Ceneri fredde

di Erodiade
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - I - ***
Capitolo 2: *** - II - ***
Capitolo 3: *** - III - ***



Capitolo 1
*** - I - ***


Ceneri fredde è una piccola long cupa su un ipotetico dopoguerra in cui i cattivi vincono, con protagonisti un Mentor!Voldemort (cioè un Voldemort ‘mentore’ di Potter) e una specie di Gray!Harry che, almeno inizialmente, è simile (non uguale) a quello dei libri. Lo slash è lento e piuttosto sottile, anzi, si parte da un Potter invaghito di Ginny e da un Riddle quasi asessuato, e fa da sfondo a problemi ben più grandi per entrambi, tra cui, principalmente, la ricerca della vita eterna e la perdita dell’innocenza *musichetta ispirata*.

Segnalo la presenza di lieve sadismo psicologico, pippe mentali, Arti Oscure nella loro accezione più pura (squartamenti, sangue, organi umani, riti sacrificali), humor nero e possibile Death Character. La sconsiglio a chiunque voglia una cosa spensierata, di facile lettura e a lieto fine. Scribacchiare è solo un hobby, ma sono una da darkfic e nel tempo libero shippo Nietzsche/Wagner. xP


 



Ceneri fredde,,


- I -


Tutto ciò che è fatto per amore è sempre al di là del bene e del male.

(Friedrich Nietzsche)



Una volta, Silente gli aveva detto che era inutile rifugiarsi nei sogni dimenticandosi di vivere.
A Silente serviva un Harry Potter impegnato a combattere Voldemort, non un ragazzino che si rinchiudesse nell’autocommiserazione, e di sicuro aveva avuto ragioni più che valide per ammonirlo – una guerra in corso e migliaia di vite umane comprese nel prezzo; rimaneva il fatto che meno pensava al vecchio mago, meglio si sentiva. Forse non contava nemmeno come consiglio, a quel punto, anche se era stato la persona più vicina ad un padre che avesse mai avuto a parte Sirius; o forse doveva piantarla di ascoltare Riddle quando parlava e limitarsi ad annuire senza memorizzare niente.
Comunque, Silente aveva ragione. L’illusione è una padrona gelosa: si nutre dell’anima, e lentamente la svuota di tutto fuorché di se stessa. Non esiste reale desiderio di ribellarlesi perché dona assuefazione, regala una sorta di pace superficiale dal sottofondo inquietante, come una colonna sonora stridente in un pomeriggio di sole.
E così, ci si guarda sbiadire – inconsapevolmente, perché guardare non è per forza vedere.
Lucius Malfoy compariva qualche volta nei corridoi del Manor, quando la sbornia glielo permetteva, eppure se ne andava in giro come se non sapesse dove si trovava, i capelli annodati e l’ombreggiatura della barba, le camicie di seta macchiate di vino.
Lui aveva smesso di aggrapparsi alle illusioni: aveva imparato a nutrirsi di rimpianti.
Si comportava come un estraneo nella propria dimora, lo spettro di se stesso; abbassava lo sguardo quando s’incrociavano per sbaglio nei corridoi deserti, mentre un tempo l’avrebbe scrutato dall’alto in basso, e sembrava solo capace di chinare il capo e di fuggire come un ratto davanti a Riddle.
Harry pensava che non riuscisse nemmeno a guardarsi allo specchio, e in alcuni, terribili momenti temeva addirittura di somigliargli: c’erano volte in cui il proprio riflesso gli causava disgusto, e troppe verità scomode finivano sotto al tappeto con la speranza che scomparissero.
Non era normale per lui comportarsi così, ma doveva, o sentiva che sarebbe impazzito.
Ciò che pensava e faceva e diceva adesso era talmente diverso da ciò che aveva fatto e pensato e detto prima da sentirsi trasformato in un’altra persona, un contenitore vuoto come Malfoy, solo che lui non aveva perso la dignità e l’unico erede durante la guerra; no, lui aveva perso la sola casa che avesse mai avuto e un’anima la quale, una volta spazzato via il resto, si era rivelata risibilmente inutile.
A volte si chiedeva come fosse finito a trascorrere i suoi giorni davanti ad una lastra di vetro, studiando Oscuri tomi polverosi, costretto a fingere di non notare la presenza del suo peggior nemico che lo…teneva sotto controllo, o lo sognava morto, o comunque lo scrutava in un modo che non prometteva nulla di buono, indossando il suo miglior aspetto umano come un cadavere munito d’un sorriso.
In realtà non era completamente sicuro che fossero ancora nemici, ma quella era una delle cose che preferiva nascondere sotto al tappeto.
E se ne stava lì a cercare di rimandare gli eventi come l’ultimo dei vigliacchi, vivendo sospeso in un passato che era defunto, mentre tutto intorno a lui – dentro di lui – mutava radicalmente, crollava e perdeva significato goccia a goccia.
Realizzò consciamente tutto questo solo quando il vetro si ruppe e le lacrime non scesero; era cambiato, e molto più di quanto pensasse.


***


Le scarpe sprofondavano ad ogni passo. La terra lo voleva risucchiare all’interno del suo cuore melmoso; lo chiamava a sé, sotto, insieme agli altri. Lei era marrone, marrone così scuro da sembrare nero, ed era rossa. Il rosso non si vedeva a causa del buio, ma c’era, mischiato al pantano, e ciò che la terra non assorbiva lo lasciava in superficie, simile ad un rigurgito cremisi.
Pallidi spettri erano già di ritorno, incapaci di liberarsi delle spoglie passate. Presto l’alba avrebbe allungato le dita tiepide a sfiorarli, trovando nient’altro che vuoto e freddo. Li avrebbe resi trasparenti, nulla più di sospiri invisibili.
Ma i lamenti, i lamenti non sarebbero scomparsi con l’alba, quelli sarebbero rimasti. I corpi disseminavano il suolo, grigiastri e immobili. Ne conosceva alcuni, ma preferiva non guardarli, perché ciò che è morto non può risorgere. Il tanfo che emanavano era insopportabile; alcuni erano lì a marcire da giorni, non molti, ma abbastanza perché il loro odore sapesse di decomposizione.
Hermione era stata una ragazza intelligente, lo sapevano tutti. Prima di dilaniarle la carne tenera del ventre, Greyback e i suoi avevano discusso se spaccarle il cranio contro una corteccia per vedere se il cervello dei Babbani fosse davvero più piccolo del normale.
Ron li aveva caricati con gli occhi iniettati di sangue, filando loro addosso a testa bassa, bacchetta spianata, menando incantesimi come fendenti. Non aveva speranza. Loro erano in cinque, giganteschi mannari con zanne lunghe quanto il suo avambraccio. Harry gli era corso dietro appena aveva potuto.
Li avevano afferrati, scaraventandoli di qua e di là come pupazzi. Gli incantesimi non valgono nulla senza il tempo per reagire. Avevano agguantato Hermione per i capelli.
Il modo in cui il tronco si era impiastricciato di fluidi vitali – rosso grigio marrone, rosso grigio marrone, come in una girandola dell’orrore. Non si sarebbe mai dimenticato il colore grumoso, simile a vomito.
Ricordava a sprazzi, poi.
Vedeva Hermione dare un colpetto di bacchetta ai suoi occhiali prima della partita contro Tassorosso e mormorare Impervius. L’aveva persa, quella partita, precipitando nella tempesta. Baston si era quasi strozzato nella doccia, gli avevano detto i gemelli, ma nessuno se l’era presa con lui. Ron era stato solidale, regalandogli una pacca sulle spalle e assicurandogli che sarebbe andata meglio la volta successiva. Avevano vinto la Coppa, quell’anno.
Ricordava quando avevano Schiantato Piton nella Stamberga Strillante; Piton, l’untuoso doppiogiochista che era stato freddato da Voldemort proprio nella medesima, vecchia casa infestata – un Avada Kedavra, semplice e pulito, non gli aveva neanche lasciato il tempo di pensare. Aveva desiderato intensamente che morisse, quel vigliacco assassino.
Ricordava anche gli allenamenti prima del Tremaghi e le lezioni con l’ES, Dobby che li avvertiva dell’arrivo della Umbridge, Sirius che mangiava una coscia di pollo raccontando della Prima Guerra Magica, Sirius che gli chiedeva di venire a vivere con lui e poi spariva oltre il Velo.
Sirius…
Ecco Ron che lo guardava incredulo e sorridente dopo aver scoperto che nel suo Succo di Zucca non c’era la Felix, e che sì, aveva vinto tutto da solo. La Coppa del Mondo di Quidditch, le coccarde canterine e le Veela danzanti, le risate, le canzoni da stadio, Krum che si lanciava in picchiata e prendeva il Boccino. A Ron non era più piaciuto quando aveva saputo che Hermione e lui uscivano insieme, aveva rotto il braccino di plastica del bambolotto la sera del ballo. Da quando Fred e George gli avevano regalato quel libro assurdo, lui e la ragazza andavano molto d’accordo, o forse era qualcos’altro; probabilmente era qualcos’altro, eppure gli erano sempre rimasti accanto, non l’avevano mai escluso…mai, erano andati a caccia di Horcrux insieme e Ron era tornato, erano scampati a Malfoy Manor ed arrivati fin lì, giunti così vicini a farcela…
Il sangue gli imbrattava i vestiti; c’erano due occhi azzurri che lo fissavano. Fissavano lui o fissavano il vuoto? Ron aveva la stessa espressione di quando aveva visto le Acromantule per la prima volta.
Dunque aveva iniziato a camminare e non si era più fermato.
La fronte bruciava e aveva l’impressione di dover essere da un’altra parte, anche se non sapeva dove, mista alla sensazione d’oppressione al petto e allo stomaco, alla voglia di vomitare. Avvertiva qualcosa di umido e caldo sulla faccia. La cicatrice pulsava, ma la testa era leggera, come se non mangiasse da giorni e giorni.
Il richiamo della saetta era quasi dolce. Camminando, infranse il patto con se stesso e sbirciò di lato – ciò che è morto non può risorgere, ciò che è morto non può risorgere. Vide solo cadaveri. Sarebbero rimasti lì fino a quando i vermi non li avessero mangiati oppure qualcuno li avrebbe seppelliti? Non poteva permettere che finissero a quel modo, sepolti in tombe di fango senza nome; doveva pensarci lui, o nessuno l’avrebbe fatto.
Gli serviva una vanga, come con Dobby. Fu così che trovò lei: apprestandosi a scavare, confuso e sotto shock, anche se scavare era inutile in quella palude. Stava in una fossa, sporca di fango e imbrattata di sangue. C’era un uomo. Le era addosso.
“Non sapevo cosa ti sarebbe servito. Niente di troppo grande, perché non puoi portarlo con te.”
In seguito, fu difficile ricordarne il viso; ricordava le mani, però, mani grandi, dita che l’abbrancavano, unghie incrostate. Non aveva riflettuto. Un grosso sasso a terra e la sua nuca davanti. La nuca era fragile, rosea, morbida, non pareva neanche far parte di lui, e quello si dimenava senza riguardo, emettendo suoni orribili, e Harry non aveva mai provato tanto orrore in vita sua. La pietra di punta, dritta contro la tempia, con tutta la propria forza, nemmeno un secondo a pensarci, solo l’attimo che aveva impiegato il gomito a ruotare e il braccio a piombare giù in trasversale.
L’uomo cadde di lato. Harry lo colpì ancora, ancora, ancora. Temeva che si rialzasse e riprendesse a farlo. Aveva registrato vagamente il dettaglio dei suoi occhi; non il colore né la forma, ma quanto si fossero dilatati prima di sbiadire. Quando terminò, la pietra era viscida e lui ansimava. Solo allora ricordò chi era.
Scabior. Il suo nome era Scabior.
Poi andò da lei. Il petto non sembrava neppure alzarsi, ma era ancora viva; il cuore palpitava debole, lontano. Mentre cercava di rianimarla e mormorava piano suppliche insensate, udiva la sua voce, come un disco rotto.
“Non sapevo cosa ti sarebbe servito. Niente di troppo grande, perché non puoi portarlo con te.”
Pensava di aver già varcato il confine del dolore. L’aveva incontrato tra le preghiere di una madre morente e una risata malvagia quando era ancora troppo piccolo per capire; l’aveva riconosciuto nel tonfo attutito di Cedric accanto a lui sull’erba; gli aveva urlato contro mentre Sirius spariva ridendo e l’aveva osservato quando Silente si era spezzato al suolo. Dopo, la soglia del dolore si era infranta negli occhi di Ron e nel sangue di Hermione, nella battuta a metà di Fred, nelle dita intrecciate di Remus e Tonks. Colin non l’avrebbe mai più importunato lungo i corridoi per avere una foto con lui, Luna non avrebbe mai più raccontato storie strampalate su Eliopodi e Nargilli. Erano tutte quelle persone la cui presenza aveva dato per scontata durante l’intera sua esistenza, tutti i suoi amici e coloro cui voleva bene, ma fu la vista di Ginny a incrinargli l’anima – un sinistro scricchiolio inudibile nel torace, qualcosa che andava in pezzi senza emettere rumore.
“Sapevo che non saresti stato contento se non fossi andato a caccia di Voldemort. Forse è per questo che mi piaci tanto.”
Gli era venuta incontro. Aveva sentito le urla, il fragore delle maledizioni, forse aveva guardato fuori e aveva assistito al dilagare della follia. Quando tutto era stato perduto, i ragazzi troppo giovani per combattere, quelli che non erano fuggiti, si erano precipitati ad aiutare. A farsi uccidere.
La sua bocca era ancora calda. Ed era bella anche lì, con le ferite e i lividi, con i vestiti che quel bastardo le aveva strappato di dosso e gli occhi socchiusi sul vuoto. Il castano nebbioso era fango, ormai, e i capelli, i suoi capelli profumati di fiori odoravano di sangue, terra e sudore, l’odore della paura coraggiosa e di una fine senza scampo, l’odore della sofferenza. Cercò di coprirla, di ricucire assieme quei lembi di stoffa inutili, cercò di svegliarla.
“Sapevo che non saresti stato contento se non fossi andato a caccia di Voldemort.”
La cicatrice somigliava ad una scheggia appuntita che gli incideva il cranio a intervalli regolari. Le parole di Ginny avevano risvegliato qualcosa in lui oltre all’inevitabile senso di colpa: un sentimento d’odio, non l’odio feroce e lampante che aveva sempre provato, quello che gli faceva gridare all’ingiustizia, ma un odio diverso, meno palese, più profondo. Si scavava la strada verso la sua anima, le si radicava all’interno.
Non lo sapeva ancora, ma era l’inizio di una spirale discendente, di un processo lungo, faticoso e straniante.
Passarono giorni, mesi, anni di gemiti attutiti da un’angoscia sorda e letale. Quando si accorse che lui era lì e lo guardava, lieve sorriso d’ironico sprezzo su una bocca priva di labbra, il sole illuminava uno scenario di tragedia e la terra era di nuovo rossa e marrone come il giorno prima e quello prima ancora. Riddle era lì davvero, non si trattava del sussulto malato di una mente in preda alla febbre.
“Alzati, ragazzino. Devi morire, non ricordi?”
Quello andava fatto: uccidere Voldemort, almeno provarci, strappare un brandello di vendetta a un dio inclemente, perché tutto era fallito, Nagini era viva e la Bacchetta era in mano sua. Aveva deluso il Preside esattamente come aveva deluso chiunque altro, non era servito a niente e Ginny stava morendo in una pozza di sangue.
“A quanto sembra, il Ragazzo Che è Sopravvissuto non riesce a sopravvivere alla cruda realtà” commentò Voldemort quando lui non si mosse. “Io ho vinto questa guerra, ho superato gli sciocchi ostacoli che il tuo beneamato burattinaio ha posto sul mio cammino…e tu non lo sopporti. Ti sei trascinato qui con la speranza di assolvere al tuo compito, e ora che l’hai miseramente mancato non trovi nemmeno la forza di alzarti per abbracciare il destino. È così, Harry?”
Era così? No, certo che no. Se avesse avuto qualcuno per cui lottare, non avrebbe esitato. Se avesse creduto ci fosse speranza, luce, un motivo, sarebbe morto contento in nome di un mondo migliore, ma un mondo migliore era un mondo in cui coloro che conosceva erano vivi e la vittoria di Voldemort non appariva così ineluttabile. Se Ginny fosse rimasta sana e salva al castello, non avrebbe esitato a sacrificarsi per lei. Gli sembrò di vederla guardarlo con disapprovazione. “Non ti sarai arreso, Harry?” C’erano anche Ron e Hermione, Remus e Tonks, Fred e Sirius e i suoi genitori, tutti con lo stesso sguardo marrone fango che un tempo era stato splendente e determinato, tutti con la fronte aggrottata dal biasimo.
“No” si sentì rispondere ad alta voce. Si alzò in piedi, la bacchetta di biancospino in pugno e l’odio segreto che ardeva lento. Si erse a fronteggiare Voldemort perché era giusto così. Andava come andava. Almeno doveva provarci. Forse il pensiero di tutti loro, la forza che sentiva risorgere dentro di lui sarebbero bastati. Non aveva mai scagliato un Anatema Che Uccide, ma non vedeva alternative.
Lanciò la maledizione. Riddle non tentò d’evitarla né di risponderle. Non accadde niente. Harry sentì il nulla, l’eco del vuoto sotto di lui, negli occhi castani di Ginny, e il pulsare della cicatrice, quasi indulgente nel suo scavargli la pelle. Come essere distante anni luce.
“Non sei in grado di lasciar scemare il dolore abbastanza affinché l’odio prenda il sopravvento. Chi ama non uccide, una delle tante debolezze di voi uomini…o almeno, lo credevo. Gli hai quasi spaccato il cranio. Così è come uccidono le bestie, ragazzino.” Sorrise, un vago sguardo al cadavere di Scabior, e qualcosa si agitò inquieto nello stomaco di Harry. “Come ha potuto Silente commettere la terribile leggerezza di credere in te?” Scandì l’ultima frase come credendo che potesse servire a devastarlo.
Non esisteva nulla da devastare. Le fiammelle di speranza e di coraggio che i suoi amici avevano tenuto in vita fino a quel momento si erano spente insieme a loro. Eppure c’era Ginny, a terra, il fragile cuore che resisteva imperterrito. Era forte, la sua Ginny. Non l’aveva mai vista versare una lacrima.
Il bisogno di agire esplose all’improvviso, travolgente, sconfiggendo la spossatezza e riportandolo sul campo di battaglia. Doveva salvarla. Aveva già ucciso un uomo. Doveva uccidere Voldemort. Doveva morire per mano di Voldemort. Fare qualcosa, qualsiasi. Se fosse riuscito ad avvertire Aberforth attraverso lo specchio e a tenere occupato Riddle, l’oste avrebbe potuto portare lei al sicuro. Harry sarebbe morto, ma forse lei sarebbe sopravvissuta. Prese la decisione.
“Che cosa aspetti, Tom?” chiese. La voce uscì alta, assurdamente sicura. Attorno a loro solo macerie. “Uccidimi e falla finita. O ti piace troppo sentirti parlare?” Le sue dita s’insinuarono nelle tasche sudicie del mantello, tastando i bordi dello specchietto.
Voldemort gli si avvicinò, parlando con leggerezza. “In realtà, recentemente mi sono reso conto che la tua morte, per me, rappresenterebbe tutt’altro che un vantaggio. Penetri nella mia mente, conosci i miei segreti e tenti d’intralciarmi: motivazioni più che sufficienti per farmi desiderare la tua dipartita, vero? Eppure, Harry, ci sono cose che il Preside non ti ha rivelato e che io ho compreso, cose che mi fanno dubitare di quanto ho sempre voluto.”
Non aveva idea di ciò che intendeva. Il riferimento a Silente risvegliò la sensazione di tradimento che aveva già provato nei suoi confronti – perché non era stato sincero con lui fino in fondo e fin da principio? – ma si rifiutava di cadere nel tranello del mago. Aveva uno scopo parlandogli a quel modo. Ebbene, anche lui aveva uno scopo: quello di guadagnare tempo.
Lo fissò con disgusto. “Forse non hai capito, Riddle… Io ti ucciderò o morirò nel tentativo. Se pensi di poter stabilire una tregua con me,” e badò a sottolinearlo insieme a tutti i sottintesi, “dopo quello che hai fatto…”. Incapace di mantenere la calma, la mano chiusa a pugno ebbe un tremito violento.
Dai tratti serpentini, l’aria disinvolta scomparve, lasciando spazio ad un’inespressività inquietante, indecifrabile. “Questo è precisamente ciò che prevedevo avresti detto. Triste come la tua mente risulti monotona e ripetitiva, ti rende un bersaglio facile. Dovremo porvi rimedio...”
Harry si sentiva pronto per mettere in atto il suo diversivo, perché ancora un’altra parola e avrebbe perso il controllo causando la fine dei suoi piani. Puntò la bacchetta e scagliò un attacco imprecisato contro Voldemort, il tempo necessario a guardare nello specchio e a chiamare aiuto. Un lampo, e lo specchio gli volò di mano, polverizzandosi a mezz’aria e cadendo al suolo, ridotto ad un pulviscolo brillante.
Riddle aveva levato la bacchetta in un gesto pigro, e appariva tremendamente annoiato dall’intera vicenda. “Parliamo, Potter” ordinò.
Harry avvertì la disperazione farsi largo, il pensiero di Ginny che gli vorticava nella mente come un mantra. “Expelliarmus!” urlò.
Riddle parò, parò e parò ancora. “Ora basta” decretò, gli occhi tramutatisi in gelide schegge scarlatte. Un movimento del polso e Harry si ritrovò avviluppato da funi invisibili, impossibilitato a fuggire.
Come il volto di Voldemort si era contratto, quasi nel medesimo istante si ridistese, i tratti scolpiti nell’alabastro. “Non era in tal modo che desideravo cominciare, ma vedo che non mi lasci altra scelta” esordì. “Credi di poter vincere, forse? La battaglia prosegue da tre giorni, tra ritirate e contrattacchi. I miei Mangiamorte hanno ucciso coloro che ti hanno difeso prendendo prigioniero chi si è arreso, ed ora ti trovo a vagare tra i cadaveri in stato confusionale quando nessuno ha tue notizie da ieri pomeriggio. Sei stremato, sporco e sofferente; al contrario, io sono nel pieno delle mie forze. Dimmi, Potter: qual è il tuo piano per uccidermi, se ne hai mai avuto uno?”
Harry si sentì morire. Era vero, non aveva alcun piano, alcuna speranza di sopravvivere a tutto ciò, ma non era per se stesso che avvertiva quel nodo alla gola; era per Ron, Hermione e gli altri, e soprattutto per Ginny, Ginny che era ancora viva e poteva essere salvata.
Voldemort si aprì nel suo sorriso inquietante, come un taglio di traverso sul volto cereo, compiaciuto della reazione del giovane. “Vedo che iniziamo a ragionare. Sei solo, devastato dalle perdite, non ti è rimasto nessuno cui fare affidamento… Sai che cosa vive nella tua anima, Harry? Silente non ha reputato necessario rivelarlo al suo pupillo, sarò io a riferirtelo: tu sei un Horcrux, ragazzino, ed è per questo che la tua misera vita non si è già conclusa sotto l’impatto del mio Anatema Mortale.”
Per un attimo si dimenticò di respirare, orripilato. Le visioni che aveva riguardo Riddle, l’aggressione del signor Weasley davanti alla porta dell’Ufficio Misteri, la maledetta connessione mentale che lo tormentava da anni…e il Serpentese, i nuclei gemelli delle bacchette…
“Perché?” esclamò. Diede uno strattone all’incantesimo che lo avviluppava rischiando di slogarsi una spalla. “Quando mi hai fatto questo?” Ma la risposta venne alla sua mente nello stesso istante in cui poneva la domanda.
“La cicatrice” spiegò Voldemort accennando alla sua fronte “non è semplicemente una ferita da maledizione come credevo. Quella notte, la mia anima si divise dal corpo, e una parte di essa si legò alla tua. Troppe lacerazioni devono averla resa instabile, pronta a spezzarsi ad ogni minima oscillazione di magia nera…”. Procedette verso di lui, studiandolo con interesse scientifico. “Hai distrutto la maggior parte dei miei Horcrux, ragazzino, ma mi ritrovo nella spiacevole situazione di non potermi vendicare su di te. Oh, certo, potresti anche dimostrarti così recalcitrante all’idea di seguirmi da costringermi a regalarmi tale soddisfazione…”
“E allora uccidimi, perché se speri che io ti segua sei solo un illuso, Riddle!” esplose Harry con passione, la gola in fiamme mentre prendeva atto della follia della situazione. Un Horcrux! Doveva farsi uccidere, ecco la soluzione, doveva morire… Silente non gliel’aveva rivelato, perché? Non voleva credere alle insinuazioni di Voldemort nei suoi confronti, era ovvio che stesse solo tentando di persuaderlo; non voleva e non doveva. L’idea di morire non era così spaventosa se serviva ad annientare una parte dell’uomo che gli aveva rovinato l’esistenza nella speranza di renderlo mortale.
Poi, il volto inumano di colui che un tempo si era chiamato Tom Riddle fu accanto al suo, bianco come gesso, il contrasto stridente della veste nera e delle scaglie di sangue che erano i suoi occhi. “So che cosa stai pensando, ragazzino” gli sussurrò, carezza soffiata sulla sua pelle. “Vuoi spingermi ad ucciderti, uccidendo con te la mia anima lacerata. Ma non riuscirai a farmi perdere il controllo, quando la calma è parte di me e il tempo non ha significato alcuno. Sono ancora mortale a causa tua, però esistono altre strade inesplorate, e i Naga come Nagini, il mio ultimo Horcrux, possiedono una durata di vita molto superiore a quella dei comuni maghi.”
Lasciò che le parole scorressero lievi, senza alterazioni nel tono, permise ai loro sguardi d’incontrarsi.
“So che cosa volevi fare, con quello specchio magico. La tua fidanzata respira ancora.”
Harry raggelò e ricominciò ad agitarsi. La minaccia implicita che aveva avvertito in quelle parole lo stava straziando. “NON TOCCARLA!” ruggì, protendendosi verso di lui finché le catene invisibili che lo imprigionavano si torsero attorno alle membra. “Non osare toccarla, Riddle, o io…”
Voldemort gli sfiorò una guancia. “Shhh.” Era come se lo stesse prendendo in giro, ma nello stesso istante la morsa dell’incantesimo si tramutò in una stretta delicata, conturbante, come se invece di manette d’acciaio a ghermire i suoi arti vi fossero lacci di velluto. Li percepì massaggiargli i polsi, le caviglie, fino a slegarsi piano facendolo scivolare dolcemente a terra. Pur consapevole dell’illusione e orripilato dalla sensazione di conforto che provocava, non poteva impedire a se stesso di sentirsi come se qualcuno – Ginny, Hermione o addirittura sua madre – l’avesse appena abbracciato. Il paragone gli diede la nausea.
“Non intendo donarle il colpo di grazia, Harry, pur se questo sarebbe un atto di clemenza a giudicare da com’è ridotta. Anche se tu fossi riuscito a chiamare i soccorsi, nessun incantesimo potrebbe riportarla indietro da dov’è diretta…” Sorrise, lo scintillare dei due frammenti cremisi era l’unica luce in mezzo alla melma in cui si era tramutato il parco di Hogwarts. “Nessun incantesimo che loro conoscano.”
Harry era a terra, il fiato bloccato a metà strada tra il petto e la laringe. Una mano aveva raggiunto le dita di Ginny, tanto sottili che temeva si spezzassero. Non l’aveva mai vista così vulnerabile. Nessun incantesimo che loro conoscano… Nessun incantesimo che loro conoscano…
“Io sono Lord Voldemort,” enunciò l’uomo, in piedi davanti a lui, “il mago che è giunto più vicino di chiunque altro a sconfiggere la Morte. Sono l’unico che può –”
“Hai ucciso i miei genitori” lo interruppe Harry in un ringhio sordo, il sangue che gli rombava nelle orecchie. “Hai sterminato tutti coloro che conoscevo e a cui volevo bene!” Alzò lo sguardo su di lui, il verde limpido, diretto, privo di fini reconditi. Perdonami, Ginny, ma non posso salvarti, pensò, il palmo a contatto con il suo polso freddo. Perdonami, ma se questo è il prezzo non posso pagarlo. “Vuoi solo ingannarmi.”
“Tutti morti, Harry, è vero” attestò Riddle girandogli attorno, la lunga veste che strisciava al suolo macchiandosi di terriccio. “Non ti è rimasto nessuno. Solo io…e lei.” Si fermò davanti a lui, guardandolo dall’alto. “Sono l’unico che può donarle nuovamente la linfa vitale. Ci vorrà del tempo, non lo nego, ma perché permettere al mondo di abbatterci? Perché farsi limitare dai comuni impedimenti terreni? Essi sono posti di fronte al cammino del mago solo per invitarlo a superarli, a polverizzarli… Si tratta di ostacoli che vanno annientati, barriere che vanno oltrepassate per raggiungere un traguardo superiore.”
Harry avrebbe voluto disprezzare, odiare ogni singola parola che fosse uscita da quella bocca, avrebbe desiderato ridere di disgusto, insultarlo, condurlo all’esasperazione costringendolo ad ucciderlo; eppure una parte di lui, una minuscola zona egoista e spregevole di lui sognava di una Ginny viva come si brama l’ossigeno da respirare o il sole sulla pelle. Lui non credeva davvero a Voldemort l’assassino, a Voldemort il mostro – però voleva credergli.
Finalmente capiva perché i Mangiamorte si univano a lui, capiva che cosa e quanto aveva da offrire. Concedeva Speranza, dispensava pillole di lieta follia, e capirlo e credergli ed essere sedotto da ciò che diceva portava Harry a chiedersi quanto quell’ennesima battaglia avesse cambiato il suo essere.
Chi era lui, Harry Potter, e fin dove era disposto a spingersi? Quesito che gli regalò brividi d’orrore e fremiti di tentazione.
“Tu menti… Nessuno può tornare indietro una volta che…”
“Non è ancora spirata, ragazzino. Possiedo conoscenze che ti permetterebbero di tenerla in vita abbastanza a lungo perché si riprenda; in cambio, desidero solo che tu –”
“…che io combatta per te?” L’esclamazione venata di collera risuonò incredula nel silenzio. No, era semplicemente assurdo che avesse pensato di patteggiare con Voldemort; quei giorni concitati e terribili erano trascorsi nel caos e nella morte proprio a causa sua, e Ginny avrebbe preferito morire piuttosto che vivere sotto la dittatura di quell’essere.
Riddle lo esaminò divertito. “Combattere? Tu? Con il rischio di perdere l’ennesimo frammento della mia anima?” Diede in una breve risata raggelante. “Silente ti ha cresciuto senza neppure insegnarti ad usare una bacchetta in duello… No, non si tratta di questo.”
“E allora di cosa?
“Bada bene, Harry,” lo ammonì Voldemort in tono serico, “non ti sto offrendo la scelta tra seguire me o tornare da dove sei venuto – ammesso che esista un luogo a cui tu possa fare ritorno; la scelta che ti propongo è quella tra venire di tua volontà, mantenendo un margine di dignità, o essere costretto ed umiliato.”
Harry sussultò. Aveva davvero creduto che Riddle gli stesse dando una possibilità? Se aveva parlato di Ginny era stato solo per addolcire il veleno e non doversi disturbare a Schiantarlo.
“Io non ti appoggerò mai” dichiarò senza esitare, punto nell’orgoglio.
Il mago Oscuro sospirò. “Dunque mi costringi a trascinarti via urlante come un marmocchio, condannando per di più la tua amica a morte certa?” Davanti al suo sguardo tormentato, sorrise. “Non avrai creduto di poterla salvare e al contempo negarmi una collaborazione pacifica.”
Mi rifiuto! Infrangere le promesse fatte a Silente, ridursi a questo solo per egoismo? Harry guardò Ginny, settima figlia dopo sei fratelli, e le carezzò il volto un’ultima volta, preparandosi a dirle addio per sempre prima di farsi uccidere…
…e trovandosi impreparato di fronte alla richiesta di un sacrificio così grande. Aveva visto morire tutti coloro che amava, ma veder morire lei lo avrebbe spezzato, lo stava già facendo.
Prese fiato lentamente, distogliendo gli occhi dalla ragazza con profonda vergogna. “Non hai mentito quando hai detto di poter far sì che…?”
“No, Harry: non ho mentito. Esiste una varietà di studi su pazienti in fin di vita, ed esistono modi che la medicina legale non approva…” Lasciò sfumare la frase con avversione. “Ma ciò non significa che non siano efficaci.”
“Lo giuri?” Il suo fu un sussurro appena percettibile. Non aveva mai provato tanto disgusto per se stesso.

***


Era stato un bambino pallido e dinoccolato, con tanti capelli e le guance incavate. Quando l’aveva visto, la prima volta, aveva pensato che il mondo girasse proprio dalla sua parte, perché tanta fortuna non poteva essere un caso: un infante in culla, giusto all’età per reggersi in piedi barcollando e balbettando incoerenze.
Doveva essere Destino.
Aveva riso, si era sentito come se ogni cosa gli fosse offerta – perfetta, pronta.
Poi c’era stato l’Avada Kedavra
– i tredici anni d’inferno e il darsi dello sciocco, il cercare di rimanere aggrappato al terreno senza dormire mai mai mai, che il sonno era labile e pericolosamente simile a svanire, perdersi nell’aria – morire – e le notti erano come i giorni e i giorni troppo uguali alle notti, e vedeva attraverso occhi di rettile e respirava aria che sapeva di polvere, di terra brulicante di vita, di linfa di pioggia d’ossigeno, e lui era vapore, fumo danzante, puro spirito dilaniato – se avesse potuto sconfiggere quello stato di veglia perenne, trovare un modo –
– doveva essere Destino.
Tutte le volte se lo ritrovava davanti, anno dopo anno dopo anno, e gli sfuggiva sempre, inspiegabilmente. Non pensava più che il mondo girasse col vento che soffiava Lui, ma continuava a comportarsi come uno sciocco e a dirsi che quella situazione maledetta fosse inconcepibile – un ragazzino, solo un ragazzino con più fegato che cervello.
Forse si era rifiutato di capire, forse aveva solo tralasciato le variabili. Ora aveva imparato. Ne era valsa la pena, tutti quegli anni?
Era stato un bambino pallido e dinoccolato, ma adesso era quasi uomo – quasi – e aveva lo stesso sguardo. I pugni stringevano, e c’erano lacrime disseccate sulle guance sporche dei colori della guerra.
Le dita gli tremavano accanto al viso di quella ragazzina, tra il rosso dei capelli – del sangue, sulla pelle macchiata d’efelidi, annaspando nel tentativo di coprire le vesti strappate. Era una cosa turpe, una cosa squallida, ma lui aveva gesti così delicati, e negli occhi aveva solo lei.
Poi l’aveva guardato, stringendosi al petto una misera manciata di sogni morenti. “Lo giuri?” La sua voce era suonata ferma, come se non avesse pianto fino ad un attimo prima, come se nei suoi occhi non brancolasse la follia – e Voldemort aveva capito d’aver vinto.
Allora, solo allora si era sentito deturpare il volto da un ghigno, il sapore dolce di quella resa agognata. “Sul mio onore.”
Doveva essere Destino – il caso non aveva mai avuto nulla a che vedere con la sua vita – e il Destino, finalmente, gli aveva sorriso.


Note di Ero

Questa non era pronta per essere pubblicata. Dovevo rivedere delle cose, sfoltire l'introspezione e farla un po' meno angst, ma spero che sia leggibile nonostante la...pesantezza (?) del primo capitolo. Non ne ho idea. Trattasi di What if Harry fosse un egoista? (lol) e di What if Piton fosse morto prima di potergli dire la verità? e di What if...? va beh, ce ne sono molti. Perché non l'ho fatta betare? *coff* Comunque mini-long (non so quanto mini) in cui Harry riscopre lentamente un AMMMOOOORE per la sua nemesi. Voldemort riacquisirà la sua faccia umana più avanti per amor di slash. Non che Harry lo possa odiare meno solo per il suo aspetto, ma comunque...*rotola*. Mi dicono che il mondo è bello perché è vario, ma ce ne sono così poche di LV/HP su questo sito... Se capita commentate pure, avete tutto il tempo, tanto il prossimo aggiornamento avverrà in un futuro indeterminato. :)) 

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Capitolo 2
*** - II - ***




Ceneri fredde,,


- II - 


 
Le Arti Oscure esigono sempre un prezzo, da parte di colui che le evoca e da chi le subisce.
L’aveva intuito scorgendo il graffio sul palmo di Silente, pedaggio per attraversare un cupo Acheronte e impossessarsi di un medaglione vuoto, e prima vedendo la sua mano avvizzita a causa del cancro maledetto che lo stava consumando, ma soprattutto l’aveva potuto osservare nelle sembianze distorte di un Lord Voldemort corrotto dalla sete di potere.
Lo preferiva nei panni della bianca carcassa che era sempre stato all’epoca in cui lui era solo un ragazzo rispetto alla maschera del padre Babbano che indossava adesso grazie all’ausilio di filtri e pozioni – come uno di quei demoni che prendono l’aspetto delle loro vittime, calzando le loro carni come vestiti. Harry trovava più semplice odiare il teschio ghignante che compariva nei suoi vecchi incubi anziché quel pallido estraneo dagli occhi d’ossidiana e il sorriso blasfemo – più facile odiare qualcuno se non lo si conosce realmente e ha la faccia mostruosa di un essere inequivocabilmente malvagio.
Le vesti umane rappresentavano un contrasto sinistro con il lucore vermiglio dello sguardo o con l’imperturbabilità di chi ha il ghiaccio nel cuore, e quello che mostrava non c’entrava nulla con ciò che era davvero, si trattava solo dell’involucro di un Tom Orvoloson Riddle di quarant’anni più giovane che non aveva mai spezzato la propria anima così tante volte da essersi dimenticato il sapore di una risata felice.
Il suo aspetto era una menzogna, come le sue parole.



***

 




Arrivarono seguendo gli strascichi dell’alba.
Harry dimenticò come aveva varcato i cancelli di Malfoy Manor, attraversando l’acciottolato senza degnare di uno sguardo le siepi e i pavoni albini dalla camminata regale; non udì lo sciabordio della fontanella di pietra bianca, né notò come al suo passaggio si lasciasse alle spalle orme insanguinate.
Voldemort lo precedeva, ma al momento non gli importava; registrò il dettaglio almeno tre giorni dopo e gli diede solo un pizzico di fastidio, nulla confronto a quanto ne avrebbe provato prima. Sulla loro scia aleggiava sinistro il cadavere di Scabior, sospeso a mezz’aria per magia, un occhio scuro aperto sul nulla e l’altro coperto di sangue, quasi indossasse una mezza maschera rossastra. Harry si ostinò fino all’ultimo a non guardarlo.
Ciò che contava, al momento, erano lei tra le sue braccia e il mantenimento dei patti. Fissava la nuca di Voldemort come se si aspettasse una mossa falsa, consapevole che se fosse stato condotto in una trappola l’avrebbe scoperto sin da subito e a proprie spese – proprie e di Ginny.
Rammentò il brivido che aveva provato quando la mano di lui si era posata sulla sua spalla per la Materializzazione Congiunta – aveva chiuso gli occhi convincendosi che lo faceva per Ginny, cercando di scacciare l’impulso di infilzargli la bacchetta nelle costole. Era stato un contatto di mezzo secondo, abbastanza da realizzare a chi si stava vendendo, e gli era sembrato di riudire la sua voce proveniente dalle nebbie del cimitero di Little Hangleton: “Ora posso toccarlo”.
Ad aprire fu un elfo, o forse la porta si spalancò da sola per mezzo di un incantesimo – c’era magia nelle pareti stesse del luogo, e nello spazio deserto vigeva un che di luttuoso. Se si chiese perché non ci fosse nessuno, fu ancora per fiutare le tracce di un ipotetico inganno.
Riddle lo condusse in una sala talmente vasta che l’enorme tavolo non ne occupava neppure la metà, e Harry si era trovato così raramente in un’abitazione magica che non poté evitare di guardarsi attorno per un attimo. Il lampadario era simile a quello che si era frantumato a terra appena prima che Dobby fosse ucciso; la luce riflessa sulle gocce di cristallo si rifrangeva in schegge vellutate sulle pareti color avorio. C’erano colonne corinzie ai quattro angoli, le piccole scanalature incise nel marmo e le foglie di vite sul capitello, mentre una cupa scena di caccia era la rappresentazione di un dipinto che occupava il muro di sinistra.
Ad un cenno di bacchetta, il corpo del Ghermidore si accasciò supino sul tavolo; dunque Voldemort si rivolse a Harry: “Mettila giù.”
Il ragazzo raggelò, alzando lo sguardo verso di lui. “Su un tavolo da salotto?”
“Sei ospite, qui, Harry, e Narcissa sarebbe quanto mai dispiaciuta di sentirti parlare con tale disprezzo della sua illustre dimora.” Lungi dal badare all’etichetta, le parole erano venate di sarcasmo, e Harry pensò che qualcuno avrebbe dovuto spiegargli la differenza tra ‘ospite’ e ‘prigioniero di guerra’.
“Come sarebbe quanto mai dispiaciuta di vedere un cadavere che gocciola sangue sul suo tappeto?” In realtà il sangue non gocciolava, ma non aveva intenzione di fissare quel corpo sapendo che era stato lui ad ucciderlo; era come se una forza estranea gli distogliesse lo sguardo ogni volta che si avvicinava alla sagoma. “Non è casa tua, Riddle.”
Nonostante i toni, adagiò Ginny all’estremità opposta rispetto al suo aggressore, badando di sistemarle i vestiti ricuciti con un rudimentale incantesimo domestico. Guardandola dimenticò quasi di respirare. Pareva molto provata, eppure non poteva essere passata più di mezz’ora da quando l’aveva scorta nel fango… Solitamente sapeva sempre cosa fare nelle situazioni, se non con la ragione di certo con l’istinto, ma ora, con lei lì e nessuna conoscenza medi-magica, tutto ciò che aveva imparato a Hogwarts gli pareva una manciata di formule vuote. Poteva attaccare, difendersi, ma non riparare i cocci in frantumi, e allora a che cosa serviva la magia? A che cosa serviva, se non poteva permettersi di eliminare malattia e guerra, che cosa voleva dire essere maghi se non si poteva curare la morte? Il pensiero comparve per un attimo e si dissolse. Nessuno può tornare indietro, si ripeteva; ci sono incantesimi che loro non conoscono, risuonava però nella sua mente.
Incrociò gli occhi del mago Oscuro, il quale rimaneva a guardarlo dibattersi nella sfiducia con una luce di perversa soddisfazione nelle iridi scarlatte. Maledetto, pensò Harry con una fiammata d’odio. Sai di avermi in pugno e gongoli da quello schifoso subdolo figlio di puttana che sei…
“Allora?” sbottò, sebbene si avvertisse l’angoscia dietro le sillabe ringhiate. “Che cosa devo fare per…?”
“Tu nulla, per ora” interruppe l’altro asciutto venendogli accanto – Harry provò l’impulso di ritrarsi, ma Voldemort rivolse l’attenzione a Ginny, analizzandola dall’alto in basso come se si trattasse di materia inerte su cui provare un incantesimo. Quando levò una mano a toccarle il polso, Harry era lì lì per aggredirlo.
Le dita dell’uomo si bloccarono nel tragitto verso la giugulare. “Togliti da qui, ragazzino, o vuoi che le recida un’arteria a causa dei tuoi scatti?”
Harry si distanziò di un millimetro, nient’affatto rassicurato; ancor peggio fu quando il mago le avvicinò la bacchetta al collo e la passò ad un centimetro dalla sua pelle lungo tutto il corpo, ma si trattenne mordendosi un labbro. Alla fine, Voldemort terminò il suo esame.
“Non si sveglierà” decretò.
Harry avvertì il cuore esplodergli dentro e in contemporanea afferrò la bacchetta, puntandogliela addosso. “Avevi detto che l’avresti salvata!”
Riddle gli indirizzò uno sguardo nauseato. “Immagino che anche un Mezzosangue cresciuto da Babbani come te sappia che cosa significa trovarsi immersi in uno stato comatoso” aggiunse.
Il ragazzo abbandonò il braccio lungo il fianco lentamente, man mano che le parole facevano breccia e l’ira si spegneva. “Anche tu sei un Mezzosangue cresciuto da Babbani” replicò, con meno acidità di quanta ne avrebbe messa normalmente. Coma. Ginny è in coma. Viva, ma in coma. Non sapeva se sentirsi terrorizzato o sollevato dalla notizia.
Voldemort assottigliò lo sguardo, ma sembrò incassare in maniera singolare. “Sbagli, Potter. Sono al di là di tali definizioni che si danno agli umani, ho superato quella fase da lungo tempo ormai.”
“Oh, si vede” schioccò Harry, riuscendo a squadrarlo dall’alto in basso nonostante gli arrivasse più o meno alle spalle.
L’altro sembrò non udirlo, tornando a guardare Ginny esanime con la stessa inespressività che si rivolge ad un oggetto. “Potrei lasciarla qui” sussurrò delicato. “Il trauma è esteso alla zona temporale del cervello, potrebbe non riprendersi mai più. Se la lasciassi così, sarebbe nulla di meglio di un vegetale per il resto della sua vita… Ti piacerebbe?” Fece oscillare la punta della sua bacchetta sulla fronte della ragazza, come un pendolo che potesse deciderne la sorte a seconda di dove si fosse fermato.
Harry colse l’antifona. Strinse talmente i denti che pensò potessero spezzarsi. “Io smetto di parlare, ma tu cerchi di curarla” stabilì.
“Come si dice?”
Il ragazzo s’immobilizzò. “Cosa?”
“Le buone maniere, Harry. Siamo gente educata e ci troviamo in una villa Purosangue.” Riddle parlava con voce soffice, quella che si addice ad argomenti futili come il tempo e il menu del ristorante. “Allora?”
L’avrebbe ucciso. Squartato. Anzi, prima avrebbe imparato la Cruciatus appositamente per torturarlo. Era così tentato di assalirlo che le sue ginocchia si piegarono da sole per prepararsi ad un attacco, ma ricordò che non poteva agire impulsivamente. Chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Ginny. Il suo sorriso. Vederla di nuovo viva. I pomeriggi passati a giocare a Quidditch alla Tana. Quando fu pronto, li riaprì. “Per favore” sibilò, infondendoci tutto l’odio che provava.
Gli occhi di Voldemort scintillarono di trionfo e le unghie di Harry scavarono la pelle delle mani chiuse a pugno.
“Non ti chiederò di ripeterlo, per questa volta” concesse con lo stesso tono dolce.
Harry non riusciva praticamente a respirare. Avrebbe tanto desiderato poter Occludere la mente e scacciare le emozioni; gli pareva di essere un vulcano vicino all’eruzione confronto alla calma artica di Voldemort.
“Stavo dicendo” proseguì questi neutro, “che il trauma è psico-fisico, dunque cercheremo un’apposita cura tramite pozioni iniettabili per via endovenosa o rilasciabili in un liquido. Una Rimpolpasangue basterà per le perdite che ha subito, ma dovremo preparare un Filtro Rigenerante in cui immergerla nel frattempo; inoltre sarà meglio…” La punta della sua bacchetta si mosse formando piccoli cerchi lungo la pelle di Ginny, dal capo alle dita dei piedi, ed in contemporanea fu come se un alone gelido le si posasse addosso, impermeabile.
A Harry sembrò improvvisamente più pallida e fredda, un’impressione che gli fece contrarre le viscere e dimenticare la promessa di silenzio. “Che cosa le hai—”
“Ho congelato le cellule del suo corpo cosicché non possano riprodursi e morire, quasi che la sua vita fosse sospesa… Non può peggiorare, in questo modo.”
“Hai intenzione di tenerla così?” A Harry veniva da vomitare, anche se non ne capiva esattamente il motivo; sapeva solo che era una cosa orribile.
“La Criomagia dev’essere rinnovata una volta ogni tre ore, o l’organismo riprende la sua normale attività. Prepareremo un Filtro Rigenerante alla giusta temperatura, e una volta immersa nel liquido non ci sarà bisogno di tenerla sotto controllo costantemente.”
Harry la fissava con la fronte corrugata, tanto concentrato da dimenticarsi l’astio verso Voldemort. La situazione continuava a dargli i brividi, per quanto si sforzasse. Stava per chiedere quali rimedi pozionistici esistessero contro il coma magico, di cui non sapeva nulla, quando il mago Oscuro aggirò il tavolo posizionandosi di fronte al capo di Scabior e parlò con lo stesso tono impassibile: “Vieni qui, ora.”
“Come mai?” ribatté in fretta, non per sfida quanto perché non voleva avvicinarsi al cadavere.
“Sto perdendo la pazienza, ragazzino” minacciò Voldemort a voce bassissima. Probabilmente più il tono diminuiva più la voglia di Cruciare Harry era maggiore. Il ragazzo non si sentiva spaventato, era troppo preoccupato per Ginny e pieno di ostilità per Riddle, ma pensò che non fosse una richiesta così tremenda da rifiutarsi. Attraversò la sala fino a porsi davanti alle scarpe del cadavere. Per evitare di fissarlo, spostò lo sguardo in quello di Voldemort e cercò di mostrarsi assolutamente padrone di sé.

Il Signore Oscuro storse un angolo delle labbra in una specie di ghigno. Era piuttosto sgradevole stare l’uno di fronte all’altro con un morto in mezzo, soprattutto se Voldemort aveva quella faccia. Harry rabbrividì impercettibilmente.
“Sai usare una Maledizione Espellivisceri?” chiese il mago allargando il sorriso distorto.
Harry deglutì. “No.” Maledizione? Di certo non si aspettava che conoscesse le Arti Oscure, vero?
Voldemort disapprovò, e a Harry venne in mente la smorfia di Piton nel commentare i suoi tentativi a Pozioni con la parola ‘patetico’. Scacciò il pensiero: se sommava il ricordo di Piton alla presenza di Voldemort, rischiava di imparare per davvero a lanciare Cruciatus.
“Lo immaginavo, non sai nulla di pratica chirurgica in campo magico” si limitò Riddle. “Allora dovrai farlo a mani nude, ragazzino. Conviene tirarti su le maniche.”
Harry non capiva, ma stava iniziando ad agitarsi. “Prima dimmi che cosa devo fare, Riddle” sputò.
Voldemort passò la bacchetta sul petto di Scabior, e la veste si dilaniò dal bacino al collo. Harry guardò per un attimo e poi ritrasse il capo, strizzando le palpebre. Che cosa stava facendo? Pratica chirurgica?
“Lezione numero uno, Harry: la vita si paga con la morte” decretò Tom Riddle. “Dai tempi dei tempi, questa è la regola base. La magia nera nelle sue forme più elevate non è qualcosa che un mago comune possa richiamare dall’interno di sé per tramutarla in energia e sfruttarla a piacimento. La magia nera risveglia le forze silenti della natura esterne all’individuo ed esse accettano di piegarsi a lui solo se lo ritengono meritevole. Non sei tu a controllare loro, almeno finché non sacrifichi abbastanza, e non tutti hanno il temperamento adatto per addentrarsi in queste branche, né avvertono la necessità di farlo. La conoscenza che si ricava da un simile viaggio, però, è illimitata.”
“Ma ha un prezzo, hai detto” interruppe Harry duramente, pensando agli Horcrux. La sua espressione era di puro disgusto considerando la mutilazione ripetuta dell’anima attraverso l’omicidio in cambio del potere assoluto.
Qualcosa brillò e si spense nelle iridi rosso cupo. “Sempre” confermò. Vedendo la faccia del ragazzo, aggiunse: “Le Arti Oscure hanno il vantaggio di vendere al mago ciò che vuole, vedilo come uno scambio. Prendi un mago nobile e altruista, e ponilo di fronte alla scelta di salvare uno dei suoi cari o rimanere puro e incorrotto. Che cosa farà, a quel punto?” Lo guardò in modo significativo, godendosi la sua reazione.
A Harry il discorso non piaceva con ogni fibra di sé, né sopportava il tono beato di Voldemort nel parlare della sua disciplina favorita, ma lo fece sentire anche schifosamente in colpa. Nulla di ciò che facesse ghignare Voldemort in quel modo poteva essere giusto, era come se si fosse infilato da solo nella trappola ma non riuscisse ad uscirne: lui lo faceva per Ginny, non per se stesso. Iniziava a capire perché Riddle considerasse l’amore come una debolezza, ed era un pensiero deprimente.
“Quando dici ‘sacrificio’ intendi anche un pedaggio di sangue per oltrepassare un ingresso, e una tortura psicologica per poterne uscire?” inquisì Harry, tanto per allentare la stretta al petto che provava evitando una risposta diretta.
L’espressione dell’altro si rabbuiò all’improvviso. “Immagino ti riferisca alla caverna dove tu e il vecchio vi siete introdotti per rubare il mio medaglione.”
Harry si lasciò sfuggire un sorrisetto di superiorità, mettendo da parte i ricordi penosi che quella nottata gli evocava e concentrandosi sulla soddisfazione di aver privato Voldemort degli Horcrux e di quello che, ne era certo, fosse lo scopo della sua vita. “Quella.”
Continuarono a fissarsi per un po’, Harry con il ghigno di Malfoy quando gongolava e Riddle con uno sguardo da Anatema Che Uccide non-verbale.
“Sì, sono degli esempi” risolse infine il mago Oscuro senza abbassare lo sguardo. Harry non sbatteva le palpebre da così tanto tempo che gli occhi cominciavano a bruciare.
Riddle proseguì come se non fosse stato interrotto: “Le Arti Oscure esigono sempre un danno fisico o psichico per assecondare le richieste del mago; richiedono una forza mentale considerevole, che non tutti possiedono. Uccidere, come saprai, lacera l’anima; utilizzare spesso incantesimi come le Cruciatus danneggia i tessuti neuronali del mandante oltre che del ricevente. Tutto ciò è illegale più per il timore di un abuso che di un uso moderato, Potter, e non è di uso moderato della magia nera che noi avremo bisogno per ciò che faremo.” L’ultima nota era sinceramente inquietante. “In questo caso, sei fortunato. Hai già sacrificato la vita che dovevi alle forze Oscure, adesso è necessario sfruttarla a tuo vantaggio. Se vuoi inizio io, ma dopo dovrai fare da solo.”
Harry stava già per aprir bocca, ma la bacchetta di Voldemort passò di nuovo sulla pelle di Scabior, tracciando una linea verticale in prossimità del torace, che venne reciso di netto davanti a loro. Harry si voltò di scatto, senza riuscire a respirare. “Non se ne parla” esalò. “Io non…non frugo tra le sue budella per… Ma a che cosa serve, poi, non c’è un altro mo—”
“Devi estrarre il cuore” annunciò Voldemort con tutta la dignità possibile mentre era impegnato a sviscerare un cadavere su un tavolo da salotto. “Poi ti occuperai di prelevare un campione di sangue e di sezionare il cranio per il suo cervello.”
A Harry veniva di nuovo da vomitare. “Perché Merlino devo fare queste cose?!” gridò, una nota isterica. Doveva essere un incubo, era decisamente troppo perché fosse reale.
“Perché” rispose Voldemort con lentezza, “lui è l’assassino, tu sei l’evocatore di un eventuale rito e potresti avere bisogno di uno di questi ingredienti per salvare la tua amica. Ho valutato la necessità di un’evirazione, considerata la violenza sessuale pre-mortem, ma—”
Harry boccheggiò. “Non toglierò il cazzo ad un morto” scandì, impallidendo quanto Ginny. Indietreggiò fino a sbattere contro la parete alle sue spalle. “Io non farò nessuna di queste cose, hai capito? Mi rifiuto di sventrare un tizio per fare un dannatissimo rito Oscuro da folli, mi rifiuto di lasciare Ginny nelle tue mani, pazzo sanguinario, la ucciderai!”
A quel punto, stava già pensando ad una possibile via di fuga con il corpo di Ginny in braccio, ma quando vide guizzare la bacchetta di Voldemort si preparò a rotolare per schivare la maledizione. Un getto di luce rossa colpì il punto esatto in cui un attimo prima si trovava, e un piccolo cratere si formò nel salotto dei Malfoy. Harry ringraziò sentitamente il Quidditch. La bacchetta scattò di nuovo ma, a sorpresa, l’unico risultato fu quello di ritrasportare Harry presso il tavolo.
Provò a muoversi senza riuscire a scollare i piedi dal pavimento. “Liberami subito!” ringhiò dimenandosi. Era uscito dalla dimensione di orrore ovattato che era perdurata trasportando Ginny in casa, adesso percepiva le emozioni ad un’intensità quintupla rispetto al normale ed era terribilmente umiliante farsi impedire i movimenti da Voldemort.
“Sei proprio un ragazzino.” Detto da lui pareva in assoluto un insulto, e Harry si sentì avvampare sotto al suo sguardo. “Credi sia un atto ignobile? Eppure potrebbe servire a lei, se altro non andasse a buon fine. Ogni caso clinico magico ha una sua diagnosi, una sua cura, e le Arti Oscure sono una disciplina sperimentale, la cui segretezza non fa altro che rallentare i progressi. Andremo per tentativi, non avrai un libro di testo scolastico da seguire pari passo. Se ti arrendi davanti a sciocchezze come estrarre qualche organo ad un uomo morto che per giunta ha stuprato la tua ragazza, non vedo come tu possa raggiungere l’obiettivo di risvegliarla. Silente mi sottovalutava se ha messo te a combattermi.”
Harry aveva di nuovo stretto i pugni e stava digrignando i denti. All’ultima frase fu come ricevere uno Schiantesimo in pieno ventre. “Bastardo” sputò. “Lui ha vio…fatto del male a Ginny, ma è te che sbudellerei volentieri, credimi, te lo meriti molto di più.”
Voldemort gli puntò la bacchetta in fronte, verso la cicatrice che al momento bruciava della sua furia trattenuta. Emanava una strana aura, una che aveva visto solo su Silente quando era particolarmente arrabbiato o richiamava a sé tutto il suo potere; solo, quella di Voldemort dava l’idea di morte imminente.
“Ti potrei Cruciare al punto da ridurti ad un essere strisciante, Harry Potter. Se non lo faccio è perché mi preme mantenere la tua mente intatta al fine di capire come abbia potuto sceglierti inconsciamente quale mio eguale. Sei solo uno sciocco ragazzino senza un briciolo di sapere che pretende di avere ragione su tutto, in cosa saresti uguale a me? Un Mezzosangue cresciuto da Babbani che ha studiato a Hogwarts, e poi?” Gli si delineò in volto un’espressione sprezzante.
“Io non vorrei mai essere uguale a te!” protestò Harry di cuore. Si sentiva sempre gravemente offeso, ma di sicuro non gli dava fastidio che Voldemort non notasse somiglianze tra loro. “Hai ucciso i miei genitori!”
“Allora dimostra la tua eroica volontà, Potter” sorrise Voldemort in un inquietante ritorno alla calma. “Salva la ragazza.”
Per Harry era tutto molto confuso. Non voleva toccare Scabior, anche se era stato lui a fare quella cosa a Ginny, non voleva proprio vederlo mai più. In questo caso, però, che scelta aveva? Che razza di pozioni erano quelle per cui si utilizzano gli organi umani? Arti Oscure molto avanzate, immaginava. Ma lui non era un mago Oscuro, lui era Harry; odiava la magia nera quanto odiava Voldemort. Tuttavia, era lì con Voldemort, e non lo stava combattendo. Era come se Voldemort lo stesse aiutando, anche se naturalmente doveva avere i suoi piani e la parola ‘aiuto’ non era adatta a definire le sue trame malvagie.
Si morse il labbro. Non gli andava di essere considerato debole, anche se era di Riddle che si parlava – o forse proprio perché era lui a giudicarlo tale.
“Va bene. Lo faccio.”
Spalancò gli occhi e si ritrovò a fissare Scabior. La bocca semiaperta gli donava un’aria di mezza sorpresa. Attorno alla tempia spaccata c’era un grumo di sangue, e secco com’era sicuramente non gocciolava, mentre il petto era irsuto, bianchiccio. Ora che lo guardava non riusciva più a distoglierne l’attenzione.
“Inizia da lì” indicò Riddle. “Apri con le mani e fa’ Evanescere lo sterno.”
“Mi servono dei guanti, giusto?” chiese Harry speranzoso.
Riddle attese un attimo prima di rispondere, forse per assaporare il piacere di lasciarlo brancolare nel dubbio. “No.”
Il ragazzo fece una smorfia, sospettando che Voldemort mentisse solo per vederlo esitare e sbiancare. Be’, non si sarebbe lasciato intimidire ora che aveva accettato, anche se era ciò che di più rivoltante gli fosse mai capitato, compreso nutrire Vermicoli e infilare bacchette nel naso di giganteschi mostri dai piedi di corno.
Si costrinse ad introdurre le mani nella carne di Scabior per aprire il petto. L’odore, lungi dal tanfo dei terreni di Hogwarts coperti di morti, era comunque abbastanza rivoltante, a meno che non fosse frutto della sua fantasia a causa del disgusto che provava.
Si pulì la destra contro le vesti del cadavere e puntò la bacchetta sull’osso piatto a guardia del muscolo. “Evanesco” mormorò, e almeno non fallì l’incantesimo – non voleva far comparire procioni sul dorso di un morto davanti a Lord Voldemort. Poi arrivò la parte più difficile.
Quando provò ad infilare le dita per afferrare il cuore, era certo che avrebbe vomitato. Inoltre, gli pareva tutto molto macabro e indecente.
Ha fatto del male a Ginny. Si meritava di morire. Ora comunque non può sentire dolore, quindi fallo, è per lei. Non è davvero colpa tua, dovevi ucciderlo, o lui avrebbe continuato. La stava violentando!
Le maniche ai gomiti, incontrò una resistenza inimmaginabile. Dovette aiutarsi con gli incantesimi per strappare l’organo ai vasi sanguigni e districarlo senza rischiare di danneggiarlo; comunque il tessuto muscolare era così resistente che sarebbe stato costretto ad inciderlo con un bisturi per provocare un taglio, e il grasso da cui era ricoperto in certe zone rendeva innocui gli urti.
Cercò di non pensare a quello che stava facendo, a tratti convincendosi che Scabior fosse stato solo uno schifoso stupratore assassino o che il suo non fosse un cuore umano, ma di una belva feroce che doveva macellare per salvare la vita a qualcuno.
Quando finì, tremava leggermente e non riusciva a non guardare l’organo mutilato tra le sue mani. Non era molto più grande di un suo pugno, e ciò gli mise addosso un senso di pietà inspiegabile, oltre alla solita nausea.
La voce di Voldemort lo distolse dalla sua contemplazione agghiacciata. “Riponilo qui.”
Si vide offrire un contenitore di vetro ripieno di una sostanza liquida dal colore rossastro. Non aveva idea da dove Riddle l’avesse tirato fuori, ma somigliava spaventosamente ad uno dei barattoli che Piton teneva nel suo ufficio. Forse anche Piton, in vita, aveva conservato visceri umani insieme a piante e animali morti? Silente l’avrebbe certamente licenziato per un hobby simile. Non aveva idea del perché continuasse a pensare a Piton.
Harry lasciò scivolare il muscolo nel contenitore, dove cadde ricordandogli sinistramente l’occhio magico che Moody aveva spinto in un bicchiere d’acqua a casa Dursley nell’estate dei suoi quindici anni. Non era stato neppure lontanamente così raccapricciante.
“Ora il cervello, per ultimo il sangue.”
Il fatto che Voldemort lo comandasse a bacchetta lo infastidiva moltissimo, ma preferì riservare le sue energie per sforzarsi di non rimettere il cibo della mattina precedente – un pezzo di pane e una mela che lui, Ron e Hermione avevano rubato dalle cucine in fiamme. Non sapeva come si reggesse ancora in piedi, ma il pensiero che fino a solo un giorno prima Ron e Hermione erano stati vivi lo depresse terribilmente.
Dunque ricominciò, e fu ancora peggio del cuore. Appurato che non sapesse sezionare un cranio, Voldemort prese il suo posto, ma il resto dovette farlo da solo. Si estraniò talmente da se stesso che gli parve di guardare l’operazione compiuta  da mani altrui. Il cervello era un organo viscido e bianco sporco. Ripensare a Ron assalito dai cervelli nell’Ufficio Misteri gli facilitò il compito, dato che ne aveva già visti in massa, ma incrementò il peso che aveva sullo stomaco.
Anche il cervello finì in un barattolo. Prelevare il sangue non fu difficile, anche se era grumoso, pieno di coaguli; Voldemort assicurò che si sarebbe ridisciolto nella fiala riempita per un quarto da un filtro apposito.
Ad un certo punto, dall’ingresso provennero dei rumori. Harry non se ne avvide, troppo nauseato da quello che aveva appena fatto, finché una figura non si delineò chiara sulla soglia e lui non si voltò. I lunghi capelli crespi di Bellatrix Lestrange, neri come l’ebano, erano arruffati, il viso macchiato di sangue, le ampie gonne strappate e sporche di terriccio; ciononostante, Harry non l’aveva mai vista così viva.
“Mio Signore.”
Non riusciva a nascondere un sorriso selvaggio sulle labbra sottili, e le palpebre pesanti erano sollevate a mostrare occhi in cui la pupilla dilatata riempiva l’iride, come se si trovasse sotto l’effetto di un acido.
Il ragazzo la guardò paralizzarsi nell’inchino al cospetto di Voldemort per squadrare lui – e per un attimo la sua espressione si fece vacua dalla sorpresa. Solo per un attimo. Poi le si allungò in volto un sorriso, come una pantera che scorge la preda più ambita.
Harry non ci vedeva dalla rabbia: all’entrata della strega, la sua testa aveva iniziato a martellare e stava stringendo la bacchetta di biancospino tanto da poterla spezzare.
“L’avete preso, mio Signore!” esclamò esultante la donna.
“Naturalmente, Bella” commentò Voldemort con sufficienza come se fosse stato tutto calcolato (e forse lo era), ma posando lo sguardo su di lui parve compiaciuto. “Potter sarà nostro ospite per un po’, tua sorella sarà d’accordo.”
“Ospite?” ripeté lei divertita, avvicinandosi al tavolo e lasciando scorrere lo sguardo dal corpo mutilato di Scabior, in fondo, fino a soffermarsi su Ginny, i cui capelli spiccavano contro il bianco del viso. “Oh, Narcissa ne sarà onorata” aggiunse ironica. “E questa? È la ragazzina Weasley, non è vero? Non sapevo fosse morta anche lei, io mi sono occupata di quella grassona di sua madre…” Si leccò le labbra, avvicinando un indice al viso della ragazza…
…ma fu scagliata dall’altra parte del salotto, dritta contro il bordo dorato della grande cornice appesa alla parete, e atterrò tramortita sul pavimento. Harry aveva sollevato la bacchetta e ansimava con occhi pieni d’odio nella sua direzione: quella era la donna che aveva ucciso la signora Weasley, che aveva ucciso Sirius, non le avrebbe lasciato toccare anche Ginny. Da quanto desiderava lanciarle addosso una fattura, se non di peggio?
Quando si rese conto di non essere morto, guardò Voldemort all’erta.
“Te ne farà pentire, Harry” disse lui in tono mortifero. “Avrei potuto fermarti.”
“E perché non l’hai fatto?”
“Volevo vedere se avresti osato davvero. Mi chiedo fino a che punto si spinga la tua stupidità: agendo così, finirai per farti uccidere.”
Harry strinse gli occhi. “Credevo mi volessi vivo” ribatté sferzante.
Voldemort gli rivolse lo sguardo di chi compatisce un pazzo. “Hai altri nemici oltre a me, ed io non posso tenere costantemente al guinzaglio un intero esercito. Ciò che conta di un’azione non è il suo risultato nell’immediato, sono le sue conseguenze nel futuro.” Mentre il ragazzo si domandava che cosa intendesse, sorrise e indirizzò la bacchetta contro Bellatrix. “Reinnerva.”
La strega si riprese dallo Schiantesimo, rimettendosi in piedi quasi all’istante sebbene apparisse dolorante. “Schifoso marmocchio!” Aveva la voce stridente di quando perdeva totalmente la pazienza – e Harry dubitava ci volesse molto.
La sala dei Malfoy era enorme, ma non infinita. Riuscì ad evitare la prima Cruciatus buttandosi sotto al tavolo, a distanza da Bella nel tentativo di trascinarla lontano dal corpo inanimato di Ginny, ma infine si trovò in un angolo e il raggio di luce scarlatta lo colpì al petto.
Cadde a terra colpendo la nuca, davanti a lui un’esplosione di puntini rossi mentre la potenza della maledizione saliva d’intensità. Ogni nervo del suo corpo fu attraversato da una serie di scariche elettriche impazzite tanto potenti da farlo sobbalzare fuori controllo. Era come se Bella avesse sezionato a lui il cranio e si stesse divertendo ad infilzare aghi nel suo cervello, un’ondata di dolore dopo l’altra.
“Basta così, Bella” giunse la voce misurata di Voldemort da qualche parte fuori dal pozzo.
“Permettetemi solo di farlo urlare, questo sporco ragnetto!”
Harry si stava mordendo un labbro per evitarlo, e ogni volta che il suo cranio picchiava il suolo i denti si chiudevano involontariamente sulla carne, facendola sanguinare. Alla fine gridò così forte che l’avrebbero sentito sino in Irlanda, e tutto cessò, abbandonandolo tremante e boccheggiante nel suo sudore viscido.
“Ora il rapporto, Bellatrix” ordinò Riddle senza badare a lui. “Sono rientrati tutti dai terreni di Hogwarts?”
“No, mio Signore” rispose lei concitata. “Ho inviato alcune squadre a recuperare sparuti gruppi di fuggitivi diretti sulle montagne e dispersi nella foresta, ma i centauri ci impediscono il passaggio e non riusciamo a stanare quello stupido gigante che si sono portati dietro. Per il resto, la mia squadra e quella di Rodolphus sono arrivate in questo momento, così come la sezione di Avery. La vittoria è stata schiacciante, e programmiamo di reprimere nel sangue con facilità eventuali ribellioni dei prigionieri e di eliminare in pochi mesi la resistenza. Avete la stampa e il governo in pugno…inoltre, con Potter nelle nostre mani, più nessuno oserà ribellarsi al vostro dominio!”
Sembrava proprio un quadro celestiale dai toni entusiasti della strega, ma Harry, il respiro tornato alla regolarità, vedeva la tragedia dietro la supremazia di Voldemort. Si rimise in piedi aggrappandosi alla parete perché non voleva starsene a terra come uno straccio. Se Bellatrix l’avesse mai Cruciato di nuovo, decise che non avrebbe urlato qualunque tipo di sofferenza gli fosse inflitta.
Mentre i due discutevano di perdite subite e danni impartiti all’Ordine, lui tenne d’occhio Ginny. Voldemort aveva detto che l’incantesimo andava riformulato ogni tre ore prima di preparare una pozione in cui immergerla, ed era sicuro che non fosse trascorso così tanto tempo da quando erano arrivati. Desiderava sbrigarsi a fare qualcosa per lei, perché ogni minuto che passava si sentiva sempre più in trappola. Come avrebbe fatto a sopportare tutto quello? Cruciatus da Bellatrix mentre i superstiti dell’Ordine venivano sterminati insieme ai Babbani e il mondo s’inchinava a Tom Riddle?
Infine, la strega fu congedata e cadde il silenzio.
“Mi auguro tu abbia imparato la lezione” commentò Riddle neutro, dal nulla.
“La prossima volta sarà lei a strillare” ringhiò Harry fissando l’uscio da cui era uscita.
Gli occhi rossi incontrarono i suoi. “Acciaio che non si piega si spezza, Harry…” lo avvertì dolcemente.
Il ragazzo bruciò di rabbia. La bacchetta di Riddle saltò in avanti e lui rotolò di lato – ma fu il cadavere di Scabior il bersaglio: la carne si dissolse in pochi attimi lasciando il posto alle ossa dello scheletro, le quali finirono in cenere sul tavolo. Il ragazzo contemplò con un nodo allo stomaco ciò che rimaneva dell’uomo che aveva ucciso. Il mago Oscuro afferrò una manciata di cenere e la lasciò scivolare tra le dita bianche.
“…e sarà questo a rimanere di te.”
Vi fu una pausa. Harry guardò il vuoto, infine accennò a Ginny col capo: “Voglio preparare quel filtro.”
Riddle si limitò ad annuire. “Valle accanto e falla Levitare.”
Il ragazzo stava già aggirando il tavolo verso di lei. La pelle era gelida, e avrebbe giurato non respirasse.
Ti riporterò indietro, costi quel che costi, e poi lo ucciderò. Li ucciderò tutti, cazzo.
La sollevò in aria coprendola col proprio mantello, seguendo Voldemort fuori dalla sala lentamente, ancora rigido per la maledizione subita. Fu uno spettacolo che non si aspettava, quello dei Malfoy nell’ingresso illuminato dal sole mattutino, marmi rosati e statue neoclassiche talmente belli e splendenti da togliere il fiato, talmente vuoti da strappare il cuore.
I tre Malfoy, era solito dire per parlare della famiglia.
Stavano entrando in quell’istante, e si frenarono di colpo quando Voldemort attraversò loro la strada come se non esistessero. Narcissa, la strega che aveva incontrato alla Coppa del Mondo, quella con il naso per aria, era rigida, le dita contratte sul braccio del marito – Harry non capiva se lo sorreggesse o se si facesse sorreggere. Incontrò i suoi occhi, ma non sembrava importarle che lui fosse lì, sembrava non sapere chi fosse o saperlo talmente bene da poter fingere d’ignorarlo. Aveva un aspetto cupamente nobile, così pallida e diritta accanto all’uomo rovinato accanto a lei – Lucius, le labbra rotte e gli occhi pesti, persi nel vuoto.
Davanti a loro, dove avrebbe dovuto esserci Draco, dove Harry si sarebbe aspettato di trovare Draco, c’era una barella sospesa. Gli avevano steso un lenzuolo addosso, un lenzuolo su cui era ricamato uno stemma nobiliare, perché tutti i Casati Purosangue avevano uno stemma araldico e un motto.
Ricordava l’Ardemonio e le dita di Malfoy che si stringevano a lui sulla scopa, ricordava il pugno da sotto il Mantello dell’Invisibilità al Mangiamorte che voleva aggredirlo. Credeva di averlo salvato. Non era uno dei ragazzi che si erano precipitati ad aiutarli contro le armate Oscure, non era uno che cercasse la morte in guerra.
La testa prese a girargli di nuovo, ma solo un pochino, stava facendo l’abitudine ai colpi allo stomaco – e davvero, non credeva di potersi dispiacere per il figlio di Lucius Malfoy. In verità, scoprì di potersi dispiacere per lo stesso Lucius Malfoy.
Passò un attimo e lo sguardo di Narcissa si allontanò dal suo per fissarsi sulla scalinata d’ingresso.
“Lucius” chiamò Voldemort soave dal lato più lontano del salone, vicino alle scale che conducevano dabbasso. Harry era certo che avesse scoccato un’occhiata alla barella, ed era altrettanto certo che fosse soddisfatto di una punizione la quale, alla fine, era giunta.
Malfoy non volse propriamente il capo, piuttosto lo spostò di un millimetro, né i suoi occhi si levarono in una qualche direzione. La voce era terribilmente roca, come se avesse raschiato le corde vocali contro l’asfalto. “Mio Signore.”
“Avrete un ospite. Ordina ai domestici di liberare una stanza, a meno che Potter non desideri dormire nei sotterranei.” Sorrise verso di lui.
Harry non guardò il signor Malfoy mentre mormorava una risposta. Fissò Voldemort, invece. Se fosse stato possibile uccidere con uno sguardo…
Fu costretto ad oltrepassare i genitori di Draco. Probabilmente non lo videro nemmeno, probabilmente lui era l’ultimo dei loro pensieri in quel momento; eppure sentì bruciare la nuca quasi gliela stessero fissando, quasi lo stessero incolpando.
Credevo di averlo salvato.
Risuonò come una scusa ridicola anche nel suo stesso cranio.
 
 

Note di Ero

 
So che avevo annunciato una mini-long e che prevedevo solo 3 o 4 capitoli, ma mi è sfuggita di mano – spero di non superare i 10. Il motivo per cui non posso limitarmi a pochissimi cap sono i caratteri molto vicini al canon, devo svilupparli un bel po'. Al momento sarebbe assolutamente impossibile farci uscire dello slash, a dirla tutta sarebbe inquietante... Ah, e naturalmente Voldemort per ora ha il suo look satanico migliore, ma grazie al cielo esistono varie arrampicate sugli specchi che posso utilizzare per farlo magicamente tornare alla gnocchezza originaria. Si fa per amor di slash – non che Harry lo possa odiare meno se cambia faccia, ma di certo lo destabilizza un pochetto, e non che lui desideri cambiare faccia, ma...*rotola*.
Riddle ha i suoi motivi per permettere a Harry di vivere, ha i suoi motivi per non umiliarlo clamorosamente e ha i suoi motivi per “aiutarlo” con Ginny. Qui siamo 1 a 0 per lui, ma Harry si rifarà. Tra l’altro Harry è Gryffindor, per ora, ma avremo qualche cambiamento, dal momento che questa storia prevede una specie di Grey!Harry (tra Gryffindor e Slytherin). Infine, spero abbiate capito perché ho scritto Contenuti forti nelle note. Quando dico Arti Oscure io penso a ste robe, ehm. Ora la pianto.
I miei aggiornamenti non sono regolari, come qualcuno sa e qualcuno ha capito. Ringrazio recensori e lurkers dal profondo del cuore. <3
Ovviamente se avete consigli per la mia discesa nelle tenebre potete farmene partecipe, lo stesso vale per critiche e opinioni varie.

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Capitolo 3
*** - III - ***


 

Ceneri fredde,,


- III - 
 


 




Aprì gli occhi di scatto al rumore del silenzio.
Il sottofondo altalenante di schianti, esplosioni e urla da mattatoio era cessato; non sapeva se da secondi, minuti o ore. La prima cosa che vide fu il cielo e la luce rischiò di abbagliarlo. Gli diede quasi le vertigini da quanto era alto. Gli diede quasi le vertigini anche perché era sicuro di essersi guardato da lassù solo poco prima: un corpo gettato nel fango le cui braccia possedevano angolazioni strane, troppo pallido per essere vivo, la faccia un impiastro di ecchimosi e sangue. I vestiti erano stracci del colore della terra, ma poco importava.
Poi venne la consapevolezza di poter respirare e di stringere qualcosa in mano. Qualcosa che era qualcuno – un volto a forma di cuore, magliette assurde, jeans rattoppati e capelli sparati come quelli di un maschiaccio; qualcuno che aveva l’odore di lenzuola pulite e marmellata alla fragola, aveva piedi che pestavano a terra dalla rabbia quando non le si dava retta e denti che mordevano le labbra nel tentativo di fermare il tremito quando era vicina al crollo ma si rifiutava di cedere…
Mettersi a carponi fu tutt’uno coi ricordi. “Ninfadora…?”
Pensò qualcosa che somigliava molto ad un’invocazione di pietà. Rivolta a cosa, o a chi, non aveva idea. La scosse per la spalla, ma non si svegliò. Gli tornò in mente quanto lei odiasse sentirsi chiamare per nome. Quando lo faceva – si rifiutava di chiamare sua moglie per cognome, Merlino! – gli tirava un pugno sulla spalla. Qualche volta rimaneva il livido.
“Dora… Dora… Tonks…”
Fu difficile districare le dita dalle sue. Erano rigide e lui non voleva. Si diceva che era…andata via, o gli occhi non sarebbero stati aperti. Solo che non era possibile. Lui era vivo. Se proprio uno doveva morire, di loro, era lui, come i suoi amici. Rivedere Sirius, James e quel tornado di Lily. Morire sarebbe stato forse ingiusto con lei ancora in vita e Teddy che aveva bisogno del papà, ma si era sempre sentito con i giorni contati e, stranamente, più il tempo diminuiva più gli pesava sulle spalle. Conoscevano i rischi. Lei aveva voluto combattere. Aveva voluto stare con lui. Era colpa sua. Lo aveva guardato e gli aveva proibito di sentirsi in colpa se le fosse accaduto qualcosa, ma era colpa sua comunque. Avrebbe dovuto impedirglielo.
Rievocò improvvisamente il duello contro Dolohov e lo sprazzo di luce verde che l’aveva colpita al petto. Solo allora sollevò il capo a guardarsi attorno. Ciò che vide fu un amalgama offuscato di lacrime, terriccio, macerie. E cadaveri. Il prato attorno a Hogwarts era stato rivoltato da giganti, Acromantule e maledizioni.
Lontano, delle figure si muovevano tra i corpi e si udiva un basso gemito di sottofondo.
I capelli di Dora erano violetti e corti, assurdi, e facevano a pugni con l’innaturale immobilità del viso – lei che non stava mai ferma, sempre a prestarle attenzione perché non facesse cadere accidentalmente qualunque cosa teneva in mano. Una volta l’aveva invitata a ballare e si era ripromesso di non farlo mai più per tutte le volte che gli aveva pestato i piedi con il carroarmato degli anfibi.
Realizzò che il gemito proveniva da lui.
Avevano perso, questo Remus lo capì all’istante mentre i suoi occhi vagavano e il cuore si sbriciolava. Avevano perso la battaglia, probabilmente anche la guerra. Harry. Dov’era Harry? Doveva cercare Harry. Doveva mettere al sicuro Andromeda e Teddy. Doveva portare Dora a casa. Doveva…
Invece guardò l’orizzonte, dove la luna era scomparsa, e la sua mente fu piena del sorriso storto di Dolohov mentre la uccideva. Le dita rasparono il suolo come zampe e desiderò il plenilunio per la prima volta nella sua vita – perdere il controllo, perdere completamente la ragione libero dall’Antilupo.
Fu questione di pochi minuti. Alla fine le sagome si avvicinarono all’unica figura seduta in un mare di nulla.
“E chi abbiamo qui? Ma è il nostro vecchio amico!” esclamò una bassa voce ringhiante, accompagnata da risate ferali.
Una bassa voce ringhiante che lui conosceva molto, molto bene.




***
 



 


I sotterranei dei Malfoy erano ampi e gelidi. In tempi di pace vi si conservavano le provviste; ora erano per lo più adibiti a carceri e laboratori. I prigionieri venivano spesso utilizzati per i suoi esperimenti, o torturati per ricavare informazioni sulla Luce. Fu in una delle ampie sale di pietra scura che condussero il corpo esanime della ragazzina; lo collocò personalmente nel tubo di vetro colmo di Filtro Rigenerante, dove rimase sospeso in una nube di capelli rosso sangue, quasi neri nella semi-oscurità. Pareva un piccolo cadavere galleggiante, il cadavere di una diciassettenne sottile e pallida dai seni acerbi. Potter aveva insistito che, se proprio si doveva spogliarla, sarebbe stato lui a farlo, ma l’aveva svestita con delicatezza, distogliendo lo sguardo dalle curve accennate come se potesse scottarsi.
Riddle non era riuscito a reprimere un ghigno davanti a quella forma di amorevole rispetto. Anche da giovane, non gli era mai importato dei piaceri della carne, aveva sempre avuto aspirazioni più elevate e, quando si era trattato di togliersi uno sfizio, l’aveva fatto senza vera passione, quasi con sprezzo – meri impulsi biologici, pensava.
Ciò che lo deliziava era vedere Potter con le unghie incrostate di sangue mentre le sue dita impacciate sganciavano il reggiseno candido di lei. Uccidere un uomo non aveva ancora intaccato la sua purezza, ma era già riuscito a strappargli alcune piccole certezze in bianco e nero – che il suo bene non era per forza quello altrui, che l’amore non era abbastanza e che la guerra era peggio, molto peggio di ciò che pensava.
Non era stato davvero toccato da quelli che la gente comune definiva ‘orrori della guerra’, non aveva mai assaporato le urla né la vista del sangue. Conosceva il volto della morte, ma non sapeva nulla della sofferenza vera, quella per cui si è disposti a dare tutto pur di farla cessare.
Avrebbe imparato.
Voldemort pensava che nutrirsi pezzo a pezzo della sua anima sarebbe stato interessante e avrebbe reso il ragazzo maggiormente vulnerabile. Seppur con difficoltà, era giunto a sospettare quanto un’anima integra potesse risultare pericolosa per lui; non essere riuscito a prendere possesso del suo corpo per più di qualche secondo, nell’Ufficio Misteri, avrebbe già dovuto fungere da campanello d’allarme, in passato. Non comprendeva ancora ogni sfaccettatura della questione, ma intendeva analizzare quella che per più d’un decennio aveva rappresentato una minaccia.
Naturalmente, questo e il fattore Horcrux non erano gli unici motivi per cui intendeva controllare il ragazzo. Desiderava sfruttarlo più a fondo e, con pazienza, ci sarebbe riuscito. Degradarlo gli interessava solo fino ad un certo punto – era fin troppo facile e l’odio per lui era stato alimentato a sufficienza a partire dalla morte dei suoi sciocchi genitori – ma non poteva impedirsi di immaginare possibili umiliazioni da infliggergli per essere ripagato di quei tredici, penosi anni in Albania.
Mentre Potter guardava la ragazza oltre il vetro, i riflessi delle torce sulla superficie trasparente e quelli bluastri della pozione sui loro visi, Riddle pensava che la sua espressione tormentata fosse una ricompensa maggiore di qualunque Cruciatus potesse scagliargli.
“Già pentito, Harry?” chiese piano, godendosi il suo silenzio.
Alla fine, il giovane scollò lo sguardo dal vetro. Troppo testardo per mostrarsi sperduto o intimorito, raddrizzò invece le spalle. “Le cose che ho dovuto estrarre da quell’uomo, prima…devo metterle in una pozione?”
“Dobbiamo” corresse Riddle, facendo veleggiare i barattoli sugli scaffali in legno di quercia, lo stesso della porta massiccia rinforzata in ferro. “Dubito che saresti in grado di eseguire rituali Oscuri da solo. Ti fornirò le direttive e tu potrai…”
“No” lo interruppe di getto. “Non mi fido di te. Prima voglio dei libri con delle spiegazioni sulle conseguenze e tutto quello che mi serve per capire in cosa consistono i tuoi rituali.”
Voldemort gli rivolse un’occhiata venata di curiosità. Si era aspettato che prima o poi abboccasse, ma la richiesta suonava comunque strana dalle sue labbra. “Vuoi che t’insegni le Arti Oscure, Potter?” chiese piano, senza riuscire a nascondere un’inflessione torbida nella voce.
Gli occhi del ragazzo si dilatarono appena e parve tentennare per un istante, la fronte corrugata. “Non tutte le Arti Oscure” rispose, come se fosse un’indecenza anche solo pensarci. “Solo quelle che mi servono per…per lei.” Parve di nuovo a disagio, forse resosi conto dell’assurdità della situazione.
Riddle nascose un ennesimo sorriso. Grazie alla presenza di un frammento della propria anima, il ragazzo doveva possedere una certa predisposizione nei confronti della magia nera, anche se la odiava. Una parte di sé temeva che acconsentire avrebbe significato fornirgli un’arma, l’altra diceva che il sapere di un diciassettenne era nullo se confrontato a quello del grande Lord Voldemort; ve n’era una terza, poi, che risultava a suo modo intrigata dalla proposta. Sondare le sue capacità poteva rappresentare un ottimo modo per valutarne limiti e potenzialità, per scoprire che cosa li accomunava realmente, ammesso che tale legame esistesse, e aveva avuto intenzione, in ogni caso, di usarlo per le sue ricerche… Dunque perché no? Cos’aveva da temere da un ragazzino sconfitto, lui, il proprietario della Bacchetta di Sambuco, nonché il mago più potente che avesse mai calpestato il suolo terrestre?
Certo, la Stecca della Morte si rivelava sempre più una delusione e Harry Potter non era stato spezzato, ma finché teneva tra le sue mani la vita di Ginevra Weasley, il ragazzo non poteva ribellarglisi.
“Potrei anche insegnarti qualcosa in più di ciò che avevo previsto,” iniziò Riddle, “ma se credi che sia simile alle formulette con cui il vecchio ti ammaestrava a Hogwarts, sbagli. Quella che chiamano Difesa Contro le Arti Oscure, ai livelli scolastici, è poco più d’uno sbuffo rispetto al ruggito infuocato d’un drago. Hai avuto solo un assaggio, nella sala dei Malfoy, con quella carcassa. Parlavamo del prezzo, prima, dunque sai a cosa vai incontro.”
Vide chiaramente l’effetto che le sue parole avevano sul giovane nel momento stesso in cui le pronunciava. Era facile leggere il suo volto, quasi non serviva entrare nei suoi pensieri, ed era squisitamente semplice manovrare le sue emozioni. Scorse chiaramente il timore di che cosa sarebbe potuto diventare – più precisamente, se sarebbe divenuto come lui. Riddle ne dubitava ampiamente. Aveva impiegato decenni a raggiungere il proprio livello e, dacché ricordasse, la sua brama più grande era sempre stata divenire Lord Voldemort. Il ragazzo era troppo naïve per avere ambizioni simili alle sue.
Potter cercò nuovamente d’assumere un’aria sicura, ma fu con una goccia d’amarezza che si forzò a dire: “Bene.”
Il mago Oscuro si limitò ad un lieve cenno d’intesa. Poteva rivelarsi un esperimento produttivo.




 

***
 




Spigoli strani negli angoli spogli, dita d’ombra che calavano fuori e dentro di lui. Figure di tenebra si protendevano verso il suo petto dal soffitto, teste deformi e movimenti vacillanti. Nel vuoto delle loro bocche spalancate stavano stridii disumani, i loro occhi erano gorghi. Lo chiamavano. Le sentiva, qualunque cosa fossero, lo volevano risucchiare. I loro corpi si agitavano nel tentativo di raggiungerlo, paralizzandolo sul letto.
 
Non dormì quella notte né quella successiva. Non uscì dalla stanza. Non parlò con nessuno. Non mangiò nulla. Non sapeva neppure l’esatto perché. Ma voleva che durasse poco. Doveva combattere le ombre e liberarsi del senso d’oppressione. Trovare una cura. Per Ginny. Per i superstiti. Per se stesso.


 



***
 




Si trovava nella cucina della Tana. Riconosceva il soffitto basso e il tavolo di legno, il cucinino sgangherato da cui la signora Weasley sfornava prelibatezze che gli facevano brontolare lo stomaco a sentirne soltanto l’odore, il pavimento a scacchi e le tende a colori vivaci. Però era strano essere lì da solo. Ogni volta che era stato alla Tana per le vacanze, con lui c’erano sempre i fratelli di Ron con Ron e Hermione, e le loro risate riempivano l’aria assieme al profumo di cibo. Così, nonostante la vividezza del sole fuori dalle finestrelle, era tutto molto triste e insensato.
Perché l’avevano invitato, se poi lo lasciavano da solo? Forse avevano litigato e non se ne ricordava? Era possibile litigare con Ron, ma con tutta la sua famiglia pareva fuori dal mondo. La signora Weasley gli voleva bene come ad un figlio e il signor Weasley aveva un che di paterno e protettivo nei suoi confronti, poi Fred e George nemmeno li immaginava essere in grado di tenere il muso a qualcuno, a meno che non fosse una cosa molto seria. Forse era una cosa seria.
Merlino. Certo che lo era! Aveva seguito Voldemort volontariamente! Certo che nessuno voleva più parlargli. Perché l’aveva fatto?
“Ginny!”
In effetti, Ginny era proprio lì con lui. Gli dava le spalle, il viso rivolto alla finestra. I capelli le arrivavano alla vita e indossava un vestito di lino bianco.
“Ginny… Io… Mi dispiace. Mi sento uno schifo. Voglio ucciderlo, credimi, solo che non sono pronto. Ho bisogno di diventare più forte. Silente non aveva ragione riguardo a me. Non sono abbastanza preparato per duellare contro Voldemort. Se sono qui non è perché sto dalla sua parte, dillo a Ron e agli altri. Per favore. Tu mi credi?”
Lei non si volse né diede segno d’averlo udito. Era arrabbiata. Le spalle non mostravano tensione, ma era l’unico motivo per cui potesse comportarsi in tal modo con lui.
“Ginny, mi dispiace. So che è un’assurdità. Mi avrebbe costretto. Non so dove si nasconde l’Ordine per raggiungerlo… Riddle dice che non esiste più, ma io non gli credo. Qualcuno dovrà pur essersi salvato, no? Non sapevo…”
Non sapevo dove andare.
Di colpo, gli tornarono in mente tutti i flash della battaglia. Greyback con le fauci spalancate e le grida di Hermione e il rantolo strozzato di Ron quando gli aveva strappato il braccio e il colore della materia cerebrale sulla corteccia del faggio. Gli mancò il fiato e si aggrappò al tavolo.
La cucina fu di nuovo smagliante attorno a lui, i particolari intagliati perfettamente sulla retina.
“G-Ginny…?”
Se la ricordava a terra, ora, se la ricordava. Il vestito non era più lindo, era sporco di terriccio e strappato. I capelli erano arruffati come se si fosse rotolata nel fango. Eppure, era ancora in piedi davanti a lui. Le toccò una spalla e non gli sembrò di avvertire né calore né altro. Solo pelle. Provò l’urgenza di guardarla in viso e si avvicinò, si avvicinò… Voleva i suoi occhi, i suoi occhi nocciola, caldi, ardenti, i suoi occhi addosso.
Ma non c’erano. Erano bulbi oculari, quelli, un verme bianco che vi strisciava all’interno. Il teschio non aveva espressione, solo un ghigno scoperto sinistro e quasi maligno, brandelli di pelle attaccati alle guance…
Si svegliò di soprassalto, le lenzuola attorcigliate alle gambe. Due occhi lo guardavano da destra.
“AAAHHH!”
La nuca scontrò il muro, un dolore sordo che gli fece recuperare l’uso della ragione. Si trattava di un elfo domestico, solo un dannato elfo domestico che gli aveva portato la colazione.
“Grazie” disse, massaggiandosi la testa. Non attese risposta: ai due elfi di Malfoy Manor non era consentito parlare con lui per nessun motivo. Erano comunque le uniche creature con cui avesse un qualche tipo di comunicazione a parte Voldemort, quindi non se la sentiva di essere sgarbato, e la colazione era sempre ottima. Vide l’elfo esibirsi in un piccolo inchino e sgusciare fuori dalla porta senza emettere una sillaba.
La notte, Harry si chiudeva dentro con un incantesimo per evitare che Nagini entrasse. Da sveglio era un conto, ma non voleva che s’infilasse nella sua camera mentre dormiva: era pur sempre un serpente gigante allevato a carne umana.
Per il resto, pranzava e cenava in camera ed evitava i Mangiamorte con tutto se stesso. Nessuno gli proibiva di parlare con loro né di girare per il maniero, ma preferiva starsene rintanato nella stanza che gli avevano fornito o scendere nel sotterraneo di Ginny. Era un passatempo deprimente che gli donava un sonno agitato, ma lo preferiva rispetto a scambiarsi occhiate truci con Bellatrix e la sua ghenga. Per quanto ne sapeva, la casa ospitava Voldemort, i Malfoy e un viavai di maghi Oscuri che la utilizzavano come base; spesso scorgeva i Lestrange nei corridoi.
Aveva trascorso i pochi giorni da quando era lì a stare zitto e a studiare grossi tomi raccapriccianti su sacrifici di sangue, rituali che si servivano di cadaveri per potersi compiere, riti orgiastici di potenziamento e altre cose che solo a vederne le immagini diventava color prugna o rabbrividiva. O entrambi. Altri libri riguardavano la medimagia, la chimica, l’anatomia umana, ed erano sicuramente più ordinari, sebbene non corrispondessero ai suoi gusti. Voldemort diceva che, prima di cominciare seriamente, aveva bisogno di una preparazione di base acquisibile dagli scritti. Hermione sarebbe stata più felice di lui, nonostante i temi tutt’altro che amabili, ma era meglio evitare il pensiero e la solita fitta che l’accompagnava.
Iniziò a mangiare, ignorando il ricordo dell’incubo. Non era il primo che aveva avuto, né sarebbe stato l’ultimo, ma forse poteva preparare una Pozione Dolcesonno per riuscire a riposare – ne aveva letto per caso il giorno precedente. Preparare Pozioni esigeva troppa pazienza per lui, ma senza Piton a sbeffeggiarlo era certo di essere più bravo.
Il cervello gli inviava spesso sogni su coloro che aveva conosciuto, sogni in cui tentava di giustificarsi e di dare un senso agli eventi.
Era arrivato alla conclusione di non avere sufficiente abilità nel duello per uccidere Voldemort e di dover migliorare seriamente. Preoccupato per il lasso di tempo che avrebbe impiegato ad essere pronto, non vedeva comunque altra soluzione.
Il primo giorno, quando Riddle l’aveva trovato sul campo di battaglia, era sconvolto, credeva che tutto fosse stato spazzato via: amici, speranza, Hogwarts. La notte era riuscito difficilmente a chiudere occhio, voltandosi e rivoltandosi come in balia delle fiamme, pensando che mai avrebbe dovuto seguire Voldemort, neppure per Ginny, che lei non l’avrebbe voluto, ma, in seguito, si era ricordato del rapporto di Bellatrix, di come una piccola opposizione perdurasse, e aveva meditato che non poteva cedere finché qualcuno ancora resisteva.
Cercava di convincersi che il motivo per cui si trovava lì non fosse solo egoistico – la salvezza di Ginny – ma anche altruistico: avrebbe imparato di più sul nemico, si sarebbe esercitato col proposito di batterlo. Di stare a deprimersi senza fare nulla non se ne parlava. Non era accaduto dopo la morte di Sirius, non voleva accadesse proprio allora.
Aveva compreso che forse, se Silente l’avesse allenato meglio, avrebbe potuto farcela anche il giorno della battaglia di Hogwarts. Pensare al Preside gli metteva addosso un senso di delusione tremendo. Si domandava perché, se aveva creduto in lui, non gli avesse offerto un aiuto concreto, perché non lo avesse informato del fatto di possedere un frammento dell’anima di Voldemort dentro di sé. E non sapeva rispondersi.
Dunque cercava libri e si esercitava con gli incantesimi, molto più complessi di quelli cui era abituato, e si era giurato di continuare a farlo finché gli sbuffi di fumo non si fossero tramutati in miglioramenti. Certo, sarebbe stato meglio se Voldemort fosse stato lontano o molto ottuso, ma aveva l’impressione che sapesse cosa voleva fare. E che glielo permettesse.
Anche questo non gli piaceva, ma era sicuro che si trattasse del suo modo di sottovalutarlo.
Il mago era ricomparso un paio di volte e gli aveva messo a disposizione due intere ale della biblioteca dei Malfoy in cui poteva sedere a sfogliare pagine ingiallite dai secoli. Aveva sempre preferito le lezioni pratiche a quelle teoriche, ma ci sudava perché non voleva permettere che Voldemort impugnasse completamente il controllo della situazione quando in ballo c’era la vita di Ginny. Si domandava se realmente non esistessero rimedi magici alternativi, dato che le uniche dichiarazioni provenivano da Voldemort, ma ormai era imprigionato dai Malfoy e non aveva contatti con l’esterno che gli permettessero di chiedere ad un Guaritore.
Se solo gli elfi gli avessero parlato…
Per ora poteva farcela. Era intrappolato lì, ma lo era volontariamente, e ciò gli donava una certa, stramba fiducia. Si sentiva molto lunatico in quel periodo: alternava momenti d’energia e impegno a periodi di depressione e sconforto.
Finita la colazione, ripose il vassoio su un tavolino e si vestì. Si chiedeva da dove provenissero gli indumenti. Non pensava che i Malfoy gli dessero quelli appartenuti a loro figlio, era più propenso a credere che fossero stati ordinati appositamente. Erano tutte vesti dalle poco variegate sfumature di nero, verdone e viola scuro, nulla di particolarmente elegante ma dai tessuti soffici, le cuciture accurate e il taglio sartoriale.
Gli ricordavano parecchio Draco. Su di lui, biondo e bianco, facevano uno strano effetto, mentre su Harry, moro e ultimamente esangue, con occhiaie poco attraenti e occhi di un verde spento, risultavano semplicemente lugubri. Gli sembrava di andare in giro vestito da funerale.
Funerale.Si chiedeva dove fossero stati seppelliti i membri dell’Ordine. Tutto si poteva dire, ma non che Draco non avesse la sua tomba in marmo bianco nella cappella di famiglia. Quella mattina avrebbe voluto dirigersi in biblioteca per studiare, ma un impulso strano lo spinse in giardino, verso la cappella. Il pavimento era mosaicato, le colonne di marmo rosato e il soffitto affrescato in una scena di magia, la magia benevola che accompagnava il culto dei morti nel mondo dei maghi. Molti dettagli erano in oro zecchino.
La tomba era scolpita a rappresentare un Draco dormiente, terribilmente somigliante. Era un po’ triste e un po’ inquietante, in realtà. Harry non sapeva perché era lì. Hermione avrebbe parlato di ‘senso di colpa del sopravvissuto’ e Ron avrebbe alleviato l’atmosfera con una delle sue uscite, ma loro non c’erano. Neppure Draco c’era, però avere la prova concreta che fosse esistito, in qualche modo, rendeva tutto più accettabile. Il piccolo ritratto del ragazzo lo guardava con una smorfia arrogante, di quelle che negli ultimi anni erano state sempre più difficili da dipingersi in viso.
Harry osservò la foto incorniciata, che gli rimandò lo sguardo in modo molto poco amichevole. Stava per dire qualcosa, quando percepì un brivido sulla nuca. Una presenza.
Il volto candido di Narcissa Malfoy, alle sue spalle, spiccava nitido contro il vestito nero dalle gonne gonfie sul retro, da epoca vittoriana, il cappellino con la veletta sui capelli acconciati in uno chignon. Gli occhi erano fissi in avanti, d’un azzurro più limpido di quelli del marito – del figlio – ma stranamente distanti. Tutto, in lei, era remoto: la postura, le mani guantate congiunte in grembo, anche l’assenza di lacrime. La pelle liscia, i capelli d’un biondo argenteo e i tratti delicati – era bella, pensò Harry, ma di una bellezza segnata da marchi invisibili. Troppo statica, troppo fredda.
Incerto su come comportarsi, le rivolse un cenno rigido. Non gli stava propriamente simpatica, ricordava bene i suoi modi sgarbati da Madama MacClan, ma era una strega così triste, e aveva appena perso un figlio… Le vesti a lutto non le si addicevano. Si diresse verso la tomba senza dare traccia che si fosse accorta di lui, passando le dita sottili sul volto di pietra e ritraendole poco dopo.
“Eravamo divisi.” Quando parlò, Harry non capì subito che cosa stesse dicendo, o a chi. “Lui al castello, noi appena fuori, nel prato. C’era confusione. Urla. Ma pensavamo di riuscire a trovarlo. Era lì, d’altra parte… Vicino.”
La voce era priva d’increspature, un mormorio discreto senza intonazione.
“Siamo arrivati tardi. Il castello era stato invaso e…tutto quel sangue. Non l’abbiamo trovato quel giorno, ma il pomeriggio successivo, quando il peggio era passato. Rabastan raggruppò le famiglie perché avevano rinvenuto i corpi di alcuni ragazzi. Eravamo tutti lì, noi e altri, a guardarci di sfuggita augurandoci che fosse il figlio di qualcun altro. Ma era l’unico con la divisa di Serpeverde.”
Fu allora che la voce venne meno, sfumando in un sussurro più delicato.
“L’abbiamo riconosciuto dall’anello. Aveva un anello col nostro blasone. I capelli erano troppo…pieni di sangue.” Un gesto con la mano, come a scacciare qualcosa. “Il colore non si riconosceva. Il viso…strappato via.” Un altro gesto a mimare appena l’azione. Ritirò la mano in grembo come se si fosse bruciata. Esitava, ma non piangeva.
Harry continuò a fissare la statua. Difficile respirare quando l’aria sembrava piombo nei polmoni. Le immagini nella sua mente erano vorticose e cruente. Le vedeva già tutte le notti.
Ad un certo punto, la donna avvicinò le dita guantate al suo mento, voltandogli il capo con uno sfioramento di pollice e indice.
“Era rimasto. Tutti i suoi compagni se n’erano andati, ma lui era rimasto. Io so perché.”
Harry si liberò dal suo tocco, scacciandolo, e disse ciò che di più gli pesava sullo stomaco simile ad un timore: “Non è colpa mia se suo figlio è morto.” Non è colpa mia. L’ho tirato fuori dall’Ardemonio. L’ho aiutato con quel Mangiamorte. Ho cercato. Voleva consegnarmi a Voldemort.
Sentì di aver parlato bruscamente, troppo. Riprese a fissare la lapide a pugni chiusi.
Dopo lungo tempo, Narcissa parlò di nuovo, riprendendo la calma glaciale di poc’anzi: “No, non è colpa tua. Hai meno colpa tu di me, immagino. Mi piacerebbe che lo fosse, però… Tua piuttosto che nostra.”
Si sfilò rapidamente i guanti, rivelando mani sorprendentemente rovinate, unghie che mettevano in mostra la carne viva, come se passasse il tempo a tormentarsele mentre il resto del suo corpo non mostrava reazione.
“Sono stati Greyback e i suoi. Selvaggi mannari completamente fuori controllo. Hanno imbastito una carneficina per giorni, i primi ad entrare in battaglia e gli ultimi ad uscirne.” Il volto mise in mostra per la prima volta rughe di sprezzo. Lo sguardo ceruleo incontrò nuovamente il suo, come in attesa. “Anche i tuoi amici, mi dicono…”
Harry rabbrividì. Certo, Ron e Hermione erano stati…uccisi da Greyback, e Scabior era stato uno dei Ghermidori. Lui li odiava. Tuttavia, perché la strega lo fissava in quel modo?
“Che cosa vuole da me?”
Il viso di lei fu vicino al suo. Fu solo un sussurro: “Vendetta.”
E per un attimo, somigliò a sua sorella.
Harry capì che Narcissa aveva pagato il prezzo delle Arti Oscure, assieme a Lucius, Bellatrix e tutti gli altri in quella casa. L’odio consuma, come la magia che da esso deriva: ecco perché il vuoto, la distanza, il tormento e la nevrosi. Il dolore lacera per primo, l’odio corrompe.
Voldemort era ciò che rimane di un incendio, e Harry avvertiva già le prime fiamme del proprio.


 
 

Non so cosa dire per i miei mostruosi ritardi, se non ringraziare i santi che riescono a tenere il passo con i miei aggiornamenti a rallent. Ditemi solo perché seguite questa cosa. E' angst, potreste non sopravvivere fino alla fine. Forse siete anche voi masochisti? Rimando alle note iniziali aggiunte nel primo capitolo per chi volesse capire in che diamine consiste questa storia. È un progetto minore ed è una cosa che scribacchio quando ho voglia/tempo/energia e soprattutto quando intendo rovinarmi l’umore, ma non lo ritengo secondario. Solo più piccolo. Piccolo perché depressivo, ecco. Per il resto, capitolo forse di passaggio ma piuttosto importante per allacciarci a ciò che viene dopo. Harry sta cercando di superare la demoralizzazione iniziale, ma è difficile e per farlo non riesce ad aggrapparsi a sentimenti completamente positivi. Non tutte le pippe introspettive sono chiare, ma il discorso sull’odio ci sarà ancora. Ho scelto di non soffermarmi troppo sul processo psicologico perché sarebbe stato da svenarsi anche per me. Inoltre, se Narcissa chiede vendetta a Harry e vi sembra strano, è perché il personaggio sa delle cose che il lettore non conosce, né ho riportato l’intera conversazione tra loro. E Remus. Sì, ho deciso d’“ingrandire” un tantino e mostrare anche che cosa capita al povero Remus redivivo.
Nel prossimo, Harry inizia il suo tirocinio allucinante e fa tanti progetti per il futuro.

 

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