pensiero segui.”

 

Ancora una volta Roxas cerca di riconquistare il suo guanto, allungandosi all’improvviso, ma Larxene può eguagliare la sua velocità e riesce ancora a impedirglielo. La ragazza è più alta e se lui non si alza in piedi non può raggiungere la sua mano, ma non vuole farsi vedere così in difficoltà.

 

“Che significa, allora?”

Vuol dire che per il resto degli universi siamo peggio dell’immondizia. Lo sai quando si capisce che una vittima sta per cedere? Quando comincia a collaborare con il suo carnefice, quando diventa complice e partecipe della sua distruzione e sceglie la tortura che le viene inferta. Quando si convince che la responsabilità di quello che le accade è sua. In quel momento, decide la sua fine. Il carnefice può anche farsi da parte, diventare solo uno strumento nelle mani della vittima e lasciare che essa si annienti da sola. Per i completi la nostra esistenza assume un significato solo se riescono a terminarla. Se qualcuno si prenderà il disturbo di rivolgerti la parola, lo farà solo per dirti che sei un errore, che quello che sei è una punizione, che sei malvagio. Lo sentirai dire da così tanti, così tante volte, che sarai tentato a crederci. E’ quello che vogliono loro. Vogliono renderci deboli perché siamo forti. Vogliono farci credere che non siamo niente, che non abbiamo niente per cui vivere. Se ci convinciamo che hanno ragione, se davvero ci crediamo nessuno, noi siamo morti.

 

Finalmente, Larxene gli restituisce il guanto. Adesso che lo ha, invece di rimetterlo si sfila anche il secondo e se li posa sulle ginocchia. Deve subito riprenderli e infilarli in tasca prima che il vento li faccia volare via.

 

“Nessuno è più giusto o più sbagliato degli altri e nascere non è un premio o un castigo. E’ solo un caso, per chiunque. Tu come credi che sia essere umani?” chiede la ragazza.

“Non lo so.”

“No, certo, ma avrai pur cercato di immaginarlo. Non fanno altro che parlare di questo.”

“Ho cercato di ricordarlo. Non ci sono riuscito.”

“Credi che voglia dire essere sempre felice, non provare mai dolore, insoddisfazione, dispiacere, sofferenza? Ti hanno fatto credere che a essere completi improvvisamente tutto va bene, lo stato perfetto dell’esistenza? Ti hanno mentito, Roxas. Io ricordo com’era. C’erano volte in cui ero felice e altrettante in cui ero infelice. Anzi, la maggior parte delle volte erano pause di felicità in mari di paura e confusione. In realtà, non è cambiato nulla. Essere vivi non vuol dire essere sempre felici. Naminé lo crede e, siccome non si sente felice, crede di non essere viva. Siccome non vuole soffrire, non essere insoddisfatta, non avere paura, ha deciso qual è la soluzione. E lei è quasi come noi, persegue il suo scopo con tutta la sua volontà. Quello che vuole la perderà, non mi interessa. Ma noi siamo sulla sua strada e questo mi interessa molto di più. Io non credo che una persona capace di cancellare la mia vita, che potrebbe anche averlo già fatto, possa non essere pericolosa, e se questa persona è convinta che io non dovrei esistere, la considero mia nemica.”

“Adesso capisco. A quelli che consideri nemici, fai in modo di procurare sofferenza.”

“Più che posso.”

 

I potenziali elettrici di cielo e terra stanno raggiungendo un gradiente enorme. L’atmosfera si carica.

Roxas si sente un po’ stordito. Un po’ euforico.

 

“Perché lo fai?”

“Perché ne ho voglia.” risponde Larxene, con il tono di chi afferma l’ovvio.

“Questo basta?”

“Questa è la ragione.”

“Vexen si è infuriato quando ho detto che caccio gli heartless perché ne ho voglia.”

“Quindi, perché tu hai dato la stessa risposta che io ho dato a te e Vexen ti ha detto che è la risposta sbagliata, ne cerchi una diversa, quella corretta. Non pensi che, magari, la risposta sia giusta e l’errore sia di Vexen?”

“Non so dove sia l’errore.”

“Ma senti che c’è un errore.”

“Lo fate quasi tutti. Tu, Axel, Saïx, Demyx. Anche Zexion. Non lo dice, ma io so cosa fa. Quando lascia il suo corpo e vola per esplorare, qualche volta, in certi mondi, trova cose che lo attirano. Sono gli abitanti. Allora non ci va solo con il pensiero. Raggiunge quel mondo e fa cose alle persone che hanno attirato la sua attenzione. Vexen ha causato la morte di milioni di esseri di ogni genere, persino sul suo stesso pianeta. Non ha ragione di essere tanto in collera, però si è arrabbiato con me. Per lui non basta volerlo fare.”

“Io odio gli esseri umani. La trovi una ragione più plausibile?” 

“Noi possiamo odiare?”

“Tu sai così bene cosa vuol dire odio da riconoscerlo con sicurezza in un altro, o affermare la sua impossibilità?”

“Zexion, Lexaeus, Demyx e Marluxia dicono che noi proviamo emozioni, ma altri dicono di no.”

“E non hai motivo di credere agli uni piuttosto che agli altri.”

“Vero.”

“Per quanto mi riguarda, se lo riconosco come odio, allora vuol dire che posso odiare. Li voglio odiare, se preferisci.”

“Perché?”

“Ti ho visto aprire i mondi alle tenebre, Roxas. Ti ho visto inseguire quelli che sfuggono agli heartless e rigettarli nelle fauci dello sciame. Quanti sono riusciti a scappare, di quelli che hai deciso di prendere?”

“Nessuno.”

“Quanti ne hai lasciati andare?”

“Nessuno.”

“Tu sei il più abile di tutti noi. Neanche Saïx o Xaldin hanno un registro di successi positivo quanto il tuo. Nemmeno io.”

“Se devo fare qualcosa, lo faccio il meglio possibile. Altrimenti, non ha senso farlo.”

“Però dai la caccia agli heartless anche quando non devi.”

Il ragazzo annuisce.

“Non capisco. In quel momento, non penso a quello che faccio. Lo faccio e basta e non so perché.”

“Quindi, credi che se troverai una spiegazione per quello che faccio io, la troverai anche per te. Roxas, stai cercando una ragione logica per uccidere?”

“Zexion ha detto che forse per me è necessario.”

“E non ti sembra una ragione sufficiente? Pensi che sia meglio essere distrutti da qualcuno convinto di non volerlo fare, ma lo fa ugualmente?”

“Anche se quello che faccio non serve?”

“Questo dipende sempre da quello che vuoi soddisfare. Se lo scopo è solo esistere, allora facciamo tante cose che non servono, Roxas. Se dovessimo fare solo quello che serve, passeremmo la maggior parte del tempo a non fare nulla.”

 

La ragazza allunga una gamba verso il cumulo di ossa e vegetali e lo colpisce. L’ammasso di sgretola in una nuvola di polvere e spore, alcuni pezzi rotolano giù per gli scalini. Le piante si svolgono con lentezza, tendono i tentacoli filiformi verso la disturbatrice e si ritirano, folgorati.

 

“Mia madre è morta combattendo nel nome di un re che non aveva mai visto, che l’avrebbe lasciata morire di fame se non avesse avuto bisogno di lei, un uomo che non conosceva neppure il suo nome, che non avrebbe neanche voluto conoscerlo. Che, se lo avesse conosciuto, non si sarebbe degnato di pronunciare. Ha combattuto per terre che non sarebbero state sue, cibo che non avrebbe mangiato, acqua che non avrebbe bevuto, libertà che non avrebbe avuto, oggetti che non avrebbe mai toccato.”

“Qualcosa che non riguardava lei?”

“Tu combatteresti per qualcosa che non è la tua fame, la tua libertà, qualcosa che non riguarda te? Combatteresti per qualcuno che ti disprezza? Qualcuno che non vuole neppure pronunciare il tuo nome?”

 

I frammenti dello scheletro non hanno ancora raggiunto la fine della scalinata.

 

“No.”

“No, nemmeno io. Forse anche lei ti avrebbe detto la stessa cosa, ma era convinta che la riguardasse. Quindi, era così. La differenza sta tutto in quello in cui siamo convinti. Uccidiamo perché vogliamo restare attaccati alla speranza che un giorno o l’altro torneremo umani, come Saïx o Xemnas. Perché vogliamo vincere una partita a scacchi, come Zexion. Perché non vogliamo morire, come Luxord. Per avere potere dalla morte, come Maru. Vexen vuole credere che ci sia un fine superiore, allora giustifica tutto, altrimenti niente. Puoi ammantare le tue ragioni di tutti i significati che riesci a trovare, alla fine la ragione è solo una. Facciamo quello che vogliamo fare. Siamo disposti a morire perché vogliamo farlo. Uccidiamo perché vogliamo farlo. Naminé non mi ha fatto nulla. La maggior parte della gente che uccido non mi ha fatto nulla, e anche la maggior parte di quella che uccidi tu. La maggior parte delle volte, i nemici sono gente che neppure si conosce, che non ha alcuna intenzione nei tuoi riguardi perché non sa chi sei. Le intenzioni non sono niente. Una volta che ci siamo dimenticati di esse, che cambiamo idea, mi dici tu che differenza fa? Contano solo i risultati.”

 

L’aria è del colore della ruggine, il cielo grigio e pesante. Viluppi di nubi si avvolgono su sé stessi, accesi dai lampi. Sono così bassi che sfiorano le cime dei palazzi.

Raffiche di vento sollevano torpidi mulinelli di polvere, foglie secche e petali caduti.

 

“Vuoi sapere perché li odio? Perché sul mio mondo, se alzavamo gli occhi per guardare le stelle, era solo per vedere se stavamo camminando nella direzione giusta. Perché sarei vissuta e morta nel fango, al servizio di qualcuno che non avrebbe mai conosciuto il mio nome. Adesso ho l’intero universo a disposizione, eppure devo nascondermi. La loro esistenza mi esilia nell’Oscurità. Per me è un buon motivo per odiare.”

 

Roxas tira leggermente uno dei lacci del cappuccio. Giocherella con l’estremità metallica e cesellata. La muove un po’, per far sì che la luce cangiante del cielo ci scivoli sopra e tragga riflessi dalla superficie incisa.

Nella strada sotto di loro, si è formata un’intera serie di trombe d’aria in miniatura.

 

“Quel pezzo di ferro è così interessante?”

 

Il ragazzino sobbalza. La voce di Larxene lo ha sorpreso. Per qualche secondo, si è perso in una specie di vuoto di pensiero.

Deve compiere uno sforzo consapevole per concentrarsi.

 

“So qual è il tuo motivo per combattere, Roxas. Fai domande a tutti e nessuno ti risponde. Perlomeno, nessuno ti dà le risposte che ti soddisfano, risposte che hanno senso. Non a quelle domande.”

“Mi dicono di non sapere.”

“E da quando ti sei accorto che ti mentono?”

“Ne sono stato sicuro il giorno in cui gli heartless hanno sfondato la serra.”

Lei abbassa per un attimo la testa sulle ginocchia e quando si risolleva, sta sorridendo.

“La prossima volta, dimmi anche l’ora esatta della scoperta, già che ci sei.”

 

Roxas ricomincia a tormentare il pendente del laccio, senza capire cosa ha detto che non doveva, o in quale modo lo ha detto, che non doveva.

 

“Però continui a provarci, anche se sai che mentono quando ti dicono di non sapere, e mentono quando tacciono. Preferisci far finta di non saperlo, perché tu non mentiresti mai a loro, non per una cosa tanto importante, e vuoi credere che sia reciproco. Così combatti anche quando non vuoi farlo. Loro te lo chiedono e allora obbedisci, sperando che, se sarai abbastanza bravo, abbastanza obbediente, alla fine si accorgeranno che meriti le risposte che chiedi. Non funzionerà, Roxas. Non basterà mai e ti chiederanno sempre di più.”

 

Il panino dimenticato, catturato dalla corrente, è spinto lontano e i lembi liberi dei mantelli sventagliano con violenza contro le loro gambe. Larxene si affretta a recuperare il libro e riporlo in una tasca.

 

“E’ colpa mia?” chiede Roxas.

“Sì.”

“Cosa ho fatto di sbagliato?”

“Niente. E’ per quello che sei, non per quello che hai fatto. Per questo non puoi fare niente neppure per rimediare.”

 

Rispondimi tu, allora.

 

Ma non lo chiede. Quella verità sfiorata è la personale forma di tortura riservata a lui. Chiedere non cambierebbe nulla, se non che si metterebbe in condizione di inferiorità rispetto alla ragazza. 

Tutti vogliono qualcosa. Non sa cosa vuole lei, ma qualcosa vuole di sicuro.

 

Un insetto vola davanti al suo volto, combattendo il vento. Le ali iridescenti discendono nel battito portante, si flettono, iniziano il battito ascendente. Ogni singola battuta di ala dura più di un suo respiro. Il ronzio è un brontolare profondo.

 

“Non voglio che tu faccia del male a Naminé. Io posso impedirtelo.”

 

Larxene si mette a ridere, come se non fosse appena stata minacciata.

 

“Adesso fai il cavaliere di qualcuno che potrebbe distruggerti con un pensiero? Naminé non ha bisogno di cavalieri, potrebbe difendersi benissimo da sola. Ma la cosa, purtroppo, non è reciproca e tutti noi abbiamo bisogno di essere difesi da lei. La scatola dove Zexion l’ha chiusa non basta per tenerla a bada.”

 

Roxas sbatte le palpebre.

L’insetto lo ha appena superato e continua il suo volo rumoroso e lentissimo.

Tutto intorno a lui è lento. I fiori agitano i tentacoli in un ritmo impercettibile, le nubi sono quasi congelate nel cielo, il vento si è indebolito contro la sua pelle.

I suoni sono un po’ rimbombanti, un po’ strascicati. 

 

“Non lo sapevi? Non te lo ha detto, il nostro grande psicologo? E’ stato lui quello che ha voluto isolarla. Non ti ha detto neppure chi è Naminé? Cavaliere, lei è il Drago.”

 

Dovrebbe dire qualcosa, ma adesso fa proprio fatica a riflettere sulle parole, quelle di Larxene e quelle che dovrebbe dire lui.

La donna scuote appena la testa.

 

“Rox, lascia stare. Se non mi credi, qualsiasi cosa possa dirti continuerai a non credermi e qualsiasi cosa dirai tu, io resterò della mia idea.”

 

Il ragazzino non cerca neppure di controbattere.

Ancora una volta, il tempo sembra essersi contratto. Capita, ogni tanto. Il mondo rallenta fino quasi a congelarsi e Roxas si trova a muoversi e pensare e agire in una scenografia statica. Ma non è il tempo. Il tempo è soggettivo. Il tempo dipende dal riferimento e il riferimento è lui. Può controllarsi, però, a volte, gli manca la voglia di farlo. 

Forse, un giorno o l’altro si troverà a vivere un’eternità per ogni secondo del mondo esterno.

Ma non c’è differenza in Larxene. Lei esiste alla sua stessa velocità, come lui. Come lui, è finalmente qualcosa di reale in un universo sempre troppo lento.

Tende la mano verso la guancia della ragazza. La tocca e le dita gli formicolano come quando ha volato fra le nubi.

Larxene è una rete di luce vibrante. Il fulmine le scorre nel sangue.

 

“Dimmi una cosa, Roxas. Definisci nemico qualcuno che ti impedisce di raggiungere un tuo obiettivo. Tu vuoi risposte su te stesso. Loro ti impediscono di ottenerle. Allora sono nemici? Sarebbe amico, qualcuno che ti aiutasse?”

 

Un lampo scocca con la violenza di una supernova, si scarica su uno degli edifici della città, e il tuono è un’esplosione lacerante.

Il ragazzo sussulta. Il fulmine è Luce ed è anche nel suo sangue.

 

Larxene si alza e scende le scale, fino a trovarsi nel mezzo della strada.

 

I tuoni sono continui, adesso che le folgori si susseguono quasi senza pausa.

 

Roxas raggiunge la ragazza.

Il cuore gli batte col ritmo dei fulmini. Ogni fulmine porta con sé un’immagine.

I fiori si avvoltolano su sé stessi per offrire meno superficie alla bufera.

Nel campo intorno al castello, si affrettano a tirare al riparo macchinari e apparecchi e rifugiarsi nelle tende.

C’è fumo e odore di ozono quando i lampi colpiscono il mare grigio.

La tempesta è diventata i suoi occhi.

 

 

* * *

 

 

Le terminazioni nervose si infiammano e c’è luce.

Il mondo si schiude.

Di fronte a lui, una donna dai capelli chiari.

La riconosce come donna, così come riconosce quella su cui poggia come terra, le sagome che lo circondano come persone.

Concetti senza significato.

Ma quel mondo che ha appena cominciato ad assumere una forma si disfa nel caos, i minuscoli frammenti di definizione e coerenza che ha conquistato si disperdono e lui è ricacciato nell’oscurità.

 

indietro

 

Prima della luce, c’è solo buio.

 

indietro

 

Sprofonda in quel mare nero e si trova in un mare turchese.

 

indietro

 

Creature grigie nuotano fra scie di bolle, turbini dacqua, e fischi e sibili organizzati in complesse armoniche.

 

indietro

 

SO… 

 

?

 

 

* * *

 

 

La tempesta elettrica prosegue per ore.

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

Ringrazio tutti per i sempre fantastici commenti e stavolta chiedo scusa per il ritardo impressionante ^__^

 

Chris: ti sbagli. Non storco il naso per la ragione sentimentale. Invece sono proprio felice che hai apprezzato l’apparizione di uno dei nobody minori ^__^

Capisco quanto sia facile provare simpatia per i 13, ma capisco poco invece il generale disinteresse che suscitano i nobody di truppa. Hanno lo stesso valore dei loro fratelli maggiori. Non mi va che siano considerati solo gli ostacoli da spazzare via perché tanto sono brutti e strani.

D’altra parte, devo fare il mio lavoro di avvocato del diavolo. E non è che agli heartless tolgo la parola, sai? Prima o poi Xehanort arriva ^__^

 

Adoro il mondo dove vivono i nobody (mai e poi mai lo chiamerò Mondo che non Esiste. Mi rifiuto di definire una cosa concreta ‘non esistente’ e se Xemnas ha qualcosa da obiettare, venga da me e ne parliamo faccia a faccia).

Certo, il primo pensiero è ‘Ma che aspettano a spostarsi?’. Ma, visto che stanno lì, non posso che ammirarli. I nobody saranno anche entità più o meno spirituali, ma sono materiali. Mangiano, dormono, hanno una casa e vestiti, vuol dire che hanno bisogno di riparo. In un mondo simile? Salute e auguri.

L’idea che costoro passino la vita solo o a far disastri sui pianeti altrui o ad annoiarsi a morte è del tutto campata in aria. In un mondo come quello, devono darsi da fare come castori solo per rimediare di che mangiare e non crepare di freddo. Certo, possono saccheggiare altri mondi, ma è aggiungere un’ulteriore sorgente di incertezza a un’esistenza già fin troppo incerta.

Tra l’altro, il loro mondo spazza via un altro luogo comune. Che la cosiddetta organizzazione sia in effetti solo un mucchio di tizi che si odiano vicendevolmente, che, per qualche sconosciuto motivo, decidono di vivere insieme. Forse per fregarsi meglio l’un con l’altro.

Insensato. Nel gioco viene mostrato solo il loro periodo finale, senza tenere conto dei precedenti. Non solo sono sopravvissuti anni su un pianeta dove sopravvivere non deve essere certo uno scherzo, ma hanno messo in ginocchio l’universo, e una guerra non si fa random. E’ un sistema organizzato.

Che siano individualisti a oltranza è evidente, ma sono gente che dipende l’una dall’altra e sono stati capacissimi di collaborare in modo altamente efficiente. Se non fosse così, semplicemente non sarebbero neppure arrivati al punto in cui li vediamo.

Tutti motivi per cui non sono mai riuscita a considerare i 13 ‘cattivi tutti d’un pezzo’. Non cattivi e sicuramente non tutti d’un pezzo. Sopporto quindi poco quando cercano di spacciarmeli per tali. E’ che non sopporto neppure l’altra versione, quella ‘poveri cucciolini indifesi tanto dolci che il cattivo universo vuole distruggere senza ragione’.

Ma è così difficile accettare personaggi che non si piazzano in una demenziale suddivisione buoni-cattivi? Mi pare davvero limitato come modo di pensare.

Alla fin fine, è proprio questo che mi ha affascinata di Kingdom Hearts. Senza questo, sarebbe una banalissima storia dove buoni e cattivi si prendono a legnate.

 

Oh, Marluxia ringrazia per l’apprezzamento ^__^

 

Lux:  Zexion e House ci sono arrivati indipendentemente. Sanno entrambi di cosa si parla, loro ^__^

Lo ammetto. Quella frase avrei potuto risparmiarmela e non sarebbe cambiato niente. E’ una specie di puerile ripicca nei confronti di tutte quelle storie dove odio e amore vanno a braccetto.

Ma caspita, non ne posso più di sentire parlare delle emozioni come se fossero indistinte qualità celesti senza causa, piuttosto che quello che sono, cioè funzioni assolutamente ordinarie di qualunque organismo dotato di uno straccio di sistema nervoso. Che si inzuppano, mescolano, confondono cose che esistono per ottenere risultati opposti, è ridicolo. Ma ti pare?

Anche nel gioco l’intera questione ‘emozioni’ è trattata in modo demenziale. DiZ ribadisce ostinatamente che non provano emozioni. Roxas gli urla allora che lo odia e lui fa: ‘E’ quello che voglio. Sora non sa odiare, quindi gli serve il tuo, di odio.’

E cosa sarebbe l’odio, o Saggio? Un tubero?

Mi viene voglia di urlare.

 

Giodan: eh, l’arrivo di Sora sarà drammatico. Tanto per riprendere la riposta a Chris, noi li vediamo solo nei loro ultimi tempi, durante una crisi che, probabilmente, era in essere da parecchio. Tempo sufficiente perché Xemnas infiltrasse un agente nel gruppo di Marluxia. E non credo proprio che il coinvolgimento di Axel sia roba da poco. Deve essersi guadagnato la fiducia di Marluxia e Larxene al punto che loro lo hanno coinvolto nella congiura.

O erano già amici da tempo, e Xemnas ne ha approfittato, oppure lui stesso ha mandato Axel dai due. In ogni caso, il rapporto fra Marluxia, Larxene e Axel non è quella specie di odio che traspare da molte storie, anzi, sono convinta che fossero molto uniti e da tempo. Non si rivelano i piani di rivolta verso il proprio legittimo re all’ultimo arrivato o a chi si odia o di cui non si ha la massima fiducia.

I nobody probabilmente sono convinti di poter sopravvivere a tutto, perché è questo che hanno sempre fatto. Vincono chiunque e qualunque cosa.

Poi arriva un ragazzino e li falcia. Aggiungi il tradimento reciproco e non escludo per niente che sia anche la prima volta che uno di loro alza la mano su uno degli altri. La crisi precipita. Ogni certezza va in frantumi.

A quel punto, c’è la fuga di Roxas, la loro chiave del futuro, e la sempre maggior instabilità mentale di Xemnas, che mi rifiuto credere fosse così squilibrato fin dall’inizio.

Non mi stupisco se in quel momento non riescono più a fidarsi l’uno dell’altro.

In effetti, Sora non li ha distrutti. E’ solo arrivato al momento giusto e ha dato il colpo di grazia.

 

 

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Capitolo 18
*** Paradigma ***


Paradigma

 

Paradigma

 

 

Xigbar è seduto su una parete verticale. Xemnas si è sempre chiesto perché ha l’abitudine di fare così. Il fatto che sia in grado di controllare la gravità a suo piacere non spiega perché lo fa senza praticamente un attimo di tregua. Che differenza fa per lui starsene sul pavimento, piuttosto che sul soffitto o su una parete? La sola spiegazione ottenuta, una volta che ha trovato la voglia di chiedere, è che non si rende conto di farlo. Spiegazione che, se dovesse giudicare, giudicherebbe una solenne scempiaggine. Riesce quasi a credere che il suo vecchio amico non si accorga di invertire il suo asse gravitazionale, ma come fa a non rendersi conto di vedere le cose capovolte? Non che la cosa lo infastidisca o lo sorprenda. E’ solo curioso, ecco tutto.

Xaldin, invece, è immobile come una statua. Xaldin non si disturba a mimare gli atteggiamenti umani se non ne ha la necessità e rapportarsi a un altro nobody non è una necessità.

Anche questa non è una sorpresa.

Fatica a ricordare l’ultima volta che qualcosa lo ha sorpreso.

 

Xemnas si stira sullo stretto parapetto cristallino su cui è disteso e la sua attenzione scivola via, per tornare a qualcosa di diverso dai due uomini che gli fanno compagnia sulla terrazza.

Sopra di lui, a intervalli, la luna fa capolino fra gli squarci di cielo limpido, mentre gli strati di nubi si susseguono.

Immagina che, tra poco, ricomincerà a nevicare. La tregua fra le bufere è durata fin troppo a lungo per la stagione.

 

Dovrebbe ascoltare, non guardare il cielo. Ma ascoltare è una cosa troppo elaborata.

Le parole filtrano nella nebbia del torpore che comincia ad avvolgerlo, lo raggiungono in forme strane e nuove. Singolarmente, può anche riconoscerle. Nell’insieme, formano solo un susseguirsi di suoni privi del benché minimo significato, non troppo diverso del sibilo del vento. Deve fare un faticoso e noioso lavoro di ricostruzione. Catturare le parole, una per una, e combinarle insieme fino a ottenere un senso compiuto da quei suoni.

Eppure, sono cose importanti.

 

“Marluxia… quel dannato ragazzo è già abbastanza una spina nel culo. Adesso ci si mette pure Ienzo a fare il rivoluzionario.”

“E’ solo una congettura, Xaldin. Lo conosci. Da dieci anni a questa parte non fa che montare e smontare ipotesi sulla natura dei Cuori. E’ il gioco preferito suo e di Vexen. Questa è una delle tante. Non arriverà a nulla.”

“Se fosse come le altre volte, Zexion se ne starebbe nel suo studio. Hanno chiesto di allontanarsi. Le altre volte non ci siamo mai divisi.”

“Per anni abbiamo tenuto un insediamento secondario nella Terra del Crepuscolo, anche dopo aver abbandonato quel pianeta.”

“Quello era solo un laboratorio sull’uscio di casa, Xigbar. Qui si parla di una fortezza in un crocevia primario nella rete dei Mondi e Marluxia e Larxene hanno intenzione di trasferircisi con tutta la loro gente. Tu dai un avamposto collegato a mezzo multiverso, un esercito e una flotta in mano a due individui notoriamente ribelli? Ma ti rendi conto di quello che dici? Oppure credi che vogliono soltanto giocare a fare i signori del castello? Finora non si sono mossi solo perché, anche con il sostegno delle loro armate, non hanno mai avuto ragionevoli possibilità di successo. Adesso si stanno presentando loro le condizioni più favorevoli. Un territorio proprio e l’occasione di portare dalla loro parte tutti quelli che possono. Non possiamo permetterci squilibri e Zexion può causare una frattura nella nostra coesione. Quello che afferma è un avallo proprio di quelle tesi che Marluxia non ha mai taciuto. Se Marluxia e Zexion si mettono a lavorare insieme, tutto quello che abbiamo costruito fino a questo momento saranno stati solo anni persi.”

“Non lo faranno.”

“Ma se lo facessero…”

“Ma non lo faranno. Non ora. Non così e non in queste condizioni. Andiamo, te lo vedi Vexen mettere il naso fuori dei suoi laboratori per guidare un gruppo di marmocchi ribelli? Ma se non li può neppure soffrire. Se fosse stato per lui, avremmo dovuto annegarli tutti appena trovati e il sentimento è reciproco. Loro non sopportano lui e, a parte Roxas e forse Luxord, tutti considerano Zexion un bastardo borioso e viziato.”

“C’è Lexaeus. E’ sempre stato il principale sostenitore di Zexion ed è molto rispettato. Lo ascolterebbero. Demyx di sicuro, non aspetta altro. Sappiamo benissimo che lui sta con noi solo perché ha paura di quello che c’è là fuori, ma non è d’accordo con niente.”

“Sai cosa ci si può fare del sostegno di Demyx?”

Anche del sostegno di Demyx. Braig, non sto neppure parlando di uno scontro armato. Potrebbero arrivare a uno scisma, dimezzando effettivamente i nostri contingenti e, una volta chiusi a Oblio, non avremmo l’opportunità materiale per riportarli indietro, se non con un attacco diretto. Superato il muro dimensionale c’è l’oscuramento delle comunicazioni. Per noi non ci sarebbe più modo di controllarli in tempo reale, né di ordinare i movimenti delle forze che stanno con loro. Sarebbero completamente indipendenti. A parte che, se arrivassero ad avere un sufficiente consenso, non avrebbero proprio bisogno di ribellarsi, in nessun modo. A quel punto, loro sarebbero la maggioranza e noi la voce dissidente e le decisioni passerebbero di mano. Non ci vorrebbe neppure molto. Normalmente Luxord non si schiera, ma non ci scommetterei, in un caso simile. Axel è imprevedibile, ma c’è Roxas e dove va Roxas, Axel lo segue. A proposito, vogliamo parlare di Roxas? Se dovessimo arrivare a un confronto, chi credi sceglierebbe, lui? E senza Roxas…”

“Andremmo avanti come abbiamo sempre fatto. Fino a sei mesi fa, Roxas non esisteva. Fino a un anno fa, non sapevamo neppure dei keyblade. Non ci siamo certo seduti ad aspettarli. La loro comparsa è stata un’occasione che abbiamo colto. Se non ci fossero stati, avremmo trovato un altro mezzo. Xaldin, già anni fa abbiamo dovuto affrontare la possibile crisi dovuta al dissenso di Vexen. Non è successo nulla di drammatico e di sicuro non abbiamo discusso di eventuali scissioni né di insurrezioni. Abbiamo messo Vexen a guinzaglio corto, lo abbiamo chiuso nei laboratori e tutto è continuato come al solito.”

“Stavolta non stiamo parlando di Vexen. Parliamo di Zexion e Zexion è un animale a sangue freddo. Lo è sempre stato. Ienzo ha convinto Ansem a proseguire le ricerche sull’Oscurità e il Direttorato a devolvere metà dei fondi annuali destinati alla ricerca a nostro favore. Poi i laboratori sotterranei. Ha compilato i protocolli di sperimentazione su cavie non sempre consenzienti, cavie che sono stati i nostri stessi concittadini. Ha progettato il coro mentale con cui abbiamo bandito Ansem e ci ha convinti a usarlo. Lo ricordi? E questo quando era un ragazzino umano. Secondo te, di cosa potrebbe essere capace, adesso, se volesse?”

“Ci ha convinti… continui a ripeterlo. Io non ricordo che Ienzo ci abbia puntato un’arma alla testa per obbligarci. Lo abbiamo seguito ben più che spontaneamente. Adesso vuoi scaricare la colpa su di lui? E’ stata una scelta, la nostra. Una scelta consapevole. Sapevamo bene cosa stavamo per fare e, a quanto ricordo, anche quello cui potevamo andare incontro. Nessuno di noi, nessuno, è mai stato tanto incapace da avere bisogno che qualcuno gli dicesse che fare. Non saremmo qui, altrimenti. Quello che siamo, lo abbiamo voluto tutti.”

“Non essere melodrammatico, Xigbar. Io non incolpo nessuno per quello che ho fatto, ma non è certo una novità quelle che sono le priorità di Zexion. Se dovesse pesare sulla bilancia tutti noi contro una linea di ricerca che sta seguendo, non ci penserebbe due volte.”

“Stai cercando di convincermi che Zexion è un pericolo, per noi?”

“E’ un pericolo per chiunque si frappone fra lui e un suo obiettivo, Braig.”

 

Ancora Braig. E Ienzo.

Xaldin continua a usare i loro vecchi nomi. Xaldin è astuto. Non usa mai una parola se non intende esattamente usarla.

E’ un modo per riaffermare l’identità con il passato?

Chissà come chiamerebbe lui, allora.

Anche se la confusione che ha contaminato i suoi ultimi mesi di vita umana è svanita da anni, prova ancora disagio a sentirsi chiamare… a sentirsi chiamare con entrambi i nomi, in realtà.

Ma Xaldin è troppo accorto per chiamare anche lui con un nome umano. Uno a scelta, qualunque esso sia.

 

Volta un po’ la testa dall’altro lato e quello che vede è la parete esterna del parapetto, una superficie bianca e levigata che cade in verticale verso la città al di sotto. Ma, a quel punto, tutto è distorto dalla prospettiva dal suo angolo visuale e diventa solo un insieme disordinato di luci.

Rosse e gialle e verdi e blu.

 

“Zexion ci è sempre stato fedele. Probabilmente più di chiunque altro. Dimmi una sola volta in cui ha agito per qualcosa di diverso che l’interessa di tutti noi. ribatte Xigbar.

“E’ fedele alla condizione che gli forniamo, possibilità illimitata di fare ricerca e nessuna restrizione. E’ l’ambiente a lui congeniale e farà di tutto perché continui a essere così, a prescindere da tutto il resto. Se mai questa possibilità gli venisse meno, ci getterebbe via senza esitare un solo secondo. Ti ricordi cos’è successo all’ultimo che ha tentato di mettere Ienzo a guinzaglio corto? Ti sei dimenticato qual è il suo livello di tolleranza alle opposizioni? Vuoi trovarti a condividere l’eternità con Ansem? Scommetto che la dimensione del Nulla è abbastanza grande da ospitarci tutti.”

“Nessuno di noi sei ha mai tollerato limitazioni, in nessuna delle nostre vite. Ienzo e Xehanort sono stati solo quelli che hanno avuto il coraggio di agire. Quelli che hanno fatto ciò che tutti noi volevamo fare. Xaldin, stiamo perdendo di vista la misura delle cose. Te lo ripeto. E’ solo un’ipotesi come tante. Non ha dimostrato nulla e senza prove, riscontri e verifiche Vexen e Lexaeus non faranno niente. Lo stesso Zexion non farebbe niente.”

“Se le fornisse, queste prove?”

“Se le fornisse, allora dovremmo accettarle e accettare la verità.”

“Quale verità?”

“Qualunque essa sia.”

“Ce ne sono tante, di verità. La mia verità, la tua, la verità di Ienzo. Siamo tutti topi in un labirinto, per lui, allora dimmi, Braig, qual è la verità? Il formaggio che vediamo, le pareti del labirinto, il laboratorio, oppure quello che ci aspetta con il bisturi in mano? Oppure il mondo fuori dal laboratorio? Tutto quanto è vero. Come vedi, ci sono strati su strati di verità, uno dopo l’altro. Dobbiamo solo vedere a quale vogliamo fermarci. Credi che a Zexion interessi altro che guardare tutti noi, i Mondi, gli abitanti dei Mondi, correre dietro all’esca che ci agita davanti al naso? Sai perché sostiene il nostro lavoro? Per sperimentare quello che accadrebbe nel caso avessimo successo. Gli può interessare solo fino a quando non trova qualcosa che lo incuriosisce di più.”

 

Le nubi si assottigliano. La luna è una sagoma luminosa, nebbiosa e indistinta.

E’ come guardarla da dietro un vetro. No. E’ come essere sott’acqua e guardare le forme oltre la superficie.

Sott’acqua va bene. E’ come annegare.

 

Xaldin gli rifila una manata a un fianco.

 

“Sveglia, Xemnas. Se sei qui per dormire, tanto vale che ce ne andiamo tutti.”

 

Si scuote. Il bordo della balaustra gli sfrega contro le scapole. Slaccia le braccia che tiene incrociate sotto la testa e le allunga dietro di sé. Le dita incontrano una massa gelida. Ha spazzato via la neve prima di sdraiarsi, ma, intorno a lui, il parapetto è ancora ricoperto di uno spesso cuscino bianco.

Stava davvero per addormentarsi. E’ fin troppo comodo e piacevole stare a fissare il cielo e far finta che il resto non lo riguardi. Non poteva durare a lungo.

Si decide ad alzarsi. C’è una persona in più, con loro, e chissà da quanto è qui. E’ arrivato in silenzio e si è seduto sul cornicione, indifferente alla neve dove è immerso. E’ a così poca distanza da lui e neppure si è accorto della sua presenza. Ma nessuno si accorge di Saïx, se non è lui che lo vuole.

Viene da chissà dove, dal fare chissà cosa. Xemnas non gli ha mai chiesto nulla. Tutti loro, talvolta, si allontanano da soli per soddisfare necessità che non possono condividere con nessuno. Ma sono pochi, forse solo lui stesso, a farne una costante quanto Saïx. Anche se i suoi seguaci non hanno mai osato interrogarlo, molti di loro non nascondono la curiosità. Forse resterebbero sorpresi nel conoscere la risposta.

Nessuno vuole davvero sapere cosa fa Saïx quando li lascia.

 

“State andando avanti così bene da soli… perché adesso chiedete a me?”

“Perché non stiamo giocando e vorremmo anche il tuo parere, Vostra Maestà, Luce di noi tutti.”

 

Non risponde subito. Anche se è abituato a servirsi delle parole come strumenti per ottenere quello che vuole da chi vuole, adesso, qui, sarebbe inutile. I due che lo circondano lo conoscono abbastanza da trovare il significato di ogni sillaba detta e non detta. Potrebbero chiamare ogni suo inganno, quindi inutile cercare di tessere i suoi incantesimi con loro.

Si conoscono da quando sono bambini. Hanno giocato insieme e si sono usati l’un con l’altro. Insieme hanno commesso un parricidio e devastato i Mondi. Si sono uccisi a vicenda. Sono rinati insieme. Finora l’un con l’altro si sono aiutati a sopravvivere.

E’ abbastanza per essere onesti, almeno qualche volta.

 

“State a fare i conti di chi sarebbe con noi e chi con loro, come se ci preparassimo a una guerra civile. E io non escludo per niente questa possibilità, ma vorrei chiedervi una cosa. A che servirebbe, per chiunque di noi?”

 

Nessuno dei due uomini sembra capire il senso di quello che ha detto e Saïx non appare intenzionato a intervenire.

 

“Riformulo la domanda. Secondo voi, perché Marluxia sta progettando una rivolta?”

“Vuole il tuo posto.” afferma Xaldin.

“Non dire cazzate. Fosse questo, mi preoccuperei anche di incartarglielo e infiocchettarglielo, il mio posto. Per quale motivo?”

“Smania di potere?

“Modi diversi per dire la stessa cosa.” brontola Xigbar.

Xemnas lo ignora.

“Potere. Il mio potere, Xaldin?”

“Quale altro?”

“Che potere ho? Il potere su tredici persone sperdute e un imprecisato numero di creature che forse non possiamo più neppure chiamare persone? E’ un grande potere, davvero invidiabile. Il potere di distruggere mondi? Dovrei compiacermene, quando non posso camminare liberamente per le strade di casa mia? Il potere di mettere fine all’esistenza di miliardi di esseri? Ho tutto questo potere e non mi basta per sapere chi sono. La mia vita è solo il ricordo di un passato mutilato. Se Zexion ha ragione, sono ricordi di un altro. Io non ho potere degno di nota e non ho nessun potere che desidero. Hai così poca considerazione di me e di Marluxia, Xaldin? Credi che tutto questo sia una rissa fra i ragazzi del quartiere per decidere chi è il capo? Il potere è solo un mezzo, uno dei tanti e nemmeno quello sempre più efficace. Qualche volta può anche essere un ostacolo. Non c’è ragione per cui non dovrei regalare il trono più alto di tredici a chiunque lo voglia, se fosse in grado di darmi quello che chiedo. Se vuole Oblio, per me può prenderselo e a non darglielo… credete che, in un caso o nell’altro, questo chiuderà la faccenda? Che non ci sarà un’altra occasione, in un altro momento? Marluxia sa quanto me qual è la vera estensione del mio potere e quanto trascurabile sia. Sa bene che, se solo fosse per questo, sarei ben lieto di lasciarglielo. Sa bene che non si tratta di potere. Non questo genere di potere. Non sottovalutatelo.”

“Allora cosa vuole?” domanda Xigbar.

“Non è quello che vuole. E’ quello che è. Vita. La vita si espande, cambia, e non torna mai indietro. La vita non conosce limiti e non avanza a passi prudenti. Travolge. La vita è spietata. Procede per prove ed errori e gli errori li lascia distruggere. Per Marluxia questo è solo un altro passo avanti, solo un’altra occasione, solo un altro cambiamento a cui adattarsi. Vorrà che ce ne siano altri come noi. Vorrà crescere e conquistare qualsiasi spazio libero e farsi strada in quello già occupato. Marluxia non considera la nostra condizione come qualcosa a cui rimediare, ma come un’opportunità da sfruttare e Zexion è come lui. Più cauto, più accorto, meno evidente nei suoi scopi, ma è proprio come lui. Vita e Mente. Che altro potrebbero volere?”

“Va bene, allora cosa facciamo? Chiediamo a Zexion di piantarla di fare il cretino e di tornare al suo lavoro? Sarebbe più facile fermare una valanga con un fischio. E, per amore di precisione, quello che fa è il suo lavoro e il mio e il tuo e quello di tutti noi.”

“E gli altri, Xigbar?” si intromette Xaldin.

“Gli altri?”

“Coloro che non sono stati capaci di mantenere forma e mente. Abbandoniamo anche loro con un ’Grazie di tutto. Ci spiace, ma siete perdite della selezione e non ci servite più’? Noi siamo quelli fortunati. Cosa diremmo a quelli che verranno lasciati indietro? Per ognuno di noi, quante centinaia di loro?”

“Zexion è convinto di poter revertire il loro stato.”

“E tu sei disposto a riorganizzare l’intera umanità sulla base di una convinzione?”

“Una convinzione di Ienzo? Perché no? Una sua convinzione ha rivoluzionato l’universo. Potrebbe rifarlo e, questa volta, a nostro favore.”

“No, Xigbar. E’ troppo drastica, come scelta.”

“Perché si è scoperto?” chiede improvvisamente Saïx.

“Prego?”

“Zexion non si scopre mai. Avrebbe dovuto lasciare che fossero Vexen o Lexaeus a esporre il suo progetto. Sarebbe stato molto più coerente con il suo carattere. Non lo ha fatto. Perché?”

“Dillo, se lo hai capito.”

 

Saïx fissa su Xigbar quello sguardo che fa sempre venire voglia di scappare a trovare un nascondiglio e, se il nascondiglio non c’è, a crearselo scavando nel pavimento. Anche se il pavimento è di acciaio e il solo strumento a disposizione sono le unghie. Anche se il giovane è uno degli individui più pazienti e tranquilli del loro piccolo mondo personale, ma nessuno può sapere dove si piazza la linea di confine della sua tolleranza.

 

“Se ho chiesto, è perché non lo so. Però sono sicuro che ci sia una ragione. Suppongo che siamo molto più vicini al cambiamento di quanto pensiamo e che questo cambiamento, la crisi se preferisci, Xaldin, sia molto più rivoluzionario di quanto noi altri non valutiamo al momento. Zexion è piuttosto metodico nei suoi comportamenti. Non devierebbe da uno dei suoi schemi se non fosse per una ragione che considera estremamente valida. Presumo sia convinto dell’attendibilità della sua ipotesi.

“Quindi, secondo te è in grado di fare quello che dice?”

“No, dico che lui ne è convinto, ma vi ricordo che Zexion può trarre deduzioni perfettamente logiche e ottenere proiezioni di eventi attendibili partendo da un numero infimo di dati. Fa parte delle sue capacità. Quanto a Marluxia, non mi azzarderei a mettere in discussione qualsiasi sua opinione in merito alle condizioni degli esseri viventi.”

“Questo non vi fa pensare che, forse, potrebbero avere ragione?” interviene Xigbar “Fino a questo momento, ci siamo affidati proprio a queste facoltà di Zexion e non abbiamo mai sbagliato. Allora perché, adesso, le mettiamo in dubbio? E’ qualcosa in quello che ci ha detto?”

“Un attimo fa, hai detto che questo è solo un gioco per Zexion. Adesso affermi il contrario. Credi davvero che potrebbe essere nel giusto?” chiede Xaldin.

“No. No, non lo credo, ma questo non è il mio campo, è il suo. Non ho la pretesa di competere con lui. Saïx qui ha detto bene. Se Zexion afferma una cosa simile, è perché la ritiene possibile e, se la ritiene possibile, è perché è in grado di dare una dimostrazione valida. Te lo ripeto. Dobbiamo essere disposti a rivedere e ridiscutere le nostre convinzioni, se escono fuori prove sostanziali.”

“La struttura mentale di Roxas è stata stabilizzata.” mormora Saïx “Di questo abbiamo avuto una documentazione comprovante. O credete che Zexion possa avere falsato i risultati delle sue ricerche?”

“No.” esclama Xigbar “E non contraddirmi, Xaldin. Non lo farebbe. Non quello.”

Saïx guarda gli altri due in attesa di una risposta.

“No, certo che no.” ammette Xaldin.

Xemnas scuote il capo in una negazione.

“Quindi, signori miei, non posso escludere la possibilità che, ad avere tempo, sia in grado di fissare indefinitamente anche la nostra condizione e ricondurre gli altri nobody a uno stato superiore.” prosegue Saïx.

“E sulla base di questo lo lasceresti giocare con le esistenze di tutti noi?”

Un refolo di vento gelido li accarezza. Saïx sorride e scopre i denti acuminati.

“No, Xaldin. Ma non potete pensare che si fermerà spontaneamente. Se ritiene di poter ottenere un risultato di tale portata, continuerà a prescindere da ogni obiezione. Io lo farei, voi lo fareste. Lui lo farà. Se credete che non debba andare avanti, dovrete fermarlo.”

 

Xigbar scende finalmente dalla parete e si avvicina al bordo della terrazza. Xemnas ha il sospetto che prenderebbe volentieri a pugni uno di loro. Uno qualsiasi.

 

“Perciò siamo arrivati a parlare di condanne a morte. Nessuno vuole chiamare la cosa con il suo nome, ma si tratta di questo. Xemnas, loro fanno parte di noi. Fanno parte di coloro per cui facciamo tutto questo. Se non ci saranno più, per chi andremo avanti? La sola cosa che ci resta siamo noi stessi, contro l’universo intero. Se cominciamo a massacrarci fra noi, quanto ci vorrà prima che l’ultimo scompaia?”

“Se lasciamo che si frantumino le ragioni per cui stiamo insieme, quanto dureremo? Se non facciamo nulla, finirà così.” esclama Xaldin.

Xemnas ordina il silenzio con un gesto della mano.

“Quella di Zexion è solo un’ipotesi, vero. A parte noi, per quanti la cosa farà differenza? Avete parlato di spaccature. Guardaci, Xigbar. L’ha già fatto. Solo parlarne ha causato una divisione fra noi, qui. Cosa succederà quando anche gli altri cominceranno a rendersi conto di quello che significano le sue parole, se cominceranno a credere che ha una qualche possibilità di riuscita? Cosa succederà quando non saremmo più noi, ma noi e loro? Chiunque saremo noi e chiunque saranno loro.”

“Xemnas, se non per qualsiasi altra considerazione, ricordati che Zexion è il solo fra noi capace di mandare avanti strategie accettabili. Dieci anni che l’universo cerca di annientarci e siamo ancora qui, in buona parte grazie a lui. Chi altro potrebbe farlo? Io no. Tu sei un sognatore, non ne sei in grado. Saïx? Sicuro, quando è in fase giusta. E quando salta fuori quella sbagliata? Axel, certo. Se siamo fortunati, per un intero giorno. Demyx non voglio neppure considerarlo. Luxord ne sarebbe capace, ma non lo farà. Roxas? Sì, Roxas sì. Tra qualche anno, quando perderà i denti da latte e, a quel punto, sarà un problema quanto Zexion. Quanto a te, Xaldin, non vorrei avere nessun altro a coprirmi le spalle, ma l’idea di dipendere da una tua scelta strategica mi fa accapponare la pelle. Il solo in grado di fare una cosa simile è proprio Marluxia, ma lui è escluso, giusto? Dimentichiamo una cosa. Non siamo soldati. Non lo siamo mai stati. Il nostro posto è in un laboratorio o dietro una cattedra. Arranchiamo per fare qualcosa di cui non sappiamo nulla o quasi, contro gente ben più abile ed esperta, ma non è il nostro mestiere e dieci anni non l’hanno fatto diventare il nostro mestiere. Uno di noi è stato graziato delle capacità di Zexion. Ora vorresti buttare via questa fortuna? E non considero il fatto che lui ha una rete di contatti che si estende in buona parte dei Mondi. Gli infiltrati nei vari governi. Gli agenti dormienti. Queste sono informazioni che Zexion gestisce in esclusiva. Non possiamo sostituirle perché le tiene nel suo cervello e, anche se le conoscessimo, in molti casi la chiave di attivazione può essere comandata solo da lui. Se lo togli di mezzo, fai traballare l’intero nostro sistema ben più di quanto non potrebbero fare Larxene e Marluxia se si arroccassero a Oblio con metà della flotta. Pensa anche alle conseguenze.”

“E’ vero, Xigbar. Zexion non perde nessuna battaglia. Non possiamo permetterci di averlo come avversario. Lui, Vexen e Lexaeus sono tre persone. Tre. Quanti sono tutti gli altri? Noi siamo la causa delle loro condizione, noi dobbiamo farcene carico.”

“Se ha ragione, non abbiamo fatto niente. Ci siamo ritrovati in questo mondo come tutti gli altri, senza più responsabilità di loro per quello che siamo.”

“Adesso chi cerca di giustificarsi?” sibila Xaldin.

“Xigbar…” mormora Saïx.

 

Xigbar guarda con rancore il giovane. Saïx non batte ciglio.

E’ talmente in bilico. Solo qualche centimetro lo separano dall’abisso. Dovesse perdere l’equilibrio, precipiterebbe.

Non si farebbe veramente male. Oppure sì? Nemmeno lui è in grado di sopravvivere a una caduta da quell’altezza e Xemnas non è sicuro che riuscirebbe ad aprire un portale o frenare il volo in tempo.

Basterebbe una piccola spinta, un leggero slittamento della gravità.

Saïx fissa tranquillo Xigbar, con i suoi luminosi occhi di felino che sembrano perforare l’anima.

Il sorriso di Xigbar è quasi un ringhio.

 

“Tu restane fuori, d’accordo, ragazzino? Poi che ci fai, qui? Non dovresti essere a Oblio?”

 

Affari di famiglia.

Xigbar si è sempre fatto un punto d’onore nel tenere insieme la famiglia.

Braig si occupava di loro. Braig ed Aeleus. Badavano che Even si ricordasse di dormire, che Dilan non si ostinasse nel passaggio di qualche formula non risolta, che Xehanort non si nutrisse solo di cioccolato e caffè e sigarette. Che, ogni tanto, andavano a recuperare Ienzo dai suoi computer.

Loro si ricordavano di cibo e bevande e loro spegnevano il televisore quando qualcuno si addormentava sul divano.

Braig li aveva cacciati tutti fuori della sala dell’esperimento ed era rimasto indietro, da solo, per salvare Xehanort con il corpo frantumato dalla pressione incalcolabile dell’Oscurità sorgente che lo aveva trasformato nel suo canale per irrompere nell’Universo. Anche se Xehanort era già perduto.

Xigbar è diverso, ma, in fondo, quello non è cambiato. E’ l’uomo che lo ha tenuto ancorato all’esistenza nei primi, inverosimili giorni della sua nuova vita, quando il Nulla cercava di consumarlo, anche se lui stesso doveva combattere i suoi personali mostri. E’ quello che lo ha seguito per primo, quando ha proposto cosa fare.

E’ ancora lui quello che ride e scherza con i neofiti, come se cercasse di sdrammatizzare la loro situazione e, anche se Xemnas è incline a credere la cosa inutile, capisce la necessità di Xigbar, così simile a quella di Braig, a quella di Lex, di sentirsi responsabile di qualcuno o qualcosa, anche qualcuno che non ha alcun bisogno di protezione o di conforto.

La famiglia non si abbandona e, nel personale sistema di riferimento di Xigbar, c’è una precisa gerarchia di importanza.

La famiglia va protetta e Saïx, in questo momento, è una comoda e accessibile valvola di sfogo. Tanto non reagirà. Non in sua presenza. Non per una cosa simile.

 

“Xigbar, stai perdendo la tua obiettività.” conclude Saïx.

 

Xigbar non replica. Si appoggia alla balaustra e guarda verso il basso, la città spiegata sotto di loro, le propaggini del deserto di ghiaccio all’orizzonte.

 

“Ti ricordi di Ansem?”

 

Non si è rivolto a nessuno in particolare, ma non c’è il minimo dubbio a chi è diretta la domanda.

 

“Dovresti. Era il tuo maledetto padre.”

“Xigbar…”

“Ansem ci ha sventolato di fronte la pena capitale o la ricostruzione mentale se non gli avessimo obbedito, a lui e allo sgorbio che gli teneva il guinzaglio. Morte o castrazione cerebrale per noi e per le nostre famiglie, nel nome di un alieno che pretendeva la nostra fede.”

“Xigbar, piantala.”

“Il prossimo passo quale sarà? Chiudere di nuovo gli universi e gettare via la chiave come voleva quel bastardo? Abbiamo vissuto entro i sentieri di un paradigma, finora. Tu vuoi farlo diventare un dogma.”

“Ti avverto…”

“Ricordati cosa sei, Xemnas!”

“Nessuno. Ecco cosa sono.”

 

Xigbar mi ha tenuto vivo. Ricordalo. Ha tenuto lontana quella cosa che mi cercava inseguiva trovava sempre per divorarmiinghiottirmicancellarmi.

Xigbar ha tenuto lontano il Nulla.

 

“Noi possiamo dire di essercelo voluto, Xigbar, ma gli altri? Che colpa hanno, loro? Non hanno fatto nient’altro che essere i più forti, i più attaccati alla vita, e il compenso è questa specie di incubo in cui si sono trovati. Il riconoscimento per essere sopravvissuti è venire cacciati come animali rabbiosi. Vogliono vivere e hanno una volontà che non ha pari nei Mondi. La tentazione di costruirsi un’esistenza con quello che hanno senza cercare i frammenti di quello che avevano e aggrapparsi alla speranza di quello che potrebbero avere è forte. Possono cominciare a pensare che è meglio accontentarsi, piuttosto che perdere ancora anni per un obiettivo così poco distinto. Puoi biasimarli?”

“Pretendi di far credere di essere addolorato per loro? Proprio adesso?”

“Abbiamo strappato loro mondo e vita e adesso li guardo e vedo solo armi animate da scagliare contro altri mondi e altre vite. Vorrei che mi spiacesse, ma, per quanto posso volerlo, in realtà non mi importa niente, se non quanto possono servirmi per arrivare allo scopo che mi sono prefisso. Non ricordo nemmeno quando per la prima volta ho guardato una persona e tutto quello che ho visto è stato un mezzo, uno strumento o un ostacolo. Ora Zexion mi dice che non ho mai visto il mondo in un altro modo, che quello che ricordo della mia vita non è mai stato mio. Che io sono solo questo mostro capace di cancellare pianeti e usare i superstiti per cancellarne altri e non potrò mai essere diverso. Forse è stato davvero Xehanort a fare tutto, forse siamo stati entrambi, forse nessuno dei due. Non importa. Io ricordo e se non sono stato io, non riesco a trovare la differenza.”

“Zexion si fida delle persone.” mormora Saïx.

“Tu sei ubriaco, ragazzo.” brontola Xigbar.

“E’ una delle sue caratteristiche principali. Zexion si fida della sua capacità di prevedere i loro comportamenti. Inoltre, probabilmente, non riesce a capire altro che la logica più stringente e questo lo porta a escludere comportamenti che non siano strettamente utilitaristici e razionali, quindi prevedibili. Aggiungi le capacità che gli permettono di percepire qualsiasi variazione negli schemi mentali. E’ convinto di essere sempre in grado di anticipare i comportamenti altrui, il che lo porta a fidarsi.”

“Si chiama presunzione, non fiducia.”

“Gli effetti sono uguali.”

“Ma che significa?”

“Che sbaglia. Non può prevedere tutti. C’è una persona del tutto imprevedibile, fra noi.”

“Tu?” chiede Xaldin.

“No, io sono molto prevedibile. Occorre qualcuno il cui modo di agire e comportarsi si basa su una serie di movimenti casuali e illogici. Così sarà invisibile a Zexion.”

“Axel…”

“Axel è intelligente e astuto, ma non ha alcuna prospettiva. I suoi traguardi si piazzano in un futuro molto prossimo. Adesso, oppure domani. Non ha concezione di risultati ottenuti a lungo termine e non è capace di proiettare le sue azioni in un momento posteriore a quello dell’ottenimento del suo obiettivo. Zexion, invece, di ogni cosa valuta innanzi tutto le conseguenze e i flussi di eventi che ne scaturiscono a lungo termine. Architetta i suoi piani su una scala che per Axel è inconcepibile, così come Axel si muove in una sfera di percezione cui Zexion è cieco. Come si dice, l’uno vede gli alberi, l’altro le foreste. Nemmeno Axel stesso sa come agirà fino a quando non agisce. Zexion non può prevederlo, almeno non fino a quando non è così prossimo all’esecuzione degli eventi al punto che sono già effettivamente attuati. Ma Axel è un’arma a doppio taglio. A dargli tempo, finirà per appoggiare Zexion e Marluxia. E’ inevitabile.”

“Perché?”

“Perché hai ragione, Xaldin. Roxas si schiererà con Zexion e Marluxia. Anzi, sono sicuro che sarà proprio lui il tramite tra i due. Quello che permetterà loro di appianare le divergenze.”

“Come fai a dire una cosa simile?”

“E’ scontato. Zexion e Marluxia sono complementari. Anima e Corpo. Manca ancora una cosa e saranno completi.”

“Il Cuore.”

“Roxas.”

“Hai studiato bene.” sibila Xigbar.

 

Saïx abbassa la testa in quello che appare un gesto di sottomissione nei confronti di Xigbar. Solo lui può caricarlo di tale sarcastico scherno.

Saïx è bravo a capire le debolezze. Tutti i predatori sono bravi, in quello. E’ il loro lavoro, dopo tutto. E’ una buona cosa che i millenni di civiltà non abbiano offuscato il suo intuito. E’ quello che serve loro. Per vincere una belva, ne serve una più feroce.

 

“Adesso basta. Potete andare.”

“Xem…”

“No. Andatevene.”

 

Nessuno ribattere più. Xigbar e Xaldin annuiscono e si svaporano nelle ombre. Solo Saïx non si allontana con gli altri, ma per Saïx non valgono le regole che governano tutti loro.

Esiste una curiosa favola, un modo di dire, più che altro, diffuso in così tanti Mondi da essere una di quelle bizzarrie che sembrano replicarsi in ogni dimensione e nessuno sa se si tratta di copie carbone oppure del risultato di un tempo in cui gli universi erano collegati e c’era libero scambio fra essi.

Quelli come Saïx sono i soli ad avere diritto di restare seduti in presenza dei re.

 

Va bene così.

Xemnas non vuole avere intorno i suoi antichi compagni. Li ha ascoltati fin troppo e si chiede quanto le loro parole lo abbiano già influenzato. La responsabilità è solo sua. Almeno questo, lo deve loro. Ma non riesce a estendere la cortesia anche a Saïx. Ha fiducia in lui e si fida soprattutto in questa occasione. Saïx non ha l’abitudine di indulgere nei ricordi e fingere emozioni. Non vuole niente che non sia originale. Soprattutto, non gli importa nulla degli altri.

Xemnas può giustificarsi in questo modo.

 

“Mi odi, Saïx?”

 

Il giovane ha le mani strette insieme, i gomiti appoggiati alle ginocchia e il volto sulle dita intrecciate. Nonostante la scarsità di luce, le sue pupille sono fessure verticali sottilissime, quasi inesistenti. Lo sta osservando con una curiosa espressione.

Attenzione. Può definirla così. Concentrazione, anche. Interesse?

E’ come se stesse assimilando ogni suo gesto.

Xemnas ricorda che, in assenza di luce, nella specie di Saïx le pupille si contraggono comunque come riflesso funzionale di caccia.

 

“No.”

“E’ questa la cosa peggiore. Che non riesci a odiarmi.”

“Noi non odiamo.”

“Ma Xaldin non ha mai perdonato Zexion.”

“La domanda è, più che altro, se siamo in grado di perdonare. Il perdono implica un certo grado di attenuazione nel ricordo di una sofferenza. Un nobody, un essere la cui memoria non sbiadisce, può perdonare quello che considera un torto?”

“Quindi, Xaldin è rimasto intrappolato in un ricordo. Ma questo non basta per sostituire l’odio.”

“No.”

“No. Forse non odiamo, ma possiamo volere. Non dovresti voler stare vicino a me. Non dovresti neppure seguirmi. Di tutti noi, tu sei forse quello che troverebbe meno difficoltà a vivere fuori da qui.”

“Tutti facciamo cose che non dovremmo fare, oppure non facciamo quello che sarebbe più logico. Non hai mai pensato che, forse, ti seguo proprio perché tu mia dia di nuovo la capacità di odiarti e che, quel giorno, ti seguirò per una diversa ragione?”

 

Xemnas si siede sul parapetto, le gambe a penzoloni nel vuoto. Si sporge un po’ per guardare di sotto, il baratro di centinaia di metri che lo separano dalla superficie del pianeta e dalla città.

 

“Non ti sei espresso su cosa fare, Saïx.”

“Ti ho dato il mio consiglio.”

“No. Mi hai detto solo quale sarebbe il modo più efficace di comportarsi, qualunque sia la mia decisione, ma non cosa faresti. Dimmelo adesso. Cosa pensi dovrei fare?”

“Sei tu il re. Tu devi decidere.”

 

giallo blu rosso verde

Un oceano variopinto e ronzante di luci artificiali.

 

“Io sono re solo per caso, solo perché sono stato trovato per strada dall’uomo sbagliato. Avrei potuto essere un contadino. Non hai ascoltato Xigbar? Ha ragione. Sono uno scienziato. Da quando ho memoria non sono mai stato altro, non ho mai voluto essere altro. E sono anche un maledetto topo da biblioteca, se vuoi saperlo. Sono sempre stato persino peggio di Zexion e Vexen. Non ho mai voluto essere un re. Sul mio mondo avevamo confuso le due cose, messo sul trono uno studioso e costui si era dimenticato della sua vera natura per correre dietro al potere terreno. Non sono un re. Sono la scusa della paura di un uomo.”

“E’ tardi per ritirarsi dalla carica, Xemnas. Qualunque cosa sei stato in passato, adesso sei quello che abbiamo.”

 

verde rosso giallo blu

Un oceano dove affogare.

 

“Allora, se sono il tuo re, rispondi alla mia domanda. Te lo ordino.”

 

Saïx inarca delicatamente un sopracciglio azzurro cielo.

Quelli come lui non si alzano in presenza dei re e possono decidere a chi donare la propria amicizia e persino la propria vita, ma non la propria volontà. Quella mai.

 

“Te lo chiedo. Per favore, Saïx.”

 

blu giallo verde rosso  

Basta far cadere leggermente il baricentro oltre il bordo, sporgersi un po’ di più. Oppure alzarsi in piedi e muovere un passo di troppo. O lanciarsi, anche.

 

“Questa volta non ho risposta, Xemnas. Qualunque azione mi sembra, al tempo stesso, la più logica e la più inappropriata. Non riesco a distinguere la strada giusta, ammesso che ci sia una strada giusta, o che ci sia quella sbagliata. Per questo avrai il mio sostegno, qualsiasi cosa sceglierai.”

“Però dovrò scegliere da solo.”

“Tu sei il re.”

 

rosso rosso rosso rosso  

Ci sono tanti modi per cadere.

Li ha già sperimentati tutti, più di una volta. Più di una volta, ha cercato di resistere all’impulso di teletrasportarsi o controllare la caduta. Potersi lasciare andare del tutto, schiantarsi in fondo all’abisso.

Ma non riesce. Non può riuscirci.

 

Non perdere tempo a provarci. Non importa cosa credi di volere. Tu vuoi ancora vivere, nonostante tutto.

 

“Ienzo mi aveva insegnato ad andare a vela, allora, per ricambiare, decisi di insegnargli a sciare. La capitale di Radiant Garden era circondata da montagne splendide e aveva una delle stagioni sciistiche migliori della galassia.”

 

Non ha la più pallida idea se Saïx sappia che significa sciare e neppure se gli stia dando retta. L’importante è che ci sia.

Non racconta a beneficio di Saïx, ma al suo e non è ancora arrivato al punto di parlare da solo, senza uno spettatore che, almeno, faccia finta di ascoltare.

 

“Lo portai nello chalet di Ansem, deciso a non andarmene né a farlo andare via prima che fosse capace perlomeno di fare una pista arrivando in fondo ancora in piedi. Come risultato, io mi fratturai una clavicola e, a quel punto, Ienzo non sapeva cosa fare. Passammo il tempo a guardare film e mangiare cioccolato, elaborare protocolli e sistemare software. Tornammo ancora e, per la fine dell’anno, era capace anche di starmi al passo. Non dovremmo odiare, ma io riesco ancora a odiare Ienzo per quello che ha fatto e a provare rancore per Zexion per quello fatto da Ienzo, e mi stringo a quest’odio e questo rancore perché so che sono sbagliati, che io ho fatto quello che ha fatto lui, di mia scelta, allora odio e rancore sono ingiusti e ipocriti, ma sono le sole cose che mi fanno sentire ancora umano, proprio perché sbagliate, ingiuste e ipocrite. Ma, giorno dopo giorno, odio e rancore mi sfuggono. Giorno dopo giorno, il mio essere nobody diventa sempre più forte, a ogni istante cancella il mio essere umano e se non proverò più nemmeno odio e rancore, sarò davvero perduto. Ma, allora, come posso decidere obiettivamente in questo caso? Come posso anche solo pensare di essere obiettivo? Una vita in comune me lo impedisce. Non sono più l’uomo che ero. Forse non sono più nemmeno un uomo. Non so come tornare indietro.”

 

Saïx contrae lievemente le dita artigliate.

 

“Io…” 

 

Non continua quell’abbozzo di risposta che non è neppure una risposta.

 

Saïx aveva una buona vita.

Anche molti degli altri, ma per un motivo o per l’altro, Saïx aveva qualcosa di più. Aveva tutto quello che voleva e non aveva mai voluto altro.

Aveva una famiglia, gente che amava e lo amava. Che aveva visto morire sotto i suoi occhi. Adesso è il più solo di tutti.

Era un uomo di scienza in un mondo di pace, adesso è l’assassino più feroce dei Mondi.

Aveva amato e coltivato la ragione e la sua ragione è un fragile schermo a barriera di una bestia sanguinaria.

Aveva padroneggiato le leggi delle stelle, ora è schiavo di un satellite.

Era il più sano e adesso è pazzo, lacerato fra la sua volontà di pensiero e la sua natura di belva.

 

Di tutta la rovina di cui è stato causa prima o artefice, questa è quella che non dimentica mai.

Non è logico. Tutte le altre vite spente sono numeri, la misura della progressione verso il suo obiettivo. Passi avanti sul suo cammino.

Saïx è solo uno di tanti.

Non è logico che una sola persona significhi più di interi universi. Non è logico desiderare che Saïx non avesse mai perso il suo mondo, o che fosse morto con esso.

No, non è logico.

Forse è soltanto perché lo conosce e, anche più che per gli esseri completi, per un nobody le emozioni sono attivate dalla familiarità e dall’abitudine.

Non è logico neppure così.

 

“Io ricordo la mia famiglia. Ricordo mia moglie e i miei figli. I miei genitori, i miei amici. Ricordo il mio mondo. Eravamo l’esempio per molti altri mondi. Ci sono tornato. La mia famiglia è scomparsa e la mia gente arranca per sopravvivere su un pianeta che si spegne giorno per giorno. I superstiti vivranno come esuli, se vivranno. Se non decideranno di sparire con il nostro mondo, per non chiedere la compassione di coloro che ci guardavano come guide. Ridammi la capacità di odiarti, Xemnas. Oppure quella di perdonarti.”

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

Un grazie a tutti i commentatori per le vostre parole. Stavolta approfitto anche per fare gli auguri a chiunque si troverà a passare da queste parti ^__^

Un po’ in ritardo per Natale, ma teneteli buoni per l’anno nuovo.

 

Giodan: Non so cosa sia un Drow. Se si comporta come Axel, immagino sia qualcosa di estinto.

Io cerco di salvare la dignità di Axel, ma se davvero si dedica al triplo gioco con ricombinazione e scelta multipla che mi prospetti, allora è senza speranza ^O^

Capirei se avesse deciso di voltare faccia e sostenere Xemnas vedendo che le cose andavano male, ma Marluxia va a un filo dal vincere. E’ proprio a causa di Axel che non ci riesce. Quindi, il nostro amico aspetta sino al momento in cui tutto si volge al meglio per i nostri giovani cospiratori. A quel punto, dà time-out, fermi tutti, ci ho ripensato. Faccio vincere l’altro, lo psicotico che mi tratta come un calzino rivoltato.

Così non mi convinci mica tanto della sua brillante intelligenza, sai? ^O^

 

Xion… la conosco e non apparirà. Non mi piace per niente. Con 13 persone, 14 con Naminé, di cui non si sa niente o quasi, devono introdurne una mai nominata prima e che è fatta e sputata uno dei personaggi originali inseriti nelle fanfiction? Poi chiediamocelo. I nobody hanno davvero bisogno di un altro adolescente angosciato, fra loro? Non hanno già patito abbastanza, poveri stellini?

In realtà, non tengo in considerazione tutti gli eventi e i personaggi introdotti in giochi successivi a KH2. Addirittura, mi baso sulle versioni originali, non quelle finalmixate, che detesto abbastanza. Eccetto che lo spazio dato a Zexion e Marly, e le loro voci, naturalmente. Perfette. Se già non avessi un debole per loro, mi basterebbe sentirli pronunciare qualcosa, anche snocciolare gli ingredienti per fare la torta di mele, per squagliarmi come un ghiacciolo di sale al sole ^__^

Quindi, non troverai discorsi angst fra Roxas e Axel sulla torre del crepuscolo, niente Xemnas che dà di matto parlando a una corazza vuota (già parla alla luna e mi pare più che sufficiente), il solo modo per far piangere Axel è metterlo a pelare cipolle, Vexen non ha gli occhi pallati e non è il personaggio comico. E Zexion non ha armi. Adoro il Lexicon. E’ l’arma dei 13 che preferisco e ho tirato un sospiro di sollievo quando ho saputo che era un libro e non una katana, una frusta o chissà che altro. Ma volete mettere di quando è disarmato?

E anche niente Terra, Aqua e Ven, in particolare Ven, la brutta copia di Roxas. Prima mi assassinano il cucciolo in modo brutale, poi ci mettono un personaggio con il suo aspetto. Sì, e quello che conta, cioè lui, dove sta?

Potrei salvare Terra se davvero è Xehanort (una delle ipotesi sentite), ma preferisco far finta che non esistono, anche perché la loro esistenza manda all’aria la già sballatissima cronologia degli eventi. Nove anni prima del gioco, Ansem e i suoi non sapevano niente degli altri mondi e questi erano separati, però, un anno prima, Terra e i suoi amici combattevano le guerre dei keyblade e saltellavano allegramente di mondo in mondo?! Ma che razza di problema ha con la memoria storica, ‘sta gente?

 

Lux: Collaborare con chi ti disprezza è davvero il male! Al momento, non mi viene in mente nessun comportamento più ripugnante. Anche se, per ora, Roxas è stato davvero uno zucchero con tutti. Fa quello che la sua famiglia gli dice di fare perché è un bravo bambino obbediente, ma non è proprio convintissimo. Gli esseri umani non gli hanno fatto ancora nulla di male e lui fondamentalmente agisce solo spinto dall’opportunismo. Il che vuol dire che può essere la persona più innocua del mondo o l’esatto contrario. Il momento che si convince davvero che la sola esistenza degli esseri con un cuore è un pericolo… E Roxas subisce per mano loro cose orribili. E’ solo perché il gioco è un prodotto Disney per bambini, dove su certi particolari si glissa alla grande. Eppure quello che gli viene fatto è già abbastanza da avere raggelato me. Fosse stato in versione realistica, chissà cosa sarebbe saltato fuori. Gli esseri umani non sono famosi per il riguardo con cui trattano i nemici finiti nelle loro mani e DiZ odia realmente i nobody. Quanto a Riku… beh, lui sarebbe felicissimo. Ne approfitterebbe per fare qualcosa di orripilante e poter poi rimestare nel calderone della sua compiaciuta autodenigrazione e sentirsi adeguatamente mostruoso. Ti ricorda nessuno? ^O^

C’è da dire che, per come è impostato il tutto, non credo nella possibilità di una coesistenza pacifica nobody–umani. Se le parole e il comportamento di Riku lasciano qualche speranza, i commenti di Sora & c. spazzano via i dubbi. Gli esseri completi sono intolleranti e dogmatici. I nobody spietati, decisi e bellicosi. Come mettere l’inquisizione a confronto con gli spartani.

Non sono neanche sicura di chi ha cominciato le ostilità. Nel gioco, da che ricordo, fino a un punto molto avanzato della storia i 13 si limitavano a raccogliere i cuori, ma non spingevano deliberatamente gli heartless a invadere i mondi. Re, saggi e Sora erano decisi a distruggerli da prima.

E’ ovvio che se nell’universo di KH sono i cuori a servire da sistema di riferimento per definire l’esistenza, i nobody sono fregati. Probabilmente Riku è più possibilista perché lui stesso è in una situazione alquanto ambigua, o perché se c’è una cosa che distingue i buoni dai cattivi, è che i cattivi sono di mente molto più aperta. Ma non escludo un po’ di comprensibile paura. Forse ha pensato bene che, a proposito di chi ha fatto casini nei mondi, qualcuno si sarebbe ricordato di lui ^__^

 

Molto felice che ti piacciano i fiori. Anch’io adoro le piante. Ti faccio avere un vaso pieno di quelle di Marluxia? ^O^

 

Chris: Lo ammetto. Io stessa sono stata molto in dubbio se inserire questo capitolo. E’ davvero incasinato.

Però da troppo tempo i 13 facevano la figura di balie e avevo un folle e disperato bisogno di uccidere. Poi da tanto non descrivevo un pianeta alieno e qualche bel fenomeno naturale. Ok, adesso sembro posseduta da Saïx e dallo spirito del National Geographic ^O^

Vedo però che il casino non mi è riuscito tanto bene. Dubbi o no, hai capito tutto. Il mondo dove c’è Oblio è lo stesso dove vaga Roxas tra un ricordo e l’altro (i ricordi vanno più o meno in retromarcia. Si comincia dal più recente e termina con il più vecchio, salvo un’eccezione di scarsa importanza) ed è il mondo con i tre soli e anche quello dove Marluxia ha liberato i suoi fiori qualche capitolo fa.

Perché tre soli? Inventato di sana pianta. Non mi pare che il mondo di Oblio abbia tre soli. Forse non ha neppure ‘un’ sole. In realtà, sono convinta che i mondi del gioco e le loro caratteristiche siano da intendere in senso più o meno simbolico. Solo che mi fa male pensare a qualcosa così poco realistico. Devo inquadrare il tutto in un giusto contesto ambientale e ‘questa cosa rappresenta l’oscurità insita in tutti noi’ non è un giusto contesto ambientale ^__^

Quindi trasformo il tutto in veri pianeti e dimensioni, con quello che ne consegue. Ok, dunque, il pianeta di Oblio è davvero un mondo crepuscolare, proprio come Twilight Town, e ci sono fulmini da tutte le parti. Bene, per… Crepuscopoli (ma chi ha fatto la traduzione italiana del gioco?! Paperino?), uso l’ambiente più classico per questi casi. Ma qui volevo fare qualcosa di diverso.

 

Sapevo che ti sarebbe piaciuto il pezzo ‘domestico’ con Luxord ^O^

Ho questa buffa idea che i 13, fra loro, non fossero per niente violenti come li fanno apparire spesso. Sono troppo bene armati per natura, oltre a essere interdipendenti. Non durerebbero un’ora. Poi da dove salterebbe fuori tutta quell’irrazionale ferocia?

Mi sono pure fatta l’idea che Roxas fosse un bambino spaventosamente viziato, almeno nel modo con cui può essere viziato un nobody.

 

Lietissima che ti piaccia Larxene. Avevo proprio voglia di ritirarla fuori. E’ uno dei miei personaggi preferiti e fa davvero onore al genere femminile, senza niente della dolente e fragile bamboletta da soccorrere. Mi piace così tanto che lei e Marluxia sono una delle pochissime coppie virtuali di cui sono fan. Anche non ho proprio intenzione di convincere nessuno che sia una coppia canon ^__^

All’opposto, più scrivo di Naminé, più mi rendo conto di che razza di orribile persona sia. Le ho dato del drago. Le è andata ancora bene.

La sola cosa che me la fa sopportare è che, proprio a causa di quello che fa, finirà fregata nei suoi obiettivi stragisti. Sì, è uno spoiler ^O^

 

 

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Capitolo 19
*** XII ***


XIII

 

XII

 

 

“Questo è il nostro mondo.” afferma il ragazzo.

“Presumo si possa definire così.”

“Allora perché non ci viviamo?”

“Non ce lo permetterebbero.”

“Distruggiamo quelli che ci minacciano.”

“Roxas, tempo fa abbiamo discusso e tu hai questionato, anche piuttosto tenacemente, la nostra ostilità nei confronti degli esseri umani. Mi pare ci fossimo arenati sulle motivazioni. Quindi, sei finalmente arrivato a una conclusione e hai trovato una ragione valida per combattere.”

 

Roxas abbandona il suo posto di osservazione alla finestra e si accovaccia accanto a Zexion.

L’uomo si è liberato del giaccone ed è sdraiato sulla schiena, infilato sino alla vita nello stretto spazio alla base di uno dei computer.

 

“Questa è una ragione valida e non solo per me. Me lo hai detto proprio tu, combattiamo per sopravvivere. Zexion, non capisco. Cancelliamo popolazioni di pianeti che non ci hanno fatto niente, non capisco perché proprio in quest’occasione, quando una ragione vera ci sarebbe, vi siete tirati indietro. Non capisco perché dobbiamo lasciare che siano loro a permetterci di vivere e dove.”

“Un’altra cosa che hai sentito dire da Marluxia?”

“Non solo da lui. Anche da Larxene e Demyx. Hanno ragione.”

“Guarda che non ho detto che non hanno ragione.”

“Allora sei d’accordo.”

“Non ho detto neppure questo.”

“Tu non dici mai né sì né no.” brontola Roxas “Complichi sempre tutto.”

“Tu, invece, vuoi semplificare tutto, vero? Ti sei compilato un bell’elenco di condizioni che comprendono ogni singolo aspetto della realtà, tutte rigorosamente classificate e separate, in modo che ogni situazione che incontri ricada in una e una sola di esse. Non funziona così, Roxas. Il mondo non ci fa la grazia di essere suddiviso in settori. Ci sono infiniti gradi di indeterminazione, tra ogni possibilità.”

“A furia di fermarti in mezzo a qualche grado di indeterminazione, per te ogni azione pensabile ha talmente tante sfaccettature, talmente tanti possibili effetti che, alla fine, corrispondono tutte e così non sai più decidere cosa fare.” ribatte con forza l’adolescente.

 

Zexion riemerge dalle viscere della macchina con alcuni cristalli bruciati fra le mani.

Roxas sa benissimo che a nessun altro sono permesse simili affermazioni e i limiti di tolleranza non spariscono per lui. E’ solo che Zexion gli permette di superarli. Fino a questo momento, gli ha permesso di superarli quanto ha voluto. Vagamente si chiede se, questa volta, non si è spinto un po’ oltre il consentito. Se non ha varcato il confine della sua condizione di privilegio.

Ma il giovane si limita a prelevare dallo zaino nuovi elementi con cui sostituisce quelli consumati, poi si siede al computer e avvia una serie di sequenze diagnostiche.

 

“Io non sono sicuro di quali siano i tuoi motivi.” mormora il ragazzino “Ti avevo anche chiesto se dovremmo combattere per sempre. Adesso rispondimi. Sarà sempre così?”

Sempre è un periodo un po’ lungo per non aspettarsi dei cambiamenti.”

“Allora cosa faremmo, dopo?”

“Dopo?”

Roxas annuisce lentamente.

“Qualcuno degli altri si aspetta solo di arrivare all’obiettivo, non pensano a dopo. Non ho mai sentito nessuno parlare di dopo.”

 

Non si parla mai di dopo. Dopo è uno di quegli argomenti proibiti, uno di quei pensieri che non si fanno. C’è un ben preciso punto limite a dove è concesso chiedersi del futuro. Oltre quel momento, è territorio dove non ci si addentra, neppure con la fantasia. Ma Roxas ne ha davvero abbastanza di tutte le cose che potrebbero essere dette e non si dicono.

 

“Si aspettano di tornare alla vita che avevano prima, Zexion. Come se questi anni non fossero mai avvenuti, come se l’istante della loro morte e quello della loro rinascita finiranno per coincidere e tutto il tempo che intercorre fra essi svanirà.”

“Non è quello che pensi tu?”

“No.”

“Perché?”

“Anche se diventassero umani, quello che è successo non può essere cancellato, e neanche quello che è stato causato.”

“Esatto. Gli eventi esistono dal momento in cui vengono a essere. Le loro conseguenze si riversano nel tempo come del colore versato in un fiume. Esiste sino a quando arriva al mare e continua a esistere anche dopo. Si diluisce, ma non scompare.”

“Allora ho ragione. Dovremmo fare qualcosa.”

“Roxas, non dico che smetteremo di combattere, solo che le cose non restano infinitamente immutate, ma i cambiamenti non sono orientati necessariamente verso situazioni meno difficili o critiche. Gli ambienti obbligano ad adattarsi, ma l’adattamento avviene nei confronti delle condizioni del momento, che, per natura dell’universo, sono soggette a un continuo evolversi e quello che adesso si presenta come una caratteristica favorevole, al variare delle condizioni può diventare uno svantaggio. Per non combattere, implichi il raggiungimento di uno stato tanto superiore alle avversità da non considerarle tali, qualunque esse siano. In pratica, uno stato perfetto. Oppure un universo statico. La prima condizione è una speculazione teorica, la seconda sarebbe lo stato di massima entropia del multiverso. Impossibile, visto che non tutti i Mondi si evolvono in quella direzione. In effetti, conosco un solo modo sicuro per smettere di combattere. Non ti piacerebbe.”

“Non importa. E’ lo stesso. Marluxia vorrebbe trovare un nostro posto per vivere, ma noi abbiamo già un posto. Questo è il nostro mondo. Dovremmo vivere qui.”

“Lo abbiamo fatto. Per alcuni anni, questa è stata la nostra base. Anche dopo, quando ci siamo trasferiti nel mondo nero, abbiamo mantenuto questo acquartieramento. Lo ha usato sopratutto Vexen quando cercava di ottenere nobody. I nobody naturali si materializzano sempre su questo pianeta. Hanno bisogno di una grande quantità di Crepuscolo e questo universo ne è la sorgente più pura. E’ possibile sopperire solo fornendoli artificialmente della Forza. Naturalmente, è molto più semplice essere qui. Adesso è di nuovo tutto funzionante.” sfiora con la mano il ripiano del computer e storce il naso “Polveroso, magari… Ma è accessibile solo ai nobody. Perlomeno, fino a quando qualche umano non troverà modo di entrarci. Negli hangar ci sono anche tre navi perfettamente funzionanti, tu hai visto il posto e come arrivarci.”

“Non mi hai risposto, Zexion. Perché non siamo rimasti? Questo Mondo è isolato quasi quanto il nostro. E’ sicuro ed è un pianeta vivo. Perché non avete combattuto per restare?”

“Ricordi i tuoi primi giorni? Tu sei nato quello che sei, noi abbiamo dovuto impararlo. I nostri sensi e i nostri pensieri erano i nemici peggiori. Vedevamo immagini che non sapevamo come interpretare, sentivamo suoni generati dal nulla, voci che non tacevano mai. Avvertivamo correnti, come i pesci avvertono le correnti del mare. Percepivamo cose che non avevano nome né definizione. Quello che tu consideri scontato, noi non lo sapevamo. Non sapevamo cosa eravamo, cosa potevamo fare, cosa fare. Abbiamo combattuto. Contro un’immagine di noi che non riconoscevamo, contro pensieri che sembravano quelli di un estraneo inseriti a forza nei nostri crani. Non ci è mai venuto in mente di combattere contro altri perché già dovevamo combattere contro noi stessi. Lo abbiamo fatto per imparare, per non impazzire, per capire. Poi abbiamo trovato una casa sul pianeta nero e, alla fine, abbiamo abbandonato completamente questo mondo.”

“La vostra decisione è sempre illogica. Se qui non ci fossero esseri umani, i nobody rinati sarebbero al sicuro.”

 

Zexion si mette a ridacchiare sommessamente. Roxas vorrebbe ignorarlo, ma quello è un comportamento che continua a disturbarlo e confonderlo, perché continua a non riuscire a interpretarlo, né a interpretare le intenzioni chi lo compie.

 

Un velo di discontinuità si origina a mezz’aria, quasi al centro della sala. Attraverso quel velo, le immagini sono distorte, come se la luce subisse una rifrazione passando una massa invisibile.

La frustrazione di Roxas si manifesta nei guerrieri che lo seguono e uno di loro si prepara a emergere dal piano delle ombre in risposta al suo disappunto.

L’alterazione si allunga verso il suolo e si schiude in filamenti di Oscurità.

Deve placare sé stesso per placare il suo guerriero. Appianare le onde di collera che increspano la superficie della sua mente. Deve calmare il vento che smuove le onde e, per calmare il vento, deve interrompere la sorgente che lo genera.

 

pace

 

Zexion lo provoca con le parole, che sono solo espressioni di un pensiero. Allude risposte lasciandole al di là della sua portata.

Eppure, questo significa che le risposte ci sono, che ha la possibilità di trovarle, trovare la strada giusta.

La provocazione può diventare un suggerimento. L’esasperazione trasformarsi in un ulteriore stimolo a ottenere quello che vuole.

Dipende tutto da lui. Zexion ha potere su di lui fino a quando glielo permetterà.

Questo significa che lui ha potere su Zexion.

 

pace mentedellamiamente

 

La frattura fra i Mondi si rinsalda prima di schiudersi davvero, mentre il nobody si ritira.

 

“Ridi di me, Zexion?”

“No.”

“Stai ridendo.”

“Non di te. Semmai rido per te. Davvero, non rido di te.” 

 

Il giovane ha terminato il suo lavoro. Spegne i computer e inizia a chiudere i componenti cristallini sostituiti in astucci isolanti che ripone nello zaino. 

 

“Abbiamo sempre voluto convincerci che la nostra fosse una condizione temporanea ed è più facile crederlo quando vivi su un mondo morente, un mondo che è, esso stesso, transitorio.

“Non è una buona ragione.”

“No, certo. Vuoi la verità, Roxas? Non c’è ragione per cui non lo abbiamo fatto. Non lo abbiamo fatto, ecco tutto.”

“Potremmo farlo adesso.”

“A questo punto, non credo che farebbe qualche differenza. Luxord ci direbbe che è una delle tante occasioni lasciate indietro.”

 

Roxas torna alla finestra. Scosta le tende polverose per osservare il cielo arancione, congelato nel crepuscolo perpetuo.

Conosce solo un’altra dimensione come questa. Quella dove si trova il pianeta di Oblio, ma neppure quel Mondo è così intimamente legato alla forza del Crepuscolo.

Per una coincidenza cosmica, anche questo pianeta, la porta a questo universo, non possiede un ciclo di giorno e notte. Uno dei pochi mondi abitati a presentare quella caratteristica. Questo mondo mostra sempre la stessa faccia al suo sole. L’emisfero illuminato è invivibile perché troppo caldo, quello buio perché troppo freddo. Ma la fascia di penombra che suddivide le due aree è abitabile e abitata da esseri umani.

 

“Questo è il nostro mondo. Dovremmo vivere qui.” ripete.

“Sì, hai ragione. Dovremmo.” concorda Zexion.

 

Forse lo ha detto solo perché non vuol continuare a discutere.

Non è nella sua natura non discutere, ma, naturalmente, non discuterebbe mai se ha una buona ragione per accondiscendere.

Zexion recupera la giacca, apre uno dei sentieri delle ombre e lancia a Roxas un indicatore mentale per permettergli di tracciare la sua rotta e seguirlo.

 

“No. Sono convinto che tu abbia ragione. Su, andiamo. Qui abbiamo finito.”

 

Non è una strada verso Oblio e neppure verso il mondo nero. E’ un luogo che non conosce, quello dove riemergono. Non sa che pianeta sia, tanto meno che Mondo. Non ci è mai stato e, anche se ha memorizzato la mappa di tutta la rete dimensionale nota, questo universo lo conosce solo come un numero.

Ha già i keyblade in mano ed espande i sensi per scandagliare l’ambiente circostante. Configurazioni di energia e Forze si compongono in un modello mentale di quello che lo circonda.

Il contesto spaziale e la sua posizione in esso sono le informazioni primarie che riceve dall’esterno, insieme alle presenze vitali. Sono in un vasto spazio parzialmente chiuso nella forma di un’arena a cielo aperto, dove le sole creature viventi sono vegetali e piccoli animali non senzienti.

 

nonnemici nonpericolo

 

La voce mentale di Zexion è rilassata e sicura e allora può rilassarsi anche lui e bandire le armi. Non si aspettava davvero un ambiente ostile, visto che Zexion non lo ha avvertito di nulla, né sono arrivati con particolari equipaggiamenti. Ma quella sequenza esplorativa è ormai un riflesso condizionato e non c’è davvero ragione per non lasciarla progredire. In ogni caso, è anche un modo per soddisfare la curiosità.

Una volta processate quelle prime informazioni assimilate in modo quasi automatico, cambia la prospettiva e il luogo dove si trova diventa una cosa da scoprire, non solo una condizione di possibile minaccia.

Sono in una grande spianata racchiusa fra quelli che sembrano muri di acqua ruggente. Una piazza pavimentata di lastre variopinte, al centro della quale c’è una vasca percorsa da un canale che attraversa tutta la piazza.

E’ notte, ma il pianeta orbita intorno a un sole, una nana arancione. Non ha bisogno di vederlo per conoscere la sua posizione e sapere che tipo di sole è. Le stelle sono sorgenti di energia radiante, ognuno con un proprio tracciato caratteristico e, su qualsiasi mondo appartenente a un sistema stellare, il sole emette un’armonia che varia con il ciclo orbitale. E’ solo un ronzio sommesso, quasi impercettibile, quando è al nadir, eclissato dalla massa planetaria, e diventa un ruggito furibondo allo zenit. Ma non tace mai.

Questo non gli dice dove si trovano. Nell’universo, i pianeti orbitanti intorno a stelle simili sono tra i più comuni.

 

Il cielo è una distesa di luci. Forse è un mondo nel centro di una galassia o di un ammasso stellare.

Fiumi lattiginosi di rami galattici attraversano la volta celeste, e luce pulviscolare di nebulose.

E stelle.

Ne ha visti tanti, di cieli, ma mai uno così pieno di stelle.

 

Si avvicina all’estremità della piazza e non è una piazza. E’ solo la cima di una rupe che si innalza in mezzo a una valle, una conca dalle pareti verticali e altissime, completamente coperte da cascate.

Le cascate scorrono al contrario.

 

Ci sono rovine. 

Monconi di colonne scanalate agli angoli della vasca. Un arco e cumuli di pietre vetrose in precario equilibrio sull’abisso, resti di quella che poteva essere una porta. Anche le lastre che pavimentano il suolo sono crepate, alcune in frantumi, e la vegetazione strisciante delle brughiere e degli ambienti freddi si è fatta strada fra le spaccature.

All’estremità opposta rispetto alla porta, inizia una scalinata ascendente verso l’elemento più sconcertante del paesaggio. Un gigantesco castello, la costruzione terrestre più enorme che Roxas abbia mai visto, tanto grande da nascondere buona parte del cielo notturno con la sua massa incombente. Compete con la loro stessa base, ma ogni similitudine si ferma alle dimensioni. E’ una massiccia e ridondante massa di bronzo e pietra color ruggine, e non ha nulla della loro casa, simile allo scheletro di un radiolare.

C’è anche qualcosa che ricorda Oblio nel modo in cui l’architettura sembra sfidare ogni logica geometrica. Lo ricorda solo, non gli assomiglia. Oblio appare come una serie di elementi assemblati senza ragione, mentre questa costruzione è alterata, come se la sua struttura originaria avesse subito un collasso dimensionale.

No, è diverso da qualsiasi cosa abbia mai visto.

 

E’ sbagliato.

 

Alcune torri cominciano normalmente, poi, a circa metà della loro altezza, assumono una configurazione a spirale, avvolgendosi intorno a sé stesse o a torri vicine. Altri pinnacoli nascono dalle stesse torri, sbucando irragionevolmente dalle finestre, oppure dai muri, come se la materia si fosse scissa. Elementi simili a larghi dischi di metallo e cristallo, appesi a linee di energia che si diramano dal castello, volteggiano intorno alla costruzione.

Una rovina, proprio come le rovine che lo circondano.

Alcune strutture sono evidentemente mozziconi e ci sono squarci nei muri che scoprono complessi ingranaggi, cavi, serpentine e brillanti campi di energie crepitante.

Come la loro stessa dimora, anche questo palazzo è in realtà un meccanismo. Probabilmente, è il sistema che controlla il movimento delle cascate e dei dischi.

Una rovina distorta, ma ancora funzionante.

 

Zexion ha già iniziato a risalire la scalinata.

 

“Non possiamo usare i corridoi?” chiede il ragazzino.

“Possiamo. Possiamo anche usare uno dei dischi, ma io ho intenzione di camminare. Puoi aspettarmi in cima alle scale. Non entrare nel castello senza di me.”

 

Roxas osserva incredulo la lunghissima scalata. Rampe di scale che uniscono piattaforme sospese sull’abisso schiumante di gorghi d’acqua che li separa dal castello. Scavalcano tutto il baratro e continuano poi la loro risalita sulla parete della valle, con le cascate che scorrono ai lati.

Sgretolate, corrose, ricoperte da detriti. In alcuni punti, i gradini sono quasi scomparsi.

 

“Roxas, ti ho chiesto se volevi venire. Potevi restare a Oblio. Tornaci, se preferisci, o va direttamente a casa. Adesso non hai più bisogno che ti apra la strada. Puoi fare quello che vuoi.”

 

Zexion è irritato dalla sua esitazione.

Ha ragione. Lui può andare dove vuole, senza permessi o aiuto. Lo sapeva già e suoi indugi sono inutili.

 

“Vengo con te.”

 

Il mondo di Roxas diventa una sequenza di scale.

Nel primo tratto, quella che forma il ponte a cavallo dello strapiombo, i gradini sono in condizioni relativamente buone, la pendenza ridotta e le piattaforme sospese che interrompono le rampe permettono pause nell’arrampicata.

Sarebbe facile, se non fosse per le cascate.

E’ fradicio quasi subito. L’acqua nebulizzata gli inzuppa i capelli, si condensa sulla pelle e scivola lungo il colletto e nelle maniche e supera persino la barriera della stoffa impermeabile degli abiti. Le immagini sono scomposte dalle gocce infinitesimali che gli si posano sulle ciglia.

E’ tentato di tessere uno schermo protettivo, ma la salita è ancora lunga. Non è il caso di sprecare energie per qualcosa così futile ed è altrettanto inutile cercare di asciugarsi. Sarebbe di nuovo subito bagnato. La sola cosa che può fare è passarsi il dorso delle mani sugli occhi ogni pochi minuti.

 

passo dopo passo dopo passo

 

Le relazioni spaziali reciproche fra scala e cascate non sono costanti.

Rispetto a loro, talvolta l’acqua sale in parallelo verso l’alto. Talvolta, cambia angolazione. Qualche volta, scorre in perpendicolare. Qualche volta, scende verso il basso.

 

passo dopo passo dopo passo

 

Le condizioni del cammino peggiorano quando raggiungono la parete della valle e inizia il sentiero sul costone. La scalinata ha una pendenza ripidissima e un’alzata anormale. La salita è moderata solo da tratti dove ogni singolo gradino è diviso in due semirampe sfalsate l’una con l’altra. Diminuisce la pendenza, ma moltiplica la lunghezza del cammino. Ma ci sono anche tratti dove la scalinata è tanto corrosa che si trova ad arrampicasi con le mani, con ciottoli e frammenti che si staccano e scivolano sotto le dita. 

Zexion lo precede, cauto e deciso, usando i sensi acutissimi per trovare le vie più sicure. Neppure una volta smuove un solo pezzo di pietra.

C’è ghiaccio e un po’ di neve su quei pochi metri di roccia libere che sta tra il sentiero e le acque correnti, ma i gradini sono in gran parte sgombri. Deve esserci un meccanismo di scioglimento ancora parzialmente funzionante.

Nonostante la sua forza, è una cosa cui non è abituato, questo lento, costante, monotono impegno muscolare. Questo stare attento a ogni mossa di Zexion, badare di seguire esattamente i suoi passi, appoggiare mani e piedi dove li appoggia lui, fare attenzione al ghiaccio che, in modo irregolare e insidioso, si è formato sulla pietra. Pronto a cadere da un momento all’altro, pronto ad aprire un portale se dovesse accadere, o a combattere la caduta.

Anche con acqua e vento, presto è accaldato e assetato. Sfila il giubbotto e se lo lega in vita, ma non serve a molto. 

Indubbiamente, la salita è resa più difficoltosa dalle condizioni delle scale e un tempo doveva essere ben più agevole, ma se è stancante per lui, per gli abitanti umani del pianeta deve essere sempre stata un impegno tremendo. Chissà allora perché costruire una cosa simile.

Chissà perché fare delle cascate che precipitano verso l’alto.

Perché Zexion ha voluto dedicarsi a questo irrazionale esercizio ginnico fuori programma, piuttosto.

Naturalmente, potrebbe ancora andarsene e lasciarlo alle sue risposte con tanti significati da non averne nessuno.

O, magari, dargli una spinta.

 

passo dopo passo dopo passo

 

Man mano che si avvicinano, il castello perde una sua identità per diventare solo una massa informe e oppressiva. I segni della decadenza, invece, si definiscono. Si precisano quelli che, a distanza, si perdevano come particolari nell’insieme e, dagli squarci nelle mura, i meccanismi penzolano come grovigli di intestini di una bestia sventrata.

Ma il disagio non è solo per questo. E’ anche a causa del tessuto spaziale malato di questo posto. Esserci, è come sentirsi strattonare contemporaneamente da ogni parte.

Per fissare definitivamente una condizione simile, in questo luogo deve essere stata rilasciata una quantità immane di energia.

 

Si arrampicano da più di un’ora e Roxas comincia a desiderare realmente una pausa, ma la sua guida è instancabile. Non sbaglia un movimento, non si ferma, non rallenta, non cambia mai andatura.

Il ragazzino si chiede quanto dei suoi poteri mentali stia usando per calibrare la propria attività fisiologica e adattarla allo sforzo.

 

passo dopo passo dopo passo

 

Tutta quell’acqua intorno aumenta la sete. Di tanto in tanto, stacca dalle rocce qualche pezzo di ghiaccio e lo mette in bocca.

Davanti a lui, ormai, vede solo la mole del castello. E’ come essere chiuso in uno spazio che, a ogni gradino superato, diventa sempre più limitato.

Gli pare quasi di soffocare e ora deve proprio fermarsi.

Si gira, verso dove può ancora vedere il cielo. La scalinata che hanno già percorso è una discesa a picco verso la valle da dove sono partiti.

Alza gli occhi, dopo che li ha tenuti fissi a terra tanto a lungo.

Una grande stella dorata è il corpo celeste più evidente. Una complicata struttura di taglienti bagliori metallici. Era nascosta dalla massa del castello, prima, ma il movimento planetario e il loro spostamento sul dirupo l’hanno rivelata.

Una stella doppia. La sua compagna, più piccola, meno splendente, è una fredda scintilla verdeazzurra immersa nel caleidoscopio di frammenti d’oro.

La luce della stella è tanto intensa da causare ombre.

 

“Vâsri. La stella del mattino.” mormora Zexion.

 

Si è fermato qualche gradino più in alto. Non guarda il cielo. In realtà, sembra non guardare niente.

Flussi continui e inarrestabili di domande si formano nella mente di Roxas, ma una risposta, almeno, adesso è palese.

 

“E’ il tuo mondo. Questa è casa tua.”

“La casa di Ienzo, Xehanort e gli altri. Non so se posso dirla casa mia.”

“Radiant Garden.”

“Ha un altro nome, adesso.” dice Zexion, e riprende la salita.

 

Al ragazzo non resta altro che seguirlo.  

Può pensare che non finirà mai. Come se si fossero inoltrati in un Mondo bidimensionale di lunghezza illimitata. Un nastro non orientabile che non porta a nessuna meta.

Gli universi sono tanti. Infiniti, secondo Xigbar.

Allora perché, di tutti gli infiniti universi, non potrebbe essercene uno che altro non è se non un’interminabile scala fra le cascate?

 

passo dopo passo dopo…

 

E’ un sollievo, quando raggiungono l’ultimo gradino. Attraversano la porta e finalmente sono all’interno della fortezza abbandonata.

Camminano ancora, lungo corridoi e altre scale e sale smisurate.

Le ombre negli angoli pulsano e si agitano come stagni di bitume in ebollizione. Sfere di luce illuminano il cammino solo a tratti. La maggior parte di esse sono spente o in frantumi e quelle che restano non bastano a rischiarare tutto.

Sagome di Oscurità si sollevano e spalancano occhi gialli al passaggio dei due. Non prendono forma completa. Restano solo come corpi incompiuti, arti abbozzati, bocche che sibilano la loro collera, prima di fondersi nuovamente in una massa informe.

Solo di tanto in tanto qualche ombra più avventata osa emergere completamente dal suo universo di tenebra e, allora, figure biancastre anche più evanescenti si solidificano e la dilaniano.

 

Manca quello che dovrebbe esserci. Manca qualcuno.

E’ tutto così vuoto.

 

Finalmente raggiungono la loro meta. E’ uno studio, su questo Roxas non ha dubbi. Scrivanie, libri, contenitori, campioni. Non è molto diverso dallo studio di uno qualsiasi di loro. Una parete è una vetrata aperta su una terrazza. Sul muro opposto, c’è un quadro. Il ritratto di un giovane dai capelli bianchi e la pelle scura.

Zexion si siede a uno dei tavoli e ne sfiora la superficie. Il ripiano di cristallo nero si accende di luci e si attiva una serie di schermi olografici. Il tavolo è l’interfaccia di un computer simile a quelli del suo mondo. Proprio come quello che hanno lasciato da poco.

Forse Zexion vuole fare un giro dei sistemi informatici dei Mondi.

Per adesso, lo lascia al suo lavoro ed esce sulla terrazza. Il vento glaciale porta odore di resina e neve dalle montagne e il profumo evoca una pura sensazione di pulito e libertà che cancella l’oppressione del castello.

Al di sotto, edifici di legno e baracche inframmezzati alle rovine di quella che sa essere stata una grande città, la capitale di una delle civiltà più progredite degli universi conosciuti. E’ chiusa in una doppia cerchia di mura, parzialmente fuse con le pareti della conformazione di roccia vetrosa e bluastra su cui è stato edificato il castello e la città stessa. La neve forma mucchi sporchi e informi ai lati delle strade e fra le costruzioni.

A sporgersi, riesce a vedere l’estremità esterna della valle delle cascate. La massa d’acqua risalente si incanala, una volta raggiunta la sommità della valle, in fiumi e via d’acqua che si diramano per la città.

La conformazione rocciosa della cittadella prosegue con una lunga cresta tagliente, spaccata da un canyon ricolmo di nebbia luminosa. Anche in quella gola c’è una distorsione dimensionale permanente, meno estesa di quella del castello, ma di magnitudine molto più elevata. Tanto elevata da produrre quella luce.

Lungo l’intero orizzonte visibile ci sono montagne blu innevate e, oltre le mura, a separare la città dai monti, si stende una distesa vuota. E’ solo una superficie bianca di neve, senza un albero, una costruzione, un rilievo, una qualsiasi interruzione nella sua piatta e perfetta monotonia.

 

Molte stelle si sono spente, le altre sono solo punti freddi e opachi.

I momenti finali della notte. L’ora in cui le luci della notte hanno perso forza e quelle del giorno non sono ancora apparse.

L’ora più buia, quella che precede il mattino.

Solo la stella dorata non ha ancora perso nulla della sua luce. Anzi, adesso che le altre stelle si sono oscurate, sembra brillare più di prima.

 

Rientra nello studio. Zexion è ancora intento al computer.

Sugli schermi scorrono flussi e flussi di informazioni, migliaia di file. Si susseguono velocissimi, ma non abbastanza veloci perché Roxas non riesca a leggerli e accorgersi che ogni dato è qualcosa che riguarda loro, i nobody, gli heartless.

Non sono archivi personali di Zexion. Lui non usa un sistema di codifica alfabetico o numerico. Usa luci e forme geometriche dinamiche.

Sta trasferendo o copiando quella mole di dati e inserisce ed estrae nel computer un cristallo di memoria dopo l’altro.

 

Il ragazzino indica il quadro.

 

“Quello è Xehanort, vero?”

Zexion annuisce.

“Ci sono ritratti anche di voi altri?” chiede ancora Roxas.

“No. Forse qualche fotografia, da qualche parte. Non lo so.”

“Sei più tornato qui, dopo l’esperimento?”

“Su questo pianeta? Spesso.”

“Non su questo pianeta. Qui dentro.”

“Quando è servito.”

 

Lo scienziato chiude nello zaino gli elementi che ora contengono i dati trasferiti dal computer e collega l’ultimo cristallo. Questo ha un compito diverso. Sugli schermi, una nube di dissolvenza si diffonde come latte nell’acqua, mentre il veleno informatico corrompe i file.

 

“Zexion, qualcosa non va?”

“Perché questa domanda?”

“Mi porti al vecchio laboratorio, adesso sei qui a smantellare questo…”

“E’ meglio conoscere eventuali rifugi e via di fuga prima che servano. Di solito, in quel momento, non si ha tempo di cercarli. Quanto a questo posto, per molto tempo abbiamo utilizzato il sistema informatico. E’ uno dei più potenti dell’universo conosciuto. Peccato sia impossibile trasferirlo e costruirne uno con prestazioni equivalenti… non è stato tanto semplice. Quindi lo abbiamo tenuto attivo. Ma è sopravvissuto alla sua utilità e non è il caso di lasciare informazioni su di noi. Ci vorrà un po’ prima che termini.”

 

Il giovane si alza, si massaggia le reni. Tutto a un tratto, lascia ricadere le braccia lungo i fianchi e osserva il soffitto, e dal soffitto passa alle pareti, poi agli scaffali e i campioni appoggiati sopra, ai libri, al pavimento. Lì, fermo dov’è, studia con attenzione ogni singolo dettaglio della stanza, come guarderebbe cose mai viste.

Eppure, deve conoscere bene questo luogo, in ogni aspetto. D’altra parte, non ha detto da quanto non ci viene. Per quanto ne sa Roxas, potrebbero essere passati anni dalla sua ultima visita e le cose essere cambiate.

La sensazione di oppressione provata dal momento in cui sono entrati in questo Mondo è persino più intensa di prima. La cosa più simile a una sua esperienza è essere solo, osservato da qualcosa di ostile. Ma non c’è nessuno e, siccome è impensabile che una conseguenza non abbia causa, arriva alla conclusione che a trasmettere quel disagio sia Zexion.  

Il telepate si è avvicinato al ritratto, adesso.

 

Mente. O tace, il che è lo stesso.

 

Qualcosa non va?

 

Capire che mente è facile. Meno facile è capire perché lascia che lo si capisca.

 

Zexion sfiora il quadro con un dito, tracciando una linea nella polvere lungo la guancia scura dell’immagine.

 

“Odiava questo ritratto.” mormora, più a sé stesso che al ragazzo “Odiava essere un principe, odiava il ruolo che la gente si aspettava assumesse. Sarebbe stato così felice se fosse stato solo un anonimo ricercatore, ma quello Ansem non glielo concesse. Forzò le leggi per far riconoscere il diritto di successione di Xehanort. Diceva di averlo fatto perché, per lui, era davvero suo figlio. A me non ha potuto nascondere la vera ragione. Ansem aveva paura. Paura che Xehanort arrivasse dove lui non poteva arrivare. Paura dell’ignoto. Una volgarità, in un uomo comune. In un re, un crimine. In uno scienziato, un’aberrazione. L’ignoto è solo qualcosa che non conosciamo ancora. Dobbiamo lasciare un allievo in grado di superarci, affinché resti aperta la strada a un’ulteriore evoluzione, ma quando Ansem si accorse che gli stavamo sfuggendo di mano, che eravamo già troppi passi avanti a lui, invece di cercare di raggiungerci fece di tutto per fermarci. Un uomo senza coraggio. Voleva sostituirlo con il diritto di controllare coloro che lo circondavano, anche se questo significava negare a suo figlio la vita che desiderava. Se avesse potuto, avrebbe costruito un mondo di cui essere il solo dio. Un piccolo mondo stretto nei suoi stessi limiti, dove nulla lo avrebbe spaventato, perché nulla sarebbe stato al di fuori del suo controllo, qualcosa non deciso da lui, qualcosa oltre la sua portata. Ansem il Saggio, la Grande Luce. Re del Mondo, padre di Xehanort. Tradì il suo scopo, vendette il suo mondo, condannò suo figlio. Non buono come scienziato, non buono come re, non buono come padre. Un uomo… peggio che inutile.”

“Xemnas…”

 

Xemnas vuole essere il nostro re.

 

E’ quello che Roxas sta per dire, ma, in realtà, non ne ha certezza.

 

“Sai cosa vuole?” domanda Zexion.

“No.”

“Nessuno ha mai chiesto a Xemnas cosa volesse.”

“Per questo, invece, a me lo hai chiesto?”

“Ero solo curioso di sapere cosa avresti risposto.”

 

Il giovane si siede per terra, la schiena appoggiata alla parete, proprio accanto al ritratto di Xehanort.

 

La finestra dello studio si apre a ovest, il punto cardinale dell’alba su questo pianeta, e all’orizzonte il cielo si schiarisce e si screzia di nastri sfilacciati di nubi nottilucenti.

Il canto solare diventa sempre più forte.

 

“A te lo hanno chiesto, Zexion?”

“Non ha importanza. Non ho mai avuto l’abitudine di aspettare che siano altri a chiedermi cosa voglio.”

“Tu cosa vuoi?”

“Tante cose. Dipende dal momento. Adesso vorrei dormire.”

 

Dormire?

Se è stanco, perché si è voluto arrampicare per ore su quella scala invece di teletrasportarsi, fare il lavoro più in fretta possibile e tornare a casa?

 

Zexion tende una mano verso di lui.

 

“Dammi un keyblade.”

 

E’ una richiesta strana, questa. Nessuno vuole entrare in contatto con i keyblade. Anche quando li studiano, non li toccano mai direttamente. Persino Xemnas ha esitato, quando glieli ha offerti.

Non sa che Zexion li ha già presi dalle sue mani, il giorno in cui lo hanno trovato.

 

“Dai, non te lo porto certo via.”

“Quale?” mormora debolmente.

“Quello che ti pare, tutti e due… E’ lo stesso.”

 

Roxas continua a sentirsi a disagio, ma evoca il keyblade nero e lo passa a Zexion.

L’uomo bilancia la spada.

E’ uno spettacolo inconsueto, vedere Zexion con un’arma in mano. Qualche volta lo fa per esaminarle, mai in altre occasioni. Almeno, mai a conoscenza di Roxas.

Gli ha raccontato che, come tutti i cittadini del suo pianeta, ha ricevuto un completo addestramento marziale, compreso l’uso di armi individuali di ogni genere, ma che è stato più che felice di lasciare perdere non appena possibile e che la scherma non gli è mai interessata, neppure come disciplina sportiva.

 

Sferra un fendente a Roxas e ferma la lama a qualche millimetro dalle sue labbra.

Il ragazzo non si muove.

 

Dimmelo, Zexion.

 

“Non sono così difficili da domare, no? Si dice che solo i Cuori più forti ottengono i keyblade. Si dice che solo coloro che sono scelti dai keyblade stessi li possono stringere. Io non ho grandi problemi, a dire la verità. E nemmeno Xemnas, a quanto pare. Di tredici, siamo già in tre a poterli maneggiare. Potremmo provare con gli altri, se anche loro sono in grado di tenerli. Che ne dici?”

“Possiamo, se vuoi.”

 

Cosa…

 

Zexion appoggia il keyblade a terra, pur continuando a mantenere la presa sull’elsa.

 

… non va?

 

“Roxas, hai grandi capacità e un grande controllo. Un potere che può rivaleggiare con quello di Xemnas. Perché lo usi così poco?”

“Io lo uso.”

“Questo lo so, ma è indubitabile che ne fai un uso inferiore a quello di chiunque noi.”

“Non mi piace.”

“Non ti piace?”

“No.”

“In che senso, non ti piace?”

“La Luce… se potesse, distruggerebbe tutto ciò che non è Luce. Non sopporta nulla di quello che non è come lei.”

“La Luce è solo uno dei campi della realtà. Non è benevola o malevola. Non è neppure viva. Non ha possibilità di sopportare o meno.”

 

Sì, questo Roxas lo sa. Si è espresso male. Anche con sé stesso, non riesce a definire la sensazione, ma c’è qualcosa nella Luce che lo respinge, che sente repulsivo. Freddo, vuoto, sterile, morto.

 

“Quelli legati alla Luce sono i più distruttivi di tutti. Non lo puoi negare. Guarda Axel, Larxene e Saïx.”

“Tu credi sia a causa della Luce?”

“E’ come un veleno, come una sostanza radioattiva. Anche loro non sono vivi, però sono distruttivi. Solo che la Luce non lo è solo per la forma fisica. Avvelena i pensieri.”

“Temi che prenda il sopravvento su di te, che avveleni anche i tuoi pensieri?”

Il ragazzo scuote la testa.

“A me non può fare niente.”

“Quindi?”

“Potrei volere fare del male e con la Luce non avrei limiti.”

“Fare del male a chi?”

“Se volessi, potrei fare del male a chiunque, proprio a chiunque. Nessuno sarebbe in grado di fermarmi. Potrei distruggere ogni cosa. Ogni cosa ha almeno un po’ di Luce in sé. Io posso farne quello che voglio.”

“Quindi, la tua paura non è che le tue capacità ti tradiscano, ma che ti tradisca la tua stessa volontà.”

“Credo… sì, credo sia questo.”

“No, Roxas. La tua volontà non ti può tradire. E’ una contraddizione in termini.”

“Allora, io farò sempre e solo quello che vorrei fare?”

“No.”

“Ma se…”

“La tua volontà ti permette di fare quello che vuoi. La soluzione è semplice.”

“Sì, credo di capire. Basterebbe eliminare la mia volontà.”

“O ingannarla. Se io ti sedassi, o usassi un mezzo di sopraffazione fisica, a quel punto potrei fare di te quello che vorrei e tu saresti solo un soggetto passivo. La tua volontà non avrebbe alcun peso. Semplicemente, in quel momento sarebbe inesistente. Ma potrei anche farti credere che tu vivi qualcosa, mentre è qualcosa di completamente differente. Tu reagiresti comunque all’inganno, perché quella sarebbe la tua realtà soggettiva. A quel punto, la tua volontà sarebbe del tutto attiva. Faresti qualcosa che in quel momento vuoi fare, coerentemente al contesto illusorio.”

“Vedi, allora? Potrei davvero fare del male.”

“Roxas, se qualcuno ti facesse una cosa del genere, in quel momento useresti comunque tutta la tua forza. Non serve trattenerti adesso.”

 

Il ragionamento di Zexion non è confutabile, Roxas se ne rende conto. Questa volta è lui in difetto logico e lo disturba la mancanza di coerenza che sta perseguendo, considerato che, solo poche ore prima, ha accusato Zexion e gli altri cinque di irrazionalità per avere agito sulla base di una pulsione tanto indeterminata da sfuggire a qualsiasi analisi.

Lui fa la stessa cosa.

 

“Zexion, credi che combattere, che uccidere, sia davvero una necessità, per me?”

“Potrebbe.”

“E se fosse così?”

“Ti consiglio di far fruttare la cosa. Non cercare di negare la tua natura. Non lo si può fare, non senza uno sforzo continuo ed estremo, ed è pericoloso.”

“Vuoi dire che mi devo lasciare trascinare dai miei impulsi, come se fossi un heartless?”

“Proprio il contrario. Solo accettando quello che sei, puoi controllarti. Il potere è dato da quello che conosci e da quanto conosci. Come puoi controllare qualcosa di cui non sai nulla? Non sapresti neanche da dove cominciare. Non sapresti se quello che fai è corretto o meno per quello che vuoi ottenere. Se rinneghi la tua natura, non riuscirai neppure a riconoscerla, quindi non avrai modo di usare le tue capacità a tuo vantaggio, piuttosto che farti usare, tu, da esse. Invece, consumerai tanta di quella forza e tempo e volontà a cercare di combattere te stesso, che potrebbe non restartene per fare niente altro. Prima o poi perderai la concentrazione sufficiente e, allora, quello che sei riaffiorerà con prepotenza. A quel punto, davvero non saprai cosa fare. Indirizzalo, invece. Fa in modo che possa emergere, non ciecamente, non casualmente, non dissennatamente, ma controllato, misurato, diretto. In questo modo, diventerà un patrimonio al tuo servizio e non una zavorra da trascinarsi dietro. Ma se lo consideri un peso, o un nemico, lo sarà. Roxas, il potere che hai è parte di te. Non esisti tu e il tuo potere. Non è qualcosa distinto da te e tu non sei il suo contenitore. Persino chiamarli così, i nostri poteri, è un errore, perché è implicita una differenziazione. Siamo la stessa cosa. Fare affidamento su di essi è fare affidamento su noi stessi. Tu, invece, ti affidi ai keyblade. Sono solo oggetti. Possono rompersi, possono esserti portati via da un altro.”

 

Senza preavviso, Zexion passa la mano destra sulla lama del keyblade. Roxas singhiozza, preso alla sprovvista. Formula il comando per bandire l’arma, ma c’è resistenza, come se il keyblade esitasse.

Insiste e la spada svanisce dalla presa di Zexion, ma ormai il danno è fatto. Il ragazzino annaspa verso di lui, gli prende il pugno e glielo apre a forza. Un taglio netto gli attraversa il palmo. Non è molto profondo, ma abbastanza perché il sangue si spanda sulla mano sporca di terra. Un po’ ne gocciola sul pavimento.

 

“Ti aspetti che mi svapori nel nulla?” chiede Zexion.

 

Roxas non sa cosa aspettarsi. Sa solo che tutti hanno paura delle sue armi.

 

“E’ solo un taglio, Roxas. Sono ancora qui e questo è solo un taglio.”

“Non farlo più.” pigola il ragazzo.

“Stai tranquillo, ti assicuro che non ho desideri suicidi.”

 

Il telepate si guarda la mano. Sottili volute di Oscurità evaporano dal taglio. In qualche secondo, la ferita si chiude.

 

“Le chiavi dell’universo… Sono solo oggetti. Come gli dei sono solo favole. Non c’è niente di quello che fanno che non possiamo fare con il nostro pensiero. I keyblade aprono i Mondi? Noi lo abbiamo fatto, da soli, senza neppure sapere dell’esistenza di queste cose. Gli dei creano gli esseri viventi? Noi abbiamo ricreato noi stessi. Nessun dio di nessun universo può fare di più. Gli esseri pensanti, sono quelle le vere chiavi. Solo noi. Non abbiamo bisogno di nessun altro, di niente altro. Non abbiamo bisogno di chiavi. Oggetti e favole sono strumenti, e gli strumenti esistono per essere usati, non venerati. Usati e gettati via quando non servono più. Senza ripensamenti, senza imbarazzo. Oppure vuoi essere solo il servo di un’arma?”

 

Uno spicchio violaceo di sole compare dietro il profilo delle montagne, a separare cielo e terra.

Anche se è coperto di polvere, il vetro del ritratto si trasforma in quell’attimo in uno specchio e il riflesso di luce porpora nasconde la figura di Xehanort.

 

Gli schermi del computer non trasmettono più segnali. Il virus ha terminato il suo lavoro di distruzione. Nessuno ci fa caso.

 

“Zexion, tu odi gli esseri umani?”

Esseri umani è un po’ generico, non ti pare?”

“Larxene li odia. Lei non dimentica. Lexaeus mi ha detto quello che ti è successo, quando sei nato. Quello che ti hanno fatto.”

“Non mi hanno fatto nulla. A essere precisi, sono stato io a fare qualcosa a loro.”

“Per te i pensieri hanno lo stesso valore delle azioni. Li odi per quello che hanno pensato?”

“Quegli uomini sono morti. Odiare i morti è piuttosto inutile.”

“E tutti gli altri?”

Zexion si stringe nelle spalle.

“Non li conosco. Non sono niente, per me.”

“Anche loro non ci conoscono, però ci odiano. Non conoscerli ti impedirebbe di odiarli, se tu volessi farlo?”

“No.”

“Allora Larxene ha ragione.”

 

Zexion gli lancia un’occhiata di sbieco, prima di abbassare la fronte sulle ginocchia.

 

“Non dici niente?” esclama Roxas.

“Cosa dovrei dirti?” risponde Zexion, le parole rese quasi indistinte dalla voce bassa e dalla posizione.

“Ho chiesto a Lexaeus, quando tu mi hai detto di non chiedere.”

“Non mi sono mai aspettato che mi obbedissi. E anche se lo avessi preteso, ormai è fatta. Oppure hai suggerimenti su qualche adeguata forma di punizione?”

 

Lo scienziato rialza il volto e, questa volta, lo guarda davvero, non solo per abitudine a rivolgere lo sguardo verso il suo interlocutore.

Guarda Roxas e Roxas si sente come se il giovane gli sottraesse qualcosa che lui nasconde, non come se a nascondersi fosse Zexion.

 

“Dentro di noi c’è un mare, più grande di qualsiasi oceano di qualsiasi mondo. E’ un mare di sciroppo e inchiostro, ed è pieno di mostri. Si chiamano paura, rabbia, odio. Si chiamano fame, sete, desiderio. Tutta la paura, la fame, l’odio, il desiderio provati da ogni essere che è stato un nostro progenitore, tutti quelli della linea che ci ha generato, dal primo sino a noi. Siamo sopravvissuti a tutto questo, ma sono rimasti i segni. Quello che crediamo essere la nostra mente, il nostro pensiero, che crediamo essere noi, persone, in realtà è solo un frammento di ghiaccio alla deriva su quel mare. L’acqua è nera, cosicché non dobbiamo vedere quello che ci nuota. Perché i mostri ci danno forza e volontà, perché viviamo grazie a essi, ma non dobbiamo mai guardarli negli occhi. Io sapevo di quel mare. Lo avevo visto tutte le volte che entravo nella mente di una persona, o anche di un animale. Non importa, è uguale per qualsiasi essere vivente, se appena ha una mente. Lo avevo anche sfiorato, qualche volta, come se camminassi con i piedi nel bagnasciuga, mai più in là. Quel mare mi terrorizzava, mi terrorizzava quello che ci vive. Sapevo che sarei annegato, se solo mi fossi addentrato in esso, che i mostri mi avrebbero divorato. Quando mi sono svegliato, tutte quelle persone che mi erano intorno lasciavano uscire i mostri da quei mari. Li facevano strisciare verso di me. Ma quando mi hanno raggiunto, non hanno potuto farmi nulla. Mordevano, ma non avevano denti in grado di ferirmi. Graffiavano, ma i loro artigli scivolavano sulla mia pelle. In quel momento ho capito che non dovevo più avere paura di quel mare, perché potevo nuotarci, potevo liberare i suoi abitanti contro i loro stessi padroni. Potevo prendere quelle menti e gettarle nelle acque nere, tenerle sotto. L’ho fatto e loro si sono trovati di fronte i propri mostri, tutti insieme, nello stesso momento. Io non li odio, Roxas. Mi basta quanto sono capaci di odiare loro.”

“E’ quello che hai fatto? Hai fatto in modo che vedessero gli altri uomini come mostri? Come vedono noi?”

“Tutti gli esseri viventi hanno paura di qualcosa.”

“Anche tu hai paura.”

“Ogni essere vivente ha paura e solo gli esseri viventi hanno paura. E’ l’unica cosa che accomuna tutti.”

“La conosco, la paura. E’ facile capire quando gli altri hanno paura. La cosa più facile. Ma io non ho paura. Forse mi è successo, ma non l’ho riconosciuta e se non l’ho riconosciuta, vuol dire non ho mai avuto paura.”

“Allora goditi questa tua fortunata condizione, perché l’avrai, prima o poi.”

 

Ci sono voci. Mormorii indistinti che provengono dagli angoli più bui dello studio. Se le ascolta bene, con attenzione, sembrano quasi frasi di senso compiuto.

Le ombre si muovono e non è solo per la luce che cambia e si intensifica.

Roxas si rialza dal pavimento polveroso e si avvicina alla finestra. Vuole vedere come il sole cambia l’aspetto del mondo.

 

“Roxas, tu ricordi tutto? Ricordi quello che ti ho detto, quello che ti ho fatto vedere?”

“Io ricordo sempre tutto.”

“Tranne una vita.” sibila freddamente il telepate “Quella non la ricordi.”

 

Non gli piace l’atteggiamento di Zexion. Non lo ha mai visto così, non lo ha mai sentito rivolgersi a lui con tanta durezza.

 

“Mi chiedi di accompagnarti e non dici perché e se te lo chiedo tu non rispondi.” mormora Roxas “Lo fai sempre. Mi incoraggi a fare domande, poi non rispondi, anche se potresti. Ma tu non fai mai niente per niente. Non sono solo le risposte. Se fosse per quello, mi diresti tutto. Sono le domande che contano.”

 

Zexion si sfrega stancamente gli occhi e la sua voce torna indifferente, il tono piatto e controllato.

 

“Mi hai detto che non ti basta conoscere la storia, vuoi viverla. Ecco, qui è cominciato tutto. Non c’è posto migliore. Manca solo questo, dopo non avrò più nulla da raccontare.”

 

Lo studio si dilata e prosegue in strade evanescenti che si sovrappongono alle pareti dello studio, le cancellano e si allungano sul vuoto. La fortezza si copre di luci, le distorsioni si rettificano, gli squarci si chiudono, le piattaforme esterne diventano precisi sistemi di trasporto. Le rovine fioriscono in palazzi, come castelli di carte in un gioco di Luxord.

La capitale perduta si risolleva e fantasmi di gente morta da un decennio camminano lungo le strade di porcellana della città della Luce.

Ora le parole delle voci spettrali sono appena, appena al di là della comprensione.

 

“E’ qui che Braig ipotizzò l’esistenza dei Mondi. Qui io scoprii che il pensiero non è legato alle dimensioni. Qui Xehanort riuscì ad aprire il primo varco. Qui ci rendemmo conto che potevamo essere liberi, anche se non avevamo mai saputo di non esserlo. Il pensiero plasma la realtà, ma la relazione è reciproca e il mondo plasma la mente che contiene. In un mondo chiuso, il pensiero è obbligato in circolo. Solo negli universi aperti ci sciogliamo dalle nostre catene. L’oscurità non è una barriera. E’ solo una strada che conduce a infinite possibilità e siamo noi a decidere se intraprenderla. Qui arrivò l’alieno che pretendeva chiudessimo le porte e gettassimo le chiavi e facessimo finta di niente. Che tornassimo a essere le obbedienti marionette legate ai fili. Qui Ansem tradì il suo mondo e tutti noi e qui noi tradimmo lui.”

 

Un alieno, Ansem. Non sappiamo chi è, cosa vuole, qual è il suo interesse nel tenere i Mondi separati. Non sappiamo nulla di lui, eppure tu lo ascolti.

Ci impone di smantellare tutto, dice che dobbiamo smettere, che dobbiamo chiuderci nel nostro Mondo, che uscire dal proprio universo è sbagliato… ma lui cosa ha appena fatto?

 

“Una volta, per la gente di questo mondo e di tutti i mondi, le stelle erano solo punti di luce nel cielo. E’ questo che vuole il Re, che voleva Ansem. Vogliono che le stelle siano solo punti nel cielo. Che l’oscurità sia un ostacolo, che sia paura. Vogliono che l’uomo abbia terrore del buio, che creda esistano mura invalicabili, che si creda limitato.”

 

Dimmelo, Ansem, come sa quello che stiamo facendo? Da quanto ci osserva?

Se solo adesso si infrangono i muri fra i Mondi, come può avere una nave? Per sviluppare una tecnologia simile, occorrono tempo e studio e applicazione.

Se davvero è tanto sbagliato, come è arrivato qui? E’ sbagliato per noi, ma non per lui?

Se ha prove di quello che dice, le presenti. Se no, ogni discussione in merito non ha senso. 

 

“Hai mai avuto rimpianti, Zexion?”

“Un’altra delle cose che sai cosa sono e non conosci?”

“Sì.”

“Ho sbagliato molte volte. Continuo a sbagliare e a rendermene conto solo quando l’errore è commesso. Ne ho tanti, di rimpianti.”

 

La sfera gonfia e tremante del sole si è schiarita in una sorgente di luce rosata. Il cielo sembra ricavato da una lastra di ghiaccio cesellato, tanto sottile da poter andare in frantumi al minimo suono, un susseguirsi di rosa, grigi, azzurri e viola, intensi nel colore e pallidi in saturazione.

Chissà com’è vivere su un pianeta dove non bisogna volare oltre l’atmosfera per vedere le stelle. Un pianeta legato a un sole.

E’ bello, il sole di questo mondo. E’ forte e giovane. Ha ancora lunghissime ere da vivere.

Se non sarà divorato dall’Oscurità.

 

“Lo rifaresti? Se adesso ti ritrovassi nella situazione di fare quello che ha fatto Ienzo, faresti la stessa scelta?”

“Lo ritengo probabile.”

“Davvero?”

“Ti aspettavi ti dicessi che no, non lo farei mai più, mai, in nessuna condizione? Posso, se vuoi, ma non sarebbe la verità. Mi conosco abbastanza bene, Roxas. La verità è che, probabilmente, lo rifarei.”

“Anche sapendo quello che potrebbe succedere?”

“Anche allora ero consapevole dei rischi.”

“Lo eri?”

“Tutti noi lo eravamo. Pensavi che le tenebre avessero corrotto le nostre menti e alterato il nostro giudizio? No. Lavoravamo a quella ricerca da anni. Avevamo visto l’Oscurità consumare il Cuore degli esseri viventi. Noi stessi avevamo causato quel processo, più e più volte. Eravamo molto consapevoli.”

“Però avete continuato un lavoro di cui non avevate certezza di riuscita.”

“L’indeterminazione è la base della scienza stessa. L’essenza dell’ipotesi come concetto è che essa deve essere falsificabile. Questo significa che la ricerca, per sua natura, comprende l’errore come parte essenziale e che l’errore è intrinseco alla ricerca delle risposte, una volta poste le domande. Solo la fede è a prova di errore, perché pone le risposte prima della domande e le domande sono solo quelle create per confermare le risposte preesistenti. Così, ovviamente, l’errore è evitato. Ma noi non compiamo atti di fede, non abbiamo il privilegio dell’infallibilità né della certezza. Neppure della certezza del successo. Anche se, umanamente, Ienzo non riusciva a considerare concreta l’eventualità di un insuccesso, pur accettando concettualmente la sua esistenza, ora, a considerazione non umana, non posso fare a meno di rendermi conto che la probabilità di un fallimento, della morte o della perdita del controllo era più che ragguardevole, e inserire questa consapevolezza nella valutazione della mia decisione. Sì, posso dire con ragionevole sicurezza che lo rifarei. A conti fatti, con maggior coscienza e cognizione dell’incognita e di eventuali conseguenze di quanto non abbia fatto allora.”

“Anche se potresti perdere la vita?”

“Anche. Rimpiango gli errori commessi, non quella scelta.”

“Allora non è vero che sopravvivere è la ragione di tutto.”

“Te l’ho detto che le cose non sono sempre divise fra sì e no. Non sono sempre bianche o nere.”

 

Re e Luce del nostro mondo, chi stai ascoltando? La tua paura?

 

Il ragazzo guarda il sole in un modo che sembra quasi fame.

Potrebbe volerlo divorare, il sole. O trasformarlo in nova. O trasformarsi lui, nel sole.

Zexion non lo sa. Roxas si dibatte ai limiti della sfera di comprensibilità, persino della sua sfera di comprensione. Non ne è ancora fuori, del tutto, ma non ne è più nemmeno dentro, del tutto. Va sempre più lontano, sempre più all’interno di quel territorio sconosciuto dove non è certo di poterlo seguire.

 

“Valeva la pena, farlo?”

“Chiedi un’opinione, Roxas. Chiunque nell’universo ha lo stesso diritto a dare una risposta. Tu stesso potresti rispondere. Ci sono cose per cui varrebbe la pena mettere in gioco anche la tua vita, pur di ottenerle? Anche il tuo mondo, anche la tua realtà?”

“Per te valeva la pena?”

“Vale sempre la pena infrangere i muri.”

 

Roxas giocherella con i bracciali che porta per ridurre la tensione causata alle articolazioni dal continuo uso della spada, mentre continua a fissare il sole. Fa girare la fascia di materiale elastico intorno al polso sinistro, poi, lentamente, le dita risalgono sino al palmo della mano per sfregare la base di indice e medio.

 

La Luce è un veleno per il pensiero.

I popoli dei Mondi avrebbero qualcosa da dire in proposito. Il popolo di Ienzo avrebbe molto da dire in proposito.

Ansem aveva dichiarato eretico il concetto che negava valore morale alla Luce e l’equiparava all’Oscurità. Aveva ordinato l’epurazione per tutti coloro che osavano suggerire o diffondere quell’idea.

Ansem avrebbe odiato Roxas per avere detto una cosa simile. Ma Ansem lo avrebbe odiato comunque, senza bisogno di faticare per trovare una ragione. Così, lo avrebbe odiato solo un po’ di più.

Ma nessuno conosce la Luce come questo bambino e lui la respinge. Cerca qualcosa che lo leghi alla terra, che gli permetta di essere un ragazzo terreno e vivo, non una creatura celeste.

Cerca risposte. Roxas non tollera l’ignoto.

Le troverà o meno, non importa. Non basteranno. Non bastano mai. Troverà solo qualcos’altro da chiedersi.

 

“Faccio sogni.” afferma all’improvviso Roxas.

“Li facciamo tutti.”

 

L’adolescente alza una mano e, con quel cenno, gli impone di tacere.

Un gesto imparato da Xemnas. Zexion non se ne stupisce. C’è qualcosa di ognuno di loro, in Roxas. Una parola, un’idea, un’abitudine, anche solo un atteggiamento, ma ha preso qualcosa da tutti.

 

“Io so quando sogno. Questi sono diversi. Credo siano ricordi. Ricordi dell’Altro.”

“L’Altro…”

“Quello che c’era prima di me.”

“Perché lo chiami così?”

“Perché voi chiamate loro qualcuno. Perché chiamate noi nessuno.” sibila Roxas.

 

C’è un’inconfondibile sfumatura di collera nella voce e nell’umore del ragazzino. L’attenzione del predatore che ha scoperto le tracce del passaggio di uno sconosciuto nel suo territorio.

 

“Se questo è quello che ero, senza quello che avete fatto voi sarei solo qualche frammento disperso nella mente dell’Altro. Volevi sapere perché non mi basta tornare a essere umano? Tornerei solo al nulla. Sì, anche per me ne è valsa la pena.”

“Cosa ricordi di questi sogni?” mormora Zexion.

 

Il ragazzo si acciglia e la belva, per il momento, si quieta. Ora che le ha dato in pasto un frammento di quello che desidera.

 

“Un posto. C’è luce. Moltissima luce e moltissimo caldo. Il mare. E animali. Animali acquatici.”

 

E’ subito di nuovo accovacciato di fronte a Zexion, in un dispiegarsi di luminosità e attenzione. Con un dito traccia un disegno nella polvere che ricopre il pavimento fra loro.

 

“Questi animali. Sai cosa sono?”

“Delfini.”

“Dove si trovano?”

“Su svariati pianeti di svariati Mondi.”

“Qual è il suo pianeta di origine?”

“Tu appartieni a un ceppo umano relativamente diffuso fra i Mondi…”

Lui appartiene.” ronfa Roxas.

“Lui, allora. E’ lo stesso cui appartengono gli abitanti di Radiant Garden. Presumiamo che ci fu un’epoca in cui gli universi erano connessi e questo ha permesso la diffusione di molti popoli.”

“Ci deve essere stata una differenziazione, però. Tutti gli esami che mi avete fatto non sono bastati a dirvi qual è il mondo giusto?”

“Le impronte genetiche e psichiche non sono risolutive. Le caratteristiche tipiche dei nobody sovraimprimono quelle originali. O appartieni a una specie unica nel multiverso, oppure devi accontentarti di una risposta approssimata.”

“E approssimativamente?”

“Ti farò avere l’elenco dei Mondi in ognuno dei quali ci sono pianeti più o meno numerosi dove puoi trovare specie compatibile a quella del tuo… Altro. Puoi divertirti a cercare da solo.”

 

Le fragili immagini di una vita persa nel passato assumono consistenza. Non sono solo fantasmi. Sono solidi, come se fossero presenti.

Alcuni ragazzi corrono con pile di libri in mano. Uno di loro lascia cadere un quaderno proprio ai piedi di Roxas. Il quaderno si apre e, prima che il ragazzo illusorio lo raccolga, Roxas riesce persino a leggere quello che è scritto. Sono appunti frettolosi e disordinati sull’attività metabolica cellulare, disseminati di scarabocchi e disegni.

Poi lo spettro corre via, dietro ai suoi compagni. Insieme svaniscono nelle pareti dello studio e le loro voci si spengono.

 

“Li vedi?” mormora Zexion.

“Sì.”

“Io no. Non posso. Non posso più vederli neppure nei miei ricordi.”

“Perché no?”

 

Le immagini si disfano in brandelli di ombre che corrono negli angoli e sono soli nel vecchio studio abbandonato.

 

“Perché non funziona così, per me. Posso concepire combinazioni di forme, suoni, odori, eventi, sensazioni di qualsiasi genere, elaborarli in ogni loro dettaglio. Posso estrapolare esattamente come risulterebbero e quali effetti comporterebbero. Ma non posso percepire nulla che non esiste qui e ora, non posso immaginare. Se ricordo un odore, conosco una certa configurazione molecolare, la reazione che stimola nei miei recettori olfattivi. Non ho la reminiscenza della sensazione. Se ricordo una forma, so quali sono le sue dimensioni, i rapporti spaziali fra esse. Non la vedo, neppure nella mia mente. Anche nel presente, non percepisco come te. Voi credete che io mi isoli perché alcune sensazioni le trovo troppo sgradevoli. Non è vero. La luce… la tengo bassa nei miei appartamenti, non perché mi dà fastidio. E’ solo che dava fastidio a Ienzo e allora continuo, per inerzia, ad ascoltare i suoi ricordi.” 

 

Va alla finestra e fissa il sole e i riflessi accecanti su neve e ghiaccio come ha fatto Roxas stesso, senza ammiccare, senza esitare.

 

“Vedi? Nessun fastidio. Tutte le sensazioni si equivalgono. Sono solo dati. Al massimo, posso andare in sovraccarico da informazioni, ma per me non c’è nulla di piacevole o spiacevole.” torna dove era prima e si lascia scivolare di nuovo a terra, accanto al quadro “Siamo esseri abitudinari, Roxas. Ci leghiamo ai nostri riti, alle nostre manie. Consuetudini trasformate in ossessioni. Teniamo accese luci che non ci servono perché servivano agli esseri umani, le regoliamo come piacevano loro. Siamo bloccati fra due nature diverse e ci aggrappiamo a quell’esistenza che non ci appartiene, ma, dentro di noi, sappiamo benissimo che ogni abitudine umana, ogni legge umana, ogni regola umana, non ha valore. Allora, finché possiamo, ne facciamo tesoro con tutta la nostra forza, per continuare a sentirci umani, proprio perché sappiamo di non esserlo. Io sono il peggiore, quello da biasimare più di chiunque. Le illusioni non funzionano su di me, così decido di giocare a fare finta.”

“Se ti piace…”

“E’ solo un inganno. Dobbiamo gettarci alle spalle tutto questo. Io non sono più Ienzo, se mai lo sono stato. L’umanità è perduta, indietro non si torna. Si può solo avanzare e tu sei già avanti a tutti noi, il nostro traguardo. Hai curiosità senza il peso del rimpianto. Conoscenza senza le zavorre della recriminazione. Dobbiamo diventare come te.”

 

File e file di persone camminano lungo gli argini di un fiume. Lasciano cadere piccoli lumi galleggianti nelle acque. La corrente trascina lontano quelle luci, fra le montagne di vetro blu, fino a una cascata. Le acque si trasformano in una galassia.

I cieli notturni si accendono di fuochi pirotecnici che allontanano il buio.

 

“Neanche quando sogni, li puoi vedere? O tu non sogni?”

“Sempre, ma non come te. Non interpreto i sogni in forma di sensazioni. Sono informazioni.”

“Puoi vederli attraverso me.”

 

Roxas lo sta osservando con la curiosità e la concentrazione con cui studierebbe un problema da risolvere. 

Non è un ragazzo imponente. La sua forma corporea è quella di un gracile bambino, persino più giovane di colui che gli ha dato vita. Ma nel mondo mentale non è un bambino, non è umano, non è nulla che ha un corrispettivo terreno e, davanti a quella Presenza, Zexion è un’ombra di fronte al sole.

 

“Puoi farlo.” prosegue l’adolescente “So che lo fai, quando vai su altri mondi. Quando tu sei nella mia mente, io entro nella tua, almeno un po’. Ho visto quello che fai a quelle persone. Fai provare loro delle cose, illusioni, sensazioni, intere nuove vite, poi vedi e senti attraverso loro. Adesso ho capito perché lo fai. Puoi percepire solo quello che esiste qui e ora, ma ti basta che esista il pensiero. Se un altro vede e sente, allora tu puoi usarlo. Però non hai mai usato me, anche se avresti potuto avere una sorgente e una combinazione di sensazioni che gli umani non possono darti.”

 

mi avresti odiato, dopo

 

“Sì, credo di sì. Ma così non rubi niente. Sono io a chiederlo.”

 

Inondalo di impressioni, affogalo di illusioni, soffocalo di esperienze.

Roxas è una mente vergine, una forma di vita unica. Come reagirà a tutto quello che non ha mai sperimentato? Che darà in cambio? Meraviglia, paura, curiosità, cosa?

Quali nuove, sorprendenti risposte, non mediate dai ricordi umani, quelli che inquinano tutti loro? Cosa potrebbe ottenere, da lui?

Forse qualcosa che potrebbe saziare persino la sua debolezza, la sua personale dannazione. La sete di sensazioni, la fame di informazioni. Più indispensabili dell’aria, del cibo, dell’acqua.

 

“Sai cosa succede a quella gente, poi?”

“Divori i loro pensieri e lasci solo gusci vuoti.”

“Non hai paura?”

“A me non farai del male. Sono troppo prezioso per te. Non vuoi rivedere il tuo mondo?”

 

Roxas è bravo a leggergli dentro. Non nei suoi pensieri, o non solo in quelli. Legge nei suoi tentativi di nascondersi.

 

“Vuoi rivederli lo stesso, anche se è un’illusione. Anche se non serve. Larxene mi ha detto che facciamo tante cose che non servono, solo perché lo vogliamo. Perché non dovresti farlo anche tu? Fallo, allora.”

 

Ombre bianche si materializzano intorno a loro. Insieme ai guerrieri di Roxas, qualcuno dei fragili e metamorfici eterei che formano la corte di Zexion.

 

“Tu hai conosciuto tutto quello che loro considerano vita, Zexion. Sono cose che io non potrò mai avere. Forse non le ha avute neppure l’Altro e allora davvero non saprò mai che significano, anche se dovessi ricordare. Voglio capire cosa mi sono perso. Voglio sapere cosa vuol dire essere umani. Tu vuoi ricordarlo. Per questo sei salito fin qui a piedi. Per questo fai finta di avere le debolezze di Ienzo. Allora facciamo finta tutti e due.”

 

Fare finta, per qualche minuto che può essere lungo una vita intera. Fare finta di essere tornato a casa.

Vorrebbe non ascoltare il ragazzo, la tentazione che offre. Ma Roxas non si arrenderà fino a quando non avrà ottenuto quello che desidera ed è l’ultima occasione, questa.

Quando terminerà la sua stessa ristrutturazione mentale, il passato umano sarà solo una sequenza di informazioni della vita vissuta da un altro.

 

Roxas tende le mani a uno dei suoi nobody. Si solleva sulla punta dei piedi, intreccia le dita dietro la nuca del guerriero e gli abbassa la testa, fino a che le loro fronti si toccano. Carne contro ombra e metallo.

 

Morte a chiunque entri qui. A chiunque si avvicini.

 

“Non hai paura?” chiede ancora Zexion.

 

L’adolescente si muove verso di lui. Uno degli eterei scivola come una pozza di mercurio, fluendo da una forma all’altra senza tregua, e gli si avvolge intorno a una gamba. Sembra quasi volerlo tenere separato dal suo padrone. Roxas lo ignora. La sua attenzione è per il ritratto. Offuscato dalla polvere, il riflesso nel vetro è quello di un ragazzo simile a Zexion, anche se non proprio identico, più giovane di anni ed esperienza dell’uomo che conosce. 

C’è Xehanort, e Xehanort ama starsene in disparte, in silenzio, fino a quando non trova qualcosa per cui vale davvero la pena discutere e, allora, può parlare e infervorarsi più di tutti loro insieme.

Ci sono Altri, che non sono come il suo Altro, che hanno un nome e un volto.

C’è un uomo più anziano, con occhi e capelli dorati e abiti scarlatti e, chissà perché, sembra che l’uomo ricambi il suo sguardo, proprio come se lo vedesse.

C’è un universo intero in quel riflesso e Roxas ci precipita dentro.

 

“Tutto.” la sua voce è chiara e tagliente e i suoi occhi già vitrei “Fammi vivere tutto.”

 

Un mare. Un mare gonfio di tempesta, un mostro meteorologico che stringe un’imbarcazione nel suo pugno di acqua e sale. Al timone, una ragazza con corti capelli bianchi incollati alla testa dal diluvio, avvolta nella plastica gialla e fosforescente della cerata, il cappuccio gettato sulla schiena, inondata dalle onde e dalla pioggia.

C’è odore di alghe e fulmini.

 

cuore mio

 

Un gazebo fra il canneto sulle rive di un lago. Un cerchio di esili colonne di metallo filigranato sagomate come delicate piante, dove si avvolgono liane e fiori d’acciaio. I rami si intrecciano in volute, a formare la volta. Un piccolo drago con scaglie di bronzo è attorto intorno a una delle colonne, le ali chiuse sul dorso. Non è più lungo del suo mignolo. In quella foresta di metallo, ci sono altri simulacri di animali. Lucertole e insetti, raganelle e ragni. Alla base di una delle colonne, un grifone di piombo grosso come un gatto si lecca una zampa. Sopra un ramo, una fenice delle dimensioni di un passero scrolla piume di rame e oro. Veli bianchi appesi ai tralci vegetali fluttuano nella notte luminosa.

Al centro del gazebo, una bambina tanto piccola da camminare a malapena, un soffice groviglio di capelli argentati e tempestosi occhi grigio viola, gioca con cubi colorati.

C’è odore di latte e neve e pini.

 

anima mia

 

Il respiro di Roxas è leggermente affannoso, la pelle ricoperta da un velo di sudore, il cuore accelerato, i parametri fisiologici un po’ alterati.

 

Deve stare attento. Non esagerare. Non cedere alla tentazione di comporre disarmonie sensoriali per assimilare poi gli effetti di quelle dissonanze sulla psiche.

E non alterare le risposte spontanee della mente. Perché non è forse uno dei tuoi giochi prediletti, questo? Uno dei più facili e d’effetto?

Confondere i centri di elaborazione sensoriale, ad esempio. Cortocircuitare un po’ le aree associative del sistema limbico cerebrale, quello che, sorpresa sorpresa, è anche delegato alla genesi delle emozioni e strettamente legato ai processi mnemonici. Calibrarle, eseguendo sinfonie ben sperimentate, anche se i risultati più interessanti si ricavano mescolando alla cieca e lasciando fare al caso, e chissà quali bizzarrie sinestetiche se ne ottengono.

Oppure annullare il sistema di selezione delle informazioni, infrangere le barriere che vagliano gli stimoli e provocare sovraccarichi e intasamenti. O interrompere alcune vie di trasmissione, o deviarle.

Sono davvero tante, le cose che potrebbe fare. Deve limitarsi a quello che gli è concesso.

Dimenticare l’avidità, il desiderio di ingozzarsi di sensazioni, di ubriacarsene, senza curarsi della mente che le sostiene, del corpo che sostiene quella mente. Centellinarle, invece, una per una, come assaggiare un cibo per la prima volta.

Roxas vuole la sua vita. Non deve dare niente di più. Non deve prendere niente di più.

 

La finestra è sigillata. Non c’è modo di aprirla. 

Afferra una sedia e colpisce la vetrata. Il contraccolpo quasi gli sloga le spalle. Il cristallo infrangibile nemmeno si graffia.

Colpisce ancora, più e più volte, e la decisione si trasforma nella frenesia di un animale in trappola. Appare una crepa, ma la sedia si spacca. La scaglia via e corre a cercare qualcos’altro, gettando tutti gli oggetti inutili che gli capitano sotto mano, fino a quando non trova un cilindro di acciaio e ricomincia a picchiare sul vetro incrinato, e la crepa diventa una piccola frattura. Afferra una sbarra metallica, il corpo centrale di un appendiabiti, la conficca nel foro e fa leva, allargando la frattura. Finalmente, il cristallo elastico cede e si spacca. Si protegge le mani con un paio di guanti da laboratorio, di quelli usati per maneggiare oggetti pesanti e roventi, e afferra i bordi dello squarcio, continuando intanto a colpire con l’appendiabiti, strappando frammento dopo frammento, fino a quando la vetrata non è quasi del tutto ai suoi piedi, a pezzi. Fiocchi di neve entrano mulinando dalla finestra sfondata, il loro pacifico fluttuare alterato dal cambio di pressione.

Afferra manciate di neve dal cornicione e le inghiotte avidamente. Non tocca acqua da due giorni. Solo quando ha soddisfatto la sete si arrampica sul bordo sottile della finestra, tenendosi con cautela all’intelaiatura.

Il vento lo squassa e gli fa sbattere il camice e i capelli fino quasi ad accecarlo. Fa freddo e c’è solo il vuoto, davanti di lui. Un volo di centinaia di metri. 

Un fiume nero come fango e sangue si allarga nella città. Da quell’altezza, il suo diffondersi nelle strade è quello di un liquido che si spande per capillarità in un foglio di carta assorbente.

Fiocchi di neve grassa e lenta gli volteggiano intorno. Ne osserva uno, cerca di seguirne la caduta verso i giardini del castello. Solo qualche giorno prima - sembrano giorni, ma credo siano trascorsi mesi, o forse anni - lui era in quei giardini a giocare con la neve e pensare all’estate seguente.

E’ grottesco che si preoccupi di bere, che si preoccupi di mantenere l’equilibrio proprio ora. Ma la volontà di vivere non si indebolisce certo a causa della morte imminente. Semmai diventa più violenta e nulla è più bello che pensare a quando si scioglierà la neve e tornerà una nuova estate.

Nessun’altra estate. Mai più.

Non raggiungerà vivo il terreno e il mare di ombre. Si schianterà prima contro una delle terrazze inferiori.

Ma non ho sentito morire Even.

Basta lasciare la presa e sporgersi un po’, non tanto. Poi, ogni ripensamento sarà inutile.

Con cautela, scende dal bordo della finestra.

Non è cambiato niente.

Ci sono solo due uscite e una di esse è un salto nel vuoto. O può restare qui a morire di fame.

A pensarci bene, c’è una sola uscita.

Non ho sentito morire Aeleus.

Al di fuori, le ombre graffianoartiglianomordono picchiano la porta, rese frenetiche dalla vicinanza, rese rabbiose dai campi di contenimento che le separano dalla preda agognata.

Il suo cuore batte insieme a quei colpi. Ma ci si abitua anche alla paura, alla fine. O ci si perde in essa.

Se la scelta è fra un futuro incerto e una morte sicura, allora non c’è scelta e non c’è fuga.

Si alza e comincia a spegnere i macchinari, come ha fatto tante volte, alla fine di un qualsiasi giorno di lavoro. E’ solo un po’ più lento del solito, si sofferma più a lungo su ogni gesto.

Poi tocca alle luci e quando l’ultima luce è spenta, non gli resta altro da fare e non ha più scuse cui aggrapparsi per rimandare.

picchianopicchianopicchiano  

Non smettono mai, richiamati da quel Cuore negato loro tanto a lungo. L’ultimo, nel castello, sfuggito alla loro fame.

Lo aspettano. Inutile farli attendere ancora.

Le mani gli tremano tanto che solo al quarto tentativo riesce a passarne una sul sensore e aprire la porta.

 

Roxas è sdraiato per terra, le braccia a croce, perso in un’esistenza che non gli appartiene. Un uomo che non vive più da quasi dieci anni osserva il ragazzo.

 

Cerca di fendere quella marea nera e ribollente. Riesce a fare solo pochi passi prima di cadere. Le ombre si ammassano su di lui. Grugniscono e sibilano, mentre gli aprono il torace e frugano in cerca del Cuore. C’è un rumore umido, quando i loro artigli strappano i muscoli dalle ossa. Dolore, quello non tanto. Il trauma gli impedisce di accorgersene.

Nonostante la sua scelta, si ritrova a combattere con i denti e le unghie, come gli stessi esseri che lo divorano vivo.

Ienzo muore con il sapore della carne nera di un’ombra in bocca.

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

Mi fa davvero piacere sapere che i miei personaggi colpiscono nel segno. Anche perché non è che nella mia storia ci sia molto altro, diciamocelo. Ma stavolta temevo di avere cannato e che il povero Xaldin sembrasse l’orco malvagio. Sono schifosamente fiera di me e vi ringrazio tutti tantissimo ^__^

Naturalmente hanno motivi. Non fanno le cose random e tantomeno ‘perché sono cattivi’, così come gli eroi non le fanno ‘perché sono buoni’. Quelli non sono motivi. Sono giudizi e odio le suddivisioni. Buoni di qua, cattivi di là e gli sfigati che stanno in mezzo a prenderle da tutti. Certo non potevo non dare ragioni proprio a Xemnas (a proposito, Chris, giù le zampette da lui o te le trancio!). Non solo è il personaggio con la storia più drammatica, è pure il più biasimato. Eppure c’è gente ben più feroce, folle e maniacale che pure è assurta agli onori del fandom. Io do colpa al redenzionismo. Lui non si redime, non si mette in testa che è cosa buona e giusta sparire e pretende di esistere con il suo io. Cattivo, cattivo nobody.

 

A parte speculazioni da fandom, si sa ben poco dei 13, ma l’idea di Xemnas come il pazzo tiranno che schiavizza i suoi per accumulare potere mi pare una delle più campate per aria. In realtà, fra tutte le motivazioni attribuite ai nobody, la sete di potere fine a sé stessa è forse quella che considero più improbabile. Mancano le ragioni, mancano le pulsioni, manca tutto perché perseguano un simile obiettivo. Tranne che come mezzo per sopravvivere e quello non ha nulla a che fare con la sete di potere in senso umano, che sarebbe addirittura controproducente. La sola ragione per cui riesco a immaginarmeli fare una cosa simile è per scommessa o per curiosità. Per poi abbandonare non appena ottenuto il risultato.

Alla fine del gioco Xemnas è fuori come un balcone, ma i dieci anni precedenti non si possono cancellare. Xemnas deve avere il consenso dei suoi. Se tutti, o la maggioranza, fosse contraria, non avrebbe modo per obbligarli, e tentarci… beh, auguri. Prima di sbarellare, quello è stato un grande e deve avere sbarellato pure in tempi recenti, o non sarebbe arrivato dov’è.

Ok, forse l’idea dell’organizzazione che cambia gestione come una società per azioni non è molto considerata, ma i nobody ricorrono alla forza bruta solo come ultimissima risorsa. Con tutti i loro poteri, più che altro parlano. Basta pensare ad Axel, che commette una strage praticamente senza alzare un dito ^O^

 

Naturalmente, è insensato giudicare malvagio Xemnas per come agisce con Sora & c. Come la gente si comporta con gli amici e come lo fa con i nemici sono cose completamente diverse. Prendiamo proprio Sora. E’ un ragazzino adorabile con i suoi. Non alzerebbe un dito su di loro, nemmeno se tirato per i capelli. Riku docet. Con i nemici è un killer efficientissimo e spietato, deciso a imporre il suo ordine del mondo con ogni mezzo. Vale per tutti, Xemnas compreso.

Tantomeno è cattivo perché obbliga Axel a dare la caccia a Roxas. Roxas è una risorsa di cui i nobody hanno disperatamente bisogno, mentre nelle mani del nemico rappresenta un pericolo. Recuperarlo o eliminarlo è necessità, ma di cattiveria non ne vedo manco l’ombra.

Anzi, una delle ragioni per cui non riesco a figurarmi uno Xemnas uso a terrorizzare i suoi accoliti è proprio Roxas e il modo in cui scappa. Se ne va con il magone dicendo che nessuno gli vuole bene e non lo fa neanche di nascosto, cosa che non sarebbe tanto difficile, visto che può teletrasportarsi. Cammina beatamente per il castello. Lo vede solo Axel, ma in quel momento poteva passare di lì tutto lo stato maggiore. Non è l’atteggiamento di chi subisce i più impensabili abusi, terrorizzato all’idea di una tremenda punizione. E’ quello del bambino capriccioso che esce di casa, sbatte la porta e i genitori si rendono conto che fa sul serio solo quando poi non lo vedono a cena.

E già che c’era, Axel poteva pure rifilargli un paio di ceffoni e trascinarlo dentro, invece di fare quell’imbarazzante scena madre e aspettare ordini. Non è che se un quattordicenne dice di voler scappare di casa bisogna per forza dargli retta e star lì a vedere che succede. Che vuole che succeda? Che magari incontra un rapitore di bambini che gli fa fare gli snuff film. Praticamente quello che capita a Roxas.

La vera idiozia di Xemnas è stata mandargli dietro la persona più sbagliata. Ma lui rifiuta di riconoscere qualsiasi legame emotivo fra i nobody. Non si pone neppure il problema dei sentimenti di un killer, che non crede esistano.

Il nostro eroico leader, pazzia a parte, ha due problemi. Il primo è che permette ai suoi nemici di controllare le sue azioni e in quel momento ha già perso. Poi è un tattico e uno stratega pessimo. Il che non significa essere incapaci come guide. E’ che la mente bellica doveva essere qualcuno dei caduti di Oblio, visto che da quel momento i nobody cominciano il declino. A quel punto, l’incapacità strategica diventa sì un disastro.

 

Poi molti dell’organizzazione sembrano un po’ troppo fedeli, perché lui fosse un tale mostro. La cosa è evidente alla fine, quando Sora li bracca nelle loro sale. Situazione classica delle fanfic? Xemnas, maniacalmente, ordina ai miseri resti dei suoi servi di affrontare Sora. Uno per uno. E loro, pur sapendo che vanno a farsi macellare, obbediscono. Se no Xemnas…

Che fa? Li uccide? Perché una minaccia sia effettiva, bisogna mettere il soggetto di fronte a qualcosa peggiore di quello cui va incontro. Ma Xemnas non può fare niente di peggio di quello che fa loro Sora. Anch’io all’inizio pensavo che i 13 si mettessero in fila per farsi ammazzare, ma non è vero. Suicidi a parte, o cadono per questioni interne, oppure presi di sorpresa sul campo di battaglia. Gli ultimi si trovano il nemico in casa e cercano di fermarlo, quando potrebbero benissimo trasportarsi su qualche altro pianeta e piantare lì Xemnas e Sora a risolversela da soli.

E qui arriviamo al senso ‘paterno’ di Xigbar. Lui si fa avanti per primo. Persino prima di Luxord che, secondo la logica del branco di iene, è la carta più spendibile.

Luxord non aveva molte speranze contro Sora e, a quel punto, Xigbar avrebbe dovuto comunque affrontare il nostro piccolo custode. Mentre Xigbar aveva molte più possibilità e se fosse riuscito a far fuori Sora, avrebbe salvato anche Luxord, oltre a Xemnas e Saix. Quindi è stato un ragionamento logico, quello di Xigbar. Però non si poteva escludere del tutto la possibilità che sarebbe stato Luxord a vincere. Xigbar avrebbe avuto solo da guadagnarci a restare in seconda linea. Al peggio, la sua situazione non sarebbe cambiata.

 

Beh, direi che con questo ho risposto un po’ a tutti ^__^

Voglio però ringraziare singolarmente Rixika, che si è accorta di una cosa che mi sta molto a cuore, cioè che sto cercando di dare una cronologia al tutto. So già che dovrò alterare quella del gioco, ma è necessario. Ci sono cose davvero improponibili. Tipo, Roxas scappa di casa, fa due passi ed è catturato da Riku. E Riku come fa a sapere che se ne va proprio in quel momento? Una botta di culo o lo aspetta al varco? E se è così, nessuno dell’organizzazione si è accorto che un nemico vagola da tempo indeterminato sul loro pianeta? A proposito, mentre il loro prezioso custode viene ripassato come un tappeto dietro l’angolo di casa, che fanno? Si danno al ricamo?

Vedo che anche tu hai qualche problema con Naminé. Cara ^O^

In realtà ho trovato parecchia gente che la odia, solo che lo fa per motivi curiosi. Quanto a me, sono perdutamente pro-Roxas e questo non si traduce in ‘dolenti riflessioni sul povero giovinetto condannato’, ma nel volere fare piazza pulita di coloro che lo fanno secco.

Invece non mi sorprende per niente l’antipatia per Sora. Condivido. E’ di una stupidità esasperante. Per di più sembra sempre tirato di cocaina e zucchero. Viene voglia di sparargli nel sedere un’intera partita di proiettili tranquillanti. O una pallottola direttamente in fronte.

Capisco perché Riku è diventato emo/angst/oscuro. Era un ragazzo simpatico e solare, prima. Poi ha conosciuto Sora e ha deciso che la carriera di cavaliere delle tenebre è più riposante, possessione demoniaca compresa.

 

 

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Capitolo 20
*** XIII ***


XIII

 

XIII

 

 

La richiesta di accesso al porto e al pianeta sottostante è solo una delle tante giunte alla capitaneria orbitale.

Il controllore inserisce la comunicazione nei programmi di volo odierni. I codici trasmessi sono corretti. Ora di arrivo, luogo di provenienza e durata prevista della sosta.

Legge, distratto e annoiato, il giornale di bordo della nave mercantile.

Bastano le prime pagine.

Non si aspetta nulla di diverso. Non è mai nulla di diverso.

Trasmette l’autorizzazione all’ingresso. I fari che indicano la rotta da seguire per imboccare l’orbita planetaria illuminano la via siderale.

 

bocchediporto aperte

 

La nave d’argento e vetro bianco latte supera le boe di segnalazione. E’ un insieme cristallino di ombre e riflessi, e nastri e onde di deboli luci iridescenti si susseguono nelle profondità traslucide della sua superficie. E’ più simile a una creatura marina che a un mezzo di trasporto.

Del via vai fra gli universi, la sola cosa che cambia è l’architettura delle navi.

 

 

* * *

 

 

I due bambini si rincorrono nella sala da almeno mezz’ora, senza interrompersi un istante, lanciando risate e grida acutissime, urtando e infastidendo un gran numero di presenti. Ne ricavano sguardi più o meno indulgenti, più o meno irritati.

I genitori non accennano a intervenire.

 

urlo, corsa, urlo, corsa, avanti indietro avanti indietro avanti indietro

 

Hō’ike I Maka si sfrega le tempie per focalizzarsi sui suoni musicali e i pensieri della creatura marina immersa nel canale di fronte a lui, piuttosto che sul frastuono, fisico e mentale, che lo circonda.

Preferirebbe di gran lunga lavorare nell’isolamento del suo ufficio, ma è il cliente ad avere voce in capitolo e questa cliente vuole l’atmosfera chiassosa della sala. Ondate di soddisfazione e appagamento sono un continuo ronzio melodico che ne marca i pensieri consci.

Non ha idea del perché desideri rumore e folla. Le ragioni delle sue preferenze giacciono in abissi troppo profondi del suo inconscio perché possa percepirle. In ogni caso, non è detto che sarebbe in grado di capire un sistema di valutazione alieno. Sapere non significa necessariamente comprendere.

Forse per lei è solo curiosità. Qualcosa che sperimenta così raramente, nel suo regno acquatico, da diventare un piacere da assaporare, come un cibo esotico.

 

La creatura alza la mano palmata per indicare una delle pause che deve compiere a intervalli regolari per non disidratare l’epidermide e le branchie delicate.

Si immerge con il movimento liquido di un delfino. Nella manovra espone il dorso, dove la forma umanoide si fonde in quella di pesce.

Hō’ike cerca di rilassarsi.

 

Dalle vetrate convesse, si gode un perfetto panorama del tramonto su un oceano color rame. Ma pesanti nubi violacee dagli orli abbacinanti si ammassano all’orizzonte e schermano il Sole, lasciando filtrare solo alcuni raggi rossastri.

La luce è gialla e brillante, priva di sfumature. Le cose illuminate oppure buie, senza toni intermedi, ma le zone oscure si espandono in fretta, le ombre discendono le scogliere, le trasformano in masse nere disseminate di luci artificiali.

A questa latitudine, la notte cala quasi all’improvviso.

 

I due bambini strillano e ridono e schivano a malapena un gruppo di leonesse coricate di fronte a una delle grandi finestre, intente a conversare e leccarsi reciprocamente.

Uno dei felini scopre le zanne all’indirizzo dei disturbatori e sbatte nervosamente la coda. Il flusso di collera e voracità è un lampo accecante, subito represso quando una delle sue compagne la colpisce gentilmente sul muso.

La leonessa si rovescia sulla schiena e torna alle chiacchiere con le amiche.

I bambini continuano a correre. 

 

Lasciarli liberi così…

Un atteggiamento insensato, da parte dei genitori.

Insensato e molto imprudente.

 

avanti indietro avanti indietro avanti indietro avanti indietro

 

Non c’è neppure la speranza che la confusione si plachi con l’avanzare della sera.

Nella città porto non c’è differenza fra giorno e notte. L’attività non si interrompe mai, le navi giungono e partono in qualsiasi momento, la folla è un flusso sempre uguale, nella sua infinita differenza.

A scandire le ore ci sono solo i programmi di viaggio e per chi proviene da un altro universo non ha senso riferirsi al tempo locale di un pianeta.

 

La sirena riemerge e smuove delicatamente l’acqua con la coda verde e viscida, richiamando la sua attenzione.

 

 

* * *

 

 

Abbraccia le loro menti e ognuna di quelle menti comprende anche quelle dei propri famigli.

Le contiene tutte nella morsa del suo pensiero, collegate in modo da farle agire come la mente di un unico organismo.

Li tiene come terrebbe delle farfalle fra le mani, senza stringere troppo per non schiacciarle, senza allentare troppo la stretta per non farle fuggire.

Fuggiranno ugualmente. Non può trattenerli, non può legarli, non può unirli. A meno di distruggerli.

Può solo, per un po’, far credere loro di essere una sola cosa.

 

E’ una fune di fili avvolti su fili. Un insieme più forte della somma delle parti.

due in uno

E’ un coro. Voci diverse, ognuna si aggiunge e porta il suo contributo alla sinfonia, a comporre un suono impossibile per una sola voce.

tre in uno

E’ una sinergia.

molti in uno

 

I loro sensi diventano suoi.

Diventa loro, diventa tutti.

 

La rete mentale si allarga nello spazio e sul pianeta.

 

 

* * *

 

 

Le leonesse smettono di conversare per osservare qualcosa al di là delle vetrate ricurve. Anche i due bambini si fermano e richiamano i genitori perché vengano ad ammirare con loro quel fenomeno.

 

Dove non è coperto di nubi, pennellate e veli ondeggianti di luce verdastra danzano nel cielo notturno.

 

 

* * *

 

 

Il tempo è stato rappresentato come un fiume, come una corrente, come un’onda. E’ stato figurato come una ruota, una serie di eventi ciclici e ripetuti, oppure come una continuità lineare e misurabile di circostanze, messe in fila come perle di una collana. E’ stato immaginato come un albero, con un tronco da cui diparte un numero infinito di rami.

Innumerevoli razze e culture hanno dato la loro interpretazione del tempo.

Luxord non immagina il tempo e non usa né parole né concetti per descriverlo. Sa com’è.

Una cosa, però, può dirla.

Il tempo è plastilina. Può essere modellato.

 

 

* * *

 

 

Per un istante, il flusso empatico in cui è immerso si è interrotto.

Non solo il continuo e soddisfatto ronfare mentale della sirena. Tutto. Quello della persona di fronte a lui, su cui è concentrato, quello di fondo delle entità presenti nel porto, persino il substrato emotivo più o meno forte, più o meno mutevole, più o meno comprensibile, ma sempre presente, del pianeta, formato dalla somma di tutte le creature viventi su e intorno a esso.

 

Impossibile.

 

Eppure, l’interruzione c’è stata. E’ stato come l’effetto risultante dell’emissione di due armoniche di uguale frequenza in antifase. I suoni si sono annullati.

Il lavoro di traduttore al porto dimensionale non consente errori e non percepire le giuste sensazioni è la prima fonte di errori, quando si ha a che fare con alieni. Deve capire cosa ha causato quella sospensione di segnale.

Hō’ike si scollega dal pensiero della cliente per effettuare una ricognizione dello spazio mentale.

Tanto, la creatura non se ne accorgerà.

 

Si porta istintivamente una mano alla fronte, accecato.

 

Non un errore. E’ stata un’interferenza.

Nel mondo mentale si è generata una singolarità, un punto infinitesimo. E’ la sorgente dell’armonica negativa che ha cancellato le frequenze empatiche e provocato il vuoto nello spettro emotivo planetario.

La singolarità esplode.

Un lampo. Non di luce. Di buio.

 

Impossibile.

 

L’onda di disturbo si spiega e si espande in progressione esponenziale.

 

 

¿cosa?

 

 

Lo hanno avvertito tutti coloro capaci di addentrarsi nel mondo mentale. L’etere si riempie di confusione, curiosità, stupore.

 

 

¿cosacosacosacosacosacosacosa?

 

 

Diventa cosciente che alcuni dei presenti nel porto si stanno meravigliando per un’aurora boreale. Registra l’evento e lo accantona.

 

Il fronte d’onda della singolarità lo investe insieme al suo mondo e cancella le domande.

La dimensione mentale si ottenebra, inghiottita da un velo d’ombra.

Poi, il tempo si interrompe.

 

 

* * *

 

 

La rete che cabla le comunicazioni planetarie subisce un arresto. In casi simili, i sistemi suppletivi si riattivano con un ritardo dell’ordine dei picosecondi.

Questa volta non si riattivano più.

E’ un’interruzione nella continuità temporale. Istanti o anni, è ininfluente. Luxord dilata quell’atomo di tempo per dare alla sua gente tutto il tempo che occorre.

E c’è lo spazio e anche lo spazio può essere plasmato, ripiegato, compattato.

 

Al limite superiore dell’atmosfera, la nave rilascia uno sciame di piccoli moduli, come uova di un corallo nella corrente.

 

Due figure ammantate di nero, avvolte in gusci di fulmini e correnti di plasma incandescente, si materializzano nella ionosfera, l’una agli antipodi dell’altra, alle estremità opposte di una perpendicolare all’asse che unisce i poli magnetici del pianeta.

Nubi di elettroni ad alta energia e di fotoni frangono l’uno con l’altro. Ultrafili di Luce si spiegano in strutture a ragnatela espanse in ogni dimensione locale di quell’universo.

 

Uno sciame di vascelli di cristallo bianco emerge dal Mondo in Mezzo.

I satelliti globulari si insediano nelle orbite stabilite e iniziano a trasmettere rilevamenti alle navi.

 

Nello spazio contratto, nel tempo dilatato, gli eventi diventano simultanei. L’attacco è contemporaneo su tutto il pianeta.

 

 

* * *

 

 

L’atmosfera del pianeta si è trasformata in un maelström di luci accecanti in migliaia di colori, una tavolozza rimescolata da un moto incessante e frenetico.

La luminosità non proviene da nessuna fonte. E’ l’aria che genera luce. E’ diventata, essa stessa, luce. Le ombre sono completamente obliterate.

 

Nella luce, compaiono strane forme. Sagome pallide dalle proporzioni così improbabili da farle sembrare disegni surreali. Zampe raptatorie di mantide, lame invece di arti, teste senza lineamenti. E movimento.

Un movimento continuo, erratico, apparentemente casuale. Sembrano non esistere neppure sempre in questo mondo. Slittano dentro e fuori dalla dimensione e non è possibile prevedere dove appariranno l’istante seguente.

Nonostante la sua familiarità con creature di ogni genere, non riesce a definirle altro che cose. Spettri. Incubi.

 

corri

 

Hō’ike non ha mai creduto di poter avere paura della luce.

 

 

* * *

 

 

Vento.

Un sibilo. Un fischio. Un urlo.

Alza la sabbia, i sassi. Solleva l’acqua, la spezza, la riduce in gocce. Trasforma le gocce in aghi, la sabbia in chiodi.

Ogni ago e ogni chiodo porta via un frammento di pelle, carne e ossa.

Coloro che ne sono toccati si sgretolano e si sciolgono e adesso il vento porta via anche aghi di sangue e lascia dietro corpi scarnificati.

Al centro dell’uragano, una figura nera e sei vortici. Soffiano come nidi di serpenti e ruggiscono come draghi.

I vortici si allargano, coprono terre e mari. Trascinano con sé correnti di aria incandescente, cenere e rocce vaporizzate, roventi flussi piroclastici.

Il respiro del pianeta diventa fame.

 

 

* * *

 

 

corri

 

Una moltitudine di creature di forme, masse, dimensioni diverse, si riversa in una fuga spontanea e incontrollata nelle strade della città scavata nella montagna, a quel punto trasformata in una trappola.

I fuggiaschi incespicano e si intralciano a vicenda e sbattono contro gli ostacoli sul loro cammino. La luce li rende ciechi quanto l’oscurità.

Esseri biancastri li fiancheggiano. Si lanciano fra loro, li falciano con arti simili a rasoi.

Un gruppo di soldati coperti da pesanti corazze schermate combatte contro quelle figure bianche. Alcuni cercano di indirizzare i civili e coprire loro la fuga.

 

Hō’ike fa di tutto per restare in mezzo alla folla. Fra tanti, le probabilità che attacchino proprio lui diminuiscono.

Si ritrova sbatacchiato tra corpi multiformi, trascinato dalla massa stessa. Ha intravisto la Direttrice Hane’elekia. Per un po’ hanno corso insieme, ma, in qualche momento durante la fuga, sono stati separati e, in un istante, lei è sparita.

 

L’attacco è stato talmente rapido che può essere definito istantaneo. Non c’è stata transizione. Non è che non riesce a ricordarla. Non c’è stata.

L’istante prima tutto appariva normale. L’attimo dopo il pianeta era in fiamme.

Solo quel lampo telepatico che ha oscurato il mondo mentale, ma nel mondo mentale il tempo è differente. Al di fuori, non è stato avvertito nulla.

Come se il tempo avesse effettuato un salto tra una condizione precedente e una successiva, dimenticando tutto quello che ci sta in mezzo.

 

L’aurora boreale. C’è stata l’aurora.

 

Gli brucia la pelle, come se fosse scaldata dall’interno, e ha un po’ di nausea.

 

Uno dei profughi, una creatura simile a un’aragosta dalle dimensioni di un cavallo, usa le chele taglienti, i palpi buccali e la corazza chiodata per passare attraverso coloro che si frappongono fra lei e la via di fuga. Gli esseri più fragili e lenti sono schiacciati contro i pavimenti e le pareti.

Un soldato apre il fuoco e la creatura si consuma in una fiammata azzurra.

Lampi di energia mentale si confondono nella luminosità diffusa, ma sono deboli. Si disperdono nell’interferenza che ottunde l’etere. Si è in gran parte dissipata, ma non consente una focalizzazione fine.

Guerrieri dotati di facoltà metapsichiche impegnano i loro avversari con attacchi telecinetici e pirocinetici. Almeno quelli funzionano. Possono essere scagliati senza la sottigliezza necessaria alla fragilità della comunicazione telepatica.

Un’intera parete si scioglie, scorre e si risolidifica intorno agli esseri bianchi in una massa di plastica cristallizzata. Le creature ci passano attraverso.

Prima di essere del tutto completato, il processo di solidificazione si inverte e resta solo una pozza di plastica liquida.

 

Un bambino, uno di quelli che giocavano nella sala del porto, si scaglia contro una delle ombre bianche. C’è una fontana di sangue e il bambino è solo carne e fluidi organici che filtrano nel pavimento.

 

corri

 

 

* * *

 

 

Il mare si solleva. Le onde si rompono in schiuma. Si formano creste, prima solo dove frangono sugli scogli e sui bacini di ancoraggio, poi anche sulla distesa sabbiosa della spiaggia.

L’ultima onda non defluisce del tutto. Il riflusso rallenta e si interrompe, l’acqua si solleva, assume una forma, umana e grondante.

Mormora fra sé, una specie di mugolio musicale.

C’è un suono di risucchio e il mare si ritira in sé stesso. Si scopre tutta la spiaggia, il bagnasciuga e bassi fondali, e le acque continuano la loro fuga.

L’oceano sembra scomparire.

I pesci, sorpresi dalla secca improvvisa, sussultano in agonia.

All’orizzonte, cresce una muraglia d’acqua.

 

 

* * *

 

 

Alla fine, Hō’ike ha abbandonato le moltitudini in fuga. Ora, la sicurezza del restare in mezzo a una massa è inferiore al pericolo che essa stessa rappresenta.

I fuggiaschi non sopravvivranno in nessun caso. Se non saranno distrutti dai nemici, finiranno per farsi a pezzi da soli. Oppure saranno sterminati dai soldati.

Non può certo biasimare questi ultimi per avere aperto il fuoco sulla folla.

Alcune di quelle creature sono dotate di un armamentario naturale letale, che usano istintivamente nel momento in cui si trovano in pericolo. Contro gente con cui, fino a pochi minuti prima, hanno conversato. Ma, adesso, non pensano più. Sono solo paura cieca e tutto quello che si para davanti al loro cammino è un nemico da spazzare via, compresi coloro che cercano di difenderli.

Fanno quasi più vittime degli stessi attaccanti.

Meglio tentare le vie secondarie che precipitarsi lungo le grandi arterie principali e finire schiacciati o dilaniati.

Nel mare di luce allucinata ha seguito tentoni le pareti, sino a quando non ha raggiunto la prima rampa di scale e ha cominciato a scenderla, tenendosi aggrappato al corrimano.

 

Come si è salvato sino a quel momento, non ne ha idea.

Forse grazie all’abitudine a controllare i propri pensieri, a tenerli ben distinti da quelli di coloro che incontra. A non essere travolto da emozioni estranee. A non essere travolto da emozioni di nessun genere, perché quando si ha a che fare con alieni, le emozioni possono rappresentare una rovina.

Di quello può essere orgoglioso. Non avere perso il controllo, non essersi lasciato andare al panico, non arrendersi alla follia che ha seguito l’arrivo delle cose bianche.

Non avere fatto come quelli che si sono lanciati contro di esse, urlando rabbia e uccidiuccidiuccidiuccidi e, urlando, sono morti.

Sono stati tanti. Più di quanti avrebbe mai creduto possibile. Non solo coloro appartenenti a specie naturalmente aggressive. Anche quelli che avrebbero dovuto solo tremare, di fronte a esseri simili.

 

Potrebbe persino essere sopravvissuto grazie alla stessa nova mentale che ha offuscato le sue capacità telepatiche.

E’ stato come muoversi in una nebbia fitta e, forse, non è riuscito a percepire quello che hanno provato quelle persone.

Almeno, non ha dovuto ascoltare le grida di morte di tutte quelle creature intrappolate, ma, adesso, la nebbia psichica si è dissolta qual tanto che basta perché, anche se la comunicazione è ancora impossibile, la visione casuale e caotica non sia altrettanto repressa.

Gli arrivano immagini.

Sono solo pensieri vaganti, scene fissate negli occhi di testimoni quasi certamente già morti, trasmesse nell’etere come testamento.

 

Il pianeta è perduto. Su questo non ha dubbi.

Non arriveranno aiuti. L’immediatezza dell’attacco, la nova mentale e il crollo dei sistemi hanno impedito l’invio di messaggeri negli altri Mondi e qualsiasi comunicazione nei pianeti abitati di questo stesso universo, così come hanno inibito ogni forma di difesa coordinata, ammesso che sia mai stata possibile, o ce ne sia mai stato il tempo.

Hanno accecato il mondo. Lo hanno reso sordo.

Coloro che usano il pianeta come svincolo per navigare fra le dimensioni si accorgeranno presto dell’accaduto, ma non abbastanza presto. Chi si trova qui, è solo.

Possono scappare dove vogliono. Quelle cose appaiono dovunque. Non ci sono aree da difendere, né luoghi dove nascondersi.

 

Diluvi di fulmini, mirati come se fossero guidati da una volontà senziente, si abbattono sugli approdi.

 

Vagamente, capisce la tecnica dei loro aggressori. Il terrore è solo una delle armi che usano. Un’arma efficace, che alimenta sé stessa.

Non hanno intenzione di catturare un mondo popolato. Vogliono la sua posizione ed è un’operazione di pulizia, quella che effettuano. Il che significa che non c’è possibilità di arrendersi o trattare.

Il solo modo per salvarsi è lasciare il pianeta e per il solo modo per lasciare il pianeta è salire su una delle navi in decollo. Ma i moli sono al livello del mare e, per arrivare a quel livello, deve scendere la città piano per piano. A piedi, perché ogni sistema elettromagnetico è saltato, compresi gli ascensori.

In queste condizioni, credere di percorrere chilometri di scale e corridoi è irreale. Comunque, le navi non possono effettuare il salto dalla superficie e non sa quante, di quelle in grado di partire, siano ancora ormeggiate.

Tanto, non ci pensa.

Raggiungere una nave è un traguardo nebuloso posto in un futuro improbabile, anche questo non lo trattiene dal provarci.

A non fare nulla, si pietrificherebbe nella paura. Invece, così, riesce persino a ragionare con lucidità.

Basta solo limitarsi alle azioni concrete.

Scendere una rampa di scale. Arrivare a un livello. Cercare ed evitare presenze nemiche, o anche amiche, perché in questo momento c’è poca differenza fra le due cose.

Sopravvivere ogni secondo successivo al presente.

 

Il mare si solleva in successioni impossibili di onde anomale.

 

Il dorso delle mani è diventato nero a causa di emorragie sottocutanee e di bizzarre ustioni. In alcuni punti, l’epidermide comincia a staccarsi in sfoglie accartocciate.  

Radiazioni.

La luce significa solo quello. Le pareti rocciose che proteggono questa città scavata nella montagna servono a poco contro quella forma di radiazioni, originate non da una sorgente esterna, ma da un’alterazione del tessuto dell’universo.

Radiazioni e l’eccesso di energia psichica che affoga il mondo e si riflette a livello somatico sui più sensibili.

 

Il vento trascina con sé fiumi di fuoco.

Città travolte da cascate di cenere e gas vapori roventi, masse piroclastiche che cancellano tutto quello che incontrano.

 

Il pianeta è perduto perché è il pianeta stesso a rivoltarsi contro coloro che lo chiamano casa.

 

Si prepara a percorrere una nuova rampa di scale.

Non è neppure sicuro di salire anziché scendere.

 

 

* * *

 

 

La risposta all’attacco è stata rapida, per quanto dispersa e disorganizzata.

Ci sono eserciti muniti di armi al plasma e sistemi robotizzati guidati da apparati di navigazione laser. Armamenti sopravvissuti alla marea fotonica iniziale, che ha messo in ginocchio le comunicazioni artificiali e il grosso delle difese.

Anche se quei meccanismi sono schermati, non sono isolati. Non possono esserlo, per essere attivi.

Sono tutti dipendenti da impulsi elettromagnetici e tutto quello che è elettromagnetismo è la più pura manifestazione di Luce esistente negli universi.

 

cambio configurazione

 

Roxas discende dai cieli. Dove posa piede, la terra si vetrifica.

 

I difensori del pianeta si trovano a contrastare il nemico sbagliato con le armi più inappropriate possibili. Lo combattono con un’espressione della sorgente stessa del suo potere.

Il ragazzo salta di continente in continente con un pensiero, interrompe i flussi ondulatori che danno vita e sensi a quelle armi e i pesanti automi cadono ciechi e sordi.

Restano le forza umane, ma sono un ostacolo minore.

Sono lenti, tutti loro. Lenti nel muoversi, nel vivere, nel pensare. E’ come se fossero fermi.

Sono fermi, per Roxas.

Anche senza il teletrasporto, si muove a una velocità tale da renderlo, per quegli esseri, onnipresente. Lo percepiscono solo come una scia indistinta di luce. Molti non lo percepiscono proprio.

Passa fra le folle di nemici, li colpisce con tocchi così lievi che quasi li sfiora soltanto. La velocità trasforma il suo tocco in una forza devastante. Le ossa si frantumano come cristalli colpiti da una pietra, i muscoli si riducono a masse gelatinose, gli organi si disintegrano.

Alcuni li afferra e li trascina con sé nella sua corsa. I loro corpi si vaporizzano per il calore e l’attrito. Altri, travolti da quel calore, cadono senza neanche essere toccati. Quello che collide contro di lui si dissolve contro il guscio di Luce che lo avviluppa.

Non ha neppure evocato i keyblade.

 

 

* * *

 

 

Una cosa gli blocca la strada. Una delle cose comparse dal nulla.

Nella luce, non ne distingue bene i dettagli, ma quello che vede è anche troppo.

Ha braccia spropositatamente lunghe e le usa come trampoli per sostenere un corpo grottescamente gracile, da embrione malformato.

Vorrebbe poter ridere per l’aspetto di quell’essere, come ha riso spesso per l’aspetto dei viaggiatori. Fra sé, almeno, o con i suoi colleghi. Mai, naturalmente, in faccia a loro.

Ma non è possibile.

 

uccidi

 

E’ un’implorazione.

 

Deve allontanarsi, scappare, mettere più spazio che può fra lui e quella cosa.

 

uccidiuccidi

 

E’ un ordine.

 

Piega le dita come fossero artigli.

 

uccidiuccidiuccidi

 

E’ un imperativo.

 

E’ logico avere paura di esseri sconosciuti che emergono dal nulla per distruggere. E’ logico anche odiarli.

Quando se ne ha tempo. Quando se ne ha modo.

Non è così logico provare verso di essi un odio e una rabbia capace di superare ogni istinto di sopravvivenza.

Non è logico sentire urlare quella voce nella propria testa – nel proprio Cuore – e uccidiuccidiuccidi

 

Il mostro dondola con un moto nauseante, bilanciandosi su quei suoi arti ridicoli.

E’ come vedere il disegno di un oggetto a quattro dimensioni. Solo una rappresentazione che non può, neppure lontanamente, abbracciarne la completezza.

 

E’ sicuro che ascolterà quell’ordine perentorio e si lancerà contro la cosa per farla a pezzi e sarà lui a morire.

 

UCCIDIUCCIDIUCCIDI!

 

 

* * *

 

 

Fiammelle bluastre danzano sull’estremità di ogni oggetto appuntito, ma scompaiono nella luce abbacinante, anche se qualcuno fosse tanto attento da accorgersi di esse.

 

Larxene guarda il cielo e le correnti convettive che percorrono i nembi come grovigli di vene in un corpo, spinte dal vento, nutrite dal calore.

Così è più semplice. Non obbligare le forze della natura, solo guidarle, solo sostenerle. Correre con esse.

Lasciare che seguano il loro corso, ognuna conseguenza delle altre, interdipendente da esse.

Un organismo unitario.

 

Il gradiente elettrico fra terra e cielo cresce.

 

Le onde di Luce interferiscono anche con lei, ma ora non ha bisogno di precisione.

E’ una tempesta elettrica, quella che si scatena, e colpisce a caso.

 

 

* * *

 

 

Qualcuno spara contro il mostro. E’ uno dei soldati corazzati, forse rimasto isolato dal resto dei suoi compagni.

I proiettili trapassano il bersaglio senza causare alcun effetto evidente, se non che la creatura volge la sua attenzione all’aggressore e questo va bene, perché la distoglie da lui.

L’essere dondola sulle braccia a trampoli, sulle mani a forma di ventosa. Ma quelle mani si espandono al suolo e scorrono in rivoli liquidi. Ricorda un’ameba che allunga i suoi pseudopodi verso un protozoo. E il paragone non è così azzardato. La massa della cosa defluisce lungo le braccia, nelle mani, negli pseudopodi, si rimpicciolisce, diventa un gomitolo di filamenti sottilissimi. Poi, quei filamenti si scagliano sul soldato, lo avvolgono e scompaiono, assorbiti dalla corazza.

Quelle armature sono schermate da scudi energetici, ma forse sono inattivi a causa delle radiazioni o, forse, quell’entità non ha niente a che vedere con l’energia. Forse quelli in cui si è trasformata sono solo fili materiali, troppo sottili per essere fermati dalla corazza e troppo corporei perché siano bloccati dai campi.

Il volto dell’uomo, la sola cosa visibile attraverso il visore trasparente, si contorce. I filamenti lo stanno avvolgendo e penetrano la pelle come hanno attraversato gli strati di ceramica e metallo.

Il soldato esplode all’interno della sua armatura. La tuta loricata cade in una pila di elementi che subito si ricopre dello stesso groviglio di fili bianchi che tornano a riunirsi, mentre il mostro riemerge in un’inversione della scena precedente.

 

Hō’ike non resta ad aspettare che termini di liberarsi dalle spoglie della sua vittima.

 

corri

 

Verso i corridoi interni, lontano da quella cosa, lontano dalle scale che portano ai livelli inferiori.

Corre fino a quando lo stomaco si trasforma in liquido.

Vomita spasmodicamente. Bile, schiuma, sangue e frammenti membranosi che preferisce non considerare, perché sembrano un po’ troppo pezzi di sé stesso.

Quando i conati terminano, non riesce più neanche a reggersi in piedi e striscia in una strada secondaria, quella più buia che riesce a trovare. Che non è buia, ha solo un grado di luce abbacinante in meno.

Ci sono dozzine di schermi. Addobbano strade, vetrine, pareti. E’ in uno dei livelli commerciali della città, quell’ibrido fra un accampamento e un mercato perenne. Una volta – qualche ora prima – gli schermi trasmettevano immagini e musica per invogliare turisti e acquirenti.

Ora sono spenti.

 

fermati

 

Rimane immobile. Cerca di trattenere persino il respiro.

Come quando era bambino e, di notte, si tirava le coperte sulla testa per tenere lontani i mostri che, sicuramente, strisciavano nell’oscurità della sua camera da letto.

Un’infinità di mostri tentacolati e zannuti.

Gli scricchiolii e le vibrazioni che si sentivano erano la prova che quei mostri si muovevano e lo cercavano, nella terra selvaggia in cui si trasformava la sua stanza quando si spegnevano le luci e le voci del giorno.

Se si fosse mosso, si sarebbero accorti di lui. Ma la coperta era un fortino sicuro. Lì era invisibile, se restava fermo, se non si scopriva la testa.

 

riposa

 

 

* * *

 

 

Le navi avanzano, sprezzanti nella forza del loro numero e della loro potenza. Scavano ferite nella pelle dello spazio.

Xigbar/Luxord pizzicano e torcono quella membrana elastica.

Sbocciano miriadi di singolarità gravitazionali. Le navi si distorcono sotto l’influenza delle forze di marea e si lacerano quietamente nel silenzio.

 

Altri vascelli armati vogliono abbandonare il pianeta.

Basta moltiplicare il tempo nell’equazione della loro accelerazione.

Le navi non possono raggiungere la velocità che permetterebbe loro di allontanarsi dall’attrazione gravitazionale del mondo o di entrare in orbita intorno a esso, e ricadono sulla superficie.

 

 

* * *

 

 

Non ci sono più soldati, né fuggiaschi. Restano le ombre bianche, sparpagliate dovunque. Adesso, però, non saltano, non strisciano, non si spostano. Sono immobili, eccetto quell’ondeggiare ripugnante, e tutte hanno le teste deformi girate verso stessa direzione, il centro di una delle strade, un’area ristretta dove la luminosità è più intensa.

Hō’ike si risolleva dall’angolo in cui si è nascosto. Non si azzarda ad allontanarsi. Rimane solo a guardare quegli esseri, inebetito e perversamente affascinato dal loro oscillare, dal mutare del paesaggio nell’alternarsi troppo veloce di nubi di luce colorata, fino a quando un suono gracchiante spezza il silenzio.

Gli schermi trasmettono linee di statica.

Non dovrebbero. Non devono. Non ci sono più fonti di energia nella città, o nel mondo intero.

 

C’è qualcosa in mezzo al riverbero, proprio nel punto dove le creature sono rivolte.

Sono prima solo linee sottili, interruzioni nere delle masse cromatiche di luce. Ma quegli scarabocchi emergono man mano dall’oceano abbacinante, prendono corpo e aspetto e si muovono per la strada della città morta.

Due esseri umanoidi, coperti di nero, incappucciati di nero. La severità degli abiti è contraddetta dai loro passi. Camminano come leoni in una savana.

I mostri riacquistano vita e li attorniano in una corte di incubi.

 

I microfoni gracchiano impazziti.

 

Una delle due figure è scomparsa.

Campanelli d’allarme che non sapeva neppure di avere suonano all’impazzata ed è travolto da una zaffata di un odore pungente che non ha nulla a che fare con l’olfatto.

Odore di paura e di quelle cose che, qualche volta, si vedono con la coda dell’occhio negli angoli in ombra e sulle pareti e, quando si guarda attentamente, si scopre che non c’è nulla.

Si volta e l’essere è lì, a due passi da lui, accovacciato su un lampione alle sue spalle.

Ha la testa scoperta, adesso, il cappuccio ricaduto sulla schiena. Hō’ike resta un po’ sorpreso nello scoprire che è un ragazzo giovanissimo, quasi un bambino. Biondo, delicato come una di quelle costose bambole di seta e porcellana importate dalla Terra dei Draghi, con occhi come gli occhi di una pantera rabbiosa.

 

Non lo ha visto muoversi. Sa solo che l’istante prima era lontano, un’ombra fra la luce, e ora è proprio di fronte a lui.

Il suo equilibrio è impossibile. Sull’estremità del lampione, il corpo lievemente curvo in avanti, come se fosse pronto a saltargli addosso, la braccia mollemente penzoloni fra le ginocchia piegate. Non esiste modo per cui non cada e questa è la cosa più orribile di tutte. Dà la vera misura di quanto questo ragazzo sia differente.

Non un ragazzo. Sembra un ragazzo, ma è una somiglianza solo superficiale e neppure tanto buona.

 

uccidiuccidiuccidi

 

Non sbatte le palpebre. Ha lo sguardo fisso di un pesce.

Sorprendente quanto sia spaventosa la mancanza di un gesto tanto automatico da essere, in realtà, quasi inavvertibile.

Non è possibile scambiarlo, anche solo per errore, per un essere umano.

E’ come la cosa bianca.

 

uccidiuccidiuccidi

 

Hō’ike allunga cautamente propaggini di pensiero e quello che incontra è lo stesso vuoto emotivo percepito appena prima dell’attacco al pianeta.

Si ritrae subito.

Non aveva capito, prima. Non ha avuto modo e tempo per capire. Ora capisce.

 

corri

 

Una volta è sfuggito loro, ma Essi non hanno dimenticato e lo hanno inseguito. Sono usciti dalle ombre e hanno strisciato lungo la strada che porta a lui.

Ci hanno messo molto, a trovarlo. Tanti anni, ma non hanno mai perso la sua pista e, alla fine, sono arrivati.

I mostri lo hanno raggiunto.

 

Corri!

 

Non è come lo aveva immaginato con la fantasia di un bambino. Non un orrore tentacolato e viscido e deforme e rivestito di tenebre. Ha un volto giovane e innocente e porta la Luce.

E’ molto più alieno della cosa bianca.

 

CORRI!

 

Retrocede. I primi passi li fa lentamente, poi è una fuga precipitosa.

Il ragazzo - cosaMOSTRO - resta immobile, in bilico sul lampione, lo sguardo fisso a dove lui si è trovato fino a qualche istante prima, indifferente alle sue azioni.

 

CORRI!

 

Fino ad arrivare al pozzo centrale che attraversa tutta l’estensione della città, ed Esso gli è davanti, a sbarrargli la strada e, ancora, Hō’ike non ha visto come si è mosso.

L’essere ha la testa leggermente sollevata per osservarlo in faccia. E’ così piccolo che gli arriva a malapena al mento.

Sembra una cosa inanimata, un manichino in grado di prendere vita e capacità di movimento quando non lo si guarda.

 

Fra le dissolvenze trasmesse dagli schermi, danzano immagini fantasma. Spettri e sagome filiformi.

Il gracidare dei microfoni ha assunto una componente di armoniche metalliche e ripetute. Schemi complessi, ma non cacofonici.

E’ quasi musica.

 

Lo credeva impossibile, ma la luminosità aumenta ancora.

Il ragazzino, ora, è una sottile barriera fra questo mondo e una dimensione di luce accecante.

E’ come guardare un oggetto di vetro traslucido davanti al sole.

 

Un velo rossastro gli offusca la vista. I suoni diventano rimbombanti e, insieme, smorzati. La stessa sensazione di quando si è sott’acqua. Sente il battito del suo stesso cuore e qualcosa gli bagna il collo.

Sangue. Perde sangue dagli occhi e dalle orecchie.

 

Gli schermi esplodono e riversano fumo e interiora di plastica. Esplodono finestre, vetrine, lampade e ogni singolo oggetto di materia a matrice cristallina. Poi si frantumano anche i frammenti, e i frammenti dei frammenti, in una catena di scomposizione progressiva, fino a quando resta solo una patina di polvere impalpabile e brillante che ricopre ogni cosa, lui compreso.

Ma quella cenere di cristallo non si deposita sul ragazzo. Gli orbita intorno, invece, e forma disegni, come limatura di ferro gettata su un campo magnetico.

 

Il sole brillabrillabrillabrilla come non mai.

Strano ritrovarsi a guardare il sole. Strano perché sono nelle viscere di una scogliera con nessuna apertura verso l’esterno.

Strano anche perché non ha più occhi per vedere.

 

L’universo intero è Luce e nella Luce si scioglie.

 

 

* * *

 

 

La prima volta che ha assistito a un’alba dallo spazio, Braig aveva cinque anni. Viaggiava con la sua famiglia, dal loro pianeta natale verso Radiant Garden.

La nave si era fermata nelle vicinanze di uno dei tre giganti gassosi del sistema solare, a una distanza sufficiente a permettere una visione completa del pianeta con i suoi anelli di ghiaccio e detriti. Avevano spento l’illuminazione della sala panoramica del vascello e sua madre lo aveva preso in braccio.

Lo spazio era un buio disseminato di luci, interrotte solo dove la massa planetaria eclissava le stelle. Poi era successo qualcosa. Gli anelli del grande pianeta si erano accesi. Non tutti insieme, non come un flash. Invece, un’onda di luce si era generate da un punto al di là della mole del mondo e li aveva percorsi, spazzando via le ombre.

Infine, la stella aveva oltrepassare l’orizzonte planetario.

Ricorda tutto perfettamente. Con la trasformazione in nobody, molti dei suoi ricordi sono scomparsi, ma non quello.

Da quella volta, ha assistito allo spettacolo più e più volte. Questa è solo una delle tante, eppure, nonostante ciò, la scena non ha mai perso nulla del suo fascino. Ha solo aggiunto un grado di definizione maggiore, ora che lui non vede più il cosmo e le stelle solo con gli occhi.

Gli piace credere che quella prima aurora è stato il motivo per cui ha scelto poi la sua professione. Se è così, è anche la causa prima del suo stato attuale.

 

“Capisco perché ami tanto tutto questo, Xigbar.”

 

L’uomo distoglie l’attenzione dall’aurora, ignorando le informi masse contratte alla deriva che sono state navi, per rivolgerla al giovane avvolto in una postazione in parte scranno, in parte bozzolo di tentacoli metallici, filamenti luminosi e proiezioni olografiche.

Non è tempo di godere della grazia dello spazio.

 

“Allora, adesso mi dici che cazzo stai combinando?”

“Prego?”

 

La voce di Zexion risuona blandamente divertita.

E’ intento a scollegarsi dall’apparato da dove ha diretto e controllato il coro mentale e non è certo il momento adatto per discuterci, mentre fa ritrarre le terminazioni biomeccaniche dai suoi arti.

Ma, negli ultimi mesi, Zexion è sempre stato occupato con Oblio, con Roxas, con tutto il suo lavoro, dichiarato o meno, e da molto tempo Xigbar non ha occasione di trovarsi solo con lui.

Ora non ha intenzione di mancare quest’opportunità. Se la trascura, è sicuro che il telepate gli sfuggirà di nuovo. E si rifiuta di chiedergli un incontro, nemmeno dovesse supplicare un’udienza con un re. Sarebbe solo dare a Zexion un vantaggio di cui non ha proprio bisogno.

 

“La favola che hai raccontato. Riuscire a fissare la nostra condizione. Niente più paura di degenerare o di svanire nel nulla. Ti rendi conto di cosa hai causato?”

“Ti disturba la teoria in sé o il fatto che l’ho esposta a tutti? Avrei dovuti riservarla a noi sei?”

“Sicuramente avresti creato meno scompiglio.”

“Se mi fossi limitato al nostro circolo privato, cosa sarebbe successo? Quello che è successo quando ho cominciato a parlarvene cinque mesi fa. Niente.”

“Così, invece, hai ottenuto di far andare Xemnas fuori di testa.”

“Xemnas deve imparare a rilassarsi o quelle sue emicranie non passeranno mai.”

“Non scherzare. Non è il momento.”

“Sei geloso del nostro territorio, Xigbar? Perché avrei dovuto tenere la cosa per noi?”

 

Zexion non sembra manifestare effetti collaterali negativi della spaventosa quantità di energia che ha veicolato, plasmato e diretto.

Tutt’altro.

Appare…

 

Appagato.

Soddisfatto.

 

Felice?

 

Eppure, questa volta, il suo ruolo avrebbe dovuto essere il più stremante.

Xigbar sa di essere stato parte di un’unità, eppure non ne serba ricordo. Nessuna sensazione di sdoppiamento, nessuna percezione estranea, nessuna alterazione fisica o psichica. Sapeva cosa fare, in risposta a ordini telepatici – tranne quella nuova, facile sensazione di onnipotenza, quando non sei più stato qui-e-ora, ma ovunque-e-sempre, non limitato a piccoli, puerili trucchi - che, per quanto lo riguarda, avrebbero potuto benissimo essere sue decisioni individuali.

Tutti loro non hanno fatto niente di diverso di quanto fanno di solito. Almeno, è stato così nella propria realtà soggettiva.

Pedine consapevoli di esserlo, ma senza coscienza di essere pedine.

Zexion no.

Lui si è dovuto assicurare di non stressare gli elementi del coro, non ridurre la loro efficienza, non mettere a rischio la loro incolumità. Ha dovuto far sì che non fossero distratti dalla battaglia, eliminare ogni elemento di disturbo e qualsiasi moltiplicazione di percezioni.

Lui ha dovuto preoccuparsi che nessuno finisse cortocircuitato dall’eccesso di informazioni o dalla loro estraneità, e impedire che si perdessero gli uni negli altri, incapaci di separarsi.

Lui ha dovuto dipanare i fili della rete mentale, ricevere segnali provenienti da sorgenti differenti e ritrasmetterli a tutti gli altri, selezionati, filtrati e modificati affinché risultassero comprensibili.

Lui ha dovuto coordinare i movimenti di ognuno, mantenere coscienza di tutti loro contemporaneamente e, intanto, restare consapevole delle variazioni ambientali e delle risposte da dare.

Dovrebbe essere, perlomeno, stanco. Ma, forse, dal suo punto di vista, è come se avesse appena finito un pasto particolarmente nutriente.

No. Non è proprio il momento adatto per affrontarlo.

 

Non ricorda quando ha cominciato a pensare a Zexion come qualcosa di antagonista a lui, qualcosa che deve essere studiato per accertarne punti deboli, ed è una considerazione disturbante. Anche se non abbastanza da volerla negare. Non è così imprudente.

 

Il giovane scollega l’ultimo terminale, si spolvera delicatamente il cappotto da polvere inesistente, accavalla le gambe e si appoggia allo schienale, in apparente contemplazione dello scenario. La plancia è un’isola galleggiante in uno spazio a mosaico. Sopra e intorno a loro, le pareti sono una cupola che proietta il pianeta e lo spazio circostante da diverse angolazioni, immagini sovrapposte a grafici e a un susseguirsi di dati.

 

“Tu non sai da che parte stare, vero, Xigbar?”

“Quindi è già tutto deciso. Ci sono parti tra cui scegliere.”

“Naturale che ci sono parti.”

“Allora spiegati. Quali sono queste parti? Sarò stupido io, ma non capisco perché dovrebbero esserci parti, fra noi.”

“I topi sono neofobi, sai?”

“Scusa?”

“Hanno paura delle novità e dei cambiamenti. Tutti i topi. E’ una loro caratteristica psicologica, costante in ogni topo, di qualsiasi specie, in qualsiasi universo.”

“Siamo finiti a parlare di topi, adesso?”

“Topi e neofobia. Sono argomenti importanti. La questione più importante degli universi. I Mondi ci sono rimasti invischiati nel modo peggiore. Se io avessi ragione, quale sarebbe la prima conseguenza?”

“La guerra finirebbe.”

 

Il telepate abbandona il seggio per dirigersi alla consolle di comando.

In uno dei triangoli sferici in cui è divisa la volta olografica, è tracciata la posizione di ogni singolo corpo nello spazio che li circonda. Molti di essi sono navi in fuga, una corsa precipitosa per raggiungere una finestra di salto dimensionale.

La gravità di qualsiasi massa si estende all’intero universo e oltre. E’ una forza capace di superare le dimensioni, proprio come il pensiero. Solo gli esseri viventi, solo alcuni esseri viventi, sono in grado di aprire e attraversare le porte fra i Mondi anche mentre sono prossimi a un campo gravitazionale intenso come quello sulla superficie di un pianeta. Ma le navi sono soltanto macchine, non possono fare quello che fanno loro. Per traslarsi, devono allontanarsi da ogni campo gravitazionale significativo. Devono immergersi nello spazio.

 

Zexion evidenzia il segnale di uno dei vascelli umani, uno di quelli in fuga dalla superficie, seguito e preceduto da due linee luminose e colorate. In blu la traiettoria della rotta percorsa fino a quel momento, in rosso quella estrapolata.

 

“La guerra non finirebbe. Se avessi ragione, sarebbe solo la comprova che non c’è modo di convivere in pace. Ma, almeno, finirebbe questa guerra e la prossima avrebbe molto più senso.”

 

Una seconda nave, una delle poche navi armate ancora sopravvissute della flotta umana, vira languida.

Le rette che tracciano il percorso dei due vascelli convergono e si intersecano a una distanza di pochi secondi dal presente.

La nave dei fuggiaschi non tenta neppure una manovra elusiva, né alcuna azione di difesa.

 

“Stanno scappando.” mormora placidamente Xigbar.

 

Non ottiene risposta. Sullo schermo, i segnali consumano le linee rosse, colorandole di azzurro, man mano che si avvicinano al punto di impatto.

Le due navi si scontrano.

 

“Quanti erano, Zexion?”

“Milleottocentotrentasei.”

“Milleottocentotrentasei persone inermi.”

“Milleottocentotrentasei nemici in meno.”

“Non potevano farti nulla di male.”

“Ora non potranno farmene mai più.”

“Tutta gente morta senza utilità. Dove è il senso?”

“Dov’è il senso nel permettere loro di vivere, senza utilità?” con un cenno della testa, Zexion indica una delle sezioni della volta “Guarda il pianeta, Xigbar. Cosa vedi?”

 

Sulla superficie, si addensano formazioni cicloniche di nembi, tanto vaste da coprire continenti interi. Il cuore dei cicloni risplende di fulmini bluastri.

L’intera magnetosfera brilla di aloni colorati. Il mondo è velato da immani aurore boreali.

In quell’istante infinito regalato loro da Luxord in cui le schermature sono state inattive, i terrificanti campi elettromagnetici rilasciati hanno distrutto buona parte delle difese dipendenti, in qualche modo, dall’elettronica e questo ha permesso di abbattere le altre difese.

Quando è riemerso da quell’attimo, il mondo si è trovato pressoché inerme.

Luxord ha proseguito con la sua opera, accelerando la velocità degli innumerevoli fenomeni ambientali scatenati e dei loro effetti.

In una manciata di ore, il pianeta ha subito una metamorfosi nelle sue condizioni naturali.

 

“Un’altra vittoria. Le mie congratulazioni.”

“Non è una vittoria.”

“Volevamo questo mondo e il mondo è nostro. Io la chiamo vittoria.”

“Facciamo un attimo il punto della situazione, Xigbar. Combattiamo contro un nemico che ci soverchia di numero in una scala tale che persino io fatico a considerarla. Ma noi utilizziamo gli heartless, che sono forniti proprio dal nostro nemico, quindi, fin quando avremmo avversari, avremmo forze disponibili e più gli avversari sono numerosi, più lo sono le forze da mettere in campo contro di loro, non importa quante ne distruggono. Anzi, la distruzione degli stessi contingenti che usiamo è lo scopo che ci prefiggiamo. Abbiamo innescato un sistema a nostro favore. Una situazione quasi ideale.”

“Ma?”

“Perderemo comunque. In ogni caso.”

“Perché, se abbiamo un sistema così efficace?”

“Secondo Marluxia, perché non abbiamo intenzione di vincere. Lui si è espresso in modo alquanto impreciso, ma il concetto è esatto, devo proprio dargliene credito. La maggior parte di noi sbaglia a stimare l’andamento della guerra. Il nostro sistema è basato sulla progressione geometrica degli heartless e il decadimento esponenziale degli avversari verso zero, con una costante di decrescita pari alla ragione di incremento degli heartless. Questo è uno dei problemi. Conduce a una valutazione errata. Ci fa credere di essere in guadagno, mentre in realtà, nel migliore dei casi, qualsiasi nostro successo è solo apparente. Non possiamo ottenere nulla più di un momentaneo pareggio. Se gli esseri umani perdessero decine di mondi per abbattere uno solo di noi, ugualmente avrebbero conseguito una vittoria. Per noi, ogni singolo caduto rappresenta una potenziale catastrofe. Non dovremmo tenere il conto di quanto guadagniamo e neanche del rapporto fra guadagno e perdita, ma solo di quanto perdiamo.”

“Come hai appena detto anche tu, le nostre forze ci sono fornite dal nostro stesso nemico. Quindi…”

“Non sono le nostre forze. Le usiamo, ecco tutto.”

“Ovviamente, ci sarebbero altri nobody.”

“Probabile. E con ciò? Se non ricaviamo almeno un solo nobody superiore da ogni mondo, possiamo, al massimo, essere in parità. Persino i nostri tentativi di generare nobody artificialmente non sono stati risolutivi. Troppi pochi esemplari e mai di rango superiore. E quale sarebbe il senso di avere nobody inferiori? Incrementare di qualche unità quelle poche centinaia che nascono ogni anno? Non farmi ridere. Ma, tanto, il fine di quel progetto non era aumentare il nostro numero, perché, in ogni caso, cosa avremmo ottenuto? Solo individui in più da riportare alla condizione precedente. Secondo l’attuale gestione, una sconfitta. Che razza di soluzione è quella che non fa altro che sommarsi al problema da risolvere? Il nostro scopo è far tornare umani i nobody. Cioè, nuovi bersagli per gli heartless, di cui noi stessi incoraggiamo la moltiplicazione. In pratica, cerchiamo di trasformarci in pecore per entrare in un recinto che riempiamo di lupi. E tieni conto che sto considerando l’ipotesi che noi si possa tornare umani. Cosa che, Marluxia e Roxas fanno notare, non è da ritenersi per niente scontata. Vedi, il nostro tentativo potrebbe risolversi o in un suicidio psichico generalizzato, oppure in un semplice fallimento. In quel caso… ci troveremmo in un universo sempre più saturo di ombre. E quante sarebbero le possibilità di sopravvivenza, allora? Il rapporto numerico fra noi e gli heartless è persino inferiore a quello che c’è fra noi e gli umani, perché dobbiamo mettere in conto anche quelli originati da forme di vita che nel loro stato primitivo non ci sono nemiche, e gli heartless sono un pericolo per noi più di quanto non lo siano gli esseri completi stessi, fosse solo che possono darci la caccia nell’Oscurità. Potrebbero persino saltare fuori altri Xehanort, altri Sora. L’universo intero potrebbe essere invaso dalle ombre, ogni essere completo preso da loro e avremmo solo scambiato un nemico con un altro, anche più potente, agguerrito e implacabile. Combattiamo forse per fare un favore agli heartless? Perché, in tutto questo, al momento sono gli unici a guadagnarci. Abbiamo questo mondo. Ci servirà per raggiungere altri mondi. A quale scopo? Ottenere qualcosa che, per quanto ne sappiamo, potrebbe distruggerci? Questa non è una vittoria. Al massimo, posso definirla un’esercitazione riuscita.”

“Mi sembra di ascoltare Marluxia. Eppure non sembravi così d’accordo con lui. A quel marmocchio non è sembrato vero di trovare uno di noi a condividere le sue idee. Hai fatto in fretta a gelargli l’entusiasmo.”

“Io vorrei davvero capire perché la gente, umani, nobody, a questo punto presumo anche gli heartless, sia così categoricamente convinta che chi non è d’accordo con una cosa, è necessariamente in disaccordo. No, non è vero. Non mi oppongo a Marluxia. Tutt’altro. Mi oppongo alla sua fretta, mi oppongo alla sua compiaciuta ignoranza, ma non alle sue idee. Mettiamolo subito in chiaro, nel caso avessi lasciato qualche dubbio in proposito. Adesso dimmi una cosa, Xigbar. Facciamo tutto questo perché vogliamo tornare umani?”

“L’ultima volta che ho controllato, sì.”

“Lo facciamo perché siamo troppo umani. Ancora troppo. Sappiamo benissimo, e lo abbiamo sempre saputo, che così come siamo non ci è concesso vivere. Quello che facciamo è cercare un rimedio. Il rimedio moderato, quello meno doloroso per tutti, perché, nonostante tutto, non è mai stata nostra intenzione combattere contro di loro, vero? Non è mai stata nostra intenzione far loro del male. Certo non è mai stata nostra intenzione causare vittime. La chiamiamo guerra, ma quanti pensano a quello che facciamo come a una vera guerra? Quanti di noi li considerano realmente nostri nemici e non, piuttosto, strumenti, mezzi, modelli da imitare? Vogliamo solo i Cuori, peccato che per avere quelli dobbiamo uccidere tanta gente. Uno sgradevole effetto collaterale. Se potessimo trovare un altro sistema… Gli esseri umani hanno una resistenza al cambiamento. La nostra natura, invece, è adattarci. Ci siamo adattati a una condizione considerata impossibile, esistiamo proprio perché siamo capaci di adattarci. Questo vuol dire cambiare. Eppure, la nostra umanità vestigiale ci spinge a evitare i cambiamenti. Combatte adattamenti che ci farebbero mutare ancora, fino a un punto dove potremmo imboccare una strada nuova, imprevedibile. Ci siamo adeguati al loro pensiero per poter continuare a esistere, senza essere cancellati né doverli cancellare. Perché, se fossimo come loro, tutto questo non sarebbe necessario. Chiamala coscienza, se vuoi. E’ solo una forma di attrito. L’unica ragione valida per lasciarli temporaneamente in vita è perché, alle attuali condizioni, il solo modo affinché nasca un nobody è da un essere completo. Condizioni a cui dobbiamo porre rimedio.”

“Quindi, la tua soluzione è proprio questa. Ero convinto che Xemnas esagerasse.”

 

Zexion scuote la testa e selezione l’immagine sovrapposta alla traccia di un’altra delle navi in fuga.

 

“Saremmo al sicuro solo in un universo abitato esclusivamente da nobody, una volta trovato modo di riprodurre la nostra specie.”

“Stiamo parlando di genocidio.”

“Credevo stessimo parlando di topi.”

“Stiamo parlando di genocidio. Mi correggo. Di estinzione.”

 

Il giovane sorride quasi con tenerezza.

Sorride come potrebbe sorridere qualcuno che scopre qualcosa per la prima volta. Potrebbe crederci persino lui, che lo conosce da quasi vent’anni, oppure solo da dieci, se Zexion ha davvero ragione, ma sono sempre comunque tanti anni, abbastanza da conoscerlo bene.

 

“Roxas crede sia possibile la coesistenza con gli esseri completi.”

“Allora ti consiglio di tenerlo lontano dagli altri Mondi.”

“Non è così sorprendente. Noi abbiamo solo comportamenti appresi. Se in modo diretto o dai ricordi ereditati dagli esseri umani, è ininfluente. Ma Roxas, a cosa può fare riferimento? A questa vita e basta. Lui osserva e impara dall’osservazione. Vede i popoli dei Mondi convivere, nonostante le loro diversità, compara le cose e si chiede ‘Perché non noi? Cosa ci differenzia?’. Un pensiero logico, una conclusione logica e, naturalmente, del tutto infondata. Applica un principio concettualmente errato. Se una cosa funziona cento volte, mille volte, un milione di volte, non significa che funzionerà sempre. Noi siamo il milionesimo e un caso che non funziona. Cerco di fargli cambiare idea, ma non riesco. Continua a esserne convinto. Continua a osservare, a sperimentare, imparare dall’osservazione e da quello che sperimenta. E, fin’ora, quello che ha visto e sperimentato è che noi siamo gli aggressori. Tu sei della stessa idea? Dimmi un po’, dieci anni fa, cosa è successo a te e a Xemnas quando avete aperto gli occhi in questo meraviglioso mondo nuovo? Xigbar, finirà comunque in un’estinzione. La sola incognita è l’estinzione di chi. Oppure sei disposto a scommettere che ci verrà offerta la possibilità di arrenderci ed essere recuperati al consesso umano?”

“Non dire cazzate.”

“Allora sei d’accordo che rappresentano una minaccia per la nostra esistenza. Allora sei d’accordo nel considerarli nemici. Allora mi dici perché non dovrei distruggerli?”

 

La nave sullo schermo emette il gradiente energetico che segnala il prossimo salto dimensionale.

 

 

!!!LUXORD!!!

 

 

La chiamata di Zexion è un ruggito mentale assordante, tanto forte da avere quasi una risonanza di eco.

Il vascello di Luxord si fa avanti.

 

“Non ha la minima importanza quanti ne moriranno adesso, qui. Alla fine moriranno tutti per mano nostra, oppure saremo noi a morire per mano loro. A meno che non ci eliminiamo prima fra noi. Non c’è altra soluzione, perché il primo che decidesse di farla finita sarebbe solo il primo a sparire. O, perlomeno, è quello di cui siamo convinti. Loro di sicuro e anch’io, quindi non ho intenzione di tentare un’altra strada, perché il rischio è troppo grande. Ogni essere umano che abbattiamo oggi sarà un nemico in meno la prossima volta. Magari proprio quello che potrebbe ucciderti, ci pensi?”

 

La nave dei fuggiaschi smette di esistere. Nel suo passato, Luxord ha toccato i parametri temporali nell’equazione di fuga. La nave smette di esistere perché è sempre stata solo un relitto che fuma sulla superficie del pianeta.

 

“Marluxia è venuto a parlarmi. All’inizio non lo ascoltavo. Lui parlava e io pensavo a ben altro. Come togliermelo dai piedi il prima possibile e fare in modo che non tornasse più, ad esempio. Poi ho cominciato a fare caso a quello che stava dicendo e un po’ mi veniva da ridere, ma, soprattutto, mi dava fastidio. Mi irritava. Quel ragazzino pretendeva di dare lezioni a me. Pretendeva di capirmi. Che ne sa lui di quello che abbiamo fatto, cosa abbiamo tentato, cosa abbiamo dato, attraverso cosa siamo passati… Giusto, Xigbar? Ma, a un certo punto, ho cominciato ad ascoltarlo. Ascoltarlo davvero. Inesperto, arrogante, pieno di sé. Mi ha sorpreso. Tutti loro. Prima Luxord, poi Roxas, poi Marluxia e Larxene. Persino Demyx, con la sua convinzione di valere quanto un essere umano. Abbiamo cercato di convincerlo che ha torto, ma in torto siamo noi. Ci pensi? Sono solo bambini e mi hanno sorpreso. E mi hanno fatto ricordare una cosa. Mi piace vivere.”

“A te è sempre piaciuto vivere.”

“Io ho sempre voluto vivere. Tutti noi vogliamo vivere, con più forza di chiunque, o non saremmo qui. Però mi sono accorto che non solo voglio. Mi piace, ma per quale ragione dovrei volere fare del male a Xemnas?”

“Non ne ho idea. Con te è impossibile sapere cosa vuoi e perché.”

“Che ragione avrei?”

“Non lo so.”

“La ragione.”

“Non lo so!”

“Non c’è ragione, quindi, ora, ti dico come stanno le cose. A Roxas piace studiare. Sarebbe felice di passare la vita sui libri e so a cosa potrebbe arrivare. E’ come eravamo noi, come tutti noi avremmo voluto i nostri figli. Eppure, io devo impedirgli di avere quello che vuole, quello che anch’io vorrei avesse, e compiacermi invece perché è stato capace di trasformare l’atmosfera di un pianeta in una palude radioattiva. Io devo estirpargli dalla testa ogni idea di avere un valore per chi è e non solo perché è un’arma di distruzione tanto efficiente. Io devo mentirgli e dirgli che il suo gemello, che non vale la metà di quanto vale lui, che sembra felicissimo di lasciare che chiunque altro pensi al suo posto, ha diritto di vivere solo perché è umano. Mi chiede del futuro. Il suo futuro, il nostro futuro. Secondo te, cosa devo rispondere? Che non esiste futuro? Devo dirgli che probabilmente non sopravviverà oltre qualche mese e, se anche dovesse riuscirci, dovrà combattere per ogni secondo di vita, senza potere mai riposare un istante? Che lavorano tanto solo per non giungere a nulla? Che tutta la loro fatica, tutta la loro sofferenza, servono solo ad avvicinarli al momento in cui forse svaniranno? E che più si danno da fare, più potrebbero affrettare quel momento? Quando mi chiede di dirgli qualcosa che non sono favole, ipotesi o illazioni, silenzi o solo parole senza senso, quando mi chiede di provare quello che dico, cosa devo rispondergli? Che, in realtà, non so neppure di cosa sto parlando?”

 

Ora, le navi dei fuggiaschi non trasmettono più alcun segnale di salto, né le alterazioni energetiche che li precedono.

Luxord le ha legate in una particella di tempo alterato che impedisce persino di tentare la traslazione.

 

“Lo faccio, Xigbar. Quando serve lo faccio, ma sei pazzo se pensi che ogni volta gli taccio quelle risposte che mi sarebbe così facile dargli, non ricordo che noi abbiamo dato vita, Cuore, mondo, perché qualcuno taceva. Sei pazzo se sei convinto che, con universi interi da esplorare, vorrei passare la mia esistenza a complottare e pianificare distruzioni. Sei pazzo se credi che vorrei fare del male a Xemnas, a Xaldin, a te, a chiunque di voi. Se credi che non vorrei vedervi ottenere niente di meno di quello che volete o che sperate. Ma sai bene quanto me che quello che vorrei non ha posto in questa realtà. Allora è quello che voglio a importare e quello che voglio è sopravvivere, voglio che noi sopravviviamo. Voglio che la nostra specie continui a esistere, senza nascondersi e senza paura, in un universo dove si possa viaggiare liberamente fra i Mondi.”

 

Gli occhi di Zexion hanno perso ogni traccia di colore e sembrano neri come il vuoto fra le stelle. Uno spazio dove non si può navigare.

Sogna. Uno di quei sogni che può fare anche mentre continua a parlare e camminare ed è sveglio, e i sogni di Zexion diventano ombre e le ombre possono uccidere.

 

“Ti lamenti che ho parlato a tutti, che non ho tenuto le mie idee solo per noi, ma non siamo più noi. Ci piaccia o no, abbiamo dato vita a qualcosa e quel qualcosa non possiamo buttarlo con l’acqua del bagno, adesso. Abbiamo dato vita a qualcuno e quel qualcuno non possiamo ignorarlo quando chiede, né possiamo pretendere che creda in noi quando diamo così poco in cambio.”

 

Un vascello umano si disgrega. Un piccolo yacht dalla forma di una serie di scatole accatastate.

Non ci sono evidenza di un’azione fisica da parte di un’altra unità. Qualcosa lo ha distrutto dall’interno. Il suo stesso equipaggio, Xigbar ne è sicuro.

 

“Xigbar… lo abbiamo mai fatto, noi? Abbiamo chinato la testa, quando ci hanno chiesto solo obbedienza senza ragione?”

“No…”

“No. Allora non possiamo esigere da loro quello che saremmo i primi a rifiutarci. Ci stanno sfuggendo di mano e ci divideremo. Tu lo sai, o non mi avresti fatto quella domanda. Tacere sarebbe perpetuare un errore, anche se, a questo punto, temo ci vorrà molto tempo e molto più di qualche parola per rimediare.”

 

Luxord impedisce alle navi di effettuare i salti dimensionali e, se le navi non possono saltare, sono imprigionate nello spazio ordinario. Alla mercé di Zexion.

 

Potrebbe fare qualcosa, lui.

Prendere Zexion e rifilargli un pugno. O sparargli e dargli qualcosa di più immediato per cui preoccuparsi. E prenotarsi il prossimo decennio soggettivo passato a fronteggiare chissà quali bizzarri incubi.

Ma, per interrompere quella catena di eventi, probabilmente basterebbe ordinare di allontanarsi.

Potrebbe farne tante, di cose.

Potrebbe almeno tentare.

Manca solo il motivo per agire.

 

Xigbar si vanta di essere istintivo. Una di quelle affermazioni che mandano in bestia Vexen, che è tanto più divertente confermare proprio perché lo mandano in bestia.

Perché Xigbar non usa la parola istinto in senso discorsivo e i nobody non hanno veri istinti. Hanno pulsioni, ma una pulsione non è un istinto. Hanno schemi di memoria riflessiva, ma neppure gli schemi di memoria riflessiva sono istinti.

In realtà, hanno sempre consapevolezza delle loro azioni. Persino quei gesti che alcuni di loro compiono quasi involontariamente, sono solo concessioni ad abitudini e affettazioni acquisite o conservate, e risiedono in uno strato superficiale della disattenzione. Basta volerlo e il controllo cosciente è subito ristabilito.

I nobody non possiedono istinti. Fatto appurato e dimostrato.

Ma, per quanto riguarda Xigbar, ogni tanto il rigore scientifico può essere lasciato fuori dalla porta e loro si sono sbagliati già troppe volte per escludere una qualche possibilità. E lui è istintivo. Opera secondo schemi inalterabili di comportamento innato.

Ogni volta che si trova di fronte a un evento sconosciuto e potenzialmente pericoloso, si attiva un sistema di risposta automatica che non necessita di nessun pensiero, nessuna valutazione cosciente e che, pure, gli suggerisce sempre come comportarsi. Ha funzionato per quasi cinquant’anni. O solo per dieci.

Questo volta, il sistema non entra in funzione.

E’ come vedere qualcosa che è sempre stato davanti al suo naso, che non ha visto sino a quando non gli è stato indicato e che, anche così, deve continuare a fissare bene, o lo perderà di nuovo.

I suoi schemi mentali falliscono perché è qualcosa che produce troppi pochi stimoli per innescarli e, se gli schemi falliscono, è obbligato a pensare, a valutare, a scegliere. Ma, per questo, dovrebbe capire Zexion e la cosa non è così scontata.

 

“Niente si ottiene per niente. Ricordi, Xigbar? Più grande il risultato, più alto il costo. Ricordi? Ebbene, più alto il costo, più grande esigo sia il risultato. Non sacrificherò Roxas né nessuno di noi per qualcosa di meno che la sopravvivenza della nostra specie. E tu ti preoccupi di poche migliaia di esseri umani?”

 

Xigbar non fa nulla e Zexion continua la sua caccia, un vascello dopo l’altro.

Non ha nessuna necessità di disporre i suoi pezzi su quella scacchiera visibile. Non ha bisogno di selezionare i bersagli con i mezzi artificiali, non ha bisogno di rivelare le sue prede in quella cupola dove lo spazio si riflette.

E’ solo una recita, quella, a beneficio del suo pubblico.

 

Zexion è uno specchio. Rimanda l’immagine di quello che gli sta all’esterno, senza modificare la sua sostanziale identità.

Quando ci si trova davanti a lui, l’immagine riflessa è quella di sé stessi. Un’immagine conosciuta. Un’immagine che ci si aspetta di vedere. Qualcosa che si può anche credere di capire.

Eppure, di tanto in tanto, Xigbar è quasi convinto di vedere il vero Zexion, nascosto sotto lo strato di riflessi deformanti e inganni e ombre. Non perché lo percepisce direttamente, ma per l’errore, anche se non lo riconosce come tale e non può dire qual è l’errore.

Proprio come in un labirinto di specchi potrebbe trovare la via d’uscita grazie alle distorsioni. Angolazioni, oppure lievi incongruenze nella luce.

Ma, nei riflessi, lui cerca ancora Ienzo.

 

“Vuoi sapere quanto valgono per me, Xigbar? Se dovrò mettere sul piatto della bilancia la vita di un solo nobody, qualsiasi nobody, fosse anche il più debole e inutile dei crepuscolari, contro la vita di tutti gli esseri umani di tutti i Mondi, non ci penserò un istante. Se solo potessi, li cancellerei ora, subito, da ogni universo. Noi dobbiamo sopravvivere! Questa è l’unica cosa che conta e il piano di Xemnas non ha sufficienti probabilità di riuscita.”

 

Probabilità, dunque. E’ tutto qui.

Zexion ha uno scopo e tutto diventa relativo a questo. A esso sacrificherà qualsiasi cosa, compresa la sua stessa sicurezza, la sua stessa esistenza, l’esistenza di chiunque.

Lo ha fatto Ienzo, lo farà Zexion.

Se non ha mentito, se lo scopo è davvero far sopravvivere loro, non loro come individui, ma come specie, chiunque valuterà avere le maggiori probabilità di portare avanti la loro stirpe, sarà il primo nei suoi pensieri.

Niente è più importante di quel semplice calcolo probabilistico.

Una parte di lui lo capisce. Una parte consistente. Le necessità di un intero popolo non possono essere sacrificate alle sofferenze di pochi.

 

I segreti sono la cosa che li hanno condotti fin qui. Segreti da mantenere tali. Segreti da volere svelare.

Tacere, e decidere che niente deve essere taciuto. Mai.

 

ma

 

Questa volta è necessario.

Lo pensavano anche Ansem, anche il Re. Allora dov’è la differenza? Senza differenza, tutto quello che hanno fatto diventa inutile.

Solo per questa volta.

La prima volta è un’eccezione. La seconda, è perché tanto c’è un precedente. Poi c’è una terza volta, una quarta, fino a quando menzogne si accumulano su segreti e diventa un universo di falsità.

 

ma

 

Forse, a fargli credere che tutto ha un senso, sono le parole di Zexion. Perché può anche voler credere di avere di fronte Ienzo, ma ricorda che Ienzo è morto e c’è solo questa cosa strisciata fuori dalla sua morte, come fumo velenoso da una reazione chimica, e Zexion è inganno mascherato in parole di seta che hanno fatto cadere re e mondi e universi.

E in realtà niente ha senso, perché, se si guarda da una prospettiva sufficientemente lontana nel tempo, tutti, loro, gli abitanti dei Mondi, i Mondi stessi, sono solo morti che non sanno ancora di esserlo e si ostinano a rimandare il momento in cui non saranno più in grado di negarlo e, allora, se si guarda da quella prospettiva sufficientemente lontana, ogni cosa ha la stessa logica e ogni cosa ha la stessa importanza. Ogni scelta equivale.

 

ma

 

Manca ancora una cosa.

Cuore. A completare Anima e Corpo.

La frammentazione che ha fatto nascere i nobody sarà ricomposta. La Trinità compiuta.

In quale forma?

Una forma nuova, imprevedibile. Inimmaginabile.

 

Può valere la pena.

 

ma

 

“Ci sono Xemnas e Xaldin, vero?” dice Zexion “Saresti il primo ad appoggiarmi, o appoggiare Marluxia, altrimenti.”

 

Ci sono loro e loro fanno parte dell’eventualità di scarto. I neofiti, alcuni neofiti, sono una carta più sicura su cui giocare. In una valutazione a lungo termine, è più probabile che sia uno di loro a sopravvivere. Se per salvaguardarli dovrà dare in cambio la vita di uno qualsiasi degli altri, Zexion lo farà.

E’ il sottinteso di quello che ha appena detto.

 

“Tu, Marluxia e Xemnas volete tutti la stessa cosa. Immagino che anche quel ratto sia pieno solo di buone intenzioni. Le buone intenzioni sono il vero problema.”

“Non esistono buone intenzioni, Xigbar. Solo intenzioni. Quando serve, cerchiamo di farle sembrare buone. E’ un modo per raggiungere il proprio scopo. I nostri originali avevano buone intenzioni? Braig aveva buone intenzioni?”

Xigbar lo fissa a bocca aperta.

“Non sminuire il valore di quello che hanno fatto con queste bambinate. Il Re può ammantare i suoi discorsi di buone intenzioni ed essere creduto. Noi abbiamo perso il mondo in cui potevamo credere alle buone intenzioni. Lo abbiamo distrutto con le nostre mani. Vuoi sapere quali sono le parti? Eccole. Noi e loro. E’ un gioco, Xigbar, il gioco del gatto e del topo. Ma i topi sono tanti, potrebbero riuscire a mangiarsi il gatto. Loro lo hanno già capito. Lo sanno e non hanno i nostri scrupoli. Hanno ragione. E Marluxia ha ragione e Xemnas ha ragione a credere che Marluxia lo distruggerà.”

“Quindi, se tutti abbiamo ragione, alla fine chi ha torto?”

“Quello che ha sempre torto. Quello che perderà.”

 

Zexion sogna sogni di distruzione e le navi muoiono.

Dovrebbe essere incapace di fare una cosa simile. Dovrebbe essere stanco. A questo punto, dovrebbe proprio esserlo. Più che stanco. Dovrebbe essere sfinito, drenato di tutta l’energia a cui può attingere.

Ma non è così e questo è impossibile, nelle condizioni ordinarie. Allora, significa che le condizioni sono cambiate.

 

Lasciare che Braig gli scivoli di dosso e liberi, finalmente, colui che matura sotto quella pelle ingannevole che indossa da dieci anni. Farla finita con le menzogne e le pretese.

 

“Io non sto cercando di causare una frattura fra noi, Xigbar. Sto cercando di impedirla. Sto cercando di salvare quelli che posso.”

“Il che vuol dire sai già che non saremo tutti.”

Tutti è estremamente improbabile.”

“Immagino non sia solo una tua opinione.”

“Non è un’opinione.”

 

Xigbar sferra una manata a una paratia.

 

“Tu sei solo un fottuto casinista. Xaldin ha ragione.”

“Xaldin mi considera responsabile persino del cattivo tempo. Anche tu?”

“Non fare questi giochetti con me. I rimpianti, francamente, li lascio a Xemnas e i rancori a Xaldin. Fa piazza pulita su tutti i pianeti che vuoi, me ne sbatto. Ma attento a dove arrivi. Io non ho parte, non darmi motivo per sceglierne una.”

“Xigbar…”

“Attento a cosa fai, e a chi.”

 

Zexion annuisce e un altro vascello umano si dissolve.

 

 

* * *

 

 

Per i due giovani, l’amalgama allucinogeno di flussi elettromagnetici impazziti che racchiude il pianeta è un’architettura di cristallina coerenza. Le dinamiche delle masse di luce non sono casuali né caotiche. I labirinti accecanti tracciano sentieri di morbide sfumature dove muoversi con sicurezza, più facili da seguire di qualsiasi strada artificiale.

 

Roxas raccoglie una cosa da terra.

Larxene lo avvicina, passando davanti alla massa di resti organici degradati dalla furia radioattiva. Qualcosa che non più quasi forma, che si dissolve nella luce.

Uno dei tanti visti oggi, insieme ai corpi smembrati da lame laser, cotti da scrosci di microonde, dilaniati a mani nude.

Questa volta, la sola cosa che Roxas non ha fatto è stato evocare i keyblade. Le è sembrato quasi volesse provare qualcosa a sé stesso.

 

Il ragazzino ha la testa china e fissa l’oggetto che stringe, una tavola colorata, fluorescente sotto la radiazione. Larxene lo ha visto giocare con una cosa simile, nel loro mondo.

 

“Che hai?” gli chiede

“Quasi tre mesi fa, Zexion mi ha portato qui.”

“Quindi?”

“Abbiamo incontrato una donna. E’ stata lei a consegnarci i codici e i certificati per entrare nel porto, lei ha dato alle nostre navi il passaggio libero, lei ha interrotto la rete che cablava il sistema di comunicazioni planetario, quello che è bastato a Luxord per darci il tempo che ci serviva.”

“Fammi capire. Zexion ti ha portato a un incontro con un suo agente?”

 

Roxas annuisce, svogliato. Con un dito, fa girare una ruota della tavola. Provoca un rumore strano, scrosciante.

 

“Lo fa spesso?”

“Cosa?”

“Portarti con lui quando lavora.”

 

L’adolescente annuisce ancora e ancora muove le ruote e il suono è rrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr

 

“Spesso, sì. Forse sempre. Questo non lo so.”

“Ti porta con lui come guardia del corpo?”

 

Roxas la guarda in tralice, senza sollevare né muovere la testa.

 

“Roxas, in cosa consiste il lavoro di Zexion?”

 

Qualche filamento luminoso si addensa intorno alla donna.

Stavolta, ha osato troppo. Il ragazzo sta seguendo una sua linea di pensiero e non gli piace che sia interrotta. Non gli piace essere messo in secondo piano.

Vuole essere ascoltato, non ascoltare.

 

“Perché ricordare quell’incontro ti dà fastidio?”

 

Roxas si quieta, adesso che è di nuovo al centro dell’attenzione.

 

“Non mi dà fastidio.”

“D’accordo. Allora perché ci stai pensando?”

“Zexion dice sempre che il potere deriva dalla conoscenza.”

“E’ una cosa che si dice in molti mondi. Ormai è un po’ scontata.”

Il ragazzino si stringe nelle spalle.

“E’ vera lo stesso. La conoscenza è potere, ma quella donna lo aveva dimenticato. Lei voleva diventare come noi, ma non aveva vera conoscenza di quello che chiedeva. Zexion le ha detto che non avremmo distrutto il suo mondo.”

“Le ha detto la verità. Non lo abbiamo fatto.”

“No, non lo abbiamo fatto. L’Oscurità sarebbe stata la cosa che, forse, le avrebbe permesso di avverare il suo desiderio. Ma noi non abbiamo liberato le ombre, proprio per non distruggere questo pianeta e, siccome non abbiamo liberato le ombre, lei non ha avuto niente. Non sapeva che proprio il modo in cui chiedeva di avere ciò che cercava, rendeva praticamente impossibile che ottenesse quello che voleva, la cosa per cui ha venduto il suo mondo e la sua anima.”

 

rrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr

 

“Non conta solo lo scopo, Larxene. Conta anche come ottenerlo. E’ importante conoscere il mezzo, conoscerlo bene, conoscere cosa implica, perché proprio il mezzo che si usa potrebbe racchiudere l’impossibilità a raggiungere il risultato che si cerca.”

 

Questo non è qualcosa che ha imparato da Zexion. Lui penserebbe una cosa simile, sì, ma, alla fine, a importare sarebbe solo l’obiettivo.

 

“Io non riesco a odiarli.” mormora Roxas.

“Perché vorresti odiare?”

“Non voglio essere diverso da voi.”

Larxene sogghigna.

“Che bambino dolce, sei.”

 

Roxas aggrotta le sopraciglia in un nuovo, immediato, avvertimento.

 

“Scusami. Non c’è ragione per prenderti in giro così.” si affretta a dire la ragazza.

“Allora non farlo. Credevo che, forse, li odiavo davvero, ma non ero capace di riconoscerlo. Ho chiesto a Zexion di farmi vedere come vedono loro.”

 

RRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRR

 

Le ci vuole tutto il suo autocontrollo per non gli strappargli di mano quella cosa e mettere fine al rumore.

Roxas appare più disposto del solito a irritarsi e provocarlo non è una cosa saggia.

 

“Non è cambiato nulla, Larxene. Ancora non capisco. Faccio cose non perché voglio farle, ma solo perché non ho motivo per non farle. Anch’io combatto per volontà di un altro.”

“Allora non sei diverso da noi.” afferma Larxene e, con un cenno vago, abbraccia idealmente la città e il cielo “Sei solo più efficiente.”

 

Il ragazzo si chiude subito in sé stesso. Larxene può quasi vederlo innalzare una barriera e ritirarsi all’interno.

Roxas attacca solo se si sente minacciato, mai per primo. Anche se spesso è difficile capire cosa considera una minaccia o in cosa si sente minacciato, il suo è sempre uno schema di difesa.

Ma, di tanto in tanto, forse perché crede che l’aggressione non serve o, forse, perché dovrebbe arrivare a un livello di aggressione che non è disposto a raggiungere, si rifugia dove non essere visto, non essere toccato, il più possibile isolato dalla fonte di disturbo.

A volte, questo significa isolarsi in un suo mondo personale.

Lei ha detto qualcosa di sbagliato, o ha fatto qualcosa di sbagliato. Non lo sa. Roxas non si è allontanato, ma è fuggito a nascondersi in un luogo così lontano che è come se fosse in un altro universo.

 

Irritato.

Insoddisfatto.

 

Infelice?

 

Immagina che chiunque altro negherebbe un termine simile riferito a uno qualsiasi di loro.

Alcuni riderebbero. Probabilmente non di fronte a lei, ma alle sue spalle lo farebbero. Axel le riderebbe in faccia. O, più probabilmente, lo avrebbe fatto sino a poco tempo prima. Ora non ne è più così certa.

Gli scienziati la taccerebbero di antropomorfizzazione, anche se le piacerebbe chiedere proprio a loro dove piazzano i confini di quel vocabolo in un universo simile. E, magari, un giorno che avrà voglia di discutere, lo farà anche.

Dubita comunque che Roxas si definirebbe infelice. Dubita che conosca il termine. Dubita che qualcuno glielo abbia insegnato, in rispetto a quella ostinata ipocrisia o masochistico autocompiacimento che vieta loro di dare nome a quello che si rifiutano di riconoscere.

O, se proprio vogliono definirsi in qualche modo, aggiungere sempre quell’aggettivo. Falso.

Se senti qualcosa, è falso. Se pensi qualcosa, è falso. Il loro mondo è falso, la loro vita è falsa. Forse persino il loro riflesso in uno specchio è falso.

Falso è un’ancora di salvezza. Quella che permette loro di non affondare nel paradosso.

Non dimenticare mai la parola magica. Pena l’ostracismo, pena il biasimo, pena il silenzio e il silenzio può essere insopportabile quando non si ha che sé stessi e gli uni con gli altri.

 

Infelice.

 

La sola cosa falsa è la sua indifferenza.

E’ troppo piccolo, quell’universo in bottiglia dove lo hanno chiuso. Di giorno in giorno, l’indecifrabile e invisibile frontiera aliena che segna i limiti della pazienza di Roxas si stringe.

Larxene si chiede cosa gliela farà superare. Cosa, in realtà, tiene ancora in essere quella frontiera.

 

“Roxas.”

 

Il ragazzino si mette a canticchiare a voce muta. Una melodia dalla costruzione semplice e ripetitiva, come quella di una filastrocca infantile, che si perde nel rumore provocato dalle ruote della tavola.

 

“La nostra volontà ha piegato la morte.” insiste la giovane “Potrebbe bastare a realizzare quello che crediamo. Forse ognuno di noi vive una realtà plasmata dalle proprie idee. Forse Xemnas ha ragione, per quanto riguarda lui e tutti quelli che gli credono. Forse si sono così immedesimati nelle loro certezze che sono davvero diventati quello che sono convinti di essere. Ma la nostra volontà è altrettanto forte e allora dovremmo decidere cosa vogliamo essere noi.”

 

Roxas continua a ignorarla.

Lei ha sbagliato e il ragazzo non intende renderle facile rimediare all’errore fatto.

Potrebbe solo fingere di non ascoltare, oppure potrebbe non avere lasciato aperto nemmeno uno spiraglio e ogni tentativo di raggiungerlo essere solo una perdita di tempo.

Larxene non è neppure sicura del perché stia cercando di parlargli.

Perché è convinta che darebbe fastidio ai fondatori, o perché si è davvero stancata del silenzio.

La cosa importante è che adesso le va di fare così.

 

“Qualsiasi cosa dice Xemnas, tu ricorda una cosa. Loro sono i nostri Cuori, ma noi siamo le loro anime.”

 

Roxas rimette a terra lo skateboard, gli dà un leggera spinta con un piede e lo fa correre verso il pozzo centrale della città. Il rumore delle ruote amplificato dalla desolazione è quasi insopportabile, fino a quando la tavola non cade nello strapiombo artificiale ed è silenzio.

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

Mi scuso per il ritardo davvero imbarazzante. E’ stato un capitolo difficile da scrivere. Spero di avere ottenuto un risultato accettabile.

 

C’è una frase rubata a Star Trek. Scommetto che almeno una persona la riconosce subito. Me l’ha suggerita lei con un suo commento ^__^

E’ che spesso e volentieri i nobody, per dimostrare la loro mancanza di emozioni, sono tratteggiati come sociopatici, istrionici o borderline. Peccato solo che coloro che soffrono di questi disturbi di personalità non sono affatto privi di emozioni. Proprio il contrario, semmai.

Esseri carenti emozionalmente si comportano come Spock, non come il Joker.

 

Chris: Ti piacciono docili, eh? Almeno a Xemnas dai un balcone e una luna e quello se ne sta buono a rimuginare. Al massimo, fa qualche bislacco monologo. Non me lo vedo con l’hobby dell’omicidio random. Però il lunatico blu piace tantissimo anche a me ^__^

 

No, Roxas non ha ricordi a complicargli la vita. Ma, giusto per non essere da meno del resto della famiglia, riesce a complicarsela benissimo perché non li ha. Personalmente, sono dell’idea che i nobody siano cause perse. Se pure dovessero trovarsi per miracolo con un cuore, beati e felici in un mondo paradisiaco, tempo una settimana e troverebbero il modo di incasinarsi con qualcosa. E se non trovassero niente, il modo se lo inventerebbero. C’è da dire che Zexion non sa cosa capiterà a Roxas. Sa che va incontro a qualcosa di brutto e ha qualche probabilità di uscirne vivo, ma non conosce i particolari. Per fare un esempio, sa che strada ha preso, sa dove porta, ma non cosa vedrà mentre la percorre. Stessa cosa per Luxord. Entrambi calcolano probabilità, non vedono film. Se no, Zexion avrebbe aspettato Riku al varco mentre stava emergendo dall’Oscurità e gli avrebbe tagliato la gola. Non fa il mentore criptico perché fa tendenza ^__^

 

La tua interpretazione del rapporto fra Roxas e Zexion è quella che volevo suggerire, compreso una specie di… passaggio di testimone fra i due. C’è un momento in cui bisogna proprio smetterla di accumulare nozioni passivamente e decidere in proprio cosa fare, altrimenti si rimane dipendenti da coloro che insegnano ^__^

 

Felice che ti piacciano gli spaccati della vita di Ienzo. Lo adoro. Tutti i sei, in realtà, ma Ienzo è stato il più iconoclasta e il più deciso di tutti. Anche Xehanort, ma lui aveva dalla sua il passato tragico e la ricerca dei suoi ricordi. Ienzo no. Ha fatto tutto per pura curiosità e se ne è sbattuto degli ordini di Ansem e del sorcio. Che, per la cronaca, considero il primo colpevole (Ansem è solo un cretino). E c’è un particolare nella trama che mi sembra venga spesso sottovalutato, che invece considero fondamentale. Cioè che i vari mondi si sono trovati collegati. I sei erano scienziati, di quelli disposti a dare la vita per le loro ricerche. Non avrebbero mai accettato di tornare nella situazione precedente di beato isolamento. Per nulla al mondo.

 

Rixika: Beh, non riesco a considerare l’operazione Virtual Twilight Town nient’altro che una versione particolarmente sofisticata di snuff film, una tortura progettata con metodo scientifico, filmata e studiata, che termina con la morte del protagonista/vittima, con DiZ e Riku che osservano e intervengono per aggiustare la sceneggiatura in modo da rendere sempre più efficiente il reiterato stupro mentale che stanno compiendo. Sono strasicura che sia stato fatto più per il piacere di DiZ che per necessità. DiZ tiene in stasi Sora per un anno. Poteva fare lo stesso a Roxas fino a quando non lo avesse riunito a Sora. Ok, doveva spezzare la sua volontà, ma puzza troppo di sadismo fine a sé stesso. Tra l’altro, mi chiedo perché fare una cosa simile. Sora vive benissimo senza Roxas. Un anno passato splendidamente lo dimostra. Roxas non c’entra niente né con il suo coma, né con la sua memoria, e non serve per ripristinargliela. Casomai qualcuno non lo avesse notato, DiZ e Naminé risistemano la memoria di Sora prima di riunirlo a Roxas. Ufficialmente, Roxas è usato come batteria per aumentare la forza di Sora e permettergli di sconfiggere i 13. Ma questiono anche questo, in quanto Sora, senza Roxas, sconfigge Larxene e Marluxia e fa il culo quadro a Xehanort. Direi che di potenza ne ha più che a sufficienza.

Si potrebbe obiettare che DiZ non ha bisogno di ragioni per eliminare un nemico. Assolutamente d’accordo, se solo anche qui non cascasse l’asinello. A quanto se ne sa, i 13 cominciano ad attaccare attivamente gli esseri completi solo nella battaglia durante la quale muore Demyx. Prima di allora, si limitano a… non fare niente. Certo, raccolgono i cuori gentilmente forniti dall’attività di Sora, ma non spingono gli heartless contro nessuno. Semmai, li si può accusare di non fare nulla per fermare le ombre, ma perché dovrebbero proteggere gente che li vuole morti? Mai detto che sono santi. Il rapimento di Roxas è antecedente a quell’evento, così come la simpatica filosofia da soluzione finale di YenSid.

Quindi, proclami a parte, perché eliminare Roxas? Mah, potrei dire che a DiZ andava di passare un po’ di tempo torturando un nobody, anche se mi pare un’operazione troppo complicata, per quello. Sarebbero bastati una sedia, un secchio e una tenaglia. Certo è che, durante tutta l’operazione, DiZ gode come un riccio.

 

Riku… ah, che problema che è quel bambino. Sì, a voler essere coerenti (e prudenti), gli si doveva riservare lo stesso trattamento dei nobody. Anzi, personalmente considero Riku molto più pericoloso, visto per ‘cosa’ agisce. Concordo. Avrebbero dovuto metterlo al muro.

Fortunatamente per me, non è stato così, sennò mi sarebbe mancata buona parte della storia. Spero che qualcuno si ricordi che uno dei protagonisti è il nostro cavaliere delle tenebre. Non l’ho dimenticato. Gli ho solo dato una pausa di riflessione per meditare sul passato ^__^

 

Lux: Piuttosto che redenzionizzare Zexion, lo strangolo con le mie mani! E’ un vero delitto snaturarlo. Vabbé, questo con tutti, ma lui in modo particolare. La bellezza di Zexion non è nel ciuffo blu o nel faccino da bambolotto, ma nella sua natura.

Giuro che vorrei gli avessero dato l’aspetto di uno scorfano e sai bene che dico sul serio. Almeno non finiva caricato di una pucciosità che, sarò cecata io, proprio non vedo.

Eh, sì. Ora Roxas sa che significa vivere libero. Non che credo lo schiavizzassero, ma che lo tenessero in una campana di vetro sì. Il prezioso e unico custode dei nobody non è cosa da trascurare. Anche perché, per tenergli nascosta l’esistenza di Sora, necessariamente dovevano evitare che andasse troppo a curiosare in giro. Sora non è precisamente uno sconosciuto, nei mondi, keyblade compreso, e ci vuole poco a prendere il nome, rigirarselo un po’, aggiungere una X e ottenere il risultato. Magari sarebbe stato meglio dare a Roxas un altro nome ^__^

Ma c’è un’altra cosa che sa. Zexion non solo era umano, ma era un umano molto particolare ;)

 

Giodan: Esagerato ^O^

Guarda che così mi monto sul serio la testa. Ma grazie ^__^

 

Max: Caro Max, mi sento onorata del tuo apprezzamento. Davvero molto lusinghiero. 

Lieta di sapere che il buon vecchio Leibniz ha colpito. Ovviamente, vale anche al contrario, ossia, cose fra cui puoi rilevare una e anche una sola differenza, non sono la stessa cosa. Questo è importante. Fondamentale. Qualcuno avrebbe dovuto ricordarsene. Ma la mia opinione degli abitanti del multiverso di KH non è particolarmente positiva. Sì, nell’insieme sono molto evoluti, hanno astronavi, si spostano fra le dimensioni, hanno poteri sensazionali, ma sono selvaggi superstiziosi e, peggio di ogni cosa, manicheisti a oltranza.

E’ questa la cosa più triste di tutta la faccenda. I soli che avrebbero potuto rimediare alla follia dicotomica che sembra infettare chiunque, sono considerati da tutti indegni di esistere. Così ci cascano pure loro.

Credo non sia un caso che il personaggio più complesso e costruito del gioco, cioè Riku, alla fine si ritrovi nauseato da tutta la faccenda e decida di stare nel mezzo.

 

 

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Capitolo 21
*** XIV ***


XIV

 

XIV

 

 

“Perché non posso andare con loro, Xemnas?”

“Mi stai chiedendo di renderti conto delle mie azioni?”

“Ti sto chiedendo il motivo di una decisione arbitraria e senza ragione, che ricade su di me. Perché?”

“Tu servi qui.”

“No, non è vero. Ho già passato più di un mese a Oblio e questo non ti ha impedito di mandarmi a chiamare quando avevi bisogno. Perché questa volta è diverso?”

“Perché la situazione è cambiata. Abbiamo scisso il gruppo in due, non possiamo permetterci altre perdite. Sarà già abbastanza gravoso accollarci i compiti di coloro che si allontanano.”

“Ma qui io non faccio mai niente. Se non hai bisogno di me per sterminare heartless o qualsiasi altra cosa vuoi togliere di mezzo, potrei anche non esistere.”

“Non temere. C’è abbastanza lavoro per chiunque. Finora abbiamo potuto permetterci di esentartene solo perché, insieme, potevamo sopperire alla tua assenza. Adesso dovrai darti da fare.”

“E come?”

“Con qualsiasi cosa si renda necessaria e sia nelle tue possibilità, come per tutti noi. Roxas, è pieno inverno e lo sarà per almeno altri tre mesi. Vuol dire che in ogni momento possiamo trovarci di fronte un’emergenza, anche ben più grave dello sfondamento della serra.”

“Allora perché non avete rimandato il progetto Oblio sino a una stagione più favorevole?”

“Perché non è necessario e perché non sappiamo quanto durerà l’inverno. Qualche mese, se siamo fortunati, ma è già capitato che durasse un intero anno. Questo pianeta ha cicli irregolari, nemmeno noi siamo in grado di prevederli. Rimandare il progetto Oblio… non avremmo saputo sino a quando e Zexion è stato uno di quelli che ha insistito per farlo partire subito.”

 

Roxas si incupisce.

 

“Tu non vuoi che vada con loro.”

“Ovviamente no. Di cosa abbiamo discusso, finora?”

“Perché?”

 

Nessuna sottomissione, artigli pronti a essere sguainati anche subito e il tono di chi considera tatto e diplomazia solo inutili artifici comportamentali adatti a forme di vita inferiori. Tempo perso a dividerlo da quello che vuole ottenere.

E’ una delle sue diversità. Gli manca la circospezione, la quasi sofferenza con cui i nobody si relazionano gli uni agli altri.

E’ convinto, o spera, o si illude, che, prima o poi, stare accanto a Zexion gli permetterà di ricomporre i suoi ricordi. O Zexion stesso glielo ha fatto credere perché fosse più gestibile. Comunque sia, Roxas non ha posto per altre considerazioni e non esiste modo perché si arrenda senza intavolare una battaglia.

Ma, fin dall’inizio, Xemnas sapeva che, in questa storia, il ragazzino avrebbe rappresentato un problema.

 

“Te l’ho già spiegato. Non ho intenzione di ripetermi.”

“Non è una spiegazione logica. Non è una soluzione logica!”

 

voglio andare con loro

 

“E quale sarebbe la soluzione più logica?”

“Tenere Axel e mandare me. Lui non ha niente di utile da fare a Oblio, mentre qui sa come muoversi, come tutti voi. Tranne me. Il mio lavoro è con loro e adesso se ne vanno.”

 

Xemnas si volta verso il terzo individuo presente nello studio.

Saïx non ha fatto nulla per attirare la sua attenzione, ma è qui ed è più che sufficiente. In questa circostanza, rappresenta solo un’ulteriore sorgente di disturbo.

L’uomo è immerso nella lettura di quello che scorre sullo schermo del palmare che tiene sulle ginocchia. Non ha ancora detto una parola e non mostra il minimo interesse a Roxas, così come Roxas non ha dato cenno di riconoscere la presenza di Saïx. Naturalmente, sono sempre stati più che consapevoli l’uno dell’altro, come Xemnas stesso è dolorosamente conscio di entrambi.

La pace del suo santuario è una cosa fragile, una distesa d’acqua specchiante che qualsiasi intrusione può agitare.

Non ha mai avuto difficoltà a gestire la presenza di Saïx. Ma averli tutti e due, qui, nello stesso spazio ristretto, è al limite di quello che adesso può sopportare.

 

“Il tuo lavoro? Bambino, quello è solo un uso che Zexion fa di te e della tua condizione. Il lavoro è suo e non mi sembra che Zexion abbia richiesto la tua presenza a Oblio. O ricordo male? Eravamo presenti tutti quando tu hai chiesto di accompagnarli. Quando ho detto no, lui non ha obiettato.”

 

Le luci nella stanza fluttuano e bizzarre distorsioni visive si originano a mezz’aria. Niente di troppo evidente. Xemnas ha solo l’impressione che le immagini siano state dipinte su un vetro, frantumato e rimesso insieme in modo non perfetto.

Un fenomeno curioso.

 

“Perché?”

 

Voglio andare con loro!

 

“Roxas, ti prego, dammi almeno un po’ di credito. Non prendo le mie decisioni solo per fare torto a te. Ti assicuro che ci sono motivi molto più importanti dei tuoi stati d’animo e, anche se può sembrarti strano, l’universo non ti ruota intorno. Se solo mi fosse possibile, preferirei di gran lunga farti sentire sempre a tuo agio.”

 

vogliovoglioandareandareandareandareandareandareandare con loro

 

Un leggero ticchettio, quando Saïx picchietta l’estremità di una penna sul palmare. Ha abbandonato il suo artificioso disinteresse.

 

VOGLIO ANDARE CON LORO!

 

!!!BASTA!!!

 

“Chiedi, quando vuoi qualcosa.”

“Ho chiesto!”

“Hai preteso.”

“Ho chiesto e mi hai risposto no.”

“Una richiesta può avere molte risposte, non necessariamente tutte di tuo gradimento. Ma se vuoi accettare solo quella che ti sei messo in testa, allora è inutile chiedere.”

 

Di solito, Roxas è più accorto. E’ freddo e astuto, usa la manipolazione e il convincimento. Una bizzarra forma di manipolazione, priva di artifici e retorica, diretta sino alla ferocia e brutale, ma che, non di meno, gli consente di ottenere sempre quello che desidera con il minor sforzo possibile.

Lui stesso ha sempre trovato molto più semplice ed efficace concedergli quello che chiede, piuttosto che intestardirsi su rifiuti senza una vera ragione e, finora, Roxas non ha mai approfittato oltre un limite accettabile.

Adesso, nel suo atteggiamento, non c’è nulla di ragionevole o accettabile.

 

E’ cambiato, nel breve tempo della sua esistenza.

Quanto tempo?

Sei mesi? Sette? Otto?

non ricordo

Eppure, proprio lui ha trovato il bambino incosciente nelle strade della Città del Crepuscolo.

Un anno?

E’ stato un po’ prima dell’inverno. Ricorda il giorno in cui Zexion li ha chiamati nel suo studio. Allora, aveva pensato che l’inverno si stesse approssimando e, a quel punto, era già passato un po’ di tempo dalla nascita di Roxas.

Qualche mese?

Unico di tutti loro, non è mai stato bravo a misurare il tempo a mente. Gli hanno detto che dipende dalle sue memorie frantumate, ma non è sicuro di crederlo. Roxas non ha nessuna difficoltà, in quello, pur soffrendo di una forma di amnesia ben più grave della sua. 

non ricordo

Non è solo non sapere quanti mesi giornianni? sono trascorsi. Può arrivarci con il ragionamento, ma quel lasso di tempo resta solo un concetto intellettuale. Non ne ha consapevolezza.

Un tempo sufficiente a cambiare Roxas.

 

i nobody non cambiano

E’ cambiato.

Impossibile!

E’ cambiato.

E’ Roxas?

 

Guarda il ragazzo e quello si trasforma. 

Di fronte a lui ha un estraneo. L’aspetto è quello di Roxas, il corpo, la voce, sono di Roxas, ma Roxas non c’è.

Se potesse, Xemnas si meraviglierebbe di quello che vede, ma quello che prova è solo curiosità e un nascente senso di allarme.

 

Saïx continua a scandire il tempo con la precisione di un metronomo.

 

“Anch’io manco di molti ricordi.” mormora Xemnas “Anni fa, mi sono svegliato in un mondo che non conoscevo e non sapevo chi ero. Non ho mai ritrovato il mio passato. L’ho cercato e quello che ne ho ottenuto è questo. Due volte ho dovuto ricostruire la mia vita e ricominciare da capo.”

 

Se Roxas fosse più attento, meno ferocemente e completamente accentrato in sé stesso, si accorgerebbe che Xemnas sta cercando una soluzione indolore, di placarlo a costo di offrirgli anche il suo passato, il suo tesoro più prezioso. Un terreno comune su cui incontrarsi.

Ma non può funzionare. Non c’è spazio a possibilità di compromessi, una volta tolte le ragioni per volere accettare un compromesso.

 

“La tua storia dovrebbe convincermi a non farmi troppe domande?”

“A volte è meglio.”

 

Sputa quelle parole che lasciano in bocca il sapore d’acido di un crimine imperdonabile, qualcosa che strappa un altro frammento della sua anima.

 

Saïx appoggia il palmare sul divano, si alza, si avvicina di qualche passo alla scrivania di Xemnas.

Si potrebbe credere che lo abbia fatto casualmente.

 

“Siamo noi per come siamo.” esclama Roxas “La nostra Identità, la nostra Personalità. Il nostro potere. E, allora, anche la nostra memoria, la nostra volontà. Zexion mi ha portato a Radiant Garden. Gli ho chiesto se è il suo mondo. Ha detto di non saperlo, però parla della vita di Ienzo come fosse la sua. Non parla di lui, parla di . Anche se dice di non sapere, non fa differenza fra loro due. Zexion ricorda di essere stato Ienzo, vuole essere Ienzo. Tutti voi fate così. Io no. Io so dove è la differenza. Lui non era me.”

“Cosa sei, allora?”

Chi sono! Roxas.”

“Roxas… sono solo lettere messe insieme. Solo un modo per chiamarti.”

“No.”

“Senza Cuore, non potrai mai essere altro.”

“No!”

“Solo la copia imperfetta di un originale distrutto.”

“Non è vero. Perché continui a ripeterlo?”

“Perché è così.”

“Tu sei niente!” sibila il ragazzo “Tu e anche tu, perché dite di esserlo. Io no. Io sono me stesso, non copia di nessuno. Io non lo voglio, un Cuore. Non mi interessa. Dico di sì perché lo dite voi, ma non è vero. Ho già la mia mente, ho la mia anima. Non voglio ricostruire una vita che non è mia.”

 

La voce, congelata in quella sua ambigua condizione d’età, fra i toni acuti dell’infanzia e quelli più profondi di un improbabile adulto, si spezza in uno stridio quasi doloroso.

 

“Se non vuoi essere umano, allora perché sei così ossessionato dal tuo passato?”

“Perché voglio capire cosa rendeva Lui così meritevole di esistere. Voglio capire perché devo restare prigioniero nell’oscurità. Voglio sapere cosa ho perso e decidere se tutto questo vale la pena di non vivere. Perché voglio conoscere il guscio vuoto che mi sono lasciato dietro.”

 

Saïx studia Roxas con una fissità che riflette quella del ragazzo stesso.

Qualunque movimento di Roxas, le pupille contratte di Saïx lo seguono. Nessun fremito, nessun distogliere lo sguardo, neppure per un istante.

Come se vedesse solo lui, di tutto quello che sta intorno. Ed è così, per Saïx. In questo momento, esiste solo il suo possibile bersaglio.

Anche lui ha percepito l’alieno.

 

“Non sempre abbiamo quello che vogliamo. Anche meno spesso ci è risparmiato quello che non vogliamo. Ma dobbiamo sopravvivere con quello che ci troviamo.”

 

Roxas evoca uno dei keyblade e lo allunga verso Xemnas. Saïx muove un passo e il secondo keyblade è subito alla sua gola.

Xemnas ferma l’uomo con un cenno e si mette fra i due.

 

“Cosa stai facendo, Roxas?”

 

Il ragazzino guarda i keyblade come se non sapesse cosa siano né perché li stringe in mano.

Li abbassa subito, con una fretta che tradisce la confusione.

 

“Questi appartengono ai Cuori. Lo dicono tutti. Lo dite anche voi. Solo i Cuori più forti sono scelti dai keyblade. Allora perché sono qui, da me? Perché tu hai potuto usarne uno?”

 

Xemnas sente improvvisamente freddo. 

 

“Roxas…”

 

Ma non è il nome giusto. Non è Roxas, quello che ha di fronte.

E’ una cosa estranea, una cosa che non conosce. Una cosa imprevedibile.

 

“Perché vi sbagliate! Voi, i Mondi, tutti. Io sono la prova che sbagliate e, se sbagliate in questo, potete sbagliarvi su ogni cosa.”

 

il mioCuoreRoxasRoxasRoxas nonRoxas

 

“Per voi queste cose contano più di un essere vivente? La loro scelta è indiscutibile? Bene, hanno scelto me. Allora sono io a decidere cosa farci.”

 

Vuole/vogliono impedirti di riavere luceVitaCuore Fermalo!

 

E’ una voce che conosce e sussurra alla sua mente. Una voce che è, quasi, sua.

Il freddo cresce ed è un freddo generato da lui stesso.

 

“Prendili, te li regalo. Fa il lavoro da solo.”

 

ilmioCuore dove

 

Ed è finalmente sicuro dell’identità dell’essere che gli sta davanti nonRoxas nonRoxas NONROXAS

 

Il ragazzo lancia le due armi contro una parete. L’urto è un rumore di vetri spezzati che copre il tintinnio della loro dissoluzione.

 

“Io esisto!”

 

Nemico!

 

L’entità aliena che ha preso il posto di Roxas è scaraventata da una mano invisibile contro lo stesso muro dove si sono schiantati i keyblade.

Si rialza subito. Avanza. E sibila. Come farebbe un gatto, come un serpente. Come... un crepuscolare. Il suo stesso modo di muoversi, per qualche attimo, è identico al loro ondeggiare fra le dimensioni, perché sembra spostarsi a scatti e, a ogni passo, salta una frazione di spazio.

Rivolta lo stomaco, quel riflesso di una condizione mostruosa che minaccia tutti loro. Che, paradossalmente, Roxas è il solo a non dovere più temere.

 

Il ragazzo non si muove con la sua spaventosa accelerazione. La sorpresa lo ha trattenuto, ma già una serie di filamenti incandescenti si intrecciano intorno a lui a disegnare un mandala di luce, mentre artiglia la struttura fisica dell’universo per attingere alla sorgente del suo potere.

Onde di Forze si scontrano in due flussi contrari.

La Luce ha energia e violenza, ma il Nulla, quel quinto, elusivo mattone portante dell’esistenza, quello che non ha Polarità né Complementare, è il telaio su cui le altre Forze intessono trame e orditi per formare la realtà. Può mimare e assumere le proprietà di tutte, inserirsi nei loro schemi e annientarli.

Il Nulla, nella sua omogenea informità, disfa il rigoroso ordine matematico della Luce.

L’adolescente è scagliato di nuovo contro la parete e picchia con violenza uno zigomo. Questa volta, privato della sua energia, è vulnerabile e si affloscia sul pavimento. Si porta la mano allo zigomo tagliato e si osserva le dita insanguinate. Batte le palpebre torpidamente, costretto in una lentezza che per lui è un veleno.

Xemnas lo solleva di peso per i capelli e per un braccio, con tale noncuranza che quasi gli sloga la spalla.

 

fermalo sussurra la voce che è quasi la sua fermaloschiaccialozittisciloSCHIACCIALO

 

Il ragazzo chesembramanonèRoxas si divincola, percuote e artiglia con la mano libera. Nonostante la sua forza, sorprendente persino per un nobody, i colpi non hanno effetto.

 

“Tu farai quello che devi fare. Come ognuno di noi! Mi hai capito?”

 

“Xemnas…”

 

E’ un’altra voce, questa. Senza ambiguità. Saïx. 

Ma è facile ignorarlo.

 

Nel suo dibattersi alla cieca, la cosa nonRoxas lo colpisce in volto. Sorpreso, Xemnas grugnisce e lo lascia cadere.

 

“Quello che dobbiamo fare, oppure quello che tu vuoi farci credere sia necessario?” geme il ragazzo.

   

La sua voce termina in un urlo, quando il Nulla si stringe intorno a lui.

Una stretta leggera, un velo di ghiaccio intorno al cuore, e il nemico rantola a terra. 

 

urla e urla e urla

 

La rabbia nonrabbia adesso è straripata e non può fermarla.

 

ilmioCuore

 

“Xemnas.” esclama Saïx, inascoltato.

 

devotrovarlo

 

“Tu non me lo impedirai!”

 

urlaurlaurlaurla

 

Imprigionata nel pugno del suo pensiero, l’anima di quell’essere è un gomitolo di filo sottilissimo. Xemnas ne trova l’estremità e lo sfila, lo riduce, lasciandolo minuscolo, indifeso, solo, mentre lo spazio si dilata infinitamente.

 

“Xemnas!”

 

Saïx chiama il suo nome e la parola scivola sulla corazza dove si è chiuso. Non può toccarlo, non può raggiungerlo.

 

nemiconemico fermalo ilmio Cuore

 

Il ragazzo soffoca nel Nulla e adesso non emette più un fiato, ma nella sua mente grida, una forma sempre più piccola, sempre più insignificante, unica creatura vivente rimasta nell’universo, alla deriva in un’immensità gelida, desolata, incolore come il grigio fra i Mondi.

Una voce a urlare sola nel vuoto e nessuno a rispondere.

 

fermalofermaloschiaccialofermalofermalo

 

Ma Saïx si intromette fra lui e il suo avversario, proprio come lo stesso Xemnas ha fatto pochi istanti prima, dove non può ignorarlo.

Vagamente, Xemnas si chiede se anche lui è un alieno, un pericolo, qualcosa avvolto in un nome e un aspetto familiari e ingannevoli. La risposta è quasi positiva. Ma non abbastanza. 

Libera Roxas dalla morsa di Nulla.

 

Roxas? E’ Roxas?

 

Il ragazzino si stringe le braccia e le mani. Batte i denti. Sui capelli, intorno agli occhi, alla bocca e al naso ci sono particelle di ghiaccio opaco.

Nonostante l’evidente disorientamento, sta già rialzandosi.

 

“Sono io quello che non sa accettare le risposte che non piacciono? Dimmi una cosa, Xemnas. Se davanti a te avessi la prova che ti sbagli, la riconosceresti? Oppure continueresti a vedere solo quello che vuoi vedere?”

 

Saïx gli tende una mano per aiutarlo. Il ragazzo si ritrae prima che possa anche solo sfiorarlo.

 

“Io ti invidio, Roxas. Sei il più fortunato di tutti noi.” mormora l’uomo.

“E come?”

“Quando guardi dietro di te, non vedi nulla.”

“Allora perché ti rifiuti di ascoltare Zexion? Lui ti vuole dare quello che ho io.”

 

C’è qualcosa di strano in Roxas.

E’ Roxas?!

I frammenti di ghiaccio su di lui si stanno sciogliendo. Non diventano acqua, ma un fluido vischioso. Dove si era formato quel ghiaccio, i colori, la densità, lo sostanza, sono spariti. Buchi, non nella materia, ma nella qualità.

Anche i capelli sono impastati di quella poltiglia collosa e sono diventati fili fragili e secchi. Sbiaditi.

 

“Tu non capisci niente!” stride Roxas all’indirizzo di Saïx.

 

I rivoli che colano torpidamente lungo le guance del ragazzo e gocciolano dalle punte dei capelli ne sottraggono la vita.

E’ una strana lebbra di scolorimento che consuma l’essenza dell’entità Roxas. Quello che resta è una crisalide vuota dopo che l’insetto è volato via.

 

“Roxas, stai pensando di raggiungerli.” esclama Xemnas “Non farlo. Se lo riterrò necessario, ti sottoporrò a cancellazione e ricostruzione mentale. Ti farò imprimere una personalità più adeguata alle nostre esigenze. Ricomincerai da capo e, questa volta, mi assicurerò che sia qualcosa di cui ho il controllo. Preferisco non fare niente del genere, ma ricorda che a noi, di te, servono solo i keyblade.”

 

Ombre di espressioni si susseguono sul volto infantile. Fantasmi incompleti e distorti di rabbia, confusione, stupore, paura. Atteggiamenti che sono il dolore di un arto amputato.

Niente di abbastanza definito, mentre l’adolescente fruga nella sua memoria e nella sua esperienza per trovare il modo di reagire a quanto successo, incapace di esprimere quella situazione aliena alla sua concezione, ma non trova nulla di adeguato, nulla che abbia senso.

Spalanca uno dei sentieri dell’ombra e lo attraversa, infrangendo per la prima volta la regola non scritta che vieta di teletrasportarsi così bruscamente accanto a uno di loro senza preavviso o congedo. Una regola che alcuni si fanno vanto di ignorare, ma che Roxas ha sempre rispettato meticolosamente.

 

Xemnas preme il dorso della mano sul naso e una scia di sangue gli macchia la pelle.

Indebolito o no, Roxas è riuscito a ferirlo. Una cosa di cui tenere conto. Tradisce quella che potrebbe essere la vera forza del ragazzo. 

Il Custode.

Uno dei Custodi.

 

“Lo hai messo in pericolo.” dice Saïx, placidamente intento a osservare il portale in fase di dissoluzione.

“Pericolo? Devo essermi perso da qualche parte. Qui in pericolo eravamo noi. Non ho mai visto un comportamento simile in un nobody.”

 

sembrava…

 

“Non capisco neppure come sia stato anche solo possibile. A lui, poi. Tra tutti, Roxas è quello per cui una cosa del genere è più inverosimile.”

 

furioso? Assurdo.

 

Cosa?

 

“Si è difeso, Xemnas. Non è la prima volta che reagisce con una certa violenza.”

“Una cosa è tirare un pugno a qualcuno. Non ha mai attaccato nessuno in questo modo. Non ha mai usato i keyblade.”

“Lo ha fatto, invece.”

“Solo i primi tempi. Anche tu non eri proprio un modello di comportamento, i primi tempi. Ha smesso appena ha capito quanto tutti noi temiamo quelle cose. Persino in un gioco, ha preferito abbassare le armi e farsi sconfiggere, piuttosto che puntarle su di me.”

“Solo perché non considerava la provocazione sufficiente. All’inizio non discriminava fra gradi di disturbo. La sua unica reazione a qualsiasi forma di disagio era l’aggressione, perché non aveva sufficiente patrimonio cognitivo per fare altrimenti. Ora valuta e risponde in modo graduato alla gravità della minaccia. Fino a questo momento, evidentemente, niente ha raggiunto un livello tale per cui ha considerato necessario rispondere in un modo simile. Questo non significa che, alle giuste condizioni, non ne sarebbe stato capace e le condizioni giuste gliele hai offerte tu.”

“Io non l’ho minacciato.”

“Proibire è un atto di violenza, Xemnas. Esiste solo perché lo è. Altrimenti, la proibizione stessa non sarebbe tale. Il tuo è stato un attacco alla sua volontà e sappiamo tutti molto bene come la nostra specie considera qualsiasi forma di restrizione alla propria volontà. E hai cercato di dare una giustificazione razionale alla proibizione, una menzogna che è stata percepita come tale, con cui hai rafforzato la tua ostilità nei suoi confronti e aggiunto un insulto alla sua intelligenza.”

“Una menzogna non è necessariamente ostile.”

“No? La parola serve a comunicare. Se con essa trasmetti un’informazione falsa, quello che mi comunichi è che le tue intenzioni sono avverse nei miei confronti. Tra l’altro, Roxas comincia a mettere in discussione la nostra infallibilità e tu, oggi, non hai fatto altro che confermare una simile idea.”

 

Ha la chiara impressione che Saïx lo stia redarguendo.

Dovrebbe reagire, in qualche modo, ma non avrebbe senso. Saïx ha ragione e forse è proprio lui che può comprendere meglio di chiunque cosa ha innescato quella situazione inammissibile. 

La particolare condizione di Saïx è dovuta a un meccanismo omeostatico che regola la stabilità del suo sistema mentale. Accumula energia psichica fino al punto in cui essa raggiunge il dispositivo effettore, che la scarica in un’ondata violenta e breve e riporta le condizioni al disotto del livello di tensione.

Quello che è successo a Roxas è forse analogo?

Nel suo caso, una retroazione positiva, che rinforza e autoalimenta l’effetto dello stimolo. Non un meccanismo raro, in caso di sistemi di risposta a situazioni in cui necessita una rapida modifica dallo stato iniziale di quiete.

Se davvero Roxas ha rilevato una situazione di pericolo, vera o presunta che fosse, la cosa avrebbe senso.

 

Può essere una spiegazione. Almeno sarebbe una spiegazione

 

Ma, al momento, c’è una cosa più pressante che richiede la sua attenzione.

La parete dove ha scagliato Roxas è macchiata da una chiazza di informità, simile a un alone di unto incolore.

Dalla sua rabbia nonrabbia, Xemnas si è portato dietro il Nulla.

 

“Roxas non è più decifrabile ora di quanto non lo fosse all’inizio.” prosegue Saïx, mentre torna a sedersi sul divano “Al contrario. Man mano che il suo mondo interiore si è fatto più complesso e il suo campo di valutazione meno lineare, diventa sempre più facile incorrere nella possibilità di superare i confini di ciò che considera accettabile. Quello che prima era solo una netta differenziazione fra due aree, bianca e nera, è poi diventata una scacchiera composta da un numero sempre maggiore di caselle colorate. Ora è una miscela di frammenti tanto amalgamati da non essere più distinguibili l’uno dall’altro. Sta ampliando il suo campo di percezione di pericolo e, se prende il suo maestro come esempio, lo amplierà ancora. Per Zexion non esistono difesa e attacco, non come concetti differenti. Per lui, sono tutt’uno.”

“La migliore difesa è un attacco preventivo?”

“Mi avete detto voi che aveva ucciso tutti gli abitanti umani della città dove si era risvegliato.”

 

Xemnas sta per ribattere che è la stessa cosa fatta da lui, ma non è vero. Saïx aveva ucciso solo coloro che lo avevano aggredito direttamente.

 

“Le cose si sfumano per chi conosce pensieri e intenzioni, Saïx. Per Zexion non c’è differenza fra considerare, valutare, decidere e agire. Un pensiero ostile è un’azione ostile a cui reagire prima che sia messa in atto. Cosa che, dal nostro punto di vista, giudichiamo come attacco preventivo, per lui è solo un mezzo di difesa.”

“Tutti noi, in una misura o nell’altra, siamo in grado di avvertire spesso le intenzioni di chi ci circonda. La vera differenza con Zexion è che noi non ascoltiamo appieno gli avvertimenti che giungono per quella sorgente. Siamo fermi al concetto che un pensiero non ha rilevanza, sino a quando non si trasforma in un’azione concreta. Ma Roxas non ha ragione per riferirsi a un metro di valutazione prettamente umano ed è stato cresciuto da Zexion. Non sarebbe poi così sorprendente se adottasse i suoi sistemi di riferimento.”

 

Controlla la parete.

L’impronta di Nulla non si ritira. Non si ritira affatto. Si dilata e, da essa, si allungano tentacoli molli e slavati.

Saïx sembra non vederli.  

 

“Non stupirti per le azioni di Roxas. Tu hai fatto la stessa cosa. Non è lui il problema più immediato. Sei tu. Lui si è fermato prima di arrivare a conseguenze estreme. Tu no. Hai perso il controllo, Xemnas, e lo hai fatto perché voleva opporsi alla tua volontà.”

“Lui ci ha minacciato con…”

 

non ricordo

 

“I keyblade.”

 

I keyblade?

Tienilitienilitienili

 

“Quando ha sguainato i keyblade, ero io quello pronto a spezzargli il collo per difendermi. Tu gli hai parlato.” replica Saïx “Invece, lo hai colpito quando era disarmato. Per quello che ti ha detto. Per quello che le sue parole implicavano. Perché hai considerato i suoi pensieri una violenza molto superiore o, forse, un pericolo più concreto, di quello delle armi.”

 

I keyblade?

Non ricordo

 

“Hai perso il controllo.” ripete Saïx.

“Me lo hai già detto. Capita, persino a noi.”

“Non deve capitare a te. Tu non sei nessuno di noi. Dovresti ripeterti quello che hai appena detto a Roxas. Farai quello che devi.”

“Io so benissimo qual è il mio posto, Saïx. So chi sono. Non ho bisogno che tu o chiunque altro me lo ricordiate.”

 

Io sono

Mi ha attaccato. Questo lo ricordo

 

“Allora ricordartelo non farà male a nessuno.”

 

Chi sono?

Mi ha attaccato con i keyblade i keyblade i keyblade

vero? 

 

La massa di Nulla occupa ora quasi tutta la parete. Le sue propaggini si estendono sul pavimenti, i muri, nell’aria, si allungano nello studio, simili a quelle di un anemone marino.

Toccano, palpano, esplorano. Avvolgono le cose.

Saïx le ignora, anche se una di esse striscia accanto ai suoi piedi.

 

Xemnas Io sono Xemnas(Xehanort) 

 

“Roxas è uno specchio senza distorsioni. Guardare in lui ti costringe a vederti per quello che sei realmente, senza illusioni. Ho guardato in quello specchio e il riflesso che ho visto è stato…”

 

Xehanort(Xemnas)

 

“Ansem.”

 

Nessuno

 

La ferita si è chiusa quasi subito, ma il sangue uscito non ha neanche cominciato a evaporare e gli intasa il naso. Apre i cassetti della scrivania in cerca di qualcosa che possa servire per ripulirsi.

Inutile. In quei cassetti c’è di tutto, tranne quello che cerca.

 

nessunonessunonessunonessunonessunonessuno

 

“Mi fa male la testa.”

 

Sono Nessuno. Il mio Cuore? XemnasXehanortAnsemNessuno

 

“Lo faresti o è stata solo una minaccia?” chiede Saïx.

“Cosa?”

“Cancellargli la mente.”

 

Il Nulla continua la sua opera di invasione.

Può chiudere gli occhi, voltarsi da un’altra parte, cercare di concentrasi su un pensiero differente.

Non importa, vedesentefiuta tocca sempre quella cosa che si espande.

Le sue appendici non si limitano a esplorare. Si insinuano nelle cose. Si diramano in esse e le cambiano. Ne sostituiscono le molecole, una per una.

Si lasciano dietro solo simulacri incolori. Sembrano uguali all’originale, ma sono spenti, vuoti. Immagini sbiadite e fragili. Castelli di sabbia asciutta, pronti a disfarsi al primo soffio di vento.

Immagina che dovrebbe avere paura.

 

“Posso presumere che, sul tuo mondo, non facevate nulla di simile.”

“No.”

“Da noi si usava, Saïx. In genere, come sistema di punizione. Era una delle sentenze più gravi cui poter essere condannati. Talvolta ci si ricorreva per casi clinici, anche se ben raramente una personalità talmente alterata da avere bisogno di una ricostruzione veniva lasciata vivere. L’eutanasia era una soluzione più semplice e molto più pietosa. In fin dei conti, anche l’integrazione di personalità è una forma di morte. Una forma estremamente sgradevole. Persino ai condannati veniva spesso lasciata scelta fra essa e l’esecuzione capitale, quando non occorreva preservare determinate capacità del soggetto.”

 

Ansem

parlaparla parla

Xehanort

parla e non pensare.

Xemnas

parla e non guardare

Nessuno

 

“Non stiamo parlando di cambiare un rubinetto, Saïx. Se fosse possibile costruire artificialmente una personalità completa e autosufficiente, credi che Zexion avrebbe perso tanto tempo con Roxas? Si sarebbe limitato a fornirlo di quello che serviva. Gli individui sono il risultato di uno sviluppo continuo, una combinazione tra fattori ambientali e innati in evoluzione. Non si può creare una personalità alternativa e differente e scambiarla con quella naturale preesistente. Neppure il più capace degli ingegneri psichici sarebbe in grado di progettarla in tutte le sfaccettature che la compongono. Tra l’altro, le personalità hanno una percentuale di derivazione biologica. Da quella non si esula. Puoi smorzare e rendere inattiva una personalità, ma non eliminarla fino all’ultima traccia, ottenere un contenitore vuoto e riempirlo con quello che ti fa comodo. A prescindere da ogni altra considerazione, ci sarebbe anche il problema di chi potrebbe farlo. Il solo fra noi in grado di portare a termine un trapianto psichico, dubito che ci sarebbe d’aiuto, in questo caso.”

“C’è Naminé.”

“Soltanto un pazzo lascerebbe una bambina ritardata giocare con la mente di qualcuno solo perché ha il potere di farlo, salvo che non consideri il soggetto perduto in partenza o non gli importi nulla di lui. Sarebbe come dare da effettuare un trapianto vascolare a un cuoco visto che sa usare un coltello. Anche ammesso che Naminé sia in grado di effettuare materialmente l’operazione, non significa che può progettare un elemento sostitutivo compatibile e adeguato da trapiantare. Le personalità integrate devono assimilarsi nell’ospite alla perfezione. Qualsiasi vestigia della personalità originale può creare un conflitto irrisolvibile, se quella artificiale presenta qualche elemento di incompatibilità. Se tutto va bene, una sindrome da rigetto psichico termina con la riemersione della personalità originaria e due coscienze non condividono lo stesso corpo. O una delle due è soppressa oppure, prima o poi, tenteranno di annientarsi. Altrimenti, puoi scegliere. Schizofrenia, risultanza di una terza personalità inaspettata, catatonia, demenza, morte. La personalità integrata può anche essere carente in qualche aspetto e quello che ne scaturisce è un idiota sbavante. La casistica è ampia.”

“Quindi, è stata solo una minaccia.”

“Quello che Ansem aveva minacciato di fare a me, a noi, se non avessimo obbedito. Come vedi, non riesco a liberarmi di lui.”

 

Mentre si secca, il sangue che ha in faccia tira la pelle. Comincia proprio a dare fastidio.

Forse troverà qualcosa di utile a toglierselo di dosso in uno degli altri mobili.

Esista un attimo prima di toccare un armadio che, adesso, è un gomitolo di filamenti e festoni di Nulla.

Si decide e ha la sensazione di far passare la mano attraverso uno strato di gelatina fredda, un po’ adesiva. Ma non lascia tracce su di lui e, comunque, non è proprio come gelatina.

mercurio?

Alle sue spalle, Saïx lo fissa inquisitivo.

 

“Quello che viene fatto è cancellare quanto più profondamente e quanto più possibile i ricordi preesistenti, imbottire il soggetto di farmaci psicoattivi, sopprimere determinate funzioni cerebrali, programmare un’esistenza virtuale con il maggior numero di dettagli, azioni, reazioni, abitudini, integrarla con quella naturale, in modo tale che la sinergia fra esse dia un risultato, inserire il soggetto in un ambiente controllato per evitare variabili impreviste e tenere pronti antagonisti psichici per annullare eventuali effetti collaterali indesiderati. Cancellare la memoria riduce il rischio di incompatibilità, ma è come abbattere il sistema immunitario di un individuo sottoposto a trapianto di organi per impedire il rigetto. Rimane sempre un sistema che indebolisce l’organismo. E parlo di esseri umani. L’architettura mentale dei nobody è drasticamente differente. Non ho idea fino a che punto e se la cosa funzionerebbe su uno di noi. Certo non mi metterei a sperimentare proprio sul solo che non possiamo neppure sognarci di sostituire.”

 

I tentacoli stanno avvolgendo il divano. Entrano nelle fibre di stoffa e le rimpiazzano. Accarezzano Saïx, viscidi e languidi, ma scivolano su di lui senza parassitario.

 

“Sì, è stata una minaccia, una che non posso neanche considerare di mettere in atto. E’ vero, Saïx. Solo logica od opportunismo ci permettono di piegare la nostra ostinazione alla necessità e, anche così, sai bene quanto è difficile. Ma, questa volta, la logica è dalla sua parte e il timore lascia il tempo che trova. Roxas non mi teme. Non ha ragione di temermi, né me, né alcun altro di noi. L’ho minacciato nella sola cosa in cui posso minacciarlo. Ha detto a chiare lettere cosa importa a lui. Probabilmente, si accorgerà presto che la mia è stata solo una minaccia a vuoto, ma non sapevo come altro farmi ascoltare. E proprio tu hai detto che Roxas sarà colui che unirà Marluxia a Zexion.”

“Continuo a esserne convinto.”

“Lo sono anch’io, ma non possiamo rinunciare a lui e questo vuol dire che gode di immunità. Roxas è in una condizione di privilegio. Se non mi ascolta così, che dovrei fare? Ucciderlo? Che otterrei, a quel punto?”

“Stavi per farlo.”

 

non ricordo perché

I keyblade? Tienilitienilitienili

niente Cuori Cuori Cuori Cuori CuorE

 

Anche nel resto dello studio, la ricerca non ha dato esito. Possibile che non ci sia un fazzoletto da nessuna parte?

Alla fine, si rassegna a tamponarsi la faccia con la manica della camicia.

Lo studio è addobbato da ragnatele di Nulla.

Xemnas affonda di nuovo nella poltrona. Anch’essa, adesso, è solo un simulacro.

Si chiede se sosterrà il suo peso. Ma se anche non lo facesse, non vede che importanza potrebbe avere.

E’ solo curioso sui limiti di portanza di quella materia-ombra.

La poltrona non ha cedimenti.

Dovrebbe portare qualcuno di quegli oggetti sostituiti in laboratorio per far analizzare la loro struttura. Appurato che possiedono una certa resistenza, ci sarebbe da conoscere elasticità, viscosità, duttilità, malleabilità.

 

“Ha ragione, Saïx. Dal suo punto di vista, ha ragione. In senso puramente logico, avrei dovuto tenere Axel e permettere a lui di andare a Oblio. Mi meraviglio che nessun altro abbia fatto una simile obiezione.”

“Axel ha chiesto di accompagnare Marluxia e Larxene. Passano gran parte del loro tempo insieme, la sua richiesta non ha sorpreso nessuno.”

“Axel sa cosa deve fare e come. Non sarebbe mai stato così trascurato da lasciare che gli ordinassi una cosa simile di fronte a tutti. A quel punto, sarebbe stato davvero troppo evidente. Credi che mi accorga adesso di Marluxia?”

“E tu credi che avrebbe fatto differenza? Per chi? Ormai il solo a cui sono disposto concedere la neutralità è Demyx. Luxord mantiene il suo preteso disinteresse, per quello che vale. E’ solo una messinscena.”

 

Saïx sembra avere poca voglia di lasciarlo, a costo di prolungare una conversazione esaurita.

Ma va bene così.

In quel mondo di viscidume incolore che sostituisce poco per volta la realtà, Saïx è ancora vero, originale. La sola cosa che non cambia.

 

Xemnas si sfrega le tempie e subito si ferma. E’ un gesto inutile per dissipare il dolore, ne ha anni di esperienza. Però non riesce a evitarlo. Si controlla, ma basta un istante di disattenzione e ricade in quel vizio puerile. 

 

“In una cosa ti sbagli. Non ho perso il controllo. Sapevo benissimo quello che stavo facendo ed era proprio quello che volevo fare. Il solo problema è che volevo distruggerlo.”

 

Ma Saïx lo sa. Per questo lo ha fermato.

Chissà quanti si sono resi conto di quello che ha fatto, se qualcuno se ne è reso conto.

Se a qualcuno importa.

 

“La nostra personalità è dovuta ai ricordi della vita umana. Roxas non ha ricordi, quindi non dovrebbe avere una vera personalità. Era così fino a quando Zexion non lo ha preso con sé.”

“Credi che Zexion abbia plasmato Roxas a sua immagine?” chiede Saïx.

“E’ quello che ho sempre pensato. Ha coltivato il ragazzo come più gli ha fatto comodo. Roxas è, in realtà, solo opera sua. Ma Zexion inverte la questione. Dice che siamo entità indipendenti. Che ci comportiamo come le nostre controparti perché lo ricordiamo. Che, a causa di quei ricordi, non riusciamo a sviluppare appieno il potenziale della nostra individualità. Roxas lo dimostra, proprio perché manca di buona parte della memoria, non sa come si comporta Sora e sviluppa la sua propria personalità, ben diversa da quella dell’umano.”

“Per quel poco che ne so in materia, è una teoria altrettanto valida di quella conformista. Tra l’altro Naminé, che, quando è stata trovata, era nelle stesse condizioni di Roxas e a cui non è stato certo fatto il lavoro fatto a lui, che, addirittura, non ha quasi contatti con noi, mostra comunque una certa individualità. Non spiccata quanto quella di Roxas, ma non è assente.”

“Naminé è dotata di grandi doti telepatiche, Saïx. Le manca il contatto fisico, ma non si può dire lo stesso di quello mentale. Forse le è bastato per sviluppare la personalità che possiede.”

“Allora, a questo punto, mi chiedo quale sarebbe la differenza con un essere umano. Tu stesso mi hai appena ricordato che, anche per loro, la personalità è indotta dalla combinazione dell’ambiente con i fattori congeniti.”

“Quindi, tu gli credi.”

“Ha realmente importanza?”

“Dici di no?”

“Xemnas, stiamo lavorando con ipotesi, speculazioni, congetture. La tua ipotesi, quella di Zexion, quelle ereditate dai Mondi. Tutte non verificate e, allo stato attuale delle cose, non verificabili. Non possiamo neppure confidare nell’esperienza empirica, poiché noi stessi siamo l’oggetto dell’esperienza e, di conseguenza, falsiamo il dato. Quindi, il loro valore è identico, ossia nullo. Il solo comportamento logico sarebbe aspettare fino a quando non fossimo in possesso di maggiori evidenze a sostegno dell’una o dell’altra. Purtroppo, questo ci è precluso. Quello che sappiamo con certezza è che non possiamo restare in questo stato. Nessuno di noi, salvo Roxas, ha ragionevoli possibilità di mantenere a lungo la propria forma. Dobbiamo decidere ora cosa fare.”

“Ma senza il supporto della conoscenza, cosa ci resta? Perché per te io sono più credibile di loro?”

 

Saïx non pronuncia nessuna delle parole che potrebbero dare risposta a quelle domande.

 

Sembrava lo avessero verniciato. Sembrava gli avessero strappato la pelle per sostituirla con un viscido strato bagnato di pittura rossa.

Fissavano quella creatura minacciosa e agonizzante, incapace di arrendersi all’oblio.

Non erano soli.

Non erano i soli a pagare il prezzo di quello che avevano liberato. 

 

“Non è questo il punto, Xemnas. Qualunque cosa siamo, la sola cosa che conta è se vogliamo continuare a restare così.”

 

èstato SONONESSUNO lui haattaccatolui

 

A questo punto, gli resta da sapere una cosa. Guarda il sangue che gli macchia il dorso della mano.

Non è sangue. E’ quel torpido e denso liquido mercuriale.

Chiude il pugno. Il flettersi di muscoli, tendini e ossa è quello solito. Sì, la dinamica è corretta, ma è solo il movimento di piani senza profondità, il piegarsi di un foglio di carta.

Anche lui si sta svanendo, sostituito da una sua copia di Nulla. Un involucro pieno di fluido vischioso.

 

“Di tutti noi, tu sei il meno interessato alla nostra condizione.” afferma Xemnas.

“Probabile.”

“Perché? Non hai mai provato curiosità? Non perché, in qualche modo, la cosa ti possa essere utile. Solo per sapere.”

“No. Non mi importa della natura di qualcosa che non avrebbe neppure dovuto essere mai esistito.”

“Sei uno scienziato anche tu. Essere un nobody non ha cambiato questo fatto. Continui il tuo lavoro, anche più di prima. Passi tutto il tempo che hai a studiare stelle che sai non esisteranno in breve tempo.”

“Le stelle sono sempre le stesse. Io no.”

 

il mio Cuore

devo trovarlo devo trovarlo devo trovarlo devo trovarlo devo trovarlo devo trovarlo

io devopossodevodevodevodevoVOGLIOtrovarlo

 

Non riesce a ricordare cosa provava quando ha colpito Roxas. Forse perché non ha provato niente. Ma non ricorda neanche cosa ha pensato. Non ricorda perché lo ha colpito. Può solo supporre che, in quel momento, gli è sembrata una buona ragione.

Le mani gli tremano.

Le intreccia e ci appoggia il mento. Un modo come un altro per nascondere quella reazione incontrollabile e paradossale.

 

“Qualche volta, in questi anni, ho pensato di lasciare il comando proprio a Zexion. Mi chiedo cosa sarebbe successo, se lo avessi fatto.”

“Zexion è molto capace ed è realmente interessato al benessere di tutti noi. Ci sono ottime probabilità che sarebbe stato una buona guida.”

“Migliore di me?”

 

Saïx scopre i denti e sibila.

 

“Ti credi così infallibile da essere al di sopra di ogni critica?”

“Se lo fossi, non saresti qui a chiedermi una cosa simile.”

 

Il Nulla ha rimpiazzato quasi tutto quello che lo circonda.

Nel vedere quei simulacri prendere il posto della sua esistenza, ha solo il desiderio di uscire dallo studio per capire se il fenomeno prosegue anche all’esterno. 

In cielo, soprattutto.

 

 

* * *

 

 

Nei cataloghi stellari di Xigbar e Saïx, la regione di spazio è classificata come NbiNion117/dals.

E’ una nebulosa a emissione, in una giovane dimensione nascosta fra le anse periferiche della rete dei Mondi. Una nube di polvere e plasma, che racchiude al centro un fitto ammasso stellare aperto, ricco di supergiganti blu, causa della ionizzazione del gas e della sua inconsueta luminosità.

In quella nebbia rarefatta c’è la formazione celeste più impressionante. Una serie di nubi di idrogeno molecolare e polveri, alte anni luce, plasmate dall’azione del vento stellare sulle zone di maggiore condensazione della nebulosa.

Le onde d’urto della radiazione ultravioletta delle grandi, roventi stelle dell’ammasso centrale, consumano gli elementi più leggeri della nebulosa e scolpiscono polveri ed elementi pesanti in forme spettacolari, in una ripetizione siderale del processo di erosione geologica.

Appaiono come pilastri fatti di immani nembi temporaleschi di ribollente Oscurità, dalle superfici disseminate di veli luminosi e vapori incandescenti. Colonne di fumo che si innalzano in forme contorte dal mare nero dello spazio.

I pilastri del cielo racchiudono nel loro cuore semi di stelle.

 

La coscienza disincarnata scivola fra le aurore spettrali e si tuffa nel nucleo di una delle colonne per osservare i processi di genesi.

In quell’incubatrice celeste, gli embrioni stellari si nutrono della materia stessa delle nubi e accrescono la loro massa, in attesa di raggiungere il limite dopo il quale potrà attivarsi la fusione nucleare che darà loro vita.

Probabilmente, sono destinate a morire prima ancora di nascere. Se non tutte, almeno molte di esse.

La marea di Luce frange contro i pilastri, li consuma e scopre i globuli gassosi delle protostelle. Senza il guscio protettivo di Oscurità, esse non sopravvivranno, cannibalizzate dalla furia delle loro sorelle già nate.

 

Ma c’è qualcuno, con il suo involucro fisico, con lui.

Con il procedere dell’amputazione dei legami con la vita umana, le sue capacità si accrescono e si affinano, e può spingersi sempre più lontano, a mente nuda, senza quasi più necessità di usare i magnificatori mentali per esplorare i Mondi. Ma, anche adesso, non può recidere il legame con il suo corpo.

Non importa quanto sia profondamente addentro nel mondo mentale, o profondamente addormentato. Una parte di lui è sempre all’erta, i suoi sistemi di allarme e di autopreservazione sempre attivi, sempre pronti a destarlo, più efficienti di qualsiasi mezzo artificiale.

Colpirebbe qualsiasi estraneo osasse violare il suo santuario, qualsiasi estraneo osasse scoprirlo nel sonno, ma questa presenza non è estranea e non è una minaccia. Lo chiama indietro, nel mondo materiale, e Zexion deve abbandonare la serenità dello spazio e apre gli occhi nel buio del suo studio.

 

La piccola figura è raggomitolata nella vecchia poltrona imbottita dove usava sedersi quando lo sottoponeva alle sedute di analisi, ed è paradossale ricordare quanto, allora, odiava quella poltrona, mentre, adesso, appare quasi volere affondarci dentro.

Ha una ferita aperta su una guancia e la sua mente è serrata con una forza che dissuade a intervenire.

 

“Roxas, perché sei qui?”

 

Il ragazzo sta facendo una cosa nuova. Piange.

Non ci sono lacrime, né singhiozzi, certo, ma gli schemi mentali tremano sul punto di una rottura rovinosa. Il suo pensiero si intreccia in un lamento continuo, ripetitivo.

La voce, naturalmente, è chiara e fredda come sempre.

 

“Tu sei Ienzo?”

 

Ancora quella domanda. Quella a cui non ha mai risposto.

 

“Non lo so. Non l’ho mai capito.”

 

dimmi di no

 

“Non posso dirti quello che vorresti, o che vorrei io. Posso dirti solo quello di cui sono sicuro.”

 

è questa la risposta, dopo tutti gli anni che hai speso dietro le tue ricerche, dopo avere gettato la tua umanità, il tuo mondo, gli universi nelle tenebre? 

 

“E’ la sola che posso offrirti.”

 

Anche se la voglia è tanta.

Dirgli quello che vuole sentirsi dire. Credere che, per una volta, la sua voce non ha portato sofferenza.

Credere a una menzogna.

E sapere che resterà, comunque, una menzogna.

 

“Vai a dormire, Roxas. E’ tardi e sono stanco anch’io.”

 

Roxas non si muove, se non per acciambellarsi anche più strettamente.

Dovrebbe allontanarlo. Non tenta di scoprire perché è in quelle condizioni. E’ ininfluente. Il ragazzo deve smettere di usarlo come rifugio di emergenza ogni volta che qualcosa lo contraria. Deve proprio smettere di cercare un rifugio. 

Potrebbe farlo sprofondare nel sonno, lo voglia o meno. Potrebbe fargli dimenticare persino di avere pensato di essere venuto da lui. Potrebbe creare un universo mentale dove Roxas ha quello che vuole, per un tempo lungo una vita intera

illusione

e tornare a vagare fra i pilastri del cielo. Abbandonare, per un po’, la terra, come se non lo riguardasse.

 

illusioneillusioneillusioneillusioneillusionillusionillusionill

 

Una che neppure lui può padroneggiare.

 

E’ davvero stanco e non trova la forza né la voglia di obbligare Roxas ad andarsene.

Tanto, domani partirà con Lexaeus e Vexen per raggiungere Oblio. Marluxia e Larxene sono già nel loro nuovo dominio, Axel li seguirà in pochi giorni con Naminé e, a quel punto, saranno ufficialmente divisi.

Lui e Roxas hanno ognuno la propria strada da seguire, ed entrambi corrono verso la tempesta.

Si siede alla scrivania e prende a sé il rebus basato sulle sequenze numeriche, quello iniziato il giorno del suo primo esperimento vittorioso con le illusioni concretizzate, così tanti mesi prima.

Non accende le luci. Roxas sembra felice di restare al buio e la luce non serve.

Chiude una delle sequenze con il numero giusto e passa alla prossima. Non è ancora riuscito a completarlo. A questo punto, non è più neppure sicuro di riuscirci.

 

Va avanti così tutta la notte. Roxas non si addormenta. Non dice più nulla e quasi non si muove, ma, ogni volta che lo guarda, Zexion si accorge che gli occhi del ragazzo sono spalancati, fissi sul cielo esterno, sulla neve che continua a cadere. Sull’inverno che ancora non accenna a placarsi.

Monotona, ossessiva e incessante, la nenia mentale.

 

 

RoxasRoxasRoxasRoxas io sono Roxas Roxas RoxasRoxasRoxas sono qualcuno sono me stesso niente altro

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

Scusate il ritardo. Le altre volte era semplice pigrizia. Purtroppo, questa volta è stato davvero causato da fattori indipendenti dalla mia volontà. Approfitto dell’occasione per ringraziare ancora e sempre tutti i naviganti di queste burrascose acque. Nuovi e vecchi. ^__^

 

Per prima cosa, i Pilastri della Creazione che Zexion rimira esistono davvero, nella nebulosa Aquila. Temo proprio di non avere fantasia sufficiente per immaginare qualcosa del genere, né, garantisco, ho la capacità di descriverli adeguatamente.

 

Bene, è finita la seconda parte di questa storia che comincia ad assomigliare a un poema epico. Da domani, si arriva finalmente alla rivolta. Non vi aspettate che mi metta a sviscerarla a fondo. Giuro che ho provato a dare senso a quel pastrocchio. Mi sono arresa, con disonore e senza condizioni. Quando mi sono accorta che cominciavo a considerare Sora e il suo bestiame da compagnia come i più razionali del gruppo, ho capito che dovevo smettere, prima di danneggiarmi irreparabilmente il cervello. Non esiste ragione, umana o disumana che sia, del perché si comportino in quel modo. Eccetto una. Marluxia dava via roba pesante e tutti se ne erano fatti in dosi abbondanti.

Tanto sappiamo tutti quello che succede, no? Nel giro di qualche capitolo, l’Organizzazione XIII sarà diventata il Country Club VIII, coloro alla cui morte abbiamo assistito saranno morti, Sora ficcato in coma e DiZ a piede libero.

Wendy? Sono a casa, amore.

 

Chris: non ho intenzione di abbandonare, dovessi rimetterci anima e cuore. Tanto la prima me la sono già venduta e non sono troppo sicura dell’esistenza del secondo. Mi tengo mente e corpo, che a quelli ci tengo. A proposito, grazie per la segnalazione ^__^

 

Guarda, sono davvero felice che il capitolo ti sia piaciuto, ma ti assicuro che è piaciuto tanto anche a me da scrivere. Avevo bisogno di sfogarmi e il mio Zexion cominciava a sembrare una balia. Anche se posso ben sperare che nessuno dirà mai che è tenero e puccioso. Giuro che per un po’ ho creduto di avere le allucinazioni, ma sono andata a rivedermi le parti dove compare nel gioco. Ho proprio ragione io. Zexy non ha proprio nulla di timido, silenzioso, triste e tutto quello che gli viene associato di solito. E non è nemmeno basso e gracile come leggenda vuole, tra l’altro.

 

Se i 13 avessero attaccato in modo sensato, le fibbie della cintura di Sora le avrebbe usate Larxene per farsene una collana.

Cioè, hanno dalla loro Xigbar e Luxord. Spazio e tempo. Parliamone. Che senso ha avere il potere di Xigbar e limitarsi a saltellare come una cavalletta sul campo di battaglia?

E Rox? Perché il piccoletto dovrebbe giocare con quelle balorde lame di luce? Perché il suo potere dovrebbe limitarsi allo spettro visibile?

Eh, sì. Sono proprio brava, io, a uccidere. Come favola della buona notte, papà mi raccomandava di non andare mai all’assalto diretto in campo scoperto contro chi è asserragliato in una postazione elevata e di non farmi mai sorprendere costretta alla difesa. Non so che pensava avrei dovuto fare da grande, ma mi è servito per le fanfic ^__^

Sarei disposta a offrirmi ai 13 come consulente bellica. Però le condizioni di ingaggio le voglio trattare con Demyx o Roxas. Per quanto assolutamente adorabile trovo Zexion, e con lui non disdegnerei certo uno scambio di opinioni in campo scientifico, quando si tratta di fregare il prossimo preferirei mi stesse molto lontano ^__^

 

DtmyRoom: Naminé… ecco, devo dire che questo tuo commento ha sorpreso me. Mi fa molto piacere che lo hai notato, solo che non credevo di avere fatto una cosa particolare. Se i nobody si creano da quello che resta di corpo e anima, nel caso di Naminé c’è una piccolissima incongruenza. Cioè che il corpo di Kairi se ne stava pacificamente in coma. Quindi Naminé non è il nobody di Kairi.

Non si possono gettare le basi di un universo virtuale poi non essere coerenti ad esse. Se no, è solo pessima caratterizzazione ^__^

 

Vero, odio Topolino. Beh, odio per modo di dire. Non provo grandi slanci emotivi per qualcosa che non esiste. Però sì, nell’ambito del gioco, lo odio. Eh, che devo dire? Immagino che se odiassi Vexen o Xehanort nessuno ci troverebbe nulla di strano. Loro mi piacciono, invece ^__^

Tornando a Topolino, sì, ha un aspetto buffo, sono d’accordo. Ha una voce poco seria, vero. Allora, per un attimo, chiudi occhi e orecchie. Fa finta che Mickey non abbia l’aspetto di Mickey, né la voce di Mickey, e non viva nel castello Disney. Pensiamo ora a quello che fa e predica.

Vuole segregare i mondi. Lui, però, non ha problemi ad arrivare a Radiant Garden.

Vuole vietare la ricerca sull’oscurità. Sulla base di… niente. Se non aveva prove di quello che diceva, il discorso non aveva senso. Se le aveva, doveva presentarle. Se le aveva e non le ha presentate, allora è stato criminale.

Vuole distruggere persone trincerandosi dietro il proclama che tanto non esistono. Non parlo solo dei 13. Ci si chiede mai che fine fanno gli altri nobody una volta scomparsi i loro capi? Davvero qualcuno crede che Topolino & c. li abbiano lasciati in pace?

Non obietto che li combattano come nemici. Topolino e gli eroi hanno tutto il diritto di difendere sé stessi. E’ sul concetto che sta alla base che ho parecchie riserve. Non mi sono inventata io la sparata di DiZ (che prima dice che non esistono, poi che non hanno diritto di esistere. Dice che non hanno emozioni, però vuole che Roxas riversi il suo odio a Sora. Il nostro Saggio ha gravissimi problemi di coerenza), o quella di YenSid. E Topolino segue la loro politica.

Poi la simpatica affermazione che combatte l’oscurità non perché la odia, è solo che fa paura. Una cosa fa paura e, invece di cercare di capirla, si parte in quarta per distruggerla? Ma complimenti, un atteggiamento che definirei illuminista.

Queste cose non cambiano perché fatte da qualcuno con un aspetto ridicolo.

 

Comunque, a parte il mio giudizio personale, finora nella storia si è sentito solo il punto di vista di Zexion e dei suoi colleghi. Non puoi pretendere che siano benevoli verso il ratto.

Vedrai che quando darò voce alle ragioni dell’altra parte, l’opinione sarà diversa ^__^

Spero di riuscire a essere obiettiva, almeno.

 

Rixika: come potrei mai ucciderti? Anzi, continua pure, non farti scrupoli ^O^

 

Perché Xemnas non vuole far sapere a Roxas di Sora? Ah, dovresti chiederlo a Nomura. Diciamo che Xem, talvolta, ha delle uscite davvero… originali. Cerchiamo di immedesimarci in lui. Vuole il suo Cuore. Non riesce a concepire nessun’altra pulsione per un nobody. Avrà pensato che se Roxas avesse saputo di Sora, sarebbe scappato per unirsi a lui  e così avrebbe perso il loro custode. Peccato che è scappato proprio perché non gli hanno raccontato la verità fin da subito :-(

 

Lieta che ti piaccia l’impressione che Rox lascia sul superstite. Mi sarebbe piaciuto da pazzi vedere Roxas in modalità search and destroy contro i mondi umani. Deve fare davvero impressione trovarselo contro. Insomma, con quel musino, quell’età, quell’aspetto, al massimo viene voglia di coccolarlo. Ma ci sarà bene una ragione per cui è considerato uno dei più forti guerrieri dei 13 e non credo sia a causa dei boccoli biondi e gli occhioni azzurri.

Purtroppo, dubito fortemente che il nuovo gioco mi soddisferà in questo senso e le notizie che ho non mi rassicurano in merito.

 

Concordo in pieno con la tua opinione sul rapporto Roxas/Sora. Sora fa il generoso una volta che Roxas è svanito. E’ come le scuse di DiZ. Facile, con qualcuno che non esiste più.

Non penso che, se Rox e Sora si fossero conosciuti da vivi, le cose sarebbe state così pacifiche. Non penso si sarebbero amati. Non penso si sarebbero neanche tollerati. A parte che, come dici tu, sono troppo diversi, Sora non crede neppure che i nobody siano esseri viventi. Ci manca un filo che, quando uno di loro si rivolge a lui, si ficchi le dita nelle orecchie facendo LALALALA. Dubito avrebbe riservato un trattamento migliore a Roxas solo è perché stato lui a farlo venire al mondo.

Sono più possibilista sul contrario, ma non tantissimo. Nel senso che sono più disposta a credere che, al limite, sarebbe stato Roxas a tentare una coesistenza. A quel punto, Sora lo avrebbe assalito sparando fuori qualche vaccata sull’esistenza e l’altro, giustamente, avrebbe reagito come una iena.

Se la cosa ti fa felice, ti anticipo che nella mia storia i due si odieranno ferocemente, per molte ragioni, alcune già definite, altre ancora da venire. Ma si odieranno, di un odio implacabile. Al punto che diventerà una cosa risolutiva per il futuro di entrambi. Come già insegnava quella buon’anima di DiZ, odiare serve.

 

Giodan: mi lusinghi, ma... troppa fatica. Poi non potrei più fare quello che voglio. E pensa, se fossi una vera scrittrice, a voi mancherebbero le mie storie ^O^

 

Max: cerco di evitare l’effetto disneyano della morte pulita. In KH muore un numero spropositato di persone e non si vede una goccia di sangue. Non discuto. E’ un gioco per bambini e ci sono cose da fare per lanciarlo sul mercato. Io, invece, sono libera. Al massimo, alzerò il rating.

Mi piace la violenza e che sia piuttosto cruda. Non è che mi piace lo splatter. Lo splatter è esagerazione. Voglio solo una sensazione di realismo, anche se la situazione, come qui, è chiaramente irreale.

A un certo punto, nel gioco, Roxas e Riku passano una nottata a suonarsele con pesanti armi di metallo piene di lame e spunzoni, con una ferocia e un’ostinazione invereconde. Per tacere di corse sui grattacieli (sulle pareti dei grattacieli), possessioni pseudodemoniache, trasformazioni, colpi di energie strane.

Saltano fuori belli come il sole, senza un livido, un capello fuori posto o uno strappo nei vestiti.

Garantito che quanto dovranno recitare nella mia versione di quella scena, non ne usciranno così splendenti. Sono creature sovrumane, resistono a parecchi colpi prima di crollare. Sputeranno sangue, alla lettera.

 

Il tuo commento su Marluxia è così gratificante. Sono certissima che lui lo apprezzerebbe.

Vedi, Marluxia è un personaggio che gode di una fama poco lusinghiera. Assolutamente immeritata e dovuta solo all’aspetto. E quello che penso io del giudizio dovuto all’aspetto non è un mistero, ormai.

Te l’avevo detto che avevo un personaggio analogo a Cornelia. Potresti prendere spunto, no? Non ti faccio neppure pagare i diritti d’autore ^O^

 

 

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Capitolo 22
*** Terza parte ***


Terza parte

 

Terza parte

 

 

 

Ecco l'Alfiere del Re. Essendo stato punito, ora è in prigione, e il processo non comincerà che mercoledì prossimo. Naturalmente, il delitto è l'ultimo ad accadere.

 

Attraverso lo specchio, Lewis Carroll

 

 

 

* * * * * * * * * * *

 

 

 

Non misura il passare del tempo. Non esiste tempo dove non esiste cambiamento, dove non esiste differenza fra prima, adesso e dopo.

Si limita a galleggiare, sospeso nel ricordo del tradimento.

Poi, non è più solo. Un altro esule ha invaso la sua prigione.

Il suo arrivo interrompe l’uniformità, porta il tempo in quel regno vuoto. Gli permette di avere un riferimento, valutare quanto è trascorso dall’inizio del suo esilio.

 

Anni.

Fluttuante nel nulla.

Nella dimensione del nulla.

Anni di nulla.

 

Prova curiosità per il nuovo arrivato. Ma, soprattutto, prova paura. E disgusto, e odio.

Oscurità. Non ha mai visto tanta Oscurità in un essere vivente, eccetto uno. Un figlio, disperatamente amato. Qualcuno la cui slealtà era stata tanto più dolorosa proprio per questo.

 

Vorrebbe cancellare questa cosa, afferrare la sua essenza vitale e farla brandelli, sparpagliarla per il non-spazio.

Ma la tenebra è un genitore premuroso e protegge sempre i suoi figli. Si protrae dall’intruso, lo chiude in un abbraccio protettivo. I suoi tentacoli si sollevano come serpi gonfie di veleno, pronti a difendere il loro prezioso fardello.

 

Allora, reprime paura e odio. Resta la curiosità.

 

 

cosa sei?

 

 

L’alieno pensa a sé come una forma e un’identità. Un ragazzo umanoide, dai capelli bianchi.

 

 

chi sei?

 

 

La risposta è in immagini.

Foreste praterie savane montagne. Spiagge mari laghi deserti ghiacciai. Radici nubi arcobaleni. Pioggia vulcani nebbia.

 

 

il tuo nome

 

 

Una parola che è una benedizione per tutti i popoli dei Mondi.

 

Deve essere stato molto amato perché gli abbiano imposto un nome simile. O i suoi genitori hanno avuto molto orgoglio.

O hanno sperato così di esorcizzare il mostro a cui hanno dato vita.

 

Capelli bianchi…

 

L’Oscurità culla la creatura come una madre farebbe con il figlio malato.

L’entità che un tempo ha avuto corpo, nome e regno, si avvicina.

 

 

Terra

 

 

 

* * * * * * *

 

 

 

Il delfino irrompe dall’acqua, emette uno sbuffo e un fischio e conclude il salto immergendosi di nuovo. Il suo tuffo quasi non smuove la superficie oleosa del mare.

In un attimo i delfini sono due, tre, cinque, così tanti da non poterli contare. I loro fischi diventano un coro a fare da accompagnamento a una risata.

Per ore i delfini continuano a danzare intorno all’imbarcazione, poi, l’uno dopo l’altro, l’uno insieme agli altri, abbandonano e si allontanano. Emergono in controluce contro l’argento incandescente dell’acqua. Un altro secondo e sono scomparsi, tutti.

Con lui restano due voci distinte. Due figure distinte, a tendere le cime delle vele.

Sono quasi riconoscibili.

La mano che governa il timone dovrebbe essere la sua, ma è troppo scura, troppo diversa. Sbagliata.

 

Apre gli occhi e si aspetta di essere sorpreso dal fulgore di quel cielo quasi bianco, dal sole rovente, dalla sensazione che tutta quella luce lo possa…

 

Abbagliare?

 

E questo è davvero un pensiero che non gli appartiene, perché lui può fissare le stelle dallo spazio a occhi nudi.

E’ quasi sorpreso di trovarsi nel buio. Ma non dovrebbe aspettarsi altro.

Fuori, la neve continua a cadere. Come sempre, il cielo è nero.

 

Si siede e non accende luci. Non vuole bandire l’oscurità, non ora.

Allunga la mano a cercare la cosa che tiene sul mobile accanto al letto, un coltello dalla lama nera e l’impugnatura rosa.

La sua solidità è reale.

Lo solleva davanti al volto.

Le mano con cui lo stringe è sua. Questa è sua.

 

Lascia il pugnale, si alza ed esce sulla terrazza. La neve brucia sulla pelle nuda, ma il suo tocco gelido ha il sapore di casa.

 

Con un dito, disegna ghirigori nella spesso strato bianco sul parapetto di vetro.

 

Sotto il castello fluttuante, la città è una galassia inchiodata a terra, luci e angoli confusi e ammorbiditi dalla nevicata.

L’atmosfera e le nubi filtrano gran parte dei raggi cosmici, ma la percentuale che sfugge alla copertura è riflessa dai fiocchi e trasforma la nevicata in un balletto di particelle fluorescenti.

Luci terrestri per compensare la mancanza di luci celesti.

Ci sono stelle, anche qui. Poche e disperse, rispetto ad altri universi, perché le stelle sono prodotto della Luce e questo Mondo è molto vicino al mare di Oscurità, però ci sono.

Ma il cielo è quasi sempre coperto e, quando è sereno, il chiarore della luna è abbastanza intenso da nasconderle, e sono troppo lontane perché persino lui possa distinguere la loro voce dalla radiazione universale di fondo.

Dovrebbe volare oltre l’atmosfera, per vederle.

 

E’ tutto normale, ora.

Non come quando si è svegliato e il mondo, per un istante, ha perso logica e ordine.

 

Traccia un cerchio quasi perfetto.

 

Tutto normale. Tutto bene. Tutto come deve essere.

 

Con la mano, spazza via la neve e cancella i disegni.

 

Tutto normale, ma non ha più intenzione di dormire.

 

 

* * *

 

 

Ogni volta che torna su questo mondo, nel palazzo che ha chiamato casa, Xemnas pensa a un fiume.

Un fiume ampio, basso, dal corso lento.

Ne ha l’immagine così chiara in mente che riesce a vedere i pigri vortici delle correnti, la luce pulviscolare del sole rosa riflessa dalla superficie, i lunghi rami degli alberi che si piegano a toccare il fiume, i vegetali che si inclinano appena al vento. Può persino sentire il ronzio degli insetti e il suono soporifero dell’acqua che scorre.

Proprio come quando, nelle estati più calde, andava a studiare in riva al fiume che scorreva nella pianura fra la città e le montagne blu e si sdraiava fra l’erba lunga e umida. Oppure prendeva una delle barche dalla chiglia piatta e si abbandonava alla corrente lenta e sonnacchiosa.

Qualche volta, il fiume gli appare nella sfumature di grigio di una fredda alba autunnale, con le canne simili a spettri nella nebbia e le grida rauche degli uccelli palustri.

Però sempre, attraverso la trasparenza delle acque, può vedere il fondo.

E ciò che compone il fondo. Quello è importante.

Ciottoli e sabbia. Un coacervo inscindibile e, al tempo stesso, composto da elementi singoli impossibili da amalgamare.

Granelli di varie dimensioni e colori. Bianco silice, rosso ruggine, nero basalto. Oro.

 

Tutta colpa di quello che Ansem gli aveva detto un giorno.

 

Nonostante tutti i nostri programmi, tutti i nostri calcoli, tutto il nostro metodo, noi semplicemente cerchiamo, sperando di imbatterci nella risposta giusta. Siamo come cercatori d’oro che setacciano la sabbia di un fiume. Possiamo solo andare avanti, mentre sogniamo di trovare un granello perso fra tutti gli altri.

 

Ma sperare era inaccettabile allora, è ancora più inaccettabile adesso.

 

Una volta ci aveva provato. Aveva preso una manciata di sabbia dal fiume e l’aveva posata sulla riva, poi aveva cercato di separarla nelle sue componenti, dividendola in gruppo. Un gruppo per ogni colore e ogni dimensione dei grani.

Ma era impossibile. Qualcosa gli sfuggiva sempre, e qualcosa non ricadeva in nessun gruppo. Qualcosa aveva un po’ di uno e un po’ dell’altro e non sapeva a quale insieme appartenesse. I granelli umidi si agglomeravano e gli si appiccicavano alla pelle.

Alla fine, li aveva raccolti, tutti quelli che era riuscito a radunare, e aveva immerso le mani serrate nel fiume. La sabbia gli era sfuggita fra le dita fino a quanto non aveva stretto altro che il nulla.

 

setacciamo sabbia

 

Una sabbia di cui ogni grano è un essere vivente.

Uno per ogni creatura di ogni terra. Per ogni terra di ogni universo.

 

Ora, fra la città e le montagne blu c’è solo una piatta distesa vuota. Il fiume non esiste più, cancellato in una notte, e il resto del mondo, oltre la fortezza, è il territorio di caccia di esseri senza nome.

 

Il Baluardo di fronte all’Oscurità.

Il suo mondo.

Doveva essere il suo regno.

Doveva essere il suo popolo.

 

il mio Cuore il mio Cuore il mio Cuore il mio

 

Può tornare ad esserlo.

Lui può tornare a essere...

 

XehanortXehanortXehanortXehanortXehanortXehanort

 

NO!

 

Non è Xehanort. Non è più solo Xehanort ansemansemansem

 

Il suo popolo è esiliato nel buio e, nel suo regno, i fiumi scorrono fra rive nude e nessun sole ne illumina le acque.

Questo è solo il suo nemico. E non c’è nemico peggiore. 

 

Un ritratto lo osserva sereno con i suoi occhi dipinti.

Lui ricambia, ma non sa chi sta guardando.

 

dov’è il mio Cuore?

 

Non ha fatto altro che scambiare la sabbia di fiume con quella di un oceano.

 

 

* * *

 

 

La figura si muove nella sua direzione.

Zexion ne fiuta l’odore. Sente il suono dei passi. Lo vede. Non si limita a riconoscerne la presenza solo come un complesso di dati.

Lo percepisce con i sensi e i suoi sensi non sono soggetti a inganni. La replica è concreta.

 

Il doppione apre la bocca come per dire qualcosa, la richiude.

Il giovane gli porge il rompicapo di metallo e cristallo. Nel farlo, gli tocca le dita. Sono solide, calde, lievemente sudate.

L’entità afferra l’oggetto tetradimensionale.

Zexion si deconcentra. Lascia dissipare la matrice di pensiero che comprende in sé l’idea stessa del duplicato, che lo tiene in esistenza.

Lo fa con cautela, quasi con timore, come se aggiungesse l’ultimo pezzo in cima a un instabile castello di carte.

Il suo gemello non si dissolve.

 

?

 

Da esso – Lui. Da Lui – proviene una vaga curiosità e un’embrionale consapevolezza di esistere.

 

io…?

 

La replica si disfa in un groviglio di ombre senza terminare di formulare il pensiero. Il rompicapo cade e il giovane si allunga ad afferrarlo prima che si infranga a terra.

 

Non è vera vita, non ancora. Non è ancora in grado di generare un’entità capace di durare indipendentemente in modo stabile.

Eppure, per qualche istante, la replica è esistita da sola, priva del sostegno della configurazione mentale che le dava realtà. Per qualche istante, ha posseduto l’ombra di una coscienza.

Per qualche istante, ha portato un’anima in questo mondo. E senza avere bisogno di una terza mente da usare come sorgente di potere. Il risultato è solo suo.

Un risultato impossibile, fino a ieri. Adesso, tutto è cambiato.

 

libero

 

A meno di tre mesi dall’inizio della sua stessa ristrutturazione mentale, può dirla conclusa.

Un tempo molto inferiore a quello impiegato con Roxas. Ma la sua mente non è terreno sconosciuto e, diversamente che con il ragazzo, non c’è stata resistenza.

 

sono libero

 

L’umanità, ora, è davvero perduta.

Ma l’umanità è sempre stata solo un’illusione e, su di lui, le illusioni non hanno potere.

 

Hai detto che puoi trovare una cura per la nostra condizione.

 

Ancora una volta, Marluxia ha visto più lontano e con più precisione di chiunque. Anche se irrita doverlo ammettere.

Non una condanna, non un destino. Solo una malattia e dalle malattie si può guarire.

Non ne è stato sicuro, nemmeno dopo avere ottenuto il successo con Roxas. Senza la zavorra di una vita non sua, il ragazzo poteva essere un caso unico, un caso irripetibile. Ma lui no. Di tutti, è quello che porta il peso maggiore del passato, con nulla a mitigare ricordi perfetti e completi.

 

Dovrebbe tornare subito al lavoro, ma vuole sperimentare ancora un po’ questa nuova condizione.

 

In un recesso del suo pensiero, Naminé artiglia i legami di ombra con cui la immobilizza.

Non è una gabbia, quella dove è chiusa. E’ il vetrino portacampioni di un microscopio.

Ora, è lui il più forte.

Ora, lei non può più fargli del male.

Il solo modo in cui Naminé potrebbe rappresentare un pericolo, è se agisse di concerto con altre menti, la cui magnitudine psichica complessiva superi quella di lui. E avere qualcuno che guidi il coro mentale. Qualcuno ben più capace della ragazza.

Adesso, può permettersi di studiarla con l’accuratezza che merita.

 

Ma insieme a nuova forza, nuova vita, il completamento ha avuto un’altra conseguenza. Un effetto logico della sua stessa opera.

Non è imprevisto, ma se ne stupisce. Ora se ne stupisce.

 

niente si ottiene per niente

 

Ha dovuto dare in cambio qualcosa e, presto, tutto sarà tanto più difficile.

Per adesso, indulge a sperimentare anche il suo stesso stupore.

 

Sotto la lente da cui è osservata, Naminé supplica per essere lasciata libera.

Nel suo dibattersi, si lascia sfuggire un’immagine.

La strega ricorda.

Ricorda chi è lei. Ricorda chi è Roxas.

Ricorda tutto.

 

 

* * *

 

 

A quasi un mese dall’arrivo, i suoi appartamenti sono pieni di scatole, bagagli, abiti, libri, oggetti di ogni genere. Gettati in modo casuale, confuso, caotico.

E’ quello che tutti loro si aspettano da lui. Disordine fisico che riflette disordine mentale.

Anche se nessuno lo vedrà mai. Non permette di entrare nei suoi alloggi, come non permette di entrare nel suo passato.

 

Non sistemerà nulla. Non lo ha mai fatto.

Ordine è solo una parola che indica il tentativo di organizzare il mondo affinché sia facilmente studiabile, facilmente comprensibile. Affinché ogni suo aspetto sia facilmente rintracciabile.

Significa classificare la realtà, imprigionarla nelle proprie limitazioni.

Ordine è solo una forma di caos considerato da un diverso sistema di misura.

Lui sa benissimo dove si trova ogni singolo oggetto, quindi, non ha necessità di trasformare questa forma di disordine in una differente forma di disordine.

In realtà, sa dove si trova ogni singolo elemento nel castello. E ogni singola persona, anche. Le loro impronte termiche li rendono fiamme nel buio. Pedine di fuoco in una scacchiera di fumo discontinuo e mutevole.

Naturalmente, sa di essere a sua volta visibile. Nessuno di loro può nascondersi agli altri.

Tranne uno, che può celarsi a chiunque.

Eppure, anche le ombre si scoprono, sotto la giusta luce. Sotto la luce giusta, le ombre si dissolvono.

 

Axel resta seduto in mezzo alla sala, circondato dal caos che per lui non ha incognite.

 

 

* * *

 

 

Presenze infauste si aggirano per il mondo nero.

Gli incubi di un’anima possente.

Brandelli di sogni sfuggono al sognatore, vagabondano nell’etere psichico. Parassiti onirici, cercano menti recettive a cui aggrapparsi.

Si insidiano nei pensieri dei dormienti, portano sogni di un tempo in cui non erano alla ricerca di qualcosa sempre fuori dalla loro portata.

 

Sulla terrazza superiore del castello, Saïx non dorme, eppure non è meno irrequieto.

 

Comincia sempre con una lieve agitazione, un lieve nervosismo che lo rende solo un po’ più reattivo del consueto.

Poi l’agitazione cresce. I confini del castello diventano troppo stretti, la presenza altrui si trasforma in oppressione, fino a che tutti coloro che lo circondano sono nemici.

Non c’è un nome per quella sensazione. E’ talmente familiare che non ha mai pensato di darle un nome.

E’ come vivere su una lastra di ghiaccio. Può spezzarsi in ogni momento, a un solo passo falso.

La sola soluzione è andarsene, lontano da tutto quello che è diventata una gabbia, e restare lontano fino a quando non torna a essere casa.

 

Guarda la luna, anche se la luna è nascosta dalle nubi e a bagnargli il volto è la neve, non la luce.

 

Questa notte, sotto l’influenza del fenomeno onirico, è peggio del solito. Il creatore di incubi nutre la sua stessa insofferenza. Le dà vigore e violenza.

 

Saïx svanisce in un vortice di Oscurità, seguendo una pista che lo porta a cacciare su un altro Mondo.

 

I cattivi sogni si allargano sul castello, come macchie d’olio in una pozza d’acqua.

 

 

* * *

 

 

Si materializza sulla cima di uno degli archi di pietra che sorgono dal mare.

E’ scivoloso di ghiaccio, e vento e neve lo squassano, ma la volontà del ragazzo in impossibile equilibrio su quella massa di gelo e roccia è sufficiente a piegare anche la gravità e la bufera.

Sotto di lui, l’oceano partorisce onde e schiuma, e frammenti di ghiaccio sono gettati sulla riva.

 

Non è tutto come deve essere.

Ricorda come si naviga. Ricorda le manovre da effettuare. Come tendere le vele per cogliere il vento.

Ricorda acqua turchese e schiuma bianca e pesci variopinti e sole rovente.

Ricorda tutto e sa di non avere mai stretto un timone né le cime di una vela, e quel mare limpido è un mare straniero.

E’ peggio che non ricordare, ricordare solo immagini senza appartenenza.

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

 

E io che avevo paura di avere fatto, ancora una volta, Xemnas troppo soft ^O^

Possono dirmi quello che vogliono, fare tutte le versioni rieditate del gioco che vogliono, non riesco a figurarmi Xemnas come il cattivo di regime. D’accordo, stavolta ha avuto una reazione un filino eccessiva, ma povero, un po’ di comprensione. Già gli adolescenti sono rognosi, quanto rognoso, e pericoloso, deve essere un adolescente nobody?

Forse la cosa più sensata che Xemnas poteva fare era confessare di avere taciuto, dire tutto e chiedere scusa. Magari, così avrebbe preso Roxas in contropiede e lo avrebbe fatto sbollire. Ma stiamo parlando di Xemnas. Xemnas non piega la testa davanti a nessuno, neppure per finta, e non sa trattare con le persone. Non è un manipolatore. E’ una specie di schiacciasassi che va avanti travolgendo tutto quello che si trova fra lui e il suo obiettivo, e Roxas era in cerca di una battuta già da un po’ di capitoli ^O^

Gli va ripetutamente bene con Zexion, gli è andata bene con Vexen, gli è andata benissimo con Xaldin. Stavolta è andato a stuzzicare il vespaio sbagliato. Dubito che Xemnas abbia mai sentito parlare del metodo Montessori. Comunque, non è mai decisione saggia alzare la voce con un sovrano, figuriamoci poi minacciarlo armi in pugno.

E cara grazia che Rox è andato a litigare con il ‘mio’ Xemnas. Ci sono posti dove, se tanto faceva di rispondere, finiva scuoiato a suon di frustate, e magari anche violentato, giusto per sottolineare il concetto.

Poi, non dimentichiamo che Xemnas è al punto di rottura. Ha retto per dieci anni. Ora basta niente per farlo saltare e Roxas quel ‘niente’ lo ha superato con entusiasmo.

 

Chris: Grazie per il ‘bello’, ma è solo merito degli attori, non mio ^O^

Ora che ci penso, potevo far intervenire Luxord invece di quel ranocchio di Roxas (no, povero cucciolotto. E’ carino. Ma è così maledettamente piccolo), così superavo ogni prudente limite di figosità, ma come adolescente isterico non me lo vedo ^__^

Cuccia, fangirl cattiva. Cuccia!

 

Xemnas e Saïx hanno bisogno di più amore. Ho letto davvero pochissime storie su di loro. E intendo ‘loro’, non i bamboli yaoi.

Adoro Xemnas. Adoro tutti i sei, ma ci sono comunque quelli che favorisco e Xemnas si piazza bene in graduatoria, e ho il vago sospetto parte del mio amore per lui sia dovuto allo stesso motivo per cui amo Vexen, Lexaeus e Saïx. Godono di pochissima considerazione, quando ci sono personaggi che, avendo fatto quello che fanno loro, sono straadorati.

Prendiamo il mio caro Zexion. E’ della stessa pasta di Xemnas, così come Ienzo era della pasta di Xehanort. Anzi, persino più lucido, in quanto non aveva l’amnesia ad annebbiarlo. Ienzo è stato il più deciso a proseguire le ricerche e Zexion usa Lex e Vexen con la stessa spietatezza con cui Xemnas usa Saïx e gli altri, scendendo in campo solo alla fine. Eppure, Zexion passa per uno dei nobody ‘buoni’. 

Quanto a Saïx, hai ragione. Lo caratterizzano sempre come pazzo sbalestrato o giocattolo, ma non so che Saïx hanno visto gli altri. Quello che conosco io è calmo come Buddha. Al di fuori della fase berserk, che è un aspetto del suo potere, è uno dei più razionali e intelligenti del gruppo, e mi urta quando lo descrivono come lo zerbino di Xemnas. E' come se dicessero che il solo modo che ha per essere convinto delle azioni che compie è quello di essere plagiato e non perché ci arriva con la sua testa.

Poi, perché un Axel, che muore per l’ombra del suo amico, fa sdilinquire le folle, e Saïx, che muore per il ‘suo’ amico, è tacciato di essere un leccaculo? Perché non tradisce e non causa uno sterminio solo per dare retta a un organo che non dovrebbe essere usato per pensare?

A me Saïx piace molto. Lo trovo dignitoso, coerente e nobile. E sa da che parte stare. E, ogni tanto, guarda Xemnas con la stessa espressione con cui il mio gatto guarda me quando faccio qualcosa di particolarmente idiota. Ma, siccome lui è compassionevole e mi vuole bene nonostante i miei limiti, mi sopporta e mi sosterrà sempre.

Fosse per me, Saïx e Xemnas sarebbero i primi a risorgere. Purtroppo, ho deciso di giocare secondo le regole, ma Zexion ha ragione. Le regole servono per sapere cosa infrangere. Quindi baro, ma sono un baro onesto e come barerò è evidente sin quasi dall’inizio ^__^

 

Gioia, per agire come agisce, Naminé è una ritardata solo nel migliore dei casi. Una demente che tira fuori frasi completamente sconclusionate, che, grazie all’orientamento pilotato fatto nel gioco, passano per grandi verità. Ma che razza di verità può conoscere una tipa che ha pochi mesi di vita passati tutti chiusa in una stanza a disegnare? Ma soprattutto, chi può prenderla sul serio?

Fa passare il messaggio che il solo nobody buono è quello che se ne va al macello a testa china e senza fiatare, ma quale creatura, senziente o meno, però sana, farebbe una cosa simile?

 

Giodan: lusinghiero come sempre. E, onestamente, non so come rispondere a tanto entusiasmo. In realtà, credo che la sola cosa in cui io sia diversa, è che mi interesso a temi che, almeno nel fandom italiano, non sono considerati. O, perlomeno, lo sono molto poco. In quello internazionale non è proprio così. Ci sono storie che, ti assicuro, fanno sfigurare la mia. Ecco, quelle sì che mi piacerebbe tradurle. Purtroppo, anche se leggo bene l’inglese, non ne ho una tale padronanza da potere rendere la bellezza di simili storie.

 

Lux: Sapevo che tu avresti notato la faccenda della riscrizione di personalità. E’ un particolare necessario, così come altri particolari che ho lasciato nella storia, proprio perché è parte di quello che DiZ farà a Roxas.

Piccolo problema. Come fa a sapere come agire? DiZ ha passato l’ultimo decennio a galleggiare nel nulla, dove dubito molto abbia potuto inventarsi una scienza ex-novo. Né può essere una sua conoscenza pre-esilio, perché lui è stato eliminato dal novero dei viventi ‘prima’ dell’esistenza dei nobody. E non credo proprio abbia avuto tempo di imparare nel breve periodo passato dalla sua liberazione a quando manda Riku a rapire Roxas.

La scienza non nasce dal nulla. Non è vero che, se sei uno dei buoni, soprattutto uno dei saggi dei buoni, vedi una cosa e impari subito a: capirla, replicarla, migliorarla, inventare il fattore antagonista per contrastarla.

La scienza è un processo lungo, disciplinato e consecutivo.

Quindi, DiZ sa come agire soprattutto perché si basa su conoscenze che acquisisce da altri. La faccenda della riscrizione di personalità e delle realtà virtuali li conosce perché sono parte del bagaglio culturale del suo pianeta. Sul fatto che è possibile riunire un nobody con il suo heartless, lo saprà perché erediterà le scoperte di un’altra persona. E questa cosa l’ho già introdotta in un vecchio capitolo. E quello che gli manca… sistemerò pure quello ^__^

Uno dei motivi per cui adoro scrivere di DiZ è che non è possibile fargli bashing. Tutto il peggio a cui si può pensare è già implicito nelle sue azioni ^__^

Tra l’altro, questo mi ha permesso di inventare qualcosa su Radiant Garden e sul suo popolo. Che dubito fortissimamente fosse un gruppo di hippy new-age peace and love. Sono pur sempre coloro che hanno subito la prima ondata di invasione degli heartless, senza sapere cosa fossero, ma sono comunque sopravvissuti. Poi teniamo conto che gente come Xigbar, Xaldin, Lexaeus e lo stesso Xemnas erano un po’ i loro topi di biblioteca. Se quella era la media del secchione, cosa potevano essere gli altri?

 

Rixika: Cara, la freddezza di Zexion è del tutto intenzionale. Compreso il non cercare neppure di capire cosa è successo. Non va ad alimentare una forma di vulnerabilità in Roxas, facendogli credere che, ogni volta che ha un problema, può correre da lui, o da chiunque altro, per farsi aiutare. Il suo scopo è sempre stato quello di renderlo più indipendente possibile, e capace di fare i conti con le conseguenze delle sue azioni e dei suoi scatti emotivi.

E’ che il Roxas canon è un ragazzino estremamente emotivo, molto più di Sora, che invece è alquanto debole dal punto di vista interiore. Sora ha questo bel sorriso allegro e un comportamento da palla di gomma, ma ridere e palleggiare non vuol dire essere maggiormente emotivi. Emozione è allegria, ma anche stanchezza, tristezza, rabbia, confusione, incoerenza, curiosità, paura, felicità, disgusto e infinite altre che, come conseguenza, portano a svariatissime sfumature di atteggiamento e comportamento.

Sora ha solo due marce: allegro con brio e assalto. E’ quasi una macchina eternamente settata sul valore ‘sugar-high’, e non c’è spazio per sentimenti ed emozioni in una macchina. C’è spazio solo per il programma e Sora è così. Emotivamente, è un mattone. Anche la sua decisione di ritrovare Riku, che molti scambiano come prova di profondo sentimento, ha un aspetto trucemente calcolato.

Le capacità emotive di Sora sono limitatissime, soprattutto se paragonato al suo gemello, che, invece, è un uragano di passioni. La differenza è che Sora è un estroverso, le due cose che prova te le sbatte in faccia. Roxas è terribilmente introverso. Ma ha più emozioni lui in sei giorni che Sora in tre anni.

 

Oh, Xemnas tiene ai suoi compagni. Perlomeno, era partito così. Poi si è impantanato nella peggiore delle fogne intenzionali. Cioè, le persone sono diventate secondarie allo scopo. E’ una cosa che capita davvero. Cominci a credere di dovere fare qualcosa per il bene di certi individui, poi, poco per volta, l’idea di raggiungere quel bene diventa più importante di coloro a cui dovresti farlo. E finisci per bruciare la gente sul rogo per salvare loro l’anima.

 

Certo che darò voce anche alla parte opposta. Tutte e due le parti opposte. Gli heartless non mica sono inferiori agli altri. Tra l’altro, ho un vero debole per Xehanort. E’ simpatico e non si fa troppe seghe mentali (e dopo Riku e i nobody, qualcuno così ci vuole), senza però avere la stupidità abissale di Sora, ed è divertentissimo fargli fare la parte della coscienza di Riku.

Quello sciagurato merita ogni singola legnata che posso rifilargli. Arriverà alla fine che quello che gli farà Roxas gli sembrerà una scampagnata alle terme ^__^

 

MaxT: Grazie ^__^

Vedi, nel gioco non si premurano di dare una spiegazione chiara e unitaria al problema dell’identità. Roxas è un individuo diverso rispetto a Sora, e questo è lapalissiano, ma gli altri nobody? Sono le stesse entità umane? E gli heartless come si piazzano?

Spesso mi capita di leggere nelle fanfiction che Roxas e Naminé sono diversi dagli altri nobody, quindi non fanno testo. A parte che due su quattordici è una percentuale altissima, ma lo sarebbe pure uno su quattordici, sono d’accordo su Naminé, lei è diversa in senso letterale, arriviamo a Roxas, che è diverso perché? Perché Sora è vivo?

Roxas è nelle stesse condizioni di Xemnas. Anche per lui la sua controparte esiste e ha mantenuto intelletto umano, eppure nessuno dice che Xemnas è diverso.

Peraltro, non capisco perché, se i nobody rappresentano la consapevolezza e l’intelligenza degli individui, siano considerati delle specie di… elementi minoritari. Personalmente, odio classificare gli esseri viventi, ma se proprio devo, per me sono ragione e coscienza quello che rendono una persona… una persona. Tutto il resto è subordinato. Quindi, semmai, i nobody sarebbero le persone e i cuori soltanto una parte di cui mancano.

 

Se devo proprio essere sincera, non è che delle convinzioni religiose mi interessi molto. D’altra parte, molte religioni urtano le mie radicate convinzioni. Non vedo perché dovrei mostrare loro maggiore considerazione di quanto loro non mostrano per le mie. Sono sostenitrice della reciprocità.

Al massimo, se qualcuno si sente offeso, può sempre chiudere. Glielo consiglio, anche perché siamo solo all’inizio ^__^

 

 

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Capitolo 23
*** XV ***


 

XV

 

 

I programmi di volo prevedevano l’arrivo di una nave dal mondo nero, ma, di sicuro, Marluxia non avrebbe mai indovinato l’identità del pilota.

 

“Non aspettavo proprio te.”

 

Non se lo aspettava, anche se lo ha riconosciuto nel momento stesso in cui ha messo piede sulla superficie del pianeta. E’ stato come ricevere un pugno nello stomaco.

Trovarlo intento a scaricare bagagli è la seconda sorpresa di quello che doveva essere un comune volo di rifornimento, e c’è già un gran numero di casse e merci, ai piedi della nave.

 

Anche se non rileva la presenza di nessun altro, Marluxia si aspetta perlomeno uno dei crepuscolari. Invece, Xemnas è completamente solo.

 

“Cambia qualcosa il fatto che sia io?”

 

Sì, in effetti sì. Cambia tanto. E non è così ingenuo da credere che Xemnas non ne sia consapevole.

Ma l’uomo è già rientrato nella stiva e Marluxia deve aspettare che riappaia con un altro carico, prima di rispondere, a meno che non voglia urlare per farsi sentire e, poco ma sicuro, non ha intenzione di fare niente del genere.

 

“Ti ho sopportato per quasi tre anni, non saranno poche ore a disturbarmi. Sono solo stupito di vederti in veste di addetto al trasporto.”

 

Xemnas lo degna di quella che appare un’espressione derisoria, almeno per quello che si può leggere sul suo volto in parte coperto da occhiali scuri. Intanto, rientra nel ventre del cargo.

Ha fatto atterrare il vascello insensatamente vicino al palazzo, in sfida ai campi di forze e ai fenomeni di distorsione che rendono tanto difficile la navigazione delle navi nei pressi del Castello. Una manovra impensabile per chiunque altro, eccetto forse Xigbar. Ma se Marluxia riesce a capire la perfetta consapevolezza dello spazio di Xigbar e, comunque, da lui una manovra così azzardata e pericolosa chiunque se la aspetterebbe, questo che ha di fronte è Xemnas.

Però, una volta, ha chiesto proprio a Xigbar perché fare certe cose, anche se inutilmente pericolose. Si aspettava in risposta una qualche arrogante banalità. Invece, Xigbar lo aveva guardato come se non avesse capito la domanda, come se non avesse mai pensato che deve esserci un motivo per fare qualcosa. E’ quella la chiave di lettura necessaria a decifrare il comportamento di Xigbar. Per lui, deve esserci un motivo per non fare.

E Xemnas è l’uomo che ha spalancato il Cuore dell’universo, perché non c’era motivo per non tentare. Se si tiene questo in mente, qualsiasi considerazione sulla prudenza perde valore.

 

Xemnas emerge con l’ennesimo fardello e lo getta a terra insieme agli altri.

 

“Ti avverto,” brontola Marluxia “entrare nel castello può causare strani fenomeni sensoriali. Abbiamo disattivato alcune aree dei sotterranei e del piano superiore per viverci e lavorarci continuativamente senza pericolo, ma il resto è ancora terra sconosciuta.”

 

Xemnas abbassa lievemente gli occhiali sul naso per osservare il giovane da sopra le lenti.

 

“Grazie. Mi chiedo come sono sopravvissuto sette anni senza te a preoccuparti della mia salute. Come siamo sopravvissuti tutti noi.”

 

Il tono è vagamente scherzoso, ma non c’è proprio nulla di amichevole nel sottinteso e Marluxia vorrebbe proprio capire quale bizzarro capriccio stia spingendo Xemnas a comportarsi in un modo tanto irritante, arrogante, irrazionale.

Non che lui non sia arrogante e irrazionale e, immagina, spesso irritante. Ma non ha nessuna pretesa di essere immune da simili difetti.

Se Xemnas ha deciso di avvalorare la tesi della loro presunta mancanza di emozioni, il minimo che può fare è essere coerente con le sue stesse prediche.

Così, il suo comportamento è offensivo. Una dichiarazione che a Xemnas è permesso quello che lui stesso nega e biasima.

 

“Sono già stato nel castello, Marluxia, più di una volta, e non sono state visite di passaggio. So cosa aspettarmi. Tu daresti mai via qualcosa che non conosci più che bene, senza avere idea del suo valore?”

 

Prima di avere una risposta che, probabilmente, neppure si aspetta, Xemnas si allontana di qualche passo dalla nave, arrampicandosi su una delle creste rocciose che disseminano la brughiera. Almeno per il momento, sembra decidere che è il momento di fare una pausa. E finalmente, perché Marluxia cominciava a irritarsi di parlare e avere risposte a intervalli alternati tra un carico e l’altro.

Adesso, Xemnas è interessato al cielo.

Il sole primario è al tramonto, immerso a metà dietro la linea d’orizzonte. Al punto cardinale opposto, il più piccolo e rosso dei soli secondari è sul punto di sorgere.

Xemnas toglie gli occhiali per osservare il duplice crepuscolo.

Sipari di luce pendono dalla copertura nuvolosa e le nubi stratificate si tingono di colori vividi, in innumerevoli sfumature di viola e porpora da una parte, di rosso e arancione dall’altra. Fra alba e tramonto, nembi neri illuminati da fulmini.

Una corrente fredda proviene dalla sera incombente, contrastata e respinta dal calore che si diffonde dal mattino.

Probabilmente... anzi, sicuramente, Xemnas non vede lo spettacolo come lo vede lui.

Mondi diversi, specie diverse, sensi differenti.

Magari vede molti più colori. O molti di meno. O molto diversi. Potrebbe persino sentire qualcosa a cui lui è sordo.

In sé, gli interesserebbe poco di una cosa simile, ma la conoscenza è importante. No, più che importante. E’ essenziale. Qualsiasi conoscenza, anche quella che appare più mondana e insignificante. Nessuno sa quando e cosa servirà conoscere. Quindi, non esiste conoscenza insignificante.

I fondatori sanno tutto di loro, ma la cosa non è reciproca. E’ una delle fondamenta del potere dei sei e di potere ne hanno abbastanza, su ogni cosa.

 

Il sole, il vero sole, quello intorno a cui orbita il pianeta, è quasi completamente scomparso.

Secondo l’orologio, è mattino presto.

Lo scandire del tempo è regolato in modo artificiale, seguendo il metodo di misura del tempo del pianeta dei fondatori. La durata del giorno, la suddivisione in settimane, mesi e anni. Tutto basato su rotazione e rivoluzione di un mondo che buona parte di loro non ha neppure mai toccato e su usanze di gente che non hanno mai incontrato.

Certo, hanno bisogno di un sistema di riferimento per gestire le loro attività ed è logico che i primi arrivati, mancando di un mondo con cicli regolari, abbiano mantenuto il sistema a cui sono abituati.

Logico, pratico e comprensibile.

Per Marluxia, è solo un altro anello della catena con cui i fondatori limitano la loro libertà.

I nobody decidono insieme, certo.

La parola di ognuno vale quanto quella degli altri, sicuro.

Ma, chissà come, a prevalere è sempre la volontà dei sei.

E la volontà dei sei è avere imprigionato tutti loro in una rigida struttura che non tiene conto dei cambiamenti a cui sono andati incontro. Al punto di ignorare deliberatamente la natura dei Mondi. Al punto di essere ciechi, sordi e refrattari alla realtà.

 

Quando lo avvicina, Xemnas sospira e distoglie l’attenzione dai soli. Si toglie di tasca un piccolo cristallo blu. Un modulo di memoria.

Ci giocherella per qualche istante, rigirandolo fra le dita, ma, alla fine, lo porge bruscamente a Marluxia.

 

“Un regalo da parte di Luxord. Vorrei che lo studiassi con attenzione.”

“Qualche nuovo disastro in vista?”

“Una novità non troppo piacevole.”

 

Potrebbe essere la ragione per cui è qui di persona. Ma no. Non funziona nemmeno così. Dubita che quel cristallo contenga qualcosa di segreto, ma, anche in quel caso, avrebbe potuto incaricare della consegna uno dei suoi famigli.

 

“A cosa dobbiamo la tua presenza?”

 

Xemnas si sfrega la radice del naso e si rimette gli occhiali.

 

“Possibile che nessuno sappia contare? Senza voi sei, la scelta diventa limitata e i turni più frequenti. E’ toccato a me, ecco tutto. Adesso, o te ne torni a fare quello che stavi facendo prima, oppure, visto che sei qui, saresti così gentile da aiutarmi a scaricare? Prima finiamo, prima ti liberi di me.”

“Chiamo subito…”

“Stai male?”

 

Sorpreso dalla strana e imprevedibile domanda di Xemnas, posta in tono assolutamente serio, il giovane scuote la testa.

 

“Allora non c’è bisogno di disturbare nessuno. Bastiamo noi due. Muoviti, o hai paura di sporcarti le mani?”

 

Oggi c’è qualcosa di nuovo in Xemnas. Qualcosa in meno. Qualcosa che manca dalla sua espressione, così come manca nel suo modo di comportarsi.

Il modo di fare forzato, recitato, artificioso.

 

Devo ascoltarti?

Serve ascoltarti?

 

Il modo di guardare chi gli sta di fronte e non vedere la persona, ma solo un contrattempo.

 

Fatti da parte e lasciami tornare a quello che mi interessa davvero, qualunque cosa sia, ma certo non sei tu.

 

Lo sguardo un po’ assente, un po’ perplesso, un po’ calcolatore. Infastidito. Molto prossimo all’irritazione.

 

Fatti da parte e lasciami passare.

O ti scosterò io.

 

Questa volta, Marluxia si è guadagnato la sua piena attenzione e non è una sensazione gradevole, perché significa solo che è lui la cosa cui vuole interessarsi.

 

Almeno ha l’occasione di studiarlo sul suo terreno, al di fuori dell’ambiente rigorosamente controllato, progettato e diretto da Xemnas stesso, della loro casa sul mondo nero.

Il campo base è libero dagli aggressivi fiori carnivori che hanno conquistato il pianeta, ma Marluxia lo ha comunque riempito di altra vita vegetale. Un mondo che adesso è il suo regno incontrastato, ricoperto in ogni pollice di terreno di creature che sono estensioni di lui stesso, sue armi e suoi terminali nervosi. Le piante sono i canali attraverso i quali estendere la coscienza all’intero pianeta. Dove loro esistono, arriva la sua consapevolezza e la sua possibilità di manipolare l’ambiente. E nel suo territorio, Xemnas è una cosa estranea, indecifrabile, un vuoto inespugnabile, un cancro che minaccia la vita con la sua sola presenza.

Non lo ha mai spaventato, neppure nei suoi momenti peggiori. Adesso capisce finalmente perché quest’uomo eccentrico, schivo e svagato è signore di tutti loro. Capisce perché gente come Xaldin e Xigbar non osino discutere la sua autorità, benché discutano con lui spesso e volentieri. Li ha sentiti sbottare furibondi contro di lui, zittirlo e liquidarlo con due parole. Li ha sentiti dirgli di togliersi dai piedi e, una volta, ha persino visto Vexen sbatterlo fuori del suo laboratorio di peso, però, alla resa dei conti, non sfidano la sua autorità.

 

“Xemnas, si fanno scommesse su chi, fra te e Zexion, riesce a scaricare prima ad altri i propri lavori.”

 

Xemnas annuisce con mitezza, mentre risale la passerella della stiva.

 

“Marluxia, se finora hai dormito in un letto invece che in mezzo al fango, lo devi al fatto che noi abbiamo costruito un castello, le navi e tutto quello che ti ha reso comoda la vita. Sempre concesso che, a questo punto, tu fossi ancora vivo. Ti garantisco che le mani me le sono sporcate con ben altro che con qualche scatola da spostare.”

 

 

* * *

 

 

Roxas spalanca le tende e i pannelli che oscurano le finestre. La luce rossastra del crepuscolo perpetuo si riversa nello studio. In alcuni punti, i vetri sono talmente incrostati di sporcizia da essere del tutto impervi alla luce.

 

In un’altra sala, affondata all’interno di quell’edificio, il sequenziatore genetico ha iniziato il suo paziente lavoro di decrittazione per trasformare il suo DNA in una risposta.

Un lavoro lungo, ma lui ha tempo e, intanto, ha altro da fare.

 

Sfiora il tavolo di vetro nero. La superficie si accende di luci e uno schermo olografico si materializza.

Si siede e starnutisce quando è raggiunto dalla polvere che solleva.

Il laboratorio genetico è di una pulizia perfetta. L’atmosfera filtrata e i campi di forze hanno mantenuto l’ambiente asettico. In compenso, la sala dove si trova il computer è in condizioni ben diverse. Nello spesso e soffice strato grigiastro che copre ogni cosa, ci sono le impronte lasciate da lui e da Zexion. Orme e strisciate dove la polvere è stata sottratta e, anche se sono passate settimane da quella visita, non si ancora depositata al punto da nascondere le tracce della loro presenza.

 

Zexion gli ha detto che l’analisi genetica non permette di avere una risposta univoca, che sono molti i mondi dove è possibile trovare una razza umana compatibile a quello che è lui. Che non è possibile specificare ulteriormente, perché la specificità è inghiottita dall’essere un nobody.

Forse è vero. Forse no.

 

Un tocco e lo schermo lampeggia interrogativo.

 

 

¿?

 

 

La tipizzazione mentale è più precisa, ma neppure quella basta e, comunque, gli è preclusa senza Zexion e se Zexion avesse voluto dargli una risposta, lo avrebbe fatto da tempo. Gli aveva anche promesso di dirgli quali sono i mondi sui quali potrebbe essere nato il suo Altro. Una delle cose che non ha mantenuto.

Non importa. Può fare da solo e, anche se la risposta non sarà precisa, non è la sola traccia che ha.

 

 

ricerca = [delfino]

 

termine molteplice

 

selezione = [regno animale ∩ bilatero ∩ ambiente acquatico]

 

 

Lo schermo olografico si trasforma in una serie di immagini e dati. Tutte le specie conosciute di delfini, di qualsiasi mondo e dimensione.

 

 

!ricerca terminata!

 

 

E’ una forma di vita diffusa. Sono tanti i pianeti dove esistono delfini e sono tantissime le razze di quegli animali, anche su ogni singolo pianeta.

Ma quando avrà trovato la giusta specie di delfino e il sequenziamento del suo genoma sarà terminato, gli basterà incrociare le due informazioni per trovare il mondo dove vivono, contemporaneamente, quel delfino e quella variante umana.

Forse non basterà. Forse ci sono molti pianeti con quelle caratteristiche, forse il pianeta giusto non esiste nemmeno più, ma se non fa nulla, non avrà comunque risposta, quindi meglio tentare.

 

Nuvole di polvere si sollevano dal pavimento. Si mescolano alla luce esterna, riempiendo lo studio di foschia arancione.

Una snella e inconsistente sagoma umanoide si muove in un intricato balletto, la sua presenza invisibile rivelata solo dal passaggio tra il pulviscolo in sospensione.

La danzatrice non è del tutto emersa dal piano d’ombra, ma abbastanza da influenzare la realtà materiale più sensibile.

 

Roxas fruga nei ricordi dei suoi sogni, in cerca di qualche particolare in grado per limitare il numero impressionante di informazioni da analizzare.

 

 

selezione = [pinna dorsale assente]

 

!ricerca terminata!

 

 

Il numero di file si è ridotto di oltre la metà, ma sono sempre molti.

 

Due guerrieri siedono immobili sul pavimento, le doppie spade che hanno scelto come armi quando si sono legati a Roxas incrociate con precisione geometrica di fronte a loro, imperturbati dall’attività della danzatrice, anche quando lei li sfiora con il suo passare.

Ora che a Roxas non servono più, i guerrieri gli sono ancora più vincolati. Ma la danzatrice non ha e non ha mai avuto bisogno di lui e, questo, è qualcosa che non si può cambiare nemmeno volendo. Le danzatrici hanno una configurazione mentale non compatibile alla sua. Le loro menti non hanno la frequenza giusta. Come olio e acqua, non possono unirsi. Probabilmente, la disintegrerebbe se tentasse una cosa simile.

Lei non lo segue per ordine, né per necessità.

 

Pensa che sarebbe infastidito se uno dei suoi guerrieri fosse tanto attratto da un altro individuo. Però Demyx lascia alle sue danzatrici più autodeterminazione di chiunque.

Comunque, nessuno dei suoi famigli ha mai mostrato il minimo interesse per altri e lui non può essere sicuro di cosa farebbe in un caso simile.

 

ricordi il tuo nome?

 

Alla domanda del ragazzo, la danzatrice si ferma e si materializza del tutto.

 

?

 

Non ha capito e Roxas sapeva che la sua domanda non avrebbe avuto risposta, ma, per una volta, ha pensato che valesse la pena fare qualcosa di insensato.

 

Nome?

 

“Il tuo nome. Lo ricordi?” chiede di nuovo.

 

nome...

 

“Tu chi sei?”

 

Io!

 

Io è il solo concetto che i nobody inferiori possono riferire a sé stessi e io non ha bisogno di nomi.

Non chiamano neppure gli altri per nome. Nelle loro menti, ognuno è un’immagine, una sensazione, una qualità. Non un nome.

 

A volte, Roxas crede sia proprio questo a distinguerli.

 

Potrebbe darle lui, un nome. Lei ricorderebbe il suono. Potrebbe ripeterlo. Non è muta. Può emettere suoni. Può anche articolare parole. Potrebbe persino imparare a rispondere a quel suono.

Ma non lo assocerà mai a sé stessa.

 

Nome

nome nome nome nome

 

La danzatrice sembra affascinata dalla parola. E’ una cosa nuova con cui giocare, nella sua apparentemente infinita curiosità.

 

 

selezione = [rostro presente]

 

!ricerca terminata!

 

 

Questa volta, la riduzione è meno consistente. Preferisce non effettuare un’ulteriore selezione. Le immagini dei sogni non sono poi così precise e teme di farsi sfuggire la risposta giusta solo per risparmiarsi parte del lavoro.

 

La sua attenzione è catturata dal piccolo involto azzurro abbandonato sulla consolle.

E’ stato lui a lasciarcelo e non l’ha dimenticato. Ha solo perso interesse in quella cosa appena l’ha ottenuta e, in realtà, non gli è mai interessata. L’interesse è stato solo riuscire a ottenerla.

Qualsiasi altra cosa sarebbe andata bene. Non sapeva neppure cosa scegliere. Ha deciso quella attratto dal colore.

E’ stata solo un’interruzione in attesa che terminasse la prima, indispensabile fase di clonazione e amplificazione del campione del suo DNA, per ottenere un duplicato del genoma che non si dissolvesse nel mezzo del sequenziamento.

Un’attesa lunga e noiosa. Avrebbe potuto cominciare subito la ricerca al computer, se non fosse stato per l’impulso improvviso a fare qualcosa che testasse le loro menzogne. Perché fin dall’inizio è stato sicuro che fossero menzogne, ma le certezze devono essere provate. Anche quando si può avere la risposta che non si vorrebbe mai.

 

La cosa più difficile che abbia mai fatto. Una delle poche cose che gli è stata espressamente e ripetutamente vietata di fare.

 

non presentarti mai disarmato di fronte a loro

 

E dopo Zexion, ci sono stati Xemnas e Axel e Larxene e chiunque. Hanno usato parole diverse per dire tutti la stessa cosa.

Ma lui non è mai disarmato. Tecnicamente, non ha nemmeno disobbedito.

 

oso avvicinarmi a questi esseri solo dopo averli studiati a lungo

 

E’ entrato nel negozio, mescolato agli altri clienti.

Gli esseri umani di questo mondo gli assomigliano al punto di poter essere scambiato per uno di loro e le differenze non sono abbastanza evidenti per gente che non conosce altri universi. Però è il pianeta dove nascono tutti loro, dove molti sono morti prima ancora di cominciare a vivere. Gli abitanti non sanno niente dei Mondi, ma conoscono i nobody. Possono riconoscerli.

Ma, per una volta, non ha velato la sua aura, non si è nascosto nelle ombre. E’ solo stato attento a come si comportavano coloro che lo circondavano, pronto a cogliere ogni accenno di ostilità, ogni manifestazione di disagio.

Ancora non capisce le cose che fanno, ma sa come le faranno, e quando, e sa imitarli. Cammina sulle strade dei loro pensieri. Anche senza capire quello che vede, può percorrerle lo stesso, ed evitare i sassi e gli strapiombi.

Con i nobody è difficile. Si lasciano sfuggire solo quello che vogliono lasciarsi sfuggire e, allora, c’è da chiedersi se fidarsi di quello che si sente. Le creature complete sono differenti. Lasciano quasi sempre filtrare qualcosa e, se anche non lo fanno, è facile abbattere le loro barriere o metterli in condizioni tali da far perdere loro il controllo.

Spesso, non serve neanche e bastano i loro gesti, le loro espressioni. Si tradiscono con il corpo come si tradiscono con la mente.

 

ti ucciderebbero, poi si congratulerebbero a vicenda per avere liberato l’universo da un altro mostro

 

L’uomo dietro il bancone gli ha dato la cosa che lui ha indicato, poi si è aspettato qualcosa in cambio.

Quello è stato difficile, con niente ad aiutarlo a fare la cosa giusta. Non imitare le altre persone, non i ricordi, non l’esperienza, non l’istruzione.

Sa cos’è un sistema monetario. Sapere come usarlo è ben diverso.

 

Ha sbuffato, quell’uomo, e lo ha guardato con occhi opachi, contaminati da una spaventosa alterità alienoalienoalieno e, no, non si somigliavano poi così tanto e Roxas ha pensato che, forse, era arrivato al momento e forse hanno avuto ragione, forse non hanno mentito

 

Alla fine, si è risolto a porgere al venditore alcune monete – molto più semplici da procurarsi, quelle. E’ bastato prendersele, come ha sempre fatto quando ha voluto qualcosa dai mondi – mentre, con l’altra mano, tirava il collo del maglione a coprirgli il volto, la testa un po’ bassa per fare che i capelli gli ricadessero sulla fronte, cercando di non sembrare intenzionato a nascondersi a tutti i costi, pur nascondendosi.

Aspettandosi, nonostante tutto, di essere aggredito dai presenti da un momento all’altro. Quasi sperando di essere aggredito.

 

se non ti uccidessero, sarebbero capaci di farti desiderare di essere morto

 

L’uomo si è limitato a prendere una delle monete che gli porgeva e, stranamente, a restituirne altre, poi non lo ha più neppure guardato, l’attenzione rivolta alle persone entrate nel suo negozio.

 

E, adesso, Roxas non è troppo sicuro di che fare di questa cosa, la prova della menzogna.

Amaramente soddisfatto, rabbiosamente contrariato per avere avuto ragione, senza neppure fingere di considerare che, forse, è stato troppo poco tempo a loro contatto perché lo scoprissero.

Non importa. Voleva un risultato e un minuto d’attesa sarebbe stato un tempo fin troppo lungo.

Non lo hanno riconosciuto. Questo basta.

 

Scarta la cosa. L’involto trasparente è appiccicato alla superficie. Quando lo stacca, liquido bluastro sgocciola sul pavimento e sulle dita.

 

La danzatrice si raggomitola sul tavolo e lo guarda intenta.

 

Il ragazzo lecca soprappensiero la scia cianotica di una goccia che cola lungo il pollice.

Sullo schermo del computer, scorrono fiumi di immagini.

Si rilassa nella poltrona e apre la prima scheda.

Sarà un lavoro lungo, vista la mole di dati da esaminare, ma Roxas ha la pazienza infinita di una macchina.

Osserva, gli ha detto Zexion.

E lui lo ha sempre fatto, doverosamente. Così si è accorto dell’imperfezione, quella che rivela l’illusione. Non è neppure una lieve imperfezione. E’ grande come una montagna.

Ha solo voluto ignorarla, finora.

 

Morde il lato inferiore del ghiacciolo, ripulendolo dalle nuove gocce che si stanno formando.

Curioso, ma gli piace.

 

La danzatrice gli sfiora un braccio

 

Canti?

 

 

* * *

 

 

“Vorrei che l’alcol continuasse a fare un vero effetto, invece di questo cazzo di annebbiamento che non serve a niente.” brontola Xigbar.

“Vorresti ubriacarti?”

“Inutile bere, se non mi ubriaco.”

“Allora piantala. Finirai solo per passare la notte a pisciare.”

 

Xigbar sogghigna e riempie il bicchiere appena svuotato.

 

“Xemnas è tornato.”

 

Xaldin lo ignora. Seduto per terra, è intento a riparare l’armatura di uno dei suoi dragoni e la cosa lo occupa abbastanza.

 

“E’ tornato e si è chiuso subito nella sua torre.” insiste Xigbar.

“Lo sorvegli?”

“Se dici così, la fai sembrare una brutta cosa. Io mi preoccupo per lui.”

 

Xaldin allunga una mano e il dragone proprietario della corazza, accovacciato accanto a lui, si affretta a passargli una delle componenti dell’armatura sparpagliate sul pavimento.

 

“Andiamo, Xaldin. Sappiamo cosa succederà, inutile fare finta di niente.”

 

Finalmente, riesce a ottenere l’attenzione del compagno.

 

“Tu non sei sicuro su cosa fare.” afferma Xaldin

“No che non lo sono e sei il secondo che me lo sbatte in faccia.”

 

Xaldin stringe una delle cinghie tirandone un’estremità con i denti.

 

“Tu, invece, sei così sicuro di quello che fai?” chiede Xigbar.

 

Xaldin annuisce.

 

“Avevate ragione.” dice Xigbar “Zexion ha deciso che i completi sono nostri nemici e si comporterà di conseguenza.”

 

La sola risposta che ottiene è un’occhiata poco interessata.

 

“Sì, lo so. Non vi avevo creduto e mi scuso.” prosegue Xigbar “Non stavate esagerando. Me lo ha detto chiaramente. A fermarlo è solo il fatto che i nobody nascono da loro. Nel momento in cui troverà un modo per riprodurre la nostra specie, nessun essere completo sarà al sicuro da lui.”

“Non mi dici nulla che non avevo già capito da solo.”

“Già, ma lui non ha il potere di...”

“Ma Roxas probabilmente sì. Nessuno di noi sa cosa è in grado di fare un keyblade e nessuno di noi ha la misura del potere di Roxas. Forse non adesso, ma quando sarà cresciuto.”

“Stai dicendo che prepara Roxas come arma, contro il resto dell’universo?”

Xaldin si stringe nelle spalle.

“Zexion non si è mai neppure preso la briga di rivolgere una parola a uno dei neofiti, però ha allungato gli artigli proprio su Roxas.”

“Chi altro poteva occuparsi di un caso come quello?”

“Dici che il suo è stato interesse clinico? Xigbar, quasi tutti i neofiti sono stati casi clinici, molti lo sono ancora, ma solo uno di loro è un custode. Otto mesi fa, Roxas era in stato pressoché catatonico. Obbediva in tutto e per tutto e non questionava mai nessuno. Ultimamente... hai fatto caso a lui? Troppi progressi, troppo in fretta. In ogni senso. Anche ammesso si fosse trattato del risveglio di memorie sopite, al massimo avrebbe ottenuto le conoscenze di Sora. Ma Sora non ha un patrimonio culturale degno di nota e men che mai lo possedeva al momento della nascita di Roxas, quando non aveva neppure avuto il tempo materiale di acquisirlo. Roxas non può avere ereditato da lui molto più della capacità di usare i keyblade. Tutto quello che sa lo ha imparato in questa vita e questo significa che qualcuno si è preso il disturbo di insegnargli. E non si è certo trattato di insegnamento ordinario. Ma quando mai è stato necessario preoccuparsi dell’istruzione di una cavia? Se fosse necessario solo come soggetto di studio, o anche solo come sterminatore di heartless, sarebbe stato molto più facile averlo lasciato nelle condizioni iniziali. Non avrebbe senso volerlo rendere più indipendente di quanto non sia strettamente indispensabile, ma Roxas è ben oltre. Zexion ha in mente qualcosa di diverso, per lui. Un suo progetto, uno che non ha discusso.”

“Sì, ma sia tu che lui dimenticate di considerare una cosa.”

“Sarebbe?”

“Roxas. Bisogna vedere se sarebbe d’accordo a farsi trasformare in un macellaio di quella portata.”

“Perché no? Perché a metà di noi piace credere che coccolarlo e giocarci come se fosse un vero bambino è un buon modo per ricordarsi come sia essere umani? Questo è un problema nostro, con niente a che fare con lui e quello che è.”

“Dovrebbe avere un motivo davvero buono per fare una cosa simile.”

 

Xaldin sospira.

 

“Roxas è un custode di keyblade e i keyblade sono armi. Secondo te, qual è il criterio di giudizio di un’arma? Credi che scelga la persona più benevola, quella più comprensiva, la più altruista? Un’arma sceglie chi sa usarla, chi può usarla, chi vuole usarla. Un’arma sceglie un distruttore.”

 

Xigbar fa ondeggiare lentamente il bicchiere e resta a fissare il liquido incolore che vortica.

 

“D’accordo. Mi hai convinto. Probabilmente hai visto giusto e questa è la ragione di Zexion.”

“Quindi...”

“Perché non dovrebbe farlo? Quel ratto vuole chiudere di nuovo le serrande dei Mondi, ma sa che con noi in vita non funzionerebbe. Può tirare su tutti i muri che vuole, possiamo sempre superarli e buttarli giù e rovinare il suo giardinetto pieno di canzoni e buoni propositi. Quindi, non permetterà che i Mondi siano sigillati prima che l’ultimo di noi sia fatto a pezzi. Non possiamo nasconderci per sempre. Prima o poi ci trova e stai sicuro che non si fermerà a noi tredici. Allora perché non dovremmo sostenere Zexion con tutte le nostre forze? Perché cerchiamo con tanto entusiasmo di suicidarci?”

“Perché non esistiamo.”

“Questa immondizia mistica risparmiala per impressionare i bambini, Xaldin. Non sei un selvaggio ignorante. Non far finta di esserlo e non parlare a me come se lo fossi.”

“Tu sai cosa hai davanti? Solo il ricordo di uomo chiamato Dilan, che cerca di pensare e vivere e ragionare come ricorda avrebbe fatto Dilan, ma non può farlo, perché il vero Dilan non esiste nemmeno più e nemmeno il vero Braig. Siamo troppo differenti per essere ancora la stessa persona e non abbastanza diversi da essere due individui distinti. Io sono qualcosa che non ha definizione e se qualcosa non è definita, non esiste. Xaldin non esiste.”

“Zexion è convinto di poter avere una soluzione anche a questo.”

“Sì, me lo hai già detto, e io ribadisco che non la trovo un’argomentazione molto solida.”

“Allora sentiamo la tua solida argomentazione, perché, fino a questo momento, ti ho sentito solo opporti.”

“Ammettiamo che Zexion abbia successo con noi. Ammettiamo che riesca a invertire e stabilizzare anche lo stato degli altri e che costoro non si rivelino dei pazzi incurabili, con quello che hanno passato.”

“Il problema ci sarebbe anche nel caso di un loro ritorno all’umanità.”

“Va bene, allora ammettiamo anche che ogni cosa funzioni senza imprevisti, di nessun genere. Tutto questo non renderebbe la nostra esistenza meno difficile e precaria, non fino a quando saremo cacciati degli esseri completi.”

“Infatti.”

“Infatti. Quindi partiamo per la nostra guerra contro di loro. Anche a non considerare la magnitudine di una cosa simile, e gli heartless, intanto? Si diffondono a un tasso di incremento inconcepibile persino per una colonia batterica. Qualsiasi altro organismo incontra fattori limitanti che ne rallentano la crescita, la interrompono o la invertono, ma quali sono i limiti degli heartless? Non le condizioni ambientali, perché possono sopravvivere in tutti gli ambienti in cui è possibile la vita e in molti di quelli abiotici. Non hanno competitori, visto che nessuna altra entità utilizza e consuma le risorse a cui attingono. Loro, invece, non sono troppo difficili. Esseri viventi, stelle, pianeti. Ognuna di queste cose è solo cibo o un heartless in più. Con tanti Mondi a disposizione, non mi aspetto che si esauriscano troppo in fretta e, comunque, si esauriranno solo quando le ombre le consumeranno tutte. Sono i predatori perfetti e il predatore perfetto muore di fame quando non ha lasciato più nulla da divorare. Ma non sappiamo se gli heartless si estingueranno, una volta esaurite le fonti di Cuori, o se, piuttosto, non continueranno a esistere in un universo vuoto di tutto tranne che di Oscurità. Ma se anche sparissero, a quel punto non vedo a beneficio di chi.”

“Allora vorresti rimettere le cose a posto, come prima? Mi spiace disilluderti, ma quello che facciamo non cambierà natura e abitudini delle ombre e le barriere fra i Mondi non chiudono i sentieri oscuri. Non fermano gli heartless più di quanto non fermino noi. O questo te lo sei dimenticato?”

“No, non l'ho dimenticato, ma con noi e i completi impegnati a scannarci a vicenda, chi potrebbe tenerli sotto controllo? Siamo noi, il loro solo fattore limitante conosciuto. Così, non faremmo altro che dare via libera alla loro completa espansione. Questo è stato contemplato, nei conti di Zexion? E quanto altro non è stato considerato? Finora tutto il suo assunto si basa su un’ipotesi che, lo ammetto, è affascinante come tema di discussione, ma non sufficientemente provata da correre il rischio di applicarla. Con quale certezza? Solo quella di poter sbagliare, come ci siamo già sbagliati a valutare le conseguenze delle nostre azioni, e ritrovarsi in un universo in rovina.”

“Mentre credi che la soluzione di Xemnas sia più fattibile?”

“La considero solo la meno distruttiva.”

 

Inaspettatamente, Xigbar scoppia a ridere. Xaldin lo guarda perplesso.

 

“Non credevo di avere detto qualcosa di divertente.”

“Sì... sì, invece. Mi hai dato una conferma. Lo sai, Zexion potrebbe avere ragione e noi essere realmente entità completamente differenti, che hanno replicato il corpo dei vecchi Braig e Dilan.”

“Potrebbe. Un sacco di cose potrebbero essere.”

“Come ti riconosci? Come sai di essere tu? Grazie alla memoria, grazie ai ricordi di quello che sei.”

“E quindi?”

“Ma se il nobody neonato non ha nulla, tranne le memorie ereditate dalla psiche umana che lo genera, allora come può sapere di non essere lui? Come fai a sapere che non sei realmente qualcosa di diverso?”

“Poiché non puoi dimostrare l’esistenza, cerchi di negare la non-esistenza? Un’ipotesi senza verifica resta solo una congettura, Xigbar. Non basta dire che una cosa è così perché lo sia davvero. Se hai un’ipotesi, sarà meglio che la dimostri e che la dimostrazione sia sostenibile. Altrimenti, è solo una tua opinione. Nessuno te la può togliere, ma, per favore, non avere la pretesa che sia valida.”

“Sei sicuro che a parlare non sia il tuo rancore per Zexion?”

“Noi non proviamo rancori.”

“Complimenti, allora. Reciti benissimo.”

“Chi ti dice che non sto solo continuando a vivere il ricordo dell’odio di Dilan per Ienzo?”

“Dilan non odiava Ienzo.”

“Cosa ti dà una simile sicurezza?”

“Anni di vita insieme.”

“Te ne manca un pezzo. Tu sei morto subito.” ribatte Xaldin “Io non ce l’ho con Zexion, come ami ripetere in continuazione, ma lui ha fatto qualcosa di diverso da noi. Non ha fatto niente, è questa la differenza. Tutti, compreso Vexen, abbiamo cercato di rimediare, in un modo o nell’altro. Lui no. Almeno, io non lo ricordo.”

“E’ quello che vuole fare adesso.”

“Adesso, sì. E nei dieci anni passati, mentre tutti noi ci spaccavamo il culo per trovare una soluzione, non ha mosso un dito. A Zexion non è mai interessato tornare indietro. Non mi pare abbia fatto qualcosa per farmi cambiare idea. Tutt’altro. Adesso c’è Roxas, c’è Sora. Le possibilità di completare il nostro progetto sono aumentate. Anzi, forse solo adesso potrebbe funzionare. E, adesso, Zexion si è messo all’opera per disfare tutto. Una coincidenza curiosa.”

 

Xaldin sta cercando estrarre da una delle componenti articolate della corazza i pezzi di un circuito frantumato, ma un frammento si è incastrato all’interno dello snodo. Fruga con una pinza, tentando di smuoverlo qual tanto da riuscire ad afferrarlo senza rovinare i circuiti vicini, ancora integri.

Preferirebbe potersi concentrarsi senza rumorose interferenze, con la sola compagnia del dragone. Sarebbe anche un modo per rilassarsi, con quel lavoro simile a un rompicapo, ma non è che Xigbar gli abbia dato scelta. Si è presentato nell’officina, bottiglia e bicchiere compresi, e lo ha trascinato in una conversazione che Xaldin cerca di evitare da settimane.

 

“Tu non hai paura che Zexion ci abbia raccontato balle, che menta, che fallisca. Hai paura che abbia ragione, che riesca in quello che ha promesso.”

“Xigbar, forse non sono stato chiaro. Non voglio restare in questa schifosa mezza vita, ed è questa la soluzione di Zexion e degli altri due. Io non li aiuterò.”

“E se fosse davvero impossibile tornare umani? Se davvero significasse sparire?”

“Mi fa meno paura che restare così.”

“Quindi non hai nulla da perdere e, quando non hai nulla da perdere, ogni cosa che ottieni è un guadagno, vero? Perché non chiedi agli altri cosa preferirebbero? Chiedilo a Demyx o a Marluxia. Anzi, chiediamolo a lui.” indica con un cenno il dragone “Tu! Preferisci sparire o restare in questa schifosa mezza vita?”

“Sei stato il primo di noi a sostenere Xemnas. Non credi sia un po’ tardi per tornare indietro?” domanda Xaldin, distogliendo l’attenzione di Xigbar dal nobody.

“Perché? C’è un limite dopo il quale non si può più ammettere di avere sbagliato, o che ci sono altre strade?”

“Cosa è cambiato, da allora?”

“Tutto. E’ cambiato tutto. Abbiamo nuove informazioni. Ed è cambiato Xemnas.”

“I nobody non cambiano.”

“Il solo modo per non cambiare è crepare. Xemnas sta crollando. Di fronte agli altri mantiene ancora il controllo, glielo concedo, ma è solo una commedia. Ti basta guardarlo con Roxas. Fra loro è successo qualcosa, questo è chiaro, e se un uomo e un bambino si tengono il muso per qualcosa che conoscono solo loro, a me vengono dubbi sull’uomo, non sul bambino. Se poi da quell’uomo dipende la mia vita, scusami tanto, ma comincio a preoccuparmi.”

 

Finalmente, Xaldin riesce ad allentare il pezzo e tirarlo fuori dall’alveolo. Un soffio d’aria ripulisce la corazza anche dai residui più minuti di vetro e metallo, e può inserire il circuito di ricambio.

Non scoraggerà Xigbar solo ignorandolo. Potrebbe ricorrere alla forza, ma servirebbe solo a portare il confronto a un nuovo livello di ostilità, senza avvicinarlo di un passo all’agognato silenzio.

D’altra parte, anche sfuggire a Xigbar adesso, vorrebbe solo dire rimandare il discorso a un’occasione forse anche meno gradevole.

 

“Xemnas è quello che trova le soluzioni, Xaldin. Deve trovare soluzioni, deve avere sempre la mente occupata, quindi ha bisogno di un problema, ed è meglio che sia qualcosa di ordine pratico o comincia a dare i numeri. E’ sempre stato così. Ma quando non abbiamo più corso il rischio di morire di freddo o di fame a ogni ora, o essere scannati da qualche contadino troppo zelante, gli è rimasto troppo tempo libero e il problema se lo è creato lui. Un problema la cui soluzione è così teorica e astratta e lontana, forse impossibile, che, alla fin fine, non conta neppure. Quello che conta è la metodologia di risoluzione. Ormai, lo scopo è diventato più importante delle persone stesse a cui dovrebbe servire.”

“Stai suggerendo che la soluzione alla crisi attuale sarebbe tornare a vivere in capanne di paglia e fango e mangiare cani randagi?”

 

In risposta, Xigbar inghiotte un altro sorso.

Xaldin decide di pensarci seriamente, almeno per qualche secondo.

 

“Xigbar, è una soluzione del cazzo persino per te.”

“Sono ubriaco.”

“Noi non ci ubriachiamo.”

 

Xigbar posa il bicchiere sul tavolo, materializza una delle sue armi e la punta sul dragone. Il nobody non ha reazioni esteriori percepibili, ma è subito allarmato. Sufficientemente all’erta da riconoscere la minaccia, incredulo per la sorgente da cui ha origine, confuso dal comportamento dell’uomo, incapace di capirne la ragione.

 

???

 

“Xigbar…” mormora Xaldin.

“Noi non odiamo, non cambiamo, non ci ubriachiamo.” ribatte Xigbar, mentre sfiora la sicura.

 

Il dragone brancola per aprire un varco e allontanarsi, ma il controllo di Xigbar sullo spazio e la sua superiore volontà gli chiudono ogni porta. La paura della creatura si riversa nell’anima di Xaldin in un fiume che odora di sangue vecchio.

 

Signore perché?

 

“Noi non dovremmo fare un sacco di cose. Non dovremmo neppure essere qui.”

“Xigbar, non scherzo.”

“Ne ho pieni i coglioni di quello che non dovremmo.”

 

perchéperchéperchéperché?

 

“Ti ho fatto una domanda, prima.” sibila Xigbar, rivolto al dragone “Rispondi. Vuoi sparire? Posso accontentarti subito, senza farla tanto lunga. La finiamo qui, adesso.”

 

Xaldin aggancia una delle gambe della sedia con un piede e la strattona con violenza, tanto da rovesciarla.

Xigbar sbotta in un urlo, sorpreso al punto da non avere la prontezza di riflessi necessaria ad annullare la caduta. Si aggrappa al bordo del tavolo e riesce solo a trascinarsi addosso anche quello, insieme al bicchiere e alla bottiglia.

Il dragone ne approfitta per svanire.

 

“Tocca uno dei miei e non arrivi a vedere la fine di questo casino.” esclama Xaldin.

 

Xigbar solleva la testa, come per replicare, ma, alla fine, si accascia a terra, sbuffando.

 

“Ha ragione lui. Piace a tutti nascondersi sotto le buone intenzioni.”

 

Tasta alla cieca sul pavimento, fino a quando tocca il bicchiere rovesciato al suo fianco.

Xaldin osserva disgustato quella recita di pretesa ignoranza. Come se Xigbar non avesse sempre completa e perfetta cognizione dello spazio intorno a lui e di ciò che lo occupa.

 

“Francamente, non capisco a dove vuoi arrivare, Xigbar. Vuoi convincere me che ho torto o vuoi convincere te stesso di avere ragione? Oppure vuoi che sia io a convincere te che, alla fine, la scelta che hai già preso è quella giusta?”

 

Xigbar resta sdraiato sulla schiena, a fissare il soffitto traslucido, in una pozza di liquore rovesciato.

Con il palmo di una mano, fa rotolare avanti e indietro il bicchiere.

 

Il dragone fa la sua ricomparsa. Non si materializza del tutto e sonda con diffidenza la situazione, nascosto nel piano d’ombra.

Non lo salverebbe, non se Xigbar fosse davvero intenzionato a colpirlo, ma l’uomo sembra avere perso lo spirito battagliero e ogni interesse per il nobody.

Xaldin preferisce tenerlo d’occhio, giusto per eliminare sul nascere qualche altra alzata d’ingegno.

 

“Sai a cosa ho pensato, Xaldin? Se anche dovessimo tornare a casa, quanto credi ci metteremmo a trovare un altro modo per mandare tutto all’aria?”

“E quindi? Tanto vale non fare niente, perché comunque, prima o poi, ci troveremmo nella stessa situazione? Adesso mi hai convinto che sei ubriaco.”

 

Xigbar si rialza. Guarda schifato il liquore che gli si è rovesciato addosso, la macchia bagnata e maleodorante su camicia e pantaloni.

 

“Dovrei farli lavare a te, questi.” brontola, mentre solleva i mobili caduti e si mette di nuovo seduto al tavolo “Dunque, sei convinto che siamo in grado di provare qualcosa solo se l’abbiamo provata nella vita umana, solo per gente che abbiamo conosciuto nella vita umana.”

“Se non fosse così, i neofiti ci avrebbero già tagliato la gola da anni, perché la sola cosa che ci lega a loro sono vite e mondi cancellati.”

“Se fosse così, adesso non dovremmo preoccuparci. Xemnas e Zexion farebbero fronte comune e tutto finirebbe bene con noi che vinciamo la mano, come al solito. No, Xaldin. Vogliamo che il passato sia più importante del presente e quello che noi vogliamo, noi facciamo. Tutto qui. Ma cambiamo anche noi. Le amicizie più forti sono diventate indifferenza. A questo credi, vero? Allora le amicizie più forti possono anche diventare odio. Non siamo immuni al risentimento, per niente. Lo trasformiamo in una scienza applicata.”

“Io almeno so cosa farò e conosco le ragioni per quello che faccio. Tu, invece, non prendi decisioni sulla base di quanto le cose ti sembrano convincenti, ma solo per evitare danni a qualcuno.”

“Te lo ripeto. Non voglio alzare le mani su uno di noi.”

“Questa volta non funzionerà, Xigbar. Questa volta non vale tirarsi indietro e non scegliere. Si scanneranno a vicenda e tu non saprai chi fermare, perché quello che hai salvato non farà altro che passarti davanti e fare a pezzi quello che tieni fermo per impedirgli di ucciderlo.

 

Xigbar riempie nuovamente il bicchiere, tanto da farlo quasi traboccare, ma non beve. Lo rimette sul tavolo e resta a fissarlo.

 

“Cazzo! Xaldin, non mi rendi per niente le cose più facili.”

 

 

* * *

 

 

“La progressione segue lo stesso andamento già rilevato in Roxas.” osserva Vexen.

“Le varie fasi si sono succedute con una maggior rapidità, ma, essenzialmente, l’intero processo è una ripetizione di quello riportato in lui.” conferma Zexion.

 

Lexaeus si allunga verso il computer e fa ripartire la sequenza che documenta l’intero processo.

Una serie di correzioni effettuate sulla struttura mentale di Zexion, minuscoli arrangiamenti quasi impercettibili nel loro manifestarsi esteriore.

Talvolta, addirittura, sembra regredire a una fase precedente. Ma le correzioni si sommano, finché non raggiungono il livello dopo il quale gli effetti si esprimono secondo il principio del tutto o niente. A quel punto, il cambiamento di stato diventa irreversibile. Il reticolo mentale si rettifica in una sola volta, in una curiosa azione speculare e contraria al processo di degenerazione.

 

“Come vi avevo detto,” prosegue Zexion “al meccanismo diretto di risposta agli stimoli, abbiamo sostituito una reazione transitiva, mediata dai ricordi di come abbiamo reagito a essi in una situazione equivalente. C’è quindi una perdita inevitabile di segnale nella risposta, ma non solo. I ricordi sono comunque prodotto di una nostra elaborazione. Abbiamo quindi come unico metro e scala di riferimento noi stessi. In pratica, un sistema chiuso che si autoalimenta. La conseguenza è che tendiamo a interiorizzare gli eventi, riconducendo la loro causa solo a noi. Questo sistema di valutazione lo applichiamo a tutto. Se qualcosa non va, pensiamo che siamo noi che sbagliamo a valutarla, non che quella cosa sia errata. A partire dall’ormai annosa questione delle emozioni. Eventi riconosciuti non ci provocano reazioni riconducibili a quelle cui siamo abituati, quindi c’è qualcosa che non va in noi.”

“E questo è un problema.”

“Questo è autolesionistico, Vexen. Sarebbe molto più funzionale alla sopravvivenza effettuare il salto valutativo. Non proviamo per gli eventi che riconosciamo le sensazioni nel modo in cui siamo abituati perché il modo in cui siamo abituati appartiene a un’altra persona. E se l’universo ha deciso che noi non andiamo bene così come siamo, dovremmo pensare che è il resto dell’universo a sbagliare, non che siamo noi a essere sbagliati. Da un punto di vista strettamente logico, le affermazioni hanno lo stesso valore. Da quello psicologico, la differenza è abissale.”

“Quindi, adesso, dovresti avere aperto il circolo.”

“Ho collegato i canali che alimentano quel circuito all’esterno, cioè l’ambiente attuale.”

“Come ti senti?” chiede Lexaeus.

“Prego?”

“Come ti senti?”

 

Il giovane ha un’espressione un po’ sorpresa. Mantiene quell’aria stupita per un tempo sufficiente a che Lex si chiede se non ha, inavvertitamente, pungolato la sua imprevedibile irritabilità, poi scrolla le spalle e riprende la sua esposizione.

 

“Noi siamo manifestazioni di Crepuscolo. In effetti, molto meno puro di quanto non lo siano gli heartless come manifestazioni di Oscurità, ma comunque abbastanza squilibrato da rendere impossibile la nostra persistenza materiale se non è sostenuta da un’ininterrotta azione di volontà, che, ovviamente, non è priva di un costo energetico. E, poiché la nostra volontà è legata intrinsecamente alla nostra forza vitale, questo significa che parte di quest’ultima è continuamente dissipata solo per mantenerci solidi. Una delle conseguenze più evidenti è che i nobody morti di dissolvono in stringhe di Crepuscolo, esattamente come gli heartless si dissolvono in Oscurità, in quanto cessa la volontà che mantiene insieme la forma materiale. Altra percentuale della nostra forza è impiegata invece per evitare di degenerare. Noi abbiamo una struttura mentale estremamente elastica, ma con un limite di snervamento piuttosto basso rispetto agli esseri completi. Il problema è che il nostro campo di tensione potenziale è già stabilmente occupato dallo stress necessario a esistere. Ora, però, il mio continuo psicologico ha raggiunto l’equilibrio, non più il metaequilibrio. Per un nobody non esiste condizione che necessita meno energia per essere mantenuta, al punto che, per farmi degenerare, occorrerebbe fornirmi di una tale quantità di energia che il risultato sarebbe altamente sbilanciato. Qualsiasi perturbazione mi riporterebbe allo stato attuale. Quindi, quella forza che prima era dissipata per mantenere forma e mente umana, è adesso disponibile e, con una maggior quantità di forza disponibile, anche lo stato di tensione fisica si è notevolmente abbassato. Secondo te, come mi sento, Lex? Mi sento libero dalla paura che ogni giorno sia l’ultimo della mia vita, che ogni volta che mi guardo, sia l’ultima volta che mi riconosco.”

 

Ce l’ha fatta e Lexaeus deve ammettere che, fino a questo momento, non è stato sicuro di crederci.

Roxas poteva essere solo un aberrazione, ma ora hanno un secondo caso positivo, il secondo caso positivo su due tentativi.

Lo stesso Zexion lo deriderebbe, dicendo che è caduto in uno degli errori valutativi più comuni, che non si tratta di un successo del cento per cento. Sono solo due casi e due casi non sono nemmeno lontanamente significativi.

Vexen non farebbe altro che aggiungere i suoi rimproveri all’ironia del giovane.

Avrebbero ragione, lo sa anche lui. Però, in qualche modo, adesso riesce quasi a convincersi che possono farcela.

 

“C’è un’altra cosa che mi premeva farvi vedere.” prosegue Zexion “Tutti i nobody, noi compresi, sono spinti a formare strutture mentali composte che riducono le tensioni di campo, seguendo due distinti meccanismi, diversi secondo il rango del nobody coinvolto nella rete. E’ la pulsione più forte conosciuta in un nobody, talmente forte da poter essere paragonata alla pulsione riproduttiva di molti organismi completi.”

“Tu hai sempre rifiutato qualsiasi tentativo di legame con altri nobody, persino quelli a te compatibili.” obietta Vexen.

“Perché hai una così bassa considerazione dei miei eterei?” chiede Zexion.

 

Richiamato dall’attenzione del suo signore, un etereo si materializza, nella forma di una pozza di liquido che sgorga dal pavimento.

 

“Intendevo nobody superiori, non quelle...”

“Persone, Vexen. Sono persone. Ti consideri un essere umano, o quello che ne resta. In realtà, siamo neoformazioni di Forze. Più si scende di rango, più i nobody sono affini alla massa di Forze indifferenziate. Noi abbiamo una struttura e un’identità che riconosciamo come nostre. Non sono solo io. Sono Zexion. Dice chi sono, non cosa sono. Eccetto noi, nessun nobody è in grado di riconoscere un proprio nome. Hanno consapevolezza di un’individualità, ma non abbastanza particolareggiata per quello. La loro volontà non è sufficiente a obbligare le Forze a fissarsi in una forma fisica e psichica complessa come la nostra. E’ un’organizzazione più semplice, la loro, meno diversificata. Gli eterei sono i più primitivi di tutti. Hanno una coscienza di sé sufficiente a non disperdersi, non ad ancorare la propria forma. Ma hanno sensi tanto discriminanti da percepire ogni mutamento ambientale e i mutamenti sono continui e inarrestabili, lo sai, Vexen. Nemmeno quando dormono possono sottrarsi al diluvio di informazioni che si riversa loro addosso. Cercano di adattarsi a un ambiente privo di qualsiasi costanza, ma è come pretendere che un fisico senza difese immunitarie combatta efficacemente un’infezione. Ecco cosa sono gli eterei. Persone molto malate. Pensa così e forse ti renderai le cose più facili. E pensa anche che io e Roxas potremmo guardare a tutti voi come voi guardate agli eterei, perché, al momento, è questo il rapporto fra noi.”

 

Vexen sbuffa, irritato. Di tutti, lui è quello che meno ha tolleranza per gli eterei. No, di tutti, è quello che ha meno tolleranza per qualsiasi nobody, qualsiasi essere umano, qualsiasi creatura non sia sé stesso. Infastidito dalla loro irragionevolezza, dal loro umore, dalla loro imprevedibilità. Qualche volta, Lexaeus è pronto a credere che Vexen sia disturbato solo dall’altrui esistere e, allora, si chiede perché il suo vecchio amico non si sia dedicato a una scienza più consona al suo carattere, lo studio di qualcosa più contenibile, più semplice degli esseri viventi. Qualcosa privo di quelle varianti incontrollabili e deprecabili come determinazione e desideri e paure. Qualcosa che non si ostini a imporre all’universo il proprio volere. Qualcosa che risponda sempre come previsto.

Ma non è lui a poter questionare le contraddizioni di Vexen, che non sono certo meno irragionevoli delle sue.

 

Intanto, Zexion ha ricominciato a parlare.

 

“La volontà può assumere tutti i valori continui di un insieme, ma si esprime in quantità discrete, cioè quelle di un valore fondamentale non ulteriormente suddivisibile, un quanto, oppure dei suoi multipli. Ecco perché i nobody sono suddivisi in classi definite e non in forme individuali. Se osserviamo gli schemi mentali degli svariati ordini di nobody, vediamo che la struttura si fa progressivamente più distorta. Dalla nostra, relativamente regolare, a quello dei crepuscolari, dove le distorsioni sono tali che l’intera struttura è al limite della dissoluzione. Tra questi due estremi, troviamo tutte le situazioni intermedie. Il nostro è lo stato che richiede maggior energia per essere mantenuto, mentre quello dei crepuscolari è il meno dispendioso, il che potrebbe erroneamente far pensare che siano i più vicino alla stabilità. Non è così, perché occorre valutare il rapporto fra energia necessaria e quella disponibile. Diciamo che manteniamo la regolarità della nostra mente a forza, contrastando i fenomeni distorsivi che tendono ad alterarla o a disperderla. Più vogliamo mantenerla regolare, più occorre forza. Noi siamo i nobody che possiedono una maggior quantità di energia potenziale utilizzabile, ossia un più ampio campo di tolleranza allo stress. Energia che decresce man mano si scende di rango. Per usare un paragone, immaginiamo una scala, ogni gradino più largo ma più ripido e più difficile da raggiungere di quello sottostante. Noi siamo sul gradino più alto, sotto troviamo i guerrieri di Roxas, poi gli stregoni di Xemnas e così via, sino ad arrivare ai crepuscolari, che sono al livello più basso della gerarchia. Sotto quell’ultimo scalino si apre un abisso. L’ampiezza del gradino permette una certa stabilità locale, ma se il sistema è scosso con forza sufficiente, possiamo superare il bordo e precipitare. Ora, se noi cadiamo, abbiamo grandi probabilità di finire su uno dei gradini inferiori, cioè degenerare in una forma minore, ma ancora vitale. Probabilità che decresce per i nobody sotto di noi. I crepuscolari, se cadono, possono solo finire nello strapiombo. Un crepuscolare non può degenerare. E’ già al punto di massima deformazione possibile della struttura mentale. Un ulteriore stress lo porta alla dissoluzione, perché a quel punto non ha energia per mantenere la sua forma fisica. Quello che potrebbe capitare anche a un nobody superiore, noi compresi, se usassimo tutta la nostra forza vitale. Salteremmo tutti gli stati inferiori di metastabilità e raggiungeremmo direttamente il punto di frattura, invece che di deformazione plastica. Se, per così dire, facessimo un salto tale che ci permetterebbe di superare tutti i gradini sotto di noi e raggiungere direttamente l’abisso. In un legame mentale, il nobody di rango inferiore condivide l’energia potenziale di quello superiore. Il superiore, invece, acquisisce una superficie su cui disperdere le tensioni. Per entrambi, è un surrogato alla stabilità che manca. Dal punto di vista personale, è interpretato come un... sentirsi meglio, Lexaeus. Quindi, siamo spinti a ricercarlo. Non è molto diverso dall’appagamento sessuale.”

 

L’etereo che staziona nella stanza sta assumendo una forma che può definirsi solo come il tronco di un animale con otto zampe da artropode e nessuna testa.

Masochisticamente, Lex cerca il contatto mentale con la creatura.

 

 

scivolascivola la terrascivola ondeggia luce troppa luce poca luce niente luce perché non c’è luce signore delle ombre la mia testa si dilata la terra scivola cado non posso respirare non posso vedere non posso sentire

 

 

Tranne Zexion e Roxas, che li tratta con la disinvolta familiarità con cui un bambino umano tratterebbe le proprie governanti, nessuno è in grado di sopportare a lungo una relazione con quegli esseri proteiformi, i più alieni di tutti i nobody, nel pensiero come nell’aspetto.

 

 

la mia testa devo respirare aiutami non possononpossonon cadocadocado mi gonfio esplodo mi contraggo mi gonfio dammipace

 

 

Il mondo degli eterei muta senza pausa ed essi mutano in risposta per cercare un equilibrio impossibile. E’ come essere in piedi su una barca in balia della tempesta, senza timone e senza remi.

 

 

muri di vetrobianco denti dacciaio voglionodivorarmiconsumarmi dammipacedammipacedammipacedammipace odore di sudore acido gastrico erba tagliata

NON POSSO RESPIRARE

 

 

Con un brivido, Lexaeus si ritrae da quella orribile disturbante creatura, dai suoi orribili disturbanti pensieripercezionisensazioni, da quella terrificante incostanza, dalla certezza di essere sempre sul punto di disperdersi in un universo senza riferimenti.

Dalla fame. Una fame insaziabile di identità.

 

Zexion richiama l’etereo e la creatura risponde allungando quattro delle innumerevoli zampe articolate che si sono moltiplicate trasformandolo in una cosa che è un incrocio fra un riccio di mare e un ragno, una bocca irta di zanne spalancata sulla schiena.

Fra i due, scorre un flusso di pensieri e sensazioni a una frequenza superiore quella che Lexaeus può decifrare. Sa solo che c’è uno scambio di informazioni, e l’etereo torna alla sua ordinaria, grottesca forma.

 

“Gli eterei sono ottimi famigli.” mormora il giovane “Sono molti, la loro rete mentale talmente ampia da avermi garantito un elevatissimo grado di metastabilità, si adattano a qualsiasi ambiente e circostanza e, grazie alle loro capacità mimetiche, sono i migliori agenti che si possono desiderare. Sono sufficientemente intelligenti e individualisti da essere in grado di elaborare piani e tattiche e il loro modo di percepire è interessante.”

 

Nauseante sembra a Lexaeus un termine più adeguato.

Non riesce in nessun modo a capacitarsi come sia possibile provare un qualsiasi benessere dal contatto con quegli esseri. Non riesce neppure a immaginare come si possa volere un contatto.

Ma lui non è Zexion.

Lex può solo immaginare che ricompensi i suoi seguaci con l’estemporanea illusione di concretezza e ordine in un mondo che è solo un incubo allucinato, e sia ricambiato con quel diluvio di sensazioni, perché è sicuro che quello che cerca in loro non è mai stato solo un surrogato di stabilità.

E’ stato Zexion stesso a rivelargli che, per lui, smettere di percepire significherebbe la morte. Si sarebbe meravigliato di una simile confessione di debolezza, se lo fosse stata realmente. Non c’è modo di isolarlo, se non uccidendolo, così, in realtà, la sua frase annulla sé stessa.

Di tutti loro, Zexion è probabilmente il più carnale, il più congiunto al mondo fisico, forse persino più di Marluxia. E’ proprio il suo legame con la realtà, così stretto e preciso, ciò che lo ha reso tanto adattabile. Ma quel legame deve essere alimentato e, forse, per lui la follia degli eterei è solo una sorgente da cui attingere.

 

La luce bianca e sterile si riflette sulla testa del giovane e ne rende i capelli chiari quasi quanto quelli di Xemnas, quasi dello stesso colore.

Una caratteristica fisica insignificante, nella variabilità dei Mondi.

Ma sul loro pianeta non è mai stato solo un colore di capelli. Non quello di Ienzo, non quello di Xehanort. Uno stendardo, più che altro, o un avvertimento. Come le livree appariscenti di certi animali velenosi.

Si è sempre chiesto se davvero, o quanto, sia possibile capire gente come Ienzo e Xehanort, o Zexion e Xemnas. O se loro sono davvero in grado di capire quelli che li circondano. Qualche volta, è certo che la risposta è semplicemente no e ogni tentativo di comprensione è destinato a fallire.

Ma è troppo facile crederlo. Troppo simile a volerli bollarli di mostruosità.

Come se essere troppo intelligenti, troppo forti, troppo abili, troppo oltre gli stretti confini della mediocrità, sia possibile solo se qualcosa di orribile compensi l’eccezionalità. Una vita spaventosa, qualcosa di distorto, qualcosa di innaturale, sbagliato.

La verità è che Ienzo e Xehanort erano diversi, e sono diversi Zexion e Xemnas, e gli eterei, e in loro non c’è nulla di innaturale o sbagliato, non più di quanto non ce ne sia in chiunque. Le sole cose mostruose sono la paura e le reciproche incomprensioni. Anche quando paura e incomprensione appartengono a lui.

 

“Ora,” continua Zexion “a parte problemi di compatibilità specifica, mentre per noi e per i crepuscolari è relativamente indifferente a quale rango appartengono gli elementi a cui unirsi, per un nobody di rango intermedio la situazione è più complessa. Entrando a far parte di una rete mentale, gli individui di rango inferiore perdono libertà. Devono quindi avere la convenienza per farlo. Diventa un gioco di rapporti fra guadagno e perdita, al punto di discriminare non solo fra classe, ma fra individui. E’ la ragione per cui, man mano che si scende di rango, i nobody hanno sempre maggior facilità di legame con i superiori. Ai crepuscolari conviene attingere da qualsiasi fonte disponibile, perché la loro è una condizione limite. La stessa cosa può dirsi per gli eterei. Sono legati a me, ma potrebbero unirsi a chiunque, se solo altri li accettassero. I guerrieri, d’altro canto, i nobody più vicini al nostro stato, si legano solo a Roxas e, fino al suo arrivo, ogni tentativo di condurli a noi è stato infruttuoso. Perché nessuno possedeva sufficiente energia mentale da rendere loro proficuo il legame. Avrebbero sacrificato la loro indipendenza per un guadagno ben scarso. Per noi, naturalmente, è impossibile ottenere energia da altri nobody.”

“Suppongo che il tentativo di soggiogare un altro nobody umano sarebbe disastroso.” lo interrompe Vexen.

Zexion sorride debolmente.

“Non mi azzardo a sperimentare. A parte che esiste una notevole coercizione repulsiva nei confronti di una simile azione, ho effettuato diverse simulazioni e il risultato è il reciproco annientamento. Un legame è una scelta spontanea da parte di tutti gli elementi, a prescindere da rango e forza. Sappiamo bene cosa succede, ogni volta che tentiamo di assoggettare un nobody, persino un crepuscolare, contro la sua volontà.”

“Si lascia distruggere.”

“Sì, esatto. Ogni tentativo di forzare un legame, chiunque lo abbia iniziato, termina con l’uccisione del soggetto di rango inferiore. Se gli individui coinvolti avessero un livello di forza comparabile, il risultato sarebbe altamente squilibrato. Un conflitto irrisolvibile con conseguente aumento dell’instabilità, invece che una sua riduzione. Comunque, in questi tre mesi ho monitorato le ripercussioni della stabilità di Roxas sui suoi guerrieri. L’effetto più palese è che le loro file non hanno subito nessuna perdita per degenerazione. Ma c’è stata anche una trasformazione nella configurazione della mente composta. Di partenza, una qualsiasi rete mentale può essere rappresentata come un sistema orbitale multiplo. Il nobody di rango superiore al centro, gli altri nella sua orbita, ognuno dei quali può, a sua volta, essere il centro di un suo sistema. Nel caso di Roxas, la struttura è diventato uno schema quasiperiodico, con interessanti proprietà geometriche. Consideriamo l’insieme degli schemi mentali degli individui che compongono la rete mentale come una struttura regolare in uno spazio di dimensioni superiori a tre. Se effettuiamo una sua sezione lineare con uno spazio di dimensioni minori, e proiettiamo su questa sezione ogni punto della mente composta, rappresentato da un individuo, otteniamo lo schema quasiperiodico. In realtà, la mente composta, così come appare, è solo la proiezione di una struttura completamente regolare di un sopraspazio a dimensioni maggiori, che ripete la struttura a reticolo cristallino della mente di un nobody.”

“Una simile struttura sembra troppo complessa per essere casuale, soprattutto visto che conformazioni periodiche e semiperiodiche si ripetono con frequenza negli enti naturali.” afferma Vexen “Mi azzarderei a dire che questa è un’ulteriore conferma deduttiva che non siamo una forma alterata degli esseri umani.”

“Questo, e quella che sembra una nostra caratteristica unica, cioè la completa mancanza di istinti. Si inserisce senza paradossi in un modello dove non solo siamo una forma di vita indipendente, ma anche nuova. Gli istinti sono schemi di comportamento fissati geneticamente, invariabili, stereotipati, caratteristici di una data specie, evoluti per rispondere a determinati stimoli, in mancanza dei quali non si attivano. In presenza dello stimolo giusto, un istinto si svolge in modo identico e costante in tutti gli individui della specie in cui si è evoluto ed è strettamente legato alla sfera fisica. Noi siamo fisicamente differenti dagli esseri umani. Anche se avessimo replicato gli istinti di chi ci ha originati, le differenze basterebbero a interrompere il circuito fra schema comportamentale innato e innesco ambientale che lo attiva. D’altra parte, come entità recenti, non possiamo avere istinti nostri, dato che è mancato il tempo perché si siano evoluti. Anche l’ipotesi che siamo generati come riflesso dell’essere umano stesso, plasmato sul modello di una condizione differente preesistente nella memoria razziale di coloro che ci hanno generati, li esclude. Tutto porta a pensare che, in origine, i Cuori non fossero presenti negli esseri umani e negli altri organismi che attualmente li comprendono, ma questo non farebbe di noi individui di una di quelle specie, quindi non potremmo avere i loro istinti. Le pulsioni, d’altro canto, sono elementi psichici che producono uno stato di tensione per spingere l'organismo a una determinata attività o a perseguire un determinato obiettivo, tramite comportamenti modificabili dall'esperienza dell’individuo e dalle condizioni ambientali cui è sottoposto. Cosa basilare, molte pulsioni sono condivise da gran parte degli esseri viventi. La pulsione di sopravvivenza, ad esempio. Abbiamo la motivazione a sopravvivere, ma come lo facciamo, non è determinato. Possiamo fare affidamento sulle pulsioni dei nostri... Altri, così come possiamo fare affidamento sulle conoscenze da loro accumulate, anche quando si tratta di conoscenze inconsce. Purtroppo, temo di dover aspettare per occuparmi di quest’aspetto. Il tempo continua a mancare e posso limitarmi solo alle conseguenze pratiche.”

 

C’è qualcosa molto simile alla sofferenza, nella voce di Zexion, e questo è qualcosa che Lex può condividere. Ha intravisto qualcosa di affascinante e lo deve abbandonare per dedicarsi alle pressanti necessità della sopravvivenza.

 

“Per quanto riguarda i miei, è ancora presto per rilevare un qualche significativo cambiamento di tendenza alla degenerazione individuale, ma la mente composta ha assunto la configurazione di quella di Roxas. Il cambiamento è stato subitaneo, una conseguenza immediata alla rettificazione della mia stessa mente. Ricordate quel rompicapo di moda a Radiant Garden, quel cubo snodabile colorato? Il metodo per risolverlo consisteva in una serie di passaggi successivi che, fino a un certo punto, portavano a progressi davvero minimi. Addirittura, certi passaggi annullavano apparentemente tutti gli avanzamenti fatti sino a quel momento. Poi bastava una sola mossa e le facce si sistemavano, ognuna del suo colore. A quanto pare, noi funzioniamo nello stesso modo.”

“Sei ancora sicuro di poter invertire il loro stato?” chiede Vexen.

“Non lo sono mai stato, ma sono sicuro di volerci provare. Geneticamente, i nobody di rango inferiore non sono diversi da noi, né sono diversi fra loro, se non per le differenze d’origine e, chiaramente, le normali differenze che si riscontrano in individui differenti. La loro condizione è determinata da uno stato mentale.”

“Mi sorprende sentirti considerare le condizioni mentali meno determinanti di quelle fisiche.”

“Tutt’altro. Sul piano corporeo siamo molto più forti e resistenti di qualsiasi essere completo, ma non si può dire la stessa cosa sul piano psicologico. In noi, i traumi della mente agiscono con maggior violenza, gravità e immediatezza rispetto a quelli puramente materiali e si manifestano sull’esistenza fisica, molto più di quanto non lo facciano per loro. Le nostre peggiori ferite sono quelle dell’anima e non c’è nulla di metaforico, in questo. Ma la stessa corrispondenza più volgersi a nostro favore. L’esistenza corporea è vincolata alle condizioni della mente in negativo, ma anche in positivo, e la mente è molto più duttile, molto più capace di riparare a danni in apparenza insanabili.”

“I nobody ottenuti artificialmente sono sempre stati crepuscolari.” obietta Lexaeus “Non contraddice la tua ipotesi? Sarebbe più logico supporre che dovessero essere tutti di alto rango. Se persino Roxas, privo di memoria cosciente, ma, come tu hai fatto ripetutamente rilevare, non di memoria inconscia, ha sviluppato spontaneamente una rete di nodi di dispersione capace di ammortizzare le tensioni, a maggior ragione una situazione simile si sarebbe dovuta riscontrare nei nobody ricavati dagli embrioni, nati, praticamente, in condizione di nobody, senza alcun ricordo, consapevole o meno, a indebolire la loro volontà.”

“Sì, se le vestigia di vita umana rappresentassero il solo fattore limitante, ma non è così. Può essere la stanchezza, la fatica, l’esaurimento della propria energia vitale. Tutti elementi in grado di scatenare la degenerazione nel caso di un nobody preesistente, oppure di impedire il raggiungimento di un livello di energia potenziale necessario allo stato umanoide, come capita alla stragrande maggioranza dei nobody. Ricordiamo che non solo ci sono molti fattori che possono farci cadere dai gradini, ma ce ne sono almeno altrettanti che non permettono neppure di salirci. Qualsiasi situazione di stress può portarci al limite di una situazione già altamente instabile e tutti i nobody di cui abbiamo esperienza sono stati generati da un evento distruttivo. Nasciamo dalla morte di un essere vivente, una morte particolarmente traumatica. Anche quelli che siamo riusciti a generare sono sempre stati ottenuti strappando a forza il Cuore da un’entità che, per quanto ancora allo stato embrionale, nondimeno ha subito un trauma. Vorrei ricordare che non esistono nobody superiori appartenenti a specie non senzienti, né a specie con mente e coscienza collettiva, a differenza di quanto capita agli heartless, dove gli esemplari più forti possono discendere senza difficoltà da entità prive di intelligenza, anche della più elementare.”

“Pensi che, nel nostro caso, razionalità e consapevolezza siano fattori essenziali?”

“No, Lex, o non avremmo ottenuto neppure quei pochi crepuscolari. La ragione non è condizione indispensabile perché nasca un nobody, ma, al momento, è necessaria affinché sia un nobody di rango superiore. La volontà consente a un essere vivente di superare le tenebre, ma è la coscienza che permette di non essere travolti dal trauma. Un essere non senziente può avere una tale volontà di sopravvivenza da generare un nobody, ma conosce solo il presente. Non vuole morire, non vuole soffrire, qui, adesso. Un essere senziente può aggrapparsi ai suoi ricordi, proiettarli a un ipotetico, o sperato, stato futuro. Vuole non solo continuare a esistere, ma a essere sé stesso. Non fatevi fuorviare dalle condizioni di Roxas. Lui è privo di memoria conscia, ma Sora no, ed è stata la volontà di Sora a far nascere Roxas. E’ uno dei motivi per cui è così importante trovare un modo finché la nascita sia meno devastante. Oltre, naturalmente, che per superare la nostra incresciosa dipendenza dagli esseri umani.”

“Questo è uno di quei problemi che potrebbe risolvere Xemnas, se si decidesse a collaborare.”

 

E’ stato Vexen a dirlo, ed è inaspettato, questo riconoscimento di inferiorità proprio da parte sua. Quando erano loro sei, Even era straordinariamente brillante e avrebbe primeggiato dovunque, tranne che nella squadra di Ansem. Sulla sua strada aveva trovato Xehanort e Ienzo e a lui era rimasto il secondo posto. Non il più geniale, solo quasi, perché dove Xehanort e Ienzo arrivavano senza fatica, Even doveva applicarsi con un continuo e ostinato impegno ed era sempre stato motivo di fastidio, per lui, che due ragazzi tanto più giovani lo surclassassero con tale disinvolta facilità.

Anche se il fastidio non lo aveva mai ostacolato. Anzi, forse proprio il fastidio e il desiderio di primeggiare erano parte delle sue motivazioni e le cose non sono cambiate. Semmai, nutrite con la tenacia dei nobody, la caparbietà e la dedizione di Vexen sono diventate maniacali.

Ma Even si era anche rifiutato di uscire dalla sala dell’esperimento, perché convinto che Xehanort fosse ancora vivo, quando tutti gli altri vedevano solo un mucchio informe di carne a pezzi, fino a quando Braig non lo aveva spinto a forza fuori e gli aveva chiuso la porta alle spalle.

Vexen vuole ancora illudersi di poterlo salvare.

Vuole ancora illudersi che non sarà loro nemico.

 

“Xemnas è spaventato.” replica Zexion.

“Me lo avete già detto. Di cosa avrebbe paura?”

“Di tutto, Vexen. Di noi. Xehanort non sapeva chi era, non sapeva da dove veniva. Non conosceva neanche il suo nome. Qualcosa doveva essere cambiato nella sua esistenza precedente, in modo tanto traumatico da non avere lasciato ricordi. Poi ci sono stati Ansem e una nuova vita. Ma le cose sono cambiate, ancora, con le ricerche e, quando non sono più state solo una curiosità accademica, un nuovo cambiamento. I Mondi si sono spiegati davanti ai suoi occhi ed è cambiato, non più Xehanort, ma era rimasto Xemnas e Xemnas ha ereditato le paure di Xehanort e ha aggiunto le sue. Xemnas non ha mai avuto certezze, se non che ogni cambiamento significa solo una nuova catastrofe. Ma sta cambiando, è inevitabile. E’ a un bivio. Da una parte, non vuole intraprendere la strada che gli si pone davanti, perché non sa come si evolveranno le cose al prossimo passaggio. Cosa diventerà, la prossima volta e, per sua esperienza, non esistono cambiamenti positivi e più è promettente l’aspettativa, più il risultato è doloroso. Dall’altra, è spinto a seguire quella strada, perché è la sola cosa che gli permetterebbe di continuare a vivere. Una dicotomia di forza uguale e contraria, sostenuta in entrambi gli aspetti e nella stessa misura dalla sua volontà e la volontà sta lacerando la sua ragione. Tutto può essere un ostacolo, senza equilibrio e misura. Persino sé stessi. Xemnas non ci aiuterà perché non può... forse è meglio dire non vuole, ma per noi queste due parole corrispondono. Vuole ritrovare il solo momento fermo della sua esistenza. Vuole rimettere a posto le cose. Vuole tornare a un tempo prima...”

 

prima di noi

 

Zexion fissa Lexaeus negli occhi e, quando parla, ha la sua stessa inflessione. Come se fosse lui a parlare per bocca sua.

 

“Prima di noi, sì. E non importa che quello che vuole è impossibile. L'impossibilità non gli impedisce di continuare a volere.” si volta verso Vexen, sorride e riprende a parlare con la sua solita voce “Questa mattina era qui.”

“Xemnas? Non me ne sono accorto.” esclama il medico.

“Stavamo dormendo quando è arrivato ed è ripartito quasi subito. Si è visto soltanto con Marluxia, e non escludo lo abbia incontrato di persona solo perché il signore del castello ha l’abitudine di alzarsi presto e andarsene a passeggiare per i campi fioriti del suo regno.”

“Ma perché non ci hai informati?”

“Avresti voluto vederlo. E perché? Per metterlo di fronte a qualcosa che, evidentemente, non desiderava? Con quale risultato, per noi e per lui? Non voleva avere a che fare con noi, o sarebbe venuto a incontrarci.”

 

Lexaeus interviene per spostare la conversazione a un argomento meno delicato, prima che Vexen abbia tempo di ribattere e dare il via a un contrasto di cui non hanno proprio bisogno.

 

“Hai dovuto sopprimere ricordi coscienti?” chiede.

“No, Lex. Il patrimonio mnemonico ereditato da Ienzo è integro e accessibile come sempre, ma il meccanismo di retroazione che risvegliava i suoi ricordi e le relative sensazioni associate in risposta a un determinato stimolo, si è interrotto. Posso ricordare, non ne sono più obbligato.”

 

Ienzo. Non sé stesso.

 

Il giovane gli riserva un’espressione irritata e gli occhi si scuriscono, come se un’ombra passasse sotto la superficie delle iridi. Ha raccolto quel pensiero non sufficientemente schermato.

 

“Non mi riferisco a Roxas come se fosse Sora. Adesso non ho più ragione di riferirmi a me stesso come se fossi Ienzo.” sibila Zexion.

 

Giusto. Ma con Roxas è sempre stato naturale, parlare di lui come se fosse un altro. Per loro stessi sarà più difficile.

Ci saranno confusione, imbarazzo, disorientamento. Dovranno definire un altro sistema di espressione, una più netta distinzione fra sé stessi e gli Altri, per ricordarsi che non sono coloro che li hanno generati.

Non che sia davvero importante, non in questo momento.

Per ora, possono adattarsi. Poi, in seguito, ci sarà tempo anche per la semantica.

 

“Cambieremo” mormora Lexaeus.

“Lo sapevi fin dall’inizio. Ti fa paura?”

“Adesso sì. Dopo, credo, non avrà più importanza.”

“Diventeremo quelli che avremo dovuto essere da sempre, se non fosse per le vestigia di un’infestazione parassitica.”

 

Zexion parla in tono spensierato, quasi allegro, la collera neonata subito abortita, ma a Lexaeus non sfugge il rabbioso trionfo che risuona nella sua voce.

Zexion odia Ienzo. Odia assomigliargli tanto. Odia anche il solo guardare nello specchio e vedere lui.

Non per i suoi errori, per quello che ha fatto, per quello che ha perduto, o perché lo ha caricato del fardello di un’esistenza estranea. Non lo odia neppure perché gli ha dato vita.

Zexion odia perché non sa se i suoi trionfi e i suoi errori appartengono solo a lui, o non al riflesso delle mancanze e dei meriti di un uomo morto.

 

E’ paradossale la loro presunta estraneità alle emozioni, perché la realtà è che la sfera emotiva controlla la loro intera esistenza. Sono schiavi delle emozioni. Pervasi, ossessionati, dominati dalle emozioni, come nessun altro popolo di nessun universo.

Ora cambieranno, cambierà tutto. Svanirà quella cosa che li ha sempre guidati e, anche se lo studioso ne è affascinato, l’uomo è troppo coinvolto per non essere spaventato dalla prospettiva della metamorfosi imminente.

Ma, a quel punto, non importerà più nulla del passato.

Una volta tagliati i cordoni ombelicali che li legano a un’esistenza aliena, finirà questa lunghissima, innaturale, mostruosa gestazione e inizierà la loro vera vita, come esseri autonomi, non deformi embrioni partoriti da cadaveri.

Potranno ricominciare ad avanzare verso il futuro alla cieca, senza programmi, solo per vivere, come quando si cammina senza una vera direzione, solo per il gusto di muoversi.

 

“Il problema è sempre lo stesso.”

 

La voce di Vexen è come il rumore di unghie su vetro e Lexaeus prova quella che potrebbe definire gratitudine per il suono aspro e il pragmatismo che spezzano la ragnatela di convincimento intessuta dalle parole di Zexion, dove è intrappolato fin dall’inizio.

 

“Siamo troppo dissimili.” conclude il medico “L’esperienza su Roxas e su te stesso non garantisce che il processo sia applicabile su altri. Quindi, adesso, mi vuoi dire perché fare quello che hai fatto? Se ti perdevamo, non avremmo potuto proseguire.”

“Purtroppo, siamo tredici casi unici. Ma, adesso, le mie capacità sono migliorate. La sorgente a cui attingiamo per nutrire i nostri poteri è la stessa energia vitale. Ora ho più forza, posso focalizzare con maggior precisione, o minore dispersione. In ogni senso, sono più efficiente. Il mio prossimo soggetto godrà di un trattamento di favore, rispetto a Roxas e me stesso. Però devo ammettere una cosa. Nel mio caso non ho dovuto recidere le vie di accesso ai ricordi, ma non posso garantire che sarà così per tutti.”

“Forse, per qualcuno, dimenticare potrebbe essere la soluzione migliore.”

“Migliore... dipende da chi la considera, Lex. Ma, indubbiamente, potrebbe rivelarsi la più efficiente, la più semplice, o la sola soluzione. Allora, signori. Uno di voi si offre volontario?”

“Potresti provare con Marluxia. Che tu riesca a o meno, per noi sarebbe comunque un guadagno.”

 

La frase di Vexen è in parte ironica, in parte speranzosa. Se più ironica o più speranzosa, Lexaeus non è in grado di stabilirlo. In ogni caso, Zexion scuote la testa e pare considerare la proposta con serietà.

 

“Marluxia sarebbe un soggetto facile. Grazie alle sue caratteristiche, è avvantaggiato rispetto a tutti noi. Marluxia tende naturalmente a superare ogni condizione patologica e ha già imboccato la strada della guarigione, in modo spontaneo.”

“La riprova che la fortuna non guarda in faccia a nessuno.”

 

 

* * *

 

 

“Larxene, guarda.”

 

Marluxia la richiama senza distogliere l’attenzione dallo schermo olografico, che mostra una rappresentazione della Rete dei Mondi, sovrapposta a una serie di grafici.

Appena entrata nel loro appartamento, le è bastato vederlo così concentrato per capire che il tanto sospirato programma che si è fatta per la serata dormiredormiredormiredormire è diventato un miraggio rimandato a un futuro indefinito.

 

“Cos’è?”

“La relazione che Xemnas mi ha portato questa mattina. I movimenti di Sora.”

“Sembrano casuali.”

“No. Non sono pilotati, non programma i suoi spostamenti, ma non c’è nulla di casuale. Segue le correnti della membrana dimensionale e il magnetismo dei Mondi.”

 

Marluxia le parla per enigmi. Devono voler dire qualcosa, ma cercare di capire è proprio troppo, per ora. Tanto sarebbe solo un tirare a indovinare.

Si sente stordita, galleggiante in uno stato di immaterialità denso come melassa.

 

“Che significa?”

“Che le probabilità che imbocchi una rotta diretta a questo Mondo stanno salendo esponenzialmente. Presumendo che continui a muoversi con questa frequenza, tra circa un mese e mezzo possiamo dire virtualmente nulla la possibilità che non si presenti qui.”

“Magnifico. Proprio quello che ci mancava.”

“Zexion mi aveva avvertito. I keyblade fungono da magneti dimensionali e questo è un Mondo dotato di una fortissima valenza.”

“Gli altri l’hanno vista?”

“Non ancora. Volevo prima parlarne con te.”

 

Sì, ma per questa volta lei avrebbe volentieri ceduto una simile dimostrazione di riguardo.

Slaccia il cappotto, lo lascia cadere intorno alle caviglie e quell’azione è un impegno immane.

La stanchezza le è penetrata nelle ossa come umidità in un giorno freddo. Non ha nemmeno fame, nonostante non abbia toccato cibo per tutto il giorno. O meglio, non ha voglia di mangiare. E’ un’azione troppo faticosa.

Almeno si è risparmiata la visita di Xemnas, anche se, in questo momento, non è sicura che ne sia valsa la pena.

Richiamano le ombre. Con la loro sola presenza, hanno trasformato il pianeta in un potenziale bersaglio e non possono permettersi un’invasione. Qualsiasi indebolimento nella membrana dimensionale deve essere rilevato e chiuso prima che si trasformi in un punto di sfondamento.

Neppure il più sofisticato strumento artificiale ha la sensibilità di un elementale della Luce all’Oscurità e, forse, Roxas potrebbe comprendere nel suo campo di rilevazione l’intero mondo. Peccato che lei non è altrettanto recettiva e discriminante. Ha bisogno di una certa vicinanza, così la sua permanenza qui è diventata una sequenza di giorni passati a saltare da un punto all’altro del pianeta e pianeti prossimi, perché è vero che gli heartless li seguono, ma non sono così precisi, e cortesi, da bussare al portone di casa. La loro idea di vicinanza si estende a qualche orbita planetaria.

Axel condivide il suo compito, ma anche così non cambia molto. Axel è molto meno sintonizzato di lei sull’Oscurità e riesce a coprire un terzo scarso del territorio da controllare quotidianamente.

E Zexion, che se ne può andare a passeggio per gli universi senza muoversi dal suo letto ed è in grado di individuare qualsiasi cosa, l’ha osservata con aria comprensiva quando lei ha pensato, solo pensato, perché mai si abbasserebbe a chiedere proprio a lui, ma il pensiero le è davvero sfuggito per favore, sei così gentile da sostituirmi per un giorno, uno solo, e andare in ricognizione?

Sì, è stato comprensivo. Le ha persino chiesto se voleva qualcosa che la aiutasse a vincere la stanchezza, ma non si è neppure sognato di proporsi per prendere il suo posto. E sia mai che venga distolto dal suo lavoro.

 

“Quindi, la visita reale di stamattina è stata il lavoro di un portalettere?”

“Ufficialmente. Ufficiosamente, voleva ricordarci che, anche se non possiamo comunicare in tempo reale, lui ci controlla sempre.”

“Una minaccia, dunque.”

Il giovane annuisce.

“Una minaccia. Un avvertimento. Un’intimidazione. Chiamalo come preferisci.”

“Non è il genere di azione che mi sarei aspettata da Xemnas. Da Xaldin, semmai, o da Saïx.”

“Perché no, Larxene? In fin dei conti, l’intimidazione è un sistema per cercare di appianare le divergenze senza arrivare alle estreme conseguenze. Una possibilità di ritirarsi.”

“Credi che Xemnas voglia ritirarsi?”

“Credo che gli piacerebbe.”

 

La ragazza scavalca la pozza di nero stropicciato del suo mantello e si lascia scivolare a terra, la schiena contro una parete, senza la forza di fare altro.

Anche lei è curiosa. E’ difficile che Marluxia mostri tanto interesse e, quando lo fa, è buona regola ascoltarlo. Solo che fatica a concentrarsi.

Viaggiare senza sosta lungo i sentieri delle ombre prosciuga ogni energia. Una, due, tre volte può anche andare. Poi le riserve di forza e volontà cominciano a esaurirsi e l’impressione di essere fatti a brandelli e dispersi in quel mare di inconsistenza comincia a sembrare dapprima sensata, poi una realtà incontestabile.

Diventa sempre più difficile stringere nella propria mente la mappa degli universi e l’integrità del proprio essere, e basta dimenticare, anche solo per un istante, la strada da percorrere, dimenticare chi si è, e ci si perde nelle vastità selvagge del Nulla fra i Mondi.

 

Ma c’è un’altra conseguenza, una che non può dire superata una volta tornata a casa. Abbracciare così il suo potere vuol dire dargli forza e autonomia. La Luce comincia ad avere voce e volontà, perché il Fulmine è solo un’espressione della Luce e la Luce odia tutto quello che è diverso, tutto quello che non è Luce. Odia tutto.

Odia anche lei.

Larxene la ama. Ama il suo potere, quello che le permette di fare.

La ama, fino a quando è lei ad averne il controllo, ma quando è così stanca il controllo si allenta e una cosa mostruosa, fredda, impersonale supplica, blandisce, minaccia, urla, seduce con le sue promesse di perfezione e purezza.

Chiede di irrompere nell’universo, finalmente libera, finalmente in grado di bruciare incenerire divorare fammi uscire fammi uscire fammi uscire

 

Temono l’Oscurità, i popoli dei Mondi. Solo perché non conoscono la Luce.

 

“Maru, fin dall’inizio eravamo consapevoli del rischio cui ci saremmo esposti. Dici che ci siamo preoccupati per niente?”

“Mettiti nei panni di Xemnas. Al momento, il pericolo più pressante è che altri comincino a dubitare di lui, che si schierino dalla nostra parte e gli forzino la mano. Ci ha concesso il castello perché non avrebbe potuto giustificare un rifiuto a una richiesta ufficiale fatta di fronte all’intero consiglio di portare avanti una ricerca che potrebbe rappresentare la salvezza per tutti noi. Sarebbe stato un modo per dare conferma ai dubbiosi o ai neutrali della fondatezza delle nostre ragioni. Ma non siamo i soli ad avere ottenuto quello che volevamo. Qui godiamo di una libertà impossibile nel mondo nero, ma non abbiamo possibilità di suscitare indesiderate simpatie. Se c’è una cosa che non cambia, noi o umani, è che è molto più facile dimenticare chi non vedi. Se si dovesse arrivare allo scontro, per Xemnas è meglio non averci sotto gli occhi di tutti. Noi lontani e lui guadagna tempo per decidere di agire. Tieni conto che sarebbe un’azione rivoluzionaria. Nessun nobody ha mai alzato un dito su un suo simile ed è una regola che ha più forza per i fondatori che per noi. Vivono così da dieci anni e i nobody sono abitudinari. Pretendono di essere abitudinari,  Xemnas più degli altri. I cambiamenti li disturbano, perché vanno a intaccare la convinzione che non possono cambiare. Cosa che fanno senza alcuna difficoltà, quando è necessario. A parte questo, la nostra morte indebolirebbe anche lui. Lo indebolirebbe parecchio. Qui, al momento, ci sono perlomeno quattro fra i più efficienti combattenti, il pianificatore più capace, metà del suo patrimonio scientifico e l’intero staff medico, tranne lui stesso. E là fuori ci sono svariati universi che aspettano solo di sterminarci, che non si fermeranno per darci il tempo di risolvere i nostri contrasti interni. Non è certo il caso di gettare via buone risorse belliche e non credo che Xemnas se lo sia dimenticato.”

“Quindi, non dobbiamo aspettarci una nave a sterilizzare il pianeta?” mormora Larxene e la voce risuona strascicata al suo stesso orecchio.

“Sono convinto, anzi, che lo farà. Solo che la cosa non deve piacergli troppo o, più probabilmente, è un’azione troppo proibita perché non abbia resistenze a considerarla, e sta esitando, al punto di essere arrivato a minacciare. Ma è solo un esitare. Fino a questo momento, Xemnas ha avuto gioco facile perché i fondatori hanno fatto fronte comune. I neofiti, viceversa, sono sempre stati frammentati. Lo capisco, siamo troppo differenti, mentre loro provengono da un unico pianeta e dallo stesso popolo. Sembra che molti lo considerino un particolare insignificante, invece è essenziale. Vuol dire parlare la stessa lingua, avere un sistema di pensiero comune, comprendersi. Cosa che a nessun altro di noi è possibile. Persino io, talvolta non riesco a capirti e credo che per te sia lo stesso. O sbaglio?”

“No...”

“Certo che no. E’ normale che sia così. Ma non è così per i sei e questo li ha resi forti in un modo che noi non possiamo nemmeno intendere del tutto. Per di più, sono sempre stati insieme, si sono sempre sostenuti a vicenda, per due vite. Adesso, però, la loro unità si è spaccata, quindi si sono indeboliti. Relativamente a ciò, noi diventeremmo più forti, se solo ci unissimo. Cosa che non avverrà, a meno che non offriamo loro qualcosa di più concreto di una teoria o un esperimento. Quello che Zexion ha ottenuto con Roxas non ha impressionato molta gente. Roxas è sempre apparso differente, può essere un caso, magari è per via della sua amnesia, o dei keyblade... Non impressionerà neppure con il risultato ottenuto su sé stesso, perché lo considereranno solo una delle sue stranezze o uno dei suoi trucchi mentali. Ma se i risultati fossero su uno di noialtri o, meglio ancora, su qualche inferiore, allora gli indecisi e gli indifferenti, coloro che non hanno opinioni in merito, avrebbero un motivo per schierarsi. Ma per questo abbiamo bisogno di tempo. Per questo, non lo concederà. Sono sicuro che presto Xemnas si deciderà a mettere fine al progetto, con noi dentro. Siamo molto più deboli di loro. Xemnas da solo potrebbe probabilmente spazzarci via tutti. In realtà, non dovrebbero neppure scendere in campo direttamente. Basterebbe che ordinassero a Roxas di aprire il Cuore del mondo.”

“Roxas non ci attaccherebbe.”

“Forse, ma come facciamo a esserne sicuri? Non ho ragioni sufficienti per basarmi solo su una sensazione. Per ora è con loro. E, comunque, non credo neppure andrebbe contro gli altri. Il meglio che possiamo aspettarci da lui è che non prenda posizione.”

“Noi abbiamo Zexion. Non credo che lui sia stato tanto sventato da non assicurarsi con chi Roxas si schiererebbe, nel caso servisse.”

“Vero, ma questo è assumere che Zexion appoggerebbe noi e cosa vuole fare Zexion non l’ho ancora capito. Lui stesso ci ha definiti delle improbabilità statistiche. Prima o poi, qualcosa di quello che affrontiamo sarà superiore alle nostre forze e l’improbabilità che noi siamo vivi alla fine di ogni giorno si interromperà. Eppure esita, anche se ha la soluzione fra le mani e noi non abbiamo altra scelta, né possiamo permetterci di aspettare. Sinceramente, non so quali siano le sue intenzioni. Ho persino paura che non lo sappia neppure lui.”

“Se avesse voluto fare qualcosa, lo avrebbe già fatto. Probabilmente, se lo avesse voluto, Zexion avrebbe potuto essere alla guida.” brontola la ragazza.

 

C’è una vibrazione battente, crepitante, soffocata. Risuona in un pulsare lento e irregolare che le stringe le tempie e causa brividi. La sensazione di essere toccata con il ghiaccio lungo la spina dorsale. Una delle tempeste elettriche si sta addensando da qualche parte sul continente dove si trova Oblio.

 

“Quando sono andato a parlare con lui, non ha fatto altro che ribadire di non avere ancora sufficienti dimostrazioni alla sua soluzione.” dice Marluxia “Afferma di preoccuparsi per noi, ma non lo credo. Temo sia interessato ai nobody finché sono solo un progetto, un’entità astratta, non come persone. Ho l’impressione che Zexion e gli altri due credano di essere ancora nelle aule dei loro laboratori, intenti a competere per chi ha la teoria più rivoluzionaria. Non penso abbandonerebbe il suo gioco per una carica così scomoda.”

“Se sapeva di essere più capace di Xemnas, avrebbe dovuto fare di tutto per prendere il suo posto, gli piacesse o meno. Peccato che quell’idiota non lo ha fatto in tempi utili. Adesso non avrebbe ostacoli.”

“Non disprezzare un avversario solo perché è un avversario, mia cara. E’ un difetto che potrebbe costarti caro. I sei hanno parecchie colpe, ma quella di essere idioti proprio no. Non sottovalutarli, nessuno di loro. E non sottovalutare Xemnas. E’ più sveglio di quanto gli piace far credere. Oggi si è preso il disturbo di ricordarmi cosa hanno fatto. Ha ragione. Sono superiori a noi. Sono più forti, più capaci, hanno maggiori conoscenze, la scienza che ci hanno regalato è loro, viviamo nella loro ombra... Dipendiamo da loro.”

“Perché provengono da un mondo più progredito.”

“No, non è solo una questione di scienza, tecnologia e capacità mentali. Sii obiettiva. Te lo immagini, trovarti sola, essere qualcosa così diverso da quello che eri, essere in un altro mondo. E’ stato così difficile per noi, che siamo arrivati ultimi, che abbiamo avuto chi ci ha insegnato. Chissà come deve essere stato per loro. Eppure, non solo ci sono riusciti. Hanno imparato a viaggiare fra gli universi, hanno trovato un mondo dove vivere...”

“Un mondo inutile.”

“Inutile adesso, ma è stato un rifugio che ci ha permesso di sopravvivere e diventare un popolo intero, non solo pochi esuli dispersi. I sei hanno scoperto tutto quello che siamo e costruito tutto quello che abbiamo e lo hanno fatto da soli, partendo da zero.”

“Non importa cosa hanno fatto nel passato. Adesso siamo nel presente.”

“E’ vero, ma, a quanto ne so, Xemnas è quello che li ha tenuti insieme, per amore o per forza. Lui li ha organizzati, lui li ha tirati fuori dalla Terra del Crepuscolo, ha dato loro scopo e motivo. Se non fosse stato per Xemnas, probabilmente adesso non saremmo neppure qui.”

“E questo significa che ha sempre ragione?”

“No, ma, probabilmente, agli occhi dei suoi compagni, ha un sacco di credenziali in più degli altri. Credo. Immagino. Onestamente, non so cosa passa loro nella testa. Non so perché hanno lasciato il comando a un uomo che avrebbero dovuto confinare in un laboratorio. Forse pensano che primeggiare in un campo significa automaticamente essere capaci di tutto. Anche se come scienziato non si è certo mostrato meno pericoloso. A giudicare dalla sua prodezza odierna, la cosa meno dannosa per tutti sarebbe stato trovargli un’occupazione permanente come pilota.” il giovane si stira e le sorride “Li odio, Larxene. Potrei non odiarli, se fossero stupidi o incapaci. Credo che potrei accettare una vera incapacità. O, almeno, credo che potrei capire. Ma quello che ha detto Xemnas è vero. Quello che hanno fatto è sorprendente, quindi no, non riesco in nessun modo a giustificare il loro comportamento. Non riesco neppure a concepire come gente simile sia caduta così in basso. Li odio, non li capisco e mi fanno paura. Hai ragione, il passato non conta. Ad avere abbastanza tempo, gli eroi diventano solo fardelli, o un pericolo.”

 

Larxene si alza e si sgranchisce, allungando arto per arto.

Quel breve riposo ha dissipato un po’ la stanchezza causata dal continuo e stremante combattere contro il nulla. Ma, anche se i muscoli sono meno indolenziti, l’ottundimento resta.

Appoggia la fronte alla vetrata di una delle finestre.

La pulsazione è diventata più frequente, più rapida e forte.

La tempesta è nata, annunciata dal battito di un cuore grande come un mondo.

 

“A me fanno anche più paura quelli che se ne fregano, che si comportano come se tutto questo non li riguardasse.”

 

Sotto, i campi si stendono in una successione di sfumature di rosa e verde, interrotta da saltuarie chiazze blu e dalle irregolarità delle rocce.

I due soli più luminosi, il sole vero e la stella arancione, sono alti nel cielo. Chiazze di luminosità accecante che rendono lo strato perenne di nubi di un bianco opalescente.

 

Potrebbe chiamare la tempesta, scatenarla sul castello.

 

“L’analisi è attendibile?” chiede a Marluxia.

Si accorge, a malapena, che ora il giovane guarda lei, non lo schermo.

“E’ stata fatta da Luxord.”

“Riformulo la domanda. La fonte che l’ha fornita è attendibile?”

“I movimenti di Sora corrispondono in pieno a quelli trasmessi dai miei agenti. E non ho il minimo dubbio sulle capacità di Luxord.”

“Neanch’io, ma, naturalmente, la relazione potrebbe essere stata pilotata o alterata.”

“D’altra parte, non vedo ragioni di mentire su una cosa simile. Vero che le proiezioni di Luxord sono ad altissima attendibilità, ma restano solo eventualità. Non sono infallibili. Possiamo prepararci all’arrivo di Sora. Se poi non si farà vedere, nessuno potrà dire che Xemnas ci ha ingannati, portandoci un’informazione falsa.”

“Ma potrebbe distoglierci dal nostro lavoro. Se davvero Xemnas vuole guadagnare tempo, questo gliene concede altro.”

“Sì, hai ragione. La farò controllare da Zexion.”

“Cosa ti fa credere che lui sarebbe più onesto?”

“Che siamo nella stessa situazione. Su una cosa sono pronto a scommettere. I tre nel sotterraneo faranno di tutto pur di terminare quello che hanno intrapreso. Noi siamo qui per proteggere loro e risparmiarli da tutte quelle fastidiose incombenze che li costringerebbero ad abbandonare le ricerche. Credo che Zexion sarà più che disposto a lasciare a noi il compito di occuparci dell’eventuale problema Sora. E’ la ragione per cui ha sostenuto il nostro comando. E, comunque, non abbiamo molte altre alternative.”

 

La stanza intorno a Larxene si rimpicciolisce, risucchiata da un tunnel accecante. E’ come guardare attraverso un binocolo al contrario.

 

Chiude di scatto gli schermi.

Non serve. Dovrebbe fuggire nelle viscere del castello, dove le sale sono ancora attive, ancora dimensioni isolate chiuse in un proprio spazio e tempo e, allora, potrebbe non sentire le maree di Luce. Potrebbe non sentire la voce elettrica delle tempeste.

Non servirebbe nemmeno così. Non può fuggire da quello che è in lei.

 

Le sembra di espandersi nelle nubi, altissima nel cielo.

 

Marluxia allunga la mano verso di lei. Larxene la stringe, con gratitudine.

Non sono ombre. Tocca, c’è carne sotto le dita. C’è sangue sotto la carne. Ma il niente non ha carne, non ha sangue. Allora copri il tuo corpo, rendilo invisibile, e non toccare.

Non sono spiriti. La Luce urla con la voce del tuono. Non può ignorarla, non può farla tacere. Può solo trovare qualcosa con una voce più forte. Stringi la mia mano, legami alla terra, o annegherò nella velocità e nella Luce. Esisto. Se non mi riconosci, se fingi che non sono qui, alla fine resterà solo il Fulmine.

Non sono fantasmi. Lo diventeranno, se sono i primi a crederlo.

 

Larxene abbraccia di spalle il giovane, il mento appoggiato alla sua testa.

Il grafico che rappresenta gli spostamenti di Sora fra gli universi è un arcobaleno di luci elettroniche.

 

“Maru, Zexion non sarebbe il solo ad avere l’appoggio di Roxas. Lui si fida di noi, di tutti noi. Siamo i soli legami che ha con la vita. Adesso comincia a rendersi conto che la sua fiducia non è ricambiata, ma continua ad aspettare. Lo hanno preso, lo hanno fatto diventare molto più di un manichino animato, hanno fatto spazio in lui e quello spazio non lo hanno riempito. Non capiscono che ha bisogno più di tutti di qualcuno che lo trattenga qui. Invece lo hanno ignorato, lo stanno rigettando e neppure si preoccupano di cosa fanno. Prima o poi, si stancherà di aspettare e sperare che qualcuno si accorga di lui, e quello spazio potrebbe essere riempito da qualcos’altro. E’ già abbastanza confuso. Non credo abbia capito cosa si prepara e, anche se lo capisse, non credo sarebbe capace di interpretarlo, o dargli il peso giusto. Come potrebbe? Anche se ci vede discutere, come potrebbe immaginare che una discussione può degenerare in un conflitto aperto? E’ una situazione che non sarebbe in grado di gestire, perché non ne ha la minima esperienza. Se dovesse trovarsi in mezzo a uno scontro, un vero scontro, perderebbe ogni punto di riferimento che gli resta. Basterebbe poco e sarebbe con noi, ne sono sicura.”

“Lo conosci bene.”

“Noi due condividiamo una cosa.”

 

Solo non nello stesso modo.

Per Roxas il controllo è completo, è facile. Non si sente minacciato dalla Luce.

Hanno tutti paura di lui, dei suoi scatti di rabbia, della sua imprevedibilità. Di cosa potrebbe fare il giorno in cui perderà il controllo.

Larxene no. Non si preoccupa di quello. Nemmeno crede che il ragazzino possa perdere il controllo. Ma cosa potrebbe fare di proposito, è tutta un’altra faccenda.

Se mai Roxas lascerà libera la Luce, lo farà perché lo vuole fare. Vorrà dire che non avrà più alcuna ragione di trattenerla. Che i blandi legami che lo tengono a terra saranno saltati.

Lo sa lei e lo sa anche Roxas. Di questo ha paura.

 

La perplessità di Marluxia è palese. Non capisce ed è inutile persino tentare di spiegarsi. Questa è una di quelle cose che lui non è in grado di comprendere.

E’ vero, non possono capirsi, non realmente. Se possono accettarsi, è già abbastanza.

 

“Io parlo con Roxas, Maru. Ci parlo perché è un ragazzo interessante e, parlando con lui, si scopre tanto. E perché non se ne frega e non crede che non lo riguardi. Non le nasconde, le cose, anche se nessuno gli chiede niente. E invece lo vorrebbe.”

Marluxia le stringe ancora le mani che lei gli tiene incrociate sul petto.

“Roxas è fuori della nostra portata. Xemnas starà molto attento a lui. Ha commesso l’errore di lasciare che un altro uomo si occupasse della sua arma principale. E’ stato un errore sotto più aspetti, in quanto non poteva certo prevedere che proprio Roxas avrebbe portato Zexion a formulare una teoria rivoluzionaria. Dubito lo sapesse lo stesso Zexion. Questo non vuol dire che sia accessibile a noi, adesso. Anche se devo darti ragione. Disporre di un custode significa disporre di una forza risolutiva. Siamo in guerra con qualcosa di troppo grande, potente e implacabile, non abbiamo certo bisogno di ucciderci fra noi. La cosa migliore è risolvere questo problema il più in fretta e con meno perdite possibili.”

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

No, non ho abbandonato la storia. Non ci penso nemmeno. Sarei molto felice di essere più veloce con gli aggiornamenti, ma non riesco. E’ più forte di me, più di quel tanto non sono in grado di stare davanti a un computer.

Vedo per una volta di stringere le risposte/note, che ho già scritto troppo. Ma ringrazio tutti tantissimo. Lettori, commentatori pubblici e privati, chi si trova a curiosare ^__^

 

Giodan: Caro Giodan, quello precedente non è neppure un vero capitolo. C’è solo una cosa importante. Per il resto, è solo il cappello introduttivo della terza parte.

Spero di avere rimediato con questo. Di sicuro, mi sono rimessa in pari con la lunghezza ^__^

Tra l’altro, ho potuto parlare ancora un po’ di quei cari nobody minori, che amo tantissimo, e finalmente Xemmy la smette di comportarsi come un adolescente angstoso e passa all’azione. Magari non sembra, ma non si è limitato a farsi un giro in astronave per venire i cinque minuti a Marluxia ^__^

 

Lux: Axel… povero ragazzo. La sua è una tristissima storia. Nel fandom viene regolarmente sottoposto a una forma di bashing contrario, ma non per questo meno ripugnante del bashing ordinario. Il carattere gli viene castrato, tagliando selettivamente quelle caratteristiche sgradevoli, o poco gestibili, per trasformarlo nel bad-boy addomesticato da sogno adolescenziale.

Addirittura, pur di non mostrare il suo ‘dark-side’, si modifica la percezione degli assassinii di Vexen e Zexion. Il secondo viene opportunamente dimenticato (perché non è una bella cosa uccidere un ragazzo così puccio). Quanto a Vexen, lo si rende un individuo talmente spregevole, che fa cose talmente turpi che, in pratica, averlo ucciso diventa un’azione positiva.

Ora, qui Axel compare pochissimo, ma mi ha stupita la reazione dei lettori nella storia dove l’ho fatto protagonista. Rimasti tutti scioccati per quello che ha combinato, quando addirittura mi dicono che non lo avrebbe mai fatto. E’ uno scherzo, vero?

Non solo lo avrebbe fatto, ma lo ha fatto proprio. Oltre a Vexen e Zexion, nel canon ha ucciso decine se non centinaia di persone, bruciandole vive, e la scena è lì, davanti agli occhi di tutti. Non è neppure censurata.

E dopo quest’eccidio, dovrei credere che per quello stesso Roxas per cui ha massacrato tutta quella gente e provocato l’estinzione della sua intera specie, non sarebbe invece stato capace di uccidere dei nemici? Nemici che, peraltro, aveva beccato con le mani nella marmellata, occupati a torturare a morte il ragazzino.

Certo che lo avrebbe fatto. E perché non avrebbe dovuto, di grazia? Stava cercando di salvare la vita di un suo amico. Al suo posto, avrei fatto lo stesso. Con immenso piacere e soddisfazione, vorrei aggiungere.

Lui non ha potuto solo perché è il personaggio più sfigato e maltrattato di un videogioco destinato a far perdere i villain, la vittima sacrificale che ha permesso agli eroi di vincere pur non avendone alcun merito, facendo fare cazzate ai loro avversari, fregandosene delle caratteristiche che hanno mostrato fino a quel momento.

 

Sì, ma tutto questo è ridicolo. A me Axel neppure piace e mi trovo a difenderlo da quelle che dichiarano di amarlo.

 

MaxT: Sei il secondo che accusa Zexion di freddezza, della qual cosa ti ringrazio tantissimo. E’ che certe volte temo di farli troppo emotivi. Rileggo e mi sembra che siano troppo umani, troppo ordinari, e non riesco a rimediare.

Quindi, quando mi si dice che c’è qualcosa di ‘stonato’ nel loro comportamento, mi va bene. Deve essere così ^__^

Poi Zexion non è uno dei nobody orsacchiottosi tipo Demyx o Lexaeus. E’ uno di quelli rognosi.

 

Chris: Oh, gioia, mi spiace. Axel non gioca una gran parte nella mia storia. Anche se ho almeno un capitolo, ma più probabilmente saranno due, dove compare in modo abbastanza... come dire... sentito? Diciamo che lui si sentirà molto coinvolto. Non so quanto la cosa lo farà felice, ma la scena sarà in buona parte sua ^__^

Ehhhhh...Terra non è il bambolone bruno con gli occhi azzurri di Birth by Sleep. Non ho inserito proprio niente di quello che succede in BbS e 358Days nella mia storia.

Anzi, a essere pignoli, ho tolto una caratteristica di Xemnas che avevo inserito in prima stesura e che, caso vuole, è stato confermato in BbS. Ho preferito un’altra soluzione.

No, il mio Terra è Riku.

 

 

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Capitolo 24
*** Interferenza ***


Interferenza

 

Interferenza

 

 

bianco

 

Chi ha costruito questa cosa, doveva essere cieco.

O, perlomeno, avere gravi problemi di sensibilità alla luce.

C’è solo bianco, intorno. Bianco carta. Opaco, uniforme, gessoso. Come se qualsiasi altro colore fosse proibito. Come se persino una diversa sfumatura di bianco fosse proibita.

Anche la luce è bianca e adirezionale. E’ solo presente. E’ onnipresente. E siccome proviene da tutte le direzioni e ha la stessa intensità dovunque, non ci sono ombre né gradazioni.

Il pavimento e il soffitto candidi non hanno riflessi. Si limitano a esistere. Quanto alle pareti, quelle non ci sono. Il sotterraneo è una distesa apparentemente infinita, un pavimento e un soffitto senza mura a circoscriverla.

Senza differenze, è tutto piatto, privo di prospettive.

 

Visto che è il signore del castello, Marluxia potrebbe almeno fare la cortesia di riempirlo di piante.

 

Nel bianco, c’è una foresta di colonne di vetro, colme di liquido incolore.

Racchiudono corpi raggomitolati su sé stessi. Uomini, donne, bambini, embrioni a svariate fasi di sviluppo.

 

bianchi

 

Come se fossero stati immersi nella candeggina.

 

“Cosa sono?”

“Quello alla tua destra, tecnicamente, sono io.”

 

Luxord si volta, sorpreso dalla presenza proprio alle sue spalle.

Era a qualche distanza, oltre le colonne, solo un istante prima.

Zexion pare deciso di fare onore a quello che si dice di lui, anche se non ci sono ombre, qui, dove può camminare.

O, forse, Luxord sta perdendo la vista.

 

Zexion ridacchia dolcemente. Il camice - bianco - allacciato fino al collo nasconde quello che indossa. La sola cosa visibile sono un paio di comuni jeans tanto sbiaditi da essere incolori. I suoi capelli sono di un grigio polveroso, gli occhi grigi e lattiginosi.

Non basta a interrompere questo candore estenuante.

 

“Sono cloni, Luxord. Solo cloni.”

“Sono morti.”

 

Non è esatto. Mancano di qualcosa di necessario per poter essere definiti morti.

 

Con la punta delle dita, Zexion sfiora una delle colonne. Chiuso in essa, c’è un feto grande come un pugno, la testa enorme e gli arti gracili, quasi vestigiali. Ha una qualità gelatinosa, come se fosse fatto d’albume crudo d’uovo.

 

“Non sono mai stati vivi.” sospira lo scienziato “Niente più che manichini di carne.”

“Allora perché alcuni sono così sviluppati?”

“Anche un cristallo inorganico cresce, alle giuste condizioni. La vita non è indispensabile alla crescita.”

 

C’è un tavolo, a poca distanza dalle colonne. O tubi. O provette malate di gigantismo.

E’ bianco.

Una poltrona, bianca.

Anche colei che è seduta è bianca.

Naminé tiene le mani in grembo e la testa china.

 

bianco

biancobianco

biancobiancobianco

bianco

 

“Giocate a fare i clonatori?”

 

Zexion si siede sul bracciolo della poltrona, accanto a Naminé.

 

“Xigbar rimase accecato durante il secondo anno. Recuperò la vista all’occhio sinistro, ma quello destro non era semplicemente lesionato. Lo aveva perso. Il nostro corpo è costruito attingendo alle Forze basali dell’universo ed è organizzato fin nelle sue più sottili costituenti. Eppure, c’è un limite temporale per quello, come per le cellule totipotenti di un organismo embrionale. Dopo la nascita, restano solo le eventuali capacità individuali. Xigbar non è un manipolatore di Oscurità tanto abile da rigenerare un intero organo mancante. Così, abbiamo tentato di coltivare un organo sostitutivo.”

“Ma non ha funzionato.”

“Evidentemente no. In quell’occasione, scoprimmo che qualsiasi clone nostro, che sia solo un frammento di DNA, un tessuto, un organo, un individuo, non è vitale e non genera la vita.”

“Sul mio mondo, avremmo usato un apparato bionico.”

“Ci abbiamo provato. Purtroppo per Xigbar, le informazioni raccolte e trasmesse da un sistema artificiale sono incompatibili con il suo modo di percepire lo spazio, causandogli più difficoltà che altro. Alla fine, ha preferito la cecità parziale. Ma la cosa fondamentale non è che non siamo stati in grado di restituirgli l’integrità fisica. Per quando spiacevole, quello di Xigbar è un problema individuale. Il dramma è che le nostre attuali conoscenze non ci permettono la clonazione vitale di un nobody. In teoria, sarebbe possibile usando la stessa componente di Crepuscolo che ci costituisce, ma, allo stato grezzo, la materia crepuscolare è talmente instabile che la sua persistenza si misura, al massimo, in microsecondi. Non sufficienti neppure a iniziare un processo di clonazione.”

“Io ho visto i cloni di Vexen.” obietta Luxord.

“Quelli non sono cloni. Sono repliche, ottenute manipolando l’Oscurità. L’Oscurità è la Forza più affine alla Vita. Per sua natura, tende a formare aggregati pseudovitali, mimando gli esseri viventi. Capita persino spontaneamente, quando grandi quantità di Oscurità si condensano dove esistono modelli in grado di servire da matrici, come luoghi dove sono avvenuti eventi ad alta valenza emotiva. Vexen fornisce all’Oscurità una matrice controllata, le repliche che ottiene hanno forma definita e persino pensiero. Persino pensiero senziente. Io ho generato repliche di me stesso, usando il Crepuscolo e, come matrice, prima le percezioni di Lexaeus, poi ci sono riuscito da solo. Le repliche sono state vive, per qualche istante. Per meccanismo di genesi e costituente materiale, le mie repliche sono la cosa più simile a un nobody naturale che siamo riusciti a ottenere senza partire da un essere umano preesistente. Tutte le repliche, sia le mie che quelle di Vexen, hanno avuto un’esistenza estremamente limitata. Noi siamo originati dalla volontà di superare la morte, ma non qualsiasi morte. Non è un caso che la stragrande maggioranza dei nobody nasca da un attacco di heartless e relativa escissione del Cuore, ma non è indispensabile, né è il solo modo. Xehanort non è mai stato preso dagli heartless, e neppure Sora. Conta la circostanza. Affrontare il peggior trauma concepibile da un essere vivente, il più devastante e distruttivo, per un tempo sufficiente affinché ci sia modo di elaborare questo trauma, assimilarlo, conoscerlo e rigettarlo. Essere arrivati alla condizione limite, al punto di frantumazione e disintegrazione della propria anima, e volere comunque esistere. E, naturalmente, avere le adeguate capacità di manipolare le Forze della realtà.”

“Il che vuol dire che non puoi semplicemente morire in pace nel tuo letto?”

“No.”

“Come prova, è una bella fregatura, se vuoi il mio parere.”

“Un bella fregatura, sì, ma non è una prova. E’ una condizione. Necessaria, almeno per adesso, ma non sufficiente. Vedi, non basta volere vivere. Bisogna continuare a volerlo e se far nascere un nobody dipende dalla volontà della creatura che lo genera, restare in vita è solo un problema nostro. Essere espressioni della volontà di qualcuno che è stato capace di superare un simile criterio selettivo ci garantisce una certa forza. Le nostre repliche esistono secondo lo stesso principio. Possiamo dare loro vita, ma da quel momento dipende solo da loro conservarla. Finora, nessuna ne è stata in grado. Forse qualcuna ha il potenziale giusto per sopravvivere, ma se e quali, non lo sappiamo, non più di quanto possiamo sapere con certezza quale essere completo può generare un nobody. Con l’aiuto di Naminé, stiamo cercando di ricreare un accettabile patrimonio mentale per le repliche, per aiutarle a esprime una propria volontà e capire se è possibile, per loro, avere una persistenza stabile.”

“Poi? Vi metterete a torturarle per sottoporle ai giusti criteri selettivi?”

“E’ quello che vorremmo evitare. La selezione ha senso se è possibile trasmettere il carattere che ha permesso l’adattamento. Questa selezione estrema non ci porta a superare la nostra fragilità. La sola conseguenza è che limita drasticamente il nostro numero. Noi vogliamo arrivare a un modo per moltiplicare la nostra specie che non sia così accidentale e improbabile, e ottenere individui con le nostre caratteristiche, ma privi delle nostre deficienze strutturali.”

 

Con la coda dell’occhio, Luxord percepisce un movimento.

bianco su bianco

Naminé ha sollevato la testa e lo guarda prima di riportare la sua attenzione a terra.

Sfrega la punta di un sandalo sul pavimento e il rumore che provoca ha un timbro smorzato.

Forse, tutto questo bianco non consuma solo i colori.

 

“E la clonazione è la soluzione?”

“No. E’ solo un pezzo di un rompicapo con più buchi che pezzi. Non è neppure detto che sia un pezzo del rompicapo giusto. Abbiamo problemi, tanti. Occorre un numero minimo di esemplari per garantire la sopravvivenza di una specie e noi, al momento, non lo raggiungiamo neppure lontanamente. Siamo troppo pochi. Pochi e differenti. A parte noi sei, proveniamo da universi diversi. Non abbiamo compatibilità biologica. Poi, il rapporto fra i sessi è estremamente sfavorevole. E, naturalmente, abbiamo difficoltà sperimentali. I nostri tessuti sono instabili e possiamo usare solo modelli matematici o esemplari vivi. Non colture, non corpi. La maggior parte delle volte, i soli soggetti sperimentali siamo noi stessi e questo non garantisce che possiamo applicare a tutti i risultati ottenuti. I nobody inferiori sono geneticamente come noi, ma usare loro, così come sono, è impensabile. I loro tessuti non perdurano neppure il tempo sufficiente per iniziare un processo di duplicazione. Come vedi, di complicazioni ne abbiamo più che a sufficienza.”

“Quindi, da dove iniziate?”

“Da tutte le parti. Il fatto è che non si tratta di un problema dopo l’altro e non ci si presentano uno per volta. Sono contemporanei. Molti di essi non possiamo risolverli senza risolvere gli altri. Anni fa, prima del tuo arrivo, Vexen cominciò un progetto di ricerca piuttosto estensivo per ottenere nobody da embrioni a diversi stadi di sviluppo. E’ difficile, ma non quanto potresti pensare. Il difficile è ottenere nobody che riescano a persistere e, più difficile ancora, al punto da non esserci mai riusciti, è ottenere nobody umanoidi. Ora Vexen ha ripristinato il progetto, con lo scopo di incrementare il nostro numero. Se riuscissimo a revertire la condizione degli altri e fossimo capaci di ottenere cloni vitali, con adeguate tecniche di ricombinazione potremmo ottenere una sufficiente variabilità e avere un buon bacino genetico di partenza, oltre che materiale sperimentale.”

 

Luxord continua a fissare i cloni.

Adesso la loro esistenza è spiegata. Legittimata. Ma continuano a essere rivoltanti e penosi.

 

“Mi hai fatto venire qui perché vedessi i vostri fallimenti?”

“Ti ho fatto venire qui perché capissi. Credi che ci siamo trovati al mondo sapendo quello che siamo? Le risposte non arrivano senza cercarle. Noi non chiudiamo porte, ma certo nessuno le apre per noi. Cominciamo a chiarire adesso i meccanismi della nostra genesi e della nostra natura e dobbiamo allargare le nostre conoscenze. Ecco perché lavoriamo anche sulle repliche. Non pensare a questi come insuccessi. E’ solo mancanza di tecnica, tutto qui. Prima di noi, non esistevano nobody. O, perlomeno, non ne abbiamo notizia. Alcuni sono convinti che siamo già esistiti, sulla base di prove induttive piuttosto convincenti ma, comunque, resta solo una convinzione. Al lato pratico, siamo i primi. Abbiamo ricreato una scienza dal nulla e, ti assicuro, dieci anni sono pochi.”

 

Il suono grattante e soffocato si ripete e attrae di nuovo l’attenzione di Luxord su Naminé.

 

La ragazzina è molto più che seduta.

Sembra qualcosa senza forza ed energia per sostenersi. Qualcosa che si tiene eretta e insieme solo per costrizione materiale.

Accasciata.

I gomiti sporgono dalla linea delle braccia. L’angolo tra coscia e gamba esasperato dall’assenza di muscolatura.

In confronto alla magrezza, la testa è troppo grande. Le ossa traspaiono sotto la pelle tirata e i capelli sottili. Il volto è una maschera di cera, con una certa flaccidità dovuta alla mancanza di uso dei muscoli facciali.

La gracilità rivela oscenamente la sua corporalità.

E’ solo un altro feto. Uno strisciato fuori dalla sua tomba di vetro e acqua.

Ed è bianca.

 

Luxord ha voglia di togliersi il cappotto e buttarglielo addosso, giusto per non vederla più.

Si strappa i vestiti, gli hanno detto. Qualcosa in più, un colore in più, e li fa a pezzi.

Trasformarla in polvere, allora. E’ sempre il sistema più sicuro per togliere di mezzo qualcosa.

E’ una violenza guardarla.

Si fa violenza per guardarla.

 

Considerava Roxas inespressivo, ma non c’è paragone fra la sua inespressività e quella della ragazzina.

Roxas li studia ininterrottamente, li imita, imita i loro atteggiamenti e gestualità, li elabora a suo uso, adattandoli alle sue esigenze, al suo essere individuo.

Ha attinto da tutti, non solo da coloro con cui passa più tempo. Affettazioni, modi e comportamenti, alcuni facili da capire, altri molto meno evidenti, a volte quasi impercettibili, ma, se si sofferma a pensarci, può identificare tutti loro nel ragazzo e gli piacerebbe capire perché Roxas ha scelto proprio quei gesti e non altri, per esprimerli in una bizzarra mescolanza delle espressioni di così tanti mondi e dimensioni.

Deve avere anche qualcosa di suo, però non è così obiettivo da capire cosa o quanto.

 

Roxas è un’entità in divenire. La sua inespressività è stata una fase in un processo di evoluzione che è ben lontano dall’essere concluso.

Naminé si ritrae alla ricerca dello stato primitivo del suo essere. Sogna il ritorno all’utero mentale che l’ha partorita.

 

E’ immediato il richiamo al mito quasi multiversale dei gemelli opposti, quello giusto e quello sbagliato. La dualità è un concetto che sembra esercitare un fascino irresistibile su ogni essere umano, di qualunque mondo.

Luxord rigetta subito quel pensiero.

C’è un numero infinito di possibilità fra gli estremi e lui non è umano. Non ha senso farsi intrappolare dalle loro limitazioni. E, in realtà, non l’ha mai considerata un’idea credibile o interessante.

 

Eppure, l’apatia di Naminé non è assoluta. Quell’attimo in cui ha alzato gli occhi è stata curiosità. O, almeno, è stato interesse. Anche adesso, il suo solo movimento è quello del piede contro il pavimento, diventato uno sfregare ossessivo, ma continua a studiarli entrambi, di sottecchi, evitando lo sguardo dei due uomini, cercando di non far vedere che osserva.

Una creatura dall’immobilità apparente di un anemone di mare. Molli e delicati tentacoli bianchi e un ondeggiare languido, spinto dalle correnti.

 

Un etereo si materializza al loro fianco.

Zexion tende la mano a Naminé, derisoria imitazione del gesto di un cavaliere di un qualche racconto di principi e principesse. La ragazzina sbatte le palpebre e si rialza, senza neanche sfiorarlo.

L’etereo si fa avanti e lei lo segue, passo per passo. Lo segue come, una volta, Roxas ha seguito lui nelle strade della città nera.

Entrambi si immergono in un portale nero.

 

“Secondo te, dovrei eliminarla?” chiede Zexion, una volta che i due sono svaniti.

 

Luxord ha sempre saputo della poca simpatia di Zexion per la ragazza, ma nonostante tutto, è sorpreso. Non tanto dalla domanda, quanto dal tono.

La voce dello scienziato gronda veleno e quella che, un tempo, era solo mancanza di trasporto, adesso sembra vera e propria avversione.

D’altra parte, ha avuto la chiara impressione che, pur nell’indifferenza patologica, o studiata, o voluta, di Naminé, l’antipatia sia reciproca.

 

“Non so.”

“No?”

“Non lo hai fatto in precedenza. Perché adesso?”

“Perché le condizioni sono cambiate. Mi chiedo se la sua utilità non sia inferiore al pericolo che rappresenta. Sai, anche la nostra piccola strega ultimamente si dà alle predizioni. Su di noi e su Roxas, soprattutto.”

“Cosa dice?”

“Che lui non sparirà.”

“Spero che abbia ragione.”

“Io no, perché significa che tutti gli altri, in ogni caso, spariranno. Me compreso.”

 

Anche se non è esattamente antipatia. Non è neppure odio.

Più incompatibilità. O repulsione.

Essere in loro presenza, insieme, è come avvicinare i poli uguali di due magneti e trovarsi in mezzo al loro campo.

 

“Zexion, tu hai visto la sua nascita, quando hai fatto la prima scansione della mente di Roxas.”

“Quindi?”

“È anche a causa tua se è fra noi.”

“Quindi?”

“Quindi non so. Potevi lasciarla dove si trovava.”

 

Zexion lo guarda come se gli avesse detto che il cibo più salutare sono sassi e vetri rotti.

No, certo che no. Non poteva. O non voleva. O, comunque, non lo avrebbe fatto.

 

“Naminé è solo una ragazzina ignorante, convinta di un’idea che non si è inventata da sola.” azzarda Luxord.

“Tutti siamo convinti di quello che facciamo. Perlomeno, siamo convinti che quello che facciamo è il modo più conveniente di agire nell’ambito della circostanza in cui ci troviamo. Il problema con Naminé è che lei è convinta che quello che fa è giusto non solo in senso relativo, ma assoluto. E questo è un’aggravante, perché lei permarrà nel suo comportamento e nelle sue azioni in ogni caso e circostanza. Quanto al resto, ne abbiamo altri, di ragazzini. Roxas è un ragazzino e sono le stesse idee che sono state ficcate in testa a lui, eppure le rifiuta, con più determinazione di chiunque.”

“Roxas è stato addestrato ed educato a gestire situazioni critiche nelle condizioni e ambienti più diversi, ad avere la responsabilità di una quantità di altre persone. Naminé è stata chiusa in una stanza e abbiamo buttato via la chiave, se posso ricordartelo.”

“Almeno hai capito perché l’abbiamo fatto, Luxord? Eri presente, quando è stato deciso di isolarla, ma hai ascoltato? O per te siamo già tutti morti, quindi non perdi tempo a badare a quello che diciamo? Sei convinto sia così perché lei è speciale, perché è uno strumento utile nelle nostre mani?”

 

Qualcosa del genere.

E Roxas è altrettanto utile, altrettanto potente, altrettanto giovane e altrettanto senza memoria.

Tutti sono speciali e tutti sono strumenti nelle mani di loro stessi. Ma solo a lei è negato tutto quello che è stato dato a ogni altro nobody, compresi i bambini e quelli che vogliono rivoluzionare ogni cosa.

 

No, in realtà, non se ne è mai preoccupato. Né di Naminé, né delle ragioni per la sua prigionia.

 

“Naminé è isolata per la ragione più semplice.” prosegue Zexion “Siamo in guerra. Lei ha scelto a quale schieramento appartenere e non è il nostro. Non si lascia un nemico girare libero per casa e prendere decisioni sul nostro futuro. Suppongo non abbia neppure completamente torto. In fondo, lei non è un nobody.”

“Cos’è, dunque?”

“E’ quello che pensa e quello che fa. E quello che pensa e che fa la rende non nobody. E non per la differenza della sua genesi. Siamo talmente diversi l’uno dall’altro che l’unicità sistematica non esclude l’appartenenza alla nostra natura. Una sola cosa ci accomuna ed è la discriminante che ci rende quello che siamo. La volontà di vivere. Lei non la possiede.”

“Allora perché continua a esistere?”

“Perché ha uno scopo. Esisterà fino a quando non lo avrà soddisfatto.”

“Come noi.”

“Sì. Come noi.” sorride Zexion “Quella a cui hai pensato prima... Un’immagine suggestiva. Appropriata, anche. Certo, molto più di un embrione. Adesso vedi di ricordarla e ricordare anche che quello è un predatore velenoso.”

 

come te

 

E i predatori non tollerano antagonisti nei loro domini.

Forse è questa la causa della loro reciproca insofferenza. Competitività territoriale.

 

“Quindi, alla fine, siamo come tutti gli altri popoli dei mondi. Temiamo quello che è diverso.”

“E’ sempre così, che finisce, ti pare? Con qualcuno che paga per noi, per le nostre ragioni. Se posso scegliere, preferisco che a pagare sia Naminé. Allora, quali saranno le conseguenze, se la uccido?”

 

Luxord si arrende. Tanto, prima o poi dovrà rispondere.

 

“Moriremo tutti, compreso Roxas.”

“Se non la uccido?”

“Moriremo tutti, tranne, forse, Roxas.”

“Come?”

“Zexion, se potessi conoscere gli eventi e non solo gli andamenti dei vari flussi temporali, non credi che ti avrei già avvertito da un pezzo? Quello che vedo sono solo porte chiuse. Non ne aprirai una uccidendo quella ragazza.”

 

Il sorriso del giovane è zuccheroso come un favo di miele e altrettanto pungente.

 

“Non sei di grande aiuto, Luxord.”

“Fin’ora non ti sei lamentato.”

 

Zexion si spalma sulla poltrona abbandonata dalla ragazzina, le gambe mollemente di traverso al bracciolo. Fissa il soffitto. O, almeno, fissa dove dovrebbe esserci un soffitto, perché, adesso, l’altezza della sala si è dilatata a un apparente infinito. In cambio, sono apparse le pareti.

 

“Questo posto non ti piace.” esclama Zexion. E’ un’affermazione, non una domanda.

“Mi fa venire la nausea.”

“Non piace nemmeno a me. Vieni.”

 

Accanto al tavolo, si dispiega un gomitolo di Oscurità. Luxord segue lo scienziato nella dimensione di grigiore atemporale del Mondo in Mezzo, senza sapere dove lo porterà. Non cambiano universo o pianeta, ma la distanza che percorrono è ben più estesa di quanto non sia necessaria a valicare uno spazio complanare di un solo mondo.

E’ una delle cose più stremanti di Oblio, dover usare i sentieri oscuri anche per spostarsi da una sala a un’altra, ma è il solo modo per raggiungere con certezza il luogo desiderato. Camminare, non è così sicuro. Il castello ha la pessima abitudine di cambiare continuamente configurazione tangibile.

Il palazzo è un ente tetradimensionale concavo. Nella sua interezza, non è affatto distorto, ma quello che esiste nello spazio ordinario è solo la sua proiezione tridimensionale, distorta come è distorta la proiezione bidimensionale di un solido.

Per non perdersi, occorre tenere a mente la sua forma, quella vera, e non lasciarla andare, perché cambia con i pensieri di chi lo abita e basta perdere di vista un attimo le cose, e quella strana architettura si ristruttura a suo piacere. Ma anche così non è sicuro, perché Oblio attinge dai pensieri di ogni suo abitante e controllare completamente i pensieri altrui è inconcepibile.

Meglio barare con lo spazio distorto e usare i sentieri oscuri.

 

Si chiede quanta della loro forza vitale ed energia stiano sprecando per vivere qui, anche solo per muoversi attraverso la loro casa.

Di una cosa è sicuro. Oblio sta consumando la loro forza.

 

Emergono su una spiaggia. Un luogo desolato, piena di scogli. Una cala chiusa fra altissimi faraglioni di pietra lavica nera e violacea. La riva è un amalgama di ciottoli, sabbia grossolana, rocce.

 

“Non è una delle tue illusioni, vero, Zexion?”

“No. E’ una delle sale del castello.”

 

Luxord sperava in un ambiente più civile. Uno studio o una biblioteca, magari. Uno più caldo, soprattutto. Non si è mai abituato davvero al freddo. Non dopo i suoi quattro anni di vita su un pianeta che è una palla di pioggia e ghiaccio.

Fa freddo, su questa spiaggia d’illusione, o di allucinazione. Sa che c’è differenza fra le due cose, ma, onestamente, non saprebbe riconoscerla. Fa freddo e, a peggiorare la situazione, c’è pure vento. L’aria è anche leggermente più rarefatta di quanto vorrebbe.

In un posto simile, è facile immaginarsi tempeste e burrasche e alti frangenti contro gli scogli, ma, in questo momento, il mare è tranquillo, il suono ritmico e lappante si mescola al leggero sibilare del vento e a urla stridule di qualche animale. Solo vicino alla riva l’onda si rompe e creste di schiuma frangono sulla sabbia.

Matasse di alghe brune sono gettate sulla spiaggia. Brulicano di creature striscianti e altre che sembrano piccoli uccelli.

 

Un mondo abitato. Una scalinata risale la scogliera alle sue spalle e, piantate in mare, ci sono colonne di vetro color fumo intarsiate di bassorilievi, la parte inferiore incrostata di alghe. Pali di ormeggio, apparentemente.

C’è anche una scacchiera appoggiata a terra, poco al di fuori del limite del frangersi delle onde, con le pedine ammucchiate a lato, fra la sabbia. Accanto a essa, un piatto d’argento colmo di frutti, cose che, a quella distanza, sembrano mele bluastre.

 

L’odore è pungente. Diverso dall’odore del mare che gli è familiare. Diverso da quell’odore che per lui è mare.

Non sgradevole. Solo straniero.

 

Zexion si china e raccoglie qualcosa da terra. Un ciottolo, o una conchiglia. Per un po’ lo osserva mentre se lo passa fra le dita, ma, alla fine, lo lancia in mare.

 

“Come sta Roxas?” chiede.

“Tu sai cosa è successo?”

Zexion scrolla appena nelle spalle.

“Ci vuole poco a immaginarlo.”

“Ce l’ha con il mondo intero. Non credevo che un nobody potesse essere così irascibile e irritante.”

 

Il giovane raccatta un altro ciottolo e lo scaglia in acqua.

 

“Ha fatto del male a qualcuno?”

“In realtà, per la maggior parte delle volte riserva a tutti il trattamento del silenzio. Sembra tornato indietro di nove mesi. La differenza è che allora non sapeva parlare, ora non vuole. Nessuno osa interrogare Xemnas, ma tra loro qualcosa è successo di sicuro. Non si trovano mai, da soli, nella stessa stanza e, nelle rare occasioni in cui si parlano direttamente, Xemnas si limita dare ordini e Roxas a obbedire. Ogni volta che a qualcuno tocca venire qui, Roxas si offre volontario. Finora, gli è sempre stato rifiutato.”

“Bene. Qui Roxas non deve mettere piede.”

 

Sasso e lancio in mare.

 

“E Xemnas?” chiede ancora Zexion.

“Si è chiuso nei suoi alloggi. Al di fuori del lavoro, non lo si vede quasi più. Sembra avere paura di parlare con chiunque.”

“Ha paura di ascoltare. Ha paura di trovare una ragione convincente per cambiare idea.”

 

Di nuovo silenzio. Si prolunga quel tanto che Luxord comincia a sentirsi a disagio.

E’ così poco da Zexion quel modo di parlare. Non proprio a monosillabi, ma dicendo solo lo stretto essenziale.

Lui non parla mai poco. Intesse incantesimi di parole e pensieri ed espressioni e si rende sempre comprensibile, cosicché il suo interlocutore intenda proprio quello che lui vuole fargli intendere.

Non è neanche una recita, quella di Zexion. E’ mimetismo.

Luxord non se la sente di biasimarlo. E’ la sua natura. Non è neppure male. Fra gente come loro, non è solo un inganno. E’ una necessità di comunicazione.

Così, invece, fra silenzio e gesti inspiegabili, ha l’impressione di avere di fronte uno sconosciuto. Uno che non è in grado di decifrare.

 

Luxord muove qualche passo verso uno degli ammassi di alghe. Appena si avvicina, uno stormo di animali si alza in volo, lanciando grida indignate.

Si è sbagliato. Non sono uccelli, non come lui definisce gli uccelli. Non hanno piume né becchi. Sono più simili a pipistrelli.

Ci sono anche altri esseri, di svariate forme. Alcuni che riconosce come granchi, altri che non riconosce affatto.

Si allontana e le creature alate atterrano di nuovo nel groviglio di vegetali putrefatti. Molte di esse gli lanciano occhiate diffidenti, ma, rassicurate dal suo comportamento, tornano alla loro occupazione, con la pragmaticità degli animali di tutti gli universi.

Ignora quello che non ti fa male.

Ignora quello che non puoi mangiare.

 

Certo hanno migliorato le tecniche di replicazione.

La prima volta che si è trovato nel castello, a effettuare l’analisi preliminare, le sale lo avevano confuso con ombre e immagini ambigue, in continuo mutare.

La seconda volta il disordine si era dissipato, ma le simulazioni avevano la plasticità artificiosa di un set teatrale.

Tutto questo, invece, è concreto, perfetto. Vero.

Quasi vero. Quasi perfetto. Quasi concreto.

 

“Zexion, mi hai chiamato qui per sapere di Roxas?”

Dubita lo abbia fatto solo per passare un po’ di tempo a lanciare sassi in mare.

“Anche. Quando sono partito, era in pessime condizioni.”

“Perché non sei tornato al castello? Potevi chiederglielo di persona.”

“Io sono quello che non muove un dito, se posso convincere un altro a fare il lavoro al mio posto.” il giovane recupera un cristallo di memoria dalla tasca del camice e glielo porge “Ho una cosa che lo riguarda.”

“Cos’è?”

“Un elenco di pianeti e relative posizioni nella Rete dei Mondi. Gliel’ho promesso da parecchio.”

“E te ne sei ricordato adesso?”

“Ho preferito dargli il tempo necessario perché non gli serva più. L’ultima cosa di cui Roxas ha bisogno è diventare dipendente dalle azioni altrui, comprese le mie. Non deve convincersi che ci sarà sempre qualcuno a risolvere i suoi problemi. Meglio si abitui all’idea che otterrà solo quello che è in grado di ottenere senza alcun aiuto.”

 

Luxord indica il modulo di memoria. Il luminoso color zaffiro colmo di particelle dorate è quasi ipnotico. Il cristallo sintetico è bello come un gioiello, più prezioso di qualsiasi gemma per le proprietà che gli permettono di accumulare immense quantità di dati.

 

“Devo darglielo?”

 

Zexion non ha detto questo. Ha detto solo che riguarda Roxas.

 

“Daglielo, oppure no. Decidi tu.”

“Devo fargli credere che lo hai dimenticato?”

“Non comunico con Roxas da quasi due mesi. Non posso sapere cosa fare per lui. Lasciagli credere quello che ti pare meglio. Mi fido di te.”

 

Il cielo è nuvoloso quanto quello del pianeta di Oblio. Nubi altrettanto spesse e composte. Di tanto in tanto, nel loro scorrere, lasciano intravedere un sole rosato e non molto alto all’orizzonte. In quei momenti, dove è bagnata, la sabbia sembra uno specchio colpito dalla luce e le pozze di acqua marine fra gli scogli diventano fari accecanti.

 

“Roxas sta crescendo, vero?” chiede Luxord, ponendo in tasca il cristallo.

“La tua non è una domanda.”

“Una constatazione.”

“Secondo te, qual è la nostra età?”

“Non riesco a definirla, se è questo che intendi. Non si tratta di un ammontare di tempo, quindi è fuori dai miei calcoli. Di solito, ci riferiamo all’età che le nostre controparti avevano nel momento della loro morte, ma, logicamente, la cosa non ha senso. A maggior ragione per Roxas.”

“Vorrei sapere una cosa da te, Luxord. C’è continuità tra la nostra esistenza e quella della nostra controparte?”

“Nel passato, non ci sono interruzioni. Posso dirti quando una vita finisce, ma non quando inizia, perché è una linea diramata e continua con quella dell’organismo che la genera. Ma vale per ogni essere vivente, non solo per noi.”

“Peccato. Mi avresti risolto un problema.”

 

Il tono, così poco sorpreso, smentisce le parole di delusione.

In realtà, a volte Luxord si è aspettato di sentirsi porre una domanda simile, ma Zexion non lo ha mai fatto. Inutile chiedere quando si conosce già la risposta.

Semmai, la cosa strana è che abbia chiesto ora.

 

“Invece, temo ti toccherà giocare senza certezze.”

“Vuoi dire mi toccherà scommettere. Quando ti sei accorto che Roxas cresce?”

“Da poco.” risponde Luxord “Ne ho avuto conferma giù in quel vostro antro, quando mi hai detto che Vexen ha rispolverato il suo progetto per ottenere nobody artificiali. Se non crescessero, otterreste solo una serie di entità perpetuamente fissate a varie vasi di sviluppo embrionale e non credo sia quello che volete.”

“Poi si chiedono perché tu mi piaci.” esclama Zexion allegramente “Lo scopo del progetto originario non era incrementare il nostro numero, ma uno studio approfondito della nostra natura biologica. Tra le varie cose, ci ha chiarito che, nonostante la nostra apparente mancanza di processi di invecchiamento, la crescita non è altrettanto inibita. Un nobody adulto resta tale, ma se il suo organismo ha ancora un potenziale di crescita, si sviluppa.”

“Quindi, Vexen aveva ottenuto i corrispettivi neonati dei crepuscolari.”

“Già. Alquanto bizzarri, te lo garantisco.”

“Poi?”

“Si sviluppavano. Negli anni, abbiamo trovato anche qualche crepuscolare naturale non adulto. Pochissimi, e non abbiamo mai ottenuto nobody superiori, ma, da un punto di vista strutturale, non ci sono queste grandi differenze fra le varie classi di nobody, noi compresi. Per analogia, è stato ragionevole supporre che un nobody umanoide immaturo crescesse. Ovviamente, sempre in via teorica.”

“E’ stata una sorpresa?”

Zexion scrolla le spalle.

“Non troppo. A parte che, a quei tempi, non sapevamo molto su di noi e qualsiasi scoperta in merito era sorprendente quanto le altre, ci aspettavamo qualcosa di simile. Abbiamo un metabolismo completo, possiamo ferirci e guarire e scommetto che tu ti tagli la barba. D’altronde, se i nostri corpi non fossero soggetti a variazioni, non potremmo muoverci né pensare. Il resto era solo una deduzione logica. Hai ragione. L’età di un nobody non ha molto a che fare con quella di un essere umano, né con quella di altri nobody. Il realtà, non è possibile precisare un sistema univoco per definire la nostra età. L’età dell’essere umano, quella con noi nasciamo, gli anni trascorsi da quel momento, le esperienze accumulate e quelle ricordate, in entrambe le vite. Tutto forma una combinazione individuale. Tra l’altro, non sempre il nobody nasce con l’età della sua controparte. Xigbar e Vexen appaiono più anziani di quanto non lo fossero Braig ed Even. In ogni caso, è solo un’età morfologica apparente. Da un punto di vista funzionale, tutti noi condividiamo la stessa età, che non è riscontrabile in nessun essere completo. Quella di individui privi di qualsiasi principio di senescenza e ancora in grado di avere ricambio cellulare in ogni tessuto, ma, anche, completamente adulti. Roxas è l’eccezione. Escludendo Naminé, lui è il solo nobody superiore conosciuto nato in forma ancora immatura. Il suo organismo ha la stessa potenzialità di sviluppo di quello di un ragazzo umano di età corrispondente, che è inferiore a quella di Sora. Considerati i parametri di crescita della specie di origine, al momento della nascita Roxas non aveva più di undici o dodici dei nostri anni. E’ un’età biologica da cui non si può esulare, visto che ne influenza il carattere. D’altro canto, non ha ereditato esperienze coscienti da Sora e possiede solo quelle accumulate in poco più di nove mesi di esistenza come nobody. E ha tutte le conoscenze accademiche che ho potuto forzare in lui. Quindi, non so dirti qual è la sua età. Di sicuro, posso dirti che cresce. Mentalmente, spiritualmente e, sì, anche fisicamente.”

“Noi però non siamo invecchiati.”

“L’invecchiamento è un progressivo accumulo di errori e ossidazioni nello svolgimento dei processi vitali e, per buona parte degli esseri completi, è un andamento inevitabile. Però i nostri corpi, anche se esistono nel mondo fisico e hanno una precisa realtà biologica, sono espressioni della volontà di sopravvivenza. Non sarei sorpreso se fossero opportunamente liberi di ciò che causa l’invecchiamento, tanto da evitare errori. O, perlomeno, commetterne in una percentuale molto bassa. La perfezione è una condizione innaturale. Se fossimo perfetti, Xigbar e Saïx non avrebbero cicatrici di ferite ricevute come nobody. Non escludo che, a lungo andare, invecchieremo. In fin dei conti, i più anziani di noi esistono da soli dieci anni. E’ un tempo breve, anche se fossimo ancora umani. La crescita è una cosa ben diversa. E’ lo svolgersi di un programma innescato al momento della nascita al fine di raggiungere un determinato traguardo. Un organismo adulto.”

 

Luxord ha quasi voglia di ridere. Si è perso sul suo stesso terreno.

 

“Fra tutti, io avrei dovuto rendermene subito conto. Immagino sia la riprova che non siamo perfetti.”

“E’ solo la riprova che abbiamo ragione quando insistiamo che voi impariate. Se vedi una cosa, ma non sei in grado di riconoscerla o di comprenderla, vedere non ti servirà a niente.”

 

A questo non può proprio obiettare. Però ha una cosa da dire, perché la spiegazione è comprensibile. Corretta, anche, è pronto a scommettere.

Qualcos’altro, invece, è molto meno chiaro.

 

“Zexion, perché non lo sa nessuno?”

“Non è un segreto, solo un’altra informazione che abbiamo... convenientemente dimenticato di diffondere. Anche se, presumo, Marluxia se ne sia reso conto. Quanto agli altri, ben pochi hanno interesse in cose simili tanto da pensarci o sospettarlo e chi si preoccupa realmente di crepuscolari o eterei? E noi abbiamo potuto metterci in pace la coscienza con una semplice considerazione. Non avevamo prove. La sola cosa che sapevamo era che, se riuscivamo a ottenere un crepuscolare immaturo, quello si sviluppava.”

“Credevo che la scienza non mentisse.”

“La scienza non mente. La scienza è solo un metodo. Come ne vengono usati i risultati, non ha nulla a che vedere con essa e riguarda le persone.”

“Lo hai detto a Roxas?”

“No.”

“E’ un particolare importante.”

“Molto importante.”

“Quindi?”

“Mi aspetto che lo capisca da solo. Prima o poi dovrebbe farlo. Fosse solo che, tra un po’, i vestiti gli staranno stretti.”

“Almeno, adesso so come moriremo. Abbiamo fra le mani un caso di pubertà capace di disintegrare una stella. Ci ucciderà lui.”

 

Ora arrivano le domande difficili. Quelle che potrebbero sfociare fin troppo facilmente nell’invadenza. Troppo simili a esigere da Zexion le ragioni delle sue azioni.

E’ vero che, in teoria, tutti loro sono uguali. Ma è anche più vero che alcuni sono uguali su un gradino più alto.

 

fa la domanda giusta

Con Zexion, le parole assumono significati diversi da quelli che hanno con chiunque altro. Lui non tace e non mente, neppure quando vuole nascondere la verità. La ammanta invece di così tante parole e significati che rivelarla diventa un’impresa.

Talvolta, ci si dimentica cosa si voleva sapere.

Bisogna sapere cosa chiedere e tenersi bene in mente cosa si è chiesto. Come quando ci si muove attraverso questo castello.

fa la domanda giusta

E’ un modo come un altro per ottenere informazioni.

Anche lui è bravo in questo gioco. Immagina sia il motivo per cui Zexion accetta di giocare.

 

“Zexion, ricordi cosa ti ho detto? La crisi sarebbe avvenuta a causa di tensioni interne.”

“Ricordo.”

“Ed eri d’accordo. Eppure sei qui, sei fra coloro che hanno causato una delle tensioni. Si potrebbe dire persino che tu hai alimentato la tensione. Se non avessi espresso la tua teoria di fronte a tutti, Marluxia non avrebbe chiesto di scindere il gruppo.”

“Tu mi hai avvertito, eppure non lo hai capito?”

“Io sono un imbroglione. So quello che farà la gente o come andranno le cose, ma non sempre capisco perché.”

“No, Marluxia non avrebbe chiesto nulla. Sarebbe solo rimasto ad aspettare la prossima buona occasione per agire. Marluxia studia Xemnas praticamente da quando è arrivato. Cerca una breccia, qualsiasi indizio di debolezza e vulnerabilità, e il momento è arrivato, con o senza di me. Xemnas mostra sintomi ascrivibili a uno stato psicotico. Non sto a farti il quadro clinico, ma non è una situazione salutare, te lo assicuro. Marluxia ha fiutato il cambio di equilibrio e ne avrebbe approfittato comunque. Se non avessi fatto nulla, non si sarebbe certo fermato.”

“Tu non saresti stato coinvolto così direttamente.”

“Sai che vantaggio, a quel punto. Non si tratta solo di Marluxia e Larxene. Molti altri sono esasperati dalla nostra situazione. Io stesso mi rendo conto che fatico sempre più a tollerare questa forma di reclusione. Marluxia e Larxene sono solo i più decisi e intraprendenti. I meno prudenti, se preferisci, ma non sono i soli. Viviamo sul filo di un equilibrio instabile. Dipendiamo l’uno dall’altro, più di qualsiasi razza umana conosciuta, e i legami fra noi sono la sola cosa ci permette di vivere in un universo ostile alla nostra stessa esistenza, su un pianeta inabitabile a qualsiasi altra forma di vita superiore a quella di qualche vegetale. Legami che non ci sono per niente naturali. L’unione per noi è una fatica. Ci è persino difficile restare in presenza l’uno dell’altro per tempi prolungati. Il vincolo più saldo fra nobody è quello che lo unisce ai suoi famigli e quello è fondato su principi non applicabili fra noi. Le emozioni, i sentimenti... i popoli dei Mondi li venerano, ma essi sono solo uno strumento di sopravvivenza delle specie dotate di un sistema nervoso adeguato. Uno strumento estremamente potente, grazie alla loro immediatezza e meccanicità, frutto di un’evoluzione adattativa. Un percorso già tracciato, breve e rapido, battuto più volte, con meno errori, meno spazio dove il circuito può interrompersi. Immediatezza e meccanicità sono proprio le cose che ci mancano. La nostra capacità di formare vincoli emotivi con gente che non conoscevamo in precedenza è compromessa e la genesi di questi vincoli è complessa. Quegli stessi ricordi che dominano la nostra esistenza sono da ostacolo alla formazione di nuove relazioni. Così, abbiamo dovuto sederci a tavolino per trovare le soluzioni necessarie alla sopravvivenza. Abbiamo formato legami per necessità, come gli esseri umani, ma abbiamo dovuto crearli con la ragione e dobbiamo metterli in pratica senza sconti e facilitazioni e sono comunque fragili. Basterebbe poco e tutto andrebbe all’aria. Venire qui era arginare, almeno in parte, il disastro. Se fosse scoppiato al castello, in inverno, quando già le condizioni aumentano tensioni e attriti, con limitate valvole di sfogo, avrebbe coinvolto tutti. Compreso te. Non saresti riuscito a restare in disparte. Tu odi combattere persino i tuoi veri nemici. Come ti saresti comportato, di fronte ai tuoi simili?”

“Mi piace credere che non lo scoprirò.”

Zexion ammicca, come abbagliato da una luce che non esiste.

“Vorrei credere che non lo scoprirai.”

 

Zexion si siede nella sabbia, a poca distanza dal vassoio pieno di frutta. Sfila il camice, lo appallottola e se lo mette in grembo, tormentando la stoffa.

Annoda insieme le maniche del camice, poi disfa i nodi. Ripete il gesto in continuazione.

 

“Potresti muoverti contro Marluxia.” ipotizza Luxord “Forse sono in tanti a non essere soddisfatti della nostra situazione, ma indubbiamente è Marluxia a catalizzare il malcontento.”

Zexion scuote la testa.

“Pensa che ho anche avuto la buona occasione. Qualche mese fa, ho perso la pazienza con lui. L’ho sorpreso con la guardia abbassata. Un gesto stupido, che rimpiango. Avrei potuto realmente ucciderlo o incapacitarlo permanentemente e questa è una soluzione che non posso neppure prendere in considerazione. Non è che non voglio. Non posso.”

“Perché no?”

 

Zexion sbuffa e Luxord capisce di avere fatto la domanda sbagliata.

fa la domanda giusta

Non gli viene la giusta domanda per chiedere perché Marluxia si è guadagnato il privilegio dell’immunità.

 

“E la strada opposta, allora? Unirti a Marluxia. Con te ci sarebbe sicuramente Lex e, con il vostro appoggio, forse riuscirebbe a ottenere quello che vuole.”

“E poi? Dimmelo, Luxord, accetto suggerimenti. Uccidere Xemnas, Saïx, Xaldin, Xigbar... Vexen, anche. E quanti altri? Xemnas non può obbligare nessuno che non voglia essere obbligato. Non farebbe altro che incrementare i dissensi da parte di coloro che, per ora, restano neutrali o sono indecisi. Ma è lo stesso per chiunque sia al suo posto, o credi che tutti seguirebbero spontaneamente Marluxia?”

 

No. Certo che no. Non tutti. Forse nemmeno la maggioranza. Però parecchi sì, non ne dubita.

 

“Demyx è fermato solo dalla paura di farsi male, ma la supererà.” prosegue Zexion “In fin dei conti, quello che noi abbiamo fatto è stato solo formalizzare e dare dignità scientifica a quello che lui ripete da sei anni. E Roxas? E’ probabile che, in un eventuale scontro, affiancherebbe me, ma è anche più probabile che non saprebbe cosa fare e si troverebbe coinvolto in modo distruttivo solo per lui stesso. Gli altri, anche. A Xigbar non frega niente del Cuore o dell’umanità, starebbe benissimo così com’è. Lex, invece, vorrebbe tornare umano. Eppure, per entrambi, ci sono cose più importanti dell’essere umani e dello stare bene. Hanno scelto, ma perderebbero in ogni caso. Poi ci sono le nostre corti. Sarebbero spinte al conflitto, lo vogliano o meno, e cosa succederebbe loro nel caso di una nostra fine? I miei eterei si adattano a tutto e troverebbero subito una nuova guida, ma i danzatori di Demyx no e i guerrieri di Roxas si ribellerebbero a chiunque non sia il loro signore, e la stessa cosa vale per i famigli di Xemnas e Saïx. Sono quasi come noi, loro. Sarebbero capaci di organizzare una rivolta. Ammesso che sopravvivrebbero alla fine delle loro guide. Questo non lo sappiamo, perché, finora, non è mai morto un nobody umanoide primo di una propria corte. Sono tanti, sono troppi. Potrei anche accettare di sacrificare una persona, due, tre... ma se il sacrificio diventa superiore al beneficio, allora non c’è senso nel farlo.”

“Zexion, anche venendo qui, non hai eliminato il malcontento. Prima o poi qualcuno lo farà scoppiare, da una parte, dall’altra o da entrambe. Cosa hai risolto?”

 

Zexion ha raccolto nella sabbia qualcosa che sembra una scheggia di pietra e ora è intento a usarla per piegare in modo sistematico e distruttivo i denti della lampo del camice.

Ancora azioni senza senso evidente, senza evidente ragione.

 

“Ti racconto una fiaba, Luxord. L’ho trovata su uno dei mondi che ho visitato. Un capitano deve condurre la sua nave attraverso un mare infestato da esseri che, con il canto, ammaliano gli uomini e li spingono a gettarsi in acqua o a far schiantare le imbarcazioni sugli scogli. Allora, il capitano ordina ai marinai di chiudersi le orecchie con la cera, in modo da essere sordi, al sicuro dai pericoli. Ma lui non è un uomo che fugge o si nasconde. E’ un re, ha sfidato i cieli, i mari. La sua mente e la sua volontà sono le sue armi. E’ curioso, la sua sete di conoscenza insaziabile. Vuole sapere come sono quelle voci che hanno un tale potere. Vuole capire. Così, si fa legare a uno degli alberi della nave, senza chiudersi le orecchie. Mentre attraversano il mare, ascolta il canto che lo attira verso l’abisso, ma non può fare nulla. Supplica e urla per essere slegato, ma il suo equipaggio non sente.”

“Come finisce?”

“Questo dipende da che punto di vista la consideri, ti pare? Comunque, finisce bene per i marinai. Attraversano il mare e le creature, disperate per avere fallito, si uccidono. Nelle fiabe, così come vengono raccontate, l’eroe vince sempre il mostro. La storia perderebbe il suo scopo, altrimenti.”

“Zexion, Xehanort scelse da solo cosa fare. Scelse lui di gettarsi nello strapiombo. Nessuno lo ha costretto.”

“Tu non capisci. Roxas mi ha chiesto se lo rifarei. Ho risposto che sarebbe probabile.”

“Credendo che, questa volta, andrebbe meglio?”

“Non ricordi, Luxord? Tu stesso hai detto che sono stati errori evitabili.”

“Ricordo, certo. Alla fine, il vero problema è quello. Si fanno sempre le scelte più azzardate, e le si rifanno, anche sapendo cosa si rischia. E’ che credono sempre tutti che le cose andranno meglio, la volta successiva.”

“Già. Credere è la tragedia degli universi.”

 

Zexion ha detto una cosa, prima.

la nostra capacità di formare vincoli emotivi con gente che non conoscevamo in precedenza è compromessa

Non impossibile, questo no. Luxord ha avute troppe prove che non è impossibile. Lui stesso ne è una prova. Ma compromessa sì.

Vale anche al contrario.

Deve essere altrettanto difficile spezzare un legame fra gente che si è conosciuta nella vita precedente. Non impossibile, ma difficile. E più si condivide, più è difficile.

Quando condividono, fra loro, i sei? Quali legami hanno stretto? Luxord non è neppure in grado di immaginarlo, perché lui non condivide così tanto con nessuno.

Non crede che nei Mondi ci siano altri esseri che condividano così tanto. Legami forgiati con vite ed eventi. Con azioni che non hanno nome e dubita persino che abbiano mai avuto nome, in qualsiasi lingua degli universi. 

 

“Xemnas non è solo la voce che parla per prima, Luxord. E’ un re. Voi lo dimenticate sempre. Un re con il ricordo di avere distrutto il mondo del quale avrebbe dovuto essere il padre e il Cuore incarnato.”

“Vuoi che non porti più il peso della vita di Xehanort? Vuoi che non sia più l’uomo che ha distrutto il suo mondo?”

“Quello che voglio io è ininfluente. Non posso strappare a Xemnas quello che stringe con tale forza. I suoi ricordi non li lascerà, né a me, né ad altri. Forse sarò in grado di fare qualcosa per voi, ma non per lui, non in queste condizioni. Non so neppure di cosa soffre. Ho gli stessi problemi che ha Vexen quando si trova per la prima volta di fronte a un nostro stato patologico. Non sa cosa ha davanti, come io non so cosa ho davanti. Non posso applicare i principi di una scienza valida per esseri completamente differenti. La psiche di un nobody è diversa da quella umana e, nonostante tutto, non conosco abbastanza di quello che siamo. Non so come aiutare Xemnas e non ho tempo per scoprirlo. E’ davanti all’abisso e presto l’abisso lo tirerà a sé.”

 

L’abisso.

I fondatori chiamano così la pazzia, l’irragionevolezza, l’insanità.

La chiamano come gente di altri mondi chiama l’inferno.

Loro non hanno dei e demoni. Credono solo nel proprio pensiero e nella propria volontà e l’individuo è misura di ogni cosa. Credono solo in loro stessi. Per questo, credono che ognuno porta il proprio inferno in sé. La propria personale dannazione, pronta a divorare il suo stesso creatore. Un inferno per ogni uomo, un luogo dove perdersi e dimorare soli. Nella propria anima.

Luxord è convinto che ogni demone e abisso degli universi è solo il riflesso sbiadito dell’inferno di quella gente senza dei e senza demoni, che nessun mondo ha mai creato un abisso tanto spaventoso e oscuro della voragine demente del popolo della Luce. E la cosa più orribile è che il loro inferno esiste davvero.

 

“Zexion, nella tua favola, cosa succede davvero al capitano?”

“Non lo so, ma forse... forse la sua mente si è spezzata. Avere quello che desidera così a portata di mano, eppure irraggiungibile... Quando hanno superato quella tratta di mare e lo hanno sciolto, forse ha ucciso tutti i suoi compagni per avergli impedito di ottenere quello che voleva.”

 

Zexion termina, finalmente, il suo vandalico sfogo di energia nei confronti del camice, ridotto adesso a un groviglio sfilacciato.

 

“Questa è una trappola.” afferma Luxord.

Zexion annuisce.

 

Una trappola. Una dove tutte le parti in gioco sanno che è una trappola.

Zexion, Xemnas. Marluxia, anche, ci scommette.

Una recita dove tutti sanno cosa faranno e ancora non si saltano alla gola solo per contenere la deflagrazione. Obbligati a muovere con prudenza dalla stessa consapevolezza che una mossa azzardata farà dilagare il conflitto anche a coloro estranei alla vicenda.

 

No. Non estranei. Non ci sono estranei, in questo.

Indecisi, o ignari. Demyx, Roxas.

E lui stesso. Che non ha nulla di ignaro, non ha nulla di indeciso.

Solo in tre, ma su tredici, anche uno è troppo.

E i tre hanno il peso dei loro famigli.

 

“Forse sei proprio come i mostri di quella fiaba, Zexion. Non puoi fare a meno di tentare gli uomini, perché non farlo, o fallire, sarebbe la tua fine.”

“Credi che lo abbia cercato, un modo per fare altro?” sibila Zexion, e scaglia il camice appallottolato il mare.

 

Non è un gran tiro. Il vento lo cattura subito e l’indumento si spiega, ondeggia trascinato dall’aria e, alla fine, cade in acqua, vicino alla riva.

 

“Dimmi che sono un pazzo, Luxord. Dimmi che non avevo voglia di pensare ad altro, che non sono stato capace di fare niente di meglio, che ho sbagliato, che ho sognato. Oppure sta zitto, se preferisci. Ma non dirmi che siamo in questo casino solo perché non potevo fare altro. Non azzardarti a giustificarmi. Non voglio la tua comprensione.”

 

Non ha tentato di immaginarsi la reazione di Zexion a quello che ha detto, ma l’animosità della risposta lo stupisce.

 

“Cosa vuoi, allora? Onestamente, non ti capisco. A quanto ne so, non ti sei degnato di incontrare nessuno degli altri che sono passati qui.”

“Ho voglia di giocare a scacchi. Vexen è un giocatore tremendo e Lex... con lui riesco sempre a fare il penultimo errore.”

“Insomma, ti sentivi solo.”

 

Zexion si allunga verso il piatto colmo di frutti, ne raccoglie un paio e ne lancia uno a Luxord.

 

“Questi li porti con te. Sono un’ottima fonte di proteine e zuccheri.”

 

Un frutto curioso. Le dimensioni e la forma generale sono quelle di una mela, ma ha la buccia lievemente traslucida, come quella di un chicco d’uva. Ed è blu.

Non ha mai visto nulla di simile.

E’ certo che questo, almeno, sia concreto. Un vero frutto, non un’illusione, non una simulazione.

Lo gira fra le dita, lo preme leggermente con il pollice. Non è molle, come suggerisce l’aspetto. Ha una consistenza compatta, proprio come quella di una mela.

Certo, ci sono molti Mondi e moltissime specie di frutta, ma non ricorda niente del genere originario di questo pianeta e, a quanto ne sa, la gente di Oblio è esentata dalla ricerca di eventuali forme di vita utili nei mondi alieni.

Ma, naturalmente, loro non hanno bisogno di cercare nuove forme di vita.

Tutto è chiaro, adesso. Così evidente, così semplice e logico, che Luxord si vergogna per non essere stato capace di capire immediatamente. Per avere addirittura cercato risposta a quella che non è neanche degna di essere una domanda.

 

“Quei cloni non sono vivi.” sospira Luxord “Questo sì. E’ la ragione per cui non puoi muoverti contro Marluxia. Non puoi neppure mettere a rischio la sua esistenza.”

“Vedi che capisci, quando ti impegni? Marluxia non è solo in grado di manipolare la vita preesistente, può generarla partendo dagli elementi base, lo ha provato. Sono solo organismi semplici, è vero, ma sono vivi. I nostri cloni no e, finora, nessuno dei nostri tentativi di far nascere nobody in un modo meno incerto, devastante e incidentale di come siamo nati noi, ha avuto successo. La vita è la questione primaria e la vita la controlla Marluxia. Senza di lui, andremmo avanti come prima, lungo un vicolo cieco, a caccia di qualcosa che, prima o poi, finirà per distruggerci.”

“Allora perché non vi aiuta?”

“Lo fa, almeno è convinto di farlo. Ma non ha esperienza. Non farti ingannare dalla sua sicurezza. Quello che ha ottenuto è notevole, perché anche la più elementare manifestazione del suo potere è incomparabilmente più complessa di qualsiasi espressione del mondo non vivente, ma non basta. Dovrebbe imparare quello che può fare, invece di intrigare. Non sarà mai in grado di padroneggiare appieno le sue capacità, se non sa come applicarle e la conoscenza empirica non basta, nel suo caso meno che per chiunque.”

“Eppure, non mi sembra così disinteressato.”

“Non lo è affatto, ma non si fida di noi. Marluxia è stato un altro sbaglio, il peggiore. Forse il nobody più importante mai apparso, colui che avrebbe potuto risolvere il nostro principale problema, ma proviene da un pianeta retrogrado. Un ragazzino ignorante e arrogante, che si rifiuta di capire cosa è e cosa potrebbe fare, con il potere più straordinario dei Mondi. Dovevamo porre rimedio. Vexen aveva chiesto di occuparsene e nessuno interferisce con le decisioni altrui, se non ne è coinvolto. Così, nessuno ha contestato la sua scelta.”

“Marluxia lo sa?”

“Fin troppo bene. Marluxia ha molto chiara la sua importanza, ma è impaziente, indisciplinato. Infantile. Si preoccupa di cose senza importanza e di altre cose che dovrebbe lasciare ad altri. E’ convinto che nessuno ha nulla da insegnargli ed è testardo, persino più di Xemnas, abituato a dare ordini, non a obbedire. E noi lo abbiamo lasciato proprio a Vexen. Eravamo così sicuri che per un nobody le emozioni personali non contassero... e non lo avevano fatto, sino a quel momento. Orgoglio, voglia di libertà, indipendenza, rabbia, tutte quelle cose che non avrebbero dovuto esistere, o esistere solo come ombre inconsistenti... Errore, ancora! Quando me ne sono reso conto, era troppo tardi. Marluxia era già nostro nemico.”

“Quindi, ci troviamo esattamente in mezzo a un brutto carattere e a un’ostinazione. Che fortuna.”

 

Zexion fa una risata che sembra quasi un colpo di tosse e scrolla la testa.

 

Una raffica di vento porta odore di un mare sconosciuto.

Il castello replica ambienti partendo dalle memorie. Quindi, è il ricordo di qualcuno. Cammina nella mente di un’altra persona. Si chiede se è questo che prova Zexion quando invade i pensieri altrui.

Luxord ne dubita. Troppo semplice immaginare qualcosa di così figurato.

E’ certo di sapere di quale pianeta si tratta.

 

“Così, hai dato a tutti una scelta fra una strada incerta che promette di farli tornate umani e una altrettanto incerta che garantisce che resteranno come sono. Cosa pensavi avrebbero scelto?”

“Il problema è proprio che non c’è una scelta unanime, non ti sembra? C’era la possibilità che accettassero. Che Marluxia accettasse di aspettare, che Xemnas accettasse una soluzione diversa dalla sua.”

 

Lo sperava. Anche se Luxord sa con certezza che lo scienziato non lo dirà mai. Come non lo dirà lui, come nessuno dirà mai niente di simile, se non nascondendolo sotto la parola possibilità. Anche se tutti loro vivono solo sul filo della speranza.

 

Si augura che Zexion non raccolga i suoi pensieri. Sostiene di non potere leggere la mente di un nobody umanoide non consenziente se non con la violenza, ma questo non comprende i pensieri sfuggiti e Luxord ha molti dubbi sulle sue capacità di controllo. Fino a pochi anni prima, i lettori della mente erano relegati fra i personaggi dei romanzi e delle favole.

Sì, come molte altre cose.

Guarda il giovane di fronte a lui, che ostenta nel volto e nei colori la sua differenza.

Sul suo pianeta non avrebbero certo considerato umano Zexion, ma sul suo pianeta non avrebbero considerato umano nessuno di coloro che, nei Mondi, si definisce tale. Sempre ammesso che ne avessero mai riconosciuto l’esistenza. Soltanto loro erano umani. Tutti gli altri sarebbero stati, al massimo, strane cose. Alieni.

Sono uguali, tutti. Gli abitanti di ogni pianeta di ogni universo. Resi identici dall’ossessione per le definizioni, che ognuno usa come vuole, dà a esse il significato che preferisce, che ritiene opportuno, che serve.

E Luxord, adesso, è seduto sulla sabbia di un qualche sconosciuto mondo, di una qualche sconosciuta dimensione, nemmeno fosse impegnato in una scampagnata, in compagnia di una creatura aliena. Lui stesso è diventato uno degli alieni.

 

“Eppure, proprio tu mi hai confermato che non ci hai mai creduto.”

“Ma perché a tutti importa tanto quello in cui credo?” sbotta Zexion “Dovevo provarci comunque. Tu dimentichi una cosa. Io creo illusioni.”

“Lo so.”

“Sì, lo sai, ma forse non ti è chiaro che significa. Credi che voglia dire far vedere i mostri che escono dall’armadio? Quelle sono solo allucinazioni. Significa che Axel ha spinto Roxas a sfidarmi, ma lui non lo fa. Nessuno lo fa. A volte, faccio credere alla gente che mi circonda che ho sempre, necessariamente, ragione. Che sono infallibile, imbattibile, onnisciente. Che... ascoltarmi è la sola strada, perché non posso sbagliare.”

“Non è così?”

“Se lo fossi, il trucco funzionerebbe sempre. Ma, se lo fossi, non avrei neppure bisogno di trucchi. Questa volta, quando davvero era importante, è andata male. Non so cosa fare, Luxord. Non ne ho idea. Quello che faccio mi sembra inutile e se non faccio niente è ancora più inutile. Non posso lasciare andare le cose e non so come trattenerle. Temo di avere esaurito tutte le alternative. Forse non farò niente e quando mi deciderò, sarà ancora tardi.”

 

Luxord ha ancora il frutto blu in mano.

Lo fiuta, ma, per quanto lo riguarda, è inodore.

Gli dà un morso esitante, lecca il poco succo che ne esce. La polpa è di un tono di azzurro più chiaro. Dolciastra, asciutta e un po’ pastosa. Gradevole, ma, al momento, non ha voglia di mangiare e abbandona la mela a terra.

 

“Perché non ha funzionato, questa volta?”

“Perché la nostra realtà quotidiana è rappresentata da una condizione delirante cronica e questo implica l'incapacità di valutare oggettivamente il complesso illusorio che dà origine al delirio. Il delirio stesso è strutturato in modo coerente, con incorporate tanto di spiegazioni per risolvere ogni situazione conflittuale che finirebbe per contraddirlo. Ogni evidenza contraria, anche se sperimentata, viene automaticamente classificata come riflesso di un ricordo, condizione che non solo non nega l’affermazione della nostra incapacità emotiva, ma, anzi, la rafforza. Quindi, diventa parte della contesto che dovrebbe invalidare. E quello è convinzione e la convinzione non la combatti con la ragione. E’ come combattere un incendio chiedendogli gentilmente di spegnersi.”

 

Il vento si è fatto più intenso, le nubi addensate. All’orizzonte, torreggiano pesanti nembi color porpora.

Aria di tempesta.

Questa, almeno, è come quella del suo mondo.

 

“Avrei potuto dirti subito che non avrebbe funzionato.”

“Avrei tentato lo stesso. Non sono mai stato bravo ad ascoltare consigli. Ho riattivato la vecchia base, quella sulla Terra del Crepuscolo. Tutto quello che abbiamo imparato in questi anni, ogni risultato che ognuno di noi ha ottenuto e ottiene, mi affretto ad archiviarlo anche là. Le scoperte mediche di Vexen, quelle astronomiche di Saïx, la musica di Demyx, i tuoi racconti, la mia biblioteca, tutta la nostra storia. Ma non è solo per salvaguardare le nostre ricerche. E’ un eventuale rifugio. La usavamo prima che ti unissi a noi, ma sai dove si trova e come accedervi. Se non sei sicuro, chiedi a Roxas.”

“Zexion...”

“Sì, lo so, non serve. Tu prova lo stesso.”

 

Alla fine, sono sempre lì. Davanti a quell’ostinazione che lui non comprende e Zexion non può abbandonare. Che, immagina, per il giovane non è neppure ostinazione.

 

“Mi hai mai creduto?”

“Ho agito in seguito a un tuo intervento.” risponde Zexion, mordendo la mela blu.

“Per confutarlo.”

“Per confutarlo, sì. E’ già una dimostrazione che ho sempre considerato con serietà i tuoi avvertimenti. Li considero ancora. Ma crederti, no.”

“Zexion, non è un trucco, come quando Roxas ha combattuto con Xemnas. Quando sei in navigazione, devi tenere conto di tutte le forze che agiscono sul corpo del vascello. E’ lo stesso con il tempo. Se sei troppo vicino a un evento, puoi anche virare, ci finirai dentro comunque, perché sarai già stato catturato dal suo campo gravitazionale, oppure l’inerzia residua non ti permetterà di allontanarti abbastanza da non essere catturato. Noi siamo già nel campo di quell’evento.”

“Tutti i giorni, noi pieghiamo ogni aspetto dell’universo con la nostra volontà. Perché il tempo dovrebbe essere diverso? E’ vero, virare non serve, ma posso mettere una barriera sulla rotta della nave. Posso farla esplodere. Certo, non è una soluzione molto intelligente, ma, come vedi, ci sono modi per non proseguire su una rotta che credi inevitabile. Dici che è inutile, che solo Roxas, forse, supererà questa crisi. Va bene. Poi? Cosa farà, da solo, in un universo che lo cercherà unicamente per distruggerlo? I problemi che avrà saranno quelli che abbiamo noi. Gli ho dato le armi che avevo per permettergli di sopravvivere. Non ho avuto modo di insegnargli tutto quello che avrei voluto, ma ho fatto del mio meglio con il tempo a disposizione. Quindi, come vedi, ho rispettato la mia parte. Chiedermi di crederti... è davvero pretendere troppo. Dici che è inevitabile. Io dico che fino a quando non sarà successo, nulla è certo.”

“Cerchi ancora di salvare qualcosa che è già finito.”

“Io vi fiuto, Luxord, ed è odore di vita. Vi tocco, vi sento, vi vedo. Non riesco, in nessun modo, pensare come se fosse tutto distrutto. Non riesco a credere che siete già morti, non quando i miei sensi dicono che esistete, ora, qui. Noi non siamo morti.”

“E’ solo un’illusione, un’eco inversa. Qualcosa che si diffonde prima dell’urlo.”

“Un’eco non è un’illusione. Non parlare a me di illusioni. Io non sono soggetto alle illusioni.”

 

E tu non parlare a me di tempo.

 

Ma non ha senso, dirlo. Non cambierebbe niente.

Non ha senso neanche avere insistito fino a questo momento. Immagina sia solo per l’abitudine del giocatore a non volere perdere, neppure quando si tratta di una discussione che non vuole neppure vincere.

 

Luxord si inginocchia sul bagnasciuga. Le onde rotolano sulla spiaggia e quando scivolano di nuovo al mare, lasciano veli di schiuma sulla sabbia.

Immerge le mani nell’onda montante. L’acqua entra nei guanti. Quando li sfila, la pelle è ricoperta di grani nerastri, ruvidi come frammenti di smeriglio, come schegge di ossidiana.

 

“Come mai questo scenario? Solo per il panorama?”

“Non ti piace?”

“E’ freddo.”

Tu hai freddo, Luxord. Pensa che è piena estate.”

 

Con un cenno del capo, il giovane indica la scogliera. E’ alta e ripida, e la roccia sembra composta da una serie di colonne strette assieme, come le canne di un organo. La scalinata che la risale è scavata nella pietra viva ed è delimitata da un corrimano di elementi di quarzo grigio e scolpito, come i pali nel mare.

 

“Quella scala porta a un sentiero che attraversa l’altopiano e finisce su un fiordo. La c’è una casa. Poi, il fiordo si inoltra nella costa e forma un lago coperto di canneti.”

“Anche tutto quello è replicato?” chiede Luxord.

“Non saprei. Non ho seguito il sentiero. In teoria, le repliche proseguono con la memoria di coloro che le generano. Esistono nel momento in cui ci pensiamo. Questo ambiente è solo un esperimento. Volevo capire se funziona anche con me.”

“E funziona?”

“No. Semmai, funziona anche meno, adesso.”

 

Appoggia la mani a palmi allargati sulla sabbia bagnata.

Acqua e limo scorrono lungo le sue dita.

Ogni volta che le onde frangono e si ritirano, sprofonda un po’ di più in quel fango scuro.

E’ viscido, freddo, un po’ adesivo.

Ha la sensazione di essere risucchiato.

 

“A me sembra tutto molto realistico.”

“Il problema non è quello che sembra a te. E’ quello che so io. Ci sono troppe cose che rivelano la simulazione.”

 

Luxord si porta un dito alla bocca.

Nemmeno il sapore è il sapore del mare che conosce.

 

“Perché ti sei dato tanto da fare per Roxas e... anche per me?” gli chiede Zexion, in tono colloquiale.

 

Luxord si rialza. Gli sembra di sentire l’umidità penetrata persino attraverso gli strati di abiti impermeabili e termici anche al gelo a all’acqua del pianeta nero.

Si siede su uno degli scogli. Uno abbastanza lontano dal mare da essere asciutto, fuori dal raggio degli schizzi di acqua salata portati dal vento.

 

“Non lo hai capito? Che razza di telepate sei?”

“Sei un amico, Luxord. Considerala una cortesia, quella di darti la possibilità di dirmelo di tua spontanea volontà.”

 

Il tono è scherzoso, ma non così tanto per cui Luxord non valuti seriamente l’avvertimento.

E’ un amico, certo. Fino a quando non gli converrà essergli nemico.

In fin dei conti, per chi ha causato la fine di miliardi di esseri viventi, che differenza fa uno in più o in meno?

Non è sicuro, presumere di sapere come si comporterà.

 

“Dovevo pur occupare il tempo da qui alla fine.” risponde il giocatore.

“Vero. Che altro?”

“Né tu né il ragazzo mi avete mai fatto nulla di male.”

“Sei convinto di morire. Cosa ti importa di quello che succede a Roxas o a me?”

“Morirò in ogni caso. Non ho motivo per volere morti tutti, se so che per altri ci sono possibilità.”

“Lo stesso principio per cui tu non usi i tuoi poteri? I tuoi veri poteri, non quei trucchi da baraccone che fai passare per tali.”

“Lo sai?”

“Che forse potresti riportare il tempo a prima dell’esperimento? L’ho sempre sospettato. Non sai barare così bene come credi. Poi, durante la battaglia di Kā’h’onua, hai alterato i parametri temporali di salto nel passato di una delle navi. A quel punto, ne ho avuto la prova.”

“Una mia disattenzione.” ammette Luxord.

Il giovane annuisce.

“Sì, dovresti stare più attento. Anche Xigbar era presente e le sue capacità sono le più sintonizzate con le tue. La prossima volta potrebbe non essere tanto distratto. Anche se, presumo, spostare indietro il tempo di dieci anni sarebbe un po’ diverso che spostarlo di qualche istante.”

“Non so. Sollevare un libro o una montagna non è la stessa cosa. Non sono neppure sicuro che potrei riuscirci, anche se provassi, ma la possibilità esiste, sì. Non lo hai detto a nessuno?”

“A cosa sarebbe servito? Nessuno ti avrebbe mai convinto a recedere dalla tua decisione e se Xemnas sapesse quello che saresti in grado di fare, volendo, cercherebbe di obbligarti e lui sa essere molto testardo, quando si mette in testa qualcosa.”

“Suppongo di doverti ringraziare.”

“Per moltissime cose, ma non per questa.”

 

Zexion mordicchia pensierosamente la sua mela.

 

“Tutti devono la loro esistenza alla coscienza di un nobody. Sono fortunati che sei tu ad avere un simile potere, Luxord.”

“Adesso credi nella fortuna?”

“Credo nella possibilità di contingenze favorevoli a un certo numero di esseri viventi. Visto che questa contingenza è favorevole a tutti gli esseri viventi, non considero inappropriato chiamarla fortuna.”

“Tu che faresti al posto mio?”

“Non so. Dovrei trovarmi o essermi trovato nella tua situazione per darti una risposta con un qualche senso.”

“Non lo faresti neppure tu. Non sarebbe logico farlo.”

“Sarebbe logico esattamente come non farlo. La logica non c’entra niente, in questo caso, Luxord. E’ una questione di scelta e tu scegli ogni giorno di non fare qualcosa. Adesso, per favore, mi spieghi perché?”

 

Questa è proprio una delle cose di cui Luxord farebbe volentieri a meno di parlare. Per i suoi gusti, è un po’ troppo simile al volere attirare l’attenzione su di sé, mentre lui ha fatto di tutto per restare sempre in disparte, sempre quello che non agisce, che non conta, che è ignorato, sperando che bastasse per scivolare fra gli eventi senza esserne coinvolto. Ma, tanto, ha finito solo per essere uno di coloro per cui gli eventi si muovono.

Nascondersi ancora non ha proprio senso, se mai lo ha avuto. Comunque, dubita che Zexion gli permetterà di cavarsela senza aver ottenuto una risposta.

 

“Ricordi quella volta che Demyx ha cercato di interferire con le piogge, per controllare le condizioni meteorologiche?”

“Molto bene.” risponde lo scienziato “Sono uno di quelli che ne ha risentito di più.”

“Esatto. Il suo intervento ha alterato gli schemi climatici planetari e questi hanno generato un colpo di rimbalzo che si è ripercosso su quelli di noi in qualche modo legati a un elemento che fa parte dell’equilibrio del mondo. Tutti hanno patito emicranie e disorientamenti e, presumo, gli affetti su di noi hanno causato un colpo di rimbalzo su di te. Le conseguenze di un piccolo intervento sull’acqua di una piccolissima zona di un unico mondo si sono manifestate con effetto valanga e solo io, Xigbar e Saïx ne siamo stati quasi risparmiati.”

“Brutta cosa. Io, almeno, sono solo caduto in coma per tre giorni.”

“Zexion, io interferisco con il tempo. Non so quale potrebbe essere il colpo di rimbalzo e quanto esteso, e non sono disposto a fare la prova. Non ho un controllo così completo delle mie capacità.”

“Sei solo troppo giovane e disinteressato. Non hai esperienza e non ti applichi a sufficienza. E sei stato quello per cui l’adattamento alla nostra condizione è stato il più difficile. Onestamente, mi stupisco di quanto tu sia equilibrato.”

“Comunque sia, posso conoscere le linee temporali che si dipartono dal presente con tutte le loro relative probabilità di avverarsi, ammesso che vedere sia il termine giusto, ma non è un processo continuo e costante. Qualche volta capita spontaneamente, ma la maggior parte delle volte devo sforzarmi. Ma c’è un’altra cosa. Le linee temporali non sono equivalenti, né lineari. Ogni singola linea si dirama a ogni istante di progressione e ogni diramazione si moltiplica a sua volta. Più esse sono probabili, più sono definite e più la mia possibilità di calcolo si estende nel futuro, comprese le loro varie diramazioni, che, a loro volta, possono essere più o meno probabili, quindi chiare, o confondersi subito nella nebbia. Adesso, la mia azione ha fatto sì che imboccassimo una linea che, al momento in cui ti ho portato Roxas, era estremamente improbabile, quindi unitaria e molto indefinita. Naturalmente, adesso è diventata più probabile, il che significa molto più chiara, con un intero nuovo vaglio di possibilità che prima non vedevo, perché erano probabilità infinitesime di una probabilità molto bassa. Ho inserito un’incognita che non avevo potuto prevedere. Capisci quello che intendo?”

“Capisco, sì. La linea che permetteva a Roxas di sopravvivere era tanto improbabile che, allora, non potevi valutare quali sarebbero state le sue possibili conseguenze e le eventuali diramazioni, né come fare ad avverarle. Significa che non puoi sempre, forse mai, inserire nelle estrapolazioni primitive l’interferenza dovuta ai tuoi interventi. Quindi, quando hai agito, portando Roxas da me...”

“Ho tentato, sperando di fare la cosa giusta, esattamente come fa chiunque. E’ stata una scommessa con il destino. D’altro canto, il passato è determinato. Posso dirti cosa sarebbe successo a imboccare una strada piuttosto che un’altra, però è solo una quella che si è concretizzata. Il tempo ha una certa... elasticità. Risalire il passato di qualche istante per cambiarlo è possibile, ma diventa più difficile man mano si torna indietro. Temo che l’elasticità abbia un limite e forzarla... si finirebbe solo per frantumare il tutto. Se poi è vero che siamo nati dal vostro lavoro, se lo impedissi come potrei esistere per annullare l’evento che mi ha generato? Ma, se anche fosse possibile modificare gli eventi per imboccare una strada che non abbiamo preso nella linea originale, non so cosa potrebbe succedere e, questa volta, non per mancanza di controllo, ma per natura stessa del tempo. E la cosa peggiore è che non so quante altre cose non conosco. Come vedi, il mio potere è, alla resa dei conti, una fregatura.”

“Continui a sfuggirmi, Luxord. Conosco benissimo la ragione concreta del perché non usi il tuo potere. Quello che voglio sapere è perché prendi questa decisione. Voglio le ragioni tue. Perché tieni alla sopravvivenza dei Mondi, anche se per te non fa alcuna differenza che sopravvivano o meno?”

“Perché non dovrei?”

“Perché dovresti.”

“Che beneficio mi porterebbe distruggere tutto fin dall’inizio?”

“Quale svantaggio ti porterebbe, visto che tu stesso sei convinto di morire fra poco.”

Luxord si mette a ridere apertamente e scuote la testa.

“Se ti dico che non voglio farlo, ti basta?”

Lo scienziato annuisce appena.

“Allora ho ragione. Vedi, nemmeno noi siamo solo logica e calcolo, per il semplice fatto che si arriva a un punto dove non c’è alcuna logica né alcun calcolo e la differenza è fatta solo dalla nostra volontà. E’ questo che ci rende persone. Sei la buona fortuna dei Mondi, Luxord.”

 

Dovrebbe sentirsi lusingato. Nella voce di Zexion, per una volta, risuona un sincero rispetto. Non il freddo disinteresse o la caustica ironia a cui è abituato.

Poi l’espressione di Zexion cambia in una di pura voracità.

 

“Come ci riesci?” mormora “Sei convinto di sapere quando morirai, eppure...”

 

Ha fatto come hanno fatto tutti. Si è adattato.

La vita di un nobody è come camminare su una serie di galleggianti alla deriva su un mare in tempesta. Instabilità su tutto. Un mondo instabile, un’esistenza instabile. E’ solo un continuo, inarrestabile adattarsi a condizioni che non perdurano più del tempo necessario a essere percepite. A volte meno.

Manca la sicurezza che qualcosa vada come programmato, come previsto, come considerato. La semplice certezza che l’istante seguente si possa riconoscere il proprio corpo, il proprio pensiero, sé stessi.

E’ stremante vivere in un continuo stato di allerta, sempre pronti ad affrontare la prossima emergenza, il prossimo cambiamento, con la sola certezza che emergenze e cambiamenti avverranno, ma nessuna idea di quali e come.

Manca la monotonia, tranne la monotonia dell’imprevisto.

Deve essere questa l’origine dell’ossessione di controllo che pervade tutti loro, ognuno a suo modo. La smania di conoscere e dare ordine, per avere un punto fermo, per quando esiguo. E il problema è che ognuno, a suo modo, si rende conto di quanto ogni forma di controllo e prevedibilità sia, in realtà, una semplice illusione.

E’ la vera misura della loro disumanità questa, perché, nonostante tutto, resistono.

Alla fine, non crede proprio di fare qualcosa di diverso da chiunque altro.

Cosa cambia?

La sola certezza che ha è che il traguardo si avvicina e a questo avrebbe volentieri rinunciato. Ma la strada per arrivare a quel punto, quella è tutta un’incognita. A non sapere, avrebbe solo un grado di indeterminazione in meno.

Non abbastanza per fare differenza.

Ma qualcosa di diverso c’è. Lui non ha una realtà. Ne ha tante da non poterle contare. Sempre che siano realtà e non i postumi di una brutta ubriacatura.

Il suo sistema di controllo è l’indifferenza. Incominci con l’ignorare una realtà ipotetica, poi due, poi infinite. Alla fine, l’indifferenza non è più nemmeno qualcosa da indossare. E’ diventata la tua pelle.

Forse vive solo di energia residua, l’inerzia dell’anima. E’ ancora troppo umano per rinunciare alla sua stolida prosaicità ed è già troppo nobody per stupirsi.

Osserva l’universo con lo spirito del turista che visita qualche ignoto paese, senza lasciarsi coinvolgere. Con l’indifferenza, ha ottenuto un punto di squilibrio diverso rispetto a tutti. Fuori, non dentro di sé.

Per molti suoi compagni, l’incubo è in sé stessi. Lui, invece, si sente semplicemente un naufrago in uno strano mondo.

 

“Ne sono convinto, sì, ma fino a quel momento sono vivo. Dovrei mettermi sul balcone a parlare alla luna? Sarei poco originale e sprecherei solo il tempo che mi resta.”

“Io ho paura, Luxord. Vorrei chiamare qui Roxas e Lex e Xemnas, usarli come come scudo per tenere lontano tutti quelli che mi minacciano, mentre mi metto al sicuro, e se fossero distrutti per questo, ne varrebbe la pena. Supplicherei, striscerei ai piedi del mio nemico. Venderei uno di voi, o anche tutti voi, e non escludere che non lo farò, all’occorrenza. Vorrei fuggire nel più lontano degli universi e continuare a correre, lontano da tutti e tutto, per nascondermi dove nessuno possa trovarmi. Io voglio vivere. La mia vita è stata troppo breve perché la dia via senza rimpianto. Non basta, non è neppure vicina a bastare.”

“Allora fallo.”

“Scusa?”

“Vattene. Puoi ingannare chiunque. Puoi fingere la tua morte. Puoi nasconderti. Puoi... poi provare a fingere di essere umano. E se anche non puoi riuscirci, puoi tentare.”

 

Non funzionerebbe, lo sanno entrambi.

Zexion può fingere, certo, ma non può fingere per sempre. Anche lui si stanca e anche lui esaurisce le forze e, a quel punto, la maschera cade.

 

“Se proprio tu sei certo che non possiamo esulare dal tempo, ora mi dici una cosa simile?” chiede Zexion.

“Sto cercando di ragionare come fai tu. Onestamente, non mi riesce troppo bene.”

“Ma è la prima volta che ti sento ammettere la possibilità che io sfugga al mio destino.”

“Forse, a furia di frequentarti, comincio a crederti. Oppure, sei talmente convinto di potere determinare gli eventi che, per te, è davvero così.”

“Per te, invece, è bastato portarmi Roxas per metterti l’animo in pace e dirti che hai fatto tutto quanto era in tuo potere? Dimmi una cosa. Quando hai visto, o sentito, o calcolato, o come vuoi chiamarlo, che lui, forse, aveva un possibilità, ci hai creduto? Tu che dai tanta importanza al credere, hai mai creduto, e credi, che possa sopravvivere? Credi in quello che hai fatto?”

 

Credere? In cosa?

In una possibilità così esigua da essere quasi inesistente?

Una possibilità che, anche adesso, dopo essere state coltivata, può definire al massimo, a essere davvero ottimisti, estremamente improbabile?

Luxord scuote la testa.

 

No.”

Allora perché me lo hai portato?”

Perché... non scegliamo le carte con le quali giocare, ma quello che facciamo con quelle carte è una scelta nostra.”

 

Zexion gli sorride.

 

“Sei un truffatore, Luxord, e un bugiardo, e menti anche con te stesso. Vale la pena tentare, sempre, qualunque siano le possibilità, perché, considerate tutte le alternative, non c’è niente di meglio da fare. Lo sai benissimo. Sai che il destino lo facciamo noi. Ti sei rivolto a me proprio perché ero il tuo strumento per modificarlo. Credere non ha importanza. La logica non ha importanza. Rassegnarsi va bene per quelli che muoiono nel silenzio e nell’oblio, incapaci di rinascere. Non per noi, per nessuno di noi. Nemmeno per te, o non saresti qui.”

 

Che può dire? E’ vero.

Anche questa volta, non c’è logica per quello che ha fatto. C’è solo una scelta. C’è solo lui.

 

“Se non fosse stato così, mi avresti fatto fare la fine di Naminé, immagino.”

“Probabilmente. O ti avrei ucciso. Dipende dal livello di utilità.”

 

Zexion si butta pesantemente a terra di schiena, sollevando uno sbuffo di sabbia.

 

“Quindi, la tua soluzione, per me, è scappare.” esclama.

“In certi casi, è la mossa migliore.”

“Sto cercando di insegnarlo anche a Roxas. Che arrendersi o scappare è una scelta. A volte, la più redditizia.”

“Non è solo Roxas che deve convincersene. Ricordalo anche tu.”

 

Zexion non ribatte.

 

Qualcosa grida, in lontananza. Un suono animalesco. Organico. Vivo.

Luxord solleva lo sguardo.

Due grosse creature volteggiano in cielo, in rotte circolari. Sono troppo in alto per vederle in dettaglio. Sono solo sagome nere contro le nuvole grigie. Non sbattono le ali e sembrano sostenute dal nulla. Ondeggiano come aquiloni.

Si ritrova a osservarle, cercando inconsciamente di immaginare di quanto si sposteranno il giro seguente.

Solo simulazioni. Parti di una simulazione. Ma sono così determinati nel loro volo. Così indipendenti nella loro esistenza fittizia.

Come gli altri animali, che brulicano nelle alghe e corrono sulla spiaggia.

 

Simulazione. Una simulazione di pianeta. Un’idea di mondo, freddo, desolato e tempestoso.

Realtà. Il freddo che sente è vero. I brividi sono veri.

L’esistenza temporale di queste cose rivelano la loro immaterialità, ma i sensi urlano altrimenti. Le informazioni afferenti si intrecciano in chiasmi troppo complessi per essere risolti. Sapere e provare si contraddicono e lui non è Zexion, non trova coerenza tra quello che sa e quello che prova. Non sa trovare le strade giuste nel territorio nebulosi dei sogni e delle illusioni e delle percezioni.

Comincia a perdere di vista la linea che separa le fantasie dalla realtà, cosa è vero e cosa è vero solo per lui. Ammesso che una simile differenza abbia senso, in un universo che è il regno incontrastato del relativismo.

E questi animali esistono nel territorio di mezzo.

Forse, una volta che si raggiunge sufficiente complessità, una simulazione smette di essere tale e ottiene vita autonoma. E’ un po’ quello che è successo a loro e non ha senso credere che quello che è già capitato non può capitare di nuovo. Non ha senso negare quello che esce dai suoi schemi abituali, o arrendersi ai pregiudizi dei Mondi.

 

Guarda Zexion. Non si è mosso, la mela appoggiata al torace imprigionata mollemente fra le dita.

Potrebbe dire che il giovane si sia addormentato, se non avesse gli occhi aperti e lo stesse fissando.

 

“Non mi hai detto perché tu lo fai.” mormora Luxord.

“Perché mi hai chiesto di farlo.” la voce di Zexion è lenta e assonnata. Distratta.

“Non mi credi, quindi perché ti sei preso tanto disturbo per Roxas?”

“Se lo domandano in tanti. Tu sei il solo ad avermelo chiesto apertamente. Fino a questo momento, le ipotesi più accreditate sono che l’ho fatto per assicurarmi una guardia del corpo, oppure perché voglio mettere le mani sul trono e Roxas è il solo che ha qualche speranza di tenere testa a Xemnas.”

“E la risposta giusta?”

“Quella che hanno sentito tutti. Dalla mente di Roxas c’è la possibilità della nostra salvezza.”

“Una volta ottenuto quello, potevi anche lasciar perdere il ragazzo. Invece, hai continuato a occupartene.”

 

Tutte le espressioni che Zexion ha mostrato fino a questo momento, finte o vere che siano, si ritirano dal suo volto, dal suo corpo, dalla sua postura. Assorbite, come l’acqua è assorbita dalla sabbia quando l’onda è passata.

Luxord ha ancora quella sensazione di non riconoscimento, come prima, appena arrivati su questa spiaggia. Anche se adesso c’è immobilità, invece di attività nevrotica. Ma è altrettanto straniante.

Sospetta che, questa volta, ha fatto una domanda inutile. Spera solo di non avere inavvertitamente superato anche un qualche bizzarro limite.

E’ una sorpresa sentirsi rispondere.

 

“La figlia di Ienzo è morta a due anni come diretta conseguenza delle azioni di suo padre.” dice Zexion, la voce estranea quanto la sua espressione “Una cosa nera, che fino a qualche minuto prima aveva un nome e un’anima, strisciava trascinandosi dietro gambe simili a tentacoli sfilacciati. Tendeva le mani, come quando chiedeva di essere presa in braccio, ma quelle mani erano diventate zampe palmate, con artigli come uncini di ferro. Non ho più voluto ricordarla, così. Non ho quasi proprio più voluto ricordarla, in realtà. Ora penso a lei e non provo nulla di diverso dal pensare a una qualsiasi delle innumerevoli persone che ho ucciso da quel momento in poi.”

“Zexion, Roxas non è tuo...”

“Lo è, invece. Non nella carne e nel sangue, ma è mio nella mente e nello spirito. Siamo esseri nati da un pensiero di vita, da un desiderio di vita. Forse anche i nostri figli non nasceranno dai nostri corpi, questo non li renderà meno nostri.”

“E, questa volta, non volevi restare a guardare mentre striscia verso la propria distruzione?”

 

Zexion ha gli occhi immobili e indecifrabili di un rapace notturno.

 

alieno

 

Non conosceva nemmeno il vero significato di quel termine, fino a pochi anni prima. Quando lo ha scoperto, il suo intero mondo lo ha scoperto con lui, il giorno in cui si è aperto il cielo, il giorno dell’arrivo delle ombre.

 

Luxord, io ho valutato l’ipotesi di ucciderlo, una volta formulata e formalizzata la mia teoria.”

 

Fa la domanda giusta.

C’è una sola domanda giusta, questa volta.

Spera che ci sia anche una risposta giusta.

 

“Perché?”

“Per forzare la mano a Xemnas.”

“Non... questa volta non ti capisco proprio.” ammette Luxord, e la sua voce è poco meno di un sibilo.

“Eppure è davvero molto semplice. Arrivati a questo punto, per Xemnas è indispensabile la presenza di un custode. O, perlomeno, è indispensabile alla sua credibilità. Eliminiamo i custodi, allora. Chi resta?”

“Tu.”

“Lo hai appena detto, Luxord. Una volta ottenuto quello che volevo, potevo lasciare perdere Roxas. Ma, meglio ancora, potevo togliere di mezzo la speranza di Xemnas. Io, d’altra parte, non ne ho più bisogno. Scomparsi i custodi, rivolgersi a me sarebbe stata quasi una scelta obbligata.”

 

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Non ha la pretesa di capirlo più di quanto vuole farsi capire Zexion stesso.

Non importa quello che sembra. Conta quello che è e, alla fine, sfrondato di tutti gli orpelli dell’Apparire di cui si ammanta, è sempre l’ombra che attende in cime alle scale.

 

“Però non lo hai fatto.”

“Incertezza del risultato. Troppe incognite negative. Tanto per cominciare, avrei dovuto provvedere anche alla soppressione di Sora e quello non è un obiettivo facile. Ma, soprattutto, non l’ho fatto a causa di Xemnas. Non posso prevedere con ragionevole certezza cosa sarebbe davvero in grado di capire o sospettare e le sue condizioni psicologiche sono estremamente volatili. Te lo ripeto. Non conosco abbastanza della psiche dei nobody. Quello che so è che in situazioni in cui non vediamo via di fuga, il nostro meccanismo di difesa è aggressivo e, a quel punto, il livello di aggressione continua semplicemente a crescere, senza raggiungere il limite di rottura. Forse questo limite non esiste o, se esiste, è talmente alto da essere virtualmente inutile, perché successivo al punto in cui rilasciamo completamente e incontrollatamente la nostra capacità di alterare la realtà fisica. Se Xemnas si sentisse sufficientemente minacciato, e presumo che la scomparsa del suo custode domestico verrebbe interpretata come una minaccia, potrebbe arrivare a misure estreme e nessuno conosce il livello del suo pieno potere. Sommando tutti questi fattori, il rischio risultante era sufficientemente alto da non volerlo tentare, superiore alla probabilità che Roxas sia la nostra solo speranza di sopravvivenza.”

“Allora ci hai pensato realmente.”

Zexion annuisce con il movimento meccanico di un automa.

“L’eventualità che lo facessi c’è stata. E non è neppure una soluzione così impensabile. Non sono l’unico a cui Roxas non serve, anzi, è un ostacolo. E’ una delle ragioni per cui deve stare lontano da questo posto. Tranne me e probabilmente Axel, chiunque altro, qui, prima o poi arriverà alle mie conclusioni e vorrà la morte di Roxas, così come Xemnas vorrà necessariamente la morte di Marluxia.”

“Non credi che potresti fermarli?”

“Potrei convincere Vexen, presumo, ma non Lex. Non se pensasse che la cosa aiuterebbe me. Di certo, non potrei convincere Marluxia e Larxene e, come ti ho detto, Marluxia mi è indispensabile. Se dovessi sceglierei fra i due, non so cosa farei. Le mie attuali decisioni non si basano su presupposti tanto consolidati da avere certezza di come reagirei in caso di imprevisti. E Roxas è indifeso contro di noi, anche con tutta la sua forza e il suo potere. Si combatte un nemico solo se lo si riconosce come tale. Quanto credi sarebbe difficile uccidere un bambino inesperto che si fida ciecamente?”

 

Non difficile.

Talmente facile che persino lui, ben lontano dall’essere l’assassino più abile e che non è mai riuscito a trovare la volontà di uccidere, riesce a pensare a più di un modo. Basta le volte che scendono insieme sul campo di battaglia. I guerrieri cadono ogni giorno e non c’è nessuno da incolpare, se non la casualità della guerra. E anche nulla da scoprire, perché di un nobody morto resta solo, al massimo, il ricordo in chi lo ha conosciuto e i ricordi sono materia ingannevole. 

 

“All’inizio, quello che mi interessava di Roxas era solo la particolarità della sua configurazione mentale. Non mi importava cosa fosse. I Cuori, i keyblade... per quanto mi riguarda, sono sempre stati solo aspetti dello stato delirante di Xemnas. La sua utilità come custode per me era, ed è, nulla. Lui, non mi importava. E, siccome non mi importava, non mi importava di quello che gli sarebbe successo. Tanto, per me non era diverso da uno di quei crepuscolari che Vexen ha fatto nascere. Ero solo curioso, ecco tutto. Quando me lo hai portato, Roxas non aveva ricordi coscienti di Sora. E se avessi reciso anche il patrimonio mentale inconscio, quello che incatena noi alla vita passata? Così, ho cominciato a lavorare su quei ricordi. E’ stato difficile ed è stato... interessante. Potare selettivamente il suo inconscio. Lasciare solo i ricordi che nutrono la sua curiosità, quelli che sostengono le sue conoscenze pratiche. Combattere, parlare, leggere. Eliminare il resto, eliminare Sora. Purtroppo, non potevo fare indiscriminata piazza pulita di tutta quella zavorra mnemonica e cominciare dal principio. Non si possono spazzare via ricordi come la polvere da un tavolo. Se mai ho avuto riguardi, è stato solo per paura di Xemnas e per paura di perdere troppo presto un soggetto così interessante. Una paura facile da superare. Mi aspettavo di vederlo dissolversi o degenerare. Invece, diventava di volta in volta più forte, non più fragile. Alla fine, ho visto nascere una nuova anima.”

“Cosa hai fatto, allora?”

“L’ho... coltivato. Molti credono che Roxas sia solo una mia creazione. Non è vero. Io l’ho solo sottoposto alle giuste condizioni perché sviluppasse al meglio tutte quelle qualità che lo rendono degno di vivere. Ogni legame disfatto con la vita di Sora, lo sostituivo con qualcos’altro. Ho insistito perché ci restasse vicino, che passasse più tempo possibile con ognuno di noi, anche se non capiva, anche se ora non capisce. Non volevo il riflesso alterato di un essere umano. Volevo liberarlo per quanto è possibile dalla sua influenza.”

“Per legarlo a noi.”

“Al mondo a cui appartiene, alla gente a cui appartiene. Che appartengono a lui. Nessun essere vivente funzionale esiste solo per sé stesso. Altrimenti, diventa un mostro. Fra gli esseri umani, Roxas è un’aberrazione. Fra noi, è come deve essere. Non ha senso che sia la vita di un nemico a determinare la sua personalità. Non ha senso che sia legato ad alieni ostili, neppure in ricordi non consapevoli, minato e indebolito da concetti, principi e condizionamenti acquisiti, elaborati e validi in ambiente e condizioni ben diversi dai suoi. Capisci, Luxord?”

“Non ne sono sicuro.”

“Ma mi credi?”

“Credo che tu sappia quello che hai fatto. O, perlomeno, credo che tu sia convinto di saperlo. Date le circostanze, non posso chiedere di più.”

 

Zexion sospira. Un suono che potrebbe essere fastidio, noia, esasperazione.

Non è decifrabile, ma, almeno, è qualcosa.

 

“Roxas è stata una completa incognita anche per me. Niente mi ha preparato a un caso simile perché, a nostra conoscenza, un caso simile non è mai esistito. Tu, forse, non hai idea dei danni che avrei potuto causargli, né di quello che gli ho fatto. Non possiamo usare altro che noi stessi per esplorare la nostra natura e ognuno di noi è un caso unico. E’ stato la cavia dei miei tentativi dilettanteschi di capire. Ho cercato di risparmiargli il massimo disagio possibile, ma questo non significa che mi è stato possibile risparmiarlo del tutto.”

 

è un amico

A volte, è difficile ricordarlo.

 

“Non vuoi la mia comprensione.” mormora Luxord “Ma qualcosa vuoi. Cosa? Cerchi qualcuno che ti accusi? Cerca da un’altra parte. Io te l’ho portato e io sapevo chi eri e cosa eri.”

“Lo so.”

“E Roxas non ti biasima.”

“Biasimarmi? Avrei potuto legarlo su un tavolo settorio e vivisezionarlo e quello che ho fatto non è stato molto diverso. Solo perché non lavoro con bisturi e laser come Vexen, non vuol dire che i miei interventi possano essere meno dolorosi. Si è ribellato, quando ho esagerato, ma non mi ha mai biasimato per quello. Per biasimare occorre un sistema di riferimento e il suo sistema di riferimento gli dice che sbagliato è non cercare la verità, con qualsiasi mezzo possibile, anche se questo vuol dire soffrire. Lui mi biasima per quello che gli taccio, non perché gli ho fatto male.”

“Lo fai per farlo sopravvivere.”

“Lo faccio perché sono convinto che ne valga la pena, come Ienzo.”

 

Gli ha già detto qualcosa del genere, in una situazione del genere.

 

Dovrei essere compiaciuto...

 

Zexion è coerente con sé stesso. Tutto questo è solo lo sviluppo della condizione iniziata il giorno in cui lui gli ha portato Roxas.

 

... per avere mostrato a un bambino la strada più diretta per la sua distruzione?

 

No, certo che no. Ha fatto quello che ha voluto. Che ha considerato appropriato fare.

Non ha niente a che vedere con quello che gli sarebbe piaciuto fare.

 

“Ho fatto tutto perché potevo farlo. Perché non avevo motivo per non farlo. Perché è qualcosa che non avevo mai fatto prima. Perché Roxas non è la chiave del destino. E’ quella del futuro e il futuro va costruito. Perché se una chiave può chiudere una porta, la stessa chiave può riaprirla. Vedi quanti perché, Luxord? Scegli quello che preferisci.”

 

Il camice alla deriva rotola sulla spiaggia. L’onda defluisce, lo trascina un po’ indietro, verso il mare, poi lo abbandona a riva.

Acqua e sabbia lo hanno sporcato. Lo hanno reso meno bianco.

Non c’è bianco, in questo mondo. Nero, viola, rosa, un’infinità di grigi. Niente bianco.

Persino la schiuma del mare non è bianca. Non bianca davvero.

 

“Sei cambiato, Zexion.”

 

Il giovane tenta un sorriso tirato, ma ottiene solo una debole smorfia.

Con quello, il velo mimetico torna al suo posto e davanti a Luxord non c’è più un estraneo.

 

“Tu come credi che sia?”

“Complicato. Molto più di prima.”

“Mi stupisci sempre, Luxord. Nessuno degli altri ci ha pensato.”

“Eppure, è una conseguenza facile da prevedere. E’ solo logico che sia così, basta guardare Roxas. E’ talmente... vitale. Così passionale.”

“Già. Ma quasi tutti dicono, o credono, che dipende dal fatto che Sora ha mantenuto la sua umanità.”

“Sora ha mantenuto la sua umanità quanto Xehanort, ma Xemnas è il più apatico di tutti noi. Avevi ragione, Zexion. Non guardano, o non guardano quello che dovrebbero.”

 

Lo scienziato si solleva seduto a gambe incrociate e ricomincia a mangiucchiare la mela, con gesti svogliati.

 

“Temono tutti che, tagliando via i ricordi umani, diventeremmo anche più distaccati di quanto già non siamo. Non è vero. E’ proprio il contrario. Tutte le illusioni sono cadute. Adesso, così, resta solo la realtà e la realtà è che questo è il mio mondo, che esisto, che è la mia situazione e che le cose hanno importanza. Non è più così astratto come prima. Questo lo rende più...”

“Più difficile?” suggerisce Luxord.

“Più dannatamente concreto. E sì, difficile. Tanto più difficile. Chi entra qui deve abbandonare qualcosa. Ero convinto sarebbe stata la mia umanità residua.”

“Eri convinto o lo speravi?”

“Lo volevo, invece ho lasciato la mia certezza. La verità è che invidio Roxas. Avrebbe dovuto essere preparato a continuare il nostro lavoro, non a mordere e combattere come una bestia. Avrebbe portato una nuova prospettiva, differente, libera dalle vestigia dell’umanità. Non posso neppure immaginare a cosa sarebbe stato in grado di pensare perché io, invece, non sono libero e non potrò mai esserlo davvero, non come lui, perché, comunque, ricordo.”

“Avresti sempre potuto cancellare le memorie di Ienzo.”

“Continui a consigliarmi di scappare, Luxord.”

 

Sì, presume di sì. In fin dei conti, quella è la sua tecnica. Evitare ciò che non gli piace.

E’ un vero peccato che non si può evitare tutto.

 

“Sai, all’inizio non avevamo capito che i crepuscolari e gli altri erano come noi.” confessa lo scienziato “Eravamo su un altro pianeta, come potevano sapere che quelle strane creature non erano solo esseri originari di quel mondo?”

“Non li sentivate?”

“Non sapevamo cosa stavamo sentendo.”

“Non sapevate o non volevate sapere?” chiede Luxord e si rende conto che la sua voce è più tagliente di quanto vorrebbe.

Il giovane annuisce debolmente.

“Tutti noi, prima o poi, ne abbiamo avuto il sospetto, ma, allora, abbiamo avuto paura di accettarlo. Poi abbiamo trovato Saïx. Lo avevano massacrato, non sembrava possibile sopravvivesse. Volevamo ucciderlo. Per compassione, ci siamo detti. La verità è che ci spaventava. Ci metteva di fronte a qualcosa che non potevamo negare. Xemnas si è opposto e lo ha salvato. Ed è cambiato tutto.”

 

Si passa la mano sinistra fra i capelli, scostandoli dal volto. Un gesto reso inutile dal primo refolo di vento, ma Luxord si rende conto adesso che manca qualcosa, in Zexion. L’impianto metallico simile a un bracciale con cui si è abituato a vederlo. E non solo quello. Mancano anche i segni della sua presenza.

Negli ultimi mesi non lo ha quasi mai visto privo di esso e anche quelle rare volte in cui non lo portava, c’era una cicatrice stellata sul dorso della mano e altre lungo le dita e il polso, sempre arrossate, marchi di ferite fresche.

Adesso la pelle è completamente integra, come se fosse passato abbastanza tempo perché le cicatrici svanissero, senza che venissero riaperte.

Un altro cambiamento. Questo, forse, non ha effetti collaterali negativi.

 

Il giovane si accorge della sua attenzione e si sfrega pensosamente il palmo.

 

“Vexen non voleva che accettassimo i neofiti.” mormora, guardandosi la mano dove portava l’innesto “Diceva che ci avrebbero distrutti. Aveva ragione. Fin dall’inizio, abbiamo vissuto fra noi, convinti di non potere più provare nulla, ma il solo metro di paragone che abbiamo avuto sono stati i nostri compagni e siamo troppo diversi gli uni dagli altri. Abbiamo un diverso modo di pensare, di elaborare, di relazionarci al mondo. Diversi sistemi di riferimento, un diverso modo di intendere le emozioni. Non possiamo riconoscere quello che cerchiamo negli altri, non possiamo fare riconoscere quello che gli altri cercano in noi. Siamo sempre stati come un gruppo di persone cieche e sorde, prive di un linguaggio comune e con linguaggi talvolta diametralmente opposti, che cercano di comunicare le une con le altre, tentando di capire se quello che dicono ha un senso. Finché eravamo solo noi sei, poteva anche funzionare, ma voi altri, quelli venuti dopo... avete spezzato il nostro equilibrio. Prima del vostro arrivo, cercavamo solo di adattarci alla situazione e sopravvivere. Dopo, non è più bastato. C’era qualcuno a cui rispondere per quello che avevamo fatto.”

“Sii coerente con te stesso, Zexion. Se hai ragione e non siamo gli esseri umani del passato, senza quello che hanno fatto i sei non saremmo mai nati. Quindi, semmai, dovremmo ringraziarli, visto che dobbiamo loro la vita. Ma, se hai ragione, voi non dovete rispondere a noi, perché sareste innocenti, come Roxas, come tutti.”

 

Continua a riversargli addosso un’indulgenza che Zexion rifiuta, ma non ha intenzione di lasciargli il completo controllo dei suoi pensieri e delle sue parole.

Si aspetta di vederlo ancora rivoltarsi. Invece, nella voce di Zexion c’è qualcosa di simile alla disperazione.

 

“Xemnas non si nasconde da Xehanort. Forse, colui che davvero non può sopportare il peso del passato sono io. Forse, nonostante le mie pretese, ho fatto tutto solo per convincermi che non sono Ienzo. Ci ho pensato, sai?”

“E’ così?”

“Pensa quello che vuoi. Ma quello che è venuto dopo? Quello che ho fatto a voi? E’ una tentazione troppo facile dare colpa a Ienzo. Marluxia ha sempre avuto ragione, in tutto. Potevo esplorare le dimensioni e i mondi racchiusi nei pensieri degli uomini, più grandi e numerosi di tutti gli universi materiali. Intanto, guardavo voi altri affannarvi per sopravvivere e quando mi degnavo di aiutarvi, lo facevo solo per garantire la continuità del mio stato di grazia. Vi ho ignorati, vi ho fatto del male, più di quanto immaginiate. Ho lasciato che loro dirigessero le cose, Xemnas e Xaldin e Saïx. Perché non me ne fregava niente, quindi non ho mai neppure pensato di darmi da fare.”

“Sei così arrogante da credere che tu, da solo, avresti potuto cambiare la nostra storia?”

“Sì, sono così arrogante. Sono sicuro che avrei cambiato tutto e, comunque, avrei dovuto tentare. Avrei dovuto capire chi eravate e cosa. Interessarmi a voi, interessarmi prima. Invece, nemmeno mi ero reso conto di Roxas, prima che me lo portassi. Ti lamenti per non esserti accorto che cresce? Tu non sapevi cosa stavi vedendo. Io non ho proprio guardato. Le mie azioni sono state una serie di idiozie legate l’una all’altra solo dalla loro inutilità. Adesso raccolgo il frutto della mia indifferenza.”

“Allora sono in molti a essere colpevoli nello stesso modo, me compreso. Sono arrivato prima di Marluxia.”

“Sono il solo responsabile delle mie azioni. Se anche fossero compiute, identiche, da un intero universo, non diminuirebbe la responsabilità di ogni singolo. Mi chiedi se provo colpa per le azioni di Ienzo? Cosa vuoi che mi importi degli errori e dell’incapacità di un altro uomo? I miei bastano e avanzano.”

 

Si è tagliato fuori dai ricordi della vita umana. La loro maledizione e, insieme, il loro anestetico.

Perché se è vero che le loro emozioni sono così smorzate, così poco avvertibili, fino a quando quei ricordi regalano loro l’ottundimento da drogati in cui vivono, non c’è vera felicità, vero affetto, vera gioia, ma neppure vero dolore, vera paura, vera disperazione.

Ora, i suoi legami con il passato non servono più a creare quel cuscinetto di beata, o necessaria, inconsapevolezza.

Ma ha lasciato i ricordi, sempre lì, monumento di un’altra vita.

perché?

per non scappare

Proprio il contrario, semmai.

 

“Zexion...”

Il giovane solleva lo sguardo, interrogativo.

 

fa la domanda giusta

 

“Sul serio non sai più cosa fare?”

“Tatticamente no.”

 

e decifra la risposta giusta

 

Con Zexion, le parole hanno un peso tutto loro. A volte cela la verità dicendo troppo. A volte, invece, il significato delle sue parole è così evidente, così scoperto, da essere più nascosto di quanto non lo sarebbe se mentisse.

No, non sa cosa fare, tatticamente. Ma quando per la tattica non ci sono più mosse, allora entra in gioco la strategia.

Luxord ha quasi voglia di ridere.

 

Il lupo nella pelle della pecora. Solo che tu non sei un lupo, Zexion. Sei una tigre. Va bene così. E’ quello che serve, imparare a essere tigri.

 

“Sono lieto che Vexen non vi abbia convinti.” brontola il giocatore.

“Anch’io. Marluxia mi ha detto che senza un mondo a cui appartenere non avremmo legami con la vita. In questo, almeno, si è sbagliato. Non basta un mondo. Senza di voi, saremmo stati soltanto incidenti.” Zexion sorride e, per una volta, Luxord è convinto che quel sorriso non sia l’involucro di qualche nuova insidia “Hai visto quei corpi, giù nel laboratorio. Fallimenti, li hai chiamati. Ma ognuno di essi permette di capire una cosa in più. Non sono fallimenti, sono passi avanti. Roxas non è solo mio figlio. E’ il figlio di tutti noi. Lavoriamo perché ce ne siano altri. Per ora, lui rappresenta tutta la nuova generazione.”

“Una generazione di una sola persona. Così poco.”

“Noi siamo qualcosa con cui l’universo non ha mai fatto i conti, prima. Se serve, una persona sola basterà.”

 

La prospettiva slitta, qualcosa cambia. Come in un’immagine ambigua, la vecchia diventa una ragazza.

Zexion si trasforma, restando lo stesso. Non più alieno, non più incomprensibile. Parla, e Luxord si accorge di capirlo. Capire la volontà di muoversi avanti, contro corrente, lungo una strada che si sgretola alla cieca. Ignorare deliberatamente gli eventi a sfavore e le promesse di fallimento.

Pensano, parlano, sono vivi. Non è più una condizione residuale. E’ un inizio. Un buon inizio. Tutto il resto, possono costruirlo.

Gli viene da pensare che impossibile, per loro, è un termine molto indeterminato.

Ogni certezza l’hanno rigettata in faccia ai Mondi.

In sei hanno infranto il Cuore stesso dell’universo e scavato a mani nude il ghiaccio del mondo nero.

Esistono.

Forse, tutto sommato, non è impensabile che sconfiggano anche il tempo.

Forse, per quelli come loro, estremamente improbabile è una possibilità più che sufficiente.

 

“Devo proprio trovare il tempo di seguire quel sentiero.” mormora lo scienziato.

“Anche se non funziona?”

“E’ sempre qualcosa che non ho ancora fatto.”

 

Zexion si rialza, si spolvera i vestiti dalla sabbia e si avvicina alla scacchiera.

 

“Devo riferire qualcosa a Roxas?” chiede Luxord.

 

Il giovane si limita a scuotere il capo.

 

E’ finita e, anche se Luxord sa da molto tempo che la loro amicizia vive giorni presi a prestito, si stupisce di quanto sia difficile rinunciarvi.

Soprattutto adesso, che, finalmente, non è più uno straniero.

 

“Grazie.”

“Per cosa?” esclama perplesso Zexion.

“Per quello che hai detto. Lo terrò per la fine, quando sarò tentato di usare quel potere. Vedrò di ricordare le tue parole per continuare a essere la buona fortuna. Sarebbe un peccato rovinare una così bella definizione.”

Zexion aggrotta aggraziatamente le sopracciglia azzurro cenere.

Questo, decisamente, non è logico.”

“No. Decisamente non lo è.”

 

Zexion si stringe nelle spalle, depone nella sabbia la mela quasi intera e comincia a disporre i pezzi sulla scacchiera.

 

“Vogliamo fare questa partita? Abbiamo solo poche ore. A meno che tu...”

“Non lo faccio, lo sai.”

 

Zexion gli sorride e il suo sorriso è aperto e allegro come quello del ragazzino che sembra e non è. Tende verso di lui i pugni stretti dove nasconde i due pedoni.

 

“Allora meglio cominciare subito, o non riusciremmo a finirla.”

 

Luxord non ama particolarmente gli scacchi. C’è una componente di casualità troppo bassa perché siano di suo completo gradimento.

Naturalmente, sono il gioco prediletto del suo rivale.

Magari, prima della fine della notte, riuscirà a convincerlo a fare anche un’ultima partita a carte.

 

Indica la mano destra ed è un sollievo scoprire che colore gli è toccato. Anche se ha perso il vantaggio di tratto.

 

nero

 

 

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

 

‘Vince la partita chi fa il penultimo errore’ è una frase del Gran Maestro di scacchi Ksawery Tartakower. Ce ne sono altre. In realtà, l’intero capitolo è pieno di riferimenti agli scacchi. Compreso il titolo. 

Ok, stavolta glisso proprio sui tempi di aggiornamento, vi ringrazio tutti collettivamente e passo a qualche risposta ^__^  

 

Giodan: carissimo, gentile come al solito. Vedrai che Demyx avrà il suo momento, come tutti, prima o poi. Persino la povera e semi ignorata Kairi avrà i suoi momenti. Quello di Demyx sarà un momento di gloria, te lo assicuro. Nessuno, in senso letterale e figurato, oserà prenderlo sotto gamba ;-)

 

Chris: ti ho fatto amare i nobody minori? Grazie, è molto più lusinghiero che sentire dire che ho fatto piacere Zexion o Roxas ^__^

E’ che i 13 giocano avvantaggiati. Hanno dalla loro argomenti per cui è facile farseli amare, anche irrazionalmente, ma i nobody inferiori sono incomprensibili, orribili, non mostrano paura né sofferenza, né niente di quello che incanta facilmente gli umani e che i loro fratelli maggiori sono così bravi a esprimere. Nel canon persino gli heartless godono di più rispetto. Nei loro confronti non serpeggia quel disprezzo e quella repulsione che sono riservate ai nobody. Sono combattuti, ma non odiati. I nobody non hanno nemmeno quella grazia e neppure nel fandom viene resa loro giustizia. Ho letto decine di fanfiction dove i nobody tornano in vita, ottengono un cuore, si fanno una vita al fianco degli eroi. Sì, i 13. Gli altri no, oppure tornano, ma niente cuore e restano molto più malvagi di quanto non siano realmente (ci vuol poco. Il mio gattino è più malvagio di un nobody. E’ anche vero che il mio è un gattino molto malvagio).

Io li adoro, forse più di quelli umani. O meglio, mi piacciono e li ammiro nello stesso modo, solo che, siccome nessuno si preoccupa per loro, ho un occhio di riguardo. Hanno bisogno di qualcuno che li difenda. Purtroppo, mi sarebbe un po’ difficile portare avanti una storia intera con un dusk protagonista. Non ho la capacità di tenere a lungo il registro di un punto di vista completamente alieno. Mi uscirebbe solo la caricatura di un umano. Però ritaglio loro un ruolo importante. Perlomeno, se leggete fra le righe, vi renderete conto di quanto siano importanti.  

 

Kalahari: eh, Riku... che triste fine, ha fatto. Una delle peggiori di tutto il gioco. Purtroppo, lo considero un caso perso. Troppo affondato nel suo compiaciuto masochismo, nella rete di rifiuto e negazione. No, non vedo speranza, non per ‘Riku’, perlomeno ^__^

Peccato. I buoni cervelli sono rari. vederli sprecati mi fa male. E Riku è uno dei miei amori, anche se non si direbbe, visto che lo ammazzo in continuazione. Solo che, come per i nobody, non tollero la sua incarnazione da fanon. Mi spiace che viene spesso e volentieri liquidato semplicemente con il cattivo ragazzo, blablabla, la sua amicizia con l’Eroe, blablabla, redenzione, tornano a casa, vivono felici e contenti... ^O^

Lui e Roxas sono davvero gli opposti, luce e oscurità, Yin e Yang. Quello che vuoi. Roxas perde tutto solo perché l’intero universo sembra aver congiurato contro di lui. Nasce nobody in un mondo dove essere nobody è essere bersagli mobili per qualsiasi idiota col cervello flippato, gli danno la caccia in mille, gli mentono, persino la gente che proclama di volerlo aiutare compie azioni a lui fatali e favorevoli al massimo per i suoi nemici. Qualcuno, prima o poi, lo beccava. Eppure, con questo, continua a combattere. Perde, ma non cede. Lo chiamerei Eroe se solo non fossi allergica agli eroi.

Riku è l’esatto opposto. Il modello dell’uomo che fa scelte dissennate e autolesioniste, nonostante non ci sia nulla di avverso sua strada, anzi, ha tutto o quasi a suo favore. Riku perde perché, scientemente, decide di farsi male. Rigetta l’evidente intelligenza critica che possiede, abbandona la strada del dubbio e lo scetticismo per rifugiarsi nelle tenere braccia di mamma certezza, in una gabbia a cui non appartiene e a cui vuole fingere appartenere con una disperazione quasi fideistica. Hai ragione tu. La sola possibilità è che Sora abbia influenze negative su chi lo circonda. Una specie di radiazione di fondo. Rincoglionisce anche Axel, in fondo. Suppongo sia lo stesso per Riku. Ma lo amo troppo per giustificarlo. Ha fatto una scelta di vita disastrosa. Se ne assuma la responsabilità. Poi è troppo divertente progettare il suo futuro nell’isoletta dei deficienti. In fin dei conti, io ‘sono’ sadica ^__^  

 

Stray: non tornerà tutto come prima. Per principio, non sono una di quelle che fa la sagra della resurrezione random così per fare. La possibilità deve esserci dall’inizio e non essere un trucco tirato fuori dal cassetti. I soli che ‘rivivono’ sono quelli per cui il canon mi ha lasciato una finestrella aperta. Il che vuol dire che non posso far tornare Xemnas, Saïx, Marluxia e Larxene, e se non posso far risorgere loro, che adoro, figuriamoci se faccio risorgere Sora, che non posso soffrire e mi fa una paura barbina. Sora è morto, scomparso, stoppato per sempre. Roxas, tanto per andare sul sicuro, quando è riuscito a strapparsi di dosso la pelle di Sora (e qui lasciatemi godere un secondo immaginandomi una scena stile Alien), per prima cosa è andato a cercare il suo heartless e lo ha disintegrato. No, in effetti è stata la seconda cosa che ha fatto ^__^

Quanto a Kairi, le ha semplicemente fatto venire un infarto e questo esclude la possibilità che Kairi abbia lasciato un nobody, il solo modo concepibile perché riviva. Tra parentesi, ha fatto una cosa simile proprio per scongiurare un improbabile ma possibile ritorno di Naminé. Resta Riku e quello che farò di lui non è poi difficile da immaginare. Vincere però è un po’ dura, ti pare? Sta cuocendo al sole con la schiena spezzata e il torace sfondato. Dall’altra parte abbiamo il guerriero nobody d’élite nel pieno del suo vigore e incarognimento. E’ un po’ come mettere un coniglietto monco contro una tigre affamata. Magari vince il coniglio, ma personalmente ne dubito parecchio. Esiste un solo modo concepibile perché Riku vinca, ed è che Roxas decide che ha voglia di un incontro ravvicinato con il suo stesso keyblade. Vedi un po’ tu, valutando dal carattere che ho dato a Rox, le probabilità che abbia voglia di suicidarsi. Comunque, non salverebbe Riku che, in pratica, è già bell’e morto ^__^

Vero che odio la tragedia e amo i lieto fine, ma non tollero i lieto fine obbligati di regime. Cioè quelli dove finisce bene per tutti eccetto per quelli destinati a finire male per dare alla storia quel tocco malinconicamente e fascinosamente angst. Le cose finiranno bene. Come intendo io ^___^  

 

Dragana: che graditissima sorpresa mi hai fatto ^__^ Per due cose ti ho lovvato come una scema. Beh, un po’ per tutto, a dire il vero. Ma in particolare che ti piacciono le caratterizzazioni, visto che sono una mia fissazione. Poi, tu vuoi bene a Vexen, io voglio bene a te. E’ inevitabile. Adesso, almeno, nel suo fanclub siamo in due ^__^  

se te lo chiedi qualcosa sarai, cretino!

E scolpiamo in bronzo, ‘sta frase, e appendiamo la targa davanti ai loro lettini e sullo specchio del bagno, così se la leggono appena svegli.

La traggggedia no!!!! La odio! Già devo trovare millemila fanfiction dove il tono è ‘Non esisto davvero, non dovrei esistere, non ho diritto di esistere, è giusto che scompaia, sono niente, sono nessuno...” e via Andante Allegro con Brio. Dopo due righe del genere, ho voglia di picchiare la testa su uno spigolo. Dopo cinque, di commettere un omicidio random. Così.

Ok alle pippe mentali, ma che abbiano un senso. I miei perlomeno hanno buone ragione per menarsela. Però devo ammettere che, nonostante le pippe, i nobody mi sono entrati nel cuore. Suppongo con intenzione di rubarmelo, ma, ahiloro, a me in quel campo c’è poco da portare via.

Un po’ perché, con buona pace del fandom, non sono tremebonde, fragili, sensibili creature che scrivono le loro pene sul diario del cuore e vivono in eterno stato di depressione. Sono accidenti che se ne tiri uno sotto con un tir+rimorchio, poi devi raccattare i pezzi del tir, mentre il nobody si spolvera il cappotto e va avanti per la sua strada.

Soprattutto, mi piacciono perché si danno da fare. Sono in 13 contro un fottìo di mondi e, invece di sedersi a frignare o aspettare l’arrivo del salvatore, siccome l’universo ha deciso che non devono esistere, loro decidono di prendere l’universo e torcergli il collo. Mi pare equo e giusto ^__^

Purtroppo non finisce bene e non ti dico quanto male ci sono rimasta io. Anche se era quasi inevitabile. In fondo, sono gli antagonisti in un videogioco. Ma almeno si portano dietro, o mandano avanti a mo’ di apripista, uno sproposito di gente. Loro sì, piagnucolosi figuri che non trovano niente di meglio che pararsi il culo dietro un bambino.

Dirò, se c’è qualcuno che mi sta sullo stomaco più di tragedie ed eroi, sono quelli che hanno bisogno di eroi.

 

Max: beh, troppi commenti per rispondere qui. Alle domande e curiosità rispondo via mail. Ti lascio solo un grazie di cuore ^__^  

 

 

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