Ed
eccomi qua con questo primo capitolo che è più un esperimento che
altro. Non so se vi piacerà (personalmente lo trovo noioso, ma penso sia
perché si tratta solo del primo capitolo, più avanti le cose
diventeranno più interessanti come in Tra l’odio e l’amore pov Alice), se verrà seguito, commentato, letto.
Non
so se questa storia ricalcherà fedelmente ogni capitolo di Tra l’odio e l’amore o se ne
salterà alcuni, diventando così solo una raccolta di pov Lore.
Potrebbe,
se l’idea di rileggervi tutta
la storia dal punto di vista Lore non vi alletta, trattare solo i capitoli che
più vi interessano e lasciar perdere gli altri.
Insomma,
se si è capito quello che ho detto, vorrei sentire le vostre opinioni,
ditemi un po’ cosa vi piacerebbe di più leggere, per me è
uguale :)
I missing moments futuri ho
iniziato a scriverli e ne posterò qualcuno a breve, quindi occhio alla
sezione delle storie romantiche ;)
Detto
questo, mi scuso fin da subito per il linguaggio utilizzato dal protagonista e
per i suoi pensieri in questo capitolo.
Ricordo
che siamo nella mente di un ragazzo (o almeno, io ci ho provato ad entrarci :P)
e che quindi i suoi discorsi con gli amici sono ben diversi da quelli di una
ragazza.
Vi
lascio alla lettura e ringrazio chi vorrà cimentarsi in questa storia.
Un
grazie di cuore anche alle meravigliose ragazze che hanno seguito Tra
l’odio e l’amore, è un piacere rincontrarvi qui, spero che
questo pov Lore non vi deluda.
I protagonisti di questa storia sono
tratti da “Tra
l’odio e l’amore c’è la distanza di un bacio”
Capitolo 1: Primo giorno di
scuola
Oh
sì. Cazzo Bìa, tu sì che ci sai fare con quelle
mani…e quella bocca, oh sì, sì, sì…ma
che…?
Mi alzai di colpo, sbattendo la testa su quella
stupida e orribile mensola blu che avevo voluto a tutti i costi da piccolo, per
poterci appoggiare sopra il mio prezioso Game Boy la sera, una volta finito di
giocarci.
-Alla buon’ora!-
Lo strillo di mia sorella –di una delle
due, non avevo ancora identificato quale- dritto dritto
nell’orecchio ebbe il potere di mandare a puttane i pochi neuroni
rimasti nel mio cervello dopo quella botta madornale.
La guardai in cagnesco e mi massaggiai la testa,
gli occhi ancora annebbiati per il sonno e per il male.
Mi aveva colpito pure in faccia quella stronza!
Non bastava prendere a calci il materasso, tirarmi i capelli e conficcarmi le
unghie nelle braccia per svegliarmi, ora voleva pure spaccarmi il naso!
Avevo sempre tutte le braccia piene di segni
rossi per colpa sua, i miei amici più di una volta mi avevano
addirittura strizzato l’occhio maliziosi, pensando probabilmente che
fosse opera di una qualche amante focosa. Ovviamente io confermavo le loro
ipotesi con un’alzata di spalle, mica mi smerdavo dicendo che era stata
mia sorella.
-Muoviti idiota, sei in ritardo! E se pensi che
ti accompagni in macchina questa volta…beh, scordatelo, ti attacchi al
cazzo.-
Sempre carina Rossella. Normalmente, non di certo
alle sette del mattino e con un bernoccolo in fase di sviluppo sulla testa, mi
compiacevo di quel suo caratterino tanto simile al mio che teneva alla larga
parecchie teste di cazzo.
Insomma, nessun ragazzo con un minimo di amor
proprio si sarebbe avvicinato a lei! Escluso Christian, il suo ragazzo, che
doveva avere un lato veramente
masochista.
-Ma chi te l’ha chiesto, stronza!- Sbraitai
senza smettere un attimo di massaggiarmi la parte lesa.
Porco cazzo, stavo facendo un sogno degno dei
migliori film porno…dovevo assolutamente mettermi d’accordo con la
mia migliore scopamica Bìa
per vederci uno di quei giorni, prima che me lo dimenticassi.
Feci per alzarmi, ma un cuscino –il mio
cuscino- mi arrivò dritto in faccia, -E copriti almeno! Non voglio
nemmeno immaginare i sogni che fai, guarda!- Rossella gesticolò schifata
e altezzosa come sempre, prima di girare i tacchi ed uscire dalla stanza.
Finalmente.
Capii subito a che cosa fosse dovuta
quell’ultima frase, mi bastò dare un’occhiatina in basso:
era rimasto deluso tanto quanto me per l’interruzione del sogno. E che
sogno…e Bìa quanto cazzo gemeva porca
vacca, dal vivo mica era così eccitante!
Con molta calma –chi aveva sbatti di fare
in fretta? Sarei arrivato in ritardo dando la colpa ai mezzi come sempre-, mi
alzai e mi avviai verso il bagno per buttarmi sotto l’acqua fredda della
doccia.
I miei piani furono sconvolti dall’arrivo
dell’altra piaga, leggasi sorella, che mi si attaccò alla schiena
come un koala.
-Loreee! Ma
fratellino mio, ti sei già svegliato?-
Sapeva quanto ero nervoso e scazzato appena
sveglio e lei si divertiva un mondo a provocarmi con tutte quelle smancerie.
Inutile chiedersi perché tra un Rottweiler sempre incazzato e un Chihuahua appiccicoso, non ci fosse
potuta essere una via di mezzo. Ero così fortunato ad avere due sorelle gemelle, una più adorabile
dell’altra. L’ironia abbondava anche nei miei pensieri.
-Levati Glenda!-
Sbuffai e me la scrollai di dosso come un cane con le pulci.
Non ero un tipo affettuoso che dispensava baci e
abbracci a tutti, anzi, ero esattamente il contrario. Odiavo essere abbracciato
dai parenti, specie da quelli che vedevo meno frequentemente e che ripetevano
cento volte quanto fossi cresciuto, era una cosa che mi indisponeva da morire.
Potevo sopportare
l’abbraccio di un’amica, ma non quello di mia madre o delle mie
sorelle. Era più forte di me, era sempre stato così da quando ero
piccolo.
Mi scocciava ammetterlo, ma quello era un lato
del carattere che avevo preso da mio padre.
Quando Glenda lo
abbracciava –perché lei aveva l’irrefrenabile impulso di
abbracciare qualsiasi cosa,
probabilmente avrebbe abbracciato anche una montagna di merda se ne avesse
avuta una davanti- reagiva allo stesso mio identico modo: si irrigidiva, le
dava qualche pacchetta sulla spalla e la allontanava.
Mi feci una doccia veloce e mi vestii in fretta;
tanto per cambiare ero in ritardo. Il primo giorno. Ma la prima ora c’era
il prof di economia, quindi nessun problema.
-Ma’,
mi servono cinque euro per il bar, faccio colazione lì.-
Ricordate quanto avevo detto prima? Bene, dimenticatelo. Perché da
grandissimo ruffiano, quando mi serviva qualcosa, facevo l’immenso sforzo di diventare affettuoso,
se non altro per quei pochi secondi necessari ad avere ciò di cui avevo
bisogno.
Lei, in risposta, si indicò la guancia e
io, mio malgrado e sbuffando, dovetti darle una guanciata frettolosa molto poco simile ad un bacio.
Subdola
ricattatrice.
Era anche vero che c’erano sempre di mezzo
i soldi le uniche volte che dimostravo un po’ di forzato affetto, quando
veniva lei ad abbracciarmi e a dirmi: “Ma quanto è bello mio
figlio!”, io la scostavo un po’ malamente con un “Sì,
dai ma’, basta.”
Ad ogni modo con quei soldi non avrei comprato
nulla al bar della scuola e lo sapeva anche lei: li avrei semplicemente messi
da parte insieme a tutte le altre mance per uscire il sabato sera o comprare
ricariche per il telefono.
-Guai a te se ti compri le sigarette.- Mi
fulminò con lo sguardo, la mano con la banconota a mezz’aria,
incerta.
Che rottura. Da quando sapeva che avevo iniziato
a fumare –che poi fumare era una parola grossa, fregavo solo qualche
sigaretta agli amici di tanto in tanto- era diventata il triplo più
apprensiva e rompicoglioni. Si preoccupava, certo, ma non sopportavo che le
persone mi stessero troppo addosso. Evitavo di essere troppo brusco con lei
solo perché era mia madre, ma una cosa del genere non l’avrei
tollerata da parte di nessun altro. Forse per quello avevo avuto solo due
ragazze fisse, storie che peraltro erano durate ben poco e che erano finite con
un mio “Mi sono rotto i coglioni, e mollami cazzo!” quando le tipe
erano diventate troppo appiccicose e avevano iniziato a pretendere troppo.
Misi una mano sul petto con aria solenne, -Giuro.-
Lei si convinse e, dopo avermi abbracciato
–con conseguente mio alzare gli occhi al cielo, mi lasciò
finalmente i soldi.
Quanta fatica per guadagnarsi cinque euro. Non
vedevo l’ora di essere maggiorenne per andare a lavorare il pomeriggio.
Presi in mano il cellulare ed uscii di casa,
giusto in tempo per vedere la porta dell’appartamento di fronte chiudersi
dietro ad una bassa figura, molto
simile a quella di una bambina: la mia vicina di casa.
Doveva avere più o meno la mia età,
anche se per via dell’altezza sarebbe potuta benissimo passare per una
quattordicenne.
In anni e anni che abitavamo vicino non ci
eravamo mai parlati, ci salutavamo e basta. O meglio, lei mi salutava e basta, io il più delle volte le rispondevo
a grugniti o gesti.
Non mi stava particolarmente simpatica, se la
tirava decisamente troppo, ma non si poteva parlare nemmeno di antipatia. Mi
era del tutto indifferente.
Le sue labbra si tesero in una smorfia vagamente
simile ad un sorriso. Come sempre, non sembrava particolarmente contenta di
vedermi, -Ciao.- La sua vocetta
bassa ed infantile ebbe il potere di irritarmi più di quanto già
non lo fossi per il brusco risveglio.
Chissà perché si ostinava ogni
volta a volermi salutare, quando era chiaro che non mi sopportasse. Il motivo
non lo avevo mai capito e neanche mi interessava trovarlo.
-Ciao.- Risposi svogliato -della serie,
“se proprio devo risponderti…”-, abbassando gli occhi proprio
in quel momento sullo schermo del mio cellulare per leggere un messaggio appena
arrivato.
Quest’anno
si scopa nei bagni, non ci sono storie o prof che tengano. Devo farmi ancora la
Kla, la tettona della 5B.
Quanto poteva essere scemo il mio amico Andrea?
Sorrisi e mi diressi verso le scale, non avendo
voglia di aspettare l’ascensore insieme a quella nanerottola altezzosa.
Coglione,
ancora non l’hai capito che non te la darà mai? Perché
dovrebbe cagare un cazzone di quarta?!
Piuttosto…con
Mel ci hai rinunciato definitivamente?
Melanie sarebbe stata l’unica ragazza in
classe con noi quell’anno, Bìa purtroppo
aveva cambiato scuola.
Avevamo frequentato la stessa classe alle elementari,
ma non l’avevo mai calcolata più di tanto, cioè, era una femmina, un essere non degno di giocare
a calcio con noi maschi nell’intervallo.
Fui sorpreso di ritrovarla alle superiori, tre
anni dopo. Era sempre stata al centro delle nostre sfide o scommesse in quegli
ultimi anni: nessuno di noi era riuscito a sverginarla, ormai io e il mio amico
ci avevamo quasi rinunciato e ci limitavamo a considerarla come un’amica.
‘Sti cazzi, ormai ho perso le speranze! Secondo me è
lesbica, non c’è altra spiegazione!
Classica giustificazione dataci dal nostro
orgoglio maschile. Fisicamente Mel non era male, ma c’era di meglio in
giro: era stato solo il suo rifiuto a spingerci a scommettere più volte
su di lei.
Avvertii dei passi alle mie spalle ed istintivamente
alzai lo sguardo; la mia “deliziosa” vicina di casa mi aveva appena
sorpassato per fermarsi qualche metro più avanti, accanto al cartello
della fermata dell’autobus.
La osservai, inclinando lievemente la testa ed
arricciando involontariamente le labbra: tutto sommato era carina, niente di
eclatante però, quante ce n’erano del resto di ragazze carine? E
poi aveva un viso troppo da bambolina per i miei gusti. Anche se con una quarta
o una quinta di seno quel particolare sarebbe passato in secondo piano…
Si spostò una ciocca di capelli e, dopo
aver adocchiato l’orologio, sbuffò scocciata e sbatté
ripetutamente un piede a terra. Nervosetta la biondina.
Trattenni a stento una risata, c’era solo
un modo per definire le ragazze come lei: ridicole.
Mento in alto, petto in fuori, vestita e truccata
tutta di punto. Una gallina. Una cazzo di Barbie altezzosa che credeva di
essere chissà chi. Quando in fondo era solo una materia scopabile come
un’altra.
Sarebbe stato meraviglioso vederla inciampare e
cadere, una gran bella figura di merda era quello che le ci voleva.
Tornai ai miei messaggi, deciso più che
mai a scrivere alla mia amica Bìa per
chiederle di vederci a casa sua uno di quei giorni. Quel sogno stuzzicava
ancora piacevolmente la mia mente ogni tanto…
L’autobus arrivò ed io schizzai
subito in fondo per appoggiare il mio regale culo al solito posto, prima che
qualcuno potesse fottermelo.
Un’odiosa vecchia inacidita, urtata per
sbaglio, mi guardò irritata e borbottò un “Che
modi!”. La ignorai, come tutte le sue inutili coetanee.
Finito di sgrovigliare il filo delle cuffie, me
le infilai e feci partire la musica dell’Ipod
al massimo.
Rialzando lo sguardo, mi accorsi della presenza
di Barbie più avanti. Strano che non fosse ancora scesa, di solito
scendeva alla fermata della metro a quanto ricordavo.
Probabilmente neanche si era accorta di averla
superata. O magari andava da un’altra parte.
Hai
capito la nanetta, se la bigia il primo giorno.
La persi di vista e la lasciai perdere poco dopo,
quando l’autobus incominciò a riempirsi di fermata in fermata.
Milano. Autobus ogni quindici minuti -anche se la
mattina in teoria sarebbe dovuto
passare ogni otto, persone che per fare due metri si mettevano al volante e
file di macchine ad ogni semaforo o incrocio. C’erano pure da aggiungere
i tipi dell’AMSA che passavano a pulire le strade a quell’ora, ecco
come si formava il traffico. Ed ecco perché ero sempre in ritardo.
Svegliarsi prima la mattina? Non era neanche da prendere in considerazione
quell’idea.
Una ventina di minuti dopo, la simpatica voce registrata dell’ATM
mi annunciò l’imminente arrivo al capolinea e quindi alla mia
destinazione.
Già lì, pronti ad aspettarmi per
affrontare quel traumatico primo giorno, c’erano Giulio e Stefano, due
miei compagni di classe.
Ste’ mi venne incontro e si spostò
con aria da figo un ciuffo di capelli, -Oh, bella
Lore!-
Alzai il braccio e gli strinsi la mano scazzato
come al solito.
-Come va?-
Alzai impercettibilmente un sopracciglio, -Sono
le otto del mattino, come cazzo credi che vada?-
Ste’ annuì senza aggiungere altro,
quasi ammirato per via di quella risposta antipatica.
Avevo come l’impressione che cercasse di
imitarmi, il suo modo di fare e di prendere per oro colato tutto quello che
dicevo era piuttosto inquietante.
Per carità, avevo già avuto un
amico che imitava tutto quello che
facevo, dal modo di parlare, alla marca dei boxer, e me n’ero liberato a
fatica. Ci mancava solo lui!
Più avanti, sul solito vialetto che
conduceva al cancello dell’istituto tecnico Molinari, incontrammo Andrea:
il tipo dei messaggi, sì.
-Giuro che se tutte ‘ste
tipe non la piantano di salutarmi mi incazzo sul serio!- Esordì
gesticolando come un cretino, -Non riesco a fare più di due passi porca
puttana! Perché le tipe devono per forza attaccarsi alla tua guancia come delle cozze allo scoglio per salutarti?! Che
si incollassero al mio cazzo con la bocca, almeno servirebbero a qualcosa!-
Scrollai le spalle divertito, giusto due secondi
prima che una massa di capelli rossi mi coprisse la visuale.
-We Lollo!- Fabiana Salvino, 4C. Grazie al cielo non eravamo
nella stessa classe, non credo sarei riuscito a sopportarla, troppo logorroica.
Odiavo il suo entusiasmo di prima mattina e
odiavo anche il modo in cui mi chiamava, Lollo
sembrava il nome di una caramella appiccicosa o di uno yoyo.
-Fabi.-
Alzai gli occhi al cielo, mentre Fabiana si staccava dalla mia guancia e si
appiccicava a quella di un isterico Andrea.
-Che ha?- Mi chiese dopo averlo salutato.
-Sindrome premestruale.- Spiegai, guadagnandomi
un bel dito medio da parte del mio amico.
Ci avviammo, a passo più lento possibile,
verso quello che sarebbe stato il nostro carcere per un altro anno, il
penultimo per fortuna.
Certo, il Molinari rispetto a tante altre scuole
era il Paradiso, dato che durante la stragrande maggioranza delle lezioni non
facevamo un beneamato cazzo, ma era pur sempre una scuola, un posto dove si
supponeva avremmo dovuto studiare. Solo
la parola mi faceva star male.
Entrammo a fatica, dopo aver spintonato un bel
po’ di idioti che avevano preso l’atrio come punto di ritrovo per
fare i cazzoni. Che cavolo, c’era il cortile
per quello!
-Siamo nell’aula 37.- Constatai un
po’ scocciato, una volta letto il foglio appeso alla colonna
dell’ingresso.
-Oh no! Siamo al secondo piano, che sbatti non
c’ho voglia di fare tutte quelle scale, cazzo!- Se avessero detto a
Ste’ che il giorno seguente sarebbe stato il 21 dicembre 2012
probabilmente l’avrebbe presa meglio.
-Minchia serio!!! Che palle!-
Spintonai Andre e lo derisi con un: -E dai Andre,
hai davvero così poca resistenza? Ecco perché ultimamente Bìa è sempre da me…-
Lui spalancò la bocca indignato, mentre
Giulio e Ste’ ridevano come pazzi, -Ma vaffanculo!-
Ridacchiai soddisfatto. Ci voleva veramente poco
per provocare Andrea, bastava colpirlo in quel
punto, niente avrebbe scalfito di più il suo orgoglio.
Certo, fare due piani di scale la mattina quando
si era mezzi addormentati e in ritardo non era il massimo, ma pazienza. Sempre
meglio che stare nelle minuscole aule –o meglio, topaie- del piano terra.
-Cazzo, questa sì che è
un’aula!- Giulio lanciò il suo zaino su un banco a casaccio, per
poi sedercisi sopra ed appoggiare i piedi sulla sedia.
In effetti era piuttosto grande, con un degno
spazio fra i banchi che ci avrebbe permesso di muoverci più liberamente.
Anche a costo di fare lo stronzo, mi limitai ad
alzare gli angoli della bocca in una smorfia un po’ svogliata quando i
miei compagni di classe mi salutarono: non ero decisamente dell’umore per
chiacchierare o salutarli decentemente, così non li degnai di ulteriori
attenzioni.
Andre, nel frattempo, si era già
stravaccato su una delle sedie in fondo, -Ohi, sigaretta?- Poggiò la
suola delle scarpe sul bordo del banco e mi porse il pacchetto.
Gliene sfilai una ghignando, -Ci sta.- Prima
dell’inizio della lezioni era d’obbligo, per inaugurare
l’anno.
La misi fra le labbra e fregai l’accendino
al mio amico quando ebbe finito di usarlo.
Occupai il posto vicino e fumai tranquillo
l’unica cosa che mi diede la pazienza necessaria a sopportare i suoi
successivi sproloqui.
-Una quarta! Dico, una quarta! Mi spieghi come
cazzo si può resistere a una quarta?! Te lo dico io: non si può.-
-Ah ah.- Soffiai il
fumo e lo aspirai, alzando appena la testa verso il soffitto.
Non vedevo l’ora che incominciassero le
lezioni, sempre meglio dei discorsi di Andrea.
Sapeva essere schifosamente logorroico quando
voleva, fortuna che era anche stupido e non si era minimamente accorto del
fatto che come al solito non lo stessi ascoltando.
-Cazzo oh, poi però non riuscivo
più a scrollarmela di dosso, una volta che le svergini...-
Si bloccò di colpo ed un coro di "Alleluja" si levò soave nella mia testa.
Non mi preoccupai troppo di accertarmi che nel
suo cervello non si fosse formato un nido di vermi, né mi girai a
guardare l'oggetto che aveva catturato la sua attenzione.
Poteva essere un piccione, così come
poteva essere il culo di Mel -nulla di nuovo quindi; già visto,
più e più volte.
-Oh, Lore.-
Sghignazzando, mi diede una gomitata.
-Che c'è?- Borbottai stizzito, senza
staccare gli occhi dal soffitto. Già era dura sopportare le sue inutili
chiacchiere da donna pettegola con una sigaretta fra le labbra, ci mancavano
pure le gomitate da amicone.
-Guardala.-
Annuii svogliato, non facendo subito caso a
quanto aveva detto.
Un momento. Guardala? Ma guardare cosa,
chi? Mel? La cicca che aveva appena attaccato sotto il banco?
Abbassai finalmente lo sguardo, curioso per una
volta di vedere di che cosa stesse parlando.
L'oggetto in questione, che aveva fatto zittire
improvvisamente tutti, altro non era che una ragazza.
Il mio cervello -e non solo- fu particolarmente
contento di quella visione, dopo Bìa pensavo si sarebbe sentita la mancanza di una
tipa da farsi nei bagni.
Si sperava che quella non fosse come Mel, una
tipa "guardare ma non toccare".
Uhm, belle gambe, tette…-con lo sguardo,
seguii rapito il contorno della canotta che indossava e risalii per
esaminare quell’invitante porzione di pelle- nella norma ma comunque
arrapanti, collo, capelli biondi, faccia...
Oh cazzo, ma quella...!
Quando finii il mio esame e arrivai ad
analizzarla attentamente in volto, la riconobbi subito: la perfettina
rompicoglioni che abitava di fronte a me, la Barbie!
La sua faccia già diceva "guardare ma
non toccare" e ci aggiungeva pure un "coglioni", visto con
quanto ribrezzo ci stava osservando. Grandioso. Una verginella snob e pudica.
Ma che ci faceva Barbie lì in mezzo a noi? Dove lo aveva piantato quel
frocio di Ken?
-Ah, con questa addio federica...-
Andre si sporse in avanti sul banco per osservarla meglio e quasi mi aspettai
che si desse lo slancio con le braccia per alzare la testa in alto e ululare.
-Stai sbavando sul banco.- Gli feci notare
impassibile. Bastava un essere dotato di tette e figa a far partire quei pochi
neuroni rimasti nel suo cervello.
La biondina lanciò un’occhiata un
po’ disorientata e spaurita -che si aspettava, era appena entrata nella
tana dei lupi!- alla classe, prima di alzare il mento apparentemente sicura di
sé e dirigersi verso il primo banco.
La seguii, stranamente curioso, con gli occhi:
strano che si fosse iscritta proprio al Molinari. Perché non in
un’altra scuola di Milano? Il Molinari non era di certo un liceo, i professori erano degli idioti
incompetenti che ci lasciavano perlopiù cazzeggiare durante le lezioni e
le poche ragazze iscritte erano completamente diverse da lei, erano ben
integrate con...l’ambiente. Lei non c’entrava nulla lì,
l’avrei vista bene in un qualche liceo snob, di quelli pieni gremiti di
secchioni pronti ad andare in qualche università
“prestigiosa”.
-Che figa oh!- Marco si passò la lingua
sul labbro visibilmente eccitato.
-Serve una doccia fredda qui.- Ste’
boccheggiò un paio di volte.
Riccardo mosse il bacino eloquentemente contro la
sua sedia e tirò fuori la lingua come un cane assetato, -Minchia oh, qui
si tromba.-
Che coglioni. Solo a me vedere quella faccia da
santarellina faceva passare la voglia di scoparmela? Chissà che cazzo di
suora doveva essere.
Anche se…quella canotta che indossava
lasciava ben poco all’immaginazione…
-Da quando le santarelline ti arrapano?- Chiesi
sovrappensiero, senza staccare gli occhi dalla testa bionda della nuova
arrivata. Osservava insistentemente il prof, le cuffie alle orecchie e le mani
che si torcevano nervose sotto il banco.
-Da quando ho capito che è tutta una
facciata, le santarelline son le più porche.- Mi rispose Andrea
compiaciuto.
Inarcai un sopracciglio; anche quello era vero.
Restava il fatto che mi risultava abbastanza difficile immaginare che Barbie lo
fosse, probabilmente aveva la stessa espressione controllata e sprezzante anche
mentre scopava.
In diciassette anni che abitavo vicino a lei,
ricordavo di averla vista sempre e solo con la stessa faccia, stesso sorriso
forzato e stessa smorfia di sufficienza.
Ma
tiratela un po’ di meno, sei ridicola.
Tante volte avrei voluto dirglielo, ma avevo
sempre evitato. Non erano cazzi miei, non la conoscevo e non mi sembrava il
caso. Alla fine, poteva comportarsi come voleva, se non dava fastidio a quella
faccia di minchia del suo ragazzo quell’aria da smorfiosa…
-Ciao ragazzi!- L’arrivo in classe di Mel
mi distrasse dalla mia rete di pensieri: si sporse a baciare tutti sulla
guancia e mi preoccupai seriamente di vedere la mano di Andre scattare al suo
collo quando fu il suo turno di essere salutato.
Fortunatamente, si limitò a sorridere
sornione, -‘Giorno Mel, quando ti vedo mi si
rizza da morire, sai?-
Tentativo di abbordaggio di Andre: fallito.
Tentativo mio di non ridere: fallito.
-Credo di avertelo già sentito dire un
paio di volte, ma questa volta l’hai detto con così
tanta…passione. Sono tutta un fremito guarda.- Mel finse di rabbrividire,
poi, dopo averci lanciato un’occhiata divertita e aver scosso la testa,
si avvicinò alla nuova arrivata.
Istintivamente, poggiai l’avambraccio sul
banco e mi alzai appena dalla sedia per cercare di sentire qualcosa.
-Che fai?- Già dal tono di voce e dal
ghigno poco trattenuto di Andre, capii che avesse intuito tutto e che mi stesse
sfottendo.
Socchiusi gli occhi irritato, più per il
fatto di essere stato scoperto che per altro, -Fatti i cazzi tuoi.-
Mel, intanto, aveva attaccato bottone con la
bionda, le si era seduta vicino e ci parlava come se la conoscesse da una vita.
Era incredibile la velocità con cui le ragazze riuscivano a fare
amicizia, a loro bastava tirar fuori qualsiasi argomento stupido per poter
socializzare e ridere come cretine.
-Armandi.-
Spostai lo sguardo verso il prof nello stesso
momento in cui Marco alzò la mano.
Oh, il vecchio si era svegliato. E solo quindici minuti dopo l’inizio
della lezione.
Non attesi che finisse l’appello per
fregare un’altra sizza ad
Andre, il prof Masetti non spiegava praticamente mai,
controllava i presenti solo per far vedere ai colleghi che il suo dovere di
prof della prima ora di compilare il registro l’aveva fatto. Poi tornava
al suo giornale.
-Oggi si raddoppia?- Andre mi guardò
interessato e un po’ sorpreso.
Mi strinsi nelle spalle e accesi la sigaretta,
stando comunque attento a non farmi notare troppo dal prof, -È il primo
giorno.-
-Latini.-
Merda.
Tossii appena e nascosi la mano sotto il banco,
sollevando l’altra con l’intento di scacciare il fumo.
Fortunatamente non disse nulla, proseguì
spedito con gli altri nomi senza soffermarsi troppo su di me. Mi doveva ancora
un paio di jeans quel vecchio di merda, per colpa sua l’anno precedente,
per nascondergli il fatto che stessi fumando, ne avevo bruciato un paio.
-Puccio.-
Il mio sguardo volò subito verso la Barbie
e, sorpreso, mi ritrovai i suoi occhi verdi puntati addosso. Si era accorta di
me.
Cazzo
hai da guardare?
Durò un attimo, si girò subito dopo
per alzare la mano e sorridere affabile al professore. Masetti
borbottò a malapena un benvenuto, prima di ritornare al suo prezioso
appello, quello che, una volta finito, gli avrebbe permesso di ritornare a
leggere il giornale.
La Puccio sembrò restarci male per la
scarsa considerazione ottenuta dal prof, si sporse verso Mel e le
sussurrò qualcosa di incomprensibile.
-Puccio,
eh?-
Mi ero quasi dimenticato della presenza del mio amico
Gabriele alla mia sinistra, durante le lezioni era uno dei pochi a restare
zitto e attento.
-Già.- Risposi distratto, -Che
c’è, ti interessa?- Sghignazzai divertito al solo pensiero.
-A Lele piace la figa? Miracolo!- Andre rise
così forte che per un attimo il prof staccò gli occhi dal suo
giornale per lanciarci un’occhiataccia.
In anni di scuola insieme, Lele non era mai stato
con nessuna ragazza a quanto ne sapevamo, per quello Andre lo provocava sempre
con frasi del tipo: “Ti conservi per qualcuna in particolare? O qualcuno?”
Lele si sistemò gli occhiali sul naso con
la sua solita aria da intellettuale superiore a tutti, -Coglione.-
Andre, del resto, non poteva sapere che il primo
anno Lele, considerandomi il suo più caro amico, aveva avuto il coraggio
di confidarmi che si era innamorato di Fabiana.
In un attacco di stronzaggine, gli ero scoppiato
a ridere in faccia dicendogli che non aveva speranze e da allora non mi aveva
più detto nulla sulla sua vita sentimentale.
-Piuttosto, mi sembra che Lore sia un tantino
assorto.- Alzò ed abbassò le sopracciglia più volte, gesto
che mi piacque decisamente poco. Se Andre era un coglione, Lele era fin troppo
intelligente.
Feci una smorfia e spensi la sigaretta sulla
gamba del tavolo, -Come sempre. Mai seguita una lezione del Masetti.-
-Mai fumate due sigarette.- Osservò il mio
gesto corrugando la fronte stranito.
-È il primo giorno.- Ripetei scocciato. Ci
mancava solo che incominciasse a rompere come mia madre.
Capì che per il suo bene non gli conveniva
ribattere, stette zitto per il resto dell’ora, mentre Andrea ricominciava
con il suo noioso discorso di prima.
Quando, finalmente, smise di parlare, mi alzai
dalla sedia con un intento ben preciso.
-Vai anche tu a dare il benvenuto alla nuova
arrivata?-
Lo
ammazzo.
Dovetti contare fino a cento per impedirmi di
strozzare Lele.
-Abita vicino a me, la conosco già e non
è niente di speciale.- Mi voltai prima che potesse pormi qualsiasi altra
curiosa e invadente domanda da pettegola, lasciandolo alle congetture che di
sicuro avrebbe fatto il suo cervello da secchione.
Non sapevo nemmeno io che cosa avevo voluto far
intendere con quel “non è niente di speciale”, probabilmente avrebbe pensato che me la
fossi scopata e che non fosse stato un granché. Di certo non mi schifava
l’idea che tutti lo pensassero.
Inarcai appena un sopracciglio e mi poggiai al
banco della Puccio con nonchalance.
Lei non si era ancora accorta di me, presa
com’era da una discussione sicuramente poco interessante con Mel.
-Non sapevo frequentassi questa scuola.-
Sobbalzò spaventata e sollevò
lentamente la testa. Qualcosa mi disse che mi aveva già riconosciuto
dalla voce, prima ancora di vedermi, la sua espressione sprezzante e disgustata
non mutò quando i suoi occhi incontrarono i miei.
-Non l’ho mai frequentata. È solo da
quest’anno che sono iscritta qui.- Sorridere sembrò costarle uno
sforzo immane, quasi fosse al cesso.
Perché?
Perché si era iscritta lì?
Perché proprio nella mia classe? Impossibile che c’entrassi io,
non sapeva che frequentavo quella scuola, non ci eravamo mai neanche parlati!
Eppure…era una coincidenza strana.
-Vi conoscete?- Mel, pettegola come solo le donne
-e Lele- potevano essere, ci guardò curiosa.
Inclinai la testa pensieroso, -Più o
meno.- Sempre che la nostra potesse considerarsi una conoscenza.
Lei non dovette pensarla allo stesso modo,
perché i suoi occhi verdi si dilatarono parecchio per la sorpresa.
Che
ho detto?
-Non direi.- Dio, sembrava un’acida prof
che correggeva il modo di parlare di un suo alunno, -Visto che il qui presente
signorino non si degna mai di salutare.-
Stava ghignando? Stava davvero mostrando un’espressione diversa dal solito?
Miracolo!
-Di che stai parlando? Io saluto sempre.- Tutta
la fatica che facevo per ricambiare il suo saluto la mattina, se non a parole,
a gesti, mi dava ragione.
-Ma se sono sempre io a salutare e non dire
cazzate va!-
Cazzate?
Diceva parolacce? E si stava pure irritando. Bene bene,
allora la faccia della bambolina non era di plastica come pensavo, riusciva
anche ad arrabbiarsi come i comuni mortali.
-Non è assolutamente vero, tesoro. Sei tu
quella maleducata che va sempre di corsa e che mi spia dal buco della serratura
per evitarmi.- Piegai le labbra in un sorriso vittorioso nel vederla
boccheggiare e avvampare sconfitta.
Più di una volta mi ero accorto di essere
spiato sul pianerottolo, non ne avevo mai avuto conferma, ma sospettavo che i
passi leggeri e corti che sentivo aldilà della sua porta di casa
appartenessero a lei.
-Co…non
è assolutamente vero!-
Portai una mano davanti alla bocca per evitare di
scoppiarle a ridere in faccia. Mai visto delle guance diventare così
rosse in così poco tempo, stava letteralmente per scoppiare.
-Nelle scale c’è
silenzio e non è difficile sentire dei passi e dei rumori dietro alla
tua porta, dato che è appiccicata all’ascensore.- Ghignai
soddisfatto.
-È vero, lo faccio, ma solo
perché non voglio andare in ascensore con te.-
Incrociò le braccia al petto con decisione ed alzò il mento nella
sua solita espressione fiera.
Non potei fare a meno di trovare la
frase piena di molteplici significati a cui dare molteplici risposte: per quale
motivo non voleva entrare in ascensore con me? Disagio? Temeva –o sperava- che le saltassi addosso?
-Allora vedi che sei tu la maleducata?-
Colpita e affondata Puccio.
Sembrava che la parola
“maleducata” per lei fosse un insulto peggiore di
“puttana”, era a dir poco sconvolta.
Divertito, me ne tornai al mio banco
senza lasciarle possibilità di replica. Ci sarebbe stato da divertirsi
con quella nanerottola lì, sarebbe stata un piacevole passatempo.
L’ora successiva, quella di matematica,
contavo di passarla a messaggiare con Bìa, ma il continuo ed infinito ciarlare di Andrea
mi impedì di concentrarmi adeguatamente sulle risposte ai suoi messaggi
altamente erotici e stuzzicanti.
-Ma se è un’altra scopata che vuole
questa, dalle due botte e poi mollala, no?- Sbottai esasperato.
Di sfuggita, mi accorsi della presenza della
Puccio alla lavagna; la prof doveva averla chiamata per metterla alla prova e
vedere il suo livello…piuttosto basso evidentemente. Stava cercando, con scarsi risultati, di
risolvere una semplice equazione, ma si bloccava ogni due secondi su calcoli
semplicissimi.
Ridacchiai, decisamente allietato da
quell’ultima scoperta: la biondina perfettina era pure bella ignorante.
Nulla di sorprendente, certo, dovevo ancora conoscerla una bionda intelligente.
Bìa stessa aveva difficoltà a scuola e
a volte se ne usciva con certe frasi cretine…se non altro era brava a
letto.
-Allora?-
Eh?
Osservai il mio amico perplesso. Doveva avermi
detto qualcosa, ma non lo avevo nemmeno sentito.
Gli diedi una pacca amichevole sulla spalla,
-Certo.-
Qualsiasi
cosa tu abbia appena detto.
-Oh, grande!- Si illuminò in un sorriso
preoccupante, -Grazie oh, sei un amico!-
Annuii poco convinto, -Prego.- Si sarebbe
sicuramente dimenticato di quella conversazione conoscendolo, quindi potevo
anche concedergli tutto quell’entusiasmo.
Stavo ancora sorridendogli accondiscendente, come
si poteva fare ad un bambino a cui si prometteva un giocattolo che non avrebbe
mai avuto, quando, voltandomi verso la lavagna, incontrai degli occhi verdi
puntati insistentemente su di me.
Accortasi di essere stata colta in flagrante,
Alice Puccio si morse il carnoso labbro inferiore –gesto che per qualche
contorto motivo i miei occhi seguirono- e sussultò, ma non distolse
comunque lo sguardo.
Sembrava mi stesse chiedendo implicitamente di
aiutarla, mi fissava quasi supplichevole.
Arcuai un sopracciglio, le labbra ancora piegate
in un sorriso. Strano, pensavo di essere l’ultima persona a cui si
sarebbe abbassata a chiedere aiuto.
Perché guardava me e non, ad esempio, Mel? Forse aveva già saputo
della gloriosa media del 4 della Zorzi?
Un’idea brillante mi attraversò la
mente e mi fece accentuare il sorriso: lentamente, sfilai le mani dalle tasche
dei jeans e le suggerii un risultato inventato così, su due piedi.
-Puccio?- La
prof la richiamò, probabilmente stufa della sua lentezza e delle sue
esitazioni.
Lei si voltò di scatto, l’aria
terrorizzata di chi era ad un passo dal patibolo. Poi, sospirò
teatralmente, iniziando a tracciare qualcosa con il gessetto. Il mio averla
presa per il culo doveva averle dato una scossa.
Ma…
Aprii la bocca incredulo: no ma dai, ma allora
era veramente cretina…due terzi? Aveva davvero scritto la risposta che
le avevo suggerito io?!
-Due terzi? Puccio, ci arriva
anche un bambino delle elementari che quattro sedicesimi per ventisette primi
non può dare due terzi.-
Non riuscii più a trattenere una fragorosa
risata a cui si unì ben presto il resto della classe.
Era pure stata smerdata dalla prof! La Zerbato, la prof più comprensiva di tutti, le aveva
appena fatto fare una figura di merda davanti all’intera classe il primo
giorno di scuola!
E la faccia della Puccio era un vero spettacolo,
stavo letteralmente soffocando dal ridere!
-È evidente che sei un tantino
indietro con il programma di matematica…- Un tantino? La situazione era molto critica, la prof aveva addolcito
fin troppo il tutto.
-Credo che tu debba essere seguita da
qualcuno dei tuoi compagni finché non ti rimetterai in pari.-
Non invidiavo per niente il povero
sfigato che avrebbe dovuto spiegarle i “meccanismi oscuri” di
quella materia così impossibile da capire per il suo cervellino.
Sicuramente la prof avrebbe scelto
Lele, era il più adatto a dare ripetizioni, avrebbe avuto la pazienza
necessaria a spiegarle le stesse cose più e più volte, anche se
dubitavo sarebbe servito a qualcosa.
La Puccio annuì, lo sguardo
ancora basso, -Nessun problema, mi faccio prestare il quaderno da Zorzi e…-
Oh, allora non sapeva della media del 4
di Mel. Tra una e l’altra difficile dire quale fosse messa peggio,
già immaginavo che scintille avrebbe provocato lo scontro di due menti brillanti come le loro.
-La Zorzi non è
molto brava in matematica.-
Diciamo
pure che fa cagare.
-Latini,- Un momento, che c’entravo io? -Aiuterai Puccio a
mettersi in pari con il programma. Tu hai la media del nove con me, non
sarà un problema aiutarla.-
Ahahah, no,
cos’era, una battuta? La prof aveva voglia di scherzare.
Ci mancava solo che dovessi sprecare i
miei pomeriggi per aiutare quella lì in matematica! Ma non esisteva
proprio!
-Prof, mi scusi,- Feci contrariato,
guardando male la bionda ignorante vicino alla cattedra, -Quest’anno
abbiamo diritto in più come materia, non ho il tempo di stare dietro
anche a Puccio.-
Ovviamente di diritto non me ne fregava
un cazzo, era solo una scusa per non rinunciare alle uscite con gli amici e
alle favolose scopate pomeridiane con Bìa.
-Latini, diritto è una materia
che avranno anche tutti gli altri tuoi compagni…- La Zerbato
socchiuse gli occhi pensierosa, -Da coordinatrice di classe, però, posso
provare a parlare con il professor Crescentini e
chiedergli di interrogare per ultimi te e la Puccio nella sua materia.-
Ecco, ora se ne poteva riparlare.
Essere interrogato per ultimo equivaleva a ore di ozio durante le prime
interrogazione del prof Crescentini, mentre gli altri
si affannavano a ripassare col terrore di essere chiamati fuori.
-Sarebbe davvero un angelo se lo
facesse prof.- Sfoderai il mio miglior sorriso da
ruffiano, lo stesso che utilizzavo per chiedere a mia madre soldi per il sabato
sera.
Non avrei comunque dato ripetizioni alla Puccio,
avrei solo finto di farlo per evitare di essere interrogato subito in diritto.
Suonata la campanella che decretava
l’inizio dell’intervallo, presi il mio quaderno e i miei libri di
matematica e li buttai senza troppa gentilezza sul suo banco.
Sussultò, per la terza volta in quella
mattinata. Si lasciava cogliere troppo di sorpresa la signorina.
-Questi sono gli appunti, gli
esercizi e i libri di matematica tesoro, divertiti.- Ghignai soddisfatto e
malefico.
Sollevò la testa e socchiuse gli occhi
irritata. Mi odiava proprio. E la cosa mi divertiva da morire.
-E che dovrei farci?-
Oh Dio, era pure più ignorante di quanto
pensassi.
-Arrangiarti.- Semplice, no? A quel punto doveva
aver capito, così, mi girai per andarmene, ma lei mi bloccò con
un: -Fermo, fermo, fermo.-
Sospirai pesantemente. Che rottura di coglioni,
che voleva ancora? -Che c’è?-
-Senti, se la tua voglia di passare del
tempo con me è paragonabile a quella che ho io di passarlo con te, posso
assicurarti che ti capisco.- Prese fiato, le guance arrossate e gli occhi che
continuavano a lanciarmi saette di odio puro, -Ma la sufficienza in matematica
la voglio e a me sembra troppo comodo servirsi così della mia totale
incompetenza per le materie scientifiche per non essere interrogato in diritto
mio caro. Quindi, o tu mi aiuti come si deve in matematica, o ci metto un attimo
a chiedere alla professoressa di cambiarmi tutor, ok?-
Logorroica, petulante, perfettina e rompicazzo: grandioso. E chi l’avrebbe sopportata?
Sbuffai scocciato ed incrociai le braccia al
petto, -A casa mia non ci puoi venire.- Era fuori discussione, avrebbe contaminato
l’aria di casa con quel profumo nauseante e dolce.
-Va bene, le faremo a casa mia le
ripetizioni.- Da brava pazzoide, alzò le braccia esasperata e le
lasciò ricadere con uno sbuffo, –Mercoledì?-
Un mercoledì pomeriggio buttato
nel cesso… -Ok.- Risposi infine, a fatica.
–Bene. Tanto ti basta
attraversare il pianerottolo, non mi sembra ti servano ulteriori spiegazioni.-
I suoi occhi diventarono due sottilissime fessure.
-No, infatti.-
Fosse stata come Bìa,
sarebbe stato interessante passare un pomeriggio a casa sua. Ma lei non aveva
niente della mia amica, era l’esatto contrario.
Altro che arrapante. Andrea era fuori
di testa, quella era solo una santarellina rompicoglioni del cazzo. Di quelle
appiccicose, di quelle che una volta sverginate non la smettevano più di
starti addosso, di quelle che parlavano, parlavano, convinte di aver sempre
ragione e di essere superiori a tutto.
Nessun ragazzo sano di mente
l’avrebbe sopportata, poco ma sicuro.
Note dell’autrice:
E’ stato stranissimo immedesimarsi
in Lorenzo in questo primo capitolo, immagino di doverci prendere di nuovo la
mano a scrivere i suoi pov.
Non sono ancora del tutto convinta del
risultato, spero sia venuto bene e che vi abbia convinto, come al solito, per
qualsiasi vostra perplessità, sono qui :)
Dal prossimo, così come in Tra
l’odio e l’amore, le cose inizieranno a diventare più
interessanti.
Sempre che non preferiate appunto una
sorta di “raccolta” e che quindi vogliate subito un determinato pov di Lore (tipo quello famoso delle scale).
Vado a nascondermi sotto metri di terra
che è meglio, stranamente non ho molto altro da dire :)
Colgo l’occasione per augurarvi,
un po’ in ritardo, un buonissimo Natale, spero abbiate passato dei
bellissimi giorni festivi! :D
Un bacione grande e grazie di cuore per
tutto quanto.
Bec