La ragazza nella botola

di Meow_
(/viewuser.php?uid=179511)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I nuovi inquilini ***
Capitolo 2: *** Incubi ***
Capitolo 3: *** Presenze e apparizioni ***



Capitolo 1
*** I nuovi inquilini ***


Capitolo 1

I nuovi inquilini



Mi ricordo che quando avevo più o meno dieci anni, vennero ad abitare nell’appartamento sopra il mio delle strane persone. Non erano strane loro, ma più che altro il loro comportamento. In teoria, la casa era abitata da una ragazza, sicuramente sotto i trent’anni, e da sua figlia, che aveva al massimo un anno.
    Da quando arrivarono, la pace abbandonò il nostro palazzo. C’era un tale via vai di gente, urla, rumore di oggetti che sbattevano, che riuscire a dormire qualche ora per notte era una conquista. Sentivamo spesso i rumori dei passi con delle terribili scarpe col tacco, era un tormento. C’era sempre quel tic-tic in sottofondo, che a lungo andare ti faceva impazzire. Poi, a volte, i passi si interrompevano e si sentiva un tonfo fortissimo.
     Mi dissero che la ragazza era sempre ubriaca, e probabilmente era lei la causa di quei rumori: non riusciva a reggersi in piedi e cadeva. Come madre doveva essere tremenda. Era sempre in uno stato pietoso, mancava da casa per ore. Era inaffidabile, insomma. Però, nei pochi momenti di lucidità, la vedevo uscire insieme alla bambina, andare al parco, farla giocare un po’ e poi tornare a casa. E poi si ubriacava e ricominciavano le stesse cose di sempre. Ma in fondo, credevo che ci tenesse davvero a sua figlia, come d’altronde ogni madre. Purtroppo non sapeva controllarsi, e si riduceva sempre in uno stato pietoso.
      La bambina era pressoché lasciata a se stessa; a volte andava da loro un uomo, non so dirvi se fosse il padre della figlia, il compagno della madre o altro. Dedicava un po’ di tempo alla piccola, sentivo le loro voci dalla mia camera, ma poi anche lui si dava all’alcol. La bambina piangeva a tutte le ore del giorno e della notte, era una cosa incredibile. Ogni giorno, pensavo che a momenti sarebbero arrivati gli assistenti sociali a portarla via. Ma questo non accadde. Gli inquilini della casa affianco, che sentivano come noi tutto quel rumore, erano riusciti a mettersi in contatto con una sorella della ragazza. Le avevano raccontato come andavano le cose e quella si era precipitata da noi.
       Salì le scale in un batter d’occhio e si attaccò al campanello, finché la ragazza non andò ad aprirle dopo dieci minuti buoni. Io e mia madre trattenevamo il fiato, senza fare nessun rumore, per sentire ciò che stava accadendo. Sentimmo delle grida, era la sorella che stava sgridando la ragazza. Poi dei colpi, fortissimi, non capivamo cosa stesse succedendo. La bambina continuava a piangere, poi, ad un certo punto, silenzio. Eravamo così abituati al chiasso che sembrava quasi inverosimile. La bambina aveva smesso di piangere, sembrava un miracolo. Il silenzio continuò per alcune ore, poi sentimmo la porta sbattere e capimmo che la zia se ne stava andando. Il giorno dopo, tutti i soliti rumori ripresero. Mia madre decise che dovevamo fare qualcosa, così salì a casa della ragazza per dirle che lei ogni tanto avrebbe potuto badare a sua figlia.
Ma quando mia madre entrò in quella casa, se ne pentì. Era tutto sottosopra, c’erano oggetti rotti sul pavimento, e poi il peggio del peggio: la ragazza era piena di lividi. Mia madre la guardò spaventata e la ragazza reagì malissimo. La cacciò di casa e le disse di non tornare mai più.
     Mia madre tornò, sconvolta, e mi proibì anche solo di avvicinarmi in quella casa. Capii che aveva avuto veramente paura. Nei giorni seguenti il chiassò diminuì, ma una sera tornò lo stesso di sempre. Quando vidi una macchina fermarsi davanti al nostro cancello, capii che avevano chiamato di nuovo la sorella della ragazza. Andò esattamente come la volta precedende: grida, rumori fortissimi e poi silenzio. Mia madre si tappò le orecchie e iniziò a piangere, non so nemmeno il perché, forse sapeva qualcosa di cui io non ero a conoscenza.
     Come l’altra volta, il silenzio regnò per qualche ora e poi la sorella se ne andò. Da quella volta, la sorella tornava molto spesso, senza il bisogno che qualcuno la chiamasse. Aveva sempre una grande borsa, e posso giurarvi che un giorno vidi una fune uscire da essa. Ero sola in casa, ed ero una bambina troppo curiosa per starmene seduta in disparte e fare finta di niente. Quando fui sicura che la sorella era entrata in casa, senza fare chiasso salii le scale. Con mia grande sorpresa, notai che la porta era socchiusa.
     Cercando di essere il più silenziosa possibile, andai a sbirciare. Vidi una scena terrificante. Per fortuna, la sorella della ragazza mi dava le spalle; mentre la ragazza avrebbe anche potuto vedermi, se non fosse stata ridotta troppo male per farlo. Infatti, capii che era stata pestata a sangue, e sapevo perfettamente chi era stato l’artefice di quel terribile spettacolo. La sorella stava legando e imbavagliando la ragazza, che cercava di liberarsi.
     «Sta’ ferma! Lo capisci come ci si deve comportare? No, no che non lo capisci! Ubriaca! Un’altra volta! Ma cosa devo fare io, eh? Stai gettando fango sulla nostra famiglia, lurida puttana. E quella povera bambina? Finirai per ucciderla, capito? Come hai ucciso la nostra povera madre di crepacuore. Egoista, ecco cosa sei! Ma te lo farò capire io come ci si comporta, ci puoi giurare»

Io ero sotto shock. Avrei dovuto ascoltare mia madre, non mi sarei dovuta avvicinare in quella casa. Ma la mia curiosità era stata troppo grande e ora ne avrei pagato le conseguenze.
Quando la sorella finì di legare la ragazza, le diede un pugno in faccia talmente forte che la fece cadere all’indietro, facendole sbattere la testa. La ragazza ora era svenuta. Improvvisamente fui capace di spiegarmi il perché di quel silenzio miracoloso. Capii anche cosa aveva visto mia madre, la scorsa volta. Sicuramente aveva visto la ragazza tutta piena di lividi e si era spaventata.
     Troppo presa dai miei ragionamenti e dallo spavento, mi lasciai uscire un gemito dalla bocca. La sorella si accorse di me; andò verso la porta e la spalancò, guardandomi con occhi assassini. Io, che ero molto agile, feci dei passi all’indietro.
      «Ragazzina… La vedi quella?» disse, indicando sua sorella. Io annuii, «Se provi a parlarne con qualcuno, farai la stessa fine. Ora sparisci!»
Non me lo feci ripetere due volte. Feci le scale di corsa e mi chiusi in casa mia. Ero sconvolta, terrorizzata. Rimasi per qualche ora a fissare il soffitto, cercando di immaginare cosa stesse succedendo al piano di sopra. Avevo paura che la ragazza morisse, non lo nego. E avevo anche il terrore che la sorella entrasse a casa mia, per mettermi il silenzio per sempre.
      Fortunatamente tornò mia madre. Era allegra, lei. Fece qualche commento sul fatto che ci fosse silenzio, ma io non ci badai. Ero persa nei miei pensieri. Non ascoltai nemmeno una parola di ciò che mia madre stava dicendo, finché non mi chiese: «Si può sapere che cosa ti prende?»
Ero indecisa se raccontarglielo oppure no. Le avevo disobbedito, e questo l’avrebbe fatta adirare, e poi si sarebbe spaventata seriamente per ciò che avevo visto. Magari avrebbe chiamato la polizia. Decisi di non dirle niente, e mi scusai dicendo che ero semplicemente stanca.

La situazione peggiorava. La sorella veniva ogni giorno, anche più di una sola volta. Si sentivano sempre delle urla e dei colpi più forti del normale, e io ero sempre più terrorizzata. Ero convinta che prima o poi l’avrebbe uccisa. Ne ero certa. Un giorno vidi che la sorella portava delle valigie: si stava trasferendo. Adesso, avevo paura giorno e notte, ininterrottamente. Il pericolo era sempre sopra di me, poteva farmi fuori da un momento all’altro. Ma non accadde niente.
      Per giorni ci fu silenzio, come se improvvisamente fossimo tornati indietro nel tempo e la ragazza non vivesse ancora nel nostro palazzo. Dimenticai anche tutto ciò che avevo visto, decisa ad andare avanti. Tutto stava tornando normale. Ma, dopo due settimane, vidi la macchina della sorella sfrecciare via, e capii che qualcosa non andava. Se ne era andata da giorni, ma il silenzio continuava. Scoprii, grazie a qualche vicino di casa pettegolo, che la bambina era stata portata in una casa famiglia o in un posto simile. Ma la ragazza che fine aveva fatto?

La sorella se ne era andata da cinque giorni e nessuno l’aveva più rivista. Sentii una sirena suonare sempre più forte; si stavano avvicinando a casa mia. Poi suonarono il campanello.
      «Polizia, ci apra» dissero. Non capivo, ero spaventata. Perché la polizia voleva me?
Ma non era me che volevano, e nemmeno mia madre. Li sentii salire al piano di sopra e sfondare la porta. Avevo paura e avevo un brutto presentimento. Avevo il terrore che quel presentimento fosse reale. Anzi, ne avevo quasi la certezza.
     Mia madre tornò a casa e, quando vide le macchine della polizia ferme davanti al cancello, si precipitò a casa. Le dissi che erano a casa della ragazza. Quando salii per chiedere spiegazioni, non la fecero entrare.
Restammo in attesa per molto tempo, fino a quando un poliziotto venne a dirci qualcosa. Mia madre mi mandò in camera mia, non voleva che sentissi. Ma la mia curiosità mi portò ad origliare. Il poliziotto disse a mamma che era stata trovata una ragazza morta, ma non feci in tempo a sentire come era stata uccisa, perché iniziai a piangere. Mi sentii in colpa, perché sapevo cosa succedeva e non l’avevo mai raccontato a nessuno. 




Questa fanfiction avrà al massimo 3 capitoli. Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando, anche se fosse una recensione negativa.
Ringrazio chi ha letto questo primo capitolo. Il prossimo sarà al massimo tra una settimana. Ciao a tutti 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Incubi ***


Capitolo 2

Incubi





Nei giorni seguenti scoprimmo un fatto che mi sconvolse particolarmente. La ragazza era stata rinchiusa, viva, dentro un freezer e fatta morire congelata. Una morte orribile, che probabilmente avrebbe potuto evitare se solo io avessi parlato. Questo aumentò sproporzionatamente il mio senso di colpa.
    Quel senso di colpa di accompagnò per diversi anni insieme ad un sogno, e tutt’ora questi vivono in me. Ormai avevo il terrore di addormentarmi, perché non avevo pace, né di giorno, né di notte. Durante la giornata pensavo spesso al fatto accaduto e mi sentivo sempre responsabile; spesso, specialmente quand’ero sola, mi venivano degli attacchi di panico. Mi tornavano alla mente tutti quei ricordi, che, nonostante gli anni passati, erano sempre nitidissimi. Vedevo la povera ragazza che veniva picchiata e legata da sua sorella, vedevo lo sguardo assassino di quest’ultima che mi ordinava di tacere.
    Di notte, invece, facevo sempre lo stesso sogno: era un sogno particolarmente strano, perché apparentemente era privo di senso. Vedevo una ragazza rinchiusa in una specie di botola nel pavimento, ma non riuscivo a vederla in viso poiché la stanza aveva un’illuminazione molto scarsa. Sentivo il suo respiro affannato, come se fosse stata imbavagliata. Cercava di muoversi, ma tutti i suoi sforzi risultavano inutili perché era legata. Poi, arrivava una persona, e anche di quest’ultima io non potevo vedere il viso, perché mi dava le spalle. Questa persona s’inchinava verso la ragazza e le toglieva il bavaglio.
Quest’ultima iniziava ad urlare, chiedendo di essere liberata e dicendo di avere fame e sete. Ma quella persona le dava uno schiaffo e la faceva tacere. In seguito, le passava un piccolo pezzo di pane e un bicchiere d’acqua. Era una quantità di cibo e acqua che a stento garantiva la sopravvivenza. La ragazza chiedeva di più, ma un altro schiaffo prontamente la zittiva; dopo le rimetteva il bavaglio e richiudeva la botola. Il mio sogno finiva lì.
    Puntualmente, mi risvegliavo in un bagno di sudore e ansimante. Mi guardavo intorno, col terrore di essere dentro una botola o dentro la stanza del sogno. Solo dopo un’abbondante manciata di minuti realizzavo di essere nella mia camera e che quello era solo il solito sogno che facevo ogni notte. Nonostante ciò, il senso di ansia persisteva. Mi chiedevo chi potesse essere così crudele da fare una cosa del genere, mi chiedevo chi fossero la ragazza e la persona, e mi chiedevo come mai facessi sempre quello stesso sogno. Avevo qualche sospetto riguardo tutte queste domande, ma mi rifiutavo di crederci.


    La bambina, nel frattempo, era cresciuta. Ora aveva otto anni e viveva ancora nella casa sopra la mia. Sì, la stessa casa dell’omicidio. Nei primi anni successivi alla morte di sua madre era stata affidata a numerose famiglie, perché a quanto pare la ragazza non aveva parenti, oltre a sua sorella. Ma la bambina era sempre triste, chiedeva in continuazione di sua madre e si rifiutava di socializzare con gli altri bambini della sua età. Aveva una situazione seriamente problematica.
    La sorella della ragazza, comunque, era magicamente sparita. Non era stata trovata nessuna traccia di lei, e la polizia, dopo anni di ricerche, aveva archiviato il caso. Non era stato trovato nessun colpevole per la morte della ragazza. Quando la bambina aveva sei anni, fu adottata da una famiglia che accettò di trasferirsi nella vecchia casa della bambina. Lei, ovviamente, non aveva alcun ricordo di quella casa, ma da sempre insisteva per tornarci, come se qualcosa la legasse ad essa.
    Quando mi dissero che sarebbe tornata a vivere in quella casa, mi decisi a fare qualcosa per lei. Mi dissero che era una bambina molto sola, così decisi di farle compagnia. In questo modo il mio senso di colpa pesava un po’ meno del solito; gli incubi, invece, erano sempre gli stessi. Iniziai ad andare da lei ogni pomeriggio, e lei pian piano iniziava a fidarsi di me. Mi parlava di tutto: di quanto le mancasse la madre, del fatto che non riusciva a socializzare con gli altri. Non parlavamo mai di sua madre. Le avevo raccontato che, anche se per poco, l’avevo conosciuta. Dal giorno iniziò a tempestarmi di domande, ma io le rispondevo raramente. Ogni volta che la nominava non riuscivo a guardarla negli occhi, perché dopotutto continuavo a sentirmi responsabile della sua morte.
    A volte, quando ero a casa sua, la sentivo bisbigliare. Pensavo che fosse un suo modo di giocare, ma era strano. Come se stesse conversando con qualcuno, ma io ero più che sicura che nella camera ci fossimo solo io e lei. A lungo andare mi convinsi che si era fatta un amico immaginario, d’altronde non sembrava una cosa strana per una bambina con i suoi problemi.
    Passarono tre anni e io continuavo sempre a passare i pomeriggi con lei, e restavo l’unica persona con la quale lei parlava tranquillamente. Continuava a non avere amici, e il rapporto coi genitori adottivi non era dei migliori. Si sopportavano, ma lei non era mai riuscita ad affezionarsi a loro come dei veri genitori.
    Un giorno, però, accadde un fatto davvero strano. Tanto per cominciare devo dire che da due anni non l’avevo più sentita bisbigliare. È cresciuta, mi ero detta, ormai non è più in età per avere un amico immaginario. Ma quanto mi sbagliavo! Un giorno, entrai in camera sua, mentre lei sembrava immersa in una discussione piuttosto accesa. Da sola. Non fece neppure caso a me, era come in trance. La salutai, ma niente, non mi degnò di uno sguardo.
    «Non è cattiva» la sentii dire, in tono arrabbiato seppur sottovoce.
Poi una pausa, silenzio assoluto.
    «Non voglio che se ne vada»continuò lei. Ancora silenzio.
    «Ti ho detto di no!» disse ancora.
Poi ci fu la cosa più strana che mi era mai capitata. La finestra era chiusa, ma nonostante questo si alzò un vento fortissimo. La bambina continuava a non notarmi e sembrò non notare nemmeno il forte vento. Era incredibile, non riuscivo nemmeno a reggermi. A poco a poco, quel vento mi stava spingendo fuori dalla stanza. Quando fui praticamente fuori, finalmente la bambina mi notò. Non disse nulla, si limitò a guardarmi dispiaciuta. Non avevo idea di cosa stesse succedendo.
    Poi, un attimo dopo, mi ritrovai fuori dalla stanza, e la porta si chiuse bruscamente. Mi avviai velocemente verso il portone di casa, e quando incontrai la madre adottiva della bambina, le dissi che mi ero scordata di avere un appuntamento importante.
In realtà, corsi a casa mia e mi chiusi in camera. Non volevo pensare a quanto era appena accaduto, era un fatto talmente strano che mi metteva angoscia. Pensai che probabilmente ero solo stanca, quindi mi misi a letto, intenzionata a riposarmi un po’. Ma forse, quello fu l’ennesimo errore della giornata. Appena mi addormentai, feci il solito sogno. Stavolta, però, era molto più realistico del solito, tant’è che provai veramente una paura immensa. Ma non era solo quello a essere diverso, stavolta il sogno non s’interruppe nel punto solito. Passò un po’ di tempo in cui non successe nulla; poi, vidi tornare la solita persona, che aprì la botola. Fu una rivelazione sconvolgente. L’illuminazione, ora, era migliore e riuscivo a vedere perfettamente il viso della ragazza nella botola e… era lei. La madre della bambina. L’avevo sempre sospettato, ma mi ero auto convinta che non fosse possibile. Invece ora ne avevo la certezza. La vidi contorcersi per cercare di divincolarsi dalle funi, ma con scarso successo. Poi sentii una voce che, tutt’a un tratto, mi parve familiare. Sentii una lunga risata, sadica, e poi: «Forse, un giorno, capirai come ci si comporta…» e poi un’altra risata. Volevo fare qualcosa, ma come succede nei sogni non si riesce mai a fare nulla. Poi la persona – che ormai avevo riconosciuto come la sorella della ragazza- si inchinò a togliere il bavaglio alla ragazza. Lei cominciò subito a gridare.
    «Sta’ zitta» le disse la sorella.
    «Lasciami… Lasciami…» pregava la ragazza.
Ma la sorella fece un’altra risata e la imbavagliò di nuovo. Poi vidi che si alzò e che andò verso un’altra stanza. Dopo qualche minuto tornò dalla ragazza e, con mia grande sorpresa, la tirò fuori dalla botola. La trascinò verso l’altra stanza, che con mio grande terrore conteneva, tra le altre cose, un freezer enorme.
Tutte le mie peggiori paure si avverarono: la ragazza fu letteralmente lanciata dentro il freezer.
    «Ora ti fai un bel viaggetto qui dentro» disse la sorella, sadica.
Vidi il terrore dipinto sul viso della ragazza. Volevo fuggire, ma al tempo stesso aiutarla, peccato che fossi paralizzata dal terrore. Si sentì il pianto di una bambina e la sorella si diresse verso la stanza da cui proveniva il pianto. Dopo poco, tornò con la bimba in braccio e si avvicinò al freezer.
   «Fai ‘ciao ciao’ alla mamma» disse, con un tono apparentemente dolce ma che trasmetteva molta inquietudine.
La bambina mormorò un lievissimo ‘mamma’, ma in quello stesso momento la sorella sbatté con forza il coperchio del freezer, chiudendovi la ragazza dentro.

    Mi svegliai con un urlo. Mia madre, spaventata, corse in camera mia. Mi chiese cosa fosse successo, ma io non risposi, limitandomi ad abbracciarla mentre piangevo fortissimo.
Passarono diversi giorni, ma io ero caduta come in una specie di depressione. Non mangiavo, non dormivo, pensavo costantemente a ciò che avevo visto. Mi chiedevo se fosse possibile che avessi visto ciò che realmente era accaduto, anche se la maggior parte delle volte mi dicevo che la mente può giocare brutti scherzi. Eppure, era tutto così reale…
Poco a poco mi ripresi, e finalmente tornai a fare visita alla bambina. Non disse niente sulla mia assenza. «Mi dispiace» disse, invece.
    «Per cosa?» le chiesi.
    «È colpa sua se è successo quello» rispose lei. Ero piuttosto confusa.
    «Sua… Di chi?» chiesi.
    «Lei… Lei non ti vuole qui! Gliel’ho detto, gliel’ho spiegato, ma lei non ti vuole!» rispose lei, come se non avesse sentito la mia domanda.
    «Non mi hai risposto: lei chi? Dai, non farmi preoccupare» dissi.
    «Non vuole… Non vuole… È intuile, ci ho provato, ma lei non vuole. Mi dispiace… mi dispiace… Via, vai via! Ora, scappa!» farfugliò lei.
Io continuavo a non capire, ma dal tono di voce e dal suo sguardo, capii che la situazione iniziava a farsi grave. Me ne andai immediatamente, accompagnata dall’eco dei suoi “Scappa, vai via”. 







Ciao a tutti! Spero di non aver deluso le aspettative di nessuno. 
Voglio ringraziare chi ha letto e recensito lo scorso capitolo, grazie mille.
 

Vi chiedo nuovamente di recensire, per favore. Questa è la mia prima esperienza con l'horror, quindi ho bisogno di tutti i vostri pareri e consigli, positivi o negativi che siano. 

Ci vediamo col prossimo capitolo, che sarà l'ultimo. 
Bye! 


facebook - Sofia Meow (basta cliccare sopra)

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Presenze e apparizioni ***


CAPITOLO 3

Presenze e apparizioni







In seguito a ciò che era successo, decisi che dovevo assolutamente parlare con la bambina. Stavano succedendo troppe cose strane e io non capivo più nulla.
   Salii a casa sua, ma sua madre mi disse che forse era meglio che non la vedessi. Mi disse che aveva la febbre altissima e che parlava nel sonno, diceva cose senza senso e aveva le allucinazioni.
   Poteva essere una normale influenza, ma date le circostanze mi sembrò piuttosto sospetta. Chiesi a sua madre se potevo comunque andare a vederla. Lei disse di sì, anche se aveva uno strano sguardo, come terrorizzata.
   Mentre mi avvicinavo alla camera della bambina, sentivo la sua voce, sempre più forte.
   «No… Basta, ti prego… Smettila… Aaah!»urlava.
Erano parole totalmente senza senso, visto che era da sola, ma per me avevano un significato ben preciso.    Sapevo che stava parlando con quella ‘lei’ misteriosa, e chissà perché, sospettavo che fosse lei la causa di quell’improvviso malessere.
   Aprii la porta e la vidi nel letto, aveva la faccia completamente sudata. Quando entrai, smise di urlare all’istante. Anzi, si sollevò dal letto e mi sorrise, come se stesse benissimo.
   «Come ti senti?»chiesi, un po’ perplessa.
   «Benissimo! Mai stata meglio!»rispose lei, nervosamente.
La situazione non mi piaceva per niente. Non mi risultava di essere una santa che guariva le persone, quindi la mia tesi si stava confermando: era stata Lei a procurare quella malattia.
   «Un attimo fa gridavi… Avevi la febbre»dissi.
   «Lo so, ma ora sto bene. Ora che ci sei tu»disse lei, sempre con quel sorrisino nervoso.
   «Cosa vuoi dire?» chiesi.
   «Non c’è tempo. Mi porti al cimitero? Voglio vedere la tomba di mia madre. Non l’ho mai vista» mi chiese lei, che nel frattempo stava già iniziando a prepararsi.
   Acconsentii, nonostante i divieti di sua madre adottiva, secondo la quale doveva assolutamente restare a letto e riposarsi.
   Durante il viaggio per il cimitero nessuna di noi due aprì bocca, ma in compenso lei sembrava felicissima. Ancora mi chiedevo come fosse possibile guarire così in fretta.
   Arrivate al cimitero, stavo per chiedere al custode di indicarci dove fosse la tomba, ma la bambina si diresse velocemente verso di essa, come se conoscesse alla perfezione la strada; eppure mi aveva detto di non esserci mai stata.
   Riuscii a starle dietro con molta fatica, ogni tanto la perdevo di vista e dovevo correre per starle dietro. Quando finalmente la raggiunsi, la trovai seduta sul marmo della tomba mentre accarezzava la foto di sua madre sulla lapide. Stava sussurrando qualcosa, ma non riuscivo a sentirla.
   Mi si riempirono gli occhi di lacrime, e improvvisamente mi ricordai che era tutta colpa mia. Quando la bambina mi vide piangere, mi disse: «Non devi piangere. Non è colpa tua, io glielo dico sempre».
   In quel momento capii tutto. ‘Lei’ era sua madre, quella naturale. Mi diedi mentalmente della stupida perché non l’avevo capito prima; era così ovvio.
   «Perché non me l’hai detto?» chiesi, arrabbiata.
   «Detto cosa?» rispose lei, con quel sorriso snervante e fuori luogo.
   «Che parli con tua madre!»  urlai io.
Lei rimase a bocca aperta.
   «Dimmi perché!» urlai.
Lei non mi rispose, e presa dalla rabbia le diedi uno schiaffo. Forse fu l’errore più grave di tutta la mia vita.    Fino a poco tempo prima era una giornata di sole, tipicamente primaverile, mentre in quel momento si alzò un vento fortissimo, simile a quello che mi aveva spinta fuori dalla sua stanza pochi giorni prima.
   «Sparisci!» mi urlò la bambina, questa volta con rabbia. La sua voce sembrava quella di una persona molto più grande della sua età, ma non avevo tempo per preoccuparmi di quello. Dovevo scappare.

   Da quel giorno non vidi più la bambina. Seppi solo che lei e la sua famiglia si erano trasferiti in una città molto lontana. Mi dispiaceva da morire perché le avevo dato quello schiaffo. Non se lo meritava, lo sapevo benissimo. Aveva già avuto un’infanzia terribile, non doveva sopportare altre sofferenze. Mi dispiaceva non    averle potuto chiedere ‘scusa’ e ora sentivo anche la sua mancanza.
   Per la prima volta dalla morte della ragazza, feci dei sogni diversi. Erano terribili, peggiori del sogno che facevo sempre. Alcune notti vedevo le persone a me care morire, mentre altre notti vedevo le persone a me care che piangevano la mia morte. Era tremendo, sembrava tutto così vero che ogni giorno dovevo accertarmi che fossero tutti vivi.

   Passarono alcuni mesi e della bambina nessuna notizia. Un giorno, insieme a due amici, dovevo salire nella casa affianco a quella che era stata sua, per cambiare una lampadina fulminata. Appena arrivati al piano, ci colpì una cosa: c’era una botola, che fino a qualche giorno prima non era mai esistita. Aveva qualcosa di familiare, ma non ci feci subito caso.
   «E quella da quando esiste?»chiese uno dei miei amici.
Io scossi la testa, me lo chiedevo pure io.
   «Apriamola!»disse l’altro, con entusiasmo.
   «È fuori discussione»risposi io.
   «E perché? Hai paura?»mi chiese, in tono di sfida.
   «No. Semplicemente perché non ne vedo il motivo, e poi è pure chiusa con un lucchetto»risposi.
   «Almeno prova»mi incitò.
Lo mandai mentalmente al diavolo. È vero, avevo paura, perché mi ero ricordata a cosa assomigliava quella botola. Avevo paura di cosa avrei potuto trovarci dentro.
   Mi feci coraggio, salii sulla scala e toccai il lucchetto.
   «È aperto»dissi, col cuore in gola.
   «Avanti, è un segno del destino!»mi spronò il mio amico.
Sì, il destino… Lo pensavo anche io, ma ero tutt’altro che eccitata.
   Con le mani tremanti per la paura afferrai la maniglia della botola e con un atto di estremo coraggio la aprii, pronta a spaventarmi a morte per qualsiasi cosa ci fosse dentro. Fu un attimo, mi si bloccò il cuore per alcuni secondi, come la sensazione di cadere mentre stai dormendo.
   Nella botola non c’era niente, solo vuoto e buio totale. La richiusi di scatto.
   «Andiamocene»dissi, innervosita. Lasciammo perdere la lampadina e le scale, volevo semplicemente andarmene al più presto da lì.


   Qualche giorno dopo, chiesi a mia madre se sapeva qualcosa su quella botola. L’unica risposta che ottenni fu: «Quale botola?»
   Così, decisi di fare un giro per i vari appartamenti del mio palazzo. Dopo ore e ore di ricerche, il risultato fu che ognuno ‘accusava’ un altro inquilino, e in sostanza nessuno sapeva chi avesse fatto mettere quella botola.
   La mia angoscia e la mia ansia non erano mai state così forti; avevo capito perfettamente chi c’era dietro a quella strana apparizione. Mi ero sentita così in colpa per lei, ma ora non provavo più niente, se non un fortissimo odio. Era una persona malvagia, anzi, uno spirito o qualsiasi cosa fosse diventata. Mi stava rendendo la vita un inferno, e anche se in cuor mio sentivo di meritarmelo, non potevo sopportarlo.
   Nonostante la mia paura, un giorno decisi di tornare alla botola. Ero sola, stavolta. Ero curiosa di sapere cosa mi avrebbe fatto, ora che non c’era nessuno oltre me.
   Salii la scala lentamente, tremante di paura. Avrei preferito tornarmene a casa, ma sentivo di doverlo fare. Il lucchetto, come la volta precedente, era aperto.
   Mi assicurai che non stesse salendo nessuno, e una volta accertata di essere sola, afferrai la maniglia. Le mani mi sudavano per la tensione.
   Con uno scatto deciso aprii la botola. La vidi, fu un attimo, ma la vidi nitidamente. Mi fulminò con i suoi occhi spenti, morti. L’espressione era la stessa di quando l’avevo vista in sogno.
   Appena la vidi mi si gelò il sangue nelle vene, mollai la presa e caddi dalle scale. Finii in ospedale, in coma per il trauma cranico causato dalla caduta. Mi risvegliai dopo due settimane, ma non ero più la stessa. Non parlavo più, avevo uno sguardo folle, le mani mi tremavano in continuazione.




Il giorno 27 Aprile 2003 fu trovata una ragazza morta in circostanze misteriose. La polizia indagò sulla sua morte per un tempo lunghissimo, senza mai riuscire a trovare una causa. Effettuarono più volte delle autopsie sul cadavere, ma nessun medico riuscì a spiegare la causa della morte.
   Non si trattava né di un suicidio, né di un omicidio e tantomeno di una morte naturale. Accanto al suo corpo fu ritrovato un piccolo diario, dove è narrata la storia che vi ho appena raccontato. Dal giorno in cui si risvegliò dal coma, la ragazza iniziò a fare strani disegni e scrivere strane frasi. Molti psicologi tentarono di analizzare quelle pagine di diario, ma la ragazza non sembrava soffrire di nessuna particolare patologia.
   Un caso molto simile a questo fu riscontrato in una città a circa 200 km di distanza. La vittima in questione è una ragazzina di appena nove anni, morta nelle stesse circostanze inspiegabili. Anche il suo caso fu analizzato per tanto tempo, ma tutt’oggi le due morti risultano ancora inspiegabili.








Ebbene sì, questa fanfiction è finita! Ringrazio infinitamente tutti quelli che l'hanno seguita, inserita tra preferite/ricordate e anche chi l'ha letta in silenzio!
I ringraziamenti più grandi vanno a coloro che hanno recensito gli scorsi capitoli:
 ObliviateYourMind, Necrysia Noctis
, extraordinharry, Padfoot_Daydreamer, piratessa, Leobubo e GiadaJoestar! 
Ringrazio anche chi ha letto quest'ultimo capitolo e chi magari lo recensirà! Sono molto contenta di com'è andata questa ff, davvero! 

Comunque, ho scritto una nuova storia horror, per chi fosse interessato la trovate qui: Mirrors (basta cliccare sopra) grazie mille a chi passerà :)

Per i fan di Harry Potter, date un'occhiata a questa fanfiction? Sometimes love comes back . Grazie mille :3

facebook - Sofia Meow (basta sempre cliccarci sopra) 


Grazie a tutti, a prestooo ♥ 
Meow_

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1288779