Now is not forever di Chara (/viewuser.php?uid=54167)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
DISCLAIMER: Con
questo mio scritto, pubblicato
senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione
veritiera del
carattere dei componenti dei Guns N’ Roses, né
offenderli in alcun modo.
Now Is Not
Forever
I
St.
Louis, 1991
Non era niente
di nuovo: Axl aveva
preso l’abitudine di arrivare in ritardo e tutti i concerti
iniziavano in quel
modo, con un pubblico incazzato che avrebbe sfogato tutta la rabbia
cantando
insieme a loro. Perché erano grandiosi; nonostante tutti i
casini, sul palco
erano il fuoco, e nessuno li avrebbe mai superati – non in
quello, almeno.
Eppure qualcosa
andò storto quella
sera, perché Axl se n’era appena andato con un
diavolo per capello e a quanto
sembrava non era per nulla intenzionato a ritornare. Gli altri
continuarono a
suonare per un po’, ormai fin troppo bravi a riempire gli
spazi morti. Ma
quanto sarebbe durato il supplizio quella volta? Axl sembrava davvero
determinato a non tornare indietro.
Duff
lanciò un’occhiata al tizio con
la macchina fotografica che aveva scatenato tutto. Non gli sembrava
così grave.
Be’, ad ogni modo, quell’affare non c’era
più: quel che rimaneva erano
solamente dei pezzi distrutti – più o meno come il
suo naso, che continuava a
sanguinare. Slash intercettò lo sguardo di Duff e, scuotendo
il capo,
bloccarono a metà le note di Rocket Queen, mollando gli
strumenti dove capitava
per andarsene dietro le quinte.
Fanculo al
riempire gli spazi morti.
Fanculo al parare il culo di Axl.
Era troppo
umiliante rimanere lì e
non sarebbe servito a nulla se Doug avesse continuato ad assecondare
Axl senza
tentare minimamente di infilargli un po’ di sale in zucca. A
ben pensarci, lo
pagavano proprio per quello, e la sua negligenza raggiungeva ogni
giorno
livelli sempre maggiori.
Rinchiusi nel
camerino come dei
carcerati, nessuno diceva niente, si limitavano a guardare a terra e a
fumare
senza sosta, come se la nicotina potesse calmare l’angoscia e
la delusione che
sentivano dentro. Erano un ammasso di disperati, si godevano la vita e
tutti i
vizi che essa aveva da dispensare, rendendoli spesso più un
bisogno che un
superfluo, ma sul palco erano sempre stati dei grandi a suonare e a
dare al
pubblico tutti i brividi che guadagnavano di diritto una volta comprato
il
biglietto. Lo avevano fatto anche quella sera, naturalmente prima che
Axl desse
di testa.
Tuttavia
sembrava che anche la platea
avesse deciso di esplodere come un dannato vulcano. Si sentivano colpi
ovunque,
urla, schiamazzi, insulti e botte. Forse era già arrivata la
polizia ad
aumentare il casino, o forse si era solamente aperto il pavimento ed
era salito
l’inferno in terra. A ben pensarci era quasi assurdo,
perché probabilmente all’inferno
ci sarebbero finiti anche loro solamente per tutte le ragazze che si
erano
scopati in nemmeno trent’anni di vita. E per la droga, e per
l’alcol, e per non
avere mai avuto le palle di dire al proprio cantante di darci un
taglio. E per
la delusione che avevano provocato in quelle decine di migliaia di
persone che
non avevano ottenuto i brividi che avevano richiesto. C’era
ancora speranza?
Se anche Axl
fosse ritornato, sarebbe
valso a qualcosa tornare sul palco o sarebbero solamente riusciti a
farsi
ammazzare?
“Torniamo
sul palco.”
Axl era tornato
per davvero, ma Slash
ebbe un moto di rabbia che riuscì a stento a trattenere. Non
era facile farlo
arrabbiare, ma lui ci riusciva ogni cazzo di volta con il suo
comportamento che
calpestava il rispetto di chiunque nel raggio di chilometri.
Sì, perché prima
faceva il cazzone e poi pretendeva di sistemare tutto facendolo passare
come un
enorme gesto di generosità, ma non sarebbe servito a nulla
quella volta. St.
Louis era troppo incazzata, avrebbero preferito tagliare la testa a
tutti e
portarsela a casa per rimborsare il costo del biglietto piuttosto che
sentirli
di nuovo suonare.
Questo non
impedì loro di provarci
ugualmente; giunsero fin dietro le quinte e scoprirono di essere
bloccati là.
La folla aveva preso possesso del palco e aveva distrutto tutti gli
strumenti.
Le chitarre, le tastiere, le pelli, gli amplificatori… tutto
distrutto.
Distrutto come la loro dignità, come la speranza.
E si guardarono
negli occhi con
sgomento sempre maggiore, capendo che non avrebbero più
potuto rimediare questa
volta. Forse avrebbero dovuto cominciare a pensare a come mettere in
salvo le loro
chiappe milionarie.
Improvvisamente
una porta si aprì,
lasciando intravedere enormi risse scoppiare violentemente e
ininterrottamente,
come fossero una sola. Forse erano una sola. Una
ragazza sbucò dal
nulla, gli occhi sbarrati e un labbro sanguinante. Chiuse
l’anta alle sue
spalle, appoggiandosi ad essa come se con il suo peso minuto avesse
potuto
trattenere la furia cieca che si stava scatenando dall’altra
parte. Sbatté gli
occhi scuri con incredulità, forse non aspettandosi di
trovarli così
facilmente. Forse credeva che se la fossero già data a
gambe, e avrebbero fatto
decisamente meglio.
“Dovete
andarvene subito,” ansimò
terrorizzata, dopo aver passato svariati secondi piegata in avanti nel
tentativo di recuperare fiato. “Dei ragazzi hanno rubato
pistole e spranghe ai
poliziotti e vogliono venirvi a cercare.”
“Cosa?”
allibì Doug Goldstein,
sbiancando di colpo come se la folla incazzata fosse stata una cosa non
legittima. Li avevano fatti esplodere loro, li aveva fatti esplodere
lui, per
dio! “Devo portarvi via di qui. Forza, andiamo.”
Prese Axl e
Dizzy per un braccio, e
con un cenno del capo intimò agli altri quattro di seguirlo.
Tuttavia Slash non
si mosse, guadagnandosi le occhiatacce del manager, che
indurì la mascella e
fece per replicare, ma il Slash lo precedette.
“Lei
viene con noi,” decretò, serio
come poche altre volte l’avevano visto.
“Sei
pazzo?” sbottò di nuovo Doug. “Non
abbiamo tempo adesso di stare a seguire i tuoi ormoni, Slash, qua
vogliono
farvi fuori!”
Slash
però scosse il capo, non
potendo e non volendo credere che un uomo così sveglio come
lui, che per anni
si era barcamenato nel loro entourage, che era arrivato dove stava
proprio
grazie al suo cervello, non capisse una cosa tanto semplice.
“Come
fai a sapere che ci stanno
cercando?” domandò alla ragazza, ancora spalmata
contro la porta bianca che
celava l’apocalisse. Era una domanda retorica, lei lo
capì e spiegò guardando
Doug.
“Mio
fratello,” sillabò impaurita,
sfiorando con la lingua il taglio che deturpava il suo labbro
inferiore. “Lui è
tra quelli che hanno rubato le armi.”
“E non
credi che sarebbe in pericolo
se la lasciassimo qui?” ringhiò di nuovo Slash,
prendendola per un gomito con
forse un po’ troppa foga, ma la delicatezza in quel momento
così teso non era
di certo la sua priorità. Dovevano andarsene di
lì e dovevano portare via
quella ragazza.
“No,
ehi…” lei tentò di intromettersi,
senza però risultare particolarmente convincente.
“So cavarmela.”
Peccato che
nessuno dei presenti
sembrasse davvero interessato ad ascoltarla o a prendere in
considerazione il
fatto che, se era riuscita a trovarli, allora poi così
stupida non doveva
essere. E, soprattutto, se li aveva trovati lei, nulla avrebbe impedito
anche
ad altri di farlo.
“Chi
mi dice che non stia facendo
tutto questo solo per scoprire dove andremo e farsi poi
seguire?”
“Se
davvero fossi così meschina, come
evidentemente sei tu, altrimenti non avresti proprio potuto escogitare
un
ragionamento tanto perverso, ti assicuro che sarei riuscita a evitare
di farmi
spaccare il labbro da un membro della mia famiglia,”
sbottò la diretta
interessata, allibendo tutti e guadagnandosi la stima silenziosa di
qualcuno
tra i presenti.
“Mi
sembra ragionevole,” sorrise di
nuovo Slash, allentando un po’ la presa sul suo gomito senza
però lasciarla
andare del tutto. Sembrava più soddisfatto e anche
più tranquillo, certo che
ormai nessuno avrebbe potuto impedirgli di portare con loro quella
piccoletta.
Non voleva sulla coscienza anche la vita di una ragazza che, per di
più, li
aveva avvertiti del pericolo che correvano.
“D’accordo,
andiamo,” cedette infine
Doug, facendo segno al gruppo di seguirlo.
La giovane
roteò gli occhi,
rassegnandosi all’idea di dover andare con loro e
lasciò che la mano di Slash
la guidasse fino a destinazione. Cercò di guardare i lati
positivi della
faccenda, ovvero il fatto che avrebbe passato del tempo con i suoi
adorati Guns
N’ Roses. Gli stessi Guns N’ Roses che,
però, avevano anche provocato tutto
quel casino, nonostante la colpa fosse imputabile solamente a uno di
loro e
solamente in parte.
Un furgoncino
della polizia li
aspettava con il motore già acceso e pronto a scattare
diretto verso chissà
dove non appena tutti fossero saliti.
L’atmosfera
era tesa, nessuno
parlava. Slash guardava fuori da un finestrino oscurato, Axl faceva lo
stesso,
ma dalla parte opposta della vettura, e il silenzio era così
pesante che un
coltello l’avrebbe tagliato senza difficoltà. Ad
un certo punto, con un sospiro
esasperato, Izzy parlò.
“Come
ti chiami?” chiese alla ragazza
e lei, dopo essersi guardata attorno un momento e aver capito che
l’unica
sconosciuta in quel posto era lei, spostò lo sguardo su Izzy.
“Joey,”
mormorò incerta, le labbra
appena dischiuse. Si era pulita il taglio poco prima ma, se avesse teso
troppo
la pelle, avrebbe ricominciato a sanguinare e avrebbe dovuto rifare
tutto da
capo. Non faceva particolarmente male, ma era una vera seccatura.
“E
quanti anni hai?” domandò anche
Matt, sorridendole sghembo. Lui era il più vecchio dei Guns,
in quel momento,
ed era anche il più grosso. Si sentiva un po’ troppo
grosso vedendo lei,
che era così piccola e sembrava anche tanto giovane. Una
ragazzina, ecco.
“Ventidue.”
Axl
sbuffò, facendo sentire la sua
presenza per la prima volta. “Un’altra
bambinetta.”
“Una
bambinetta che ti ha salvato il
culo, cara la mia primadonna,” sbottò alterata per
mordersi un labbro subito
dopo, infischiandosene della ferita che, in un attimo, riprese
immancabilmente
a sanguinare. Aveva esagerato.
Anche Axl
dovette pensarla allo
stesso modo, perché si voltò verso di lei e,
allungando un braccio fino ad
avvolgerle le dita intorno al collo, la inchiodò al sedile
in pelle dell’auto. Joey
aveva di nuovo gli occhi sbarrati e la sua paura aumentò
ancora una volta
intercettate le iridi verdi di Axl, che nella penombra
dell’abitacolo
sembravano quasi nere. Avrebbe dovuto contare fino a dieci prima di
aprire la
bocca, soprattutto dopo aver visto cosa aveva combinato a quel tizio
con la
macchina fotografica e il casino che ne era seguito. Ma lei era fatta
così, prima
faceva e poi pensava. Era successo lo stesso anche quando era scappata
via
dall’inferno che stavano organizzando i suoi amici solo per
avvertire i Guns;
in quel momento non le era importato nulla di suo fratello, aveva
solamente
dovuto assicurarsi che quei disgraziati che tanto amava rimanessero
sani, salvi
e cazzoni come sempre. Suo fratello probabilmente le avrebbe spaccato
anche il
naso, oltre al labbro, non appena l’avesse rivista, ma non
aveva proprio potuto
fare altrimenti.
“Che
cazzo fai?” sbottò Slash,
vedendo che Joey iniziava a boccheggiare e a divincolarsi.
“Lasciala andare,
non vedi che la soffochi?”
“Bill,”
la voce di Izzy era bassa, ma
vibrava di tensione. Anche lui era infastidito per il comportamento di
Axl, non
poteva che essere così. E in quel momento, con la mano
attorno al polso di Axl,
che a sua volta stringeva la gola della ragazza che aveva salvato a
tutti la
vita, forse nessuno avrebbe dovuto farlo arrabbiare più di
quanto non fosse
già. Mai fare arrabbiare Izzy, era pericoloso. Avrebbe
potuto andarsene da
un momento all’altro.
“Bill,
lasciala,” ripeté di nuovo,
stavolta con più decisione. E Axl, incredibilmente, lo
ascoltò. Mollò la presa
e si voltò verso il finestrino senza più muovere
un muscolo. Fino a destinazione
nessuno vide più i suoi occhi o sentì la sua
voce. Era come una statua.
“Ti
rimarranno i segni,” stava
dicendo Slash, sfiorando piano la pelle di Joey dove facevano bella
mostra
delle strisce rossastre. Lei portò una mano sulla gola, come
a tastare la zona
dolorante, e intercettò per sbaglio le dita di Slash.
Le si
mozzò il respiro in gola e,
alzando lo sguardo, incontrò i suoi occhi scuri e caldi.
Perché avrebbe dovuto
negare a se stessa il brivido che l’aveva scossa?
Ma, dopotutto,
era normale. Amava le
sue mani, le amava perché erano miracolose,
perché la musica che riuscivano a
creare le faceva battere il cuore come null’altro avrebbe mai
potuto fare, e toccare
le sue dita era qualcosa che nemmeno nei suoi sogni
più inverosimili era
arrivata a pensare di riuscire a fare.
Matt si
schiarì la voce, strappandoli
a quello strano gioco di sguardi che non erano nemmeno sicuri di quando
fosse
cominciato. Joey si voltò verso Matt, scoprendolo con il
volto verso il basso e
un sorriso appena accennato. Sembrava particolarmente intento ad
osservare le
cuciture dei suoi pantaloni e si sentì come colta in
flagrante, perché sapeva
che tutti dovevano essersi accorti di come si fosse imbambolata davanti
agli
occhioni del suo chitarrista preferito.
Così
arrossì, ringraziando il buio
della sera che riuscì a nascondere il misfatto.
E poi, Slash si
doveva sposare con
quella tizia… Renee. Non ricordava che faccia avesse, lui
non si mostrava
troppo spesso con lei in pubblico. Chissà, forse si
vergognava.
Ah, ma che
stronzate. Come poteva
vergognarsi della sua futura moglie? Se aveva deciso di sposarsela
doveva pur
esserci un motivo, sempre che lei non l’avesse costretto. Ah,
cazzate. Aveva
sentito dire che Slash odiava fare cose che gli venivano imposte, e
quindi
quella Renee non sarebbe mai riuscita ad obbligarlo… doveva
esserne innamorato,
sì.
“Siamo
arrivati.”
*
A/N:
l’introduzione è presa dalla biografia di Slash.
Ho cercato
di inserire la storia tra gli eventi, senza alterarli, quindi si
svolgerà tutto
in pochi giorni.
|
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Capitolo 2 *** II ***
II
La voce di Doug, che
annunciava l’arrivo a destinazione, sembrò quasi fendere il buio silenzioso che
avvolgeva il gruppo, e strappò Joey ai suoi pensieri sconnessi su Slash e la
sua futura moglie. Come diavolo le saltava in mente di pensare certe cose?
Così, per riprendersi,
sbatté gli occhi e realizzò di essersi incantata sul ginocchio di Duff. Grazie
a dio non era quello del chitarrista che sedeva al suo fianco, o chissà cosa si
sarebbe inventato Matt per riscuoterla da quella fissa. Magari l’avevano
scambiata per una psicopatica…
«Grazie per avermi
portata via di là» si obbligò a dire, nonostante non fosse poi così entusiasta
di trovarsi da sola tanto lontana da casa da essere addirittura al di là del
confine del proprio stato.
«Figurati – sbuffò il
manager, continuando a guardarla con quell’aria di superiorità molto simile a
quella che aveva anche lo stesso Axl, soprattutto in quel momento mentre si
allontanava verso la sua stanza senza minimamente degnare gli altri di uno
sguardo o un saluto… o delle scuse, che sarebbero state molto più gradite,
soprattutto a Joey che ancora credeva in quel gruppo – Dovere.»
Certo, se fosse stato
per lui l’avrebbe lasciata in quel casino a farsi macellare da pistole e
spranghe di una mandria di rockettari imbufaliti. Si appuntò per il futuro di
specificare a chi fossero rivolti i ringraziamenti, e decisamente Doug non era
compreso nel pacchetto di quelli che aveva appena espresso. A dirla tutta, gli
avrebbe anche sputato in faccia se avesse potuto, lui e la sua puzza sotto il
naso. Chissà, forse lo odiava solamente perché aveva soppiantato Alan Niven.
Quel tizio le stava simpatico, ma poi l’avevano liquidato in favore di quella
sottospecie di idiota che sembrava fin troppo l’ombra di Axl Rose, o il
tappetino rosso su cui il cantante doveva camminare.
«Dove abiti, Joey?»
domandò Izzy ad un certo punto, aggrottando le sopracciglia con fare
pensieroso. Probabilmente aveva collegato solo in quel momento la possibilità tutt’altro
che remota che la giovane fosse totalmente fuori dal suo ambiente e, magari,
anche un bel pezzo distante da casa sua. Non a caso, infatti, era il più sobrio
di tutti. Anzi, era sobrio e basta.
«Dall’altra parte del
confine, alla periferia di St. Louis» sorrise lei con tranquillità. Era quasi
divertita dalla situazione, perché prima l’avevano portata là e poi si
domandavano se sarebbe riuscita ad arrivare a casa senza incappare in qualche
altro casino.
«Cosa? – sbottò anche
Slash, mettendosi le mani nei voluminosi capelli – Merda, sono un coglione.
Chiamiamo la limo e ti facciamo riportare, vero Doug?»
«No, ehi, non farti
saltare i bottoni… – Joey provò a fermare il flusso di parole del chitarrista,
alzando una mano per farsi notare – Prenderò un taxi, lo pagherò una volta a
casa.»
«Ma…» tentò di nuovo.
«Vai a dormire, Slash –
gli disse con calma, arrivandogli davanti fino a posargli le mani sulle spalle
– Non credo che al tuo manager farebbe piacere sputtanare una limousine per
portare a casa una ragazzina con manie di grandezza.»
«Non sei tu quella che
ha manie di grandezza, qui» si intromise di nuovo Izzy, beccandosi in risposta
un sorriso appena accennato.
«Lo so, ma c’è gente
che lo pensa.»
«Se ce l’hai con me,
ragazzina – si intromise Doug, arrivandole vicino – Lascia che ti dica che
potresti dimostrare un po’ più di gratitudine per chi ti ha portata via da St.
Louis.»
«Forse dovresti
mostrarla tu la gratitudine, ma tutto sommato va bene così – sbuffò Joey
inviperita, guardandolo dal basso senza tuttavia risultare in inferiorità –
Visto che, se ci fosse stato solamente il tuo spocchioso culo da
salvare, me ne sarei rimasta a farmi i cazzi miei.»
Il manager arrossì
lievemente, ma non replicò. Si limitò a stringere le labbra in una linea
sottile e girare i tacchi. Si allontanò con la stessa baldanza che aveva avuto
un attimo prima anche Axl, ma nessuno sembrò darci peso.
«È una brava persona,
sai…» Duff provò a mediare, spostando il peso da una gamba all’altra mentre
incespicava con le parole a causa di tutto quello che probabilmente aveva
bevuto quella sera. Era un lampione imbarazzato, e la giovane non riuscì ad
evitare di sorridere a quel pensiero.
«Ma ogni tanto ha
bisogno di qualcuno che lo rimetta al suo posto. E Joey ha fatto benissimo,
bisognerebbe che prendeste spunto da lei qualche volta.»
Ah, Izzy. La voce della
verità. I Guns non sarebbero mai stati gli stessi se lui se ne fosse andato. Ma
quei pensieri erano ancora senza fondamento anche se con una certa dose di
preveggenza, e Joey avrebbe passato svariati giorni con il senso di colpa mesi
dopo, leggendo del suo abbandono. Ma, alla fine, era stato lui a metterle
quella pulce nell’orecchio, dicendo che gli altri avrebbero dovuto prendere
esempio da lei. Se n’era tirato fuori, ma forse erano tutti troppo fatti per
rendersene conto.
«Me ne vado» sbuffò
infine Slash, passandosi una mano sul viso. Forse mantenere i nervi saldi per
tutto quel tempo non era facile, forse aveva solamente bisogno di ritirarsi in
camera sua e sfogarsi come meglio credeva, nascosto agli occhi della gente.
«Non sfogare la tua
rabbia di stasera contro un muro – mormorò la giovane senza nemmeno rendersene
conto – Troppa gente conta sulle tue mani per provare dei brividi e sentirsi
viva.»
Il chitarrista
strabuzzò gli occhi, colpito da quelle parole molto più a fondo di quanto si
aspettasse, e, con un cenno del capo, si defilò. Matt andò con lui, salutando
tutti con la mano e un cenno del capo. Forse temeva che Slash si infilasse
nella camera di Axl per tendergli un agguato, o forse doveva semplicemente
pisciare e farsi una doccia.
Joey si voltò verso i
due rimasti, dopo aver osservato un po’ troppo a lungo tutti quei ricci andare
via. Inutile dire che Izzy e Duff se ne accorsero e, dalle loro facce, non sarebbe
dispiaciuto loro prenderla un po’ in giro. Il biondo, poi, moriva dalla voglia
di passare del tempo con il suo chitarrista, dato che ultimamente sembrava un
latitante e non aveva più l’occasione di scambiare con lui quattro chiacchiere.
Se, quella sera, le chiacchiere fossero state prendere un po’ per il culo una
ragazzina tanto simpatica, lo avrebbe accettato.
«I due gentiluomini
sono rimasti a farmi compagnia fino all’arrivo del taxi, immagino» li frenò con
un sogghigno, avviandosi alla panchina del bus più vicina dopo aver rapidamente
chiamato un taxi.
«Hai sentito, Izzy? –
sbuffò il biondo con fare disgustato, come se li avesse appena paragonati ad
una coppia di scimmie dal culo pelato – Ci ha dato dei gentiluomini.»
«Sì, cazzo – sbuffò
anche l’altro, accendendosi una sigaretta – Ora ci tocca esserlo davvero per
non deludere le sue aspettative. Le abbiamo già deluse a migliaia di persone,
stasera.»
«Non possiamo deludere
anche la piccola Joey» concluse Duff, posandole una mano enorme sul capo.
«La smettete di farmi
sentire una mocciosa? – sbuffò lei in risposta – Anche se apprezzo, non avete
idea di quanto, la vostra decisione di non sfottermi solo perché mi sono
imbambolata un attimo sul culo di Slash.»
«E non solo sul culo… e
non solo un attimo» mugugnò piano Izzy, nascondendo le labbra dietro il bavero
della giacca.
«Ehi – sbottò Joey –
Avevate detto che vi sareste comportati da gentiluomini.»
«Hai cominciato tu» si
difese il chitarrista. Ma la ragazza per tutta risposta gli rubò la sigaretta,
e non gliela ridiede più indietro, lasciando la rockstar a guardarla con
stupore sempre crescente.
«La vostra vita per
della nicotina» si giustificò, facendo spallucce all’occhiataccia che
ricevette.
I due Guns
ridacchiarono, scuotendo il capo, e con un gesto della mano Duff le indicò di
sedersi sulla panchina di fianco a loro.
«Come diavolo fai a non
essere sconvolta? – le chiese poi – Hai ventidue anni e ti sei trovata
praticamente nel bel mezzo dell’apocalisse. Hai un labbro spaccato, uno
squarcio nei pantaloni di pelle e tuo fratello ha rubato pistole e spranghe ai
poliziotti per ammazzare sei ubriaconi pieni di soldi che suonavano per più di
trenta dollari a persona.»
«Io non sono più un
ubriacone» puntualizzò Izzy serafico, facendo sorridere Joey.
«Forse il fatto di aver
passato del tempo con voi mi farà ritardare lo shock di questo casino; forse
fino a quando non mi troverò davanti mio fratello in manette non capirò fino a
che punto è arrivata la rabbia della gente… e comunque credo non sia giusto
distruggere una cazzo di arena solo perché il concerto è stato interrotto
mezz’ora prima, dio!»
«Facciamo anche tre
quarti d’ora – disse Duff – E comunque Axl è un prepotente, non è stato giusto
il comportamento che ha tenuto nei vostri confronti.»
«E anche nei nostri»
aggiunse Jeff, scuotendo il capo con amarezza. La prepotenza era proprio la
cosa che meno sopportava; anche lui aveva compiuto i suoi sbagli, ma non si
sarebbe mai permesso di fare come Bill. Il tizio che l’aveva infastidito non
era l’unico in quel cazzo di posto che aveva attraversato una cazzo di contea
per andare a sentire sei stronzi del cazzo. Quella sera il suo vaso era
pericolosamente vicino a traboccare, sarebbe bastata una goccia. Un’infima,
piccola ed insignificante goccia e sarebbe scoppiato il finimondo. Sapeva che
avrebbe dovuto calmarsi, ma anche l’idea che in quel momento Slash fosse di
sopra a bere come una spugna perché era l’unico modo che conosceva per sfogarsi
lo infastidiva, gli faceva male. Non capiva per quale motivo lui fosse riuscito
a crescere e soprattutto a capire la differenza tra giusto e sbagliato e gli
altri no. Continuava a ripetersi che avrebbe dovuto avere pazienza, che prima o
poi tutti ci sarebbero arrivati, eppure c’erano momenti in cui proprio non
riusciva a vederla in quel modo. C’erano momenti in cui anche lui era più
debole.
«Ad ogni modo non sarò
più qui con voi quando avrò questo famigerato crollo nervoso – li tranquillizzò
paciosa – Quindi non preoccupatevi, sarete di pessimo umore anche senza il mio
contributo.»
La sua calma li
contagiava, sembravano più rilassati vedendo il suo sorriso spensierato. Lei
non ce l’aveva con Axl per quel casino.
«Perché non ce l’hai
con Axl? – le chiese Izzy, passandosi una mano sul viso con aria stanca – Ha
anche rischiato di strozzarti, quasi, eppure continui a sorridere. Non ti ho
nemmeno vista versare una lacrima e chiunque l’avrebbe fatto.»
«Io non sono chiunque»
ammiccò divertita, mordendosi il labbro per non scoppiare a ridere. Ma subito
dopo sobbalzò, ricordandosi della ferita solo grazie al dolore che si era
inferta con i denti. Era anche una smemorata, forse per quello era così
tranquilla: aveva già dimenticato tutti gli avvenimenti di quella serata. Beh,
se non altro avevano la certezza che non portasse rancore, nemmeno a chi lo
meritava sul serio.
«E poi – continuò
incerta, alzando ed abbassando lo sguardo come se non sapesse bene quali parole
usare – Anche Axl è un essere umano. Ok, è stronzo, ma non si comporta così
solo per il gusto perverso di picchiare un fan e interrompere il concerto.
Probabilmente era già turbato, chissà…»
«Non tentare di capirlo
– le consigliò il biondo – Solo Izzy ci riesce, ma perché Izzy di fondo è un
pazzo squilibrato esattamente come il suo amico.»
«Ti rispedisco a
Seattle a calci in culo, hai capito caro il mio lampione?»
Joey rise di cuore,
passando le braccia attorno alle spalle di entrambi per attirarli a sé in un
abbraccio.
«Vi adoro – sospirò –
Siete delle persone normali, siete dei fottuti ragazzi come tutti gli altri e
non sapete quanto mi faccia piacere vedere che la fama non vi ha resi diversi
degli schifosi snob da quattro soldi.»
«Valiamo un po’ più di
quattro soldi, ragazzina.»
«Jeff, stai attento. Lo
sai che questa morde.»
Il loro momento
scherzoso venne però interrotto da una bottiglia scagliata con violenza contro
le sbarre di un balconcino, proprio dall’altra parte della strada. Proprio nel
loro albergo.
«Questo è Slash –
sospirò Izzy con impotenza – Se non altro l’ha lanciata piena quella bottiglia,
non ha pensato di vuotarla prima di scagliarla contro il balcone.»
«Vai da lui»
s’intromise Duff, indicando Joey con un eloquente gesto del capo, che fece
ondeggiare i suoi capelli biondi.
«Andiamo, ragazzi, si
deve sposare – la giovane tentò di opporsi, mentre anche il moro la spintonava
leggermente per farla alzare in piedi - Può prendere la sua ragazza come valvola
di sfogo.»
«Muoviti, si vive una
volta sola» la incoraggiò poi, lanciandosi uno sguardo d’intesa con il
bassista.
«E poi Renee non è
qui.»
«Stanza 161, una vita
per un’occasione» il chitarrista replicò con il numero della camera e riprese
anche quella frase che la stessa Joey gli aveva rivolto poco prima, quando gli
aveva sfilato la sigaretta dalle labbra.
Li guardò per un lungo
momento, senza nemmeno rendersi conto che era già in piedi. Sorrise per
ringraziarli, sembrò dire loro che avrebbe voluto abbracciarli e lasciare che
si sfogassero, perché ne avevano bisogno e lo si vedeva dagli occhi. Non disse
nulla, però, e si lanciò letteralmente di corsa alla volta della camera 161. Il
cuore le rimbombava nelle orecchie, ma, quando Slash venne ad aprirle, confuso
e arrabbiato, nulla di tutto ciò ebbe più importanza.
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Capitolo 3 *** III ***
III
«Joey – disse Slash con
voce stupita, vedendola lì in piedi fuori dalla porta della sua stanza –
Pensavo fossi andata a casa.»
«Sì, beh – la giovane
prese a gesticolare, cercando di spiegarsi senza balbettare. Era incredibile il
modo in cui l’ansia le attanagliava le viscere, fino a poco prima era
tranquillissima e invece in quel momento si sentiva più scema che mai – Stavo
aspettando il taxi con Izzy e Duff e poi hai scagliato quella bottiglia e…»
«Entra» la interruppe
con un sospiro, sorridendole a mezza bocca. Era come se non aspettasse altro
che quella frase, come se quel gesto fosse stato una malcelata richiesta di
aiuto… o forse una richiesta non celata e basta.
Joey sospirò a sua
volta per calmarsi, facendo poi come le aveva detto.
La stanza era piccola e
molto in disordine, ma probabilmente quello era un fattore tipico del genere
maschile. Altro che sesso forte, erano dei bambini quando si trattava di
mettere le cose a posto. E in tutti i sensi, altrimenti i grandi Guns N’ Roses
non sarebbero stati in quelle pietose condizioni. Però, a discolpa di Slash, in
quell’occasione doveva anche aver messo a soqquadro tutto nel tentativo di
calmare la furia cieca che lo invadeva da quando era successo quel fatto
nell’arena.
«Ho passato l’esame?»
le domandò divertito, vedendo il suo sguardo vagare per tutti gli angoli della
camera, fotografando e giudicando tutto nei minimi particolari.
«No! – sbottò
sovrappensiero, salvo poi portare una mano sulla bocca. Sentì le guance andare
a fuoco per la mancanza di rispetto nei suoi confronti, e lo guardò con gli
occhi sbarrati dallo sconvolgimento e dalla vergogna – Oddio scusami, ti prego!
È che vivo in casa con mio padre e i miei due fratelli, e loro sono davvero
disordinati. E ho il vizio di osservare tutto perché poi mi perdo nei mille modi
in cui potrei riordinare e…»
«Joey, stai calma»
Slash le arrivò di fronte, posandole le mani sulle spalle proprio come aveva
fatto lei poco tempo prima, e le si mozzò il respiro in gola.
Che diavolo le
prendeva?
Forse lo sapeva, ma non
le stava bene. Si era precipitata come un treno alla sua porta perché lui era
là che lanciava bottiglie contro la ringhiera del balcone, e anche perché Duff
e Izzy le avevano lanciato una sequela di occhiatine maliziose. E lei aveva
finito per crederci. Si aspettava qualcosa da un uomo che si sarebbe sposato
nell’arco di pochi mesi. Il massimo della vita per una ventiduenne, vero?
Doveva smetterla di
credere di poter lenire la sua rabbia solo perché… perché?
«Ti aspetti anche tu un
crollo nervoso da parte mia?» sbuffò infine, cercando di chiudere fuori tutti
quei pensieri sconnessi e terribilmente compromettenti che le stavano
affollando la mente. Sposato, lui si sarebbe presto sposato. Sarebbe
servito ripeterselo come un fottuto mantra? No.
«Ce l’ho avuto io, che
ormai a queste cose sono abituato – si giustificò Slash, indicando con un cenno
del capo il balcone su cui facevano ancora bella mostra i pezzi di vetro della
bottiglia infranta – Perché non dovresti averlo tu?»
«Ti risponderò con le
stesse parole con cui ho risposto a Izzy e Duff» gli disse e si schiarì la
voce, portando le mani sui suoi polsi per allontanarsi dalla sua presa ferrea.
Non aveva previsto, però, che le sue dita non rispondessero al cervello, perché
si ritrovò, senza sapere come, con i palmi a contatto con quelli del suo
chitarrista preferito. Dio, quelle mani.
«Sentiamo.»
«Forse il fatto di aver
passato del tempo con voi mi farà ritardare lo shock di questo casino, forse
fino a quando non mi troverò davanti mio fratello in manette non capirò fino a
che punto è arrivata la rabbia della gente e… – si interruppe, deglutendo
rumorosamente. Abbassò lo sguardo sulle loro dita intrecciate e sentì il cuore
perdere un battito. Cosa cazzo stava per dirgli? E perché non riusciva a
fermarsi? – …e forse le tue mani mi stanno facendo dimenticare il motivo per
cui sono finita qui.»
«Joey, io… – Slash
sospirò, posando la fronte contro la sua – Vado a farmi una doccia.»
La giovane inarcò un
sopracciglio, sorridendo a metà. Quella non era decisamente la risposta che si
aspettava, o forse se l’aspettava anche troppo. Cosa pretendeva? Magari che lui
le dicesse che sì, anche lei gli stava facendo dimenticare tutto quel casino e
che avrebbe voluto fare l’amore con lei? Neanche una bella scopata com’era nel
suo stile, no. Proprio fare l’amore.
Era una fottuta
ragazzina, ecco cos’era. Si era sempre considerata matura per la sua età, dopotutto
era dovuta crescere da sola senza una madre e con il solo aiuto di una squadra
di fratelli che proprio non le avevano insegnato nulla di femminile. Eppure in
quel momento come non mai capiva che, da qualche parte, era ancora una bambina.
Una bambina che voleva essere donna per quell’uomo che non avrebbe mai pensato
di riuscire a vedere così da vicino e che ora si stava elegantemente trincerando
dietro la porta del suo bagno perché lei aveva osato troppo e per giunta senza
alcun diritto.
«Non andartene, ok?» le
disse Slash, stupendola di nuovo. Aveva sciolto le dita dalla presa delle sue e
le aveva avvolto le mani a coppa intorno al viso. Le sue labbra erano così
vicine che, se si fosse sporta un po’, le avrebbe raggiunte senza nessun
problema. Era quello che avrebbe voluto.
E invece si limitò ad
annuire piano, come se avesse avuto paura che, con un movimento un po’ troppo
brusco, lui potesse cambiare idea. Ma non disse più nulla, le indicò il letto
su cui sedersi nell’attesa e si diresse con calma verso il bagno.
Effettivamente, forse
una doccia gli avrebbe fatto bene ai nervi e anche all’anima. E poi indossava
ancora i pantaloncini che aveva addosso anche durante il concerto. Una vampata
di calore percorse il collo di Joey fino a esplodere senza pietà sulle sue
guance all’idea che sotto non portasse la biancheria intima. Non ne aveva mai
fatto mistero, e un sacco di gente si scandalizzava per quello. Ma, dopotutto,
ognuno aveva le sue abitudini e tra le rockstar era pressoché di ordinaria
amministrazione. Se la stoffa dei jeans non dava fastidio a loro, perché
avrebbe dovuto indisporre la mente dei bigotti che li giudicavano così male?
Quando Slash tornò,
venti minuti e tanti ovattati pugni al muro più tardi, la trovò distesa sul suo
letto a pancia in giù che sfogliava distrattamente un numero di Rolling Stone
che nemmeno sapeva di avere. La osservò per un attimo, approfittando del fatto
che lei non lo stesse guardando. Era davvero bella e semplice, molto diversa
dalla bellezza ricercata e artificiosa di Renee, che pure gli era sempre
piaciuta. Lei sembrava non curarsi del suo aspetto, anzi. I suoi capelli erano
lunghissimi e pieni di onde ed erano dello stesso color nocciola dei suoi
occhi, in quel momento nascosti da un bosco di ciglia appena velate di mascara.
Lui guardava le tette nelle donne, ma quella ragazza aveva fatto la differenza
un’altra volta. Si sentiva irresistibilmente attratto dalle scaglie verdi nei
suoi occhi castani. E avrebbe dato un pugno a tutti i deficienti che dicevano
che gli occhi scuri erano anonimi e troppo comuni.
Merda.
Ora, però, non stava
più osservando il suo viso. No, le stava guardando il culo perché era un porco
immane e lei ci stava così bene sul suo letto, la curva che dalla schiena
portava ai glutei era così rotondeggiante che avrebbe solamente voluto
percorrerla con le labbra e stringerla tra le mani. Dio.
Si schiaffò una mano
sul viso, producendo uno schiocco secco che attirò l’attenzione di Joey.
«Da quanto sei lì?» gli
chiese incerta, gli occhi che vagavano ovunque per la stanza nel vano tentativo
di non guardare il suo petto pieno di goccioline.
Si trovavano nella
stessa situazione senza nemmeno saperlo, cercando di chiudere fuori
un’attrazione che li stava sopraffacendo. Che cazzo c’era in quella stanza al
posto dell’aria, così in grado di far mancare il respiro?
«Da adesso» mentì in
risposta, avvicinandosi fino a sedersi al suo fianco. Forse avrebbe dovuto
vestirsi, forse arrivare là con un asciugamano drappeggiato sui fianchi non era
stata un’uscita felice, soprattutto perché vederla con le guance imporporate e
il fiato corto lo accendeva come una miccia.
Allungò una mano fino a
sfiorarle il collo, le provocò una scarica di brividi e se ne accorse. Sarebbe
stato impossibile non farlo. Ma forse lei non aveva tentato di nasconderla, no,
lei si limitava a fissarlo con le labbra dischiuse, ad osservare la sua
espressione concentrata mentre seguiva con i polpastrelli dei segni che
sicuramente sarebbero parsi di dubbio gusto sulla sua pelle ambrata.
«Axl ti ha lasciato i
segni» disse piano, alzando lo sguardo fino ad incontrare i suoi occhi grandi e
spalancati, come se così facendo potesse guardare più cose contemporaneamente...
o forse solo lui, ma più a fondo. Era davvero troppo bella e lo era
senza saperlo. Forse proprio quello era il motivo per cui lo era ancora di più.
Joey non rispose, si
limitò ad emettere un sospiro tremulo, e subito dopo il suo petto si alzò di
nuovo. La stoffa del top che indossava si tese sul suo seno, catturando
l’attenzione di Slash. Non si era nemmeno accorto della scritta che campeggiava
sul cotone bianco: Wanna be your Paradise City.
Forse fu quella la
goccia che fece traboccare il vaso, eppure sentì ogni difesa lacerarsi, il
controllo del suo corpo venire meno senza pietà.
«Sono un coglione» fu
l’unica cosa che riuscì a dire prima di lanciarsi sulle sue labbra morbide che
lo chiamavano dal primo momento in cui i suoi occhi l’avevano focalizzata.
Realizzò in quel momento che avrebbe voluto intrappolarla contro quella porta
da cui era sbucata all’improvviso all’arena di St. Louis, trafelata e sconvolta,
e farla sua anche lì.
Forse avrebbe dovuto
trattenersi, fermarsi, magari lei era più sconvolta di quanto desse a vedere e
lui avrebbe dovuto comportarsi in un modo un po’ più responsabile, magari anche
tentare di essere più fedele a Renee e fingere almeno di ricordare che si
sarebbe sposato a breve. Ma non ci riuscì, evidentemente, perché in un momento
si ritrovò steso sopra di lei, sul letto. Le sue mani non smettevano un attimo
di immergersi nei suoi capelli e di carezzargli febbrilmente la schiena e
realizzò che no, non ne aveva per la testa di essere sconvolta.
Il suo sospiro eccitato
fu come musica per le sue orecchie e si sentì preso da una frenesia
incontrollabile. Le morse il labbro inferiore ma si pietrificò, sentendola
gemere di dolore.
Si era completamente
dimenticato della sua ferita. La guardò, per controllare il danno che aveva
combinato, e la vide sfiorarsi la bocca con le dita. Ritrasse la mano e i
polpastrelli erano bagnati di sangue, ma tutto quello che riuscì a fare fu
alzare lo sguardo e sorridergli colpevole, come se fosse dipeso da lei.
Slash scosse il capo,
chiudendo le labbra attorno al suo dito. Fece guizzare la lingua sulla sua
pelle fino a sentire il sapore metallico del sangue, e fece lo stesso con il
suo labbro inferiore. Lo succhiò piano, stando attento a non farle più male di
quanto le avesse fatto fino a quel momento.
Joey lo guardava
perplessa, ma non parlò nemmeno quella volta. Continuò a tenere la bocca
socchiusa, quasi invitandolo a continuare, a non azzardarsi a smettere. E se
poi lo guardava con quegli occhi…
«Fermami se ti faccio
male» sospirò tremante, baciandola di nuovo.
Si era arreso, ecco. Lo
aveva detto. Però si era dimenticato di informare quella ragazzina che non era possibile
fermarlo, quando era così preso. E, come se non bastasse, ne era passato di tempo
dall’ultima volta in cui qualcuna lo aveva preso così tanto.
Ad ogni modo, sembrava
proprio che Joey non ne volesse sapere di starsene ferma. Non le importava di
provare dolore, visto che continuava a provocarlo senza nemmeno rendersene
conto. Continuava ad alzare il bacino allo stesso ritmo delle loro lingue che
si intrecciavano, e quando le sue anche entravano in contatto con i fianchi di
Slash, solamente coperti da un asciugamano, era come ricevere una scarica
elettrica. Si sentiva come se la bestia che era in lui si stesse risvegliando
sempre di più, e temeva che presto non ci sarebbe stato più modo per tornare
indietro. L’aveva già pensato svariate volte, eppure in quel momento stava davvero
raschiando il fondo del barile.
«Ti voglio» rantolò
infine, il fiato corto per tutti quei baci profondi e prolungati.
Joey ammiccò, inarcando
un angolo della bocca. Sembrava quasi che lo guardasse con aria di
compatimento, come se le avesse detto un’ovvietà. Beh, probabilmente lo aveva
fatto, visto che la sua erezione premeva contro il suo interno coscia da un bel
pezzo.
«Allora prendimi.»
Non avrebbe dovuto
dirlo, no. Non credeva che fosse possibile, ma sentì la ragionevolezza
abbandonarlo del tutto, nonostante fosse convinto di averla già persa tempo
prima. Una piccola parte di lui, che presto venne oscurata dal desiderio,
realizzò che non sarebbe stato per niente carino con la piccola Joey. Ma,
dopotutto, l’aveva voluto lei.
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Capitolo 4 *** IV ***
IV
La mente di Slash non
era molto connessa, in quel momento. Anzi, non era connessa affatto. E, almeno
per una volta, non era colpa della sua adorata bottiglia di Jack Daniel’s e
nemmeno di droghe varie con cui continuava a giocare, no. Era tutto merito di
una ragazzina di cui non sapeva assolutamente nulla se non il nome e l’età… e
la sua bravura fottuta ad utilizzare quelle maledette labbra invitanti solo con
l’intento perverso di portarlo alla pazzia. Non che gli dispiacesse, in ogni
caso.
Poco prima di tuffarsi
su di lei ricordava di aver pensato che non sarebbe stato affatto carino, dolce
o gentile. Voleva solamente possederla e nulla l’avrebbe fermato da quello
scopo, sarebbe andato avanti con una determinazione che non aveva più da tempo
in molti aspetti della sua vita, a cominciare dalla band per poi finire nel suo
futuro matrimonio. Ma non poteva sapere quanto lei stessa fosse molto diversa
da come appariva, quasi l’opposto. Non poteva sapere che sotto quella scorza da
brava ragazza, quasi timida, si nascondesse una pazza squilibrata con il
peperoncino al posto del sangue. Sì, perché in quel momento, dopo averla già
presa una volta e averle dato piacere per un’ora senza lasciarle quasi il tempo
di respirare, lei si stava vendicando in tutti i modi possibili. Il metodo che
stava adottando in quel momento era semplice, la sua lingua gli lambiva tutto
l’addome, curiosa ed esploratrice. Le piaceva particolarmente intrufolarsi nel
suo ombelico e vedere la sua pelle riempirsi di brividi.
«Hai un buon sapore»
gli sussurrò all’orecchio, quando decise che per il momento era abbastanza.
«Sono sudato.»
«Sì – annuì divertita,
carezzandogli una guancia con fare pensieroso – E sei salato. Mi piace.»
Slash vide il suo
sguardo color nocciola incupirsi leggermente, come se un’ombra vi fosse passata
senza preavviso. Joey rimase per un momento imbambolata sui suoi occhi, per poi
scuotere appena percettibilmente il capo e tornare a baciarlo con irruenza.
Tutto sommato non aveva
una bella considerazione di lui, se pensava che fosse così facile fargli
dimenticare l’oggetto del discorso. Beh, ok, non aveva mai fatto niente per
smentire quello che la gente pensava di lui, però non metteva in dubbio il
fatto che anche lei lo stesse sottovalutando. E decisamente non aveva mai
creduto di poterla equiparare, in generale, alla “gente”. Era più sveglia, più
coraggiosa, più… vera.
«Ehi – le disse infatti
il chitarrista, sfiorandole piano la schiena con i polpastrelli mentre si
allontanava dalle sue labbra voraci – Cos’è successo?»
«Niente, io…» gli
rispose, ma s’interruppe a metà, facendo per mordersi il labbro e ricordandosi
subito dopo che forse era meglio non farlo.
Slash si tirò a sedere
di scatto, prendendo il volto della ragazza tra le mani. Merda, lui non era
bravo a fare la persona sensibile, si sentiva terribilmente impacciato, come un
pesce fuor d’acqua. E, come se non fosse bastato quello, la situazione surreale
in cui si trovavano non era affatto credibile: Joey era seduta a cavalcioni su
di lui, che palesemente eccitato, o forse erano eccitati entrambi, ed entrambi
erano senza un vestito addosso. La stabilità che la sua mente avrebbe dovuto
avere non era poi così tanta. Anzi, non c’era nessuna stabilità su cui fare
affidamento.
«Joey, cosa c’è che non
va? – insistette – Non sono un mostro di sensibilità, e per essermene accorto
anche io allora vuol dire che è palese. Cosa c’è?»
La giovane prese un
sospiro profondo, alzando poi lo sguardo verso la finestra. Era rivolta ad est,
e il cielo sembrava già essersi schiarito all’orizzonte, in quelle ore incerte
che precedono l’alba.
«È quasi mattina»
mormorò incerta, abbassando poi lo sguardo su Slash, osservando come la sua
espressione prendesse la forma della comprensione in breve tempo.
Fu tentato ugualmente
di risponderle con una battuta, perché non avevano dormito affatto durante la
notte e, a ben pensarci, avevano fatto qualcosa di molto migliore rispetto ad
un pisolino riposante. Però la consapevolezza di ciò che la sua frase
significava lo colse impreparato, colpendolo con la stessa forza di un calcio
nel ventre. Il mattino rappresentava il domani, e domani lei sarebbe dovuta
tornare alla normalità. Anche lui sarebbe dovuto essere di nuovo se stesso.
Sarebbe tornata ad essere Renee la donna che gemeva nelle sue orecchie e
sarebbero state sempre le labbra di Renee a baciarlo. Beh, ovviamente con tutti
gli extra della sua corista e di chi capitava. Ma non ci sarebbe più stata Joey
lì con lui.
Sarebbe stato lo
stesso?
No, non lo sarebbe
stato. E non era nemmeno una prospettiva così allettante, soprattutto dopo aver
conosciuto quel piccolo vulcano di St. Louis che in quel momento stringeva tra
le braccia e gli faceva provare dei brividi che non ricordava di aver provato
da un bel pezzo.
Eppure non era da lui
pensare al futuro, fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Lui no, lui
viveva il presente perché il “per sempre” lo lasciava a quelle checche
isteriche in calzamaglia azzurra che salvavano le principesse senza un minimo
di sex appeal. Non avrebbe mai voluto essere uno squallido principe azzurro.
Lui era un uomo reale, vero, pieno di casini e in grado di provare dedizione
verso la musica e nient’altro. E in quel momento aveva tra le braccia una
giovane donna piena di vita, che gli sembrava un tesoro prezioso, una fonte
inesauribile di emozioni… che però lui non avrebbe più provato. E allora non
era poi così inesauribile, perché presto sarebbe finito tutto e sarebbero
tornati entrambi alle loro solite vite senza brividi. Quindi avrebbero dovuto
solamente godere l’uno dell’altra lasciando da parte tutte le paranoie, perché
il tempo scorreva e non faceva sconti a nessuno.
«A domani ci penseremo
domani – le disse con sicurezza, chiudendo ancora una volta le mani a coppa
sulle sue guance morbide – Adesso è da vivere, non ci saranno altre
opportunità… e poi non lo sai che le occasioni non si sprecano mai?»
Joey dischiuse
leggermente le labbra, stupita dalla profondità del discorso che quello che
appariva come un musicista alcolizzato, ma che per quelli come lei era sempre
stato molto, molto di più, aveva saputo tirare fuori. E si stupì a pensare
quanto avesse ragione, quanto fosse stata stupida a farsi bloccare da una paranoia
del genere. Dio, si sentì per l’ennesima volta una bambina.
E allora, per farsi
perdonare quell’ondata di tristezza fuori luogo, annuì con calma un paio di
volte e si tuffò di nuovo su di lui, pronta a dimostrargli quanto fosse
determinata a spremere ogni momento per avere il massimo di quello che il
destino le presentava davanti.
«Così ti voglio, piccola»
Slash sorrise sulla sua bocca pronunciando quelle parole, ma quando la vide
mordersi un labbro in un moto di imbarazzo, stando bene attenta al taglio che
lo deturpava, non capì più nulla un’altra volta. Aveva deciso che l’avrebbe
fatta stare sopra, per vederla muoversi e per lasciare che si prendesse da sola
quello che si erano dati durante l’amplesso precedente, ma quella visione fu
troppo anche per lui. Sentì di nuovo la bestia montare in carica dentro al suo
petto e prendere pieno possesso del suo corpo. Prima che potesse anche soltanto
accorgersene, si ritrovò a ribaltare le posizioni per schiacciare il corpo di
Joey tra il suo e il materasso. Di nuovo, perché non ne aveva mai abbastanza.
Lei lo guardò
boccheggiando, stupita da quell’improvviso scatto felino. Un lampo di biasimo
attraversò i suoi occhi da cerbiatta, probabilmente per aver visto sfumare
un’altra volta il suo proposito di ricambiare tutto il piacere che le aveva
dato fino a quel momento. Ma la lussuria spropositata nello sguardo di Slash la
fece desistere, realizzando che, dopotutto, il piacere era capace di
prenderselo da solo e con molta probabilità ci sapeva fare anche meglio di lei.
Anzi, era una certezza data da quel tempo che aveva passato stretta tra le sue
braccia.
E infatti fu proprio
quello che fece. Erano già nudi, non c’era bisogno di qualche insulso preliminare
per togliersi i vestiti, e a essere onesti non c’erano stati fronzoli nemmeno
prima. Ma, quando Slash entrò in lei con un’unica potente spinta, riuscì comunque
a strapparle un urlo strozzato, mentre con le dita si aggrappava alle sue
spalle.
«Ti ho fatto male?» le
chiese allarmato, parlando con le labbra contro la pelle del suo collo, proprio
sui segni violacei che avevano lasciato le dita di Axl poche ore prima.
«No – rispose, spostando
una mano fino a stringere i capelli di Slash alla base del collo – Non ancora.»
«Non pensarci» mormorò
di nuovo, abbassandosi poi a baciarle le labbra con una strana dolcezza.
Joey si sentì una
stupida insulsa bambinetta, per l’ennesima volta in quella notte: gli aveva
promesso che avrebbe smesso di piangersi addosso e invece lo stava facendo
ancora. E dire che non era da lei continuare a rimuginare. Anzi, piuttosto il
contrario. Adorava i colpi di testa, adorava prendere decisioni affrettate seguendo
l’istinto, così come aveva fatto quando poi suo fratello le aveva rotto il
labbro e anche come aveva fatto quando Izzy e Duff l’avevano incoraggiata a
raggiungere Slash. E, di nuovo, quando l’aveva baciata e lei non si era tirata
indietro. In una sola serata aveva compiuto più atti sconsiderati di quanti una
persona riflessiva e ponderata avrebbe mai fatto in tutta la sua vita, eppure
in quel momento stava rimuginando.
Fortuna volle che a
contatto con la sua pelle ci fosse quella bollente della rockstar, o chissà
dove i pensieri l’avrebbero portata. Fu il suo calore a mantenerla lì ancorata
al presente, alle ondate di piacere che sentiva liberarsi dal suo ventre.
«Slash» ansimò senza
voce, sentendo le sue spinte farsi sempre più rapide e profonde.
Non era poi così
esperta, aveva avuto due o tre ragazzi, ma non aveva mai provato un piacere
così. Sembrava che il suo modo di amare, di prendere e di dare, fosse
potente come la sua musica, che si imponesse sul corpo e nell’anima con la
stessa decisione, lasciando poi lo stesso tormento alla fine di tutto.
Lo pensò anche mentre
raggiungeva l’orgasmo e, alcuni minuti più avanti, quando lo raggiunse anche
lui. Non erano venuti insieme, solo le coppiette sdolcinate si vantavano di
raggiungere il culmine del piacere nello stesso istante. Non accadeva mai, ed
era giusto così. Era giusto che Slash la guardasse gemere travolta dalle
sensazioni ed era giusto che, una volta ripresasi, potesse guardare lui
stringere le labbra e inarcare le sopracciglia per poi svuotarsi in lei,
fisicamente e, lo sperava, anche metaforicamente.
Certi spettacoli non
andavano persi, soprattutto se non ci sarebbe più stata occasione per vederli
ancora.
Un altro di quegli
spettacoli irripetibili era vedere Slash dormire, rilassato e sprofondato nel
cuscino, le labbra dischiuse e i capelli sparsi sulle lenzuola e sugli zigomi.
Era bellissimo.
Joey ci pensava da
parecchio, ed era giunta alla conclusione che se fosse rimasta un solo minuto
di più sarebbe finita a piangere per almeno un anno. Avrebbe passato dodici
mesi della sua vita, cinquantadue settimane, trecentosessantacinque giorni, a
piangere perché non aveva saputo dire basta, perché aveva voluto di più e quel
di più aveva comportato dei rischi, che immancabilmente si erano verificati. Si
sarebbe innamorata. Non si poteva non amarlo, e lo pensava con ogni fibra
del suo essere mentre gli sfiorava una guancia, scostando un riccio ribelle che
gli copriva gli occhi.
Non aveva mai
apprezzato la nera profondità del suo sguardo, aveva sempre visto palpebre
socchiuse per il troppo alcol o per il troppo chissà cosa. E invece no,
anche i suoi occhi parlavano, così come le sue mani.
Al diavolo, doveva
andarsene di lì.
Si alzò con un sospiro
frustrato, raccattando la maglietta su cui aveva fatto scrivere quella frase sfacciata.
Wanna be your paradise city. Chissà se l’aveva notata… beh, in ogni caso
non avrebbe potuto chiederglielo, perché se ne sarebbe andata prima che si
fosse svegliato.
E poi, era così illusa
da voler essere la sua Paradise City? Era davvero una bambina, se
pensava ancora a quelle cazzate.
«Joey.»
Cazzo! Perché non
poteva funzionare? Perché non poteva fuggire da quegli occhi neri come la pece
e basta? No, lui doveva svegliarsi e violentare la sua forza di volontà. Dio,
stava già male a pensare che non l’avrebbe mai più rivisto. Bambinetta,
aveva ragione Axl.
«Ti ho già detto di non
andartene» le disse ancora, la voce impastata dal sonno ma al contempo decisa.
Quasi morbida, così discordante dal suo aspetto selvaggio.
Joey strinse le labbra.
Avrebbe voluto mordersele ma aveva già sperimentato poche ore prima proprio grazie
a Slash che non sarebbe stato affatto salutare. Il taglio si sarebbe messo di
nuovo a sanguinare e lui l’avrebbe baciata ancora per fermare la piccola
emorragia. E poi addio alla sua fuga ingloriosa.
«Abbiamo una settimana
di pausa fino alla prossima data, rimarremo qui a Chicago – continuò lui,
apparentemente incurante della sua schiena rigida e del suo silenzio – E la mia
camera è abbastanza grande per due persone.»
Strinse la maniglia
fino a farsi sbiancare le nocche, ma poi mandò tutto al diavolo. Si sarebbe
innamorata, lo sapeva. Sentiva già nel sangue quei suoi grandi occhi neri che
sapevano prendere e sapevano dare.
E avrebbe sofferto. Ma
le importava? Doveva vivere il presente, al domani ci
avrebbe pensato… beh, domani.
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