Il Consulente

di Ciajka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo1 - Il ritorno di Sherlock Holmes ***
Capitolo 2: *** Capitolo3 - Clandestini a bordo! ***
Capitolo 3: *** Capitolo2- Vuoi vedere un pianeta alieno? Bene,e pianeta alieno sia. ***



Capitolo 1
*** Capitolo1 - Il ritorno di Sherlock Holmes ***


ATTENZIONE! Leggete queste righe prima di continuare la lettura!
Prima di tutto devo dire che è un crossover tra Sherlock e Doctor Who. Cioè, non è proprio un crossover.. Insomma, il Dottore non centra nulla, per ora.
 Per quelli che non hanno idea di cosa sia la serie Doctor Who, non preoccupatevi, non è indispensabile conoscerla.
Per quelli che non conoscono la serie Sherlock della BBC la lettura potrebbe rivelarsi leggermente più complicata.
 
La porta del 221 b di Baker Street si aprì, facendo entrare un uomo di statura media, capelli biondi e occhi verdi circondati da profonde occhiaie, dovute dalla stanchezza.
Per un istante John Watson non seppe spiegarsi il motivo della sua presenza in quel luogo che negli ultimi tre anni aveva così accuratamente evitato.
Ma non aveva varcato quella soglia per il solo gusto di nostalgia,no.
Se fosse stato per quello non sarebbe mai entrato.
Per quanto tempo fosse passato, per quanto si fosse ripetuto di essere forte ricominciando una nuova vita senza il suo migliore amico, se si soffermava troppo a rimembrare i bei e i brutti momenti passati con lui sentiva ancora quel senso di pesantezza nel petto, come se qualcuno lo stesse squarciando da dentro, e gli occhi incominciavano inevitabilmente ad inumidirsi.
Certo, forse questi sintomi si erano leggermente affievoliti col tempo, la migliore cura per qualunque cosa, però non era ancora capace di straniarsi dal tutto.
Sospirò, posando velocemente lo sguardo alla sua vecchia poltrona, con l’immancabile cuscino con impressa la bandiera inglese. Gli si strinse leggermente lo stomaco quando i suoi occhi si soffermarono sull’altra poltrona, quella che si trovava a dirimpetto dalla sua, sulla custodia del violino, che si trovava poco distante, e sul teschio, sopra il camino.
Notò che la signora Hutson aveva veramente ripulito la cucina da tutte quelle attrezzature chimiche che la rendevano, più che un luogo dover riunirsi per pranzare o cenare, un confusionario laboratorio. Adesso la trovava veramente irriconoscibile.
Ma per quanto quell’appartamento fosse rimasto quasi uguale a quando se n’era andato ( Mycroft si era preso l’impegno di pagare l’affitto anche se nessuno ci abitava) John Watson non voleva abbandonarsi ai ricordi.
Il motivo della sua visita era solo un libro, il terzo volume dell’Enciclopedia Medica, che si era reso conto di aver dimenticato sugli scaffali del 221 b di Baker Street.
Se non fosse stato per la sua recente promozione, non sarebbe mai corso a prenderlo.
Si ricordava perfettamente che tra le sue pagine si trovavano ancora i suoi appunti da universitario e che forse lo avrebbero aiutato con il difficile paziente che aveva visitato qualche ora prima.
Aveva appena afferrato il libro e, senza alzare lo sguardo per dare una seconda occhiata all’appartamento, si stava avviando verso l’uscita, quando una voce richiamò la sua attenzione.
«John.»
Non era possibile, no.
Il tomo cadde a terra con un tonfo.
Sulla soglia della porta c’era lui. Il suo migliore amico. Quel migliore amico che aveva perso la vita davanti ai suoi occhi, buttandosi dal tetto del Bart’s.
«Non è possibile.» mormorò John, incredulo.
Poi si stropicciò gli occhi: «Lo sapevo, ho le visioni.»
«No, sono proprio io, John.» cercò di rassicurarlo l’altro uomo, rendendo il suo tono di voce più dolce possibile «Sherlock Holmes.»
John indietreggiò un poco «Ma come! Sei morto! Ti ho visto con i miei occhi!»
«Si, hai ragione.»
«Come?!» gli urlò il medico «Come diavolo sei ancora vivo?!»
Poi John si mise la testa tra le mani «No, no.. sto impazzendo, tu non puoi essere vero..»
«Sono vivo e vegeto, non si tratta della tua immaginazione.»
Sherlock aveva allungato il braccio verso quello del suo amico, come per toccarlo, per fargli sentire che effettivamente lui era fatto di carne ed ossa.
A quel gesto John si sentì formicolare le mani e, con un ira che non avrebbe mai pensato di avere, si scaraventò contro di lui, cercando di strozzarlo.
«Come ti permetti?!» gridò «Ricomparire così?! Ma io ti ammazzo!!»
«No, John!» cercò di calmarlo Sherlock, anche se trovava alquanto difficoltoso parlare mentre due mani gli stavano stringendo il collo «Ti prego, scusami!»
A quelle parole le mani del medico si ritrassero.
«Va bene, sarebbe stupido uccidere l’idiota che è miracolosamente sfuggito alla propria morte.» disse John tutto ad un fiato, poi aggiunse «Adesso mi devi spiegare come hai fatto, poi completerò il lavoro.»
Sherlock si stava ancora massaggiando il collo quando iniziò a parlare «Non sarà facile spiegare.»
«Oh oh!» commentò il biondo in modo sarcastico «Questa poi! Il grande Sherlock Holmes che non trova le parole!»
Ma John si smorzò immediatamente appena incontrò gli occhi di Sherlock. Erano tristi, immensamente tristi.
«D’accordo.» mormorò John, dopo una lunga pausa «Ti ho visto morire, Sherlock. Sei caduto e poi.. tutto quel sangue, i tuoi occhi vitrei.. non avevi polso!»
Sherlock sospirò tristemente «Quello che hai visto ero proprio io, John.»
«Si, lo so che eri tu.. o almeno..»
«Cadendo sono morto, John.» continuò Sherlock «Completamente morto.»
John rimase paralizzato. Quello che aveva appena sentito non aveva affatto senso!
«Non è possibile.. Se tu sei qui, vuol dire che sei vivo!»
«Già, infatti io non sono ancora morto. E, se lo stai pensando, no. Non sono un fantasma o un vampiro.»
«Ma allora cosa diavolo..?»
«Quello che hai visto ero io, d’accordo, ma quel Sherlock non si tratta del mio passato, ma bensì del mio futuro.»
John spalancò la bocca e cominciò a replicare «No, no, no, Sherlock, no. Questo non ha affatto senso!»
«Io devo ancora cadere! Devo ancora morire!»
«Ma non è umanamente possibile!» saltò John.
«Infatti. Non è umanamente possibile.»
«Cosa stai cercando di dirmi? Che per caso non sei umano?» ridacchiò nervosamente il biondo.
Sherlock rimase in silenzio per qualche secondo prima di dire «Esattamente.»
«No.» fu il sofferto commento di John «No.»
«Non faccio parte di questo pianeta» iniziò Sherlock «Sono un Signore del Tempo, provengo da Gallifrey, nella costellazione di Kasterborous, 250 milioni di anni luce dalla Terra.»
John lo guardava con gli occhi spalancati, come per dirgli di fermarsi.
«Posso viaggiare nel tempo e nello spazio tramite una particolare macchina che il mio popola chiama Tardis.»
Sherlock osservò la reazione dell’amico, che era completamente scandalizzata, però decise di continuare la spiegazione lo stesso «Tanto tempo fa c’è stata una guerra, un’enorme guerra, tra il mio popolo e un altro. Dovevo combattere anch’io, però.. per codardia.. per paura.. non so neanche bene per cosa.. sono scappato e mi sono rifugiato sulla Terra. Avevo deciso di vivere tra gli umani, gli essere più affascinanti dell’universo, finché la guerra non fosse finita. Inizialmente ho vissuto tra il 1800 e il 1900, probabilmente ho contribuito a qualche scoperta scientifica che ha rivoluzionato gli anni avvenire, ovviamente sotto il più completo anonimato. Poi mi è giunta la notizia che la guerra tra i Signori del Tempo e i Dalek era terminata.»
Sherlock fece una pausa, dove John commentò: «E… perché non sei ritornato da loro?»
«Erano tutti morti, John, Tutti. Il mio popolo si è definitivamente estinto. Sono solo.»
Ci fu un altro lungo silenzio che fu interrotto da Sherlock «Ho deciso di non usare più il Tardis e di vivere sulla Terra per sempre. Ho scelto questo periodo storico senza un particolare motivo. Un filtro della percezione ha modificato i ricordi di qualche persona, tanto per far vedere che ho frequentato un liceo e che ho una famiglia, e ho cominciato a vivere sotto le spoglie di Sherlock Holmes, il consulente investigativo.»
John non sapeva cosa dire né tantomeno cosa pensare.
«E poi ho finito le rigenerazioni.»
«Le… cosa?»
«Rigenerazioni. Il mio popolo, per sfuggire alla morte, può rigenerarsi cambiando il proprio corpo in un altro. Ma non sono infinite e io le ho usate tutte.» poi aggiunse con voce flebile, quasi solo a se stesso «Forse è anche per questo che sono fuggito alla guerra con i Dalek..»
«È pazzesco. » commentò John «Però.. non so se crederti, insomma..»
«Non mi credi? Che altra soluzione potresti pensare? Prima muoio e dopo qualche ora ricompaio nel nostro appartamento vivo e vegeto!»
«Cos-?» domandò John «Qualche ora?!»
Sherlock lo guardò sbalordito «Si, saranno passate si e no due o tre ore dalla caduta.. o no?»
«Sono passati tre anni, Sherlock. Tre anni.»
«Oh.» mormorò interdetto l’altro «Probabilmente stare fermi per tutto quel tempo ha messo fuori allenamento il Tardis..»
«Lo sai che più ci penso e più non ti credo?» disse John, massaggiandosi le tempie «Forse sei impazzito e hai immaginato tutto.. O, cosa più probabile, sono io che ho perso qualche rotella e ho le visioni.»
«Bene allora!» tuonò Sherlock «Ti farò vedere il mio Tardis! Vedremo se mi crederai o no!»
Detto questo si avviò verso l’uscita dell’appartamento e scese con agilità le scale.
John non sapeva se seguirlo o meno, poi optò per la prima opzione.
 «Tanto, cos’ho da perdere ormai?»
 
Erano usciti dal 221 b di Baker Street e una flebile nebbiolina autunnale li avvolse.
«Dobbiamo prendere un taxi per caso?» domandò John, mentalmente esausto.
«No, il Tardis è proprio qui, di fianco a noi.»
John osservò la strada e non riuscì a vedere nessuna navicella spaziale o qualcosa di simile. Era tutto perfettamente normale.
A quella vista il suo cuore si fermò per un istante: Sherlock era ritornato, era di nuovo vivo, ma era completamente matto. Pensava di essere un alieno e di vedere navicelle spaziali invisibili.
«Sherlock, io non vedo nulla..» mormorò, con un nodo in gola.
«Come sempre tu vedi ma non osservi!» sospirò Sherlock «Dai un’occhiata a quella cassetta per le lettere.»
John analizzò l’oggetto a lato del marciapiede.
«Non ricordo che c’era mai stata prima..»
«Perché infatti è così!» esclamò Sherlock «E adesso entriamo!»
«Entrare li?!» commentò il compagno scandalizzato «Come cavolo-?»
Ma non finì la sua domanda che Sherlock era già sparito dalla sua vista.
«Dove sei finito?!» John cominciò a tastare la superficie metallica della cassetta, poi aprì lo spioncino e la cosa che vide al suo interno lo spiazzò completamente.
Lui si aspettava di vedere il classico interno pieno di lettere e cartoline, invece quello che aveva davanti agli occhi era un ingresso circolare, molto luminoso, con al centro una specie di pannello di controllo con vari tasti, svariate leve e una lunga pertica che saliva al soffitto.
Appena di fianco a questa si trovava Sherlock, con un sorrisetto divertito stampato in faccia «Muoviti, John!»
John chiuse gli occhi, li riaprì e, vedendo che la visione non si era modificata, pensò che forse questo era tutto reale.
Diede un’occhiata alla strada e, dopo aver aspettato che non ci fosse nessun passante nei paraggi, mise la testa dentro lo spioncino.
Non seppe dire come si trovò tutto ad un colpo all’interno della cassetta per le lettere, ma, beh, era li.
«Non è possibile..» mormorò John, osservando la stanza. Notò inoltre che dal soffitto pendevano diverse maniglie di cuoio, cosa che trovava alquanto singolare, per un posto del genere.
Sherlock ridacchiò, poi chiese all’amico «Mi credi ora?»
John annuì, mentre girava su se stesso con la bocca spalancata dalla meraviglia.
«Come.. no..domanda sbagliata..» boccheggiò John «Sono confuso..»
«Con questa» iniziò Sherlock dando una pacca affettuosa alla colonna centrale «posso viaggiare nel tempo e nello spazio.»
«Dio mio..» evocò l’amico, poi cercò di formulare la domanda «Ma.. allora.. come hai fatto..Insomma.. se quello lo Sherlock che è morto è il tuo futuro..»
«Oh, certo.» alzò le spalle il moro «Devi sapere che quando ho deciso di diventare umano ho parcheggiato il Tardis sul tetto del Bart’s e l’ho reso invisibile. L’ho lasciato li per molti anni, poi quel giorno al laboratorio mi è venuta un’idea geniale. Ho invitato Moriarty sul tetto dell’ospedale apposta, perché sapevo che voleva la mia morte. Ma non ho fatto bene i conti. Pensavo volesse spararmi, per poi lasciare il mio cadavere li, in modo che mi trovassero i giornalisti. Se mi avesse sparato al cuore non sarebbe stato un problema: avrei finto di essere morto, poi, appena se ne fosse andato, sarei entrato nel Tardis per curarmi nel migliore dei modi. Non fare quella faccia, John! I Signori del Tempo hanno due cuori!»
«Ah, certo. Dovevo immaginarlo. Stupido io che non ci sono arrivato prima.»
«Comunque, mi sono sbagliato. Lo ammetto. Il suo piano non era spararmi, ma farmi cadere dal tetto, in modo che si pensasse ad un suicidio. Ma comunque sono riuscito ad evitare la mia morte, almeno per ora. Appena Moriarty si è sparato un colpo in bocca sono corso immediatamente nel Tardis, l’ho avviato e sono apparso davanti il nostro appartamento.»
«Dopo tre anni.»
«Non era mia intenzione..» sospirò Sherlock «Quando il Tardis sta fermo a lungo è possibile che non funzioni immediatamente a dovere..»
«Allora quello che ho visto e sentito..»
«Ero sempre io. Anche se è più corretto dire sarò sempre io.»
«Oh, ma.. Se Moriarty è morto.. perché lo hai fatto lo stesso? Eri libero di andartene!»
All’occhiata interrogativa dell’amico, Sherlock rispose «Moriarty mi aveva ricattato. Se io non mi suicidavo, sia tu, John, sia la signora Hutson che Lestrade sareste morti. Aveva ingaggiato dei cecchini che tenevano sotto controllo ogni vostra mossa.»
«Oh.. io non pensavo che..»
«Non c’è motivo di ringraziarmi.» lo precedette Sherlock.
Il silenzio scese tra loro come un velo invisibile, ma estremamente pesante.
«Quindi.. un giorno tornerai li e ti butterai giù?»
«Si. Devo farlo. Non posso evitarlo, altrimenti creerei un paradosso.»
John lo osservò con occhi tristi, mentre le immagini del suo volto ricoperto di sangue e ormai freddo gli ritornarono alla mente.
«Ma prima di allora passerà tanto, tanto tempo! Voglio continuare la mia carriera di consulente investigativo!» esclamò con un sorriso Sherlock.
«Ma.. hai una navicella spazial..»
«Tardis, John.»
«Ok.. Hai un Tardis che può portarti dove e quando vuoi e non vuoi usarlo?»
Sherlock guardò il pannello di controllo, poi disse «È che.. mi ricorda troppo quando ero un Signore del Tempo e viaggiavo in lungo e in largo..»
«Sei ancora un Signore del Tempo, o mi sbaglio?» il sorriso di John fece inarcare in su anche gli angoli della bocca di Sherlock.
«John Watson, mi stai per caso proponendo di fare un viaggio nel tempo e nello spazio?»
Gli occhi del medico scintillarono.
«Oh, Dio, si!»
 
 
Se siete arrivati fin qua vi devo assolutamente ringraziare!
Ditemi cosa ne pensate, così cestino questa idea completamente strampalata! Altrimenti c’è il pericolo che continui a pubblicare altri capitoli!
(Ah, il rating probabilmente si alzerà leggermente in seguito. Inoltre c’è alta probabilità di slash!)

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Capitolo 2
*** Capitolo3 - Clandestini a bordo! ***


Sherlock spalancò la porta del Tardis e con un cenno di capo fece capire a John che doveva uscire per primo.
Sospirando, il biondo mise un piede all’aperto, ma dovette immediatamente indietreggiare: infatti quattro individui lo avevano spinto indietro e si erano catapultati all’interno del Tardis.
«Cosa diavolo-?» fu l’immediato commento di John.
«Mi dispiace signore!» esclamò il più basso dei quattro «Non pensavamo che c’era già qualcun altro all’interno di questa cabina telefonica!»
«Chiudi la porta,presto!» esclamò il compagno di fianco a lui.
Il ragazzo più vicino all’uscita eseguì l’ordine senza fiatare.
Ci fu un coro di sospiri di sollievo, finché uno dei quattro non osservò meglio lo spazio che li circondava e realizzò che quella non era affatto una cabina telefonica.
«Aspetta.. ma qui è più grande rispetto all’esterno!»
«Esatto. Siete all’interno di un Tardis.» tuonò Sherlock «Il mio Tardis! E voi non siete stati autorizzati ad entrare!»
Mentre Sherlock diceva questo, John osservò meglio quei clandestini e si sentì mancare il fiato.
«Sherlock..» cominciò John.
«E quindi adesso uscite da qui!»
«Sherlock..»
«Altrimenti io… che cosa vuoi John?!»
«In che epoca siamo?»
«2015! Te lo avevo già detto prima!»
«Allora perché abbiamo davanti a noi i Beatles?»
Piombò immediatamente un silenzio piuttosto imbarazzato.
Sherlock osservò quei quattro, vestiti in modo pressoché identico.
«Non è possibile.» mormorò infine, fiondandosi ai comandi e pigiando qualche strano pulsante.
Il ragazzo che prima aveva ordinato di chiudere la porta, che il medico riconobbe come John Lennon per il viso affusolato, il naso aquilino e i piccoli occhiali tondi, disse: «Non so chi siete voi o che posto è mai questo.. ma è tutto così pazzesco!»
«Concordo pienamente!» esclamò il suo vicino, con un piccolo sorriso. Si trattava di Paul McCartney.
«L’indicatore temporale dice che siamo nel 1967!» disse con strana incertezza Sherlock.
«Certo che siamo nel 1967!» constatò John Lennon «21 Novembre 1967, per la precisione.»
«Strano..» meditò Sherlock «Il giorno, il mese e il luogo sono esatti.. è l’anno che è completamente sballato!»
«Forse il Tardis non è più in grado di essere puntuale?» ipotizzò John Watson «Alla fine anche quando sei apparso al 221 b non era la data che ti aspettavi..»
«No, no.. Quando siamo andati a Nuova Nuova New York ho controllato le coordinate spazio-temporali ed erano perfettamente come le avevo programmate.»
«Allora non so proprio cosa dirti.» alzò gli occhi al soffitto l’amico.
Poi guardò i Beatles, che nel frattempo stavano confabulando tra di loro sottovoce.
«E-hem..» si schiarì la voce per attirare la loro attenzione «Scusatemi, ma.. come mai siete entrati qui dentro con così tanta agitazione?»
Ringo Starr, il più basso dei quattro, rispose: «Stavamo scappando e abbiamo pensato di nasconderci qui.»
«Scappando? Da chi?» chiese preoccupato John Watson.
«Dagli esseri più pericolosi, infidi e terrificanti di sempre!» continuò Ringo «Le nostre fan!»
John Watson li guardò storto.
A quella vista, il ragazzo che prima aveva chiuso la porta, che si trattava di George Harrison, spiegò:«Le nostre fan sembrano assatanate quando ci vedono! Appena ci raggiungono sono capaci di strapparci i vestiti di dosso! È da avere paura!»
«All’inizio era anche divertente.» affermò Paul «Ma adesso stanno esagerando!»
«Non pensavo che le fan dei Beatles fossero così distruttive.» meditò il dottor Watson.
«Non dirlo a noi!» esclamò Ringo.
«Beh, in qualunque caso, ora uscite immediatamente da qui!» ordinò duramente Sherlock.
«Vi prego! Aspettate almeno che se ne vadano!» disse George.
« È fuori discussione!» Sherlock li superò a grandi passi e girò la maniglia del Tardis «Fuori di qui!»
Ma appena Sherlock aprì la porta, una dozzina di ragazze cominciò a gridare «Chiediamo a lui!» «Avrà sicuramente visto dove sono finiti!»
In pochi secondi il Tardis/cabina telefonica era circondato da ragazze irrequiete.
«Hai visto dove sono andati i Beatles?»
«Oh, Paul! Ti troverò!»
«Devo dir loro che li amo!»
«Hey, forse sono li dentro!»
«Mi sembra di scorgere George!»
«Venite fuori!»
Le ragazze avevano cominciato a fare forza in modo da entrare nel Tardis, ma per fortuna Sherlock riuscì a chiudere la porta a chiave appena in tempo.
«Grazia divina!» esclamò Sherlock «Mai vista una cosa simile!»
«L’avevamo detto che erano completamente fuori di testa!» commentò Ringo.
«Hey, comunque..» iniziò Paul McCartney, che nel frattempo aveva raggiunto i comandi centrali per osservarli da vicino «Che posto è mai questo?»
«Siete in una specie di navicell-» cominciò John, ma fu interrotto da Sherlock «Ha un nome, John!»
«Ok, Sherlock! Tardis!» urlò in direzione dell’amico, per poi continuare in modo pacato «Allora.. questo Tardis può viaggiare nello spazio e nel tempo. Noi volevamo tornare a casa nel 2015, invece-»
Ma la spiegazione non fu conclusa perché Paul, spinto dalla curiosità, si ritrovò a premere  completamente a caso un pulsante che fece vibrare sinistramente il Tardis.
«Cosa hai fatto!!!» gridò Sherlock.
Immediatamente il Tardis cominciò a vibrare sempre più forte, emettendo il suo tipico rumore, per poi ritornare normale. Sherlock e John notarono che il display mostrava un paesaggio esterno completamente diverso da quello di prima.
«Cosa hai fatto!!!» ripeté nuovamente Sherlock.
«Non pensavo che premendo quel bottone..» cercò di scusarsi Paul.
«Paul!!» iniziò a rimproverarlo anche Lennon «Gli unici tasti che dovresti pigiare sono quelli della tastiera!»
«Non l’ho fatto apposta!»
«Ah, si?» tuonò Sherlock, arrabbiatissimo.
«Non so.. è come se qualcuno mi avesse spinto a farlo contro la mia volontà.»
«Oh, come no!» alzò gli occhi Sherlock «Ma adesso torneremo immediatamente indietro!»
Il Signore del Tempo si riappropriò dei comandi e cominciò a premere pulsanti e a tirare leve, ma nulla accadde.
«Perché cavolo non parti..» mormorò Sherlock.
«Non è che il Tardis fa i capricci?» azzardò Watson «Forse ci ha condotti qui apposta.»
«Io sono curioso di sapere dove siamo finiti..» sussurrò George a Ringo.
Sherlock si arrese e disse: «Va bene, scendiamo!» poi aggiunse rivolto ai comandi «Non so perché ci hai portati qui, ma spero che hai avuto una buona ragione per farlo.»
 
Il quartetto, accompagnato da John Watson, uscì dal Tardis (il quale aveva preso forma di un enorme tronco mozzato), mentre Sherlock rimase ancora qualche minuto al suo interno.
Il paesaggio che avevano davanti era completamente incontaminato dalla presenza dell’uomo. Sembrava di essere in un isola deserta nel bel mezzo dell’oceano.
Le scarpe dei visitatori si ritrovarono immediatamente a sprofondare in una sottilissima sabbia bianca, mentre lo sfrigolio delle onde che si infrangevano calme nel bagnasciuga era l’unico rumore che riuscivano ad udire.
Non c’era nemmeno un soffio di vento.
Eppure, tutto sommato, non era affatto caldo, tenendo conto che ognuno di loro indossava pesanti vestiti invernali.
«Wow, ragazzi!» esclamò Paul «Siamo finiti in una spiaggia tropicale!»
«Devo dire che hai scelto una bella meta.» commentò John Lennon.
«Eh, lo sapevo che il mio intuito è strepitoso!»
«Credete che sia deserta?» domandò George.
«A occhio e croce direi di sì.» rispose meditabondo Ringo, seguito da un «Probabile» e un «Lo penso anch’io.» degli altri due.
A John Watson sembrava impossibile avere a fianco a sé i Beatles, ancora tutti insieme (e vivi), che conversavano normalmente. Aggiungendo poi che erano in un isola deserta ed erano arrivati li tramite una macchina che viaggia nel tempo e nello spazio, in questo momento a forma di tronco, in compagnia del suo migliore amico che credeva morto, si ritrovò ad avere le vertigini.
Nel frattempo Sherlock era uscito dal Tardis portando con sé una valigetta.
«Queste potrebbero rivelarvi utili.» disse poi, aprendola e consegnando ad ognuno una specie di pistola che sembrava ideata da qualche regista di film fantascientifici.
«A cosa ci potrebbero servire?» chiese Lennon, osservando l’arma di sbieco.
«A proteggervi da eventuali pericoli, per diamine!» rispose a malo modo Sherlock.
«Io non vedo nessuno qui!» continuò il ragazzo.
«Anche se adesso non c’è nessuno, potrebbe apparire qualcosa dopo!»
Sherlock era enormemente seccato e non faceva nulla per nasconderlo.
«Sherlock..» sussurrò John Watson all’amico «Calmati un po’. Siamo in presenza di uno dei gruppi che hanno fatto la storia della musica moderna!»
A questa giustificazione Sherlock sbuffò vistosamente «Come se me ne importasse qualcosa!»
«Sherlock!» lo sgridò il medico.
«Io non ho mai usato un’arma!» continuò a lamentarsi Lennon.
«E spera di non farlo mai!» rispose Sherlock, su di giri «Se non ve ne siete accorti non siamo sulla Terra, ma sul pianeta Shadesploxclach, a 20000 anni luce da..»
«Shade.. che?» chiese Ringo.
«Un pianeta alieno! Wow!» esultò Paul.
«Siamo i primi esseri umani che mettono piede su un pianeta al di fuori della Terra!» disse George.
Sherlock cercò di ingoiare le brutte parole che voleva ruggire a quei quattro.
Se, in quel momento, qualcuno avesse captato i pensieri di Sherlock sarebbero stati questi: “Perché non si rendono conto del pericolo che possono andare in contro? Come mai”, a parte John, il suo John, che con lui avrebbe avuto tutta la pazienza dell’universo, “gli altri esseri umani di intelligenza medio-bassa sono così idioti? Un branco di inutili zoticoni che prima di capire qualcosa ci mettono sempre troppo tempo. Come quella volta che sono andato da Ramses e ho cercato di far imparare ai suoi costruttori imperiali i segreti dell’edilizia levitazionale e loro non riuscivano a starmi dietro solo perché si erano fissati con la forma a piramide! Come se fosse una cosa così speciale! E adesso questi quattro sono felici come pasque di trovarsi in uno dei pianeti più pericolosi dell’universo!”
Poi guardò John Watson, il quale aveva corrucciato la fronte e serrato le labbra in una specie di adorabile broncio. Tutta la rabbia evaporò all’istante.
«Siamo atterrati su Shadesploxclach,» ripeté scandendo bene le parole «un pianeta che presenta degli abitanti piuttosto pericolosi. Alcuni ricercatori spaziali che si sono avventurati qui non hanno più fatto ritorno.»
«Però!» fischiò Paul «Eppure sembrerebbe un paradiso!»
«Sembra infatti! Ora io cercherò di far rifunzionare il Tardis, nel frattempo nessuno di voialtri deve allontanarsi da qui, per nessun motivo! Capito?»
 
«E quindi dobbiamo rimanere qui.» constatò Ringo.
«Così ha detto lo spilungone con il cappotto e la sciarpa blu.» disse Paul.
«Secondo me non è così pericoloso come ha detto..» borbottò Lennon.
«Hey, ragazzi! Perché l’amico dello spilungone ci osserva da lontano come se fossimo noi gli extraterrestri?» domandò George al gruppo.
«Sarà timido.» fu la semplice risposta di Lennon.
Paul alzò il braccio in modo da catturare l’attenzione di John Watson «Hey ragazzo! Non essere timido!»
John si avvicinò titubante e si ritrovò a pensare a suo padre, che aveva collezionato tutti i loro CD, e a se stesso, che aveva passato tutta la sua adolescenza ascoltandoli e riascoltandoli fino ad imparare a memoria ogni singola canzone. Per lui erano un colosso della musica. Ed ora lo stavano invitando a conversare con loro.
«E-hm, salve.»
«Da quel che abbiamo capito, voi due siete alieni che hanno una macchina del tempo, ma che può andare anche dove gli pare nello spazio.» disse George.
«Beh, si, cioè, no..» si ingarbugliò John «Io non sono un alieno, Sherlock si, ma io no. Per il resto è come hai detto tu.»
«Capito.. E come mai sei assieme a quell’alieno? Sei un ostaggio?» domandò buio Lennon.
«No! No! Non sono un affatto ostaggio!»
Lennon lo guardò di sottecchi, poi disse «Ho capito, state.. insieme?»
John avvampò per poi dire «No! Siamo amici! Solo amici!»
Lennon continuò a guardarlo non molto convinto, mentre gli altri del gruppo cercarono di cambiare discorso chiedendogli se aveva mai sentito nominare la loro band.
«Eccome se vi conosco! So tutto il vostro repertorio! Siete fantastici!»
George sussurrò all’orecchio di Ringo «Sapevo che si trattava di un nostro fan.»
 
Ma ben presto la conversazione si spense, imbarazzata.
Sherlock ci stava mettendo una vita.
«Sentite, io mi vado a bagnare i polsi.» disse Ringo, avviandosi verso il mare.
«Quasi quasi vengo anch’io.» gli fece eco George.
Ringo raggiunse il bagnasciuga, si chinò per prendere una manciata di acqua fresca in modo da inumidirsi le mani, e…
Accadde tutto in modo molto rapido: appena Ringo toccò l’acqua, tre paia di tentacoli blu lo avvolsero o lo trascinarono con sé, immergendolo completamente.
No… no, no, no.”Fu l’immediato pensiero di John Watson “Questo proprio no!”
 
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Ha-ha! Colpo di scena!
E così ho fatto partecipare alla storia anche i Beatles… come non farlo, dopo che sono diventati la mia ossessione?
Da adesso in poi i capitoli non saranno più noiosi come quello precedente, lo giuro!
Un commentino però mi farebbe piacere.. Positivo o negativo che sia! 

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Capitolo 3
*** Capitolo2- Vuoi vedere un pianeta alieno? Bene,e pianeta alieno sia. ***


«Bene.» commentò Sherlock, fiondandosi verso i comandi e incominciando a premere qualche misterioso pulsante «Dove vorresti andare?»
«Beh, la scelta non è semplice..» meditò John «Mi piacerebbe visitare un pianeta alieno.. Se è possibile.»
«E pianeta alieno sia!» sorrise Sherlock «Aggrappati forte, perché stiamo per partire!»
John strinse la maniglia più vicina appena in tempo.
Il Tardis incominciò a vibrare, come se ci fosse un terremoto a mano a mano sempre più forte, creando uno strano suono che fece inquietare il dottor Watson di molto.
Appena tutto fu ritornato immobile e silenzioso, Sherlock si catapultò ad aprire la porta del Tardis «Arrivati!»
«Di già?»
Sherlock sghignazzò, mentre usciva per mettere piede sul suolo alieno.
Appena John uscì dal Tardis vide un paesaggio al di fuori di ogni sua immaginazione. Si trovavano sopra ad una collinetta e potevano chiaramente osservare che, a poca distanza da dove si trovavano, c’era una città enorme, con grattacieli semitrasparenti che sfioravano il cielo e circondati da minuscoli puntini neri che sfrecciavano per aria. Osservandoli con più attenzione, John capì che si trattavano di navicelle spaziali.
«Siamo a Nuova Nuova New York, nel pianeta Nuova Nuova Terra.» spiegò Sherlock «Uno dei tanti pianeti che gli esseri umani colonizzeranno nel futuro.»
«Nuova Nuova New York..» sussurrò John con il fiato corto.
Sherlock sorrise alla vista di quella faccia sbalordita.
«Oh, beh, questa è senza dubbio una delle cose più fantastiche che abbia mai visto!»
«Andiamo a dare un’occhiata da vicino?»
«Sicuro! Ma.. Aspetta!» John lo fermò «Dove è finito il Tardis?»
Sherlock indicò un ammasso di pietra appena dietro all’amico «Eccolo li. Ha preso la forma di una panchina. Credevi forse che rimaneva una cassetta per le lettere per sempre?»
«Beh, ecco..» John tentennò un poco.
«Il Tardis si mimetizza con l’ambiente circostante, in modo da non essere scovato.» spiegò Sherlock con tono da maestrino.
«Ma.. come facciamo ad entrare dentro ad una panchina?»
«Ci sarà una porta dietro o qualcosa del genere.» rispose tranquillamente Sherlock.
John diede un occhiata al posteriore della panchina di pietra e disse «Effettivamente qui c’è una maniglia e una serratura.»
«Bene, allora chiudi a chiave e poi andiamo.» disse Sherlock, lanciando una piccola chiave in direzione di John, che la afferrò prontamente.
 
I grattacieli da vicino erano ancora più affascinanti e tecnologici di come il dottor Watson aveva immaginato. L’effetto di semitrasparenza visto da distante si era rivelato fasullo. Infatti ogni edificio aveva le pareti esterne rivestite da qualche strano materiale che le faceva sembrare traslucide e, per questo, rispecchiavano l’ambiente circostante.
«È un metallo tipico di questo pianeta. » spiegò Sherlock, quando vide l’amico studiare la sua immagine riflessa «Inoltre è un ottimo isolante, mantiene fresco d’estate e caldo d’inverno. Già, perché anche in questo pianeta ci sono le stagioni, esattamente come nella Terra. Inoltre questo metallo è leggerissimo. L’unico difetto è che è piuttosto fragile.»
Nei cieli di quella futuristica città c’era un traffico incredibile: appena alzavi lo sguardo vedevi centinaia di auto volanti che scorrazzavano ordinatamente in file.
«Comodo.» commentò John «Così puoi passeggiare con la strada sgombra.»
«Esattamente.»
«Posso farti una domanda?» chiese John, con la testa ancora rivolta in aria.
«Non vedo perché no.»
«Una volta mi hai detto che non sapevi nulla del sistema solare..»
«Oh, quello.» lo interruppe l’amico «Quando ho iniziato a vivere sulla Terra ho deciso di tagliare completamente i fili col mio passato, quindi non volevo far vedere a nessuno quanto la mia conoscenza astronomica fosse.. molto ampia. Troppo ampia.»
«E l’hai nascosta dietro una gigantesca ignoranza? Però..»
«Forse ho esagerato?»
«Quando mai non sei stato esagerato!» scoppiò a ridere John.
 
Non passò molto tempo prima che John si accorse le strade erano frequentate non solo da esseri umani, ma anche da strane creature mai viste prima. Alcune di queste avevano un colore della pelle molto improbabile, altre presentavano qualche arto in più o in meno.
«Sono alieni quelli?»
«Certo. Nel futuro gli umani si mescoleranno ad altre specie e creeranno un impero piuttosto pacifico. Strano vero?»
«Già.» poi John indicò un essere che assomigliava ad una grande vespa, completa di antenne e ali,ma che camminava come un essere umano «E quello che diavolo è?»
« È una menoptera, proveniente dal pianeta Vortis. Sono tipi piuttosto tranquilli.»
«E… e quello? Ha la faccia di un cane!»
«È un abitante del pianeta Canius, a qualche centinaia di anni luce da qui»
«Wow!» esclamò John Watson, sinceramente colpito.
«Ma ora smettila» lo rimproverò scherzosamente Sherlock «Non sai che indicare la gente è da maleducati?»
I due si scambiarono un’occhiata e scoppiarono in una fragorosa risata.
 
«Quel tizio con la faccia da cane mi ha fatto venire in mente Baskerville.» ammise John, dopo qualche passo.
«Oh,si. Mi ricordo di quel caso.»
«Eri sconvolto quando pensavi di aver visto il mastino.» John lo fissò negli occhi «Non volevi ammettere che esistesse un essere al di fuori della tua comprensione.»
Sherlock non dovette fare molte deduzioni per capire dove l’amico voleva arrivare.
«Vuoi chiedermi il perché ero così spaventato, tenendo conto che ho visto centinaia di alieni, probabilmente molto più raccapriccianti e spaventosi di un mastino gigante.»
«Esatto.» John deglutì a fatica.
«Non ero spaventato dal mastino in sé.. in quel momento ho avuto la consapevolezza che altri esseri provenienti dallo spazio potessero raggiungere e invadere la Terra.. E che io non ero in grado di combatterli da solo. E non lo sono neanche adesso.»
«Mi dispiace» fu l’inaspettato commento di John.
Sherlock non sapeva cosa dire, l’unica cosa che riuscì ad ammettere fu «Dovevo rimanere a lottare con la mia gente. Non abbandonarli così.»
«Ti stai incolpando inutilmente!» esclamò John, non si rendendosi conto di quanto il fatto bruciasse al suo amico.
«Era il mio popolo, John! Dovevo farlo!» sfuriò Sherlock.
«E così preferivi morire come tutti gli altri?»
Sherlock si ritrovò a scambiare un intenso sguardo con John.
La domanda del biondo non ricevette nessuna risposta, l’unica cosa che Sherlock seppe dire fu «In qualunque caso, questa è l’ultima volta che userò il Tardis. Dopo torneremo immediatamente a casa e non ci rimetteremo più piede.»
«Stai scherzando?»
«Per niente.» rispose innervosito Sherlock.
«Ma potremmo andare in un sacco di luoghi!» cercò di convincerlo l’amico «Immagino che esistono altri posti ancora più incredibili di questo!»
«E anche più pericolosi.» commentò buio Sherlock.
«Il pericolo non è mai stato un mio problema, dovresti saperlo.»
Sherlock sospirò «Già, la tua ex ferita psicosomatica ne è una conferma.. Ma no. Voglio continuare a professare la mia figura di consulente investigativo, non andare in giro senza uno scopo!»
«Non è vero che non hai uno scopo..» mormorò John.
«Ah, si? E quale sarebbe,allora?»
«Beh.. non saprei.. forse controllare che tutto proceda come prescritto?»
«pfui!» sbuffò Sherlock «Questo teoricamente è il compito di un Signore del Tempo. Ma nessuno mi obbliga a farlo!»
John non si azzardò a protestare, aveva capito che l’amico non era dell’umore giusto per affrontare l’argomento.
E forse, pensò John, non lo sarebbe stato mai.
 
«Bene, ora possiamo partire.» disse Sherlock appena chiuse dietro di sé la porta del Tardis.
«Si torna a casa?» domandò John, leggermente affranto.
Gli sarebbe piaciuto da morire fare un altro viaggio nel tempo o nello spazio. Gli erano venute in mente così tante mete ora!
«Si. 21 Novembre 2015, Londra, Baker Street.»
John si ancorò sospirando ad una maniglia e aspettò che il Tardis si rimettesse in moto.
Il ritorno non fu meno traumatico dell’andata, ci fu una scossa prolungata e lo stesso strano rumore di sottofondo, finché tutto si calmò.
«Siamo arrivati.» disse Sherlock «A casa.»
 
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Ed ecco finito anche il secondo capitolo.. Sono andata più soft rispetto al precedente.. Spero di non avervi annoiato!
Ah, le menoptere sono veramente comparse in qualche episodio di Doctor Who. (con il primo, il secondo e il quarto dottore).
Mentre l’altro alieno l’ho inventato io.
 
Qualche commento mi farebbe piacere, anche per sapere se continuare o no questa storia!
 

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