Non cogli la neve

di Gaia Bessie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima - Un nodo per un pensiero ***
Capitolo 2: *** Parte seconda - Non cogli la neve ***



Capitolo 1
*** Parte prima - Un nodo per un pensiero ***






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A Fera, per il suo anniversario Efpiano.
A Gin, per lo stesso motivo.
Anche se con un po' di ritardo.





September.

Le senti bene, le voci. Attorno a te, che ti ossessionano con la loro perfidia mal celata, con quella parola familiare. Pazza, ti chiamano così.
Ti portano dei ninnoli, regalini che tu ignori, ogni volta. Non compensano quel perenne senso di vuoto che ti avvolge, la condanna eterna che devi sopportare. Perché l’hai perso e nessuno potrà più portarti da lui.
Ti chiamano pazza. Lo faranno per sempre.
Siedi di fronte alla finestra, tranquilla come una bambina, le mani abbandonate sul tessuto azzurro del vestito che indossi. Canticchi una vecchia nenia che ti aveva insegnato Peeta, una volta. Tempi che a stento ricordi, sepolti come sono in quella foschia che t’impedisce di vedere chiaramente.
Credevi che sarebbe andato tutto bene, doveva andare tutto bene. Ti avevano portata da lui, da Finnick. Avevi tutto, non potevi tornare nel baratro. Non di nuovo. Ripetevi queste due parole come una strana filastrocca, un ritornello che ti permetteva di andare avanti. Senza mai voltarti indietro, perché era l’unica cosa giusta da fare: non precipitare di nuovo, in quell’abisso dove era fin troppo facile perdersi.
E poi sei rimasta sola, senza di lui. Ad ascoltare parole che suonano forzate perfino alle tue orecchie innocenti, ad aspettare che il tempo scorresse più velocemente.
Odi il tempo. Scorre e non ti permette di fermarti, a ricordare cosa c’era, nell’abisso dove ti avevano portata. Dove eri caduta, quando eri troppo debole anche solo per comprendere.
Adesso come sei, Annie? Sei pazza?
Eri stesa sul pavimento, tornare a guardare il cielo era diventato uno sforzo enorme. Adesso, guardare il mare è quasi impossibile, quando assume quella tonalità che era nei suoi occhi. Cosa t’impedisce di tornare nell’abisso, Annie?
Un movimento impecertibile, dentro di te. Un cuore che batte all’unisono con il tuo, il motivo che ti fa allontanare dall’abisso. Che t’impedisce di andartene, una volta per tutte.
Sorridi quasi, quando lo senti. Vostro figlio.
Guardi fuori dalla finestra, cosa che fai raramente. Echi di risate di bambini. Tra poco ci sarà anche tuo figlio a giocare lì, con la sabbia. Ancora pochi mesi, Annie, solo pochi mesi.
Ti perdi a guardare la luna che illumina il mare. Una nave scivola sulle onde di metallo.



September (again)

Il rumore della pioggia ti calma, distende i tuoi nervi troppo tesi. Sobbalzi ancora ad ogni rumore, come se qualcosa potesse farti male, all’improvviso. Loro ti hanno fatto male, troppe volte per contarle tutte. Eri nell’abisso e loro erano con te, non potevi scappare. Ti trovavi in un labirinto e tutte le vie portavano al mostro. Non c’era modo di fuggire, lo ricordi bene. Eppure, non avevi fatto male a nessuno, mai.
Non sapevi, Annie, che tutti gli uomini sanno comportarsi da mostri.
Stringi fra le mani un vecchio pezzo di stoffa, recuperato da un vecchio cassetto, a casa. Stoffa candida che ha conservato il profumo di Finnick, una vecchia “F” ricamata in blu, in un angolo. Dicono che sia utile annodare i fazzoletti, per non dimenticare pensieri importanti. Un nodo per un pensiero. Le tue mani si muovono lente. Hai paura, Annie?
Non riesci più a decifrare i tuoi pensieri come una volta: sono troppo veloci per riuscire ad interpretarli, per essere qualcosa di più di quella massa confusa che si offusca, col passare del tempo.
Un nodo. Un pensiero.
È una strana canzone, la pioggia. Una ninna nanna che porta ricordi, non tutti sono piacevoli. Gocce che lavano via il dolore, piano, poco alla volta. Pioveva, quando ti portarono da lui, per la prima volta.
Lì fuori, le onde rischiano di divorare la spiaggia, centimetro per centimetro. Non ci sono barche, oggi, i pescatori sono rimasti tutti a casa. Settembre sta finendo, Annie.
Un altro nodo. Due pensieri.
Settembre vola via come le farfalle che ti piacciono tanto. Quelle che le guardi e sono la cosa più bella al mondo. Ti giri e muoiono.
Non riesci a comprendere il lento, inesorabile scorrere degli eventi. Non riesci a comprenderlo. È qualcosa di oscuro e misterioso, ai tuoi occhi. Ti svegli di notte e non capisci cosa stia succedendo e cerchi Finnick, accanto a te. Non lo trovi mai.
E sei costretta ad accendere la luce e stringere in mano il fazzoletto di Finnick, rannicchiata su te stessa come una bambina bisognosa di conforto. E la nebbia diventa meno fitta, ti permettere di rivivere quegli attimi che ti ossessionano. Che ti trascinano sull’orlo del baratro, a pochi passi dall’abisso.
Pioveva, quando ti portarono via da lui.


Pioggia. Pioggia ovunque, che cancellava tutto, annullava i sensi. Camminavi con le braccia aperte, come per abbracciare il vuoto, i palmi delle mani rivolti verso il cielo. Amavi la pioggia. L’acqua che accarezzava la pelle, che ti calmava. Ancora non la associavi ai brutti ricordi.
Eri come una bambina che muoveva i primi passi, fiera di quei piccoli progressi. Barcollavi ancora, Annie: sarebbe bastata una spintarella per farti cadere nell’abisso. Nessuno, guardandoti, avrebbe potuto pensare che avevi già visto l’abisso.
Ma tu sapevi bene com’era fatto, eri precipitata lì, durante i giochi. Quando eri sola e le urla ti graffiavano la gola, l’acqua entrava nei polmoni e non riuscivi a respirare.
Urlavi, Annie. Non volevi morire nell’abisso: c’era troppo sangue ed il corpo di Freid mutilato dagli Ibridi. L’acqua ti aveva aiutata, quella volta.
Pensavi che l’acqua ti avrebbe salvata di nuovo, quando loro vennero a prenderti. Povera Annie, eri così ingenua…
Pioveva e cantavi come un fringuello, quando arrivarono. Li guardavi senza capire, cercando di mettere insieme un pensiero coerente. Non capivi.
Ti presero di peso, senza dire una sola parola. Non ti diedero nemmeno il tempo di urlare, di chiamare Finnick.
Ancora non era successo niente, Annie. Ti trovavi sulla soglia dell’inferno e non lo sapevi. Chiamavi Finnick e nessuno ti rispondeva, lacrime salate lasciavano il segno del loro passaggio sulla tua pelle.
Le lacrime somigliavano alla pioggia, ma facevano male. Graffiavano la tua pelle troppo chiara, Annie.
Te lo ricordi?
Hai urlato e pianto, li hai implorati di lasciarti andare. Ti sei coperta le orecchie con le mani, quando hanno riso di te. Ti hanno chiamata pazza, anche loro.
Te lo sei meritato, Annie. Ti hanno spinta giù nell’abisso con le loro risate e tu non sei riuscita ad  opporti.


Trasalisci e sciogli un nodo fatto sul fazzoletto: certe cose è meglio dimenticarle, lasciarle chiuse in un cassetto e sciogliere i nodi dai fazzoletti. È una delle cose da fare per non morire nell’abisso.
Se chiudi gli occhi li senti, mentre ridono di te e ti chiamano pazza. E sei costretta a coprire le orecchie con le mani, per non sentirli più. Non sempre funziona: chiudi gli occhi e sono lì, che ti guardano. E ridono di te e ti chiamano pazza.
Te lo meriti, Annie. Lo sai anche tu.
Ti fermi per un momento, cercando di decifrare uno strano pensiero. Riesci raramente a comprendere ciò che pensi, da quando ti sei persa. E Finnick non è più qui, per aiutarti ad andare avanti.
Ogni tanto, ci pensi davvero. A come sarebbe morire nell’abisso, arrendersi per davvero.
Ogni volta fai un nodo al tuo fazzoletto e ritorni sui tuoi passi: non puoi restare nell’abisso, senza di lui. Ti ricordi, Annie?
Finnick ti aveva detto che sarebbe andato tutto bene: un sussurro che avrebbe dovuto perdersi nella notte, che era giunto comunque alle tue orecchie. Sarebbe andato tutto bene. E ci credevi davvero, Annie, quando lui lo ripeteva, con la stessa enfasi di chi cerca di convincere un bambino a non avere paura dei mostri sotto il letto.
Sei stata una sciocca, perché credevi davvero che sarebbe andato tutto bene. Che Finnick sarebbe tornato.
Le tue mani si fermano sul bordo del fazzoletto, di fronte all’ennesimo nodo.
Un nodo per un pensiero, Annie. Non dimenticarlo.
Finnick passava ore ad intrecciare un vecchio pezzo di corda, un nodo per ogni pensiero che lo ossessionava. E ricordi bene com’erano rosse le dita di Finnick, quando il sole moriva dietro il mare. Troppi pensieri.
Non gli chiedevi mai cosa lo ossessionasse, spinengodolo ad annodare continuamente quella corda. Guardavi il mare e ti perdevi dietro i tuoi ricordi, affacciandoti oltre la foschia che li avvolgeva.
Adesso hai paura di guardare indietro, di far aprire di nuovo quelle vecchie ferite. Stringi forte il fazzoletto, dando forma all’ennessimo nodo.
È settembre ed il tempo scorre troppo lentamente, quasi a darti l’occasione di guardare indietro. Anche per pochi secondi, solo per soffrire ancora.
Guardi ancora fuori dalla finestra, un’immagine conservata dal tempo. I ricordi sopravvivono sempre alla memoria comune, non vengono intaccati da polvere o dai pettegolezzi della gente. La gente parla sempre di ciò che non conosce, delle persone che non tutti comprendono. Ti hanno chiamata “pazza”, Annie, non dimenticarlo.
Sospiri.
Un nodo. Un altro pensiero che ti confonde la mente. Sei sempre stata fragile, Annie.
È da settembre che aspetti che succeda qualcosa. Che arrivi un segno, che Finnick torni anche se sai che non può tornare. È da settembre che non succede più niente: i giorni hanno lasciato il loro posto ad una massa indefinita di tempo, che sembra non passare mai.
Ogni giorno ti ritrovi seduta sul letto, lo sguardo perso nel vuoto. È troppo vuota, la casa, da quando Finnick se n’è andato. Troppe volte ti sei trovata a vagare per le stanza vuote, come se ti aspettassi veramente di trovarlo. Ogni volta hai capito troppo tardi che Finnick non poteva essere lì. Ed ogni volta hai pianto, Annie, come una sciocca. Le mani hanno coperto le orecchie e nessuno ha cercato di calmarti. Nemmeno una volta, Annie: ti hanno lasciata sola, il resto del mondo è morto con Finnick.
Un altro nodo. Troppi pensieri, Annie.
La pioggia smette di cadere, piano. Non te ne accorgi, Annie. Non è importante, nessun nodo sul fazzoletto. Sospiri e distogli lo sguardo dal mare del vostro Distretto.
È colpa tua, Annie, se Finnick se n’è andato.
Un nodo. Un rimpianto.
Smetti di pensare, Annie.



October

È da un po’ di tempo che hai preso l’abitudine di canticchiare vecchie canzoncine che ti avevano insegnato le tue cugine, quando ancora giocavate insieme. Giocavate a fingervi sirene, con l’innocenza tipica della vostra età. Cantavate per attirare i marinai, spiegavate. Speri che Finnick torni da te?
Non illuderti, Annie.
Siedi davanti alla finestra, fra le mani un vecchio orologio. Non ha ancora iniziato a piovere, te ne sei accorta?
Le lancette si muovono più velocemente del solito, seguno un ritmo più veloce del tuo lento respiro. È già ottobre, Annie. Il tempo sta passando troppo in fretta, adesso.
Ti sei svegliata, questa mattina, e sei andata a trovarlo. Hai camminato piano, le gambe leggermente divaricate per sopportare meglio il peso di vostro figlio. Hai ignorato gli sguardi pieni di pietà degli altri abitanti del Distretto. Il tempo scorreva veloce e tu dovevi correre più veloce del tempo.
Ti sei fermata solo davanti a lui. Non hai voluto che lo seppellissero accanto a tutti gli altri caduti di guerra. Hai pianto, Annie, hai protestato. Katniss ha detto che avevi ragione, Finnick meritava di essere ricordato. Ti sei fermata davanti a quella pietra troppo fredda. Hai parlato, gli hai raccontato tutto quello che si era perso.
Parecchie persone sono passate di lì, camminando fra le lapidi, fermandosi per gettare qualche fiore in quegli orribili vasi di vetro. Ti hanno guardata, tutti quanti. Qualcuno ti ha indicata con il dito, un bambino ti ha sorriso. Tu non l’hai nemmeno visto, Annie.
Nessuno ti ha chiamata pazza. Non questa volta. Nessuno ha avuto il coraggio di spingerti verso l’abisso, proprio davanti a tuo marito.
Sei rimasta lì per tanto tempo, Annie. Finché non è venuta Johanna a prenderti: con te è quasi dolce. Non censura i suoi pensieri, non lo fa mai. Però non ti lascia sola, sull’orlo di quel baratro che tanto odi. Ogni tanto sembra perfino in grado di capire. Finge di non vedere tutti quei nodi sul fazzoleto, siede placidamente accanto a te. Parla raramente e, quando lo fa, dice qualcosa di pungente, come si confà al suo  carattere. L’hai vista rivolgerti qualche occhiataccia, di tanto in tanto. Non le hai mai chiesto il perché: sai quanto le costa vivere qui, così vicina all’acqua.
Eppure lo sai bene, riesci a leggere quella frase incisa sulla sua pelle. Ha perso qualcuno, in quell’abisso dove vi hanno gettate.
Adesso siede accanto a te, la tua attenzione catturata dal mare che si agita. Lo fissa con una strana ombra nel volto. Sembra assorta. In realtà, Johanna ha ancora paura del mare.
-Chiedimelo, avanti- sbotta, irritata. Fissa il tuo ventre arrotondato quasi con astio. –So che muori dalla voglia di chiedermelo-
Sospiri, Annie. –Chi hai perso?- domandi. Già temi la sua risposta. In realtà la conosci, ma non le hai mai chiesto di pronunciare quel nome ad alta voce. Perché renderebbe tutto più reale, i tuoi sospetti più che fondati diventerebbero la verità.
Johanna ride, un velo di malinconia le offusca lo sguardo. Non smette di guardarti nemmeno per un secondo, un sorriso soddisfatto sul volto.
-Credo che tu lo sappia, Annie- osserva, divertita da quel gioco.
Una lacrima cade sul tuo vestito. Un nome viene urlato nella tua testa, da un coro di centinaia di voci. L’abisso si apre davanti a te, oscuro e bellissimo: una soluzione troppo semplice da scegliere. Eppure, un’alternativa da considerare.
-Finnick- mormori, le lacrime che cadono come una pioggerella estiva. Finnick le era stato amico. Forse l’aveva amata. Non te ne sei mai accorta.
Un altro nodo per il tuo fazzoletto, Annie.
Johanna ti sorride, con aria angelica. Eccola qui: la donna capace di uccidere a sangue  freddo. Quella capace di ribellarsi a Snow, quella sempre sola. Torturata fino a farle odiare qualcosa di così bello come l’acqua. Quella che Finnick  potrebbe avere amato, quando tu non potevi accorgertene. Eppure la conosci bene: c’è stato quel periodo in cui le vostre urla diventavano un solo grido. E nessuno veniva mai ad alleviare le vostre sofferenze.
-Non è come pensi- osserva Johanna, il sorriso che inizia a svanire. –Non avrebbe mai scelto me-
Lo dice con un’amarezza tale che le credi.
Un nodo, Annie. Una scoperta che non avresti voluto fare.
Una fitta al cuore che ti toglie il respiro, solo per pochi attimi. E poi sorridi, Annie, una mano si posa sopra la pancia. Lui è lì. E’ vivo.
Il tuo sorriso non se ne và, a differenza di quello di Johanna. Potresti sorridere per sempre, Annie.
Poi torni ad affacciarti nell’abisso, quello dove hai vissuto per troppo tempo. Lì non c’è Finnick, non c’è nessuno. Le urla tornano ad esplodere nella tua testa, un coro che detesti.
Ottobre vola via, Annie, in un coro di urla che sembra provenire dal tuo stesso cuore. Ottobre viene via, Annie, ed il tuo sorriso si cancella.
Ottobre sta volando via troppo in fretta, Annie.



December

Lo stringi fra le braccia, quel corpicino caldo che non è con te da nemmeno due mesi. Canticchi una vecchia ninna nanna, hai occhi solo per lui.
È bellissimo, il tuo bambino, bellissimo. Lo ripeti piano, quando piange disperato. È bellissimo, vero Annie?
Johanna non l’ha voluto prendere in braccio nemmeno una volta. Lo guarda con espressione assorta, quasi ostile, volta la testa ogni volta che il bambino apre gli occhi.
Lo sai, il perché. E’ quella consapevolezza che pesa sulle tue spalle troppo fragili, che non ti fa dormire. Che ti spinge quasi a chiudere gli occhi, ogni volta che tuo figlio si sveglia.
-Vuoi tenerlo?- domandi piano, quando la sorprendi a guardarlo, sovrappensiero.
Il bambino ha gli occhi del padre. Dello stesso colore del mare.
-No- risponde lei, secca. Siede rigida, come se dovessi attaccarla da un momento all’altro. Torna a tormentare un angolo della camicetta e tu non sai più cosa dire. Non riesci a capirla. Non ci riuscirai mai.
A Johanna manca Finnick.
-Perché?- domandi, più a te stessa che a lei. Non la guardi negli occhi: il suo dolore silenzioso ed inespresso fa male. Perché riflette perfettamente il tuo, lo sai bene. E non vuoi vedere il riflesso del Finnick che ha conosciuto anche lei, che ha amato anche lei. Non vuoi odiarla, Annie.
-Perché ha scelto te e non me?- domanda, alzando le spalle. Lei ti odia, Annie, ne sei sicura.
Il pianto del tuo bambino squarcia l’aria, lacrime grosse come bilie cadono sul visino. Johanna non lo ascolta nemmeno, guarda fuori dalla finestra, quel mare che odia. Una barca scivola fra le onde tinte di rosso.
-Non ha scelto me perché non ero quella giusta- mormora Johanna, con fare rassegnato. È strano vederla così, fragile come quando l’hanno spinta ad odiare l’acqua.
Sospiri. È dicembre, Annie. I ricordi iniziano a sbiadire sempre di più, le parole si disperdono nell’aria.
Non c’è verso di fare smettere di piangere il tuo piccolo dagli occhi verde mare. Non ti piacciono le lacrime, ti ricordano tutte quelle che hai dovuto versare. Tutte le volte in cui ti hanno dato della pazza.
Le mani vanno a coprire le orecchie. Non vuoi sentire, Annie, fa troppo male.
Guardi fuori dalla finestra, titubante. Dicembre vola via, Annie.


Non eri veramente lì, Annie, quando accadde. Però lo ricordi, come se fosse successo a qualcun altro. Come se tu fossi stata una semplice spettatrice, che osservava spaventata quello spettacolo grottesco.
Eri lì, invece. E sentivi ogni scossa di puro dolore, dentro di te.
 Non hai pianto, Annie. Nemmeno una volta.
Eppure le tue urla le ricordi ancora, superavano i loro borbotii. Rompevano la barriera che ti separava dall’abisso.
Credi di non aver pianto
. In realtà, non hai mai smesso.
Lo sentivi chiaramente, l’uomo sopra di te. Che rideva e ti chiamava pazza, anche lui.
Hai urlato e pianto, lacrime che cadevano sul pavimento e si mescolavano al liquido bianco. Faceva male, te lo ricordi?
Faceva male perché lui non era Finnick, nessuno ti diceva che sarebbe andato tutto bene. Eppure, tu ci credevi.
Ridevano ti te, Annie. E, di notte, le tue urla si univano a quelle di Peeta e Johanna. Loro non ti chiamavano pazza.
  Forze perché, pazzi, lo erano anche loro.
Di notte, chiamavi Finnick. Nessuno rispondeva.
-Non verrà a salvarti- aveva mormorato Johanna, una notte. Piena di risentimento, stanca e tremante. Spaventata come te, ma in grado di nasconderlo. Tu non riuscivi a smettere di piangere e cercare di isolare i suoni. Di allontanarti da quell’abisso.
Eri all’inferno, Annie, e non te ne eri resa conto. Non potevi saperlo.
“Non verrà a salvarti” aveva detto Johanna. Tu non le avevi creduto, nemmeno per un secondo: Finnick doveva venire a salvarti. Non poteva lasciarti lì, da sola.
Dove perfino respirare diventava difficile, perché faceva troppo male. Ma tu non piangevi mai. O, almeno, credevi che fosse così. Quelle sul tuo viso non erano lacrime.
Tenevi sempre gli occhi chiusi, cercando di focalizzarti sui ricordi piacevoli. Che non esistevanno più, in quel labirinto di dolore che avevi nella testa. Ogni tanto lo ricordi, vero Annie?
Non sapevi ancora di essere persa per sempre. Credevi che saresti riuscita a tornare indietro. Avevi davvero un posto in cui tornare?
Finnick. Finnick era il tuo posto.
Non li ascoltavi mai, gli uomini vestiti di bianco, quando ti dicevano cose come “Allora, dov’è il tuo Odair?”. Incassavi e credevi di non piangere. Ed invece piangevi ed aspettavi che Finnick tornasse da te. Ci credevi davvero, Annie. Credevi che sarebbe venuto a salvarti, perfino nell’inferno in cui ti trovavi.
Le lacrime erano i secondi che passavi senza d lui. Non erano lacrime.

Ci credevi davvero.


Ti sei calmata, Annie. Un bel respiro, sorridi al tuo bambino. Somiglia a suo padre, porta il suo nome. Una condanna per il tuo povero cuore.
Sorridi Annie e non piangi mai. Il tempo corre più veloce di te, dicembre vola via. Il tuo cuore tace, aspettando che il tempo costringa le ferite a richiudersi. Ci credi davvero, Annie.
Johanna sbuffa, irritata. Ha sempre qualcosa da nascondere, qualche ricordo che la tormenta. Tu non riesci a capirla.
-Dammelo- tende le braccia, per accogliere il tuo bambino.
Sospiri e le sistemi il piccolo Finn fra le braccia. Braccia di madre che accolgono il vuoto, adesso che il figlio non è più lì. Hai paura, Annie. Hai paura di quello che Johanna potrebbe dire.
Dicembre non ti piace, Annie. La neve cade sul mare.
-Assomiglia a lui- mormora Johanna, quasi stupita.
Sorrridi, Annie, perché Johanna ha ragione. Cerchi il tuo fazzoletto, sepolto in una tasca del vestito.
Un nodo per un momento da ricordare.
-E’ bellissimo- mormora Johanna. E tu sai che sta parlando di Finnick, di tuo marito. Quello che sarebbe dovuto venire a salvarti, di nuovo.
Perché lui tornerà, lo sai. Ci credi, Annie, ci credi davvero.


Era bellissimo, stare lì. Al sicuro fra le sue braccia. Nessuno avrebbe potuto portarti via da lui, da Finnick che  era lì per te.
Dicembre doveva ancora venire e spazzare via tutto. Non era importante, c’eravate solo voi. Quella notte avevi singhiozzato sulla spalla di Finnick, prima di addormentarti. E quelle erano vere lacrime, che valeevano più di una spiegazione.
-Mai più, Annie. Mai più, amore mio- aveva sussurrato, accarezzandoti i capelli. E tu gli avevi creduto, ti eri abbandonata alle sue mani con la fiducia cieca di un cucciolo.
Ci credevi davvero.
Non gli avevi raccontanto cosa ti avevano fatto. Quanto male ti faceva il suo sguardo che si soffermava sui lividi scoloriti, sulle tue spalle.
Chiudevi gli occhi e cercavi di sparire, finché Finnick non cercava di riportarti indietro. Da lui.
Quella sera, Finnick era crollato, davanti ai tuoi occhi. Le sue lacrime erano finite fra i tuoi capelli, le tue erano rimaste sul fondo degli occhi.
-Mi dispiace, Annie, mi dispiace- aveva mormorato. Ogni volta che ti toccava, ogni volta che ti baciava. Ogni volta. Ti chiedeva scusa con lo sguardo, con la voce. Si attribuiva colpe che, secondo te, non gli appartenevano.
Poi, pronunciò quelle parole così false. –E’ colpa mia-. Sapevi che non poteva avere ragione. Ci credevi davvero, Annie.
Era stato difficile, per te, non scoppiare a piangere davanti a Finnick. Ma lui era lì e bastava per ricacciare indietro le lacrime.
-No- avevi mormorato, piano. –Finnick…-
-Mi dispiace, Annie- aveva ripetuto lui, di nuovo. –Volevo solo che tu fossi al sicuro-
Non avevi risposto. Credevi a tutto quello che ti diceva, Annie. Ci credevi davvero.
-Non lascerò che ti prendano di nuovo- aveva promesso. –Non un’altra volta, Annie-

Ti eri fidata di lui, come ogni volta.


Stringi forte il tuo fazzoletto, Annie. Finnick non è con te. Se n’è andato come il mese di novembre, silenziosamente. Lasciandoti sola a sopportare il peso del tempo che rallentava la sua corsa, solo per farti sentire quel maledetto dolore.
Non te lo meriti, Annie.
Sospiri, la mano che sfiora il polso sottile, una vecchia cicatrice dimenticata anche dal tempo. Tu non l’hai mai dimenticata, non è vero?
Sono stati loro a portarlo via da te.
Johanna che fa le moine al  tuo bambino. Quasi hai paura di non vederlo più tornare, felice com’è fra le braccia di quella donna con cui non hai niente in comune. Niente, solo perché lui ha scelto te.
Anche lei ha contribuito a portare Finnick via da te, dovrebbe pagare.
Johanna che quasi sorride, davanti a quegli occhi che le sono così familiari. Che hai amato con tutta te stessa, sicura di essere l’unica.
Novembre è volato via, senza dirti una parola, lasciandoti sola. Non dire niente, Annie: sei stata una sciocca e te lo sei meritata, lo sai bene.
Sei tu che paghi per quello che ti hanno fatto.
-Assomigli al tuo papà-
È l’unica cosa che puoi fare, Annie. Pagare per errori non tuoi, adesso che il tuo errore non riesci più a comprenderlo bene.
Credevi davvero di essere amata. Sei stata una sciocca, Annie, te lo meriti tutto questo dolore.



January

Natale è arrivato e passato e tu non te ne sei quasi accorta. La cosa non ti ha stupita in maniera particolare, Annie, ancora non riesci a comprendere il bizzarro scorrere degli eventi.
Quest’ anno non riesci a sorridere, davanti alle candele rosse. Quest’anno non hai ancora avuto il tempo di sorridere, Annie.
È colpa tua.
È arrivato un regalo dal Distretto 12, da Katniss e Peeta. Un gattino in una cesta, un biglietto scritto a mano e decorato dalle dita abili di Peeta. Uno dei cuccioli di Ranuncolo, ti hanno spiegato. Per aiutarti a trovare la serenità.
Hai riso, Annie. Nemmeno tu sapevi il perché.
Johanna non ha detto niente, quella volta. Sedeva in un angolo, il piccolo Finn fra le braccia, la sua attenzione catalizzata su di lui. Non eri riuscita a dire nulla, Annie. Il gatto era scivolato sul tuo vestito, con fare sinuoso, strusciandosi sul dorso della tua mano.
È ancora qui, Annie. Il suo pelo morbido contro le tue mani fragili, che ti dona una scheggia di quella serenità che ti viene ancora negata. Non è il tuo bambino, Annie.
Ogni tanto ti fermi a riflettere su quanto sia stato crudele sottrarre questo gattino ai suoi genitori, proprio come Johanna sta cercando di allontanare da te tuo figlio. Il bambino con gli occhi verdemare che forse non ti chiamerà mai “mamma”. Che, forse, non sarà mai come suo padre.
C’è stato un momento, quando quest’anno stava per finire, in cui ti sei chiesta per davvero se l’abisso non fosse stato un’alternatuva migliore, per te. Ci hai pensato veramente, piangendo sul tuo fazzoletto annodato, il pelo del piccolo Seaweed a contatto con le tue mani. Ti sei detta che non sarebbe cambiato poi molto, per tuo figlio: è troppo piccolo per ricordare la presenza evanescente che sei per lui, la madre che lo ama con tutta sé stessa.
Eri pronta ad andartene, Annie. Sapevi di meritartela, una fine indolore. Almeno quella.
È stata Johanna a fermarti, con una delle sue famose occhiatacce. È bastato un “non pensarci nemmeno” ed hai detto addio all’abisso. Non ha fatto male.
Ti chiedi, Annie, perché l’abbia fatto. Perché ti abbia fermato mentre ti tuffavi nell’abisso, in una maniera così diversa dall’ultima volta. Eri pronta ad andarci di tua spontanea volontà e lei ti ha fermata.
Hai pianto, Annie, senza saperne il perché.
Non ti ha consolata, Johanna non ama le lacrime. Acqua salata che lei detesta, che le hanno fatto temere, nell’abisso dove vi avevano gettate. Adesso ti chiedi se non ci fosse stato un modo per evitare tutto quel dolore. Niente ti spaventa più di quell’abisso.
Seaweed miagola, pretende la tua attenzione. Johanna fa una smorfia, indirizzata al tuo gattino: lei e Seaweed non vanno molto d’accordo. Le unghie del gattino hanno più volte incontrato la pelle di Johanna, facendoti quasi sorridere. È come se lui volesse difenderti, come faceva Finnick, un tempo. Ti difende dalla durezza di Johanna facendosi forte del suo vantaggio: le unghie. Una volta hai quasi riso, quando Seaweed ha fatto a pezzi una camicia di Johanna. A Finnick sarebbe piaciuto, il tuo gattino. Solo perché  a Finnick piaceva tutto quello che ti rendeva  felice.
Non sopporti che si allontani da te, hai paura di vederlo sparire nel nulla. Di vederlo cadere in un abisso simile al tuo.
-Seaweed- lo chiami, appena lui tenta di allontanarsi. –Vieni qui, Seaweed-
Non ti piace rimanere sola. Di notte ti alzi, la camicia da notte che fruscia attorno alle caviglie e guardi il tuo bambino che dorme.
Ogni notte senti quel vuoto, nel cuore, il peso invisibile fra le braccia. Lo sai bene, come ci si sente a far finta che vada tutto bene. Quando, invece, il mondo sta per crollare e tu cammini spedita verso l’abisso.


Iniziò ad avere paura per te, cercando di tenerti al sicuro come si fa con i bambini piccoli. A settembre hai conosciuto l’abisso, senza di lui. Hai conosciuto il dolore bruciante di un amore violento, che amore poi non era. Hai conosciuto le lacrime che non erano lacrime e le urla di chi non poteva parlare. Hai conosciuto la disperazione che ti aveva invasa, quando l’attesa si era prolungata eccessivamente. Eppure non venne mai a meno la tua unica certezza: Finnick sarebbe tornato. Solo per te.
 Ottobre era quasi finito, quando ti riportarono da lui. L’aria ti riempì i polmoni, improvvisamente. Mani delicate che curavano i graffi sul braccio. Nemmeno una volta ti passò per  la testa di parlare con loro di quel che ti avevano fatto. Guardi il niente ed aspettavi di vedere Finnick, il tuo Finnick, correre verso di te.
Ottobre era quasi finito ed ancora la tua speranza non era venuta a meno. Infatti vennero a prenderti, alla fine. Ti portarono da lui mentre eri ancora come un cucciolo spaventato, avvolta in un lenzuolo candido. Hai urlato il suo nome, felice di aver saputo attemdere.
Novembre era appena iniziato quando la tua vita prese una svolta che non ti saresti mai aspettata. Di notte ti permetteva di dormire con lui. Era lui stesso a volerlo, da quando ti aveva sentita singhiozzare sul cuscino. Odiavi i tuoi incubi, quel dolore bruciante che ti ossessionava. Era l’abisso che ti reclamava, Annie, l’hai capito solo ora.
Appoggiavi la testa sul suo petto, le braccia attorno al suo corpo solido, concreto. Smettevi di piangere immediatamente, l’abisso che svaniva davanti ai tuoi occhi.
-Non lasciarmi- mormoravi, con voce tremante. –Ti prego-
E lui non ti lasciava mai. Ti permetteva di aggrapparti a lui come se quella  fosse davvero l’ultima notte. Se lo era davvero, non potevate saperlo.
Lui posava le labbra sui tuoi capelli, quando il sonno iniziava a pesare sulle palpebre. Ti stringeva forte per non farti andare via, non di nuovo. Te l’aveva promesso, Annie.
E ti sussurrava un “Buonanotte, amore mio” che tu non sentivi mai. E tu lo amavi, in silenzio, senza dirglielo ad alta voce. Lo sapeva già, ne eri sicura.
-Finnick- l’avevi chiamato, un giorno, angosciata. Ti eri svegliata per colpa di un incubo. Ed il dolore fra le gambe, acuto e bruciante, sembrava quasi reale. –Finnick-
Lui si era svegliato subito, preoccupato. Ti aveva cercata con lo sguardo, per assicurarsi che andasse tutto bene.
-Annie- aveva mormorato, la preoccupazione che traspariva dalla sua voce. E tu eri scoppiata a piangere, come una bambina. –Cosa ti hanno fatto, Annie?- aveva mormorato Finnick, preoccupato.
Non avevi risposto. Facevi fatica a respirare, con quel dolore che ti pesava sul cuore. Le lacrime ti graffiavano il viso e si mescolavano con il sangue.
-Finnick- avevi mormorato, la voce che ti tremava. –Aiutami, ti prego-
Il tuo sguardo si era fermato sulla vecchia cicatrice sul polso, la ferita non ancora guarita del tutto. era scivolato su un livido scolorito sul braccio, dove ti avevano toccato dita troppo crudeli per essere innocue. Finnick aveva seguito il tuo sguardo, trasalendo di fronte ai segni di quella crudeltà.
Ti eri nascosta fra le sue braccia, cercando di trattenere le lacrime imminenti.
-Mi dispiace, Annie- aveva mormorato, senza toccarti. Come se avesse avuto paura di farti male. –Non meriti tutto questo-
Avevi alzato lo sguardo, titubante ed avevi posato le tue labbra sulle sue. Non faceva male.
-Shh- avevi mormorato, piano.
Novembre era appena iniziato e tu amavi Finnick, con tutto il cuore. Dicembre doveva ancora arrivare, Annie.

Non lo sapevi.


Guardi fuori dalla finestra, in silenzio. Fiocchi di neve t’impediscono di vedere. Tieni tuo figlio fra le braccia, Seaweed si struscia contro le tue caviglie.
Johanna non c’è. E presto e non si è ancora svegliata. Culli il tuo bambino, il piccolo Finn, aspettando che si svegli per farti ammirare i suoi occhi. Il riflesso di quelli del padre, che non potrai più vedere.
È per questi occhi che non cadi nell’abisso. Per lui, il tuo Finnick.
Passi veloci, che appartengono ad una persona che non sopporti. Lo sguardo di Johanna ti brucia la schiena. Stringi forte il tuo bambino, temi che lei te lo porti via.
-Sei sveglia- osserva, scivolando su  una poltroncina. Seaweed soffia, irritato. A lui Johanna non è mai piaciuta. –Anche quel dannato gatto-
Sorridi leggermente, Annie, e ti fermi davanti alla finestra a guardare la neve. Non ti piace, la neve, annulla il mare. E tu hai sempre amato il mare.
-Mangia qualcosa- sussurri, sperando di riuscire a mandarla via, per  restare un altro po’ con tuo figlio. Prima che lei te lo porti via, inevitabilmente.
Tende le braccia, senza rispondere alla tua domanda. –Dammelo- dice, semplicemente.
-No- mormori, con fare protettivo. –E’ mio figlio-
Johanna non batte ciglio. Ti guarda come per dire “e tu saresti mai una buona madre per lui?”. E senti di nuovo quei sussurri che detesti, quellla parola riferita a te. Quella che fai finta di non sentire, ogni volta.
Pazza. Sei pazza, Annie.
Lo sguardo di Johanna sembra confermarlo. Ti sta dando della pazza, vuole portare via il tuo bambino. L’unica cosa che ti resta di Finnick.
Anche Johanna ha amato Finnick, Annie, non dimenticarlo.
Sospiri e cedi, la vedi sorridere mentre prende fra le braccia il piccolo Finn. Un sorriso trionfante sul volto e ti fa male, Annie. Non è giusto.
Seaweed miagola, come per confortarti. Cosa direbbe Finnick, se ti vedesse adesso?
Johanna inclina al testa, tuo figlio fra le braccia.
-Ricorda- dice, piano. –Che lui ha scelto te-
E si allontana, lasciandoti sola. Senza tuo figlio. Solo perché Finnick ha scelto te.


Era dicembre e pioveva sempre, ancora la neve non era arrivata. Passavi tutto il tuo tempo seduta in un angolo a pensare. E Finnick sedeva accanto a te, come quando eravate solo dei ragazzi. Non parlavate mai, aspettavate solo che il freddo allentasse la sua morsa.
Posavi la testa sulla sua spalla ed ascoltavi il lento, placido battito dei vostri cuori. La domanda uscì dalla tua bocca prima che tu riuscissi a fermarla.
-Mi ami, Finnick?- un sussurro appena udibile, una frase che avresti dovuto solo pensare. Che rimase sospesa nel vuoto, in attesa di una risposta che, così credevi, non sarebbe mai arrivata.
Non avresti dovuto dirlo, ne eri certa. Quella frase risuonava nella tua testa, un coro simile a quei “pazza” che odiavi già.
Aveva risposto quasi subito, senza un minimo  d’incertezza. –Ti amo- aveva sussurrato sui tuoi capelli. –Ti amo-
E ti eri fidata di lui, totalmente e completamente. Perché anche tu lo amavi.
Ti aveva stretta a sé, con delicatezza, per non farti male. Mai più, aveva detto. E tu non eri più stata male, perché lui te l’aveva promesso.
Si era allontanato presto, come ogni volta. Aveva quasi paura di ferirti.
-No- aveva mormorato. –Non posso farti male-
E tu eri tornata fra le sue braccia, attirata da una forza miseriosa. Non potevi tollerare di restare lontana da lui, non di nuovo.
-Ti prego- avevi mormorato tu, piano. E lui ti aveva avvolta nel suo abbraccio di velluto, per proteggerti.
Avevi guardato il suo viso serio, gli occhi dello stesso colore del mare. Ed avevi pronunciato quelle due parole che nessuno dovrebbe mai dire, perché fa troppo male. Il sangue scorre al suono di quelle parole maledette, i mostri sotto il letto tornano in superfice per spaventare i bambini. E tu, ingenua più di una bambina, non potevi saperlo.
-Ti amo anche io- avevi mormorato, cacciando indietro delle lacrime. E lui non era riuscito a trattenere un sorriso, davanti alla tua sincerità disarmante.
Avevi chiuso gli occhi, come un bambino piccolo di fronte ad i suoi mostri. I bambini hanno paura dei mostri perché non conoscono altro. E tu eri ancora una bambina, innamorata del principe azzurro e che teme i mostri più di altra cosa.
-Non permetterò che ti facciano ancora del male- aveva detto Finnick, quando avevi iniziato a tremare fra le sue braccia. –No, no Annie- aveva detto, quando ti eri coperta le orecchie con le mani. Con delicatezza di aveva convinta ad abbassare le mani. –Va tutto bene-
E ti eri fidata di lui, perché lo amavi.
Solo lui, nessun altro.


Il piccolo Finn non piange mai. O, forse, sei tu che non riesci a sentirlo. Di notte dorme e non piange, di giorno è al sicuro fra le braccia di Johanna. È tuo figlio eppure non lo è.
Di notte lo guardi dormire e permetti alle ombre scure di stabilirsi sotto i tuoi occhi. Sei stanca, Annie. Lo fai solo per il tuo bambino, perché abbia una madre.
Il tuo corpo esile diventa sempre più sottile, le ossa sporgono attraverso la pelle chiara. Sei malata, Annie. Non importa, finché avrai la forza di guardare tuo figlio.
La mente continua a viaggiare, esplora mondi sconosciuti. Viaggi e scappi via da questo posto pieno di ricordi, vai da Finnick. Sei pazza, Annie, lo sai anche tu.
Sospiri pesantemente e guardi tuo figlio, fra le braccia di Johanna. Tu non lo puoi tenere a lungo che lei giunge a sottrartelo.
Tendi le braccia, come fa lei. –Dammelo- mormori, piano.
Lei ti lancia un’occhiata divertita, come quando una bambina tenta di raccontare una bugia a sua madre e quella non riesce a non trovarla spassosa.
Fa un gesto con la mano, come per scacciare via un tafano. –Non essere sciocca- risponde, semplicemente.
Non essere sciocca, Annie. Non puoi tenere tuo figlio, è troppo fragile per le tue mani da pazza. Sei debole, Annie, sei pazza. Non puoi toccarlo.
Solo Seaweed ti è di conforto, miagola per riportarti sulla terra, lontano dall’abisso.
-Per favore- la supplichi, le braccia protese per prendere il bambino. La supplichi perché non puoi fare altro. Sei sola, Annie, completamente sola.
Johanna sorride con fare amabile, quasi fa le fusa come Seaweed. La sua voce è salda e dura mentre pronuncia quella sola parola.
-No- dice, rigida, il tuo bambino fra le braccia. Un bagliore strano nei suoi occhi, ne hai paura. Ammettilo Annie, Johanna ti spaventa. –Non puoi-
Il tuo cuore si spezza, lentamente. Non era quello che Finnick  voleva per te.
-Ma…- mormori, la voce che tradisce le lacrime imminenti. –Finnick…-
Johanna sbuffa, fa così ogni volta che mormori il nome di tuo marito. Perché lui non ha scelto lei e tu, con la tua presenza, non fai altro che ricordarglielo.
-Non parlare di lui- ti ammonisce Johanna, rigida. –Non parlare mai di lui. Il fatto che lui abbia scelto te… non significa niente. Niente-
Una lacrima cade sul tuo vestito. Ma è una sola, non ce ne sono altre.
Un sorriso amarosi forma sulla bocca di Johanna. –Non ho mai capito- mormora. –Perché abbia scelto te. Cos’hai tu che io non ho?-
La domanda cade nel vuoto. Scuoti la testa, Annie, non lo sai nemmeno tu. E le tue braccia rimangono vuote, il piccolo Finn dormicchia sulla spalla di Johanna.
Non è giusto, Annie.
Guardi fuori dalla finestra, la neve che cade. Il mare è vuoto, non c’è più nessuna barca.



March

A marzo c’è il disgelo. Non fa più così freddo, le navi cominciano a solcare le acque del Distretto. Non nevica più. L’altro giorno sei uscita di casa ed hai iniziato a camminare sulla spiaggia, la sabbia fredda che s’inisuava fin dentro le scarpe. Sei uscita con un vecchio scialle sulle spalle, le mani arrossate per colpa dell’aria fredda del mattino.
A marzo iniziano a crescere i fiori. Siedi sulla sabbia come facevi un tempo, da ragazza. Quando ti eri persa da poco tempo ed era ancora difficile, andare avanti. C’era Finnick, con te. Adesso non c’è più.
Canticchi una vecchia canzoncina e le tue mani stropicciano la gonna. Avresti voluto portare Seaweed con te, ma non hai avuto il cuore di svegliarlo così presto.
Il sole si appresta a sorgere e non fa troppo freddo, non hai intenzione di tornare a casa. Non per vedere tuo figlio che ti viene portato via da Johanna.  Non per soffrire  ancora.
Sospiri e guardi il sole sorgere, il mare che bagna leggermente la sabbia. Gli occhi di tuo marito erano dello stesso colore del mare.
Sorridi mentre il vento ti accarezza i capelli, come una mano invisibile che ti rassicura. Tutti amavano gli occhi di Finnick. Solo che lui ha scelto te.
Non sei nata a marzo, Annie. Non sei un fiore che nasce dalla neve ormai sciolta. Che muore, se il gelo torna per tormentarlo.
Odore di alge, le seaweed da cui il tuo gattino prende il nome. Onde che producono una strana musica. Passi veloci, di una  donna che ha fretta. Di Johanna che ha paura del mare.
Siede accanto a te, delicatamente, con il tuo bambino fra le braccia. È cresciuto, Finn, assomiglia sempre di più a suo padre.
-Cosa ci fai qui?- domandi, piano.
Le sbuffa, irritata e sistema il piccolo Finn fra le tue braccia. Il bambino emette un suono che somiglia ad una risata e si accoccola fra le tue braccia. Ti piace.
-Tienilo- dice Johanna, semplicemente.
Apri la bocca, come per dire qualcosa, ma lei ti blocca con un gesto per la mano. –Non farmi cabiare idea- dice, prima di alzarsi. –Solo… Finnick non avrebbe permesso che andasse così-
Abbassi lo sguardo sul tuo bambino, felice di averlo di nuovo fra le braccia.
-Inizio a capire perché lui ha scelto te-


Ogni giorno ti alzavi e sedevi sulla spiaggia. Erano tempi così lontani che adesso fatichi a ricordarli. Eri tornata a casa da poco tempo, come Vincitrice.
Guardavi il mare mentre i fantasmi dei morti nei giochi ti ossessionavano. Urlavano nella tua testa e ti costringevano a tapparti le orecchie per non sentirli più.
E Finnick sedeva accanto a te, in silenzio. Intrecciava una rete che non finiva mai, non ti chiedeva mai niente: sapeva che tu non amavi parlare.
Ed intrecciava la sua rete, Finnick e sembrava non finire mai. Non ti lasciava sola, nemmeno per un istante. Sapeva bene che se l’avesse fatto, saresti morta per mano dei tuoi fantasmi.
Aspettava che ti decidessi a dire qualcosa, persa com’eri fra i tuoi fantasmi. Nell’orrore che ti circondava, faticavi quasi a respirare.
Ogni tanto ti prendeva la mano e ti chiedeva scusa. E tu quasi sorridevi, ricordando il bambino dai capelli ramati che ti aveva insegnato a nuotare.
Non dicevi mai niente.
Ed il tempo passava. Albe troppo brevi lasciavano il posto a giornate infinite. E tu ti perdevi, lentamente, in quei ricordi insopportabili
Era facile vedere il  tempo che scorreva, lentamente. La neve che cadeva, seguita dalla pioggia e dal sole di marzo.
Era marzo, quando le parole iniziarono a fuggire dalla tua bocca. Finnick si era alzato, quando il mare era diventato dello stesso colore del sangue.
-Non andartene- avevi mormorato, piano. E Finnick era scivolato accanto a te, sulla sabbia.
-No, non me ne vado- aveva risposto, un sorriso sul bel volto. –Promesso-
Ti eri fidata di lui, Annie. Fidarsi di Finnick era fin troppo facile.



Johanna è nata a marzo, lo sai bene. La vedi che guarda fuori dalla finestra, bisbigliando numeri a bassa voce. I giorni che ha vissuto.
Dita che si muovo velocemente. I giorni che ha perso.
Un sospiro. I giorni senza  Finnick.
Quelli che tu condividi, nonostante tutto.
Con marzo finisce la speranza di Johanna: è passato altro tempo. Un’infinita massa di giorni tutti uguali. Senza Finnick. Sai anche tu cosa significa, Annie, non dimenticarlo.





Bessie' s Corner:

Non ci credo. L'ho fatto. Ho scritto la mia seconda Fannie, nonostante la mia ben nota incapacità di scrivere sul Pairing. Sul serio, mi sto ancora chiedendo cosa diamine mi sia preso.
*momento di riflessione*
Ok, stavo dicendo. La storia. Sì, dunque. E' una mini long e mi sembra giusto dirlo. Sono ben tre capitoli, di tredici pagine ciascuno. Il secondo è già stato scritto, il terzo lo sto scrivendo ora.
Eh, che dire? E' Angst. Come la maggior parte dei miei lavori. Non so perché *ironia mode: on* ma Annie m'ispira un sacco di Angst. Un sacchissimo (?). Anyway, chiarisco qualche punto, così:
- Gli abusi. Non so da dove sia nata quest'idea. Ma io ci credo veramente. Mi sembra strano che nessuno l'abbia toccata, durante la prigionia. Chiamatemi pazza e sadica.
- AnnieFinnickJohanna. Da dove è venuto fuori, questo triangolo? Sinceramente, non lo so. All'inizio dovevano esserci accenni di JohannaDarius. Poi (come al solito), i pg si sono ribellati ed è uscita questa cosa. Mea culpa. Credo.
- La storia dei nodi. Non so da voi, ma da me si dice abbastanza spesso. Ok, questo punto è potenzialmente inutile xD
- Johanna. Mi sembra vagamente OOC. Non so che farci.
- Seaweed. Alga marina. Cme avrete modo di constatare anche nel prossimo capitolo, ho una (ehm...) grande fantasia. Quindi partorisco questi splendidi nomi per gatti. Vi dico subito che questo è il meno peggio. Preparatevi.
Ok, ho finito con i punti. Finisco con l'ultimissima cosa.
Allora, mi piacerebbe moltissimo ricevere qualche  recensione. Non per aumentare il mio gigantesco ego, ma perché sono secoli che lavoro a questa storia. E mi sono perfino impegnata, pensate un po' xD
Comunque, sorvolando su questa penosa richiesta di recensione, ci terrei a ringraziare un po' di persone. In primis Sara, Emma, Mari, Anna, Cat e Charlie. Queste sante donneH hanno assistito ai miei scleri. *costruisce monumento*
Ovviamente va tutto il mio ammmore ai mebri dell'Emmagono e del "Well, tell them how I love fangirling".
Direi che ho finito, esultate pure :3
Ci vediamo al più presto (non oltre lunedì prossimo) con il cap 2.
Bess
P.S. Questa ff è stata scritta per l'OTP Challenge del gruppo "Well, tell them how I love fangirling (HG)".

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Capitolo 2
*** Parte seconda - Non cogli la neve ***



 

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A Sara, che mi starà detestando.
A Bee, che non se lo aspetta.
Continuo ad essere in ritardo.


 

 

June

Il cuore batte forte, sembra quasi che voglia squarciarti il petto. È insopportabile, un dolore continuo che ti scuote. Ti chiedi se smetterà mai o se, semplicemente, il tuo cuore salterà fuori dal petto e fuggirà via lasciandosi dietro solo una scia di sangue. Sarebbe buffo, non è vero?
Ridi, Annie. Il tempo passa velocemente e lo sai anche tu. Ridi e non sai il perché.
Tuo figlio è fra le tue braccia, ti ha appena regalato quella parola che ti sta facendo scoppiare il cuore. Mamma. Ti ha chiamata “mamma”.
Ha chiamato te “mamma”. Non Johanna. Ha riso e spalancato gli occhi verdemare, riflesso di quelli di Finnick, ed ha pronunciato quella parola. Mamma.
Sorridi, Annie. Sorridi.
È giugno ed il sole riscalda il Distretto, il mare è più azzurro che mai. Il cielo è terso e perfetto, Johanna guarda il mare con aria diffidente.
-Mamma-
Il tuo cuore si scioglie, per colpa di questa parola. Prima così sottovalutata ed ora così necessaria. Come l’aria per i polmoni; vuoi sentire tuo figlio che ti chiama. L’aria si ferma appena ti chiedi cosa succederà quando tuo figlio cercherà suo padre.
Altri bambini corrono sulla spiaggia, le loro madri ti guardano e scuotono la testa, con aria rassegnata. E pensano che tu sia pazza, anche se non hanno il coraggio di dirlo ad alta voce.
Ti alzi lentamente, tuo figlio fra le braccia. Ti guardi attorno, come se ti aspettassi di vedere Finnick che intreccia la sua rete infinita. Solo che non è lì.
Ti chiamano pazza, Annie. C’è un motivo.
Sospiri e ti avvii verso casa, Johanna che ti segue e guarda male il mare. Tutti ti chiamano pazza. Ti chiedi cosa dovrai mai fare per sentire il tuo nome pronunciato ad alta voce.
Camminare senza  ascoltarli è sempre stato difficile, per te. Ti volti sempre all’ultimo secondo, non riesci a non guardare indietro. Per non dimenticare ciò che hai perso.
Una nave scivola sulle onde azzurre. Ogni tanto credi di vedere Finnick che butta la sua rete in mare, a bordo di quella nave che ti tormenta.
Sei sempre stata brava ad illuderti. Giugno è il regno delle illusioni.

 

August (Four years later)

Non credevi che sarebbe successo. Forse l’avevi intuito ma mai e poi mai credevi di potere vederlo con i tuoi occhi. Johanna in piedi, le unghie che graffiano i palmi, rigida. Non ci hai mai creduto, Annie.
Non ci hai mai creduto, eppure è successo. Il piccolo Finn si è addormentato su una  poltroncina, una vecchia fotografia in mano. Le avevi nascoste tutte, nel vecchio portagioie di tua madre, per non farle trovare a nessuno. Finnick.
Ti eri avvicinata, piano, per sbirciare uno dei ricordi che credevi di aver sepolto. Lontani dal tuo bambino, per non fargli male. Per lui suo padre è un’entità mistica, un Dio che non conoscerà mai. Gli hai parlato di lui, una sera, in un mare di lacrime. Lui, piccolo ometto di cinque anni, ti ha ascoltata attentamente. E ti avrebbe chiesto altri dettagli, se non avesse avuto paura di ferirti. Non sei riuscita a dirgli cosa gli è successo. A tuo marito, Finnick. Quella sera non sei riuscita a dirlo. Per quella sera e tutte le altre, le parole sono rimaste nella tua gola, cercavano di soffocarti.
Ti aveva chiesto com’era suo padre. E tu gli avevi risposto che era bellissimo, suo padre, bellissimo. Non eri stata in grado di aggiungere altro. Non ti ha chiesto altro.
Sei stata una sciocca, Annie. Non sei riuscita a dire la verità a tuo figlio.
L’hai guardato con gli occhi pieni di lacrime, quando ti ha chiesto perché suo padre non era lì. Ti sei raggomitolata sul letto ed hai continuato a mormorare qualcosa che somigliava ad un “se n’è andato”. Ed il piccolo Finn si è rifuggiato in braccia che non ti appartenevano. Johanna non smise di sorridere nemmeno per un secondo.
La vedi bene, ogni volta che ti guardi nello specchio. È lì, sul fondo. Il suo sguardo nei tuoi occhi. Ogni volta cerchi di dimenticarla, di guardare altrove. Eppure, il suo sguardo non ti lascia mai.
Nemmeno adesso, mentre guardi tuuo figlio e tuo marito. Insieme, per la prima volta. Per l’unica volta: il piccolo Finn avrebbe potuto conoscere suo padre solo attraverso le foto. Ed i tuoi ricordi confusi.
Le senti, Annie, le lacrime che ti rigano il volto. Lo sguardo di Johanna su di te, aspetta che tu commetta un passo falso.
Crolli sul pavimento, singhiozzando disperata finché tuo figlio non si sveglia. Senti la sua manina che s’insinua nella tua.
Scende dalla poltroncina e prende posto fra le tue braccia, sorridendo felice. Tuo figlio è un bambino bellissimo, non piange più. Ha imparato subito il valore di quelle lacrime che non sopporti, che Johanna teme. È cresciuto con due donne diverse, a cinque anni sa già comprendervi entrambe.
È cresciuto con una donna di pietra, Johanna. Ha capito troppo presto che l’acqua scava la pietra, la distrugge dall’interno.
-Mamma- ti scuote leggermente, come ogni volta che rischi di perderti.
È cresciuto con una donna fragile. Ha capito subito che doveva essere lui a prendersi cura di lei. Per non farla tornare nell’abisso. Sei tu, Annie.
-Finnick- chiami, lo sguardo perso nel vuoto. Col tempo hai capito che perderti è l’unico modo per rivederlo. Per poter tornare.
Senti quasi la sua voce, fusa con quella infantile di vostro figlio, che ti chiama. Annie. Non rispondi mai, persa come sei nel vortice di ricordi indecifrabili.
-Dove sei?- singhiozzi, piano.
Nessuno risponde.
La nave affonda lentamente, nella nebbia nella tua testa.


Non doveva lasciarti, te lo aveva promesso.“Finché morte non vi separi” erano state le parole che vi avevano uniti, per sempre.
Quella giornata è l’unica che ricordi con piacere. Non ci sono momenti dolorosi, lacrime versate sul cuscino.
Un vestito verde che scivolava sul pavimento, lentamente. Ne eri affascinata, il modo in cui il tessuto pregiato catturava quel poco di luce che entrava nella stanza. La stoffa verde che si univa a quella scura del completo di Finnick.
-Non lasciarmi- l’avevi implorato, come ogni volta. –Ti prego-
E lui aveva sorriso e ti aveva stretta a sé, una bambina spaventata dai mostri sotto al letto.
-Sai che non lo farò- aveva risposto lui, piano.
Ti eri fidata di lui, per l’ennesima, maledetta volta. Credevi davvero nel vostro amore.
Eravate finiti nel letto, lentamente, lui che ti teneva stretta per non vederti sparire, di nuovo. Non sapeva, Finnick, che era destino. Sei stata creata per perderti e tornare infinite volte. Non lo sapevi nemmeno tu.
Quella sera non importava, non ancora. La vostra sera, quella importante. Quella che ricordi ancora e che ti ossessiona più del tuo periodo da prigioniera. In verità, non sai cosa sia, la libertà.
C’è sempre stato qualcosa, qualcuno che cercava di rinchiuderti. Lasciarti in una prigione buia a morire, da sola.
Ti teneva per non farti cadere, mani troppo delicate per essere… umane. Non avevi che ricordi di mani dure, troppo rabbiose per permetterti di provare sentimenti diversi dalla paura.
I Pacificatori a Capitol City. Quello con i capelli castani e gli occhi neri come la pece, le mani grandi solcate da cicatrici biancastre. Che ti toccavano e ferivano dentro.
Non come quelle di Finnick.
-Non voglio farti male- ti aveva detto, piano. E tu lo sapevi già, non è vero?
L’avevi guardato, solo per pochi attimi. Non sei mai stata in grado di sostenere il suo sguardo. Mai.
-Shh- avevi sussurrato. –Va tutto bene-
Se era la verità, non lo sapevi neanche tu. C’era solo lui che ti guardava con quei suoi occhi troppo difficili da sostenere.



Il piccolo Finn ha gli occhi di suo padre. Uguali, della stessa bellissima sfumatura di verdemare. Difficili da sostenere, come quelli di suo padre. È incredibile il modo in cui le lacrime ti inondino il viso, ogni volta che tuo figlio ti guarda troppo a lungo.
Johanna non ha i tuoi problemi. Fissa Finn con uno strano bagliore negli occhi. Ogni volta, riesci a convincerti che sia solo affetto. Sei brava a mentire, Annie.
Tieni tuo figlio fra  le braccia, tremi mentre lui tira una ciocca dei tuoi capelli, felice.
Johanna tende le braccia con fare imperioso.
-Dammelo- dice, semplicemente. Come fa ogni volta che ti vede in difficoltà. Crede che tu sia davvero in grado di tornare nell’abisso.
Sbuffa quando vede che Finn ha nascosto il viso fra i tuoi capelli.
-Avanti, Annie- dice, semplicemente. –Dallo a me-
E cedi, come fai ogni volta. Johanna sorride quando Finn si aggrappa a lei, felice. Vorresti piangere come facevi quando Finnick era con te e ti chiedeva di raccontargli del tuo periodo da prigioniera. Non ci riesci.
Odi quel pensiero che ti perseguita, che ti ossessiona. Tuo figlio ha scelto Johanna. Quel pensiero così vero, nonostante tutto. Ha scelto Johanna perché lei non gli ha mai permesso di conoscerti veramente. Quel pensiero che condividi. Finn ha scelto Johanna perché lei non è te. Finn ha scelto Johanna perché suo padre ha scelto te.
Nascondi le lacrime, come ogni volta. Combatti contro la forza misteriosa che ti coostringe a chiudere gli occhi e tappare le orecchie.
-No, Annie- ti rimprovera Johanna, come ogni volta. No, Annie, non perderti di nuovo. Un sorriso. Guardami mentre ti porto via tuo figlio.
Seaweed si arrampica sulle tue gambe, miagolando. Lo accarezzi distrattamente, le dita che vengono solleticate dal pelo morbido.
Sorridi e gli permetti di prendere il posto di tuo figlio. Lo fai perché non hai altro.



September (Another four years later)

Lo guardi da lontano, il tuo bambino. Corre felice con i suoi amici, Johanna che li insegue con una gaiezza che non sembra adatta a lei.
Stringi al petto i ricordi di Finn ancora piccolo, così diverso dal bambino nella Yule dei suoi otto anni. Che gioca con i suoi amici ed ignora la madre pazza che lo guarda, di nascosto.
Un cappuccio calato sulla testa, per nascondersi. Per non fare vergognare tuo figlio. Anche i bambini ti chiamano pazza.
Canticchi una vecchia canzoncina, per mandare via i pensieri molesti. Tuo figlio corre e non si accorge che tu sei lì. Che lo guardi e speri che lui ti venga a salutarti. Ma non c’è nemmeno un cenno da parte sua, è troppo impegnato a giocare. Johanna sa che sei lì. Ogni tanto si volta con un sorrisetto soddisfatto, quasi come se volesse rinfacciarti il fatto che tuo figlio ha scelto lei.
Finn ride felice quando lei lo agguanta e lo prende in braccio. Come tu non fai mai. La risata vibra nell’aria, illumina gli occhi verdemare di Finn. Che contemplano tutto meno che te.
Johanna sa che sei lì, con il tuo gattino fra le braccia. Sei avvolta in un vecchio cappotto di Finnick, che risale a prima dei tuoi giochi. C’è ancora l’odore della sua pelle, nella stoffa. Non se ne va mai.
È troppo grande per te, lo sai bene. Eppure è il tuo indumento preferito. Ricordi bene la sensazione della stoffa sulla tua pelle di ragazza, ogni volta che lo abbracciavi.
Senti chiaramente la voce di tuo figlio, che pronuncia quelle parole che ti fanno male.
-Dov’è la mamma? Aveva detto che sarebbe venuta!-
All’inizio pensi che Johanna gli dirà qualcosa come “Tua madre è pazza” con la sua voce sarcastica e pungente. Non lo fa.
-Non sta  bene- dice, con un tono che non ammette repliche. –Ti aspetta a casa-
Una lacrima cade sul pelo di Seaweed, provocando una serie di indignati miagolii.
-La mamma non mi vuole bene-
Quelle parole che non ti saresti mai e poi mai aspettata di sentire. Un colpo al cuore, neve che congela le onde del mare. La neve riesce a coprire persino gli alberi, le case. Congela i cuori ed i fiori che non facciamo in tempo a cogliere. Non cogli i fiori, cogli la neve.
-Annie ha scelto tuo padre- risponde Johanna, semplicemente.
È settembre, non nevica ancora. Non cogli la neve.
Era settembre quando ti fecero prigioniera.


Non coglievi la neve, chiusa com’eri in quel tuo mondo pieno di mostri. Passeggiavi avanti ed indietro per la casa, aspettando.
Guardavi fuori dalla finestra le barche che solcavano il mare, il tuo mare. Non coglievi ancora la neve, ti stringevi in una vecchia vestaglia di Finnick. Blu e decisamente troppo pesante per quella lieve brezza che entrava nella stanza, dalla finestra appena aperta.
Profumo di mare, di neve che non cadrà per molti mesi. Troppo presto, era ancore troppo presto per cogliere la neve.
Le foto di Finnick dormivano su un cassettone, coperte da un sottile strato di polvere che non riuscivi a togliere. Sorrisi opachi che non rendevano giustizia a quelli veri, che ti regalava fin troppo spesso. Camminavi velocemente, un passo che subito era seguito da un altro. Lo sguardo perso, oltre la finestra, in quel mare infinito che circondava il Distretto. Non nevicava ancora, eppure sentivi fin troppo bene quel gelo che aveva preso possesso del tuo corpo. Aveva trovato il suo rifugio nelle ossa e lì imbandiva banchetti con il poco calore che riuscivi a racimolare, per andare avanti. Che fosse semplicemente la paura, un presagio nefasto che si sarebbe rivelato vero?
Non potevi saperlo: vagavi per la stanza con la grazia di una fatina, rivolgendo sguardi esitanti ai vetri opachi della finestra.
Una bambina, Annie, eri ancora una bambina. Non capivi niente, credevi che ci sarebbe sempre stato un principe pronto a salvarti. Guardavi gli ultimi fiori di settembre appassire in un vaso che non rendeva loro giustizia, un pallido riflesso di ceramica verde, di quello che era stato un bellissimo prato. Innocenza era la parola chiave per chi amava i fiori.
Erano tutti innocenti, timidi figli di una Madre Terra troppo debilitata per proteggerli a lungo. Tutto ciò che esiste è nato per morire. Non potevi saperlo.
Era il settembre della tua prigionia e tu, bambina ingenua, non facevi altro che danzare per ingannare un’attesa quasi eterna. Lì fuori i fiori morivano e tu non te ne rendevi conto, perché l’unica cosa che riuscivi a cogliere era la neve eterna che c’era nel tuo animo. Che ti riempiva i polmoni come l’acqua salata in cui stavi quasi per annegare, da bambina. Avvolgeva i ricordi come una carta da regalo troppo spessa per poter in qualche modo fare intuire il prezioso regalo che avvolgeva.
Ma se il regalo non nasconde una sorpresa piacevole, ma una bamba inesplosa è meglio non aprirlo ed ignorarlo. Come se fosse possibile ignorare i regali del fato, come se certe bombe non siano state progettate per esplodere ed uccidere un certo numero di persone.
Era settembre, Annie, quando arrivò il tuo regalo. Una bomba che avrebbe distrutto tutta la tua vita, con la stessa facilità con cui un bambino cancella la parola “mamma” scritta male. Nessun rimpianto.
Una macchia cancellata dal foglio. Un mondo che esplode.
Accadde tutto durante un giorno di settembre.



Tuo figlio ha cancellato il tuo mondo con poche, semplici parole. Mia madre non mi vuole bene. E tu, che sei cresciuta in un mondo popolato da bugiardi, sei crollata sotto il peso di questa menzogna. “Non è vero” vorresti urlare. Solo che Finn non sarebbe in grado di sentirti.
Stanno cancellando il tuo mondo con la neve, Annie, sai che benissimo che te lo sei meritato.



October (Two years later)

Ottobre è il mese dell’attesa e della disperazione. Sa di quei chicchi scuri e dolci, nella ciotola di vetro violaceo. Finn ama l’uva, continua a mangiarne ad ogni pasto. Ogni tanto cerca di convincerti ad imitarlo, con scarso successo: il cibo si blocca nella gola e tu rischi di soffocare, ogni volta.
Sei rannicchiata sul pavimento, Annie. Il vestito celeste che scopre una piccola porzione di gambe pallide. Lacrime fredde che finiscono sul tappeto.
Ottobre sa di morte. L’hai capito ora, il corpicino freddo fra le tue braccia, lo stringi mentre i singhiozzi ti scuotono. Non hai altro.
Johanna non è a casa, è uscita appena ha visto quel corpicino così freddo. La vita che scivola via, ad ottobre, lascia quel sapore sgradevole sulla punta della lingua. Ad ottobre si muore perché non si ha un’altra scelta.
Porti le mani a coprire le orecchie, per non sentire più quella lenta litania che sa di morte. Non c’è altro.
-No, mamma, no!-
Un singhiozzo ti sfugge dalle labbra, il pelo di Seaweed è freddo sotto le tue dita. Non miagola più. L’unico conforto che avevi ti è stato negato da quel vento di ottobre che cerca di ucciderti, le parole che mormora sono lame taglienti. Sei sola, Annie, completamente sola.
-Mamma!-
Singhiozzi più forte, gli occhi serrati ed il pavimento contro la guancia. Ottobre è il mese delle  bugie. La senti, Annie, la mano di Finnick sulla tua spalla?
-Mamma, mi senti? Sono Finn, tuo figlio!-
Spalanchi gli occhi con cui non riesci più a vedere con chiarezza, i fumi di ottobre  hanno già annebbiato i tuoi occhi. Lo vedi, Annie, Finnick che ti sorride?
-Finnick?- chiami, sottovoce. Vivi un mondo popolato da fantasmi, illusioni. Finnick accanto a te, che ti dice che andrà tutto bene.
Ottobre è il mese delle bugie.
-Finnick?- la voce tradisce le lacrime che arrivano troppo presto, che graffiano il viso e provocano altre lacrime. –Dove sei?-
-Sono qui, mamma, sono qui- risponde una voce. La senti Annie e non ti fidi di lei. Sai che Ottobre ti vuole illudere, ti vuole uccidere. Come quei fiori che ondeggiano sotto quel vento freddo, cercando di resistere con tutte le forze. Alcuni perdono petali, durante la loro lotta, piccole teste che cadono e rotolano via. Porti le mani al collo, cercando di capire se riesce ancora a reggere la tua testa.
Tendi le braccia, sperando che Finnick venga da te. Solo che non c’è nessuno, solo una lieve brezza. Ottobre ama illuderti, Annie.
È solo tuo figlio, il ragazzo che ti raccoglie dal pavimento. Non sei in grado di capirlo, Annie, continui a singhiozzare come una bambina.
È colpa di ottobre e tu non lo sai.


Prima di imparare a camminare, i bambini imparano a cadere. Si aggrappano alle mani dei genitori e muovono i primi passi, incerti. Se vuoi andare avanti devi imparare a camminare, è inevitabile.
Un passo dopo l’altro, una caduta dopo l’altra. Stringere i denti, sentire il cuore che esplode. Rialzarsi, ogni volta. Solo che tu non ne sei capace, Annie. Non lo sei mai stata.
Era sempre Finnick a prenderti in braccio per farti andare avanti, una bambina appoggiata al suo petto. Una bambina che amava troppo anche solo per poter pensare di lasciarla. Scelse te senza pensarci, senza che gli fosse permesso di avere anche solo un’alternativa. Eri tu la scelta giusta.
Era l’ottobre del tuo undicesimo compleanno, l’ottobre più importante della tua vita. Avevi undici anni e troppe fantasie in testa, troppi sogni irrealizzabili.
Camminavi ogni giorno sulla spiaggia, sopporando gli sguardi delusi dei tuoi parenti. Ti chiamavano sciocca perché passavi le giornate a camminare sulla spiaggia, raccogliendo conchiglie. Non sapevi nuotare.
Camminavi da sola, respingendo ogni compagnia. Ad ottobre le cose  peggioravano e smettevi quasi di parlare, le onde cancellavano i tuoi passi. A volte desideravi quasi che cancellassero anche te, semplicemente e velocemente.
Come si cancella una macchia dal foglio.
Camminavi velocemente, quel giorno, le mani in tasca ed il volto scuro. Avevi litigato con tua madre, quella mattina, subito dopo la colazione. Odiavi litigare con lei. Odiavi litigare e basta, mentire e dirle che la detestavi. Eppure c’erano momenti in cui riuscivi quasi a crederci. Colpa di ottobre, ti dicevi. Era sempre colpa di ottobre.
Lui era lì, seduto sulla spiaggia. Aveva quasi quindici anni e non parlava mai. Intrecciava reti in silenzio, con cura. Tua madre sosteneva che il Fato intrecciasse reti, incrociasse destini.
Vedevi Finnick Odair ogni giorno e ti chiedevi se avesse la presunzione di credersi il Fato. Sedeva ed intrecciava, senza rivolgere la parola a tutte le persone che si voltavano a guardarlo. E poi spariva, di punto in bianco. Passavano giorni, ore e minuti e poi lui tornava. Ed intrecciava le reti che avrebbe regalato ai pescatori, ottenendo in cambio ampi sorrisi che non avrebbe guardato.
Ti ricordavi di lui. Un tempo eravate stati amici, lasciati a giocare sulla spiaggia da genitori troppo impegnati a procurarsi il necessario per sopravvivere. Ti ricordavi di lui ma, ne eri sicura, lui non si ricordava di te. Come avrebbe potuto?
Eppure era lì e non parlava, intrecciava la sua rete in un silenzio che faceva quasi paura. E tu camminavi, lentamente, in mano delle conchiglie bianche. Amavi il bagliore perlaceo che  emanavano.
Era ottobre e faceva  freddo e tu avevi appena litigato con tua madre. Ed era colpa tua, nonostante tutto.
Eri scivolata sulla sabbia, il vestito raccolto attorno  alle gambe, non troppo lontana da Odair. Tremavi sotto la forza del vento di ottobre.
Avevi sospirato. –Ti dispiace se resto qui?- avevi domandato, piano.
-No, non mi dispiace- aveva risposto lui, senza alzare lo sguardo dalla sua rete.
-Sono Annie, Annie Cresta- avevi detto.
-Mi ricordo di te-



Passi allegri di Johanna che torna a casa. Risata cattiva che non sopporti.
-E così il gattaccio è morto?- chiede, divertita. –Era ora-
Non riesci nemmeno a guardarla. Il respiro diventa più lieve, senza quel vago sentore di lacrime. Johanna guarda disgustata il corpo di Seaweed e le lacrime che ti solcano il viso.
Sbuffa e si siede sul pavimento. –Suppongo che Katniss te ne manderà un altro- dice, anche se quel pensiero sembra disgustarla. –Oppure potresti scrivere ad Haymitch e chiedergli di mandarti una delle sue… deliziose paperelle-
Guardi fuori dalla finestra, senza ascoltare le parole di Johanna. Canticchi una vecchia canzoncina che sa di uva e sale sciolto in acqua. Aspetti che Seaweed salga sulle tue gambe. Poi ti ricordi che lui non c’è più.
Una nave muore fra le onde di metallo.



November (Another two years later)

Non hai voluto un altro gatto. Hai passato due anni da sola, cercando di abituarti all’idea di aver perso tutto, per l’ennesima volta. Novembre è l’attesa estenuante, Annie, aspetti che arrivi qualcosa. Qualcuno.
Tuo figlio ti guarda attraverso le palpebre socchiuse, irritato come non mai. Finn si è chiuso in se stesso da qualche mese. Ha smesso di ridere e chiacchiere allegramente con Johanna. Vaga per casa come un’anima in pena, perso in pensieri che tu non riuscirai mai a decifrare. Troppo difficili per te. Una foresta che si stende davanti a te e tu sai bene che sei troppo incline a perderti.
È novembre e la neve inizia a cadere. Riesci a coglierla.
Natale sta arrivando e a te non importa, come ogni volta. Altri giorni da sopportare. Convivere con quel dolore che ti spezza il cuore, con la neve che hai dentro.
Tuo figlio non capisce. Ha la testa sulle tue ginocchia, i capelli ramati sotto le tue mani, gli occhi chiusi. Non ti guarda più. Ha dodici anni ed un pessimo carattere, che tu non comprendi.
È cresciuto con te, Annie, non avrà mai una vita normale. È vissuto fra i fumi di una madre troppo strana per essere normale. Fra della neve che non riesce a cogliere.
Siede tranquillo, senza parlare, le mani che torturano un lembo della maglietta. Non guarda la neve che cade nel mare di metallo, non guarda niente. Ogni tanto sospira ed apre gli occhi, cercando di incrociare il tuo sguardo. Che tu non vedi mai.
-Non mi piace la neve- mormora, piano. Eppure tu lo senti. –La odio-
E non rispondi, come ogni volta. Ti sei rinchiusa nel tuo silenzio, troppo simile a quello del piccolo Finn. Che è cresciuto troppo in fretta, abbandonando le braccia destinate a lui. Di nuovo.
Ogni tanto, Finn ti guarda e ti chiede qualcosa. Trova solo silenzio ostinato da parte tua, una bambina che si è offesa. Ti chiama “mamma” e tu non rispondi mai. Solo il silenzio come regalo. Le parole come eccezioni alla regola ferrea che ti sei autoimposta. Un castigo che pensi di meritare, perché hai permesso a Finnick di lasciarti. Non ricordi mai, Annie, che lui è fuggito via da te prima che tu fossi in grado di accorgertene. Non lo ricordi mai.
-Mamma- Finn sbuffa irritato. –Potresti dire qualcosa, ogni tanto-
-No- rispondi, semplicemente. Come ogni volta, ogni maledetta volta. Solo un “no” mormorato a mezza voce, non c’è mai altro. Non riesci più a dire altro.
Ed i tuoi mostri ridono, in un angolo della tua testa. Ti prendono per mano e ti trascinano via, piccola bambina, per non farti infrangere una promessa.
-No?- sibila tuo figlio. –“No” cosa?-
E tu chiudi gli occhi, come sempre. E’ arrivato di nuovo novembre, la neve che cade sul mare. Muore nell’acqua salata.
-Non posso- mormori, piano. Ogni parola è una ferita, Annie. Di questo passo morirai certamente. Nell’acqua del mare, perché hai smesso di piangere durante la tua infinita prigionia.
Finn sbuffa, gli occhi chiusi per evitare dii vedere il fumo che ti circonda. –Lo so- mormora, piano. –Lo so, mamma. Mi dispiace-
Senti quello che ti sta dicendo o senti solo quello che vorresti sentirti dire?
Ci pensi, guardi fuori dalla finestra la barca  che non c’è più, il vaso vuoto ed i petali sul davanzale. Non trovi una risposta.
Che male c’è ad illudersi un po’, Annie? Lo sai?
Ottobre è finito, ma le illusioni sono rimaste. Ti ossessionano con le loro forme accattivanti, con i loro colori troppo accesi. E tu le ami, solo perché non hai altro.
Ti fidi delle illusioni, Annie, ma non sai che potrebbero riportarti nell’abisso. Ed allora moriresti lì, da sola, circondata dai tuoi ricordi.
Sarebbe la giusta punizione, lo sai anche tu.


December (Three years later)

Finn sembra essersi perso in un mondo tutto suo, te ne sei accorta? Cammina stropicciando l’orlo della maglietta, con te non parla più. Con Johanna litiga sempre, le senti chiaramente, le loro urla. Parole troppo brutte per poterle ricordare, che magari non comprendi nemmeno.
Mille “come hai potuto?” che squarciano l’aria, aprono ferite nel velo che ci avvolge. Tutti quanti. E senti cosa urlano i mostri, nella tua testa. Moriremo tutti.
Non è una bugia, Annie, una menzogna inventata per turbarti. È la verità, lo sai anche tu, vedi il mare che s’increspa mentre il vento inizia a soffiare. Chissà cosa sta dicendo. Non lo capirai mai.
-Come hai potuto?-
Ascolti la voce di Johanna, un tempo così temuta, adesso assolutamente indifferente. I bambini smettono di temere i mostri sotto il letto, quando capiscono che non sono reali.
-No-
Un tempo ti eri chiesta che senso avesse rimanere qui, nel Distretto, da sola. Senza Finnick. Che senso avesse rimanere in una casa vuota, aspettando che il vuoto ti accogliesse fra le sue braccia?
Aspettavi. Cosa non lo sapevi nemmeno tu. Non sapevi nemmeno cosa di tacesse desistere dal crollare nell’abisso, piano, senza fare rumore. Nessuno se ne sarebbe accorto. Scivolare in punta di piedi, verso il baratro, per non tornare più. Era tutto ciò che desideravi, non c’era posto per altro, nel tuo cuore.
-No? “No” cosa?-
Il tuo sorriso è celato dalla stoffa della coperta rossiccia, ruvida contro il tuo viso. Credevi che non avresti mai assistito a questo giorno. Invece è successo. La ragazza siede accanto a te, nervosa, continua ad arricciare una ciocca dei lisci capelli castani. Si guarda attorno, come se avesse paura. Il suo attegiamento contrasta con la sua espressione altezzosa, la piega delle labbra.
Non hai mai visto una quattordicenne così. Avevi quattordici anni, quando Finnick faceva parte del tuo mondo. Sarebbe scorretto dire che era il tuo mondo. C’era ancora altro, quella vita che ancora non era stata cancellata dal sangue di Trevor.
-Non capisci!-
Tenti la mano alla ragazzina, un sorriso rassicurante sul volto.
-Ciao- le dici, piano. –Come ti chiami?-
La sua espressione sprezzante s’incrina e lei diventa una quattordicenne come tante. Fragile come lo eri stata tu. Per un momento, preghi che a lei non sia riservato il tuo stesso destino. È solo una bambina. Dimentichi spesso che anche tu lo eri. Non sei stata risparmiata.
-Shellie- risponde lei. –Shellie Turner-
Le sorridi, sperando di farla sentire  a suo agio. Ti piace, questa bambina. È fragile, anche se cerca di sembrare forte.
Assomiglia vagamente alle conchiglie che raccoglievi da bambina, sulla spiaggia. Piccola e fragile, da tenere al sicuro.
-Io sono Annie, la mamma di Finn- dici, con un sorriso. Ignori le urla di Johanna e Finn, che non fanno altro che unirsi ai mostri nella tua testa. Non li temi più.
-Sei un bugiardo! Proprio come…-
-Non parlare di lui! Non parlare mai di lui! È mio padre. Non ha scelto te!-
Un colpo al cuore, Annie. Tuo figlio lo sa. Non sei stata tu a dirglielo. Però lo sa. E non ti chiama pazza.
-Lo so-
Guardi fuori dalla finestra, come non facevi da tanto tempo. Troppo. Non nevica ancora, una pausa dalla noiosa routine quotidiana. Non nevica.
Il mare non è agitato, è bellissimo sotto il cielo scuro. Non ci sono stelle. Non c’è niente, a dire il vero. Eppure non riesci a smettere di guardare.
-Mi dispiace-
-Sei un bugiardo, Finnick-
Le navi sono abbandonate sulla sabbia fredda, non solcano più le onde. È quasi Natale, Annie, solo tu non te ne rendi conto. Sei troppo triste per accorgertene.
Sei pazza, Annie, e lo sai anche tu.
Prendi il tuo fazzoletto, posato sul tavolino, abbandonato da qualche tempo. Ritornato fra le tue mani in questo mese così triste. Troppi fantasmi.
Finnick, Seaweed, Trevor. Tutti qui per tormentarti.
-Non sono mio padre. Dovresti saperlo-
-Lo so-
-Non sei poi così brava a mentire-
Un nodo sul fazzoletto, le mani che procedono troppo sicure. È passato tanto tempo dall’ultima volta. Troppo.
-Un nodo per un pensiero- mormori, piano. Un nodo per un ricordo, per una persona che non c’è più. Un nodo per un amore appena sbocciato ed uno per un figlio ritrovato. Un nodo per delle lacrime da versare. Un nodo per il tempo che passa e cambia tutto. Mille nodi per il tuo fazzoletto, Annie.
-Come fa a fare un nodo per ogni pensiero?- mormora Shellie, perplessa. –Un fazzoletto non basta-
Sorridi amaramente, ricordando quante volte hai dovuto disfare i tuoi pensieri.
-I pensieri non sono eterni- osservi, semplicemente.
E le mani stringolo la stoffa consunta del fazzoletto, lo sguardo vaga fuori dalla finestra, sulla neve che ricomincia a cadere. Cogli la neve, Annie.


March (One year later)

Johanna se n’è andata. Senza un biglietto, un saluto. Niente. Se n’è andata e non hai idea di dove sia diretta. È strano, a dire il vero, vivere qui. Finalmente da sola.
Eppure, è quasi come se non se ne fosse mai andata. La vedi ancora, rannicchiata sul pavimento che sbuffa davanti all’ennesima camicia strappata da Seaweed.
È strana la consapevolezza che hai acquisito subito: lei non tornerà. Se n’è andata per sempre.
Questo solo perché a marzo c’è il disgelo. Non credi che Johanna sarebbe stata in grado di sopportare un altro anno con voi. Altri giorni senza un minimo di senso, per lei. Con Finn che evitava i suoi sguardi, che la evitava.
Shellie continua a piacerti. È capace di stare ore seduta accanto a te, mentre tu intrecci i tuoi fazzoletti. Ogni tanto ti parla della sua vita nel Distretto, dei suoi genitori che non ci sono più. Di suo nonno che è un pescatore. Tu non racconti niente.
Oggi ti ha portato dei fiori di un delicato rosa tenue, molto carini. Ancora freddi di rugiada, lo stelo piegato sotto la forza del vento. Ti piacciono i fiori, Annie. Li hai sempre amati.
Li hai sistemati nel vaso davanti alla finestra, come fai ogni anno. Non piove nemmeno, oggi. Il cielo è carico di nuovole biancastre, ma nessuna goccia è caduta sul vetro della finestra. Nessuna goccia ha solcato il tuo volto.
C’è solo l’odore della primavera, nella stanza. I boccioli che rinascono davanti a te.
Marzo è il disgelo. Non c’è più traccia della neve.
Shellie ti ha chiesto se ti va di andare con lei a cogliere i fiori appena sbocciati, quelli che ami tanto. E tu le hai sorriso e non le hai rivelato che non sei in grado di cogliere i fiori. Diventano neve ogni volta che li tocchi, come le tue lacrime diventano lame quando le guardi.
Finn non è particolarmente scosso. Non ha detto niente, quando gli hai detto che Johanna se n’era andata. Ti ha guardata ed ha alzato le spalle. Nemmeno per un momento, il terlo  del dubbio si è insinuato nella tua mente fragile.
Non poteva saperlo. Non prima di te.
Gli sorriddi, esitante. È cresciuto tantissimo, durante quest’anno troppo breve. Non sembra nemmeno più lui. Assomiglia troppo a Finnick, te ne rendi conto. E questa somiglianza è un nuovo, sconosciuto e perpetuo dolore che ti scuote. Che ti accompagna, ogni giorno. Non ti abbandona mai, nemmeno per un momento.
-Dov’è andata?- domandi, piano, appena Shellie torna a  casa. Guardi tuo figlio con aria interrogativa, una bambina che si è persa.
-Via- risponde Finn, semplicemente. –Non preoccuparti-
Non capisci, Annie. Come ogni volta. C’è il disgelo e le barche solcano il mare. E tu sei qui, come sempre: Annie che guarda fuori dalla finestra e guarda le altre vite che scorrono.
Non ti appartengono e lo sai, Annie. Come non ti appartengono quei fiori così belli. Irragiungibili per te.
Fai come ti dice Finn, solo perché è la cosa giusta da fare. È tuo figlio e ti vuole bene, sa cosa è giusto per te. Esattamente come lo sapeva Finnick.
Eppure la senti, quella voce, nella tua testa. Che ti dice che è sbagliato, che tuo figlio e Finnick non sono la stessa persona, che cambia tutto. E’ troppo diverso per essere reale.
Guardi fuori dalla finestra, solo per mandare via i pensieri molesti. Quelli che ti tormentano, sempre, da quando hai rischiato di annegare nel sangue. Di morire nell’abisso.
Johanna se n’è andata, per sempre e tu non sai nemmeno il perché. Una nave rinasce dal sangue.


May

Non è arrivata nemmeno una lettera di Johanna, nemmeno un segno. Il silenzio ti ha accompagnata durante questi due mesi di solitudine. I fiori che sbocciano davanti e te e tu che non hai la forza necessaria per coglierli. Non cogli nemmeno la neve, Annie.
Hai passato altri due mesi davanti alla finestra, a fissare qualcosa che non riuscivi veramente a vedere. Shellie che parlava e tu che non la ascoltavi veramente. Non ci saresti riuscita. Troppo difficile.
Maggio è bianco e puro, un mese che non vale la pena di essere vissuto. Non come ottobre.
Aspetti che succeda qualcosa, che Finn ti dica quelle parole che sai essere vere. Devono esserlo, anche se solo tuo figlio conosce la verità.
E temi che quella verità resterà sempre una sconosciuta, un’estranea con cui non parlerai mai. Shellie ti guarda costernata e ti racconta delle storie molto carine. Pirati che salvano principesse, fate buone che fanno sparire la neve. A volte ci credi davvero, alle favole che Shellie racconta. Credi davvero nel lieto fine, quello che tu non hai avuto. Che non avrai mai.
Finn ti ha portato delle rose, oggi. Rose bianche e bellissime, che sono state messe nel vaso. Sprigionano un profumo tenue e delicato che adori. Sono bianche come la neve.
Un tempo odiavi il bianco. Aprivi gli occhi e vedevi il nulla. Il bianco asettico che si stendeva davanti a te come un campo infinito. Lo odiavi solo perché non ti ricordavi cosa ci fosse, oltre quel colore.
Adesso lo ami perché ti ricorda Finnick. Che ti ha salvata quando vivevi nell’abisso bianco latte, con piccole parentesi di sangue e mostri pronti a distruggerti. Che ti ha lasciata quando avevi bisogno di lui.
Shellie sorride e ti guarda, ha notato che ti sei distratta, come ogni volta. Stava raccontando la strana storia di una fioraia che vestiva solo di  bianco e si era interrotta proprio sul più bello. Il finale, quando la fioraia s’innamore del belloccio di turno. E lei, che non ha mai avuto niente, diventa la donna più felice del mondo.
-Cosa succede poi?- domandi, piano.
Gioisci nel vedere la sua espressione stupita. Era convinta che tu non ascoltassi. Esita e non risponde, come per risparmiarti un dolore.
-Cosa succede alla fioraia?- insisti. –May si sposa con Edgar, no?-
Shellie scuote la testa, piano. –No- ammette. –Lui si sposa con Miss Stewart-
-E May?- chiedi. –Cosa le succede?-
Shellie sospira ed inizia a torturare l’orlo della gonna. Abbassa lo sguardo, prima di pronunciare quella parola.
-Muore- ammette, a malincuore. –Le si spezza il cuore perché lui ha scelto un’altra-
-Ma se l’amava davvero…- interviene Finn, seduto sul pavimento.
-Non importa- osserva Shellie. –Non doveva illuderla in questo modo. Anche se amava Jane Stewart. È colpa di Edgar-
Sospiri, la mano che copre un cuore che batte troppo forte, anche solo per poterlo sopportare. Tutte le storie hanno elementi comuni, sempre le stesse principesse da salvare, gli stessi amori da rispolverare. Le stesse lacrime da versare.
Passa il tempo e le storie rimangono sempre le stesse, il dramma di un uomo alle prese con una scelta. Che farà soffrire tutti, giusta o sbagliata che sia.
Le storie scandiscono il tempo che passa, con la loro verità universale facilmente replicabile ed adattabile ad ogni singola vita. Anche alla tua.
-E’ colpa delle sue scelte- osserva Finn, alzando le spalle.
Ridi Annie, perché la conosci fin troppo bene, quella storia.
-Del destino- osservi. –E’ colpa del destino-
Che taglia i fili troppo belli per essere dimenticati. Altrimenti la storia sarebbe un’eterna matassa più intricata di quanto già non sia.
Tuo figlio inclina la testa, lo sguardo insostenibile come quello di suo padre. –E’ sempre colpa del destino- osserva. E, solo per un attimo, sembra davvero Finnick. Ma è solo un attimo.
Poi la nave torna a scivolare fra le onde azzurrine.


July (Two years later)

È venuto da te in silenzio, lo sguardo basso di chi ha delle colpe da nascondere. E ti nasconde veramente qualcosa, l’hai compreso subito. Continua a guardare fuori dalla finestra con aria nervosa, come se avesse intenzione di scappare via da un momento all’altro.
Stringe un cesto di vimini al petto, un nastro verde che lo decora. Un regalo.
Te lo porge, esitante, un sorriso incerto sul volto. Ti sfiora la mano e scivola sul pavimento, la testa sulle tue ginocchia.
-Auguri, mamma- dice, piano. –Buon compleanno-
Sorridi, radiosa. Si è ricordato del tuo compleanno, che cade a luglio. Con il sole che splende e la barca che solca le acque cristalline.
Una testolina tigrata fa capolino dal cesto e salta sulle tue gambe. Sorridi come una bambina, davanti al gattino con il pelo rossiccio.
-Un gatto?- domandi, contenta.
-Per aiutarti a ritrovare la serenità- conferma tuo figlio, usando le parole che erano state di Katniss e Peeta. – Puoi chiamarlo come vuoi-
Pensi a quei fiori che ti ha portato Shellie, la settimana scorsa. Li chiamano denti di leone, dicono che portino fortuna.
-Dandelion- dici, piano.
Tuo figlio alza le spalle, accomodante. –Come i fiori?- domanda, indicando con la testa il tuo vaso di vetro.
Annuisci. Dicono che quei fiori portino fortuna. Tu hai bisogno di tutta la fortuna che il Fato ha da offrirti.
-E’ un bel nome- osserva Finn. Passa la mano sul pelo soffice di Dandelion. –Mamma devo dirti una cosa-
Le mani corrono a coprire le orecchie. Sai cosa sta per dirti, lo sai fin troppo bene. Troppe volte hai creduto di sentire Finnick pronunciare quelle parole maledette. Le conosci fin troppo bene, sono quelle che deve aver pronunciato anche Johanna, prima di scomparire. Quelle che Shellie sarà o è già stata costretta ad ascoltare. Prima ancora che Finn riesca a pronunciarle, senti le lacrime che rigano le guance, lacerando la pelle. E non riesci a crederci, non possono essere davvero lacrime. È impossibile.
Hai smesso di piangere quando ti hanno portata via da Finnick, per la prima volta. Per l’ultima volta.
-Non dirlo- lo supplichi, la voce che sa già di lacrime e sangue.
Luglio, mese degli addii. Sapore di lacrime, sangue sulla pelle, sale.
-Me ne vado, mamma-
Sospiri, piano. L’hai sentito lo stesso. Non serve a niente cercare di perdersi nell’abisso, il dolore arriva anche lì. È impossibile fuggire da dolore.
Le parole s’impigliano nella gola, faticano ad uscire fuori.
-Dove?- mormori. –Dove vai?-
Finn ti guarda, esita un po’, prima di rispondere. –Nel Distretto 12- spiega. –Da Katniss e Peeta Mellark-
Dandelion miagola piano, il pelo contro le tue dita. E tu senti le parole che si bloccano nella gola e non riesci a dire niente. O forse, semplicemente, non vuoi parlare.
Piangi e, per una volta, sai perché. Non sai perché non riesci a parlare.
-Perché?- biascichi.
Finn abbassa lo sguardo, imbarazzato. –Ho rotto con Shellie- confessa. –Ed ho bisogno di parlare con i Mellark-
Trattieni un sorriso. Bugie. Solo bugie.
-Stai scappando- lo accusi. Occhi freddi di Annie, che tagliano come lame. Non dirai altro, come facevi prima. Solo silenzio ostinato per il figlio che vuole abbandonarti.
-Mamma…- mormora Finn, piano.
Accarezzi il pelo soffice di Dandelion, come un tempo facevi con Seaweed. Per un attimo vorresti parlare e chiedere a quel piccolo animaletto fulvo di non abbandonarti. Almeno lui.
Poi serri le labbra e ti riprometti di non dire niente. Solo silenzio per Finn, non merita altro.
Non pensi mai a cosa meriti tu. Taci e accarezzi il tuo gattino, con aria assorta.
-Mi dispiace- mormora Finn, prima di andare via.
E tu non dici niente. Lasci che il gelo mastichi ogni osso del tuo corpo, facendoti rabbrividire sotto il sole di luglio. Il mese degli addii.
Guardi fuori dalla finestra e non vedi niente, solo un sole troppo luminoso per essere reale. E l’abisso si stende davanti ai tuoi occhi, pericoloso e terribile come lo era un tempo.
Eppure non riesci a temerlo. Ormai non hai più niente da perdere, precipitare lì sarebbe fin troppo facile. Anche Finn se n’è andato.
Stringi Dandelion, sperando in un po’ di conforto. Una nave piomba nell’abisso.



Bessie's Corner:

Mi starete odiando. Davvero, sono in ritardo di due giorni. Ma ho studiato ed adesso sono sul divano, agonizzante. Maledetto clima. Anyway, dubito che questo possa interessarvi xD
Anche qui ho da chiarire qualche punto:
- Le paperelle di Haymitch. Quest'idea è stata suggerita da Roxar (E Charlotte), che parlavano di un'ipotetico allevamento di papere del povero H.
- Shellie Turner. Oc, quindi guai a chi la tocca. Comunque, è un personaggio che ritroverete nella long (a cui questa mini fa da prequel :3) "Finchè morte non ci separi"
- Dandelion. Sì, ho un gusto esemplare in fatto di nomi xD Alga marina, dente di leone. Rasseegnatevi, nel prossimo cap avremo Campanula e  Ortica.
Ed è tutto. Vi ricordo che una recensione è sempre gradita xD
Bess

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