La Mia Strada Da Percorrere

di FitzChevalier
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cose da non fare ***
Capitolo 2: *** Decisioni affrettate ***
Capitolo 3: *** Un pomeriggio d'estate ***
Capitolo 4: *** Interludio ***
Capitolo 5: *** Incomodi particolarmente fastidiosi ***
Capitolo 6: *** Problemi da risolvere ***
Capitolo 7: *** Ah, l'amore... ***
Capitolo 8: *** Nero all'orizzonte ***
Capitolo 9: *** Arrivi e partenze ***
Capitolo 10: *** Nuove prospettive ***



Capitolo 1
*** Cose da non fare ***


LA MIA STRADA DA PERCORRERE
- Le Beghe D'Amore Di Ino E Sai -

 


Per la serie "Saltare da un genere all'altro come un canguro" ecco un nuovo, ennesimo esperimento. Stavolta c'è una storia d'amore. Circa.
Non sarà una storia lunga, sicuramente meno di dieci capitoli. Come al solito sono accettati pareri di ogni genere.
Il primo capitolo è lento, io per prima lo ammetto, ma spero che avrete la pazienza di andare avanti.
Enjoy!


 

1
Cose da non fare

 


«Al mio tre, Ino, ok?» Shikamaru alza una mano verso di me. Nell’altra stringe un cronometro. «Uno, due, tre!»

Inquadro Choji, distante qualche passo da Shikamaru. «Shintenshin no Jutsu... » sussurro. Uno strappo all’ombelico mi trascina lontano dal mio corpo. Chiudo gli occhi e mi lascio trascinare dal vortice.

 

Li riapro. Shikamaru è alla mia destra, alto più o meno quanto me.

«Ci sono» annuncio.

Il mio corpo giace per terra dove l’ho lasciato, rannicchiato come se mi fossi addormentata.

Shikamaru controlla il cronometro, poi si gira verso di me. «Cinque secondi. Non male.» Mi sorride. «Ora proviamo a fare qualche esercizio semplice semplice. Cerca di schivare il mio calcio.»

«Va bene.»

Shikamaru corre verso di me, salta, mi colpisce di tacco. Sento il colpo vibrare dalle guance flosce lungo tutta il grasso che mi ricopre. Cado, sbattendo forte le ginocchia sul terreno duro; la pancia sporgente mi sbilancia in avanti. Appoggio le mani a terra, ondeggio e mi alzo, per poi ricadere di culo. Al secondo tentativo mi rimetto in piedi a gambe larghe, i piedi ben saldi a terra. Abbasso le braccia, tese di lato come un equilibrista.

Shikamaru ha la fronte aggrottata e la bocca piegata in una smorfia di disappunto. «Non va bene, non va affatto bene così!»

Sono ormai tre giorni che Shikamaru viene all’alba davanti a casa mia e alla tenda di Choji, martellandoci con questa maledetta guerra, occupando le nostre ore con addominali, flessioni, gare di resistenza, di equilibrio, di velocità. Se non ci darà in fretta un taglio mi troverò con le spalle larghe di un uomo entro la fine del mese.

Quel giorno Shikamaru si è messo in testa di concentrare tutti gli sforzi suoi e di Choji su di me. «Ora come ora in una guerra puoi fare poco» mi aveva detto lungo la strada per la tenda di Choji. «Ho deciso che ti allenerai a muoverti con naturalezza in corpi diversi dal tuo.»

E il primo soggetto degli esperimenti è stato Choji, perché iniziare con Shikamaru sarebbe stato troppo semplice. Alla faccia del geniale stratega!

«In guerra non troverai solo ragazzine della tua corporatura, come lo erano Sakura o l’altra ragazza del Suono» mi ha detto quando ho protestato. «Se ti troverai di fronte qualcuno della stazza di Choji, e noi avremo bisogno di quel corpo, tu dovrai riuscire a muoverti in modo quanto meno funzionale.»

Ed eccomi quindi in quel bel rotolino di ciccia che è Choji.

«Riproviamo, forza!»

Al calcio mi chino e mi sporgo all’indietro. Questa volta non cado, ma le ginocchia doloranti pulsano sotto il peso di Choji.

«Eh... già meglio...Prova a camminare fino al tuo corpo, Ino. Sollevalo e appoggialo con la schiena contro un albero.»

«Sì.»

Cammino fino alla me stessa accoccolata per terra. Le gambe sfregano fastidiosamente tra loro. Le allargo, ma la situazione non migliora.

Sono sicura che dietro di me Shikamaru si sta mettendo le mani nei capelli.

Non capisco a cosa serva tutta questa roba. Io sono già un ninja medico! Non ho bisogno di buttarmi nella mischia per sfoggiare la mia abilità. Ma negli ultimi giorni ho visto Shikamaru così concentrato e pieno di energie e di voglia di fare come non lo era da molto, molto tempo. Non mi va di deluderlo.

Sbircio da sopra la spalla tonda di Choji: Shikamaru mi sta osservando, tamburellandosi un dito sul mento. E va bene, proviamoci. Raggiungo il mio corpo, mi chino piano piano e lo prendo in braccio. La pancia preme contro il mio corpo, ma riesco a sollevarlo senza poggiare le mani per terra e senza ricadere sulle ginocchia.

Arranco fino all’albero più vicino, calo il corpo per terra. Mi sfugge di mano e picchia un fianco per terra prima che riesca ad afferrare di nuovo un braccio.

Ahia.

Domani mi farà molto male.

«Bene. Circa.» è il commento di Shikamaru.

Nell’ora successiva sono riuscita a destreggiarmi in quel corpo tondo, camminando senza rischiare di cadere a ogni passo. Ho anche azzardato una corsa, e sono riuscita a farmi venire il fiato corto molto prima di cadere di faccia nella polvere.

«Va bene, basta così!»

Sciolgo la tecnica.

 

Massaggio il collo indolenzito per la posizione scomoda in cui è rimasto per tutto questo tempo. Mi alzo, raggiungo Shikamaru che sta aiutando Choji a rimettersi in piedi.

Evidentemente quando ho lasciato il suo corpo questo è crollato a terra come un sacco di patate. Che cosa orribile trovarsi intrappolati in quel corpo grosso e goffo ogni giorno di ogni anno, e non poterci fare niente; è strabiliante come Choji riesca a muoversi con naturalezza, a correre, saltare e fare gli stessi esercizi fisici e con quasi gli stessi risultati miei e di Shikamaru.

Peccato che rimanga comunque un corpo grasso: non so quante volte ho detto a Choji di mettersi a dieta. «È l’unico modo se vuoi che Tenten ti noti e che accetti di uscire con te invece che con Neji!» Ma niente, quel ragazzo testardo come un mulo non ne vuole sentir parlare di limitare i pasti.

«Ha fatto qualche progresso» stava dicendo Shikamaru, «Ma è ancora lontana dal riuscire a combattere in modo efficiente.»

«Forse se tu mi avessi fatto procedere per gradi, invece che sbattermi subito dentro Choji – senza offesa, Choji – me la sarei cavata molto meglio. Tu, per esempio, saresti stato un buon punto di partenza!»

«Che palle... Non ho voglia di mobilitare mezzo villaggio per farti fare gli esercizi come si deve. E poi, al momento nessuno ha tempo.» Shikamaru si gratta la nuca. «Sono sicuro che se riesci a tirarmi un pugno mentre stai controllando Choji – senza offesa, Choji – puoi pestarmi con chiunque.»

«Questo è sicuro!» Una voce alle mie spalle.

Mi giro. Kiba sta venendo verso di noi, Akamaru che gli trotta al fianco. Alza una mano in segno di saluto.

«Ehilà, Kiba!» risponde Shikamaru con un ampio sorriso sul volto.

«Shika, brutto bastardo, non ti sei più fatto vedere in giro dopo il fattaccio di Pain. Te lo ricordi che mi devi cinquantacinque ryu, vero?»

«Sì, me lo ricordo. È che in questo periodo ho avuto molto da fare con mio padre e con la mia squadra.»

«Tutte scuse del cazzo.» Kiba dà una pacca sulla spalla di Shikamaru. «Comunque non sono venuto qui per il debito. Naruto mi ha avvertito che La Foglia Selvaggia riapre. Si festeggia non so se il risveglio dell’Hokage, gli abitanti che sono sopravvissuti alla visita di Pain o che altro, fatto sta che Naruto è l’ospite d’onore – beato lui! – e daranno alcolici ai minorenni. Mi ha chiesto di radunare la truppa e di dirvi di farvi trovare al bar per le dieci di stasera. Tu vieni!» grida da sopra la spalla, all’indirizzo di Shikamaru. «Così mi offri da bere per cinquantacinque ryu!»

Shikamaru risponde con un grugnito all’ultima frase. Sì, no, boh...

«Chi altri viene?» chiedo.

«Eeehm...» Kiba si gratta il naso. «Più o meno tutti. Non ho ancora chiesto alla squadra di Neji, però tutti gli altri sono sicuri di esserci. Tranne Sakura, che non sa se riuscirà a finire un lavoro. Eeee... ce n’era un altro che ha detto di no. Ah, sì! Shino è astemio e ha detto che non vuole venire, ma a lui ci penso io. Me lo carico in spalla e che si fottano lui e le sue scuse.» Ci guarda. «Allora, ci state?»

Alzo la mano. «Presente!»

«Anche io» dice Shikamaru.

«Si mangia?» chiede speranzoso Choji.

«Ci saranno patatine e tutte le altre schifezze che piacciono a te» Le zanne rosse sulle guance di Kiba si arricciano quando lui sorride. «Ci vediamo tutti stasera, allora?»

 

La serata non sta andando proprio come avevo previsto: tra un brindisi e l’altro alla signora Tsunade, la “Quercia Di Konoha”, Naruto ha annunciato che partirà domani per un’importante missione. Destinazione ignota, ordini da aprire solo una volta che il battello avrà preso il largo. Non sa nemmeno quanto durerà o se nel frattempo potrà comunicare con noi. Sakura ha chinato la testa e da allora ha smesso di ridere.

Della gente annunciata da Kiba nel bar se n’è presentata poco più della la metà. Sakura si è sistemata con discrezione al fianco di Naruto, e ogni volta che guardo verso di loro lei ha occhi solo per lui. Seduto lì vicino c’è Kiba, spalmato sul tavolino e con la testa tra due bottiglie vuote di sakè, scosso da un attacco di ridarella suscitato da qualcosa che Naruto gli ha sussurrato. Accanto a lui c’è Shino, a braccia conserte, nella stessa rigida posizione che aveva quando sono entrata. Dall’altra parte Shikamaru, che si sta rigirando tra le mani il portamonete opportunamente svuotato da Kiba, Choji, tutto impegnato a ripulire un sacchetto di patatine, io e Sai.

Faccio scorrere il dito sul bordo di una bottiglia di sakè. La muovo, sento lo sciabordio del liquore contro le pareti di ceramica. Me ne verso un po’.

Se sbircio davanti a me scopro Sai che mi fissa con un’intensità decisamente fastidiosa.

«Che cosa c’è?» gli chiedo.

Sai si stringe nelle spalle. «Niente.» Beve dal suo bicchierino.

Butto giù anche io il mio sakè. La bevanda calda mi pizzica la lingua.

A prima vista Sai è la copia di Sasuke, con il suo bel visino e il suo carattere freddo e misterioso, ma più lo guardo e più quella pelle bianca mi ricorda Orochimaru. Fortunatamente non ha la passione per i serpenti. Sai è la versione etero di Orochimaru.

Butto giù un altro sorso di sakè. Il mio sguardo scivola sull’ombelico scoperto di Sai. Oddio, etero fino a un certo punto...

Al mio quarto bicchiere il suo sorriso è accattivante sulla faccia arrossata, i suoi occhi brillano. Sai butta giù il suo quarto e torna a fissarmi. Mi mostra il bicchierino asciutto e si versa altro sakè.

Ricambio il suo sguardo. Riempio il bicchierino e lo svuoto.

Sai ridacchia. «Dilettante» mi dice. Allunga la mano verso una bottiglia nuova di sakè. Afferra l’aria.

Ora tocca a me ridacchiare. «Non ce la fai, eeeh?» Mi sporgo verso di lui. «Sei già così... ubriaaco?»

«Non sono...» Sai aggrotta la fronte. «Non sono ubriaco. Prova tu a prendere la bottiglia.»

«Guarda come si fa.» Sfioro la bottiglia con le dita. Un po’ più a destra...

Mi giro e vomito.

 

La luce che filtra dai listelli delle imposte mi arriva dritta in faccia, mi penetra nel cranio in mille punti diversi come aghi arroventati. Mi rigiro sul pavimento, tutte le ossa indolenzite. La testa pulsa così forte che sembra sul punto di esplodere. Dovevo essere davvero sbronza ieri sera, per non riuscire ad arrivare neanche al letto... Chissà come ci sono arrivata a casa.

Un braccio mi scivola lungo il fianco. Non è il mio, a meno che questa notte non me ne sia cresciuto un terzo.

Apro gli occhi, mi metto a sedere.

Sono nuda, e... oh, porca puttana roia! Accanto a me c’è Sai, altrettanto nudo, che russa beato.
 


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Capitolo 2
*** Decisioni affrettate ***


2
Decisioni affrettate

 


Calma. Rifletti, con calma. Come ci sei arrivata lì?

Ricordo la gara al bar. E poi?

Il pulsare alla testa mi distrae, mi impedisce di pensare con la dovuta lucidità. Mi massaggio le tempie con un gemito – non forte, altrimenti questo qua si sveglia.

Mi sono alzata abbastanza presto, la serata si stava facendo noiosa, e Sai si è offerto di accompagnarmi. Ok, stai andando bene, e poi che altro? Un bacio al gusto di sakè all’angolo della strada. Il sangue mi si gela nelle vene. Gliel’ho proposto io! Una corsa nell’aria fresca della sera, mano nella mano; imitazioni non richieste di un babbuino, un pellicano, un elefante da parte di Sai – «Tecniche avanzate di mimetizzazione» ha detto annuendo serio; lui che mi fissa negli occhi prima di aprire la porta. «Sei sicura?» mi ha chiesto; «Ma certo!» è stata la mia risposta strascicata.

E poi il pavimento duro contro le scapole, i denti di Sai stretti attorno al mio collo, una sua mano che mi accarezza.

Oh, bene, non abbiamo manco usato un preservativo! penso, mentre uno dopo l’altro i tasselli della mia memoria si rincorrono per formare il mosaico di ieri sera.

Mi alzo, ignorando il senso di vertigini e lo stomaco che protesta. Recupero i miei vestiti sparpagliati ovunque nell’ingresso dell’appartamento, appallottolati e stropicciati. Devo andarmene e pensare a come sbrogliarmi da questa situazione assurda. Sai! Sono andata a letto con Sai!

Un grugnito. Lui si è svegliato. Sbatte gli occhi e mi guarda come se avesse visto un qualche tipo di mostro.

Merda, ora gli devo dire qualcosa...

Sai si mette seduto, assume un’aria da io-so-quello-che-abbiamo-fatto-ho-la-situazione-sotto-controllo. Sotto controllo un cazzo!

Sorrido. «Scuse se ti ho svegliato» gli dico. «Ho da fare i preparativi per il trasloco, parliamo più tardi.» Esco prima che apra bocca.

 

Un po’ mi dispiace per quel saluto affrettato – ma andiamo, non credo che anche lui avesse molto da dirmi!

Mentre pitturavo di lilla le pareti della mia nuova camera ho pensato a come risolvere la situazione con Sai. Parlargli sarà terribilmente imbarazzante, ma non posso ignorarlo per chissà quanto tempo, sperando che lui ricordi poco – o niente, meglio. E anche se ieri fosse stato tanto ubriaco da dimenticare completamente questa storia – voglio crederci, ma se è riuscito a scoparmi vuol dire che non era così ubriaco – dovrei dargli un qualche tipo di spiegazione sul perché mi trovassi a casa sua.

Inoltre, è di Sai che si parla: non è una persona normale, anche se – dati i personaggi che girano a Konoha – normale è una definizione senza significato. Non ho la più pallida idea di come potrebbe prendere la situazione. Se fosse lui per primo a dichiarare di volermi scaricare ne uscirei sconfitta. Sarei io la vittima della situazione. Ma io non voglio fare la vittima, io non sono una vittima!

Ficco con rabbia il pennello nel secchio; gocce di vernice saltano oltre il bordo e macchiano le mattonelle. Un ringhio di papà. «Guarda che poi pulisci tu!» mi avverte.

Quando sono tornata a casa questa mattina mi ha afferrato e mi ha infilato uno dei suoi vecchi vestiti, una maglietta larga e logora, di uno stinto color blu notte ora chiazzato di vernice lilla. «Dopo dovremo parlare, signorina.» Mi ha messo un pennello in mano senza una parola in più e mi ha trascinato ad aiutarlo a dipingere la camera, cosa che proprio ieri aveva promesso di fare da solo. Ecco la strategia intimidatoria da pre-interrogatorio domestico di papà. Mettere pressione e aspettare in silenzio.

E se invece Sai volesse iniziare una storia? Non lo voglio come ragazzo, è un tizio troppo strano: mi vergognerei a girare per Konoha tenendogli la mano. Ma se quel che mi ha detto Sakura sul suo passato è vero... non mi piace veder soffrire la gente che non se lo merita, e Sai non mi ha fatto nulla. E in più, se dovesse reagire con violenza? Forse è meglio se chiedo a Sakura di stare a portata d’orecchio nel caso le cose andassero male. Lei è più brava di me con i pugni.

«Ino.»

Raddrizzo la schiena indolenzita. «Sì?»

Papà guarda il muro; gli da tranquille pennellate dall’alto della sua scaletta mobile. «Dove sei stata tutta la notte? Io e tua madre ci siamo spaventati a morte.»

«Io, hum...» Dirgli di Sai? Neanche per scherzo. «Ho bevuto un po’ troppo» rispondo. «Ho chiesto a Sakura di poter dormire a casa sua perché so che non volete che mi ubriachi.»

«Perché ubriacarsi è da idioti, infatti.» Il tono di papà è calmo, come se si stesse discutendo di qualcosa senza importanza. Non è un buon segno.

«Lo so, ma abbiamo alzato tutti un po’ il gomito, cosa dovevo fare? Dire “no grazie ma devo restare allerta?”» Non c’è stata un’emergenza militare e io non sono andata in coma etilico. Ok, ho fatto un’emerita stronzata, ma non è poi tanto grave, me ne tirerò fuori in qualche modo. Che cosa vuole papà da me?

«Avresti dovuto, Ino.» Passi che scendono la scala; rumore metallico quando questa viene trascinata sul pavimento; fogli di giornale accartocciati. «C’è un motivo per cui uno dei tre precetti di uno shinobi è “non abusare dell’alcol”. Anche lo spadaccino migliore se beve troppo vale meno del più infimo spazzino. Da ubriachi siamo tutti facili prede. Soprattutto tu, che ormai sei una donna fatta. Voi donne siete prede per natura.»

«Ma papà...» Parlare di queste cose coi i propri genitori è sempre tremendamente imbarazzante. «Non ci sono stupratori ad ogni angolo, qui a Konoha...»

«Vero. Ma ne basta uno solo con la dovuta forza. E tu di forza ne hai poca, bambina mia. Non dovresti peggiorare i tuoi riflessi e le tue capacità di ragionamento ubriacandoti.»

Abbasso la testa. «Sì, papà. Scusa.» Spero di esser sembrata abbastanza mortificata.

«Ti scuserò quando la prossima volta ti comporterai come ci si aspetta da una kunoichi del clan Yamanaka. Maledizione, a breve Konoha avrà bisogno di tutti i suoi soldati!»

Silenzio. Si sente solo lo sfregare umidiccio dei pennelli contro le pareti.

 

Papà mi ha permesso di uscire solo il giorno dopo.

Nonostante abbia avuto tutto il giorno di ieri e tutta la notte per pensarci non sono ancora sicura di cosa dire a Sai. “Mi dispiace, non ti voglio” è troppo duro. Ma se gli spiegassi che non lo voglio perché è strano? Se la prenderebbe ancora di più. “Mi dispiace, ma il mio cuore soffre ancora per Sasuke.” Seee... Chi cazzo ci crede ancora a questa storia?

I miei passi mi hanno portato verso la tenda dei dango, strategicamente piantata sotto un grande albero, in un slargo del sentiero verso i campi d’allenamento occupato da tavoli di legno e panche.

Ad uno dei tavoli c’è Sakura, uno spiedo in bocca e una mano che scrive in fretta su un blocco per gli appunti.

«Oilà» la saluto.

«Ehi» mi risponde Sakura.

«Per caso hai visto Sai?»

La mano di Sakura interrompe la sua corsa sul foglio bianco. «In biblioteca.» Mi guarda, sorride. «Che gli hai fatto? Quando mi ha visto mi ha salutato con un sorriso – un sorriso vero. Sembrava quasi un ragazzo normale.»

«Sì, hum, beh...» Mi guardo attorno. Non c’è nessuno a portata d’orecchio, tranne la cameriera che pulisce il bancone a una decina di metri di distanza.

«L’altro ieri quando mi ha portata a casa...»

«“Questo manuale dice che gli uomini accompagnano sempre le signore, ed io ho il pene.” Non è così che ha detto?»

«Non ricordarmelo, ti prego... È già abbastanza imbarazzante sapere che ci sono andata a letto.»

«Mmph» è il commento di Sakura. «E ora che pensi di fare?»

«In che senso, scusa?»

«Beh, in biblioteca mi sono seduta al suo stesso tavolo. Quando si è alzato per cercare un volume ho dato un’occhiata ai suoi titoli. Aspetta, me ne sono segnati un paio...» Sfoglia il suo blocco per gli appunti. «Eccoli qui: “Il meraviglioso mondo dell’amore corrisposto”, “Tecnica del sì”, “Guida erotica per l’uomo che vuole osare.”»

Terrificante. «Non sono sicura di voler continuare questa storia» le rispondo. «Insomma, è troppo strano per me.»

«Sai fa davvero sul serio, Ino» continua Sakura. «Ed è un bravo ragazzo, anche se la prima impressione che da è pessima.»

«Sì, ma...»

«“Si avvicinano tempi oscuri, ragazza. Dovresti farti guidare da ciò che senti, senza se e senza ma. Perché quando arriverà la tempesta sarà soltanto l’amore che ti spingerà a lottare per restare a galla.” Me l’ha detto la signora Tsunade proprio ieri.» Scuote la testa. «L’ho sentita in tutte le salse questa frase, ho sempre pensato che fosse sciocca, ma vorrei aver dato ascolto all’Hokage ed aver chiesto a Naruto di mettersi con me prima che partisse.» Sospiro. «Non fare il mio stesso errore.»

«Solo perché l’Hokage è... che minchia ci fa Sai qui

Sai è appena comparso vicino al chiosco dei dango. Se ne sta fermo e mi fissa.

«Oh, mi ha chiesto dove fossi e io l’ho spedito alla tua tenda.»

«Ma sei una bastarda!»

«Guarda che ti ho fatto un favore, Ino. Se non lo capisci subito ci metterai un po’, ma sta’ a vedere che alla fine mi ringrazierai. Sai, non stare lì nascosto, non mordiamo!»

Sai si avvicina, ma non mi stacca gli occhi di dosso. «Volevo chiederti se ti andrebbe di fare una passeggiata con me» dice.

«Io, non...» Quello sguardo non mi piace. Mi mette a disagio. Ah, allora è così che si sente una ragazza che sta per essere sequestrata da uno stupratore. «Non ho niente da fare oggi.»

«Bene. Perché ora che hai fatto sesso con me tu sei diventata la mia ragazza, giusto? Dobbiamo uscire insieme.»

«Ehm...» Mi giro. Sakura sta sorridendo. Il suo labiale dice “buttati”. «Sì, tecnicamente sono diventata la tua ragazza.»
 


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Capitolo 3
*** Un pomeriggio d'estate ***


3
Un pomeriggio d'estate

 

«Dai, comincio io!»

Sai si passa il pollice sulle labbra. Scivola più giù di qualche tegola e si sporge sulla strada sottostante. «Quello là» dice. Indica con la punta mangiucchiata del suo ghiacciolo qualcuno in mezzo alla folla che attraversa la via maestra.

Stacco un morso dal mio ghiacciolo, lo mastico finché non si riduce a una fresca poltiglia al gusto di arancia.

L’uomo che mi ha indicato Sai sta in piedi all’ombra di un albero. Indossa la divisa regolare da jonin. Sta parlando con un suo amico, ma il chiasso generale nasconde le sue parole. Ha la faccia rossa a furia di gridare. Indica sé stesso e poi un punto indistinto in mezzo alla strada. Allarga le braccia e piega la schiena all’indietro, si raddrizza e congiunge le mani come se stesse pregando. Mima uno strangolamento. Il suo amico lo fissa; ogni tanto annuisce serio, ma non parla.

«Piantato dalla fidanzata» dico. «Lei dice che è colpa sua, “non mi hai mai soddisfatta a letto!”, ma lui dice che non le ha mica consigliato lui di scoparsi il suo compagno di squadra. “La puttana è lei!”» aggiungo quanto l’uomo indica di nuovo la folla, in quella che spero sia una passabile imitazione di voce maschile. «Lui vorrebbe strangolarli tutti e due, ma...» L’uomo mima un’impiccagione. «... prima deve andare a impiccarsi per la disperazione» concludo soddisfatta. Sono un genio.

«Oh.» La voce di Sai però è neutra. Avrà tempo per abituarsi ai miei giochini idioti.

«Bene, ora tocca a te. Vediamo se tutti quegli stupidi manuali che ti leggi stanno dando qualche frutto. Te lo faccio facile facile, eh!» Stacco un altro morso di ghiacciolo. «Quella al bancone della frutta. La donna che ha avuto la brillante idea di mettere un grembiule verde su una gonna viola. Certo che ha un bel coraggio ad abbinare quei due colori.»

«Perché ha del coraggio?» mi chiede Sai con tono allarmato. «Non è permesso indossare verde e viola insieme? È contro qualche regola del villaggio?»

Scoppio a ridere. «No...» Succhio la base del ghiacciolo che mi sta sgocciolando sul dorso della mano. «Farlo si può fare, è che sono due colori che insieme non vanno bene. È un fatto di moda, non...» Perché con Sai mi arrampico in discussioni di questo tipo? «Oh, lascia stare. Forza, continuiamo il gioco.»

La donna ha al seguito due marmocchi chiassosi tanto da sembrare in cinquanta.

«Mamma voglio il gelato, mamma voglio le caramelle, mamma perché non mi compri il gelato?» dice Sai con voce stridula, quando i bambini tirano il grembiule della madre. Lei li spinge con la punta del piede, poi torna a rivolgersi al fruttivendolo. Si dicono qualcosa. La donna sposta tutte le borse che ha fra le braccia in una mano sola, si fruga nelle tasche e paga il commesso. Se ne va a lunghi passi, i marmocchi che lasciano una scia di urla e lacrime. «Quella mi sembra sul punto di una crisi di nervi» sentenzia. «E scommetto che pesterà quei due marmocchietti così forte che non se lo scorderanno più.»

«Devono essere terribili» dico.

«Già...»

«Però...» Sai china la testa. «Mi chiedevo come sarebbe avere una famiglia. Sì, avere dei bambini, sedersi ad un tavolo e raccontarsi la giornata. Forse non è così male.»

«Sei più normale di quanto pensassi» dico.

Sai mi guarda. «Davvero?»

«Sì. » Mi giro verso di lui. «All’inizio mi fissavi con tanto d’occhi, come se fossi stata una specie di... tigre verde a cuoricini. Era irritante, sai?»

«“Le Relazioni Sociali Spiegate Agli Idioti” dice la stessa cosa» commenta Sai. Sfila dalla tasca un libricino dalla copertina verde acido. Lo sfoglia. «Capitolo dieci, Lo sguardo giusto» recita con un gran sorriso. La sua postura dritta mentre tiene il libro con entrambe le mani all’altezza degli occhi mi fa sorridere. «Non è educato fissare troppo intensamente una persona. Con lo sguardo si comunicano molte cose, e con una donna la vostra innocente curiosità potrebbe essere scambiata per desiderio sessuale. Nel caso qualcuno vi sorprenda a fissarlo non distogliere lo sguardo: apparireste ancor più sospetti. Sorridete (capitoli tredici e quattordici) e usate la seguente frase: “Scusi, l’ho scambiato per un un mio amico” o in alternativa, sostituite amico con parente. Parente, attenzione, non definite oltre il grado di parentela. Soprattutto le donne si potrebbero arrabbiare sentendosi accomunate alla vostra ipotetica nonna o peggio ancora, nonno. Anche se effettivamente hanno dei peli del naso lunghi fino al mento (una più approfondita trattazione delle relazioni con individui di sesso femminile la troverete nei capitoli da venti a trentacinque).»

Lo guardo basita. Terrificante.

Sai non sembra accorgersi del mio sguardo. Probabilmente il capitolo “Capire i pensieri dall’espressione” fa parte del volume due. «L’ho letto tutto, è interessante! Non avevo idea che fosse così importante mentire! Insomma, praticamente a una donna non puoi dire assolutamente niente di quello che pensi! Se è brutta devi dire che è splendida, se è grassa devi dire che è magra – ma il libro consiglia anche di dire “Hai solo le curve al posto giusto” -, se è noiosa devi dire che ascolti con estrema attenzione ogni suo discorso. Per esempio, tu oggi puzzi di sudore, ma io non te lo posso dire per non offenderti.»

Alzo gli occhi al cielo. Sospiro.

Sfilo l’ultimo boccone di ghiacciolo in un silenzio offeso. Lancio il bastonino verso il cestino della spazzatura più vicino. Quello rotea in aria, colpisce il bordo e cade sul marciapiede. «Che palle...» Non ho voglia di scendere dal tetto per raccoglierlo e buttarlo. Ci penserà qualche spazzino. Tanto è il loro lavoro, no?

«Se centri il cestino ti perdono per avermi fatto notare che puzzo di sudore» propongo.

Sai sfila di bocca lo stecchino. Lancia. «Centro!» annuncia. «Perdonato?»

«Perdonato.» Lo fisso negli occhi. Caccio fuori la lingua.

«Ino!» esclama Sai terrorizzato. Mi tocca il mento con la punta delle dita. «D-dobbiamo andare in ospedale, non stai bene! Ha-hai la lingua arancio!»

Rido. «Non ci credo! Davvero non hai mai mangiato un ghiacciolo?»

Sai scuote la testa.

Gli sorrido. Che infanzia terribile deve aver avuto. «Da piccola era il mio passatempo preferito guardare le lingue delle mie amiche dopo aver mangiato dei ghiaccioli... Forza, tira fuori anche la tua, di lingua. Voglio vedere come sei messo!»

«No, preferirei di no.»

«E perché?»

«Perché...» Sai sospira. Cambia posizione. Alla fine apre la bocca e mi mostra la lingua.

In mezzo alla macchia verde lasciata dal ghiacciolo c’è un tatuaggio, un simbolo. Una serie di rettangolini simmetrici. Non ne avevo mai visto uno simile.

Allungo la mano verso il suo viso. «Che cos’è?» chiedo.

Sai si stringe nelle spalle, sposta la testa per evitare il mio tocco. «Un sigillo che usiamo noi della Radice» spiega. «Se parliamo della Radice, dei suoi piani o del suo funzionamento, o dell’identità dei suoi membri, questo sigillo ci paralizza e ci impedisce di parlare.»

«Oh. È... terribile. Selvaggio! Danzou vi tratta come delinquenti che non riesce a tenere a bada!»

«Non è vero!» Sai è scandalizzato. «Fa il suo dovere per proteggere le informazioni su Konoha e l’Hokage» aggiunge a voce più bassa. «Se ci facciamo catturare senza avere la possibilità di suicidarci potrebbero estorcerci qualsiasi informazione con la tortura. Io ho assistito a un paio di sedute durante il mio addestramento, so come può ridursi l’uomo più fedele con del metallo fuso colato sulle gambe, o dei topi che si scavano una via tra le sue viscere, oppure con dell’acido che... no, questa è meglio che non te la racconto.»

Mi stringo le ginocchia al seno. Non mi piacciono questi discorsi. «Non ci credo che ti hanno fatto vedere certe cose. Konoha è un paese civile, le torture non sono permesse.»

Silenzio imbarazzato.

«Senti...» dice Sai. «Perché non ci prendiamo un altro ghiacciolo? E facciamo ancora quel gioco di indovinare il discorso della gente?»

«Nah, sono stufa di giocare. Prendiamo un altro ghiacciolo e poi andiamocene» Salto giù dal tetto.

Anche Sai salta in strada. «Offro io, alle donne piace. Che gusto vuoi?»

«Uhm.. prendimene un altro all’arancia No, no, all’amarena.»

«Amarena. Sissignora!»



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Capitolo 4
*** Interludio ***


4
Interludio

 


Nelle due settimane successive io e Sai siamo usciti ogni giorno, e senza che ce ne accorgessimo abbiamo creato poco alla volta tante piccole consuetudini, piccoli rituali: mangiare un ghiacciolo su un tetto e fare giochi cretini, giocare a mahjong sotto un albero, al riparo dal sole del pomeriggio, passeggiare la sera mano nella mano per le vie di Konoha. Non abbiamo più bevuto, di comune accordo. Tutte le volte successive che siamo andati a letto assieme lo abbiamo fatto con la mente lucida, e con tutte le dovute protezioni.

Non abbiamo neanche più parlato del passato di Sai. Colpa il suo essere laconico di natura, colpa i suoi legami con la radice, dopo il quaderno di disegni fatto per suo fratello, che mi ha mostrato con riluttanza e con nella voce una traccia di rimpianto, non ho più saputo nulla del bambino allevato nella radice.

«Ma non ti ricordi nulla nemmeno dei tuoi genitori? I loro nomi, magari?» gli ho chiesto un giorno, sdraiata sulla riva del lago a prendere il sole come una lucertola.

«No» è stata la sua risposta. «E temo di non provare per loro... niente.»

 

L’altra sera Sai mi ha regalato una collana d’argento, con un piccolo rubino sangue di piccione. Ho guardato incantata la piccola sfera mentre brillava incastonata in una rosa d’argento. Quella sera stessa sono tornata a casa con la collana in bella vista sul petto, attirando lo sguardo contrariato di mia madre.

«Chi te l’ha regalata quella collana?»

«Sai.»

Sai? Un disadattato. Strano, incostante, plagiato da Danzou; mi farà soffrire, prima o poi, devo solo stare a vedere. Perché non ho scelto Shikamaru? Un così bravo ragazzo, responsabile, serio...

Ho sorriso, mentre vedevo la me stessa di qualche settimana fa. Le ho risposto di non preoccuparsi, che Sai non è davvero così.

«Sai è un ragazzo buono. Ci tiene a me e alla nostra relazione.» E me ne sono andata in camera mia canticchiando.

 

Ho parlato a Sai di quanto mi ha detto mia madre appena l’ho visto.

«E tu?»

«Io cosa?»

Sai piega la testa verso di me. «Tu che le hai risposto?»

«Che si sbaglia alla grande.» Mi alzo sulle punte dei piedi, lo bacio. «Che sei fantastico.»

Sai mi sorride. Riprendiamo a camminare.

«Sai, stavo pensando...» Mi attorciglio una ciocca di capelli attorno all’indice. «Che stasera potresti passare a casa mia. Tanto i miei partono questo pomeriggio e non ci sono fino a dopo domani.»

Sai sorride. «A me va bene.» Si china e mi bacia di nuovo. «Qual’era quella cosa che mi volevi far vedere?»

«Ah, sì!» Lo tiro per la manica. «Per di qua!»

Svoltiamo in un vicoletto a destra. Al primo incrocio giriamo ancora a destra e poi a sinistra. Ci ritroviamo ancora in uno slargo sul quale si affacciano diversi negozi, tutti con le serrande abbassate. Appesi alle vetrine vuote ci sono cartelli colorati che annunciano le prossime aperture.

Guido Sai verso uno di questi negozi. Mi giro verso di lui, allargo le braccia. «Ta-dan!» esclamo. «Ecco il nuovo negozio degli Yamanaka! Bello, vero?»

«Enorme!»

Sorrido. «Già, ne abbiamo approfittato per chiedere un ampliamento. Il negozio che avevamo prima era veramente piccolo! Vieni, ti faccio vedere com’è dentro!» Sfilo un mazzo di chiavi nuovo dalla tasca del vestito.

«Ino, leggi qui!» dice Sai.

«Mph?»

Sai sta guardando la serranda del negozio vicino. «C’è un avviso dell’Hokage. Dice che ci sarà un’edizione speciale dell’Esame di selezione Chuunin. Iwa, per l’occasione saranno ammessi anche i ninja eliminati nelle precedenti edizioni, buona fortuna, Senju Tsunade eccetera eccetera. A quanto pare stanno cercando di racimolare quanta più carne da macello possibile per la Guerra.»

L’euforia che mi pervadeva fino a un attimo fa per la semplice presenza di Sai si è volatilizzata, lasciando il posto a... qualcos’altro. «Allora ci sarà veramente una guerra?»

«Così sembra.»

«Bene!» Shikamaru ha detto che sono inutile. Avrei finalmente avuto la mia occasione di chiudergli la bocca. Mi vedo già in piedi sull’attenti, mentre l’Hokage mi appunta una medaglia al valore sotto la spalla sinistra e vengo acclamata dalla folla, Shikamaru in prima fila. Un sorriso, un inchino, una lacrima di commozione. Sorrido anche nella realtà. È perfetto.

 

Chiudo gli occhi.

E uno, e due, e tre!

Calo i pantaloni del pigiama e le mutande. Sollevo una palpebra.

Niente.

Appoggio la schiena alla parete del bagno.
 


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Capitolo 5
*** Incomodi particolarmente fastidiosi ***


5
Incomodi particolarmente fastidiosi

 


Mi sporgo da uno degli scaffali della biblioteca. Sakura sta sfogliando pigramente un libro, la testa appoggiata al pugno.

«Ehi!»

Sakura alza lo sguardo. Ha fatto scivolare gli occhiali verso la punta del naso, e ora mi fissa da sopra la montatura rossa. «In biblioteca così di buon mattino?»

«Dovrei parlarti...»

«E allora inizia a venire qui. Non startene lì nascosta come una delinquente.» Sakura chiude il pesante volume e lo spinge di lato senza smettere di fissarmi.

La raggiungo al tavolo e mi siedo davanti a lei. «Ho un ritardo...»

«Che cosa

In altre circostanze sarei scoppiata a ridere vedendo Sakura con la bocca spalancata e gli occhi che sembrano sul punto di schizzarle via dalle orbite. Oggi no. «Sono tre settimane.»

«Ma sei sicura di essere incinta?»

«Beh... Il test non l’ho ancora fatto. Ma una volta non abbiamo usato il preservativo...»

«Aspetta una secondo.» Sakura si alza, afferra il libro e scompare dietro uno degli scaffali. Ricompare dall’altro lato. Torna da me quasi correndo, si sfila gli occhiali e li butta nello zaino, appoggiato sulla sedia accanto a quella su cui si era seduta. Fa il giro e mi prende per mano. «Andiamo, sbrigati!»

La seguo mentre corre giù per l’infinita rampa di scale che ci riporta al villaggio.

«Hai fatto una stronzata!» ansima. «Una gigantesca stronzata!»

«È un tantino tardi per dirmelo...»

«L-lo so, ma dovresti saperlo, non... attenta al gradino! Non è una novità, no?»

Finite le scale Sakura si ferma. «Senti» dice, e si volta. Mi afferra le spalle. «Questo mese ti sono successe una sacco di cose, ok? La relazione con Sai che va bene ti ha scombussolato gli ormoni, il dubbio di essere rimasta incinta ti ha stressato e ti ha portato ad avere un ritardo.» Abbozza un sorriso. «Per cui è molto probabile che si tratti di un falso allarme. Di recente ti ha fatto male il seno o l’addome? Hai avuto nausee?»

Scuoto la testa.

«Ecco, vedi? È un falso allarme. Però noi ora andiamo in farmacia e ci prendiamo qualche test, ok?»

No, la nausea ora ce l’ho. «Farmacia... test...»

«Guarda, se non te la senti posso parlare io, però devi farti coraggio e venire con me. Va bene?»

Annuisco di nuovo. «Grazie.»

Il sorriso sul volto di Sakura si allarga. «Che cosa faresti senza di me, eh?»

Mi costringo a sorridere. «Probabilmente me ne starei in ammollo nella vasca a piangere.»

Sempre tenendomi per mano Sakura mi guida a passo svelto lungo la nuova via maestra di Konoha, poi svolta a destra tra una vetrina che espone collane e anelli e una bancarella piena di frutta. L’insegna della farmacia è proprio sull’angolo.

Mi tremano le gambe. Le mani sono sudate.

«Avanti!» m’incoraggia Sakura. Entriamo.

Ci accoglie un persistente aroma di erbe che mi fa prudere il naso e lacrimare gli occhi. Come se non stessi già male di mio.

Il negozio è deserto; non c’è nessuno che ci sentirà chiedere dei test di gravidanza, ma mi sento lo stesso avvampare mentre Sakura lo chiede a voce forte e chiara al farmacista.

Un uomo.

Porca puttana.

Lui ci squadra per un attimo, come per cercare di capire chi delle due ne abbia bisogno. Poi si volta e ne prende tre confezioni da uno degli scaffali. «Trenta ryu» ci informa atono. Appoggia tutto sul bancone.

«Grazie» risponde Sakura con voce pacata. Sorride all’espressione corrucciata del farmacista mentre si fruga nello zaino e appoggia una manciata di monetine sul bancone. Prende i test e li nasconde nello zaino.

Io giro i tacchi e me ne vado raccogliendo tutta la mia dignità, ma non riesco a togliermi la sensazione degli occhietti neri di quell’uomo puntati sulla mia schiena.

 

Sakura sta misurando a grandi passi la mia stanza. Ha aperto una delle confezioni che ora giacciono sul letto accanto a me, e tiene in una mano il libretto delle istruzioni, srotolato, nell’altra un test. «Allora, è molto semplice.» Si gira verso di me. «Togli il cappuccio e fai pipì sul puntale assorbente, questo qua. Qui dice che è consigliabile effettuare il test con le prime urine, nelle quali c’è una maggiore quantità di Beta-HCG - è l’ormone della gravidanza. Pazienza, noi ci faremo andar bene le seconde della giornata. Tieni il tampone sotto il flusso di urina per circa dieci secondi. Uh, qui dice che si può anche fare pipì in un bicchiere e immergere il tampone, sempre per dieci secondi. Bah, che schifo. Io non lo userei un bicchiere in cui qualcuno ci ha pisciato, neanche dopo cento lavaggi. Vabbè, passati i dieci secondi lo togli, rimetti il cappuccio e lo appoggi su una superficie piana. Se sei incinta dopo tre minuti nella finestra-controllo appare una seconda linea.» Picchietta la punta del pollice sullo stick. «Tutto chiaro?»

«Direi di sì.» Traggo un respiro profondo. Mi alzo. «Facciamolo, allora!» Prendo lo stick dalle mani di Sakura e cammino impettita verso il bagno.

 

«Allora?»

Sakura mi aspettava sdraiata sul letto, le braccia aperte. Quando mi vede entrare si rimette seduta.

«Aspettiamo i tre minuti.» Sorrido. «Ma tanto è negativo!»

Tanto è negativo. E se fosse risultato positivo?

Vorrei essere tranquilla come Sakura, che se ne sta seduta composta, ma prendo a camminare avanti e indietro per la mia stanza.

Che farei se risultasse positivo?

Sai se ne andrebbe. La gente spettegolerebbe alle mie spalle. Mi pare già di sentire i sussurri che si scambierebbero vedendomi camminare per strada. Mi additerebbero ridendo, chiamandomi baldracca. Tutti mi guarderebbero e vedrebbero una ragazza orrenda, grassa e con il pancione.

Non potrei più fare l’occhiolino ai ragazzi e sentirli fischiare al mio culo spettacolare. Nessun ragazzo mi guarderebbe più se avessi un bambino in braccio.

Addio serate con gli amici, addio tempo libero, addio a tutto e tutti! Passerei gli anni successivi a badare a un stupido bambino irritante, giorno e notte, senza una mano da parte dei miei genitori che farebbero i bastardi e mi caccerebbero di casa. E quando me ne libererei sarei già una donna di mezz’età condannata a restare zitella a vita.

Potrei abortire, ma a sedici anni serve il consenso dei miei genitori. Non me lo darebbero mai. Ma Sakura è un ninja medico, magari...

«Ino?»

Mi blocco.

«Sono passati i tre minuti, credo.»

«Oh.» Abbasso lo sguardo.
 


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Capitolo 6
*** Problemi da risolvere ***


6
Problemi da risolvere

 


Non mi sono accorta di quanto fosse pesante il mattone nel mio petto finché non se n’è andato.

«Negativo.»

È negativo. Quella stramaledetta seconda linea non si è fatta vedere. È tutto apposto. Non diventerò un bestione additato da tutti.

Le gambe mi cedono all’improvviso. Cado in ginocchio, mi passo una mano tremante sulla fronte sudata.

Sakura si inginocchia di fronte a me. «Senti, so che ora ti senti sicura – e al novantanove percento hai ragione d’esserlo – a volte capita che i test si... sbaglino

La guardo scandalizzata.

Sakura si allunga e prende gli altri due test che abbiamo comprato, ancora chiusi nelle loro confezioni colorate. «Per questo te ne ho presi tre.» Me li mostra. «Voglio che tu faccia un altro test tra una settimana, appena ti svegli. E una settimana dopo ne dovrai fare un altro.»

Ma se è negativo è negativo. E io ho eseguito alla lettera le istruzioni. Apro la bocca per parlare, ma Sakura mi blocca con un cenno. «Una precauzione» spiega. «per eliminare qualsiasi dubbio.»

Sospiro. «Tanto è negativo» insisto. «Ma fare un test in più non mi ucciderà» mi affretto a rispondere a Sakura, che ha ridotto gli occhi a due fessure.

Lei si rilassa, sorride soddisfatta. «Bene. Ora che ho finito la mia missione qui torno in biblioteca. Ho da finire una ricerca per la signora Tsunade.»

«Sì anche io ho da fare. Cioè, non proprio... Devo vedermi con Sai.»

La sveglia sul comodino segna le dieci.

Un momento... L’appuntamento con Sai non era alle nove e mezza?

Cazzo.

«Sono in ritardo!» Mi tuffo verso l’armadio, spalanco le ante. Non posso andare da Sai con gli abiti di ieri. Faccio scorrere le magliette appese. Dov’era quella scollata lilla?

«Sakura, per favore, ti scongiuro... Ho un ultimo favore da chiederti!» Guardo Sakura da sopra la mia spalla destra. «Vedi il cassetto del comodino, l’ultimo? C’è una cintura lì. No, non quella bianca, Quella nera con la catenella... sì, quella!» Strappo la maglietta - «Trovata!» - dalla gruccia, arraffo un paio di pantaloni neri. Mi vesto di fretta mentre Sakura prende dal cassetto la collana che mi ha regalato Sai e me la mette al collo.

Mi avvio verso la porta d’ingresso armeggiando con un orecchino, l’altro che penzola fra i denti. Sull’uscio mi volto verso Sakura, che mi tallona. «Ascie ‘i ucco!» Sistemo anche il secondo. «Grazie, davvero.» L’abbraccio. «Ah, non l’ho detto perché mi sembrava una cosa ovvia da dire, ma... tutto quello che è successo questa mattina deve rimanere fra noi, intesi?»

Sakura annuisce.

Usciamo sul pianerottolo e mi chiudo la porta alle spalle. «Scusa se non ti accompagno fino in strada, ma devo sbrigarmi.» Scatto in avanti.

«Glielo dirai?» mi grida Sakura alle spalle.

Dirglielo? Ma neanche per sogno!

 

Non ho sentito la sveglia, mi sono svegliata tardi e ho dovuto fare la doccia. Nah, scusa sciocca. Sai sicuramente penserebbe che tengo così poco a lui da ignorare la sveglia che suona o da perdere tempo per fare una doccia.

Tempo di arrivare nella via maestra e i vestiti mi si appiccicano alla schiena quanto i capelli alla faccia. Sono sicura che puzzo come se la doccia questa mattina non me la fossi fatta, no, come se non me la facessi da settimane intere. Che cazzo avevo per la testa quando ho deciso di indossare i pantaloni lunghi?

Il caldo mi cuoce il cervello; devo dare fondo a tutto il mio impegno per restare concentrata e trovare una buona scusa da raccontare a Sai.

Ho incontrato Shikamaru e lui mi ha fermato per parlare dei prossimi allenamenti. Considerando che tipo è Shikamaru, questa scusa non se la berrebbe neppure la mia zia mezza matta.

Ho visto un braccialetto adorabile nella gioielleria e mi sono fermata per sbirciare quella vetrina e le altre nella via. No, così sembra che dia più importanza alle vetrine che a Sai. Lui non la prenderebbe granché bene...

Gli edifici della zona appena ricostruita scompaiono, il selciato lascia il posto alla terra asciutta e polverosa. Il rumore dei chiodi battuti dai martelli e delle indicazioni gridate da voci roche si fa più forte, fino a diventare quasi assordante. Aggiro una pila di mattoni più alta di me poggiata proprio sul ciglio di una larga fossa. In alto muratori a cavallo di travi sospese nel vuoto martellano e ridono tra loro. Qualcuno fischia al mio indirizzo. Uomini intelligenti! Mi giro, ammicco e proseguo verso le tende che circondano il nuovo villaggio fino alle mura.

Ieri sera mia madre ha lasciato la porta sul retro del negozio aperta e oggi ho dovuto pulire la polvere e raccogliere i vasi che il vento aveva fatto cadere. No, che senso avrebbe aiutare i miei per mezz’ora per poi uscire per un appuntamento?

Mi lascio le tende alle spalle e oltrepasso le porte del villaggio.

Mia madre ha lasciato la porta aperta, lei e mio padre hanno pulito il negozio prima che aprisse e io sono uscita di corsa per comprare vasi nuovi in sostituzione a quelli rotti. Mah, se non trovo di meglio...

L’ombra degli alberi è un sollievo, ma un alito di vento sarebbe comunque gradito. Rallento il passo, e giro attorno alle mura finché non ritrovo il sentierino che porta ai campi d’allenamento. Ma Sai non poteva trovare un posto un po’ più romantico e vicino?

Gli alberi lasciano il posto a una radura. Sai siede a gambe incrociate sull’erba secca e con la schiena contro un solitario palo di legno spezzato in cima, che una volta doveva fare parte di qualche attrezzatura per la ginnastica.

Mi avvicino piano piano. Sai ha la testa chinata sull’album da disegno poggiato sulle ginocchia, e non sembra avermi notata. Ha la fronte aggrottata, e dalle labbra socchiuse affiora la punta della lingua. È così carino quando è tutto concentrato sui suoi disegni...

Incrocio le dita dietro la schiena e sfodero un sorriso dolce e penitente. «Ehi...»

Sai alza di scatto la testa. Sorride. «Ehi! Sei in ritardo, che ti è successo?» Mette via i pennelli, si alza e si spolvera il retro dei pantaloni.

«Beh, ecco, vedi...» Stringo le mani al petto. Qual’era la scusa? Avevo da fare al negozio... No, no... Il vento. Vasi. Il vento aveva fatto cadere i vasi, che si erano rotti... Mamma doveva pulire, io... Mi rendo conto solo ora di quanto suoni stupida e infantile quella scusa.

Sai aspetta senza muovere un muscolo, con in faccia quel suo sorriso appena accennato.

Oh, fanculo!

È un bravo ragazzo, non si merita una bugia del genere!

«Ho avuto un ritardo e ho fatto un test di gravidanza!» dico tutto d’un fiato.
 


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Capitolo 7
*** Ah, l'amore... ***


7
Ah, l'amore...


«Un test.»

Annuisco.

«Di gravidanza.»

Annuisco di nuovo.

Sai non sorride più. «Mi stai prendendo in giro?»

«Mi piacerebbe» rispondo. «Ne ho parlato con Sakura e ne abbiamo presi tre. Uno l’ho usato oggi, gli altri tra qualche giorno. E-era negativo, comunque» mi affretto a rispondere; la faccia di Sai ha assunto una sfumatura rossastra poco rassicurante.

«Avevi detto che non serviva usare il preservativo. Tu l’avevi detto. Io l’ho letto che non era una scelta saggia, m-ma avevo deciso di fidarmi di te, e tu... tu...» Prende fiato. «Ti rendi conto di quello che abbiamo rischiato?» urla. «Hai solo una vaga idea di quanto sei stata irresponsabile?»

Ma come si permette di urlarmi in questo modo? «E va bene! Ero un po’ brilla e avevo voglia di scopare! Tu eri d’accordo e l’abbiamo fatto! Io non avevo dietro un preservativo, e tu con la tua intensa vita sessuale di sicuro non ne avevi! È stato un errore ma l’abbiamo scampata, e se ricordi bene tutte le altre volte ci siamo protetti. Perché te la prendi tanto?»

Sai ormai è diventato di un colore tra il rosso e il viola. «Ma ti ascolti quando parli? L’hai scampata per un pelo, e allora chissenefrega! Se non ti fosse venuto il dubbio la prossima volta mi avresti detto ancora di non usarlo, e magari saresti rimasta incinta per davvero! E allora cosa avremmo fatto, eh? Per un tuo errore ci sarei andato di mezzo anche io!» Si passa una mano fra i capelli. «Vedi? È questo il tuo problema. Sei superficiale, irresponsabile! Non ti preoccupi di nulla, oppure ti preoccupi solo delle cose più idiote! Per esempio, i vestiti che indossi quando vai in missione!»

Mi irrigidisco. «Cosa c’è che non va?» Cerco di mettere tutto il veleno che posso in quella frase. Brutto idiota bastardo.

«Cosa c’è che non va? Cosa c’è che non va? Faccio prima a dirti quali sono le cose che hai azzeccato! Il colore, per esempio! Ti pare il caso di mettere roba viola in una missione? Va contro qualsiasi logica in fatto di mimetizzazione! Tanto vale gridare al mondo “Siamo qui!”»

«Non è che tu giri vestito in modo ineccepibile, eh!»

«Qui non stiamo parlando di me, stiamo parlando di te. Tu, Porca puttana, vai in giro mezza nuda. Senza una cazzo di protezione basilare. Vogliamo parlare del giubbotto? Sei una Chuunin, dovrebbe essere un onore indossare il giubbotto, ma tu no! Non sia mai! Ti sforma la vita e ti nasconde le tette! Non è così che hai detto?»

«I-io.. non...»

«E i capelli? Ti copri metà faccia per quale assurdo motivo? Perché così ti senti più bella? E intanto in missione un nemico ti lancia contro un kunai, ma tu non lo vedi perché sei stata troppo occupata a curare quella tua ridicola frangia per preoccuparti di simili dettagli insignificanti

«Basta...»

«Per te è tutto un gioco, non è vero? Non ti ho mai visto allenarti seriamente, con l’intenzione di prepararti per uccidere o mutilare! Non sai combattere, non sai fare niente! Tu sei debole! Un peso inutile!»

«Sai!» strillo. Ricaccio indietro le lacrime che mi pizzicano gli occhi. Non ora. Non davanti a lui. «S-se mi disprezzi così tanto, perché hai deciso di diventare il mio ragazzo? Perché sei rimasto con me tutto questo tempo? Se davvero per te tutto ruota solo attorno al villaggio cosa ci fai ancora qui?»

Sai è tornato pallido. Si morde le labbra, mi guarda interdetto.

«Rispondimi!»

«Perché...» Sai stringe le mani. Non l’ho mai visto così spaventato. «Perché a me piaceva questo tuo essere superficiale! Adoravo mangiare un ghiacciolo con te e commentare i passanti! Adoravo fare cose idiote e ridere per cose altrettanto idiote! Perché... perché con te ero una persona che da solo non sono mai riuscito a diventare! N-non... non mi ero mai sentito così normale come quando stavo con te.»

«Sai...»

«Non ti ho mai detto nulla perché pensavo che fossi un’irresponsabile soltanto nelle piccole cose. Pensavo che quando fosse arrivato il momento di essere seri tu avresti smesso di fare la sciocca e avresti preso le decisioni giuste.» Allarga le braccia. «Evidentemente ho sbagliato completamente, tu non ne sei capace. Questa storia del test di gravidanza ne è la prova. Avrei dovuto capirlo subito. Mi dispiace.»

Traggo un respiro profondo per calmarmi. «Se è davvero così che la pensi...» Spero che Sai non si accorga di quanto faccia fatica a impedire alla mia voce di tremare.

Sai mi fissa. Non accenna una scusa, nemmeno un’espressione dispiaciuta.

Inspiro. «Vattene» gli dico. «Non ti voglio più vedere.»

Sai cammina verso di me. Spero che stia per abbracciarmi, che stia per implorare perdono... invece tira dritto, mi supera senza guardarmi in faccia se ne va per il sentiero dal quale ero arrivata io.

Mia madre aveva ragione, sapeva che sarebbe andata a finire in questa maniera. Non dovevo mettermi con lui, siamo troppo diversi. Lui ha una mentalità troppo ristretta, non può capirmi. Non ha nemmeno cercato di ascoltare, quel bastardo.

Non sento più i passi di Sai. Ordino di muoversi alle gambe che sembrano fatte di gelatina, raggiungo il palo e mi accoccolo con la schiena contro il legno freddo e duro. Nascondo il viso fra le braccia. Ora che il mio ragazzo – ex ragazzo penso con una fitta al cuore – non c’è più, posso piangere.
 


Nah, mancano ancora due o tre capitoli^^


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Capitolo 8
*** Nero all'orizzonte ***


8
Nero all'orizzonte

 


I vasi in fila a fianco del bancone, uno per colore, ordinati per grandezza. Fatto, spuntato dalla lista. I nastri sugli scaffali, già annodati, disposti in base alle tonalità. Ci sono tutti? Sembrerebbe di sì. Mi alzo e avvicino un fiocco verde al bordo della mensola. Molto meglio. Spunto anche questa voce dalla lista.

La porta scivola di lato con un fruscio.

«Apriamo tra ci... Ciao, Hinata! Che ci fai qui?»

Hinata sorride, avanza guardandosi attorno. «Vorrei comperare una pianta da vaso. Per... per la maestra Kurenai, sai...»

«Ah, sì.» Mi guardo intorno, anche se so già che oltre a me e a Hinata non c’è nessuno. «Come sta?» chiedo a bassa voce. Da un po’ Kurenai è diventata un argomento del quale si preferisce non parlare. Nessuna di noi vuole fare la sua fine, e finché non se ne parla è come se il problema non esistesse. Ma in famiglia siamo sempre state più curiose che superstiziose.

«Beh, ecco... Non molto bene.» Hinata china la testa. «Non sembra più lei. Anche quando le parlo, è come se non fosse mai realmente lì. A volte nemmeno mi guarda. Poi, all’improvviso le vengono le crisi, e...»

«Sì, capisco.» In realtà non capisco un cazzo. Da quando ha abortito la maestra Kurenai non s’è più fatta vedere, ma i suoi vicini hanno detto a mia madre che spesso si sentono urla e pianti, a ogni ora del giorno o della notte. Non capisco come sia possibile stare così male per il proprio ragazzo tanto da diventare pazze. Davvero, non capisco...

«Ho pensato che magari una pianta rallegrerebbe l’ambiente» continua Hinata.

«Ma non era sommersa di piante e piantine che le aveva regalato Asuma?»

«Sì, ma sono... appassite.»

«Oh, capita. » Picchietto le dita sul bancone. «Un bonsai, magari?»

Hinata ci pensa su. Sorride. «A lei piacciono, i bonsai. E poi... ora la cassettiera in camera da letto è vuota, un bonsai ci starà benissimo.»

«Molto bene.»

Nel retro del negozio Hinata si aggira tra le file di piante che abbiamo. Sceglie un piccolo ginepro su roccia. «Sono sicura che questo le piacerà» dice con un sorriso radioso mentre paga.

È il più bello del negozio, voglio vedere! «Ne sono sicura.»

«Senti, Ino... posso farti una domanda?»

«Dimmi.»

«Come ti sei sentita quando Asuma è morto?»

«Mi ha fatto male sapere che da un giorno all’altro non ci avrebbe più allenati» le rispondo. «Le prime settimane ogni volta che sentivo odor di fumo mi giravo per cercare il maestro. Ora è passata, però.»

«Ah... no, ecco, io volevo sapere cosa ne pensi di come sia morto...» Hinata si guarda di nuovo attorno. «Non so più cosa fare con la maestra Kurenai, qualsiasi cosa le dica non serve a nulla. Volevo sapere come hai affrontato tu la sua morte. Però, cioè, se non te la senti di rispondere non fa niente!»

«No, figurati, non è un problema.» Non è un problema parlarne, ma che posso dirle? «Non ho mai chiesto a Shikamaru come sono andate le cose. Me ne vergogno, ma mi piace pensare che Asuma sia stato vittima di qualche trappola vigliacca. Se Shikamaru mi rispondesse, quella sarebbe la verità. Non sono sicura che sarebbe un bene sentirla.»

«Ah.» Hinata sembra delusa.

«Scusa se non sono stata di aiuto.»

«No, non fa niente. Davvero.» Hinata fa per voltarsi, poi ci ripensa. «Ho sentito che tu e Sai avete rotto.»

Stringo le mani sotto il tavolo. Sai, brutto vigliacco... «Oh, sì...» Le sorrido. «Quasi non me ne ricordavo più.» Due test negativi, l’ultimo da fare domani mattina. Un tentacolo di paura mi stringe la gola. Lo scaccio. Sarà negativo.

«Tu... stai bene?»

«Certo, certo! Abbiamo avuto un litigio e ho capito di non amarlo come pensavo. Pazienza, ci sono così tanti altri ragazzi qui a Konoha... Naruto, per esempio!» Strizzo l’occhio.

Hinata arrossisce. È così carina quando lo fa!

Scoppio a ridere. «Scherzo!»

Hinata mugugna una risposta che non sento.

 

Nei giorni successivi è successo di tutto e di più. La signora Tsunade ha dichiarato pubblicamente lo stato di guerra, tanto per cominciare, e la notizia dell’Alleanza degli Shinobi è stata accolta con un boato dalla folla presente al discorso. Tutti gli shinobi sono stati richiamati per una visita medica, e quelli dichiarati abili a combattere sono stati inseriti nel registro formale dell’esercito; alcuni sono stati anche promossi, altri sono stati spostati di squadra e ne sono state create di nuove. I pochi che non si sono presentati alla visita sono finiti sulle liste di proscritti che ormai tappezzano Konoha, con l’ordine per tutti i cittadini di consegnarli alle autorità competenti non appena avvistati.

Per le strade ogni giorno si vedono sempre meno bambini che giocano e sempre più ninja in divisa che corrono di qua e di là armati fino hai denti, con tra le braccia pile di documenti o con entrambi. Ho incrociato Sai in quel viavai caotico. Ho accennato un saluto, ma lui non ha nemmeno dato segno di avermi riconosciuta.

Un giorno mi è capitato di vedere il maestro Mizuki vicino al negozio di armi, con una divisa di qualche taglia più grande e un’espressione spaurita sul volto scavato mentre si guardava attorno. Pensavo di averlo confuso con qualcun altro, ma quando ho chiesto a mio padre lui ha risposto che alcuni carcerati sono stati di nuovo arruolati in cambio di uno sconto della pena. Mi ha anche detto che, se ne riconosco uno, devo stargli lontano. Ladri, assassini, stupratori... Tutti feccia, l’esercito sta cadendo davvero in basso, faremo una pessima figura con gli altri villaggi. Da allora non mi sono più fermata a parlare con nessuno che non conoscessi. Hanno tutti la stessa aria spaurita del maestro Mizuki.

Il governo ha anche stampato diversi manifesti, che da un giorno all’altro si sono affiancati a ogni angolo alla lista di proscritti (ora con gran parte dei nomi barrati con una pennallata di vernice nera): un gruppo di shinobi in catene, le divise stracciate e dei picconi in mano sotto il simbolo dell’Akatsuki, con la didascalia “non succederà”; una foto dall’alto di Konoha pochi giorni dopo la visita di Pain, quando ancora non erano iniziati i lavori di ricostruzione, e a caratteri cubitali “VENDETTA”; una serie di foto dei Jinchuuriki, quelli rapiti contrassegnati da una X rossa grande quanto la foto, e sotto: “Non prenderanno più la nostra gente!

I negozi hanno dimezzato le merci in vendita per rifornire l’esercito in partenza, e anche in farmacia non si trova più neanche un cazzo di cerotto. Non che sia un problema: a noi ninja medici, oltre al nuovo coprifronte dell’Alleanza e un cambio supplementare della divisa, è stata consegnata una bellissima valigetta in legno e acciaio con dentro «tutto il necessario per operare sul campo», come ha detto la tizia dell’ufficio nel quale mi sono presentata. Nonostante tutto, però, la guerra ha perso quell’attrattiva iniziale: ora è solo una scocciatura che non si sa quando finirà.

Mia madre è l’unica della famiglia a non aver finito gli studi all’Accademia, e perciò non verrà con me e mio padre. Qualche sera fa loro due hanno discusso tanto forte che perfino in camera mia, con la porta chiusa, sono riuscita a cogliere ampi stralci del litigio. Non capisco perché sia così spaventata; ho partecipato già diverse volte a missioni di livello B e perfino a qualcuna di livello A. E dall’altro lato c’è la solita Akatsuki: la batteremo questa volta come abbiamo sempre fatto. Ma mia madre non sembra essere d’accordo, e da allora capita spesso che a cena scoppi a piangere.

Molte squadre sono già partite, dirette al Quartier Generale per congiungersi con quelle degli altri paesi, e ora Konoha è quasi senza abitanti. La nostra squadra è una delle poche ancora stanziate nel villaggio. Ancora per qualche ora.

 

«A volte rimpiango di non essere rimasta incinta...»

Sakura si stringe un’ultima volta gli stivali. «Ah sì?» Si raddrizza e si stiracchia. Le sta davvero bene la divisa.

«Questa storia si sta facendo irritante.»

«Io ho l’impressione che stiamo per tuffarci in qualcosa di più grande di noi. Tu non sei preoccupata?»

Faccio spallucce. «Naah. Non sarà niente di nuovo, fidati. Dobbiamo solo fare il nostro lavoro di sempre, e vedrai che ce la caveremo con poco.»

«Non so... Ho sentito parecchie voci, e nessuna di queste è buona.»

«Perché, che dicono?»

«Che l’Akatsuki porterà un qualche tipo di arma nuova. E che ci sarà sicuramente Sasuke...» Sakura rabbrividisce.

«Beh, dalla nostra abbiamo ninja potentissimi. Non sarà un problema.»

«Lo spero.»




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Capitolo 9
*** Arrivi e partenze ***


9
Arrivi e partenze

 


Kinkaku viene risucchiato nel Vaso della Purificazione con un grido e un ultimo «Vaffanculo!» diretto a tutti i presenti.

«Avete visto?» Mi libero dall’abbraccio di Shikamaru e mi alzo. «Stiamo andando alla grande! Nessuno potrà fermarci se continuiamo così!»

«Aspetta, che siamo solo al primo giorno...»

«Intanto siamo in vantaggio noi, Shikamaru.»

«Sì, credici...»

«Esatto, io ci credo. Ehi, c’è qualcuno ferito?»

Uno shinobi di Iwa alza la mano. «Io mi sono ferito. Guarda che brutto taglio!» Mi mostra il palmo. Devo aguzzare la vita per scorgere la sottilissima striscia rossa.

«Intendevo feriti gravi

«E se poi mi fa infezione? Guarda che è un attimo, quando si fa un lavoro come il nostro...»

«Allora e soltanto allora potrai mendicare qualche cura!» Quanto mi piace spadroneggiare! «Tu, Choji, tutto apposto? Choji, ci sei?»

Choji è ancora seduto.

«Alzati, sfaticato!»

Ma Choji non si alza. Ha lo sguardo fisso in alto, e seguendolo capisco il perché della sua faccia terrorizzata.

Kakuzu. Con tutti e cinque i suoi cuori, sembra, da quelle quattro... strane creature nere alle sue spalle.

«Voi tre!» ci saluta. È molto più in alto di noi e deve urlare per farsi sentire. «Se siete vivi significa che avete sconfitto Hidan, e se lui non è qui vuol dire che non è morto. Come avete fatto a fermarlo?»

«Fatti i cazzi tuoi!» gli rispondo, e visto che ci sono gli mostro pure il dito medio. «Shikamaru, che facciamo? Non dovremo mica ucciderlo cinque volte?»

«Nah, tanto è resuscitato con l’Edo Tensei. Non risolverebbe il problema.»

Fermi tutti! È Shikaku. Ino, Choji, Shikamaru, non c’è motivo che sprechiate chakra con Kakuzu, di lui se ne occuperanno Izumo e Kotetsu. Voi tre andate all’estremità sud del campo. Hanno avvistato Sarutobi Asuma. Correte, prima che inizi a far danni.

Sarutobi Asuma? Il maestro Asuma, resuscitato? Una fitta di paura mi stringe lo stomaco. Tutti, tutti, ma non il maestro Asuma!

È un ordine.

«Faremo del nostro meglio, papà.»

No, voi vincerete. Perché se vi fate prendere dall’emozione e fallite l’esercito ve la farà pagare cara. Io te la farò pagare cara, ragazzo. È chiaro?

«Sissignore.»

 

«Andiamo?»

«Andiamo.»

Io non sto giocando, Sai. Sta’ a vedere.

 

«Arriva...» mormora Shikamaru.

Non che sia necessario annunciarlo. Lo vediamo tutti avanzare verso di noi, saltando da un ramo all’altro. Vicino, sempre più vicino.

«Shikamaru!» grida Asuma. «Usa la Kage Mane, svelto!»

Ma non ha neanche finito di parlare che si è avventato su di me. «Ciao Ino, come va?» Mi sferra un pugno, le dita coperte dal suo tirapugni.

Mi abbasso un attimo prima di farmi tagliare la testa in due. Avanti, è morto. Lui non è il vero Asuma. Fatti coraggio e attacca! Carico di chakra un piede e colpisco lo stinco sinistro del maestro. Sakura gli avrebbe spezzato con facilità l’osso, ma io non sono lei. L’unico risultato che ottengo è farlo vacillare.

Poco male.

Ne approfitto per allontanarmi con un balzo.

Asuma carica ancora. Questa volta lo supero con un salto, mi giro con la gamba sollevata e miro al mento. Il maestro incrocia i polsi, para il colpo e mi spinge indietro. Non mi resta che seguire la spinta e poi compiere una capriola all’indietro per non cadere di culo. Sono stata troppo lenta, non dovevo atterrare a piedi uniti. Stupida!

«Shikamaru, potresti spicciarti?»

«Se il maestro stesse fermo sarebbe una passeggiata!»

Tentacoli di ombra guizzano sul terreno. Non li avevo notati. Inseguono il maestro Asuma, lo costringono a saltare da una parte all’altra come una piccola lepre in fuga. Un paio di balzi e il maestro si ritrova con la schiena attaccata alla parete di roccia.

Shikamaru e Choji devono aver confabulato qualcosa, perché subito Choji scatta e si avventa contro il maestro, ingigantisce il braccio e... si blocca a pochi centimetri dall’obbiettivo.

«E andiamo, Choji, mi avevi detto di essere pronto!»

«Non posso fare del male al maestro Asuma. Non posso, non posso!»

I tentacoli d’ombra guizzano in avanti, scacciano il maestro Asuma, che nel frattempo ha iniziato a comporre sigilli. Non ho idea di quale jutsu stia per usare, so solo che se Choji resta un secondo in più in quella posizione a strofinarsi gli occhi potrebbe rimetterci la pelle.

«Fujin no jutsu!»

«Giù!» gli grido, e mi butto a corpo morto su di lui. Cadiamo mentre una scia di – cosa? Sembrano piccole lame... – mentre quelle cose ci passano sopra le teste. Ci rialziamo.

Shikamaru è corso da noi e deve aver allontanato il maestro Asuma con la Kage Mane; ora è fra noi e lui, i tentacoli di ombra che impediscono al maestro di avvicinarsi a noi.

«Tutto bene?» chiedo a Choji.

«S-sì...»

«Choji, che cazzo stai facendo?» grida il maestro Asuma. «Sei un uomo sì o no?»

«Io...sì.»

«Ah, sì? Perché a me non sembra. Se sei un uomo tirati fuori il cazzo e fatti una sega, subito! Sempre ammesso che ti riesca di trovarlo, in mezzo a tutto quel lardo! Sei grasso come un maiale, mi chiedo quanto sia disperato l’esercito per aver chiamato a combattere uno come te

Maestro, non crede di aver esagerato un pochetto? Dice di no? Il maestro è lei...

«Stia zitto!»

Se il maestro Asuma sperava di far incazzare Choji (come è sempre successo, con certi argomenti) ha fallito alla grande. Choji proprio non ce la fa a colpire il maestro, si è bloccato di nuovo. Ma stavolta Asuma non è a portata di Kage Mane. Non c’è nulla che impedisca al maestro di avanzare, di colpire Choji di sguincio con uno dei suoi tirapugni.

«Shintenshin no jutsu!»

Appena in tempo per bloccare il polso del maestro con una mano grassoccia di Choji. Almeno se lo tengo stretto non potrà più comporre sigilli. Bene, facciamo passi avanti. Con la destra, ancora libera, sfilo un kunai dalla sacca.

Ino, che ci fai qui?

Choji, so come ti senti. Io voglio – volevo – molto bene al maestro... ma questa cosa non è lui! È solo una creatura di Tobi che ha i ricordi del maestro, ma non è lui! Devi farti coraggio.

Ma...

Ascolta. Quello è solo un cadavere che Tobi ha preso e a cui ha legato i ricordi di Asuma, hai capito? È un insulto al maestro. Dobbiamo fermarlo prima che questa cosa attacchi i suoi stessi compagni, prima che infanghi il ricordo del nostro maestro Asuma. Di quello vero.

E io ci credo, ci credo davvero a quello che ho detto. Ma poi incrocio il suo sguardo, e quelli che vedo non sono gli occhi spenti di un morto. Brillano di rabbia, eccitazione, forse orgoglio.

Brillano di vita.

Tutti i discorsi dell’Hokage scivolano via dalla mia mente, come se non li avessi mai sentiti. Lui è davvero il maestro Asuma. È qui, vivo, in perfetta salute, intrappolato da un jutsu nemico. Non dobbiamo sigillarlo, dobbiamo trovare un modo per liberarlo, e poi tutto tornerà come prima. Il maestro Asuma riprenderà ad allenarci, ci accompagnerà di nuovo in qualche ristorante ad abbuffarci; un giorno alzerò la testa e lui entrerà in negozio e mi chiederà chiaro e tondo dei fiori per la maestra Kurenai. Chissà, forse lei guarirà e torneranno insieme, magari si sposeranno anche e avranno un bambino...

Il maestro Asuma alza un braccio armato. Stringo la presa sul kunai, ma la mia mano trema troppo.

Non farlo!

Apro gli occhi. Choji è a terra con la gola tagliata. Il sangue sta sgorgando a fiotti, dev’essere appena successo. Choji ha gli occhi spalancati, le mani strette al petto; il corpo si contrae, il torace si espande in cerca d’aria. Devo aiutarlo... Dev’essere una maniera orribile di morire...

«Ino!»

Troppo tardi.

Qualunque cosa sia mi è già penetrata nella schiena.
 


No, me lo ricordo che questa è una storia romantica, non temete. Tra un paio di giorni pubblicherò l'ultimo capitolo, e per l'occasione ci sarà il ritorno di Sai! Sarà disperato o indifferente?


Se vi è piaciuta, se vi ha fatto ridere o se vi ha fatto piangere da quant'è brutta questa storia, lasciate una riga di commento!


Alcune battute sono senza dialogue tag, e non si capisce chi stia parlando. E' una cosa voluta, non ho ritenuto necessario specificare chi parla 1) perché avrebbe rallentato il ritmo della lettura 2) perché si tratta di "frasi di circostanza", che vanno bene in bocca a qualsiasi personaggio^^


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Capitolo 10
*** Nuove prospettive ***


10
Nuove prospettive



Il clangore delle armi è forte, è ovunque. Se sto qui ancora un po’ finirò schiacciata, o morta in qualche altra maniera. Devo spostarmi, e in fretta.

«Aiuto!» gracchio. «Aiuto!»

Ma non c’è nessuno qui che può aiutarmi. Me la dovrò cavare da sola. Sposto avanti un braccio; tutto diventa buio e dolore.

 

Stralci di una conversazione sussurrata, l’odore acre del disinfettante, mani che mi stringono braccia e gambe. Ho un cuscino duro premuto contro la guancia, e il peso del corpo comprime la cassa toracica. Il mio respiro è un rantolo sofferente.

Una macchia di colore entra nella mia visuale.

«Si è svegliata.»

«Non possiamo sprecare altro sedativo.»

La macchia prende forma, diventa Sakura.

«Ino, andrà tutto bene. Mi hai capito?» Sakura mi stringe la spalla. «Estraete!»

Urlo. Mi stanno strappando tutte le vertebre ed è un male che non ho mai provato in tutta la mia vita.

 

Sono ancora stesa a pancia in giù, ma ora il dolore alla schiena è sopportabile. Quando respiro sento delle bende strette attorno al petto.

«Bevi questo.» Un infermiere sconosciuto mi infila tra le labbra una cannuccia.

Raccolgo tutte le forze e aspiro.

«Brava, ragazza. Brava.»

Il mondo torna buio.

 

Ho sbagliato tutto.

«Ho sbagliato tutto.»

Passi concitati.

«E’ di nuovo sveglia.»

«Ci penso io.»

Di nuovo quella macchia di colore. Ma stavolta so già che è Sakura.

«Ho sbagliato tutto» le dico con un filo di voce. Le lacrime cadono, la vista è di nuovo nitida.

«Non è vero, Ino, non hai sbagliato niente.» Sakura mi accarezza i capelli, sorride.

La vista torna sfocata, altre lacrime scivolano lungo la radice del naso. «Devo parlare con...»

«Parleremo dopo. Quando starai meglio. Ora bevi un po’ d’acqua, da brava.»

 

L’aria è calda e pesante, tipica di un posto piccolo dove sono stipati fin troppi feriti. Si sente il puzzo del sangue e del vomito, delle feci e della carne putrefatta, a tratti si sente l’odore pungente delle medicazioni, un miscuglio che mi dà la nausea a ogni respiro. Mi sollevo con cautela dalla brandina dove giaccio ancora a pancia in giù, e quello che prima mi avrebbe fatto svenire ora è solo un pezzo di ferro rovente piantato tra le prime costole, vicino alla colonna vertebrale. È sempre un dolore tremendamente forte, ma almeno è diventato sopportabile.

«Ino, non muoverti!» Sakura mi corre incontro, mi prende per le spalle e mi spinge giù. Non mi oppongo, docile come un cagnolino apro la bocca quando lei mi avvicina un cucchiaio alle labbra. Il liquido scorre lungo la gola, freddo come il ghiaccio e insapore, nonostante il colore verdognolo poco promettente. Sakura riempie un secondo cucchiaio e quando lo mando giù la mente mi si schiarisce del tutto.

«Voglio sedermi.»

«Sei sicura? Potrebbe farti più male che bene...»

«Sì, sì, non mi fa più così male. Sopravviverò.»

Uno sbuffo rassegnato. «Va bene, allora. Attenta alla flebo.» Sakura mi prende da sotto le ascelle e mi trascina. Vedo le stelle, e forse sono lì lì per svenire. Ma Sakura non se ne accorge, forse perché la mia espressione non è apparsa più sofferente del solito, o forse perché sta evitando accuratamente di guardarmi negli occhi. Non è da lei un comportamento simile. A meno che non sappia qualcosa che... Mi si stringe lo stomaco, i morsi della fame spariscono. Ho troppa paura perfino a pensare a quell’eventualità. «Choji... Choji sta bene?» chiedo infine, la voce debole per il dolore e la paura.

Sakura alza la testa, spalanca gli occhi, inspira. «Lui è morto, Ino. Tu... l’hai visto?»

Morto.

Choji morto.

Sento una voragine aprirsi sotto di me. Nonostante la mia parte razionale sa che sono seduta, quella irrazionale si sente cadere giù, sempre più giù, in un vortice di nulla. Choji: me lo vedo davanti agli occhi, mentre mangia patatine e sorride. Poi l’immagine svanisce, e arriva la consapevolezza che l’ultimo ricordo che ho del mio compagno di squadra è mentre sta soffocando per il suo stesso sangue, a pochi passi da me.

«Cos’è successo dopo che sono svenuta?»

«Io... non lo so. So solo che è stato Asuma ha ferirti, ti ha piantato il suo tirapugni nella schiena. Shikamaru è riuscito a sigillarlo, ma ha perso tre dita. Era lì sdraiato proprio accanto a te.»

«E ora dov’è?»

«Se ne è andato.» Sakura sospira, un sospiro molto simile ad un singhiozzo strozzato. «Ino, Shikamaru ha perso tre dita. Tre! Non potrà più comporre sigilli, è diventato inutile per l’esercito. L’Hokage l’ha congedato ieri mattina, immagino che ora sia arrivato a Konoha da su madre.»

Tre dita.

Shikamaru ha finito la sua carriera da Shinobi, vivrà fino alla fine dei suoi giorni con una pensione d’invalidità e al petto una medaglia al valore completamente inutile. Non è così che doveva andare la guerra. Saremmo dovuti tornare tutti insieme, avremmo festeggiato al solito ristorante e... e cosa? Davvero avevo pensato a una cosa del genere?

Non si può andare in guerra armati di Buoni Sentimenti e sperare di uscirne vivi, come potevo essere stata tanto stupida e ottimista? La guerra non è un gioco, non le è mai stata. Perché lo capisco solo ora?

Le mani tremano, sento le lacrime bagnarmi le guance.

Ho sbagliato tutto. Sai aveva ragione, aveva sempre avuto ragione. Sono io la stupida, quella non ha mai ascoltato seriamente qualcuno. E ora sono qui, in una branda dell’infermeria, e quando sarò in grado di camminare mi rispediranno di nuovo a combattere, e stavolta non avrò Shikamaru pronto a difendermi, me la dovrò vedere da sola contro un nemico che mi ucciderà facilmente, perché io non sono capace di combattere. Sono inutile.

Forse...

Un barlume di ottimismo si fa strada nel mio cuore, e il dolore alla schiena è un po’ meno forte. Solo un po’.

Forse ho ancora una possibilità. Io sono ancora viva, no? C’è ancora una piccola speranza di salvare il salvabile, finché si è vivi.

Getto di lato le coperte, mi stacco la flebo dal braccio, faccio scivolare le gambe fuori dal letto e mi chino avanti per il dolore che mi fa lacrimare gli occhi. «Dove sono i miei vestiti?» sibilo a denti stretti.

«Che vuoi fare?» chiede Sakura.

«Fidati, va bene? Devo andare a parlare con Sai.» Mi alzo, fregandomene del fatto che sono nuda, vacillo per il dolore. Questa non è proprio l’idea migliore che mi sia mai venuta in mente...

«Sai? Ma sei impazzita?» Mi afferra un braccio e lo stringe.

Mi libero dalla presa. «Devo assolutamente dirgli una cosa.» Il borsone verde militare con tutte le mie cose deve essere stato spostato qui quando ancora non ero cosciente. Tiro fuori la mia divisa di riserva e mi vesto in fretta.

«Ino, tu sei un ninja medico, giusto?»

«Sì, e allora?»

«Allora sai perfettamente che se adesso te ne vai a spasso per il campo manderai a puttane tutto il lavoro degli ultimi tre giorni. Tu lo sai, vero?»

«Sì, e non m’importa.»

«Guarda che io ho...»

«Sakura» la interrompo, e spero che Sakura abbia sentito la preghiera. «Devo parlare con Sai. Oggi. Ora. Subito.»

Sakura non è solo un ninja medico, è anche la mia migliore amica. Spero che decida di comportarsi come amica e non come medico. «Almeno aspetta un minuto, che vado a recuperare un paio di stampelle della tua misura.»

Sorrido. «Grazie.» Grazie davvero, Sakura.

 

Con le stampelle gentilmente offerte – sgraffignate – dall’infermeria zoppico fuori dall’immenso tendone puzzolente. Ed è fuori, all’aria fresca della sera, che mi accorgo veramente di quanto sia conciata male: puzzo di sangue e sudore, puzzo come una qualsiasi malata che si è cagata addosso ed è stata pulita alla bell’e meglio. Forse la mia vecchia Io sarebbe inorridita al solo pensiero di farsi vedere in giro in questo stato pietoso, ma a me non importa. Perché più avanti c’è il mio futuro, l’unica cosa per la quale mi costringo a mettere un piede davanti all’altro. Tutto il resto è di secondaria importanza.

Le indicazioni chieste agli ufficiali di Konoha mi portano fino alla mensa, un tendone uguale a quello dell’infermeria, ma dal quale proviene il profumo del rancio e chiacchiere e risate.

Entrare e rischiare una scenata davanti a tutti o aspettare che esca e parlargli in privato?

 

Ho dovuto aspettare dieci minuti vicino all’ingresso prima che Sai uscisse dalla mensa. Per fortuna è solo.

«Sai!» Gli zoppico incontro.

Sai non alza la testa. «Dovresti essere in infermeria, tu.» Il suo tono è neutro, distaccato. Ce l’ha ancora con me.

«Io... ho sbagliato. Completamente.»

Sai mi guarda, ma non risponde. Sfila le mani dalle tasche.

«Avevi ragione tu» continuo. Non avrò un’altra occasione, tanto vale andare fino in fondo. «Ho sempre preso tutto alla leggera. Ma ora ho capito. Voglio cambiare, ma da sola non ce la faccio. Ho bisogno di te. Un disperato bisogno di te.»

«Stai dicendo sul serio?»

«Sì.»

«In fondo in fondo...» Sai si stringe nelle spalle. «Molto in fondo, i tuoi capelli mi piacciono. Una spuntatina alla frangia basterà.»

Inarco un sopracciglio. «L’hai letto in un libro che alle donne fanno piacere complimenti del genere?»

«No, io... lo penso. Davvero.»

Rido. Nonostante la guerra in corso, nonostante la morte di Choji, nonostante il dolore alla schiena che mi fa lacrimare ad ogni singulto. Rido, perché Sai è tornato nella mia vita e perché io lo amo.
 

FINE




Tadaaaaaaaan! Il mio primo lieto fine (circa)!
LOL Scherzi a parte, questa è la prima long che inizio e che porto a termine! *lancia coriandoli* Ovviamente se non si pensa a quell'altra... cosa...
Mi sono divertita da matti a prendere Ino e Sai e strapazzarli, e spero che questa long sia stata per voi una piacevole lettura^^ Ne approfitto per ringraziare chi ha speso 5 minuti per recensire e anche chi si è limitato a mettere La mia strada da percorrere nei preferiti, ricordati o seguiti. Grazie a tutti!
Ne approfitto anche per annunciare (a chi interessasse) che presto mi metterò al lavoro su due nuove storie:
In quell'estate di pioggia, sempre nel fandom di Naruto, sarà un AU tetro e violento, con protagonisti Sasuke, Naruto e Hinata. Uhuh, mi prudono le mani dalla voglia di scrivere, se ci penso. Per quest'idea devo ringraziare Orihime Hyuuga, perché l'illuminazione m'è arrivata mentre stavo leggendo la sua long. TU hai posto la domanda ed io mi sono data una risposta, poi il tutto è degenerato in quel mondo rose e fiori che è la mia testa. Quindi, grazie!
Il secondo lavoro è
Rosa d'argento, un originale ambientato nella mia città, Brescia, una storia di fantascienza e fantapolitica, con complotti e quant'altro. Su questo ci sto già lavorando da un sacco di tempo (anzi, teoricamente questa è l'ultima versione di una trama che ho ideato tre anni fa, ma con cui ormai non ha più nulla in comune) ma mi dovrò documentare parecchio e non so nemmeno se passerà da "idea" a "lavoro pubblicato", tolto qualche scena che ho già scribacchiato. A dire la verità dovrò fare un bel po' di ricerche anche per In quell'estate di pioggia, ma spero di poter iniziare al più presto a scrivere seriamente.

b


Se vi è piaciuta questa storia, passate a leggere anche i miei altri lavori nel fandom di Naruto:
- Flashfic Festival
- Anger Crisis

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