Che i 70esimi Hunger Games abbiano inizio

di SofiDubhe94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno: Annie Cresta ***
Capitolo 2: *** Capitolo due: Finnick Odair ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre: Annie Cresta ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro: Finnick Odair ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque: Annie Cresta ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei: Finnick Odair ***
Capitolo 7: *** Capitolo otto: Finnick Odair ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette: Annie Cresta ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove: Annie Cresta ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci: Finnick Odair ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici: Annie Cresta ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici: Finnick Odair ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici: Annie Cresta ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici: Finnick Odair ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici: Annie Cresta ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici: Finnick Odair ***
Capitolo 17: *** Annie Cresta: Cornucopia ***
Capitolo 18: *** Annie Cresta: Accampamento ***
Capitolo 19: *** Annie Cresta: Attacco ***
Capitolo 20: *** Annie Cresta: I giorni ***
Capitolo 21: *** Finnick Odair: quinta notte ***
Capitolo 22: *** Annie Cresta: solitudine ***
Capitolo 23: *** Annie Cresta: James ***
Capitolo 24: *** Annie Cresta: Amici ***
Capitolo 25: *** Finnick Odair: Meglio morti che me ***
Capitolo 26: *** Annie Cresta: Il gran finale ***
Capitolo 27: *** Annie Cresta: Io non sono pazza ***
Capitolo 28: *** Finnick Odair: Il salvataggio ***
Capitolo 29: *** Finnick Odair: A casa ***
Capitolo 30: *** Finnick Odair: Addio ***
Capitolo 31: *** Annie Cresta: E' una lacrima questa? ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno: Annie Cresta ***


ANNIE CRESTA. GIORNO DELLA MIETITURA. ORE 5.00
Ci dicono che essere sorteggiati per gli Hunger Games sia un onore, ci dicono che vincere gli Hunger Games doni gloria a noi e al nostro Distretto, ci dicono che gli Hunger Games hanno salvato tutto Panem. Io penso che gli Hunger Games servano solo a farci diventare burattini asserviti al potere.
Come Finnick Odair.
Ti osservo da quando sei tornato vivo dall’arena, cinque anni fa. Eri più bello di quando sei partito, con quegli abiti sfavillanti che mettevano fortemente in risalto i tuoi occhi color verdemare, della stessa tonalità dei miei.
Tu sei Finnick Odair, tu hai vinto. Ti guardo da quel giorno, forse persino da prima. Ma adesso è meglio che io smetta di sognare: l’alba del giorno della Mietitura sta sorgendo davanti ai miei occhi, questo pomeriggio il mio nome potrebbe essere estratto dall’urna ed io potrei finire in una tremenda arena. La buona sorte non è proprio a mio favore, quest’anno. Vedo il sole, in linea diretta con il mio sguardo, con i miei occhi verdemare.
Siamo in tanti, forse in troppi, ad avere occhi di questo colore, qui nel Distretto 4, ma i tuoi, Finnick Odair, i tuoi sono di certo i più belli.
Non ti ho mai parlato e adesso sento l’ardente desiderio di averlo fatto.
Sarà meglio che io mi alzi adesso, devo affrontare il sole che mi brucia gli occhi, devo essere coraggiosa.
Mi chiamo Annie Cresta, ho diciassette anni, oggi comincia ufficialmente la Settantesima Edizione degli Hunger Games, oggi alla Mietitura il mio nome potrebbe essere sulle labbra della grottesca donna dai capelli azzurri.
Le gambe mi fanno già male e mi sono appena alzata dal letto. Sono le cinque del mattino, è così presto, potrei dormire anche altre quattro o cinque ore.
Mi vado a specchiare, ma quasi stento a riconoscermi: alta e snella come mio solito ho gli occhi stanchi, l’espressione addolorata, i capelli arruffati. Questa non somiglia alla Annie con cui ho a che fare tutti i giorni. Questa Annie è stanca degli Hunger Games e persino della sua vita nel Distretto 4.
Esco di casa silenziosamente, stando bene attenta a non svegliare nessuno. Qui nel Distretto 4 disponiamo di piscine pubbliche che possiamo utilizzare a nostro piacimento. Io sono bravissima a nuotare, anche Finnick Odair lo è. Sono in pochi, qui nel Distretto 4, quelli che non sanno nuotare come delfini: di solito i vecchi o i bambini più piccoli. Io ho diciassette anni, Finnick Odair diciannove e sappiamo nuotare alla perfezione.
Raggiungo una delle piscine, mi tuffo senza badare al fatto di avere ancora tutti i vestiti addosso-
L’acqua mi dà una sensazione di pace e serenità, per qualche attimo posso anche non pensare alla Mietitura di oggi pomeriggio.
Nuoto un po’, qualche vasca giusto per ricordare una sensazione che mi fa sentire a casa, al sicuro, in un luogo riparato e protetto.
Quando mi appoggio al bordo riemergendo per prendere qualche boccata d’aria, un paio di piedi è in linea diretta con il mio sguardo. Alzo gli occhi: è Finnick Odair in costume.
Si china verso di me, per essere alla mia stessa altezza. Sorride. È un sorriso seducente, questo, pieno di fascino, lo stesso che ha incantato tutto Panem, che gli ha permesso di tornare a casa dall’arena e che, al medesimo tempo, lo ha condannato.
            “Non pensavo che qualcun altro fosse tanto folle da nuotare a quest’ora!” dice.
Esco agilmente dall’acqua e mi rimetto in piedi, dandogli le spalle. Mi porto i lunghi capelli castani su una spalla e li strizzo per eliminare l’acqua superflua. Non voglio essere scortese con Finnick Odair, ma nemmeno voglio che fraintenda il mio comportamento, lui è proprio una di quelle persone che potrebbero farlo.
            “Annie” dice ancora.
Come può Finnick Odair conoscere il mio nome?
Ruoto parzialmente la testa in sua direzione, con la coda dell’occhio posso vedere quanto il sole faccia ardere i suoi capelli ramati, faccia brillare il suo addome perfettamente scolpito, come appartenesse ad una statua di alabastro.
            “Non ti chiami Annie?” domanda allora e sembra davvero terrorizzato all’idea di aver sbagliato il mio nome.
            “Sono Annie Cresta” rispondo, freddamente.
Non aggiungo altro, non serve aggiungere altro.
            “Nuoti veramente bene, sicuramente meglio di me!” mi dice e sono sicura che mi stia sorridendo di nuovo in quel modo seducente, capace di distrarre chiunque.
Come si reagisce, come si risponde ad un complimento di Finnick Odair, il Vincitore, il sex symbol di Panem?
            “Grazie, Finnick” rispondo.
Gli volto di nuovo le spalle e riprendo a camminare, allontanandomi da lui; un paio di attimi più tardi sento il rumore del suo tuffo.
Mentre percorro la strada di casa ripenso all’incontro con Finnick Odair. Che io mi ricordi non ha mai parlato con nessuno che non fosse un suo amante o un abitante della Capitale. Che io mi ricordi Finnick Odair non ha mai imparato un solo nome di un suo concittadino, allora perché proprio il mio? Che io ricordi Finnick Odair è un presuntuoso e frivolo ragazzo diciannovenne, allora perché oggi non sembrava affatto così?
Entro in casa ancora perduta nelle mie domande, che forse non troveranno mai una risposta.
Sono le 6.00, è ancora così presto, credo di avere un sacco di tempo per darmi una bella ripulita e vestirmi in modo consono per la Mietitura prima che la casa cominci ad animarsi di vita. Mi dirigo in bagno e faccio tutto con estrema calma e cura: questo potrebbe essere il mio ultimo giorno qui. Mentre mi lavo penso a cosa potrei indossare: Capitol City pretende che siamo impeccabili almeno durante il giorno della Mietitura, quindi niente pantaloni strappati o maglie striminzite che lascino l’ombelico scoperto; quelli sono abiti volgari, assolutamente da evitare.
Mi domando quest’anno quale sarà stravaganza della donna dai capelli azzurri – il cui nome è Eve. Mi domando che parrucca sfoggerà, che abito eccentrico o che accessorio al passo con le mode assurde di Capitol City.
La odio. Nella maniera più assoluta.
Esco di casa perché i capelli si asciughino all’aria tiepida che oggi sta svegliando il mio Distretto; dalla mia casa si vede il mare, laggiù, in lontananza, lo si sente ruggire e infrangersi sugli scogli.
Finnick Odair è a qualche metro da me, con lui c’è una bambina dai capelli biondissimi, così chiari da sembrare quasi bianchi. Finnick si china su di lei per sentire cos’ha da dirgli, le sorride in maniera assolutamente dolce, quindi la solleva dal suolo e la fa roteare per tre volte, scatenando la sua ilarità.
Poi si volta verso di me, i suoi occhi verdemare non hanno mai avuto una luce simile e il suo sorriso non è mai stato così sincero e, in qualche modo, nostalgico.
In quel momento capisco, Finnick Odair, in che modo il mio cuore batte per te.

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Capitolo 2
*** Capitolo due: Finnick Odair ***


FINNICK ODAIR. GIORNO DELLA MIETITURA. ORE 2.00
Nello svegliarmi mi aggrappo al lenzuolo perché mi aiuti a girarmi sul fianco sinistro. Aspetto di mettere a fuoco la stanza in cui mi trovo, ma non la riconosco subito e nemmeno ricordo a quale amante appartenga. L’unica cosa certa è che sono solo.
La solitudine è la mia salvezza.
È tremendo non avere radici che ti ancorino ad una realtà sicura e dolce. La mia vita non è quella di un Vincitore, la mia vita è quella di un prigioniero tra i peggio trattati.
Mi siedo, il buio non è assoluto, perché dalla grande finestra alla mia destra filtra una fredda luce azzurrognola, probabilmente dei lampioni e delle insegne di Capitol City, la città che non dorme mai. Questo pomeriggio ci sarà la Mietitura per gli Hunger Games in tutti i dodici Distretti di Panem ed io devo essere nel 4 il prima possibile, perché sarò Mentore anche quest’anno, perché anche quest’anno vedrò morire due dei miei concittadini, due ragazzini innocenti. Un po’ come lo ero io, cinque anni fa.
Sospiro e accendo la luce, visto che ormai sono sveglio mi conviene prepararmi e prendere il primo treno per il mio Distretto. Mi vesto in fretta, non voglio passare in questa casa nemmeno un istante di troppo; stipo tutte le mie cose in un borsone assolutamente antiestetico – per i parametri della Capitale – ed esco dalla camera da letto.
La donna è seduta su una sedia della cucina che devo attraversare per uscire, non è vecchia ma ha sicuramente trent’anni contro i miei diciannove.
            “Vai già via?” mi domanda con un tono strascicato, tra il lamentoso e nostalgico, condito dal buffo accento di Capitol City.
Questa donna non somiglia ad Eve, quella persona che ogni anni sorteggia i nomi dei Tributi nel mio Distretto, quella persona che cinque anni fa ha estratto il mio.
            “Devo” rispondo freddamente “Mi aspettano nel mio Distretto”.
Lei si alza, mi circonda la vita con le braccia, aderendo quanto più possibile con il suo corpo al mio e mi bacia sulle labbra.
            “Promettimi che ci vedremo ancora” sussurra al mio orecchio, senza ancora sciogliere l’abbraccio.
            “Non prima della fine degli Hunger Games” rispondo.
Il treno sembra immobile, ma la sua velocità è elevatissima, per lo meno arriverò presto a casa. Mi manca il mio Distretto. Preferivo quel tipo di prigionia a questo. Mi manca nuotare nelle piscine, mi manca andare a pesca, stare insieme alla mia gente.
Sospiro nuovamente. Non vorrei partecipare ancora alla Mietitura, non voglio vedere gli occhi dei ragazzi che saranno sorteggiati, sono sempre stati occhi vacui e terrorizzati, lucidi di lacrime. Quasi tutti i Tributi del Distretto 4 sperano sempre che nell’arena ci siano enormi quantità d’acqua perché siamo i migliori a nuotare, ma raramente è così.
Io sono stato l’ultimo dei Vincitori del mio Distretto anche se ogni anni spero che sopravviva qualcuno.
Gli Hunger Games servono solo a schiavizzarci, ad annullare il nostro essere: la Capitale ride delle nostre morti.
Ancora il sole non è sorto ma fuori c’è già un po’ di luce nel cielo. Arriverò presto e forse avrò anche il tempo di andare a nuotare prima di riprendere il mio ruolo di Mentore. Dovrei cercare di dormire un po’, ma so già che sarebbe tempo sprecato.
Vedrò Annie Cresta? Quest’anno ha diciassette anni, solo un altro e sarà salva. Devo pregare e sperare che Eve non sorteggi proprio il suo nome.
Annie Cresta è meravigliosa. I suoi occhi verdemare sono i più lucenti che io abbia mai visto, potrei stare ad osservarla ore senza stancarmi, ma non potrei sopportare di condannarla. Se il Presidente Snow dovesse malauguratamente venire a sapere quanto i miei sentimenti per lei siano profondi lo userebbe per ricattarmi più di quanto già non faccia.
Sono un prigioniero.
Alla stazione c’è Eve ad aspettarmi, è strano che sia qui così presto, ma da un lato ne sono assolutamente felice. Eve è mia amica, nonostante tutto. Mi abbraccia come se fossi suo figlio e capisco che è arrivata così presto solo per vedere me.
            “Ciao, Finnick” mormora, posandomi una mano sulla guancia, è un gesto così materno questo “Come stai?”.
            “Potrei stare meglio, Eve” dico, sorridendole “Hai voglia di portarmi questo a casa?” aggiungo poi indicando il borsone sulla mia spalla “Vorrei tanto andare a nuotare”.
Eve ordina ad uno dei pacificatori che l’accompagnano di prendere il mio borsone, quindi annuisce: “Vai pure a nuotare, Finn, ma non fare tardi, oggi abbiamo la Mietitura” mi ricorda.
            “Grazie, Eve, ti adoro!”.
Le volto le spalle e mi dirigo a passo spedito verso le piscine pubbliche di cui possiamo disporre a nostro piacimento, non saranno nemmeno le sei del mattino. L’acqua mi rilassa, nuotare mi rilassa.
Mentre attraverso il mio Distretto addormentato penso a quanto mi piacerebbe poter vivere sempre qui, senza dover passare di casa in casa, di amante in amante.
Odio la mia vita. Odio ciò che mi hanno fatto i cittadini di Capitol City, odio l’oggetto in cui mi hanno trasformato. Odio che tutti quanti pensino che sia io a volere tutto questo. Ma non posso ribellarmi. Ormai questo è Finnick Odair, Vincitore della Sessantacinquesima Edizione degli Hunger Games.
Quando arrivo alla piscina che preferisco c’è già qualcuno che ci sta nuotando dentro, una ragazza, ma chi potrebbe essere? Chi nuoterebbe mai a quest’ora, nel giorno della Mietitura?
Attendo, in piedi vicino al bordo, prima o poi dovrà riemergere dall’acqua.
Nuota davvero bene, questa ragazza, sembra un delfino, possiede un’eleganza unica nei movimenti, così fluidi e perfetti. Sono assolutamente incantato dal legame che questa ragazza ha con l’acqua: in lei c’è quello che dovrebbe essere il vero spirito del Distretto 4.
E poi la vedo arrivare al bordo, qui appoggiarsi, prendendo ampi respiri: è Annie Cresta.
Mi sento le gambe molli quando vedo i suoi occhi color verdemare appena arrossati dal sale alzarsi su di me. Il suo viso rappresenta la dolcezza e la tenacia. Oltre al tormento dei diciassette anni.
Mi inginocchio, di modo che i nostri occhi siano allo stesso livello, i nostri occhi del medesimo colore.
            “Non pensavo che qualcun altro fosse tanto folle da nuotare a quest’ora!” le dico, con un sorriso enorme, il migliore che posso sfoggiare e forse persino il più seducente.
Esce dall’acqua in modo agile, dandomi le spalle. È ancora vestita ma adesso gli abiti bagnati aderiscono al suo corpo snello. Si porta i lunghi capelli castani su una spalla e li strizza per eliminare l’acqua superflua. Non dice nulla. Non credo voglia essere scortese, ma non sembra nemmeno contenta di esporsi. Sa che parlare con Finnick Odair non sempre è la scelta vincente.
            “Annie” mormoro.
Voglio almeno che sappia che conosco il suo nome. Lo desidero ardentemente. Quel nome mi ha riempito gola e orecchie per settimane e forse anche per mesi, quel nome mi ha salvato nei periodi più bui della mia vita.
            “Non ti chiami Annie?” domando allora, non tanto perché ho paura di essermi sbagliato quanto perché non vorrei si spaventasse. Quando si tratta di parlare con lei perdo tutta la mia arte del sedurre.
            “Sono Annie Cresta” risponde con tono freddo e distaccato, ruotando parzialmente il viso verso di me: i suoi occhi verdemare mi colpiscono come un dardo.
            “Nuoti veramente bene, sicuramente meglio di me!” le dico, sorridendo. Vorrei farle capire che sono suo amico, di certo non nemico.
Rimane interdetta un istante, poi: “Grazie, Finnick”.
Sentire il mio nome sulle sue labbra è la più bella sensazione mai provata.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo tre: Annie Cresta ***


ANNIE CRESTA. GIORNO DELLA MIETITURA. ORE 14.00
La campana suona, dobbiamo raccoglierci tutti in piazza per assistere alla Mietitura, per scoprire chi saranno i due sfortunati ragazzi che entreranno nell’arena. Lancio un ultimo sguardo al mio riflesso nello specchio: ho indossato un abito blu intenso, un po’ come il mare in burrasca, un colore che fa risaltare i miei occhi; ho raccolto i capelli in una lenta e sconnessa coda che mi pende sulla spalla sinistra. Oggi sono un po’ come il mare che mi ha cresciuta, calma e tranquilla in superficie, burrascosa poco più in profondità. Ho paura ma non lo darò a vedere, Finnick Odair non l’ha fatto a suo tempo, quindi nemmeno io devo.
Mi poso una mano sul cuore: batte furiosamente, agitato e spaventato. Questo potrebbe essere il mio ultimo giorno qui.
Mia madre mi chiama per la seconda volta, siamo già in ritardo per la Mietitura. Così saluto la mia stanza e mi avvio con espressione triste in direzione della piazza. È inutile che il Distretto 4 si ostini a comportarsi come un Distretto di Favoriti, perché non lo siamo. Saremo abbastanza facoltosi, le nostre casa saranno anche carine ma non saremo mai dei veri Favoriti.
Le urne sono già là, ci guardano dal palco e si stanno riempiendo di foglietti con i nostri nomi scritti sopra. Prendo un grosso respiro e vado a sistemarmi tra le altre ragazze della mia età, sono proprio sul lato del corridoio lasciato per il passaggio di Finnick Odair e Eve Lullaby.
Il mio cuore continua a battere all’impazzata, ma non devo farci troppo caso, continuerà così fino a che non saprò di essere salva ancora per un anno o condannata.
Ecco Finnick ed Eve che si avvicinano, chiacchierando sommessamente tra di loro; quando passano di fianco a me sento la mano di Finnick Odair sfiorare la mia, senza però guardarmi; non credo sia stato un caso, credo anzi che mi abbia voluto sfiorare la mano per darmi un senso di sicurezza.
Lo apprezzo, perché è proprio di sicurezza che ho bisogno in questo momento.
Li osservo salire sul palco, sorridere al sindaco e stringergli la mano, come tutti gli anni. Si scambieranno le solite domande di cortesia, oh, Finnick come è andato il tuo soggiorno nella Capitale?, oh, Eve, i tuoi capelli sono insolitamente verdi quest’anno!
Sì, Eve quest’anno ha i capelli verde smeraldo e abiti che seguono con disgustosa scrupolosità le mode di Capitol City. Sorride sempre in maniera così sforzata. Non c’è nulla da sorridere, in un giorno come questo.
Eve si comporta con Finnick Odair come una madre, è protettiva nei suoi confronti e ne sono contenta, perché credo che di questo abbisogni lui: una madre e affetto sincero.
Lo guardo, oggi è veramente bellissimo, brilla: indossa abiti eleganti ma non è da questi che dipende la sua bellezza quasi folgorante; un sottile velo di barba color del bronzo gli ricopre le guance, ha i capelli arruffati e i suoi occhi sono più luminosi del sole, fastidiosi persino da guardare. È alto, slanciato, prestante. Non c’è da stupirsi se tutto Panem si sia innamorato di lui.
Quando torno a rivolgere la mia attenzione ad Eve, il filmato sulla Ribellione che ci viene propinato ogni anno è ormai finito e lei si sta apprestando a leggere il nome della ragazza che quest’anno finirà nell’arena. Ho davvero perso tutto questo tempo a guardare Finnick Odair e a fantasticare su di lui?
            “Per le ragazze… Annie Cresta!” basta quella frase pronunciata con il buffo accento capitolino a smorzare il flusso dei miei pensieri.
Il mio cuore si ferma, il mondo attorno a me svanisce, la folla sparisce. Quello sulle labbra di Eve Lullaby è il mio nome.
Guardo Finnick Odair che mi sta guardando a sua volta. È terrorizzato, quasi più di me. Fa per alzarsi, ma si trattiene e vedo il suo sforzo. Continua però a guardarmi e sembra che debba scoppiare in lacrime da un momento all’altro.
Comincio a muovermi verso il palco con passi lenti e misurati. Stai tranquilla, Annie, calma.
            “Avanti, tesoro!” mi incita Eve, con un sorriso a trentadue denti.
Mi costringo ad accelerare, salgo gli scalini e afferro la mano che Eve mi sta porgendo. Sono sul palco. Sono ufficialmente parte della Settantesima Edizione degli Hunger Games. Eve mi spinge alla sua sinistra dalla parte di Finnick Odair. Lì rimango, immobile.
Non sento il nome del ragazzo che viene sorteggiato e nemmeno mi importa, ho altro di cui preoccuparmi adesso. È più grande di me, ha sicuramente diciotto anni, ma è magro e non sembra tanto forte, non so quante possibilità possa avere di sopravvivere.
            “Ecco a voi i coraggiosi Tributi del Distretto 4!” annuncia Eve, allegra.
La folla esplode in ovazioni. Qui gli Hunger Games sono anche un po’ così, spesso tendiamo a comportarci come fossimo Favoriti del Distretto 1 o 2, dimenticando quasi sempre che non lo siamo. Il pubblico crede che così facendo mi dia il suo conforto, mi faccia capire che sono con me ma, applaudendo per la mia morte, stanno solo facendo il gioco a cui Capitol City ci sta costringendo da settant’anni.
Vorrei mettermi a piangere, ma non posso farlo, non posso farmi debole da Capitol City.
Poi accade qualcosa in modo troppo veloce perché possa rendermene davvero conto. Finnick Odair è dietro di me, mi attira a sé e mi mette un braccio attorno alle spalle. Quante ragazze pagherebbero per essere nella mia stessa situazione, per trovarsi tra le braccia di Finnick Odair, sex symbol di Panem? Io non ho le forse per ribellarmi a questa stretta che, tutto sommato, mi sta già facendo sentire meglio.
            “Andiamo” sibila Finnick ad Eve, trascinandomi all’interno del Palazzo di Giustizia.
Una volta qui mi lascia andare, ma solo dopo qualche attimo di esitazione.
            “Tu di là” dice a James – il ragazzo sorteggiato – indicando una porta alla sua destra “Noi di qua” aggiunge, posandomi una mano sulla schiena e guidandomi verso una porta alla sua sinistra.
Quando siamo dentro Finnick chiude la porta dietro di noi. Sembra addirittura più sconvolto di me, ma non ne capisco affatto il motivo. Di fronte a lui, con i pugni serrati e lo sguardo intransigente lo guardo e aspetto che la strana crisi gli passi.
Ma ecco che un pacificatore apre la porta e fa entrare mia madre: “Signor Odair, la Signorina Lullaby la aspetta fuori” dice a Finnick “Voi avete dieci minuti” aggiunge rivolto a me.
Finnick Odair esce, lanciandomi un ultimo, penoso sguardo verdemare.
Mia madre scoppia in lacrime e mi abbraccia. Io non riesco a piangere, non più. Forse ho accettato la mia morte imminente, o forse non mi sono ancora resa conto di ciò che mi aspetta.
L’arena.
Abbraccio mia madre, stringendola forte. Vorrei dirle di non preoccuparsi per me, ma come posso? Come posso quando lei vedrà in diretta televisiva la mia lotta per la sopravvivenza e, forse, anche la mia morte? Non posso fare altro che abbracciarla e tacere.
            “Stai attenta, tesoro” sussurra tra le lacrime.
Annuisco, con il mento sulla sua spalla. Vorrei dirle che tornerò a casa, ma sarebbe una bugia. Io non so se tornerò viva al mio Distretto, altri ventidue Tributi potrebbero essere più forti di me, che non sono altro che una diciassettenne dai troppo grandi occhi verdemare.
Il pacificatore arriva troppo presto, penso mentre la porta si apre; ma non è un pacificatore quello che ci interrompe: è Finnick Odair. Sembra ancora travolto dal terrore, ma meno rispetto a dieci minuti fa. Eve deve averlo calmato.
            “Credo sia ora, Annie” dice addolorato.
Saluto mia madre, abbracciandola un’ultima volta poi raggiungo Finnick Odair, che mi posa una mano sulla schiena e mi conduce fuori, verso l’auto che ci accompagnerà alla stazione. Lascio il Distretto 4 per la prima volta in vita mia, lascio il Distretto 4 per essere portata in una pubblica arena dove tutti quanti vorranno la mia morte.
Se adesso non sentissi la mano calda di Finnick Odair sulla mia schiena penso che potrei cadere e abbandonarmi alla folle disperazione che mi assale il cuore.
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro: Finnick Odair ***


FINNICK ODAIR. GIORNO DELLA MIETITURA. ORE 19.00
Siamo arrivati nella Capitale da nemmeno un’ora e già Annie – così come James del resto – è stata data in pasto ad una equipe di preparatori che hanno il compito di renderla impeccabile per la Parata dei Tributi di domani sera.
Dopo tutto questo tempo passato come Tributo e come Mentore mi credevo capace di gestire le mie emozioni, nasconderle al momento opportuno, ma quando Eve ha scandito proprio il nome di Annie Cresta il mio piccolo mondo è crollato. Adesso Annie rischierà la vita negli Hunger Games, questa è davvero la cosa peggiore che potesse capitare. Tanto a lei quanto a me.
Ancora adesso non riesco a calmarmi, sono come impazzito e cammino avanti e indietro per la stanza proprio come un matto incontrollato.
            “Finnick, cerca di contenere le tue emozioni, tra poco metterai ansia persino alla mobilia” mi rimprovera Eve, seduta su una poltrona non lontana da me.
Mi volto verso di lei, quello che nei miei occhi è lo sguardo di un folle, me lo sento.
            “Ha diciassette anni! Ancora un anno, uno soltanto e sarebbe stata salva!” mormoro.
Io mi fido di Eve: è l’unica tra i cittadini di Capitol City che non abbia mai provato a vendermi o comprarmi, l’unica che mi sia stata accanto quando ero solo.
            “Tieni davvero così tanto a quella ragazza? Allora fai in modo che vinca. Sei Finnick Odair, no? Tu sai che puoi ottenere tutti gli sponsor che desideri per Annie Cresta” mi dice “Ovviamente se sei disposto a farlo…” aggiunge, lasciando cadere la frase.
Non c’è bisogno che la concluda perché io capisca cosa intende dire con queste parole. Ma Eve non capisce che io sarei davvero disposto a tutto per riportare a casa Annie. Davvero qualsiasi. Alzo lo sguardo su di lei e la vedo annuire. In quanto donna di Capitol City non può capirmi veramente fino in fondo, ma è un’amica e sono certo che abbia almeno un’idea di quello che sto passando adesso.
            “Va bene” dice “Ti aiuterò anche io, ma spero che fanciulla se lo meriti o si capirà che tieni a lei più di quanto non dovrebbe fare un Mentore con un Tributo”.
Annuisco. Mi rendo perfettamente conto di quanto sia pericoloso ciò che ho intenzione di fare, ma sono disposto a tutto purché Annie torni a casa viva e rischi quanto meno sia possibile all’interno dell’arena. Eve ha ragione: io posso fare in modo di trovare ogni sponsor che desidero, ma Annie dovrà dare prova di meritarselo.
            “Dobbiamo andare, Finnick, gli stilisti ci staranno aspettando” mi ricorda Eve, alzandosi.
I suoi modi sono sempre raffinati e pacati, non potrei mai dire che Eve Lullaby sia una donna nervosa o agitata, la calma è la sua miglior qualità. Riesce sempre a non farsi controllare dalle sue emozioni e a ragionare con obiettività e spesso freddezza. Qualcosa che a me non accade più.
Annuisco, oggi sembro in grado solo di annuire, e mi appresto a seguirla, cominciando a pensare a come otterrò gli sponsor che servono ad Annie.
Ci dirigiamo nel salotto di quello che sarà il nostro appartamento per le prossime due settimane e mezzo. Tributi e stilisti ci stanno già aspettando lì. Vedo Annie chiacchierare in disparte assieme a James, sta sorridendo. Mi domando come ci riesca, considerata la situazione in cui si trova.
Conosco bene gli stilisti, ormai sono cinque anni che lavoro con loro. Li saluto con un abbraccio per ciascuno ed Eve fa lo stesso.
Lui si chiama Marcus, ha cortissimi capelli ossigenati, pelle cinerea e occhi più chiari del ghiaccio, è un uomo piuttosto prestante ma di certo non bello; affascinante, questo sì. Lei invece si chiama Marzia, ha lunghi ricci fucsia, pelle color caffelatte, occhi verdi come quelli dei gatti, luminosi e magnetici; è una delle donne più minute che conosca ma il suo carattere da generale compensa con la scarsa massa corporea. Tra tutti i cittadini con cui ho avuto a che fare Marcus e Marzia sono senza dubbio i meno eccentrici – certo, escludendo i capelli rosa di lei, pur essendo stilisti.
            “Bene. Annie, questo è Marcus, sarà il tuo stilista” dico, presentandoli “James, questa invece è Marzia, la tua stilista” aggiungo “Loro si occuperanno di tutti quanti i vostri abiti e lavoreranno insieme, per cui immagino che i vostri abiti saranno sempre coordinati”.
Poi finalmente mi concedo un istante per guardare Annie, in piedi davanti a me; sta indossando un abito bianco e vaporoso che le arriva fino ai piedi, la fa sembrare il mare e la sabbia e un’onda dolce ma tenace. Sorride a Marcus mentre lui la studia e le spiega ciò che ha in mente per lei; i suoi occhi sono incredibilmente luminosi ma nascondono un velo di amarezza che è forse proprio di tutti i tributi. Marcus le prende una mano e le fa fare una, due e poi tre piroette su se stessa; l’abito si apre attorno a lei come la corolla di un fiore appena sbocciato. Annie è questo: un fiore che sta sbocciando, delicato e fresco; ma Annie è anche il mare che abbraccia il nostro Distretto, burrascoso e potente.
            “… allora che ne pensi, Finn?” mi domanda Marcus, ma io non ho ascoltato una sola parola del suo discorso.
            “Cosa?” domando, scatenando l’ilarità di tutti i presenti.
            “Stavo parlando del vestito per Annie!” dice allora Marcus “Io e Marzia pensavamo di vestire i due fanciulli come il mare”.
            “E in che modo?” domando stupito.
            “Questo lascialo decidere a noi, che siamo gli stilisti!” mi risponde Marcus, ancora incredibilmente divertito “Non credi che questa meraviglia abbia gli occhi che riflettono proprio il mare?” aggiunge, spingendo Annie tra le mie braccia.
L’afferro, circondandole la vita con entrambe le braccia e incrociando il mio sguardo al suo: “Hai proprio ragione, Marcus” sussurro “Questa meraviglia ha gli occhi che riflettono il mare, i più begli occhi del Distretto 4”.
Annie arrossisce, abbassa lo sguardo e si libera dalla mia stretta. Forse ho esagerato, ma in questo momento non ha importanza.
            “Il programma per domani è semplice” interviene allora Eve, avanzando di un passo per ottenere la completa attenzione di Annie e James “Al mattino non avete grandi cose da fare, se non magari farvi prendere le ultime misure dai vostri stilisti. Aspetteremo che tutti i Tributi dei Distretti più lontani arrivino, pranzeremo noi sei insieme e nel pomeriggio voi vi preparerete per la Parata dei Tributi assieme ai vostri stilisti. Domani sera sarete presentati a tutta Panem!”.
Annie annuisce seria, James abbassa lo sguardo: questo ragazzo non ha uno straccio di possibilità di sopravvivere nell’arena. Sospiro, scuotendo il capo.
            “Allora ci vediamo tra un’ora per la cena” dice Eve.
Gli stilisti si ritirano chiacchierando tra loro di stoffe, modelli e applicazioni ai tessuti, James corre verso la sua stanza ed Eve si appresta ad uscire. Sto per seguirla quando: “Finnick, un momento!” esclama Annie.
            “Vai avanti, Eve” le dico “Io ti raggiungo subito”.
Muovo un paio di passi verso Annie Cresta: “Sì?” dico.
            “Tu… sai già qualcosa sugli altri Tributi?” mi domanda.
Tutto qui? Vorrei risponderle: volevi davvero domandarmi solo questo?
            “No, mi dispiace” dico invece “Ma tu pensa a farti degli amici, là fuori: a volte un sorriso vale mille volte di più della forza fisica”.
Annie annuisce: ha il viso giusto per i sorrisi, è un viso dolce e innocente il suo, il volto di una bambina.
            “Hai altro da domandarmi?”.
            “No, ma… grazie per quello che mi hai detto prima su… i miei occhi, sì” mormora, arrossendo nuovamente.
            “Non devi ringraziarmi, ho detto solo la verità” dico.
Annie mi sorride. E i suoi occhi tornano a brillare come stelle.

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque: Annie Cresta ***


ANNIE CRESTA. PARATA DEI TRIBUTI. ORE 18.00
La tensione si avverte nell’aria anche se sono sola nella mia stanza, assieme a Marcus. Le prove e i preparativi oggi sono stati infiniti e ancora non ho avuto modo di vedere il mio riflesso nello specchio. Per tutto il giorno mi hanno gettato addosso abiti, drappi, stoffe e mi hanno dipinto il viso per ore forse prima di trovare esattamente il trucco che volevano. L’unica cosa a cui non hanno messo mano sono stati i capelli, castani e mossi, un po’ come le onde del mare.
Marcus mi dice di fare un giro su me stessa, perché possa vedere il suo lavoro completo. Poi si alza dalla poltrona su cui è seduto da qualche minuto e scopre lo specchio.
Quando mi volto verso di esso e vedo il mio riflesso stento davvero a riconoscermi: il mio viso non è cambiato perché mi hanno solo messo dell’ombretto di vari azzurri sfumati in modo che i miei occhi risaltino e dei brillantini perlati per imitare il riflesso della luna sul mare. È quello che mi hanno fatto indossare a lasciarmi completamente basita: la figura principale è quella di un abito a fascia, attillato fino a metà coscia, poi drappeggiato fino ai piedi ad imitare le increspature delle onde del mare, il tutto di un intenso e luminoso indaco; ma non è finita qui, perché hanno ricoperto l’abito di stoffe d’ogni colore e tessuto, di ogni possibile tonalità del blu e dell’azzurro; e per finire ho le braccia avvolte in una rete da pesca alla quale sono state applicate piccole stelle marine e conchiglie. È incredibile quello che Marcus sia riuscito a fare: stasera sono il mare. Non ho parole. Spero almeno che questo abito meraviglioso mi procuri un po’ di sponsor in più, per quando sarò nell’arena.
            “Allora?” mi domanda Marcus “Non dici nulla? Cosa ne pensi?”.
            “È… strabiliante, meraviglioso” sussurro, estasiata.
Il mio stilista si alza nuovamente dalla poltrona e mi gira attorno, per controllare che tutto quanto sia in ordine nell’abito, poi mi chiede di fare un altro giro su me stessa. Annuisce compiaciuto: “Ottimo. Andiamo adesso, James e Marzia ci staranno aspettando” dice.
            “E noi non aspettiamo Finnick… o Eve?” domando.
Adesso mi sembra strano uscire da qui senza essere accompagnata dal mio Mentore.
            “No!” esclama Marcus, ma sembra incredibilmente divertito “Non vogliamo assolutamente che ti veda prima che tu sia salita su quel carro. È già seduto nelle tribune assieme ad Eve, si godranno lo spettacolo da lassù! E che spettacolo!”.
Annuisco un po’ dubbiosa, ma seguo comunque Marcus che mi precede. Arriviamo dove si sono riuniti tutti i Tributi in compagnia dei propri stilisti, che stanno facendo gli ultimi ritocchi ai vestiti. È inutile, per quanto gli abiti dei Favoriti siano lussuosi ed eccentrici – in perfetto stile capitolino – il mio li supera, per bellezza, cura e significato.
Marcus mi invita a riportare la mia attenzione su di lui, mentre mi spiega come funziona la Parata.
            “Sarà facile, Annie: starete su quel carro per pochissimi minuti ma tu devi cercare di farti amare quanto più puoi, li devi conquistare. Sorridi, prima di tutto, poi saluta. Non puoi incantarli o intimorirli con la tua forza fisica o la tua brutalità, allora rapiscili con la tua dolcezza e la tua tenacia. Cadranno ai tuoi piedi” mi dice.
Annuisco, anche se sto cominciando ad agitarmi. Non piace essere al centro dell’attenzione, e a maggior ragione non mi piace attirarmi addosso attenzioni che non ho cercato. Devo respirare e pensare che, qualsiasi cosa dovesse accadere, starò bene e troverò un modo per tornare a casa tutta d’un pezzo.
In lontananza vediamo raggiungerci James e Marzia; devo dire che la stilista è riuscita a fare un ottimo lavoro su di lui: i suoi preparatori gli hanno fissato le punte dei capelli biondi con il gel e gli hanno fatto indossare una di quelle attillate tute termiche, che riproduce tutte le tonalità del blu, dall’indaco della notte all’azzurro più chiaro del cielo; sopra la tuta lo hanno avvolto – come nel mio caso – in reti da pesca a cui sono state applicate stelle marine e conchiglie. L’effetto finale non è affatto male.
Marzia ha in mano un tridente dorato.
L’arma di Finnick Odair.
            “Oh, ottimo lavoro con il ragazzo, Marzia!” la elogia Marcus.
            “Grazie, anche tu sei stato formidabile! Guardati, Annie, sei bellissima!” dice la stilista dai capelli rosa “Ah, ecco, ho trovato quello che mi hai chiesto” aggiunge poi, dando il tridente a Marcus.
            “Splendido! Ma è proprio il suo?”.
Marzia annuisce.
Comincio ad essere spaventata, oltre che terribilmente confusa. Marcus si rigira l’arma tra le mani, studiandola, poi la porge a me.
Esito a prendere il tridente: “Cosa… cosa devo farci?” domando.
            “Devi tenerlo, ovviamente!” esclama “Io e Marzia abbiamo in mente qualcosa che la folla adorerà e soprattutto non potrà dimenticare, nemmeno volendolo! Ricordati di sollevarlo arrivata a metà percorso”.
Annuisco e lo afferro: “Questa è l’arma di Finnick Odair” dico.
Marcus e Marzia si scambiano uno sguardo che non riesco a decifrare: sembra compiaciuto e complice.
            “Appunto” mi rispondono, all’unisono.
Non capisco, ma non ho nemmeno la forza di mettermi a discutere su significato di questo gesto. Stringo il tridente, il metallo è freddo e pesante soprattutto, ma riuscirò ad alzarlo, devo riuscirci.
            “Tutto bene, Annie?” mi domanda allora James, che ancora non ha parlato.
È un caro ragazzo, ma questo non lo aiuterà a sopravvivere, temo. Dentro l’arena saranno spietati e non baderanno certamente alla sua bontà d’animo. Gli sorrido e annuisco: “Sono solo un po’ nervosa” dico “Tu stai bene?”.
            “Sì, ma sono molto nervoso per questa serata” mi risponde con un sorriso tirato “Vuoi che regga io il tridente fino a che non saremo sul carro?”.
            “No, grazie, non è così pesante” rispondo.
Il tridente è l’arma di Finnick Odair, solo lui in tutta la storia degli Hunger Games è stato fatto sfilare con un tridente tra le mani. Credo sia ardito mandarmi fuori con la sua stessa arma. Ma magari dietro c’è sicuramente tutto un disegno più grande, che adesso non riesco a capire. Non sono abbastanza lucida per mettermi ad immaginare quale possa essere il motivo che ha spinto i due stilisti a volermi far sfilare così.
            “Va bene” interviene la donna, interrompendo il flusso dei miei pensieri “Vi vogliono sui carri, tra poco si parte”.
Fanno salire prima James, poi Marcus aiuta me a farlo, passandomi il tridente come ultima cosa. È difficile muoversi con questo abito addosso.
            “Ricordati di sorridere e, a metà percorso, alza il tridente” mi sussurra un’ultima volta il mio stilista “Tu sei il mare, Annie”.
Annuisco, nervosa, stringendo tanto il tridente da far diventare bianche le nocche della mano.
            “E stai tranquilla, ti ameranno tutti” aggiunge e mi manda un bacio.
Tra pochi istanti i carri partiranno ed io mi troverò davanti a Panem, sola. Non ci sarà Finnick Odair al mio fianco, non ci sarà nemmeno Marcus. Devo riuscire a piacere alla folla. Senza l’aiuto di nessuno. James, al mio fianco, mi sorride, forse per farmi capire che non sono così sola come credo. Ma noi non possiamo essere amici, perché una volta nell’arena io dovrò ucciderti. E non si uccidono gli amici.
La musica si alza, riempiendomi le orecchie con il suo motivo solenne; prima che io possa pensare qualsiasi altra cosa il carro comincia a muoversi. Le luci mi accecano, i cori dei cittadini mi stordiscono, l’eccentricità degli abiti che indossano mi confonde.
Ma non lo dimentico: a metà percorso stringo saldamente il tridente e lo alzo, con il sorriso più seducente che posso sfoggiare in questo momento.
La folla esplode.

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Capitolo 6
*** Capitolo sei: Finnick Odair ***


FINNICK ODAIR. PARATA DEI TRIBUTI. ORE 19.00

I carri dei primi tre Distretti passano assolutamente inosservati al mio sguardo nervoso, sono eccentrici e lussuosi, in perfetto stile di Capitol City, nulla che io non sia abituato a vedere quasi ogni giorno della mia vita.

Ma è quando il carro del Distretto 4 entra nel mio campo visivo che il mio cuore si ferma e poi riprende a battere all’impazzata. Sapevo che Marcus avrebbe vestito Annie da mare, ma non avrei nemmeno immaginato una cosa simile: il suo abito sembra riprodurre perfettamente le onde di quel mare che ci ha cresciuti e che abbraccia il nostro intero Distretto; il suo volto è poco truccato, ma brilla, come il pallido riflesso della luna sulle onde dell’oceano. Tuttavia la cosa che davvero attira la mia attenzione, dopo un attimo di sgomento, è ciò che stringe nella mano sinistra e brandisce: un tridente. Il mio.

La folla esplode, solo due parole sono sulla bocca di tutti, “Distretto 4!”; il pubblico lancia rose, baci e altri fiori di ogni tipo ad Annie, che sorride e saluta, proprio come fosse una Favorita, ma con qualcosa in più. Annie sta conquistando tutti, ma la scelta del mio tridente non è altro che un attacco a Capitol City, un attacco a cui spero non vorrà fare caso.

            “Ti avevo detto di controllare meglio i tuoi sentimenti” dice Eve, con lieve tono di rimprovero.

            “Io… io non pensavo che avrebbero fatto qualcosa di simile!” esclamo, nervoso.

            “Avresti dovuto immaginarlo, Finnick! Sai come sono fatti! E quello lì è il tuo tridente!” risponde indicando Annie.

            “Ascolta il pubblico, Eve, la amano, la adorano! Magari questo trucco funziona davvero!” sussurro.  

            “Metti in conto di esserci dentro, Finnick, perché adesso Capitol City ti tirerà in mezzo ogni volta che sarà possibile”.

Annuisco, riportando la mia attenzione sul viso di Annie, così luminoso e perfetto: sembra davvero una dei Favoriti. E questo l’aiuterà, o almeno è ciò che spero. I carri si fermano davanti al pulpito del Presidente Snow, che chiede il silenzio della folla con un solenne gesto della mano. Anche la musica scompare del tutto, abbassandosi gradualmente. Annie ripone il tridente, poggiandolo al carro.

            “Benvenuti!” comincia il Presidente Snow e la sua voce profonda echeggia tutt’attorno “Benvenuti, Tributi! Vi do il saluto di tutta Capitol City ed elogio il vostro coraggio! Che i Settantesimi Hunger Games abbiano inizio e possa la buona sorte sempre essere a vostro favore!”.

I carri ripartono, eclissando i ventiquattro Tributi alla nostra vista. Mi alzo si scatto dal mio sedile e corro via, seguito solo un istante più tardi da Eve.

Annie e James sono scesi dal carro e stanno abbracciando i propri stilisti. Perché se escludiamo il quasi pubblico attacco alla capitale, questa per il Distretto 4 è stata proprio una grande entrata in scena. Ma quando vedo il mio tridente ancora in mano ad Annie la mia rabbia cresce ed esplode. Scatto in avanti e glielo strappo di mano con espressione palesemente adirata.

Lei ci rimane male e mi guarda spaventata con i suoi occhioni verdemare.

            “Non. Osate. Mai. Più. Fare. Una. Cosa. Del. Genere!” ringhio, rivolto a Marcus e Marzia.

            “Oh, avanti, Finn!” risponde Marzia, liquidandomi con un gesto della mano “Non abbiamo fatto nulla di così terribile!”.

            “Non chiamarmi ‘Finn’, Marzia!” urlo, fuori di me.

Annie sussulta, indietreggia di un passo e abbassa il capo. Vorrei dirle che non è colpa sua, che lei non poteva sapere cosa avessero in mente i due stilisti, ma sono così infuriato che dubito riuscirei nel mio intento, per cui è meglio tacere. Sono veramente furioso, non posso credere che Marcus e Marzia mi abbiano fatto questo!

            “Mi fidavo di voi!” grido, punto loro addosso il tridente e le sue punti acuminate “Non pensavo che alla prima occasione avreste…!” lancio l’arma a terra con un grido di rabbia e frustrazione.

Annie sussulta, sempre più spaventata.

            “Va bene, Finnick, adesso basta dare spettacolo, ti sei sfogato a sufficienza” interviene allora Eve, posandomi una mano sul braccio “Vattene via, se rimani qui rischi di fare qualcosa di cui potresti presto pentirti” aggiunge, lanciandomi uno sguardo obliquo.

Stringo i pugni e lascio Tributi e stilisti, sono veramente arrabbiato per ciò che hanno fatto, anche se forse assicurerà ad Annie qualche sponsor in più. Usare il mio tridente! Sarebbe stato lo stesso scriverle sull’abito: ‘Proprietà di Finnick Odair’!

            “Finnick!” mi sento chiamare, proprio in quel momento “Finnick, aspettami!”.

Arresto la camminata e mi volto verso Annie Cresta. È bellissima dentro questo abito, ma ciò non basta a farmi passare l’arrabbiatura. Mi raggiunge e si ferma di fronte a me.

            “Scusami” mormora, senza guardarmi in viso.

Sgrano gli occhi nel sentire questa frase, che colpa ha lei? È così pura e innocente! Non poteva immaginare ciò che avevano in mente gli stilisti e credo che nemmeno adesso abbia capito cosa hanno scatenato. Che poi, a dirla tutta, la loro idea non era cattiva né volta a ferirci, ma semplicemente troppo ardita e pericolosa.

Le poso una mano sulla guancia, per indurla ad alzare lo sguardo su di me.

            “Tu non hai colpe, Annie” dico.

            “Avrei potuto rifiutarmi, Finnick, io sapevo che quello lì era proprio il tuo tridente” insiste, ostinata.

            “Sì, ma tu non… lascia perdere, tu non hai nulla di cui scusarti” ripeto.

Non sembra ancora convinta, ma lascia perdere proprio come le ho consigliato di fare.

            “Otterrò qualche sponsor?” domanda allora.

            “Ma certo!” esclamo “Hai steso tutti stasera! Ti meriti di festeggiare come si deve, assieme a James e ai vostri stilisti! Vai, dai”.

Scuote la testa: “Se non ci sei anche tu non vale la pena di festeggiare, non mi sembrerebbe una vera vittoria, poi” dice.

Mi sta mettendo in trappola.

            “Non credo di essere nello stato d’animo ideale per dei festeggiamenti, sono ancora piuttosto arrabbiato” le rispondo, sperando di non deluderla troppo.

E invece assume un’espressione triste e si allontana di un passo interrompendo il contatto che c’è tra noi.

            “Allora… allora d’accordo” sussurra, palesemente delusa “Ci vediamo domani, Finnick. Cerca di passare una buona serata”.

Mi dà le spalle e si incammina per tornare all’appartamento assegnato alla squadra del Distretto 4. con un gemito di frustrazione mi arrendo al suo fascino e a ciò che provo per lei, quindi la rincorro e le afferro la mano con decisione: “Andiamo” dico.

Il suo volto si illumina di un sorriso che farebbe sciogliere persino una roccia. Mi stringe la mano e non dà segni di volerla lasciare, per nessuna ragione.

            “Questo vestito è veramente scomodo, se lo si usa per rincorrere il proprio Mentore capriccioso” dice, per provocarmi.

            “Ehi, ehi, ehi” rispondo ridacchiando “Nessuno ti ha chiesto di rincorrermi! E poi non è vero che sono capriccioso!”.

Ridiamo. Come possiamo essere così spensierati pur sapendo che il destino di Annie è l’arena? Ed ecco che mi rendo conto che questo sorrido, la mia mano che stringe la sua, questa aleatoria felicità di essere insieme e vicini, sono le uniche cose che ci potranno salvare quando saremo alla fine.

Torniamo all’appartamento, dove ci stanno aspettando Eve, gli stilisti e James, ognuno di loro con una faccia scura.

            “Ecco a voi direttamente dal Distretto 4… FINNICK ODAIR!” esclama Annie, senza lasciare la mia mano.

Abbozzo un sorriso: “Ehi” dico “Di nuovo amici?”.

Si guardano l’un l’altro, poi ricambiano il sorriso lanciandosi addosso a me e costringendo inevitabilmente la mia mano e quella di Annie a separarsi.

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Capitolo 7
*** Capitolo otto: Finnick Odair ***


FINNICK ODAIR. PRIMO GIORNO D’ALLENAMENTO. ORE 11.00
Osservo Eve, è seduta davanti a me e la sua espressione è veramente indecifrabile. Ormai è in silenzio da un paio di minuti e questo mi spaventa. Cosa starà pensando? La sua calma riesce anche in questo momento ad oscurare le emozioni che prova e non è un bene.
            “Quindi l’hai baciata” ripete.
Annuisco.
            “L’hai baciata!” grida.
Sussulto. Eve non ha mai alzato la voce da quando la conosco, non si è mai scomposta dalla sua statuaria calma interiore. È pericolosa quando è così arrabbiata da non riuscire a nasconderlo.
            “Finnick Odair, per tutti gli ibridi! Hai baciato il Tributo femmina del Distretto 4! Ti rendi conto di ciò che hai combinato?!” continua ad urlare, alzandosi dalla poltrona e gesticolando furiosamente.
            “Scusami, Eve…” balbetto.
            “Non è a me che devi chiedere scusa, stupido idiota!” ringhia, i suoi occhi mandano lampi “Ma a te stesso! Dopo ciò che hanno combinato quei due incoscienti tu avresti semplicemente dovuto mettere a tacere tutti i sospetti! Non baciare Annie Cresta!”.
            “Forse non sono più in grado di fare il Mentore, Eve” mormoro, lasciandomi cadere sul divano dietro di me.
            “Forse dovresti iniziare ad usare il cervello!” mi rimprovera, dura.
            “Adesso quindi cosa facciamo?” domando, in tono dimesso.
            “Cosa fai tu, Finnick! Ti dovresti staccare da lei, mi sembra ovvio” risponde “Ma visto che comunque non lo farai… allora dovrai amarla. Convincerò Caesar Flickermann a chiamarti sul palco durante l’intervista di Annie, fra tre giorni”.
Sbianco. Così mi esporrò in maniera ancora maggiore agli odi del Presidente Snow!
            “Stai scherzando, non è vero?”.
            “Assolutamente no, Finn. È quello che devi fare se vuoi davvero salvarti e dare una speranza a quella ragazza. Se otteniamo l’intervista assieme a lei potremmo vendere lo spettacolo migliore che gli Hunger Games abbiano mai potuto avere e desiderare. Un Mentore innamorato di un Tributo… se poi questo Mentore è Finnick Odair! È qualcosa di incredibilmente intrigante, non credi?” spiega Eve.
Scuoto la testa, perché mi sembra un piano assolutamente folle. Se non dovesse funzionare io sarei spacciato e Annie persino più di me. Basterebbe un cenno del Presidente Snow e noi saremmo spacciati. Gli Strateghi non impiegherebbero che un istante per eliminare Annie dalla storia degli Hunger Games e poi di conseguenza me.
            “Finnick è l’unico modo” dice Eve, cercando di convincermi.
Ma io non sono del tutto convinto, non ancora. Annie adesso starà seguendo gli allenamenti, assieme a James e agli altri ventidue Tributi. Come se la starà cavando? Sono dell’idea che non dovrebbe farsi notare in maniera negativa, ma puntare subito in alto, magari all’amicizia di qualche Favorito o di un Tributo particolarmente forte. Saprebbero proteggerla ed io avrei una possibilità in più di riportarla a casa viva.
Mi alzo: “Ho bisogno di un po’ d’aria, Eve” dico “Ci vediamo per pranzo”.
            “Non fare altre sciocchezze, Finn, ti prego” mi avverte “Già è abbastanza difficile lavorare con te per la tua… ehm… popolarità”.
Annuisco e lascio la stanza. Ho bisogno di stare solo e pensare: oggi comincia ufficialmente il mio compito di Mentore. Dovrò istruire Annie e James e fare in modo che sappiano cavarsela, per quando saranno soli nell’arena. Mi passo una mano sul viso, strofinandomi gli occhi stanchi. Ho dormito male questa notte, sono andato a svegliare Eve per tre volte e adesso la stanchezza è visibile sul mio viso e nelle mie parole.
Spero che Annie se la stia cavando bene, all’allenamento.
Esco fuori, ma non so dove dirigermi, mi sento spossato. L’incredibile eccentricità di Capitol City riesce a confondermi in maniera unica.
            “L’hai fatta soffrire, Odair” mi riscuote una voce in avvicinamento.
Mi volto, trovandomi faccia a faccia con Marcus: i suoi occhi sembrano più chiari del solito questa mattina.
            “Lo so” mormoro.
            “Perché sei scappato in quel modo?”.
            “Perché non avrei mai dovuto fare nulla del genere” dico “E perché lei sicuramente non lo desiderava”.
Marcus si mette a ridere, incredibilmente divertito dalle mie parole: “Lei sarà poco perspicace, ma anche tu non scherzi, Odair!” esclama.
Io non capisco affatto cosa intenda dire con queste parole.
            “Perché credi che Annie si curi tanto di te?” riprende “Perché ti è venuta a cercare quando ti sei arrabbiato per il tridente? Certamente non per un rapporto Mentore-Tributo come tutti gli altri. Eh no, Finnick! Lei prova sicuramente qualcosa per te! Ma non pensava di essere ricambiata – anche se, lasciatelo dire, i tuoi sentimenti per lei sono qualcosa di schifosamente palese – fino a che non l’hai baciata. E poi sei scappato via, da vero idiota!” mi spiega.
Non è vero. Non può essere vero. Soprattutto non posso essere stato così cieco, stupido, idiota! Annie Cresta prova qualcosa per me ed io, sex symbol di Panem, asso nel capire queste cose al volo, non me ne sono accorto!
            “Tu ne sei… sicuro?” domando a Marcus.
            “Sì, ma non so quanto ti convenga portare avanti questa cosa…” risponde rabbuiandosi.
            “Perché?”.
            “Innanzitutto perché sei Finnick Odair e poi perché lei potrebbe anche rimanere uccisa, nell’arena. No, non guardarmi così, questa è una possibilità che tu devi considerare” mi risponde.
Forse ha ragione, forse sono stato troppo fiducioso nelle mie possibilità di Mentore e in quelle di Annie come Tributo. Lei potrebbe davvero morire nell’arena, a meno che non si riveli la migliore dei combattenti, cosa che mi piacerebbe, ma che ritengo alquanto improbabile.
            “E quindi adesso cosa faccio?” gli domando.
Odio sentirmi così debole, così insicuro. Di solito io ho sempre la risposta pronta per tutto, la soluzione in pugno, ma in questo periodo mi sento sempre come una barca in balia della tempesta. Soprattutto odio chiedere aiuto così spesso, è qualcosa che mi indispone.
            “Lascia che ti confezione un abito come si deve: Eve mi ha detto che vorrebbe farti intervistare assieme ad Annie” mi dice.
Scuoto la testa: “Tu hai già abbastanza da fare con il suo, di guardaroba”.
            “Scherzerai, Odair! Il guardaroba di Annie è pronto! Ho una squadra di assistenti ed aiutanti che hanno cucito tutto o lo stanno cucendo adesso” mi dice “Quindi adesso vieni con me e io ti prendo le misure”.
            “Incredibile” mormoro “È dai miei Hunger Games che non ho uno stilista”.
            “Io non sono uno stilista qualsiasi, Odair! E avrai modo di accorgertene molto presto!” esclama, divertito “Andiamo, dai”.
            “So già che mi stupirai”.

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Capitolo 7
*** Capitolo sette: Annie Cresta ***


ANNIE CRESTA. PARATA DEI TRIBUTI. ORE 21.00
Finnick Odair mi slaccia delicatamente la chiusura del vestito e poi rimare immobile dietro di me. Ruoto parzialmente il viso verso di lui, per quanto posso, e gli sorrido, sebbene l’imbarazzo sia enorme in questo momento.
            “Adesso dovresti andare” sussurro “Se devo cambiarmi non posso certamente farlo davanti a te!” cerco di portare la conversazione sullo scherzo, ma sono sempre più imbarazzata per questa vicinanza.
Finnick mi si avvicina ancora di più e riallaccia l’abito con un movimento agile e veloce, accosta poi le sue labbra al mio orecchio: “E se io non volessi andarmene?” mormora.
Sussulto. Che significato hanno queste parole pronunciate da Finnick Odair? Perché ha detto una cosa simile, ma soprattutto perché l’ha detta a me? Che mi veda come un oggetto, un’amante come un’altra, qualcosa da avere una volta e poi più?
Mi scosto appena da lui, adesso sono quasi spaventata, ma certamente non voglio correre a conclusioni troppo affrettate.
            “Annie…” sussurra ancora Finnick, costringendomi a voltarmi verso di sé “Io non voglio perderti” aggiunge poi, abbracciandomi.
Rimango basita qualche istante, poi ricambio il gesto, rendendomi finalmente conto di quanto poco tempo mi sia rimasto. Qualche giorno, forse una settimana, poi sarò nell’arena, costretta a combattere per la mia sopravvivenza. Comincio a piangere, ma senza accorgermene, o almeno non subito.
            “Non piangere” dice Finnick.
Scuoto la testa, ma non riesco a frenare le lacrime. Ogni attimo che passo a piangere mi fa sentire più leggera, anche più consapevole: della mia morta imminente. Ma io non voglio morire: voglio tornare a casa, da mia madre. Stringo Finnick, scossa dai singhiozzi, come se lui fosse l’ultimo capo saldo a cui potersi aggrappare.
            “Ti riporterò a casa, te lo prometto” mi dice, scostandomi appena da sé per guardarmi dritta negli occhi.
Poi succede qualcosa di assolutamente inaspettato, ma forse desiderato da tempo, senza tuttavia saperlo. Finnick mi prende il viso tra le mani e mi bacia; prima è un bacio delicato e leggero, un po’ incerto, un bacio che aspetta conferma. Gli avvolgo le braccia attorno al collo e lo bacio di rimando. Sai, Finnick Odair, ti guardo da quando sei tornato al Distretto 4 come Vincitore, cinque anni fa. Tu avevi quattordici anni, io dodici. Ma tu avevi vinto ed io ero assolutamente incantata. Adesso, Finnick Odair, qualcosa mi brucia e mi dilania il petto, perforandomi il cuore, mentre mi stai baciando. Anche se non sono sicura di sapere il perché.
Un paio di attimi più tardi Finnick si stacca da me e, dopo avermi rivolto uno sguardo sconvolto e spaesato, scappa via prima che possa dire qualsiasi cosa per trattenerlo.
            “Finnick!” grido “Finnick, aspetta!”.
Ma lui è già lontano e il mio abito non mi permetterà mai di raggiungerlo in tempo.
Scoppiando di nuovo a piangere mi lascio scivolare lungo la parete, fino a terra, raggomitolandomi su me stessa. Marcus mi raggiunge, spaventato, cerca di rimettermi in piedi, ma io non ci riesco, proprio non posso.
            “Andiamo, splendore…” prova a convincermi.
Scuoto la testa, tra le lacrime che mi rigano il volto truccato. Allora Marcus mi solleva di peso e mi porta nella mia stanza, facendomi sedere sul letto.
            “Devi cambiarti, splendore” mi fa notare.
Io non rispondo.
            “Se non ti imbarazza ti cambio io e poi mi racconti perché Finnick Odair è scappato via piangendo”.
Annuisco. Marcus è il mio stilista e mi sono cambiata davanti a lui molte volte ormai e soprattutto non sono nello stato di riuscire davvero a cambiarmi da sola. Marcus mi toglie l’abito con estrema delicatezza, mi strucca con abile mano e poi mi fa indossare una tuta comoda, quindi si siede accanto a me, in attesa.
            “Allora… raccontami cosa è accaduto” mi esorta.
            “Finnick mi ha baciata” ammetto, con gli occhi bassi “Ma non so perché sia scappato in quel modo!”.
Marcus sorride, alzando gli occhi al cielo.
            “Ma allora non è nulla di cui preoccuparsi!” esclama, sollevato “Non farci caso, Annie, dai. Non è scappato via per ferirti, ma perché pensa di aver fatto qualcosa che tu non volevi”.
            “Ma se l’ho baciato anche io!” sbotto, in un impeto improvviso di rabbia.
Lo stilista ride, anche se non capisco cosa ci sia di tanto divertente.
            “Che c’è?!” lo attacco.
            “Niente, niente, Annie, perdonami è solo che… per tutti gli Hunger Games!, siete assolutamente perfetti l’uno per l’altra, tu e Finnick!”.
Gli lancio un cuscino e incrocio le braccia sul petto, mettendo il broncio.
            “Dai, non ti arrabbiare, sto solo dicendo quello che penso! E poi per quale motivo credi che ti abbia fatto sfilare con il suo tridente ben stretto tra le mani?” mi risponde.
Sussulto, sgranando gli occhi. E capisco tutto. Sono stata davvero stupida. E cieca. E idiota. Mi batto una mano sulla fronte. Finnick Odair prova davvero qualcosa… per me? Per questo si è infuriato tanto quando ha visto che avevo il suo tridente! Ha paura che adesso il Presidente Snow capisca qualcosa e possa farcela pagare.
            “Io tanto morirò, Marcus, è meglio che Finnick mi dimentichi” dico, duramente.
            “Eppure Finnick sembra proprio intenzionato a portarti via dall’arena viva” commenta Marcus.
            “Io non sono brava a combattere. Otterrò un voto basso con gli strateghi e non avrò nemmeno uno sponsor”.
            “Splendore, se Finnick Odair fosse innamorato di te – cosa alquanto probabile – stai certa che farà di tutto per portarti a casa viva” dice Marcus “E con di tutto intendo proprio di tutto”.
Sussulto di nuovo. Marcus ha appena detto… innamorato? E disposto a tutto? Cosa ha intenzione di fare quell’incosciente? Non posso permettere che… si venda per me. Non lo sopporterei, perché i rimorsi mi divorerebbero fino alla fine della vita.
            “Non può” sibilo.
            “Ah, no? E chi glielo impedirà? Tu, io, James? Oh, Annie, Finnick Odair è la persona più testarda di questo mondo quando si tratta di qualcuno a cui tiene”.
            “Eve!” esclamo “Eve non lo aiuterà! Anzi, lo farà desistere”.
            “Se ti fa comodo pensarla così, chi sono io per impedirtelo?” dice Marcus.
Lo guardo. I suoi occhi sono i più chiari che io abbia mai visto in vita mia: nel nostro Distretto 4 è raro trovare persone con occhi di un colore tanto chiaro.
            “Mi stai dicendo che… Eve lo aiuterà?!” esclamo, allibita.
Marcus annuisce, serio: “Ma queste non sono cose che i Tributi dovrebbero conoscere, splendore. Immischiarti troppo in queste faccende potrebbe ritorcersi contro di te” mi dice, poi mi prende una mano nella sua: “Ehi, hai voglia di mangiare qualcosa?” aggiunge.
Scuoto la testa: “Preferirei dormire un po’, è stata una giornata faticosa” dico.
            “Domani cominciano gli allenamenti! Buona fortuna, splendore”.
            “Grazie, Marcus” rispondo, tuttavia senza riuscire a sorridere.

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Capitolo 9
*** Capitolo nove: Annie Cresta ***


ANNIE CRESTA. PRIMO GIORNO D’ALLENAMENTO. ORE 9.00 – 12.00
La stanza è fredda, le tute scomode, le persone ostili. James è in piedi accanto a me ed è divorato dal nervoso. Io non ho tempo di esserlo, perché continuo a pensare a ciò che è successo tra me e Finnick Odair ieri sera, ma soprattutto alle parole che mi ha rivolto Marcus. Credo che questo avvenimento mi occuperà la mente per un po’, ma non so quanto possa essere positivo. La donna attorno alla quale ci siamo disposti a semicerchio è vestita quasi come noi e ha la pelle molto chiara, un po’ come quella di Marcus, ma gli occhi e i capelli sono neri come la notte. Io indosso un paio di attillati pantaloni neri e grigi, morbidi sulla pelle, una t-shirt degli stessi colori e una casacca uguale. Sono abiti monotoni e soprattutto uguali, se non fosse per il numero 4 stampato sulla mani sinistra della casacca.
In un soppalco arredato con eccentriche poltrone colorate gli Strateghi ci stanno già osservando, ma sono sicura che la loro attenzione non durerà poi molto.
            “Tra poco più di due settimane uno solo di voi tornerà qui” esordisce la donna, catturando la mia attenzione “Per cui vi consiglio di prestare particolare cura a tutti i miei suggerimenti. Ci sono tre tipi di esercizi obbligatori: pratiche di sopravvivenza, combattimento corpo a corpo e esercizi ginnici, per il resto potrete fare ciò che più vi aggrada. Dovete seguire alcune semplici regole: prima di tutto niente risse con gli altri Tributi, per questo avrete tutto il tempo quando sarete nell’arena e non sottovalutate mai l’importanza delle pratiche di sopravvivenza. Il freddo uccide come una spada. Che la buona sorte possa sempre essere a vostro favore, Tributi!”.
Annuisco. Mi conviene davvero presta molta attenzione agli esercizi obbligatori visto che, a differenza dei Favoriti, io non go frequentato nessuna accademia speciale. James mi sfiora il braccio e poi si dirige vero l’area dedicata alle pratiche di sopravvivenza. Mi guardo intorno, sono praticamente rimasta sola perché ognuno si è già avviato verso l’area di maggiore interesse. Io non so decidermi. Se ci fosse una piscina farei vedere a tutti quanto sono brava a nuotare.
            “Tu sei Annie Cresta?” mi riscuote la voce cavernosa di un ragazzo “Del Distretto… 4?”.
Mi volto. Lui è sicuramente un Favorito, basta guardarlo: grosso due volte James, con spalle larghe e addome scolpito, ha corti capelli neri e un paio di occhi verde foresta che nascondo al loro interno qualcosa di selvaggio e brutale, che non penso riesca mai ad eclissare.
Annuisco.
            “Io sono Royce” dice, porgendomi una mano grande tra volte una delle mie “Dal Distretto 1”.
Come volevasi dimostrare, un Favorito.
            “Perché non vieni ad allenarti con noi?” mi domanda.
            “Voi?” sono un po’ confusa.
            “Io, Annabel, Clio e Dux” mi risponde, accennando a tre ragazzi che se la stanno prendendo con alcuni manichini “Distretto 1 e 2”.
Cioè, mi sta invitando nel gruppo dei Favoriti?
            “Oh… d’accordo, ma non credo di essere abbastanza brava per combattere subito” confesso, anche se magari avrei dovuto non farlo.
            “Sono sicuro che te la caverai” mi assicura Royce “Non era niente male il tuo vestito di ieri, piuttosto… sexy” aggiunge e nel pronunciare quell’ultima parola la sua voce vibra.
Io arrossisco.
            “Quindi sei dei nostri?” domanda poi, impaziente.
            “Certo. Ma tu mi insegnerai a combattere come sapete farlo voi?” gli chiedo con il mio miglior sorriso.
Mi sorride di rimando: “Sicuro”.  
Allora lo seguo e come ultima cosa vedo James lanciarmi uno sguardo tradito e confuso. Mi stringo nelle spalle e mi unisco al gruppo dei Favoriti.
            “Ragazzi, questa è Annie” mi presenta Royce “Annie, loro sono Annabel, Clio e Dux”.
Saluto timidamente con una mano mentre li osservo bene. Annabel ha capelli castani e ricci, profondi occhi blu, pelle olivastra piuttosto scura, sarà alta almeno un metro e ottanta, è snella, dalle forme eleganti, ma sembra anche forte e piuttosto pericolosa. Clio è molto diversa, sembra proprio quel solito genere di ragazza frivola e superficiale, ma non oso pensare quanto possa essere spietata: ha i capelli biondi, liscissimi, occhi neri; è più bassa di me ma è magrissima, quasi pelle e ossa. Lei viene dall’1, come Royce, mentre Annabel è del 2. Dux è in disparte con le braccia incrociate sul petto e un’espressione più truce di quella di Royce. Lui ha i capelli mossi, color del grano maturo, gli occhi verdi, ma glaciali, non caldi come quelli di Royce, non è nemmeno tanto alto come lui, ma altrettanto grosso sì.
Le ragazze mi sono immediatamente addosso: “Il tuo vestito!” esclama Clio.
            “Era assolutamente meraviglioso!” aggiunge Annabel.
            “Grazie” mormoro, senza sapere come rispondere davvero a questi complimenti.
            “Me la sono presa con il mio stilista” riprende Clio, assumendo un’espressione di sufficienza “Voglio dire, il mio era un abito così banale!”.
            “Oh, no, i vostri vestiti erano… sì, splendidi” dico, con un sorriso tirato.
            “Ci alleniamo?” ci interrompe Dux, duramente.
            “Io devo insegnare ad Annie come combatte un vero Favorito, voi cominciate pure” s’inserisce Royce, posandomi una mano sulla spalla.
Afferra una spada enorme, che ha proprio l’aria di essere pesantissima, e si posiziona dietro di me; mi attira più vicino a sé e mi mette l’arma tra le mani, posando poi le sue sulle mie.
            “Sposta le gambe, piega un po’ le ginocchia” dice “Ecco, adesso alza il braccio… così. Senti l’energia e l’anima della spada che ti fluiscono in corpo. Non è difficile acquistare quella conoscenza basilare che ti permetterà di sopravvivere nell’arena. È tutto un gioco di passi e affondi e di un’attenzione sempre vigile”.
Mi fa provare qualche volta con gli appositi manichini tuttavia, ogni volta che torna dietro di me per sistemare la mia postura mi sento totalmente in soggezione e l’imbarazzo che provo non mi aiuta a rimanere lucida. Royce è bravissimo a combattere, spesso mi incanto a guardarlo mentre maneggia la spada con maestria incredibile, quell’arma sembra fatta apposta per le sue mani, ma mai quanto i coltelli. Quando si allena sembra stia danzando.
            “Molto meglio, Annie” mi dice “Adesso passiamo agli esercizi obbligatori?”.
            “Ma gli altri…” comincio.
            “Non preoccuparti degli altri, noi andiamo alle pratiche di sopravvivenza”.
Così, uno dopo l’altro, facciamo tutti gli esercizi obbligatori, fino a che non mi sento più braccia, gambe e muscoli addominali: questo allenamento è assolutamente distruttivo. Royce, a differenza di me, non sembra mai stanco, come se fosse in grado di continuare così per ore e ore e ore. Quando la donna dalla pelle chiarissima annuncia che l’allenamento riprenderà nel pomeriggio mi sento sollevata. Royce mi mette un bracco attorno alle spalle, tirandomi a sé e così usciamo dalla sala d’allenamento, chiacchierando di cose futili e dei miei incredibili progressi.
Fuori c’è Finnick Odair che mi aspetta.

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci: Finnick Odair ***


FINNICK ODAIR. PRIMO GIORNO D’ALLENAMENTO. ORE 12.00
I Tributi cominciano ad uscire: prima i più piccoli, quelli spaventati e tremanti, sfiniti dal duro allenamento che corrono via prima che li si possa guardare bene in faccia; poi un paio di Favoriti, con gli sguardi superbi, gli atteggiamenti saccenti, James che nemmeno mi saluta, Tributi anonimi che non riceveranno mai un dono dagli sponsor. E Annie? Dov’è finita?
La risposta alla mia domanda arriva solo pochi istanti più tardi, perché la vedo uscire assieme al più pericoloso dei Favoriti, che le sta tenendo un braccio saldamente avvolto attorno alle spalle e sta ridendo con lei. Ci metto un po’ a mettere bene a fuoco l’immagine che ho davanti agli occhi: Annie non può davvero essere così vicina a Royce, Annie non può davvero ridere alle sue parole. No, no, Annie, io ti ho baciata, tu mi hai baciato! Adesso non puoi farmi questo! Un Favorito! Royce dal Distretto 1, poi! Vorrei mettermi a gridare.
Lei è mia. Aveva in mano il mio tridente alla parata dei Tributi, quale segno più chiaro?
Quando mi sono di fronte afferro Annie per un braccio, strappandola alla stretta di Royce, in un impeto improvviso di rabbia e… gelosia.
            “Andiamocene” sibilo, cominciando a camminare.
Annie ribatte, mi urla contro, sbraita, si dimena, mi urla insulti di ogni genere, ma non ho nessuna intenzione di lasciarla lì con un Favorito come Royce. Ma lui ci raggiunge, mettendomi una mano sulla spalla e costringendomi a voltarmi verso di lui. Siamo alti uguali, ma Royce è più grosso di me, perché io non ho muscoli così prominenti. In uno scontro corpo a corpo suppongo che lui avrebbe la meglio.
            “Mi sembra di capire che non voglia venire via con te” sibila.
            “Sono un Mentore, Tributo, perciò certa di non essere incosciente. Lei è sotto la mia tutela e responsabilità, quindi se dico ‘andiamo’, lei viene via con me rispondo, cercando di perdere troppo la calma.
Royce non ribatte, ma continua a guardarmi con aria di sfida e non toglie la mano dalla mia spalla.
            “Ci vediamo questo pomeriggio, Royce, perdona il Signor Odair per la sua maleducazione” interviene Annie, mentre io ricomincio a camminare, trascinandomela dietro.
Non mi va di sentire la risposta del Favorito per cui accelero il passo. Non dico più nulla nemmeno ad Annie fino a che non siamo all’interno del nostro appartamento. La porto fino alla sua stanza e chiudo la porta dietro di noi.
            “Di’ la verità, Annie, tu vuoi farmi diventare matto!” esplodo.
            “Ma cosa dici?!” ribatte lei, visibilmente adirata.
            “Pensavo avessi capito, o meglio, pensavo di essere stato piuttosto chiaro!”.
Mi guarda con espressione dura, i suoi occhi verdemare mandano lampi di furia.
            “Cosa pensavi, Finnick Odair, eh?!” mi attacca “Pensavi davvero che un bacio potesse sovvertire ogni equilibrio? Un solo bacio?!”.
Adesso mi sento ferito. Non so cosa risponderle. È dura e… crudele. Mi sento come un bambino, incapace di difendermi. Annie mi sta attaccando proprio sul mio punto debole. Allora faccio un passo in avanti, le poso le mani sui fianchi e la bacio una seconda volta. Quando ci stacchiamo il mio sguardo è quello di un folle, come troppo spesso ultimamente.
Non resisto, le mie mani si stringono di nuovo attorno ai suoi fianchi e, prima che possa rendermene davvero conto, le mie labbra sono ancora sulle sue, solo che questa volta la attiro a me, stringendola forte e continuando a baciarla voracemente. Le sue mani affondano nei miei capelli e li si muovono, delicate e dolci. Questo mi fa sentire felice, perché significa che forse lei prova realmente qualcosa per me.
            “Nemmeno questo basta” sussurra quando ci stacchiamo un istante per prendere fiato, le sue mai sono sulle mie spalle, le sue labbra ad un sospiro dalle mie, i suoi occhi sono tristi.
            “Non c’è futuro, quindi?” domando.
            “Io non lo so, Finnick, ma se mi sto alleando con i Favoriti allora è certamente anche per te”.
            “Come sarebbe?!” chiedo, senza capire.
            “Io… non voglio che tu faccia cose brutte… per me” mormora abbassando gli occhi.
            “Come vendermi?”.
Solleva nuovamente lo sguardo in mia direzione e annuisce: i suoi occhi verdemare oggi sono davvero enormi. E riflettono il nostro Distretto.
La bacio ancora, questa volta in modo veloce e fugace, sembra che non possa stare senza un continuo contatto con lei.
            “Sai perfettamente che comunque lo farò” le dico, in tono dimesso.
Non vedo perché continuare a mentile, arrivati a questo punto. Potrei anche rischiare e dirle ciò che realmente provo per lei, ma per questo mi sembra ancora un po’ presto.
            “No, Finnick, no!” sta per mettersi a piangere, è ancora più adorabile adesso “Io non posso permettere che tu faccia una cosa simile per me!”.
            “Infatti è una mia scelta, Annie, per la prima volta nella mia vita ho qualcuno per cui sento di dover combattere” le dico con un mite sorriso.
            “Non puoi combattere per qualcuno che potrebbe anche morire” mi risponde e poi mi bacia.
È la prima volta che prende l’iniziativa e sono così felice che il cuore potrebbe esplodermi in petto adesso. La attiro a me e la spingo contro la parte, schiacciandola lì con il mio peso e prendendo a baciarla voracemente. Lo so che ha solo diciassette anni, ma anche io ne avevo solo quindici quando Capitol City si è impossessata di me. Le mie dita scivolano sotto la sua t-shirt, sfiorano la pelle nuda dei suoi fianchi. Annie sussulta, ma non interrompe il bacio, cosa che non fa che aumentare la mia felicità. Non mi sono mai sentito più vivo di adesso, non mi sono mai sentito più diciannovenne di adesso. Ma serviva davvero il nome di Annie Cresta sorteggiato alla Mietitura per farmi riassaporare la mia età? Annie mi avvolge le braccia attorno al collo e mi solletica la nuca con le dita.
            “Ehi, Annie, ma…?” James spalanca la porta della stanza senza bussare, ma si blocca non appena ci vede.
Io ed Annie ci stacchiamo, voltandoci verso di lui. Ammetto che questa posizione è piuttosto equivoca, ma lui poteva anche essere educato e bussare. Sono rapido a ritrarre le mani da sotto la maglia di Annie e a ricompormi.
            “Oh scusate, io non pensavo…” dice, ma sembra più imbarazzato di noi.
Mi metto le mani in tasca e muovo un paio di pass verso la porta: “Non andiamo a pranzo?” domando, dirottando l’attenzione su un altro argomento.
James, attonito, annuisce ed esce.
            “Siamo degli incoscienti” commenta Annie appena rimaniamo di nuovo soli.
            “Nah, non è stato poi così tremendo che ci abbia visto” rispondo.
            “Insomma…” non sembra che le mie parole l’abbiano persuasa più di tanto.
Allora torno da lei e la bacio un’ultima volta, un bacio vero e serio, ma breve.
            “Non ti libererai di me tanto facilmente” le sussurro all’orecchio.
Sorride ed il suo viso si illumina, ma ancora un’ombra scura possiede il suo sguardo verdemare.
            “Perché proprio io?” domanda.
Non si riferisce all’arena o agli Hunger Games. Si riferisce a me.
            “Prova ad indovinare” la provoco, uscendo per dirigermi in sala da pranzo.
Perché tu, Annie Cresta, mi fai sentire vivo.
Finalmente.

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Capitolo 11
*** Capitolo undici: Annie Cresta ***


ANNIE CRESTA. SECONDO GIORNO D’ALLENAMENTO. ORE 16.00-19.00
            “Così, Annie, ottimo!” si complimenta Royce in seguito al mio affondo che taglia un braccio al manichino di fronte a me.
In realtà so che potrei fare di meglio, ma sono un po’ distratta: ieri sera Finnick non ha cenato con noi né ha passato il dopocena con noi, a dire il vero a parte durante il pranzo non l’ho più visto. Eve ci ha detto che era solo stanco e che quindi aveva preferito passare il suo tempo chiuso in stanza, ma io ho continuato a pensare che fosse andato in cerca di qualche sponsor a cui vendersi… per me. Non posso davvero sopportalo ma che altro posso fare?
            “Ok, ok, Annie, basta così. Non te la cavi male con la spada, ma si vede che non è la tua arma. Dobbiamo sforzarci di trovarla, così potrai ottenere un punteggio alto dagli Strateghi e tu sai che punteggio alto significa sponsor, non è vero?” mi dice, guardandosi attorno alla ricerca dell’arma perfetta.
Un attimo dopo si illumina vedendo una ventina di lance perfettamente allineate a pochi passi da dove siamo noi.
            “Perché non tentare?” domanda, più a se stesso che a me, dirigendosi tempestivamente a prenderne una.
Sinceramente, io non so perché mi stia aiutando, ma visto che i suoi insegnamenti mi saranno incredibilmente utili quando nell’arena tutti vorranno uccidermi è meglio che smetta di farmi domande e stia a sentire. Ma la cose incredibile è che, per stare dietro a me, per insegnarmi a combattere in maniera non dico decente ma accettabile, Royce non sta facendo nemmeno un esercizio.
Torna subito con una lancia tra le mani e un sorriso; me la porge.
            “Vediamo come te la cavi con questa” dice.
La stringo e la guardo dubbiosa, non credo di aver mai preso in mano una cosa del genere, ma provare non ha mai fatto male a nessuno.
            “Cosa devo fare esattamente?” domando.
            “Lanciarla e centrare quel bersaglio laggiù” mi spiega, indicando un manichino che sarà ad almeno tre metri da me e ha un cerchio bianco disegnato sul petto.
            “Non ce la faccio” dico subito.
            “E io non voglio mai più sentire una frase del genere!” esclama “Ann, è solo una prova! Se fallisci proveremo ancora un’altra arma”.
            “Va bene” mi rassegno, ma continuo ad essere piuttosto dubbiosa in merito alle mie capacità.
Stringo la lancia e prendo un profondo respiro. Come Royce mi ripete sempre devo sentire l’energia e l’anima dell’arma fluirmi in corpo, devo farmi guidare da essere. Osservo il bersaglio, miro. Stranamente la mia mano si sta adattando all’arma che stringo e si sta conformando ad essa. Il mio corpo si flette in avanti e il mio braccio scaraventa via la lancia che, con un sibilo, va a conficcarsi dritta nel cerchio bianco sul petto del manichino.
Sussulto nel vedere come il colpo sia andato a segno al primo tentativo e non posso nascondere di essere un po’ compiaciuta di me. Quando mi volto verso Royce vedo nel suo viso che è stupito quanto me e anche terrorizzato.
            “Formidabile” commenta, ancora scosso.
            “Tributi!” in quel momento la voce della solita donna ci riporta alla realtà “L’allenamento per oggi è concluso! Ricordate che domani sarà attiva solo la sessione del mattino perché nel pomeriggio verrete valutati individualmente dagli Strateghi. Possa la buona sorte sempre essere a vostro favore” dice.
Me n’ero quasi dimenticata. La valutazione degli Strateghi. Da quel voto dipende il tuo futuro negli Hunger Games ed io non posso fallire.
La sala d’allenamento comincia a svuotarsi, mentre io e Royce ci attardiamo qualche altro minuto a chiacchierare con Annabel e Clio, fino a che non rimaniamo solo noi e siamo costretti ad andarcene. Usciamo insieme dalla sala e le nostre strade si dividono solo quando a me toccano tre rampe di scale in più per raggiungere il mio appartamento. Le salgo di corsa, in preda ad una euforia che non riconosco. È vero che anelo ad una doccia ma soprattutto ho voglia di vedere Finnick. Mi sento una ragazzina stupida, ogni volta che penso a lui, ma non mi è possibile fare diversamente.
Entro nel soggiorno, trovandolo deserto. Marzia e Marcus staranno lavorando agli abiti per l’intervista che si terrà tra due giorni, ma è comunque strano non trovarvi nessuno a quest’ora. Mi guardo attorno, cerco anche in cucina, ma non c’è traccia di Eve o Finnick – James sarà già sotto la doccia nella sua camera.
Comincio a preoccuparmi, quindi mi dirigo verso la zona notte, dove ci sono tutte le nostre stanze. Ho paura. Perché non c’è nessuno? Dove sono finiti Eve e Finnick?
Ma ecco che all’improvviso dei rumori attirano la mia attenzione, rumori che provengono dalla stanza di Finnick. Oltre ai rumori delle voci non molto chiare. Con passi leggeri mi dirigo proprio qui e le voci si fanno via via più nitide: una sembra proprio quella di Eve.
            “… no, no, Finnick! Santo cielo, non sul pavimento! Per tutti gli ibridi, cosa ti è successo?! Piano, fai piano!” sembra agitata e allarmata. Questo non è affatto un bene.
            “…non” risponde lui, ma qualcosa gli strozza la voce “non dipende…” di nuovo le sue parole vengono strozzate “… da me”.
Entro in camera, scoprendo che le voci provengono dal bagno, quindi sono veloce a correre fin lì. Quello che vedo è terribile: Eve è in piedi e con la sua figura oscura quasi del tutto Finnick, inginocchiato a terra, sporto sulla vasca da bagno; credo stia vomitando dai rumori che mi giungono alle orecchie. È senza maglia per cui la sua schiena è scoperta a mostrare profonde ferite rosse che ne ricoprono l’intera estensione.
Sussulto: “Finnick…!” rantolo.
Eve si volta verso di me, guardandomi con occhi che mandano lampi: “Vattene via, Annie, questa faccenda non ti riguarda affatto!”, mi costringe ad uscire e mi chiude la porta davanti.
Dopo un paio d’attimi di sgomento riapro la porta ed entro in bagno: Finnick non sta più vomitando, ma il suo ventre è scosso da violenti conati e ha una guancia posata sul bordo della vasca.
            “Annie, ti avevo ordinato di andartene!” mi grida Eve, poi smette di fare caso a me, perché si inginocchia dietro Finnick, sorreggendogli la fronte mentre lui ricomincia a vomitare.
Odio vederlo così: cosa gli sarà successo? E soprattutto, perché ha quelle tremende ferite sulla schiena? Mi schiaccio contro la parete e lì rimango, immobile, muta, sconvolta dallo spettacolo che ho innanzi agli occhi.
            “Per tutti gli ibridi, Finnick! Avevi giurato! ‘non durante gli Hunger Games, Eve!’” gli dice la donna, mentre lo stringe e lo sostiene.
Sembra sconvolta anche lei, quasi sul’orlo delle lacrime, come lo sono io.
Finnick vomita ancora per pochi attimi poi si abbandona senza forze alla stretta di Eve, appoggiando di nuovo il viso al bordo della vasca. Il suo vestito, là dove è stato a contatto con la schiena di Finnick, è macchiato di sangue. Lo abbraccia forte e lo fa sedere.
            “Cosa ti hanno fatto…” mormora tra sé e sé mentre gli pulisce la bocca con un asciugamani pulito “Bene, visto che tu sei rimasta adesso renditi utile” dice poi, rivolta a me “Prepara delle bende pulite – le trovi nello scomparto in basso dell’armadio – e sistema il suo letto mentre io lo lavo” ordina.
Annuisco e faccio per uscire.
            “Annie…” è la flebile voce di Finnick a chiamarmi.
Mi inginocchio davanti a lui, che mi stringe debolmente una mano: “Grazie per non essere fuggita” sussurra, faticando a tenere gli occhi aperti.
Gli poso un bacio sulle labbra anche se ha appena finito di vomitare, senza nemmeno curarmi del fatto che Eve veda il mio gesto; in questo momento nulla mi importa più: tra due giorni sarò in un’arena dove venti persone tenteranno di uccidermi, ho tutto il diritto di mostrare a Finnick ciò che sento per lui, finché ne ho ancora occasione. Poi mi dirigo in camere per fare ciò che mi è stato ordinato.
Tiro le coperte fin quasi ai piedi del letto e sistemo quattro cuscini di modo che Finnick possa stare comodo, poi mi metto a cercare le bende che Eve mi ha chiesto. Sono effettivamente nello scomparto in fondo dell’armadio, assieme a mille altre cose di pronto soccorso.
Dopo un paio di secondi sento scorrere l’acqua della doccia. Finnick sarà… proprio nudo? Eve non si sentirà in imbarazzo a doverlo lavare?
Smettila, Annie, sistema quelle bende piuttosto: Finnick sta davvero male. E forse tu ne conosci la causa.

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Capitolo 12
*** Capitolo dodici: Finnick Odair ***


FINNICK ODAIR. SECONDO GIORNO D’ALLENAMENTO. ORE 23.30
Quando mi sveglio il dolore alla schiena mi assale senza pietà alcuna. Prendo un grosso respiro e provo a guardarmi intorno: sono nella mia stanza e questo è un ottimo passo avanti. Mi metto su un fianco e mi trovo faccia a faccia con Annie. Sussulto. Cosa ci fa nel mio letto?
Cerco di allargare la mia visuale e vedo Eve addormentata su una poltrona, il suo vestito verde è macchiato di sangue: il mio? Ricordo poco di ciò che è successo qualche ora fa e il dolore è l’unica cosa che mi permette di tenere in mente quel poco che non mi è sfuggito.
La mia schiena… ad ogni respiro quello che sento è un dolore più acuto, più lancinante. Antidolorifici, mi servono assolutamente degli antidolorifici. Morfamina, magari.
Mi alzo dal letto a fatica, la pelle sulla schiena mi tira e mi brucia e mi fa male, ma devo resistere fino al bagno. Sono sicuro che ci sia ancora della morfamina. Deve esserci. Trattenendo i gemiti di dolore e cercando di fare piano raggiungo il bagno, apro l’armadietto e mi metto a cercare come un folle. Non la trovo e il dolore è tremendo ogni attimo che passa. Mi siedo sul bordo della vasca e prendo ampi respiri: non posso vomitare ancora. Devo controllarmi.
            “Finnick, stai male?”.
Non mi sono accorto di Annie che mi guarda preoccupata dalla soglia del bagno, capelli arruffati e viso assonnato.
            “Sì” dico, senza esitare “Mi fa male la schiena”.
Non ha senso mentire, perché chiunque potrebbe accorgersi che non so affatto bene. Allora Annie si avvicina a me e posa la sua mano sul mio braccio, guardandomi addolorata. Soffre per me e io non avrei mai voluto che ciò accadesse. La stringo tra le braccia e accolgo le sue lacrime sul mio petto.
            “Non avresti dovuto” singhiozza “Sei un incosciente!”.
            “Non sgridarmi” mormoro stringendola.
            “Prima ho avuto davvero paura! Non avrei mai voluto vederti in quello stato!”.
Le do un bacio leggero sulle labbra appena finisce di parlare e già la mia schiena va meglio.
            “Stupido, stupido, Odair!” mi dice ancora, ma poi è lei a baciare me.
            “Quando devi andare dagli Strateghi per la valutazione individuale?” le domando all’improvviso.
            “Nel pomeriggio, credo” risponde.
            “Allora forse dovresti andare a dormire, visto che domani la sveglia è comunque presto e hai l’allenamento” dico, serio. Non mi va che perda importanti ore di sonno per stare dietro a me: io sono… abituato a questo genere di cose, lei invece tra tre giorni dovrà entrare in una tremenda arena. Non posso assolutamente permettere che arrivi là indebolita.
            “Va bene, va bene, non ti scaldare” mi dice sciogliendo l’abbraccio e dirigendosi verso la porta per uscire “Ah, un’ultima cosa…” aggiunge, tornando verso di me “Questo è l’antidolorifico che stavi cercando” mi lancia una minuscola siringa, che afferro al volo.
            “Grazie, Annie” sussurro “Passa una buona notte”.
Annuisce ed esce dal bagno, poi anche dalla mia stanza, tornando nella sua. Mi inietto la morfamina nel braccio e traggo un sospiro di sollievo: a breve farà effetto ed io starò meglio. Ma adesso è ora che anche Eve vada a dormire nel suo letto e non su una poltrona scomoda.
Torno in stanza e la sveglio dolcemente. Lei sbatte i suoi grandi occhi castani e si guarda intorno spaesata, per un attimo.
            “Sei sveglio” sussurra sbadigliando.
Annuisco: “Ho rispedito Annie in camera sua e adesso intendo fare lo stesso con te” dico.
            “No, no” risponde lei alzandosi “Non ti lascio solo nelle condizioni in cui ti trovi. Andrò solo a farmi una doccia”.
Non ribatto, non provo nemmeno ad insistere: quando Eve si mette in testa qualcosa è assolutamente impossibile farle cambiare idea.
Mi stendo di nuovo a letto, a pancia in giù, mentre attendo che Eve torni a farmi compagnia. Sembra che il sonno abbia deciso di abbandonarmi del tutto ormai; torno seduto, perché stare steso non mi sta procurando alcun giovamento e aspetto così, nel buio della mia temporanea solitudine. Mi rimangono solo due giorni per stare con Annie, è una consapevolezza quasi devastante. Presto lei verrà messa nell’arena e io, da qui, potrò fare troppo poco per aiutarla. Non mi resta che sperare nel gruppo dei Favoriti. James morirà quasi subito ma Annie… lei deve farcela.
Un attimo più tardi la porta si apre ed entra Eve, accendendo la luce. Ogni volta che la vedo senza trucco, senza parrucca, senza i ridicoli abiti di Capitol City non posso fare a meno di rimanere completamente sbalordito dalla sua bellezza quasi impossibile: ha lunghissimi capelli lisci e corvini, che le arrivano a metà schiena, grandi occhi castani, pelle chiara e perfetta; ha un fisico a dir poco sbalorditivo, che nasconde sempre dentro abiti troppo vistosi ed eccentrici.
            “Te l’ho mai detto quanto sei bella senza le mode della Capitale addosso?” le sussurro con un sorriso.
            “Smetti di fare il furbo, signor Odair. Dormi piuttosto” mi risponde.
            “Dai, dai, Eve, lo sai che lo dico per te” ridacchio “Vuoi dormire con me? C’è spazio sufficiente per entrambi, qui”.
            “Solo se tieni le mani a posto” dice, ma anche lei sta ridendo.
Eve ha trentatré anni quindi non potrebbe essere mia madre, ma un po’ è come se lo fosse, perché io sono sostanzialmente solo. E pur che rivelarlo si farebbe tagliare la lingua ma ci sono stati periodi in passato, durante i quali passava anche settimane assieme a me, nella mia casa del Distretto 4, senza gli abiti e le parrucche di Capitol City. Le voglio bene, lei ne vuole a me.
Mi si stende accanto, sotto le coperte e si sistema per qualche attimo, poi io le prendo la mano e la stringo. Mi dà sicurezza sentirla così vicina.
            “Non sarà gelosa la tua bella?” mi domanda allora, divertita.
            “No, si fida di me e anche io mi fido di me” rispondo.
            “Ah allora…” dice lei “Dormi adesso, domani la sveglia è presto anche per te. La morfamina fa effetto?”.
Annuisco: “Sto molto meglio, ma so già che domani sarà una lunga giornata”.
            “Vuoi dirmi cosa ti è successo? Hai vomitato anche l’anima prima”.
Mi rabbuio: “Sai cosa è successo o per lo meno lo immagini, non farmelo raccontare, non è stato bello per me” dico.
            “Finnick, non avresti dovuto”.
            “Lascia perdere, Eve, ormai l’ho fatto e non credere che non lo farò più. È per Annie” sussurro.
            “Lei non vorrebbe”.
            “Dormi, Eve Lullaby, domani la sveglia è presto anche per te”.
Ma sono io il primo a cedere al sonno, annegando nel torpore della morfamina.

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Capitolo 13
*** Capitolo tredici: Annie Cresta ***


ANNIE CRESTA. ULTIMA SESSIONE D’ALLENAMENTO. ORE 9.00-12.00
Ho dormito male, svegliandomi ogni ora fino a che Marcus non è venuto a chiamarmi. Quindi sono nervosa e assolutamente intrattabile, persino Royce lo ha capito e quindi non mi rivolge la parola se non per sistemare la mia postura durante gli allenamenti con le varie armi. Sono così irascibile, oggi, che per non risultare troppo scontrosa indirizzo la mia furia su armi e manichini. Le lance che scaravento via vanno tutte a segno e anche Annabel e Clio, vista la mia rabbia, si tengono alla larga da me. Inoltre sono davvero preoccupata per Finnick: come starà? A colazione non ha mangiato con noi ed Eve – che sono sicura abbia passato l’intera notte con lui – è stata piuttosto vaga nel darci notizie. Temo che Finnick possa stare addirittura peggio di ieri sera, se possibile.
Il mio corpo si flette e il mio braccio scaglia lontano l’ennesima lancia, che va a colpire il manichino dritto nel petto.
            “Ehi, Annie, va tutto bene?” mi domanda allora Royce, posandomi una mano sulla spalla.
            “Tutto benissimo, sono un po’ sottopressione per oggi pomeriggio” dico, cercando di non essere scortese.
            “Oh, ma se sei formidabile con queste lance!” mi risponde, sorridendo “E poi si vocifera che tu sia un asso anche nel nuoto”.
E chi ha mandato in giro questa voce? Io non sono sicura di volere che i Favoriti sappiano le mie caratteristiche principali, come l’abilità nel nuoto. Non mi fido ciecamente di loro, perché arriverà un momento in cui lotteremo tra di noi per la sopravvivenza.
            “Fossi in te non darei ascolto a tutte le voci che sento” dico, prendendo un’altra lancia.
            “Eppure vieni dal Distretto 4…” commenta Royce, affatto convinto delle mie parole.
            “Non tutti siamo nuotatori provetti”.
            “Mmm…” mugugna, sembra proprio che io non riesca a convincerlo “Dai, lanciala, è l’ultima per oggi”.
Annuisco, prendo un respiro. Ormai sono abituata e il mio corpo si muove quasi da solo nel lancio accurato dell’arma, che va a segno per l’ennesima volta.
            “Perfetto” dice Royce “Cosa ne dici di provare ancora con la spada?”.
            “Va bene” acconsento con un cenno della testa.
            “Combatteremo io e te”.
Impallidisco davanti alle sue parole: “Non possiamo, è proibito” gli ricordo.
            “Oh, avanti, è solo per allenarci, non ci faremo del male” dice, poi prende due spade, lanciandomene una.
Si mette in posizione e mi invita a fare lo stesso; alzo la spada davanti al naso e attendo. Ho paura. Royce è fortissimo ma soprattutto è un asso con quest’arma. Io sono meno di una principiante.
            “Ehi, voi due!” ci urla la donna che di solito ci dà le notizie, ma di cui ora mi sfugge il nome “Fermi! Non potete assolutamente combattere!”.
Due addetti alla sicurezza – che somigliano tanto ai Pacificatori che riempiono ogni Distretto – ci sono addosso, tolgono la spada di mano a Royce e lo immobilizzano. Con me invece sono gentili, mi chiedono solo di restituire l’arma e sono un continuo sorriso. Royce viene allontanato a forza, considerato come unico pericolo, quindi io mi avvicino a Clio che sta lanciando frecce contro alcuni bersagli, mandando a segno ogni colpo.
            “Il solito Royce” commenta, scuotendo la testa ma continuando a scoccare frecce “Non vuole mai saperne di seguire le regole”.
            “Già…”.
            “Vuoi provare con l’arco, Annie?” mi domanda poi.
Annuisco, magari è divertente e lei è già così brava che può permettersi di perdere un po’ di tempo per star dietro a me. Mi consegna l’arma e sistema la mia postura, annuendo per darmi il consenso di scoccare la prima freccia. Ci provo, prendo la mira al meglio e lascio volare via la freccia, ma decisamente quest’arma non è fatta per me. Il dardo infatti va a conficcarsi nella parete ben lontano dal bersaglio che avrei dovuto colpire e centrare.
Clio mi sorride: “Non preoccuparti, ci vogliono anni di solito per lanciare una freccia come si deve, non devi scoraggiarti” mi rassicura, mentre le restituisco il tutto.
            “Diciamo che io e le armi non andiamo granché d’accordo” dico, arrossendo.
            “Eppure con le lance te la cavi così bene!”.
            “Giusto con quelle!”.
            “Pratiche di sopravvivenza?” domanda, accennando a quell’area di allenamento che, stranamente, è deserta.
Annuisco e là ci dirigiamo. Scommetto che è vuota perché, essendo oggi l’ultimo giorno di allenamento, tutti quanti i Tributi sono ansiosi di improvvisarsi combattenti, quando in realtà nemmeno sanno cosa sia un coltello.
Quando è mezzogiorno la donna ci avverte immediatamente che il tempo d’allenamento è finito  nel pomeriggio si terrà la valutazione individuale da parte degli Strateghi. Ogni volta che questa notizia mi viene riportata alla mente non posso fare a meno di sussultare.
            “Ci vediamo domani, Annie, all’intervista” mi saluta Clio, uscendo.
Ricambio il saluto con un solo gesto della mano e, dopo pochissimi istanti, esco anche io. James mi raggiunge e mi posa una mano sulla spalla per fermarmi.
            “Ehi” dice.
            “Ehi” rispondo tristemente.
            “Come stai?”.
            “Sono nervosa per oggi e assolutamente terrorizzata per… sì, insomma, per l’arena. Tu come stai? Ogni volta che torno all’appartamento dopo gli allenamenti tu sei sempre chiuso nella tua stanza”.
            “Io ho paura di… morire”.
            “Anche io” ammetto “Ma sono anche piuttosto rassegnata, se è così che deve andare…”.
            “Io non riesco ancora a rassegnarmi, ho solo diciotto anni, perché devo morire per il loro divertimento?” continua James “Spero sempre di riuscire a farcela ma… insomma, io non sono come quel Favorito dell’1”.
            “Nemmeno io sono brava come Royce, se è per questo ma magari, che ne so, magari ci buttano in un’arena fatta come una piscina…” rispondo.
            “Dimentichi che tu hai Finnick Odair assolutamente dalla tua parte”.
Sussulto. Anche James se n’è reso conto, quindi? È così palese ciò che provo per lui e ciò che lui prova per me?
            “Aiuterà entrambi” dico, me nemmeno io sono certa delle mie stesse parole.
James sorride tristemente: “Non credo, sai? Voglio dire, sarebbe umanamente impossibile per lui…” dice “Devo provare a farcela da solo”.
Gli poso una mano sul braccio, non oso aggiungere nulla, perché ha ragione: se anche Finnick dovesse riuscire a mandarmi i doni che desidera non rimarrebbe più nulla per James, per cui il suo destino sarebbe comunque la morte.
L’arena ci aspetta, poco più di un giorno e ci inghiottirà senza pietà alcuna.
 

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordici: Finnick Odair ***


FINNICK ODAIR. VALUTAZIONE INDIVIDUALE. ORE 18.00
La schiena mi brucia sotto i vestiti, ma cerco di non darlo a vedere più di tanto. Eve questa mattina mi ha permesso una seconda iniezione di morfamina, che la placato il dolore per qualche ora. Quando l’effetto è svanito, improvvisamente, mi sono sentito peggio di ieri; ma Eve è stata chiara, niente più morfamina almeno fino a questa sera: è un farmaco pericoloso e bisogna stare attenti all’uso che se ne fa.
Ora sono le sei del pomeriggio e mi sono dovuto vestire. Abbiamo domandando consiglio a Marcus che, dopo aver aiutato Eve a medicarmi senza provocarmi dolore superfluo, mi ha fatto indossare abiti ampi, di tessuti morbidi, che non mi stringessero le ferite.
Ora siamo tutti insieme nel salotto dell’appartamento davanti al televisore che, tra breve, trasmetterà i risultati conseguiti da ogni Tributo. Sono addirittura più in ansia di Annie e James.
Mi hanno raccontato qualcosa riguardo le loro prove e, tutto sommato, non dovrebbe essere andata male. Ho dato loro quanti più consigli mi sia stato possibile, ma in quella stanza di acciaio, davanti agli Strateghi, ci sono stati loro, non io.
            “Ho colpito i manichini con qualche lancia” mi ha raccontato Annie poco fa “Poi ho eseguito un paio di movimenti con la spada. C’era un tridente che mi guardava, Finnick, tutto d’oro come il tuo, ma non l’ho nemmeno sfiorato e forse è stato il mio più grande errore. Poi hanno portato una enorme vasca di vetro, piena d’acqua, profonda almeno tre metri e hanno detto: ‘porta onore al tuo Distretto’, con aria di sfida. Forse non avrei dovuto ma… mi sono tuffata e ho mostrato quanto nuotare mi appassioni”.
La odiano. Quello è stato il mio primo pensiero, dopo aver ascoltato attentamente ogni sua parola. Ma ho cercato di calmarmi per non mettere più ansia del dovuto né a lei né a James, quindi ho solo annuito.
            “E tu?” ho domandato allora al ragazzo, che non aveva ancora detto nulla.
            “Anche per me la piscina, ma io non me la cavo troppo bene con il nuoto. Poi ho giocherellato con qualche arma, non dovrebbe essermi andata troppo male” si è deciso a dire.
Ho annuito di nuovo.
Adesso stiamo aspettando. Annie si è appena fatta una doccia e ha ancora i capelli bagnati, indossa pantaloni verdi di flanella e una canotta nera; ha le ginocchia al petto e trema, divorata dall’ansia. È così bella, i suoi occhi sono così grandi oggi, che a stento riesco a trattenermi dal baciarla. Prendo un respiro profondo che mi procura una fitta di dolore alla schiena e volgo lo sguardo verso il televisore ancora muto e spento.
Non voglio per loro un punteggio stratosferico, ma nemmeno un 4 o un 5.
All’improvviso il televisore si anima, mostrandoci Caesar Flickermann nel suo arancione sgargiante e nel suo sorriso a dir poco disgustoso.
            “Questo è l’atteso momento, Tributi, Mentori, sponsor! La valutazione individuale data dagli Strateghi verrà resa pubblica!” esclama, divertito.
Parte ovviamente con il Distretto 1: Royce ha preso un 10 e la ragazza un 9, come ci si aspetta da due Favoriti come loro. La stessa cosa vale per il 2: il ragazzo ha preso un 9 e la ragazza un 10. i due Tributi del Distretto 3 hanno preso entrambi un voto sotto al 6.
            “E adesso viene il momento del Distretto 4! James Allaway con un punteggio di… 9!” mentre lo dice sembra sorpreso persino lui.
Io stesso sussulto. 9?! Come ha fatto James a prendere un 9?! Quando mi volto verso di lui, per ottenere spiegazioni, ha lo sguardo abbassato e sta incassando i complimenti di Eve e degli stilisti come fossero batoste.
            “E Annie Cresta con un punteggio di… 8!” dice poi.
Fantastico! Annie è riuscita a portare a casa un 8! Ci alziamo tutti in piedi per complimentarci con entrambi, riempiendoli di lodi, mentre Caesar continua ad elencare i punteggi dei vari Tributi. Mi saltano alle orecchie un paio di 7, un 8, ma tutti gli altri sono voti inferiori al 6. per tutti gli ibridi, il Distretto 4 ha ottenuto davvero un ottimo punteggio! Ma ancora non riesco a spiegarmi il 9 di James. Ci ha nascosto le sue vere abilità per tutto questo tempo e forse sarebbe stato più saggio continuare a farlo: ora gli occhi spietati dei Favoriti si punteranno anche su di lui.
Annie è felice, sta abbracciando Marcus e contemporaneamente sta stringendo una mano di Eve, sembra che debba scoppiare a piangere di gioia da un istante all’altro. La prendo per un braccio e, nella confusione di complimenti e chiacchiere frivole, la trascino in cucina, al riparo da occhi indiscreti. Una volta soli la bacio.
            “Sei stata brava” le sussurro sulle labbra.
            “Come va la tua schiena?” mi risponde, prima di restituirmi un bacio.
            “Meglio adesso che sono qui con te” dico.
            “Anche James è stato grande”.
            “Non avrebbe dovuto mostrarsi adesso, avrebbe dovuto continuare con la sua strategia. Ora i Favoriti potrebbero persino prenderlo di mira”.
            “Oppure io potrei allearmi con lui…” suggerisce Annie, stuzzicandomi la nuca con le dita.
Scuoto la testa: “James ti vuole bene, non ti ucciderà, o per lo meno non ci proverà subito, forse perché conosce le tue alleanze o perché – assai più probabile – spera che ti uccida qualcun altro prima di essere costretto a farlo. Invece credo sia meglio non far infuriare quei quattro Favoriti. Prima o poi le vostre strade dovranno comunque separarsi, ma ti daranno qualche giorno di vantaggio sugli altri” le dico.
Questa ormai è la strategia da seguire. James non la ucciderà, ma i Favoriti potrebbero anche farlo, vedendosi traditi. E non possiamo rischiare che ciò accada. Annie annuisce, sa che se davvero vuole avere una possibilità di rivedere il Distretto 4 deve seguire alla lettera i miei consigli. Comincia adesso la nostra guerra.
E noi la vinceremo.
Torniamo in salotto per non destare troppi sospetti, anche se ormai tutti quanti avranno capito cosa c’è tra di noi.
Marcus alza il suo bicchiere e ci invita a fare lo stesso: “Brindo a Annie Cresta e James Allaway, i migliori Tributi del Distretto 4!” esclama, quindi beviamo e ridiamo, felici che sia andata così bene per il nostro Distretto. 
Non credo ci sia rimasto molto di cui gioire. Da settant’anni gli Hunger Games ci schiavizzano, rendendoci animali invece che uomini. Una rivolta sarebbe impossibile: Capitol City ci schiaccerebbe come si fa con una mosca fastidiosa, ecco perché devo fare quanto in mio potere affinché Annie ritorni viva. Non importa cosa mi faranno poi, ho già sopportato così tanto senza lamenti, non mi importa e lo capisco solo adesso. Mi sta a cuore solo una cosa, ovvero che lei torni al Distretto 4 e possa riprendere la sua vita. Ovviamente non sarà mai più tutto come prima, gli Hunger Games ti rimangono dentro, gli incubi ti divorano ogni notte. Ma almeno Annie deve sopravvivere. Può farcela, ha preso un 8 ed io ho già convinto qualche persona a sponsorizzarla. Inoltre domani sera si terrà l’intervista: Marcus le farà indossare un abito grandioso e tutta Capitol City l’amerà per la sua dolcezza mista a tenacia.
Annie Cresta ha una speranza, ardente come il fuoco, potente come il mare.
Annie Cresta vivrà.

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Capitolo 15
*** Capitolo quindici: Annie Cresta ***


ANNIE CRESTA. INTERVISTA AI TRIBUTI. ORE 19.30
Guardo il mio abito nello specchio, questa volta Marcus non ha fatto penare come per la Parata dei Tributi. È formidabile. Anche questa volta ha creato una meraviglia da farmi indossare. Faccio una giravolta su me stessa e poi guardo nuovamente il mio riflesso: l’abito è lungo, attillato fino alla vita, lento e morbido dai fianchi in giù; il colore di base è un pallido e delicato bianco argenteo, come se indossassi la stessa luce lunare, ma non è finito qui, perché è ricoperto di ricami, complessi disegni arzigogolati e motivi floreali composti da catenelle e pietre preziose. Non è lussuoso alla maniera smodata di Capitol City, con lo sfarzo quasi disgustoso che essa ostenta, ma è elegante e ricco, a dir poco meraviglioso. Mi hanno acconciato i capelli in una treccia che mi sfiora la metà della schiena e nasce da un intreccio dei capelli poco sopra la fronte, quasi a formare un cerchietto; la parte superiore è stata coperta da fiori bianchi, ed essi sono stati appuntati qua e là anche al resto dell’acconciatura. Sono innocente, pura, candida, dimostro gli anni che effettivamente ho: la Capitale non potrà non adorarmi.
            “Dobbiamo fare in modo che non ti odino, ricordi? Ecco perché ti abbiamo vestita così. Il mare è burrascoso e potente, forse troppo, invece con questo aspetto sembri quasi una bambina” mi dice Marcus, lisciando la stoffa e sistemandomi le maniche.
Annuisco.
            “Brava. Vedrai poi come ho conciato Finnick!” esclama divertito.
Finnick? Cosa c’entra Finnick con la mia intervista? Il mio sguardo confuso non basta, perché Marcus non aggiunge altro ma continua a guardare il mio abito, a sistemarlo e a mormorare parole che non capisco tra sé e sé. Rinuncio a scoprire cosa significhi la sua frase e mi concentro su cosa invece dovrò dire io stasera. Non sono ammessi errori, Annie, devi stare attenta a ciò che dici e a come lo dici soprattutto, perché tutto quanto Panem ti starà a guardare.
            “Andiamo, splendore, tra pochissimo tocca a te” Marcus mi riscuote dai miei pensieri, porgendomi una mano che afferro senza esitazioni.
Con la mano libera raccolgo la gonna per non inciampare e seguo Marcus fino alle quinte del palcoscenico. Dallo schermo vedo James e Caesar che parlano e scherzano. Sta conquistando il pubblico, che ride alle sue battute e fischia, approvandolo. Ha preso un voto altissimo e questo già lo ha aiutato a piacere alla gente.
Caesar quest’anno è in arancione: abiti, capelli, trucco, tutto quanto è di un fastidiosissimo arancio acceso. Ma la sua risata non è cambiata: nessuno ha mai riso più sguaiatamente di lui nella storia degli intervistatori degli Hunger Games.
            “Grazie, James! È stato fantastico parlare con te!” esclama Caesar Flickermann alzandosi e facendo alzare James “Ecco a voi James Allaway, dal Distretto 4!”.
Il pubblico esplode mentre lui esce di scena.
Eve lo accoglie, abbracciandolo e complimentandosi con lui, ed io faccio lo stesso.
            “E adesso la ragazza che tutti aspettate di vedere dopo la sua meravigliosa entrata!” continua Caesar, il pubblico freme “Dal Distretto 4, direttamente nata dalle onde dell’oceano, ecco a voi… Annie Cresta!”.
Faccio la mia entrata tra gli applausi e i fischi, i riflettori mi accecano. Cerco comunque di sorridere, saluto il pubblico con la mano e vado ad accomodarmi sulla poltrona accanto a Caesar, che mi bacia una mano.
            “Benvenuta, Annie, benvenuta!” mi dice, con un enorme sorriso “Sarò subito diretto con te: quando ti abbiamo visto sollevare quel tridente…” si posa una mano sul petto, all’altezza del cuore e guarda il pubblico per un istante prima di tornare a rivolgersi a me “Veramente, è stato incredibile! L’arma di Finnick Odair, tutti quanti hanno pensato a lui, vedendoti. E avevi un abito! Il mare, Annie, eri il mare!”.
            “Grazie” dico arrossendo.
            “Grazie a te! Allora, Annie, cosa c’è davvero tra te e Finnick Odair?” domanda quindi Caesar “C’è almeno del tenero, dico bene?”.
E adesso? Devo essere sincera? Sì, devo sicuramente esserlo.
Annuisco e il pubblico sussulta: “Sì” confesso.
Il pubblico sospira dolcemente, sorridendomi. Caesar si alza, camminando fino al limitare del palco, mentre un senza voce trascina una terza poltrona accanto alla mia.
            “Che ne dite di chiamare qui anche il nostro Finnick e sentire cosa ha da dire in proposito?” propone Caesar.
Il pubblico fischia, applaude, grida il nome di Finnick, mentre lui si avvia direttamente dalla platea per raggiungermi qui sul palco. È bello da mozzare il fiato, non l’ho mai visto così. La prima
cosa che noto tuttavia è il fatto che sia scalzo, indossa un paio di pantaloni color sabbia, larghi e un po’ cadenti, vecchi quasi e una larga camicia bianca slacciata a mostrare il suo addome perfettamente scolpito; ha i capelli arruffati, gli occhi lucenti e stringe il suo tridente nella mano sinistra. Sembra un naufrago così come io sembravo il mare durante la Parata. Quando è sul palco saluta il pubblico con un sorriso più che seducente e poi si siede accanto a me, prendendomi una mano nella sua.
Ecco cosa intendeva Marcus con quella frase ambigua! Eve ha chiesto a Caesar di intervistare Finnick assieme a me!
            “Eccoli qui, insieme, non sono forse meravigliosi?” esclama Caesar, indicandoci.
Il pubblico ci acclama.
            “Bene, bene, adesso dimmi tu, Finnick, cosa c’è davvero tra te e Annie?” domanda poi, tornando a sedere e sporgendosi verso di noi.
Tutti aspettano, compresa me. Finnick mi guarda, con il sorriso più dolce che mi abbia mai rivolto: “Io la amo” dice, il pubblico sussulta, il mio cuore cessa di battere per alcuni istanti “L’ho sempre amata”.
            “Annie…?” mi esorta Caesar.
Ovvio, tutti quanti stanno aspettando la mia risposta, e so anche cosa le loro orecchie vorrebbero sentire.
            “Lo amo anche io, da anni” sussurro, restituendogli il sorriso.
Ma, mi domando, è vero ciò che hai detto, Annie? Lo ami? O lo stai dicendo solo per salvare entrambi? La mano di Finnick è calda, mi dà sicurezza. Sono davvero contenta che adesso lui sia qui accanto a me. Domani sarò sola nell’arena e dovrò combattere per la mia sopravvivenza. Domani Finnick non mi sarà accanto, pronto a stringermi la mano.
“È fantastico, non credete?” domanda Caesar al pubblico.
Applausi e fischi di approvazione sono la risposta. Sì, il pubblico ci crede fantastici. Ma, mi domando ancora: basterà tutto questo?
            “Grazie, Annie, grazie, Finnick. Il tempo a nostra disposizione è terminato. Vi auguro che la buona sorte possa sempre essere a vostro favore! Signore e signori, Annie Cresta, dal Distretto 4 e il suo Mentore, Finnick Odair!” esclama da ultimo Caesar.
Io e Finnick ci alziamo e salutiamo il pubblico, continuando a tenerci per mano e quindi usciamo dal palco, tornando dagli stilisti, da James e da Eve. Ci abbracciano, si complimentato con noi. Ma io non sento nulla se non il calore della mano di Finnick che stringe la mia.

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Capitolo 16
*** Capitolo sedici: Finnick Odair ***


FINNICK ODAIR. INTERVISTA AI TRIBUTI. ORE 21.30
Io ed Annie ci siamo tenuti per mano tutto questo tempo, e ancora adesso le teniamo bene unite. Ci troviamo sul terrazzo della sua stanza e siamo soli, ci siamo cambiati, indossando abiti più comodi e meno eccentrici. Stiamo in silenzio, ma ci è sufficiente. Quello che vogliamo è passare del tempo insieme, non importa come.
L’intervista è andata bene ed Annie ha detto davanti a tutti che mi ama. So che non è vero, almeno non ancora. Il fatto che domani entrerà nell’arena la condiziona moltissimo e non posso certo biasimarla per questo.
Le metto un braccio attorno alle spalle e la attiro a me, sospirando. Ci giungono alle orecchie i tremendi cori dei cittadini che acclamano i Tributi. Questo strazio andrà avanti tutta la notte ed Annie trema nel sentirli. Vorrei riuscire a confortarla, ma come posso? Ho visto anche io l’arena, so cosa l’aspetterà là dentro e non è qualcosa a cui ci si possa davvero preparare fino in fondo. Si rimane sempre un po’ spiazzati quando il gong suona.
Annie sospira a sua volta e mi avvolge le braccia attorno alla vita, posando la testa sulla mia spalla. Ogni parola mi sembra superflua in questo momento, anche la frase più dolce mi risulterebbe alquanto fuori luogo.
            “Domani entrerò nell’arena, Finnick” è lei la prima a prendere la parola, alzando i suoi enormi occhi verdemare, i più belli di tutti il Distretto 4, su di me “Non ha più senso mentire”.
            “Cosa vuoi sapere?” sussurro, perché so che di questo si tratta e so anche che ha ragione.
Le sue dita scivolano delicatamente sulla mia schiena solleticando le bende che ancora sono costretto a portare. Sussulto. Tra tutte le cose che ho taciuto… vuole sapere proprio questa?
            “Cosa ti è capitato realmente?” chiede, senza paura.
Sospiro.
            “Nulla di piacevole” dico, mettendomi immediatamente sulla difensiva.
            “Voglio sapere la verità, Finnick” insiste.
            “Va bene” mi arrendo “Va bene! Ma prometti di non cambiare la tua opinione su di me”.
            “Io so chi sei davvero, Finnick Odair, so cosa sei” dice seria, guardandomi intensamente.
            “Un uomo” mormoro, abbassando immediatamente lo sguardo “è stato un uomo a farmi questo. È ricco e potente, ti sponsorizzerà. Ma diciamo che ha… gusti… particolari. Gli piace fare del male ai suoi… ehm… sottomessi” mi vergogno di queste parole e mi sento assolutamente uno schifo.
L’ho fatto davvero. Dirlo non fa che aumentare questa consapevolezza sgradevole e il ribrezzo che provo per me stesso. Non posso credere di averlo davvero detto! Ad Annie, poi! Aspetto che scappi via e che non voglia mai più rivolgermi la parola – anche perché, in un certo senso, l’ho anche tradita – ma non succede. Annie mi prende il viso tra le mani e mi bacia, dolcemente.
            “L’hai fatto per me?” mi domanda quando interrompe il contatto.
Annuisco.
            “Non avresti dovuto, ma ammiro il tuo coraggio” sussurra.
            “Dovevo invece. Io voglio riportarti a casa a tutti i costi e tutta d’un pezzo” le dico.
            “Non puoi fare miracoli”.
            “No, è vero, ma posso sempre fare in modo che per te sia più facile sopravvivere nell’arena” rispondo, non mi va che sia già rassegnata a morire.
Perché se questo dovesse accadere, se Annie Cresta dovesse davvero morire, anche la mia vita finirebbe, non avrei più ragioni di andare avanti: il suo sorriso è stata la luce dei miei anni più bui, i suoi occhi sono stati la via che mi ha portato lontano dai momenti di maggiore disperazione. Annie è stata – ed è tuttora – la mia forza. Non posso perderla adesso.
            “Forse dovrei cercare di dormire un po’” dice allora, allontanandosi da me.
Come? Di già? Dunque finisce qui la nostra ultima notte? Non che mi aspettassi qualcosa di eclatante e sovversivo, ma vorrei più tempo per stare ancora un po’ con lei.
            “Così presto?” mi sfugge.
            “Visto che comunque faticherò a prendere sonno meglio che cominci a prepararmi e rilassarmi” risponde.
Le afferro una mano: “Annie…” sussurro.
            “No, Finnick. È già abbastanza difficile senza che ti ci metta anche tu” dice, duramente.
            “Annie, per piacere, non hai capito” mormoro “Voglio solo passare ancora un po’ di tempo con te”.
Mi stringe la mano e mi guarda con dolore: “Potresti cantarmi una ninna nanna” dice, ma non c’è ombra di divertimento nel suo viso o nelle sue parole.
            “Con piacere”.
Aspetto seduto sul suo letto mentre Annie, in bagno, si lava e si cambia, indossando presumo il pigiama. Voglio passare con lei quanto più tempo mi è possibile.
Ha sciolto i capelli, che le ricadono sulle spalle e sulla schiena mossi proprio come le onde del mare e ha indossato un pigiama blu, composto di pantaloncini di seta e canotta dello stesso colore e tessuto. Mi sorride, i suoi occhi verdemare sono messi in risalto dal colore che si trova ad indossare. Prima si siede per un paio di attimi accanto a me e poi scivola pian piano sotto le coperte. Mi guarda.
            “La mia ninna nanna?” reclama.
Mi metto a cantare sottovoce mentre le carezzo i capelli. La mia ninna nanna è il ricordo di un’infanzia lontana e della mia splendida madre. Parla del mare, di un pescatore e di una sirena. È malinconica e dolce, dai toni caldi e vibranti. Persino i miei occhi si fanno pesanti, mentre mi abbandono ai ricordi che emergono tramite la canzone.
            “È così triste” sussurra Annie, guardandomi.
            “È solo malinconica” rispondo, avvicinando il mio viso al suo.
            “Perché la sirena non può rimanere con il pescatore?” mi chiede, con gli occhi tristi.
Le do un bacio fugace: “Perché ha delle regole da rispettare, ma lo ama e lo amerà per sempre, qualsiasi cosa accada” rispondo, e non solo la sirena manterrà fede a questo giuramento che somiglia tanto ad una condanna, aggiungo tra me e me.
            “Non sei bravo con le ninna nanne… questa è veramente troppo triste e non è che oggi sia proprio un giorno felice” mi rimprovera.
            “Sono bravo in altre cose” le sussurro con voce suadente e scherzosa, passandole il naso gelido sul collo.
Annie rabbrividisce e ridacchia, scostandomi appena da sé.
            “Posso rimanere qui con te, questa notte?” le domando.
            “Sì” risponde “Ma a debita distanza” aggiunge, divertita.
            “Certamente” acconsento, baciandola ancora una volta.
            “Avevo detto a debita distanza” mi ricorda, ma poi è lei stessa a baciarmi.
            “Sei tu che non mi fai rispettare le tue stesse regole” le sussurro.
            “Ho paura per domani” mi risponde, tornando improvvisamente seria.
La realtà dell’arena e di quanto poco tempo ci sia rimasto ci piove addosso senza pietà. Domani mattina Annie verrà portata via ed io, da qui, dovrò fare il possibile perché riesca a tornare a casa, ma soprattutto non potrò lasciarmi andare alla disperazione che già mi attanaglia le viscere.
            “Lo so, ho paura anche io” le dico, deve sapere cosa sento, ma deve anche capire che mi sto facendo coraggio per lei, perché vinca “Ma so anche che ce la faremo”.
            “Saremo lontani” protesta.
            “Non saremo mai abbastanza lontani” dico con convinzione mentre le nostre labbra si uniscono in un ultimo bacio. 


FINESTRA DELL'AUTRICE: Ciao a tutti! (un momento quali tutti? non recensisce quasi nessuno T___T) vabbè. Voi tutti! Questo è l'ultimo capitolo prima di tutta la parte della terribile arena, per cui dovrete poi attendere qualche giorno prima di leggere gli altri. Ce la farete? Promettete di non odiarmi?
Un abbraccio.
-Sofi

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Capitolo 17
*** Annie Cresta: Cornucopia ***


ANNIE CRESTA. ARENA: CORNUCOPIA.
L’ultima cosa che ho sentito oggi sono state le braccia di Marcus stringermi forte, un attimo prima che dovessi entrare della cabina trasparente. Adesso i miei sensi sono annullati. Tranne la vista. Posso vedere tutto quanto accade attorno a me, ma non sento nulla, come fossi in una bolla.
Siamo disposti a semicerchio attorno alla cornucopia, attorno alla grande, spaventosa, meravigliosa cornucopia. È un’arena particolare, tutta concentrata attorno ad una grandissima sorgente d’acqua – forse un fiume – che ruggisce con le sue acque tumultuose. Mi guardo attorno mentre i secondi passano e noi ci avviciniamo al momento del fatidico gong.
James è lontano da me, ma in compenso io mi trovo tra Clio e Dux e, se qualcosa non è cambiato, dovremmo essere alleati.
Prendo un respiro, mi preparo allo scatto. Non conosco la strategia dei Favoriti, ma uno scatto iniziale mi aiuterà almeno a riattivare i sensi assopiti. Ormai posso contare sulle dita di una mano i secondi che mi separano dal bagno di sangue, perché di questo si tratterà. Io non voglio uccidere, almeno non così per gioco. Se davvero arriverò ad uccidere qualcuno lo farò solo per difesa, come ultima spiaggia.
Prendo un respiro e il flusso aria che mi fluisce nei polmoni mi procura una terribile fitta a livello dello sterno. Attorno a me gli altri Tributi fremono, posso percepirlo in un certo modo.
Come si sarà sentito Finnick Odair quando è stato qui? Quando quel gong ha suonato per le sue orecchie? Cinque anni fa non ho perso un istante dei suoi Hunger Games, solo per seguire lui, solo per vedere il momento della sua vittoria. La sua arena era esattamente ciò che ogni Tributo del nostro Distretto desidererebbe: un arcipelago, poca terra, tanta acqua.
GONG.
Non faccio in tempo a rendermi conto di quel suono che sono già piombata giù dal piedistallo. I miei sensi riaffiorano nel momento stesso in cui il mio piede tocca il suolo.
Grida, urla, risate malvagie, clangori di spade e armi, tutto mi colpisce troppo velocemente le orecchie; i miei occhi mi restituiscono un’immagine a dir poco agghiacciante. Il sangue dei Tributi già morti sta riempiendo il terreno, fluendo via come acqua.
I quattro Favoriti sono tra i più agguerriti: trafiggono petti, infliggono ferite mortali, mozzano arti, mietono vittime ad ogni angolo. È un bagno di sangue ed io ci sono in mezzo.
Togliti di là!, griderebbe Finnick e magari lo sta proprio facendo, guardandomi dal grande schermo assieme a Marcus, Marzia ed Eve.
Devi reagire, Annie, dico a me stessa, mettendomi in guardia. Cerco Royce con gli occhi, ma è troppo lontano da me perché io possa raggiungerlo senza rischiare di essere uccisa prima, Dux anche. La mia unica possibilità di salvezza è Clio che, afferrato un elegantissimo arco, sta facendo una strage.
Correndo la raggiungo e la faccio notare la mia presenza.
            “Dietro di me, Annie!” mi grida.
Eseguo. E attendo, muovendomi con lei, abbassandomi quando lo ordina.
Non passa troppo tempo prima che gli unici vivi rimasti risultiamo essere noi cinque. Alcuni Tributi sono scappati, appena suonato il gong, cercando di evitare il bagno di sangue; altri hanno percorso strade diverse dopo aver arraffato qualcosa dalla cornucopia; quelli rimasti sono morti sotto il ferro degli agguerriti Favoriti.
            “Prendete quello che può esservi utile, caricatevi insomma, ma non troppo, dovrete comunque essere in grado di correre” ordina Royce, pulendo la lama della sua spada dal sangue di chissà quale Tributo.
Mi guardo bene dal domandargli il motivo e mi affretto a raccogliere uno zaino molto grande e a riempirlo con quanto di più utile trovi: una corda, una borraccia, delle scorte di cibo, fil di ferro, due coltelli da lancio, un impermeabile termico. Mi manca solo un’arma che sia davvero capace di maneggiare, per cui una lancia. Mi isso lo zaino sulle spalle e mi unico ai quattro Favoriti, Royce mi porge una lancia dalla lama acuminata e dentellata. La prendo e ringrazio.
            “Andiamo” dice Dux.
Ci incamminiamo mentre il cannone comincia a sparare colpi, uno dopo l’altro, ne conto dodici, metà di noi. Questa notte vedremo il volto dei caduti ed io scoprirò se James è morto o meno.
La vegetazione non è tanto fitta, c’è tanta erba, ma pochi alberi e il ruggire del fiume – o lago che sia, per quanto sommesso, mi giunge continuamente alle orecchie. Sono abbastanza certa che sia un fiume molto grande, profondo e pericoloso, magari con rapide dai massi appuntiti. Acqua. Questa arena si può dire che sia a mio favore.
Io so nuotare, so farlo alla perfezione. E spero di essere una dei pochi.
            “Annie, non rimanere indietro!” mi urla Royce “Vieni qui davanti, vicino a me”.
Obbedisco. Non mi va di essere presa alle spalle, magari da un Tributo un po’ troppo agguerrito, quindi raggiungo Royce e mi metto a camminare al suo fianco.
Procediamo attraverso la vegetazione rada, facendoci guidare dal gorgogliare – per me così rassicurante – delle acque, perché là ci stiamo dirigendo, sicuramente per rifornirci di risorse idriche.
Non parliamo perché il passo che teniamo è serrato e rapido, non ci dà abbastanza fiato ed energie anche per conversare tra di noi. Ora come ora credo di aver capito la strategia dei Favoriti: hanno intenzione di raggiungere il fiume – o il lago – e di accamparsi lì, in attesa di sorprendere quanti più Tributi sia possibile. Dopotutto credo che chiunque di coloro che sono rimasti vivi cercherà, come prima cosa, dell’acqua.
Che ore saranno adesso? Il sole sta ancora brillando, ma è molto che stiamo camminando.
Come se la starà cavando James? Sarà ancora vivo prima di tutto? Finnick sarà un po’ fiero di me? È vero che non ho ucciso nessuno e non ho dato spettacolo ma, tanto per cominciare, sono viva. È già un bel passo avanti per una come me.
Sospiro e mi guardo attentamente intorno: devo memorizzare strade e percorsi alternativi, perché è proprio probabile che dovrò ripercorrerli da sola, prima o poi.
Il mio primo giorno d’arena non è ancora terminato e so di avere i Favoriti dalla mia parte, per adesso.
Mentre avanziamo, metro dopo metro, chilometro dopo chilometro, la vegetazione va infittendosi e il sentiero si innalza pian piano. Ci sono soprattutto conifere, alberi aghiformi che da noi al Distretto 4 si vedono davvero poco, perché questi sono alberi da paesaggio montuoso.
E il fiume o lago dove sarà? Lo sento vicino ma non riesco a determinarne davvero la posizione.
Clio scocca una freccia, colpisce una lepre dal manto nero che Dux raccoglie per le orecchie: “La cena” dice.
Gli altri ridono, ma riprendiamo immediatamente il cammino, a ritmo serrato.
Finnick mi manca già, ma devo essere forte, non devo mostrarmi mai e poi mai debole agli occhi dei Favoriti. Prendo un ampio respiro, sistemo lo zaino e stringo tanto forte la lancia che le nocche delle mani diventano completamente bianche.
Ce la farai, Annie, mi dico.
Ma sarà vero?

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Capitolo 18
*** Annie Cresta: Accampamento ***


ANNIE CRESTA. ARENA: L’ACCAMPAMENTO
 
È un lago. Un lago. Non un fiume. Come posso essermi sbagliata? Un lago. D’accordo, d’accordo, forse un lago è meglio di un fiume: è più profondo e persino più insidioso se – come sono portata a pensare dal rumore che mi giunge alle orecchie – finisce in una cascata. Anche se è strano che un lago di queste dimensioni fluisca in una cascata.
È un enorme specchio d’acqua di cui non riesco a scorgere la fine, accerchiato da conifere di ogni genere, abbracciato da qualche montagna non troppo alta. Ha l’aria di essere davvero un posto meraviglioso; certo, se non fosse l’arena dei miei Hunger Games lo sarebbe davvero. Se potessi bearmi di questa calma quasi celestiale assieme a Finnick sarebbe tutto diverso. Ma sono qui con Royce, Clio, Annabel e Dux.
Ci avviciniamo al bordo del lago, inginocchiandoci: dobbiamo assicurarci che quest’acqua si possa bere, altrimenti moriremo di sete. Di solito è sconsigliato bere l’acqua di un lago, perché molto più ferma e stantia rispetto a quella di un fiume che scorre, ma per questo lago potrebbe essere tutto diverso, solo per il fatto che fluisce in una cascata e – se di nuovo le mie percezioni non mi ingannano – viene alimentato da un fiume, quindi vi è un continuo ricambio di acqua, che potrebbe comunque essere non potabile.
Royce fa uno strano cenno a Clio che annuisce e immerge la mano nelle acque del lago. La vedo tirarla fuori e leccarsi la punta di un dito.
            “Potabile” assicura, dopo qualche istante passato a pensare.
Riempiamo le nostre borracce e beviamo, assetati dopo il lungo cammino di oggi. Riempio e svuoto la borraccia tre volte prima di riuscire a riporla, piena, dentro il mio zaino.
            “Qui va bene!” esclama Royce agitando le braccia.
È a qualche metro da noi, in un punto particolarmente piano, perfetto per accamparci questa notte. Adesso i Favoriti vogliono sistemarsi per bene, mangiare qualcosa e poi divertirsi dando la caccia a quei Tributi più deboli rimasti ancora in vita. È disgustoso. Se solo potessi – se solo fossi sicura di poter sopravvivere da sola – li pianterei in asso proprio in questo istante, ma è dalla loro forza e dalla loro esperienza che dipende la mia vita. Devo controllarmi.
Mentre i quattro Favoriti sistemano quello che continuano a chiamare ‘accampamento’ – non sono che rami ammassati in un angolo per accendere il fuoco e foglie ammucchiate per dormire sul morbido – non chiedono mai il mio aiuto e mi considerano ben poco, a dirla tutta. Così mi soffermo a guardare il cielo: a breve ci sarà il tramonto e poi calerà il buio, la mia prima notte nell’arena. Il cannone non ha più sparato colpi dopo il bagno di sangue della cornucopia, quindi siamo ancora a dodici vivi e dodici morti. E ancora non so in quale gruppo di dodici si trovi James.
Finnick mi manca un po’ di più ogni attimo che passa, ma non posso mostrarmi debole per una cosa così. Questa è la mia unica regola: sii forte davanti ai Favoriti, Annie, sii sempre forte.
Da quando abbiamo arrestato la marcia non ho smesso di stringere quasi convulsamente la lancia: tenere quest’arma tra le mani mi dà la sicurezza che mi occorre per non mettermi a gridare.
Poco più lontano da dove sono io vedo Clio prendere il suo arco e incamminarsi verso il fitto del bosco, seguita subito da Dux. Chissà dove stanno andando… magari a stanare qualche Tributo di dodici anni. Scuoto la testa e chiudo gli occhi, non voglio saperlo, non voglio nemmeno pensarci.
            “Ehi, Ann, perché te ne stai lì da sola?” mi dà voce Royce, a un paio di metri da me “Vieni a fare due chiacchiere con me e Bella!” aggiunge, sorridendomi.
Annuisco e vado a sedermi accanto a lui che mi avvolge subito un braccio attorno alle spalle. Cosa penserà adesso Finnick? Sono terrorizzata all’idea che possa arrabbiarsi. No, no, capirà che questo non è nulla, che io voglio solo lui e decisamente non Royce.
            “Quanti ne hai uccisi, Ro?” domanda allora Annabel, affilando un coltello lungo quanto il mio avambraccio.
            “Quattro” risponde lui “E tu?”.
            “Solo un paio, ero troppo indaffarata a cercare le armi che mi servivano” dice, alzando i suoi occhi neri su di noi “E diciamo anche che dopo il mio 10 nessuno è stato così stupido da attaccarmi o intralciarmi. Annie?”.
            “Cosa?!” chiedo, mettendomi immediatamente sulla difensiva.
            “Calma, Ann!” ridacchia Royce “Bella vuole solo sapere quanti ne hai uccisi” precisa poi.
            “Uh. Nessuno” dico.
            “Annie tenerona” afferma Annabel, con un sorriso che sembra davvero sincero, tornando ad occuparsi del suo coltello “Dai, non è così grave, finché ci siamo noi a proteggerti sarai perfettamente al sicuro” aggiunge.
Sarò sincera: non so assolutamente per quale motivo questi Favoriti vogliano a tutti costi proteggermi e aiutarmi. Meglio per me, certo.
Finché non cambia il vento.
Il sole sta cominciando a calare, ma ancora c’è molta luce e non si è visto nessun Tributo passare nei pressi del nostro accampamento. I Favoriti si stanno annoiando a morte. Io sono molto più contenta così. Anche se non me la sto cavando affatto bene: se continuo a farmi proteggere e non prenderò mai l’iniziativa Finnick non riuscirà a rimediarmi nemmeno uno sponsor e dovrà vendersi. Ma io non voglio che questo accada di nuovo: per nessuna ragione.
Con uno sforzo quasi disumano mi avvicino a Royce, i nostri corpi si toccano.
Non puoi conquistare il pubblico con la tua brutalità, Annie, ma puoi farlo con la tua dolcezza mista a tenacia; le parole di Marcus mi rimbombano in testa.
Sì, ma adesso? Non posso certo fare la civetta con Royce dopo aver detto a tutto Panem che amo Finnick Odair!
Mostrati dolce, indifesa, ma forte e tenace; sono queste le parole che Marcus mi rivolgerebbe adesso, se fosse qui con me.
Devo farlo.
            “Non ho paura degli altri Tributi” dico con risolutezza, anche se non è vero “Ma… io non so come si fa ad uccidere, non so se gli allenamenti siano davvero serviti a qualcosa”.
            “Forse un tridente ti aiuterebbe di più?” mi domanda Annabel, che adesso si sta occupando di affilare un secondo coltello, molto più piccolo del precedente.
            “Non lo so, non è poi così diverso da una lancia, in verità” dico, ma in realtà non saprei nemmeno come impugnarlo un tridente. Non posso assolutamente farmi incastrare da simili domande.
            “Non riceverò mai un solo dono dagli sponsor” sospiro, fingendomi assolutamente abbattuta.
            “Hai un ottimo Mentore, s’inventerà qualcosa” risponde Royce e temo che nelle sue parole ci sia un’insinuazione ben più grave “Ma in ogni caso è ancora presto per giungere a conclusioni così affrettate”.
Forse Royce non ha tutti i torti. Questo è solo il primo giorno e comunque so che, qualsiasi cosa accada, Finnick riuscirà a mandarmi qualcosa di utile.
Quando Clio e Dux tornano è ormai buio pesto, l’inno di Panem ci squilla nelle orecchie e il simbolo dell’aquila compare nel cielo; tra pochissimi istanti vedremo il volto di coloro che sono morti nel bagno di sangue di questa mattina.
La ragazza del 3 è il primo volto che vediamo, entrambi i Tributi del 5, il ragazzo del 6, entrambi quelli del 7 e anche quelli dell’8, la ragazza del 9, il ragazzo del 10, il ragazzo dell’11 e la ragazza del 12.
James è vivo. Sono felicissima di questa notizia. Non so il perché di questa mia improvvisa felicità visto che comunque, per vincere, lo dovrò uccidere… o sperare che qualcun altro lo faccia prima di me. A stomaco pieno, con i pensieri ansiosi, mi addormento, stringendo forte la lancia al petto.
Il primo giorno nell’arena sta volgendo al termine ed io sono ancora viva.

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Capitolo 19
*** Annie Cresta: Attacco ***


ANNIE CRESTA. ARENA: L’ATTACCO
Mi sveglio di soprassalto, sentendo un rumore che non promette nulla di buono. Ci metto qualche attimo a rendermi conto di cosa sta succedendo, perché tutto è troppo veloce e chiassoso. I quattro Favoriti stanno combattendo brutalmente contro un gruppo di altri quattro ragazzi. Capeggiati da James. C’è il ragazzo del 10, un gigante dalla pelle cotta dal sole, poi c’è la ragazza del 3 e quella del 9. che strana alleanza. Ma ci stanno attaccando! James mi sta attaccando!
Scatto in piedi, stringo la lancia e mi metto in guardia, pronta allo scontro. In quell’istante James, che sta tenendo testa ad Annabel, si accorge che sono sveglia, con uno sgambetto la fa cadere e mi si avventa contro con un grido di battaglia.
Paro il suo duro colpo di spada alzando la lancia sopra la mia testa, poi comincio ad indietreggiare mentre penso ad un piano per uscire viva dal combattimento. Non capisco perché se la stia prendendo tanto proprio con me. Devo resistere. Non vorrei ucciderlo, ma se continua così mi costringerà quasi a farlo.
Siamo ormai dentro il lago e il nostro combattimento è fermo. Acqua! Grida una voce prepotente nella mia testa. Sì, porta il combattimento nell’acqua, io potrei sempre cavarmela nuotando via e magari riesco a metterlo in difficoltà.
Così continuo ad indietreggiare, fermandomi solo quando l’acqua mi arriva alle ginocchia e paro un secondo attacco.
Non voglio ucciderlo. Assolutamente.
            “Ti verrò a prendere” mi sussurra poi “Quando le vostre strade si divideranno ti verrò a prendere, Annie, e allora ti proteggerò io” mentre lo dice mi attacca di continuo, colpi sempre più duri e pesanti, e il clangore delle armi… copre le nostre voci. Lo sta facendo perché il pubblico non possa sentire quello che mi dice!
Annuisco, attaccandolo a mia volta: “Grazie” mormoro.
A quel punto James fa un passo indietro e scappa via. Tre colpi di cannone esplodono squassando il silenzio del bosco. È solo primo mattino e siamo rimasti in nove.
Ancora sconvolta da ciò che è appena successo esco dal lago e torno dai Favoriti. I tre Tributi che erano con James, i suoi alleati, giacciono a terra, morti, in un bagno di sangue; i loro occhi vitrei, i loro sguardi vacui mi rimarranno impressi nella mente per tutta la vita, lo so.
Annabel si è seduta su un masso e Royce le sta esaminando quella che sembra una profonda ferita sul braccio, si dicono qualcosa ma non riesco a sentire le parole nel dettaglio, sono certa che stiano inveendo contro quei Tributi ormai morti. Sono quasi contenta che i Favoriti siano rimasti feriti dopo questo attacco. Ovviamente cerco di non darlo a vedere.
            “Annie, tutto bene?” mi domanda Clio mentre pulisce dal sangue un paio di frecce.
Annuisco: “Ma James è scappato” dico.
            “Non importa, a lui potremo pensare più tardi, le sfide mi divertono” s’intromette Royce strappando la sua spada dal corpo senza vita della ragazza del 3 “Adesso che siamo rimasti in nove tutto sarà molto più divertente. E difficile”.
In quell’istante sentiamo un suono acuto che si ripete e si avvicina pian piano a dove ci troviamo ora. È un paracadute. Un paracadute che porta un dono. E che atterra dritto nelle mie mani. Apro il contenitore tremando e vi trovo dentro una piccola scatola di metallo e un biglietto.
Danne un po’ alla tua amica e non buttarla
è quel genere di rimedi che servono di più.
Ah, e di’ al gigante dell’1 di tenere giù le mani.
Finnick
Sorrido, nascondendo il biglietto in tasca, poi vado da Annabel, che si lamenta un po’ per il dolore e sta cercando un modo di medicarsi senza peggiorare la situazione.
            “Laviamo quella ferita, dai” le dico.
Annuisce, quindi ci avviamo fino alla riva del lago. Non sono mai stata brava a medicare persone, ma non deve essere troppo difficile lavare una ferita e spalmarci sopra della pomata. Le immergo il braccio nell’acqua gelida e la lavo con cura, cercando di non provocarle altro dolore; quando mi sembra che sia abbastanza pulita le dico di attendere perché si asciughi mentre cerco qualcosa con cui fasciarla per bloccare almeno il sangue.
Non trovando altro nel mezzo di un bosco, strappo una lunga striscia di tessuto dalla mia maglietta, rimanendo con parte del ventre scoperto. Spalmo sul braccio di Annabel quella che si è rivelata essere una pomata color grigio topo dall’odore nauseabondo e le fascio il braccio con cura.
            “Questa sarà meglio conservarla” dico, riponendo il contenitore all’interno del mio zaino.
            “Grazie, Annie” mi dice lei.
            “Non è nulla, dal momento che voi mi proteggete”.
Annabel mi lancia uno sguardo strano, sembra quasi che si senta in colpa per qualcosa.
            “Rimettiamoci in marcia” ordina allora Dux, con la sua solita espressione truce e i suoi modi da duro “Il lago è grande e dobbiamo costeggiarlo tutto quanto. Stanotte ci accamperemo là” aggiunge, indicando un punto che sembra completamente inghiottito dalle acque.
Anche oggi cammineremo e basta, ed io sono già stanca. Non è possibile che l’arena mi stia già spossando così tanto.
Prendo la mia lancia, mi sistemo lo zaino sulle spalle e mi affianco a Royce per la solita regola che non devo rimanere indietro e soprattutto non devo rimanere sola. Comincio a pensare che sia solamente un modo per controllarmi meglio.
Finnick, che stai facendo, Finnick? Mi stai pensando, stai guardando cosa mi accade? Non disperarti troppo, te ne prego, perché non potrei affatto sopportarlo. Dormi, Finnick, magia, curati un po’. Eve, tienilo d’occhio. E se anche i miei pensieri non ti possono arrivare, Eve, abbi cura di te e di Finnick Odair.
            “Annie, attenta!” ringhia Royce.
Non faccio in tempo ad udire il suo avvertimento che un coltello mi vibra a fianco, colpendomi di striscio il braccio e facendomi inciampare e cadere. Sbatto con forza la schiena contro il terreno e lascio la lancia, che cade con un tonfo sordo a pochi centimetri da me. Quando alzo lo sguardo per vedere il Tributo che mi ha attaccato i suoi occhi sono già vuoti e il cannone sta sparando un colpo in aria. Era il ragazzo del 12 e adesso i suoi occhi si mischieranno nella mia testa a quelli dei Tributi di poco fa. Ed io non li dimenticherò. Mai.
Royce mi afferra di peso, costringendomi a rimettermi in piedi: “Dannazione, a che diavolo stai pensando?!” mi rimprovera duramente “Lavati quella ferita e mettiti la pomata, ripartiamo immediatamente!”.
Annuisco, abbassando lo sguardo e, recuperata la lancia, faccio ciò che Royce mi ha ordinato. Quel coltello mi ha squarciato la manica ed è riuscito a lasciarmi una ferita piuttosto profonda sul braccio. Dopo aver lavato bene la ferita ci spalmo sopra un velo di pomata e fascio con un altro brandello della mia stessa maglietta.
In pochi minuti sono di nuovo pronta a partire.
Tra un paio d’ora ci fermeremo per mangiare qualcosa velocemente e poi riprenderemo il cammino. Non facciamo che camminare, camminare, camminare. Sembriamo cacciatori attenti che mirano a uccidere tutto le prede presenti nei dintorni. Forse un po’ lo siamo. Questo è il piano: prendere di sorpresa i pochi Tributi rimasti e ucciderli. Vogliamo dare spettacolo. Non vorrei essere complice di questo gioco sadico e crudele, ma ne va della mia vita e non posso rischiare.
Cosa starà facendo James? Spero che non sia ferito perché vivo lo è sicuramente. Ci incontreremo di nuovo, concluderemo i nostri giochi insieme ma, prima o poi, le nostre strade si divideranno di nuovo. Uno di noi morirà, l’altro tornerà in gloria a Capitol City.
Sarà uno di noi a vincere. E se non posso essere io che almeno sia lui.
Non Royce, non Clio, non Dux, non Annabel. Nessuno Favorito merita di uscire vivo da questa arena. Ma James sì e mi rendo conto di quanto mi manchi.
Mi manca stare in compagnia di un amico. Mi manca il mio Distretto.
 
 

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Capitolo 20
*** Annie Cresta: I giorni ***


ANNIE CRESTA. ARENA: I GIORNI
Passano i giorni, corrono, volano via frettolosi, come se cercassero qualcosa che in realtà non troveranno mai. Passano i giorni, corrono, scappano fuggendo e le ore sembrano sospiri, tanto filano via velocemente.
Noi corriamo assieme ai giorni, macinando chilometri, talvolta mietendo vite.
Passiamo cinque giorni correndo, camminando, combattendo. Non ho ucciso ancora nessuno eppure i doni degli sponsor per me non sono mai mancati, così come i biglietti di incoraggiamento di Finnick.
Medicinali, cibo, armi, ogni genere di cosa. Ormai ho lo zaino colmo di tutti i doni che Finnick è riuscito chissà come a mandarmi.
Siamo rimasti in sei, ora lo sappiamo bene: noi cinque e James. Spero che lui non si faccia vedere ancora per un po’, perché quando i Favoriti lo avranno ucciso si accaniranno su di me. Lo so. E allora mi ammazzeranno, senza darmi alcun vantaggio, senza avere pietà.
Non riesco a dormire questa notte. Il crepitare rassicurante del fuoco questa volta non riesce a calmarmi, quindi continuo a giacere nel buio, immobile ma sveglissima. Ormai riposare stringendo la lancia è diventata un’abitudine, mi sento addirittura a disagio quando non posso stringerla.
Royce e Clio sono seduti davanti al fuoco, lucidano e affilano le loro armi, ma non parlano. Loro due non dormono mai, questa cosa mi spaventa e mi inquieta. Passano le ore davanti al fuoco, affilando armi, lucidando armi, pulendo armi. Non parlano, rimangono immobili, ognuno preso dalla propria occupazione.
Annabel e Dux invece dormono a qualche metro da me.
Fa freddo ed è davvero molto umido, perciò rabbrividisco spesso mentre tento invano di prendere sonno. Oltre alla lancia tra le mani ho tenuto lo zaino sulle spalle; ormai lo faccio ogni notte per essere pronta a scappare in ogni momento, chissà che non ce ne sia bisogno, in futuro.
Stringere quell’arma mi fa sentire al sicuro anche se so perfettamente che in uno scontro diretto con uno dei Favoriti non avrei nemmeno una speranza di uscirne viva.
Mi sistemo e poi la mia attenzione viene catturata dalle voci sommesse di Clio e Royce che hanno da poco cominciato a parlare. Tendo le orecchie per sentirli meglio e attendo.
            “… sì, esatto, mi domando proprio perché non l’abbiamo ancora uccisa” sibila Clio.
Royce ridacchia: “Sei così ansiosa di vincere? Non possiamo uccidere Annie adesso, hai notato quanti doni riceve?! Finnick, quel suo Mentore pappamolla, si venderebbe a chiunque pur di rimediarle uno sponsor. E i doni che riceve sono utilissimi anche a noi. Verrà il momento in cui non ci servirà più e allora potrai ucciderla” risponde Royce e la lama del suo coltello brilla, illuminata dalla luce tremula del fuoco.
Sussulto e il mio cuore comincia a battere all’impazzata. Il terrore mi sta attanagliando in questo momento. Allora è solo per questo che mi stanno proteggendo e controllando, solo per uccidermi quando non sarò più di alcuna utilità.
Devo fare qualcosa. Sicuramente non posso più rimanere con loro adesso che ho scoperto la verità, sapendo ormai quali sono le loro vere intenzioni. Ma non ho alcuna possibilità di tentar di scappare e rimanere viva.
Inoltre adesso è buio pesto e non ho nemmeno un’idea di dove potrebbe essere James. Non posso scappare ora. Intanto la cosa migliore è dormire un po’, riposare, domani potrò pensare ad un piano d’azione. Domani la mia vita non sarà più nelle mani dei Favoriti, questo posso giurarlo.
 
***
 
            “IBRIDI!” il grido quasi disumano di Clio mi fa svegliare di soprassalto.
Scatto in piedi, mi metto in posizione di difesa e mi guardo attorno nel buio pesto. Il fuoco è spento eppure una luce soffusa rischiara la notte: sono occhi, gialli, luminosi, felini, enormi.
Ibridi, proprio come ha detto Clio. Adesso sono immobili e ci scrutano, aspettando il nostro passo falso.
Sono animali enormi, o meglio, sono l’unione di diversi animali: il corpo è quello possente ed elegante di un grande leone, ma il muso attorniato da criniera è quello di un gorilla, gli occhi sono proprio come quelli dei gatti. Adesso ci stanno ringhiando contro, ma non sembrano intenzionati a muoversi.
Ho paura. Decisamente questi ibridi sono molto peggio dei Favoriti.
            “State attenti” sibila Royce “Clio…”.
Lei prende l’arco ed incocca una freccia nel massimo silenzio; ma è proprio mentre sta per scoccarla che uno degli ibridi salta con un ruggito, atterrando Annabel e iniziando a divorarla. Le sua urla mi trapanano le orecchie e poi il cervello e so che, come gli occhi di quei Tributi, nemmeno queste spariranno mai dai miei ricordi, anzi mi terranno sveglia assieme agli incubi e mi perseguiteranno fino alla fine dei miei giorni.
Le sue urla strazianti sembrano dare via agli altri ibridi che si apprestano ad avanzare verso di noi, con fare piuttosto minaccioso.
Royce mi afferra per un braccio, tirandomi indietro e parandosi proprio tra me e l’ibrido che mi sta puntando. Perché cerca di salvarmi se il suo solo scopo sarà uccidermi più avanti? Per questo lo affianco, infischiandomene dei suoi ‘ordini’.
Siamo nel caos: le frecce di Clio sembrano non scalfirli nemmeno e Dux piange mentre si difende. Credo sia per la morte di Annabel e non posso non provare una cerca pena per lui. Mi dispiace quasi. Ma dobbiamo andarcene da qui o questa radura diventerà la nostra tomba.
Un ibrido si prepara a saltare su me e Royce, ma sono rapida a trafiggerlo con la mia lancia, immergendola fino in fondo nelle sue carni; guaisce mentre io sento la sua spina dorsale spezzarsi sotto la spinta della mia arma.
Estraggo la lancia dal suo corpo ormai senza vita prima che si accasci a terra e mi metto a correre, presto seguita dai tre Favoriti rimasti.
Gli ibridi ancora vivi – non devono essere più di un paio – ci soni immediatamente alle calcagna, se non facciamo subito qualcosa ci divoreranno in un istante.
Dux in quel momento inciampa e cade. Gli ibridi gli sono addosso, cominciano a divorarlo con le loro fauci fameliche, senza più curarsi di noi. Dux grida, piange, urla il nome di Annabel svariate volte e il suono straziante della sua morte ci accompagna nella corsa fino a che tutto non torna quieto e tranquillo e la notte è di nuovo uguale a se stessa. Il cannone spara due colpi poi i volti di Annabel e Dux appaiono in cielo dopo lo stemma di Panem.
È questo il mio momento. Devo troncare ora ogni mio rapporto con i Favoriti rimasti e devo andare a cercare James.
            “Volevate davvero continuare ad usarmi e poi uccidermi eh?!” li attacco duramente, la rabbia ha il completo possesso di me “Non ve lo permetterò mai!”.
Si scambiano uno sguardo divertito, cosa che trovo piuttosto strana considerando ciò che è appena accaduto, poi alzano le armi e mi si avvicinano con aria minacciosa.
            “Non mi avrete mai” sibilo, indietreggiando.
Clio mi lancia una freccia, che evito per un pelo e Royce prepara uno dei suoi letali coltelli: “Avremmo dovuto ucciderla subito, Clio, avevi ragione” dice.
            “Non mi sarei mai dovuta fidare” dico ancora.
            “Senza di noi saresti già morta da un pezzo, stupida!” grida Clio scoccando una seconda freccia proprio nell’istante in cui Royce lancia il suo coltello.
Riesco ad evitare la freccia abbassandomi, ma il coltello mi si conficca dolorosamente nel fianco sinistro. Con un gemito di dolore lo estraggo dalla ferita e lo rilancio a casaccio contro Royce, prendendolo di strisco ad una spalla. Approfittando del fatto che Clio si è voltata un attimo verso di lui, mi volto e scappo via, pensando solo a mettere quanta più distanza posso tra noi.
Il dolore è quasi insopportabile, ma devo scappare da loro, scappare e correre, come fa il tempo. L’alba di domani sarà la più dura e terribile.

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Capitolo 21
*** Finnick Odair: quinta notte ***


FINNICK ODAIR. CAPITOL CITY: QUINTA NOTTE.
Bussano, ma io sono troppo stanco per alzarmi, andare ad aprire e vedere chi è.
Insistono. Perché non possono capire che sono stanco, che non dormo da quattro notti e che non ho nessuna voglia di andare ad aprire?
Mi rigiro sotto le coperte e mi premo il cuscino sulle orecchie. Dormire. Voglio solo dormire qualche ora. È un crimine così enorme? Se non dormo nemmeno un po’ come farò a svolgere al meglio il mio compito di Mentore?
            “Finn” questa è la voce di Eve.
È così bella da sembrare quasi un sogno. Ma io non voglio alzarmi, nemmeno lei lo capisce? La schiena mi duole ancora e sono così stanco…
Mi dà uno schiaffetto su una guancia, costringendomi ad aprire gli occhi, i miei bellissimi occhi verdemare.
            “Finnick, è piuttosto urgente” sillaba, prendendomi il viso tra le mani, sembra spaventata “Il Presidente Snow… ti vuole parlare. Adesso”.
Sgrano gli occhi e mi metto seduto: “Perché?” domando, improvvisamente sveglissimo.
È terribile la notizia che Eve mi ha appena comunicato. Cosa vorrà Snow a quest’ora della notte? Mi alzo e mi comincio a vestire in tutta fretta, indossando niente di più che una camicia bianca e un paio di cadenti pantaloni neri. Quando per caso vedo il mio riflesso nello specchio mi rendo conto di somigliare ad un barbone. La mia bellezza non è scomparsa, ma è spenta e scialba. Dopotutto che senso ha farsi bello per essere minacciato da Snow?
Eve mi guarda con dolore mentre mi vesto, ha paura per me e so anche il motivo. Vorrei rassicurarla ma credo che farei ancora peggio di ora.
            “Andrà tutto bene, Eve, ti prego di non guardarmi così” dico, guardandola dallo specchio.
            “Non andrà bene, Finnick, tu lo sai meglio di me! Se solo tu fossi un altro le cose sarebbero diverse ma…!” comincia nervosa, gesticolando con le mani.
Scatto, posandole un dito sulle labbra per farlo tacere: “Sssh, Eve, andrà bene” sussurro, cercando di sembrare convincente.
I suoi occhi scurissimi vacillano, pieni di lacrime che non vogliono scendere, poi annuisce.
            “Ti accompagno e ti aspetto fuori, però” afferma.
            “Non voglio” dico duramente.
            “Non dipende certo da te, Finnick! È una mia decisione. Sei come un figlio per me, non ti lascio là da solo”.
Annuisco, cedendo. Eve è una persona migliore di ciò che credono tutti quanti giù al Distretto 4. Dopotutto ha una certa fama da mantenere, sia nella Capitale sia nel nostro Distretto. Mi aveva proposto qualcosa di pericolosissimo per la sua vita un paio di anni fa. Solo per salvarmi.
            “Dirò al Presidente Snow che ti voglio tutto per me, verrai a vivere a casa mia e almeno non dovrai… faranno dei controlli, è chiaro, ma io ti voglio bene, sono disposta a sopportare tutto questo se servirà a migliorare la tua vita” mi aveva detto.
Ma io come avrei potuto accettare di condannare per sempre la sua vita a causa mia? Adesso, forse, se mi riproponesse qualcosa di simile accetterei. Per Annie, perché ogni sospetto sulla sua figura cessi e cada definitivamente. Ma non credo proprio che vorrà ripropormi qualcosa di così pericoloso anche se, trattandosi di Eve, non è mai detta l’ultima parola.
            “Finnick, non dimenticare ciò che ti dissi due anni fa, perché le cose per me non sono cambiate” sussurra, come se mi avesse letto nel pensiero. Mi coglie completamente di sorpresa.
E mi rendo conto che in realtà non posso accettare nemmeno questa volta. Distruggerei anche la sua vita.
            “Non lo dimentico, Eve, credo che mai lo dimenticherò, ma nemmeno accetterò mai questa tua offerta” rispondo deciso “Non ho intenzione di metterti più in pericolo di quanto tu già non sia a causa mia” continuo “Andiamo, adesso, al Presidente Snow non piace attendere”.
Eve mi stringe una mano e annuisce, cercando di mostrarsi forte e salda anche se, in questo momento, vorrebbe mettersi a piangere e gridare.
Ci incamminiamo, scortati da due pacificatori, che ci accompagnano fino alla dimora del Presidente Snow. Ci fanno entrare nell’atrio, lussuoso ed elegante, con una scalinata di marmo che troneggia su tutto quanto l’ambiente. Dobbiamo aspettare qui per qualche interminabile minuto.
Eve è nervosissima, mi cammina davanti agitata, talvolta dice parole che non riesco a comprendere. Non capisce che così mi sta mettendo ancora più ansia addosso? Purtroppo non posso affatto biasimarla.
Poi ecco un pacificatore venirci incontro: “Signor Odair, il Presidente l’aspetta” annuncia “Signorina Lullaby, lei deve aspettare fuori, vuole qualcosa da bere magari?”.
Eve mi guarda ed io le sorrido, così annuisce.
            “Bene, allora mi segua. Signor Odair, lei può entrare, la prima porta davanti a lei dopo la scalinata” dice ancora il pacificatore.
Attendo fino a che loro non spariscono dalla mia vista e allora mi appresto a salire la scalinata e dirigermi dove mi ha detto il pacificatore. Prendo un profondo respiro, apro la porta davanti a me ed entro.
Il Presidente Snow è seduto su una poltrona di pelle nera dall’ampio schienale. I suoi capelli sono vaporosi come la neve di cui porta il nome e bianchi, come la rosa che si è appuntato sulla giacca scura. In realtà ci sono rose per tutta la stanza, messe a bagno a mazzi in eccentrici vasi di cristallo. Quanti segreti di quest’uomo sono nella mia testa! Se solo li rivelassi a qualcuno le cose a Capitol City cambierebbero radicalmente. Ma non posso farlo, ho ancora troppo da perdere.
Mi avvicino alla sua scrivania e attendo. Così, in silenzio, sembra quasi un innocuo anziano signore con la fissa per le rose.
Coriolanus Snow non è nulla del genere.
Coriolanus Snow è il demonio.
            “E così… il suo nome è Annie, dico bene?” la sua voce è lenta e pacata, quasi amichevole, ma so per esperienza che adesso arriverà la minaccia, la richiesta folle, l’ordine inamovibile.
Sto tremando anche se cerco di non darlo a vedere. Devo rimanere saldo, però. Per Annie. Almeno per lei se non per me stesso.
            “Che ragazzina insignificante, davvero ti sei innamorato di lei Finnick? È una cosa così tenera! Peccato che a me le cose tenere non piacciano” continua e il suo tono si fa improvvisamente duro mentre i suoi piccoli occhi scuri si posano su di me “Ecco cosa farai, Finnick: aspetterai che i giochi si concludano e, se la ragazzina dovesse sopravvivere, la lascerai per sempre e tornerai qui a pagare per il tuo comportamento… sconsiderato. Hai capito bene?”.
            “E se dovessi rifiutarmi?” mi azzardo a domandare, con un certo tono di sfida.
            “La vedrai morire” dice, i suoi occhi si stringono a due minuscole fessure.
Sussulto e capisco di non avere alcuna via di scampo. La ucciderà se non farò alla lettera ciò che mi ordina. La ucciderà senza alcuna pietà come ha fatto con tantissime altre persone in passato.
Finnick, non puoi disobbedire.
            “In… in che modo dovrò pagare?” domando, in tono dimesso.
L’imprevedibilità del Presidente Snow non è mai da sottovalutare.
            “Oh, io credo che tu sappia come” mi risponde, un ghigno maligno di orna il volto.
Abbasso lo sguardo, trattengo la rabbia: “Sì” mormoro, con la voce strozzata.
Mi volto ed esco dallo studio, con le spalle curve ed una voglia dirompente di abbandonarmi alla disperazione che mi attanaglia la bocca dello stomaco. Senza aspettare Eve torno all’appartamento assegnato al Distretto 4, mi dirigo nella mia stanza, nel mio bagno. Mi chino sulla vasca e vomito persino la mia anima, mischiando lacrime a dolore e a disgusto.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
Ciao a tutti! Ecco, siccome ritengo questo un capitolo di ‘passaggio’ ho pensato di scrivere qui i ringraziamenti che mi sento di fare. Prima di tutto ai miei recensori ‘fissi’:
Coral 97
Annie98
TayuyaRebirth
peace_in_the_shadows
Poi le persone che hanno inserito la storia nelle seguite (vi amo)
Carol_Bob
Chiara_Pappy
CinzyaHale89
GossipGirl88
Isabelleeeekirya_hopeMadameoisellepeace_in_the_shadowsQueen_BSonicastellina4ever
E ancora chi l’ha messa tra le preferite:
Annie98
BENNYloveEFP
heresomeberries
Isabelleeee
Quadrifoglio27
Schels
sereHG
TayuyaRebirth
WildTeenSpirit_
Infine chi l’ha inserita nelle ricordate:
Allice_rosalie_blak
Lyls
QueenNiffler91
OK, ci tenevo molto a ringraziare tutti voi.
Grazie mille :3
 
-Sofi
 

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Capitolo 22
*** Annie Cresta: solitudine ***


ANNIE CRESTA. ARENA: SOLITUDINE.
Piove. È buio. Sono ferita. I Favoriti potrebbero essere ovunque. Non ho idea di dove possa essere James invece. Piove. E sono ferita. Ok, Annie, adesso basta. Trova un rifugio e sistema le tue ferite, poi pensa a cercare James.
Il dolore delle ferite è acuto e pulsante e per fortuna ho estratto il coltello. Adesso rimpiango di averlo rilanciato addosso a Royce, se non l’avessi fatto ora avrei un’arma in più, anche se non saprei affatto come usarlo.
Non devo già darmi per vinta, adesso piove, fa freddo, io sono stanca e dolorante. È ovvio che tutto sembra brutto.
Mentre arranco con una mano stringo la lancia, con l’altra tengo premuta la ferita sul fianco, che sanguina, pulsa e brucia.
Devo dirigermi verso il lago, almeno per capire davvero dove mi trovo e decidere il da farsi. Dovrò lavare le mie ferite e poi cercare un rifugio come si deve. Voglio sopravvivere e sono più che decisa a farlo. Per Finnick soprattutto, per tutto ciò che sta facendo per me.
Ci mancava solo la pioggia battente per rendere questa nottata ancora peggiore. Se non altro adesso il livello dell’acqua del lago si alzerà. Meglio per me. Io so nuotare, potrei sempre salvarmi in caso di allagamento. Ma ciò che urge è sopravvivere adesso e soprattutto non farsi ammazzare dai Favoriti rimasti che, a partire da ora, mi daranno la caccia in maniera sempre più agguerrita fino a che il mio sangue non bagnerà loro le mani.
Poi all’improvviso mi trovo immersa nell’acqua fino alle ginocchia. Come è possibile che il livello del lago si sia già alzato tanto? Devo tornare indietro, qui l’acqua è troppo alta e non riuscirò a lavarmi le ferite come si deve.
Questa pioggia mi impedisce persino di vedere bene davanti a me. Mi scosto i capelli fradici dal viso, raccogliendoli su una spalla, stringo i denti, ricaccio indietro lacrime e dolore, quindi tento a fatica di uscire dal lago.
Mi serve un rifugio su un’altura, dove l’acqua non possa raggiungere, o almeno non subito. Affondo nel fango fino alle caviglie ed arranco lontano dall’acqua troppo alta.
Finnick, ti prego, fa qualcosa, mandami un aiuto, un dono, un segno. Sono stremata, frustrata, persino un po’ depressa, per non contare il dolore che mi attanaglia.
Quando riesco a raggiungere quella che è la nuova riva del lago mi lavo le ferite, cercando di mandar via meglio che posso il fango e lo sporco accumulato dalla pioggia. Adesso dovrei applicare la pomata che conservo da una settimana, ma non posso certo farlo qui, sotto la pioggia battente.
Devo salire verso le montagne e trovare una fessura nella roccia dentro la quale accendere un fuoco, asciugarmi, medicarmi ed infine riposarmi un po’. Questa notte sembra infinita, grava sulle mie spalle come il peggiore dei macigni, solo l’alba potrebbe risollevare il mio umore adesso.
Cammino ancora, ma non so per quanto, e continuo ad affondare nel fango e nelle pozzanghere fin quasi alle ginocchia. La pioggia sembra davvero non dover smettere mai. Continua a cadere, sempre più forte, sempre più fitta, impedendomi persino di vedere dove sto andando. Adesso essere con James mi aiuterebbe, perché ci proteggeremmo a vicenda.
Ma lui non è qui, non sa nemmeno che ho lasciato i due Favoriti, ma sicuramente è a conoscenza della tremenda morte di Dux ed Annabel.
Ora che ci penso, questa pioggia mi fa tornare in mente il mio Distretto. Non piove spesso da noi, ma quando accade sono dei veri e propri diluvi. La pioggia nel Distretto 4 è qualcosa di meraviglioso e il mare s’ingrossa tanto che pare debba inghiottirci tutti. Tuttavia non è come questa, non è mai così carica di odio e rabbia.
Ho fame, ma non posso mangiare finché non trovo un rifugio asciutto. Mi passo una mano sul viso, stringo la lancia e continuo a camminare.
Come si staranno divertendo gli Strateghi!
Nessuno quanto loro è capace di gioire delle disgrazie altrui. Li odio. Perché sarà sicuramente un’idea loro questa pioggia infernale.
Poi lo vedo. È assolutamente il rifugio perfetto. Una fenditura nella roccia del basso monte che ho davanti agli occhi, facile da raggiungere, ma decisamente difficile da trovare. Ora non mi resta che sperare che sia abbastanza profonda da potersi nascondere dentro.
Dopo aver fissato la lancia allo zaino mi arrampico per il breve tratto di parete rocciosa, salendo lentamente, posando mani e piedi sulla parete rocciosa quasi con cura maniacale. Tutto è più scivoloso con l’enorme quantità d’acqua che è scesa e sta scendendo.
Finalmente poi riesco ad entrare nella fenditura, che scopro essere piuttosto profonda. Bene. Sarò ulteriormente nascosta da occhi indiscreti.
Mi libero di lancia e zaino e poi mi strizzo abiti e capelli per quello che posso. Un fuoco, mi serve un fuoco o non mi asciugherò mai davvero.
Trovo qualche rametto ancora asciutto, quindi li accatasto da una parte e li faccio ardere con l’aiuto dei fiammiferi che mi sono rimasti nello zaino. Mi tolgo la giacca, la maglia e i pantaloni, poi li stendo accanto al fuoco perché si asciughino e nel frattempo scivolo all’interno dell’impermeabile. Il mio stomaco brontola così decido di mangiare una mela e un po’ di carne essiccata, accompagnando il tutto con l’acqua.
Una volta a pancia piena mi occupo delle mie ferite, spalmando abbondantemente su di essere la pomata di Finnick. Il sollievo arriva quasi subito, placando il bruciore che mi ha accompagnata per tutta la mia fuga.
Sospiro. Fuori piove ancora a dirotto. Ed io voglio Finnick, un suo abbraccio, il suo conforto. Ma io sono qui e lui è lontano, a Capitol City.
Ho freddo, ma i miei vestiti sono ancora troppo zeppi d’acqua perché io possa metterli e dunque indossarli non mi gioverebbe affatto. Mi avvicino al fuoco e mi massaggio le braccia attraverso l’impermeabile. Potrei mettermi a piangere dalla rabbia e dalla frustrazione: mi sono fatta usare dai Favoriti, senza sospettarlo minimamente. Sono stata una stupida. Finnick mi ha faticosamente mandato tutti quei doni che io ho permesso che quegli approfittatori usassero. Sono felice che Annabel e Dux siano morti nelle più atroci torture. Adesso desidero che anche Royce e Clio facciamo la stessa fine. Li ucciderei con le mie stesse mani se sapessi farlo.
Mi servirebbe un bel bagno, ora. L’acqua delle pozzanghere e il fango mi hanno lasciato addosso un senso di appesantimento e sporco. Domani mattina, se il diluvio si sarà placato, andrò giù al lago a lavarmi; domani, dopo aver dormito un po’; domani, quando le mie ferite andranno a posto. Domani andrò anche alla ricerca di James.
Mi accoccolo su me stessa, stesa sul duro pavimento roccioso e cerco di dormire. I miei sensi devono tuttavia rimanere vigili: ho lasciato il fuoco acceso e i Favoriti potrebbero essere davvero ovunque. E se mi stessero cercando io dovrei essere pronta a scattare e fuggire.
Fuori, la pioggia infuria, colpendo il terreno senza alcuna pietà, con la sua forza bruta. Mi fa sentire meno sola il suo scrosciare, mi fa capire che non tutto sta dormendo là fuori.
Talvolta mi giungono alle orecchie i terribili ringhi degli ibridi che perlustrano il proprio territorio in cerca di qualche preda. Spero non incontrino James, perché io ho bisogno di lui.
Ogni volta che tento di assopirmi gli occhi, gli sguardi dei Tributi che ho visto morire mi perseguitano, impedendomi di dormire. Mi giro e mi rigiro, mi siedo a guardare il fuoco, cerco di calmarmi, ma non ci riesco. E nemmeno riesco a dormire.
Mi domando, allora: ci riuscirò mai di nuovo?  



BACHECA DELL'AUTRICE:
Ehilà! E' vero, ho aggiornato abbastanza presto ma... purtroppo sarò così impegnata con la scuola a partire dalla fine della settimana e per tutta la prossima che NON SO DAVVERO quando ci riuscirò di nuovo quindi... spero il capitolo vi piaccia, adesso ce ne saranno due o tre un po' statici, di passaggio, ma poi riprenderà l'azione.
Grazie a chi ha messo la storia nelle preferite, nelle seguite e nelle ricordate.
E se state leggendo questo grazie per aver letto il capitolo e -magari- per aver recensito :3

-Sofi

 
 
 
 
 
 

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Capitolo 23
*** Annie Cresta: James ***


ANNIE CRESTA. ARENA: JAMES
Sono i passi a svegliarmi, passi leggeri ma non così silenziosi. Il panico mi investe immediatamente e le mie dita si stringono quasi meccanicamente attorno alla lancia. Attendo che accada qualcos’altro, ma nulla. Solo qualche passo ogni tanto. Non so cacciare, non l’ho mai fatto, quindi non so nemmeno determinare a chi possano appartenere questi passi: uomo o animale?
Stringo forte la lancia, prendo un respiro. Spalanco gli occhi e scatto in piedi, vedendo finalmente chi sta camminando per la grotta: non è un Favorito, non  è un ibrido.
James! Mi ha trovata!
Lascio cadere a terra la lancia e gli getto le braccia al collo, scoppiando in lacrime di gioia. Non sono più sola, finalmente. Lui è qui per me, lui mi proteggerà. Abbiamo una probabilità in più di sopravvivere.
James ricambia l’abbraccio, ma lo sento gemere debolmente di dolore, quindi lo lascio e mi concedo un attimo per osservarlo bene. È conciato piuttosto male, con tagli e abrasioni sul viso, con i vestiti sporchi e laceri in più punti. Ma ecco che poi vedo quella ferita grave che lo ha fatto gemere poco fa: profonda, sanguinante, gli percorre quasi l’intero braccio destro, decorandolo poi con rivoletti di sangue che scorrono ovunque.
È proprio brutta.
            “James…” mormoro.
            “Ciao, Annie, è bello vederti” risponde con un sorriso che non potrebbe non essere sincero.
            “James, cosa ti è successo?” domando, l’ansia si sta impadronendo di me. Se quella ferita dovesse peggiorare lui potrebbe anche… no, non voglio pensarci.
            “Sono incappato nei due Favoriti, sono intenzionati più che mai ad ucciderci e con me ci sono andati molto vicini, ma come vedi sono riuscito a scappare” racconta “È appena l’alba, fuori ha smesso di piovere proprio ora”.
            “Meritano di morire nelle più atroci torture” sibilo.
E questa? Chi ha appena parlato? No, non può essere stata davvero Annie Cresta, la dolce, fragile, tenace Annie Cresta, la ragazza di Finnick Odair, quella con i troppo grandi occhi color del mare. No, queste parole non possono davvero essere uscite dalla mia bocca. Chi sono diventata? L’arena in cosa mi ha trasformata?
            “Perché? Non sono forse come noi? Non stanno cercando anche loro di tornare a casa? Li ho osservati a lungo: adesso che sono rimasti soli sembrano pulcini bagnati, riescono unicamente ad aggrapparsi alla propria brutalità per andare avanti, per arrancare. Provo pietà per loro, non più odio. In realtà non hanno nulla. Sono vuoti. Ma non per questo meritano di morire più di quanto non lo meritiamo io o te. Sono bambini, proprio come lo siamo noi”.
Le parole di James mi mettono davanti a ciò che sono realmente gli Hunger Games. Mi fa capire che non sono tremendi solo per noi due o solo per i Distretti dal 3 al 12. no, gli Hunger Games sono morte e paura anche per i due Favoriti dell’1. anche Royce e Clio sono spaesati e terrorizzati.
            “Prendi tutte le tue cose: andiamo al lago” dico con tono autoritario “Io ho bisogno di un bagno e tu di lavare quelle ferite, soprattutto se non vuoi perdere quel braccio. Dopodiché penseremo a sopravvivere ancora qualche giorno”.
Annuisce: “Va bene”.
Mi isso lo zaino sulle spalle, prendo la lancia e gli abiti ormai asciutti, quindi ci mettiamo in cammino. Il fianco mi duole terribilmente mentre scendiamo dal rifugio per raggiungere la riva del lago. La pelle mi tira e quindi capisco che la ferita si sta rimarginando come deve anche se il dolore sarà persistente ancora per molto.
Passo dopo passo ci accorgiamo che il livello dell’acqua è salito ancora e le dimensioni del lago si sono espanse. Se dovesse continuare a piovere non so cosa potrebbe succedere.
Nonostante ciò questo paesaggio non potrebbe essere più bello di come è ora, con i raggi del sole nascente che colpiscono obliquamente le acque del lago facendole brillare come diamanti. È davvero bellissimo. Gli uccellini e le ghiandaie imitatrici cantano, trasportando la melodia tutt’attorno a noi e talvolta se ne vede uno prendere il volo verso il cielo terso.
Appoggio le mie cose sulla riva del lago e poi guardo James.
            “Io… avrei bisogno di un bagno… se tu potessi lavare le tue ferite dietro quelle piante…” dico, indicando un punto del lago nascosto da alcuni alberi.
Annuisce, divertito: “Sì, certo, Annie” dice, incamminandosi “Vieni tu da me quando hai fatto”. +        “Grazie!” gli dico.
Aspetto che sia sparito dietro la vegetazione per spogliarmi ed immergermi completamente nelle acqua ancora gelide del lago. In questo momento non mi importa che tutta Panem – Finnick!!!!!! – mi stia guardando adesso, perché io ho davvero bisogno di un bagno dopo tutta l’acqua che ho preso ieri sera. Mi strofino con forza non avendo a mia disposizione del sapone, dedicando particolare attenzione a braccia, gambe e capelli. Quando esco mi avvolgo nell’impermeabile e aspetto di essere almeno un po’ asciutta prima di rientrare nei miei vestiti. Mi strizzo bene i capelli, ma so che impiegheranno un po’ ad asciugarsi bene, quindi ne approfitto per raggiungere James.
Si è arrotolato i pantaloni fino alle ginocchia per non bagnarli ed è rimasto a torso nudo per lavare al meglio la ferita sul braccio. Quando mi vede esce dall’acqua e mi raggiunge. Adesso che posso vederla bene questa ferita mi sembra ancora più brutta. Certamente non posso smettere di sperare che la pomata miracolosa di Finnick possa risanare anche il suo braccio, come sta facendo con il mio fianco. Appena si è asciugato lo medico come ho fatto più volte con me stessa, rendendomi conto che la pomata sta per finire: spero che non ci serva più di qui alla fine dei giochi.
            “Adesso dovrebbe andare meglio” gli dico.
            “Grazie, Annie” mi risponde.
            “Torniamo al rifugio?” domando.
            “Hai qualcosa da mangiare, prima? è da ieri mattina che non metto nulla sotto ai denti!” chiede.
Apro il mio zaino e mi rendo conto che mi è rimasta poca carne secca e qualche galletta confezionata. Non sopravvivremo ancora per molto con solo questo cibo. Nonostante ciò prendo la carne secca e gliela porgo, poi apro anche le gallette e per cominciare gliene passo due. Mi ringrazia e comincia a mangiare, io invece mordicchio una galletta.
            “Ne vuoi?” mi domanda, porgendomi la carne.
Scuoto la testa: “No, grazie, serve più a te. Magia” gli rispondo.
            “Grazie” mi dice e poi continua a mangiare.
Io devo trovare un modo per procurarci altro cibo altrimenti moriremo di fame. Mi guardo attorno, siamo in un bosco, ci saranno sicuramente degli animali! Già, ma io non so cacciare. Potremmo tornare verso la cornucopia e sperare che siano rimaste scorte di cibo, ma rischieremmo di incappare in Royce e Clio. Mi rimane quindi solo una speranza: Finnick e gli sponsor. Sono stata piuttosto brava, ultimamente: ho ucciso un ibrido tutta da sola, sono scappata dai Favoriti, mi sono medicata le ferite e l’ho fatto anche a James, ho trovato un rifugio. Se c’è un momento giusto per farmi avere un dono è proprio questo.
Guardo James che mangia, seduto in riva al lago. Il suo sguardo è lontano mentre mastica, segue le acque e viaggia fino alla linea dell’orizzonte. Anche se so quanto è affamato mangia lentamente, senza ingozzarsi con quel poco che ci è rimasto.
Poi il dono mi piomba tra le mani senza che nemmeno mi sia accorta del suo arrivo: due grosse pagnotte di pane appena sfornato – è ancora caldo ed emana un profumo squisito – e altra carne secca, il tutto accompagnato dall’ennesimo biglietto di Finnick.
Scusami, Annie, avrei dovuto
mandarteli prima, cura bene il
tuo fianco. Ce la farai.
Finnick
Ripongo il cibo nello zaino, ringraziando Finnick mentalmente e mi siedo accanto a James: questo potrebbe essere l’ultimo momento pacifico di questi terribili giochi.


BACHECA DELL'AUTRICE: ok, questo era l'ultimo capitolo già ricopiato al pc quindi adesso DAVVERO non ho idea di quando riuscirò a pubblicare il prossimo. Aiuto. Forse per Natale xD Beh, spero vi sia piaciuto, se siete arrivati a leggere fin quaggiù e spero che lascerete una piccola recensione dopo averlo fatto. Ringrazio ancora una volta chi ha messo la storia nelle preferite/seguite/ricordate e chi ogni volta si ferma a recensire. Grazie. Non ho molto altro da dire se non che questo capitolo non mi piace particolarmente ma spero piaccia a voi. E' ancora uno di quelli 'statici', ma vi giuro che presto arriverà l'azione e la pazzia. E soprattutto le parti strappalacrime.

-Sofi

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Capitolo 24
*** Annie Cresta: Amici ***


ANNIE CRESTA. ARENA: AMICI
Non ho mai avuto un vero amico al mio Distretto. Perché legarsi a qualcuno che potrebbe esserti strappato il giorno seguente? Mi sono sempre domandata questo.
Gli Hunger Games sono paura e odio e rabbia. Non potevo avere amici con questi sentimenti negativi che lottavano nel mio animo. Così non li ho avuti.
Conosco James da quando siamo piccolissimi, siamo andati a scuola insieme, spesso ci siamo trovati a fare gli stessi giochi. Ma non siamo mai stati amici.
Ora lo siamo però.
Lui mi protegge. Io lo proteggo. Ci proteggiamo a vicenda. E non è questo che fanno gli amici? Si proteggono. E cercano di farsi forza l’un l’altro.
Vorrei che non fossimo amici, però, sarebbe più facile. Diciamo che diventare amici proprio durante gli Hunger Games non si rivela mai una scelta vincente. Non sei vuoi tornare a casa vivo. Perché comunque, prima o poi, si verrà separati.
James adesso dorme, stretto al suo zaino, talvolta rabbrividisce per il freddo. Io siedo davanti al fuoco che abbiamo acceso ma non credo riuscirò a dormire stanotte. Nelle fiamme che danzano davanti a me continuo a vedere solo gli occhi di quei Tributi, continuo a sentire le grida di Annabel e poi quelle di Dux. Mi perseguiteranno per sempre, questi ricordi. Animeranno tutte le mie notti future. Mi terranno sveglia a tremare. Ma io avrò Finnick al mio fianco. Certo, sempre che riesca a farcela, sempre che i Favoriti non mi trovino, sempre che James non decida all’improvviso di uccidermi.
Mi rigiro la lancia tra le mani, la punta acuminata brilla quando una lama di luce la colpisce. Una lancia è diventata la mia migliore amica. Io, con un’arma sempre con me. Questa non è la Annie Cresta che è partita dal Distretto 4 quasi due settimane fa, questa non è la Annie Cresta che ha detto a tutti quanti di amare Finnick Odair.
Questa è Annie Cresta nuova, diversa, affatto migliore.
Scaglio l’arma lontano, va a sbattere contro il muro di roccia del rifugio e il rumore rimbomba per tutta quanta la grotta.
Fuori piove.
Ho capito quale sia il gioco degli Strateghi, o almeno credo. Stanno alzando il livello del lago. Notte dopo notte questa pioggia torrenziale fa crescere a dismisura il lago attorno al quale ruota tutta l’arena. Questo posto si sta trasformando lentamente in una piscina enorme. E allora perché questo senso d’ansia mi prende la bocca dello stomaco appena ci penso? Dovrei esserne felice. E allora perché non riesco ad esserlo?
Mi stringo nel giaccone e allungo le mani verso il fuoco perché il calore da esso emanato mi faccia smettere di tremare. Anche se la paura non se ne andrà mai del tutto. Rimarrà avvinghiata al mio cuore e al mio animo. Per sempre.
            “Annie, sei ancora sveglia?” il sussurro di James è l’unica cosa che mi fa passare momentaneamente il terrore.
Sapere di non essere sola è grandioso. Ma la gioia non durerà ancora a lungo. La paura vince. Sempre. La paura è troppo forte.
            “Non riesco a dormire, ho freddo. Ma tu dormi, James, ne hai bisogno” rispondo, cercando di sorridergli.
            “Tu allora ne hai più bisogno di me se è per questo” ribatte, mettendosi a sedere e guardandomi “Cosa ti turba?” domanda poi.
Mi stringo nelle spalle. Ho paura di dirgli la verità. Ma forse dovrei.
            “Sono terrorizzata” mormoro, lanciandogli un’occhiata penosa.
            “Finnick Odair aveva proprio ragione” risponde lui.
Di cosa sta parlando? Il mio corpo si tende, nervoso, al solo sentire quel nome.
            “Sì, dai, quando ha detto che i tuoi occhi sono i più belli di tutto il nostro Distretto” continua.
Sussulto. Cosa ha appena detto?
            “Sono occhi normali, i miei, i soliti occhi verdemare tipici del Distretto 4” rispondo freddamente, cercando di non lasciar trapelare alcuna emozione “Rimettiti a dormire, James”.
            “No se non ti metti a dormire anche tu” insiste.
            “Io non riesco a dormire, James, te l’ho già detto” ripeto.
            “Perché?” domanda di nuovo.
Adesso comincia ad irritarmi sul serio. Sono stanca e vorrei davvero farmi un bel sonno, ma proprio non ci riesco. Ho paura dei Favoriti e soprattutto di morire. Sono nervosa. Non può mettersi anche lui con le sue domande da amicone.
            “Gli occhi dei Tributi che ho visto morire” sussurro, sto per scoppiare di nuovo a piangere e non voglio, è davvero una sensazione bruttissima “Le urla dei due Favorirti sbranati dagli ibridi. Mi perseguitano ogni qualvolta io cerchi di addormentarmi”.
L’ho detto, l’ho ammesso. Ora tutta Panem sa. Anche Finnick Odair sa delle mie paura e allo stesso modo lo sanno gli Strateghi e il Presidente Snow. Questa però è la mia dolcezza mista a tenaci. Il mio punto di forza.
James mi sfiora una mano e i suoi occhi finiscono nei miei. Mi capisce, lo percepisco da questo tocco leggero, da questo sguardo carico di dolore.
            “Gli incubi rimarranno, basta che non ti facciano dimenticare chi sei davvero, Annie” dice.
            “Non lo dimenticherò. Non voglio perdere me stessa in questa arena” rispondo.
            “Piove ancora” dice allora lui, volgendo lo sguardo verso l’entrata della grotta.
            “Pioverà tutte le notte di qui alla fine, credo” preciso “Se continua così presto sarà tutto un’enorme piscina”.
            “Meglio per noi” risponde, con un sorriso.
            “Cosa si nasconde dentro quelle acque, James?” azzardo “Quali tremendi ibridi hanno gettato nel lago tumultuoso? Questa non è l’acqua del Distretto 4 in cui abbiamo imparato a nuotare. Avrei paura a tuffarmi là dentro e soprattutto vorrei non doverlo fare”.
James mi si avvicina e mi cinge le spalle con un braccio, quindi mi tira a sé. Un amico. Sì, lui è davvero mio amico.
Quando si stende di nuovo accanto al fuoco e si rimette a dormire io tiro fuori dallo zaino tutti i bigliettini che Finnick mi ha mandato assieme ai doni degli sponsor. E li leggo. Stringendo ancora la mano di James mi rintano negli unici ricordi gioiosi di questa arena. A questi mi sono aggrappata nei momenti peggiori, quando tutto quanto mi sembrava buio e terribile.
Mangia, Annie.
Ti amo.
Finnick
Uno dei miei preferiti, quando mi aveva mandato del cibo.
Quel Royce comincia
davvero ad innervosirmi,
quelle mani!
Ti amo.
Finnick
Inutile dire quanto questo mi avesse fatto ridere, ovviamente tra me e me. Manca poco, presto i giochi finiranno, siamo rimasti in così pochi. A breve gli Strateghi decideranno di farci scontrare e allora ci troveremo davvero a lottare per la vita e la morte.
Guardo James, gli stringo la mano. Siamo amici, ma dovrò ucciderti. Per tornare a casa. Per tornare da Finnick. Non lo farò, James, sicuramente non adesso, sicuramente non così, lo farò solo se costretta.
E allora anche i tuoi occhi si uniranno ai miei incubi.


BACHECA DELL'AUTRICE:
Ok, forse non è stata una gran mossa aggiornare il giorno della Vigilia di Natale ma... mi andava, quindi l'ho fatto lo stesso :3 Spero che questo capitolo vi piaccia anche se fa ancora parte di quelli statici e di passaggio che vengono prima di 'azione e pazzia' (so benissimo che aspettate quel pezzo lì con tutto il vostro cuore xD). Vi auguro un felicissimo Natale e vi ringrazio, come se sempre, per aver letto e - magari!!! - recensito :3
Un abbraccio a tutti quanti, tanti auguri <3

-Sofi

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Capitolo 25
*** Finnick Odair: Meglio morti che me ***


FINNICK ODAIR. CAPITOL CITY: MEGLIO MORTI CHE ME
Meglio essere morti che essere me. Meglio essere morti che essere schiavi di un potere corrotto. Meglio essere morti che chiamarsi Finnick Odair.
Mia madre mi ripeteva sempre che la mia bellezza mi avrebbe aiutato nella mia vita. Mi ha aiutato a diventare uno schiavo, un oggetto, ecco cosa ha fatto. Passo di mano in mano, di amante in amante.
Questa è vita?
Annie Cresta è stata la mia luce, ma adesso anche questa verrà spenta dalle brutalità degli Hunger Games.
In questo letto sono sommerso dai cuscini e sono stanco, spossato, affranto. Almeno lei era una donna. Mi giro su di un fianco e le ferite sulla schiena tirano, alcune devono anche essersi riaperte. Dannazione. Mi fa male tutto e non so nemmeno se riuscirò ad alzarmi oggi. Vorrei vomitare, mi aiuterebbe ad espellere il disgusto per me stesso che sto provando ora.
Meglio essere morti che odiarsi come mi odio io, meglio essere morti che essere me.
Allungo una mano verso la testiera del letto e quando la trovo mi ci aggrappo per mettermi a sedere. La testa mi gira terribilmente. Ma cosa diavolo mi hanno fatto?
Sento i conati di vomito prendermi lo stomaco, ma io posso avere più autocontrollo di così. Prendo un profondo respiro e chiudo gli occhi. Devo calmarmi, alzarmi, vestirmi e tornare a prendermi cura di Annie da lontano. Ha ritrovato James e lasciato i Favoriti – che come temevo la stavano solo usando per i loro scopi – ne sono proprio felice. Ora sono insieme, hanno un rifugio e sopravvivranno ancora un po’. Sono sollevato, adesso Annie ha una possibilità in più di vincere i giochi.
James me lo ha promesso, quando l’ho accompagnato all’hovercraft che lo ha condotto fino all’arena. Mi ha detto che l’avrebbe aiutata a vincere. Non so se siano ancora queste le sue intenzioni ma è proprio quello che spero.
I conati sono passati anche se, ne sono sicuro, prima che venga sera vomiterò di certo. È quello che mi capita quando sono particolarmente schifato da me stesso.
A fatica mi alzo dal letto, avvolgendomi il lenzuolo attorno alla cintola, quindi entro in bagno. La prima cosa che mi salta agli occhi e mi stupisce è la vasca, una enorme vasca nera che potrebbe contenere tranquillamente almeno tre persone. È un bagno elegante e straordinariamente sobrio per appartenere ad una cittadina di Capitol City.
Sopra al lavandino c’è un ampio specchio. Vedo il mio viso. Bello, meraviglioso, quasi etereo, come appartenesse al personaggio di un sogno finito troppo presto. Eccola qui, la bellezza che avrebbe dovuto aiutarmi, come diceva sempre mia madre. Ho i suoi occhi verdemare, grandi e brillanti, sembrano inghiottire tutto ciò su cui si posano; ho però i capelli di mio padre, color del bronzo, arruffati, sempre ribelli. Il mio volto ha tratti giustamente armoniosi che non mancano tuttavia della dovuta virilità, il mio sorriso poi è così seducente. Che dire allora del mio fisico, atletico, prestante, sembra scolpito nell’alabastro.
Mi odio.
Non merito di vivere. Non merito nemmeno di essere amato. Quando alzo di nuovo lo sguardo sul mio riflesso le lacrime solcano il mio viso. Cosa sono ora? Un bambino. Un angelo. O una vittima?
Perché mai ho deciso di sopravvivere agli Hunger Games, cinque anni fa? Perché mai non mi sono fatto uccidere? Ora sarei libero. Per la prima volta in tutta la mia vita.
Sento di nuovo i conati di vomito attanagliarmi lo stomaco. Ma non posso vomitare. Sono due giorni che non faccio altro se non vomitare e ho mangiato così poco. Non mangio proprio per non vomitare.
Prendendo un altro respiro torno in camera e mi rivesto velocemente. Non voglio passare un minuto di più in questa casa.
Passando dalla cucina per uscire lascio un biglietto sul tavolo – grazie per i tuoi segreti. Finnick Odair – accompagnandolo con tre zollette di zucchero bianchissimo. Mi infilo la quarta in bocca mentre esco.
Sono la persona più anonima della città, con i miei pantaloni scuri e la semplice camicia bianca, ma non passo mai inosservato. Tutti quanti mi conoscono bene qui. Cammino lentamente sulla strada che mi porterà fino all’appartamento del Distretto 4, dove Eve mi avrà aspettato sveglia tutta la notte, dove Marcus e Marzia staranno già seguendo gli Hunger Games.
Sospiro. Fosse per me prederei il primo treno per il mio Distretto e là rimarrei, persino per sempre. Ma non posso farlo, perché Annie non ce la farebbe senza il mio aiuto o, se anche dovesse farcela, il Presidente Snow si vendicherebbe poi su di lei. E se qualcuno dei due deve proprio soffrire, allora meglio che sia io.
Come attraverso la porta di ingresso Eve mi getta le braccia al collo e comincia a singhiozzare. Ricambio l’abbraccio e quasi di peso la trascino fino in salotto, chiudendomi la porta alle spalle, quindi la costringo a lasciarmi e a sedersi sul divano.
            “Dove sei stato?” mormora.
            “Non costringermi a dirtelo, Eve, lo sai benissimo” rispondo duramente, lanciandole uno sguardo bieco.
            “Finnick, devi smetterla!” sussurra “Ti prego! Avevi promesso ‘non durante gli Hunger Games’!”.
            “A volte alcune promesse proprio non possono essere mantenute, Eve” dico “Adesso, se vuoi scusarmi, mi vado a lavare e poi torno ad occuparmi di Annie”.
Eve non aggiunge altro, quindi entro nella mia stanza e chiudo la porta a chiave. Solo. Ho bisogno di stare solo adesso. Mi lascio cadere a peso morto sul mio letto e cero un’altra zolletta di zucchero nelle tasche dei pantaloni; quando la trovo la mangio, tenendola in bocca fino a che non si scioglie completamente. Zollette di zucchero, la mia vera passione. Eve dice sempre che mi verrà il diabete se non smetto di mangiarne una dietro l’altra. Cosa importa? Mangiare zollette di zucchero mi fa sentire libero anche se non lo sono.
Zollette di zucchero e segreti sono la vera essenza di Finnick Odair, chiunque potrebbe affermarlo senza problemi.
Avevo quattordici anni quando Eve estrasse il mio nome alla Mietitura della Sessantacinquesima Edizione degli Hunger Games. Quella Mietitura mi sembra così lontana. Quattordici anni e già una bellezza mozzafiato. Mai nessun Tributo, in tutta la storia degli Hunger Games, ha ricevuto tanti doni quanti ne ho avuti io, compreso quel tridente dorato che mi guarda, appeso al muro della mia casa nel Distretto 4.
Avevo tanta paura e tanta voglia di tornare dalla mia famiglia. Così ho ucciso in maniera a dir poco spietata, oh ero proprio come un dio, splendido e crudele, oh quel tridente dorato tra le mani mi faceva sentire come se il mondo intero fosse ai miei piedi, oh uccidere era diventato bello per me, un vanto. Così sono tornato. E tutto, tutto quanto è andato peggiorando.
A quattordici anni ero già innamorato di Annie e quell’anno, quando lei ne aveva dodici, temevo che il suo nome sbucasse fuori assieme al mio. Da quando poi sono diventato un Mentore ho tremato di più ad ogni Mietitura, temendo che quel nome prima o poi sarebbe scappato fuori dall’urna.
Annie Cresta.
Le parole che mi hanno salvato.
Sussulto quando mi accorgo che qualcuno sta bussando violentemente alla mia porta.
            “Che c’è?!” grido infuriato.
            “Finnick, ti conviene venire di là” è Marcus e la sua voce trema.
            “Voglio stare solo” sibilo.
            “Finnick. Siamo al gran finale”.
Senza nemmeno accorgermene sono davanti alla porta e l’ho aperta. Sto piangendo senza saperlo e Marcus, di fronte a me, ha gli occhi lucidi e le guance rigate dalle lacrime.
Il gran finale.
L’ultima battaglia di Annie Cresta.


BACHECA DELL'AUTRICE: ci siamo, lo avete capito anche voi vero? Dal prossimo capitolo sarà tutta azione-e-pazzia, e non avete idea di quanto io sia triste. Spero che il capitolo vi piaccia e che vi lasci quel senso di amarezza e disperazione che pervade Finnick in questo momento. Spero non mi odierete prossimamente e vi ringrazio per essere arrivati fin quaggiù a leggere. Amo sempre quando recensite, mi piacerebbe che più persone avessero il coraggio di farlo, perché i vostri consigli, le vostre critiche e i vostri complimenti sono per un momento importantissimo di crescita. Sempre e comunque. Mi auguro che queste mie parole vi spingano a recensire di più.
Ringrazio in ogni caso chi ha letto, chi ha recensito, chi ha messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate.
Grazie
Al prossimo capitolo

-Sofi

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Capitolo 26
*** Annie Cresta: Il gran finale ***


ANNIE CRESTA. ARENA: IL GRAN FINALE.
Ci siamo.
Come lo so? Il sole è calato improvvisamente e la pioggia ha ripreso a battere, ancora più violenta che nei giorni passati. Ma le ferite mie e di James sono ormai guarite così, armati e pronti, usciamo cautamente dal nostro rifugio.
La pioggia ci impedisce di vedere bene davanti a noi, quindi procediamo a tentoni, con le armi alzate, stando bene attenti a dove posiamo i piedi. Avanziamo, costeggiando il monte, quando all’improvviso guardo giù: l’acqua del lago si alza a vista d’occhio. Nonostante ciò è necessario scendere e andare a cercare Royce e Clio. Adesso siamo noi a dare la caccia a loro, adesso siamo noi a comportarci da Favoriti, pur non essendolo.
Siamo alla fine, tra poche ore solo uno di noi quattro rimarrà in vita, sarà il Vincitore e tornerà a casa. Ho speranze di essere io, ma questo vuol dire vedere James morto.
Tremo al solo pensarci.
Stringo la lancia e attivo i miei sensi, vorrei non essere costretta ad uccidere qualcuno, ma non si sa mai, è meglio essere pronti. Ci stiamo dirigendo verso il limitare del lago, sperando di stanare Royce e Clio, ma ho paura. James sembra tanto sicuro di sé, di dove stiamo andando e anche di ciò che stiamo facendo. Ma James è un guerriero vero, James sa combattere e credo abbia anche ucciso, sebbene non mi abbia mai detto nulla riguardo questo argomento.
Lui meriterebbe di vincere molto più di me, lui meriterebbe sponsor molto più di me, invece secondo quanto mi ha raccontato ha ricevuto solo un po’ di cibo scadente e qualche rimedio per la sue ferite. Spesso mi sento in colpa quando penso che dovrà essere sacrificato per permettere a me di tornare da Finnick e da mia madre.
Accelero il passo e mi avvicino a lui. Amici. È quello che siamo. Amico. È come lo ricorderò in eterno. Il mio salvatore.
            “Non devi sentirti in colpa, Annie, tu mi hai salvato” mi dice, come se mi avesse appena letto nel pensiero.
Non rispondo né lui aggiunge altro. Questo è proprio uno di quei momenti durante i quali non servono parole.
Royce e Clio. Che staranno facendo, soli, Royce e Clio? Si saranno accorti che siamo al gran finale, che questa notte non è affatto normale? Se è così ci staranno sicuramente cercando. E potrebbero essere ovunque, acquattati nel buio, potrebbero stare aspettando il momento migliore per attaccarci. Ho paura.
E Finnick avrà paura per me? Adesso è tutto nelle mie mani, adesso nessun aiuto esterno mi servirà per vincere, adesso nessun aiuto esterno è possibile.
La pioggia sempre più fitta continua a cadere, colpendoci e costringendoci ad acutizzare i nostri sensi più di quando già non stiamo facendo.
Ho freddo, ho i vestiti completamente zuppi d’acqua e i capelli fradici mi si sono appiccicati al viso. Con la mano libera li scosto perché non mi impediscano ancora di più la visuale di ciò che ho attorno. È così buio. Questo buio non c’è mai nel Distretto 4. il nostro buio non è mai stato così denso o così tanto infuriato.
Io e Finnick Odair, in realtà, ci conosciamo da quando siamo bambini, ma non credo che lui se lo ricordi. È proprio strano che questa memoria del mio passato approdi in un momento come questo. Era una giornata di sole, io avevo circa sette anni ed ero tanto attratta dall’acqua sebbene ancora non sapessi nuotare. Le acque dell’oceano brillavano, colpite trasversalmente dai raggi dorati del sole. Così mi ci sono avventurata, senza la sana paura che avrei dovuto provare. E, passo dopo passo, mi sono trovata in balia delle onde più impetuose. Ma io non sapevo nuotare. Ho cominciato a gridare, a dimenarmi e più mi agitavo più il mare mi trascinava giù con sé. Ho chiuso gli occhi e ho aspettato il freddo e la morte.
Ma poi ho visto lui: capelli color del bronzo, occhi verdemare, proprio come i miei, non più di nove anni. Nuotava come un delfino. Mi ha detto, con tutta calma ‘stai tranquilla, andrà tutto bene’, ed io ho rivisto il sole.
Quel bambino era Finnick Odair, non poteva essere nessun altro.
Dopo quel giorno mi sono messa d’impegno per imparare a nuotare bene come lui. E dopo anni di durissimo e sfiancante allenamento ci sono riuscita. Era il giorno della Mietitura per la Sessantacinquesima Edizione degli Hunger Games. Il mio nome era lì dentro una sola volta. Era il giorno in cui il nome di Finnick Odair sbucò dall’urna.
            “Annie…” il sussurro di James mi riporta a galla dai ricordi.
Mi volto verso di lui quasi totalmente nascosto a me dal buio e dalla pioggia battente.
            “Ho sentito uno strano rumore” mormora.
            “Ibridi?” gli chiedo.
            “Non lo so”.
Mi metto immediatamente sulla difensiva e tendo le orecchie sperando di riuscire a capire a cosa siano dovuti questi strani rumori di cui ha parlato James. Se potessi scegliere ora preferirei vedere i due Favoriti piuttosto che altri ibridi terribili come quelli con cui mi sono scontrata qualche giorno fa. Ho paura. Tremo. Perché sto tremando? Che senso ha tremare un attimo prima di un possibile attacco?
            “Tranquilla, Ann” sussurra James, avvicinandosi di un passo a me.
Deglutisco. Sì, tranquilla. Devo stare tranquilla. Non morirò. Non oggi almeno.
            “Bene, bene, bene” la voce di Royce ci esplode nelle orecchie come se fosse amplificata per tutto quanto il bosco; mi irrigidisco immediatamente e cerco di capire dove sia “Chi abbiamo qui? I nostri due amici dal Distretto 4! Annie, mia cara Annie, hai trovato il tuo ragazzo, finalmente?”.
            “Non è il mio ragazzo!” esclamo.
            “Oh, giusto. Tu ami Finnick Odair. Sai almeno tutte le cose che va a fare in giro? Sai almeno che chiunque lo vuole può averlo? Ha detto di amarti, non è così? Io credo mentisse, sai?” continua, condendo il suo discorso con una risata sguaiata.
            “TACI!” grido.
Se adesso sapessi dove è nascosto lo ammazzerei. A costo di farmi uccidere a mia volta. Lo odio. Non merita di vivere nemmeno un istante di più. Voglio che soffra, voglio bearmi del suo sangue che sgorga, voglio guardarlo negli occhi mentre la sua vita si spegne, voglio sentire il suo ultimo sospiro angoscioso.
            “Fatti vedere, Royce!” ringhio “O hai paura di essere di nuovo battuto da me? Come va la tua spalla, a proposito?”.
Voglio farlo infuriare adesso, la vendetta sarà più dolce. Mi hanno fatto questo gli Hunger Games? Mi hanno resa un mostro, una persona crudele e vendicativa? Quasi non mi riconosco, ma poco importa. Royce merita di soffrire. Le parole che James mi ha rivolto su lui e Clio non sono altro che un lontanissimo ricordo in questo momento; perché sento solo rabbia e dolore, paura, voglia di vendetta e di vedere il Favorito dell’1 morire. Lentamente. Così che io possa gioire delle sue sofferenze come lui ha gioito delle mie.
Una freccia mi vibra a fianco e per poco non mi perfora il cuore, ma per fortuna riesco ad abbassarmi in tempo per schivarla. Ecco Clio, immaginavo che anche lei fosse acquattata da qualche parte nella vegetazione. Il corpo di James si flette verso il punto da cui è giunta la freccia, è tanto repentino il suo movimento da non permettermi di vedere nemmeno il coltello che ha lanciato, ma sento chiaramente il cannone sparare.
Ora che anche Clio è morta rimaniamo solo in tre.
Piove sempre più forte – gli Strateghi si stanno proprio divertendo oggi – e il fragore dell’acqua che cresce e si muove quasi mi perfora le orecchie. Tutto quanto attorno a me sembra ugualmente immobile, buio e tetro.
Ma vedo bene quando Royce sbuca dalla vegetazione con un grido e si getta su James.


BACHECA DELL'AUTRICE: Ci siamo, l'ha detto anche Annie xD Immagino che sappiate tutti cosa accadrà nel prossimo capitolo, no? Beh, mi piange il cuore al solo pensare che fra un po' questa storia sarà finita. Ma non temete, rimane ancora qualche capitolo da leggere (speriamo di non essere odiata a morte... forse dal prossimo lo sarò). Bene, come al solito voglio ringraziare i miei recensori 'fissi', che non si perdono un capitolo e mi fanno sempre sapere ciò che pensano di questa storia, ma anche chi l'ha messa tra le seguite/preferite/ricordate, il vostro sostegno è importante per me. Ringrazio anche chi legge sempre ma magari si sente in imbarazzo a recensire: non sentitevi così, se avete voglia di dirmi qualcosa riguardo alla storia - qualsiasi cosa - fatelo, per me è sempre un momento fondamentale di crescita. Spero il capitolo vi sia piaciuto.
Aggiornerò presto, o almeno è ciò che mi auguro.

-Sofi

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Capitolo 27
*** Annie Cresta: Io non sono pazza ***


ANNIE CRESTA. ARENA: IO NON SONO PAZZA
Royce mi spinge violentemente a terra e si avventa su James. Cadendo sbatto la schiena contro il suolo e rimango qualche istante senza fiato per il dolore. I due cominciano a combattere furiosamente, con le mani, con le armi, con i piedi, con tutto ciò che trovano per colpirsi e ferirsi a vicenda.
Mi rialzo a fatica e cerco di allontanare Royce da James, ma la mia è un’azione senza successo perché il Favorito mi colpisce tanto forte allo stomaco che per la seconda volta cado a terra, colpendo duramente il suolo. Comincio a tossire, ancora senza fiato per il dolore acuto.
La lancia. Dov’è la mia lancia? Sono nel panico. La mia lancia. Mi guardo attorno, vedendola a qualche metro da me, deve essermi scivolata di mano quando Royce mi ha spinta via. Scatto per afferrarla ma prima che ci riesca lui mi afferra con tutte e due le braccia, sollevandomi di peso, e mi scaglia via, come se fossi un oggetto.
Per la terza volta sbatto a terra la schiena, rimanendo ancora senza fiato. Ecco, adesso ce l’ha con me. Ma per quale motivo?
Vedo James steso a terra. Non è morto, no, non ho sentito nessun colpo di cannone sovrastare la pioggia battente. Deve tirarsi su, non può certo arrendersi così! Striscio fino a lui prima che Royce si accanisca su me, approfittando del fatto che sta andando a prendere la mia lancia per lasciarmi completamente disarmata.
Lo scuoto: “James, James, ti prego…” sussurro.
Dopo pochi secondi apre gli occhi a fatica, posandoli dentro i miei: “Annie…” rantola “Annie, vincerai tu, ce la farai…”.
            “No, no, no, James, io non voglio più vincere!”.
Sono disperata, cerco di fargli forza, di convincerlo a lottare un’ultima volta. E dopo svariati tentativi comincia ad alzarsi, sostenendosi alla spada, quindi si prepara allo scontro. Quello decisivo. Royce è di fronte a noi, un ghigno malvagio dipinto in viso. Ai suoi piedi giace la mia lancia, spezzata in due. Come ci è riuscito? Ma eccoci qui, ci siamo: questa è l’ultima battaglia per la vita o per la morte.
I due si scontrano una seconda volta, ma questa volta la mia attenzione viene catturata dall’acqua. No, dall’onda alta dieci metri che sta per sommergerci. Ecco, ecco il prodotto di tanta pioggia.
            “James!” grido, nel panico.
L’impatto con l’acqua è più doloroso di quello con il suolo. Chiudo gli occhi e lascio che l’onda mi trascini con sé, senza ribellarmi ad una corrente che comunque non riuscirei ad affrontare. Riemergo qualche istante più tardi, completamente in balia delle onde tumultuose che mi stanno trasportando chissà dove. Spero che non ci siano anche strani ibridi nelle pieghe di queste acque scurissime.
            “James!” chiamo, con tutto il fiato che ho in corpo “James! Dove sei?!”.
Qualcuno mi immerge la testa nell’acqua, trattenendomi lì e aggrappandosi a me per mantenersi stabile oltre il pelo dell’acqua. Royce. Non sa nuotare. Mi ribello e mi dimeno, ormai sono quasi senza fiato e non posso certo annegare, non io, non Annie Cresta dal Distretto 4. qualche secondo più tardi riesco a liberarmi dalla sua stretta. Mi tuffo e mi metto a nuotare il più velocemente possibile. Lui adesso annegherà, ne sono sicura, ne sono quasi felice.
            “James!” chiamo di tanto in tanto, ma non ricevo mai risposta.
Fino a che non mi trovo faccia a faccia con lui, con i suoi occhi. No. Quello non è James. Quella è solo la sua testa. Grido. Poi scoppio in lacrime. I suoi occhi. I suoi occhi vuoti. Vacui. Spenti. Terrorizzati. James. Non puoi essere morto, James. Perché mi hai abbandonata così presto, James? No, è uno scherzo, James, non sei morto, James. Non così. Perché, James? Tu meritavi di vincere, James. Qualcosa mi sta bruciando dentro, James, cos’è? C’è tanta acqua qui, troppa. Dove sei, James, dove sei? Perché la tua testa è tanto lontana dal tuo corpo, James?
Ho paura, James.
Questo è ciò che accade quando si è vivi senza meritarselo, James?
Brucia. Tutto quanto brucia. Ma c’è così tanta acqua. Allora cosa sta bruciando? Finnick! Perché non mi sei ancora venuto a prendere, Finnick? Ho vinto.
Sangue. Sangue ovunque. Sangue sulle mie mani. Sangue sul mio viso. Sangue. E grida, chi sta gridando? Sono mie queste grida.
Sangue e grida. E morte. James. Devo sopravvivere. Vivere. Non annegare. Muoviti. Annie, muoviti. Nuota.
Sangue. Di chi è tutto questo sangue? James, dove sei, James?
È morto.
Annie, James è morto.
E tutto questo sangue. Da dove viene tutto questo sangue? È mio tutto questo sangue? O di James? Luce. Cerca la luce, Annie. È tutto finito, non dovrebbe tornare la luce adesso? Niente colpo di cannone. Dov’è Royce? È morto, Royce, non è vero? E allora perché non ho sentito il cannone?
Sangue. Troppo sangue. Mio?
Una ferita. Terribile. Sul ventre. Quando è successo? Una roccia appuntita o una spada? Troppo sangue. Tanto, tantissimo sangue. Debole. Mi sento così debole.
Perché non sono morta?
Forse lo sono. O no? Questa è la morte? Così piena d’acqua, la morte? Vorrei essere morta adesso, ma per davvero.
Qualcuno mi afferra la caviglia, mi trascina giù, sott’acqua, togliendomi l’aria. Mi dimeno, grido sotto il pelo dell’acqua, cero di liberarmi. Royce. Non è ancora morto lui?
Un calcio. Poi un altro. E un terzo. Molla la presa e a peso morto si abbandona alle profondità delle nere acqua sotto di noi. Quando riemergo il colpo di cannone mi esplode nelle orecchie, stordendomi momentaneamente.
James? Siamo salvi, James! Royce è morto. È annegato, le onde lo hanno portato via, lontano da noi e dalla nostra vittoria.
James? Dove sei, James?
Urla. Sento ancora delle urla. Sangue. Troppo. Debole, mi sento debole, tanto debole. Non ho più forze a cui aggrapparmi. Sono morta?
No, Annie, non sei morta. James è morto, stupida! Ma tu no.
Sangue. Sangue sule mani, sul viso, sugli occhi. Troppo sangue. Sangue ovunque.
Finnick! Dove sei? Perché non mi sei venuto a prendere, Finnick?
Cantano, gli uccelli cantano, le ghiandaie imitatrici. Cantano. Questo canto mi distrugge la mente. Sangue. Il sangue mi porta via le forze. Voglio Finnick adesso. Perché non sono morta? Perché invece James è morto? Ho vinto, Finnick, perché nessuno viene a prendermi?
L’acqua si sta abbassando, l’alba sta sorgendo ora davanti ai miei occhi stanchi. È finito, vero? La luce. C’è tanta luce adesso. L’acqua si abbassa, fluisce via. Presto sarà di nuovo tutto asciutto, come quando il gong è suonato, giorni e giorni fa. Adesso sembrano anni. Si confondono i ricordi nella mia mente, mischiandosi a sangue e morte e occhi. Spenti.
James, perché non guardi l’alba con me, James? James è morto, stupida. Smetti di cercarlo. L’acqua mi scaglia contro un gruppo di massi piatti prima di fluire via del tutto. Mi manca il fiato per la botta che ho appena preso e sto male. La ferita brucia.
Ho perso tutto questo sangue? Morirò adesso?
Alzati, Annie, e rimani sveglia. Il lago. Guarda, il lago è tornato quello di sempre. È là, il lago. Devo lavare le mie ferite. Devo? Sì, Annie, devi. Forza, alzati.
James, dove sei?
Morto.
No. James, dove sei?
Morto!
No! James, dove sei?!
MORTO.
NO. Io non sono pazza.
Io non sono pazza.
Io non sono pazza.


BACHECA AUTRICE: Ok, ci siamo. Sì, questo è IL capitolo, il centro di tutta la storia, quello per cui voi tutte mi avete seguita/recensita/letta. E mi auguro che non vi abbia fatto schifo perché per me sarebbe davvero terribile. E' un capitolo veloce, è vero, ma volutamente. Non credo che Annie abbia avuto tanto tempo per rendersi conto di stare diventando pazza. In ogni caso ho scritto e riscritto davvero mille versioni di questa parte, finché mi sono depressa e stufata. Questa credo fosse la migliore, spero vi sia piaciuto e che soprattutto non mi odierete. Grazie a tutti coloro che hanno messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate, grazie a chi ogni volta recensisce scrupolosamente, il vostro sostegno è importantissimo per me.
Alla prossima (mancano ancora 4 o 5 capitoli alla fine della storia, avete tutto il tempo per odiarmi come si deve)

-Sofi
ps: ho ingrandito un po' il carattere perché la parte della pazzia e un po' confusa e magari così si segue meglio, fatemi sapere :3

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Capitolo 28
*** Finnick Odair: Il salvataggio ***


FINNICK ODAIR. ARENA: IL SALVATAGGIO
L’hovercraft è sopra il lago e si sta abbassando per atterrare. Ho insistito con gli Strateghi perché ci fossi anch’io con la squadra di recupero di Annie e Eve mi ha seguito, come fa sempre. Non posso aspettare un attimo di più; mi tolgo la camicia e mi tuffo mentre Eve mi grida di non farlo e cerca invano di trattenermi.
L’impatto con l’acqua è così forte da stordirmi qualche istante, ma sono rapido a riprendermi e a riemergere in superficie.
Vedo Annie seduta sulla riva. La raggiungo a nuoto, esco dal lago e mi affretto ad andare vicino. Il suo sguardo è assente, fisso in un nulla a cui solo lei ha accesso. Le sfioro una guancia. Non reagisce.
            “Annie” mormoro.
Le lacrime cominciano a pungermi agli occhi quando mi accorgo che sembra davvero non sentirmi, né vedermi. Solo qualche attimo più tardi mi accorgo che sta borbottando qualcosa, ma di certo non è una risposta.
È il mio nome. Solo e soltanto il mio nome.
Finnick. Finnick. Finnick.
Lo ripete continuamente, una volta dopo l’altra. Ha solo il mio nome sulle labbra.
Mi avvicino: “Annie, mettimi le braccia attorno al collo” dico “Annie, ti prego”.
Dopo qualche altro istante di incoscienza lo fa, ma prima posa qualcosa sulla mia mano destra: sono i miei… biglietti. Bagnati, stropicciati, ma pur sempre i miei biglietti.
Mi guarda dritto negli occhi, sembra essere tornata momentaneamente cosciente: “Finnick. Finnick, James è morto” mormora.
Annuisco: “Lo so”.
            “Io sono viva” dice.
            “Sì”.
Mi avvolge le braccia attorno al collo, proprio come le ho detto di fare, ed io la attiro a me, sollevandola da terra.
            “Sarei dovuta morire anche io” è l’ultima cosa che dice prima di perdere definitivamente i sensi e abbandonarsi inerme alla mia stretta.
Tenendola ben stretta la porto a bordo dell’hovercraft che è atterrato a pochissimi metri da noi; qui i medici ci separano, per valutare la gravità delle sue ferite ed intervenire là dove è possibile farlo. Ha alcune gravi ferite, mi dicono, ma dovrebbe farcela. Inoltre sarebbe davvero tremendo per Capitol City perdere il suo Vincitore.
Quella parola mi si insinua nella mente: Vincitore. Sì, Annie ha vinto: la sua vita, la gloria, la possibilità di tornare al suo Distretto. Ma cosa ha perso? Può dirsi davvero una vittoria la sua? Chi era in realtà quell’essere fragile e assente che stringevo fra le braccia pochi istanti fa? Era la mia Annie o una Vincitrice vittima degli stessi Hunger Games? D’ora in avanti queste due persone così diverse dovranno convivere. Ma, mi domando, ce la faranno?
Eve mi posa una mano sulla spalla, affiancandosi a me: “Mi dispiace” mormora.
Si sta riferendo allo stato attuale di Annie, ma cosa può sapere davvero lei? Non può capirmi!
            “Se lo meritava? Ha diciassette anni, Eve, si è trovata tra le mani la testa del suo amico e ha rischiato di annegare. Se lo meritava, io ti chiedo?” sussurro.
Non risponde. Tace.
            “Non tutti siamo uguali. Non tutti siamo in grado di sostenere senza conseguenza qualcosa come gli Hunger Games. Anche se, posso giurartelo, gli incubi non se ne vanno mai. Mai” continuo.
Tace di nuovo.
Dopotutto che potrebbe dire un cittadino di Capitol City di fronte ad una tale situazione? Per loro gli Hunger Games non sono altro che divertimento e spettacolo. E anche una come Eve, che tutto sommato mi vuole bene e tiene a me, non può capire davvero.
            “Voglio tornare a casa” sussurro poi, voltandomi verso di lei “Voglio tornare al mio Distretto”.
            “Sai che non puoi farlo fino alla conclusione della cerimonia di incoronazione di Annie” mi dice “Poi potrai accompagnarla a casa”.
            “Io la amo”.
            “Lo so, Finnick” mi risponde, comincia a spazientirsi “Ma puoi davvero permetterti di amare?”.
Quella frase mi colpisce come un dardo, mi distrugge. Eve ha ragione: dalla mia posizione io non posso permettermi di amare.
            “Non posso, lo so, ma nemmeno posso reprimere questo sentimento” sussurro.
            “Proprio per questo ho paura”.
 
***
 
Annie è ancora priva di sensi quando arriviamo a Capitol City, ma almeno sta bene, perché i medici si sono dati da fare e sono riusciti a sistemare le sue ferite. Se non altro adesso non rischia più di morire, quella ferita sul ventre sembrava davvero brutta.
Seguo i medici che, su una barella, la portano fino alla sua vecchia stanza, ma sono io ad adagiarla delicatamente sul letto. Quando ci lasciano soli Marcus mi raggiunge e, prima che io possa dirgli qualsiasi cosa, mi abbraccia, stringendomi forte. Prendo un profondo respiro con il mento posato sulla sua spalla e cerco di non mettermi a piangere.
            “Come sta?” mi domanda.
            “È viva ma…” rispondo.
            “Sì” dice, interrompendomi prima che io sia costretto a rivivere con la memoria questa verità.
Le parole non servono con Marcus. Lui è un amico e riesce a capirmi anche se adesso non sono in grado di finire le frasi. 
            “Posso vederla?” mi chiede poi.
Annuisco: “Dorme ancora, però i medici hanno detto che dovrebbe svegliarsi a breve” spiego.
            “Mi basta assicurarmi che stia davvero bene, il mio splendore” dice, con un sorriso triste ma pur sempre dolce; in questo sorriso ci sono tutti sentimenti di affetto ed amicizia che sente per Annie.
Così lo accompagno da lei, che ancora giace addormentata sul suo letto. Sembra sempre la stessa, adesso, con gli occhi chiusi e il respiro regolare. Sembra sempre la mia Annie.
            “È ancora lei, Finnick, più fragile forse, ma non è cambiata” mormora Marcus.
            “Non si meritava tutto questo” dico, cercando ancora di trattenere le lacrime.
            “Nemmeno tu”.
Annie si sveglia pochi minuti più tardi, ma è assente esattamente come quando sono andato a prenderla nell’arena. Mi si stringe il cuore ogni volta che la vedo in questo stato, ma non ho nessuna intenzione di piangerle davanti, anche se in teoria non mi vede. Spero soltanto che il mio autocontrollo regga. Le vado vicino e le prendo piano una mano.
            “Annie, tesoro, adesso Marcus deve cambiarti per l’incoronazione, va bene?” domando lentamente, scandendo bene ogni parola.
Ma lei non ha alcuna reazione, continua a guardare il vuoto a cui io non posso avere accesso, evitando i miei occhi verdemare, tali e quali ai suoi.
            “Annie, ti prego” insisto, con la voce rotta dal pianto che presto eluderà le difese del mio autocontrollo.
            “Annie!” scoppio in lacrime ancora prima di riuscire a completare la frase.
Questo è il pianto di un folle, di un disperato, di chi ha visto troppo per voler davvero continuare a vivere. Ciò che nell’arena è accaduto ad Annie ha rotto qualcosa dentro di me, quel lucchetto che ancora mi permetteva di tenere uniti i pezzi della mia anima. Adesso, senza quella serratura, si stanno sparpagliando ovunque, incontrollati.
Mi afferra per le spalle, allontanandomi da Annie quasi di peso.
            “Va bene, Finnick, basta così” dice, calmo e pacato, mi stupisco di come riesca a mantenere il controllo sulle sue emozioni in un momento delicato come questo “Vattene di qui per un po’, ci vediamo alla cerimonia. Ad Annie penso io”.
Non trovo le forse per ribattere. Prendo la mia giacca ed esco, come un naufrago impazzito. Mi metto a camminare senza meta per le vie di Capitol City, senza riuscire a sfogare il mio dolore. Annie. Ho solo lei in mente e il suo nome basta a farmi salire di nuovo le lacrime agli occhi. Perché lei, perché proprio lei? Non riuscirò mai a darmi pace per non essere stato in grado di fare di più per aiutarla.
Mentre mi dirigo verso il luogo in cui si terrà l’incoronazione intravedo il Presidente Snow a diversi metri da me, scortato da almeno una decina di pacificatori. Anche lui mi vede, perché si volta a guardarmi e quegli occhi piccoli e scuri, maligni, sembrano trapassarmi la carne. Il suo sguardo è duro, intransigente. Mi pare quasi di sentire le sue parole strisciarmi nella mente.
È arrivato il momento di pagare.


BACHECA DELL'AUTRICE:
Mpf, ok. So che molti di voi probabilmente si sarebbero aspettati Finnick che assiste direttamente alla pazzia di Annie e spero che non vi abbia deluso troppo vedere che non è così. Il capitolo l'ho scritto tempo fa, diciamo che l'ho scritto e riscritto fino a farlo venire così come è. Mi auguro che vi sia piaciuto, dopotutto, e che recensirete in tanti per farmi sapere cosa ne pensate. Grazie a tutti coloro che hanno messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate, come dico sempre il vostro sostegno è davvero prezioso per me.
Non ho molto altro da dire, mi eclisso quindi.
Grazie ancora.
Baciotti

-Sofi

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Capitolo 29
*** Finnick Odair: A casa ***


FINNICK ODAIR. DISTRETTO 4: A CASA
L’hovercraft ci lascia al Distretto 4 attorno alle dieci del mattino. Annie è assente, persa nel suo mondo a cui solo lei ha accesso, ed io la tengo per mano. Tutti quanti i nostri concittadini si sono radunati in piazza per acclamare la nuova Vincitrice del nostro Distretto. Tutti quanti si aspetteranno di vederla arrivare in piena forma, magari un po’ acciaccata, ma allegra e sorridente, felice di essere sopravvissuta. E invece ecco cosa riporto al Distretto 4: una ragazzina fragile e assente, una povera ragazza pazza.
La amo ancora, non basterebbero tutte le disgrazie di questo mondo a spazzare via l’amore che provo per Annie, ma sento che non è più la stessa anche se, in qualche bizzarro modo, lei è ancora là dentro.
Capiranno i nostri concittadini? Saranno in grado di darle il sostegno che le serve? Marcus le ha fatto indossare un semplice abito vaporoso di colore blu, quella particolare tonalità che fa brillare come stelle i suoi occhi. Ma lei non è qui con la mente, sebbene ci sia con il corpo.
Me la trascino dietro fino alla piazza e quando siamo lì cori e ovazioni in onore di Annie mi riempiono le orecchie. Tutta questa felicità è assolutamente fuori luogo, addirittura fastidiosa.
Annie! Annie! Annie!
Tutti insieme ripetono il suo nome fino allo sfinimento. Senza capire. Che lei è qui ma in realtà non c’è, che lei avrebbe desiderato morire piuttosto che perdere il senno in questo modo.
Annie rimane assente e, pian piano, osservo la folla accorgersi del suo atteggiamento immobile e sento l’entusiasmo spegnersi nelle voci di chi ripete all’infinito il suo nome. Guardano tutti me adesso, si aspettano spiegazioni da colui che avrebbe dovuto portarla a casa sana e salva, da colui che ha rivelato in diretta nazionale di amarla. Ma devono anche capire che questo Finnick Odair non ha spiegazioni, non ha scuse e nemmeno ha giustificazioni. Ha persino perso le parole.
Questa Annie Cresta è tornata, con lei dovranno avere a che fare d’ora in avanti. Io ormai non posso più fare nulla né avrei potuto farlo prima. Devono capire. Avrei dato la mia vita in cambio della sua. E in un certo senso l’ho fatto.
È la madre di Annie a salvarmi da questa imbarazzante e dolorosa situazione. Una donna così giovane, forte e tenace allo stesso tempo. Con solo i suoi trentasette anni d’età la signora Cresta è un insieme esplosivo di forza indiscussa ed altruismo. Proprio come sua figlia.
Si allontana dalla delusa folla adorante, abbraccia Annie e subito dopo fa lo stesso con me. Quindi mi prende per mano e ci trascina via entrambi, conducendoci verso la tranquillità della sua casa, al riparo da occhi troppo curiosi.
Non credo la ringrazierò mai abbastanza per questo.
Una volta dentro ci fa accomodare entrambi e guarda a lungo Annie prima di cominciare a parlare. Vedo bene come il suo sguardo si posi nervoso sugli occhi assenti della figlia, sui lividi del viso, sulle fasciature di braccia e gambe, sulle bende in rilievo che le avvolgono il ventre. Vedo bene anche le lacrime che le solcano il viso quando infine si volta verso di me.
            “Rimarrai?” mi domanda.
Scuoto la testa a fatica, per quanto io lo desideri ardentemente non posso rimanere qui nel Distretto 4. il pianto della signora Cresta si fa folle, mentre tuffa il viso nei palmi delle sue mani. Odio vederla in quello stato quasi quanto odio vedere Annie assente.
            “Signora Cresta, io…” comincio, vorrei provare a spiegare, almeno a lei.
            “No, Finnick, non c’è bisogno che tu dica niente, credo di sapere come stanno le cose. So anche che non lasceresti sola Annie se non fossi… costretto, ecco” mi interrompe.
Annuisco, ma non riesco a sorriderle come in realtà vorrei fare. Lei mi prende una mano della sua e mi guarda intensamente: ha un paio di enormi occhi verdemare tali e quali a quelli di Annie.
            “Solo… cerca di essere chiaro, quando te ne andrai, non ferirla ancora di più” mi scongiura.
Annuisco un’altra volta: “Non lo farò, signora Cresta” prometto “Non la farò soffrire ancora di più”.
            “Perché non la porti a fare una passeggiata al mare, Finnick? Magari fa bene ad entrambi rivedere l’oceano” mi propone poi.
Questa è davvero una nuova idea, Annie adora il mare e anche io. Magari portarla sulla spiaggia e farle rivedere l’oceano potrebbe avere un influsso benefico sulle sue condizioni. Senza lasciarle la mano mi volto a guardarla: “Annie, tesoro, hai voglia di andare a vedere l’oceano?” le domando. Lei non risponde; poi mi posa la mano libera sul viso, senza ancora guardarmi.
            “Finnick” sussurra assente “Finn, perché la sirena deve lasciare il marinaio?”.
Sussulto. La ninna nanna. La ninna nanna che le ho cantato per farla addormentare la sera prima dell’inizio dei giochi.
            “Perché ha delle regole da rispettare, ma lo ama e lo amerà per sempre” rispondo, usando le stesse parole con cui le avevo risposto allora, trattenendo le lacrime.
            “Sono viva” dice poi.
            “Sì”.
            “Sarei dovuta morire anche io” mormora, un attimo prima di tornare assente come lo è stata fino adesso.
Guardo la signora Cresta che ha negli occhi il mio stesso sguardo, solo più confuso.
            “Lei… mi ha detto le stesse cose quando sono andato a riprenderla nell’arena…” rivelo “Ma non ne conosco il motivo”.
            “Crede di non meritarsi la vittoria e si sente in colpa per ciò che è accaduto a James Allaway” risponde lei.
            “Lui sapeva fin dall’inizio che sarebbe morto” dico.
            “Lui ha fatto una scelta ben precisa, Finnick, ha scelto di essere libero e di combattere per qualcuno la cui libertà si rifletteva nell’amore”.
Sussulto quando sento quelle parole. La signora Cresta ha ragione: James sapeva che vincere non l’avrebbe aiutato a nulla se non a diventare ancor di più schiavo del potere, sapeva che per sé l’unica via per raggiungere la libertà sarebbe stata la morte. Ma per Annie era diverso. Lei mi ama.
            “Andate, forza, prima che faccia buio” mi esorta poi la signora Cresta, con un sorriso tirato. Annuisco, stringo la mano di Annie e la faccio alzare, guidandola fuori. Le ripeto un’altra volta che stiamo andando al mare, a vedere l’oceano, ma non mi risponde né fa altro. È assente. È spenta. La amo e ancora a lungo l’amerò. Magari anche per sempre.
Mi fermo all’improvviso mi volto verso di lei, che però è ancora persa nel suo mondo.
            “Posso darti un bacio, Annie?” le domando dolcemente.
Rimane nel silenzio.
Allora mi chino su di lei e poso le mie labbra sulle sue, un contatto così leggero e delicato. E quando sento le sue braccia scivolarmi dietro la nuca mi rendo conto che, comunque vada, questo amore non smetterà.
Mai.
 

BACHECA AUTRICE: Eccomi! Innanzitutto mi scuso davvero per il ritardo, ma questo è stato un periodo difficile a scuola (è l'anno della maturità e siamo sommersi di roba, davvero!) e ho avuto occasione di accedere ad EFP dal pc solo adesso! La storia sta per finire, ormai lo avrete capito e mi rattrista moltissimo D: ma potrei avere una sorpresa per voi, che non svelerò fino all'ULLTIMO capitolo :) vi ringrazio per aver letto e per aver recensito, davvero, e soprattutto ringrazio coloro che hanno messo la storia nelle seguite, preferite e ricordate <3
Per coloro che seguono anche la mia storia sulla 15esima edizione: ho quasi ultimato il capitolo e lo posterò tra qualche giorno (spero), non disperate :P
Grazie ancora, spero il capitolo vi sia piaciuto <3
Ah, un'ultima cosa, io ho una pagina facebook su Hunger Games... se vi va di passare questo è il link
https://www.facebook.com/WeSavedEachOther?ref=hl

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Capitolo 30
*** Finnick Odair: Addio ***


FINNICK ODARI. DISTRETTO 4: ADDIO
Quando arriviamo in spiaggia faccio sedere Annie sulla riva mentre vado in cerca di qualcosa con cui occupare il mio tempo e soprattutto qualcosa che mi aiuti a farla tornare cosciente almeno per questo breve momento che ci è dato da passare insieme.
Trovo dei rimasugli di vecchie corde e qualche fiore tanto intrepido da riuscire a crescere nella sabbia, in prossimità di tanta acqua salata. Ne raccolgo uno, è giallo brillante, come la forza che Annie racchiude dentro di sé; poi raccatto anche i frammenti più lunghi di corde e torno da lei.
Le metto il fiore tra i capelli e mi siedo accanto a lei, cominciando a fare nodi e scioglierli di continuo.
Il fragore delle onde del mare, gli spruzzi d’acqua che ci bagnano il viso mi fanno sentire a casa come non mai. Casa. Questa è la mia casa: il mare. Mai ho avuto altra casa se non questa. Annie si è stretta le ginocchia al petto e guarda dritto davanti a sé con sguardo vuoto e assente, come se in realtà non fosse qui in mia compagnia. Nemmeno il mare dunque riesce a restituirle il controllo della sua mente?
Mi sento così frustrato dalla consapevolezza di non poter fare nulla per aiutarla!
Le prendo il polso, avvolgendogli intorno un pezzo di corda ed infine annodandolo. Questo nodo è assolutamente impossibile da sciogliere, per liberarsene bisognerebbe tagliarlo. Questo nodo rappresenta il mio amore per Annie.
            “Annie, non toglierlo mai” sussurro “Farà rimanere vivo in te il mio ricordo”.
Non ricevo alcuna risposta.
Le sposto una ciocca di capelli dietro l’orecchio e le do un bacio sulla guancia, dolcemente, posando appena le labbra sulla sua pelle chiara. Come mi aspettavo non ha nessuna reazione. Le lacrime mi salgono di nuovo agli occhi, assieme alla rabbia.
Che giustizia è mai questa?! Io la amo! Perché non mi sente?! Perché non mi parla?! Perché non mi vede?! Non ricordi più quel giorno di dieci anni fa, Annie?! Stavi annegando ed io ti ho salvato. Le tue grida d’aiuto, quel giorno, mi hanno perforato orecchie e cuore. E sono corso da te, Annie. Per salvarti. Non potevi morire divorata da quell’oceano che aveva cresciuta ed amata. Così ti ho salvata, ti ho riportata alla luce.
Sì, credo di essermi innamorato di te quel giorno, anche se ti conoscevo da molto più tempo.
Forse non è vero che ti ho sempre amata.
Tu mi hai colto di sorpresa.
Sei entrata nel mio cuore con la furia di un uragano.
E allora perché non mi senti adesso, non mi vedi, non mi parli? Mi ami ancora almeno?
            “Annie!” grido.
Strappo le corde che mi trovo ancora tra le mani, prendo manciate di sabbia e le getto via, come se fossi un matto, un pazzo, un folle.
E forse lo sono.
            “Annie, ti prego, di’ qualcosa!” urlo, disperato, mentre scoppio in lacrime.
Mi alzo in piedi, corro fin dentro l’acqua, tiro calci furiosi al nulla attorno a me. Grido di frustrazione, di rabbia, maledico Capitol City e tutti quanti i suoi cittadini. Poi mi lascio cadere in ginocchio in mezzo all’acqua e piango senza ritegno, come mai ho pianto in vita mia.
Sono pazzo anche io.
Senza di te, Annie, sono pazzo e perduto anche io.
Un tocco leggero sulla spalla mi fa riacquistare le speranze perse solo pochi istanti fa. È Annie. Il suo sguardo è ancora un po’ sfuggente, ma decisamente cosciente. Ha l’acqua fino alle caviglie e gli occhi puntati sulla linea dell’orizzonte.
            “Finn, non me la tolgo questa corda, ma esci dall’acqua adesso. E non urlare più in quel modo, dai, mi hai fatto paura” mormora, stringendo le dita attorno alla mia camicia, nel tentativo di farmi rialzare in piedi.
Così lo faccio, mi alzo, mi asciugo le lacrime agli occhi e la guardo. Cerco di sorriderle. Poi la bacio e lei ricambia.
Passeggiamo sulla riva, con i piedi a mollo nell’acqua, tenendoci per mano. Annie talvolta sorride, ma non riesce proprio a ridere, anche quando ce la metto tutta. E questo mi fa male. Perché forse non tornerà più a ridere ed è tutta colpa degli Hunger Games.
Pranziamo insieme, io pesco e accendo il fuoco, ma ormai Annie è già tornata nel suo mondo sicuro, all’interno del quale nulla può ferirla. Però mangia con gusto, sembra proprio affamata.
Mentre la guardo mangiare il pesce che ho cucinato apposta per lei tremo al pensiero di quando dovrò dirle addio e tornare a Capitol City. Sarà terribile andarsene. E lasciarla. Perché un frammento della mia anima rimarrà con lei e sanguinerà per sempre. Inoltre lei soffrirà. E non posso perdonarmelo.
Concluso il pranzo la riaccompagno fino a casa. La signora Cresta mi ringrazia e mi invita a rimanere ancora con loro. Declino gentilmente l’invito, dicendo che passerò sicuramente più tardi, magari dopo cena, lavato e pulito.
Quindi torno a casa mia, nel Villaggio dei Vincitori, e passo davanti a quella che diverrà la nuova casa di Annie, quando sarà ultimata.
Apro la porta e mi trovo faccia a faccia con Eve. Sussulto. La sua presenza qui non mi porta a pensare nulla di positivo, soprattutto perché è in compagnia di due pacificatori nerboruti.
            “Finnick, è ora” dice, il suo tono è duro, non ammette repliche, ma è anche carico di dolore.
            “Di già?!” sussurro.
Annuisce.
            “Permettimi di salutarla almeno!” esclamo, disperato.
Troppo velocemente. Tutto sta accadendo troppo velocemente.
Quando entro in casa di Annie, senza nemmeno bussare, lei è seduta su una sedia, lo sguardo spento e vacuo, mentre sua madre sbuca dalla cucina, domandandomi allarmata cosa stia succedendo. Il mio sguardo deve essere veramente penoso perché, senza che io debba dirle nulla, si porta una mano alla bocca e cerca di trattenere un singhiozzo. Poi lascia soli me e Annie. Mi avvicino e mi metto in ginocchio davanti a lei, di modo che i nostri occhi siano allo stesso livello.
            “Annie, tesoro, io devo andare” comincio e già mi trema la voce “Sarà per sempre, purtroppo. Devo tornare a Capitol City”.
Come pronuncio quel nome i suoi occhi si animano di un’antica paura e le sue dita si stringono attorno alla mia mano, ma non dice nulla.
            “Questo è un addio, Annie, non posso più stare insieme a te” la presa sulla mia mano aumenta mentre le lacrime cominciano a sgorgarmi dagli occhi come un fiume in piena.
            “Ma non è che non ti ami più” vado avanti, con la voce rotta dal pianto “No, perché io ti amo, Annie, e ti amerò per sempre”.
Le passo una mano dietro la nuca e le do un ultimo bacio sulle labbra. Quando ci stacchiamo i suoi occhi sono ancora vuoti. E spenti.
Mi alzo di scatto e corro fuori, mentre il mio pianto diventa folle e il dolore sembra divorarmi dall’interno come una belva senza pietà. Questo dolore che provo ora è il più forte e il peggiore che abbia mai sentito in vita mia. Qualcosa della mia anima si è rotto ed è rimasto con Annie; per sempre rimarrà con lei e per sempre sanguinerà.
Mentre corro verso casa mia il rumore delle onde che si infrangono sulla battigia mi fa compagnia, ma non serve a lenire il dolore.
È questa, è la mia maledizione. La mia condanna.
Fino a che vivrò non esisterà luogo nel quale potrò scappare da Snow, lui mi troverà sempre e comunque.
Ma l’amore, questo non potrà cancellarlo.
 
Perché la sirena non può rimanere con il marinaio?



BACHECA DELL'AUTRICE: Ciao a tutti! Lo so, sono sparita per secoli e millenni, lo so, e mi dispiace moltissimo. Ma adesso sono qui e ho pubblicato un nuovo capitolo! Vi avverto, è brutalmente il penultimo, ma siccome l'ultimo non è propriamente un capitolo, questo può essere considerato l'ultimo. Lo so, è triste. Lo so, forse non è ciò che vi aspettavate ma... è tutto ciò che sono riuscita a produrre. Spero vogliate scrivermi in una recensione cosa ne pensate.
Vi ringrazio ancora una volta per esserci sempre stati <3

-Sofi

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Capitolo 31
*** Annie Cresta: E' una lacrima questa? ***


ANNIE CRESTA: E’ UNA LACRIMA QUESTA?
È una lacrima, questa,
una lacrima?
Dove vai, Finnick,
dove vai?
Non lasciarmi, ti prego,
non lasciarmi.
Brucia.
Caldo.
Fuoco.
Dolore.
Non vedo il mare,
le sue acque.
Finnick, dove sei,
Finnick?
Brucia.
Sto male.
Mi manchi.
Non ti vedo.
La tua ombra, sta scappando,
la tua ombra.
Tu.
Finnick, non lasciarmi,
Finnick?
È una lacrima, questa,
una lacrima?
Perché piango, Finnick,
perché?
Io non sono pazza, Finnick,
non sono pazza.
Non ci sei, Finnick,
dove sei?
È una lacrima, questa,
una lacrima?
Caos.
Confusione.
La mia testa, scoppia,
la mia testa!
Colori.
Ricordi.
Paura.
Perché piango, Finnick,
perché?
 
Ti amo anche io, Finnick,
ti amo.


BACHECA DELL'AUTRICE:
Buongiorno a tutti!
Lo so, sono 129481379759579 secoli che non aggiorno la storia ed è imperdonabile avervi lasciati con quel terribile capitolo che sembrava proprio una conclusione. Beh, vi dico che nemmeno con questo POV la storia volgerà al termine, perché dovrete aspettare il prossimo. Non sapete quanto io sia triste all'idea che questa storia sia finita, ma già il fatto di essere arrivata qui lo devo solo a voi che avete letto e recensito, che mi avete supportata. Forse questa non sarà l'ultima storia su Finnick ed Annie, potrei scriverne un'altra, ma devo prima riordinare le idee.
Spero che questo capitolo un po' particolare vi piaccia come i precedenti e che vorrete leggere e recensire anche il prossimo, così ci saluteremo per bene.
Vi voglio bene.
Grazie a tutti, per tutto.

-Sofi

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