Every Kind Of Love _ Klaine week

di Ari_92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Day#1_Misunderstand ***
Capitolo 2: *** Day#2_What I did for love ***
Capitolo 3: *** Day#3_Let's be adventurous! ***
Capitolo 4: *** Day#4_Put on your glasses ***
Capitolo 5: *** Day#5_Collecting you ***
Capitolo 6: *** Day#6_The list ***
Capitolo 7: *** Day#7_I do ***



Capitolo 1
*** Day#1_Misunderstand ***


Titolo: Misunderstand
Rating: Giallo (tanto per stare sul sicuro u.u)
Avvertimenti: Stupidità (la mia)
Prompt: Day One, Cooper + Klaine
Lunghezza: 3000 parole o giù di lì
Note: Ambientata nel periodo della 3x15, con diversi cambiamenti. Scleri alla fine ;)
 

 
 
 


Klaine week; Day#1




 

Cooper + Klaine__”Misunderstand”
 

 
Il problema non era che Cooper non tenesse a suo fratello, perché davvero: voleva bene a Blaine; certo, alcune volte – la maggior parte delle volte – il suo modo di dimostrarlo non era propriamente dei migliori, ma gli importava sul serio di lui.
Per quale altro motivo avrebbe dovuto fare ritorno nel deprimente quanto insignificante buco in cui era nato, altrimenti, se non per provare a riavvicinarsi a quel fratello che aveva lasciato in Ohio il prima possibile, non appena era stato abbastanza grande per darsela a gambe?
 
Aveva deciso di sfruttare la consueta settimana annuale che i loro genitori trascorrevano a casa di amici, vicino a Columbus: non ci teneva particolarmente a vederli. Secondo lui, non avevano mai apprezzato come avrebbero dovuto le sue doti di performer.
In ogni caso, non era così dispiaciuto di aver fatto una visita a casa: Blaine cantava sempre meglio – cosa che lo compiaceva e lo infastidiva allo stesso tempo – e poi aveva avuto modo di incontrare il suo ragazzo, Kurt.
Cooper l’aveva preso subito in simpatia – naturalmente il fatto che avesse la sua pubblicità come suoneria aveva avuto il suo impatto – e doveva ammettere di essere felice che il suo fratellino si fosse trovato qualcuno, e con quel qualcuno in particolare sembrava formare una bella coppia.
 
Cooper parcheggiò nel cortile di casa Anderson con un piano ben preciso in mente: aveva intenzione di sostenere un nuovo provino a Los Angeles non appena lasciata Lima, così aveva deciso di prendere due piccioni con una fava e approfittare della cosa per riavvicinarsi a Blaine. Gli avrebbe chiesto qualche consiglio sull’audizione – non che ne avesse bisogno, ma quel ragazzino non faceva che lamentarsi di quanto poco si sentisse coinvolto – e magari già che c’era sarebbe anche riuscito ad inculcargli uno dei suoi preziosi insegnamenti artistici che per qualche ragione si rifiutava sempre di prendere in considerazione.
 
Chiuse l’auto con il telecomando automatico – non si era mai abbastanza sicuri in Ohio – ed entrò in casa roteandosi il mazzo di chiavi tra le dita, tendendo l’orecchio per individuare dove diavolo si fosse cacciato Blaine.
Il silenzio era tale che per un momento immaginò che avesse dovuto trattenersi a scuola oltre l’orario – aveva un vago quanto negativo ricordo dei progetti extracurricolari che anche lui aveva dovuto portare avanti al liceo – finché non sentì un tonfo provenire dalla cucina, seguito da una mezza imprecazione. Cooper si avviò fino alla zona incriminata, e stava giusto progettando il suo ingresso trionfale quando, oltre la porta chiusa, lo raggiunse una voce che di certo non apparteneva a Blaine.
 
“Non hai la minima idea di cosa stai facendo, non è vero?”
Oh, quello era Kurt.
Nonostante il breve scambio di battute che si erano rivolti, Cooper aveva ben presto appurato che il ragazzo di Blaine non possedeva di certo un timbro che passava inosservato. In ogni caso Kurt sembrava parecchio stizzito al momento, per questo Cooper non era del tutto sicuro se entrare o meno: se interrompere un litigio avrebbe potuto da una parte rivelarsi imbarazzante, dall’altra rappresentava di certo un ottimo esercizio di recitazione: improvvisare un veloce stratagemma per estraniarsi dalla situazione avrebbe potuto-
 
“Non è che non ne ho idea, Kurt. Ma sei tu l’esperto qui, se mi dicessi come fare magari...”
“Te l’ho detto mille volte! Ma se tu non passi all’azione posso parlare finché mi pare e non concluderemo niente comunque.”
“Lo so, ma- ”
“Blaine, dobbiamo sbrigarci! Non abbiamo tutto il giorno.”
Cooper fissò la porta davanti a sé, di secondo in secondo più sbigottito.
Non sapeva se scandalizzarsi – era pur sempre una cavolo di cucina, che diamine – o ridersela sotto i baffi. D’accordo, non c’era ancora niente di certo, ma di sicuro non si sarebbe perso una cosa del genere:si avvicinò alla porta fino a premerci contro l’orecchio, attento a non fare troppo rumore.
 
“Okay, okay. Dimmi se lo sto facendo bene.”
“Sì, ora vai.”
Va bene, a quel punto la sua era l’ipotesi più probabile.
Ora che i sospetti si erano rivelati reali non sapeva come sentirsi all’idea di cosa stesse facendo Blaine – era pur sempre il suo fratellino, che cavolo – ma dopotutto sapeva che era normale. Aveva perso il conto di quante volte lui aveva colto le stesse identiche occasioni, da adolescente.
A parte il fatto che nel suo caso non era coinvolto un altro ragazzo. A parte che lui non aveva mai fatto sesso in una cucina, e il fatto che suo fratello adolescente lo stesse sperimentando prima di lui – uomo di mondo per eccellenza – era vagamente frustrante.
 
“Blaine! Non così, più forte!”
“Ci sto provando!”
“Provaci con più convinzione, allora.”
...Okay. Tutte le grandi star sanno quando arriva il momento di uscire di scena... Beh. Quello era il momento adatto perché lui se ne andasse da quel posto. Tipo, alla svelta. E non tornasse prima di sera, tanto per stare sul sicuro. Nel frattempo avrebbe potuto fare un salto sul set di Men in Black, prendere uno di quegli affari e sparaflasharsi nel tentativo di eliminare definitivamente gli ultimi minuti della sua memoria.
 
“...Non ci riesco.”
“Sei un imbranato. Mi toccherà fare da solo anche stavolta.”
Prima di abbandonare definitivamente l’edificio, Cooper si premunì di tossicchiare rumorosamente: magari la prossima volta avrebbero convenuto che accoppiarsi sui banconi della cucina non è esattamente la migliore delle idee, soprattutto quando si hanno dei fratelli ospiti in casa.
 
*
 
Era appena uscito – corso fuori – di casa quando Blaine spalancò la porta della cucina, attirato dal tossire strozzato che aveva sentito mezzo secondo prima.
“Coop? Sei tu?” Si guardò rapidamente intorno, senza vedere anima viva all’infuori del suo ragazzo, che sbirciava oltre la sua spalla con aria curiosa.
“È lui?” Chiese con fin troppa esaltazione nella voce, cosa che gli costò uno sguardo fulminante da Blaine.
No, Kurt. E comunque dovresti smetterla di andare in iperventilazione tutte le volte che si parla di mio fratello.” Kurt nascose a stento un sorriso e lo prese per mano, riportandolo in cucina insieme a lui. Non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura, ma adorava quando Blaine faceva il geloso.
“Peccato, però. Avremmo potuto offrirgli uno dei nostri biscotti.” Constatò, mentre Kurt alzava gli occhi al cielo, armandosi nuovamente di ciotola e frusta.
 
“I miei biscotti, vorrai dire. Tu non sai nemmeno montare le uova!”
 
 

***

 
 
Nuovo giorno, nuovo tentativo.
Cooper era piuttosto fiducioso al riguardo. D’accordo, va bene: sentire suo fratello che ci da dentro in una cucina dove anche lui avrebbe teoricamente dovuto mangiare non era la migliore delle prospettive, ma per una volta poteva anche chiudere un occhio.
Blaine l’aveva avvisato del fatto che con grande probabilità durante la settimana Kurt sarebbe passato qualche volta a fargli visita, ma di certo Cooper non pensava a quel tipo di visite, non ogni giorno.
La sera prima aveva strategicamente evitato suo fratello tutto il tempo: aveva finto di parlare al telefono, seguire con passione uno show di cui non sapeva nemmeno il titolo e improvvisato alcune delle interpretazioni meglio riuscitegli ultimamente.
 
Gli ci era voluta mezza nottata in bianco per realizzare che non era quella la giusta direzione da prendere: avrebbe semplicemente fatto finta di niente, persistendo nei propositi originari che l’avevano condotto in Ohio.
 
In mattinata era stato ad informarsi per il casting di una produzione locale, ed ora non gli restava che tornare a casa e parlare con Blaine di quel suo provino importante. Sarebbe andato tutto bene quella volta. Prese un bel respiro ed entrò in casa del tutto fiducioso, pronto a realizzare i suoi propositi.
Quel  giorno, il leggero parlottare proveniva dalla stanza per gli ospiti al piano di sopra. Cooper seguì le voci con entusiasmo via via scemante, fino a quando non ne isolò solo due, le stesse del giorno prima. Impallidì.
 
“...Ed è per questo che non so bene come comportarmi.” Sentì Kurt sospirare pesantemente oltre la porta.
“Sai qual è il tuo problema, Blaine?”
“Quale?”
Non sai prenderlo.” Se quello fosse stato un fumetto, Cooper sarebbe allegramente caduto a gambe all’aria.
 
No. Non era umanamente possibile.
 
“Non so prenderlo?”
“Proprio così. Voglio dire, capisco che all’inizio non sia una cosa semplice.” Constatò con estrema tranquillità, neanche stessero commentando l’ultima puntata di America’s Next Top Model.
Cooper si chiese come aveva fatto anche solo per un momento a considerare Kurt un ragazzo tenero e innocente.
 
“Da un po’ le cose sono migliorate, devo dire. Però...”
“Beh. Pensa a me, ad esempio. Nonostante i due anni di pratica intensiva che ho alle spalle a volte mi capita di trovarmi ancora nella tua stessa situazione.”
Aspetta, cosa? Blaine- Blaine aveva detto che entrambi erano stati i primi fidanzati l’uno dell’altro, e... Pratica intensiva? Quel’era il confine tra giocare alle macchine e perdere la verginità, tra i ragazzi di oggi?
Quanto cavolo era invecchiato lui?
 
“Davvero?”
“Certo, amore. Se vuoi posso dirti quello che so, così potrai gestire meglio tutta la situazione.”
Si allontanò ad occhi sgranati dalla porta, e questa volta stava già correndo giù per le scale senza nemmeno premunirsi di tossire per farli accorgere della sua presenza. Altro che colpi di tosse, quei due avevano bisogno di sedativi per calmare i loro bollenti spiriti. Si sbatté violentemente l’uscio alle spalle e, nell’altra stanza, Kurt e Blaine sobbalzarono.
 
*
 
“Cosa diavolo è stato?” Il moro si precipitò in corridoio, scoprendolo completamente deserto.
“Cooper è peggio di un fantasma in questa casa.” Constatò tornando dal suo ragazzo, che nel frattempo aveva continuato a rassettare distrattamente la stanza.
“A quanto pare... Stavamo dicendo?” Blaine mise da parte le federe dei cuscini, lisciando il lenzuolo pulito.
 
“Mi stavi per illuminare su come entrare nelle simpatie del tuo fratellastro.”
 
 

***

 
 
Il terzo giorno, Cooper l’aveva presa come una sfida personale.
Andiamo: non era possibile che l’unica cosa che quei due avevano da che spartirsi fosse il sesso.
D’accordo, erano ragazzi ed era normale essere tremendamente arrapati tutto il tempo ed imboscarsi in ogni angolo disponibile, ma diavolo! Non era umano essere come quei due.
Preso da uno slancio di altruismo verso il prossimo, Cooper aveva persino invitato Blaine a non partecipare alla gita dei diplomandi: basandosi sulla sua esperienza personale lui e Kurt avrebbero potuto benissimo darsi al sesso acrobatico sulle montagne russe. Rabbrividì al pensiero e proseguì con passo deciso verso il salotto, convinto di trovarci Blaine davanti alla tv.
 
Povero, povero illuso.
 
Non fece neanche in tempo ad arrivare a metà corridoio che le sue orecchie vennero raggiunte dal mormorio di due voci tristemente familiari.
L’unico fattore positivo era che per una volta non stavano blaterando sconcezze, si limitavano a bisbigliare sottovoce: probabilmente stavano studiando per qualche materia, o semplicemente chiacchieravano del più e del meno.
Cooper stava giusto per chiedersi se non avesse esagerato con tutta quella apprensione e se non fosse il caso di coinvolgere anche Kurt nella sua scelta di provino, quando un urlo gli trafisse letteralmente i timpani.
Hummel aveva semplicemente scatenato gli ultrasuoni, tanto che non si sarebbe stupito di veder andare in pezzi i vetri delle finestre.
 
“Kurt!”
“Blaine! Oh mio- Fa malissimo!” Kurt piagnucolò rumorosamente, con qualche sporadico accenno di singhiozzo.
“Sei il solito esagerato.”
Cooper aveva dipinto in faccia uno dei tipici sorrisi che sfoderano i serial killer prima di scatenare una carneficina.
Valutò per un momento l’ipotesi di prendere a testate il muro fino a ridursi in fin di vita, ma il mondo avrebbe rimpianto troppo la sua scomparsa e – in ogni caso – era sicuro che non avrebbe dimenticato quelle devastanti giornate neanche nell’oltretomba.
 
“Vorrei vedere te, che piangi se annullano un concerto di Katy Perry- ”
“Me lo rinfaccerai per tutta la vita, non è così?”
“Sta zitto e aiutami.” Seguirono trenta secondi di silenzio totale, brutalmente interrotti dal secondo urlo disperato di Kurt.
“No, no... No! Mi sta uccidendo.”
“Dai, ci siamo quasi...”
AHIA! Così lo spingi più in fondo- ”
“Stai calmo...”
“Blaine! Lo stai spingendo più in fondo!”
“Non lo sto spingendo più in fondo! Sta’ fermo.”
 
Cooper aveva scollegato il cervello parecchie battute prima, concedendosi un’inquietante serie di risatine isteriche. Semplicemente girò i tacchi e uscì di casa, deciso a non mettere mai più piede lì dentro neppure se fosse stato il nuovo set di un film che lo vedeva come protagonista.
 
E quello, per lui, era disconoscimento più grave di tutti.
Kurt – come sentì la porta chiudersi – si voltò di scatto verso il corridoio.
 
*
 
“Dici che c’è Cooper?” Blaine roteò gli occhi.
“Sì, Kurt, c’è Cooper.”
“Pensi che mi firmerebbe un autografo? Perché l’altro giorno ero troppo imbarazzato per chiederglielo... Oh.” Kurt spalancò gli occhi, fissando ciò che Blaine teneva vittoriosamente tra il pollice e l’indice.
 
“Allora? Era così terribile?”
Il ragazzo incrociò le braccia al petto, evitando orgogliosamente il suo sguardo. Blaine, al solito, non poté fare a meno di trovarlo adorabile: si sporse in avanti e gli diede un dolce bacio sulla guancia che lo fece sorridere.
“Uhm, grazie. Ma la prossima volta che Brittany ci chiede di fare uno dei suoi progetti di falegnameria, ricordami di tutti i legnetti che mi si sono conficcati nelle dita.”
 
 

***

 
 
Il quarto giorno, Cooper aveva gettato la spugna.
Doveva farsene una ragione: il suo fratellino non era più il piccolo e tenero bambinetto amante del canto e di una sorta di ballo – non se la cavava troppo bene, colpa del baricentro spostato in avanti – che aveva lasciato in Ohio tanti anni prima.
A dirla tutta, al momento non era altro che un accanito ninfomane incapace di trattenersi dal saltare addosso al suo ragazzo alla prima occasione disponibile.
Forse avrebbe dovuto mettere da parte l’orgoglio e parlarne con i loro genitori, oppure contattare direttamente un medico, o qualcosa del genere. Magari avrebbe anche potuto nuocere sull’andamento scolastico: di sicuro impiegavano la maggior parte concentrati su ben altro che i libri.
 
Fatto stava che tutto sommato da quando era arrivato a Lima aveva avuto modo di parlare con Blaine solo la sera, con lui che continuava ad insistere sul fatto che avrebbe potuto raggiungerlo anche al pomeriggio. Sì, come se non ci avesse provato.
 
Era talmente fuori di sé che quel giorno non si fece nemmeno vedere a casa, con il terrore di coglierli in flagrante in corridoio, o qualcosa del genere. Si ripromise invece di parlargli quella sera stessa, talmente sicuro di sé da dimenticare completamente che – nell’arco di tutta la settimana – Blaine si era raccomandato di stare lontano da camera sua in un momento piuttosto specifico. Esattamente quello.
 
Salì in camera a passo deciso, più esasperato che focalizzato sul possibile bagaglio interpretativo che quel discorsetto avrebbe potuto procurargli, e con tutto in mente anziché una discussione pacata e controllata.
 
“Blaine? Posso entrare?”
“C-Cooper? Uhm... Sì, sì, solo un momento... Okay, vieni pure.”
Entrò in camera, trovando Blaine con le gambe sotto le coperte e un libro in mano. Beh, se non altro sapeva ancora leggere, nonostante per qualche strana ragione tenesse il libro alla rovescia.
 
“Senti, fratellino. Ti voglio bene, ma non posso semplicemente far finta di non essermi accorto di quello che è successo in questi giorni.”
Blaine aggrottò le sopracciglia, parzialmente – più che parzialmente – convinto che da un momento all’altro l’avrebbe avvisato che in realtà non si trattava di altro se non l’ennesima delle interpretazioni improvvisate in cui tanto amava cimentarsi.
 
“...Per questo ho deciso di tornare il mese prossimo, dopo il mio provino. Ho bisogno di concentrazioni e benché tutti i più grandi artisti abbiano subito dei traumi in gioventù temo che questo sia troppo per me. Ci rivedremo in estate, quando ci saranno anche mamma e papà a casa.”
Blaine credé fino all’ultimo che sarebbe scoppiato a ridere da un momento all’altro, per poi prenderlo in giro perché ci era cascato e riprendere ad auto elogiare le proprie doti da attore fino a tarda notte.
Al contrario di ogni sua aspettativa, non accadde niente di tutto questo. Cooper si limitò ad uscire con aria affranta dalla camera, gli occhi cerchiati di chi non dorme da giorni.
 
E Blaine sapeva che non era da bravi fratelli comportarsi in quel modo, ma non poté davvero fare a meno di tirare un sospiro di sollievo.
 
*
 
“Kurt, puoi uscire.”
Un ciuffo spettinato fece capolino da sotto il letto, insieme ad una palla di stoffa stropicciata che in origine dovevano essere i suoi jeans.
Per fortuna le lenzuola aveva svolto la loro parte: in che modo altrimenti avrebbe spiegato a Cooper la sua estemporanea decisione di togliersi i pantaloni? Già. Decisamente non il massimo.
 
“Il momento più imbarazzante della mia vita.” Bisbigliò Kurt, arrampicandosi sul letto e affondando il viso nella sua spalla, più mortificato che mai. Blaine disegnò piccoli cerchi sulla sua schiena col palmo della mano, nel tentativo di tranquillizzarlo un po’.
“E se ci avesse... Beh, lo sai.”
Non è successo, Kurt. E poi non era un momento troppo critico- ”
“Se vogliamo tralasciare il fatto che tu sei senza pantaloni... no, assolutamente.” Il moro sorrise appena, mentre Kurt gli stampava un veloce bacio sulle labbra.
 
“Comunque hai idea a cosa si riferisse Cooper?” Blaine roteò gli occhi.
No. Glielo chiederò la prossima volta... piuttosto. Non ti sembra di essere stato un po’ troppo fissato con lui in questi giorni?” Kurt si strinse nelle spalle, fissandolo con quei suoi occhioni brillanti.
“Lo sai che sei tu il mio Anderson preferito.”
Blaine sorrise, senza riuscire a nascondere il piccolo sospiro sollevato che si lasciò sfuggire all’ufficialità di quella notizia: non che ne avesse mai dubitato, ma era sempre piacevole sentirselo confermare dal diretto interessato.
Kurt, dal canto suo, non poté davvero fare a meno di notare l’aria via via più rilassata del suo ragazzo.
Come se lui avesse mai anche vagamente considerato l’ipotesi di stare con qualcun altro che non fosse Blaine; il solo pensiero lo faceva sorridere. 
 
“Lo spero.” Commentò, mentre Kurt rotolava su un fianco trovandosi faccia a faccia con lui.
Tutto a un tratto, Blaine si ricordò dei pantaloni del suo ragazzo. Più precisamente, si ricordò del fatto che li stava ancora indossando e bisognava porre in fretta rimedio a tale catastrofe.
Kurt sorrise.
 
“Lascia che te lo dimostri...”
 
 

***

 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
Hi guys :)!!
Che bello tornare a pubblicare, e soprattutto quale occasione migliore di questa?
Ecco, ne approfitto per rimarcare il fatto che le persone che hanno avuto l’idea della Klaine week e l’hanno resa possibile (non solo in Italia ma, grazie a tumblr, in tuuutto il fandom) sono delle assolute genie u.u
Detto questo... Beh, mi mancava scrivere delle assurdità, ed eccone qua una! Per quanto riguarda il contenuto delle altre shots (mi manca solo l’ultima da scrivere, posso farcela u.u) non preoccupatevi: sono TUTTE allegre, carine e coccolose.
All’inizio avevo pensato di scriverne una angst... Poi ho visto la 4x04 e ho riso della mia stessa idea :’)
 
Ma non pensiamoci. Questa settimana è dedicata alla Klaine, quindi lasciamo perdere i maledetti RIB e
Courage, che la nostra ship è perfetta :D
Spero che questa OS vi abbia fatti sorridere :)
A domani con Roomates, un bacione!
_Ari

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Capitolo 2
*** Day#2_What I did for love ***


Titolo: What I did for love
Rating: Verde
Avvertimenti: AU, fluff (il fluff va tra gli avvertimenti o.O?)
Prompt: Day Two, Roomates!Klaine
Lunghezza: 5000 e passa parole
Note: AU in cui Kurt e Blaine sono compagni di stanza alla NYADA. Non stanno insieme, anzi... POV!Blaine
 
 
 


 
 
Klaine week; Day#2







 

Roomates Klaine__"What I did for love"
 

 
Blaine amava la NYADA.
L’adorava sul serio, sin dal primo momento in cui ci aveva messo piede.
Si trattava di un college prestigioso a livello internazionale e lui era pienamente consapevole che solo gli artisti più selezionati avevano avuto l’onore di essere ammessi: il fatto di essere tra loro l’aveva allo stesso tempo stupito e lusingato.
 
D’altra parte aveva dalla sua un discreto curriculum da solista in uno dei gruppi di canto corale migliori dell’Ohio, naturalmente dopo i Vocal Adrenaline e le New Directions, ma pur sempre in classifica. Inoltre si stava impegnando al massimo in tutti i corsi che seguiva e, seppur ammettendo la presenza di almeno una miriade di ragazzi più talentuosi di lui, non si sentiva affatto fuori posto tra le mura di quella scuola.
 
Era un’istituzione vecchio stampo: professori rigorosi e severi che sanno premiare chi lo merita, tranciare le gambe a tutti gli altri e – nonostante alcuni di loro sembrassero trovare anche troppo divertente l’entusiasmo delle matricole – spronare a un continuo miglioramento. Alcuni insegnati a dire il vero erano un tantino disincantati e spesso e volentieri li intrattenevano con sproloqui più o meno interessanti su quanto il mondo fosse un posto orribile e tutto funzionasse alla rovescio, ma per Blaine non era un grande problema.
La NYADA – con i suoi saloni eleganti e i pannelli di legno alle pareti – gli ricordava in parte la sua vecchia scuola, cosa che contribuiva a farlo sentire a casa ancor più di quanto non fosse già.
La parte più complicata era stata quella di rinunciare a tutte le sue performance da solista, e con un’indole come la sua non era stato qualcosa di così semplice da accettare, ma iniziava a farci l’abitudine.
 
In definitiva, Blaine era praticamente innamorato di quel posto, se non fosse stato per una cosa. O, per meglio dire, una persona.
 
Kurt Hummel, il suo compagno di stanza.
 
La prima volta che aveva posato gli occhi su di lui, Blaine era rimasto semplicemente a bocca aperta: era uno dei più bei ragazzi che avesse mai visto e per di più – a giudicare da una mezza dozzina di sospetti abbastanza radicati da costituire una certezza – era praticamente sicuro che fosse gay anche lui.
Solo a ripensarci si sentiva fremere di rabbia: mai, mai giudicare dalle apparenze.
 
Kurt Hummel era l’essere più perfido che avesse mai messo piede sulla faccia della terra: non faceva che guardarlo dall’alto in basso come se fosse una nullità, ogni sera spegneva la luce ad orari indecenti, preferiva scrivere su quel suo stupido quadernino che si portava sempre dietro piuttosto che avere una conversazione civile con lui e faceva di tutto, di tutto per soffiargli qualsiasi assolo che l’insegnante di canto metteva in palio ogni manciata di lezioni.
 
Non lo sopportava, era il suo rivale più pericoloso e di certo uno degli studenti più apprezzati tra i professori: di controtenori non ne pullula il mondo, purtroppo per Blaine, che dal canto suo gli avrebbe tirato volentieri un pugno in faccia ogni volta che otteneva un pezzo e lo guardava con quell’aria di sufficienza, come a dire che per quanto lo riguardava poteva anche farci l’abitudine ad ondeggiare sullo sfondo.
Odiava il modo in cui lo fissava, le frecciatine che gli tirava o il semplice fatto che facesse sempre un pelo meglio di lui, per quel poco che si sforzasse.
Odiava anche quando faceva la doccia e usciva dal bagno con solo un asciugamano stretto attorno alla vita, perché oltre ad essere un cantante formidabile – non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, comunque – era anche bellissimo, e a lui toccava di infilare il naso nel primo libro disponibile e fingere di non fissarlo.
 
Blaine aveva addirittura pensato all’eventualità di farsi cambiare camera – stranamente Kurt non ci aveva pensato per primo – ma in segreteria gli avevano detto che salvo casi estremi non era possibile almeno fino alla fine del semestre, e il semestre era appena iniziato.
Blaine tirò un profondo sospiro e rientrò in camera dopo una lunga doccia rilassante: a differenza del suo coinquilino non ci teneva a farsi vedere mezzo nudo, così aveva terminato di prepararsi per la notte direttamente in bagno.
Entrando, non si stupì di trovare Kurt ancora sveglio, intento a scribacchiare sul suo quaderno.
 
“Hai intenzione di dormire?” Lui non sollevò nemmeno lo sguardo da cosa stava facendo, apparentemente molto più importante di avere uno scambio di battute con il suo compagno di stanza.
“Adesso no. Se vuoi chiedermi una dritta sulla canzone da scegliere per venerdì, non farlo. Perché sai, non aiuto la concorrenza.” Blaine alzò gli occhi al cielo, assicurandosi che se ne accorgesse.
“Non ho bisogno di nessun aiuto, grazie. In particolare non del tuo.” Rincarò, lasciandosi cadere di peso sul letto.
“Ah, sì? Dal numero di assoli che hai ottenuto nell’ultimo mese non si direbbe. Quanti erano... Oh, zero. Peccato.”
 
Gli rivolse un sorrisetto che Blaine non ricambiò.
Era stufo di Kurt, era stufo di quella situazione ed era stufo che tutti i ragazzi a scuola lo riconoscessero solo perché aveva fatto parte della squadra campione mondiale in carica di Canto Corale Coreografato.
E non era geloso, era solo arrabbiato.
 
Con lui, perché l’aveva tenuto a debita distanza fin dal primo giorno, e con se stesso, perché per quanto odiasse ammetterlo non poteva negare la cotta imbarazzante che aveva per quel maledetto Kurt Hummel.
 
 

***

 
 
Lunedì mattina, con il riprendere dei corsi dopo il weekend, riprendeva anche l’assidua corsa di Blaine per farsi notare all’interno della scuola.
Le poche ore che avevano seguito il suono della sveglia erano state potenzialmente sufficienti a sfiancarlo per tutto il resto della settimana: le lezioni di canto erano state talmente dure che una ragazza se ne era andata in lacrime dopo l’ennesimo commento acido dell’insegnante sui suoi gorgheggi, per quanto intensamente ci stesse provando.
 
Blaine aveva a mala pena retto alla pressione: per poco non era stato linciato per essere arrivato con mezzo minuto di ritardo.
Il problema stava nel fatto di non essere riuscito a trovare la camicetta che aveva intenzione di mettersi, a quel punto data totalmente per dispersa dato che era certo di averla vista la sera prima appesa ad una gruccia esattamente in mezzo all’armadio.
 
Beh, se non altro era ora di pranzo e avrebbe avuto un po’ di tempo per tirare il fiato, oltre a domandarsi dove diavolo fossero spariti i suoi vestiti.
Prese il solito vassoio di cibo incommestibile e raggiunse il tavolo dei ragazzi che partecipavano al suo stesso corso di danza. Mentre spiluccava la poltiglia che aveva nel piatto, i suoi occhi si catalizzarono di loro iniziativa qualche metro più in là, esattamente dove era seduto Kurt.
 
Portava una camicetta chiara e un cardigan lungo; da quanto aveva potuto capire erano tra i suoi preferiti.
Non che ci facesse caso in assoluto, ma era incredibile quanto splendidamente fasciassero il suo corpo.
Era incredibile lui in generale, incredibile quanto incommensurabilmente stronzo.
 
Tuttavia quella mattina Blaine non fu in grado di cogliere l’esatta sfumatura del golf che indossava, perché distolse lo sguardo in un batter d’occhio non appena si rese conto che anche Kurt stava guardando verso di lui.
 
 

***

 
 
Martedì sera, Blaine tornò in camera completamente sfiancato.
Aveva passato tutto il pomeriggio nella sala da ballo a provare ed ora aveva i legamenti talmente sciolti che era abbastanza sicuro che non avrebbe fatto nessuna fatica a mettersi entrambi i piedi dietro la testa e camminare sulle braccia: di sicuro sarebbe stato meno spossante.
 
Non appena mise piede nella sua stanza gli fu chiaro che avrebbe fatto mille volte meglio a dormire in aula prove.
Il ragazzo sbatté ripetutamente le palpebre, incapace di smettere di fissare la schiena nuda di Kurt, seduto di spalle sul bordo del suo letto – aveva voluto quello vicino alla finestra, naturalmente.
Blaine non aveva mai avuto modo di soffermarsi davvero a guardarlo: quando usciva dalla doccia di certo non si metteva a fissare insistentemente le goccioline d’acqua che gli scivolavano addosso, o il modo in cui i suoi capelli prendevano letteralmente vita... Beh, aveva avuto modo di analizzare mentalmente i fotogrammi che aveva colto, questo sì.
 
Quella sera, ad ogni modo, era diverso.
La sua pelle era perfetta, in realtà non gli sembrava nemmeno vera da quanto era candida e immacolata; inoltre, aveva decisamente più muscoli di quanto quei suoi amati cardigan lasciassero immaginare.
Se solo non fosse stato un tale stronzo a quel punto...
A quel punto niente. Non avrebbe fatto niente in nessun caso, come suo solito.
 
“Puoi smetterla di fissarmi per favore? Mi dai l’ansia.” Disse a voce chiara e decisa, senza neppure girarsi. Blaine arrossì completamente e senza dire una parola si chiuse di filato in bagno, girando la chiave nella serratura.
 
Stupido, stupido e stupido
Lui, la sua improbabile cotta e quel maledetto Kurt Hummel.
Blaine sospirò e si sciacquò velocemente la faccia, nel tentativo di riprendere un po’ di quel colorito improvvisamente venuto meno una volta beccato in flagrante a spiare il suo compagno di stanza.
Che poi non lo stava spiando, non era colpa sua se lui si aggirava mezzo nudo per la camera.
 
Aprì il secondo cassetto sotto al lavandino – il primo era di Kurt, naturalmente – dove era solito tenere il pigiama per la notte.
Ricordò troppo tardi di averlo lasciato appallottolato sul letto quella mattina, preso dalla sua solita fretta, esattamente come il giorno precedente. Tuttavia, non avrebbe potuto dire di aver tirato quella maniglia inutilmente: con suo enorme sgomento, ci trovò la camicetta dispersa che aveva deciso di indossare ormai due giorni prima.
 
Blaine sollevò le sopracciglia al punto che gli sfiorarono l’attaccatura dei capelli.
Cosa ci faceva la sua camicia lì dentro? E soprattutto, perché era insieme ad un paio di pantaloni e un maglioncino abbinato?
Il ragazzo decise saggiamente di non domandarselo e richiuse con calma il cassetto: se non altro, sapeva cosa avrebbe indossato il giorno dopo.
 
Tornò in camera un quarto d’ora più tardi, con i denti lavati e i capelli puliti.
Al contrario di ogni sua aspettativa Kurt stava già dormendo: era accovacciato nel suo letto con le coperte tirate fin sotto al mento, e il suo prezioso quaderno stretto tra le braccia come il più prezioso dei tesori.
Blaine avrebbe solo voluto che da sveglio fosse l’angioletto che era quando dormiva, perché doveva ammettere che era davvero adorabile – aggettivo che sarebbe stato profondamente inadeguato a descriverlo per tutte le restanti ore della giornata.
Il moro si strinse nelle spalle e spense la sua lampada, infilandosi a sua volta sotto le lenzuola. Era davvero stremato, tanto che non ci mise più di cinque minuti ad addormentarsi.
 
Non avrebbe potuto giurare che quello che aveva sentito prima di perdere del tutto i sensi era un vero singhiozzo o se se lo fosse solo immaginato.
 
 

***

 
 
“Un’occasione.
Avrete solo un’occasione di cantare il vostro cavallo di battaglia, e sarà in questa classe, in questo momento.”
La professoressa di canto parlava lentamente, come al solito. Scandiva ogni parola neanche si trattasse di una dichiarazione solenne, e tutti la guardavano esattamente come se lo fosse.
La donna camminava avanti e indietro per la classe, squadrando uno alla volta i dieci studenti che quella mattina si erano presentati al corso.
La volta precedente erano in ventidue, ma dodici erano stati pregati di non fare ritorno fino a nuovo ordine. Blaine sentiva l’adrenalina pulsagli contro le vene: teneva la bocca sigillata, perché sapeva che se l’avesse aperta avrebbe semplicemente iniziato a cantare senza che nessuno gli avesse dato il permesso di farlo.
 
L’insegnante indicò un ragazzetto mingherlino di fianco a lui, che fece subito un passo avanti annunciando titolo e artista del numero che aveva intenzione di portare. Contrariamente al solito, Blaine non prestò nessuna attenzione all’esibizione dei suoi compagni di corso.
Tutto quello che era in grado di fare era contemplare Kurt di sottecchi, dall’altra parte dell’aula: non l’aveva mai visto così.
Niente sguardo altero, niente stretching, niente battutine pungenti sulle espressioni che faceva quando cantava e niente occhiatacce di sfida. Teneva semplicemente lo sguardo fisso a terra, in una fuga sottile tra le mattonelle, come se la trovasse davvero interessante.
 
Blaine l’avrebbe definito sconvolto, più che triste; sembrava desiderare essere in qualunque posto fuorché quello, e non era affatto da lui.
Per quanto gli seccasse ammetterlo, in effetti era stato anche a causa dell’entusiasmo e della passione del suo compagno di stanza se anche lui aveva imparato ad amare quella scuola così alla svelta; inoltre, la loro continua competizione – che fosse in ambito accademico o semplicemente a suon di frecciatine in camera – l’aveva sempre stimolato a fare di meglio, a metterci tutto se stesso.
 
In qualche modo, vedendo Kurt così abbattuto, Blaine perse la voglia di cantare.
 
“Hummel. Il nostro campione in carica.” Lo chiamò la professoressa, con il sorriso consolidato di chi sa di andare sul sicuro.
Kurt raggiunse il centro dell’aula senza guardare in faccia nessuno. Né lei, né nessun altro degli studenti presenti; cosa di cui Blaine non si accorse, dato che tutto ciò a cui riusciva a pensare era che non aveva guardato lui.  
Kurt annunciò Defying Gravity con l’aria di un condannato a morte, ed iniziò a cantare con una voce che spezzava letteralmente il cuore. Quantomeno, spezzava quello di Blaine.
Il moro non distolse gli occhi da lui per tutta la durata dell’esibizione, senza nemmeno curarsi di sbattere le ciglia: più si avvicinava alla fine della canzone, più Kurt abbassava la testa verso il pavimento.
 
E poi accadde.
Il fa naturale, la nota magica di Defying Gravity: la sbagliò. La sbagliò nettamente. Blaine era appena consapevole degli altri studenti che si guardavano tra loro sbigottiti, perché non riusciva a crederci; doveva essere un incubo, doveva per forza.
Era da lunedì che Kurt lo tartassava con quel benedetto assolo, ed ora stonava? Si rifiutava di crederlo. Era semplicemente impossibile che-
 
“Hummel. Cosa diavolo hai combinato?” A quel punto, di Kurt si potevano vedere solo le punte dei capelli tanto aveva la testa piegata in basso.
“Mi dispiace...”
“E fai bene a dispiacerti. Adesso fuori, e non azzardarti a ripresentarti qui prima di due settimane, sono stata chiara?” Kurt annuì vigorosamente, tirando su col naso.
“Non ho sentito.”
“Sì. Sì, mi scusi.”
Alzò la testa e si voltò verso l’uscita, con due grossi lacrimoni che gli scorrevano lungo le guance e, a quel punto, Blaine non avrebbe davvero saputo spiegare cosa diavolo gli prese. Senza nemmeno darsi il tempo di domandarsi cosa stesse facendo, stava già seguendo Kurt fuori dall’aula di canto muovendosi quanto più in fretta i suoi muscoli doloranti dalle troppe ore di danza gli permettessero.
 
“Anderson! Si può sapere dove stai andando?”
E quella, in effetti, era davvero una bella domanda.
 
Dove stava andando? Dietro Kurt, quello era ovvio. La vera domanda era perché, e soprattutto cosa si aspettasse di dire o fare una volta averlo raggiunto. Non sapeva dare una vera spiegazione a se stesso; di certo non era in grado di fornirla alla professoressa.
 
“I-Io... uhm...”
“Esci da questa classe ora e non ci metterai più piede fino al mese prossimo.”
 
Blaine lanciò un’ultima occhiata alle pareti spoglie e scure dell’aula: dopotutto non le avrebbe viste più per un bel po’ di tempo.
 
 

***

 
 
Non ci mise poi così tanto a rintracciare Kurt.
L’aveva visto spesso intrattenersi in biblioteca più a lungo degli altri dopo la fine delle lezioni teoriche: spesso infilava un paio di cuffie nelle orecchie e rimaneva seduto ad uno degli spessi tavoloni di legno con un libro sottomano fino a nuovo avviso.
Blaine si chiese se non fosse stata colpa sua sin dall’inizio: magari se avesse dimostrato un po’ più di umanità adesso non sarebbero stati così distanti.
Era proprio questo ciò a cui stava riflettendo, mentre camminava a vuoto tra i corridoi dell’immensa biblioteca del college.
Quando finalmente vide Kurt – con gli occhi fissi fuori dalla finestra, nella parte più isolata e antica di quell’intricato labirinto – aveva ormai perso ogni speranza di cercare oltre.
 
Gli si avvicinò lentamente, come si fa con gli animali feriti, apparentemente docili ma pronti a ribellarsi da un momento all’altro; non perché siano cattivi, solo... spaventati: basta compiere una singola mossa sbagliata.
 
“Allora sei qui.” Constatò, senza particolare emozione.
Non sapeva perché l’aveva seguito: era arrabbiato con lui, lo era sempre stato dal primo giorno che si erano incontrati. Peccato che Blaine non avesse messo in conto che – in qualche strano modo che non gli era dato sapere – si può finire per innamorarsi dei propri acerrimi nemici.
 
“Sei venuto per prenderti gioco di me, immagino. Avanti.”
“Perché hai voluto sbagliare quella canzone?” Kurt si irrigidì visibilmente, voltandosi in sua direzione. Blaine sapeva già di aver fatto centro.
“...Prego?”
“Sapevi fin dall’inizio che avresti stonato su quella nota, era evidente. Perché l’hai fatto?” Kurt sembrò trovare la cosa estremamente divertente, perché sorrise.
Sorrise con lo sguardo più triste che avesse mai visto.
 
“Proprio non vuoi capire, non è così?”
Biascicò tra i denti, gli occhi gonfi di una nuova dose di lacrime che sembravano non vedere l’ora di sgorgare. Blaine non fece nemmeno in tempo a dire qualcosa che lui aveva già ripreso a parlare.
“È già finita la lezione?” Il moro abbassò lo sguardo, imbarazzato. Per un attimo meditò se non fosse il caso di mentirgli ma, in fin dei conti, non ne vedeva l’utilità.
 
“...Non lo so. Sono andato via due minuti dopo di te.” Era abbastanza sicuro che Kurt avesse smesso di respirare.
“Perché?”
 
Perché ti amo.
 
“Non importa perché. Importa come diavolo hai fatto a sbagliare quel fa naturale.”
Kurt si scollò dalla porzione di pavimento sulla quale era rimasto immobile per tutto il tempo e gli si avvicinò con passo deciso; una volta che gli fu abbastanza vicino lo spinse senza troppa delicatezza da un lato, e corse fuori dalla biblioteca.
 
 

***

 
 
Quella sera, Blaine si assicurò di tornare in camera il più tardi possibile.
Dopo ciò che era successo al pomeriggio non aveva idea di come comportarsi con Kurt: avrebbe dovuto fingersi indifferente? Punzecchiarlo come facevano sempre o cambiare radicalmente approccio, magari cercando un punto di contatto o comprensione? Nel dubbio, Blaine aveva evitato di vedere Kurt in assoluto.
Sapeva che non era affatto il comportamento più nobile che avrebbe potuto adottare, ma preferiva prendersi una nottata di riflessione piuttosto che commettere errori irreparabili.
 
Quando finalmente mise piede in camera – aveva passato le precedenti due ore seduto di fronte alla porta della stanza, terrorizzato che qualcuno lo sorprendesse fuori oltre il coprifuoco – tutte le luci erano già spente.
Non era tipico di Kurt: la maggior parte delle volte le teneva accese solo perché sapeva che a lui davano fastidio, ed entrare nel buio più totale... Beh, era stano.
 
Blaine proseguì a tentoni verso il bagno, fortunatamente quella stanza era troppo piccola e spoglia per andare a sbattere contro qualcosa, e si preparò velocemente per la notte. L’ultima cosa che voleva era svegliare Kurt – nonostante gli sarebbe stato bene per tutto quello che gli aveva combinato, ma non era quello il momento – tuttavia non poté fare a meno di accendere la piccola lampada sul proprio comodino, se non altro per impostare la sveglia e sistemare i libri di scuola che aveva lasciato ammassati sul letto.
 
Kurt gli dava le spalle, rannicchiato tra le coperte; non sembrava nient’affatto lo stronzo con cui si era preso in giro nelle ultime settimane.
Sembrava solo un ragazzo che dormiva. Uno splendido ragazzo che dormiva, a dirla tutta.
Blaine scosse la testa e appoggiò più silenziosamente possibile i quaderni sulla scrivania, facendo attenzione a non far cadere niente al suo passaggio. Una volta che tutto fu al suo posto si sedette sul bordo del materasso, psicologicamente pronto ad affrontare l’ennesima notte in bianco.
 
Se non fosse stato per un dettaglio.
 
Il cassetto inferiore del comodino di Kurt era socchiuso, e proprio da lì sbucava qualcosa di inconfondibile: Blaine lo riconobbe all’istante come il quaderno su cui il suo coinquilino scriveva assiduamente non appena aveva un attimo libero.
Rimase a fissarlo per qualche lungo istante, neanche si aspettasse che quell’insieme di carta uscisse di sua iniziativa dal comodino e si rivelasse davanti ai suoi occhi.
In effetti, si era sempre chiesto di cosa si trattasse: Kurt non era certo il tipo che si mette a scrivere poesie, o roba simile. Sarebbe stato più probabile che si fosse annotato tutte le più recenti tecniche di tortura che lo vedevano come cavia, o magari le parole di qualche canzone, o quanto lui fosse superiore rispetto al resto del mondo. Blaine trovò quell’ultimo pensiero piuttosto plausibile eppure, in ogni caso, non riusciva a smettere di fissare quel quaderno.
 
Okay, d’accordo: era meschino e terribile da parte sua, ma che male avrebbe potuto fare dare una sbirciatina?
Non doveva leggerlo per forza, bastava un’occhiata ad una pagina a caso per capire che genere di roba ci infilasse dentro, tutto qui. Era legittimo, dopotutto... Beh, forse non proprio legittimo, ma in ogni caso Kurt non lo sarebbe mai venuto a sapere, giusto? Bastava tornare ad infilare quel libriccino nel cassetto e sarebbe stato tutto come sempre, nel bene e nel male.
 
Blaine proseguì per almeno dieci minuti a fornirsi da solo tutte le più nobili giustificazioni che gli passavano per la testa – ragionevoli o folli che fossero – prima di decidersi ad allungare il braccio e prendere il quaderno.
Lo sfilò lentamente dal comodino, portandoselo in grembo: si sentiva il re del mondo con quel coso in mano.
Prese un respiro profondo e, ignorando la vocina nella sua testa che gli ricordava che razza di verme fosse a fare una cosa del genere, aprì una pagina a caso, con il cuore che batteva all’impazzata.
 
Rimase un tantino deluso trovandola bianca, così fece scorrere alcuni fogli indietro, e notò che non erano occupate che le prime facciate del quaderno, una ventina al massimo. Mentre le sfogliava niente gli saltò all’occhio in particolare: la sua calligrafia era lineare, sottile e chiara in ogni pagina. Solo in qualche occasione sembrava essere più strascicata, probabilmente perché era di fretta.
 
Blaine sorrise: gli piaceva il modo in cui scriveva.
Gli piaceva lui e basta.
 
Una volta raggiunta a ritroso la prima pagina, Blaine fece un patto con se stesso: avrebbe letto quella e quella soltanto, con l’unico scopo di capire di cosa si trattasse, poi più niente.
Blaine non era bravo con i patti.
 

 20 luglio 2012

“Ancora non riesco a credere di essere stato preso alla NYADA. Voglio dire, so di essere bravo, ma ci sono talmente tante persone brave come me (o più di me, ma a questo è meglio non pensare) che sono terrorizzato all’idea della competizione. Poi a New York, da solo... Non so cosa farei se fosse come al McKinley. Cioè, NON sarà come al McKinley, però ho paura lo stesso. Spero solo che non siano tutti esaltati maniaci del potere al college, non so se reggerei alla pressione.”

 
Merda.
Era un diario.
 
Blaine aveva letto la prima pagina del suo diario e avrebbe voluto essere fulminato seduta stante.
Solo... Kurt non gli sembrava il tipo da diari, come poteva sapere di essere in procinto di ficcare il naso in una cosa così privata?
Stava appunto per ricacciare del cassetto il quaderno, quando una nuova idea gli balenò in mente: se quello era davvero un diario e ci scriveva tutto quello che gli passava per la testa, probabilmente era anche indicato il motivo che l’aveva spinto a sbagliare volutamente Defying Gravity. Leggerlo avrebbe significato essere in grado di aiutarlo nel migliore dei modi, e inoltre forse avrebbe finalmente capito come prendere Kurt, dato che l’unico accesso a lui sembrava essere proprio tra le sue mani.
 
Avrebbe avuto la coscienza sporca per l’eternità – era abbastanza sicuro che ci fosse un girone dell’inferno apposito per chi legge i diari altrui – ma era più forte di lui. Voleva conoscere qualcosa su di lui, e non aveva altro modo.
 

1 settembre 2012

“Sono arrivato al college, e non posso crederci. È e-n-o-r-m-e!! Sembra tutto così... formale. I professori sono inquietanti: quella di canto parla come un oracolo a gettoni e quella di ballo ci ha preso per dei pupazzetti senza ossa.
Oggi come test da prima lezione ci ha praticamente fatto mettere le ginocchia sulle spalle. Per fortuna che io sono snodato, perché i crack che faceva il ragazzo vicino a me facevano paura. Ho provato a parlargli dopo il corso e ha fatto finta che non esistessi, niente male come inizio. Il mio compagno di stanza arriva domani! Spero che almeno lui sia simpatico.”
 
Blaine sorrise tutto il tempo mentre leggeva quelle parole.
Il ragazzo di quelle righe era completamente diverso da quello che aveva conosciuto in quelle settimane: sembrava il diario di qualcun altro. Curioso più che mai, Blaine voltò pagina.
 

2 settembre 2012

“Il mio compagno di stanza si chiama Blaine Anderson, ex solista dei Warblers. Ci hanno dato parecchi problemi al liceo con il loro Glee Club tutto uniformi e voci impostate.
In ogni caso, è entrato con un sorriso a trentadue denti dicendo quanto era felice di essere in camera con me. Ammetto di essere rimasto un attimo imbambolato perché... Beh, perché è carino. Tipo, MOLTO carino. Mi ha fatto sentire un tantino in imbarazzo e mi sa che gli ho risposto un po’ male, spero non se la sia presa. È appena andato alla sua prima lezione, non vedo l’ora di sentirlo cantare senza tutti i suoi coristi in sottofondo.”
 

3 settembre 2012

“Blaine è uno schifosissimo talento! Dico, è bravissimo! Con quella voce sarebbe capace di far cadere ai suoi piedi anche gli oggetti inanimati. E poi è bello da morire. E... ho mai fatto cenno a quanto faccio in fretta a prendermi una cotta? Beh, eccolo lì. Blaine-perfezione-Anderson con cui non avrò mai nemmeno una singola speranza. Questo mi irrita parecchio, e mi irrito da solo perché sono talmente incapace che invece di dirgli qualcosa di carino continuo a insultarlo: ottima mossa, Kurt. Non so neanche perché lo faccio, mi dispiace ogni volta di più e mi sento un emerito idiota, però... non lo so, è cominciata così e quando una cosa comincia in un modo è difficile farle cambiare corso, giusto? Cosa faccio? Mi metto a fare il gentile tutto d’un colpo? E comunque lui sembra trovarsi bene così, non è che si risparmi quanto a battutine. È divertente sotto un certo aspetto, speriamo in bene.”
 
Se solo Blaine fosse riuscito a respirare in assoluto, a quel punto avrebbe trattenuto il fiato.
Quindi lui... quindi lui piaceva a Kurt? gli piaceva sul serio? Non ricordava di aver mai sentito il cuore battergli così forte. Era felice, felice e tremendamente confuso, bisognoso di ulteriori spiegazioni.
 

7 settembre 2012

“Non è cambiato niente. Con Blaine, intendo. Continuo a fingermi un’altra persona e non riesco a fare altrimenti. Ho ottenuto il secondo assolo consecutivo, e un po’ mi dispiace che non abbia vinto lui perché è stato straordinario.
Ho passato tutto il liceo a stare male per essere quello che sono. Ora sto passando il college a stare male per essere quello che non sono. Devo aver fatto qualcosa di orribile nella mia vita precedente.”
 

10 settembre 2012

“Blaine mi guardava a mensa. Per la seconda volta in due giorni. Okay, sarò il solito illuso, ma non posso pensare che non significhi niente, giusto? Stasera faccio un esperimento.
 
Peggiore. Idea. Di. Sempre! Non avevo calcolato quanto potesse essere difficile trovare il coraggio di girare per la camera in accappatoio. Sono senza speranza.”
 

17 settembre 2012

“Non ho più scritto perché è tutto come sempre. A parte il fatto che mi sono deciso ad uscire in accappatoio. Blaine è adorabile quando arrossisce.”
 

19 settembre 2012

“Non sono bravo a nascondere le cose: glielo farò capire e basta. Ho cercato qualcosa di decente nel suo armadio (non so ancora con che coraggio) e ho messo una camicia, dei pantaloni eun maglioncino nel cassetto dove lascia il pigiama la mattina, così li trova di sicuro. Spero che almeno questo porrà fine alle ostilità.”
 

20 settembre 2012

“Non è servito a niente. Non se li è messi, e continua a guardarmi a mensa. Non so cosa darei per ricominciare tutto da capo.
P.S. Venerdì provo un’ultima cosa, poi giuro che vado a chiedere di farmi cambiare stanza.”
 

23 settembre 2012

“Sono un idiota. L’unica volta che ho sbagliato un assolo è stato in seconda liceo per mio padre e oggi, tre anni dopo, l’ho rifatto per Blaine.
E lui mi ha chiesto perché ho stonato. Mi sembrava chiaro: volevo perdere. In particolare, volevo che lui vincesse. Perché o questa è la cotta più sconvolgente della storia o mi sto davvero innamorando di Blaine, e questo non va bene. Sono sempre stato bravo a non farmi troppe illusioni dopo tutto il casino con Finn; con Blaine non ci riesco. Non riesco a non desiderare di sorridergli, sentirlo vicino a me, baciarlo... E ho fatto un macello. Dall’inizio. Forse se non avessi costruito questa stupida maschera ora gli piacerei anche, non lo so.
Oggi ci ho sperato, quando gli ho chiesto perché mi aveva seguito in biblioteca. Ma non gli interesso, perché dovrei?”
 

23 settembre 2012

“Vado a dormire subito, così non mi trova sveglio. Non so cosa dirgli e non so cosa fare. Domani cambio camera. Per ora... per ora mi tengo questi stupidi sentimenti.”

 
Blaine passò il dito sulle ultime parole della frase, rese mosse e acquose da quella che – prima di seccarsi e far ondulare il foglio – doveva essere stata una lacrima.
Rimase semplicemente così, con il cuore che gli pulsava nel cervello e le mani tremanti, incapace di credere a quanto aveva letto.
 
Ogni singola cosa tornava, ogni tassello combaciava perfettamente con l’altro, in un susseguirsi ancora confuso nella testa di Blaine. C’erano tante cose che non si spiegava, passaggi che avrebbe voluto rileggere e punti da approfondire.
Peccato che in quel momento non gli importasse nulla di tutto questo.
 
Si alzò dal letto con le gambe molli, raggiunse la sua scrivania e – dopo aver afferrato la prima penna disponibile – aggiunse qualche parola tremolante sotto l’ultimo aggiornamento di Kurt.
Blaine non si diede nemmeno il tempo di riflettere se stesse facendo o meno la cosa giusta: sapeva alla perfezione che era l’unica che voleva fare, e tanto gli bastava.
 
Raggiunse con passo leggero l’altro lato della stanza, tenendo lo sguardo fisso sul corpo abbandonato sotto le coperte. Prese un lungo respiro e – senza poter evitare di arrossire come un idiota – si sistemò sul letto, esattamente dietro di lui.
In teoria la cosa avrebbe dovuto essere silenziosa e pacata; per sua sfortuna le molle del materasso non erano del suo stesso avviso: si misero a cigolare e stridere come nel peggiore dei film horror, cosa che tolse parecchio dell’effetto sorpresa pseudo romantico che rientrava nei piani originali del ragazzo. Si infilò sotto le coperte ancor più lentamente, nel tentativo di fare meno baccano possibile.
 
Kurt rimaneva perfettamente immobile, sempre di schiena, sempre bellissimo. E davvero, Blaine non l’aveva mai trovato più bello che dopo aver letto tutte quelle parole, dopo averlo conosciuto davvero.
 
Allungò timidamente una mano verso di lui, con il cuore che batteva all’impazzata: certo, aveva scelto una strada abbastanza radicale considerando che fino a mezz’ora prima era seduto di fronte alla porta della loro camera a fare l’asociale, ma in qualche modo era consapevole che tutti quei giorni, quelle settimane di occhiatacce, parole non dette e verità pressate tra fogli di carta si riassumevano lì, in quell’esatto momento, in quella mano che aveva finalmente avuto il coraggio di appoggiare sulla sua spalla.
 
Kurt non si mosse di un millimetro e Blaine si concentrò sulla consistenza della sua pelle sotto la maglietta di cotone, sui respiri brevi e veloci che faceva.
Non stava dormendo, non stava dormendo e non lo stava mandando via.
 
Senza nemmeno valutare prima la tempestività della sua idea si era già avvicinato a lui, abbastanza per sentire le sue scapole accarezzargli il petto, quanto era sufficiente per circondargli la vita con un braccio. Kurt sembrava rigido e morbido allo stesso tempo.
 
“Blaine?” Lo disse talmente piano che non avrebbe potuto escludere di esserselo immaginato. Poi sentì una mano sfiorare sperimentalmente la sua e a quel punto no, non era frutto della sua fantasia.
 
“...Mi dispiace. Di tutto- ”
“Shh.”
 
Kurt si zittì all’istante e – prima che fraintendesse – Blaine si affrettò a passargli il quaderno che ancora aveva nell’altra mano. Il suo proprietario fissò la copertina rigida per qualche istante prima di aprirlo all’ultima pagina scritta, agevolato dalla luce proveniente dalla lampada di Blaine, ancora accesa dall’altra parte della stanza. Rimase a guardare le due righe aggiunte di fresco decisamente più a lungo di quanto ci si potesse effettivamente impiegare per leggerle, poi richiuse il quaderno, lo appoggiò di fianco a sé e finalmente, finalmente si voltò verso Blaine.
 
Non l’aveva mai visto con un’espressione del genere.
Rilassato, dolce e decisamente bellissimo. Blaine non aveva idea di aspettare quell’esatto momento con così tanta intensità fino a quando non rispose al suo timido sorriso con uno altrettanto esitante, ma decisamente sentito.
 
Nonostante quel piccolo momento gli avesse scaldato il cuore, non poté negare di aver atteso con altrettanta smania ciò che seguì, quando Kurt si sporse in avanti a baciarlo.
 
 
“Sono un abusivo qui, e mi dispiace di venire a profanare con la mia calligrafia da gallina ubriaca... Ho solo due parole da scrivere. Volevo solo che sapessi che le penso dalla prima volta che ti ho visto.
Blaine + Kurt
 
 

***

 
 








 
 
 
Hi guys ^_^!
Come dicevo nelle note iniziali, questa Shot è stata scritta dal punto di vista di Blaine. Ho cercato di essere abbastanza equilibrata così ne ho fatte tre POV!Blaine e tre POV!Kurt (la prima non si conta perché era POV!Cooper, pover’uomo XD)
Comunque spero che la OS di oggi vi sia piaciuta... Per la parte finale avevo in mente l’agendina in cui Kurt ha scritto appunto Blaine + Kurt nella puntata di San Valentino, prima che sbucasse Mr. Rotoballa-Geremiah... Well, yeah u.u
Ecco, ne approfitto per avvisarvi: preparatevi psicologicamente alla Shot di domani, Heroes... *muore*
Un bacione a tutti, in particolare alle meravigliose 12 persone che hanno recensito la prima giornata :’)!! Courage Klainers, a domani <3
 
P.S. *headcanon*: Kurt ha lasciato di proposito il quaderno lì, sperando che Blaine lo trovasse.

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Capitolo 3
*** Day#3_Let's be adventurous! ***


Titolo: Let’s be adventurous!
Rating: Arancione
Avvertimenti: Lime, demenziale (io sono demenziale.)
Prompt: Day three, Heroes!Klaine
Lunghezza: 3500 e passa parole
Note: Abbiate pietà di me. “Horeos” mi è costato ore seduta a fissare la famigerata pagina bianca di Word. Oh, giusto per cronaca: io e il lime/lemon o come si chiama ci guardiamo negli occhi e ridiamo l’una dell’altro. POV!Blaine
 
 


 
 
Klaine week; Day#3









 

Heroes!Klaine__”Let’s be adventurous!”

 


“...Kurt?”
“Mmh.”
Blaine si mordicchiò l’unghia del pollice, guardando di sottecchi il suo ragazzo da dietro il cuscino al quale era avvinghiato, in un angolino del divano.
Kurt era seduto al tavolo della cucina, intento a digitare velocemente sulla tastiera del portatile.
Probabilmente stava controllando per quella che sarebbe stata la cinquantesima volta l’indirizzo della festa a cui avevano intenzione di partecipare il giorno successivo: pignolo com’era non se ne sarebbe stupito affatto.
Sembrava così assorto in ciò che stava facendo che – se già all’inizio Blaine aveva avuto più di un ripensamento riguardo la proposta che era intenzionato di fargli – ora era quasi completamente scoraggiato.
 
E si sentiva un idiota, anche. Ma quella in fin dei conti non era una novità.
 
“Kurt?”
“Sto ascoltando.”
Mormorò tranquillamente lui, senza staccare gli occhi dallo schermo del computer.
“Beh, mi chiedevo- ”
“Sei sicuro che Sam ti abbia dato l’indirizzo giusto?”
“...E-Eh? Per cosa?” Kurt inarcò un sopracciglio, sollevando per un attimo lo sguardo.
“Per la festa, Blaine.” La festa. Sì.
“Oh. Oh, giusto. Sì, sono sicuro. E poi scusa, non ti ha chiamato anche Rachel per avvisarti?”
Kurt nascose uno sbadiglio dietro il palmo della mano, sfregandosi gli occhi con l’altra. Blaine pensò che era adorabile quando aveva sonno ancor prima di ricordare che, in effetti, dal suo punto di vista Kurt era adorabile anche quando sbucciava i mandarini.
 
“Lo so, ma più di un anno che per un motivo o per l’altro non riusciamo ad incontrarci tutti insieme. Voglio solo essere sicuro.” Blaine gli sorrise, stringendosi il cuscino al petto.
“Non preoccuparti.”
Passarono un lungo minuto in silenzio, se non per il ronzio proveniente dal televisore: abbastanza alto da coprire il rosicchiare delle unghie e il battere delle dita sulla tastiera, ma non sufficiente a far distinguere davvero le parole che i protagonisti di uno show non meglio identificato stavano blaterando.
Blaine fece un countdown mentale, ignorando deliberatamente la vocina nella sua testa che continuava a ricordargli quanto fosse stupida quell’idea.
 
“Kurt?”
Cosa?”
Okay, non poteva farlo spazientire; non visto e considerato quanto aveva intenzione di chiedergli.
“Io, uhm... pensavo. Non trovi che sia arrivato il momento per noi di essere un tantino... avventurosi?”
 
Gli occhi di Kurt si allargarono progressivamente, man mano che la consapevolezza prendeva poco alla volta piede in lui. Distolse definitivamente lo sguardo dal display luminoso che aveva davanti, chiudendo in un movimento un po’ goffo il computer.
Blaine sapeva benissimo che Kurt aveva interpretato correttamente le sue parole: erano più o meno le stesse che aveva usato per sondare sperimentalmente lo spinoso argomento-prima-volta in terza liceo, quando Kurt era ancora piuttosto intimidito da tutto ciò che riguardava il sesso e lui passava intere giornate ad inventare gli stratagemmi più fantasiosi per impedirsi di saltargli addosso.
 
Era trascorso diverso tempo da allora – ben quattro anni dal diploma di Kurt – e le cose erano cambiate.
Era naturale che fosse così: crescevano, imparavano a conoscersi e ad affrontare i cambiamenti della vita vera, fuori dalle quattro mura della scuola.
Tuttavia, nonostante il passare degli anni, ci sono cose che non cambiano mai. Una di queste era il modo impacciato con cui Blaine tentava di proporre qualcosa di diverso in camera da letto. Non che avesse mai suggerito niente di troppo fuori dagli schemi, ma puntualmente era terrorizzato all’idea di come avrebbe potuto reagire Kurt.
 
Era un ragazzo imprevedibile.
Meraviglioso, ma comunque imprevedibile.
 
“...Devo preoccuparmi?”
Chiese infatti, con aria seriamente ansiosa. Ed erano quelli i gloriosi momenti in cui Blaine non riusciva a decidere se aveva più voglia di coccolarlo o portarlo di peso in camera da letto.
“Cosa? No! Volevo solo chiederti una cosa.” Kurt si spostò un ciuffo di capelli dalla fronte, guardandolo direttamente negli occhi.
“Lo so. È per questo che mi sto preoccupando.” Beh, ora o mai più.
Tirò un profondo respiro, decidendosi a prenderla il più larga possibile. Era già abbastanza strano pensato nell’intimità del suo cervello: a stento riusciva ad immaginare come avrebbe potuto risultare assurdo detto ad alta voce.
 
“Domani abbiamo la festa di Halloween con le vecchie New Directions- ”
“...Se ti è venuta una nuova idea per il costume possiamo sempre aggiungerla alla lista.” Blaine scosse la testa: entrambi sapevano perfettamente che non era affatto quello il punto della situazione.
Altro profondo respiro: ne aveva un bisogno pressoché disperato.
“Rachel si è raccomandata di rimanere nel carattere dei personaggi da cui ci travestiremo per tutta la sera. Così sarà più divertente.” Kurt lo fissò in silenzio qualche lungo istante e sì, Blaine avrebbe pagato per sapere cosa gli frullava in testa.
 
“...Continua a sfuggirmi il succo di questo discorso.” Ammise alla fine, abbandonando definitivamente il tavolo della cucina per raggiungerlo sul divano, dove si lasciò cadere a gambe incrociate.
Blaine esitò qualche istante più del necessario, decidendosi a parlare solo dopo l’ennesimo sorriso incoraggiante – seppur ancora vagamente preoccupato – che gli rivolse il suo ragazzo.
 
“Possiamo... Potremmo rimanere nei personaggi anche una volta tornati a casa, domani sera.” Farfugliò in fretta, schivando il suo sguardo.
Ancora una volta, Kurt si prese il suo tempo per dire qualcosa – Blaine avrebbe potuto giurare di sentire l’aria intorno a loro farsi più elettrica di secondo in secondo, e non necessariamente in senso positivo. Magari era lui che si sentiva sul punto di andare a fuoco, cosa che sarebbe successa presto se Kurt non si fosse deciso ad aprire bocca.
 
“Mi- Mi stai proponendo quello che penso?”
Avrebbe solo voluto essere stato in grado di interpretare il suo tono di voce, apparentemente imperturbabile. Quel ragazzo l’avrebbe ucciso, prima o poi: ermetico a sprazzi, preda di attacchi motivi nelle altre occasioni.
“Suppongo di sì.” Kurt annuì, senza guardarlo in faccia.
“Wow.” Fece una risatina nervosa e Blaine era già tremendamente desideroso di poter riavvolgere il nastro e rimangiarsi ogni cosa.
 
“Sai, pensavo che quello che facciamo di solito ti piacesse...”
Gli servì qualche lungo, infinito istante per capacitarsi di quanto aveva appena sentito.
 
“...Che cosa?! Kurt! Naturalmente quello che facciamo di solito mi piace! Lo amo, ti amo, dicevo solo se avevi voglia di provare qualcosa di nuovo, non dobbiamo farlo! Pensavo solo che avrebbe potuto essere- ”
“Okay.”
“...C-Come?” Kurt sorrise, arrossendo un po’.
“Ho detto che va bene. Insomma, lo so che ti piace quello che facciamo di solito. Suppongo che non ci sia niente di male a provare questa cosa dei... ruoli, per una volta.”
Blaine non riusciva nemmeno a credere alle sue orecchie. Aveva detto di sì.
Aveva detto di sì e lui si sentiva più esaltato di un bambino al luna-park.
O di sé stesso in un negozio di papillon.
 
“Grazie.” Kurt si morse la lingua per non sorridere.
“Per la cronaca sono tremendamente scettico su questa... cosa, e lo faccio solo perché ci tieni.”
“Perché sei il ragazzo più meraviglioso di tutto- ”
“Sì, sì. Ora: da cosa vogliamo vestirci?”
“Da una coppia famosa, naturalmente!”
 
Kurt impallidì, parlandogli molto lentamente.
“...Lo sai vero che è passato molto tempo da quando abbiamo fatto Snooki e The Situation, vero? E poi... Dio! Non posso immaginare qualcosa di sessuale nei loro panni...! Oddio che schif- ”
“Oh, no! Assolutamente no. Io... Pensavo ai supereroi.”
 
Kurt gli lanciò un’occhiata scettica.
In realtà, qualcosa che andava al di là dello scettico.
 
“...Supereroi?”
“Supereroi.”
Blaine poteva praticamente sentire il cervello del suo ragazzo lavorare freneticamente sotto il ciuffo ondulato che aveva in testa.
“L’unico supereroe che sopporto è Loki. E fidati, non c’è niente di erotico in Loki, men che meno nel suo cappello con le corna.” Blaine gli lanciò un’occhiata allusiva, sorridendo leggermente.
“Io non pensavo a Loki, in realtà.”
Kurt gli puntò un dito sul petto, guardandolo come se fosse sul punto di tirargli un ceffone.
“Blaine Anderson. Io non mi vestirò Catwoman neanche se mi preghi in turco.” Blaine non rispose: a dire il vero non aveva nemmeno considerato quell’ipotesi.
Al suo silenzio, Kurt sembrava ancor più fuori di sé.
 
Tu non ti vestirai da Catwoman! Non pensarci neanche-”
“Kurt! Dimentica Catwoman! Piuttosto... Uhm...”
“Capitan America porta le mutande sopra i pantaloni. Superman sarebbe squallido e Spiderman sarebbe ridicolo.” Continuò, enumerandoli sulla punta delle dita. Blaine gli prese le mani tra le sue, fermandolo.
“Kurt, Kurt, Kurt. Qual è la coppia di supereroi più famosa di sempre?” Chiese con un grande sorriso, ricevendo in cambio un’occhiata perplessa – l’ennesima della serata, in effetti.
 
“Vanno in giro in coppia adesso?” Blaine alzò gli occhi al cielo.
“Batman e Robin!”
Kurt era letteralmente a bocca aperta.
Lo fissava come se gli avesse appena confessato di avere una famiglia segreta in Cornovaglia, con tre bambini e un cane. Si voltò del tutto verso di lui, stringendosi le ginocchia al petto.
 
“...Fammi capire. Vuoi fare l’amore con me nei panni di Batman e Robin?” Era il momento della verità.
“Uhm... . Sì, più o meno l’idea era quest- ” Non fece nemmeno in tempo a finire la
frase che Kurt stava già ridendo a pieni polmoni, tanto che finì per affondare la testa direttamente nella spalla di Blaine, nel vano tentativo di sopprimere quell’imprevista ondata di ilarità.
 
“Kurt...?”
“Blaine, è un’idea terribile- ”
“No, se rimaniamo nella parte tutto il tempo.”
“Oh, Dio...” Kurt si calmò quanto era necessario a rendere comprensibile ciò che diceva, senza smettere di sorridere.
“Okay, okay. Come vuoi tu, anche se continuo ad essere convinto che sarà un fiasco totale.” Blaine roteò gli occhi e annuì, sporgendosi per lasciargli un dolce bacio a fior di labbra.
“Da domani pomeriggio, per tutta la festa e per tutta la sera, tu sei Batman e io sono Robin.”
 
E quella volta, per qualche strana angolazione tra Terra, Giove e Marte, Kurt riuscì ad evitare di ridergli in faccia.
 
 

***

 
 
La festa era stata strepitosa.
 
Finn era decisamente nato per stare nei panni di Frankenstein, anche se Blaine non era ancora del tutto sicuro se per Santana fosse stato giusto vestirsi da diavolessa: dopotutto non si era dovuta impegnare nemmeno la metà degli altri in quanto ad interpretazione.
In ogni caso, proprio come era stato concordato in origine, nessuno era uscito dal personaggio che impersonava: era stata proprio quella la parte divertente.
Per lui e Kurt, avrebbe continuato ad esserlo.
 
Blaine era semplicemente convinto di aver avuto l’idea del millennio, niente avrebbe potuto persuaderlo del contrario.
Si sistemò il papillon davanti allo specchio della loro camera da letto – sì, si era preso la libertà di applicare una discutibile licenza poetica al suo travestimento – e attese pazientemente che il suo ragazzo lo raggiungesse dal soggiorno dove era rimasto a piazzare tutti i regali e pensierini che si erano scambiati con gli altri alla festa.
 
Blaine non si rese conto di essere nervoso fino a quando lui non entrò nella stanza.
Ed era strano, perché era più o meno da quando erano due adolescenti alle prime armi che non era più nervoso in quel campo. Probabilmente si sentiva in quel modo perché Kurt in primis sembrava estremamente agitato nonostante facesse di tutto per nasconderlo, anche grazie alla maschera nera che gli copriva buona parte del viso. Accessorio che – per quanto accattivante – Blaine era intenzionato a rimuovere al più presto.
 
Bene: era il momento di provarci sul serio. Fece un profondo respiro e si calò completamente nel personaggio – da qualche parte dei pressi di Hollywood, Cooper era fiero di lui.
 
“Ciao.” Esclamò con un sorriso rilassato, muovendosi in direzione del suo ragazzo. Kurt sembrava indeciso.
“Va tutto bene?”
“Io, uhm... Stiamo già recitando, o...?” Blaine si fece cadere le braccia lungo i fianchi e lasciò momentaneamente perdere il suo ruolo, rivolgendo a Kurt un’occhiata stizzita.
 
“Ma sì!”
“Okay, scusa! Ci sono.” Il moro abbozzò un sorriso rassicurante, sperando che tornasse ad immedesimarsi alla svelta. Beata ingenuità.
“Aspetta un momento.”
Cosa c’è adesso?” Kurt si portò le mani sui fianchi, come faceva ogni volta che era in procinto di iniziare un discorso serio e/o potenzialmente infinito.
 
“In che rapporti sarebbero Batman e Robin? Stanno insieme, sono amici, o altro? Perché non è semplice immedesimarsi senza sapere- ”
“Okay, okay. Mettiamo che sono amici...”
“Siamo amici.” Ripeté Kurt, a quanto pareva sinceramente interessato.
“...Sì. E poi- ”
“E poi?” Blaine invocò mentalmente ogni Santo del Paradiso, in cui peraltro non credeva.
“Tu... Lasciati sedurre, okay?”
 
Quando Kurt scoppiò a ridergli in faccia – ancora – Blaine era indeciso se unirsi a lui o prendere a testate il muro.
 
Kurt!”
“Scusa, scusa. È che indossi la calzamaglia. Non credi che sia un tantino irrealistico che io mi faccia affascinare da un ragazzo in calzamaglia- ”
“Ma non sei tu, sei Batman!”
“A Batman piacciono i ragazzi in calzamaglia?”
Blaine lo afferrò per le spalle, guardandolo dritto negli occhi.
“Kurt Hummel. Calati in quel benedettissimo personaggio.”
 
E, per una volta, Kurt sembrò prenderlo sul serio.
Chiuse per un momento gli occhi e – quando li riaprì, qualche istante dopo – sfoggiava un leggero sorriso, vagamente malizioso. A Blaine bastò quello per rievocare tutti i suoi propositi di mandare a monte all’esperimento. E inoltre di punto in bianco era abbastanza sicuro di amare quel gioco.
 
“Ciao.”
“Hai avuto molto da fare oggi?” Kurt gli passò accanto, facendogli scorrere con ostentata casualità l’indice su un fianco, per poi sedersi sul bordo del materasso.
Oh sì, lo amava davvero.
 
“Sono distrutto, Robin. È stata una giornata così stressante...”
Blaine sorrise tra sé e sé, avvicinandosi al letto con studiata lentezza. Kurt lo guardava dal basso in alto attraverso le ciglia, come se non avesse davvero la minima idea di cosa aspettarsi in quel momento da lui.
Aveva dimenticato quanto Kurt potesse essere bravo a recitare, – o almeno di questo era convinto lui – non aveva dimenticato quanto riuscisse ad essere dannatamente sexy senza neppure provarci.
 
“E così sei stanco.” Constatò, ora direttamente in piedi di fronte a lui.
Gli appoggiò entrambe le mani sulle spalle, abbassandosi lentamente fino a trovarsi in ginocchio tra le sue gambe. Kurt deglutì visibilmente. E per un breve, magico momento Blaine fu addirittura convinto che fosse a causa di ciò che aveva appena fatto. Naturalmente, stava cercando di trattenere una risata che arrivò all’incirca mezzo secondo più tardi.
 
“Non c’è verso che questa cosa funzioni, non è vero?”
“Cosa? No, uhm... Okay, scusa. È colpa del fatto che cerchi di essere sexy, ma non è umanamente possibile con la roba che indossi.” Gli fece notare e davvero, Blaine non era sicuro di essere nella posizione migliore per sostenere una conversazione, letteralmente.
 
“Kurt...”
“No, hai ragione. Continua, io cerco di... Vai, vai.”
Sbatté più volte le palpebre prima di tornare a guardarlo, di nuovo con gli occhi intensi di poco prima.
Blaine avrebbe voluto ridere per quanto poco dovesse sforzarsi Kurt per averlo ai suoi piedi – letteralmente –... mentre lui era solo un demente in calzamaglia.
Tutto quello che si proponeva di fare e quel punto era farlo ricredere: gli avrebbe tolto ogni ragione per ridersela, o quantomeno ci avrebbe provato.
Sfoggiò una delle sue migliori espressioni seducenti – in particolare il famoso sorriso-da-Dalton che Kurt citava sempre, rievocando il loro primo incontro – ben consapevole dell’effetto che aveva su di lui.
 
“Posso provare a farti rilassare. Cosa ne dici?”
Fece salire le mani lungo il suo collo fino ai contorni della maschera, che sfilò in un movimento fluido. Aveva le guance arrossate e gli occhi leggermente umidi, ed era bellissimo. Blaine non avrebbe mai smesso di pensarlo, di questo era completamente sicuro.
 
“C-Cosa vuoi dire?” Domandò, fingendosi sinceramente stupito dalla sua ultima affermazione e sì, a quanto pareva era definitivamente entrato nel personaggio. Blaine continuò a sorridergli dolcemente e allungò la testa verso l’alto, mentre gli afferrava la nuca con le mani in modo da avvicinare le loro labbra.
Kurt oppose un po’ di resistenza, fermandosi a un soffio dal bacio che aveva intenzione di dargli.
“Che stai facendo?” In tutta risposta Blaine annullò la breve distanza che ancora li separava, facendo incontrare le loro bocche socchiuse. Saltò a pié pari tutte le provocazioni che erano soliti concedersi con i primi baci: gli separò direttamente le labbra con la lingua e trovò all’istante la sua, mentre rispondeva con impeto a quel contatto profondo e improvviso, e sì, magari non era proprio nel personaggio gettare la spugna così facilmente, ma per quanto lo riguardava era felice di lasciar correre.
 
Blaine gli strinse il labbro inferiore tra i denti, cosa che fece sibilare a Kurt un gemito morbido direttamente nella sua bocca. Affondò le unghie nella stoffa sottile del suo costume da Robin, tirandolo verso di sé.
Blaine si allontanò proprio in quel momento.
 
“No, Blaine...” Protestò, mentre lui lo fulminava con lo sguardo. Non c’era verso.
Blaine?”
“Oh merd- Robin. Sì, Robin. Questo non deve più succedere. Perché l’hai fatto?” Blaine si strinse innocentemente nelle spalle, spingendo Kurt di nuovo verso l’alto, in modo che fosse seduto normalmente sul bordo del letto.
“Te l’ho detto. Meriti di rilassarti un po’...” Mormorò, agganciando i pollici all’elastico dei suoi pantaloni scuri – anch’essi tremendamente simili a una calzamaglia, con la differenza che se glielo avesse fatto notare probabilmente non gli avrebbe più rivolto la parola per un mese.
Con la sua collaborazione riuscì ad abbassargli qualunque cosa fosse quell’indumento fino alle caviglie, insieme ai boxer. Blaine sorrise tra sé e sé, notando che Kurt sembrava aver improvvisamente perso buona parte della sua voglia di fare lo spiritoso.
 
Tanto per rincarare la dose strinse le mani attorno alle sue ginocchia e le separò lascivamente, senza perdere nemmeno per un attimo il contatto visivo con lui: Kurt aveva cominciato a boccheggiare con le labbra socchiuse, apparentemente incapace di pronunciare una sola parola. Blaine fece scorrere le proprie dita lungo le sue cosce, fermandosi in corrispondenza dei fianchi che gli cinse possessivamente, come non faceva mai se non in momenti del genere, il più delle volte senza nemmeno rendersene consciamente conto.
Kurt gli coprì le mani con le sue – l’aveva sempre fatto, sin dai tempi della loro prima volta – stringendo abbastanza forte da renderlo quasi doloroso, nel modo più piacevole che potesse immaginare. Il moro si fece più avanti tra le sue gambe, lasciandogli una pigra scia di baci sulla parte interna delle cosce e facendolo tremare da capo a piedi.
 
“Blaine... Ti prego,” Gemette a bassa voce, in quel moto di impazienza che Blaine aveva avuto tutto il tempo di imparare a riconoscere. Sapeva perfettamente cosa piaceva a Kurt: aveva imparato a conoscere ogni arma a sua disposizione per farlo impazzire, al punto che non aveva più segreti ai suoi occhi e sapeva che valeva lo stesso per lui.
Non si sarebbe mai stancato di ripercorrere gli stessi itinerari di sempre sulla sua pelle, né di vederlo sorridere, di sentirgli sussurrare che lo amava o del semplice modo in cui le loro mani si cercavano sempre ed inevitabilmente quando erano uno tra le braccia dell’altro.
 
Non poté davvero evitare di sorridere.
 
“Sì, Kurt.” Non lo torturò oltre: un istante più tardi aveva raggiunto la sua erezione e la stava cingendo tra le labbra, avvolgendola con calma, con le dita ancora strette sulla vita del suo ragazzo. Kurt abbandonò le sue mani per passargli tutte le dita tra i capelli, approfittandone anche per slacciargli la maschera che-
 
Oh.
La maschera.
 
Blaine in tutta sincerità – ed era abbastanza imbarazzante ammetterlo visto che l’idea era stata sua – aveva completamente dimenticato la faccenda dei ruoli. Si chiese se non avrebbe dovuto allontanarsi e ricordarglielo ma poi lui urlò il suo nome, strattonandogli i capelli.
 
Oh beh, al diavolo Batman e Robin.
 
Dopo un attimo di esitazione riprese a vorticare la lingua su di lui, tenendogli i fianchi più fermi possibile in modo che non si spingesse con troppa foga in avanti.
Finì per lasciarsi stordire dai gemiti incontrollati del suo ragazzo a tal punto che a mala pena si rese conto di quando lui lo prese saldamente per le spalle, facendolo alzare senza troppi complimenti dal pavimento su cui era accovacciato.
 
Lo catapultò sul letto insieme a lui, e si adoperò subito per togliergli di dosso il famigerato costume da Robin. Inoltre approfittò del momento per baciarlo con inaspettata dolcezza, la stessa che prima non aveva avuto lo spazio che erano soliti riservarle a causa di quella stupidissima idea dei supereroi.
Che poi davvero, come aveva fatto a macchinare una tale idiozia?
Kurt si separò da lui con un ultimo, impalpabile sfioramento di labbra, allontanandosi quando bastava per poterlo guardare negli occhi.
 
“Ti amo.” Blaine sorrise, accarezzandogli un lato del viso.
“Anch’io ti am- ”
“Oh, merda!”
 
Esclamò Kurt, scattando a sedere sul materasso talmente in fretta da rischiare di cadere all’indietro.
“...Kurt?”
“Scusa! Sono completamente uscito dal personaggio, e... Mi dispiace di aver rovinato tutto fin dall’inizio...”
“Kurt.”
“È che quando sono insieme a te non riesco a fare finta di essere qualcun altro, perché... Non lo so. Mi fai dimenticare tutto il resto, temo.”
Sembrava davvero mortificato, tanto che non lo stava neppure guardando negli occhi. Blaine si lasciò scappare un sorriso, scuotendo leggermente la testa.
 
“Amore, non me ne importa niente di Batman e Robin, okay? E nel caso non lo avessi notato anch’io mi sono perso per strada con la storia dei ruoli. Dall’inizio.”
Era indeciso se credergli o meno, questo era evidente.
 
“...Sei sicuro?”
“Certo. Inoltre, sono felice di avere ancora questo effetto su di de dopo tutto questo tempo.” Sottolineò, ancora gongolante per le parole che Kurt aveva usato poco prima. Lui gli rivolse un sorriso timido decidendosi solo alla fine ad aggiungere qualcosa, con talmente tanta titubanza che Blaine fece quasi fatica a sentirlo.
 
“Sicuro sicuro? Perché... Beh, capisco che dopo tanti anni insieme avresti voluto- ” Blaine sgranò gli occhi, stringendo istintivamente le mani che ancora teneva tra le sue.
“Non pensare nemmeno per un secondo che abbia smesso di trovare stimolante fare l’amore con te, perché sarebbe la più grande assurdità dell’universo dopo io che dico addio al gel per capelli.
Kurt, non potrebbe mai succedere, dico davvero. ...E adesso per piacere possiamo riprendere da dove ci siamo interrotti? Fare un discorso serio con te mezzo nudo non è così semplice.”
Kurt roteò scherzosamente gli occhi e allungò il collo, baciandolo sulla punta del naso.
 
“Vuoi che torniamo ad essere Batman e Robin? Io non prometto niente, però.”
“Penso che Kurt e Blaine siano più che sufficienti.”
Il sorriso di Kurt si ampliò, mentre lo spingeva delicatamente sul materasso, premendosi contro di lui.
 
“Uh. Perciò niente superpoteri?” Blaine ridacchiò sottovoce, ammiccando al ragazzo sopra di lui.
 
“...Dipende da cosa intendi per superpoteri.”
“Sei un cretino.”
“Anche tu.”
“Ti amo.”
“Ti amo.”
 

***

 
 
 
 
 
 
 

 






 
 
...Vi chiedo di compatirmi, oh nobili anime coraggiose giunte fin qui.
Non avete idea di quanto fossi in crisi per questo prompt, sul serio. Dire che è demenziale sarebbe un complimento, quindi non mi pronuncio e basta, confidando nella vostra clemenza :’)
Anyway, domani finalmente giungerà a noi un po’ di sano POV!Kurt, con Skank/Nerd!
Spero di risentirvi anche lì, nonostante dopo il prompt di oggi non oso sperare che mi sopporterete ancora x’D
Grazie mille alle 14 persone (QUATTORDICI *-*!!) che hanno recensito la scorsa Shot, siete adorabili come la Klaine :’)
Alla prossima, courage <3 

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Capitolo 4
*** Day#4_Put on your glasses ***


Titolo: Put on your glasses
Rating: Giallo? Arancione? The world will never know
Avvertimenti: AU, OOC (all’inizio)
Prompt: Day four, Skank/Nerd Klaine
Lunghezza: 4500 parole
Note: AU in cui Blaine fa parte degli Skanks, e Kurt accetta una proposta che porterà a risvolti inaspettati... POV!Kurt
 
 
 



Klaine week; Day#4










Skank/Nerd Klaine__”Put on your glasses”
 

Che cosa poteva fare di male un’occhiata, dopotutto?
 

Solo una piccola, minuscola occhiata: non se ne sarebbe nemmeno accorto e lui... Beh, lui era arrivato al punto di non poterne fare fisicamente a meno.
Si spinse gli occhiali sul naso con la punta dell’indice e sbirciò oltre la propria spalla, esattamente in corrispondenza dell’angolo tra l’aula di Spagnolo e il bagno dei maschi. Posto in cui di solito era meglio che lui non andasse, se il suo scopo non era aggiornarsi sugli insulti più creativi che gli altri ragazzi si erano inventati per lui, oppure sperimentare la gloriosa esperienza di avere la testa ficcata nel water.
 
Rabbrividì al ricordo, o più probabilmente alla vista della figura che i suoi occhi avevano automaticamente intercettato.
Kurt fu costretto ad allargarsi il collo della camicia con due dita, nel tentativo di deglutire correttamente.
 
Blaine Anderson.
Oh, sì.
 
Aveva perso il conto di tutti gli anni che aveva passato a guardarlo da lontano, ad arrossire come un idiota e a sentirsi stupido, perché è da stupidi innamorarsi così perdutamente di qualcuno che nemmeno ha mai avuto la decenza di rivolgerti la parola.
E perché avrebbe dovuto, dopotutto? Blaine stava sempre con Quinn Fabray e Noah Puckerman, che sembravano fare a gara tra loro per chi si vestisse più da pezzente, con dei piercing ovunque e una chioma quantomeno strana.
 
Kurt se lo ricordava ancora il primo anno, precisino e con la mania del gel per capelli: a quei tempi aveva quasi pensato di avere una singola speranza con lui.
Che razza di illuso.
Blaine non era rimasto nella baia degli sfigati per più di qualche settimana – non che gli Skanks o come diavolo si facessero chiamare fossero i più popolari della scuola, ma quantomeno nessuno si azzardava a dar loro fastidio.
 
Kurt si mordicchiò il labbro, fingendo di rovistare tra i vari scomparti in cui aveva diligentemente organizzato il suo armadietto dopo l’ultima volta che glielo avevano riempito di schiuma da barba.
Quel giorno, ad esempio. Quel giorno Blaine aveva un paio di pantaloni neri strappati in più punti – polpaccio, coscia, coscia di nuovo – infilati in un paio di anfibi slacciati, troppo grandi per lui.
Erano jeans a vita bassa, molto bassa, bassa abbastanza da permettergli di vedere distintamente le fossette che dal suo addome sparivano oltre la cintura.
Kurt deglutì un’altra volta – forse due – e stava già ammirando il modo in cui la maglietta che portava gli fasciava il petto e le braccia, lasciando scoperta qualche striscia di pelle qua e là. Poi i capelli. Quei magnifici riccioli neri con diversi ciuffi colorati di viola scuro.
 
Kurt avrebbe solo desiderato pensare che fosse sexy – ed in realtà lo pensava eccome – ma il fatto era che c’era di più.
C’era molto di più, per lui.
 
Era più o meno questa l’antifona dei suoi pensieri, quando si rese conto che Blaine aveva appena intercettato il suo sguardo.
 
Il ragazzo voltò la testa di scatto, tornando a ficcare il naso nel suo armadietto, con gli occhiali che gli scivolavano di nuovo sul naso. Dannati, dannatissimi occhiali.
Raspò alla rinfusa alla ricerca del suo libro di Biologia, proprio mentre la campanella trillava annunciando la fine dell’intervallo. E Kurt era contento: la ricreazione non era esattamente il suo momento preferito, e nemmeno i cambi d’ora, non quando Rachel – praticamente la sua unica amica – non era nei paraggi.
In ogni caso, contrariamente a quanto si aspettava, Blaine non aveva seguito Quinn e Puck fuori in giardino per l’ennesima sigaretta – non che di solito si facesse problemi a fumare in corridoio, ma tant’é.
 
Kurt si girò, e aveva Blaine davanti al naso.
 
Il ragazzo per cui aveva completamente perso la testa da quattro anni non era che a una spanna da lui, di nuovo.
 
“Guardavi qualcosa di tuo gradimento, Hummel?” Kurt abbassò lo sguardo, arrossendo come poche volte aveva fatto prima di allora. Una di queste era stata sicuramente domenica notte, esattamente cinque giorni prima e sì, avrebbe voluto morire per l’imbarazzo in quel preciso momento.
Socchiuse la bocca per dire qualcosa, ma Blaine lo precedette.
 
“Non devi rispondere. Sai, era abbastanza chiaro.”
“Cosa vuoi ancora da me?” Blaine sorrise, senza sembrare particolarmente allegro. Kurt aveva solo voglia di riavvolgere il nastro e tornare ad una settimana prima, quando Blaine non sapeva nemmeno della sua esistenza e lui... beh, lui era ancora vergine.
“Io niente, ma non si direbbe la stessa cosa per te.” Kurt sentiva le lacrime montargli agli angoli degli occhi. Rabbia, vergogna, frustrazione. Poteva dargli tutti i nomi che voleva, ma il concetto rimaneva lo stesso.
 
Come si fa a smettere di essere innamorati di qualcuno?
“Senti. Gli altri non sanno niente di tutta questa storia e mi va benissimo così, quindi evita di guardarmi come stavi facendo prima, okay? Se vuoi scopare basta farmelo sapere di persona.”
 
E sì. Ci era andato a letto.
Era successo cinque giorni prima e da allora Blaine non gli aveva più rivolto la parola.
 
Gli si era semplicemente presentato davanti chiedendo se voleva fare sesso con lui, e Kurt aveva detto di sì.
Perché era giovane, stupido e innamorato, e si tratta di tre cose che normalmente vanno di pari passo.
Blaine non aveva pronunciato una parola tutto il tempo. Non gli aveva detto di essere felice di essere lì con lui, men che meno quanto fosse bello, o cose del genere, quelle che Kurt si aspettava dalla sua prima volta.
Era andata e basta, e se prima aveva avuto qualche dubbio al riguardo ora sapeva perfettamente di essere innamorato di Blaine.
 
La domanda era come uscirne. Perché doveva uscirne.
 
“Io non voglio niente da te.” Blaine si limitò a sorridere, sollevando lentamente le mani verso il suo viso.
“Non... Non toccarmi- ” Lui non si fermò, e strinse il pollice e l’indice di entrambe le mani intorno alle stanghette dei suoi occhiali.
“Non mi risulta che tu ti sia lamentato l’ultima volta.” Gli sollevò la montatura sopra la testa, e Kurt chiuse all’istante gli occhi: tanto non avrebbe comunque visto più un accidente.
 
Avrebbe solo voluto fare un passo avanti e baciarlo.
 
“Blaine...”
“Shh.” Un attimo dopo due mani calde erano già scivolate lungo i suoi fianchi, mozzandogli il fiato in gola.
“Non vedo niente- ”
“Non ti serve vedere. Senti.”
 
Gli fece appoggiare la schiena all’armadietto, premendo il proprio corpo contro al suo. Era solo la seconda volta che Kurt lo sentiva così vicino e non poté fare assolutamente nulla per contenere il respiro affannato che gli usciva dalle labbra.
Immaginò che fossero a casa sua, anziché in un corridoio deserto. Immaginò che Blaine gli sussurrasse qualcosa di dolce.
Sentì un paio di labbra umide accarezzargli la gola, per quel poco che era scoperta, risalendo lentamente verso il suo orecchio.
 
“Hai idea di quanto questi tuoi fottuti cravattini siano eccitanti, Hummel?” Una gamba di Blaine si fece spazio tra le sue, sfregandosi sul cavallo dei pantaloni. Kurt non poté far altro che gemere e far cadere la fronte sulla sua spalla, mentre Blaine ridacchiava sommessamente, sorreggendo il suo corpo contro l’armadietto.
“Così innocente... Quella era la tua prima volta, non è vero?” Gli passò la lingua sulla conchiglia dell’orecchio, lentamente, come se si stesse impegnando a fargli notare il contrasto tra il calore della sua bocca e la pallina argentata che gli premeva sulla pelle, l’ennesimo dei suoi piercing.
Kurt nemmeno si accorse di aver iniziato a strofinarsi lentamente contro la sua coscia fino a quando Blaine non lo lasciò andare, così improvvisamente che lui per poco non cadde all’indietro per l’imprevista mancanza d’appoggio.
 
“Oggi vieni da me alle quattro. Ti ricordi dove abito, sì? Non vedo l’ora di strapparti i vestiti di dosso.”
Oh, no.
 
Non ci sarebbe cascato di nuovo.
 
 

***

 
 
Ci era cascato di nuovo.
 
E di nuovo. E di nuovo. E di nuovo.
 
Era stato più forte di lui: non aveva saputo dire di no. E ora era in un bel casino. Sapeva che fare sesso con lui si portava via ogni volta un pezzetto un po’ più grande del suo cuore – ogni mancata coccola dopo, quando Blaine diceva che dovevano sbrigarsi – ma non poteva smettere di fare quello che facevano.
Era l’unico modo che aveva per stare vicino a Blaine, la persona di cui nonostante tutto si era innamorato.
 
La stessa che di giorno in giorno si faceva sempre più distante, senza un’apparente motivo.
 
I loro incontri si erano fatti sempre più sporadici e affrettati, e lui si sentiva sempre più stupido, solo e usato. Lo sapeva dall’inizio, dopotutto.
Eppure faceva male lo stesso, ogni volta che incrociava Blaine per i corridoi e il suo cervello rievocava la sensazione di quelle labbra che percorrevano tutto il suo corpo e gli faceva presente che quel paio di occhi pieni di lussuria – per quel poco che potesse vederli, senza i suoi dannatissimi occhiali – erano tutto ciò che poteva aspettarsi da lui.
 
Quel giorno Blaine era andato in cortile per conto suo – Puck e Quinn erano probabilmente chiusi da qualche parte a cercare di concepire un altro bambino – e Kurt l’aveva seguito. Per chiedergli spiegazioni o semplicemente domandargli di tornare a letto con lui, solo per sentirlo vicino un’altra volta. Che razza di idiota. Avrebbe solo voluto che il suo cuore non battesse in quel modo ogni singola volta che lo vedeva.
 
Avrebbe dovuto odiarlo per avergli rubato la sua prima volta senza nemmeno avergli mai rivolto una parola gentile.
In realtà rubato non sarebbe stato il termine più appropriato: nella sua idiozia era stato del tutto consenziente. Kurt era stupidamente convinto che gli occhi di Blaine fossero troppo dolci per appartenere a qualcuno senza sentimenti.
Perché Kurt lo guardava sempre negli occhi, per quel poco che potesse vedere senza occhiali, quando facevano l’amor- sesso. Quando facevano sesso.
 
Blaine l’aveva fatto solo una volta, l’ultima. Poi non gli aveva più rivolto la parola.
 
“Blaine!” Kurt lo inseguì goffamente lungo tutto il cortile, senza avere un’idea precisa di cosa diavolo avrebbe fatto una volta che fosse riuscito a fermarlo.
“Blaine! Aspetta!” Blaine si fermò quando ormai si trovava sotto le scalinate degli spalti vicino ai campi da football, esattamente dove si rintanava con gli altri Skanks ogni santo giorno invece di seguire le lezioni.
Con un gesto veloce afferrò la sigaretta che teneva dietro l’orecchio e l’accese, voltandosi a guardarlo senza tradire una singola emozione.
 
“Ti ho detto mille volte di non parlarmi a scuola.”
“Lo so, ma- ”
“Hummel, lasciami in pace.”
 
Kurt non avrebbe saputo spiegare la reazione che quelle parole gli scatenarono.
Forse aveva semplicemente accumulato troppo: troppi sentimenti, troppa rabbia verso se stesso che non riusciva a fare a meno di provarli nonostante sapesse perfettamente di non andare in contro ad altro se non ad un cuore spezzato.
Il suo, per essere precisi.
 
“Blaine. Per favore...” Voleva solo sedersi per terra e piangere e non aveva la minima idea di cosa dirgli. In ogni caso, Blaine fraintese le sue parole.
Kurt lo capì non appena gli rivolse l’ennesimo di quei suoi sorrisi maliziosi, avvicinandosi di qualche passo.
Sentì il fiato mancargli e un attimo dopo – come sempre – gli aveva levato gli occhiali. Kurt abbassò le palpebre di riflesso, evitando di guardarlo con la vista appannata che puntualmente gli faceva girare la testa.
Poi sentì le dita di Blaine afferrarlo per i passanti della cintura e – in qualche modo – quel contatto lo fece scattare.
Prima ancora di rendersi conto di quanto aveva fatto sentì un rumore sordo, accompagnato dalla sensazione di bruciore al palmo della mano destra.
 
Non poteva credere di essersi davvero messo a piangere come un idiota.
Soprattutto, non poteva credere di avergli appena dato uno schiaffo.
 
“Si può sapere che cazzo ti prende?!”
E quella, in effetti, era una bella domanda. Non sapeva di poter reagire in quel modo, non aveva idea di quanto quella situazione fosse diventata pesante per lui, quanto lo facesse sentire ridicolo.
Come aveva anche solo potuto pensare di poter suscitare un qualsivoglia interesse in Blaine Anderson? Lui, Kurt Hummel, che dal primo anno non faceva che collezionare insulti per i suoi voti alti, per come si vestiva, per come parlava, perché era gay o – sospettava – per il semplice fatto che esisteva.
Era ovvio che Blaine volesse solo divertirsi con lui, era ovvio che non gli importasse niente dei suoi sentimenti; perché avrebbe dovuto, dopotutto?
Kurt avrebbe solo desiderato che fosse un incubo.
 
“Non... Non voglio più essere trattato così.” Essere più patetici non era umanamente possibile, quello era poco ma sicuro.
“Così come, Hummel? Non hai mai avuto niente da ridire mentre- ”
Non chiamarlo in quel modo. Solo... Ridammi gli occhiali e lasciami andare.”
“Qual è il tuo problema? Ti sei stancato? Nel caso non lo avessi notato la cosa è reciproca, perciò smettila di assillarmi!”
“Blaine...”
“Mi sono rotto, Hummel! Non ti ho più cercato dopo l’ultima volta, perché non puoi semplicemente lasciar perdere?!”
 
“Perché ti amo, razza di deficiente!”
 
Ed era più o meno la cosa più idiota che aveva detto nell’arco della sua intera esistenza, se non contava quell’insulto biascicato tra i denti a quel tizio della squadra di football dopo che quest’ultimo l’aveva spinto contro gli armadietti.
Gli era costato una bella dose di cazzotti, e anche una camicia nuova.
 
“Ridammi gli occhiali.” Sentì il rumore leggero di qualcosa che cadeva sull’erba, e dei passi che si allontanavano.
Quando Kurt riuscì a recuperare a tentoni i suoi occhiali, Blaine era già sparito nel nulla.
 
 

***

 
 
Quella era una follia.
Un’immensa, gigantesca, ridicola follia. Kurt lo sapeva benissimo, e naturalmente anche tutta la scuola lo sapeva benissimo visto che non faceva altro che fissarlo come se fosse un fenomeno da circo.
 
E, in effetti, era un fenomeno da circo.
 
Se con i suoi vestiti ed atteggiamenti normali si limitava ad attirare l’attenzione dei bulli, quel giorno non c’era essere umano al McKinley che non l’avesse guardato passare ad occhi sgranati.
Kurt odiava tutto questo: stare al centro dell’attenzione lo metteva in ansia, gli faceva sudare le mani e arrossire indecentemente. In quel momento avrebbe solo voluto essere a casa sua, rintanato con i suoi libri e la sua musica, invece che arrancare per i corridoi con la mano destra incollata alla fila di armadietti in modo da non andare a sbattere da qualche parte.
Non aveva gli occhiali, di mettersi le lenti a contatto non se ne parlava perché aveva troppa paura di accecarsi del tutto, vale a dire che non vedeva praticamente un accidente. Geniale.
 
Quella mattina si era messo in testa del colorante per tessuti fucsia – colorante per tessuti, qual era il suo problema? – e ora anche lui aveva uno di quei ciuffi assurdi stile Skanks.
Poi aveva rubato al suo fratellastro un paio di pantaloni neri elasticizzati che usava per fare ginnastica e ci aveva ritagliato dei buchi qua e là; aveva messo da parte le sue camicette e i suoi papillon in favore di una maglietta sformata che in tutta probabilità non aveva mai indossato, accorciandola un po’ con le stesse forbici con cui aveva bucherellato l’altro indumento.
Dulcis in fondo, i due brillantini di plastica che si era appiccicato sul naso e sul sopracciglio con la colla per ciglia finte della sua matrigna.
 
Prima di uscire non aveva avuto il coraggio di guardarsi allo specchio.
 
Tutto ciò era dovuto al fatto che, dopo due settimane filate che non vedeva né sentiva Blaine Anderson, Kurt Hummel era giunto alla brillante conclusione che il motivo per cui lui non ricambiava i suoi sentimenti era il suo aspetto, il fatto che fosse talmente in basso nella scala sociale della scuola che non poteva nemmeno dire di farne parte in assoluto, della scala sociale.
 
Blaine non voleva un ragazzino timido con il balbettio facile e una schiera di ragazzi pronti a malmenarlo alle calcagna, in caso contrario non si sarebbe unito a quel gruppo di deviati sociopatici e si sarebbe tenuto il suo gel per capelli.
Blaine voleva un bel ragazzo, sicuro di sé e magari che riuscisse a tirare una boccata di sigaretta senza tossire per un quarto d’ora. Ci avrebbe lavorato, su quello. Tastò in corrispondenza del suo fianco, dove avvertì la presenza rassicurante dei suoi occhiali: se se la vedeva davvero brutta poteva sempre metterli e correre via riuscendo a distinguere dove fosse l’uscita di emergenza più vicina.
 
Kurt identificò le figure sfocate di altri studenti che lo fissavano sbigottiti, ma proseguì imperterrito fino all’angolo tra l’aula di Spagnolo e il bagno dei ragazzi, posto che aveva evitato per tutti quei giorni, intento a mettere a punto il suo discutibile piano.
 
C’erano tre persone, in effetti. Il solo realizzare che una di loro fosse Blaine gli mandava il cuore a mille. Si fece coraggio e attraversò il corridoio, diretto verso il gruppetto degli Skanks.
Dio, era il giorno più brutto della sua vita.
 
“Ciao!”
Okay, forse era stato un po’ troppo allegro. Dopotutto gli Skanks sono anticonformisti, depressi e cose del genere. Giusto?
“Uhm... Che schifo la vita, eh?”
Si sentiva molto fiero di se stesso. Se solo avesse potuto vedere qualcosa, si sarebbe accorto di come Quinn lo fissava con aria sbigottita, o di Puck, che si teneva una mano sulla bocca per non scoppiare a ridere.
E poi c’era Blaine. Blaine sorrideva. Di un sorriso diverso da quelli che gli aveva rivolto fino ad allora.
 
“E tu chi diavolo sei?”
“Kurt.” Oh, stava andando alla grande!
“Ottimo. Perché non ti levi dalle palle, Kurt?” Okay, forse non proprio alla grande.
 
“Ragazzi... Potreste aspettarmi fuori?” Puck roteò gli occhi.
“Non metterci troppo, B.” Blaine lo liquidò con un gesto della mano, tornando a concentrare la sua attenzione su Kurt.
 
Kurt, che per qualche strano motivo aveva deciso di conciarsi in quel modo, Kurt che come al solito non vedeva a un palmo dal naso. Kurt e i suoi dannati maglioncini in serie, i suoi libri, le cuffie nelle orecchie e la testa tra le nuvole.
 
Kurt, che per Blaine aveva smesso di essere Hummel da quando quello che doveva essere solo sesso era diventato qualcos’altro, vale a dire più o meno dalla prima volta che l’aveva spogliato, l’aveva visto arrossire, sentito tremare ed era stato come se qualcosa dentro di lui si fosse spezzata.
 
E Blaine aveva pensato di poter gestire tutto questo.
Aveva pensato che sarebbe stato sufficiente non guardare dentro quei suoi meravigliosi occhi chiari per non sentirsi perso del tutto.
Aveva pensato che sarebbe bastato togliergli gli occhiali e fargli abbassare le palpebre per salvarsi da se stesso.
Quel se stesso che con tanta cura aveva nascosto dietro un muro di capelli tinti e ferraglia.
 
Perché Blaine aveva sempre invidiato il coraggio di Kurt.
Era rimasto a bocca aperta al modo ostinato con cui continuava ad essere se stesso, ignorando tutti gli altri. A lui erano bastate tre settimane per sapere che non ci sarebbe riuscito.
 
Si chiese se fosse troppo presuntuoso da parte sua sperare di avere un’ultima possibilità con lui. Si chiese se avrebbe mai potuto stringerlo come ogni volta si impediva di fare, dopo che erano stati insieme.
Si chiese se dopo tutto quel tempo passato ad odiare se stesso e maledirsi per sentire le gambe cedergli ogni volta che guardava Kurt Hummel avrebbe semplicemente potuto incontrare i suoi occhi e ricordarsi cosa significava tenere davvero a qualcuno, abbastanza da essere pronti a rinunciare al proprio stato di invulnerabilità pur di non sentirselo strappare via dalle mani.
 
Kurt attese, in silenzio.
Non sapeva cosa fare, cosa dire né cosa pensare. Gli sembrava essere passata un’eternità quando Blaine si decise finalmente ad aprire bocca.
“Ti aspetto dopo la scuola sugli spalti dello stadio di football.”
“Potrò entrare a far parte degli Skanks...?”
“...Tu vieni e basta.”
 
Kurt poté distinguere vagamente la sua figura allontanarsi per il corridoio e, solo una volta che fu del tutto scomparso dal suo poco considerevole campo visivo, si concesse il lusso di rimettersi gli occhiali.
Blaine li odiava, questo era abbastanza ovvio.
 
Il ragazzo rimuginò qualche istante sulle ultime parole che l’altro gli aveva rivolto: avrebbe dovuto raggiungerlo davvero al campo di football? Non si era già reso abbastanza patetico? Blaine meritava sul serio tutto questo?
Razionalmente no, nel modo più assoluto, e Kurt era una persona estremamente razionale. Il problema stava nel fatto che tutto questo perdeva di consistenza, quando si parlava di Blaine. Era colpa dei suoi occhi: Kurt si era innamorato della loro rassicurante dolcezza che – per quanto Blaine si sforzasse di comunicare l’esatto contrario – era del tutto lampante.
 
Scosse brevemente la testa, mentre la campanella suonava l’inizio della prima ora.
Se non altro aveva di che distrarsi nell’attesa: sopravvivere un’intera giornata conciato il quel modo avrebbe richiesto un notevole dispendio di energie.
 
 

***

 
 
Un campo da football deserto è qualcosa di impressionante.
O almeno era questo che pensava Kurt quando lo raggiunse, dieci minuti dopo la fine delle lezioni: le poche volte che era stato in quel posto – di solito non poteva nemmeno avvicinarsi all’area di gioco senza beccarsi una pioggia di sospensori addosso – era sempre rimasto colpito da quante persone potesse contenere.
Vederlo completamente vuoto metteva una certa tristezza o, più probabilmente, era lui a non fare altro che riflettere il suo stato d’animo sul paesaggio circostante.
 
Kurt sospirò e si tolse in fretta gli occhiali, preoccupato all’idea che Blaine lo trovasse così e non gli permettesse più di fare parte degli Skanks.
Raggiunse gli spalti barcollando un po’ e si arrampicò sulle scalinate, in attesa.
 
Kurt rimase lì a lungo, sempre più convinto che Blaine gli avesse dato buca.
Non aveva sentito arrivare nessuno. Non aveva idea da quanto tempo un ragazzo stesse trattenendo il respiro, pochi gradini più in alto di lui.
 
Fino a quando un paio di mani si posarono sui suoi occhi.
Kurt sussultò.
 
“Sei... Sei tu?” Il ragazzo gli tolse le dita dal viso, scivolando accanto a lui sulla scalinata. Ed era ovvio che fosse Blaine, ma era... Era diverso. Se solo fosse stato un po’ meno cieco avrebbe saputo anche spiegarne la ragione.
Prima che potesse pronunciare una singola parola, lui l’aveva già preceduto.
 
“Ciao. Io sono Blaine.”
“...Sì, questo lo so- ”
“No, fidati. Non lo sai.”
 
Stava per chiedergli di cosa diavolo stesse parlando, quando le sue dita gli raggiunsero il viso: in un istante aveva eliminato entrambi i presunti piercing che si era incollato addosso.
“Uhm... Non avevo tempo di farmene di veri, ma se mi prenderete negli Skanks...”
“E non te li farai.”
“...Cosa?”
“Rimettiti gli occhiali.”
“...”
 
Blaine li prelevò con sicurezza dall’elastico dei suoi pantaloni, esattamente dove Kurt aveva tenuto la mano tutto il tempo. Glieli infilò con qualcosa di simile alla dolcezza. Kurt l’avrebbe definita così se solo si fosse potuto concedere il lusso di farsi illusioni. Sbatté le palpebre qualche volta, di secondo in secondo più stranito.
 
“Blaine? I tuoi capelli- ”
“Ho una passione sfegatata per il gel. Amo Katy Perry, mi viene da vomitare ogni volta che fumo una sigaretta e quando canto – perché sì, canto – tendo a salire su tutti gli oggetti che mi capitano a tiro. Mi piace tirare di box, colleziono papillon da quando ho cinque anni e non ho mai detto queste cose a nessuno, prima d’ora.”
 
Kurt era semplicemente a bocca aperta.
 
Cosa significava? Perché Blaine gli stava dicendo quelle cose? Perché si era riempito da testa di gel come faceva i primi giorni di liceo e per quale ragione non cercava di nascondere il modo meraviglioso in cui i suoi occhi si illuminavano quando era felice?
 
 “Lo so che è tardi. Lo so che ho rovinato tutto e che sarebbe stupido chiederti di dimenticare tutto quello che ti ho detto in queste settimane, ma Kurt, mi dispiace.”
 
Uh, oh.
Kurt non era nemmeno sicuro che conoscesse il suo nome: il modo in cui lo pronunciava era qualcosa di meravigliosamente impressionante.
Poi si rese conto del resto della frase.
 
“Ti-Ti dispiace?”
“Di non averti fatto sentire speciale. Di essermi comportato da stronzo per tutto questo tempo e di essermene andato quando hai detto di amarmi.” Kurt arrossì fino alla punta delle orecchie, sbattendo ripetutamente le palpebre.
“Oh, quello... Possiamo fare finta che non sia successo?- ”
“No. Perché è importante. Tu sei importante.” Poi sorrise.
“Basta che non ti vesti più in questo modo.”
 
Kurt era a metà strada tra l’iperventilazione e l’attacco di cuore.
Così non si era sbagliato, quando credeva che dopotutto – sotto tutti quegli strati di piercing – Blaine era la stessa persona che gli aveva fatto battere il cuore la prima volta, quando entrambi non erano altro che due matricole terrorizzate.
 
Con la differenza che lui non aveva mai rinunciato a se stesso; Blaine l’aveva fatto.
 
“Oh, questo è sicuro...” Acconsentì, guardando con occhio critico i buchi della sua maglietta.
“Pensavo di lasciare gli Skanks.” Mormorò Blaine qualche istante più tardi, tradendo una nota di agitazione nella voce che mai una volta si era lasciato sfuggire in quegli anni. Ed era buffo in effetti, come tutto il loro mondo si fosse capovolto all’improvviso: mentre Blaine ritrovava se stesso, Kurt scopriva che finire un giorno sì l’altro anche con la testa nel water non significa essere deboli.
 
Serve coraggio per rimanere fedeli a ciò che si è e – se possibile – ancora di più per tornare suoi propri passi e riprovarci.
 
“Devi fare quello che ti rende felice.” Disse Kurt e, per quanto potenzialmente scontata, quella frase era più o meno la soluzione a qualsiasi cosa.
Tu mi rendi felice.”
“...Posso baciarti?” Blaine sorrise – senza malizia, solo... sorrise.
E Kurt lo prese come un sì.
 
 

***

 

07:43
– Ti vedo :) -K. –
 
07:44
– Anch’io... -B. –
 
07:46
– Beh? Pensi di rimanere in macchina tutto il giorno? Non andiamo in classe insieme? -K. –
 
07:49
– ...E se tornano a prendermi in giro? Se prendono in giro entrambi? Se ci fanno degli scherzi idioti e vandalizzano i nostri armadietti? -B. –
 
07:50
– Io ho te e tu hai me. E questo non può toccarlo nessuno, e poi... -K. –
 
07:51
– E poi? P.S. Ti amo. –
 
07:53
– Courage ♥ P.S. Anch’io. –


***

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
Hi guys :)!!
Non avete idea di quanto AMO i parallelismi incrociati. No, sul serio: appena posso ne infilo uno da qualche parte *-*!
...Che dire di questa Shot? All’inizio pensavo di buttarmi semplicemente su una storiella OOC, ma poi non ce l’ho fatta. Dopotutto questa è la Klaine week, e non avevo la minima voglia di stravolgere completamente i personaggi proprio in questi giorni: amo la Klaine per quello che è, dolce innamorata e coraggiosa.
Spero che vi sia piaciuta: è stato il primo prompt che ho scritto :)!
Oh, e domani photographer/model! È la mia Shot preferita! Spero piacerà anche a voi!
Un bacione alle meravigliose 11 persone che hanno recensito Heroes: siete l’amore <3
A domani e, citando Blaine di Glee e il Kurt di questa Shot, courage <3

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Capitolo 5
*** Day#5_Collecting you ***


Titolo: Collecting you
Rating: Verde
Avvertimenti: AU, fluff
Prompt: Day five, Photographer/Model Klaine
Lunghezza: 6000 e passa parole
Note: AU in cui Kurt è un modello e cerca di dare una mano a Blaine – il suo migliore amico fissato con la fotografia – a farsi conoscere nel settore. POV!Kurt
 
 



 
 
Klaine week; Day#5




Photographer/Model__”Collecting you”



“Okay Kurt, un’ultima serie e abbiamo finito.”
 
Il ragazzo annuì stancamente e ricacciò le mani nelle tasche dei jeans griffati che indossava, tenendo gli occhi fissi nell’obbiettivo della macchina fotografica.
“...Così?- ”
“Di spalle. Ecco, voltati un altro po’, bene. Continua a guardare in camera.”
Kurt seguì passivamente tutte le direttive, concentrandosi per mantenere uno sguardo almeno apparentemente intenso e concentrato: quando ti fai fotografare con un’espressione da idiota non c’è Photoshop che regga.
 
L’ultima serie durò più a lungo di quanto Kurt non si augurasse: i diffusori per l’illuminazione avevano pensato bene di mettersi giù di posto proprio durante gli scatti finali, cosa che aveva costretto i tecnici a riposizionare tutto da capo, fare qualche foto di prova e – finalmente – portare a termine quel benedetto servizio.
 
Quando i riflettori si spensero, fuori era già buio pesto.
Kurt raggiunse in fretta la giacca leggero che aveva lasciato sulla sedia dell’ingresso: quando le luci potenti dei fari smettevano di battergli sulla pelle il freddo si faceva sentire immediatamente.
“Abbiamo finito per oggi. Mi raccomando, ricordati che sabato pomeriggio alle quindici- ”
“Abbiamo un altro servizio all’aperto, lo so.” Paul annuì, battendogli una mano sulla spalla.
 
Kurt non avrebbe mai deciso se essergli grato o maledirlo a vita.
 
Era stato lui a notarlo per primo, quando non era altro che il tipico ragazzino di provincia approdato a New York con sogni mille volte più numerosi dei progetti che in effetti aveva in ballo: nessuno, nel suo caso.
Paul l’aveva semplicemente fermato in mezzo alla strada affermando di essere rimasto estremamente colpito da lui e proponendogli una considerevole somma di denaro in cambio di qualche singolo scatto di prova, giusto per vedere come si muoveva davanti a un obbiettivo.
Kurt aveva accettato, intanto perché aveva un disperato bisogno di soldi, in secondo luogo l’idea di fare da modello per qualcuno – nella sua testa – era qualcosa di estremamente divertente e gratificante.
 
Aveva scoperto in fretta che il suo non era che un lavoro come un altro: stancante, snervante, con orari a mala pena sostenibili. Dalla sua aveva che Paul l’aveva preso sotto la sua ala sin dall’inizio, e non si faceva alcuno scrupolo a pagarlo profumatamente: di soldi ne aveva anche troppi, e comunque era una fortuna che la rivista minore per cui lavorava – oltre alle altre dozzine di progetti in cui era immischiato – apprezzasse Kurt almeno quanto lui.
Paul gli ripeteva che avrebbe sfondato, a Kurt non importava poi più di tanto.
Quei soldi gli servivano per continuare a studiare musica nonostante tutti i nuovi impegni e le pressioni cui era sottoposto: non avrebbe rinunciato a Broadway così facilmente, non era da lui.
 
Tutto lo staff, uno dopo l’altro, uscì dalla stanza che avevano affittato per il servizio di quel giorno; chi con il treppiedi sotto braccio, chi con lo sfondo arrotolato. Al solito, gli ultimi ad uscire furono Kurt – dopo essersi cambiato – e Paul, che si attardò con lui ancora un po’ per rivedere gli ultimi dettagli degli appuntamenti futuri.
Dopo il servizio di sabato, Kurt avrebbe avuto tre intere settimane di ferma prima del successivo set.
Era più di un anno che non poteva concedersi una pausa così lunga e si sarebbe messo a ballare dalla gioia se solo le gambe non gli avessero ancora formicolato per tutte quelle ora in piedi.
 
Paul se ne andò verso casa con la sua solita aria allegra, come se starsene seduto a dirgli cosa fare per tutto il pomeriggio fosse il suo passatempo preferito, e Kurt iniziava seriamente a sospettare che lo fosse sul serio.
Il ragazzo si strinse nelle spalle e – invece di proseguire dritto in direzione del proprio appartamento – decise di passare a fare visita al suo migliore amico. Che poi non era una grande deviazione visto che abitavano in due palazzi praticamente adiacenti, tanto che Kurt a distanza di anni ancora si domandava perché non la facessero finita e andassero a vivere insieme e basta, dato che erano praticamente sempre l’uno a casa dell’altro e viceversa.
Fortunatamente, il set non era che a qualche isolato da dove vivevano.
 
 

***

 
 
“Blaine? Blaine! Vuoi farmi entrare?!”
“Aspetta, arrivo subito...”
“Sono dieci minuti che lo dici! Guarda che me ne vado- ”
 
Blaine aprì la porta in quel preciso istante, con i ricci arruffati e un sorriso a trentadue denti dal quale suo malgrado non riuscì a non essere contagiato: era sempre così, con lui. Un’esplosione di energia che in qualche modo gli ricaricava le batterie; lo era stato fin dai tempi del liceo.
Kurt lo abbracciò automaticamente, e lui ricambiò stritolandolo a sua volta.
 
“Ciao! Ho appena finit- Blaine! Metti giù quell’affare!”
Blaine, al solito, stava già brandendo la sua amata macchina fotografica, puntandola – minacciosamente, agli occhi di Kurt – verso di lui.
No...”
“Ti prego. Una sola!” Kurt sospirò rumorosamente.
 
Fosse stato per Blaine, avrebbe fatto foto a qualunque cosa – dagli esseri umani alle gomme da masticare – a qualunque ora del giorno e della notte. Aveva perfino dimezzato il suo bagno pur di crearsi una camera oscura a regola d’arte e davvero, a Kurt stava bene tutto questo.
La parte negativa stava nel fatto che a quanto pareva doveva fargli almeno una dannatissima fotografia tutte le volte che si vedevano. Vale a dire tutti i giorni, anche più volte al giorno.
 
“Dai! Sorridi, Kurtie!”
“Solo se non mi chiami così.” Brontolò, tendendo le labbra in un sorriso forzato.
“Più naturale.”
“Provaci tu dopo cinque ore con uno di quegli affari davanti al naso- ”
“Kurt.”
“Sì, sì. Okay.”
Prese un profondo respiro e sorrise più placidamente. Blaine – da dietro la macchina fotografica – gli fece il conto alla rovescia con tre dita. Per un pelo Kurt non venne con gli occhi sollevati in aria. L’istantanea schizzò fuori dalla macchina di Blaine, che la afferrò delicatamente tra pollice ed indice, sventolandola in aria.
 
“Sai, inizio a pensare che tu abbia una specie di stanza segreta in cui appendi al muro tutte le foto che mi fai. Tipo i serial killer che allestiscono un delitto.” Blaine sciabolò le sopracciglia, rifilandogli una gomitata amichevole.
“Cosa ti fa credere il contrario, esattamente?”
“Okay, ora ho paura.”
Blaine ridacchiò e gli fece cenno di entrare, richiudendo la porta al suo passaggio. Kurt proseguì a colpo sicuro lungo lo stretto corridoio che dava sul salotto del suo migliore amico: come al solito era completamente sottosopra.
 
Riviste di maniaci di fotografia erano accatastate in pile voluminose tutt’intorno al divano, sul tavolino e sulla poltrona; rullini vuoti erano sparsi un po’ ovunque, così come vari modelli di macchine fotografiche – più o meno costose – in bella mostra sulle varie mensole appese alla parete, tra un libro e l’altro.
L’unico tratto vagamente umano di quel salotto erano le due tazze sporche di cioccolato in bilico sul bordo esterno del tavolo, le stesse in cui quella mattina avevano consumato insieme la colazione.
 
“Posso offrirle qualcosa, mister top model? Non sono certo di avere qualcosa di adatto ai suoi standard.” Scherzò Blaine, facendo un ridicolo inchino in sua direzione.
“Una tazza di latte andrà benissimo.”
“Uhm... Quella dovrei averla.”
Kurt scosse la testa senza smettere di sorridere, e andò a ficcarsi in uno dei pochi centimetri di sofà liberi da tutte le cianfrusaglie che il suo amico amava accumulare. Storse il naso, spostando cautamente una pila di riviste.
“Blaine? Sai come potresti fare successo?”
Un rumore di stoviglie lo raggiunse dalla cucina, seguito da un grugnito infastidito di Blaine. Quel ragazzo rompeva più piatti di quanti non ne avesse spaccati lui, all’epoca della convivenza con il suo fratellastro. La differenza stava nel fatto che Kurt almeno cercava di colpire Finn: di sicuro una botta in testa non gli avrebbe fatto male.
 
“Come?”
“Hai presente quella sitcom locale, in Ohio? A casa dei gattari?” Blaine riemerse da dietro l’angolo, con due tazze di latte in mano e un’aria teatralmente affranta.
“Non sei divertente.”
“Non sto scherzando. Questo posto è talmente osceno che passeresti le selezioni come ridere.” Blaine roteò gli occhi, sprofondando nel posto accanto al suo e porgendogli il latte.
“Spero ti vada di traverso.”
“Uhm. No, sul serio. Ho una proposta per te.” Cominciò Kurt, incrociando le gambe sulla stoffa imbottita.
 
In effetti era parecchio tempo che si riproponeva di affrontare quel discorso con Blaine; fosse stato per lui gliene avrebbe parlato subito, ma non voleva che traesse la conclusione che lo facesse solo per compassione o perché erano migliori amici dalla terza liceo: non era affatto così. Kurt riteneva davvero che Blaine avesse un talento straordinario per la fotografia; magari un tantino maniacale, ma comunque straordinario.
Quella che aveva intenzione di dargli – sempre se tutto fosse andato come previsto – non era altro che un’opportunità.
 
“Se è un’altra delle tue battutine- ”
“No, senti. Sabato pomeriggio ho l’ultimo set del mese, poi ci sono tre settimane di ferma. Ho intenzione di chiedere a Paul se potrai essere tu il fotografo del mio prossimo servizio.” Disse lentamente, assicurandosi che non si perdesse nemmeno una parte di quel breve discorso – Blaine sapeva essere tremendamente distratto. Il moro lo fissò con tanto d’occhi, con un’aria talmente inebetita che Kurt sarebbe scoppiato a ridere se solo fosse stato un momento più consono.
 
“Dici... Dici sul serio?”
“Certo. Lo sai che Paul mi adora. Basterà chiederglielo gentilmente e di sicuro ti concederà qualche scatto di prova. A quel punto gli basterà guardare le foto per capire di non potersi lasciare sfuggire l’occasione di averti nello staff.” Blaine gli rivolse un sorriso raggiante.
“E allora staremmo insieme tutto il giorno, e tu non potrai lamentarmi di me che ti faccio delle foto!”
“...Ecco. Questa è una prospettiva già più inquietant- Uhmf!”
Blaine gli si era letteralmente gettato addosso e Kurt ringraziò il cielo di essere riuscito – in uno sprazzo di lucidità – a tenere la sua tazza di latte in equilibrio sopra di loro; in caso contrario sarebbe stata travolta anche lei dall’entusiasmo di quell’abbraccio.
 
“Grazie, Kurt. Ti voglio bene.”
“Sì, lo so. Ricordati che non c’è ancora niente di fatto- ”
“Però tu hai pensato a me. Questo è l’importante.”
 
 

***

 
 
“Kurt! Smettila di coprirti! Più disinvolto.”
Il ragazzo chiuse gli occhi per qualche secondo, nel tentativo di scacciare l’imbarazzo e concentrarsi.
 
D’accordo, era innegabile che fosse davvero poco professionale da parte sua, ma a distanza di anni ancora non riusciva ad apparire completamente a suo agio quando doveva posare senza maglietta, o comunque meno vestito del solito.
Riprovarono per un altro paio di minuti, con Kurt che tentava in tutti i modi di tenere lo sguardo puntato in avanti. I risultati non furono particolarmente soddisfacenti.
 
“Okay, basta. Per carità.” Asserì Paul e, ad un suo schiocco di dita, l’intero staff iniziò a smontare frettolosamente il set e Kurt poté finalmente tirare un sospiro di sollievo. Sapeva benissimo che l’arrivo della bella stagione implicava l’introduzione di un altro tipo di abbigliamento, ma semplicemente non era in grado di farci l’abitudine e – puntualmente – non riuscivano ad andare oltre la semplice t-shirt sbottonata.
Non importava quanto tempo sarebbe rimasto a New York: ci sono cose che fanno parte di noi e basta, non importa dove, come e quando vivi. Kurt ne aveva diverse: una di queste era imbarazzarsi nel rimanere mezzo nudo di fronte a tutta quella gente; aveva come l’impressione di non essere l’unico.
 
“Kurt? Posso parlarti per un secondo?” Il ragazzo sospirò e raggiunse Paul, mentre si riabbottonava la camicetta primaverile che indossava il più in fretta possibile.
“Senti, lo sai che ti adoro. Però devi seriamente fare qualcosa per questa fobia da pelle scoperta, ci siamo intesi?” Kurt annuì di malavoglia, evitando il suo sguardo.
Per aver intendere aveva inteso, il problema era fare davvero qualcosa di concreto al riguardo. Si strinse nelle spalle: al momento aveva una questione ben più urgente da affrontare.
“Per ora terrò la prima parte e le foto meno peggio della seconda. Ma in queste settimane vedi di lavorarci, okay?”
 
“Sì, sì certo. Senti Paul, avrei una proposta da farti.”
Lui lo guardò per qualche lungo secondo, per poi annuire lentamente tentando con scarsi risultati di nascondere il suo interesse.
Paul era il tipo di persona elettrizzata dalle novità, pronta a buttarsi a capofitto in ogni iniziativa che ritenesse anche solo vagamente stimolante: proprio per questo Kurt confidava così tanto di mettere in porto la faccenda di Blaine.
“Vedi, il mio migliore amico è appassionato di fotografia fin dai tempi del liceo, e lo so di non essere la persona più qualificata per dirlo, ma è davvero bravo. Quindi mi chiedevo... E se gli dessi una possibilità?”
Paul lo fissò con tanto d’occhi, accennando un sorriso divertito.
 
“...Mi stai suggerendo di dare il benservito al mio fotografo e far subentrare un tuo amico senza un minimo di esperienza?” Chiese con le sopracciglia sollevate e, più che pienamente contrario, sembrava curioso della sua risposta. Era sempre così con lui: bastava premere sul punto giusto ed era praticamente fatta.
“Certo che no. Però è un talento, Paul: potresti pentirti di non avergli dato nemmeno una possibilità.” Gli disse con serietà, giocandosi il tutto per tutto. Paul annuì brevemente e incrociò le braccia al petto, sospirando pesantemente.
 
“Quindici scatti, Kurt. Gli concedo quindici scatti per impressionarmi.”
“Davvero? Oh, grazie- ”
“A patto che sia tutto a sue spese, che li facciate entro queste tre settimane di pausa e con vestiti tuoi.”
 
Considerando il tipo di richiesta, era anche più di quanto non si potesse aspettare.
 
 

***

 
 
Quando Kurt aveva dato a Blaine la bella notizia, poco c’era mancato che non gli incrinasse una costola tanto l’aveva abbracciato stretto.
Non era sembrato per niente turbato dalle numerose condizioni a cui dovevano attenersi: avere quell’opportunità in assoluto era talmente gratificante che a stento riusciva a vederne gli aspetti negativi.
Proprio per questo la mattina di cinque giorni più tardi Kurt – in piedi davanti alla porta di casa di Blaine – era così agitato.
In fin dei conti, per quanto indispensabile fosse il talento del suo migliore amico, la realizzazione di quel progetto dipendeva in gran parte da lui. Naturalmente aveva intenzione di dare il massimo, si augurava solo che tutta quella pressione si rivelasse negativa sul rendimento effettivo.
 
“Ehi! Buongiorno.” Cinguettò allegro Blaine, spostandosi qualche ricciolo dalla fronte con la punta delle dita. Considerando che prima delle dieci di solito non si esprimeva in altro modo se non con mezze sillabe assonnate, quello era decisamente un bel passo avanti.
 
“Ciao, Blaine!”
“Per una volta non potrai lamentarti quando ti fotografo.” Osservò lui, prendendolo per mano e trascinandolo in casa.
“E dovrai anche sottostare ai miei ordini! Oh, giorno felice!”
“...Sottostare ai tuoi ordini? Blaine, mi sa che hai una visione un tantino distorta dei servizi fotografici- ...Oh mio Dio.”
Kurt si fermò all’ingresso del soggiorno, incapace di mettere un passo dietro all’altro.
 
Il salotto di Blaine... non era più il salotto di Blaine.
 
Cercò istintivamente con lo sguardo dove avesse ammassato tutte le sue benedette riviste di fotografia, o i rullini usati: non ne trovò la minima traccia. La stanza era sgombra, perfettamente pulita e il divano era stato spinto contro al muro per fare spazio a un cavalletto e una schiera di macchine fotografiche disposte ordinatamente su quel tavolino di cui fino all’ultima volta Kurt non aveva nemmeno mai avuto l’onore di vedere il colore, tanto era sepolto da cianfrusaglie.
Inoltre la finestra era spalancata – lasciando entrare la luce diretta del sole – e sulla libreria di fronte era stato attaccato uno di quei grandi teli bianchi che usavano sempre nei servizi al chiuso, e qualche luce.
 
“...Questa non può essere casa tua.”
Constatò qualche secondo di silenzio basito più tardi. Blaine scoppiò a ridere, aiutandolo a togliersi la giacca leggera che indossava.
“Sì, anch’io faccio fatica a crederci.” Kurt strinse un po’ più forte la scatola di vestiti che aveva portato, mentre una parte del suo cervello gli faceva distrattamente notare che – in assoluto – non era mai stato più nevoso per un servizio fotografico.
 
“Va bene, vai a vestirti e cominciamo subito.”
 
 

***

 
 
Era stato divertente – tipo, assurdamente divertente – fino a quando il gioco era finito.
 
Si erano presi il loro tempo, avevano scherzato, avevano alternato un paio di scatti seri a un’infinità di stupidaggini, Kurt si era cambiato almeno una dozzina di vestiti e in bagno c’era una specie di deposito di magliette e pantaloni spiegazzati; tuttavia, fu più o meno allo “sbottonati la camicia” di Blaine che era andato nel panico.
 
Odiava fare quel tipo di servizi – per quanto insensato ed immaturo fosse – e pensare di dover mostrare al suo migliore amico quando fosse schifosamente impacciato gli mandava il sangue al cervello: Blaine l’avrebbe canzonato a vita, o peggio.
Poteva immaginare perfettamente i loro spettri rincorrersi nell’oltretomba a suon di prese in giro.
Blaine fece capolino da dietro l’obbiettivo, in attesa.
 
“Mi hai sentito?”
“No.”
“Ti ho chiesto di sbot- ”
“Cioè, sì. Ho capito. È solo che non voglio farlo.”
 
Disse semplicemente, evitando il suo sguardo: non aveva più avuto bisogno di evitare lo sguardo di Blaine da quando gli aveva confessato di avere quella stupida cotta per lui, in terza liceo. Dopo che Blaine aveva cantato quella serenata al ragazzo del GAP: tempismo eccezionale, davvero.
 
“...Perché, scusa? Se hai freddo posso accendere il riscaldamento.” Si offrì Blaine, sinceramente stupito.
“No, è che... Ho sempre avuto un po’ di problemi in questa parte.” Ammise, ridacchiando con una buona dose di nervosismo.
“Finché devo posare vestito con sciarpe e cappotti va tutto bene, ma quando devo farlo senza maglietta... Beh...”
Al contrario di quanto pensava, Blaine non gli rise in faccia. Piuttosto sorrise, guardandolo dolcemente negli occhi.
 
Kurt si sentì strano.
 
“Aspetta.” Abbandonò definitivamente la macchina fotografica e si avvicinò abbastanza da sfiorargli il collo della camicia con le dita.
“C-Che stai facendo?”
Blaine fece scorrere le mani fino ai primi bottoncini di plastica, sgusciandoli agevolmente dalle asole. Kurt, per quanto si stesse sforzando, non riusciva a formulare un pensiero coerente: sentì la sua pelle sfiorarlo appena ad ogni nuovo movimento, e aveva completamente dimenticato di doversi sentire in imbarazzo.
Tutto ciò su cui era in grado di concentrarsi era il suo migliore amico e il nuovo, improvviso scalpitio del suo cuore, abbastanza forte da lasciarlo stordito più di un attimo.
 
Senza che lui se ne rendesse davvero conto, Blaine era già arrivato fino all’ultimo bottone della sua camicia.
Separò appena i lembi di tessuto, facendolo deglutire.
 
“Visto? Ci riesci benissimo, Kurtie.”
A Kurt non sfuggì il tono traballante nella sua voce, né il modo in cui continuava a far spaziare gli occhi dalla sua clavicola fino all’ombelico.
A un tratto, Kurt non era più così sicuro di stare respirando normalmente.
 
“Uhm... Resta così.” Tolse goffamente le mani dalla sua camicia e si voltò di scatto verso il cavalletto, al quale fu di ritorno un istante più tardi. Blaine sembrava turbato; Blaine non era mai turbato. Appoggiò le dita sulla macchina fotografica e le tenne lì, mentre continuava a guardarlo.
“...Blaine?” Lui si scosse e improvvisò un mezzo sorriso, sparendo velocemente dietro all’obbiettivo.
 
Kurt se ne stava lì, con la mente annebbiata, spostando il peso da un piede all’altro.
“Come devo mettermi?”
“Apri un po’ la camicia e girati a tre quarti verso la finestra.” Kurt fece come gli era stato detto, tenendo gli occhi fissi sulle imposte.
 
Era buffo, sotto un certo aspetto.
Era dai tempi del liceo che non si sentiva tanto turbato dalla presenza di Blaine, da quando gli era risultato fin troppo ovvio che tra loro non ci sarebbe mai potuto essere altro se non pura e semplice amicizia.
Col tempo avevano avuto modo di diventare una specie di punto fermo nelle reciproche esistenze: appena ad uno dei due succedeva qualcosa, il primo a venirlo a sapere era l’altro; anche quando non succedeva niente, in realtà. Kurt aveva avuto talmente tanto tempo per godere dell’amicizia di Blaine da aver dimenticato che cosa si provasse ad esserne innamorato.
Perché sì, c’era stato un periodo in cui era innamorato di lui. Lo amava nel modo stupido, cieco e totalizzante in cui amano gli adolescenti, ma lo amava.
 
Di punto in bianco, in quella stanza, in quel momento, dopo anni, Kurt iniziava a ricordare perché.
 
“No.” Lo ammonì dolcemente Blaine.
“Guarda me.”
Kurt girò la testa, lasciando che i bordi della camicia accarezzassero la sua pelle. Guardò dritto nell’obbiettivo, perché sapeva che Blaine lo stava osservando attraverso quest’ultimo.
“Perfetto. Non muoverti...”
 
Perché Blaine aveva gli occhi più dolci, più belli che avesse mai visto in tutta la sua vita.
“Okay. Ne faccio un’altra, tu continua a guardarmi.”
Perché adorava quando Blaine sorrideva, ma soprattutto adorava quando lo faceva a causa sua.
“Piega la testa in alto, appena un po’, e girati di spalle. E non smettere di guardarmi.”
Perché non voleva bene a nessuno quanto ne volesse a Blaine e magari, in fondo, non aveva mai smesso di desiderare di fare un passo avanti, gettare a terra quella macchina fotografica costantemente davanti alla sua faccia e baciarlo. Esattamente come voleva fare in quel momento.
 
“Aspetta lì. Non ti muovere.”
Blaine fece capolino da dietro al piedistallo, e Kurt andò nel panico. Non poteva pensare cose del genere: non era corretto, e nemmeno possibile che fossero ancora parte di lui, dopo tutti quegli anni.
Non poteva accettare di essere lo stesso ragazzino idiota delle superiori, che pendeva dalle sue labbra e interpretava ogni sciocchezza come un’implicita dichiarazione d’amore.
Era stato quella persona per tanto tempo e cambiare era stata una sfida complicata; non avrebbe mai creduto di poter tornare sui suoi passi così in fretta, così stupidamente.
 
Blaine lo prese per la vita e lo fece girare verso di lui, per stropicciargli un po’ il colletto della camicia.
Gli disse di infilare una mano in tasca, lasciando così scoperta un’altra buona dose di pelle: non si sentiva in imbarazzo, si sentiva solo un idiota. Blaine continuava a essere lì, a toccarlo e a dirgli cosa doveva e non doveva fare.
Continuò a farlo per un’altra manciata di secondi, fino a quando Kurt non riuscì più a sopportarlo.
 
Tolse le mani dalle tasche, le portò dietro la nuca di Blaine e lo baciò.
 
Così, come aveva sempre fantasticato di fare al liceo senza averne mai avuto il coraggio.
 
Come aveva immaginato sarebbe successo il San Valentino di molti anni prima, e invece Blaine era innamorato di un altro e non voleva rovinare la loro amicizia.
 
Quando Kurt si rese conto che esattamente in quell’istante – nelle proprie labbra sulle sue – iniziava e finiva la loro amicizia potenzialmente eterna, ormai lo stava già baciando. E sì, baciare Blaine era esattamente come se l’era sempre aspettato.
Era qualcosa che per tutto quel tempo era sempre stata lì, bellissima, in attesa di essere presa. Così Kurt l’aveva fatto; se ne sarebbe pentito amaramente più tardi, ma non in quel momento.
 
Non mentre lo teneva stretto e gli dava quei due piccoli baci sulle labbra, perché non riusciva a respirare e se fossero durati un istante più a lungo sarebbe morto. La prima volta Blaine rimase immobile, la seconda lo baciò a sua volta, separandosi con piccolo schiocco quando si allontanarono.
E fu più o meno a quel punto che Kurt realizzò cosa aveva appena fatto. Avrebbe dato qualsiasi cosa per riavvolgere il nastro di mezzo minuto, ma aveva avuto due opzioni: avere Blaine come amico per sempre, o averlo come non aveva mai smesso di volerlo per trenta secondi; aveva fatto la sua scelta.
 
Kurt poteva ancora sentire il suo respiro sulle labbra, e in qualche modo gli spezzò il cuore.
 
Aveva troppa paura di cosa avrebbe potuto trovare guardandolo negli occhi, così non lo fece.
Uscì di casa senza dire una parola, dopo aver combinato il più grande disastro della sua vita.
 
L’avrebbe rifatto all’infinito.
 
 

***

 
 
Era una settimana che Kurt non vedeva e non sentiva Blaine, ed era assurdo, semplicemente assurdo stare senza il suo migliore amico.
Perché erano questo, in primo luogo: migliori amici.
Quanto al fatto che lui non aveva smesso di amarlo fin dai tempi di Teenage Dream beh, quello era un altro discorso.
In fin dei conti, magari in terza liceo era meno infantile di adesso.
 
Kurt stava giusto macchinando l’ennesima scusa vagamente plausibile che l’avesse spinto a baciare Blaine, così da propinargliela e sperare che lo perdonasse, quando il cellulare trillò l’arrivo di un messaggio.
 
14:17
– Nella tua cassetta della posta ci sono le 15 foto dell’altro giorno. Le ho sviluppate e sono venute benissimo. Mi manchi. –
 
14:19
– La prossima settimana le porto a Paul. Anche tu mi manchi, e mi dispiace. –
 
14:19
– Mi mancano le nostre partite a Wii Sport <3 –
 
14:20
– Mi manca batterti clamorosamente a Wii Sport <3 –
 
14:22
– Vieni qui? Per favore? –
 
Kurt esitò a lungo prima di rispondere.
 
14:29
– Adesso non posso. Ma vengo a dirti cosa ne pensa Paul delle foto tra qualche giorno :) –
 
Blaine non rispose.
 
 

***

 
 
Kurt iniziava seriamente a preoccuparsi.
 
Erano dieci minuti buoni che Paul si rigirava con aria critica le fotografie tra le mani, esaminandole con un’attenzione quasi maniacale.
Ripensandoci, consegnargli la busta con gli scatti di Blaine a scatola chiusa – senza nemmeno dare una sbirciatina – non rientrava esattamente tra le sue idee più brillanti.
Paul prese una foto delle quindici che aveva in mano e la passò davanti a tutte le altre.
 
“Kurt? Vieni qui, per favore.” Kurt lo affiancò all’istante, sbirciando curioso – nonché vagamente preoccupato – da sopra la sua spalla.
“Sai cosa significa questo?” Chiese, sventolandogli lo scatto davanti al naso. Il ragazzo afferrò i bordi di quest’ultimo, in modo da riuscire a metterlo a fuoco.
 
Oh, beh. Era... Bella. Molto bella, in realtà. Forse intensa avrebbe reso meglio l’idea.
 
Si trattava dell’ultima foto che Blaine gli aveva scattato prima che lui lo baciasse: era di spalle e guardava in camera, con la testa leggermente piegata all’indietro. I colori erano stati modificati; sembravano più tenui, e in qualche modo tutti tendenti ad unico punto.
Kurt guardò la sua stessa espressione: non c’era modo che Blaine non avesse capito che in quel momento voleva solo mandare all’aria tutto quanto e baciarlo. Era talmente ovvio che Kurt si sentiva quasi in imbarazzo a farsi vedere in quel modo da Paul.
 
“...C-Cosa significa?”
“Che quel ragazzo farà bene a portare qua il suo didietro e unirsi allo staff. Diglielo, e digli anche di muoversi.” Ordinò, sbrigativo e concreto come sempre.
Kurt era talmente felice per Blaine che non riuscì a non esultare come un povero idiota. Certo, sarebbe stato tremendamente imbarazzante vedersi ogni giorno dopo quello che aveva combinato, ma in qualche modo era sicuro che le cose avrebbero ritrovato un loro equilibrio.
Quel pomeriggio sarebbe tornato da Blaine per dargli la bella notizia, si sarebbe inventato una scusa esaustiva per quello stupido – meraviglioso – bacio e avrebbero semplicemente finto che non fosse mai successo.
 
A quel punto non gli sarebbe rimasto che dimenticare di essere innamorato di lui.
Di nuovo.
 
 “Se posso chiedere, cosa c’è fra voi due?”
“...Cosa?”
“Potevi dirlo subito che state insieme.” Riprese tranquillamente, a quanto pareva del tutto ignaro di quanto quel discorso stesse lasciando Kurt spiazzato.
Per un momento arrivò addirittura a pensare che tra quelle foto ce ne fosse una del bacio che aveva rubato a Blaine, prima di rendersi conto di quanto quell’idea fosse priva di senso logico.
 
“Noi... No. Cioè, io- ”
“Li vedi questi occhi, Kurt? Il modo in cui guardi in camera in ognuna delle fotografie? Tu non hai idea da quanto tempo cerco qualcosa del genere.”
Kurt abbassò d’istinto lo sguardo, sentendosi improvvisamente molto più nudo di tutte le volte in cui Paul aveva provato a fargli fare dei servizi con qualche strato in meno.
 
“Qui non cerchi di nasconderti, vedi? Non te ne importa minimamente. Tutto quello che vedi è l’obbiettivo: sembri muoverti verso di lui nonostante tu sia immobile.”
“Sì.” Ammise semplicemente.
Perché era vero, era palese che si trattasse del suo servizio migliore di sempre. Paul gli batté una mano sulla spalla, rivolgendogli un sorriso complice.
 
“Qualunque sia la ragione che ti fa guardare in camera in quel modo, credo che lui meriti di saperla.”
 
 

***

 
 
Kurt Hummel non era un codardo, non lo era mai stato e di certo non avrebbe cominciato quel giorno.
 
Nel lungo tragitto che separava il set dove aveva passato la mattinata e casa di Blaine ebbe tutto il tempo necessario per ripetersi mentalmente la più varia abbondanza di discorsetti che avrebbe potuto propinare al suo migliore amico per ammettere che sì, gli piaceva, e no, quel bacio non era stato dettato da un raptus di follia o altre idiozie del genere.
L’aveva fatto perché era dalla terza liceo che lo desiderava, cosa che rendeva spaventosamente chiaro perché non era mai riuscito a farsi piacere sul serio nessun altro ragazzo.
 
Kurt sapeva perfettamente che ammettere una cosa del genere avrebbe rovinato irrimediabilmente la loro amicizia, esattamente come sapeva che non farlo l’avrebbe infettata in un modo ancora più irreversibile. Per questo – arrivato davanti a casa di Blaine – non voleva più mentire a lui né a se stesso.
Non sarebbe più scappato come di certo avrebbe fatto qualche anno prima: avrebbe semplicemente affrontato la situazione prendendosi le sue responsabilità.
 
Quando la porta si aprì, Kurt aveva già in mente cosa dire: giusto qualche giro di parole sul fatto che probabilmente non aveva ancora superato quei sentimenti irrisolti che si portava dietro da quando erano adolescenti; che gli dispiaceva e che capiva se non voleva più essere suo amico e no, in realtà al momento non aveva idea di come avrebbe fatto senza di lui ma avrebbe trovato un modo, prima o poi.
 
Cercò di ricacciare indietro il principio di una lacrima e poi Blaine aprì la porta, lasciandolo lì impalato all’ingresso. Era bellissimo, come sempre. E se solo Kurt non avesse esitato quel singolo istante avrebbe potuto iniziare tranquillamente uno dei suoi sproloqui, ma fu Blaine a parlare per primo.
 
“Perché mi hai baciato?”
“Perché ti amo.”
 
Perché ti... Oh, no.
 
Se solo fosse stato un altro momento, Kurt avrebbe riso dei suoi propositi di andarci coi piedi di piombo buttati così platealmente al vento.
Per un momento fu in procinto di scusarsi, ma davvero, per cosa esattamente avrebbe dovuto discolparsi? Per essere innamorato di lui?
Era una follia, non una colpa.
 
“Non avrei mai voluto che andasse a finire in questo modo, io... credo sarebbe meglio per entrambi che non ci vedessimo più per un po’ e- ”
“Vieni.”
“...Come?”
“Vieni!”
Ripeté Blaine allungandogli la mano con il suo solito sorriso allegro. Quello del suo migliore amico e Dio, aveva fatto un disastro.
Perché Blaine non gli si teneva a distanza? Perché non gli dava ragione e si dimenticava di lui? Perché doveva essere se stesso in un modo così devastante ogni santissima volta?
 
“Non credo che sia una buona idea.” Lui scosse la testa, prendendo la sua mano con urgenza.
“Sì che lo è. C’è una cosa che devi vedere.”
 
Kurt distolse lo sguardo, arrossendo come mai gli era capitato di fronte a Blaine. Avergli confessato i suoi sentimenti così apertamente senza ricevere una straccio di risposta in cambio lo faceva sentire più vulnerabile di quanto non fosse mai stato; si augurò soltanto che non avesse intenzione di rifilargli uno dei suoi soliti scherzi idioti o peggio, fare finta che non avesse detto niente o pretendere di non aver capito.
Primo, non lo avrebbe sopportato; secondo... Come avrebbe potuto essere più chiaro di così?
 
Blaine lo trascinò con sé dentro casa, passando per il salotto – di nuovo immerso nel suo consueto ed adorabile caos – fino ad arrivare in camera da letto. Gli fece cenno di sedersi sul bordo del materasso, mentre lui trafficava con il primo cassetto del comodino.
Kurt si sedette cautamente, in bilico sull’angolo più esterno, con le guance che scottavano e le labbra in procinto di sanguinare da un momento all’altro stando a quanto forte le stava mordendo. Sentì un cassetto chiudersi alla sua destra, cosa che tuttavia non gli fece scollare gli occhi dal pavimento.
 
“Non credo che tu abbia capito come stanno le cose.”
Blaine non disse niente, limitandosi a sedersi al suo fianco e passargli un grosso librone con la copertina blu notte, contornata da ghirigori bianchi disegnati a mano.
 
Era evidentemente un album di fotografie, ma Kurt continuava a non capire dove stesse il punto, a parte la sua personale mortificazione.
 
“Blaine... Scusa, ma non ho voglia di guardare delle foto con te. Oh, e Paul ti vuole in squadra, comunque. Forse è meglio che vada- ” Fece per restituirgli l’album, ma Blaine mise le proprie dita sulle sue, facendogli aprire la prima pagina.
Kurt era talmente preso dal calore delle loro mani una sull’altra che ci mise un po’ più del dovuto a mettere a fuoco l’immagine che gli si parò davanti.
 
“Blaine? Ma questo...”
“...Sei tu. Il giorno in cui ci siamo conosciuti alla Dalton.”
 
Kurt non riusciva a credere ai suoi occhi.
A stento ricordava di essersi lasciato fare quella fotografia, però sì, sapeva di aver da subito catalogato Blaine come un tipo strano: non è da tutti chiedere a una persona appena conosciuta di poterla immortalare. Era appoggiato allo stipite della porta dell’aula canto dei Warblers e gli rivolgeva un sorriso insicuro, con i capelli leggermente schiacciati sulla fronte che portava all’epoca. Kurt sorrise, tracciando i contorni della fotografia.
 
“È passato così tanto tempo... Perdi le cose continuamente, non capisco come hai fatto a conservare questa foto.”
“Gira pagina.”
 
Kurt lo fece, fissando con lo stesso sbigottimento anche l’immagine successiva.
“Qui siamo io e te la prima volta che siamo usciti insieme. Avevo comprato due biglietti per Rent ed ero terrorizzato all’idea che non ti andasse di venirci da solo con me.” Fece per dire qualcosa, ma Blaine aveva di nuovo voltato pagina.
 
“Siamo io e Mercedes, quella volta che siamo andati al Breadstix insieme.” Proseguì Kurt, continuando a sfogliare l’album.
“Noi alle provinciali dopo Hey Soul Sister, io dopo il tuo spettacolo natalizio alla Dalton, noi due al Superball, i... i due pupazzetti di San Valentino che ti avevo fatto vedere al Lima Bean, io che bevo il caffè.” Kurt rise alla foto successiva, che lo ritraeva con un paio di ridicoli baffi di latte.
 
“Io che... dormo? Quando diavolo mi hai fatto questa foto?!” Blaine si grattò il retro del collo con un sorriso imbarazzato.
“La sera della festa a casa di Rachel. Ero ubriaco e mi hai portato a dormire da te; di notte mi sono svegliato e ho dovuto farla.” Kurt non commentò, limitandosi a voltare pagina.
 
“E questa?”
“Stavi decorando la bara di Pavarotti. Non si vede molto bene perché sei di schiena- ”
“Saresti anche potuto entrare a darmi una mano invece di rimanere nascosto.” Blaine si strinse nelle spalle.
 
“Avrei potuto.”
 
Kurt continuò a voltare le pagine, in quella marea di fotografia che lo vedevano sempre e comunque protagonista.
Passò dal ballo di fine anno della terza, al quale Blaine si era offerto di accompagnarlo dato che non aveva un ragazzo; tradizione che si rinnovò anche l’anno successivo. Proseguì tra innumerevoli scatti di lui e Blaine al McKinley durante il suo ultimo anno: non aveva mai capito in pieno il motivo del suo trasferimento.
C’era qualche foto di loro due al cinema, una di Halloween e almeno una decina del giorno del suo diploma. Nella foto successiva erano all’aeroporto di New York quando – dopo un lungo anno passato in Stati diversi – Blaine l’aveva finalmente raggiunto nella città dei loro sogni.
 
L’ultima immagine dell’album era la foto che Blaine gli aveva scattato alla fine del suo penultimo servizio, quando Kurt era andato a casa sua a bere una tazza di latte e a chiedergli di diventare il suo fotografo.
Prima che tutto quello si incrinasse rovinosamente. Kurt avrebbe voluto dire tante, troppe cose, così finì per dirne solo una.
 
“Sei uno stalker.”
 
Blaine – che aveva visibilmente trattenuto il fiato tutto il tempo – scoppiò a ridere.
“Tecnicamente no, visto che sono state tutte consenzienti. Beh, quasi tutte- ”
“Blaine.”
“Okay, okay. Te lo concedo.”
 
Kurt si voltò a sorridergli, e per un attimo dimenticò completamente il putiferio in cui era andato a cacciarsi solo per un piccolo, meraviglioso bacio. Per un attimo ritrovò lo sguardo allegro e spensierato del suo migliore amico e – se da un lato era un sollievo – dall’altro gli provocava un senso di oppressione al petto quasi insopportabile.
Erano lì, seduti su un letto, ed era come se tutte le fotografie che avevano appena guardato si riassumessero in quell’esatto istante.
 
Era riduttivo, non giusto, ma innegabile.
 
Rimasero fermi a guardarsi per quella che parve un’eternità prima che Blaine abbassasse gli occhi, fissando i contorni della copertina del suo album, che stava tracciando distrattamente con la punta delle dita.
 
“Sai, quando sei corso via dopo il servizio dell’altro giorno avrei davvero voluto avere una foto di quel bacio.”
Kurt non ebbe il tempo di reagire il alcun modo, perché Blaine continuò.
 
“Credevo di averti perso tanti anni fa, a San Valentino. Quando ti ho detto che non volevo rovinare la nostra amicizia e che non ero bravo con le storie d’amore: me ne sono pentito circa venti secondi dopo.
Ma ormai era fatta, giusto? Mi sembrava troppo presuntuoso dirti di aver cambiato idea e... Beh.” Blaine prese un profondo respiro, come se temesse di rimanere senz’aria da un momento all’altro.
 
“Quando mi hai baciato avrei voluto scattare una foto perché non credevo sarebbe più successo. Alla fine sei stato tu a fare un passo avanti.
...E pensare che è tutta la vita che raccolgo e conservo ogni sprazzo di te con la paura di perderti da un momento all’altro, Kurt.”
 
È questo che si prova.
È questo che si sente quando le infinite strade percorse nella propria vita convergono in un unico punto e tornano indietro, dall’inizio.
 
Kurt si alzò dal letto, prese la macchina fotografica sul comodino di Blaine, aprì il primo cassetto, la mise lì dentro e richiuse.
 
Il suo migliore amico – lo sarebbe rimasto, non aveva importanza quanto amore si sarebbe aggiunto al suo semplice volergli bene – si rimise in piedi a sua volta, gli sorrise dolcemente e, quella volta, Kurt lasciò che fosse lui a baciarlo.
 
Mentre affondava una mano nei suoi capelli, sapeva già che nessuno dei due avrebbe avuto più bisogno di sussurrare ti amo a una fotografia.
 
 

***

 
 
 
 









 
 
Eccoci qui ^_^!
Lo dico subito: questa è la mia Shot preferita tra quelle che ho scritto fin’ora (devo ancora finire Dalton e Winter in NY).
Mi piace perché c’è tutto: non è troppo AU, perché in fin dei conti la trama è la stessa di Glee se non per il fatto che Blaine – come dice lui stesso – avrebbe potuto aiutare Kurt con la bara di Pavarotti, ma non l’ha fatto. Poi nel finale c’è un “Tornare indietro, dall’inizio” che mi ha rimandata a “Take me back to the start”, ma in chiave nettamente positiva u.u
Oh, e c’è anche “Stalker!”, molto CrissColfer style, nonché tutta la prima parte in cui sono solo amici, ed adoro scrivere di loro così, oltre che innamorati. E poi sì, ovviamente una vagonata del mio amato fluff :’)!

Spero tanto che questa storia vi sia piaciuta, perché la considero un po’ come il fulcro della mia Klaine week :)
Ne approfitto per ringraziare le meravigliose persone che hanno recensito Skank/Nerd e tutte le altre Shot! Siete adorabili :’)!!
A domani con il penultimo prompt, Dalton <3

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Capitolo 6
*** Day#6_The list ***


Titolo: The list
Rating: Verde
Avvertimenti: Missing Moments, AU
Prompt: Day six, Dalton Klaine
Lunghezza: 3500 parole
Note: Ambientata dopo l’episodio di San Valentino della seconda stagione. POV!Kurt

 
 




Klaine week; Day#6






Dalton Klaine__"The list"

 
Kurt si lasciò cadere a peso morto sul letto, che cigolò pericolosamente sotto di lui – non sarebbe stata la prima volta che cedeva una doga, schiantandosi per terra con un baccano infernale – ma quella sera, in tutta franchezza, non gliene poteva importare di meno.
Del letto, delle doghe, del rumore e di quanto oscenamente patetici dovessero sembrare i suoi sospiri sconsolati.
 
Si mosse un po’ sul quel suo scomodissimo materasso, con una molla che gli si conficcava allegramente tra le scapole.
Era stato un povero illuso fin dall’inizio.
 
Lo era stato da quando tra tutti i santissimi studenti della Dalton aveva fermato proprio Blaine, quel Blaine che l’aveva preso per mano – per mano, che diamine – e l’aveva praticamente pregato di mettere le mani sui suoi skinny jeans, il tutto venti secondi dopo essersi presentati. Quel Blaine che gli aveva offerto un cappuccino, scritto messaggi e sorriso – e Dio, il modo in cui gli sorrideva – ogni santa ora di ogni santo giorno.
 
In definitiva, Kurt si era illuso di avere una speranza con lui.
Kurt si era illuso di avere molto più di una speranza con lui, a dire il vero. Ogni persona sana di mente ne sarebbe stata convinta e Kurt non poteva dirsi un’eccezione: dopotutto aveva passato buona parte del suo secondo anno  a farsi film mentali sul quarterback della squadra di football, suo attuale fratellastro in seguito ad un ingegnoso piano per andare a vivere sotto lo stesso tetto.
 
Poco male, comunque.
Con quella sera la sua vita sentimentale poteva dirsi definitivamente conclusa – non che fosse mai iniziata, ma non era quello il punto.
Kurt si rigirò con violenza sul letto e ficcò la testa sotto il cuscino, mentre tirava sbadatamente una ginocchiata alla molla che gli stava perforando la colonna vertebrale.
 
Naturalmente – secondo l’infallibile legge secondo cui se qualcosa ti sta andando da schifo il karma troverà sempre e comunque il modo di aggravare la situazione – una doga del letto si schiantò al suolo.
Di nuovo.
 
“Che palle!”
L’aveva praticamente urlato da sotto il cuscino, che gli aveva attutito la voce rendendola semplicemente ridicola. E forse a quel punto la situazione sarebbe ancora peggiorata, se solo avesse avuto modo di sentirsi più ridicolo di così.
La porta della stanza si aprì in quel preciso istante, cosa di cui Kurt a malapena si accorse.
Rimase immobile per qualche lungo secondo, poi iniziò a preoccuparsi. Il suo compagno di stanza non era tipo da tenere la bocca chiusa per più del tempo necessario a prendere fiato tra un’idiozia e l’altra.
 
“...Jeff?”
“Ti descrivo la situazione. Io entro tranquillamente in camera, felice e contento di aver trafugato dalla cucina i dolcetti di San Valentino, e vengo qui con l’intenzione di condividerli con te.”
“Mmh.”
“E tu sei lì con un cuscino in faccia neanche stessi inscenando un suicidio, in pigiama, con la doga difettosa per terra che urli che palle.”
 
Kurt sospirò – rischiando peraltro di affogarsi, visto l’ammasso di piume d’oca che aveva in faccia.
Stare in camera con Jeff non era una cosa semplice: non che non fosse un ragazzo simpatico o cose del genere, solo... era impegnativo, ecco tutto.
C’era la possibilità che Kurt avesse fantasticato su quanto sarebbe stato gratificante appenderlo ad una trave con un rotolo di calzini in bocca, giusto per vedere se almeno quello sarebbe stato in grado di tenerlo fermo e zitto per più di una manciata di secondi.
 
“Kurt? Non vuoi un po’ di cioccolatini di contrabbando?” Nessuna risposta.
Jeff alzò gli occhi al cielo – Kurt ne aveva la più assoluta certezza, nonostante non potesse vederlo.
“Esci da quelle coperte? Sembri mio nonno con un brutto pigiama.”
“Il mio pigiama è uguale al tuo, genio. Fa parte dell’uniforme.” Borbottò Kurt da dietro al suo cuscino, sprofondando leggermente nel solco lasciato dalla toga caduta rovinosamente al suolo.
Un secondo dopo Jeff gli aveva strappato la federa di mano, lanciando il cuscino ai piedi del letto.
 
“Sì, ma io lo porto con un certo stile.” Kurt non commentò quell’ultima uscita, ed era abbastanza sicuro che fu proprio in seguito a questa sua mancanza che Jeff si allarmò seriamente: non era da lui lasciarsi sfuggire la possibilità di lanciare una qualsivoglia frecciatina in ambito di eleganza e portamento.
Se di eleganza e portamento si può parlare quando l’argomento sono pigiami.
Il biondo sbuffò e lo tirò per un braccio, facendolo alzare di peso dal letto. Kurt si sentì giare la testa per l’improvvisa posizione verticale, o più probabilmente per tutta la frustrazione che aveva accumulato quel giorno.
 
“Ancora problemi con Blaine, Kurtie?” Il ragazzo lo fissò con tanto d’occhi, allargando le braccia.
“Non lo so, tu cosa ne dici? Dopotutto l’abbiamo solo aiutato a proporre un’imboscata collettiva a un tizio con la tinta e i capelli frisé, perché mai dovrei deprimermi?” Sbottò, liberando il braccio dalla presa dell’amico, deciso a spostare di peso il materasso e rimettere in sesto quella fottutissima doga.
 
Fallì miseramente.
Un po’ perché era oggettivamente pesantissimo, un po’ perché sbucavano speroni di molle da ogni dove, rendendo difficoltosa la sola impresa di afferrarlo. Jeff venne in suo aiuto, aiutandolo a far scorrere il materasso sull’impalcatura del letto.
 
“E pensare che avresti potuto esserci tu, al posto del biondino frisé...” Commentò, ricevendo un’occhiata assassina da Kurt.
“Non sei divertente.”
“Voglio dire... Stai sbagliando tutto, Kurt. È per questo che tu e Blaine non siete ancora l’ennesima allegra coppia formatasi alla Dalton.” Kurt afferrò la doga incriminata, spingendo al fine di farla rientrare nella sua sede.
 
“E con questo cosa vorresti dire?”
“Voglio dire,” un ultimo strattone e l’asse di legno era al suo posto “voglio dire che se mai io dovessi prefiggermi di conquistare Blaine Anderson – Dio non voglia –la tecnica che userei non sarebbe certo la tua.”
Kurt sollevò un sopracciglio, cercando di non dimostrarsi troppo interessato: era sempre meglio mantenere una certa patina di scetticismo quando si parlava di un’idea di Jeff.
“...Spiegati meglio.” Il biondo si strinse nelle spalle.
 
“Ad esempio, stai deliberatamente ignorando la lista.”
 
Le sopracciglia di Kurt erano talmente inarcate che non si sarebbe stupito di vederle sparire oltre l’attaccatura dei capelli: doveva sospettare che sarebbero finiti nel demenziale, prima o poi.
Quando formulò la domanda seguente, sapeva già che si sarebbe pentito di averla posta.
 
“...La lista?”
“Certo. La lista.”
Quale lista?” Jeff lo guardò come se avesse appena affermato di avere un allevamento di lucertole nell’armadio, sedendosi cautamente sul letto come se fosse in procinto di svenire.
 
“...Aspettami qui.” Mormorò con aria sconvolta qualche secondo dopo, alzandosi dal materasso ancora non perfettamente in sesto e dirigendosi a grandi passi verso la porta.
Kurt lo guardò andare via con aria piuttosto perplessa. Condizione che non poté che peggiorare, quando due minuti più tardi Jeff fece il suo trionfale ritorno, purtroppo per Kurt non da solo.
 
“Oddio...”
“Nick, abbiamo un problema.” Proclamò il biondo, indicandolo con fare accusatorio.
Kurt si domandò distrattamente per quale cavolo di ragione non solo gli venisse negata la possibilità di stare con Blaine, ma anche quella di struggersi per il medesimo motivo.
Se solo il ragazzo che gli piaceva non avesse appena esternato le sue ambizioni di saltare addosso a un altro in un vicolo buio magari avrebbe anche riso di tutta quella situazione. Peccato che se sopportare Jeff e Nick in condizione normale è difficile, farlo quando si ha solo voglia di ascoltare musica triste e piangere tutte le proprie lacrime è praticamente impossibile.
 
“Kurt è depresso? Strano...”
“No, peggio.”
“C’è di peggio?”
“Non sa cos’è la lista.” Il modo in cui lo diceva ricordava terribilmente la parola d’ordine segreta di una qualche setta satanica, ma Kurt era troppo giù di corda per darci peso. Neanche a dirlo, Nick gli riservò la stessa occhiata sconvolta che aveva ricevuto dall’altro cinque minuti prima.
 
Cosa aveva fatto di male nella sua vita?
 
“Tu... Lui non sa...?” Jeff sfoderò un sorriso trionfale e si sedette sul letto affianco a Kurt, passandogli un braccio attorno alle spalle.
“Kurt, mio caro... è naturale che dopo tutto questo tempo sei ancora lì a sbavare dietro a Blaine senza aver concluso nulla.” Nick annuì, sedendosi a sua volta accanto a lui.
 
“Esatto. Vedi, il tuo non è il primo e non sarà l’ultimo dramma amoroso qui alla Dalton...” Jeff annuì.
“Nick ha ragione. Però c’è una via d’uscita. Da anni alcuni di noi, i più esperti nelle relazioni amorose ovviamente, scrivono una lista di dieci punti e la danno alle matricole – sotto pagamento, è chiaro. In questo modo anche loro potranno disporre di tutte le direttive necessarie a conquistare il ragazzo dei loro sogni- ”
 
“Okay, fermi.”
Kurt aveva già una discreta serie di passaggi assurdi da chiarire, così chiese spiegazione, ancor prima di potersi dare dell’idiota da solo: perché pretendeva ancora di dare un senso ai discorsi di Jeff e Nick?
“Prima cosa. Se queste vostre liste sono tanto famose, come mai non ne ho mai sentito parlare?”
“Beh...”
“Secondo: mi state dicendo che tutte le matricole richiedono questa lista? Sono tutti gay in questa scuola?”
“Sì. Decisamente sì.” D’accordo. Questo aveva un senso, dopotutto: doveva concederglielo.
“Punto terzo: nel caso vi fosse sfuggito, in non sono una matricola!” Jeff e Nick si scambiarono un’occhiata di sufficienza.
“Lo sappiamo, Kurt. Peccato che da come sei messo ne hai molto più bisogno tu di una matricola.”
“Come siete carini...”
 
“Jeff? Passami un foglio.” Lui si alzò a colpo sicuro dal letto, raggiungendo in un batter d’occhio la scrivania. Kurt sgranò gli occhi.
“...Cosa? No, io non ho bisogno di nessuna lista- ” Nick estrasse una penna dall’astuccio bellamente rovesciato ai piedi del letto, facendosela rigirare tra le dita.
“Ti dirò di più. Sarà una lista personalizzata, e gratis, per giunta! Dieci semplici step per conquistare Blaine Anderson- ”
 
No! Ragazzi, davvero. Gli ho già confessato i miei... sì insomma, che mi piace oggi al Lima Bean, e lui ha detto che non vuole rovinare la nostra amic- ”
“Lo vedi? Partiamo già malissimo. Nick, scrivi: mai far capire a un ragazzo che si è interessati a lui.”
Nick annuì con l’aria di chi la sa lunga, scarabocchiando qualcosa all’inizio del foglio che Jeff gli aveva allungato; Kurt li fissò con tanto d’occhi.
 
“Ehm... Ragazzi? Ormai è fatta: gli ho già detto che mi piace- ”
“Zitto, Kurt. Fai parlare gli esperti.”
“Ma- ”
“Okay, punto primo: i vestiti.”
“I vestiti?”
“I vestiti. Devi metterti qualcosa di provocante, tipo... uhm...”
“Quelle camice scollate davanti? Cosa ne pensi?”
“Sì! E senza canottiera, magari con un bel- ”
“Ragazzi. Alla Dalton portiamo l’uniforme.”
 
Intervenne Kurt, che li aveva lasciati degenerare in solitaria fino a quel momento. E, anche volendo, era seriamente difficile riuscire ad immaginare scena più patetica di se stesso chiuso in una stanza a ricevere le dritte amorose di due decerebrati il giorno di San Valentino.
Di nuovo, Kurt si ritrovò a pensare di dover essere stato davvero una persona spregevole nella sua vita precedente.
 
“...Questo è vero.” Convenne Nick, dopo qualche minuto di silenzio imbarazzante. Jeff si strinse nelle spalle.
“Beh, poco male. Passiamo al secondo punto...”
 
Kurt sospirò, tornando a distendersi su quel materasso disumano.
 
Sarebbe stata una lunga, lunghissima notte.
 
 

***

 
 
Kurt sapeva che era un’idea terribile.
 
Terribile era riduttivo, a dire il vero: era più o meno la peggiore idiozia che avesse mai messo in atto nella sua intera esistenza.
La verità era che non credeva sarebbe mai stato così disperato da accettare l’aiuto di Jeff e Nick e invece, dopo quel disastroso giorno di San Valentino, Kurt aveva finito per provare anche l’ultima spiaggia: la lista.
Già, era ridicolo solo pronunciare quel nome con tale trasporto, ma ormai aveva in mano il suo insulso pezzetto di carta ed era intenzionato di giocarsi il tutto e per tutto: dopotutto Blaine non l’aveva rifiutato per davvero, si era solo detto preoccupato di poter rovinare il loro rapporto nel caso non fossero stati capaci di gestire una storia d’amore... Bastava insistere un altro po’... Non si era mai sentito più patetico.
 
Percorse a passo esitante il parcheggio semideserto del Lima Bean, dove aveva in programma di incontrarsi con Blaine per fare colazione insieme prima delle lezioni, come ogni giorno.
Kurt deglutì, allentandosi appena la cravatta a strisce blu e rosse stretta al suo collo; primo punto all’ordine del giorno: flirt. Kurt era assolutamente incapace in questo.
 
Come se non bastasse, Jeff e Nick gli avevano raccomandato di essere piuttosto spudorato nel farlo, per poi aprire le porte al secondo punto della lista: gelosia, che avrebbero sviluppato nei giorni seguenti.
Quanto agli altri step, Kurt si era addormentato sull’acceso dibattito su quale avrebbe dovuto essere il colore dei capelli del suo fidanzato immaginario.
 
“Kurt!” Ed eccolo lì, bellissimo come sempre.
Kurt dovette trattenere a stento un sospiro sognante, come ogni volta che incontrava gli occhi luminosi del ragazzo per cui aveva completamente perso la testa.
“Blaine, ciao...” Al solito. Possibile che dovesse sempre sentirsi un idiota quando era davanti a lui? Possibile che... Oh, al diavolo.
“Vogliamo prendere i nostri cappuccini?” Kurt annuì meccanicamente, e il suo cervello era già in procinto di macchinare l’ennesima conversazione sull’ultimo Musical che avevano visto insieme, quando si ricordò.
Flirt. Flirt palese e – in effetti – magari quello era davvero l’unico modo.
 
“...Ti stanno bene oggi. Sai, i capelli.” ...Cosa c’era di sbagliato in lui?
Blaine lo fissò con aria stupita, portandosi una mano tra i ricci semi immobilizzati dal gel.
“Uh, grazie. Senti Kurt, c’è una cosa che devo dirti...”
“È per Jeremiah? Perché beh, mi dispiace che non sia andata in porto, Blaine, davvero. È solo che preferirei non sentirmi sbattere in faccia quanto lo ami, tutto qui.” Mormorò, guardandosi bene dall’intercettare i suoi occhi.
 
Certo, Jeff e Nick avevano detto di non rimarcare su quanto fosse perdutamente innamorato di lui, ma non aveva potuto farci niente: non era mai stato capace di mentire riguardo i propri sentimenti. Blaine lo guardò con un’espressione che non avrebbe saputo definire in altro modo se non sofferente, e a lui si strinse il cuore.
 
“N-Non importa. Dimmi.”
Di tutto si sarebbe aspettato, a quel punto, tranne che Blaine lo prendesse per mano. Kurt fu talmente scosso dal modo in cui le loro dita combaciavano che ci mise un secondo più del necessario ad alzare gli occhi sull’altro ragazzo.
Attimo che si rivelò fatale ad entrambi.
 
“Kurt, la storia di ieri era solo- ”
“Ragazzi! Che combinazione... Cosa ci fate qui?”
Wes e David erano appena apparsi dal nulla, frapponendosi tra di loro. Blaine gli lasciò la mano, e Kurt avrebbe solo voluto prendere entrambi, metterli in un frullatore e servirli in uno di quei bei bicchierini del Lima Bean.
 
“Già, che combinazione... Stavamo prendendo un caffè.” Borbottò Blaine, che per qualche motivo era arrossito abbastanza clamorosamente.
“Vi facciamo compagnia!”
“Fantastico...” Mormorarono Kurt e Blaine, più o meno nello stesso istante.
 
 

***

 
 
Dall’interruzione di quella mattina, non c’era stato secondo in cui Blaine non avesse provato ad avvicinarsi a lui, prenderlo in disparte e portare a termine il discorso appena accennato poco prima. Peccato che Wes e David non sembrassero essere dello stesso avviso. La prima occasione di rimanere soli si presentò in un cambio d’ora, quando però furono raggiunti da Jeff e Nick.
 
“Blaine! Hai sentito del nuovo ragazzo di Kurt?”
 
E davvero, Kurt non sapeva se ridere o piangere.
Certo, da una parte era ancora abbastanza depresso da mandare avanti l’idiozia della lista, ma dall’altra... beh, avrebbe solo voluto scoprire perché Blaine l’aveva preso per mano e cosa voleva dirgli di così urgente, nonostante a quanto pareva ogni singola forza cosmica cercasse di impedirlo.
Blaine sembrava sconcertato da quella notizia.
 
“Kurt... Hai- Hai un ragazzo? E da quando?”
“Da un po’. Da poco... Da ieri.” Perché si stava prestando a quella follia?
“E lo conosco?” Kurt si voltò verso Jeff, in uno sprazzo di disperazione.
“Lo conosce?” Il biondo gli lanciò un’occhiataccia, mentre Nick improvvisava una risata sguaiata, mettendogli una mano sulla spalla.
 
“Sono io.”
 
Oh beh, se non altro se la sarebbe vista con Jeff, più tardi.
 
 

***

 
 
Le giornate passavano rapidamente, e con loro i punti della lista.
 
Erano uno più assurdo dell’altro, creavano un imbarazzo sempre maggiore e, soprattutto, Jeff se l’era fatta così tanto con Nick per essersi spacciato come suo fidanzato che il giorno seguente erano stati costretti ad inscenare una rottura tanto disastrosa che aveva lasciati sbigottiti tutti i Warblers, Blaine in primis.
 
Kurt sospirò, spuntando dalla lista l’ultima voce: dedicargli una canzone di fronte all’intero Glee Club.
In definitiva le aveva provate tutte, ma l’unico risultato era stato quello di allontanarsi da lui.
Perché era così che stavano le cose: Kurt non ricordava di essersi mai sentito più distante da Blaine prima di quelle settimane; non avevano più le loro stupide conversazioni sulle serie TV, la musica e le lezioni pesanti; non avevano più la colazione insieme, quel modo di scherzare così spontaneo ed unico, così loro.
Insieme a tutto questo anche i momenti di tenerezza erano andati via via diradandosi: Blaine non lo abbracciava più un po’ più a lungo di quanto non fosse normale per due amici, non gli spostava i ciuffetti dalla fronte e non gli appoggiava le mani sulle spalle.
 
Erano sempre insieme, eppure era come se non lo fossero mai: Wes e David erano costantemente al loro fianco, e se non c’erano loro ci si mettevano Jeff e Nick.
Kurt non avrebbe mai pensato di doverlo ammettere, eppure gli mancava il suo migliore amico: certo, continuava ad aspirare a qualcosa di più di questo, ma al momento tutto ciò che gli importava era riavere indietro il suo Blaine, il ragazzo dolce e gentile che gli aveva teso la mano quel primo giorno alla Dalton, quello che l’aveva fatto innamorare in modo così spontaneo e travolgente.
 
Rivoleva il suo Blaine, e aveva intenzione di andarselo a prendere.
 
Mosso da questi propositi Kurt accese la lampada affianco al suo comodino – era sera inoltrata, e naturalmente Jeff era ancora in camera di Nick – e si diresse in fretta verso la porta, che si richiuse alle spalle, trovandosi nell’enorme corridoio deserto che dava sulle varie stanze del dormitorio.
Fortunatamente Kurt non aveva bisogno di vedere per sapere dove si trovava quella di Blaine: tre porte avanti, sulla destra.
Percorse il breve tragitto facendo scorrere la mano sul muro nel silenzio più totale, anche perché non ci teneva ad essere beccato da qualche sorvegliante di pattuglia.
Quando raggiunse la camera di Blaine, riuscì per poco ad evitare di tirargli un pugno sul naso: la porta si era aperta nell’esatto istante in cui lui aveva tentato di bussare.
 
“...Kurt?”
“Blaine.”
 
Il solo pronunciare quel nome fu come tornare a respirare.
 
“Ci sono Jeff e Nick? Wes, David, o- ”
“No.”
“Vieni dentro.”
 
Kurt lo fece senza nemmeno pensarci, lasciando che Blaine chiudesse la porta alle loro spalle.
La camera era illuminata dalle due abat-jour accese sui comodini dei loro proprietari: fortunatamente il compagno di stanza di Blaine dormiva già profondamente, sepolto sotto una catasta di coperte.
Kurt decise di aver il cuore troppo pesante per non essere sincero.
 
“Mi sei mancato.”
Il moro evitò il suo sguardo, incrociando le braccia al petto. Sembrava ferito, e lui avrebbe solo voluto non essersi dato a quell’assurdo proposito della lista in assoluto. Però no, non poteva tirarsi indietro adesso.
“...Sul serio? Hai avuto talmente tanti ragazzi in queste settimane che non credevo sapessi ancora della mia esistenza.”
 
Oh, al diavolo la lista.
 
“Sbaglio o intravedo un po’ di gelosia?” Al contrario di quanto si aspettava, Blaine non ricambiò il suo sorriso.
“intravedi molta gelosia, Kurt.”
 
Disse semplicemente, lasciandolo del tutto spiazzato. Non sapeva se essere compiaciuto o arrabbiato.
 
“E io cosa avrei dovuto dire della storia di Jeremiah?”
“Kurt! Jeff mi ha mandato una foto di te e un ragazzo che vi baciavate!”
 
Oh.
Nick e i suoi dannati fotomontaggi.
 
“Blaine- ”
“Prima mi dici che ti piaccio, che... che ho dei bei capelli, e poi- ”
“E lo penso ancora, Blaine! Nonostante tu non voglia rovinare la nostra amicizia.”
“Ma io voglio rovinare la nostra amicizia!”
 
Kurt spalancò gli occhi.
 
“Cioè, non voglio, ma sì. Io... è dalla prima volta che ti ho visto che... Uhm...”
“...Che cosa? E Jeremiah?” Blaine spalancò le braccia.
 
“Jeremiah è un cavolo di amico di David che si è prestato a quella buffonata per l’ultimo punto della lista!”
“...No. Anche tu!”
 
Kurt era in procinto di uscire da quella stanza, radunare quattro Warblers di sua conoscenza e fare una strage collettiva.
Prima però c’era una cosa che doveva fare.
 
Mosse un passo in avanti e ancor prima di poter prendere l’iniziativa Blaine lo stava già baciando con trasporto, lasciandolo vagamente stordito.
Agganciò d’istinto le braccia dietro al suo collo, mentre quel bacio iniziato così all’improvviso guadagnava a poco a poco un ritmo più lento e cadenzato, al tempo delle mani di Blaine che gli accarezzavano dolcemente la schiena.
 
E Kurt sarebbe rimasto lì per sempre, se solo non avesse avuto un quadruplice omicidio da compiere.
 
Si separò da Blaine con un piccolo schiocco, mentre entrambi si prendevano qualche istante per rimanere semplicemente così, a sorridersi, con le fronti appoggiate una sull’altra.
 
Sapeva che non era tutto perfetto: la situazione, le circostanze, loro due in piedi davanti alla porta... Eppure in quell’esatto momento, tra le braccia di Blaine, Kurt sapeva di trovarsi esattamente dove doveva essere.
 
 

***

 
 
“Wes, guarda...”
“Oddio Jeff, stanno arrivando per mano! Ho già un principio di diabete.”
“Kurt, Blaine! Ciao ragazzi!”
“Uhm...”
“Kurt? Perché hai in mano la doga del letto...?”
 
 

***

 
 
 





 
 
 

 
 


 
Il grado di demenza presente in questa Shot è troppo alto per essere commentato u.u
Dico solo che se fossi stata in Wes, David e nei Niff, vedendomi arrivare Kurt con una stanga di legno in mano, me ne sarei andato xD
Ne approfitto per ringraziare le meravigliose 15 persone che hanno recensito lo scorso prompt! Siete adorabili e io vi guardo con gli occhi sberluccicosi di Kurt quando guarda Blaine u.u
Risponderò a tutte le recensioni al più presto! Sono rimasta indietro per via degli ultimi due prompt che dovevo ancora scrivere :) Da domani mi metto all’opera <3
Notte Klainers, e a domani con l’ultimo prompt (per chi già mi conosceva da prima di questa raccolta, dico solo I’ll try to fix you... <3)
Courage :’)!

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Capitolo 7
*** Day#7_I do ***


Titolo: I do
Rating: Verde
Avvertimenti: AU, fluff (ma TANTO fluff, davvero. Attenti!)
Prompt: Day Seven, Winter in New York
Lunghezza: 3500 parole
Note: Questa Shot è dedicata a tutti coloro che hanno letto I’ll try to fix you e All the ways you saved me. Per gli altri, non preoccupatevi: prendetela come una normale AU in cui Kurt e Blaine vivono insieme a NY, hanno un gatto di nome Lily e si sono dati il primo bacio la Vigilia di Natale.
 
 

 
 




 
Klaine week; Day#7









Winter in New York Klaine__”I do”

 
 
Blaine si svegliò sputacchiando peli di gatto.
Da qualche settimana a quella parte Lily sembrava aver preso la discutibile abitudine di montargli sulla faccia al mattino presto, e nel corso degli anni era diventata abbastanza grassa da rischiare di soffocarlo sul serio.
Blaine si sarebbe volentieri lamentato di questo aspetto, se non fosse che tecnicamente era colpa sua se quel gatto era quadruplicato da quando Finn glielo aveva regalato, esattamente cinque anni prima: se da una parte Kurt faceva di tutto per rifilargli dell’equilibrato cibo per gatti, era lui quello che le allungava le peggiori schifezze più o meno di nascosto.
 
Quindi sì, stando zitto avrebbe fatto più bella figura.
Si portò le mani in corrispondenza del viso e afferrò la palla di pelo allegramente depositata su di esso, spostandola al suo fianco. Lily miagolò infastidita, acciambellandosi poi contro di lui; Blaine fulminò con lo sguardo quella grassa, approfittatrice gatta pelosa: quando Kurt era nei paraggi non lo considerava minimamente, e ora sembrava essere diventato improvvisamente il suo preferito.
 
Quel pensiero non poté che scatenare un moto di tristezza in Blaine: Kurt.
 
Per quanto lo ferisse ammetterlo, non poteva davvero negare il modo drastico in cui le cose erano cambiate tra di loro nel corso degli ultimi mesi.
Certo, il lavoro li teneva costantemente impegnati e naturalmente la vita si era fatta più frenetica di quanto non fosse quando erano solo due adolescenti pieni di sogni appena approdati a New York.
 
Era inevitabile, disincantarsi, insomma; solo che Blaine non credeva sarebbe successo così presto. Che poi cinque anni non era esattamente presto, ma gli mancava lo sguardo carico di aspettative e ammirazione che riempiva gli occhi del suo ragazzo quando camminavano insieme per le strade della città; gli mancava il modo rilassato e un po’ timido con cui lo teneva per mano, quando ancora entrambi cercavano di abituarsi al fatto che potevano farlo senza paura di essere presi di mira, o di essere fotografati.
Gli mancava svegliarsi con le sue braccia strette attorno alla vita, e ricordarsi poco alla volta – al ritmo del sonno che si allontanava – di aver fatto l’amore con lui.
 
C’erano tante piccole cose che mancavano a Blaine, tanti dettagli che avevano finito per sfumarsi nelle settimane, mentre loro due crescevano e le smancerie da adolescenti cadevano nel dimenticatoio.
Non poteva negare di sentirsi parecchio infantile a pensare quelle cose, ma era la verità: era più di un mese che le cose erano cambiate, e lui avrebbe solo voluto poter essere lo stesso idiota romantico di sempre.
 
“Blaine? Sto uscendo.” 
Kurt fece capolino in camera da letto, togliendogli il respiro come la prima volta che l’aveva visto: diventava più bello ogni giorno che passava, per quanto fosse umanamente possibile. Ci era voluto del tempo, ma alla fine ogni singola traccia di paura era stata definitivamente spazzata via da quegli occhi che tanto avevano sconvolto il suo mondo, quando erano ancora soltanto due compagni di armadietto.
Blaine gli sorrise istintivamente, augurandosi che non cogliesse quella piccola punta di malinconia che nascondeva.
 
“Okay. Sei proprio sicuro che non vuoi che ti dia una mano? Lascia almeno che chiami i miei genitori- ”
“Blaine. Quante volte devo dirtelo? Tutto quello che devi fare è rilassarti e lasciare che ci pensi io. Vedrai, sarà la più bella festa della Vigilia di sempre.”
 
Ed erano settimane che Kurt andava avanti con quella storia: per la prima volta da quando si erano trasferiti a New York non sarebbero tornati a Lima per le vacanze di Natale, ma sarebbe venuta Lima da loro. Avevano invitato proprio tutti: gli ex Warblers, Burt e Carole, Richard, Meredith e le vecchie New Directions al completo. O almeno così gli aveva annunciato Kurt una mattina di qualche mese prima, entusiasta all’idea di organizzare quella grande rimpatriata a New York in occasione dall’affitto da parte loro di un appartamento singolo.
Avevano abitato con Finn e Rachel anche troppo a lungo durante gli anni trascorsi al college e quando quella primavera avevano trovato il modo di andare a vivere da soli non ci avevano pensato due volte.
Blaine annuì, vagamente infastidito di non poter dare il minimo contributo per l’allestimento della festa.
 
“...Va bene.” Kurt gli sorrise, piegandosi sul letto per lasciargli un delicato bacio sulle labbra.
“Bravo. Ci vediamo direttamente alla festa? Passano a prenderti Rachel e Finn.”
Blaine gli rivolse un nuovo cenno affermativo, poco importava se in realtà si sentiva vuoto come mai gli era capitato da quando era insieme a Kurt.
Forse era stato lui a fare qualcosa di sbagliato, forse c’erano dei segnali che non aveva colto.
 
O forse era semplicemente troppo infantile aver sperato che – dopo tutti quegli anni – Kurt volesse ancora festeggiare in modo speciale la vigilia del loro primo bacio.
 
 

***

 
 
“Pronto?”
“Rachel?”
Kurt! Oh mio Dio. Oh santissimo- ”
Non ricominciare, ti prego. Piuttosto, hai chiamato Mercedes e le altre?”
“Non preoccuparti: siamo organizzatissimi. Stasera spedisco Finn a prendere Blaine, gli farò dire che io non ci sono perché aspetto direttamente alla festa.”
“Okay, perfetto. Io vado allora.”
“Vai. Kurt?”
“È una follia?”
“È perfetto.”
 
 

***

 
 
Blaine si annodò il cravattino attorno al collo, con decisamente meno cura di quanto non ne impiegasse di solito: la verità era che avrebbe preferito passare la serata a preparare un programma dimagrante per Lily che andare a quella stupida festa.
E in realtà non la trovava nemmeno stupida – era stato il suo Kurt ad organizzarla dopotutto – ma il ricordo dello scorso Natale era troppo vivido nella sua memoria per pretendere di non pensarci.
 
Blaine aveva fatto prenotare il tavolo migliore del ristorante di Westerville dove avevano trascorso il loro primo appuntamento e Kurt si era presentato con una caterva di rose rosse. Il loro programma di prendersi tutto il tempo necessario per godersi la serata era allegramente saltato alla seconda portata, quando Kurt gli aveva più o meno esplicitamente fatto capire che sarebbe stato opportuno darsi una mossa se non era nei suoi piani essere denunciato per atti osceni in luogo pubblico.
Non guidarono nemmeno fino a casa, quella sera: parcheggiarono in una delle numerose distese d’erba incontaminata da qualche parte nei pressi di Westerville e fecero l’amore così, in quell’auto buia circondata di notte buia, che inghiottiva le loro voci e confondeva i loro sorrisi.
 
Blaine avrebbe saputo ancora tracciare con precisione millimetrica i contorni delle sue labbra piegate verso l’alto, il modo in cui lo teneva tra le sue braccia come se non avesse altro a cui aggrapparsi in tutto il mondo.
Ed era esattamente così che Blaine si sentiva, come la Vigilia di Natale dell’anno scorso. Con la differenza che Kurt non sembrava pensarla allo stesso modo.
 
Il campanello di casa trillò nell’esatto momento in cui Blaine stava appoggiando a terra la ciotola di Lily, la quale stava già gongolando nell’attesa. Il ragazzo alzò un sopracciglio, stranito: di certo non si aspettava che Finn e Rachel sarebbero stati così puntuali nel venirlo a prendere; probabilmente Kurt aveva dato loro direttive ben precise. Era piuttosto perfezionista quando si trattava di organizzare un evento: Blaine sperò che una volta trascorsa quella serata che predisponeva da così tanto tempo sarebbe tornato ad essere il Kurt di sempre perché era chiaro, evidente che ci fosse qualcosa che non andava. Per quanto si sforzasse, non riusciva ad inquadrare il problema.
Blaine raggiunse velocemente la porta, lanciandosi un’ultima occhiata nello specchio accanto all’ingresso.
 
“Blaine! Ciao, amico.”
“Ciao, Finn. Rachel è in macchina?” Chiese subito, piuttosto stupito di non aver ancora nessuna ragazza urlante tra le braccia. Lui sembrò quasi preoccupato.
“Cosa? Uhm... No, no. Ci aspetta direttamente alla festa.” Borbottò, evitando il suo sguardo in favore di Lily, che si stava abbuffando qualche metro più in là.
“Lily! Adorabile gattina- ”
Gattina di mezzo quintale, Finn.” Precisò Blaine, adocchiando con aria critica il trasporto con cui si era avventata sui suoi croccantini. Blaine afferrò portafoglio e cellulare e li infilò nella tasca dei jeans, per poi spegnere la televisione e curarsi di lasciare una luce accesa per Lily.
 
“Okay, ci sono. Possiamo anda- ...Finn?!”
Finn stava piangendo. Non in chissà che accezione metaforica: Finn stava piangendo sul serio, con tanto di lacrimoni e naso che gocciola. E poi si lamentava degli sbalzi emotivi di Rachel.
“Finn! Stai bene?” Lui lo liquidò con gesto della mano, facendosi aria.
“Sì, sì... È solo che sembra ieri che vi ho regalato Lily. Che eravamo ancora al liceo, e...” Giù altra serie di lacrime. Cosa c’era che non andava in quel ragazzo?
 
“Finn...”
“Andiamo, o faremo tardi.”
Blaine annuì confusamente, deciso a non indagare oltre sulle cause di tutta quell’improvvisa commozione e malinconia dei bei tempi andati: chissà, magari anche tra lui e Rachel ultimamente le cose stavano prendendo una piega diversa.
Lo seguì fino al piano terra, salendo poi sull’utilitaria che in qualche modo erano riusciti a permettersi. La festa si sarebbe tenuta in un locale tranquillo poco distante da dove abitavano, abbastanza grande per accogliere i pochi che avrebbero trascorso la Vigilia di Natale lontani dalla serenità di una cena in famiglia.
 
Peccato che appena uscito dal parcheggio, anziché svoltare a sinistra in direzione del posto incriminato, Finn imboccò allegramente la prima a destra.
Prima di prendere conclusioni affrettate Blaine premette il naso contro il finestrino, nella speranza di riconoscere una via alternativa per raggiungere lo stesso posto; purtroppo per lui la bufera di neve circostante non era particolarmente utile nell’impresa.
 
“Ti prego, dimmi che Kurt ti ha spiegato bene dov’è il posto...”
“Me l’ha spiegato benissimo, non preoccuparti.” Asserì lui, continuando a guidare con le lacrime agli occhi, affatto turbato dai fiocchi di neve che vorticavano tutt’intorno. Blaine fu colpito da un’improvvisa illuminazione.
“Finn, no. Qualunque cosa ci sia di così terribile non è niente di irrisolvibile- ” Incominciò, guardandolo con apprensione.
“Il suicidio non è mai l’alternativa migliore.” Finn scoppiò a piangere più forte.
“Ma quale suicidio, Blaine Anderson?! Sta’ zitto e fammi guidare.”
“No! Non posso lasciar guidare un pazzo in lacrime in mezzo a una bufera! Ci ammazzeremo Finn, e io non ci tengo a- ”
“Siamo arrivati.”
“-a morire proprio adesso che... Cosa?”
“Ho detto che siamo arrivati, Blaine. E ora esci da questa macchina.” Farfugliò, soffiandosi rumorosamente il naso in un fazzoletto di carta.
 
Di nuovo, Blaine provò a sbirciare fuori dal finestrino; di nuovo, non vide altro che una fitta pioggia di piccoli puntini bianchi, che imbiancavano l’asfalto sporco di New York come un’infinità di aghi sottili.
Il ragazzo aprì cautamente lo sportello dell’auto e scese, richiudendoselo alle spalle in modo da non far entrare una valanga nella macchina di Finn.
Gli bastò ripulirsi le ciglia dai piccoli fiocchi che vi si erano intrappolati per sapere con certezza che quello non era affatto il locale descritto da Kurt, anzi, Blaine sapeva benissimo dove si trovavano.
 
“Finn? Non era qui che Kurt ha det- Finn!!”
Con una sgommata piuttosto preoccupante Finn era ripartito, lasciandolo solo in una tempesta di neve, sul bordo della strada.
 
Quantomeno – nella sua sconclusionata follia – l’aveva piantato esattamente davanti a dove abitava con Rachel e, fino a poco tempo fa, anche con lui e Kurt.
 
Non appena vide la luce della finestra accesa tirò un sospiro di sollievo: se Rachel era ancora lì, forse Kurt non l’avrebbe ucciso per il suo ritardo alla rimpatriata.
 
 

***

 
 
Rachel aprì la porta al terzo squillo di citofono. Se non fosse stato per il fatto che quella non era Rachel.
 
“Kurt...?”
Lui gli rivolse un sorriso nervoso eppure – per qualche ragione – il più bello che Blaine ricordava gli avesse mai regalato. Mentre mille dubbi si insinuavano nella sua testa, tutto ciò che era in grado di fare era ingoiare a vuoto, nel tentativo di impedire al suo cuore di rotolare all’indietro fino allo stomaco.
 
“Blaine. Finn è riuscito a non fare troppi danni, allora.”
Blaine socchiuse le labbra, di secondo in secondo più confuso – ed ora anche intenerito, nel vedere il foulard blu cobalto che accarezzava il collo di Kurt; il suo primo regalo di San Valentino.
“...Non capisco. Sei stato tu a dire a Finn di portarmi qui? E dov’è Rachel? E la festa? Arriveremo tardi alla festa- ”
“Ehi, ehi. Giuro che c’è una spiegazione a tutto. Vieni?”
 
Gli tese una mano oltre la porta ancora socchiusa, e per Blaine afferrarla fu automatico.
Era sempre stato così, tra di loro. Quando uno dei due non sapeva che direzione prendere, c’era sempre una stretta rassicurante pronta a fargli imboccare quella giusta.
Kurt strinse le labbra e sbatté più volte le palpebre, quasi stesse cercando di ricacciare indietro delle lacrime: sperò solo che questo non c’entrasse con il comportamento di Finn di poco prima, perché a quel punto avrebbe potuto davvero iniziare a credere che fosse morto qualcuno. Ma no; gli occhi di Kurt erano troppo vivi e brillanti per questo.
 
Lo condusse nell’ingresso lentamente e, quando lo raggiunsero, Blaine non riusciva a credere ai suoi occhi.
 
La loro vecchia casa, quella in cui tutt’ora abitavano Finn e Rachel... era vuota.
Completamente vuota, come se si fosse aperto un buco nero in mezzo al pavimento e avesse inghiottito tutto quanto. Tutto ciò che rimaneva era uno spesso tappeto rosso steso ai piedi del caminetto acceso, e una piccola montagnola al suo fianco, il cui contenuto era nascosto da un drappo di stoffa dello stesso colore.
Tutto il resto era un finto parquet, le pareti spoglie e il lampadario spento. Sul vetro della finestra chiusa continuavano a sbattere i fiocchi bianchi della neve, resi rossastri dal riflesso del fuoco che picchiettava pochi metri più in là.
 
“K-Kurt? Cosa è successo qui dentro...?”
Mormorò lentamente Blaine, cercando di ignorare la miriade di possibili scenari che inevitabilmente prendevano a farsi strada nella sua immaginazione. Il suo ragazzo gli strinse più forte la mano, accarezzandogli la guancia con quella libera.
Blaine si perse nel contatto delicato di quelle dita affusolate sulla sua pelle, e bastò che lo sfiorasse per farlo girare verso di lui.
 
Un attimo dopo Kurt aveva appoggiato le labbra sulle sue, con un’attenzione e una dolcezza tali che – di punto in bianco – Blaine non sentiva più nessuna necessità di appurare cosa stava succedendo.
In quel bacio leggero, svolazzante come i fiocchi di neve, Blaine ritrovò lo stesso identico Kurt di tanti anni prima, quello ancora un po’ ferito, ma con una forza, una bellezza tale da rendere tutto il resto un confuso ammasso sbiadito.
 
Blaine si disse che sì, in fin dei conti quei mesi un po’ strani da parte del suo ragazzo dovevano essere dovuti solo ai preparativi della festa. La stessa festa a cui ora non stavano andando, ma di nuovo, a Blaine non importava sapere perché.
 Tentò di allungare una mano verso la sua guancia, solo per tenerlo lì, solo per imprigionare un po’ più a lungo quel piccolo momento perfetto. Ma Kurt si fece indietro, guardandolo dritto negli occhi nella penombra della stanza. Brillavano con una tale intensità che Blaine non riusciva nemmeno a persuadersi che fossero reali, dopotutto.
 
Sono innamorato di te.”
 
Blaine sentì le ginocchia cedergli, solo un po’.
 
“Kurt- ”
“È stata questa la prima cosa che ho pensato quando ti ho baciato per la prima volta. Avrei dovuto sentirmi in colpa, odiarmi per quello che avevo fatto e lo sai quanto mi sono colpevolizzato, dopo.”
 
Kurt gli accarezzò uno zigomo con il pollice, tracciando delicatamente i contorni del suo viso.
“...Però, sì. Prima ancora di riuscire a pensare nel vero senso della parola, sentivo di amarti. E sapevo che non sarei riuscito ad amare in quel modo nessun altro, mai.”
 
Blaine aveva gli occhi aperti, pieni di lacrime che non sapeva quando e come esattamente avessero avuto modo di formarsi.
Kurt... Kurt non era mai stato così schietto, così sincero sui suoi sentimenti. Aveva sempre cercato un modo di proteggerli, senza mai esternarli come stava facendo in quel momento, regalandoglieli con gli occhi, la bocca e il contatto della loro pelle.
Glielo stava dicendo lentamente, guardandolo con quelle iridi chiare che tremavano appena nei contorni rossi delle fiamme del fuoco in fondo alla stanza.
Kurt si mosse appena e Blaine lo seguì, in silenzio, andandosi a sedere affianco a lui sul tappeto vicino al caminetto.
 
“Non ti ho mai ringraziato abbastanza, Blaine. Non ho mai trovato le parole giuste per spiegarti che quando dico che tu significhi tutto per me, lo intendo davvero.”
Un sospiro tremolante lasciò le sue labbra, nello stesso istante in cui il profilo di una lacrima gli si aggrappava alle ciglia.
 
“Quando ci siamo visti per la prima volta... io non ero niente. Non sentivo niente.
È stato solo grazie a te, al tuo modo di amarmi, di essermi amico se sono la persona di oggi. Io non... io non so se sarò mai capace di farti capire che mi hai salvato la vita, Blaine. L’hai fatto e continui a farlo ogni giorno, semplicemente stando al mio fianco.” Kurt rise, asciugandosi con una mano tremante la guancia.
 
Blaine era sopraffatto da tutto quello, era quasi troppo da gestire.
 
“Kurt, amore...”
“Avevamo detto che New York sarebbe stato un nuovo inizio per noi. Te lo ricordi?”
“Certo.”
“E ti ricordi come è stata la nostra prima notte qui?” Blaine sorrise, mentre le immagini gli accarezzavano la mente.
 
“È stato proprio qui. Finn e Rachel ci avrebbero raggiunti il giorno dopo e... Noi siamo rimasti in questa stanza, senza nemmeno un mobile né la corrente elettrica.” Rievocò con un sorriso, mentre uno alla volta gli tornavano in mente i commenti stizziti che aveva fatto il suo ragazzo su quest’ultimo aspetto. Kurt continuava ad accarezzargli un lato del viso, con gli occhi umidi e i lineamenti rilassati di chi è perfettamente in pace con il mondo.
 
“Ho voluto che stasera fosse proprio come cinque anni fa. E mi dispiace di essere stato un po’ distante in queste settimane, è solo... Ho mobilitato un po’ tutti perché fosse perfetto.”
Blaine lo fissò, di nuovo con la stessa confusione sepoltasi poco prima dietro quell’infinito universo di sensazioni che Kurt era in grado di fargli provare.
 
“In questi giorni dopo il lavoro ho dato una mano a Finn a sgomberare tutto, e l’ho convinto a portarti qui stasera.”
Rimosse la mano dalla sua guancia, muovendola a tentoni verso il piccolo fazzoletto rosso che nascondeva qualcosa di non meglio identificato.
Blaine stava per distrarsi e guardare, ma la presa ferrea dell’altra mano di Kurt sulla sua glielo impedì: i suoi occhi, questo era tutto quello che riusciva a vedere.
 
“Blaine... Sono passati sei anni da quando ci siamo baciati per la prima volta. E te lo giuro, da allora non c’è stato un singolo momento in cui ho dubitato che tu sei, sei sempre stato e sarai sempre l’amore della mia vita.”
 
Kurt frappose tra di loro una scatolina di velluto scura, e il cuore di Blaine perse un battito.
 
“Io... io vorrei davvero sapere qual è la frase perfetta da dire in un momento come questo. Ma non la so. Non so questo e non so un mare di altre cose, ma so che ti amo. Ti amo con tutto me stesso e sarei onorato e se mi concedessi di continuare a farlo per tutto il resto della mia vita.”
 
Poi Kurt aprì la scatolina nera, e Blaine vide le sagome di due sottili cerchi bianchi sprizzati del rosso delle fiamme affianco a loro, indefiniti per colpa dei suoi occhi pieni di lacrime.
Il profilo degli anelli si confuse con il sorriso aperto e pieno di speranza di Kurt, che lo guardava nello stesso modo in cui Blaine guardava lui, come se qualcuno avesse deciso di incarnare la perfezione in un semplice essere umano.
 
E Blaine ne era certo: in quell’esatto momento, in quel piccolo, intimo silenzio che aveva seguito le parole di Kurt c’era solo questo tra di loro, perfezione. Perfezione di sentimenti, perfezione di immagini e perfezione di perfezione.
 
“Mi vuoi sposare, amore mio?”
“Sì.”
 
E c’erano tante cose che avrebbe voluto aggiungere.
Sì, perché gli era bastato vederlo la prima volta per capire che il suo stesso cuore aveva già smesso di appartenergli. Sì, perché aveva sempre pensato di volersi addormentare ogni sera tra le sue braccia e svegliarsi dicendogli che no, non aveva bisogno di tutte quelle sue creme: era bellissimo così com’era. Sì, perché la prospettiva di passare la vita ad amarlo era qualcosa che gli faceva battere il cuore più forte, esattamente come quando erano ancora dei ragazzini alle prime armi.
 
Il sorriso di Kurt – il meraviglioso sorriso di Kurt, che avrebbe davvero potuto vedere ogni giorno, per sempre – si ampliò, mentre un nuovo paio di lacrime tornavano a scorrere sul solco delle precedenti.
 
“Sì?”
“Sì. Ti amo così tanto, Kurt...”
 
Prendere quegli anelli così sottili con mani che tremavano così tanto e occhi completamente offuscati dalle lacrime non fu esattamente semplice. Quando ci riuscirono, Blaine afferrò delicatamente il polso di Kurt e baciò esattamente dove l’anello e la pelle si congiungevano, sentendolo rabbrividire sotto le sue labbra.
 
Non passò molto tempo prima che entrambi si fossero distesi sul tappeto affianco al caminetto, con Kurt sopra di lui che gli sbottonava lentamente la camicia, senza smettere di ridere e piangere in quel modo che lo faceva sembrare ancora più splendido del solito.
 
Era perfetto, ed era suo. Per sempre.
 
“...E la festa della Vigilia?” Kurt sogghignò, continuando a sganciare i bottoni dalle asole.
“Non c’è nessuna festa della Vigilia, Blaine. C’è una festa di Natale, domani a casa nostra.” Blaine sorrise più apertamente, dopo avergli dato l’ennesimo bacio della serata.
 
“Quindi questa serata è tutta per noi?”
“Questa, e tutte quelle che verranno.”
 
 

***

 
 

 
 
 
 











Eccoci qua :’) *a tutti cadono definitivamente i denti cariati* ... *Finn commosso all the ways*
Cosa dire? Con questa ultima Shot siamo ufficialmente arrivati al capolinea della breve ma intensa settimana dedicata alla Klaine.
Ci tengo a ringraziare con tutto il cuore tutti coloro che hanno seguito questa raccolta, da chi si è commosso a chi si è fatto quattro risate, chi l’ha addirittura aggiunta ai preferiti (siete adorabili) e le meravigliose persone che l’hanno recensita (ora che ho finito, avrò finalmente tempo per rispondere a tutti i commenti arretrati)!
Già che ci sono, ne approfitto per ricordare che durante la prossima settimana pubblicherò il primo capitolo della mia nuova long, “Never look back”: una Klaine con anche un pizzico di Faberry.
 
Per spoiler, notizie, curiosità e scleri vari potete trovarmi sempre qui, nella mia pagina facebook: http://www.facebook.com/pages/Ari_92-EFP/409314062440527?ref=hl
O in alternativa se vi annoiate vi va di farmi qualche domanda, anche su ask: http://ask.fm/Nonzy9
 
A presto! E ricordate che non importa cosa quel troll di Ryan e la sua schiera di RIB assassini combineranno alla nostra Klaine: non dobbiamo farci abbattere perché tutto quello che sono stati in grado di trasmetterci, tutte le persone che hanno ispirato non sono minimamente comparabili a uno script insensato come quello della 4x04.
 
Perciò Klainers, non abbattetevi :)! E, soprattutto, courage <3

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