In se magna ruunt [la grandezza precipita su se stessa]

di lubitina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il risveglio ***
Capitolo 2: *** Giorno II ***



Capitolo 1
*** Il risveglio ***


 Salve! So che questo primo capitolo apparirà ( a chi e se lo leggerà..) piuttosto incomprensibile, ma non disperate, tutto avrà un po' più di senso andando avanti con la storia. 

Ringrazio in anticipo chiunque legga o voglia recensire, e siate clementi T____T.

Vi lascio alla lettura!!!

 



Si sa che quando gli incubi iniziano,non si è mai abbastanza coscienti da desiderarne realmente la fine. Né tantomeno per far qualcosa per raggiungerla. Si rimane bloccati,immobilizzati,la mente ristagnane in un Tempo che è un lago troppo calmo,deformato da orride creature acquatiche. Troppo assente per ragionare.
E soprattutto,cercare e non trovare le emozioni che dovrebbero smuovere l'animo,farlo riemergere dal torpore: cercarle,e vedere solo velluto nero. E non c'è nulla di umano nel nero,ogni sfumatura che potrebbe ricordarlo è svanita,dissolta nell'oscurità.
Un'oscurità calma e caotica. E quel velluto nero di fronte agli occhi. E si è da soli in balia dei mostri del Tempo,con i loro luccicanti occhi rossi,appena sotto la superficie dell'acqua. E quegli occhi rossi vorticano,le loro luci crudeli si avvinghiano alle increspature dell'acqua.
L'immobilità è statuaria e arida,mentre tutt'attorno infuria l'Inferno dell'inferno.
Ma l'Incubo vero inizia con la Luce.
 
Una voce fuori del Tempo che narra.
 
Giorno I
“Sembrano dei bambini umani,i nuovi corpi aerei. La loro mente è vuota,al risveglio. Priva di coscienza,come uno scrittoio pieno di appunti,strappati poi via dal vento;e in quella mente,odono solo il vento. Il vento freddo che soffia tra le lande dell'Incubo,del grigio eterno. Rimangono eoni interi,distesi alle intemperie della Valle,mentre il loro cuore si discioglie lentamente,vittima dei vermi e del vento che tutto porta via; il corpo,le ossa,le vene,la carne,rimangono. Il sangue defluisce lentamente,scorre sulla nuda pietra grigia,cola lontano,si raccoglie in piccole pozzanghere,e infine sparisce,divorato dal vento.
Pian piano,assieme al cuore,perdono quanto di più basilare e necessario vi fosse nella Vita,le basi del sensibile: il Bello e Brutto,il Bianco e Nero,la Notte e il Giorno,il Freddo e Caldo.
E,quando il vento avrà trascinato via anche l'ultima briciola di cuore,non sapranno più cos'è il Bene e cos'è il Male.
Il necessario non è più,il superfluo ammorba la mente oziosa dei corpi aerei:un tramonto perde la sua Bellezza,il sangue violento che scorre,il suo Dramma;l'acqua,la sua freschezza,il pane la sua dolcezza. I ricordi si fanno più vaghi,quando un corpo riesce a rimembrarne qualcuno;perdono colore,consistenza,sembrano corrosi dalle intemperie. I visi,che prima erano scolpiti nel marmo e dipinti di olio,non hanno fattezze:maschere orribili e mute son sostituite ai sorrisi dell'Amore. Gli odori che prima riempivano con gioia le narici,i suoni che da vivo,il corpo,considerava celestiali,sono solo ricordi di sogni,perduti per l'eternità e irripetibili.
Non c'è via di ritorno,per alcuni. Il vento ha spazzato via tutto,tutto spazzerà: anche le ossa,anche le vene,i tendini,la lingua,si arrenderanno al vento. Romperà sulle nude pareti rocciose,deplorevole e muto urlo,le stanche ossa. E gli infiniti mezzogiorni delle Tre Stelle veglieranno eternamente su di loro.
Non c'è via di ritorno,per alcuni,perchè il vento ha spazzato via anche i ricordi,sepolti sotto eoni di sonno e di tempesta.
Ma per altri sì. E il mio compito è cercarli.
E aiutarli.
E guidarli verso il Cielo,sebbene il vento soffi più di quanto le mie ali possano vincere.
E ridare loro il cuore,il sangue,il pane e l'acqua.”
 
 
“Sai di respirare,ma non senti l'aria scenderti giù per i polmoni; vedi le tue mani,provi col pollice a toccare i polpastrelli,ma non senti niente. Solo una lieve pressione,ma priva della sensibilità che ricordavi. Come se non ti appartenessero. Hai paura.
Allora appoggi una di quelle mani fredde sul cuore,sperando di sentirlo battere forte. Ma non c'è niente.
Non tocchi neanche niente,ma hai troppa paura per ammetterlo. Al posto del cuore c'è un vuoto,un buco caldo e viscido;e in quell'attimo che vi infili la mano,prima di ritrarla per il terrore,senti perfino la carne bruciacchiata e cicatrizzata da qualche fuoco proveniente da chissà dove. Non hai il coraggio di guardare le punte delle dita. Il cuore è diventato aria bollente.
Allora ti alzi,tendendo a mille,sopra il terrore che ti cresce dentro,i sensi. Senti il tuo corpo leggero,di una leggerezza così fragile che temi che una raffica di vento possa portarti via. Vorresti qualcosa cui aggrapparti,un albero,un ramo,un masso. Ma non c'è niente,constati. Niente. E le tue braccia sono troppo fredde per proteggerti.
Finalmente trovi il coraggio di guardarti attorno;anche i tuoi occhi sono fragili,e la luce bianca di quel nuovo mondo che hai davanti li ferisce,facendoli lacrimare.
Le lacrime ti scendono fino alle labbra;ne senti il sapore salato in bocca. Da una parte ciò ti rallegra,vuol dire che sei vivo,rifletti nel tuo incubo. Ma dall'altra? Cosa sono ora i tuoi occhi? Quanto tempo son rimasti serrati,per soffrir ora così tanto una lieve luce bianca latte? 
Ora i tuoi occhi versano lacrime amare,amare di comprensione e avide di sapere. Appoggi le mani sulle tempie,e singhiozzi. Senti che il tuo corpo troppo leggero è scosso con violenza,ad ogni piccolo singhiozzo. Ti rannicchi,cerchi di farti il più piccolo possibile;senti la pietra grigia sotto di te.
Pietoso,sei.
 
Eri sdraiato su di un masso grigio,piatto,che costituiva la sommità di una collinetta,che digradava lentamente su pendici pietrose,con qualche raro arbusto giallognolo.
Allora tu volgesti lo sguardo ai tuoi piedi,la bocca riarsa semiaperta, e scopristi di essere nudo. Completamente nudo,piangente,privo di un cuore che batte e riscalda,in un mondo roccioso.
Ti guardasti attorno,proteggendoti gli occhi delicati con una mano: e attorno a te c'erano alte montagne,e più giù,oltre le pendici della collinetta,uno spaventoso dirupo,dilaniato nelle pendici da fenditure rocciose. In lontananza,ti sembra di sentire il grido di un uccello,ma forse è solo la tua mente confusa.
E più lontano,l'orizzonte si perdeva in un azzurro slavato sul grigio,con quelle montagne,simili a denti rotti,che si stagliavano nell'infinito.
Allora l'occhio ti cade sulle tue mani. Le guardi,lentamente,come fa un neonato con una bambola: ne guardi le piccole rughette sulle nocche,scrocchi le dita e ammiri le unghie,perfettamente bianche,lattee. Poi,ti accorgi delle palme.
Non c'è nessuna ruga,nessuna linea: la pelle è liscia,candida,priva di solchi.
Allora,scivoli ancora nel buio.”
 
 
Un uomo,come tanti se ne son avvicendati sulla Terra,piange. E' rannicchiato su se stesso,in un un'unica massa biancastra,chiara e evidente sullo sfondo grigio. Lo guardo,storcendo la testa,sento il vento arruffarmi le piume:è penoso.
Glielo comunico,mentalmente. Vedo il buco,laddove era il suo cuore,perfettamente cicatrizzato: in alcuni corpi aerei,invece,esso è ancora sanguinante,segno di un maggiore rimpianto interiore. Di maggior consapevolezza del proprio peccato. Ma costui è diverso:forse abbandonò il suo cuore quando esso ancora batteva. Dove? 
Eccolo,s'è accorto di me. Il vento gli scuote i capelli nerissimi,mostrando degli occhi grandi,umidi,castani, pieni di confusione. Non dolore,bensì confusione;costui non sa realmente cosa pensare,non sa dove si trova,non comprende perchè il suo corpo non porti i segni della Vita,e non ricorda nulla di essa. Conosce solo l'Incubo: lo sento,guardandolo negli occhi,quegli occhi sbarrati e impauriti. Non gli occhi di un bambino,un bambino umano di fronte a ciò che non capisce e che lo spaventa:ma gli occhi di un uomo superbo,spaesato,nella sua presunzione,di fronte a un oggetto che non sa definire. Che anima interessante.
Possibile che un uomo possa perdere così totalmente coscienza del proprio cuore,ma non del corpo? Gli esseri umani sono realmente così gretti?
Infatti ,eccolo ora,che si guarda le mani:le gira e rigira,bianche come il cielo dell'Oltre che ci circonda. Non mi stancherò mai di guardare un’Anima, mentre si analizza per la prima volta. Saltello su di una roccia più vicina a lui,continuando a fissarlo negli occhi: vedo una sua mano stretta nell'altra,quasi a volerla stritolare, di un pallido candore nonostante la pressione. 
Ha gli occhi sgranati, la bocca contorta in una smorfia: il sangue non c'è, lo sento urlare. Urla al cielo, sperando che qualcuno possa sentirlo.
Si rannicchia,e chiude gli occhi.
Per un po',lo lascio tornare al buio.
 
 
“ -Vieni,-ti sussurro-devo guidarti.
Tu apri gli occhi,riemergendo pian piano dalle ginocchia in cui ti eri nascosto;il vento continua a scuoterti i capelli,mostrando le piccole rughe ai lati degli occhi. E mi guardi: mi guardi come prima,occhi sbarrati e confusi,di un bambino addolorato,ma che non capisce ancora cos'è il dolore.
-Nnnn.. Non capisco-,mormori piano. La tua voce,umana,risuona incredibilmente strana nelle lande dell'Oltre:sembra propagarsi,come un'onda,e sembra di vederla avanzare. Colpire i rami secchi degli alberi rachitici,riecheggiare tra le pietre grigie che ti impediranno un agevole passaggio. Il suono si diffonde tutt'attorno e giunge,salendo rapida,al Cielo: ma sai, piccola anima, Lui non ascolta. E lì,la tua voce umana,retaggio di ciò che non sei più,svanisce come risucchiata da un abisso.
-Dove mi porti?
-Via di qui.
Scuoti la testa. Continui a non capire. I tuoi capelli neri ondeggiano al vento, di nuovo. Li seguo con i miei occhi gialli.
Il tuo volto mostra quanto la tua mente,stanca dal lungo sonno,stia faticando. Sembra quasi di vedere le vene sulle tue tempie pulsare;il tuo cuore battere rapido per lo sforzo.
Ma non è così. Probabilmente era così quando ancora vivevi.
Ti alzi,un po' instabile sulle gambe deboli.
-Andiamo. Non fare domande.
Riguardi le tue mani,senza alcuna espressione particolare.
A bocca chiusa,come ti ho detto,inizi a seguirmi,mentre io svolazzo a una decina di metri da te.
Nel frattempo,s'è alzato il vento: vedo i nuvoloni grigi sopra di noi correre senza tregua,spinti dall'aria fredda; sento che anche tu li guardi,chiedendoti se oltre ci sia davvero il Cielo.
 
Per un bel po',avanziamo senza nulla dire. Tu spesso inciampi sui massi e sugli arbusti e ti fermi a guardare giù,nell'Abisso che è alla nostra sinistra;come tutte le anime,ti aspetti che laggiù vi scorra acqua. Ma non è così e,piccola anima mia,lo scoprirai solo in seguito.
Le montagne,dietro di noi,si allontanano sempre più,svanendo nel grigio della roccia,nudi denti rotti.
Tu continui a tacere,impassibile. Ogni tanto alzi gli occhi,e guardi me volteggiare nel cielo poco più avanti.
-Fermati. Fammi vedere le mani.”
 
L'aquila si posò su un masso,alto quanto lui, e gli occhi dell'anima erano grandi e bui,fissi in quelli gialli della creatura. Passò un istante interminabile,un duello silenzioso. Occhi umani in occhi d’uccello.
All'improvviso,l'aquila si lanciò contro il corpo aereo:e lo spettacolo offerto alla pietra grigia fu orribile. Non vi fu spargimento di sangue; me le urla strazianti riempirono tutto il Nulla attorno,schiudendosi verso il cielo e riempiendo l'Abisso.
L'aquila si lanciò contro il suo viso,contro il suo corpo,dilaniando la carne asciutta come se non fosse materia vivente,ma misero fango. Si muoveva a velocità impressionante,compiendo rapide giravolte attorno all'anima e lanciando gridi di guerra verso le mani che tentavano di bloccarla.
Su,giù,in un frullar d'ali strappava la materia che componeva quel simulacro di Vita. Lasciava le ossa scoperte,gli organi fuoriuscire come una cascata rossastra dal ventre. Gli artigli straziavano e colpivano,sei spade tutte tese a distruggere un nemico battuto in partenza. 
Lacrime asciutte scorrevano sulla carne devastata,mentre l'anima era ancora in piedi. Non un singhiozzo lo scuoteva,negli occhi non c'era dolore,non c'erano strazio: c'era rabbia. Un'ira infinita,spaventosa,che riempiva l'oltre come una luce verde e mefitica. Per un attimo,anche il giustiziere ebbe un fremito.
Quanto orgoglio,quanta superbia.
A un attimo da che lacerasse anche le corde vocali,il suo volo folle si fermò.
-Ora ti inginocchierai,- urlò l'aquila con una voce che sovrastò perfino le urla inumane dell'anima,- e invocherai il perdono. Se non lo farai,continuerò.
Le Tre Stelle gemelle parvero piangere,mentre lentamente sorgevano nel cielo.
 
“I tuoi occhi mandano lampi d'odio,mentre urli verso il cielo come un animale della tua amata Terra. Mi guardi ora,i tuoi occhi due braci ardenti,intatti.
Il tuo sguardo è fiero.
-Osi metterti contro di me?
-Sì,oso.
Satana,Satana. Lucifero,eri! Prima del tempo,prima della Creazione,prima del Primo,prima di Lei!
A quelle parole,mi sento tremare. Mai,mai! Mai ho incontrato un'anima così furiosa,il cui cuore sia stato così pieno di superbia in vita,e di come il ricordo di ciò che si era in passato sia stato così impresso nella mente.
Hai sfidato il Giudizio.
Il tuo sguardo continua a essere fisso su di me,il vento mi arruffa le piume. La luce grigia del giorno è sostituita da quella dorata delle Tre Gemelle.
Vedo la carne del tuo viso ricomporsi,lentamente.
Le lacrime scendere copiose.
Ma mentre continui a fissarmi vedo che vedi altro,gli occhi appannati dalle lacrime. Chi,cosa,vedi?
Cadi in ginocchio,ma non ne me ne rallegro.
Il tuo corpo è scosso da singhiozzi,mentre sussurri piano,come una preghiera: “Claudia..”
E una linea rossa appare sulle tue palme.

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Capitolo 2
*** Giorno II ***


 
La luce grigia spegne le Tre Gemelle,mentre ti guardo ricomporti e delirare. Urlare frasi nella tua lingua.
Lingua..lingua che non è dell'Oltre. Lingua che non è del Tutto,che è solo di un Gregge;è sgraziata,brutta. Gracchiante. C'è qualcosa che ti lega alla Vita,rifletto. Cosa,cosa. Le tue urla mi straziano;mi ricopro con le ali,cercandovi un po' di calore.
Cosa c'è? Sento qualcosa. Vero,è il Vero! Cos'altro c'è di più Vero? Chiave..
Dubito,dubito!
Non posso dubitare!
Ma le tue urla strazianti continuano,il tuo corpo ripararsi,tra atroci sofferenze,come l'Alto ha stabilito: ti vedo contorcerti,vedo i tuoi occhi fieri e superbi pieni di terrore,le tua bocca aprirsi. Aprirsi e urlare. Urlare come non ho mai sentito urlare alcuna anima.
Superbia. Devo stare lontano dalla superbia. Il Trono così ordina. La superbia è dei deboli,ma trascina con sé i puri.
Ti contorci,piangi,vedo le tue braccia scosse dai sussulti brancolare nel buio dell'Incubo:cerchi,cerchi,di afferrare un viso tra le mani,lo sento. Le tua mani,le tue mani! Fiamme,le tue mani!
Fuoco. Le mani hanno compiuto il tuo peccato!
Sono incantato dalle due fiammelle,dai tuoi occhi,bracieri ardenti.
Solo una preghiera riesce a strapparmi dal tuo spettacolo.
 
 
-Accendi il fuoco,saprai farlo!,- sussurrai,appollaiandomi su di un masso,nel mezzo della piccola conca protetta ai due lati dai resti di una frana. Tutto era silenzioso, se non per il tramestio prodotto dal tuo corpo.
Mi guardi sprezzante,mentre sfreghi rapidamente tra di loro due rametti. Ormai il tuo corpo ha ripreso quasi interamente forma umana,vedo i tendini delle tue mani tendersi sotto lo sforzo.
Le Tre Gemelle già si vedono a est,il grigio informe del giorno svanisce nel nero.
-Prendi.- ti dico,porgendoti un drappo di pelle di daino di quelle montagne,-e legalo attorno alla vita.
-A che scopo coprirmi,bestia? Sono nell'Ade.
-Non sai neppure dove inizia,l'Ade. E poi da quel che mi risulta,nella Vita eravate soliti farlo.
-Nella Vita.
-Obbedisci,peccatore.
A queste parole sussulti.
Ti trovo orribile. Trovo orribile il tuo ricordo materiale della Vita,il disprezzo che provi per l'Eternità che ti aspetta. Come tu credi la Speranza sia inutile.
Ti vedo tronfio di te,superbo,gonfio come una rana che tenta di spaventare un bue. Oh,figlio mio! Non conosci,e non conoscerai mai,quel che giace oltre il Grigio!
Reclino il capo,mentre sento te che ancora sfreghi i rami,e invoco l'Alto. Lo prego,lo prego di aiutarmi,perchè io sono solo un suddito. Un suddito tra i sudditi.
 
L'anima,vedendo l'aquila con i gialli occhi chiusi,e il capo reclinato,si lanciò verso di lei,afferrandola facilmente. Le Tre avevano scacciato il grigio,illuminando i monti desolati di un bianco perlaceo.
-Ora mi dirai chi sono,bestia!
Tra le sue braccia forti,l'uccello era totalmente immobile,le ali reclinate,gli artigli inerti.
Come ghiaccio che si scioglie nell'acqua,cigolante,arresosi alla volontà della Natura sovrana;pianto glorioso e silenzioso dell'umiltà e della sottomissione all'Alto,una voce suonò,la voce dell'aquila:
-Sì,te lo dirò.
 
 
Una visione dai nitidi contorni
 
In una città affollata vagava un uomo. La folla lo circondava,in una stretta via cittadina,lui vi passava attraverso indisturbato,scostando creature cenciose prive di volto,come un contadino che corre nel il suo campo di grano.
La via era multicolore. Le creature senza volto erano cangianti,un arcobaleno instabile di sfumature smorte,un campo di fiori tutti appassiti;gli scorrevano attorno e attraverso,gli si accalcavano contro,indifferenti l'uno all'altro,sballottati nell'arteria come ciottoli in un torrente torbido. L'incoscienza,pensava l'uomo. E' l'incoscienza che li rende schiavi. Chinò la testa.
Gli passarono vicino,nel suo vagare,dei soldati coperti di sangue. Alcuni si prostrarono al suo cospetto,appoggiando a terra le ginocchia insanguinate,l'elmo nell'incavo del braccio,le spade spezzate nell'elsa. Sullo scudo color rame,lo stemma di un’aquila. L'uomo guardò la figura,senza alcuna espressione in volto,le braccia stancamente scese lungo il busto.
Sembrava una statua di marmo,e il bianco candido della sua veste strideva con lo sporco che lo circondava.
-Ave a te,Cesare.     
L'uomo sorrise,sebbene sentisse le proprie unghie conficcarsi nella carne delle palme, e si incamminò di nuovo,nella sua direzione. Ora le spighe di grano avevano un volto,ma pieno di timore e di reverenza,e si inginocchiavano al suo passaggio. E' l'incoscienza che li rende schiavi,pensò di nuovo l'uomo.
Su quei volti gocce di pioggia cominciarono a scendere. Prima piano,sottili;poi iniziò a cadere una pioggia rapida,tagliente. Tanti piccoli torrenti limacciosi si formarono ai margini della via multicolore,nei canali di scolo,mentre le bocche sui volti si muovevano a formulare imprecazioni contro quella maledetta pioggia. La pioggia rovina il mercato,rovina le merci!
L'uomo,gli occhi neri come il carbone, guardò il cielo,lasciando che la pioggia lo bagnasse. Un falegname di passaggio,successivamente avrebbe detto,con gli occhi antichi bagnati di lacrime, che gli era parso di udire,appena sussurrata,la parola “grazie”. E in quella piccola parola,l'uomo vestito di bianco stendeva le mani verso il cielo grigio.
Era marzo,e la pioggia scendeva lenta.
La città era caotica,ma la sua marcia non ne era rallentata. Si fermava appena a guardare i volti delle creature che gli scorrevano accanto,col petto che si alzava e abbassava piano,stringendo le mani a pugno.
Era a metà strada dalla sua meta finale,sotto la pioggia incessante,quando sentì il primo brivido gelido attraversarlo;una mano scheletrica e gelida che gli percorreva la schiena.
L'uomo si girò di scatto,e vide lei. Lei,sangue del suo sangue,giovane e bella,Giulia. Con i suoi occhi di carbone. Cesare cadde in ginocchio,sentendo il pianto risalire per la gola.
Un velo bianco le ricopriva i capelli neri e,sul volto bianchissimo,era dipinto un sorriso gioioso.
Guardava il padre con affetto, e chinandosi anche lei sussurrò,piano, qualcosa. “ Non preoccuparti, tra poco verrò a prenderti”.
La sua mano gelida lo accarezzò in volto, leggera.
Morirò, quindi?”, chiese piano, con voce ferma.
Lei non parlò. Annuì, mentre le gocce di pioggia la attraversavano e non le bagnavano le vesti.
Gli prese il volto tra le mani, e appoggiò la sua fronte su quella del padre.
Sii coraggioso, ora, perchè morirai da eroe..”

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