Il canto della luna

di Roxy_Herm_xyz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima ***
Capitolo 2: *** Parte Seconda ***



Capitolo 1
*** Parte prima ***


Storia scritta da Roxy_xyz e Herm735, che vi augurano buona lettura!


Partecipa all'iniziativa AurorGround del gruppo di FB "Cercando chi dà la roba alla Rowling[Team Harry/Hermione]" – Auguri a tutti i settembrini!






Il canto della luna



“Tutti abbiamo sia luce che oscurità, dentro di noi.
Quello che conta è da che parte scegliamo di agire. Questo è quello che siamo.” (Sirius Black)



Il sole doveva essere tramontato da poco; attorno a lei un viola cupo aveva spazzato la serenità di quei colori vivaci che le avevano fatto compagnia quella stessa mattina.
Non si era nemmeno accorta di essersi addormentata, improvvisamente era stata colta da una grande stanchezza e aveva deciso di stendersi sul prato. Amava quel posto perché riusciva sempre a calmarla e anche perché nessuno lo conosceva. Solo lì, aveva la possibilità di rimanere sola.
Tuttavia c’era qualcosa di strano nel paesaggio, come se qualcuno fosse nascosto dietro uno dei tanti cespugli. Una sensazione che l’aveva resa nervosa, spingendola ad alzarsi e allontanarsi in fretta. Aveva mosso solo pochi passi prima di sentire una vibrazione, una specie di scossa talmente violenta da farla cadere in ginocchio. Le sue dita strinsero convulsamente quei fili di erba.
“Hermione.” Un bisbiglio che le fece accapponare la pelle.
Il buio era ormai sceso, riempiendo con prepotenza ogni angolo di luce.
“Hermione.” Ancora, ancora quella voce.
No! Non poteva essere reale e lei doveva smetterla di tormentarsi. Doveva andare avanti, anche se non trovava la forza per farlo, anche se non c’era più un maledetto motivo per farlo.
Un rumore di passi le segnalò che presto avrebbe scoperto l’identità della persona nascosta. Sentì l’avanzare di qualcuno che non cercava di rimanere nel silenzio, di prenderla di sorpresa, anzi sembrava intenzionata a spaventarla.
Quando si girò le sue idee di reale e non reale vennero a cadere.
“Hermione.”
Non poteva essere che un incubo e Hermione sapeva che da quelli non poteva scappare, non da quando questi avevano cominciato a far parte della sua esistenza. Dalla sua bocca non sarebbe uscito alcun urlo, perché l’unica persona che avrebbe potuta salvarla era morta.
Come lei e come la persona che le era davanti.
“Credi di poter ricominciare a vivere? Di meritarlo dopo quello che hai fatto?”
Un boato e la terra tremò ancora sotto i suoi piedi.
Bugie e verità, e lei non sapeva più distinguere le une dalle altre.
“Guardami, Hermione. Oh, quanto sei patetica.” Cominciò a ridere sguaiatamente, senza mai smettere di guardarla in modo crudele. Poteva percepire l’odio che provava nei suoi confronti e sapeva che non l’avrebbe mai lasciata andare. Non prima di averle ricordato gli eventi di quella notte.
“L’hai ucciso, piccola mia. Come ti senti ora che hai ottenuto la tua vendetta?”
Il ghigno divenne feroce, e la sua bocca si aprì scoprendo lunghi e affilati denti che non avrebbero esitato a toglierle la vita. Un balzo e fu davanti a lei, in ginocchio, a imprigionarla sotto la sua morsa.
Hermione provò a gridare con tutte le sue forze, inutilmente perché quella bocca velenosa scese impietosamente su di lei, azzannandola al collo con una disumana violenza.
“Non chiedi aiuto a Harry? Sai, Hermione, dovresti invocare il perdono per quello che hai fatto. O forse non ricordi di essere un'assassina?”
Profondi tagli si aprirono sul petto di Hermione che cercò di divincolarsi in preda alla disperazione, ottenendo come risultato solo le risate della sua avversaria.
“Che fai? Vuoi scappare da…
me? Io e te siamo legate per l’eternità, lo sai. Siamo destinate a soffrire insieme per sempre, per quello che abbiamo fatto. Ricorda, ricorda chi sei e guardami!”
Calde lacrime solcarono il viso sporco di sangue di Hermione mentre obbediva al comando.
Le sue iridi si specchiarono in quelle gemelle della sua nemica.
Perché il suo avversario era lei.
Illusione o sogno?
Hermione sapeva che non poteva cercare rifugio da nessuna parte.
Aveva ucciso, aveva esultato nel farlo e continuava a pagare per le conseguenze del suo gesto.
Un ultimo urlo squarciò il cielo, dopodiché Hermione rimase sola.
E pianse pensando a
lui.

*


Non riusciva a vedere altro che morte.
Tutto intorno a lei, dai più ovvi cadaveri stesi a terra, all'erba calpestata, per finire con la morte meno ovvia di tutte. Quella di chi era ancora vivo, ma aveva il cuore a pezzi.
Camminando nel giardino di quello che un tempo era stato l'unico posto sicuro che avesse al mondo, ora non scorgeva altro che le macerie lasciate dalla guerra. Ecco tutto quello che restava di Hogwarts. Un campo di battaglia.
Si spinse fino ai margini del giardino, l'inizio della foresta, e guardò attraverso gli alberi come se da lì potesse riuscire a scorgere il punto esatto in cui, poche ore prima, Harry era morto.
Era strano il silenzio che si era sovrapposto, nella sua mente, al frastuono della guerra. In un certo senso c'era di nuovo pace in quel luogo. Da allora in poi, sarebbe tornato ad essere un posto sicuro.
Sentì un rumore alle sue spalle, come quello di un ramo spezzato dal passo pesante di un uomo, ma non ebbe occasione di voltarsi.
Prima che potesse rendersene conto, due mani grandi e forti avevano afferrato le sue braccia, premendole contro il suo busto. Un respiro inquieto le sfiorò la pelle della guancia.
“Ciao, ragazzina.”
Riconobbe la voce prima di quanto le sarebbe piaciuto ammettere. Non aveva dimenticato quel tono grave e un po' trascinato. Non c'era riuscita, per quanto avesse tentato. Le capitava, a volte, di percepire la sua presenza, la sua voce, anche se sapeva che lui non c'era. Aveva paura del mostro alle sue spalle, perché sapeva che la sua ferocia e la sua crudeltà erano incontenibili.
“Non è stata una mossa saggia, mettersi tra me e la brunetta.”
Sentì una delle sue mani afferrare la bacchetta nella tasca dei suoi pantaloni e gettarla a terra. Non poteva credere che il karma la punisse per aver salvato Lavanda. Casomai, avrebbe dovuto premiarla.
“Greyback” la sua voce uscì più tremante di quanto avesse programmato. Quasi non si riconobbe.
“Vieni, facciamo due passi, ragazzina” la spinse in avanti, verso la foresta, e non riuscì a capire perché non lo avesse ucciso quando ne aveva avuto l'occasione, o perché non stava ancora gridando.
Così lo fece, più forte che le riuscì, ma una mano le coprì la bocca. Con la forza la fece voltare, per guardarla in faccia, per vedere la sua paura. Non gli avrebbe dato quella soddisfazione.
“Non avere paura, ragazzina. Questo è quello che sei davvero, lo sai? Ti ho scelta, la prima notte che ti ho incontrata, ho capito subito che un giorno saresti stata come me. Sai, licantropi si nasce, se non fossi predisposta alla trasformazione, un mio morso ti ucciderebbe. Ma io lo so, c'è il lupo che risiede dentro di te, lo senti costantemente. Ma dopo, lo senti ancora di più. Ti cambia, ad un livello primordiale, istintivo, che non pensavi possibile. Cambia tutto di te, non solo quando ti trasformi, cambia la persona che sei più di quanto cambi l'animale che è in te. Proverai a combatterla, all'inizio, questa tua forma, ma non ci riuscirai. La vedrai nelle notti di luna piena che viene a prenderti. Ci combatterai, ragazzina, ma perderai. Ogni volta.”
La gettò bruscamente a terra, immobilizzandole le braccia e poi chinandosi su di lei, un sorriso beffardo sulle labbra, il più terribile che Hermione avesse mai visto. Lo colpì con un calcio, forte e ben piazzato, ma appena si fu ripreso dal dolore le immobilizzò anche le gambe con le sue. Era in trappola.
L'avrebbe voluta mordere sul collo, ma non gli piaceva molto. Faceva troppo vampiro. E poi, voleva darle modo di nascondersi, almeno all'inizio. Di lasciar guarire le ferite ed illudersi che il lupo non sarebbe mai arrivato, che avrebbe potuto vincere. Così, quando la trasformazione sarebbe giunta a compimento, la sua disperazione sarebbe stata ancora più profonda.
Sentì i passi, qualcuno urlare il suo nome. Stavano venendo a salvarla. Allungò la mano, finalmente libera, per afferrare una pietra. Ma l'attimo di distrazione del suo predatore non fu abbastanza.
Intercettò il suo braccio e le sorrise di nuovo, azzannandolo in fretta e con decisione.
Hermione urlò, scattando all'indietro. Ma di nuovo il lupo fu su di lei, gli occhi ed il volto ormai quasi irriconoscibili a causa della trasformazione. La morse su una gamba e poi la tirò verso di sé. Guardando la sua dolce preda un'ultima volta, le azzannò il fianco, per essere sicuro che il veleno circolasse in fretta.
Se ne andò il più velocemente possibile, portato via dalla sua corsa agile e molto più veloce di quella di un qualsiasi uomo, sicuro che quella notte non sarebbe stato catturato.
Hermione rimase a terra, immobile, il sangue nelle orecchie.
Sentiva tre punti del suo corpo pulsare. Il braccio sinistro, la gamba destra ed il fianco sinistro. Le facevano male, come se stessero andando a fuoco. Lentamente il bruciore si sparse, e dai morsi raggiunse il suo cuore. Un battito dopo, era ovunque dentro di lei.
Avrebbe voluto muoversi, raffreddare i propri muscoli, ma ne era del tutto incapace. Era immobilizzata a terra. Era come se il suo corpo fosse morto, mentre la sua mente andava a fuoco. E c'era qualcosa, qualcosa che ancora non capiva del tutto, era dentro di lei. Forse, solo forse, lo era in parte sempre stato. Ma adesso era più forte e pericoloso, istintivo, primitivo, la sua rinnovata insistenza premeva per uscire allo scoperto, ma lei non glielo avrebbe permesso. Non avrebbe lasciato il lupo prendere il sopravvento.
Non sapeva ancora che il lupo era più forte di lei.

*


“È una ragazza forte.”
“Sono sicuro che presto aprirà gli occhi e ci rimprovererà perché siamo al suo capezzale, senza fare qualcosa di utile.”
“Non è detto che si trasformi! Guarda me, a parte amare la carne al sangue, sono come voi.”
Voci. Gente che parlava di lei.
Dove si trovava? Cosa era successo?
Cercò di aprire gli occhi, ma senza riuscirvi; sembrava che qualcuno avesse prosciugato le sue forze, impedendole di compiere anche i gesti più semplici.
Aveva sete. E fame. Tanta fame.
Quand’era stata l’ultima volta che aveva mangiato? Cercò di ricordare gli ultimi avvenimenti, di pensare a quello che era successo, ignorando le continue fitte e il bruciore che sentiva ovunque. Era come se il suo corpo stesse andando in fiamme.
Respirò a fondo in modo da rilassarsi: doveva trovare se stessa in mezzo a tutta quella confusione e ricomporre quel puzzle assurdo.
C’era stato l’attacco alla Gringott, poi la corsa verso Hogmeade. Avevano parlato con il fratello di Silente e si erano intrufolati a Hogwarts attraverso quel corridoio segreto. Ariana, sì, il quadro di Ariana era un passaggio... e poi, avevano cercato l’ultimo Horcrux. Aveva baciato… Ron? Sì, sì, l’aveva fatto! E infine la Battaglia.
Ricordò in un istante che Voldemort era morto. Morto! Doveva alzarsi da questo stupido letto e festeggiare insieme a Ron e a Harry.
Dove erano? Perché non sentiva le loro voci?
Mosse le labbra per emettere un suono il più lontanamente simile a un mugolio.
“Hermione?”
Una mano calda le aveva accarezzato i capelli con gentilezza.
“Hermione cara, sono Molly. Mi senti?”
La mamma di Ron! Sì, la sentiva. Perché non riusciva a vederla e a parlarle?
Niente, la sua bocca era arida, la lingua era attaccata al palato e non riusciva a chiedere aiuto.
“Harry! Ron! Presto, venite qua.”
Una porta che si apriva e passi rapidi che si avvicinavano sempre di più; sentì una corrente provenire da sinistra e un odore forte, pungente. Ferro. Era sangue. Ma chi era ferito? Forse lei, forse per questo non riusciva a muoversi e a pensare lucidamente. O magari si trovava in Infermeria insieme ad altri feriti.
“Hermione, siamo qui. Non temere, non sei sola.”
Sentì qualcosa di umido sulla fronte, due labbra calde, rassicuranti, si posarono su di lei, invitandola a dormire e a non lottare.
Improvvisamente, ebbe la certezza di essere al sicuro, e non era la consapevolezza che tutto era finito, che Voldemort era morto, quanto la sensazione di tranquillità che Harry le aveva trasmesso con un semplice bacio.
Tutto era finito.
Poteva dormire.

*


La prima cosa che vide quando aprì gli occhi furono i seni di Madama Chips. Era sopra di lei, mentre cercava di lavarla, ed era stata proprio quello a svegliarla. Aveva sentito qualcuno massaggiarla con qualcosa di fresco, di bagnato, e lei aveva sorriso beata.
Si era accorta improvvisamente di essere più forte, perché una volta tentato di aprire gli occhi, ci era riuscita tranquillamente. Quanto tempo era passato?
Madama Chips le aveva sollevato la veste e aveva cominciato a lavarle le gambe.
“Mmh.”
La donna si fermò subito, ed emise un gridolino di felicità quando vide gli occhi aperti e vigili della sua paziente, nonché ex alunna.
“Signorina Granger!”
Hermione cercò con lo sguardo di farle capire di cosa avesse bisogno. Acqua. Ne voleva tanta.
Anche quel semplice mugolio le era costato tanto.
La vide dirigersi verso una bacinella e immergervi un fazzoletto di tessuto. Le bagnò le labbra aride dandole un po’ di sollievo, per poi darle finalmente quello che agognava. Fu così ingorda che le andò di traverso, cominciando a tossire dopo qualche sorso, però si sentì come nuova, rigenerata.
“Come si sente?” le aveva chiesto.
“Meglio.” Ed era vero.
“Ci stavamo preoccupando, lo sa? Ha dormito per quattro giorni di fila” le aveva rivelato, sconvolgendola. Com’era possibile? Forse era stato per via di tutta la stanchezza accumulata, o il fatto di aver passato parecchi mesi senza riuscire a riposarsi davvero. E come poteva del resto? Guardava Harry e riusciva a percepire la sua angoscia, e lei aveva cercato in tutti i modi di essergli sempre vicina, di non lasciarlo mai solo. Perché era Harry e non era giusto che solo lui portasse tutto il peso della Guerra sulle spalle. In due ce la potevano fare, ne era certa.
“Harry?”
“Glielo chiamo subito, sarà contento di vederla sveglia. Non sa quanto è stato in pensiero per lei.”
Le aveva rivolto un ultimo sorriso, dopodiché era uscita dall’Infermeria, ansiosa di comunicare agli altri la buona notizia.
Con le mani Hermione aveva cercato di capire quanto le sue ferite fossero gravi; appena le sue dita sfiorarono il fianco non riuscì a trattenere però una smorfia di dolore. Si sentì bruciare. E sprofondare, quando per un eccesso di curiosità aveva scostato le bende, guardando per la prima volta la ferita: sembrava fresca e aveva una strana forma, insolita. Come se…
“Hermione!”
Alzò lo sguardo e vide un Harry trafelato correre verso di lei. Dio, quanto le era mancato!
Non volle trattenere lacrime di gioia quando l’abbracciò, perché quei giorni, quei momenti in cui non riusciva ad agire, a chiamarlo, e un qualcosa aveva cercato di trattenerla in quel dannato letto, lei si era sentita persa. In trappola. La sua unica consolazione era sapere che Harry era lì e che non l’avrebbe mai lasciata sola, perché era testardo e lei contava proprio su quello.
“Come ti senti?”
“Come se un camion mi avesse investita.”
“Ricordi quello che è successo, Hermione?”
“Oh sì, Harry! Ce l’hai fatta, l’hai sconfitto.” Era felice come non le succedeva da tanto tempo, per lei, per tutti quelli che avrebbero dovuto riprendere a vivere, ma soprattutto per Harry perché per la prima volta avrebbe cercato di vivere senza la paura di un mostro. Era libero. Lo erano tutti.
“E poi? Non ricordi come ti sei procurata quelle ferite?”
Hermione guardò il suo migliore amico e vide un’ombra di dubbio, come se avesse paura a rivelarle qualcosa. Guardò ancora una volta le bende, ma non riuscì a rammentare nulla.
Perché Harry la guardava come se avesse pietà di lei?
“È tutto così confuso… aiutami tu.”
Un attimo di incertezza e poi il suo migliore amico aveva cominciato a raccontarle tutto quello che era successo subito dopo la caduta di Voldemort. Erano tutti stremati e la maggior parte degli studenti aveva cercato di aiutare i feriti, rendendosi utili in qualche modo. Loro, il trio, si erano allontananti per recarsi nell’ufficio di Silente e avevano parlato con lui, o meglio con il suo quadro, dei Doni della Morte e Harry aveva preso la decisione più difficile, ma anche quella più saggia. Non aveva bisogno di una bacchetta più potente, perché tutto quello che desiderava era lì, al suo fianco. Aveva avuto fama quando non l’aveva chiesta, e ora non voleva neanche l’imbattibilità. No, lui voleva solo vivere con i suoi migliori amici. In pace. Per questo, aveva afferrato la bacchetta di Sambuco e l’aveva distrutta, spezzata in due, sotto lo sguardo pieno di stupore di Ron. E poi si erano separati, Ron era andato dai suoi familiari, ancora sconvolti per la morte di Fred, mentre Harry era andato ad aiutare Neville.
Hermione era uscita dal Castello e si era diretta verso i margini della Foresta, ed era successo qualcosa che nessuno si era aspettato. I Mangiamorte sopravvissuti erano scappati e lei, ingenuamente, si era sentita protetta. Era a Hogwarts, no?
E invece era stata attaccata da Greyback, il lupo mannaro che aveva trasformato Remus Lupin, l’essere spietato che godeva nell’infliggere dolore ai più deboli.
L’aveva morsa: il braccio sinistro, la gamba destra ed il fianco sinistro bruciavano; le ferite sembravano non essere guarite per nulla dopo quattro giorni e dopo l’uso della magia.
Sentiva la carne pulsare e strapparle gemiti di dolore.
“Hermione?”
Improvvisamente tutto divenne nero e la voce di Harry sempre più distante.
Era stata morsa da un lupo mannaro.
Cosa sarebbe diventata?
E poi cadde, sempre più giù, sempre più lontana dai suoi amici.

*


Stava percorrendo cauta il corridoio che l’avrebbe portata nella Sala Grande, sentiva l’esigenza di vedere i luoghi più cari della sua scuola, e a quell’ora di notte avrebbe potuto muoversi con più facilità. Era passata una settimana dal suo risveglio e, a parte una leggera zoppìa, si era ripresa perfettamente; persino le ferite dovute ai morsi erano quasi del tutto guarite.
Doveva essere molto tardi, perché non c’era nessuno in giro e l’ambiente sembrava essere in una specie di bolla. Come in un flashback, Hermione si rivide correre e raggiungere Ron e Harry, scherzare con loro e progettare nuovi modi per infrangere le regole.
Finì inghiottita in quei ricordi e, come una sonnambula, si sedette vicino alla piccola Hermione per ascoltare le loro conversazioni. Sorrise perché ricordava quei momenti come se fossero successi solo qualche ora prima, quando invece erano ricordi del primo anno insieme.
Quanto erano stati cocciuti nel ritenere il professore Piton colpevole di voler rubare la Pietra Filosofale!
Guardando se stessa si ritrovò a ridere perché, nonostante sgridasse i suoi migliori amici, era sempre a loro fianco. Era davvero buffa e anche un po’ troppo saputella a quei tempi. Certo, lo era ancora e non avrebbe mai smesso di esserlo, ma riusciva a malapena a sopportare la sua versione undicenne. All’ennesimo rimprovero nei confronti di Ron, Hermione si ritrovò a roteare gli occhi al culmine dell’esasperazione.
Poi, di colpo la scena cambiò: davanti a lei c’era una Hermione più adulta, china sui libri, intenta a rosicchiare una matita.
Fu quando questa alzò lo sguardo e le sorrise che percepì qualcosa di strano.
“Hai fame?”
Sbatté le ciglia incredula. Stava proprio parlando con lei.
“Mangia” le disse, facendo segno di approfittare del cibo apparso magicamente davanti a lei.
Incredula, Hermione vide che le lunghe tavolate erano tutte apparecchiate. Il suo stomaco cominciò a brontolare, suggerendole di riempire quell’enorme buco. Afferrò le posate e tagliò la carne, facendo uscire un po’ di sangue; era cruda, ma la cosa non sembrò turbarla minimamente. Assaporò quel sapore forte, delizioso, e si sentì più forte, come non le succedeva da tempo, e la fame anziché diminuire continuò ad aumentare.
Alzò lo sguardo e vide la sua versione più giovane rivolgerle un ghigno prima di afferrare il suo pasto. Con orrore, seguì i suoi movimenti, mentre questa afferrava una mano e strappava da essa un lembo di carne, aiutandosi con i denti affilati, non umani.
Disgustata, fece cadere le posate, e il tintinnio echeggiò nella Sala Comune.
“Non ti piace più?”
Fu allora che vide il suo piatto: identico a quello dell’altra Hermione, mentre una fila di cadaveri occupava il pavimento freddo della Sala.
Un fiotto di bile le salì in gola. Cosa aveva mangiato?
“Devi nutrirti, tra un po’ sarà il tuo momento. Guarda fuori dalla finestra.”
Si alzò di scatto per uscire dalla Sala, con il cuore il gola si ritrovò a fissare una luna piena. Rossa come il sangue che aveva gustato poco prima.
Sentì le ferite riaprirsi e vide con orrore le bende impregnarsi, macchiarsi.
E qualcuno ululò. Lei.
Si svegliò di soprassalto, la camicia da notte era diventata come una seconda pelle e un leggero tremore percorreva le sue braccia.
Era stato un sogno, un terribile incubo con fattezze così reali da lasciarla terrorizzata, perché era la dimostrazione di tutto quello che aveva pensato e temuto in quei giorni.
Non mancava molto alla luna piena e lei doveva andare via.
Perché i corpi che aveva visto e di cui si era cibata nel sogno erano quelli dei suoi migliori amici.

*


“Cosa stai facendo?”
Harry aveva visto il nome della sua amica nella Mappa del Malandrino, ma quando aveva notato che non si trovava in Infermeria, bensì nei Sotterranei, si era alzato di scatto dal letto.
Per giorni non aveva fatto altro che controllare le sue mosse, perché temeva che Hermione scappasse per la paura di quello che sarebbe potuta diventare. La conosceva troppo bene, e infatti non si stupì quando la vide frugare tra le dispense del loro ex Professore di Pozioni.
“Nulla che ti interessi.” Era stata la sua risposta fredda e ostile.
“Tutto ciò che ti riguarda mi interessa, vorrei che lo capissi.”
“Non devi preoccuparti per me.”
“Sai bene che lo farò sempre.” Si era avvicinato e le aveva afferrato le mani in una presa dolce e gentile. “Non farlo, non scappare dai tuoi amici.”
“Se resto qui sarete a voi scappare.”
“Hermione…”
“No, Harry, sai bene che ho ragione.” Aveva chiuso gli occhi, perché non voleva guardare il suo migliore amico, non voleva affrontare il suo sguardo.
“No, invece! Io ti conosco, e so che non mi farai mai del male.” Le aveva lasciato le mani, per accarezzarle il viso e Hermione non poté reprimere un brivido.
“Quando accadrà… quando io mi trasformerò non riconoscerò nessuno, lo sai bene anche tu. Il professor Lupin non esitò ad attaccarci quella notte di tanti anni fa e farò così anche io. Ti prego, Harry. Non voglio uccidervi.”
L’aveva detto, gli aveva confessato la sua più grande paura.
“Pochi giorni fa, proprio in questa scuola mi chiedesti di venire con me. Ora sono io a proportelo, Hermione. Lascia che io possa aiutarti.”
Si era allontanata di scatto e aveva preso gli ultimi ingredienti per la Pozione di cui aveva bisogno, dopodiché aveva abbracciato Harry, aggrappandosi a lui e alla sua amicizia.
“Stupeficium” pronunciò l’incantesimo, reprimendo i suoi sensi di colpa.
Lo faceva per lui.
Non sarebbe mai diventata un’assassina.





Un doveroso grazie va a Bea che ha betato la storia in tempo record! Grazie da entrambe, e W i congiuntivi!
Allora, questa era la prima parte...la seconda arriverà (pensiamo domenica) e terminerà la storia.

Nel frattempo aspettiamo di sapere cosa ne pensate, un saluto e a presto!

Roxy e Herm



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Capitolo 2
*** Parte Seconda ***







Il canto della luna

#Parte Seconda




Era sola.
Certo, era stata sola altre volte, ma non si era mai sentita così lontana dal resto del mondo come le stava invece succedendo da quando si era lasciata tutto alle spalle.
Aveva fatto quello che doveva, prendendo le distanze dai suoi amici. Non poteva fare del male a qualcuno di loro, il peso di una tale atrocità l'avrebbe schiacciata fino ad ucciderla lentamente. Stava facendo quello che doveva, ecco cosa si ripeteva ogni giorno.
Ormai le sembrava di parlare come Harry, il ragazzo che voleva andarsene per proteggere i suoi amici perché pensava che le loro vite sarebbero state in pericolo se fosse rimasto. Ma loro glielo avevano impedito, lei glielo aveva impedito, perché al tempo non riusciva ad immaginare una vita senza di lui. Non che ora fosse semplice. Ma non avrebbe rischiato la vita di Harry e degli altri solo perché senza di loro era infelice.
Questo era il suo peso da portare. Harry per anni aveva avuto il proprio, ora doveva farsi forza e continuare a testa alta, perché era il suo turno.
Così era andata via, quella stessa notte, senza salutare nessuno ed aveva cercato di guardarsi indietro il meno possibile. Ma non sempre era facile.
Si era tenuta lontano dalla comunità magica, perché sapeva che alcuni sarebbero stati in grado di riconoscere i segni della sua trasformazione, aveva iniziato a nascondersi tra la gente. Era tornata nel mondo in cui era nata, quello Babbano, ma adesso lo percepiva solo come uno dei tanti posti a cui non apparteneva.
Non poteva essere se stessa. Beh, non lo era più, ormai. Qualcosa era cambiato.
“Il lupo risiede dentro di te.”
Ripensò alle parole dell'uomo che aveva segnato la sua condanna, sentendo immediatamente un moto di rabbia alzarsi dal profondo di sé. Lei non lo aveva voluto. Non c'era proprio un bel niente dentro di lei, altrimenti non se ne sarebbe andata via, isolandosi il più possibile e mantenendo un contatto con altri esseri umani solo per ciò che era strettamente necessario.
Lei non era un mostro. E non era un'assassina.
Certo, la trasformazione l'aveva cambiata. Si sentiva cambiata.
I suoi sensi erano molto più sviluppati, in particolare quello dell'olfatto, i suoi movimenti erano più agili, ma allo stesso tempo più faticosi. Si sentiva sempre affaticata, anche appena sveglia, a causa dell'assenza della luna piena, ciò che era diventata la fonte della sua forza. Ma anche nei giorni di luna piena, ogni mattina si svegliava stremata. Passava intere notti a combattere contro quelle catene che si era imposta nel tentativo di tenere a bada quegli istinti che ancora non sapeva come controllare.
Sognava di tornare a vivere, Hermione.
Un giorno, non sapeva quando, ma sospettava che non sarebbe arrivato molto presto, avrebbe imparato a dominare quella...quella cosa. E sarebbe potuta tornare a vivere, tornare indietro, da Ron, Ginny, Luna, Harry. Harry.
L'ultima volta che l'aveva visto era svenuto in un seminterrato. Ed era stata lei a metterlo al tappeto con un incantesimo.
Le mancava la sua vita, le mancavano i suoi amici e le mancava il sogno di un futuro che si era sgretolato proprio davanti ai suoi occhi. In un attimo era cambiato tutto. Per sempre.
Quella casa in periferia, quei due – forse tre – figli, quel lavoro per il Ministero della Magia, tutto ciò che aveva pianificato si era frantumato tra le sue mani. Il futuro che aveva in mente nei minimi dettagli era finito ancora prima di poter iniziare davvero.
Non era riuscita a parlare con Ron, ad affrontare l’argomento che premeva a entrambi; aveva aspettato quel bacio per così tanto tempo e alla fine non era riuscita a godere della pienezza di quel gesto. Tempo, Tempo, maledetto Tempo. Un momento prima era in compagnia dei suoi migliori amici, era lì che sorrideva a Ron, mentre la sua mente fantasiosa immaginava un futuro sereno al suo fianco, e un attimo dopo era scomparso tutto. E lei non poteva essere così egoista da chiedere a Ron di seguirla, di rischiare la vita per lei, non dopo che la Guerra gli aveva portato via Fred, non dopo tutto il dolore che aveva sopportato.
Quella notte doveva finire tutto. La guerra. Il male. Il dolore. Ma, invece, si era rivelata essere l'inizio della sua condanna, e Hermione avrebbe proseguito da sola, troppo codarda per condividere le sue paure con le persona a lei più care, troppo buona per impedire a loro di iniziare una nuova vita, anche se questo voleva dire andare avanti da sola.
Come aveva fatto per i due mesi precedenti, alla fine di quella settimana ripose le poche cose che aveva usato dentro la piccola borsa incantata che si portava dietro ormai da quasi un anno, partendo di nuovo per un posto sconosciuto, che per sette giorni sarebbe stato per lei una casa.
Casa.
Come avrebbe voluto poter avere un posto, uno soltanto, al sicuro da tutto, da poter ancora chiamare così.


*


La trovò in meno tempo di quello che aveva pensato. La conosceva troppo bene e lei non era stata abbastanza prudente, quando aveva deciso di usare alcuni dei luoghi in cui erano già stati in precedenza.
Comunque, Harry la trovò in quattro mesi e diciassette giorni.
“Carino da parte tua lasciarmi svenuto in un seminterrato.”
Quando si voltò, vedendolo in piedi accanto alla tenda da cui era appena uscita, per un attimo pensò che fosse stato solo un brutto sogno. Pensò che forse stavano ancora cercando gli Horcrux e che quella terribile notte ed i mesi che ne erano seguiti non fossero altro che un incubo. Ma poi ricordò l'altra cosa che era successa quello stesso giorno, la morte di Voldemort. Ecco, quella non poteva essersela immaginata. Neanche il suo subconscio avrebbe mai potuto sperare tanto. Erano vivi, stavano bene e il male non era che un lontano ricordo per tutte le persone con cui lo aveva condiviso. Eccetto lei.
Il secondo pensiero, fu che stesse, al contrario, sognando in quel preciso momento. Che quella davanti ai suoi occhi fosse una specie di visione. Ma poi si rese conto che la sua mente da sola non sarebbe mai stata in grado di riprodurre un'immagine del suo migliore amico così accurata e perfetta.
“Harry” il suo nome uscì in un soffio dalle sue labbra. Poi si riprese, scuotendo la testa e schiarendosi la voce. “Ti avrei portato in infermeria, ma non sono riuscita a sollevarti.”
Lui annuì, un sopracciglio alzato.
“L'avevo immaginato” ritorse ironicamente.
Senza un'altra parola, le si avvicinò avvolgendola tra le braccia.
Hermione chiuse gli occhi, ritrovando in quel momento quella sensazione che le sembrava di aver perduto. Di caldo, di sicurezza, di affetto. Come se fosse a casa.
Si allontanò lentamente, pensando che quello che aveva appena avuto non era un pensiero appropriato. Harry stava con Ginny, quasi sicuramente, ormai. E se ancora non erano tornati insieme, presto lo avrebbero fatto.
“Mi sei mancata” la sua voce dolce la distrasse da quella linea di pensieri.
Alzò lo sguardo dal terreno, incontrando quello dolce di Harry, che le rivolse un sorriso mentre con una mano le sfiorava i capelli ed il viso.
“Non sei cambiata per niente.”
“Sono passati solo pochi mesi” ritorse, distogliendo di nuovo lo sguardo. “Pensavi di trovarmi invecchiata?”
“Un po'” scherzò. “E più stanca, forse. Invece sei forte come sempre.”
“Devo esserlo.” A Harry non sfuggì la nota amara nella sua voce. “Sono sola da adesso in poi. La mia non è una strada progettata per più persone, ma un cammino che va intrapreso in modo solitario.”
“Ora parli come me, Hermione.”
“Me ne sono accorta” scherzò. Accennò un sorriso, che però ben presto scomparve, sopraffatto dalla preoccupazione. “Devi andartene via, Harry. Non puoi rimanere qui.”
Scosse la testa con decisione.
“Io non ti lascio da sola. Non lo farò.”
“Così mi costringi a farti un altro incantesimo” lo avvertì lei, sempre in tono scherzoso.
“Ti sei convinta che nessuno possa aiutarti, ma non è così. Io posso starti vicino. Posso aiutarti a capire come controllarlo.”
“Non è una cosa che può essere controllata” gli rispose con una piccola scintilla di esasperazione nella voce. “E non posso tornare tra la gente, Harry. Non posso rischiare. Non voglio essere come lui, non voglio che le mie mani siano sporche di sangue innocente, non voglio uccidere.”
“E allora non torneremo tra la gente. Rimarremo qui.”
Sempre testardo, il suo Harry. Proprio come se lo ricordava.
“Il tuo posto non è qui. È tra la gente, accanto ai tuoi – ai nostri – amici” si corresse. “E accanto a Ginny” aggiunse in un sussurro.
“Non sta a te decidere per me. Proprio come io non sono riuscito a farti rimanere al sicuro quando ero al tuo posto e non volevo nessuno accanto. Tu non mi hai ascoltato, mi sei rimasta vicina anche quando ero troppo testardo per ammettere che non potevo farcela da solo. E sai una cosa? Non ce l'avrei fatta. Non senza di voi. Non senza di te.”
Le prese le mani tra le sue con gentilezza.
“Non puoi farcela da sola, Hermione. Non questa volta. È una cosa troppo grande.”
“Adesso sei tu che parli come me.”
Si scambiarono un sorriso complice, guardandosi negli occhi come facevano solo l'uno con l'altra e capendosi al volo come succedeva ogni volta.
“Sei la mia migliore amica. Io rimango con te” concluse con risolutezza Harry, usando un tono che non ammetteva repliche.


*


“Ne sei sicura?”
“Te l'ho detto, Harry. Non è la prima volta che lo faccio.”
“Voglio solo essere sicuro che non ti farai male.”
“Starò bene, non preoccuparti.”
Quella sera ci sarebbe stata la luna piena. Per tre sere al mese, ogni mese, tornava nello stesso posto, quel giardino lontano da tutti che solo lei conosceva. Nessuno poteva trovarla lì. Nessuno sarebbe mai stato in grado di raggiungere quel posto se non fosse stato lei a condurcelo personalmente ogni singola volta.
Aveva scelto un albero grande, robusto, il tronco largo e le foglie lucenti. Era il suo preferito, fin dalla prima volta in cui lo aveva visto.
Con la magia aveva avvolto attorno al tronco due grandi fasce di metallo a circa un metro di distanza l'una dall'altra. Ad ogni fascia, saldamente fissata all'albero, erano appese due catene. Usava le quelle più in basso per le caviglie, mentre si legava quelle in alto ai polsi.
“Tutto questo non è necessario, lo sai. Nessuno può entrare qui, o uscire da qui, senza che tu usi la magia. Quando ti trasformi non sei in grado di pensare razionalmente, figuriamoci tenere in mano una bacchetta e fare un incantesimo.”
“Non voglio correre rischi. Potrei agire d'istinto, trovare la bacchetta e desiderare così fortemente di essere libera da riuscire a sciogliere l'incantesimo semplicemente agitandola tra i denti. Starò bene Harry, non devi preoccuparti. Ho qui tutto ciò che mi serve e ti rivedrò tra meno di tre giorni.”
Il mago, seppur con riluttanza, annuì e decise di assecondare la volontà della sua migliore amica. “Adesso ti aiuto ad andartene da qui, poi torno all'albero.”
Lo accompagnò all'estremità di ingresso del giardino, sciogliendo l'incantesimo di protezione ai cancelli e salutandolo con un abbraccio. Lo guardò andar via, nascose la bacchetta in un posto sicuro e poi tornò verso le catene che, anche quella notte, l'avrebbero protetta da se stessa.
Chiuse gli occhi quando vide il sole tramontare, solo per un secondo. Ma un secondo fu abbastanza, perché quando li riaprì tutto ciò che prima era intorno a lei era cambiato.
Sentiva odori che prima non riusciva a percepire e nonostante quasi non ci fosse più luce riusciva a vedere in modo nitido tutto ciò che la circondava.
Stava succedendo.
Lo capiva perché aveva iniziato a sentire quella sensazione acuta allo stomaco. Aveva fame. No, non era corretto. Aveva più fame del solito.
Nonostante fosse ancora in piena fase di negazione, nemmeno lei poteva ignorare il fatto che quello che le stava succedendo andasse ben oltre le tre notti al mese che passava confinata in un giardino che lei stessa aveva creato per contenere ciò che risiedeva dentro di lei. La verità era che la creatura la accompagnava ovunque andasse, in qualsiasi momento. Se sentiva l'odore del sangue, il suo primo istinto era quello di seguirne le tracce fino a raggiungerne la fonte. Ne aveva bisogno, proprio come aveva bisogno di bere. Calmava i propri sensi seguendo una dieta ricca di carne cotta al sangue. Ma era impossibile ignorare quel bisogno totalmente. Qualcosa in lei era mutato.
“Hermione.”
Quella voce. La conosceva bene.
“Adesso è il momento, devi svegliarti. Devi aprire gli occhi e svegliarti, in modo che possa svegliarmi anche io.”
Serrò gli occhi, cercando di scacciare quella voce.
Non voleva ascoltarla, non voleva lasciare che la creatura vincesse. Non voleva arrendersi. Lei era una persona forte. Lei era Hermione.
“Hermione.”
Ma adesso Hermione era spaccata in due. Quale delle due metà era davvero lei? Non sapeva più neanche cosa pensare di se stessa.
Così le capitava, molto spesso, di pensare alle parole che Greyback le aveva detto quella notte. Non si sentiva scelta, né destinata. Era nel posto sbagliato al momento sbagliato e quello che era successo era stato un... un incidente. Ecco. Niente di più.
“ Ti stai facendo tutto questo da sola, Hermione.”
Eppure si sentiva sporca. Come se avesse potuto fare di più per evitarlo. Come se una parte di lei non avesse combattuto abbastanza, come se in un certo senso...
“Hermione, guardami.”
...come se lo avesse voluto.
Strinse di più gli occhi e si sentì più affaticata del solito, mentre ancora una volta combatteva contro il proprio istinto.
Non era una stupida. E si vantava per l'impegno che metteva nello studio. Sapeva che la maggior parte dei lupi mannari lo erano diventati per scelta. Lupin era un'eccezione. E lei? Se lo era chiesto molto spesso. Certo, non aveva eseguito un rituale, non aveva sacrificato la propria anima per dei poteri sovrumani, né aveva fatto qualcosa di stupido come dare la caccia ad un licantropo.
Razionalmente, chiunque sarebbe stato in grado di affermare che non era stata colpa sua, la trasformazione. Eppure, eppure c'era una parte di lei che le ricordava insistentemente che la verità era che quel mostro aveva ragione. Senza la predisposizione ad essere un licantropo, chi viene morso non si trasforma. Muore.
Lei non era morta, però.
“Apri gli occhi” la voce era più insistente. Più vicina. Era accanto al suo orecchio, sul suo collo, dentro la sua testa.
Lei, per metà, era ancora la persona che era sempre stata. Ma c'era anche quella creatura che, per quanto odiasse ammetterlo, ormai faceva parte della sua vita. Le due metà non potevano più essere divise. Lei era entrambe.
Aprì gli occhi, osservando la luminosità della luna mentre un ululato assordante riecheggiava nel luogo in cui si trovava.
Era un ululato strano, quasi sofferente. Lo avrebbe riconosciuto ovunque, e non solo perché era la sua voce, ma anche perché lo aveva letto sul libro di Difesa Contro le Arti Oscure e, a suo tempo, vi aveva fatto uno studio approfondito, perché lo aveva riconosciuto anche quando aveva incrociato il professor Lupin nella foresta, durante il suo terzo anno.
Era il grido di qualcuno che aveva fame di carne e sangue.


*


Quando aprì di nuovo gli occhi, si sentiva a pezzi. Come se un enorme camion l'avesse investita ripetutamente.
Tre notti di luna piena le facevano quell'effetto di recente.
Già i primi due risvegli erano stati traumatici, ma quello fu di gran lunga il peggiore, almeno per quel mese. Aveva lottato duramente per liberarsi dalle catene. I polsi e le caviglie erano arrossati, gonfi e pieni di graffi e sbucciature. Aveva un livido enorme su un ginocchio e, a giudicare dal dolore, una delle sue costole si era incrinata.
Sospirando afferrò la piccola chiave dei lucchetti che la tenevano ferma. Una chiave così piccola che gli artigli di un lupo non sarebbero mai stati in grado di maneggiarla. Si liberò, guardando poi in basso, osservando i vestiti completamente stracciati che aveva addosso. Un altro sospirò uscì dalle sue labbra mentre si dirigeva verso il posto in cui aveva riposto la bacchetta, sentendosi in imbarazzo ad andarsene in giro per un giardino praticamente indossando solo biancheria intima, nonostante sapesse bene che nessun altro era lì.
La sua dignità era a pezzi.
“Ti stai facendo tutto questo da sola, Hermione” le aveva per tre notti ricordato, ancora una volta, quella simpatica voce dentro la sua testa. “Sei come un animale, incatenata, in gabbia, senza una via di fuga. Non sei libera. E l'unica persona che puoi biasimare per questo sei tu.”
Aveva cercato di non ascoltare, ma era la verità.
Era diventata un animale, troppo pericolosa per essere lasciata in libertà, costretta a delle catene dalla sua stessa responsabilità.
Aveva perso la libertà, la vita di prima non era che un ricordo, i suoi amici, la sua famiglia, i suoi genitori. Aveva perso tutto.
E c'era una sola persona da incolpare per quello che le era successo.
Fenrir Greyback.


*


Non era stato semplice trovarlo. Non era stato semplice affatto, perché un uomo come lui, con i sensi affinati di un lupo, aveva conoscenze e mezzi per nascondersi molto bene quando l'occasione lo richiedeva. Ma, nonostante questo, l'aveva trovato, alla fine. Per questo era sicuro che anche Hermione ci sarebbe riuscita prima o poi.
L'uomo non era più come Harry se lo ricordava. Beh, non era più molto un uomo, ma lo era stato sempre poco e solo in rare occasioni.
Adesso però, da quando Voldemort era caduto, sembrava ancora meno umano. Aveva smesso di passare troppo tempo in mezzo alla gente, perché perfino lui aveva delle regole. Nonostante la più importante rimanesse sempre la stessa, la più spietata – mordili quando sono bambini, crescili come lupi – una di uguale importanza era quella di non lasciarsi mai scoprire dagli umani. La magia era un segreto ed era giusto che rimanesse tale. Doveva controllare il numero delle sue prede e senza il Signore Oscuro a nascondere le sue carneficine, aveva iniziato a prediligere luoghi più isolati. Anche per questo trovarlo non era stato semplice. Ma c'era riuscito.
“Harry Potter. A cosa devo questo onore?”
Lui fissò il sorriso beffardo e malevolo del licantropo, tenendo la sua distanza.
“Qualcuno è sulle tue tracce” lo informò seccamente.
“Se ti riferisci alla tua amichetta...”
“Lei è cambiata, Greyback” non voleva sentire neanche mezza parola su Hermione uscire dalla bocca di quella bestia. Sarebbe stato lui a parlare e il licantropo avrebbe ascoltato. “A causa tua, non è più la stessa. Ha iniziato a fare discorsi strani, all'inizio molto velati, così tanto che per un sacco di tempo non mi ero reso conto di quello che stava succedendo proprio sotto il mio naso. Finché una notte è semplicemente sparita. Se ne è andata via, ancora una volta, senza uno straccio di saluto. Ma di una cosa sono sicuro. Quei discorsi, quelli strani, riguardavano la vendetta.”
“E pensi che sia di me, che vorrebbe vendicarsi?”
Iniziava ad averne abbastanza di quel suo sorrisetto beffardo. Estrasse la bacchetta e gliela puntò contro in un istante. I suoi riflessi non lo tradivano mai.
“Se non fossi quasi impietosito dal vedere come ti sei ridotto, ti ucciderei con le mie stesse mani proprio in questo momento, a causa di ciò che le hai fatto. Ma conosco Hermione e so che non è un'assassina. Non voglio che si macchi le mani del tuo sporco sangue, quindi ti consiglio di andartene il più lontano possibile e di non guardare mai indietro verso il mondo magico. Perché te lo giuro, se mai lei dovesse riuscire a trovarti, sarò io ad ucciderti ancora prima che abbia la possibilità di raggiungerti.”
L'uomo non sembrò turbato dalle sue minacce. Continuò a guardarlo con quell'aria beffarda e a sorridere, come se non avesse sentito una parola di quello che gli era appena stato detto. Forse, pensò Harry, credeva di avere davanti un ragazzino. Ma lui, seppure giovane, era cresciuto in fretta e si era adattato a quel modo crudele e spietato di vivere la vita in tempi disperati, come quello in cui si era trovato a crescere lui.
“Vedi, questo è il vostro errore. Voi pensate che io abbia rovinato quella povera ragazzina, ma non è così. Non sono stato io, siete stati voi.”
“Noi?” per un istante le sue parole fecero breccia.
“Voi l'avete costretta a reprimere il suo essere, la sua vera natura, i suoi istinti. I suoi amici, la sua famiglia, voi eravate la sua vera gabbia. Le sue catene. Io l'ho soltanto liberata dalle sue inibizioni, ho portato a galla quella parte di sé che la ragazzina non vedeva l'ora di poter far uscire, in realtà. Io l'ho salvata.”
Un lampo di luce uscì dalla bacchetta di Harry e l'uomo davanti a lui fu scagliato a diversi metri di distanza.
“Consideralo un avvertimento.”
Furono le ultime parole che gli disse prima di Smaterializzarsi e sparire da quella piccola collina nel Sud-Est del Regno Unito.


*


Era come cercare di raggiungere l’eco: appena era convinta di essere vicina a lui doveva ricredersi perché era già troppo tardi; continuava a girare in tondo, avvicinandosi al suo obiettivo, per poi allontanarsi subito dopo. La cosa sembrava non scoraggiare Hermione, il cui unico scopo era diventato trovare Greyback per soddisfare la sua sete di vendetta.
Perché ormai non desiderava altro. Tra i suoi pensieri non vi erano più i suoi migliori amici o la sua famiglia. Quelle maledette parole che le aveva rivolto non facevano altro che tormentarla; ogni notte si svegliava urlando, rimproverandosi di essere troppo debole.
Nessuno doveva avvicinarsi a lei, per questo aveva deciso di scappare da Harry, nonostante avesse bisogno di lui e di quello che rappresentava. Sapeva che anche lui stava seguendo le sue tracce, e la cosa la faceva ridere: lei, Harry e Greyback si rincorrevano come degli innamorati disperati. Quelle settimane di solitudine l’avevano cambiata, resa più dura e restia a chiedere aiuto, non poteva tornare indietro e piangere tra le braccia di Ron; non poteva chiederglielo, e una parte di sé non voleva. Non era paura o vergogna, ma come la sensazione di non poter più combaciare con la propria metà di mela. Era diversa, perché non vi era più traccia di quella ragazza che un tempo era stata Hermione Granger.
Tutte le notti continuava a sentire quella voce e non poteva resistere ancora per molto, prima o poi avrebbe aperto gli occhi e sarebbe stata inghiottita. Non aveva via di scampo.
Si era anche accorta che le scorte per preparare la Pozione Antilupo stavano finendo, e l’idea di tornare indietro o di avvicinarsi ad una città per comprare gli ingredienti era da scartare. Era troppo rischioso e lo sapeva.


*


“Su, Hermione, non sarà diverso dalle altre volte.”
Cercava di autoconvincersi, mentre passava attorno al tronco le due catene che l’avrebbero aiutata a sopportare meglio le notti. Questa volta non ci sarebbe stato nessun aiuto “extra” da parte della Pozione, e non sarebbe rimasto nulla di lei: avrebbe perso anche il totale controllo della sua mente. Forse era questo che la spaventava di più, non il dolore che avrebbe provato entro breve nel momento della trasformazione, quanto il fatto che lei sarebbe rimasta dietro a una porta, mentre l’altra Hermione avrebbe dato sfogo ai propri istinti. E se neanche le catene fossero bastate? Aveva optato per quella foresta perché non era frequentata per campeggi o week end in famiglia; era così forte la paura di fare del male a qualcun altro, che i suoi spostamenti si basavano in base alle persone che popolavano quei luoghi di rifugio.
Pregò con tutta se stessa di non aver sbagliato nella sua scelta.
Si era seduta ai piedi dell’albero; la schiena appoggiata al tronco e gli occhi chiusi in modo da controllare il respiro. Un respiro lungo e poi uno breve. Tutto questo era capace di calmarla, o meglio a farlo era più che altro l’idea di poter controllare almeno in parte il suo corpo.
Il respiro breve fu bloccato da una voce. La sua.
Era accanto a lei: il suo fiato caldo le aveva solleticato le guance, e non aveva bisogno di aprire gli occhi per vedere il suo ghigno.
Si prendeva gioco di lei e della sua umanità.
Solo che era lei ad essere legata e non lui. Era alla sua mercé.
Continuò a respirare, in modo da controllare la sua paura, perché doveva affrontare lui e se stessa. Non sarebbe caduta nell’oscurità nella quale lui voleva condurla.
Uno scatto, un cigolio metallico e si trovò libera dalle catene.
Aprì gli occhi incredula e fissò il suo rivale. Un leggero tremore la tradì, perché non si aspettava che lui la lasciasse libera. No, non aveva senso. Lui a quel punto avrebbe dovuto ucciderla, non era così stupido da lasciarla in vita, sapendo quanto lei desiderasse la sua morte. Invece, osservò le catene scivolare verso il basso e liberarla.
“Figlia mia.” Rise. “Hai deciso di venire con me?”
Hermione mosse la gamba inquieta. “Io ti ucciderò, Greyback.”
E lui rise, rise ancora, prendendosi beffa di lei e dei suoi propositi.
“Guarda, Hermione. È troppo tardi.”
Seguì il punto che il suo nemico stava indicando, e la vide. Alta, bianca, mortale… piena. E lei non riuscì più a sentire il suo respiro. Lungo, breve. No, era solo il rantolo di una bestia finalmente libera.


*


Harry Potter aveva calcolato male i tempi; era stato troppo lento e ora ne avrebbe pagato le conseguenze, perché la luna piena era lì che gli ricordava il suo dovere: salvare Hermione. Non aveva ancora capito come fare, ma l’importante era far tornare in sé la sua migliore amica, convincerla a tornare con lui.
Capì che qualcosa era cambiato quando non sentì più nulla. Gli animali della foresta erano immobili, nessun movimento o cinguettio; persino il vento aveva smesso di muovere le foglie degli alberi. Tutta la natura si era fermata per osservare quella creatura maledetta e così affascinante. E la vide correre, feroce, crudele, al fianco di un altro lupo mannaro.
Greyback e Hermione.
Dov’era finita la sua Hermione?
Non si curò minimamente dei rischi verso cui stava andando incontro. Accelerò il passo, trovandosi poi a correre dietro le due creature, dimenticando che doveva scappare. Fu in quell’istante che Harry capì una cosa: non gli importava di sopravvivere, lui voleva solo salvare Hermione, anche se gli sembrava un’impresa suicida.
Lei era fuori di sé, non c’era traccia della ragazza Grifondoro che lo aveva accompagnato nelle sue tante avventure. Questa volta era lui che doveva salvarla, usando la testa e il suo incredibile sangue freddo.
Ad accorgersi di lui, fu proprio Greyback, che aveva imparato a controllare la sua natura e a non perdere mai la propria lucidità. Cominciò a rallentare, fino a fermarsi in mezzo alla radura per aspettare Harry.
Anche se era trasformato, Harry poteva scorgere in quei pozzi neri la crudeltà del suo nemico. Sarebbe stata una lotta all’ultimo sangue, con la consapevolezza che non era lui a essere il più forte, e che la magia non avrebbe potuto salvarlo questa volta. Non c’era nessun Padrone della Morte, solo un ragazzo disperato che non chiedeva altro che tornare a casa al fianco della sua amica. Le sue mani tremavano quando si gettò verso Greyback, stringendo il collo peloso nell’inutile tentativo di ucciderlo.
Vide la bocca del lupo aprirsi e calarsi verso di lui.
Poi urlò.


*


Harry!
Cominciò a battere con i pugni quella porta che la separava da lui.
Aveva sentito il suo grido, e non poteva abbandonarlo. Perché aveva ancora bisogno di lui, della sua testardaggine, del suo amore. Verso la vita, verso i suoi amici, verso di lei.
Graffiò e spinse, usando tutta la sua forza. Doveva uscire dalla sua stessa prigione; finché non capì che non avrebbe mai battuto la sua avversaria con la forza. Lei era troppo debole, era impossibile negarlo, ma qualcuno una volta le aveva detto che quando si ha qualcosa per cui lottare si è più forti. Le parole di Harry risuonarono forte e limpide nella sua testa.
Chiuse gli occhi e tentò ancora una volta.
Capì di esserci riuscita, quando sentì qualcosa di umido sulle guance: era caduta a terra, e il terriccio le aveva sporcato il viso. Ansante si alzò, trovandosi di fronte l’altra Hermione in tutta la sua bellezza e incredibile crudeltà.
Erano l’una di fronte all’altra.
In lontananza echeggiò un altro urlo, mentre la sua avversaria si limitava a sorriderle, quasi con comprensione.
“Non puoi salvarlo, lo sai. Smettila di lottare contro di me, noi due abbiamo bisogno l’una dell’altra e solo allora saremo forti e complete. Non capisci, Hermione? Tu hai bisogno di me e io di te.”
“Mai!”
“Quanto credi che resisterai in questo modo? Pensa! Sii lucida per una volta e, se non vuoi farlo per me, fallo per lui. Vuoi correre verso Greyback e pensare di salvarlo con il tuo misero corpo umano?”
“Io sono umana.”
L’altra Hermione non rispose, limitandosi a guardarla e a scuotere la testa. Ma durò poco, dopodiché si ritrovò a fissare le sue lacrime. Stava piangendo ed era la prima volta che succedeva. “Lui morirà.” Aprì le braccia, mostrandole un groviglio di corpi in lontananza. Harry stava ancora lottando contro l’inevitabile.
“No.”
“Dimostramelo. Lotta per lui e lascia che anche io lo faccia.”
Hermione gettò un’altra occhiata oltre l’invisibile barriera, per poi tornare a fissare quelle iridi così crudeli e sofferenti.
“Perché?”
Perché io lo amo.


*


Non aveva pensato a una strategia di attacco, aveva dato per scontato che una volta arrivata lì, avrebbe agito nel modo più giusto, riuscendo a liberare Harry dalla morsa di Greyback.
Alla vista del viso insanguinato dell’amico, era però scattata come una furia verso di loro, buttandosi con tutta la sua forza verso Greyback, senza pensare alla mossa più saggia. Non conosceva i punti deboli del suo avversario, perché lui non era come lei. Aveva accettato la sua condanna, traendo forza proprio da essa, mentre lei era una ragazza con due personalità completamente distinte.
Si ricordò delle lacrime dell’altra Hermione e per la prima volta da quando era stata morsa non ebbe paura di lei e di quello che significava. Forse, doveva imparare dal suo nemico.
Hermione si avventò nuovamente verso di lui, ma con una nuova ferocia che non credeva di possedere. Ogni suo colpo andava al segno, ogni suo morso era una nuova ferita sul corpo dell’avversario.
Nonostante Greyback fosse più forte, c’era qualcosa in Hermione da renderla invincibile: il desiderio di salvare Harry; tutto il potere che aveva tenuto dietro quella porta emerse e le diede la possibilità di avere la meglio. Qualche colpo ancora e l’avrebbe abbattuto.
“Hermione, no!” Le parole di Harry gli arrivarono quasi ovattate, distanti e lei spinse via quel corpo che si metteva tra lei e il suo nemico, dimenticando chi fosse.
Fu quando la sua bocca si aprì sul collo di Greyback, privandolo della vita, che Hermione comprese l’atrocità che aveva commesso. Si allontanò inorridita, gridando alla luna la sua furia.
Fu allora che vide Harry.


*


Per quanto fosse banale, non passava un giorno senza che ripensasse ai suoi occhi.
Ripensava al verde che vi brillava dentro ogni volta che la guardava, ogni volta che sorrideva. E poi ripensava a quegli stessi occhi tempo dopo, a quando si erano spenti. Non avrebbe mai trovato un'altra parola, se non indimenticabili.
Non poteva essere sicura di ciò che aveva fatto, se ne ricordava solo a tratti. Aveva dei flash, come succede quando si fa un brutto sogno e rimane quella sensazione di agitazione, ma allo stesso tempo persiste la convinzione che sia troppo surreale. Come se non fosse stata lei a fare qualcosa del genere.
Lo aveva fatto, eppure.
Forse, si ripeteva, non era del tutto colpa sua. Forse sarebbe successo ugualmente, perché le ferite che Greyback gli aveva inferto sarebbero da sole state letali o, come minimo, sufficienti ad una trasformazione.
Ah, ma Harry non si sarebbe trasformato. No, lui non aveva mai avuto quel tipo di oscurità dentro il suo cuore.
“Chi è adesso quello maledetto dei due, Harry?” sussurrò, guardando verso quella luna che rappresentava il suo più dolce ricordo e la sua più grande condanna.
Harry sarebbe morto. Solo molto più lentamente e tra dolori più acuti di quello provocato dalle ferite che lei stessa gli aveva inferto nel tentativo di spingerlo via dall'altro lupo mannaro.
Eppure, per quanto si ripetesse tutto questo ogni giorno, niente riusciva a convincerla del fatto che Harry non fosse morto a causa sua.
Lei lo aveva ucciso.


*


Una volta tornata alla sua forma umana, dopo aver visto il corpo di Greyback che giaceva ormai esanime sul prato, si voltò in direzione di Harry.
Aveva provato a fermarla dall'attaccare il lupo, ma Hermione lo aveva spinto via, procurandogli due ferite profonde lungo il petto. Una percorreva il suo addome con inclinazione quasi orizzontale, inferta con la mano destra, tre lunghi tagli fatti dai suoi artigli avevano lacerato la carne. L'altra era più obliqua, inferta dalla mano sinistra, ed era anche molto più profonda. Il sangue scendeva da quelle ferite e non solo, vide anche i graffi sul viso, sul collo, inferti da Greyback nel tentativo di difendersi da lui.
Harry stava morendo davanti ai suoi occhi.
Quando gli si inginocchiò accanto, su quel prato, vide i suoi occhi ancora brillare di quella luce, quella scintilla di vita che era inconfondibilmente familiare per lei.
“Imparerai a controllarlo” parlò a fatica. “Potrai tornare indietro. Potrai tornare a vivere.”
Non sapeva quanto si sbagliava. Lei sapeva che non avrebbe mai più vissuto un solo istante della sua vita, da quel momento in poi.
“Mi dispiace, mi dispiace così tanto” continuò a ripetere, incapace di staccare gli occhi da quelli verdi davanti a lei.
Lui le rivolse un mezzo sorriso e poi le accarezzò una guancia.
Così Hermione lo fece. Non sapeva quale parte di lei, in realtà. Probabilmente, se non ci fosse stato in lei il lupo, non avrebbe mai trovato il coraggio. Ma non ci pensò troppo, in quel momento, seguendo semplicemente il suo istinto ed abbassandosi per premere delicatamente le labbra sulle sue, in un bacio casto e breve.
Lui le sorrise ancora una volta. Rimase a guardare quegli occhi che conosceva così bene perdere quella scintilla e, lentamente, spegnersi.
“Ti amerò per sempre, Harry” sussurrò piano, ringraziando che nessuno potesse sentirla.


*


Rimaneva spesso ad osservare la luna.
Le ricordava quell'unico bacio che aveva potuto rubare prima che lui se ne andasse. I ricordi diventavano però più atroci quando la luna era piena.
Su una cosa, Harry aveva avuto ragione. Aveva imparato a controllarlo. C'era voluto molto tempo, qualche volta non era facile, ma c'era riuscita. La maggior parte delle volte, resisteva anche alla luna piena. Non era più obbligata ad essere qualcuno che non voleva essere.
Poteva rifarsi una vita.
Rise amaramente quando quel pensiero la sfiorò.
Avrebbe potuto, forse. Se l'unica persona con cui avrebbe mai potuto volere una vita non fosse morta a causa sua.
Nessuno doveva sapere, però. E nessuno lo avrebbe mai saputo.
Quello era il suo oscuro segreto. Doveva portare quel peso da sola. Non perché fosse convinta che i suoi amici l'avrebbero incolpata, al contrario, sapeva che le avrebbero detto che non era stata colpa sua, che lei non avrebbe potuto fare niente per impedirlo, per salvarlo.
Condivideva quel segreto con una sola persona.
Ed era la persona che odiava di più al mondo.
Perché io lo amo.
Era colpa sua. Se lei fosse stata zitta, forse...
Forse cosa? Greyback avrebbe ucciso Harry senza il tuo aiuto e poi sarebbe riuscito a scappare indisturbato.
La odiava. Era colpa sua, tutto quanto. Se lei non fosse mai esistita, se non fosse stata una parte di lei, non sarebbe mai diventata quello che era. Un mostro. Un'assassina.
Sarebbe morta quella notte di molti anni prima, quando il licantropo l'aveva morsa dentro la Foresta Proibita. Sarebbe morta e non avrebbe vissuto così tanti giorni di quella tortura.
Guardò in alto, la luna piena ormai in cielo.
“Io e te siamo legate per l’eternità, lo sai. Siamo destinate a soffrire insieme per sempre per quello che abbiamo fatto. Ricorda, ricorda chi sei e guardami!”
Voltò lo sguardo verso quella figura così familiare. Aveva i suoi occhi. Ma i denti più affilati e lunghi artigli al posto delle unghie.
“Tu l'hai ucciso” rispose, la voce ferma. “Sei stata tu, non io. Io lo amavo.”
Quello era il suo segreto. Quelle erano le sue confessioni. Confessioni che era in grado di fare solo a se stessa.
“Hermione, io sono dentro di te. Non puoi liberarti di me.”
Osservò quelle catene pesanti che un tempo l'avevano tenuta prigioniera stringersi adesso attorno agli arti della sua nemica.
Era stato un viaggio molto lungo, arrivare fino al pieno controllo della creatura che aveva dentro di sé. E, a tratti, era stato terribile. Aveva perso molto. O meglio, aveva perso tutto. Perché aveva perso Harry.
Avrebbe dovuto convivere con quello che aveva fatto per il resto della sua vita. Questa era la sua punizione, o almeno era così che la vedeva lei. Una punizione per le sue azioni, tanto quanto per qualcosa che era nato insieme a lei, su cui lei non aveva controllo e che non poteva controllare. Ma per cui si biasimava lo stesso.
Con un sorriso amaro sfiorò le catene che tenevano legata la sua gemella, guardandola combattere contro di esse ancora una volta, prima di voltarsi ed incamminarsi verso l'uscita del suo giardino solitario.
“L'ho già fatto.”
Un lamento disperato si alzò alle sue spalle. L'ululato atroce di un lupo affamato.


Ed eccoci giunte alla fine di questa storia e speriamo che vi sia piaciuta anche con un finale un po' tragico, giusto un po', quindi non siate timidi e commentate, esprimete il vostro parere.
Diteci cosa pensate del grande ingegno di Harry che parte all'inseguimento di due lupi mannari! Tanto amore per lui e per la sua testa calda.
Grazie mille a tutti voi.
Le vostre roxy_xyz e Herm735

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