Now is not forever

di Chara
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


DISCLAIMER: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere dei componenti dei Guns N’ Roses, né offenderli in alcun modo.

 

 

 

Now Is Not Forever

 

 

 

I

 

 

 

St. Louis, 1991

Non era niente di nuovo: Axl aveva preso l’abitudine di arrivare in ritardo e tutti i concerti iniziavano in quel modo, con un pubblico incazzato che avrebbe sfogato tutta la rabbia cantando insieme a loro. Perché erano grandiosi; nonostante tutti i casini, sul palco erano il fuoco, e nessuno li avrebbe mai superati – non in quello, almeno.

Eppure qualcosa andò storto quella sera, perché Axl se n’era appena andato con un diavolo per capello e a quanto sembrava non era per nulla intenzionato a ritornare. Gli altri continuarono a suonare per un po’, ormai fin troppo bravi a riempire gli spazi morti. Ma quanto sarebbe durato il supplizio quella volta? Axl sembrava davvero determinato a non tornare indietro.

Duff lanciò un’occhiata al tizio con la macchina fotografica che aveva scatenato tutto. Non gli sembrava così grave. Be’, ad ogni modo, quell’affare non c’era più: quel che rimaneva erano solamente dei pezzi distrutti – più o meno come il suo naso, che continuava a sanguinare. Slash intercettò lo sguardo di Duff e, scuotendo il capo, bloccarono a metà le note di Rocket Queen, mollando gli strumenti dove capitava per andarsene dietro le quinte.

Fanculo al riempire gli spazi morti. Fanculo al parare il culo di Axl.

Era troppo umiliante rimanere lì e non sarebbe servito a nulla se Doug avesse continuato ad assecondare Axl senza tentare minimamente di infilargli un po’ di sale in zucca. A ben pensarci, lo pagavano proprio per quello, e la sua negligenza raggiungeva ogni giorno livelli sempre maggiori.

Rinchiusi nel camerino come dei carcerati, nessuno diceva niente, si limitavano a guardare a terra e a fumare senza sosta, come se la nicotina potesse calmare l’angoscia e la delusione che sentivano dentro. Erano un ammasso di disperati, si godevano la vita e tutti i vizi che essa aveva da dispensare, rendendoli spesso più un bisogno che un superfluo, ma sul palco erano sempre stati dei grandi a suonare e a dare al pubblico tutti i brividi che guadagnavano di diritto una volta comprato il biglietto. Lo avevano fatto anche quella sera, naturalmente prima che Axl desse di testa.

Tuttavia sembrava che anche la platea avesse deciso di esplodere come un dannato vulcano. Si sentivano colpi ovunque, urla, schiamazzi, insulti e botte. Forse era già arrivata la polizia ad aumentare il casino, o forse si era solamente aperto il pavimento ed era salito l’inferno in terra. A ben pensarci era quasi assurdo, perché probabilmente all’inferno ci sarebbero finiti anche loro solamente per tutte le ragazze che si erano scopati in nemmeno trent’anni di vita. E per la droga, e per l’alcol, e per non avere mai avuto le palle di dire al proprio cantante di darci un taglio. E per la delusione che avevano provocato in quelle decine di migliaia di persone che non avevano ottenuto i brividi che avevano richiesto. C’era ancora speranza?

Se anche Axl fosse ritornato, sarebbe valso a qualcosa tornare sul palco o sarebbero solamente riusciti a farsi ammazzare?

“Torniamo sul palco.”

Axl era tornato per davvero, ma Slash ebbe un moto di rabbia che riuscì a stento a trattenere. Non era facile farlo arrabbiare, ma lui ci riusciva ogni cazzo di volta con il suo comportamento che calpestava il rispetto di chiunque nel raggio di chilometri. Sì, perché prima faceva il cazzone e poi pretendeva di sistemare tutto facendolo passare come un enorme gesto di generosità, ma non sarebbe servito a nulla quella volta. St. Louis era troppo incazzata, avrebbero preferito tagliare la testa a tutti e portarsela a casa per rimborsare il costo del biglietto piuttosto che sentirli di nuovo suonare.

Questo non impedì loro di provarci ugualmente; giunsero fin dietro le quinte e scoprirono di essere bloccati là. La folla aveva preso possesso del palco e aveva distrutto tutti gli strumenti. Le chitarre, le tastiere, le pelli, gli amplificatori… tutto distrutto. Distrutto come la loro dignità, come la speranza.

E si guardarono negli occhi con sgomento sempre maggiore, capendo che non avrebbero più potuto rimediare questa volta. Forse avrebbero dovuto cominciare a pensare a come mettere in salvo le loro chiappe milionarie.

Improvvisamente una porta si aprì, lasciando intravedere enormi risse scoppiare violentemente e ininterrottamente, come fossero una sola. Forse erano una sola. Una ragazza sbucò dal nulla, gli occhi sbarrati e un labbro sanguinante. Chiuse l’anta alle sue spalle, appoggiandosi ad essa come se con il suo peso minuto avesse potuto trattenere la furia cieca che si stava scatenando dall’altra parte. Sbatté gli occhi scuri con incredulità, forse non aspettandosi di trovarli così facilmente. Forse credeva che se la fossero già data a gambe, e avrebbero fatto decisamente meglio.

“Dovete andarvene subito,” ansimò terrorizzata, dopo aver passato svariati secondi piegata in avanti nel tentativo di recuperare fiato. “Dei ragazzi hanno rubato pistole e spranghe ai poliziotti e vogliono venirvi a cercare.”

“Cosa?” allibì Doug Goldstein, sbiancando di colpo come se la folla incazzata fosse stata una cosa non legittima. Li avevano fatti esplodere loro, li aveva fatti esplodere lui, per dio! “Devo portarvi via di qui. Forza, andiamo.”

Prese Axl e Dizzy per un braccio, e con un cenno del capo intimò agli altri quattro di seguirlo. Tuttavia Slash non si mosse, guadagnandosi le occhiatacce del manager, che indurì la mascella e fece per replicare, ma il Slash lo precedette.

“Lei viene con noi,” decretò, serio come poche altre volte l’avevano visto.

“Sei pazzo?” sbottò di nuovo Doug. “Non abbiamo tempo adesso di stare a seguire i tuoi ormoni, Slash, qua vogliono farvi fuori!”

Slash però scosse il capo, non potendo e non volendo credere che un uomo così sveglio come lui, che per anni si era barcamenato nel loro entourage, che era arrivato dove stava proprio grazie al suo cervello, non capisse una cosa tanto semplice.

“Come fai a sapere che ci stanno cercando?” domandò alla ragazza, ancora spalmata contro la porta bianca che celava l’apocalisse. Era una domanda retorica, lei lo capì e spiegò guardando Doug.

“Mio fratello,” sillabò impaurita, sfiorando con la lingua il taglio che deturpava il suo labbro inferiore. “Lui è tra quelli che hanno rubato le armi.”

“E non credi che sarebbe in pericolo se la lasciassimo qui?” ringhiò di nuovo Slash, prendendola per un gomito con forse un po’ troppa foga, ma la delicatezza in quel momento così teso non era di certo la sua priorità. Dovevano andarsene di lì e dovevano portare via quella ragazza.

“No, ehi…” lei tentò di intromettersi, senza però risultare particolarmente convincente. “So cavarmela.”

Peccato che nessuno dei presenti sembrasse davvero interessato ad ascoltarla o a prendere in considerazione il fatto che, se era riuscita a trovarli, allora poi così stupida non doveva essere. E, soprattutto, se li aveva trovati lei, nulla avrebbe impedito anche ad altri di farlo.

“Chi mi dice che non stia facendo tutto questo solo per scoprire dove andremo e farsi poi seguire?”

“Se davvero fossi così meschina, come evidentemente sei tu, altrimenti non avresti proprio potuto escogitare un ragionamento tanto perverso, ti assicuro che sarei riuscita a evitare di farmi spaccare il labbro da un membro della mia famiglia,” sbottò la diretta interessata, allibendo tutti e guadagnandosi la stima silenziosa di qualcuno tra i presenti.

“Mi sembra ragionevole,” sorrise di nuovo Slash, allentando un po’ la presa sul suo gomito senza però lasciarla andare del tutto. Sembrava più soddisfatto e anche più tranquillo, certo che ormai nessuno avrebbe potuto impedirgli di portare con loro quella piccoletta. Non voleva sulla coscienza anche la vita di una ragazza che, per di più, li aveva avvertiti del pericolo che correvano.

“D’accordo, andiamo,” cedette infine Doug, facendo segno al gruppo di seguirlo.

La giovane roteò gli occhi, rassegnandosi all’idea di dover andare con loro e lasciò che la mano di Slash la guidasse fino a destinazione. Cercò di guardare i lati positivi della faccenda, ovvero il fatto che avrebbe passato del tempo con i suoi adorati Guns N’ Roses. Gli stessi Guns N’ Roses che, però, avevano anche provocato tutto quel casino, nonostante la colpa fosse imputabile solamente a uno di loro e solamente in parte.

Un furgoncino della polizia li aspettava con il motore già acceso e pronto a scattare diretto verso chissà dove non appena tutti fossero saliti.

L’atmosfera era tesa, nessuno parlava. Slash guardava fuori da un finestrino oscurato, Axl faceva lo stesso, ma dalla parte opposta della vettura, e il silenzio era così pesante che un coltello l’avrebbe tagliato senza difficoltà. Ad un certo punto, con un sospiro esasperato, Izzy parlò.

“Come ti chiami?” chiese alla ragazza e lei, dopo essersi guardata attorno un momento e aver capito che l’unica sconosciuta in quel posto era lei, spostò lo sguardo su Izzy.

“Joey,” mormorò incerta, le labbra appena dischiuse. Si era pulita il taglio poco prima ma, se avesse teso troppo la pelle, avrebbe ricominciato a sanguinare e avrebbe dovuto rifare tutto da capo. Non faceva particolarmente male, ma era una vera seccatura.

“E quanti anni hai?” domandò anche Matt, sorridendole sghembo. Lui era il più vecchio dei Guns, in quel momento, ed era anche il più grosso. Si sentiva un po’ troppo grosso vedendo lei, che era così piccola e sembrava anche tanto giovane. Una ragazzina, ecco.

“Ventidue.”

Axl sbuffò, facendo sentire la sua presenza per la prima volta. “Un’altra bambinetta.”

“Una bambinetta che ti ha salvato il culo, cara la mia primadonna,” sbottò alterata per mordersi un labbro subito dopo, infischiandosene della ferita che, in un attimo, riprese immancabilmente a sanguinare. Aveva esagerato.

Anche Axl dovette pensarla allo stesso modo, perché si voltò verso di lei e, allungando un braccio fino ad avvolgerle le dita intorno al collo, la inchiodò al sedile in pelle dell’auto. Joey aveva di nuovo gli occhi sbarrati e la sua paura aumentò ancora una volta intercettate le iridi verdi di Axl, che nella penombra dell’abitacolo sembravano quasi nere. Avrebbe dovuto contare fino a dieci prima di aprire la bocca, soprattutto dopo aver visto cosa aveva combinato a quel tizio con la macchina fotografica e il casino che ne era seguito. Ma lei era fatta così, prima faceva e poi pensava. Era successo lo stesso anche quando era scappata via dall’inferno che stavano organizzando i suoi amici solo per avvertire i Guns; in quel momento non le era importato nulla di suo fratello, aveva solamente dovuto assicurarsi che quei disgraziati che tanto amava rimanessero sani, salvi e cazzoni come sempre. Suo fratello probabilmente le avrebbe spaccato anche il naso, oltre al labbro, non appena l’avesse rivista, ma non aveva proprio potuto fare altrimenti.

“Che cazzo fai?” sbottò Slash, vedendo che Joey iniziava a boccheggiare e a divincolarsi. “Lasciala andare, non vedi che la soffochi?”

“Bill,” la voce di Izzy era bassa, ma vibrava di tensione. Anche lui era infastidito per il comportamento di Axl, non poteva che essere così. E in quel momento, con la mano attorno al polso di Axl, che a sua volta stringeva la gola della ragazza che aveva salvato a tutti la vita, forse nessuno avrebbe dovuto farlo arrabbiare più di quanto non fosse già. Mai fare arrabbiare Izzy, era pericoloso. Avrebbe potuto andarsene da un momento all’altro.

“Bill, lasciala,” ripeté di nuovo, stavolta con più decisione. E Axl, incredibilmente, lo ascoltò. Mollò la presa e si voltò verso il finestrino senza più muovere un muscolo. Fino a destinazione nessuno vide più i suoi occhi o sentì la sua voce. Era come una statua.

“Ti rimarranno i segni,” stava dicendo Slash, sfiorando piano la pelle di Joey dove facevano bella mostra delle strisce rossastre. Lei portò una mano sulla gola, come a tastare la zona dolorante, e intercettò per sbaglio le dita di Slash.

Le si mozzò il respiro in gola e, alzando lo sguardo, incontrò i suoi occhi scuri e caldi. Perché avrebbe dovuto negare a se stessa il brivido che l’aveva scossa?

Ma, dopotutto, era normale. Amava le sue mani, le amava perché erano miracolose, perché la musica che riuscivano a creare le faceva battere il cuore come null’altro avrebbe mai potuto fare, e toccare le sue dita era qualcosa che nemmeno nei suoi sogni più inverosimili era arrivata a pensare di riuscire a fare.

Matt si schiarì la voce, strappandoli a quello strano gioco di sguardi che non erano nemmeno sicuri di quando fosse cominciato. Joey si voltò verso Matt, scoprendolo con il volto verso il basso e un sorriso appena accennato. Sembrava particolarmente intento ad osservare le cuciture dei suoi pantaloni e si sentì come colta in flagrante, perché sapeva che tutti dovevano essersi accorti di come si fosse imbambolata davanti agli occhioni del suo chitarrista preferito.

Così arrossì, ringraziando il buio della sera che riuscì a nascondere il misfatto.

E poi, Slash si doveva sposare con quella tizia… Renee. Non ricordava che faccia avesse, lui non si mostrava troppo spesso con lei in pubblico. Chissà, forse si vergognava.

Ah, ma che stronzate. Come poteva vergognarsi della sua futura moglie? Se aveva deciso di sposarsela doveva pur esserci un motivo, sempre che lei non l’avesse costretto. Ah, cazzate. Aveva sentito dire che Slash odiava fare cose che gli venivano imposte, e quindi quella Renee non sarebbe mai riuscita ad obbligarlo… doveva esserne innamorato, sì.

“Siamo arrivati.”

 

 

*

 

 

 

A/N: l’introduzione è presa dalla biografia di Slash. Ho cercato di inserire la storia tra gli eventi, senza alterarli, quindi si svolgerà tutto in pochi giorni.

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Capitolo 2
*** II ***


II

 

 

 

La voce di Doug, che annunciava l’arrivo a destinazione, sembrò quasi fendere il buio silenzioso che avvolgeva il gruppo, e strappò Joey ai suoi pensieri sconnessi su Slash e la sua futura moglie. Come diavolo le saltava in mente di pensare certe cose?

Così, per riprendersi, sbatté gli occhi e realizzò di essersi incantata sul ginocchio di Duff. Grazie a dio non era quello del chitarrista che sedeva al suo fianco, o chissà cosa si sarebbe inventato Matt per riscuoterla da quella fissa. Magari l’avevano scambiata per una psicopatica…

«Grazie per avermi portata via di là» si obbligò a dire, nonostante non fosse poi così entusiasta di trovarsi da sola tanto lontana da casa da essere addirittura al di là del confine del proprio stato.

«Figurati – sbuffò il manager, continuando a guardarla con quell’aria di superiorità molto simile a quella che aveva anche lo stesso Axl, soprattutto in quel momento mentre si allontanava verso la sua stanza senza minimamente degnare gli altri di uno sguardo o un saluto… o delle scuse, che sarebbero state molto più gradite, soprattutto a Joey che ancora credeva in quel gruppo – Dovere.»

Certo, se fosse stato per lui l’avrebbe lasciata in quel casino a farsi macellare da pistole e spranghe di una mandria di rockettari imbufaliti. Si appuntò per il futuro di specificare a chi fossero rivolti i ringraziamenti, e decisamente Doug non era compreso nel pacchetto di quelli che aveva appena espresso. A dirla tutta, gli avrebbe anche sputato in faccia se avesse potuto, lui e la sua puzza sotto il naso. Chissà, forse lo odiava solamente perché aveva soppiantato Alan Niven. Quel tizio le stava simpatico, ma poi l’avevano liquidato in favore di quella sottospecie di idiota che sembrava fin troppo l’ombra di Axl Rose, o il tappetino rosso su cui il cantante doveva camminare.

«Dove abiti, Joey?» domandò Izzy ad un certo punto, aggrottando le sopracciglia con fare pensieroso. Probabilmente aveva collegato solo in quel momento la possibilità tutt’altro che remota che la giovane fosse totalmente fuori dal suo ambiente e, magari, anche un bel pezzo distante da casa sua. Non a caso, infatti, era il più sobrio di tutti. Anzi, era sobrio e basta.

«Dall’altra parte del confine, alla periferia di St. Louis» sorrise lei con tranquillità. Era quasi divertita dalla situazione, perché prima l’avevano portata là e poi si domandavano se sarebbe riuscita ad arrivare a casa senza incappare in qualche altro casino.

«Cosa? – sbottò anche Slash, mettendosi le mani nei voluminosi capelli – Merda, sono un coglione. Chiamiamo la limo e ti facciamo riportare, vero Doug?»

«No, ehi, non farti saltare i bottoni… – Joey provò a fermare il flusso di parole del chitarrista, alzando una mano per farsi notare – Prenderò un taxi, lo pagherò una volta a casa.»

«Ma…» tentò di nuovo.

«Vai a dormire, Slash – gli disse con calma, arrivandogli davanti fino a posargli le mani sulle spalle – Non credo che al tuo manager farebbe piacere sputtanare una limousine per portare a casa una ragazzina con manie di grandezza.»

«Non sei tu quella che ha manie di grandezza, qui» si intromise di nuovo Izzy, beccandosi in risposta un sorriso appena accennato.

«Lo so, ma c’è gente che lo pensa.»

«Se ce l’hai con me, ragazzina – si intromise Doug, arrivandole vicino – Lascia che ti dica che potresti dimostrare un po’ più di gratitudine per chi ti ha portata via da St. Louis.»

«Forse dovresti mostrarla tu la gratitudine, ma tutto sommato va bene così – sbuffò Joey inviperita, guardandolo dal basso senza tuttavia risultare in inferiorità – Visto che, se ci fosse stato solamente il tuo spocchioso culo da salvare, me ne sarei rimasta a farmi i cazzi miei.»

Il manager arrossì lievemente, ma non replicò. Si limitò a stringere le labbra in una linea sottile e girare i tacchi. Si allontanò con la stessa baldanza che aveva avuto un attimo prima anche Axl, ma nessuno sembrò darci peso.

«È una brava persona, sai…» Duff provò a mediare, spostando il peso da una gamba all’altra mentre incespicava con le parole a causa di tutto quello che probabilmente aveva bevuto quella sera. Era un lampione imbarazzato, e la giovane non riuscì ad evitare di sorridere a quel pensiero.

«Ma ogni tanto ha bisogno di qualcuno che lo rimetta al suo posto. E Joey ha fatto benissimo, bisognerebbe che prendeste spunto da lei qualche volta.»

Ah, Izzy. La voce della verità. I Guns non sarebbero mai stati gli stessi se lui se ne fosse andato. Ma quei pensieri erano ancora senza fondamento anche se con una certa dose di preveggenza, e Joey avrebbe passato svariati giorni con il senso di colpa mesi dopo, leggendo del suo abbandono. Ma, alla fine, era stato lui a metterle quella pulce nell’orecchio, dicendo che gli altri avrebbero dovuto prendere esempio da lei. Se n’era tirato fuori, ma forse erano tutti troppo fatti per rendersene conto.

«Me ne vado» sbuffò infine Slash, passandosi una mano sul viso. Forse mantenere i nervi saldi per tutto quel tempo non era facile, forse aveva solamente bisogno di ritirarsi in camera sua e sfogarsi come meglio credeva, nascosto agli occhi della gente.

«Non sfogare la tua rabbia di stasera contro un muro – mormorò la giovane senza nemmeno rendersene conto – Troppa gente conta sulle tue mani per provare dei brividi e sentirsi viva.»

Il chitarrista strabuzzò gli occhi, colpito da quelle parole molto più a fondo di quanto si aspettasse, e, con un cenno del capo, si defilò. Matt andò con lui, salutando tutti con la mano e un cenno del capo. Forse temeva che Slash si infilasse nella camera di Axl per tendergli un agguato, o forse doveva semplicemente pisciare e farsi una doccia.

Joey si voltò verso i due rimasti, dopo aver osservato un po’ troppo a lungo tutti quei ricci andare via. Inutile dire che Izzy e Duff se ne accorsero e, dalle loro facce, non sarebbe dispiaciuto loro prenderla un po’ in giro. Il biondo, poi, moriva dalla voglia di passare del tempo con il suo chitarrista, dato che ultimamente sembrava un latitante e non aveva più l’occasione di scambiare con lui quattro chiacchiere. Se, quella sera, le chiacchiere fossero state prendere un po’ per il culo una ragazzina tanto simpatica, lo avrebbe accettato.

«I due gentiluomini sono rimasti a farmi compagnia fino all’arrivo del taxi, immagino» li frenò con un sogghigno, avviandosi alla panchina del bus più vicina dopo aver rapidamente chiamato un taxi.

«Hai sentito, Izzy? – sbuffò il biondo con fare disgustato, come se li avesse appena paragonati ad una coppia di scimmie dal culo pelato – Ci ha dato dei gentiluomini.»

«Sì, cazzo – sbuffò anche l’altro, accendendosi una sigaretta – Ora ci tocca esserlo davvero per non deludere le sue aspettative. Le abbiamo già deluse a migliaia di persone, stasera.»

«Non possiamo deludere anche la piccola Joey» concluse Duff, posandole una mano enorme sul capo.

«La smettete di farmi sentire una mocciosa? – sbuffò lei in risposta – Anche se apprezzo, non avete idea di quanto, la vostra decisione di non sfottermi solo perché mi sono imbambolata un attimo sul culo di Slash.»

«E non solo sul culo… e non solo un attimo» mugugnò piano Izzy, nascondendo le labbra dietro il bavero della giacca.

«Ehi – sbottò Joey – Avevate detto che vi sareste comportati da gentiluomini.»

«Hai cominciato tu» si difese il chitarrista. Ma la ragazza per tutta risposta gli rubò la sigaretta, e non gliela ridiede più indietro, lasciando la rockstar a guardarla con stupore sempre crescente.

«La vostra vita per della nicotina» si giustificò, facendo spallucce all’occhiataccia che ricevette.

I due Guns ridacchiarono, scuotendo il capo, e con un gesto della mano Duff le indicò di sedersi sulla panchina di fianco a loro.

«Come diavolo fai a non essere sconvolta? – le chiese poi – Hai ventidue anni e ti sei trovata praticamente nel bel mezzo dell’apocalisse. Hai un labbro spaccato, uno squarcio nei pantaloni di pelle e tuo fratello ha rubato pistole e spranghe ai poliziotti per ammazzare sei ubriaconi pieni di soldi che suonavano per più di trenta dollari a persona.»

«Io non sono più un ubriacone» puntualizzò Izzy serafico, facendo sorridere Joey.

«Forse il fatto di aver passato del tempo con voi mi farà ritardare lo shock di questo casino; forse fino a quando non mi troverò davanti mio fratello in manette non capirò fino a che punto è arrivata la rabbia della gente… e comunque credo non sia giusto distruggere una cazzo di arena solo perché il concerto è stato interrotto mezz’ora prima, dio!»

«Facciamo anche tre quarti d’ora – disse Duff – E comunque Axl è un prepotente, non è stato giusto il comportamento che ha tenuto nei vostri confronti.»

«E anche nei nostri» aggiunse Jeff, scuotendo il capo con amarezza. La prepotenza era proprio la cosa che meno sopportava; anche lui aveva compiuto i suoi sbagli, ma non si sarebbe mai permesso di fare come Bill. Il tizio che l’aveva infastidito non era l’unico in quel cazzo di posto che aveva attraversato una cazzo di contea per andare a sentire sei stronzi del cazzo. Quella sera il suo vaso era pericolosamente vicino a traboccare, sarebbe bastata una goccia. Un’infima, piccola ed insignificante goccia e sarebbe scoppiato il finimondo. Sapeva che avrebbe dovuto calmarsi, ma anche l’idea che in quel momento Slash fosse di sopra a bere come una spugna perché era l’unico modo che conosceva per sfogarsi lo infastidiva, gli faceva male. Non capiva per quale motivo lui fosse riuscito a crescere e soprattutto a capire la differenza tra giusto e sbagliato e gli altri no. Continuava a ripetersi che avrebbe dovuto avere pazienza, che prima o poi tutti ci sarebbero arrivati, eppure c’erano momenti in cui proprio non riusciva a vederla in quel modo. C’erano momenti in cui anche lui era più debole.

«Ad ogni modo non sarò più qui con voi quando avrò questo famigerato crollo nervoso – li tranquillizzò paciosa – Quindi non preoccupatevi, sarete di pessimo umore anche senza il mio contributo.»

La sua calma li contagiava, sembravano più rilassati vedendo il suo sorriso spensierato. Lei non ce l’aveva con Axl per quel casino.

«Perché non ce l’hai con Axl? – le chiese Izzy, passandosi una mano sul viso con aria stanca – Ha anche rischiato di strozzarti, quasi, eppure continui a sorridere. Non ti ho nemmeno vista versare una lacrima e chiunque l’avrebbe fatto.»

«Io non sono chiunque» ammiccò divertita, mordendosi il labbro per non scoppiare a ridere. Ma subito dopo sobbalzò, ricordandosi della ferita solo grazie al dolore che si era inferta con i denti. Era anche una smemorata, forse per quello era così tranquilla: aveva già dimenticato tutti gli avvenimenti di quella serata. Beh, se non altro avevano la certezza che non portasse rancore, nemmeno a chi lo meritava sul serio.

«E poi – continuò incerta, alzando ed abbassando lo sguardo come se non sapesse bene quali parole usare – Anche Axl è un essere umano. Ok, è stronzo, ma non si comporta così solo per il gusto perverso di picchiare un fan e interrompere il concerto. Probabilmente era già turbato, chissà…»

«Non tentare di capirlo – le consigliò il biondo – Solo Izzy ci riesce, ma perché Izzy di fondo è un pazzo squilibrato esattamente come il suo amico.»

«Ti rispedisco a Seattle a calci in culo, hai capito caro il mio lampione?»

Joey rise di cuore, passando le braccia attorno alle spalle di entrambi per attirarli a sé in un abbraccio.

«Vi adoro – sospirò – Siete delle persone normali, siete dei fottuti ragazzi come tutti gli altri e non sapete quanto mi faccia piacere vedere che la fama non vi ha resi diversi degli schifosi snob da quattro soldi.»

«Valiamo un po’ più di quattro soldi, ragazzina.»

«Jeff, stai attento. Lo sai che questa morde.»

Il loro momento scherzoso venne però interrotto da una bottiglia scagliata con violenza contro le sbarre di un balconcino, proprio dall’altra parte della strada. Proprio nel loro albergo.

«Questo è Slash – sospirò Izzy con impotenza – Se non altro l’ha lanciata piena quella bottiglia, non ha pensato di vuotarla prima di scagliarla contro il balcone.»

«Vai da lui» s’intromise Duff, indicando Joey con un eloquente gesto del capo, che fece ondeggiare i suoi capelli biondi.

«Andiamo, ragazzi, si deve sposare – la giovane tentò di opporsi, mentre anche il moro la spintonava leggermente per farla alzare in piedi - Può prendere la sua ragazza come valvola di sfogo.»

«Muoviti, si vive una volta sola» la incoraggiò poi, lanciandosi uno sguardo d’intesa con il bassista.

«E poi Renee non è qui.»

«Stanza 161, una vita per un’occasione» il chitarrista replicò con il numero della camera e riprese anche quella frase che la stessa Joey gli aveva rivolto poco prima, quando gli aveva sfilato la sigaretta dalle labbra.

Li guardò per un lungo momento, senza nemmeno rendersi conto che era già in piedi. Sorrise per ringraziarli, sembrò dire loro che avrebbe voluto abbracciarli e lasciare che si sfogassero, perché ne avevano bisogno e lo si vedeva dagli occhi. Non disse nulla, però, e si lanciò letteralmente di corsa alla volta della camera 161. Il cuore le rimbombava nelle orecchie, ma, quando Slash venne ad aprirle, confuso e arrabbiato, nulla di tutto ciò ebbe più importanza.

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Capitolo 3
*** III ***


III

 

 

 

«Joey – disse Slash con voce stupita, vedendola lì in piedi fuori dalla porta della sua stanza – Pensavo fossi andata a casa.»

«Sì, beh – la giovane prese a gesticolare, cercando di spiegarsi senza balbettare. Era incredibile il modo in cui l’ansia le attanagliava le viscere, fino a poco prima era tranquillissima e invece in quel momento si sentiva più scema che mai – Stavo aspettando il taxi con Izzy e Duff e poi hai scagliato quella bottiglia e…»

«Entra» la interruppe con un sospiro, sorridendole a mezza bocca. Era come se non aspettasse altro che quella frase, come se quel gesto fosse stato una malcelata richiesta di aiuto… o forse una richiesta non celata e basta.

Joey sospirò a sua volta per calmarsi, facendo poi come le aveva detto.

La stanza era piccola e molto in disordine, ma probabilmente quello era un fattore tipico del genere maschile. Altro che sesso forte, erano dei bambini quando si trattava di mettere le cose a posto. E in tutti i sensi, altrimenti i grandi Guns N’ Roses non sarebbero stati in quelle pietose condizioni. Però, a discolpa di Slash, in quell’occasione doveva anche aver messo a soqquadro tutto nel tentativo di calmare la furia cieca che lo invadeva da quando era successo quel fatto nell’arena.

«Ho passato l’esame?» le domandò divertito, vedendo il suo sguardo vagare per tutti gli angoli della camera, fotografando e giudicando tutto nei minimi particolari.

«No! – sbottò sovrappensiero, salvo poi portare una mano sulla bocca. Sentì le guance andare a fuoco per la mancanza di rispetto nei suoi confronti, e lo guardò con gli occhi sbarrati dallo sconvolgimento e dalla vergogna – Oddio scusami, ti prego! È che vivo in casa con mio padre e i miei due fratelli, e loro sono davvero disordinati. E ho il vizio di osservare tutto perché poi mi perdo nei mille modi in cui potrei riordinare e…»

«Joey, stai calma» Slash le arrivò di fronte, posandole le mani sulle spalle proprio come aveva fatto lei poco tempo prima, e le si mozzò il respiro in gola.

Che diavolo le prendeva?

Forse lo sapeva, ma non le stava bene. Si era precipitata come un treno alla sua porta perché lui era là che lanciava bottiglie contro la ringhiera del balcone, e anche perché Duff e Izzy le avevano lanciato una sequela di occhiatine maliziose. E lei aveva finito per crederci. Si aspettava qualcosa da un uomo che si sarebbe sposato nell’arco di pochi mesi. Il massimo della vita per una ventiduenne, vero?

Doveva smetterla di credere di poter lenire la sua rabbia solo perché… perché?

«Ti aspetti anche tu un crollo nervoso da parte mia?» sbuffò infine, cercando di chiudere fuori tutti quei pensieri sconnessi e terribilmente compromettenti che le stavano affollando la mente. Sposato, lui si sarebbe presto sposato. Sarebbe servito ripeterselo come un fottuto mantra? No.

«Ce l’ho avuto io, che ormai a queste cose sono abituato – si giustificò Slash, indicando con un cenno del capo il balcone su cui facevano ancora bella mostra i pezzi di vetro della bottiglia infranta – Perché non dovresti averlo tu?»

«Ti risponderò con le stesse parole con cui ho risposto a Izzy e Duff» gli disse e si schiarì la voce, portando le mani sui suoi polsi per allontanarsi dalla sua presa ferrea. Non aveva previsto, però, che le sue dita non rispondessero al cervello, perché si ritrovò, senza sapere come, con i palmi a contatto con quelli del suo chitarrista preferito. Dio, quelle mani.

«Sentiamo.»

«Forse il fatto di aver passato del tempo con voi mi farà ritardare lo shock di questo casino, forse fino a quando non mi troverò davanti mio fratello in manette non capirò fino a che punto è arrivata la rabbia della gente e… – si interruppe, deglutendo rumorosamente. Abbassò lo sguardo sulle loro dita intrecciate e sentì il cuore perdere un battito. Cosa cazzo stava per dirgli? E perché non riusciva a fermarsi? – …e forse le tue mani mi stanno facendo dimenticare il motivo per cui sono finita qui.»

«Joey, io… – Slash sospirò, posando la fronte contro la sua – Vado a farmi una doccia.»

La giovane inarcò un sopracciglio, sorridendo a metà. Quella non era decisamente la risposta che si aspettava, o forse se l’aspettava anche troppo. Cosa pretendeva? Magari che lui le dicesse che sì, anche lei gli stava facendo dimenticare tutto quel casino e che avrebbe voluto fare l’amore con lei? Neanche una bella scopata com’era nel suo stile, no. Proprio fare l’amore.

Era una fottuta ragazzina, ecco cos’era. Si era sempre considerata matura per la sua età, dopotutto era dovuta crescere da sola senza una madre e con il solo aiuto di una squadra di fratelli che proprio non le avevano insegnato nulla di femminile. Eppure in quel momento come non mai capiva che, da qualche parte, era ancora una bambina. Una bambina che voleva essere donna per quell’uomo che non avrebbe mai pensato di riuscire a vedere così da vicino e che ora si stava elegantemente trincerando dietro la porta del suo bagno perché lei aveva osato troppo e per giunta senza alcun diritto.

«Non andartene, ok?» le disse Slash, stupendola di nuovo. Aveva sciolto le dita dalla presa delle sue e le aveva avvolto le mani a coppa intorno al viso. Le sue labbra erano così vicine che, se si fosse sporta un po’, le avrebbe raggiunte senza nessun problema. Era quello che avrebbe voluto.

E invece si limitò ad annuire piano, come se avesse avuto paura che, con un movimento un po’ troppo brusco, lui potesse cambiare idea. Ma non disse più nulla, le indicò il letto su cui sedersi nell’attesa e si diresse con calma verso il bagno.

Effettivamente, forse una doccia gli avrebbe fatto bene ai nervi e anche all’anima. E poi indossava ancora i pantaloncini che aveva addosso anche durante il concerto. Una vampata di calore percorse il collo di Joey fino a esplodere senza pietà sulle sue guance all’idea che sotto non portasse la biancheria intima. Non ne aveva mai fatto mistero, e un sacco di gente si scandalizzava per quello. Ma, dopotutto, ognuno aveva le sue abitudini e tra le rockstar era pressoché di ordinaria amministrazione. Se la stoffa dei jeans non dava fastidio a loro, perché avrebbe dovuto indisporre la mente dei bigotti che li giudicavano così male?

Quando Slash tornò, venti minuti e tanti ovattati pugni al muro più tardi, la trovò distesa sul suo letto a pancia in giù che sfogliava distrattamente un numero di Rolling Stone che nemmeno sapeva di avere. La osservò per un attimo, approfittando del fatto che lei non lo stesse guardando. Era davvero bella e semplice, molto diversa dalla bellezza ricercata e artificiosa di Renee, che pure gli era sempre piaciuta. Lei sembrava non curarsi del suo aspetto, anzi. I suoi capelli erano lunghissimi e pieni di onde ed erano dello stesso color nocciola dei suoi occhi, in quel momento nascosti da un bosco di ciglia appena velate di mascara. Lui guardava le tette nelle donne, ma quella ragazza aveva fatto la differenza un’altra volta. Si sentiva irresistibilmente attratto dalle scaglie verdi nei suoi occhi castani. E avrebbe dato un pugno a tutti i deficienti che dicevano che gli occhi scuri erano anonimi e troppo comuni.

Merda.

Ora, però, non stava più osservando il suo viso. No, le stava guardando il culo perché era un porco immane e lei ci stava così bene sul suo letto, la curva che dalla schiena portava ai glutei era così rotondeggiante che avrebbe solamente voluto percorrerla con le labbra e stringerla tra le mani. Dio.

Si schiaffò una mano sul viso, producendo uno schiocco secco che attirò l’attenzione di Joey.

«Da quanto sei lì?» gli chiese incerta, gli occhi che vagavano ovunque per la stanza nel vano tentativo di non guardare il suo petto pieno di goccioline.

Si trovavano nella stessa situazione senza nemmeno saperlo, cercando di chiudere fuori un’attrazione che li stava sopraffacendo. Che cazzo c’era in quella stanza al posto dell’aria, così in grado di far mancare il respiro?

«Da adesso» mentì in risposta, avvicinandosi fino a sedersi al suo fianco. Forse avrebbe dovuto vestirsi, forse arrivare là con un asciugamano drappeggiato sui fianchi non era stata un’uscita felice, soprattutto perché vederla con le guance imporporate e il fiato corto lo accendeva come una miccia.

Allungò una mano fino a sfiorarle il collo, le provocò una scarica di brividi e se ne accorse. Sarebbe stato impossibile non farlo. Ma forse lei non aveva tentato di nasconderla, no, lei si limitava a fissarlo con le labbra dischiuse, ad osservare la sua espressione concentrata mentre seguiva con i polpastrelli dei segni che sicuramente sarebbero parsi di dubbio gusto sulla sua pelle ambrata.

«Axl ti ha lasciato i segni» disse piano, alzando lo sguardo fino ad incontrare i suoi occhi grandi e spalancati, come se così facendo potesse guardare più cose contemporaneamente... o forse solo lui, ma più a fondo. Era davvero troppo bella e lo era senza saperlo. Forse proprio quello era il motivo per cui lo era ancora di più.

Joey non rispose, si limitò ad emettere un sospiro tremulo, e subito dopo il suo petto si alzò di nuovo. La stoffa del top che indossava si tese sul suo seno, catturando l’attenzione di Slash. Non si era nemmeno accorto della scritta che campeggiava sul cotone bianco: Wanna be your Paradise City.

Forse fu quella la goccia che fece traboccare il vaso, eppure sentì ogni difesa lacerarsi, il controllo del suo corpo venire meno senza pietà.

«Sono un coglione» fu l’unica cosa che riuscì a dire prima di lanciarsi sulle sue labbra morbide che lo chiamavano dal primo momento in cui i suoi occhi l’avevano focalizzata. Realizzò in quel momento che avrebbe voluto intrappolarla contro quella porta da cui era sbucata all’improvviso all’arena di St. Louis, trafelata e sconvolta, e farla sua anche lì.

Forse avrebbe dovuto trattenersi, fermarsi, magari lei era più sconvolta di quanto desse a vedere e lui avrebbe dovuto comportarsi in un modo un po’ più responsabile, magari anche tentare di essere più fedele a Renee e fingere almeno di ricordare che si sarebbe sposato a breve. Ma non ci riuscì, evidentemente, perché in un momento si ritrovò steso sopra di lei, sul letto. Le sue mani non smettevano un attimo di immergersi nei suoi capelli e di carezzargli febbrilmente la schiena e realizzò che no, non ne aveva per la testa di essere sconvolta.

Il suo sospiro eccitato fu come musica per le sue orecchie e si sentì preso da una frenesia incontrollabile. Le morse il labbro inferiore ma si pietrificò, sentendola gemere di dolore.

Si era completamente dimenticato della sua ferita. La guardò, per controllare il danno che aveva combinato, e la vide sfiorarsi la bocca con le dita. Ritrasse la mano e i polpastrelli erano bagnati di sangue, ma tutto quello che riuscì a fare fu alzare lo sguardo e sorridergli colpevole, come se fosse dipeso da lei.

Slash scosse il capo, chiudendo le labbra attorno al suo dito. Fece guizzare la lingua sulla sua pelle fino a sentire il sapore metallico del sangue, e fece lo stesso con il suo labbro inferiore. Lo succhiò piano, stando attento a non farle più male di quanto le avesse fatto fino a quel momento.

Joey lo guardava perplessa, ma non parlò nemmeno quella volta. Continuò a tenere la bocca socchiusa, quasi invitandolo a continuare, a non azzardarsi a smettere. E se poi lo guardava con quegli occhi…

«Fermami se ti faccio male» sospirò tremante, baciandola di nuovo.

Si era arreso, ecco. Lo aveva detto. Però si era dimenticato di informare quella ragazzina che non era possibile fermarlo, quando era così preso. E, come se non bastasse, ne era passato di tempo dall’ultima volta in cui qualcuna lo aveva preso così tanto.

Ad ogni modo, sembrava proprio che Joey non ne volesse sapere di starsene ferma. Non le importava di provare dolore, visto che continuava a provocarlo senza nemmeno rendersene conto. Continuava ad alzare il bacino allo stesso ritmo delle loro lingue che si intrecciavano, e quando le sue anche entravano in contatto con i fianchi di Slash, solamente coperti da un asciugamano, era come ricevere una scarica elettrica. Si sentiva come se la bestia che era in lui si stesse risvegliando sempre di più, e temeva che presto non ci sarebbe stato più modo per tornare indietro. L’aveva già pensato svariate volte, eppure in quel momento stava davvero raschiando il fondo del barile.

«Ti voglio» rantolò infine, il fiato corto per tutti quei baci profondi e prolungati.

Joey ammiccò, inarcando un angolo della bocca. Sembrava quasi che lo guardasse con aria di compatimento, come se le avesse detto un’ovvietà. Beh, probabilmente lo aveva fatto, visto che la sua erezione premeva contro il suo interno coscia da un bel pezzo.

«Allora prendimi.»

Non avrebbe dovuto dirlo, no. Non credeva che fosse possibile, ma sentì la ragionevolezza abbandonarlo del tutto, nonostante fosse convinto di averla già persa tempo prima. Una piccola parte di lui, che presto venne oscurata dal desiderio, realizzò che non sarebbe stato per niente carino con la piccola Joey. Ma, dopotutto, l’aveva voluto lei.

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Capitolo 4
*** IV ***


IV

 

 

 

La mente di Slash non era molto connessa, in quel momento. Anzi, non era connessa affatto. E, almeno per una volta, non era colpa della sua adorata bottiglia di Jack Daniel’s e nemmeno di droghe varie con cui continuava a giocare, no. Era tutto merito di una ragazzina di cui non sapeva assolutamente nulla se non il nome e l’età… e la sua bravura fottuta ad utilizzare quelle maledette labbra invitanti solo con l’intento perverso di portarlo alla pazzia. Non che gli dispiacesse, in ogni caso.

Poco prima di tuffarsi su di lei ricordava di aver pensato che non sarebbe stato affatto carino, dolce o gentile. Voleva solamente possederla e nulla l’avrebbe fermato da quello scopo, sarebbe andato avanti con una determinazione che non aveva più da tempo in molti aspetti della sua vita, a cominciare dalla band per poi finire nel suo futuro matrimonio. Ma non poteva sapere quanto lei stessa fosse molto diversa da come appariva, quasi l’opposto. Non poteva sapere che sotto quella scorza da brava ragazza, quasi timida, si nascondesse una pazza squilibrata con il peperoncino al posto del sangue. Sì, perché in quel momento, dopo averla già presa una volta e averle dato piacere per un’ora senza lasciarle quasi il tempo di respirare, lei si stava vendicando in tutti i modi possibili. Il metodo che stava adottando in quel momento era semplice, la sua lingua gli lambiva tutto l’addome, curiosa ed esploratrice. Le piaceva particolarmente intrufolarsi nel suo ombelico e vedere la sua pelle riempirsi di brividi.

«Hai un buon sapore» gli sussurrò all’orecchio, quando decise che per il momento era abbastanza.

«Sono sudato.»

«Sì – annuì divertita, carezzandogli una guancia con fare pensieroso – E sei salato. Mi piace.»

Slash vide il suo sguardo color nocciola incupirsi leggermente, come se un’ombra vi fosse passata senza preavviso. Joey rimase per un momento imbambolata sui suoi occhi, per poi scuotere appena percettibilmente il capo e tornare a baciarlo con irruenza.

Tutto sommato non aveva una bella considerazione di lui, se pensava che fosse così facile fargli dimenticare l’oggetto del discorso. Beh, ok, non aveva mai fatto niente per smentire quello che la gente pensava di lui, però non metteva in dubbio il fatto che anche lei lo stesse sottovalutando. E decisamente non aveva mai creduto di poterla equiparare, in generale, alla “gente”. Era più sveglia, più coraggiosa, più… vera.

«Ehi – le disse infatti il chitarrista, sfiorandole piano la schiena con i polpastrelli mentre si allontanava dalle sue labbra voraci – Cos’è successo?»

«Niente, io…» gli rispose, ma s’interruppe a metà, facendo per mordersi il labbro e ricordandosi subito dopo che forse era meglio non farlo.

Slash si tirò a sedere di scatto, prendendo il volto della ragazza tra le mani. Merda, lui non era bravo a fare la persona sensibile, si sentiva terribilmente impacciato, come un pesce fuor d’acqua. E, come se non fosse bastato quello, la situazione surreale in cui si trovavano non era affatto credibile: Joey era seduta a cavalcioni su di lui, che palesemente eccitato, o forse erano eccitati entrambi, ed entrambi erano senza un vestito addosso. La stabilità che la sua mente avrebbe dovuto avere non era poi così tanta. Anzi, non c’era nessuna stabilità su cui fare affidamento.

«Joey, cosa c’è che non va? – insistette – Non sono un mostro di sensibilità, e per essermene accorto anche io allora vuol dire che è palese. Cosa c’è?»

La giovane prese un sospiro profondo, alzando poi lo sguardo verso la finestra. Era rivolta ad est, e il cielo sembrava già essersi schiarito all’orizzonte, in quelle ore incerte che precedono l’alba.

«È quasi mattina» mormorò incerta, abbassando poi lo sguardo su Slash, osservando come la sua espressione prendesse la forma della comprensione in breve tempo.

Fu tentato ugualmente di risponderle con una battuta, perché non avevano dormito affatto durante la notte e, a ben pensarci, avevano fatto qualcosa di molto migliore rispetto ad un pisolino riposante. Però la consapevolezza di ciò che la sua frase significava lo colse impreparato, colpendolo con la stessa forza di un calcio nel ventre. Il mattino rappresentava il domani, e domani lei sarebbe dovuta tornare alla normalità. Anche lui sarebbe dovuto essere di nuovo se stesso. Sarebbe tornata ad essere Renee la donna che gemeva nelle sue orecchie e sarebbero state sempre le labbra di Renee a baciarlo. Beh, ovviamente con tutti gli extra della sua corista e di chi capitava. Ma non ci sarebbe più stata Joey lì con lui.

Sarebbe stato lo stesso?

No, non lo sarebbe stato. E non era nemmeno una prospettiva così allettante, soprattutto dopo aver conosciuto quel piccolo vulcano di St. Louis che in quel momento stringeva tra le braccia e gli faceva provare dei brividi che non ricordava di aver provato da un bel pezzo.

Eppure non era da lui pensare al futuro, fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Lui no, lui viveva il presente perché il “per sempre” lo lasciava a quelle checche isteriche in calzamaglia azzurra che salvavano le principesse senza un minimo di sex appeal. Non avrebbe mai voluto essere uno squallido principe azzurro. Lui era un uomo reale, vero, pieno di casini e in grado di provare dedizione verso la musica e nient’altro. E in quel momento aveva tra le braccia una giovane donna piena di vita, che gli sembrava un tesoro prezioso, una fonte inesauribile di emozioni… che però lui non avrebbe più provato. E allora non era poi così inesauribile, perché presto sarebbe finito tutto e sarebbero tornati entrambi alle loro solite vite senza brividi. Quindi avrebbero dovuto solamente godere l’uno dell’altra lasciando da parte tutte le paranoie, perché il tempo scorreva e non faceva sconti a nessuno.

«A domani ci penseremo domani – le disse con sicurezza, chiudendo ancora una volta le mani a coppa sulle sue guance morbide – Adesso è da vivere, non ci saranno altre opportunità… e poi non lo sai che le occasioni non si sprecano mai?»

Joey dischiuse leggermente le labbra, stupita dalla profondità del discorso che quello che appariva come un musicista alcolizzato, ma che per quelli come lei era sempre stato molto, molto di più, aveva saputo tirare fuori. E si stupì a pensare quanto avesse ragione, quanto fosse stata stupida a farsi bloccare da una paranoia del genere. Dio, si sentì per l’ennesima volta una bambina.

E allora, per farsi perdonare quell’ondata di tristezza fuori luogo, annuì con calma un paio di volte e si tuffò di nuovo su di lui, pronta a dimostrargli quanto fosse determinata a spremere ogni momento per avere il massimo di quello che il destino le presentava davanti.

«Così ti voglio, piccola» Slash sorrise sulla sua bocca pronunciando quelle parole, ma quando la vide mordersi un labbro in un moto di imbarazzo, stando bene attenta al taglio che lo deturpava, non capì più nulla un’altra volta. Aveva deciso che l’avrebbe fatta stare sopra, per vederla muoversi e per lasciare che si prendesse da sola quello che si erano dati durante l’amplesso precedente, ma quella visione fu troppo anche per lui. Sentì di nuovo la bestia montare in carica dentro al suo petto e prendere pieno possesso del suo corpo. Prima che potesse anche soltanto accorgersene, si ritrovò a ribaltare le posizioni per schiacciare il corpo di Joey tra il suo e il materasso. Di nuovo, perché non ne aveva mai abbastanza.

Lei lo guardò boccheggiando, stupita da quell’improvviso scatto felino. Un lampo di biasimo attraversò i suoi occhi da cerbiatta, probabilmente per aver visto sfumare un’altra volta il suo proposito di ricambiare tutto il piacere che le aveva dato fino a quel momento. Ma la lussuria spropositata nello sguardo di Slash la fece desistere, realizzando che, dopotutto, il piacere era capace di prenderselo da solo e con molta probabilità ci sapeva fare anche meglio di lei. Anzi, era una certezza data da quel tempo che aveva passato stretta tra le sue braccia.

E infatti fu proprio quello che fece. Erano già nudi, non c’era bisogno di qualche insulso preliminare per togliersi i vestiti, e a essere onesti non c’erano stati fronzoli nemmeno prima. Ma, quando Slash entrò in lei con un’unica potente spinta, riuscì comunque a strapparle un urlo strozzato, mentre con le dita si aggrappava alle sue spalle.

«Ti ho fatto male?» le chiese allarmato, parlando con le labbra contro la pelle del suo collo, proprio sui segni violacei che avevano lasciato le dita di Axl poche ore prima.

«No – rispose, spostando una mano fino a stringere i capelli di Slash alla base del collo – Non ancora.»

«Non pensarci» mormorò di nuovo, abbassandosi poi a baciarle le labbra con una strana dolcezza.

Joey si sentì una stupida insulsa bambinetta, per l’ennesima volta in quella notte: gli aveva promesso che avrebbe smesso di piangersi addosso e invece lo stava facendo ancora. E dire che non era da lei continuare a rimuginare. Anzi, piuttosto il contrario. Adorava i colpi di testa, adorava prendere decisioni affrettate seguendo l’istinto, così come aveva fatto quando poi suo fratello le aveva rotto il labbro e anche come aveva fatto quando Izzy e Duff l’avevano incoraggiata a raggiungere Slash. E, di nuovo, quando l’aveva baciata e lei non si era tirata indietro. In una sola serata aveva compiuto più atti sconsiderati di quanti una persona riflessiva e ponderata avrebbe mai fatto in tutta la sua vita, eppure in quel momento stava rimuginando.

Fortuna volle che a contatto con la sua pelle ci fosse quella bollente della rockstar, o chissà dove i pensieri l’avrebbero portata. Fu il suo calore a mantenerla lì ancorata al presente, alle ondate di piacere che sentiva liberarsi dal suo ventre.

«Slash» ansimò senza voce, sentendo le sue spinte farsi sempre più rapide e profonde.

Non era poi così esperta, aveva avuto due o tre ragazzi, ma non aveva mai provato un piacere così. Sembrava che il suo modo di amare, di prendere e di dare, fosse potente come la sua musica, che si imponesse sul corpo e nell’anima con la stessa decisione, lasciando poi lo stesso tormento alla fine di tutto.

Lo pensò anche mentre raggiungeva l’orgasmo e, alcuni minuti più avanti, quando lo raggiunse anche lui. Non erano venuti insieme, solo le coppiette sdolcinate si vantavano di raggiungere il culmine del piacere nello stesso istante. Non accadeva mai, ed era giusto così. Era giusto che Slash la guardasse gemere travolta dalle sensazioni ed era giusto che, una volta ripresasi, potesse guardare lui stringere le labbra e inarcare le sopracciglia per poi svuotarsi in lei, fisicamente e, lo sperava, anche metaforicamente.

Certi spettacoli non andavano persi, soprattutto se non ci sarebbe più stata occasione per vederli ancora.

 

Un altro di quegli spettacoli irripetibili era vedere Slash dormire, rilassato e sprofondato nel cuscino, le labbra dischiuse e i capelli sparsi sulle lenzuola e sugli zigomi.

Era bellissimo.

Joey ci pensava da parecchio, ed era giunta alla conclusione che se fosse rimasta un solo minuto di più sarebbe finita a piangere per almeno un anno. Avrebbe passato dodici mesi della sua vita, cinquantadue settimane, trecentosessantacinque giorni, a piangere perché non aveva saputo dire basta, perché aveva voluto di più e quel di più aveva comportato dei rischi, che immancabilmente si erano verificati. Si sarebbe innamorata. Non si poteva non amarlo, e lo pensava con ogni fibra del suo essere mentre gli sfiorava una guancia, scostando un riccio ribelle che gli copriva gli occhi.

Non aveva mai apprezzato la nera profondità del suo sguardo, aveva sempre visto palpebre socchiuse per il troppo alcol o per il troppo chissà cosa. E invece no, anche i suoi occhi parlavano, così come le sue mani.

Al diavolo, doveva andarsene di lì.

Si alzò con un sospiro frustrato, raccattando la maglietta su cui aveva fatto scrivere quella frase sfacciata. Wanna be your paradise city. Chissà se l’aveva notata… beh, in ogni caso non avrebbe potuto chiederglielo, perché se ne sarebbe andata prima che si fosse svegliato.

E poi, era così illusa da voler essere la sua Paradise City? Era davvero una bambina, se pensava ancora a quelle cazzate.

«Joey.»

Cazzo! Perché non poteva funzionare? Perché non poteva fuggire da quegli occhi neri come la pece e basta? No, lui doveva svegliarsi e violentare la sua forza di volontà. Dio, stava già male a pensare che non l’avrebbe mai più rivisto. Bambinetta, aveva ragione Axl.

«Ti ho già detto di non andartene» le disse ancora, la voce impastata dal sonno ma al contempo decisa. Quasi morbida, così discordante dal suo aspetto selvaggio.

Joey strinse le labbra. Avrebbe voluto mordersele ma aveva già sperimentato poche ore prima proprio grazie a Slash che non sarebbe stato affatto salutare. Il taglio si sarebbe messo di nuovo a sanguinare e lui l’avrebbe baciata ancora per fermare la piccola emorragia. E poi addio alla sua fuga ingloriosa.

«Abbiamo una settimana di pausa fino alla prossima data, rimarremo qui a Chicago – continuò lui, apparentemente incurante della sua schiena rigida e del suo silenzio – E la mia camera è abbastanza grande per due persone.»

Strinse la maniglia fino a farsi sbiancare le nocche, ma poi mandò tutto al diavolo. Si sarebbe innamorata, lo sapeva. Sentiva già nel sangue quei suoi grandi occhi neri che sapevano prendere e sapevano dare.

E avrebbe sofferto. Ma le importava? Doveva vivere il presente, al domani ci avrebbe pensato… beh, domani.

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