Non sono come te. Non sono...

di vero_91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non sono come te. Non sono... ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo finale ***



Capitolo 1
*** Non sono come te. Non sono... ***


“Gale, hanno bisogno d’aiuto al cantiere vicino alla stazione, chi posso mandare?”
“Vado io.” Rispondo alzandomi dalla sedia.
“Sei sicuro? Non devi finire il progetto per la sicurezza nei distretti?”
“Lo finirò stasera.”
“Stacanovista.” Sussurra il mio collega mentre esco dall’ufficio.
E’ questa l’immagine che mi sono creato qui al Distretto 2.“Un ottimo lavoratore. Così giovane e volenteroso. Presto si farà strada.”  La verità è che non me ne importa nulla: ristrutturare case, costruire strade, noiose riunioni tra i distretti, mi va bene qualsiasi cosa pur di tenere occupata la mia mente. Pur di non pensare ad altro che a questo. Voglio arrivare a sera così stanco da non riuscire a reggermi in piedi. A malapena riesco a raggiungere il mio letto; e nelle poche ore di sonno che mi concedo il nulla regna sovrano. La maggior parte delle volte, per fortuna, il mio corpo e la mia mente sono troppo stanchi perché facciano apparire qualche immagine in sogno. E a me va bene così. Il nulla è così allettante che alcune volte desidero di non riuscire a svegliarmi. Ma purtroppo ogni mattina c’è qualcuno che mi ricorda che questo non è possibile.
Sento infrangersi qualcosa in salotto, e non ho dubbi su cosa -o meglio chi- possa essere la causa. Mi alzo dal letto, preparando la mia mente stanca all’ennesima discussione.
“Buongiorno, ho preparato il caffe. Ne vuoi?”
“No. Pensavo di essere stato abbastanza chiaro su questo.” Dico indicandola mentre si versa il caffe.
“Lo sei stato, infatti. E’ da circa un paio di mesi che ripeti sempre le stesse cose.” Mi risponde sbuffando.
“E’ per questo che ho cambiato la serratura. Come hai fatto a entrare?” chiedo sedendomi su una sedia in cucina.
“Dalla finestra.” Dice, indicando il salotto.
Mi volto, e quello che rimane della mia finestra sono dei miseri vetri sparsi sul pavimento.
“Lo sai che questa si chiama violazione di domicilio vero?” dovrei sembrare arrabbiato, ma in realtà non me ne importa niente. Tutto quello che mi circonda ormai, mi sfiora a malapena.
“Perché cosa vuoi fare Hawthorne? Denunciarmi? Tanto qui mi pensano tutti pazza, quindi sono giustificata.” L’unica persona che riesce a smuovermi dal mio stato di apatia è lei, Johanna Mason. Che da quando il suo strizzacervelli le ha detto che era libera di andare dove voleva, non solo ha deciso di stabilirsi al Distretto 2, ma per qualche oscuro motivo, è convinta che io e lei siamo amici.
“Su questo almeno siamo d’accordo.” Dico prendendo un pezzo di formaggio. Perché non posso essere lasciato in pace? Perché devo avere questa squilibrata che compare in casa mia tutte le mattine?
“Allora com’era la cena che ti ho lasciato ieri sera?” chiede sedendosi di fronte a me.
La cena. Non ricordo nemmeno di averla mangiata. “Pessima, come tutte le altre. Piuttosto per quanto tempo andrà avanti questa storia della donna di casa? Mi spiace deluderti ma non ho bisogno né di un’altra madre né di una domestica.”
“Purtroppo non credo di essere portata per la cucina. Non sono una persona paziente.” Risponde ignorando la mia domanda. “Ah ho trovato un lavoro.”
“Buon per te. Così almeno avrai qualcosa da fare oltre che disturbare me.”
“Cercavano volontari per andare qualche giorno nel bosco a tagliare la legna, così mi sono offerta. Anzi, pensavo che il tuo nome fosse il primo sulla lista, conoscendoti.”
Scuoto la testa. “Non ho tempo, ho altro lavoro da fare.” La verità è che l’ho evitato di proposito. Non ho più messo piede nel bosco da quando sono tornato al Distretto 2. L’immagine di Katniss con una piuma tra i capelli mi appare nella mente così veloce e inaspettata che non faccio in tempo a fermarla. Stringo con una mano la maglietta, mentre sento quel dolore sordo farsi largo dentro di me. Mi alzo di scatto, come se questo potesse aiutarmi a riprendere il controllo. Ho abbassato la guardia e sono stato punito.
E’ questo che voglio evitare. I ricordi. Se resto nel mio costruito torpore, niente può più toccarmi ormai. “Quando tornerò sappi che non voglio più trovarti qui. Fai quello che ti pare, ma non entrare più in questa casa.” Dico prima di voltarle le spalle e andarmene.
 
Per il resto della giornata cerco inutilmente di ritornare alla mia tipica indifferenza, dove i ricordi e i sentimenti non sono ammessi. Quando rientro a casa ignoro il piatto lasciato da Johanna e vado direttamente a letto, sperando che il sonno mi dia l’oblio che tanto desidero. Questa volta però non sono così fortunato.
Non faccio in tempo a chiudere gli occhi che sento bussare alla porta.
“Ehi Gale.” Catnip è in piedi di fronte a me, bella, forte e in salute.
“Ehi Catnip. Va tutto bene? E’ quasi notte ormai.” chiedo lievemente preoccupato.
“Lo so scusami. E’ che… ho bisogno di chiederti una cosa.”
“D’accordo.” Dico, chiudendomi la porta di casa alle spalle.
Catnip esita per un attimo, poi alzando lo sguardo dice: “Se domani dovessi essere estratta alla Mietitura, per favore puoi prenderti cura della mia famiglia?” Vedendo che rimango in silenzio continua, chiaramente in difficoltà “Lo so che ti sto chiedendo molto, ma senza di me loro…” La interrompo, prima che possa terminare la frase: “Catnip è ovvio che lo farò. Io… non pensavo ci fosse bisogno di parlarne.”
Catnip spalanca gli occhi, sorpresa. “Dici sul serio Gale? Me lo prometti?”
Annuisco. “Te lo prometto. Io proteggerò sempre la tua famiglia.”
Un sorriso sollevato si fa strada sul suo volto. “Grazie. Anch’io ovviamente lo farò.”
“Lo so. Io mi fido di te.” Dico e sorprendo me stesso nel sentirmi pronunciare queste parole.
Anch’io mi fido di te.” Mi risponde Catnip senza pensarci, mentre i suoi occhi grigi non si staccano dai miei.
 
Bussano alla porta. Ma quando vado ad aprirla non trovo i suoi occhi grigi così simili ai miei ad aspettarmi, ma due grandi occhi marroni ed estranei.
“Dato che hai cambiato serratura ho pensato di bussare come tutte le persone civili.” Si giustifica Johanna alzando le spalle.
Il dolore e la delusione esplodono nella mia testa, mentre una consapevolezza si fa strada dentro di me. “Sei tu.” Era un ricordo. Un ricordo che m’illudevo di essere riuscito a cancellare. Sento le gambe cedermi mentre un senso di nausea mi attorciglia lo stomaco.
“Chi pensavi che fosse scusa? Ehi ma stai bene? Non hai una bella cera…” Johanna allunga una mano verso il mio viso, ma io la allontano bruscamente, colpendola. “Non toccarmi.” ringhio.
Lei però, non solo non sembra spaventata, ma dopo un attimo di sorpresa la sua bocca si curva in un ghigno malefico: “Cosa c’è Hawthorne?” Con estrema facilità, troppa per un cacciatore come me, in un attimo mi ritrovo imprigionato tra la parete e il corpo di Johanna, che preme contro il mio. Vorrei allontanarla ma gli arti non rispondono ai miei comandi, così mi ritrovo immobile, come un burattino nelle mani di questa donna: “Non sono queste le mani da cui desideri essere toccato vero? Non sono queste le labbra che desideri baciare vero? Non è questo il corpo caldo che desideri possedere vero?”
Persino annuire mi richiede un grande sforzo. E’ come se la mia testa fosse di piombo.
Johanna imprigiona il mio viso tra le sue mani, a pochi centimetri dal suo: “Allora respingimi se ne hai il coraggio.”
Senza alcun diritto di replica Johanna preme le sue labbra sulle mie, e dopo poco le nostre lingue s’incontrano. Non che abbia posto molta resistenza comunque. Mi chiedo se anche Catnip si è sentita così quando l’ho baciata durante la ribellione, proprio nel bosco di questo distretto. Se anche lei si è sentita vuota e disperata. Non sento niente, né piacere né dolore, sono solo in balia degli eventi. A questo punto non posso far altro che assecondare il mio corpo e i suoi più bassi istinti. Stringo Johanna per i fianchi, avvicinandola, mentre le sue mani esperte scendono verso il mio basso ventre. La sua bocca si avvicina al mio orecchio e mordendolo sussurra: “Non siamo poi così diversi, noi due…”
Come una doccia fredda, questa frase mi riporta alla realtà. Se prima il mio corpo non rispondeva ai comandi, ora in un attimo mi libero dalla sua stretta, allontanandola bruscamente. “Che significa? Io non sono come te. Non sono…” mi mordo il labbro, per reprimere quel senso di nausea che è ritornato violentemente, mentre l’ultima parola mi muore in gola.
“Cosa non sei? Un assassino? Ti conviene cominciare a dirla quella parola. Prima riuscirai a farlo, prima potrai perdonare te stesso e andare avanti.”
“Non voglio perdonare me stesso.” C’è solo una persona che puoi darmi il perdono di cui ho bisogno.
Johanna scuote la testa, come se avesse a che fare con un bambino testardo. “So cosa stai passando. Posso aiutarti, se me lo permetti.”
Una risata sprezzante esce dalla mia bocca. “Davvero? E come pensi di aiutarmi? Facendomi diventare il tuo amichetto di letto? Mi spiace deluderti ma non ho bisogno di una sua sostituta per dimenticarla.”
Non riesco a capire se le mie parole l’hanno ferita, perché Johanna accusa il colpo, immobile, continuando a fissarmi. E’ come se i suoi occhi potessero leggermi dentro, lei sa chi sono, sa cos’ho fatto, non posso nascondermi.  A disagio abbasso gli occhi, e dandole le spalle dico: “Vattene adesso. La tua sola presenza mi da la nausea. Stare con te mi fa odiare ancora di più me stesso.”
Dopo un attimo interminabile la sento avviarsi verso la porta, ma prima di andarsene dice: “Non hai capito niente, Gale.”
 
Sono passati tre giorni da quella volta. E Johanna non si è più fatta vedere. Non che la cosa mi dispiaccia comunque. Era quello che volevo. Da quando se n’è andata poi, non ho nemmeno bisogno di qualcuno che mi risvegli dall’oblio notturno. Ogni volta che chiudo gli occhi, mi risveglio dopo qualche ora sudato e preda di brividi incontrollabili. Vado in bagno, sperando di trovare qualche farmaco che possa placare i tamburi che battono nella mia testa. Guardo la mia immagine riflessa nello specchio e mi chiedo che fine abbia fatto il ragazzo che cacciava nei boschi. Mi chiedo se questo sia il volto di un assassino. Le parole di Johanna mi rimbombano in testa. Non sono un assassino. Non lo sapevo. Non sapevo che le mie bombe avrebbero ucciso dei bambini innocenti. Io non volevo. “Volevi uccidere. Sapevi che le bombe sarebbero servite a quello. Questo fa di te un assassino.”  Non è vero. Non è vero. Vorrei riuscire a far tacere questa vocina nel mio cervello, ma lei continua, inesorabile, ripetendo queste parole all’infinito. “Assassino. L’hai uccisa tu sua sorella. E’ tutta colpa tua.”  
“Basta!” urlo, tirando un pugno all’immagine di fronte a me, che raffigura la persona che odio più al mondo, me stesso.  Un dolore lancinante mi colpisce il braccio, mentre schegge e sangue volano per il bagno. Sento le gambe cedere, e poco prima di cadere nell’oblio, spero che stavolta sia per sempre.
 
Sento una voce chiamarmi, l’unica che in questi mesi è stata il mio unico appiglio per uscire dall’oscurità, e anche ora riesce a riportarmi indietro.
“E’ un dottore no? E allora si renda utile se non vuole raggiungerlo nel mondo dei morti!” la sento minacciare.
“Guarda che non sono ancora morto.” Biascico, la bocca impastata da qualche medicinale.
Johanna si volta di scatto, gli occhi spalancati. La sua espressione per un attimo si distende in qualcosa che sembra sollievo, ma ben presto è sostituita da un misto di rabbia e pazzia che mi provoca un brivido di paura lungo la schiena.
Uno schiaffo mi colpisce in pieno viso, mentre Johanna urla: "Ci è mancato poco! Ancora qualche ora e saresti morto dissanguato! Che diavolo credevi di fare eh? Pensavi che morendo avresti risolto tutti i tuoi problemi? Brutto codardo!” Il dottore cerca di afferrarla per le spalle, e mentre temo che stia per darmi il colpo di grazia, sento le sue braccia calde circondarmi il collo, delicatamente. “Sei uno stupido Hawthorne.”
Il suo abbraccio è così delicato e rassicurante che mi chiedo se sia davvero Johanna Mason la ragazza che mi sta abbracciando. Sento qualcosa muoversi dentro il mio stomaco, qualcosa che pensavo di aver ucciso molto tempo fa. Qualcosa di estremamente piacevole.
Quando Johanna si allontana da me le dico: “Mi sa che hai frainteso. Io non avevo nessuna intenzione di suicidarmi, se è questo che pensi.”
“Certo. Immagino che tu abbia preso a pugni lo specchio del bagno come passatempo.” Ribatte, acida.
“E’ stato un incidente.” Replico. E in effetti è vero. Non ricordo bene cos’è successo, ma so che il suicidio non è mai stato un’alternativa. Non sono così debole.
“Su su, credo abbia ragione, signorina Mason, Hawthorne ha la febbre alta, quindi è probabile che abbia sbattuto contro lo specchio prima di perdere i sensi.” Interviene il dottore, interrompendoci. Poi rivolgendosi a me dice: “In ogni caso, deve stare più attento la prossima volta, e non trascurare la sua salute. Lei lavora troppo e mangia e dorme troppo poco, è normale poi che a questo ritmo il suo corpo si ammali. Cerchi di non strafare, e faccia una vita più equilibrata. Ha capito?”
Annuisco, imbarazzato da questa paternale.
“Bene. Prenda queste pillole per la febbre due volte al giorno e resti a riposo. Io passerò una volta al giorno per controllare i punti e cambiare le bende.” Dice, indicando la mia mano destra fasciata. Provo a muoverla, ma una fitta di dolore mi fa rinunciare subito. “Per il resto, la lascio nelle mani della signorina Mason.” Aggiunge prima di uscire dalla porta. 
Vorrei spiegargli che lei non vive qui, ma tanto so che, con questa scusa, sarà impossibile impedirle di venire. A un tratto però, ricordi recenti si fanno largo nella mia mente annebbiata dalla febbre. “Perché sei tornata? Pensavo non venissi più.”
Johanna mi guarda, un’ espressione interrogativa sul volto. “Perché scusa? Pensavi mi arrendessi solo per quella piccola litigata della volta scorsa?”
Ora sono io quello confuso. “Be non sei più passata dopo quella volta…”.
“Vedi che non mi ascolti? Sono andata con un gruppo di volontari a tagliare la legna nel bosco. Te l’ho detto che saremmo stati via qualche giorno. Siamo tornati stamattina all’alba e quando sono entrata in casa tua ti ho trovato disteso mezzo morto in un lago di sangue. Grazie per il bel benvenuto!”
Ora che tutti i tasselli sono al posto giusto, cerco di ignorare la sensazione di sollievo che si diffonde dentro di me.
“Cos’è pensavi di essere riuscito a liberarti di me Hawthorne?” Johanna con un dito traccia un percorso invisibile sul mio petto, con una punta di malizia negli occhi che mi paralizza. “Mi spiace deluderti, ma non rinuncio così facilmente alle cose che voglio.” Per la seconda volta, Johanna mi coglie impreparato quando le sua labbra si posano leggere sulle mie, in un bacio troppo casto ma che paradossalmente mi suscita uno strano calore che non riesco e non voglio spiegare.
Dopo pochi secondi Johanna si stacca e un’espressione divertita si dipinge sul suo volto: “Su non fare quella faccia, non ho intenzione di saltarti addosso tranquillo. Non per il momento almeno.  Sei troppo debole, non ci sarebbe divertimento.” Dice sogghignando. “Bene, ora sarà meglio che vada, tu dormi, io tornerò verso sera per prepararti la cena.” Aggiunge alzandosi dal letto.
La guardo dirigersi verso la porta della mia camera, poi quando ormai sta per uscire dico: “Nel secondo cassetto del mobile in salotto ci sono le chiavi di scorta di casa. Prendile. Ci tengo alle mie finestre.” Aggiungo, per giustificare questa concessione che stupisce persino me stesso. Chiudo gli occhi, convincendomi che sia colpa della febbre e dei medicinali, convincendomi che domani Johanna Mason ritornerà a essere un’intrusa indesiderata in casa mia.




 
 
----angolo autrice----
Chiunque sia riuscito ad arrivare alla fine di questa storia be… grazie! XD in realtà non so bene neanch’io che cosa sia questa one -shot… l’idea iniziale era di scrivere una storia un po’ più hot diciamo su questa coppia, ma quando mi ci sono trovata in mezzo ho capito che era ancora troppo presto, Gale non è ancora pronto psicologicamente per fare questo passo! :D
A proposito di Gale, forse a molti di voi non piacerà come l’ho reso, così apatico e indifferente a tutto quello che lo circonda (completamente l’opposto di come ce l’ha descritto la Collins insomma), ma secondo me Gale è uno di quei personaggi che da Mockingjay ne esce veramente male, non solo uccide la sorella della donna che ama, ma anche un centinaio di innocenti, trasformandosi così in un assassino. L’idea che volevo dare comunque, non è quella di un Gale depresso che rimpiange il suo passato, ma quella di un ragazzo che non crede più in nulla e che fa di tutto per non pensare a quello che è successo... (non so però se ci sono riuscita XD).
Per quanto riguarda la coppia Johanna-Gale, so che è abbastanza improbabile, ma a me piacciono e ho sempre voluto scrivere qualcosa su di loro, spero di non essere l’unica ad apprezzare questa coppia! :D
Bene ho finito di annoiarvi, ora potete iniziare a insultarmi se volete! XD
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


“Gale io vado a farmi una doccia d’accordo?”
“Cerca di non metterci mezz’ora come al solito. L’acqua calda è considerata ancora un lusso lo sai.”
“E tu sai che non è colpa mia se fare la doccia mi disgusta; però chissà… forse se mi facessi compagnia  potrebbe essere divertente.” Aggiunge Johanna con un sorriso malizioso cui non riuscirò mai ad abituarmi.
“Muoviti prima che ti chiuda l’acqua.” Dico, ignorando la sua allusione.
Dall’infortunio sono passati circa sei mesi ormai. E dal quel giorno Johanna si è trasferita a casa mia. Con la scusa di volermi controllare nel caso facessi altre pazzie, si è sistemata nella camera degli ospiti, e da quella volta non se n’è più andata. La sua presenza inopportuna è diventata ormai una costante della mia vita. Una costante cui ho cominciato ad abituarmi. Involontariamente ho iniziato a conoscere i suoi movimenti, le sue abitudini e anche le sue paure, come quella dell’acqua, che la costringe a fissare la doccia per minuti interi prima di riuscire a convincersi a entrare.
Un’altra cosa con cui ho imparato a convivere è il suo strano interesse per me. All’inizio respingevo le sue provocazioni con fare deciso, ma nell’ultimo periodo rimangono semplicemente sospese nel vuoto, come granelli di polvere troppo fini per essere percepiti. Finché sono solo parole posso sempre far finta di non averle udite; è il suo tocco a spaventarmi. L’ultima volta che è successo il corpo non rispondeva più a miei comandi e anche se la colpa è stata sicuramente della febbre, non posso più permettere che succeda una cosa del genere.
Mi siedo sul divano e accendo la tv, più per dovere, in quanto amministratore del distretto, che per interesse.  Le prime notizie non dicono nulla che non sapessi già, e quando la comparsa di Effie Trinket mi convince a spegnere, due parole attirano la mia attenzione: Innamorati Sventurati. Prima che riesca a realizzare cosa questo significhi Catnip e Peeta appaiono sullo schermo, mentre escono insieme dal Villaggio dei vincitori tenendosi per mano. Fisso il viso della mia Catnip, che ne il fuoco ne il dolore potranno mai deturpare. Peeta accanto a lei sorride amorevole, e del mostro creato da Capitol City sembra essere sparita ogni traccia. Davanti a me appare una coppia d’innamorati, “che dopo grandi grandi grandi sofferenze, da due anni dalla fine della rivolta hanno ricominciato a vivere insieme, questa volta per sempre.” La mia mente cerca di prendere le distanze, mentre la vocina fastidiosa e commossa di Effie si sovrappone alla voce seria di Catnip, durante la nostra ultima telefonata.
 
“Gale sono io, Katniss. Immagino sarai sorpreso di ricevere una mia chiamata dopo tutto questo tempo. Mi ha dato il tuo numero Sae la Zozza. Senti… volevo solo dirti che ti perdono. Ho capito che finché c’è solo odio e rabbia in me non potrà mai esserci spazio per nient’altro. Io… devo chiudere definitivamente questa storia se voglio ricominciare. Ed è solo grazie a Peeta se sono riuscita a farlo. Niente… solo questo. Ciao, stammi bene.”
 
“E così quei due stanno insieme? E’ per questo che ti ha telefonato Katniss qualche giorno fa?” la domanda di Johanna mi riporta al presente, comparsa improvvisamente dietro di me ancora in accappatoio.
“Più o meno.” Rispondo mentre spengo la tv e mi alzo ignorando il suo sguardo inquisitorio, perché sento che questa conversazione non porterà nulla di buono. Non faccio in tempo ad attraversare il piccolo corridoio che un cuscino mi colpisce con forza la testa.
“Che cavolo fai?” esclamo sorpreso. Sono piuttosto certo che Johanna mi abbia tirato addosso la prima cosa che ha trovato. Se avesse afferrato un vaso, probabilmente, mi avrebbe tirato quello.
“Sai che cosa penso Hawthorne? Che a te questa situazione piaccia. Continui a crogiolarti nel dolore, a pensare –E’ katniss la ragazza che amerò per sempre, ho sofferto troppo, non potrò mai amare nessun’altra come ho amato lei- e ti autoconvinci di queste stronzate solo perché non vuoi ammettere di avere una dannata paura di ricominciare.”
Raccolgo il cuscino caduto a terra e con calma lo riporto in salotto, mentre il mio cervello assimila le sue parole. Johanna ha la capacità di toccare gli altri nel loro punto debole, ed io non ne sono immune. Ha ragione: il perdono di Catnip mi ha sollevato, il peso che gravava sul mio cuore, fatto di senso di colpa e rimpianto, si è alleggerito, e tutto questo è grazie all’amore che Katniss prova per Peeta. Non per me. Io sono un capitolo chiuso della sua vita ora. Ma lei non lo è per me. Io continuo a restare legato a quel passato che non riesco a lasciare andare.
“Non capisco di cosa tu stia parlando.” Dico, cercando di mantenere il tono di voce fermo, mentre con indifferenza risistemo il cuscino sul divano.
Johanna si para davanti a me, impedendomi di passare. “Fai schifo a mentire. E’ per questo vero? E’ per questa ragione che fai finta di non vedere l’interesse che io provo per te vero?”
Si è così. Se io accettassi di stare con Johanna dovrei chiudere definitivamente con il passato, dovrei cancellare il mio amore che provo per Catnip e voltare le spalle al ragazzo che ero. Non posso farlo. Se mi tolgono tutto questo, che cosa rimane di me?
Abbasso gli occhi. “Io non posso darti quello che vuoi…” dico scostandola.
Quello che accade dopo succede tutto così velocemente che non riesco a reagire. Johanna mi afferra con forza e con una mossa degna di un’assassina mi blocca disteso sul divano, mentre lei si posiziona sopra di me. Se avesse un’arma in mano, probabilmente penserei che stia cercando di uccidermi.
“E che cos’è che voglio Hawthorne? Il tuo amore? Io voglio te Gale, ti desidero, solo questo. E so che anche tu desideri me, quindi smettila con tutte queste stupidaggini e baciami, prima che sia io a farlo.” Johanna prende una mia mano e se la posa sul seno, con uno sguardo di sfida.
In realtà, non appena i nostri corpi sono venuti a contatto, ho capito che non c’era più speranza per me. Come la volta scorsa il mio corpo e la mia mente non comunicano più; mi alzo sui gomiti e con un gesto deciso afferro il suo viso e le nostre labbra si trovano.
Un guizzo di passione nasce dal fondo delle mie viscere e tutto quello che avviene dopo è fuori dal mio controllo. Le mani abili di Johanna che si muovono sul mio corpo, l’accappatoio che le tolgo con foga, la mia bocca bramosa sul suo seno, i suoi gemiti soffocati, i segni bollenti dei piccoli morsi che Johanna lascia sul mio collo, lei sopra di me, bellissima, selvaggia, mentre i nostri corpi si muovono in sincrono finché non raggiungiamo l’apice.
Quando la ragione rientra nel mio corpo mi sento come un semplice spettatore che ha assistito alla scena da lontano, che la giudica sporca, insensata ma che poi distoglie lo sguardo perché la cosa non lo riguarda. Come se non volessi accettare che il ragazzo nudo disteso sul divano col respiro affannato sia davvero io.
E la cosa peggiore è che mi è anche piaciuto. Perdere per un attimo la lucidità, dimenticare chi ero e chi sono adesso, non pensare al mio passato, a Catnip, a tutto quello che ho perso e che non potrò mai più riavere, è stato come respirare aria fresca dopo aver passato tutto il giorno in miniera. Rigenerante.
Un leggero bacio di Johanna mi riporta alla realtà. Nuda, i capelli corti spettinati, è ancora coricata su di me, i suoi grandi occhi marroni che cercano i miei, come se già sapesse quello che sto pensando.
Mi alzo a sedere di scatto, allontanandola, rendendomi conto che non posso permettermelo, che non posso farlo, che non voglio diventare un uomo che usa il sesso occasionale come conforto. Che quel ragazzo che mi guarda come un estraneo è lo stesso che andava a caccia nei boschi ed era innamorato della sua migliore amica, lo stesso ragazzo che non ho nessuna intenzione di lasciare.
“Non capiterà più.” Dico più a me stesso che a Johanna, mentre cerco la maglietta.
“Ti senti in colpa?” chiede, dopo un attimo di silenzio.
“Perché dovrei scusa?” dico, continuando a darle le spalle.
“E allora perché ti comporti come se avessi tradito qualcuno?” mi domanda lei di rimando.
Non so cosa rispondere, e Johanna sa di aver centrato il punto. “Ti senti in colpa nei miei confronti? Perché hai fatto sesso con me ma in realtà pensavi a un’altra?”
“Basta.” La interrompo, perché non voglio sentirmi dire quello che in realtà so già benissimo.
“E’ per lealtà verso Katniss? Le hai giurato che l’avresti sempre amata e aspettata giusto?”
“Basta ho detto.” Mi alzo, come se questo potesse servirmi a prendere distanza dalle sue parole. Come se così non potessero toccarmi.
“O è di te stesso che hai paura? Di quello che sei diventato dopo che…” “Basta! Stai zitta” urlo girandomi di scatto e sputando fuori tutta la mia rabbia. “Io non sono così d’accordo? Non sono il ragazzo che va a letto con una donna per dimenticarne un’altra, non sono un assassino senza pietà che riesce ad andare avanti come se nulla fosse successo.” Prendo un grosso respiro prima di pronunciare per la prima volta quella verità che ho sempre voluto evitare: “Io ho ucciso dei bambini Johanna. Ho ucciso la sorella della ragazza che amo. La felicità è qualcosa che non posso più permettermi ormai. E’ per questo che non posso lasciare andare quel ragazzo che ero, devo avere qualcosa a cui appigliarmi per andare avanti. Altrimenti di me non rimarrebbe nulla.” Il mio tono dovrebbe essere piatto e rassegnato, ma alla fine della frase persino io riesco a cogliere la sofferenza nella mia voce.
Johanna è ancora seduta sul divano, e mi guarda come se non ci fosse nulla di nuovo, come se questa fosse la scena di un copione già visto. A un tratto mi chiedo se è questa la sorte che è toccata a tutti i vincitori degli Hunger Games, se è questo il prezzo da pagare per essere riusciti a sopravvivere.  Poi si alza, e le sue braccia mi accolgono in un abbraccio che non ha niente a che fare con la passione o la pietà, è solo accogliente e sicuro.
Lo ricambio, affondando il viso tra i suoi capelli e perdendomi nel profumo del sapone. “Qual è il tuo appiglio Johanna? Cos’è che ti ha aiutato a ricominciare?” sussurro. Siamo ancora abbracciati quindi non riesco a vedere la sua espressione, ma ho la sensazione che stia sorridendo.
“Sei tu Gale. Mi ci sono voluti parecchi anni prima di trovarlo, ma come si dice –meglio tardi che mai-” conclude con un’alzata di spalle. Mi ci vuole un po’ prima che il peso delle sue parole arrivi al mio cervello ormai esausto, e quando succede Johanna ha già alzato il suo viso per studiare la mia espressione.
Sto per riformulare l’ennesimo rifiuto quando lei mi precede: “Ti prego non ricominciare con la solita storia!” dice alzando gli occhi al cielo. “Senti Gale, lo so che sei innamorato di Katniss ed io non voglio essere la tua ragazza, né tanto meno la sua sostituta o la seconda scelta. Voglio solo stare con te perché mi piace. Mi piaci tu, mi piace vivere e mangiare insieme a te, e sì mi piace anche fare l’amore con te. Quindi permettimi di stare con te e io ti prometto che non chiederò nulla in cambio.” Dice appoggiando con una gentilezza inaspettata una mano sul mio viso.
La testa mi urla che non posso farlo, che non è giusto nei suoi confronti, che io amo già un’altra donna, ma il mio corpo stanco non riesce a liberarsi dal suo abbraccio accogliente, non vuole rinunciare a questo inaspettato calore e il mio cuore a pezzi non vuole ritornare a sentirsi solo più di quanto già non sia.
“Lasciami entrare e appoggiati a me.” Sussurra Johanna prima di premere delicatamente la sua bocca sulla mia.
Devi allontanarla ora. Dopo sarà troppo tardi. Sarà sempre troppo tardi. La vocina d’avvertimento nel mio cervello si spegne nel momento in cui le mie braccia si stringono intorno a Johanna avvicinando i nostri corpi e le nostre bocche, non lasciando più spazio alle parole. Nel mio assenso silenzioso però, so di essere caduto in una trappola, so che ci sarà un momento in cui dovrò rendere conto dei miei sentimenti ed io non avrò nulla da offrirle.
 
 
 
 
--- angolo autrice---
Dopo mesi d’assenza, d’ispirazione pari a zero, ecco che rifaccio la mia comparsa! Chiedo scusa alle persone cui ho detto che stavo lavorando per un secondo capitolo e poi sono sparita, ma la verità è che avevo bisogno di mettere un po’ d’ordine nei miei pensieri e ho dovuto prendermi una pausa.
Aggiungiamoci poi, che scrivere questo “secondo” capitolo non è stato affatto facile! :D Dico così perché l’idea iniziale era di scrivere un paio di one-shot su questa coppia, senza che ci fosse una continuità, ma alla fine, un po’ per alcune richieste, un po’ perché ero curiosa di approfondire i personaggi, ho voluto provare a scrivere quest’altro capitolo. Che il risultato sia buono però non posso garantirlo anzi, se è una schifezza basta dirlo e io mi fermo! XD Quindi non fatevi problemi a dirmi cosa ne pensate, è molto importante per me! 
Per quanto riguarda il capitolo in se, ci sono alcune cose che vorrei precisare. (poi la smetto giuro.)
Gale se nel primo capitolo appare vuoto e apatico, qui c’è stata una piccola evoluzione, non ha più bisogno di nascondersi dietro un muro d’indifferenza per non soffrire, ora riesce a guardare in faccia la realtà e ad accettare quello che è successo. Tutto questo però lo fa da solo, contando solo su se stesso, ricordandosi com’era prima della guerra e aggrappandosi al pensiero che c’è ancora qualcosa di buono in lui. (Spero proprio di essere riuscita a trasmettere questa cosa!)
Per quanto riguarda il suo rapporto con Johanna, lei gli serve per smuoverlo, per fargli aprire gli occhi e per fargli capire che non è solo. Subito questo capitolo doveva essere di rating rosso, ma alla fine ho preferito rimanere sul generico, perché per ora da parte di Gale c’è solo passione, come una specie di scossa elettrica al contatto, ma nel suo cuore c’è ancora Katniss. Poi più avanti… chissà. XD
Bene ho finito (era ora), secondo i miei calcoli il prossimo capitolo dovrebbe essere l’ultimo, ma come ho detto se volete che mi fermi ditelo! :D
Grazie a tutte le persone che hanno recensito, che seguono, preferiscono o ricordano questa storia!  grazie mille!
A presto spero!

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Capitolo 3
*** capitolo finale ***


“Da quanto tempo sei sveglio?” alzo lo sguardo dal giornale e lo poso sulla figura di fronte a me. Johanna mi fissa con aria stizzita, le mani sui fianchi e con indosso solo una misera maglietta bianca. “Allora?” ripete, già sul piede di guerra.
“Johanna non sei mia madre. Dormo abbastanza e non ho avuto incubi, quindi non iniziare con la solita storia del –lavori troppo-, per favore.”  Dico riabbassando lo sguardo sulle ultime notizie dai distretti.
“E tu smetti di comportarti come un incosciente allora. O ti ridurrai come un anno fa, morente nel tuo bagno. Ma stavolta sappi che non ti aiuterò.” Replica strappandomi il giornale di mano e gettandolo sul divano.
“Nessuno ti ha chiesto di farlo infatti.” Dico incrociando le braccia. “C’è altro?” So quanto lei detesti essere liquidata così.
La sue espressione continua a essere stizzita, ma un lampo di sfida passa per i suoi grandi occhi marroni. “Sì, c’è altro.” Dice, mentre con un rapido movimento si posiziona a cavalcioni su di me.
“Johanna, devo andare a lavorare.” Dico, sapendo già dove questo ci porterà.
“L’hai voluto tu, Hawthorne”. Sussurra al mio orecchio mentre la sua maglia finisce sul pavimento. Con mani abili slaccia la cinghia dei miei pantaloni ed io stringo automaticamente uno dei suoi seni prosperosi. “Sai che con me non l’avrai mai vinta.” Dice, muovendo una mano sinuosa verso il mio basso ventre.
Lo so. Eccome se lo so. Da quando sono caduto in questa trappola, non sono più riuscito a trovare una via d’uscita. Non che mi sia dato molto da fare per cercarla comunque. Mi chiedo da quando il cacciatore sia diventato preda; da quando le sue labbra, il suo profumo, il suo sorriso siano diventate delle esche così irresistibili per me. Cerco di autoconvincermi che questa sarà l’ultima volta, anche se è da più di cinque mesi che mi ripeto questa litania.
Mentre assaporo il gusto delle sue labbra che cercano avidamente le mie, sento in lontananza gli squilli del telefono, ma è la voce di mia madre che risuona in segreteria a riportarmi alla realtà:
“Gale sono io, spero di non averti svegliato. Volevo solo ricordarti che io e i tuoi fratelli arriveremo domani con il treno delle 10.25, ti aspettiamo in stazione. Non fare tardi mi raccomando! Be a domani allora, ciao ti vogliamo bene.”
Nel silenzio innaturale che segue Johanna continua a fissare il telefono, come se fosse ancora stupita da quello strano aggeggio inventato da Capitol City, poi esclama: “Lo sapevi?”
Annuisco. “Certo che lo sapevo.” Fingo indifferenza, ma la verità è che cercavo di non pensarci.
“E quando pensavi di dirmelo scusa? Dobbiamo pensare a un sacco di cose!” dice indicando con un gesto della mano la stanza in disordine.
Allaccio i pantaloni cercando di riacquistare lucidità perché so che quello che dirò non le piacerà.
“Johanna tu non puoi conoscere la mia famiglia.” Il mio tono è deciso e diretto, ma quello che vedo mi fa così male che vorrei rimangiarmelo subito. Johanna ha lo sguardo di una persona che è stata pugnalata alle spalle, e dalla fitta di dolore che mi serra lo stomaco quel pugnale sembra aver colpito anche me.
Lo schiaffo arriva così velocemente che a malapena me ne accorgo; poi svelta si rimette la maglia e si dirige in camera sua. “Che cosa ti aspettavi?” chiedo, seguendola.
“Dimmi solo il perché!” la rabbia e il dolore vibrano nella sua voce mentre afferra manciate di suoi vestiti e li butta alla rinfusa in un borsone. “E’ perché sono un’assassina? O perché sono un ex morfinomane? O semplicemente perché vuoi che la tua famiglia creda ancora che starai con Katniss un giorno?”. Johanna chiude con forza la borsa e inchioda il suo sguardo al mio, in attesa di una risposta.
Per tutte queste ragioni e mille altre ancora. Perché non saprei come spiegarlo, perché non so cosa Johanna sia per me: un’amica, un’amante, una compagna di letto, la mia ragazza? Perché mi vergogno ad ammettere di aver bisogno di Johanna per dimenticare Catnip, mi vergogno di aver rinunciato a lei.
“Katniss non c’entra nulla in questo.” Mento, cercando di nascondere il fastidio nella mia voce.
“Ne sei sicuro Gale? Perché io invece ho la sensazione che tutto quello che fai e che dici continui a ruotare sempre intorno a lei.” Johanna afferra la mia mano e inspira profondamente, poi dice quella che sembra essere una verità tenuta nascosta troppo a lungo. “Ti ho mentito Gale. Ti avevo detto che mi bastava avere te e che non ti avrei chiesto nulla in cambio ma la realtà è che non sono così dannatamente forte, io non voglio stare con un uomo che ama un’altra donna. Ho bisogno di sentirmelo dire Gale.  Io ti amo. Tu mi ami?” .
Questa non è la prima volta che una ragazza dice di amarmi: compagne di classe, che mi dichiaravano i loro sentimenti nel cortile della scuola, anche se c’eravamo rivolti a malapena la parola; ragazze sciocche che baciavo dietro alla miniera, che mi donavano il loro corpo e in cambio chiedevano il mio amore.
Da parte mia invece, ho detto ti amo solo una volta.
Guardo Johanna, in attesa, mentre la mano continua a stringere con forza la mia. La guardo e la sua immagine si sovrappone a quella di Catnip quando le dichiarai il mio amore. Alla sua fronte appoggiata alla mia, al suo profumo di fumo e mele.  
So che dovrei risponderle, ma le parole mi muoiono in gola.
So che la perderò se non dirò nulla, ma non riesco a mentirle.
Lei mi ama, e l’unica persona a cui riesco a pensare in questo momento è Catnip.
I secondi passano inesorabili, mentre la consapevolezza si fa strada nell’espressione di Johanna. Abbasso gli occhi, responsabile del dolore che sta provando. Sento la sua mano abbandonare la mia, e stavolta sono io a stringerla. “Io te l’avevo detto Johanna, sapevi che non avrei mai potuto darti questo.” Dico, alla ricerca di una giustificazione.
Johanna scuote la testa. “Non posso più farlo Gale. Non posso più far finta di niente e ignorare i miei sentimenti; finirei con l’odiare me stessa. Devo andarmene da qui.”
“Johanna io…” Diglielo. Diglielo. Diglielo. “… mi dispiace.” Sussurro sconfitto.
“Risposta sbagliata, Hawthorne.” Si libera dalla mia presa, prima di uscire dalla porta senza guardarsi indietro.
 
 
“Non c’è bisogno che ci accompagni, possiamo farcela da soli.” Dice mia madre sorridendo.
“Non preoccuparti, tanto poi devo passare all’ufficio centrale.” Sulla strada del ritorno diretti verso la stazione, i miei fratelli corrono da una vetrina all’altra, entusiasti per le meraviglie che ne vedono dietro. Anche se il distretto 12 è stato ricostruito e la miseria è solo un brutto ricordo, i primi due distretti continuano a essere i più ricchi di Panem.  Io e mia mamma li seguiamo con lo sguardo passeggiando a distanza.
“Sei sicuro di non stare lavorando troppo? Sembri stanco.” L’attenzione di mia madre si sofferma sulle mie occhiaie scure e sull’espressione tesa.
“Mi piace lavorare.” Dico cercando di eludere la domanda. Non posso dirle che stanotte non ho chiuso occhio a causa della lite con Johanna. Non posso dirle che a ogni minimo rumore che sentivo in casa scattavo in piedi sperando avesse cambiato idea. Ma non l’ha fatto. Stamattina la casa era immersa in un silenzio quasi irreale, e di Johanna non c’era traccia.
Mia mamma sospira, richiamando la mia attenzione. “Gale, quando hai intenzione di dirmi della ragazza che vive in casa tua?”
La guardo stupito, troppo sorpreso per riuscire a nascondere la mia espressione colpevole. “Cos’è pensavi che non me ne sarei accorta? In casa tua c’è un tocco inconfondibile di donna: se non fosse per le candele e i fiori sparsi in casa, sono piuttosto sicura che i trucchi e le creme antirughe in bagno non siano tuoi.” Mia madre sorride soddisfatta della sua conclusione, mentre io continuo a guardarla stupito. Troppo preso dalla fuga di Johanna mi ero completamente scordato di nascondere le sue cose. Se fosse qui, probabilmente a quest’ora starebbe ridendo di me.Ben ti sta, Hawthorne.
“Allora dove l’hai nascosta? Mi piacerebbe conoscerla!”.
“Se n’è andata.” Dico fissando un punto indefinito davanti a me.
Per fortuna capisce subito quello che intendo. “Come mai?” chiede.
“Non sono riuscito a darle quello che desiderava.” Rispondo, dopo un attimo di esitazione.
Annuisce, come se sapesse benissimo quello di cui sto parlando. “E lei? Lei è riuscita a darti quello che desideravi?”
“Tutto.” Rispondo subito, le parole escono senza che io possa fermarle. “Io non desideravo più nulla, ma lei mi ha ridato tutto.”
“Allora è proprio un peccato che tu l’abbia lasciata andare.” Conclude e mi lascia solo con questa consapevolezza per raggiungere Posy che le mostra agitata qualcosa dietro a una vetrina.
 
Da quel giorno sono passate tre settimane e di Johanna nessuna traccia. L’ho cercata per tutto il Distretto 2, bussando alle porte dei suoi compagni taglialegna e ai pochi hotel presenti zona, ma di lei neanche l’ombra. In compenso tutte le sue cose continuano a giacere in casa e a coprirsi di un leggero strato di polvere, come a volermi ricordare che il tempo passa e lei continua a non tornare.
E anche se la vedessi, cosa le direi? Stai con me, anche se non ti amo. Perché io non la amo giusto? Se l’amassi sarei riuscita a dirglielo, se l’amassi non avrei pensato a Catnip. Se l’amassi, non l’avrei lasciata andare. Da quel giorno però, una specie di voragine si è aperta dentro di me, e più il tempo passa più mi sembra diventi profonda. So che finché non l’avrò trovata, non riuscirò a darmi pace. Torna, mi manchi.
Possibile che se ne sia già andata dal Distretto 2? Forse è tornata nel suo Distretto, o forse ha raggiunto Annie nel 4… “Signor Hawthorne posso entrare?” solo adesso mi accorgo dell’insistente bussare alla porta.
“Avanti” dico, la testa ancora tra le mani mentre cerco di ritrovare il filo dei miei pensieri.
Carl, l’addetto alla manutenzione, entra nell’ufficio con una serie di mappe e scartoffie, gettandole soddisfatto sulla mia scrivania. “Ecco tutti i progetti che abbiamo intenzione di attuare nei distretti, alcuni sono stati già approvati, per altri purtroppo temo dovremo vedercela con la Presidente Paylor.
“Grazie.” Dico, cercando di ritrovare un minimo di concentrazione. “Abbiamo un capanno degli attrezzi?” chiedo sorpreso indicando l’abbozzo davanti a me.
Carl annuisce. “E’ un vecchio capanno in mezzo al bosco, era usato dai boscaioli come punto d’appoggio nel caso scoppiasse un temporale o facesse troppo tardi per attraversare il bosco di notte. Ora è in disuso però perché sta cadendo a pezzi, pensavamo di abbatterlo e costruirne uno più grande, così da poter ospitare anche un’intera squadra…”
Carl sta continuando a parlare del nuovo progetto, ma i miei pensieri sono di nuovo rivolti a un’unica persona. “Dov’è questo capanno?” chiedo prendendo rapido la mappa del Distretto 2. Carl indica confuso un punto a est del bosco, e mentre mi dirigo quasi correndo verso l’uscita urla: “Gale dove stai andando? Ricordati che abbiamo la riunione del…” Non saprò mai che riunione era. In questo momento l’unica cosa che posso fare è aggrapparmi alla speranza che Johanna sia davvero lì, dopotutto lavorava in una squadra di taglialegna, quindi è possibile che sapesse dell’esistenza del capanno.
Quando arrivo all’incirca nel punto indicato da Carl, lo vedo nascosto dalla boscaglia. Mi avvicino furtivo, ma quando mi trovo davanti all’ingresso ho la brutta sensazione che all’interno troverò solo il vuoto.
Busso ripetutamente mentre la consapevolezza che Johanna se ne sia andata per sempre si fa strada dentro di me. Mi allontano, pronto a tirare un calcio alla porta, più che altro per scaricare la rabbia e la frustrazione, quando sento una voce inconfondibile chiamare il mio nome.
“Gale!” Johanna è di fronte a me con qualche ceppo di legna tra le braccia, il suo sguardo è impenetrabile. “Che cosa ci fai qui? Come hai fatto a trovarmi?”.
Scruto il suo viso, alla ricerca di qualche emozione: sorpresa, desiderio, dolore, amore qualsiasi cosa che mi dica che c’è ancora speranza.  “Perché sei qui?” ripete più lentamente, come se avesse a che fare con una persona poco sveglia.
“Ti stavo cercando.” Dico, sostenendo il suo sguardo.
“Bene mi hai trovato, buon per te.” Dice scostandomi e dirigendosi verso la porta. “Che cosa vuoi?” chiede mentre armeggia con le chiavi tenendo i ceppi nell’altra mano.
“Sono venuti a prenderti, per riportarti a casa.” Johanna apre con indifferenza la porta, ma dal sussulto delle sue spalle so che non si aspettava questa risposta. “Mi dispiace deluderti Gale, ma è questa la mia nuova casa ora.” Afferma ormai sulla soglia.
“In realtà questo è un vecchio magazzino, e tra pochi giorni lo farò abbattere.” Mi avvicino di qualche passo, accorciando la distanza fra noi.
“Grazie per avermi avvisato allora, è stato molto gentile da parte tua.” Il suo tono è acido quando decide di concludere per sempre questa conversazione sbattendomi la porta in faccia.
“Perché non sei scappata?” chiedo, bloccandola appena in tempo con la mano.
Mi guarda confusa, e nei suoi grandi occhi marroni intravedo quella sofferenza che sta cercando disperatamente di nascondere. “Perché stavi per sfondare la mia porta a calci e…” Scuoto la testa, interrompendola. “No, intendevo perché non te ne sei andata tre settimane fa. Che senso ha continuare a vivere qui se non vuoi più stare con me?” I miei sono occhi ancora nei suoi. Desidero solo sapere che è rimasta per me. Ho bisogno di vedere quell’amore che Johanna Mason ha tanto cercato di nascondermi.
 In pochi secondi le sue espressioni cambiano così rapidamente che faccio fatica a distinguerle tutte: sorpresa, imbarazzo, vergogna, sdegno e alla fine rabbia pura. “Io faccio quello che voglio hai capito?” urla buttando i ceppi che avevo in mano per terra e afferrandomi per l’orlo della maglietta. “E chi ti credi di essere per venire a dirmi queste cose? Solo perché ti ho detto che ti amo non significa che il mio mondo giri intorno a te!” .
Johanna molla la presa e mi da’ uno spintone, mentre cerca di combattere contro le lacrime che le scendono sul volto. “Vattene adesso Hawthorne, razza di egoista presuntuoso…” Il mio bacio blocca la serie d’insulti che ne sarebbe seguita, sulle labbra sento il sapore salato delle lacrime.
Johanna cerca di allontanarsi dandomi un altro spintone, ma io la trattengo per le spalle bloccandola tra il mio corpo e il muro della casa. Continuo a baciarla, mentre lei tempesta il mio petto con una serie di pugni, alternando baci e insulti.
Questa lotta finisce con una fitta di dolore e un morso al mio labro inferiore. “Io credo di odiarti, Gale.” Johanna mi guarda e respira affannosamente, gli occhi arrossati e le labbra sporche del mio sangue.
Afferro il suo viso tra le mani e a pochi centimetri dalle sue labbra dico: “Io credo di amarti, invece.” E stavolta so che è la verità. Le parole mi escono così naturali che mi chiedo da quanto tempo fossero lì pronte per essere pronunciate. Nessuna paura, nessuna forzatura. Nessun dubbio. In questo momento il mio corpo e la mia mente sono pieni solo di lei.
Johanna resta a fissarmi, immobile, i suoi occhi non si staccano dai miei; poi allunga le braccia attorno al mio collo e afferra con forza una ciocca dei miei capelli scuri, avvicinando ancora di più i nostri visi: “Se mi stai mentendo Hawthorne, io giuro che ti ucciderò.” Sussurra prima che le nostre labbra e le nostre lingue si incontrino.
La mia mente inizia ad annebbiarsi mentre afferro Johanna per i fianchi e la porto con ben poca grazia all’interno del capanno, depositandola su un vecchio tavolo di legno e gettando per terra tutti gli oggetti che vi erano sopra con un movimento del braccio. Nel frattempo Johanna stringe le sue gambe snelle e muscolose intorno ai miei fianchi, avvicinando di più i nostri corpi già vibranti di desiderio. Le sue labbra seguono la linea del mio collo, ma in questo momento desidero solo i suoi baci. Così cerco di nuovo la sua bocca, sentendo ancora l’enorme voragine che si era creata dentro di me durante la sua assenza. Se prima la percepivo solo attraverso fitte di dolore, ora  riesco quasi a vederla: il sollievo di riavere Johanna con me e la paura di perderla di nuovo la rendono tangibile. “Johanna…” sussurro, allontanando a fatica le nostre bocche. “ Io ti amo. E anche se non sono bravo con le parole, sappi che sarò disposto a dirtelo ogni volta che vorrai. Quindi non azzardarti ad andartene un’altra volta, intesi?” Non lo sopporterei.
Non so chi dei due bacia di nuovo l’altro per primo, ma stavolta è Johanna a interromperlo. “Dillo, allora.” Sospira sulle mie labbra. “Dillo.”
“Ti amo.” Ci baciamo, trattenendo il respiro. “Dillo di nuovo.” Ci baciamo, le nostre mani s’intrecciano.
“Ti amo.” Ci baciamo, e quando sento sorridere Johanna sulle mie labbra so di aver fatto dopo tanto tempo la cosa giusta.
 
 


 
 
--- angolo autrice ---
Siano ringraziati gli antichi dei!!!  Dopo averlo scritto, cancellato e riscritto tipo una decina di volte, ecco l’ultimo capitolo. Continuo a non essere pienamente soddisfatta, ma questo credo sia il meglio che sono riuscita a fare per ora. Chiedo scusa per l’immenso ritardo, ma ho preferito aspettare e pubblicare qualcosa di decente, piuttosto che una vera schifezza. (cosa che forse lo è anche questa, nel caso non abbiate scrupoli a dirmelo :D.)
Parlando della storia, credo che il problema sia stato che stavolta, oltre a concentrarmi su Gale, dovevo riuscire a trasmettere anche i sentimenti di Johanna, senza farla apparire come la solita ragazzina innamorata, ma comunque desiderosa di essere ricambiata senza il fantasma di Katniss. Gale d’altra parte è troppo confuso e spaventato per ammettere di essersi innamorato di nuovo, quindi all’inizio preferisce rinunciare piuttosto che combattere per i suoi sentimenti.
Ecco queste erano le idee di base per quest’ultimo capitolo: spero, almeno per un minimo, di essere riuscita a trasmettervele. :)
Grazie mille a tutti quelli che hanno commentato, preferito, seguito in questi mesi, e come sapete una recensione è sempre ben accetta!
A presto spero!
 
P.s: l’intera storia era nata come rating rosso, ma alla fine non sono riuscita a scrivere niente del genere per questa coppia. Pace, sarà per la prossima volta, se non sarò buttata fuori a calci da questo fandom! :D
 

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