L'uke perfetto

di Gem
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Tre ***
Capitolo 4: *** Quattro ***
Capitolo 5: *** Cinque ***
Capitolo 6: *** Sei ***
Capitolo 7: *** Sette ***



Capitolo 1
*** Uno ***


Nuova pagina 1

L’uke perfetto

 

UNO

… è biondo con gli occhi azzurri: che uke carino!

 

Si chiama Yaoi City e si trova negli Stati Uniti, più precisamente in una tranquilla zona del Kentucky orientale. È una cittadina nata di recente, in seguito allo smembramento di una città più grande che ha dato i natali anche a Yuriland e Hentaiville. Chi sono gli abitanti? Corre voce che gli abitanti di Yaoi City si chiamino seme e uke, ma non si riesce ancora a capire perché.

 

«… adesso espirate. Piano, mi raccomando: cercate di mantenere in equilibrio ogni parte del vostro corpo. Non appena sentite sciogliersi i muscoli, muovete delicatamente la gamba per avvicinarla ancora alla testa. Se ci riuscite, osservate la posizione che sto assumendo io. Si chiama Setu Bandha Sarvangasana ed è una figura tra le più belle e complesse. Un giorno anche voi riuscirete a farla. Mentre voi rimanete nella vostra posizione, vi racconterò un altro episodio della vita di Siddharta Gautama, il Buddha.»

«Maestro, mi scappa la pipì.»

«Io ho tanta sete.»

«Anch’io.»

Shaka sciolse la posizione del ponte e fissò con occhi vuoti il soffitto.

«Posso mangiare la merendina?»

«E io?»

Sollevò appena una mano per assentire. Perché, perché aveva accettato di insegnare yoga a dei bambini anziché ad anziani quel maledetto 2 dicembre, quando aveva firmato il contratto di lavoro con la palestra SignorShakaAbbiamoGiàInsegnantiDiYogaPerAdulti? Ah, sì. Non voleva essere il colpevole di danni irreparabili ad anziani che rischiavano di collassare anche solo alzando un braccio o battendo le palpebre.

«Facciamo cinque minuti di pausa.» annunciò non alzandosi, mentre tutti i bambini gridavano felici e correvano qua e là per la palestra.

No, non ce la faceva più. Erano trascorsi esattamente 104 giorni, 7 ore, 16 minuti e 34-35-36 secondi (come lo informava l’orologio sulla parete) da quando aveva apposto la sua firma sul foglio. Una firma piccola, con quella grafia particolare che la rendeva unica, composta solo dalle parole “Shaka Tuja”.

Era calmo, Shaka, era calmo – o così dicevano tutti quando lo vedevano mangiare un’insalata. D’accordo, era calmo perché spesso meditava e faceva acrobatiche posizioni di yoga, ma in cuor suo sapeva di essere agguerrito e polemico.

L’oroscopo di quel giorno per il segno della Vergine diceva: “È ora di prendere una pausa dal lavoro, o avrete una crisi di nervi. Siete sempre così pignoli, ma ultimamente distratti e confusi”.

Da buon virginiano, Shaka non aveva creduto all’oroscopo, bensì gli aveva dato ragione. È una differenza sottile, eh, che solo i segni di terra e d’aria possono comprendere – gli altri credono ciecamente a tutta l’astrologia e passano metà del loro tempo a convincere i colleghi che credere e dare ragione all’oroscopo sono sinonimi.

In ogni caso, la crisi di nervi si stava avvicinando davvero. Shaka non ne poteva più di bambini irrequieti che non capivano un’acca dei suoi discorsi e osavano chiamare Buddha “Buddy”.

Distratto e confuso erano aggettivi perfetti per il poveretto: in quella settimana aveva già lasciato una caffettiera nella lavatrice, tentato di pagare una maglietta con la tessera della palestra anziché la carta di credito, lavato con ammorbidente il pavimento.

Si sollevò con prudenza da terra e osservò amareggiato dei bambini che mangiavano merendine accanto ai suoi libri di yoga e buddismo. Assomigliavano molto a quel buzzurro di coinquilino che si ritrovava, sempre impegnato a mangiare qualcosa e sbriciolarlo sui suoi oggetti e documenti, per poi tuffarsi nel letto e addormentarsi ronfando in meno di tre secondi.

“No, è che tra due giorni ho una scadenza e devo trovare l’ispirazione… no, puoi togliermi tutto ma non la crostata! Shaka, dammi la crostata! Giuro che lascio in pace la statuetta di Buddha!”.

Tsk, l’aveva beccato mentre mangiava una fetta di crostata e usava una statua di Buddha a mo’ di batteria, canticchiando hard rock e adducendo il motivo di tutto alla scadenza di un racconto breve. Aveva messo la torta nella cucina chiusa a chiave, portato lo scrittore in cerca d’estro davanti al computer e scandito: “Ci. Servono. I. Soldi. Per. L’. Affitto.”.

Più o meno allora si erano baciati e la scrittura era divenuta impossibile. Shaka si era innamorato di Aiolia Anthelios per una successione di eventi improbabili che aveva dovuto affrontare circa un anno prima.

«Il maestro è un  po’ triste oggi.» disse un bambino, annuendo con fare solenne.

«Perché non gli cantiamo qualcosa?» propose un altro.

E così, sulle note di Twinkle, twinkle little star, Shaka tornò a terra per osservare il soffitto senza coinvolgimento.

 

«Shaka, pulcino, dove sei? Petalo di rosa bianca… scintilla di vita eterna… lo so che sei tornato. Hai disseminato tutta la casa con i tuoi vestiti!»

Shaka s’immerse nell’acqua della vasca fino al naso, gli occhi sempre indecifrabili e puntati nel nulla. Aiolia poteva chiamarlo anche per l’eternità, ma non avrebbe avuto risposta. Perlomeno, non in quel momento, in quel contesto, in quella critica situazione.

«Shaka?» fece ancora Aiolia, affacciandosi alla porta del bagno. «Ma certo, stai facendo un bagno… prima fatti parlare così ti raggiungo!»

Si accucciò accanto alla vasca e stampò un bacio tra i capelli dell’altro, che non si mosse.

«Oggi ho ricevuto i soldi!» esclamò, prendendo dalla tasca un assegno. «Eh? Che ne pensi? Affitto e bollette pagati per tre mesi!»

Non ottenne risposta e ripose l’assegno. Shaka si limitò a fare le bolle con la bocca sotto l’acqua.

«Tu fai le bolle? Solo io faccio le bolle.» si stupì Aiolia, passando una mano davanti al volto di Shaka. Evidentemente il suo compagno non era in perfetta forma… «Comunque mi serve un aiuto: fra pulcino, petalo di rosa bianca e scintilla di vita eterna qual è il soprannome migliore per un marito premuroso?»

«Li… blubabrr… to.»

Aiolia alzò un sopracciglio sentendo i gorgoglii sotto l’acqua. Non era un comportamento consono a Shaka, sempre così contemplativo e rigoroso.

«Hai avuto un incidente? Hai litigato con qualcuno?» chiese sollevandogli il mento dall’acqua.

«Licenziato.» ripeté Shaka, incrociando finalmente lo sguardo di Aiolia. «Mi sono licenziato.»

Mh. Se c’erano cose che Shaka amava fare ovunque, erano contorcersi in posizioni di yoga e kamasutra e parlare di Buddha. Insegnare yoga ai bambini era stato piacevole per i primi tempi, Aiolia ricordava che Shaka tornava a casa relativamente allegro e bendisposto ad aiutarlo con i suoi romanzi. Ultimamente non aveva fatto altro che ritirarsi stressato e sbadato, ma nulla lasciava presagire il licenziamento.

«Mi disp-»

«Io sto benissimo, altrimenti non mi sarei licenziato.» soffiò Shaka, issandosi e poggiando la schiena alla parete della vasca. «Provvederò subito a cercare un altro lavoro. Scusa per prima, ero sovrappensiero: hai detto che hai ricevuto l’assegno? Ottimo. Trovo migliore l’appellativo “pulcino” per quel personaggio… è di quel racconto che mi hai fatto leggere ieri sera?»

«Ehm… sì, grazie.» replicò Aiolia, scrutando gli occhi di Shaka. Qualcosa non quadrava.

«Entra nella vasca.» ordinò Shaka.

«Mi nascondi qualcosa.»

«Ho detto che devi entrare nella vasca.»

«Cos’è successo?»

«Hotiratounportapennealmiocapoperchénonvolevadarmiunaumentononostanteiomispacchiindueperlavorare.» disse tutto d’un fiato Shaka. «Entra nella vasca, adesso.»

Aiolia sgranò gli occhi e si ritrovò a fissare l’amante a bocca aperta. Un portapenne al capo? Ecco, quelli erano istanti in cui Shaka s’infiammava e dava del filo da torcere anche alla testa più calda che si trovasse in circolazione. Anche Aiolia era di indole pacifica con improvvisi scatti di rabbia, ma la volta che s’era arrabbiato di più aveva solamente gettato per terra un pezzo di pane.

«Al tuo capo.» ripeté. «Non è molto educato, ma…»

«È il frutto di una meditazione estenuante.» si giustificò Shaka, stringendo i capelli in una mano e strizzandoli. Biondi e lunghi com’erano, si inzuppavano facilmente ed erano difficili da asciugare. «Come diceva Buddha, se qualcuno…»

«No, Shaka. Hai frainteso.» replicò Aiolia, sfilandosi la camicia. «Avrei voluto assistere ad una scena del genere, perché odio il tuo capo da sempre.»

Shaka accavallò le gambe diafane, che nell’azione affiorarono dall’acqua. «Il mio capo è tua cugina Shaina.»

«Appunto, quella serpe.» sbuffò, sbottonandosi i pantaloni. Ebbe qualche difficoltà con la zip, ma fu aiutato subito da Shaka. «Da piccola mi tirava i capelli e mio fratello non faceva nulla per aiutarmi.»

«Tra fratelli è sempre così.» osservò giustamente l’altro, soffermandosi ad ammirare il corpo palestrato del suo uomo. Aiolia si spogliò completamente, entrò nella vasca e si fermò, in piedi, davanti a lui.

«Che ne dici, eh? Anni e anni di rugby…» si vantò, facendo scorrere un dito lungo i pettorali.

«Salviamo le tartarughe.» disse Shaka, e Aiolia scoppiò a ridere. Per qualche anno, Aiolia aveva prestato servizio presso lo zoo della città e si occupava principalmente di rettili, invitando i visitatori a rispettare e a salvaguardare le tartarughe (non le stesse di cui parlava Shaka, comunque).

«A proposito di mio fratello…» Aiolia si sedette nella vasca e cercò di attrarre a sé l’altro, con scarsi risultati dato l’esiguo spazio. Dovette quindi accontentarsi di accovacciarsi su di lui. «Te l’ho detto che si è trasferito in quella nuova città, Yaoi City… beh, si è candidato a sindaco. Non trovi che abbia fatto passi da gigante in politica? Fino a ieri vendeva patatine agli angoli delle strade per farsi pubblicità.»

Aiolia ridacchiò, e Shaka alzò un sopracciglio, commentando: «E tu lo aiutavi.»

«È vero…» mugugnò Aiolia, appoggiando la testa al petto dell’altro. Gli morse un capezzolo, ed ebbe in tal modo l’illuminazione. Alzò la testa, bloccò Shaka per le spalle e con occhi estatici gli propose, infervorato: «Andiamo a vivere anche noi a Yaoi City!»

Un piede gli si stampò in  volto.

«Cosa stai farfugliando? Lasciare Chicago?» borbottò Shaka, gettando un’occhiata fuori dalla finestra semiaperta. Spiccavano alti grattacieli, luci intermittenti di insegne e l’aria era irrespir… cioè, non molto pura, e Shaka era un salutista di prim’ordine…

«Un momento. Mi cogli impreparato.» continuò, abbassando il piede.

«Ora che sei senza lavoro, potremmo andare lì e comprare un appartamentino o una villetta…» suggerì trasognato, portando le mani al bacino di Shaka, che sussultò. «Allora, ho appena guadagnato 3.500 $. A te quanto spetta ancora?»

Shaka cercò di sottrarsi alla lussuriosa presa dell’altro, mormorando: «Credo 1.200 o 1.300…»

«Facciamo i conti. In banca ne ho altri 15.000, tu 12.000 e se invio quel libro che ho finito ma non mi piace potrei farne altri 5.000… mio fratello potrà trovarci una casa poco costosa, i miei genitori e i tuoi daranno in totale qualcosa come 3.000 dollari…»

«Siamo intorno ai 35 mila dollari.» fece Shaka.

«Mutuo o affitto? Questo è il problema.» rimuginò Aiolia. Allontanò le mani da Shaka e si distese sulla schiena, in un vago atteggiamento di eroe pensante. Poi, ebbe l’Idea e muovendosi fece schizzare l’acqua per terra.

Shaka lo osservò perplesso.

«Milo e Camus.» bisbigliò Aiolia, quasi volesse tenere nascosti quei nomi. «Volevano andarsene da Chicago, no? Camus è ricco sfondato e insieme potremmo comprare una duplex! Wah! Oh Dio, devo chiamarli, devo chiamarli!»

Si alzò dalla vasca e bagnò tutto il pavimento, mentre Shaka gli ricordava che erano tutte illazioni e premesse senza fondamenti. Era troppo tardi: scivolando due o tre volte, il nudo e contento Aiolia uscì dal bagno e raggiunse il telefono.

 

«Adesso sorpassiamo imprudentemente Camus.» ridacchiò Aiolia, premendo l’acceleratore. «Tieniti forte.»

Cosa mai spingeva Aiolia e Shaka sulla strada statale diretta a Yaoi City, dietro la macchina di Camus e Milo, fra i campi di tabacco del Kentucky?

Ma un trasferimento, ovvio. Incentivato da altri tre importanti fattori: primo, una vincita alla lotteria di Aiolia di 20.000 dollari; secondo, l’elezione di Aiolos a sindaco; terzo, Milo e Camus avevano già comprato una piccola villetta a Yaoi City.

Anche loro avevano finalmente una casuccia propria! Aiolos, felicissimo e gentilissimo come mai in vita sua, aveva trovato e pagato per metà una deliziosa villa a due piani per il fratello e il fidanzato. E aveva anche una sorpresa, ma non l’aveva ancora rivelata ai due…

«Non farlo. Camus odia correre.» mormorò Shaka, appoggiato ad occhi chiusi allo sportello.

«Camus odia che gli altri corrano quando si trova anche lui in macchina. Questa volta è lui a guidare.» gli fece notare Aiolia, e sterzando all’improvviso superò – da destra – l’auto dei due amici. Ebbe anche modo di fare marameo al mezzo addormentato Milo, che subito si destò e incitò Camus a raggiungerlo.

Aiolia accelerò.

«Fra un po’ c’è l’uscita per Yaoi City.» ricordò seccato Shaka, reggendosi al sedile.

La macchina di Camus saettò nuovamente davanti alla loro.

«State correndo su una strada pubblica.» continuò, puntellando i piedi sul tappetino per prepararsi alla corsa. «Prenderete una multa.»

«Medita un modo per arrivare prima, su…» disse Aiolia, e compì una pericolosa infrazione sorpassando di destra l’auto di Camus e accelerando per occupare la corsia di sorpasso. Shaka vide un bauletto scivolare dal portabagagli sui sedili posteriori. Menomale che avevano caricato pochissimo l’auto e insistito sul camion del trasloco…

«Rallenta.» ordinò Shaka, avvistando l’uscita per Yaoi City.

«Un attimo.» e arrivarono ai 120 km/h.

Shaka sentì la bile agitarsi. Non aveva mai tollerato le alte velocità. «Rallenta, Aiolia.»

«Aspetta…» e 130 km/h.

«Aiolia, Aiolia!» gridò Shaka, e non era per la paura. Avevano appena superato l’uscita per la città, mentre Camus con una frenata di fortuna riusciva ad imboccarla. Milo esultò dal finestrino.

«Ops.» mormorò Aiolia decelerando.

Fu fulminato dagli occhi penetranti dell’ex maestro di yoga, che non esitò a dargli una sberla sul collo.

Uscirono allo svincolo successivo e tornarono indietro da un’altra strada, procedendo in una strada sterrata fra le piante di tabacco. Due o tre volte degli arbusti entrarono nell’abitacolo dal finestrino aperto di Shaka, stampandosi sul volto. Aiolia cercò di non guardarlo per non farlo arrabbiare – e per non ridere delle lotte di Shaka il salutista contro il nocivo tabacco.

«Ecco la villa!» esclamò Aiolia, percorrendo Manga Street a bassa velocità. Indicò la casa che aveva già visto su alcune foto e saltellò sul sedile. «Ma è bellissima! Quella accanto è di Milo e Camus, quella in fondo alla via… sì, quella gialla! Quella gialla è di mio fratello!»

Sfrecciò nel vialetto e parcheggiò, cercando in tasca le chiavi che gli erano state consegnate. Fra biglietti, involucri di cibo e oggettini vari esse non comparirono, dato che Shaka aveva già provveduto a salvarle portandole nella propria tasca. Scese dall’auto.

«Shaka! Shaka, Aiolia! Finalmente siete arrivati!» vociò contento qualcuno dalla strada.

Aiolia scese anch’egli dall’auto e guardò l’interlocutore, elegantemente vestito e comodamente seduto in una decapottabile di lusso in compagnia di un uomo.

«Aiolos!!! Vieni, fatti abbracciare!»

Aiolos raggiunse il fratello e si abbracciarono energicamente, salutandosi come se non si incontrassero da decine di anni. Dopo toccò al rigoroso Shaka, stretto dal sindaco di Yaoi City con un’enfasi quasi esagerata.

«Ora che vi siete trasferiti ci divertiremo un sacco!» trillò felicemente Aiolos, raggiunto dall’uomo che prima era in auto. «Lia, ti devo portare a pattinare sul ghiaccio, da piccolo me lo chiedevi sempre! E la piscina con le onde…  un attimo: vi presento una persona.»

L’uomo che stava con lui sorrise.

«Questo è il mio segretario, Saga Valiant.»  spiegò, mentre i tre si stringevano le mani. «E…»

Saga ammiccò, e Aiolos ne rise imbarazzato. Aiolia attese.

«Ed è anche il mio fidanzato.» cinguettò Aiolos, baciando la guancia di Saga.

Aiolia rimase immobile, prima di assimilare la notizia. Trattenne un respiro, sgranò gli occhi e strinse i pugni. Da bravo romanziere, inserì il fidanzato del fratello in una storia inventata sul momento per avere un consiglio su come trattarlo. Essendo Aiolia molto, molto, MOLTO geloso del suo amatissimo fratello, riuscì solo a immaginare Saga impegnato a combattere un enorme serpente con la testa di Shaina.

«Capisco.» sibilò tra i denti. Shaka volse altrove lo sguardo: quando faceva così, Aiolia era da prendere a schiaffi.

«Stavamo andando ad una festa in centro, si celebrano i primi 6 mesi di Yaoi City e in quanto sindaco non posso mancare. Se siete stanchi perché non vi riposate un po’ e poi venite?» propose Aiolos. «C’è tempo fino a stasera.»

«Potrete conoscere i vostri concittadini.» aggiunse Saga, con una voce gradevole che ad Aiolia parve un gracidare di rane.

«Volentieri.» soffiò ancora il geloso fratello, a cui il segretario aveva appena dichiarato guerra.

 

La festa in centro era dietro casa, visto che la città non era propriamente grandissima. Era stato allestito un palco sul quale si trovavano membri della giunta comunale, Saga e Aiolos che avevano appena tenuto un discorso, mentre nel resto della piazza si trovavano alcune bancarelle di dolciumi e cibi vari. Aiolia camminava con fare maestoso (aveva deciso a casa di tenerlo) per spaventare Saga, osservando minacciosamente tre quarti dei presenti, e stringendo per le spalle un infastidito Shaka che desiderava sistemare la casa insieme alla ditta del trasloco appena giunta.

«Aiolia sconfiggerà il male.» bofonchiò lo stesso Aiolia. «Inserirò Saga nel mio romanzo nelle vesti di un povero psicolabile soggetto a crisi di identità ucciso da me.»

Shaka lo ignorò e proseguì la camminata tra i concittadini, che osservavano la coppia sorridendo. Nonostante la gentilezza, c’era qualcosa che non andava in quella festa e nei suoi partecipanti… anche Aiolia, terminando di parlare a vanvera, se ne accorse.

«Mmm…» fece socchiudendo gli occhi. «Come mai non c’è neanche una donna?»

Milo camminava alle sue spalle, e non appena sentì la domanda rispose sospirando di felicità: «Il paradiso, amico!»

«Anch’io me ne sono accorto.» disse Camus, sospettoso. «Che sia una tradizione locale vietare alle donne di festeggiare in pubblico? Il Kentucky è culturalmente indietro rispetto all’Illinois.»

Aiolia alzò un sopracciglio. «Certo che ne spari, di caz-»

«Lia, sei venuto!» Aiolos, sceso dal palco, notò il gruppo e corse dal fratello, mentre tutti i presenti lo salutavano raggianti. «Oh, Milo, Camus! Da quanto tempo! È bellissimo riavervi tutti insieme.»

Dopo abbracci e strette di mano, Aiolos continuò a parlare. «Allora, avete visto? Che ne pensate?»

Mostrò muovendo il braccio tutta la piazza in festa.

«Bel paese.»  commentò Milo. «Siamo venuti qui e…»

«No, no.» fece Aiolos. «Che ne pensate? La prima città totalmente gay degli Stati Uniti d’America!»

Aiolia sorseggiava della limonata e alle parole del fratello reagì con un bagno sui presenti. Aiolos fu investito in pieno dal liquido, Camus si bagnò i capelli rossi.

«Eh?» fu l’unico verso emesso da Milo, che si reggeva a Shaka per lo stupore.

Aiolos si pulì con un fazzoletto il viso. «Sì, avete sentito bene. Yaoi City è una città gay.»

I quattro nuovi abitanti guardarono ancora i presenti.

C’era un ragazzo con i capelli biondi e un neo sulla guancia seduto in atteggiamenti intimi su una panchina con un albino; poi, un ragazzo alto e robusto che camminava sotto braccio con un orientale più minuto; qualche ragazzo spaiato che lanciava occhiate qua e là…

All’improvviso  arrivarono alle orecchie di Shaka le limpide parole: «Uno è biondo con gli occhi azzurri: che uke carino!»

Anche Milo era biondo con gli occhi azzurri, ma Shaka sapeva che quelle parole erano dirette a lui perché due ragazzi gli stavano osservando… ehm, osservando il fondoschiena.

«Che cos’è un uke?» chiese ad occhi sbarrati.

Aiolos annuì comprensivo. «Giusto, devo spiegarvelo. Uke passivo, seme attivo. Capito? Uke passivo, seme attivo.»

Come spiegazione era molto essenziale. Shaka tuttavia capì che la frase di prima era quasi certamente diretta a lui.

«Los, che cavolata è questa?» sbottò un innervosito Aiolia.

«Aiolia, modera i termini.» lo rimproverò il fratello, che però doveva tornare sul palco. Così si allontanò e fece un cenno di saluto: «Capirete, non preoccupatevi. A presto!»

Camus fece dietrofront. «Torniamo a casa, Milo.»

«Seme e uke?» ripeté Milo. «Perché dobbiamo sventolare ai quattro venti le nostre preferenze?»

Ma già si allontanavano. Shaka stava per seguirli, ma Aiolia si bloccò esterrefatto indicando due uomini ad una bancarella di tè inglese. Gli tremava la mano.

«Sha… ka…» balbettò.

Shaka osservò nella direzione indicata. In effetti si stupì anche lui, vedendo Saga che baciava sulle labbra il noto opinionista e critico letterario inglese Lord Rhadamantys de Wyvern reggendo due tazzine di tè.

«Sta tradendo mio fratello senza alcun ritegno con il critico che scrisse del mio romanzo “Ottima atmosfera ed eccellente caratterizzazione dei personaggi”!» ringhiò. «Lo uccido! Sta disonorando mio fratello e pure Lord Rhadamantys!»

Aiolia si diresse a passo svelto verso i due e, incrociando torvamente le braccia, si bloccò davanti a loro.

«Cosa sta facendo, signor Saga?!»

Shaka arrivò. Saga non indossava più gli stessi abiti eleganti di quando l’avevano incontrato davanti casa… vestiva dei jeans strappati, una camicia stinta e teneva i capelli legati da una fascia. Non aveva neppure lontanamente le sembianze di un segretario… sembrava persino l’opposto dell’impeccabile Lord Rhadamantys.

«Aiolia.» lo chiamò Shaka. Aveva capito che quell’uomo non era Saga.

«Mio fratello è dietro di lei, su quel palco, e lei bacia un altro uomo?» continuò imperterrito Aiolia.

Lord Rhadamantys guardò perplesso il compagno, poi alzando le sopraccig- il monociglio che possedeva bevve del tè .

«Lord Rhadamantys, io sono Aiolia Anthelios e lei ha recensito anche un mio romanzo, ma non posso permetterle di prendersi gioco di mio fratello.»

«Aiolia.» insistette Shaka fulminandolo con un’occhiata.

«Ancora complimenti per Mi sento un leone, è un fantastico thriller psicologico di stampo dualista.» sorrise Lord Rhadamantys. «Ma per avere ulteriori commenti non c’è bisogno di minacciare me e il mio compagno.»

Saga si ravvivò la fascia e bevve il suo tè.

«Sono qui pe-» iniziò Aiolia, ma Shaka lo interruppe: «Scusateci. Abbiamo scambiato lei per Saga.»

Il misterioso uomo dal volto di Saga assunse un’espressione molto insolente e annuì gravemente.

«Questa è una cosa terribile.» mormorò. «Scambiarmi per il mio gemello è sempre molto triste. Io mi chiamo Kanon.»

Aiolia si ammutolì e se non fosse stato abbronzato il suo volto sarebbe divenuto rosso per l’imbarazzo. Shaka, che aveva ragione, alzò le spalle.

«Signor Anthelios, non si preoccupi.» fece Lord Rhadamantys. «Son cose che accadono. Mi sembra di aver capito che lei è il fratello del fidanzato del fratello del mio fidanzato?»

Kanon scoppiò a ridere, e l’avrebbe fatto anche Aiolia se non fosse stato in imbarazzo.

«Cos’è, Beautiful?» rise Kanon, che lo seguiva sin da quand’era bambino.

«Kanon, lascia perdere quella soap-opera.» disse il critico. «Ne parli sempre.»

«Rhada, sei così inglese!» lo accusò il compagno, che tornò a ridere e a bere del tè.

Shaka porse la mano. «Piacere di conoscervi. Sono Shaka Tuja, il compagno di Aiolia.»

«Allora…» rifletté Kanon, stringendogli la mano. «Il fidanzato del fratello del fidanzato di mio fratello!»

Shaka non gradì la battuta, Rhada gli strinse la mano e bisbigliò: «Lo perdoni, qualunque cosa io dica diventa inesorabilmente motivo di derisione.»

Aiolia sospirò.

«Questo posto fa schifo.» sbottò, all’improvviso, Kanon. «Non esiste una definizione per noi poveri versatili! Seme, uke, Ridge, gatto Silvestro… noi, Rhada, siamo fuori dal mondo.»

Il Lord inglese sgranò gli occhi, imbarazzato tanto quanto Aiolia. Mormorò qualche parola di scusa e si allontanò da Aiolia e Shaka trascinando via Kanon, che evidentemente non assimilava bene il tè.

«Primo giorno.» annunciò Aiolia. «Anzi, prime tre ore.»

«Aiolia, la prossima volta che ti chiamo dimmi: “Cosa c’è, pulcino, petalo di rosa bianca, scintilla di vita eterna?”.»

«Sì, credo che lo farò.»

 

 

 

 

 

 

Gem racconta…

Sapete le fic di prova, quelle con cui devi abituarti al carattere di personaggi che non hai mai gestito?

Bene. Siccome a breve – spero – arriveranno due Aiolia/Shaka a cui tengo molto, devo trattare con i guanti i loro caratteri, perché non voglio andare OOC – se capita qui, pazienza, NELLE ALTRE DUE NO.

“L’uke perfetto” è liberamente ispirata al film “La donna perfetta” con Nicole Kidman.  Oh, Shaka, don’t make it bad… (?)…

Spero che la fic sia di vostro gradimento, chi ha visto il film forse avrà già qualche idea… stia zitto, però! XD ora devo fare i compiti, per Athena. Il computer è cattivo, oggi avrei dovuto studiare! A presto,

Gem!

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Capitolo 2
*** Due ***


Nuova pagina 1

L’uke perfetto

 

DUE

… seme fighissimi dietro di te!

 

Il giardino sul retro della villetta di Aiolia e Shaka – amorevolmente battezzata “No Aiolia, un nome alla casa no. Shaka, allora la chiameremo Senza Nome” – era piuttosto grande, ma sfortunatamente non era curato. Il giorno dopo l’arrivo a Yaoi City, Shaka si munì di tagliaerba e cesoie e con fermezza rese il suo giardino una delizia. Ancor prima di mezzogiorno era riuscito a montare un gazebo e trapiantare due alberelli accanto a questo, dopodiché osservò la sua opera compiaciuto, afferrando un plico di fogli per sedersi e poter leggere all’ombra.

Da quando Aiolia si era messo in testa l’idea di scrivere un romanzo di distopia (ossia: la sera passata), aveva stampato le prime pagine e le aveva affidate a Shaka per un’opinione. Voleva avere i sui consigli per migliorare eventi narrati o lo stile.

La quiete di Yaoi City favoriva molto il provetto critico. Gettò un’occhiata verso la casa di Milo e Camus: non era rumorosa come l’appartamento dei vicini a Chicago. Allungò l’occhio verso la villa di Aiolos, e più lontano ancora individuò quella in cui aveva visto entrare Lord Rhadamantys. Magari l’opinionista inglese avrebbe favorito la scalata al successo di Aiolia…

A colazione, Aiolia aveva chiesto a Shaka di stringere amicizia con Kanon per ingraziarsi anche il favore del Lord. Aveva risposto no, ma aveva alcuni dubbi… Aiolia aveva talento e adorava scrivere. Perché non fare un po’ l’opportunista?

Prese il suo tè verde dal tavolino di legno – montato da lui, ovvio – e lo sorseggiò leggendo il primo paragrafo.

Chiunque leggerà questo romanzo è destinato ad essere ucciso dal grande Kasha Juta. Egli è Verità, Egli è questo romanzo, e in quanto tale non può essere violato dai vostri occhi infami e perversi. Egli è il Mondo su cui oggi vive l’umanità.

Shaka sospirò nervoso. Aveva con sé un taccuino per scrivere eventuali appunti da mostrare ad Aiolia, così non esitò a posare il tè e a prender penna.

PUNTO 1: non anagrammare il mio nome per i personaggi.

PUNTO 2: io uccido te se scrivi queste cose.

PUNTO 3: gli occhi infami e perversi sono i tuoi.

Bene, ora poteva continuare la lettura. Tornò a bere l’infuso.

Con la coda dell’occhio notò che qualcuno si muoveva nel cortile dell’altra casa attigua alla propria, quella che non apparteneva a Milo e Camus. Era un ragazzo che teneva in mano un vassoio di cibo, il corpo fasciato in un grembiule giallo sgargiante, un sorriso appena accennato rivolto indubbiamente a Shaka. Questi ritrovò nel vicino di casa uno dei festeggianti del giorno prima.

«Buongiorno.» salutò, affacciandosi alla staccionata.

Shaka riordinò il plico di fogli e si guardò intorno. Se Aiolia fosse stato nei paraggi, avrebbe potuto accogliere il vicino al posto suo… principalmente perché indossava una tunica indiana, e l’ultima volta che l’aveva indossata a Chicago aveva ricevuto valanghe di occhiate divertite. Si rassegnò.

«Salve.» si alzò e si avvicinò con cautela. Solo allora notò che l’altro ciò che aveva scambiato per grembiule era in realtà una tonaca.

«Benvenuto a Yaoi City.» sorrise, e portò la mano oltre alla palizzata per stringere quella di Shaka. «Mi chiamo Mu Sei e vivo qui con il mio compagno.»

Oroscopo del giorno per la Vergine (sì, continuava a leggerlo ancora): “È ora di cambiare look. Affidatevi ad un esperto! Farete incontri molto graditi.”

A parte le prime fresi, poteva andare…

«Shaka Tuja.» replicò ispezionandolo. Oh, piedi nudi, proprio come avrebbe fatto lui se il giardino non fosse stato parzialmente pavimentato… «Il mio coinquilino è in casa.»

«Il fratello del sindaco Anthelios, se non erro?» chiese.

«Sì, Aiolia Anthelios.»

«Ho letto il suo romanzo!» esclamò. «Potrebbe autografare la mia copia? Intanto ho preparato per voi qualcosa da mangiare… essendo arrivati ieri, ho pensato che un pranzo potesse esservi utile.»

Mu affidò il vassoio a Shaka, che ispezionò da buon vegetariano il contenuto. Si sorprese quando vide…

«Tofu?»

Mu annuì. «Spero che non sia un problema. Sono vegano.»

Vegano… ah, Shaka era vegano prima di finire all’ospedale con sintomi di denutrizione. Da quel giorno un medico (incitato da Aiolia) gli aveva vietato una dieta così severa perché non riusciva a sostenerla, e Shaka aveva ripiegato su una più ampia dieta vegetariana. Quel Mu, invece, era vegano. Quel Mu era un uomo impressionante.

«Io vegetariano.» fece Shaka. «Grazie per il pensiero.»

«Ieri sera ho conosciuto i tuoi – posso darti del tu? – amici Milo e Camus… ragazzi simpatici. Purtroppo Camus non ha la mentalità di un uke… ah, che peccato.» sospirò dispiaciuto Mu.

Shaka alzò un sopracciglio. Cosa? La mentalità di un uke? Ovvero, esistevano mentalità diverse tra attivi e passivi? E in che senso? A lui Camus era sempre parso un po’ rigido, scostante, ma d’animo non completamente insensibile, e Milo… non che fosse così diverso, insomma: era rigido con chi non condivideva amicizia o legami, e affettuoso con le persone che amava (molto più passionale, quello sì).

Poi c’era Aiolia, che amava tutti tranne Saga – bah.

«Seme e uke, non comprendo il significato profondo di questi termini nonostante abbia compiuto studi su culture antiche.» ammise Shaka, corrugando la fronte. «Perché in questa città vige la suddivisione così netta tra attivi e passivi da un punto di vista sessuale e caratteriale?»

Mu non rispose. Sbatté due volte le palpebre con impressionante freddezza e strinse le labbra, come se fosse stato piccato nell’orgoglio. Parve il superbo ariete dal manto d’oro che era stato immolato agli dèi dopo aver tratto in salvo un fanciullo.

«Posso darti un volantino.» rispose solamente, e insospettì ancor di più Shaka. «Vado a prenderlo in casa.»

«Grazie.»

Shaka storse la labbra non appena Mu si fu voltato. Un volantino? Che razza di volantino avrebbe potuto dargli attinente al loro discorso? Mentre rimuginava, un grido vistosamente finto attirò la sua attenzione. Si girò, giusto in tempo per vedere Aiolia che indicava sconcertato il tavolino sotto il gazebo.

«Shaka, dannazione! Cos’è quella cosa?!» sbottò correndogli accanto. «Una cosa rosa a casa mia?!»

Il buddista sospirò. «È una candela a forma di fiore di loto.»

«Ma è rosa

«Se finirai nel mondo delle bestie sarò contento per te.»

«Shaka, il grande Kasha Juta vieta i colori blu, verde e rosa nei suoi domini.» Aiolia raccolse i fogli sul tavolo e il blocco per gli appunti di Shaka. «Non hai letto?»

Come risposta gli affidò il vassoio e gli indicò la casa. Per una volta, il cibo sarebbe stato al sicuro – Aiolia non mangiava tofu perché era cibo non dannoso alla salute. Gli raccomandò di metterlo in frigorifero, e perché no, gettarsi in pasto ad un leone.

Quando Mu uscì dalla casa, Shaka si riavvicinò alla staccionata per avere quel fantomatico “volantino”. Non solo Mu aveva un’espressione più severa di prima, ma teneva tra le mani un paio di sandali.

«Temo di non avere più le copie. Se non è un problema, possiamo chiedere ad Aphrodite.»

«Prego?»

Mu si infilò i sandali con allucinante perfezione.

«Aphrodite abita qui vicino.» spiegò Mu. «È un amico di vecchia data. Un uke

“Mhh- ohhmm… no.” pensò Shaka. Era sempre stato additato come superiore alle cose terrene da non accorgersi di ciò che stava intorno a lui, ma quel Mu, sebbene affascinante e interessante, non aveva tutte le rotelle a posto (l’aria più pulita no, eh?).

«Credo che non ci siano problemi.»

«E cosa dice il tuo seme

«Cosa dovrebbe dire il “mio seme”?»

«Che non puoi uscire!» sbottò Mu, esterrefatto.

E Shaka ancora non si spiegava come riuscì a giungere incolume nella villetta di Aphrodite, con Mu che brandendo un ombrello diceva “ci stanno seme pericolosi in giro” e consigliava a Shaka di munirsi di spray al peperoncino perché “i tuoi capelli così biondi sono così pericolosi”.

«Ma chi abbiamo qui!» cinguettò il padrone di casa Aphrodite, accogliendo i due ospiti con un sorriso sfavillante. «Mu e questo delizioso uke appena arrivato in città!»

Shaka girò sui tacchi.

«Scusate, ho le pentole sul fuoco.»

«Aspettaspetta!» fece Aphrodite, richiudendo la porta. «Piacere di conoscerti.»

«La meditazione del-»

«Allora, come cazzo ti chiami?!» sbottò quello mettendosi le mani sui fianchi. Lo squadrò nei suoi occhi sbarrati – no, non ci credo – e gli afferrò fulmineo una ciocca di capelli.

Aphrodite era un uke vissuto tra seme volgari e abbastanza incivili, e Mu sospirò.

«Si chiama Shaka.» disse al posto del buddista, la cui ultima intenzione era rispondere. «Ci chiedevamo se avessi un volantino sugli uke…»

«Troppo biondo.» Aphrodite storse le labbra. «Troppo silenzioso. Troppo perfetto, Cristo santo!»

Perfetto.

Shaka sentì le campane, ma subito dopo un mugolio identificabile con uno sbadiglio menomato di Aiolia lo riportò alla realtà.

Un’altra parola e l’ombrello di Mu sarebbe finito dove non sarebbe dovuto finire.

«Perfetto?» ripeté il vegano sconcertato. «Ma se nemmeno S…!»

«Tappati quella boccaccia, Mu!» il ringhio di Aphrodite s’infranse contro l’espressione stupefatta, irritata, disturbata di Shaka. Si fissarono ad occhi socchiusi, neo di Aphrodite contro bindi di Shaka, in un duello all’ultimo… grido.

«AHHH!» Aphrodite finse un malore e si trascinò a peso verso il divano. Prese qualche decina di cataloghi da un tavolino rococò e li prese a sfogliare con spasmi discontinui di stupore e sconcerto. Shaka, tuttavia, aveva già compreso la splendida equazione Aphrodite=Aiolia2, dunque incrociò le braccia e Buddha, mi è capitato di osservare che

«Sì, albicocca.» sospirò Aphrodite, battendo le mani. Annuì rivolto a Mu con un’espressione molto poco rassicurante. «Shaka, dimmi se ti piace. Ora ti faccio i capelli di un bell’albicocca acceso, togliamo il bindi e ci mettiamo una bella frangetta rosa shock che tiene i seme lontano chilometri (sempre che non siano così rincoglioniti, intendiamoci).»

Afferrò un paio di forbici da una tasca – Mu indietreggiò – e le sciorinò in aria con la destrezza di chi ha passato buona parte della vita a fare il barman – no, non era vero, ma a Mu dava quest’impressione.

«Facciamo un taglio che ti liberi il collo da quest’oppressione, baby

E no, l’oroscopo che aveva ancora ragione no.

«Arrivederci.» disse solo Shaka, e sarebbe già andato via se sulla porta di casa non fosse comparso, per l’appunto, l’altro padrone di casa, che stringeva una ventiquattrore in una mano e un sacchetto di caramelle nell’altra.

Il sacchetto cadde, la valigetta rimase ancorata all’uomo che pareva essere un Lupin colto in fragrante dalla polizia.

«Minchia, no.» rivolse un’occhiata sbigottita con i suoi occhi rossastri – era albino – ad Aphrodite e mostrò il medio della mano libera. «No, no, Aphrodite. Io l’ho visto X-files, mica m’inganni.»

«Oh, Shaka, potresti aspettare un attimo in salotto?» trillò Aphrodite, saltando letteralmente dal divano alla porta di casa, che chiuse con accurata minuzia.

Ritengo che la sofferenza universale sia ciò che noi umani…

Mu afferrò i lembi della propria tonaca e zampettò sino al corridoio, dando vita ad una scena così irreale che per più volte Shaka pensò di sfondare una finestra e fuggire da lì, oh sì.

«Rubo un attimo Death Mask, che è lui…» disse Aphrodite, accanendosi sull’uomo in giacca e cravatta e storcendogli in modo innaturale il dito. Comandava lui, e gestacci in presenza di perfetti non erano ammessi.

«Io l’ho mandato in galera ed era innocente, a quel tizio McGill… lo faccio anche con te.» minacciò senza un particolare destinatario Death Mask, agitando la valigetta.

Shaka aveva comunque smesso di meditare e ora pensava alla cena.

Vide il terzetto sgattaiolare nel corridoio e nascondersi dietro il muro, ma avvertiva i loro bisbigli frammentati e alcuni rumori imprecisati che parevano starnuti.

“Aphrodite, ti sbatto fuori di casa… etci! … lavoro.”

“La casa è mia e ti ho già… no, perfetto.”

“Etci! Che detersivo usi? … rosa shock?”

“Siete allergici… sì, dobbiamo dirgli… attraente.”

“Etci! Etci! McGill… lista, la lista.”

“Secondo me ci ha presi per pazzi.”

Aveva parlato il saggio Mu.

E chi fece capolino nel salotto, se non la testa albina e ammiccante di Death Mask? Si ritirò poco dopo.

“Però è carino.”

“Te lo ficco in… grazie per l’ombrello, Mu.”

“Uccidiamolo.”

Ma anche no.

Saggio, saggio Mu il vegano!

Shaka si avvicinò ad una finestra e scassinò la serratura. Insomma, a Yaoi City non era venuto per morire.

Era pure indiano, e con gli USA aveva ben poco a che fare: X-files, avvocati con ventiquattrore, tinta albicocca e frangia rosa shock.

Sarebbe morto in India, dopo aver sgozzato Aiolia, seduto sotto gli alberi di sala come il Buddha, dopo aver sgozzato Aiolia, e le sue ceneri disperse nel sacro Gange, dopo aver sgozzato Aiolia.

“Mu, tu cazzo ci fai qui?”

“Non saprei. Etci.”

“Allora scrivo… ok.”

Perché erano scemi quei tre, potevano tranquillamente parlare in salotto, si sarebbero sentiti pressappoco come dal corridoio.

Aphrodite spuntò così com’era andato via, con i suoi boccoli naturali e – non li aveva notati prima, Shaka – dei polsini medici. Ah, sentiva un profumo di qualche sostanza dal corridoio… evidentemente era quella per cui si lamentava Death Mask. Sembrava un tantino forte, esagerata, necessitava persino l’uso dei polsini medici?

E soprattutto, perché Shaka si era abbassato a pensare come quei tre?!

«Scusa, questione d’affari. Ora Death Mask va a preparare il pollo, vero che vai a preparare il pollo?» soffiò con un sorriso molto ipocrita Aphrodite, rivolto al suo coinquilino.

«No che non vado…»

«Eccolo che va.» e rifilò un pugno all’avvocato, ancora munito di valigetta e cravattino.

Mu spinse Shaka lontano della finestra, sulla quale aveva notato un tentativo di manomissione, e lo gettò a sedere sul divano, poi non capì perché si ritrovò schiacciato da Mu e Aphrodite, anzi, sotto Mu e Aphrodite, che gli mostravano con avidità un volantino. Anche Mu… anche Mu portava i polsini…

«Guarda, Shaka!» fece Aphrodite, facendo scorrere il dito su una lista. «Tu: uke non attraente.»

Shaka sbirciò, per quanto possibile, una riga scritta a mano (un’aggiunta dell’ultim’ora, si capiva).

Uke non attraente: non sei attraente e forse devi lasciare la città farti i capelli albicocca.

Mu mise da parte il bon ton e la pacatezza per stringere le guance di Shaka e rifilargli un bacio in fronte.

«Povero piccolo.»

Shaka sgomitò e immaginò di avere dei laser al posto degli occhi, belli!, con cui avrebbe potuto polverizzare tutti…

«Io uke lascivo, molto lascivo.» mormorò suadentemente Aphrodite, poggiando come per caso una mano sulla coscia di Shaka, che trasalì e se la scrollò di dosso. Ebbe poco successo, giacché dall’altra parte anche Mu aveva iniziato ad allungare le mani.

«Io uke stuprabile, dolce all’occorrenza.»

Non ho offeso le divinità. Non ho ucciso. Non ho rubato. Non ho tenuto atteggiamenti sessuali impuri.

Parlavano come due robot quei pazzi assatanati e invidiosi che aveva addosso! Afferrò il volantino e scivolò letteralmente giù dal divano, la tunica gli si sollevò per metà ma il suo unico obiettivo era lasciare quei peccatori ai loro peccati… e come fare?! La porta chiusa, la finestra scassinata…

La finestra scassinata.

Era un ottimo contorsionista.

Aphrodite che urlava dalla finestra: «Shaka, torna qui!» divenne un vago mormorio alle sue spalle.

“Comprerò un ombrello.” pensò scendendosi la veste oltre le ginocchia, osservato con circospezione dai passanti. Poi, ammiccarono.

“Con la punta molto, molto lunga.”

 Ammiccarono ancora.

«Sono spiac-»

Pensava di dire qualcosa a proposito del bene che sconfigge il male e se stesso che sconfigge gli abitanti di Yaoi City, ma non aveva calcolato l’avvicinarsi di un uomo che con fare amichevole gli aveva messo un braccio sulle spalle. Quel giorno erano tutti in vena di scherzi e morte.

«Chi ti disturba, mi niño

Gli mancava solo l’ispanico a chiamarlo mi niño per quel días de fuego così imprevisto. E così, muy caliente, Shaka tirò un pugno al naso dell’intraprendente corteggiatore.

Lo lasciò sanguinante, il setto nasale lievemente incrinato, senza accorgersi che le reali intenzioni del chico latino erano di liberarlo dai passanti guardoni.

 

Il bel giardinetto, quello che Shaka aveva arredato con amore e cura, era divenuto nel giro di dieci, venti minuti un ritrovo per il coinquilino e i due vicini di casa. Il tavolino che aveva montato era stato aggregato ad un altro molto più grande e la tavola era stata apparecchiata come se fosse per un pranzo fastoso, sebbene Shaka riuscisse a vedere come portate solo qualche schifezza da fast-food e il buon tofu di Mu.

Camus aspettava di stappare una bottiglia di spumante con impazienza. Non appena Aiolia avvistò Shaka tornare, gli fece cenno di aprirla ed esclamò: «Brindiamo alla nuova casa!»

Con un sonoro plop il tappo rasentò l’orecchio destro di Shaka e andò a finire sulla strada, proprio mentre passava un furgone. Milo si alzò e accompagnò Shaka al tavolo – era appena confuso – e gli diede in mano un bicchiere di succo di pera, giacché potesse brindare pur essendo astemio.

«Brindo alla mia casa, alla vostra casa, al mio romanzo e specialmente a questo hamburger.» sorrise Aiolia, alzando il calice – un bicchiere di plastica arancione – e imitato prontamente da Milo.

«E a mio padre che finalmente non mi assillerà più.» fece Camus, che sulle ginocchia reggeva le pagine del romanzo di Aiolia.

«Oh, e ai letti!» aggiunse Milo ammiccando.

«Alle lavatrici!» rise Aiolia.

«Alle chat erotiche.» farfugliò Camus bevendo, ma ancor prima che Milo svenisse, ancor prima che Aiolia replicasse “agli ascensori”, Shaka sbatté il “catalogo degli uke” sulla tavola, tra il suo tofu e un pacchetto di untuose patatine.

«Andiamocene da qui.» sibilò. «Subito.»

Milo allungò l’occhio, e la prima cosa che lesse fu qualcosa su un uke pronto sempre a soddisfare il partner. Afferrò il foglio con avidità e proseguì nella lettura, sgranando gli occhi mano a mano che essa lo soddisfaceva. Fissò Aiolia.

«Tuo fratello sa cosa vuole.» ridacchiò continuando a scorrere con lo sguardo. Camus si sporse e gettò un’occhiata, leggendo ad alta voce: «Uke stuprabile: dolce, timido, introverso e vittima di agguati…? Attenzione che non  vada a pezzi…?»

Aiolia li raggiunse e lesse ancora: «Uke lascivo: pronto a soddisfare il suo partner in qualsiasi momento, ma estremamente leader della coppia. Mai contraddirlo… eh?»

«Uke ribelle: aggressivo e litigioso, violenta il proprio compagno secondo le sue esigenze. Molto egoista ed egocentrico, attenzione! Potrebbe trasformarsi in seme.» riprese Camus ostentando una voce anziana e saggia. Aveva le lacrime agli occhi.

Ad Aiolia parve l’incipit di una sfuriata nervosa, a Shaka un pianto isterico e a Milo ciò che effettivamente era.

Camus si accasciò sulla sedia e si graffiò le nocche per non scoppiare a ridere. Non era da lui ridere, no, ma non era da lui nemmeno leggere tali cavolate. Il romanzo di Aiolia si sparse per tutto il giardino, mentre Camus s’infilava in bocca una polpetta per l’astuto escamotage di trattenersi.

Toccò a Milo quindi scoppiare a ridere e cadere dalla sedia, aggrappandosi ad Aiolia che rovinò con lui per terra. La ridarella non contagiò Shaka, che si riappropriò del volantino e si alzò in piedi, infastidito.

«Avete un briciolo di buonsenso?» ringhiò fissando Camus, ormai impegnato a divorare le sue polpette. Gli giunse come risposta un verso poco ortodosso, proveniente dai due cosi rotolanti sul giardino.

Aiolia si asciugò le lacrime. «Fammi leggere ancora, ti prego!»

Cercò di agguantare il foglio, ma mise la mano su una confezione di senape che schizzò con estrema precisione sulle polpette di Camus.

Ancora ilarità generale, mentre Shaka si allontanava e iniziava a raccogliere il romanzo di Aiolia.

Pazzi, anche Camus di solito così serio, pazzi e fuori di sé. Milo lo raggiunse strisciando e gli sottrasse il volantino, correndo da Aiolia per continuare la lettura.

«Senti qua!» rise paonazzo. «Uke psicologicamente instabile: ha problemi d’identità, ha vissuto esperienze drammatiche che l’hanno traumatizzato, si concede facilmente e schiva l’amore. Ma uno psicologo no, eh?»

Aiolia si promise di dir qualcosa al fratello. Prese la lista e cercò una definizione che non fosse stata ancora letta. Trovò la prima, scritta in un bel rosso acceso.

«Sentiamo, va’. L’uke perfetto: di solito si presenta biondo, dagli occhi chiari e androgino.» ridacchiò, mentre gli occhi di Milo e Camus correvano su Shaka.

«Dal carattere difficile, ambiguo, poco… socievole.» Aiolia alzò lo sguardo sul compagno che, offeso, continuava a raccogliere il romanzo.

Milo mise in segno di sostegno morale una mano sulla spalla dello scrittore.

«Appare aggressivo, spietato, sadico, è capace di picchiare a sangue freddo.» Aiolia deglutì. «Ma…»

Shaka sistemò i fogli evitando di gettare occhiate ai tre finché non ebbe terminato. Tacevano.

L’ultima frase diceva: “Ma è solo apparenza, perché è più sensibile di te, stupido seme che leggi questo catalogo per sceglierti un partner! L’uke perfetto è un’utopia.”.

Fu Camus a soffocarsi con le polpette, e da lì ricominciò l’aria ilare che si era interrotta per la lettura dell’uke perfetto. Aiolia squadrò Shaka, proprio mentre un raggio di Sole gli illuminava le spalle. Era perfetto sì, ma non perché lo diceva un insulso foglio di carta. Lo strappò.

 

Aiolos non aveva in mente l’idea di fare la spesa con Aiolia e Milo finché non li vide vagare per il centro commerciale con un carrello riempito da ogni sorta di sciocchezzuola anziché da cibo, l’espressione spaurita e atterrita che hanno i bambini all’asilo senza la loro mamma.

Li raggiunse sorridendo come il Sole, porgendo ai due delle bottiglie d’acqua.

«Partiamo dalle basi, d’accordo?» chiese senza troppa arroganza, uscendo dal loro carrello un materassino da piscina e un hula hop. Aiolia si attaccò al fratello come una tellina.

«Los, grazie al cielo che ci sei tu.» mormorò. «Senza la signora Kelly temevo di morire.»

«Il padre di Camus era buono solo a fare la spesa.» sospirò Milo, rammentando giorni ormai perduti.

Aiolos alzò le spalle.

«La signora Kelly e il padre di Camus non ci sono più.» disse solennemente. «È compito vostro fare la spesa. Come farete altrimenti ad accontentare i vostri uke, se non sapete neppure nutrirli?»

«Mh.» mugugnò Milo, grattandosi il mento. Per quanto ne sapeva lui, Camus non era mai stato a corto di cibo, anche se vederlo impegnato in una battuta di caccia nella giungla (s)vestito come Tarzan non era così male…

Aiolia indicò uno scaffale di cereali.

«La colazione è importante.» disse solennemente.

Aiolos annuì e prese qualche scatola. «Io e Saga adoriamo il muesli con pezzi di banana. Voi?»

«Io a colazione mangio un panino, di solito.» ammise timidamente Aiolia, scrutando il muesli.

Milo cominciò a frugare tra gli scaffali alla ricerca di qualcosa che contenesse fragole, ma inavvertitamente urtò contro un ragazzo altissimo e slanciato, che si girò fissandolo con i suoi occhi verdi dai riflessi – inaudito! – rosati. I suoi occhi indugiarono su Milo imbambolato, quindi su Aiolia e infine sul sindaco.

«Oh, sindaco Aiolos. Buongiorno.» sorrise, spostandosi di poco affinché si vedesse un altro ragazzo.

«Sion, buongiorno!» replicò Aiolos con un cenno della mano. «Buongiorno anche a te, Doko.»

Tale Doko, cinto da una tunica palesemente cinese, adocchiò lo scrittore alzando le sopracciglia stupito.

«Suo fratello? Vi assomigliate moltissimo.» commentò, esaminando delle confezioni di cibo, ma non pareva soddisfatto. «C’è ogni tipo di cibo ma non il cinese, sindaco Aiolos.»

«Provvederò affinché arrivi.» sorrise Aiolos, carezzando la spalla di Aiolia. «Questo è proprio mio fratello Aiolia, lo scrittore più bravo del mondo, e questo è Milo. Loro sono Sion e Doko, ragazzi.»

Dopo presentazioni e saluti, Sion afferrò la mano di Doko e sorrise.

«Beh, allora noi continuiamo a fare spese. Mi saluti Saga.»

«Arrivederci!» salutò Aiolos allegramente. Non appena si furono allontanati, si voltò verso il fratello e Milo e con un profondo sospiro si lasciò andare ad un sorriso soddisfatto, celestiale. Socchiuse gli occhi.

«Sion e Doko sono giovanissimi, ma si sono già sposati in Massachusetts. Stanno lottando affinché anche in Kentucky il loro matrimonio venga riconosciuto.» la sua voce era estasiata. «Sono la coppia ad honorem di Yaoi City, anche se vengono qui solo per i week-end…»

«Sposati?» ripeté perplesso Aiolia.

«Sì. Sono dei capisaldi persino per me. Oh, le barrette ai cereali con il miele! Saga le adora!» tinnì infilando la mano in uno scaffale.

Matrimonio… Aiolia inventò lì sul momento una trama per una storia che avesse a che fare con un matrimonio, quindi la inserì nel romanzo di distopia. Kasha Juta, matrimonio… sì! Avrebbe infilato nella storia un certo Aliante Aholiosi come amante del grande capo.

Milo, al contrario, cercava ancora un alimento che contenesse fragole o al massimo lamponi.

«WAH! Due seme fighissimi dietro di te!»

Milo lanciò in aria una confezione di cornetti al cioccolato.

Alcuni ragazzi parevano entrati in trance accanto a lui e lo fissavano a bocca aperta, gettando ogni tanto un’occhiata anche ad Aiolia, ancora indeciso tra una storia d’amore drammatica tra Aliante e Kasha e una pregnante ma fugace relazione. Non gli sfuggì, in ogni caso, l’occhiolino di un ragazzo rivolto unicamente a lui. Prese Milo sottobraccio.

«Andiamo a comprare i surgelati, andiamo…» mormorò trascinando Milo, il carrello e l’ignaro fratello.

 

Camus invidiava il giardino di Shaka. Là avrebbe potuto studiare con estrema serenità per gli ultimi tre esami all’università, sorseggiando qualche bevanda ghiacciata, immergendosi nell’idilliaca quiete del gazebo tra gli alberelli rigogliosi. Invece strinse le labbra e accavallò le gambe sull’unica sdraio del proprio giardino, abbastanza malandata per i trascorsi subiti: una volta aveva quasi preso fuoco, un’altra era rimasta sotto la neve, un’altra ancora era caduta nella piscina dei vicini – no, Camus non poteva non ricordare quando il suo infuriato padre era tornato a casa con la cosa inzuppata blaterando: «I vicini dicono che un ragazzo con i capelli biondi e lunghi l’ha lanciata dalla staccionata.»

… una scommessa tra Aiolia e Milo.

«Vado dal critico Lord Rhadamantys. Se torna Aiolia, chiedigli di sedersi sul dondolo. Non è montato bene, potrebbe essere la volta buona che ci resta secco.» fece una voce oltre la siepe. Si voltò verso l’unico lato confinante con una casa, essendo la propria villetta al limite dell’isolato.

«Mh.» rispose eloquentemente, mentre Shaka raggiungeva il marciapiede. «A dopo.»

Chinò il capo sul libro. Tre esami, solo tre! Poi sarebbe stato accolto con tutti gli onori in una comunità scientifica e magari avrebbe insegnato ad Harvard!

«Hola

… ignorò.

«Non dovresti rimanere da solo.»

… si alzò e con nonchalance si avvicinò all’interlocutore.

«Prego?»

«Un uke come te non dovrebbe rimanere solo.» disse quello, appoggiandosi al cancelletto del giardino con espressione preoccupata. «Ci sono seme malintenzionati in giro.»

Camus respirò a fondo. Uno, due, tre…

«Di cui fai parte, suppongo.» sibilò stringendo un pugno. L’uomo indietreggiò.

«No, no, aspetta…»

Sul naso aveva un cerottino che si usava per frenare le emorragie. Bastò quello perché Camus comprendesse l’animo infimo e meschino dell’uomo.

Il cerottino servì a poco, dato che il naso riprese a sanguinare copiosamente. Camus recuperò il proprio libro e tornò a studiare, disinteressandosi della camminata barcollante e rassegnata del ferito, il cui unico scopo era avvertire il nuovo cittadino dei rischi dei seme malintenzionati – ma non ne faceva parte, joder!

 

Kanon si dondolava su un’amaca arancione ascoltando musica a tutto volume con le cuffie. Cadde tre volte per terra, irrompendo in una parolaccia per “essersi disturbato” nell’ascolto: alla quarta, mentre stava per sbraitare una poco gentile osservazione verso le nuvole (libera interpretazione), si ritrovò davanti il fidanzato del fratello del fidanzato di suo fratello.

«Sì?» chiese infastidito.

«Salve, Kanon.» salutò cordialmente Shaka, benché si trovasse lì con il solo scopo di realizzare l’ultimo desiderio di Aiolia prima che questi tirasse le cuoia. «Desidero parlare con Lord Rhadamantys, sempre che ciò sia possibile.»

«Oh, ma certo.» replicò Kanon. Il suo compagno era in casa a lavorare, ma disturbarlo non avrebbe fatto né caldo né freddo. Si affacciò dall’esterno ad una finestra del piano terra e iniziò a conversare con il critico, che non lo degnava nemmeno di un’occhiata. La situazione si trascinava avanti così da circa una settimana, ovvero da quando si erano trasferiti a Yaoi City e lo studio del Lord era stato disgraziatamente collocato accanto all’amaca di Kanon.

Shaka si avvicinò.

«… mi passi da bere? No, dammi il tè… non te lo bere tutto, dai!»

Non se lo beva tutto, no! Shaka, innervosito, tossì.

«Ah, Rhada, c’è qui il nostro lontano parente Shaka… vuole parlare con te.»

«Fallo accomodare in salotto.»

«Passami il tè, please.»

Quando finalmente Shaka poté incontrare Lord Rhadamantys, Kanon era tornato a dondolarsi sull’amaca con una tazzina di tè che si rovesciò per terra alla prima oscillazione.

Dentro casa Shaka porse un paio di fogli al critico.

Un teinomane vale l’altro.

«Le consiglio di leggere questo breve racconto di Aiolia Anthelios ambientato a Siviglia nell’anno 1936, allo scoppio della Guerra Civile spagnola. A mio parere…»

 

 

 

 

 

 

 

 

Gem racconta

Come state, lettori della parodia più spietata e folle sullo yaoi? XD una cosa che non ho detto ed è necessaria: qui vigono i più terribili luoghi comuni sullo yaoi, sugli uke e sui seme. Ce la farà Shaka ad abbatterli? *^* per saperlo dovete seguire *O* preciso che le assurdità sono volute, eh.

Regina di Picche. Piccolo Muh, se tenti di molestare ancora Shaka, fallo in privato e assicurati che non ci siano né Aphrodite né DM nei paraggi. O sappiamo quello che può succedere (Shaka si trastullerà con DM, omg). XD

zamina. Shaka cammina su un sentiero irto di ostacoli, mente attiva in un corpo passivo (perché gli piace, eh u_u XD). Cosa ne sarà di lui ora che è nel covo della Viverna? *^* … berrà tè, ovvio. XD

Love_in_idleness. Hai visto che qui i vecchietti non sono così tanto vecchietti? È ora che Sion e Doko siano i più giovincelli in circolazione. Insomma, poca differenza da 261 anni a 18. XD

cry_chan. Kanon manda saluti dalla sua amaca, piangendo per il tè rovesciato a terra XD grazie mille per leggere! E Manga Street avrà presto delle colleghe! *_*

Himechan. Ciao! *porge copia di Mi sento un leone* Aiolia farà carriera tramite il passaparola! *_* grazie mille per i complimenti! Sì, ho due Lia/Shaka, una iniziata (il primo capitolo è già scritto) e un’altra, più lunga, che è un lavoro a due menti. Spero di vederti presto in un’altra delle mie folli creazioni! XD

Ringrazio chi ha aggiunto la fic ai preferiti e chi alle seguite <3 un piccolo avviso… per un po’ di tempo mi prenderò una pausa per scrivere qualche capitolo e tornerò ad aggiornare a fine mese le storie in corso. Il discorso non vale per Enigma (che è conclusa) e Calliope, di cui ho un altro capitolo pronto.

Sorry ^^” ho troppi progetti in corso XD

Gem!

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Capitolo 3
*** Tre ***


Nuova pagina 1

L’uke perfetto

 

TRE

… sono gli uke che mi hanno aggredito.

 

«Ha detto che lo leggerà? Sei sicuro?» chiese ansioso Aiolia, infilandosi in bocca un panino intero. Shaka sperò che fosse impossibilitato a parlare, che quelle labbra carnose si chiudessero per qualche secondo e masticassero decentemente, ma Aiolia deglutì subito e continuò. «L’ha messo tra libri impolverati o accanto ai suoi documenti?»

Bevette avidamente un bicchiere di latte. Se avesse miagolato, Shaka lo avrebbe scambiato per un gattino affamato.

«L’ha tenuto in mano finché non sono andato via.» chiarì brevemente.

«Oh, un buon segno!» esclamò Aiolia, tornando a bere.

«Certo. Forse l’ha buttato nella spazzatura appena dategli le spalle, ma è un buon segno.»

Lo scrittore impallidì.

«Cosa…?»

Un rumore di piatti echeggiò per la cucina. Shaka si era alzato e stava già sparecchiando, portando con calma le stoviglie dal tavolo al lavello. Aiolia spiluccava ancora, ma era un dettaglio trascurabile.

«Non è che ha dato i fogli a Kanon e quello ha fatto le barchette per giocare in un enorme, infinita tazza di tè?!» si alzò di scatto dalla tavola e, sebbene fosse solo mattina, aveva in viso l’espressione di uno che aveva lavorato tutto il giorno. Sgranò gli occhi già abbastanza sporgenti dalle orbite. «Forse su ogni barchetta ha scritto il nome di un membro della famiglia Forrester, e… oh Dio, è andata così. Sta giocando con i miei lavori. Shaka, non mi sento bene.»

Non gli giunse risposta. Era la quarta volta che Aiolia chiedeva a Shaka di raccontargli cosa fosse successo a casa del Lord. Al ritorno dal supermercato, e il racconto era stato scorrevole e pacato.

A cena, quando Shaka innervosito aveva rovesciato dell’acqua sulla pizza di Aiolia.

A letto, mentre Shaka si rivestiva, e anziché accendere la classica sigaretta Aiolia aveva iniziato a piagnucolare.

E infine a colazione, con uno strano capannello di gente nel giardino di Mu. Shaka scostò le tende della finestra e gettò un’occhiata rapida, giusto per assicurarsi che il suo giardino rimanesse incolume.

«Che succede?» fece Aiolia, osservando l’orologio. «Sono solo le nove.»

Solo, pensò Shaka. Lui che si alzava all’alba, meditava, faceva un po’ di yoga, preparava da mangiare, ripuliva la casa da palle di pelo di Aiolia (ossia tutto il disordine causato da lui), aerava le stanze, doveva sentirsi dire “solo le nove”.

Come se prima – e dopo – fosse obbligatorio poltrire.

«Fanno un falò in cui bruceranno i tuoi libri.» rispose Shaka.

«Quello è Sion.»

«Non conosco alcun Sion.»

«Sta appendendo un manifesto… dunque, se leggo bene… “Club degli Uke”.»

Shaka tornò ad osservare dalla finestra. Un ragazzo stava inginocchiato sulle spalle di Mu – e se Shaka non avesse avuto la certezza che ciò fosse realizzabile, non avrebbe creduto ai propri occhi – e appendeva un cartellone sulla grondaia, proprio sopra la porta di ingresso.

Che vicini deficienti.

No, non i vicini; non c’era solo l’abitante della casa in quel giardino, bensì una cospicua rappresentanza di “uke” di Yaoi City, i cui sguardi sognanti erano rivolti al manifesto. Il ragazzo sulle spalle di Mu si voltò e fece un segno con la mano, quindi tra i presenti si levò un allegro applauso.

«Però.» commentò Aiolia. «Sion ha il potere di creare ovazioni.»

«Chiamo la polizia.» e Shaka aveva già la cornetta in mano. Non apprezzava molto l’idea che accanto a casa sua iniziasse un rave.

«Per carità!» replicò l’altro, abbassandogli la mano. «Non vedi che è un incontro tra amici?»

Non lo vedeva. Lasciò perdere la cura della cucina, era tempo che anche Aiolia contribuisse alla pulizia domestica.

Slegando la treccia in cui aveva legato i capelli, uscì di casa – confusione terribile: avanti Sion, ora scendi!, tanto non mi prendi, ma Aldebaran è in casa?, quando arriva Saga?, Cristo santo i tuoi nuovi orecchini! – e finse di sistemare le sedie del giardino con aria infastidita.

Come ciliegina sulla torta, qualcuno accese la radio sulle confortanti note di “(I can’t get no) Satisfaction”.

«AHH! Shaka!» urlò l’inconfondibile voce di Aphrodite. Scattò verso la porta, ma sciaguratamente si era richiusa e per l’anticamera del cervello di Aiolia non era nemmeno passata l’idea di salvare il fidanzato dalla mandria di uke. Per la cronaca, stava finendo il suo latte.

«Vieni, Shaka!»

Il corpo di Shaka si ritrovò sbalzato nel giardino di Mu. Sembrava quasi che si fosse teletrasportato! O… no, no, aveva volato! Con amarezza, si accorse che non aveva opposto resistenza ad Aphrodite perché era troppo impegnato a maledire l’ignara Shaina.

«Oggi c’è la nostra riunione settimanale!» sorrise Aphrodite, il cui profumo ricordava le penne aromatizzate di Aiolia – gli scrittori sono eccentrici. «Sei stato attirato da un’entità sconosciuta, eh?»

Il buddista si chiese se l’aroma di mango potesse aver fatto impazzire Aphrodite più di quanto fosse già. Si era forse dimenticato del divano, della finestra e delle avances? Aveva resettato il suo cervello e si preparava a comportarsi da uke lascivo o quel che era con il suo seme?

… meglio così.

Mu li raggiunse. Non aveva più sulle spalle il ragazzo di nome Sion, ormai intento a conversare con un altro uomo.

«Buongiorno, Shaka.» salutò educatamente. Nulla poteva lasciar trasparire la reale indole di quel vegano. «Arrivi proprio al momento giusto.»

Ma davvero?

«Ti presento subito alcune persone.» sorrise gentile, allontanando Aphrodite. Lo condusse da Sion e l’altro sconosciuto, che si voltarono simultaneamente. «Questi sono il mio fidanzato Aldebaran…»

L’uomo porse la mano a Shaka. Aveva un sorriso genuino, sincero, che spinse il buddista ad accettare la stretta di mano senza troppi indugi.

Non si poté dire lo stesso dell’altro ragazzo.

«Questo è Sion, ci conosciamo da tempo.» spiegò Mu. Cinque unghie viola, probabilmente finte, all’estremità di dita lunghe e affusolate si allungarono verso quelle immacolate di Shaka con una carica erotica impressionante.

Altro che stretta di mano. Sion sembrava afferrare qualcos’altro.

Questo è un sogno, e quando riaprirò gli occhi chiederò venia al Buddha per le produzioni del mio inquietante subconscio.

«Sono vere.» sogghignò il diretto interessato. Quella mattina erano stati in molti a rimanere sorpresi per il suo nuovissimo stile di unghie. «Tranquillo, non graffio.»

«Fare la vostra conoscenza è stato molto utile per le mie riflessioni sull’anima umana.» disse Shaka al limite della sopportazione, fissando Aldebaran (giacché osservare Sion avrebbe comportato chissà quali reazioni di collera). «Se non vi dispiace, torno in casa a sistemare gli ultimi scatoloni del trasloco.»

Sion arricciò le labbra, ma Shaka non poteva vederlo. «Non puoi. Oggi c’è la riunione.»

«Prego?»

Aldebaran s’affrettò a zittire Sion e Mu, già a bocca aperta. «Partecipare è pressoché obbligatorio, solo con motivazioni importanti si può evitare di venire.»

Sion scosse la testa, Mu replicò: «Temo che il trasloco non sia un motivo sufficiente. Tra l’altro, Aldebaran, non si sarà fatto un po’ tardi per te? Dovresti già essere alla riunione dei seme.»

Buddha. Krishna. Gesù. Maometto. Shaka sbuffò, piano.

«Sì, che sbadato! Io vado!» Aldebaran scoppiò a ridere, stampando un bacio sulla fronte di Mu, di Sion, di…

Aldebaran baciò Shaka sulla fronte.

Aldebaran aveva baciato…

Sulla fronte.

«Porto con me il tuo seme e il suo amico, Shaka.» aggiunse, ma quando il buddista riuscì a voltarsi, non vide che Milo e Aiolia salire sull’auto di Aldebaran, e Camus con due libri in mano vagare per il giardino di Mu. Perlomeno, nella battaglia avrebbe avuto un alleato.

«Sto studiando.» mormorò Camus, chinando il capo sui libri. «Se non è un motivo serio, questo…»

«No!» gli soffiò in faccia Aphrodite. «Bisbetico!»

Gli estranei erano ben lungi dal chiamare Camus bisbetico. Quando quella parola giunse alle orecchie del ragazzo, coperte appena dai capelli rossi, a Shaka sembrò che quel giardino fosse diventato il luogo di un delitto. Gli elementi c’erano tutti: il movente (comprensibile), le vittime (e quante!), l’assassino (uno per Aphrodite, uno per gli altri), l’arma (le unghie), l’alibi (il trasloco, e io studiavo).

«Come?» la voce di Camus era serenamente piatta, ma i suoi occhi tradivano una certa irritazione.

Salvò Aphrodite l’arrivo di una decappottabile che Shaka aveva già visto. La presenza di due gemelli a bordo, inoltre, scatenò un putiferio tra i presenti che iniziarono a correre qua e là gridando “possiamo iniziare ora! Iniziamo!”.

Quando Saga scese dall’auto, dovette trascinare Kanon come farebbe un padre con un figlio che non vuole andare a scuola. Più o meno in quell’istante Shaka fu fatto sedere a forza tra Mu e Aphrodite, mentre Camus veniva gettato tra Sion e un posto libero. Gli caddero i libri dalle mani.

«Signor Saga, oggi è in forma smagliante!» trillò un ragazzo, e tutti iniziarono a farsi i complimenti. Sion si alzò in piedi e mostrò ancora le sue unghie, orgogliosissimo: gli applaudirono.

«Ehi! Ma quello è il colore del lubrificante che uso io!»

Saga ebbe un malore.

Camus sgranò gli occhi.

Sion irrigidì le mani, cosicché le sue unghie parvero degli artigli affilati.

Gli occhi di tutti i presenti corsero su Kanon.

«Eh?» fece, sorpreso. «Dicevo… lubrificante per porte.»

Saga si sedette accanto a Camus, portando una mano al viso. Mu si avvicinò e gli chiese se volesse un po’ d’acqua, ma l’altro rifiutò gentilmente.

«Non volevo essere scurrile.» continuò Kanon, ma dall’occhiata che rivolse a Saga si comprese benissimo che tutto era stato premeditato. In effetti, in auto Saga aveva raccomandato più volte al fratello di “non turbare l’animo degli innocenti uke”. Suvvia, ridacchiava Kanon.

Sion strinse i pugni, risentito.

«Kanon Valiant…» tossì. «Nonostante abiti a Yaoi City da non poco tempo, non hai mai assistito ad una riunione. Sono contento che tu abbia deciso di ascoltare tuo fratello.»

«In realtà mi servono delle banane per il pranzo.» replicò innocentemente Kanon, prendendo posto accanto al fratello. «Volevo preparare delle banane flambé da incendiare, mh… come sono buone… mai provate?»

«Cerca le banane nella tua casa, Kanon.» chiuse la discussione Sion. «Non venire a chiedere litchi altrui.»

Camus incrociò quasi per caso gli occhi di Shaka, e con un semplice sguardo gli chiese “Di cosa stanno parlando?”. Come risposta, decifrò un “prendi un coltello, prendi un coltello”.

«Bene, ci siamo tutti.» disse quindi Sion, e Mu gli porse un catalogo. «Ecco a voi l’esclusiva collezione di addobbi e arredi natalizi per le nostre case!»

Wow, esclamazione che si pronuncia uào.

Né Shaka, né Camus, né Kanon avevano mai udito in vita loro un uuuuuuuuuuuààààààààoooooooo così sonoro da rimbombare all’aria aperta.

«Guardate qua: un copriletto splendido in tema natalizio!» proseguì Sion, indicando un elemento del catalogo. «Saga, non è simile a quello che ha lei?»

Sion era uno dei pochi che poteva permettersi una certa familiarità con il segretario del sindaco, a causa del suo rispettabile stato civile. Era anche quello il motivo per cui conduceva le riunioni della domenica.

«Oh, sì, è molto simile.» rispose sorridendo Saga, mentre Kanon si sporgeva ad osservare. «Anche le decorazioni sembrano…»

«UÁO, la tavoletta del water con Babbo Natale!»

Saga strinse i denti, ma non resistette alla tentazione di far del male al fratello. Lo tirò in piedi e con un tremante “scusate” si allontanò dal gruppo, mollandogli in mano le chiavi dell’auto con una tale violenza da lasciargli dei segni rossastri. Indicò la macchina.

«Vattene dal tuo Lord, hai capito? 452 N Kurumada Road, te lo ricordi, vero?»

Kanon sospirò di gioia. Lui lo diceva da tempo, che doveva far parte del club dei seme.

«Certo, è casa tua.» rispose.

«Bravo, vacci e cerca di non maltrattare Aiolos.» ringhiò Saga. Lo spinse verso l’auto. «Se trovo un soprammobile fuori posto, sei morto

«Va bene!» cinguettò il teinomane, e festosamente montò sulla decappottabile. «Cercherò di non graffiarti la macchina.»

E Saga ebbe improvvisamente paura.

 

Aiolia scese dall’auto di Aldebaran con la nausea. Non tanto per la guida dell’uomo, che in realtà era perfetta, ma per il considerevole numero di volte in cui questi aveva detto: “… ma è un uke, cosa vuoi farci? Devi capirlo.”

Parlavano di fidanzati perché Milo si era accorto di aver preso le chiavi di casa di Camus, e lasciato quel povero cristo in giro con i libri dell’università. E in mezzo ai pazzi, avrebbe aggiunto Shaka, fornendo a Camus un altro rifugio.

«… fissato con il bricolage, ma è un uke, cosa vuoi farci? Devi capirlo.» ribadì in quel momento Aldebaran, ma grazie al cielo Aiolia non l’aveva sentito.

Camminava un po’ storto l’uomo dai capelli scuri e il viso pallido come un lenzuolo che urtò involontariamente Aiolia. Portava un cerottino sul naso (incrinato) e al suo fianco si trovava Death Mask, ancora sconosciuto allo scrittore.

«Perdonami…» si scusò, massaggiandosi il naso. Lo scrutò attentamente, perplesso. «Il fratello del sindaco...?»

«Sì, sono io. Aiolia Anthelios.»

«Ah.» l’uomo esitò, ed esitò parecchio. Non poteva certo rispondergli “il tuo biondino mi ha spaccato il naso, e anche il rosso fidanzato del tuo amico”, quindi si presentò rassegnato. «Shura Xavier, piacere di conoscerti. Ho letto il tuo libro, complimenti. È molto interessante.»

Ad Aiolia si illuminò lo sguardo.

«Oh, grazie!» sorrise. «Sono lieto che ti sia piaciuto.»

Aldebaran, Milo e Death Mask attraversarono subito il giardino per entrare a casa di Aiolos e Saga (che Aiolia non aveva avuto ancora modo di visitare), mentre lo stesso scrittore si attardò con la nuova conoscenza sul marciapiede, radioso.

«Sei talentuoso.» commentò Shura, dimenticando per un attimo i pugni che s’era sorbito a favore di un discorso decente con quel giovane autore, che aveva iniziato ad apprezzare. «Anzi, vorrei chiederti l’autografo prima che tu diventi troppo famoso per concedermelo…»

Aiolia arrossì appena.

Non per l’imbarazzo, ma per la gloria.

«Potremmo chiedere a mio fratello della carta…»

«Oh, abito qui di fronte. Prendo la mia copia.» disse né troppo eccitato né troppo impassibile. «Torno subito.»

Aiolia fremette. Come amava essere il fulcro di tanti pensieri! Osservò Shura attraversare la strada, quindi sviò lo sguardo sulla casa del fratello, che era una vera e propria reggia. Molto grande, di bell’aspetto e moderna: eccola, eccola! La casa di Kasha Juta sarebbe stata ispirata a quella!

Peccato che lì vivesse anche Saga. Lo scrittore storse il naso, ma si consolò pensando che nessuno è perfetto.

Tranne Aiolos.

Tranne Shaka.

Cosa stava facendo Shaka alla riunione degli uke? Aiolia si pose la domanda ma non si diede risposta, giacché Shura era uscito di casa e tornava da lui.

Stava attraversando quando una decappottabile giunse sfrecciando…

Rallentando…

Ma non si fermò.

Shura cadde a terra.

Aiolia scattò a soccorrerlo, Kanon semplicemente urlò.

Una copia di Mi sento un leone era volata fino al parabrezza.

«Cazzo!» vociò Kanon, saltando giù dalla macchina di Saga. Aveva in mente uno o due simpatici scherzetti da fare al gemello, ma non aveva mica programmato di investire un passante!

Il fato volle che l’avesse solo urtato, e che fortunatamente non sembrava in condizioni critiche.

Kanon si gettò in ginocchio.

«Non volevo, maledizione! Che casino!» gridò controllando l’auto. «Diamine, se ‘sto libro ha ammaccato il parabrezza, io… ma questo autore del cazzo non aveva nient’altro da fare?»

Aiolia porse un braccio a Shura, che era pietrificato per lo shock. Conscio di non aver subito lesioni ad organi vitali, si alzò in piedi e balbettò: «Tre… tre sono gli uke che mi hanno aggredito… tre!»

Kanon si voltò solo una volta scongiurato ogni danno all’auto: «Tutto bene?»

Lo scrittore lo afferrò per il bavero della camicia, esagitato, e digrignò vistosamente. In tre secondi, quanta confusione aveva combinato… quel maledetto Saga?

«Lasci immediatamente mio fratello, dannato assassino! Porti quest’uomo in ospedale, o… o stia attento, farò in modo che l’offesa che mi ha rivolto non passi inosservata!»

Kanon alzò un sopracciglio: «Ma che…?»

«Mio fratello è troppo buono per stare con lei! Si vergogni!»

Il dolorante Shura si frappose tra i litiganti, tentando di allontanare Aiolia dalla camicia di Kanon. Invano: lo scrittore si avventò ancora di più sul gemello.

«La denuncio!»

«Smettetevela!»

«Ma cosa vuoi da me?!»

«Mio fratello merita di PIÙ!»

«Toglimi le mani di do–»

«KANON!»

Un urlo fragoroso sovrastò le voci dei tre uomini. Sembrava il ruggito di un drago, il ruggito di una viverna: non a caso, Lord de Wyvern giunse correndo dal giardino, sbattendo Kanon sul cofano e Aiolia e Shura per terra. Forzuto il critico, forzuto di tempra e nel fisico.

Kanon rotolò per ultimo a terra.

Dopo aver gettato un’occhiata ai tre, sembrò che Rhadamantys fosse pronto ad immettersi nella rissa per un motivo non ben identificato. Tuttavia, visto il carattere profondamente nobile dell’uomo, la sua unica frase fu scontata per Kanon, ma non per gli altri due: «Abbassate la voce, per cortesia.»

Aiolia girò il viso verso Kanon, sobbalzando. Ma quello non era…

«Tsk, è la seconda volta che mi scambi per quello stupido di mio fratello.» mugugnò Kanon, alzandosi. Si diede una pulita ai jeans, sul fondoschiena, scuotendo la testa rivolto al fidanzato – indifferente e ignaro di tutto. «Credo che mi tatuerò in fronte la scritta “Kanon Il Magnifico”…»

«Cos’è successo?» chiese Lord Rhadamantys. Aiutò Shura (sembrava un cadavere, a guardarlo bene) a rialzarsi e tornò ad osservare Kanon. «Che ci fai con la macchina di tuo fratello?»

«Ha investito Shura.» sputò seriamente Aiolia.

«Non era sulle strisce.» replicò immediatamente Kanon. «E il libro che ha colpito il parabrezza mi ha impedito di fare la giusta manovra.»

«Che cosa?!» tuonò l’altro. «Sciocchezze, dovrebbero toglierti la patente!»

Aiolia vs Saga&Kanon, se Aiolos vuole può dare una mano (al fratello, si spera).

Il critico prese Kanon per un braccio e lo allontanò dallo scrittore onde evitare ulteriori diverbi. La questione si chiuse con un raffinato: «Kanon, vieni con me. Signor Shura, le diamo un passaggio in ospedale. Signor Aiolia, la prego di avvertire suo fratello che per cause di forza maggiore non possiamo partecipare alla riunione del club dei seme. Oh, Kanon, dà le chiavi della decappottabile ad Aiolia, per piacere.»

Con un gemito di disapprovazione, Kanon tirò le chiavi ad Aiolia.

«Le dia ad Aiolos e gli dica di spostare l’auto dalla strada.» concluse. «E arrivederci.»

Il gentleman condusse Shura sino alla propria auto e lo aiutò a salire, mentre un Kanon incollerito si attardava ad osservare Aiolia entrare nella villa.

Sembrava proprio di essere in una soap-opera, ridacchiò infine.

 

Shaka, quando sentì la porta di casa aprirsi, provò una tale gioia che si vergognò immensamente di non averla saputa reprimere. Balzò in piedi dal divano dov’era accucciato e corse all’ingresso, fronteggiando un Aiolia che sembrava scosso quanto lui.

Le affinità erano palesi: sguardo esterrefatto, occhiaie, pallore, labbra tremule, sudore, la pelle del collo continuamente smossa dal deglutire.

«Che ti hanno fatto?» chiese quasi in lacrime Aiolia, così felice di avere Shaka ancora vivo davanti a sé. Gli pose le mani sulle guance. «Stai bene?»

Il buddista sollevò un braccio. Reggeva un volantino.

Cautamente, Aiolia glielo sfilò dalle dita e osò sbirciare, ma già sapeva cosa fosse, di cosa parlasse, quale sventura avrebbe portato alla sua vita.

«Un’altra stupida, noiosa festa.» annuì grave. «Sì, l’hanno dato anche a me.»

Shaka scosse la testa, e sulle sue labbra marciò la fatidica parolina “no, no, no, no…”.

Aiolia sospirò.

«Mio fratello… non posso deluderlo.»

E questa identica frase fu pronunciata da Kanon parecchie ore dopo, durante la festa che aveva reso Aiolia paonazzo, Milo confuso, Shaka folle e Camus stupido (perlomeno, si dava dello stupido perché voleva tornare da Hector, e oltre ad aver fatto arrabbiare Milo con queste parole, aveva fatto arrabbiare anche se stesso).

«Mio fratello… non posso deluderlo.» aveva detto, dunque, Kanon.

Non era una frase poetica o pregna di affetto fraterno… proviamo ad immergerci nel contesto generale.

Saga giocava a “colpisci il nano” in compagnia di Sion e Doko, anche se ogni volta che il segretario si preparava a sparare verso la bancarella Sion iniziava a urlare: «Qui! Qui!» e indicava ridendo il fidanzato. Avendo vinto per tre volte consecutive un peluche, il tormentato Kanon – aveva in bocca un leccalecca col quale rischiava di stuzzicare tre quarti dei presenti – s’era fatto prendere dall’invidia e aveva distratto il fratello, impedendogli di vincere un enorme orsacchiotto blu.

«Era per Aiolos, quello.» ringhiò nervoso.

«Anche tutti gli altri, mi risulta.» s’intromise Doko, prontamente zittito da Kanon: «Perché, la notte non sa chi stringere? Peccato…»

Saga strinse gli occhi. Se non ci fossero stati Sion e Doko, avrebbe strozzato Kanon per tutti i guai che aveva combinato in una sola giornata. Che uke terribile… o meglio, che terribile versatile. Non si poteva andare avanti così… schiuse le labbra, pensando.

Pensando che…

Sorrise diabolicamente.

«Fratellino, la notte è nostra amica.» gli porse la pistola. «Vediamo se tu riesci a far meglio di me… non deludermi.»

E si allontanò sogghignando. Kanon credette che qualcosa fosse cambiato in lui, magari il cervello, o la consistenza di una certa cosa. Ma non essendoci niente di stimolante nei paraggi (a parte il leccalecca, ma non sognava nemmeno lontanamente l’incesto) alzò le spalle e si preparò a colpire.

«Mio fratello… non posso deluderlo.» ridacchiò, e abbatté più nani di lui. Vinse sette peluche, di cui uno gnomo viola andò in dono ad un contentissimo Sion.

Spinto dalla voglia di ulteriori festeggiamenti, Sion portò sulla pista di ballo Doko, iniziando a roteare con lui in una serie di dubbie mosse vagamente anni ’50. Shaka, che assisteva, sospirò.

“Siamo caduti così in basso.” pensò, battendo una mano sul ginocchio a ritmo di musica.

Di mus-

Oh cielo, Yaoi City traviava le menti.

Sion e Doko gli fluttuarono davanti, seguiti subito dopo da Aphrodite e Death Mask. Tuttavia alcuni particolari della seconda coppia non sfuggirono all’ex insegnante di yoga: gli occhi di Aphrodite erano aperti fuori misura e il collo sembrava piegato troppo innaturalmente rispetto alle spalle.

Anche Death Mask se n’era accorto… e cercava di fermare Aphrodite. Non solo quello continuava a ondeggiare, ma era vittima di chissà quale attacco epilettico!

Ormai la folla si era accalcata per assistere alla sconcertante scena. Aiolia si avvicinò a Shaka e si sollevò sulle punte per vedere, e fu allora che si udì un tonfo sordo: Aphrodite era caduto a terra.

Guidato dall’istinto, Shaka si chinò e sbirciò tra le gambe dei presenti per vedere cosa stesse succedendo. E per terra, con il braccio che si muoveva convulsamente e gli occhi vuoti, si trovava il ragazzo. Che fosse ferito? Malato?

Serviva un’ambulanza, serviva…

Aiolos avanzò tra la folla, che si dispiegò nell’assoluto silenzio. Anche la musica si era interrotta.

Si udì un crick sinistro, ma quando Shaka tornò ad osservare per terra scoprì con raccapriccio che quel rumore proveniva dal collo di Aphrodite, ora rimesso in piedi e accompagnato verso una sedia.

«Non c’è nulla da vedere!» esclamò Aiolos sorridendo. «Si è sentito un po’ male, tutto qui…»

Shaka non aveva mai tremato in vita sua per la paura.

Tremò quella volta.

 

 

 

 

Scusate il ritardo!!!

Mi prostro umilmente e ringrazio chi ancora segue, nonché tutti i bei commenti per lo scorso capitolo! <3

Regina di Picche. Allievo, la tua recensione mi ha giovato per comprendere il funzionamento della macchina del caffè. (?) Sono felice *w* come premio, andrò a scrivere un po’ di GOLDEN TRIANGLE ergjkrgrjkgrwjk grwegwrjkwrjk wertgwrlglwrl <3

zamina. Oh Shaka, trascina questo Sacerdote nella tua casa, così la fuga verso la settima sarà più facile <3 chi non adora la Lia/Shaka, specie se il primo è un gatto ronfante e il secondo un asceta illuminato (dalla lampadina)? *C*

cry_chan. Gemella, ecco la prima collega! Saga e Aiolos che abitano a Kurumada Road mi ha impedito di scrivere per circa dieci minuti XD Kanon è nei nostri cuori, in quello di Shura un po’ meno. (XD)

Himechan. …no, è stato Kanon ad investirlo, non io! çOç io e Shura siamo sposati, al diamine il vecchio Doko. DM potrebbe organizzare il mio divorzio (ma che sto blaterando? Gerhjkgkk fmef) XD alla prossima recensione!

Kagura92. hfbg tghe gerjkerk Eher Gerkgre Tu hai la febbre erghrkeg avrò messo troppa Doko/Sion in questo capitolo? Dettagli. È l’influsso di Stagioni e delle stagioni efghe rwgjkwerjk sei un litchi! [sapiente uso di doppi sensi <3]

Caprissima. L’utente da lei chiamato è al momento irraggiungibile, prego riprovare più tardi.

Ricklee. Ciao e grazie! Eh eh… io adoro Shura, e anche qui avrà un ruolo non ai livelli di Enigma, però… <3 a presto!

Baciotti!

Gem!

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Capitolo 4
*** Quattro ***


Nuova pagina 1

L’uke perfetto

 

QUATTRO

… urli così sono da premio Oscar.

 

Shaka aveva dormito per ben undici ore quella notte, dalla mezzanotte sino alla tarda mattinata del giorno successivo.  Quando si svegliò, ignaro della terribile verità sull’orario, scambiò un cuscino per Aiolia e si alzò serenamente, aprendo le finestre per lasciar cambiare l’aria. Strano, c’era un sacco di luce quella mattina… forse Mu il vegano aveva istallato dei riflettori in giardino?

La sveglia era caduta per terra, così lentamente Shaka si chinò per raccoglierla e la pose sul comodino. Mh… 80.11… doveva essersi rotta, peccato. Era una bella sveglia, con la sua melodia disarmonica gettava Aiolia giù dal letto in preda alla paura. O forse…

Osservò prudentemente l’oggetto. E se anziché essersi rotto, fosse solo… capovolto? No, no, insomma… le 11.08! Quando mai Shaka si era alzato a quell’ora così oscena?

 

Alle 11.20 Shaka si era già vestito, lavato, aveva sistemato il letto, gli abiti del giorno precedente, alcuni fogli sul comodino di Aiolia e aperto tutte le finestre del primo piano. Che onta essere preceduto nel risveglio da quel caotico, pigro, egocentrico scrittore, dannazione! Non era affatto normale una tale situazione, no.

Cos’era che aveva turbato Shaka sino al punto di ridurlo stremato e farlo dormire per undici ore?! Neanche un neonato avrebbe dormito così tante ore di seguito…

Raccolse due libri da terra e li poggiò su una vetrinetta prima di scendere al pianterreno per cercare Aiolia. Forse aveva fatto saltare in aria la TV. Forse si era addormentato sulla lavastoviglie. Forse stava addomesticando le tarme del cibo.

Ma quando arrivò in soggiorno e diede un’occhiata in giro, non vide altri che Camus leggere un libro sul suo divano, sereno come non mai. Si fermò davanti a lui per ricevere spiegazioni, e puntualmente Camus parlò, senza alzare gli occhi dalla pagina: «Milo e Aiolia sono andati alle poste per controllare che la ricezione ai nostri indirizzi sia valida. Prima di uscire, Aiolia mi ha chiesto di studiare qui da voi affinché potessi assisterti, dato che secondo lui non sei in perfetta forma. Sul tavolo della cucina puoi trovare un termometro, delle compresse per il mal di testa e una pomata contro le irritazioni cutanee, anche se ha detto che visitandoti non ha notato niente di insolito.»

Shaka alzò un sopracciglio.

«In caso avessi bisogno di andare al pronto soccorso, avvolgiti in una coperta calda e fatti portare in auto dal sottoscritto.» continuò a blaterare Camus, leggendo. «Testuali parole di Aiolia.»

Shaka non si mosse. Sarebbe stato intenerito da tante cure, dopotutto, se ne avesse avuto effettivamente bisogno. Ma svegliarsi così tardi non era segno di un malanno fisico, e specialmente non un pretesto perché Aiolia lo “visitasse” (s’appuntò mentalmente di dirgliene quattro, una volta tornato): era tutta colpa di Aiolos, che storcendo il collo ad Aphrodite – quel crick! – gli aveva sconvolto il sonno.

Si ricordò che con Aiolia aveva evitato di parlarne per via del coinvolgimento del fratello. Tuttavia, prima di addormentarsi, aveva formulato tre ipotesi intriganti:

-         Aphrodite era un robot proveniente dal futuro;

-         Aphrodite era un robot del presente;

-         Aphrodite era un robot proveniente da un’altra dimensione.

… ma l’aveva pensato solo perché Aiolia gli aveva detto che Kasha Juta avrebbe avuto a sua disposizione un robot capace di viaggiare nel tempo.

«Dimenticavo: sulla TV puoi trovare del tofu, Aiolia esige che tu lo mangi. L’ha assaggiato e ha detto che stranamente è buono.» aggiunse Camus, alzando finalmente gli occhi. Li sgranò, e Shaka fece altrettanto. Che diamine aveva visto Camus di così sconcertante da cambiare la sua solita maschera di impassibilità…?

«Hai…» il rosso s’indicò la guancia, tornando a nascondere il viso dietro al libro. Sorrideva. «La piega del cuscino.»

Portarsi la mano alla guancia, per Shaka, equivalse ad uno schiaffo. E se fosse stato d’indole più melodrammatica – come Aiolia – si sarebbe portato al muro per sbattere, ribattere e sbattere ancora la testa e darsi dell’emerito incapace. Certa gente (cfr. Shaina) avrebbe pagato milioni per vederlo in disordine almeno una volta nella vita (ma adesso era Camus a ridere, sebbene segretamente).

«Sulla TV non c’è del tofu.» mormorò solo Shaka. «È terriccio e concime biologico… lo stavo testando.»

Camus alzò appena un angolo delle labbra, ma non replicò.

«Ma Aiolia mangia anche di peggio.» concluse il buddista, e si sedette disorientato sul divano. Non fece neanche in tempo a riprendersi da cotanti shock, che il campanello prese a suonare ad intervalli regolari ricordandogli vagamente La Cavalcata delle Valchirie. Drin drin drriiiiin drin driiin. Senza dubbio arrivava qualche rappresentante della porzione sgradevole d’umanità.

Drin drin drriiiiin drin driiin.

Quando andò ad aprire, davanti a lui non c’era nessuno.

Drin drin drriiiiin drin driiin.

Alla sua destra, però, Kanon – riconoscibilissimo grazie un’orrida maglietta verde a righe arancioni e rosa – esaminava il campanello continuando a premerlo ancora, ancora, ancora…

Drin drin drriiiiin drin driiin.

«Il mio campanello riproduce La Cavalcata delle Valchirie.» annunciò il fratello del fidanzato del fratello del fidanzato di Shaka. «È più bello.»

Drin drin drriiiiin drin driiin.

«Posso fare qualcosa per lei?!» sibilò Shaka allontanando con un ottimo manrovescio la mano di Kanon. Questi parve esitare qualche attimo, poi uscì dalla tasca una busta.

«Da parte di Rhadamantys per lo scrittore.» rispose altezzosamente Kanon, ancora infastidito da Aiolia al punto di non chiamarlo nemmeno per nome. «Ha letto il suo manoscritto.»

Shaka si sporse verso la busta, ma Kanon portò indietro la propria mano.

«Al momento non è in casa.» disse cauto Shaka. «Può lasciarla a me.»

«No.» replicò Kanon. «Informazioni riservate.»

D’accordo Shaka, oggi evidentemente non è una giornata adatta per i rapporti interpersonali…

«Non leggerò a-»

«ARF ARF!»

No, non era Kanon ad abbaiare (anche se Rhadamantys poteva giurare di averglielo visto fare), ma un alano colossale che correva dal giardino di Mu e Aldebaran sino… sino…

Sino alla porta di casa di Shaka.

«Fuffi, bel cagnolino!» esclamò Kanon tentando di fermare la sua folla corsa. Non solo col suo vano tentativo fu gettato per terra, ma lasciò il cane libero di entrare dalla porta da cui, giustappunto, Shaka si era spostato per non essere investito in pieno.

«ARF AAARF!»

Un cane in salotto.

Un cane in cucina.

Un cane in casa!

Shaka si precipitò dentro per salvare almeno il piano superiore, ponendosi davanti alle scale a mo’ di ostacolo, ma l’alano anziché tornare indietro virò verso il soggiorno e un boom terrificante giunse sia alle orecchie del padrone di casa, sia a quelle di Kanon che vagava per il corridoio senza autorizzazione.

«Il libro NO!» si udì ancora. «A cuccia!»

Quando Shaka e Kanon s’affacciarono alla porta del soggiorno, non si aspettavano di vedere Camus disteso a terra, prono, mentre tentava di salvare il proprio libro dalle fauci del cane, che gli sbavava indecorosamente sulla faccia e lo sovrastava.

“Milo, un cane mi ha molestato.”

“… dimmi chi e lo faccio fuori.”

“Un danese.”

“… quei monarchici del c–!”

Fu allora che Kanon compì un gesto eroico, allungando la busta di Rhadamantys verso il cane, e invitandolo: «Vieni qui, micio micio micio!»

Troppo faticoso anche solo replicare che era un cane, per il povero Shaka: vide l’alano scagliarsi sulla mano dell’uomo e mangiarsi – lacerando, sbavando, mordendo, e poi sbavando ancora – la lettera che il Lord aveva scritto per Aiolia. Kanon ne approfittò per afferrare il guinzaglio rotto del cane e tenerlo a bada, mentre Camus si tirò in piedi come avrebbe fatto un gatto stizzito e si strinse il libro al petto, sconcertato.

«Di chi è…?» soffiò, e se avesse potuto avrebbe gonfiato il pelo.

«Questo è Fuffi, il cane di Mu.» rispose Kanon abbassandosi ad abbracciare l’alano, che subito gli leccò il viso. «Non pensavo che l’avesse riportato in città. Sapete, è stato in campagna alcuni giorni per…»

«Fuffi. Un. Corno.» soffiò ancora Camus, lasciando il libro su un tavolo. Afferrò il laccio rotto dalle mani di Kanon e tirò – prudentemente – il cane, aggiungendo: «Mu è passibile di denuncia. Denuncia.»

Camus sarebbe stato un gatto perfetto. Shaka notò che ogni volta che il cane si avvicinava troppo, Camus si scostava e alzava il labbro per mostrare il canino. E Kanon continuava a carezzare la testa di Fuffi cercando di tranquillizzarlo, ricevendo in cambio una leccata maestosa alla mano.

… in cucina Shaka s’attardò a prendere una compressa per l’emicrania.

Seguì i due controvoglia, mentre Camus sibilava incollerito: «L’alano è una razza pericolosa. Se avesse ferito qualcuno…»

«Ha solo rotto il guinzaglio.» notò Kanon.

«Ininfluente.» Camus bussò due volte alla porta di Mu, ma questa era aperta e si dischiuse. «Negligenza del padrone.»

L’alano si dimenò e Camus fu costretto a lasciarlo andare, sparendo per chissà quale stanza della casa. Ma l’irritato non era per nulla disposto a rimaner indifferente alla questione, giacché chissà quante altre persone avrebbero potuto patire dolori come i suoi per colpa di quella bestia!

«C’è nessuno?» soffiò Camus avanzando all’interno. Al diamine la proprietà privata! Era stato aggredito da un danese!

Shaka sbirciò nella sala da pranzo. Era vuota.

«Forse Mu è di sopra.» ipotizzò Kanon, avvicinandosi alle scale. Pose il piede sul primo gradino, aggiungendo cauto: «Vado io, voi perlustrate il pianterreno. Avvertitemi con un fischio se vedete il nemico!»

Shaka impallidì. Perché ogni disgrazia possibile capitava a lui e non ad Aiolia, per esempio? Aiolia era uno scrittore, no? Gli scrittori subiscono le angherie di tutti, ma perché Aiolia faceva eccezione? Perché il suo computer contenente gli scritti non veniva mai colpito da un missile terra-terra? Perché la sua mente non esplodeva – anzi implodeva, era più scenografico – cancellando ogni pensiero?! Perché?!

Camus arcuò le labbra.

«No, salgo io.» decise. Stava per affiancare Kanon sulle scale, quando un urlo – “ aaaaah”, non di dolore, no, ma quelli vogliosi, lussuriosi, sconci che tutti e tre i pellegrini conoscevano – ruppe il silenzio della casa.

Camus scattò in avanti, puntellando i piedi per terra (le sue pupille verticali si sono ridotte a due fessure perché lui è Catman! Aiolia so dire le stupidaggini!); Kanon aprì la mascella talché dire che arrivava al pavimento non fosse più un’iperbole; Shaka…

Beh, Shaka pensava.

Pensava a quant’era bella la vita, perché un uomo nasce ingenuo, vive imparando e muore istruito, e in tutto questo tempo ama, odia, si ferisce, sorride, piange facendo tesoro delle sue esperienze. Forse era lui “sbagliato”, perché cercava di non mostrare agli altri le sue emozioni, o forse era semplicemente troppo distaccato per permettere un’analisi più dettagliata del suo carattere.

Pensava e pensava e pensava, e i suoi occhi diventavano così vuoti da apparire sotto ipnosi.

Pensava e pensava e pensava, e qualcuno urlò di nuovo.

Kanon si portò entrambi le mani alla bocca, rosso il viso: trattenere le risatine fu difficilmente inutile. Persino Camus parve vagamente imbarazzato, sebbene il viso fosse indifferente come sempre e l’unico dettaglio fuori posto fosse il respiro più accelerato.

Shaka, piamente, congiunse le mani.

«Faremmo bene ad allontanarci.» osservò. «Subito.»

AAAAHHHH.

AAAAHHHH.

«È Mu.» bisbigliò Kanon, indietreggiando. Distratto, sbatté contro un mobile e fece cadere due telecomandi, così il televisore della stanza si accese all’improvviso. «Quattro urli così sono da premio Oscar. Io… Aldebaran è prestante, sì, ma io non…»

“… capisco che diavolo sta facendo a Mu per farlo urlare come un agnellino.” il pensiero era intuibile.

«Neanche io.» concordò freddamente Camus.

Shaka non si lasciò trasportare dal discorso. Ripeté: «Andiamo via.»

Aveva ancora la bocca semiaperta quando il grido più intenso di tutti, d’una limpidezza troppo esagerata per appartenere ad una voce umana, d’una lunghezza esorbitante da infrangere ogni guinness mai registrato, sorprese il gruppo.

Cinque. Dieci. Quindici Secondi. E non solo: venti, trenta. Un minuto.

Kanon rimase a bocca aperta. Per aspera ad astra sarebbe divenuto da allora il suo motto, ah… per arrivare alle stelle occorrono molte difficoltà! I Romani lo sapevano già, che gran simpaticoni! E dai Romani di Kanon si passa all’Hector di Camus, che poteva passare per poema o melodramma (Questa è la storia di un uomo omofobo / ignaro di Mu e delle sue grida, strano / imparar dovrà per divenir probo / che ognuno è come il bifronte Giano), o semplicemente come pensiero sconnesso e sconclusionato.

Shaka fu il primo a riprendersi. Raccolse i telecomandi da terra e iniziò a premere i tasti per spegnere la TV e scappare da quella casa di perdizione.

Gli altri due furono invasi dallo stesso sentimento: gli si accalcarono vicino e schiacciarono più pulsanti che poterono, bisbigliandosi solide frasi di unione quali “maledetto cane danese”, “muori televisore, muori”, “vi proibisco di metter piede in casa mia da oggi”.

«Perché non si spegne?!» esclamò Kanon, visibilmente agitato.

«Mi andresti a prendere dell’acqua, Mu?» la voce proveniva dal piano di sopra.

«Certamente.» rispose quello.

Mentre i tre smanettavano ancora sui telecomandi (Camus era arrivato a sbatterne uno sul petto di Kanon), Mu iniziò a scendere le scale. Ancora qualche passo e li avrebbe visti, se non…

Se non si fosse immobilizzato.

«Questo telecomando dev’essere del videoregistratore!» osservò Kanon, premendo play.

… e Mu tornò a scendere le scale.

«Fa lo stesso.» sibilò Camus, e schiacciò caparbiamente il tasto rewind.

… e Mu camminò all’indietro.

«Questo non funziona, sciocchi!» s’intromise Shaka, togliendo il telecomando sbagliato dalle loro mani. Nell’azione, premette più tasti contemporaneamente: si udì un frastuono provenire dalle scale, perché Mu era rotolato per terra.

Fuggire dalla finestra divenne un’amorevole abitudine.

 

Aiolia sgattaiolò ad una riunione speciale del club dei seme verso le nove di sera. Dopo aver accertato che Shaka fosse in perfetta salute (a parte una forte emicrania che secondo lui era solo una scusa, tsk!), aveva deciso di accettare l’invito del fratello.

“Sì… buona idea! Oh, d’accordo… non fa nulla, fratellone! Che bello, vengo subito!” trillava tutto felice al telefono, mentre Shaka lo inceneriva con lo sguardo. “Davvero parlerete anche del mio libro? Che bello!”

Così si ritrovò seduto tutto gongolante su un divano accanto a Rhadamantys, che sorseggiava una tazza di tè nonostante l’orario e annuiva composto alle parole degli altri presenti. Poco dopo avrebbe parlato proprio lui in merito al racconto inedito di Aiolia, che era stato letto in apertura di assemblea dal fratello Aiolos.

«… mi ha toccato profondamente. Complimenti Aiolia!» sorrise Aldebaran, applaudendo, e con lui gli altri presenti. Solo un uomo non applaudì, ostinato, perseverando a giocare con il cellulare: Kanon. Rhadamantys, che lo aveva di fronte, gli diede un colpetto sul piede per smuoverlo, ma fu inutile.

Quel giorno Kanon aveva esagerato. Fiduciosamente, il critico l’aveva mandato a casa di Aiolia per recapitare UNA lettera, sperando che sarebbe tornato in breve tempo sano e salvo. E invece gli si era ripresentato sporco di terriccio e bava, con una scusa che lasciava molto a desiderare: “Rhada, hai presente quella lettera, sì… quella che dovevo dare allo scrittore scemo? Purtroppo sono stato rapito dagli alieni, che mi hanno denudato e ripetutamente stuprato sulla loro astronave! Io però non volevo, credimi, ti sono stato fedele fino all’ultimo! Ecco, ricapitolando… in questo tafferuglio la lettera è caduta sotto il freno a mano della loro astronave e non ho potuto consegnarla.”

Really?” aveva chiesto Rhadamantys, chiudendo biecamente un libro.

“Sì.” il bello era che il viso di Kanon appariva sincero. Roba da matti. “Erano alieni di razza grigia.”

«Prego, Lord Rhadamantys.» disse allora Aiolos, dandogli l’opportunità di parlare.

Il critico posò elegantemente la tazzina sul tavolino, alzandosi in piedi e approfittandone per togliere dalle mani di Kanon il cellulare. Ignorò i suoi lamenti contrariati.

«Grazie. Ho avuto modo di leggere questo racconto con più attenzione e il mio primo pensiero ha riguardato la notevole scorrevolezza dello stile dell’autore. Fa uso di accorgimenti ed espedienti con grande abilità.» commentò subito, le orecchie di Aiolia tese e interessate – nonché tronfie. «Complimenti.»

Aiolos applaudì, orgoglioso.

«Splendido anche l’inserimento di citazioni poetiche.»

L’applauso aumentò, Aiolia abbassò lo sguardo mentre avvampava di un rosso fiammante.

«Il riferimento a Baudelaire era sublime.»

Nel rumore generale rimbombò uno strano “buuuu”. Rhadamantys sgranò gli occhi.

«A me non è piaciuto, l’ho trovato fuori luogo.» replicò Kanon, risoluto. Al contrario di quanto si aspettava il critico, il commento del fidanzato non sembrava dettato dalla stupidità. Aiolia sobbalzò.

«Parla pure, Kanon.» fece Aiolos, gettando un’occhiata perplessa al Lord e al fratello.

«Non ho capito perché ha inserito quel riferimento.» Kanon accavallò le gambe, alzando il mento. «In questo modo ha enfatizzato un concetto già troppo evidente e l’ha reso quasi fastidioso, mentre nel resto del racconto è pressoché assente.»

… perché Kanon era come una spugna: ogni cosa che ascoltava finiva nella sua cultura.

E il mestiere di Rhadamantys non faceva eccezione.

«Questo è ciò che penso, perdonate la franchezza.» concluse. Rhadamantys rimase immobile a fissarlo, incerto se elogiarlo per il commento o trucidarlo per averlo fatto apparire ingenuo; ad Aiolia si spezzò il cuoricino, già abbastanza provato, e persino Aiolos tentennò sul da farsi.

Fu un gruppo di uomini in silenzio ciò che due occhi azzurri scorsero dalla finestra, saettando rapidi sui presenti. C’erano tutti, sì… Kanon, Aiolos, Aiolia, Milo, Rhadamantys, Death Mask, Shura, qualcuno che non conosceva… mancava Doko: evidentemente lui e Sion erano già tornati nella loro città. Molto bene.

Il misterioso scrutatore si allontanò dalla finestra del pianterreno e s’aggrappò al sostegno su cui si abbarbicava una bella pianta di edera: sembrava abbastanza forte per sorreggere 68 chilogrammi di persona.

Shaka si compativa.

Introdursi in case altrui per far luce sulla vicenda di Aphrodite era qualcosa che non avrebbe mai immaginato. Mai. Mai mai mai. Quando viveva a Chicago era più sereno, cielo, mille volte più sereno nonostante il fardello dei bambini urlanti. Riusciva persino ad essere orgoglioso e a volte superbo, mpf, i vecchi tempi!

Si spostò su un cornicione. Era abbastanza largo per camminarvi sopra e il suo amore per lo yoga gli permetteva di essere sia agile sia cauto mentre lo percorreva affidandosi al suo provvidenziale equilibrio. Aveva adocchiato una finestra semiaperta: la schiuse ancora, infilò una gamba e si lasciò cadere dentro.

Il suo piano prevedeva tre importanti parti. Primo, origliare la riunione dei seme e carpire informazioni utili. Secondo, controllare nello studio di Aiolos se vi fossero attestati di primo soccorso o specializzazioni in robotica (che diamine aveva fatto ad Aphrodite, insomma?). Terzo, cercare varie ed eventuali.

Il tutto senza farsi scoprire né dai seme, né da Saga, che probabilmente era al piano superiore.

Così, quando Shaka entrò nella stanza, reputò un ottimo segno il fatto che quello dormisse beatamente davanti a lui. Con passi felpati, costeggiò il letto e s’avviò alla porta.

«Los, mh… mi fai i grattini?»

Shaka sobbalzò dalla testa ai piedi. Si fermò all’improvviso e il suo cuore perse un battito quando Saga, voltandosi di scatto, bloccò la mano che teneva più vicina al letto.

«I grattini…»

Saga si tirò la mano di Shaka sul collo e sospirò contento non appena avvertì la pressione delicata delle unghie. Il buddista benedì l’oscurità totale… e maledisse la propria mano, costretta ad assecondare le voglie di Saga. Lentamente rarefece i grattini (non li faccio neppure ad Aiolia, maledizione!)… con l’altra mano rimboccò le coperte (che… che…)… zompò – letteralmente – alla porta.

Lasciata la stanza da letto con un sospiro di commozione, avanzò lungo il corridoio con le spalle alle pareti. Non vedeva assolutamente nulla. Solo un debole bagliore proveniva dalle scale, ma non poteva fare passi azzardati in quella casa – la casa del sindaco, tra l’altro.

E poi, tutto s’eclissò in un mondo di luce: le lampade del corridoio erano state accese. Shaka si voltò e saltò per tornare nella camera in cui dormiva Saga, ma una mano lo bloccò al polso. Per lui era finita. Sarebbe morto in prigione. Avrebbe passato il resto dei suoi giorni maledicendo Yaoi City.

«Che ci fai qui?» esclamò una voce molto conosciuta. «Se ti scoprono si arrabbiano, sai?»

Per una volta, la presenza di Kanon non indicava sciagura. Shaka ne fu quasi felice!

«devo sapere delle cose.» bisbigliò. «Non osare dire di me agli altri.»

Kanon alzò le spalle. «Non vedo perché dovrei, sto andando al bagno. Piuttosto… Aiolia e Milo stavano tornando a casa. Aiolia dev’essersi dispiaciuto per il mio commento…»

Shaka sgranò gli occhi. A casa?! Dove si sarebbe dovuto trovare? Se Aiolia non l’avesse visto nel letto avrebbe… avrebbe… avvertito la polizia era poco.

«Torna di sotto e bloccali!» soffiò spingendo Kanon verso le scale. Il povero gemello scivolò per un paio di gradini prima di voltarsi per spiegazioni, ma quando poté farlo non vide altro che una porta socchiudersi. Certa gente! Invece di ascoltarlo, andò in bagno.

In camera Saga volle di nuovo i grattini, ma Shaka ignorò vistosamente le suppliche dell’uomo. Uscì dalla finestra, si gettò sull’albero vicino (temeva che sui sostegni potesse esser visto) facendo ricorso a tutta la sua agilità e si calò a terra da un ramo. Solo allora si rese conto che aveva rischiato la vita.

Mentre correva svelto oltre il giardino della casa, notò che Aiolia e Milo si stavano avvicinando all’auto di quest’ultimo. Calcolò col cuore in gola quale velocità dovesse tenere per precederli: 100 chilometri orari.

Buddha, perché?!

Scavalcò una recinzione e finì sui nani da giardino di qualcuno. Che usanza barbara! Il ginocchio pulsò di dolore… il primo livido era dovuto ai nani, non alla scalata di una casa o al salto su un albero! Ridicolo!

Continuò a correre, era sudato come un pulcino. Urtò i panni stesi in un altro giardino, e mentre si districava da mutande e canottiere vide con la coda dell’occhio la macchina di Aiolia e Milo superarlo. No! No! Non poteva succedere!

C’era solo un modo per bloccarli. Lo attuò con un sangue freddo impareggiabile.

Non appena l’auto rallentò per un incrocio, Shaka vi corse dietro e aprì il portabagagli, rotolando subito dopo sul marciapiede opposto. Rotolando, sì, gettandosi a terra e lasciandosi trasportare dalle curve del terreno, cercando di non farsi scorgere dai due perplessi uomini che erano scesi dall’auto.

Si rialzò, i capelli ingarbugliati, la maglietta infradiciata – era finito anche in una pozza d’acqua; riprese a correre, ormai vicino a Manga Street, saltò un’altra staccionata: eccolo nel suo giardino.

Entrò a casa dal retro quando ormai l’auto si fermava all’ingresso principale, lasciando scendere Aiolia, e salì i gradini sentendo la porta di casa chiudersi.

Non c’era tempo per darsi una pulita, non c’era tempo per infilarsi una parvenza di pigiama! Al buio si sfilò la maglietta, la lanciò nel bagno, scalciò le scarpe di ginnastica sporche dietro una porta – Aiolia faceva tap, tap, tap sulle scale.

Chiuse la porta della camera e si gettò sul letto. Troppo tardi… Aiolia entrò.

Un po’ abbattuto per l’osservazione di Kanon, ma ciò nonostante grato per la critica, scorse la figura di Shaka in ginocchio sul letto, illuminata dalla luce della Luna piena. Pensava che fosse già addormentato, e invece era stato così premuroso da aspettarlo. Accese la luce.

La spense.

La riaccese.

Shaka aveva i capelli completamente spettinati, era a torso nudo e indossava un paio di jeans aperti. Cosa più importante, stava per spiccare un balzo dal letto.

Prima di essere aggredito da un voglioso Shaka (che in realtà si stava solo salvando la pelle), ebbe il tempo di dire: «Sono andato via un po’ prima…»

Poi, la bestia che era in lui ruggì. Povero Shaka.

 

Kanon tornò al pianterreno dopo esser stato in bagno e aver infastidito Saga nel sonno. Voleva i grattini, il bell’addormentato: per tutta risposta il gemello gli aveva puntato la sveglia alle tre di notte. Dimostrazione di affetto.

Ma, aprendo la porta del soggiorno in cui prima tutti si trovavano, non vide più nessuno. Il tè che Rhadamantys stava bevendo era ancora sul tavolo, il racconto di Aiolia sparpagliato sulle sedie… si spostò nei corridoi del pianterreno, chiedendosi se tutti se ne fossero andati via senza avvertirlo. Sbirciò fuori dalla finestra: le macchine tuttavia erano ancora lì, Mercedes di Rhadamantys compresa.

Notò che le luci dell’atrio erano accese. Percorse l’intero corridoio sospettoso, immaginando che da un momento all’altro i presenti sarebbero potuti sbucare fuori per spaventarlo: tsk, che stupidi, Kanon non era tipo da gridare terrorizzato per una sorpresa.

Nell’atrio c’era solo Rhadamantys, ma gli dava le spalle. Guardandosi intorno, Kanon lo raggiunse e gli pose una mano sulla spalla.

«Dove sono andati gli altri?» chiese.

Rhadamantys non rispose. Teneva il capo chino.

«Rhada?» lo chiamò. «Tutto bene?»

«Kanon, fratellino. Cosa ci facevi nella mia camera?»

Kanon sobbalzò e si voltò. Sul corridoio era comparso Saga, a braccia conserte ed espressione indecifrabile. Non gli sembrò neppure di riconoscerlo, tant’era strano il sorriso che gli percorreva il viso.

«Uno scherzo, no?» rise spavaldo Kanon, tentando di alleggerire la situazione. La casa era terribilmente silenziosa e Rhadamantys, dandogli le spalle, non faceva che accrescere la sua inquietudine.

«In effetti tu, Kanon, sei sempre stato propenso per un comportamento più sfacciato e arrogante rispetto a Saga.» la voce di Aiolos arrivò da un altro corridoio, diametralmente opposto a quello dov’era l’altro gemello. «Per nulla adatto ad un uke.»

Kanon si accorse di essere stato accerchiato. Sulla porta d’ingresso s’erano disposti Aldebaran e gli altri che poco prima si trovavano alla riunione, mentre Aiolos e Saga bloccavano il passaggio ai corridoi. E, purtroppo, alle spalle aveva una parete.

«Cos’è, una vendetta? D’accordo, sono stato maleducato.» ammise avvicinandosi a Rhadamantys. «Rhada, non c’era bisogno di organizzare tutta questa farsa…»

Aiolos si avvicinò velocemente a Kanon, fronteggiandolo. I suoi occhi solitamente limpidi apparivano minacciosi.

«Allontanati.» sibilò Kanon, afferrando il braccio del fidanzato. «Noi ce ne andiamo.»

«Mi dispiace, fratellino… non puoi ancora andartene.» sogghignò Saga, appoggiandosi allo stipite della porta. «Tra qualche minuto, forse sì.»

Kanon stava per voltare a forza Rhadamantys, quando una mano di Aiolos si portò rapidissima sulla sua nuca. Fu un istante, fu solo una lieve pressione: la vista gli si appannò e le gambe cedettero. Se fosse stato cosciente, si sarebbe accorto che Rhadamantys lo aveva afferrato prima che rovinasse a terra, con un’espressione al limite tra il rammaricato e l’impassibile.

 

Shaka si passò un dito sul braccio latteo. All’altezza dell’incavo del gomito c’era l’impronta di un morso in rosa più scuro, e ce n’era un altro un po’ più su… e un altro ancora sul polso. Tutto ciò indicava con vivida precisione cos’era successo quella notte per terra, sul letto, sul muro.

E poi di nuovo sul letto.

Andare a casa di Aiolos era stata una pessima idea. Non aveva avuto il tempo di scoprire alcunché e, purtroppo, era stata la causa di quella notte ai confini della follia.

Un cuscino si era sbrindellato e pulire la stanza da tutte le piume era stata un’impresa titanica. Per non parlare di un comodino, che si era rovesciato, e di un quadro che era caduto per terra, col vetro infranto sul tappeto pregiato.

Così s’era rifugiato sotto il suo gazebo, infilando il naso in un libro che non sapeva neppure di possedere e sorseggiando dell’infuso in evidente stato di shock. Poco dopo, Camus s’era avvicinato dal proprio giardino e silenziosamente aveva preso posto accanto a lui, con i soliti libri per studiare.

E la fatidica domanda: «Shaka, ti sei fatto male al braccio?»

«Una reazione allergica.» rispose abbassando il dito. «Una nuova qualità di pomodori.»

«Capisco.» replicò Camus, poco convinto.

Tornarono ognuno ai propri libri. Milo, intanto, aveva preso delle cesoie e stava rifinendo alcuni cespugli nel proprio giardino, mentre di Aiolia non si avevano tracce – dormiva.

«Volete pranzare da noi?» domandò ancora Camus.

«Volentieri.» Shaka sfogliò il libro. «Se Aiolia si svegliasse, accetterei volentieri.»

«Buongiorno, Aiolia è in casa?»

Camus alzò per primo lo sguardo. Sul vialetto, un uomo biondo e vestito elegantemente attendeva una risposta con compostezza e pazienza. Anche Shaka lo guardò, riconoscendo nella figura raffinata… nientemeno che l’uomo a cui aveva fatto i grattini. Prese un respiro.

«Signor Saga, temo che Aiolia sia ancora addormentato.» lo informò, lasciando il proprio libro sulla sedia e raggiungendolo. «Posso esserle utile?»

Il gemello sistemò il colletto della camicia, che s’era inavvertitamente piegato durante la camminata, e scosse la testa.

«No, non sono Saga.» sorrise. «Riconoscermi è così difficile, miei cari amici uke?»

E sia Shaka sia Camus sgranarono gli occhi.

«Io sono Kanon.» specificò.

La sua voce era priva dell’accento provinciale che l’aveva sempre contraddistinta. I suoi abiti erano eleganti e belli a vedersi. E infine…

«Chiedo venia, forse arrivo in un momento inopportuno. Passo più tardi, scusatemi ancora.» salutò allontanandosi.

… il suo atteggiamento era mostruosamente cortese.

Il libro che Camus reggeva cadde a terra.

 

 

 

 

Aiolos ha la fissa del collo. Ops.

Zamina. Ecco perché mi serviva il nome di un cane, ricordi? XD Fuffi! Mamma posso portare anche Fuffi? Fuffiiii! *cade*

Sakura2480. Ciao! Eh sì povero Shaka… e dire che le disgrazie per lui non sono ancora finite! XD

Cry_chan. Aphrodite è sconcertante, sì, ma mai quanto Kanon composto come un Lord. Shaka ha visto cose tremende nella sua vita. XD

Regina di Picche. Dhdjsjajbwsjawbj ejjwb sjjwb hai visto come Kanon tratta Aiolia, eh? Lui sì che è bravo edieheownei ejuebejowb!!! <3

Ricklee. Grazie mille cara! Continua a seguire, non te ne pentirai XD

Fra76. Shura? Eh eh… chi lo sa… ma presto tornerà con un ruolo importante! ;)

Sagitta72. Grazie! Camus è così adorabile <3 non è affatto freddo, gh. È tanto buono e polpettoso (?)

Spero di aver scritto qualcosa di comprensibile, qua sopra. Ma è difficile.

A presto,

Gem!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Cinque ***


L’uke perfetto

 

CINQUE

… centimetri sono meglio di cinquanta.

 

«Aiolia, Milo, è la verità.» mormorò Camus, sedendosi al tavolo della propria cucina. «Dev’essere successo qualcosa a Kanon Valiant. Era vestito distintamente, parlava con garbo ed era troppo cortese.»

Shaka gettò un’occhiata alla finestra. Faceva abbastanza caldo, ma nessuno si era premunito di aprirla e a regolare la temperatura ci pensava un condizionatore posto dall’altra parte della cucina.

«Così non vuoi mangiare fuori perché pensi che stia succedendo qualcosa di strano?» Milo parve piuttosto contrariato, mentre si versava dell’acqua. «Bah. Buon pranzo.»

«Forse Saga l’ha obbligato a comportarsi bene.» tentò con un certo astio Aiolia.

Ma Shaka, che non vedeva di buon occhio la situazione, allontanò da sé il piatto e lanciò un’occhiata innervosita al fidanzato. Yaoi City non era quella bella città che avevano immaginato.

«Ricordi Ines Olere del tuo romanzo?» sibilò, coinciso e rigido. «Ricordi che fine fa?»

Milo alzò un sopracciglio e incrociò Camus, altrettanto perplesso. Tuttavia, Shaka non diede il tempo di replicare nemmeno ad Aiolia e proseguì.

«Decide di cambiare perché si sente diversa. Lei è così ingenua, fiduciosa, ma decide di mostrarsi arrogante e spavalda per farsi piacere. Bene, a questo punto si uniforma con quel mondo in cui vive: la volevano in un modo, e lei si è adattata.»

Milo tossì. «Shaka, ma che c’entra?»

«Aspetta, Milo.» gli rispose Aiolia, preoccupato. Spostò gli occhi ancora su Shaka e abbassò la forchetta, quindi continuò per lui. «Ines si sente un leone. Ha tutto e tutti, ma questa sua condizione di superiorità finisce inevitabilmente per stancarla.»

«Sono gli altri che decidono la sua vita. Quelli le danno un carattere, e lei…»

«Lei muore.»

Cadde il silenzio. Camus fermò la mano a mezz’aria, Milo inforcò un pezzo di cibo e Aiolia sospirò. Già, come dimenticare il romanzo che aveva scritto proprio lui?

«Ma perché Kanon dovrebbe uniformarsi alla massa e morire?» s’intromise Milo. «Non avrebbe senso. Mi è sembrato un tipo così orgoglioso…»

«No, Milo.» fece allora Aiolia, grave, che aveva capito fin troppo. «Sai anche tu che Ines non muore fisicamente.»

Camus allora abbassò la forchetta. «Muore l’anima di Ines. È così plagiata, che si ritrova vittime di turbe psichiche, totalmente incapace di intendere e di volere. Gestita dagli altri, fa quello che le viene detto.»

Shaka, a quel punto, gettò un’occhiata tagliente ai tre. Il concetto era lampante, tantoché esporlo sarebbe stato superfluo. Prese la parola Milo che, piuttosto scettico, abbassò la forchetta e scosse la testa.

«Sentite, mi sembra alquanto strano che in un giorno Kanon cambi per mano altrui. Neanche l’elettroshock darebbe simili risultati!» esclamò, poco convinto. «Vogliamo avventurarci nel paranormale o nella fantascienza poi? Se è così…»

L’affermazione di Milo in effetti era la più sensata di tutte, ma Aiolia, caparbio, rifletté ancora su Kanon.

«Ieri sera era tranquillo, anzi, più pimpante del solito.» mormorò, nervoso. Il cibo che giaceva sulla tavola, intanto, era diventato un puro ornamento, giacché nessuno pensava a mangiarlo. «Pensate che abbia sbattuto la testa? O si tratti di un caso di possessione?»

«Possessione?» ripeté Camus, ma Shaka intervenne contrariato: «Non credo che si tratti di paranormale.»

Aiolia tentò ancora: «E se fosse ossessione? Spiriti che comandano la mente senza impossessarsi del corpo?»

«Aiolia.» lo richiamò Milo, sbuffando. «Quanto Ghost Whisperer hai visto ultimamente?»

L’osservazione fece sorridere appena lo scrittore, che finalmente portò alla bocca del cibo.

«Tuo fratello è in casa? Perché non lo chiami, più tardi?» provò Shaka. «Fatti dire cosa è successo quando siete andati via ieri sera. Forse Kanon si è sentito male.»

«Posso provare.» propose Aiolia, continuando a mangiare. «Lo chiamo appena finiamo.»

 

Ore 15.15. Così segnava l’orologio della stanza in cui Camus studiava, bivaccato su un divanetto e attorcigliato a Milo, che s’era addormentato. Faceva caldo, ma le finestre della casa erano rigorosamente chiuse. Non perché rotte, non perché c’erano ladri, ma perché Yaoi City assumeva sempre più velocemente tinte losche e misteriose.

Chiuse il libro e lo poggiò su un tavolino vicino. Non aveva sonno, altrimenti avrebbe appoggiato la testa su Milo e avrebbe detto momentaneamente addio a Yaoi City, a Kanon e a ogni mistero che pareva aleggiare tra uke e seme.

Facendo ben attenzione a non disturbare il fidanzato, si sollevò in piedi e scese dal divano, silenzioso. Ancora nessuna notizia da casa di Aiolia e Shaka, che dovevano chiamare il sindaco Aiolos per chiarimenti. Forse non era a casa, né raggiungibile al cellulare.

Vittima di questo pensiero, Camus si avvicinò a una finestra e gettò un’occhiata fuori. Oltre al giardino, qualche sporadica macchina percorreva il viale e scompariva oltre l’isolato, e solitari viandanti portavano a spasso i propri cani.

Attendere troppo era inutile. Si sentì così curioso da mettersi una visiera in testa e scrivere, di getto, qualche parola per Milo, prima di uscire per le strade minacciose di Yaoi City e indagare sulla vicenda.

A me gli enigmi non piacciono. Ci vediamo più tardi.

Raggiunse la strada e si girò la visiera per coprirsi dal Sole. Avrebbe fatto meglio a spalmarsi di crema solare per colpa di quella sua pelle lattea, ma tornare in casa avrebbe potuto svegliare Milo e far sparire ogni proposito di indagine.

Si ricordò di quel malintenzionato a cui aveva dato un pugno. Evidentemente oltre a seme e a uke c’era una categoria di imbecilli. Quanto poco amava le classificazioni! E frasi stupide che si udivano regolarmente a Yaoi City.

Chi sarà mai l’uke con i fiocchi? Su, decidiamolo!

L’uke con i fiocchi, sì. Al primo fiocco in testa, Camus avrebbe compiuto persino un deicidio.

Mi piacciono gli uke carini ed effeminati! Delicati e kawaii!

Cazzo vuol dire kawaii?! Camus non sapeva che lingua fosse, ma per le strade di Yaoi City era un cult.

Gettò un’occhiata verso il giardino di una casa. Non sembrava esserci nessuno, e nemmeno dentro casa c’era una parvenza di vita. Forse gli uke e i seme s’erano riuniti un’altra volta? No, no. A quest’ora Aiolos avrebbe fatto venire subito Aiolia a casa sua, e Aiolia disperato avrebbe trascinato Milo.

«Voltati pure ma non prendermi a pugni.» fece allora una voce seria, mentre Camus trasaliva. Non dovette neppure attendere troppo prima di capire chi fosse: si volse velocemente e indietreggiò, riconoscendo la voce e l’aspetto dell’uomo “maniaco”.

Dare un altro pugno era inutile, visto che il viso di quello era già abbastanza compromesso. Strinse i denti e cercò di tenere un’espressione maligna, ma il maniaco indietreggiò di qualche passo e alzò le mani.

«Shura Xavier.» si presentò, la voce rigida. «Ascolta, quello che è successo…»

Come risposta, Camus ignorò sia la presentazione sia il principio di discorso e si avviò nella strada, scostandosi con un colpo secco i capelli dal collo. Non temeva niente, dopotutto replicare a un’aggressione sarebbe stato automatico e in una città silenziosa come quella un urlo avrebbe attirato l’attenzione.

Ah, quanti futili pensieri.

«Io vi sto proteggendo.» sparò allora Shura gravemente, balzando davanti a Camus. Lo fece persino sobbalzare, perché l’espressione sembrava convinta delle sue parole e gli occhi sinceri. «A te e a quello biondo. Sapevo che per Kanon era una battaglia persa in partenza, ma…»

«Kanon?» s’incuriosì allora Camus.

«Come può interessarti Kanon, quando la tua incolumità è in pericolo?» domandò allora Shura, sconvolto.

Con uno sibilo innervosito, il rosso girò l’angolo e si volse a guardare l’uomo, pallido almeno quanto lui. Forse per paura? Certo che Yaoi City era una città di pazzi. Mancavano solo le groupie che andavano dietro a una o più coppie preferite.

«Ci sono forse tanti seme cattivi che vogliono stuprarmi?» chiese sarcasticamente, le labbra appena curvate in un sorriso di sfida. «Uke invidiosi ansiosi di strapparmi i capelli?»

Shura sgranò gli occhi.

«Forse in questa città è possibile.» aggiunse infine. «Dopotutto gli uke devono avere le ciglia lunghe e i seme la pelle abbronzata, no?»

Pago del discorso, Camus abbozzò uno sguardo tronfio e alzò le spalle. Quel che aveva detto, in effetti, era giusto: Yaoi City, perdoni il lettore la mia intrusione, è una città mille volte più stramba della multiculturale Babilonia. E mi perdoni ancora, se riporto la reazione tragicomica di Shura con oggettività.

«Mio Dio, devi tornare a casa.» gli ingiunse, afferrandolo per un braccio. Subito Camus fece per liberarsi, ma Shura lo bloccò con entrambe le mani e gli soffiò, a poca distanza dal viso: «Hai visto quello che è successo a Kanon? Scappa prima che sia troppo tardi! Dietro al volto di un angelo si nasconde un demone!»

Camus dischiuse le labbra, indietreggiando. Riuscì a farsi lasciare, ma adesso il suo intento era quello di far parlare ancora Shura e fargli raccontare la verità. Evidentemente sapeva tutto, ma era restio a rivelarlo.

«Chi ha il volto di un angelo?» domandò, curioso. «Kanon?»

Urtò contro il cofano di una decappottabile, parcheggiata male sul marciapiede. Tuttavia non se ne curò e continuò a fissare Shura, che sembrava diventare pallido secondo dopo secondo. Lo vide balzare in avanti, poi si sentì strattonato all’indietro da due braccia e i suoi riflessi non furono sufficienti per liberarsi.

Una mano gli puntellò sul viso un panno bagnato. Dapprima tentò una gomitata, ma quando incrociò gli occhi di Shura, atterriti e sgomenti, non poté fare altro che arrendersi a qualcosa che debilitava la sua lucidità. Il panno era bagnato, ma non d’acqua. L’odore che gli invadeva le narici era fastidioso, e tanto fastidiosa fu la sensazione di svenire tra le braccia di uno sconosciuto.

«Ma…» fu l’ultima parola che sentì.

Le ginocchia cedettero, ma a sorreggerlo ci pensò un elegante uomo dai capelli biondi, che sorrideva con l’astuzia di Ulisse. No, non astuzia: malizia e certezza di aver agito correttamente.

«Non so tramortire come Aiolos, purtroppo.» fece, socchiudendo gli occhi, con quella smorfia antipatica sulle labbra. «Utilizzo sempre un panno bagnato di cloroformio.»

Shura osservò ancora il pallido Camus, terrorizzato. Era arrivato troppo tardi, e adesso non poteva davvero fare niente. Dietro al volto di un angelo, si nasconde un demone… e non era Kanon.

«Signor Valiant, questo ragazzo…»

«Grazie per il tuo involontario aiuto, Shura.» sorrise perfido Saga, caricando Camus in auto. Davvero discreto: sembrava solo che lo stesse aiutando. «Per il bene di questa città tutti dobbiamo collaborare.»

Shura non riuscì a rispondere. Avrebbe potuto correre a casa di Milo per informarlo, oppure intraprendere una colluttazione con Saga per riprendere Camus… ma si trattava comunque del fidanzato del sindaco. Una delle persone più influenti di Yaoi City.

«Sai, devo aver sentito male ciò che dicevi.» continuò allora Saga salendo sulla decappottabile, perfido. Si carezzò una guancia e abbozzò una risatina fastidiosa, intenzionata solo a spaventare Shura, che doveva tacere. «Dopo Kanon e Camus, rimane solo il biondino. Cerchiamo di mantenere segreto il nostro operato, d’accordo?»

Sorrise ancora con malizia, mentre accendeva il motore.

«Ad Aiolos è toccato il ruolo di buono e generoso, a me quello di cattivo e insopportabile.» affermò infine, scoppiando in una fragorosa risata. «Pensa che quando conobbi Aiolos gli diedi dell’antipatico presuntuoso per tre mesi! Ma l’opinione è labile, Shura.»

Fece un cenno di saluto con una mano.

«Chissà, magari quando Camus si risveglierà chiederà di te.» concluse. «Non vedi che ti aiuto a cercare un uke?»

L’altro rimase immobile sul marciapiede, a fissare il ghigno di Saga e la decappottabile che si allontanava dal marciapiede. Portandosi una mano al viso, riuscì solo a scorgere una ciocca di capelli rossi fluttuare al vento.

 

Lo sguardo di Shaka era teso come una corda di violino. Mancava solo un archetto per pizzicarlo e produrre una nota, che si sarebbe inserita perfettamente in quel contesto. Perché Shaka non guardava né il giardino né un libro, né la televisione o qualsiasi altra cosa che potesse risultare frivola ai suoi occhi.

Il problema era che Aiolia sembrava allarmato più di lui, e se i loro sguardi si fossero incontrati forse uno dei due si sarebbe davvero lasciato prendere dal panico. Ma Aiolia fissava un mobiletto su cui erano sparsi diversi fogli, e teneva accanto all’orecchio un telefono.

Di cui Shaka sentiva da lontano i TU-TU-TUU andati a vuoto.

«Questo è ridicolo.» osservò infine Shaka, pur ansioso. «Se è fuori casa, è ovvio che non possa rispondere!»

Aiolia non sollevò lo sguardo. «Il cellulare di Aiolos è spento. La mignotta ha la segreteria telefonica.»

Non si risparmiò il bel complimento a Saga.

«Da due ore chiamo e nessuno risponde.» solo allora Aiolia alzò gli occhi, taglienti e collerici. «Cosa stanno facendo?»

Il primo pensiero di Shaka ritrasse i due beatamente distesi a letto e lontani da qualunque impiccio con Kanon. Ma giacché reputava questa ipotesi meno fattibile dell’altra, strinse le labbra e si poggiò allo stipite della porta, incontrando adesso lo sguardo del fidanzato.

Panico? Aiolia era pronto a dare in escandescenze.

«Stanno continuando il lavaggio del cervello a Kanon.» sibilò Shaka. «È lampante.»

Il leone che era in Aiolia tornò a ruggire, potente e infuriato come non mai. Lasciando cadere la cornetta sul tavolino, percorse il salotto in due falcate e si trovò faccia a faccia con il serafico indiano. Beh, tanto serafico quanto sospettoso.

«Shaka, tu credi davvero che mio fratello sia…» Aiolia s’interruppe, squadrandolo confuso. «Sia un criminale folle e squilibrato…?»

Shaka alzò un sopracciglio, Aiolia sbiancò.

«Aiolos? Ma… ma lui è buono come un angelo. Mi vuole tanto bene.» tentò di difenderlo Aiolia, scuotendo la testa. «Saga si fa pagare troppo. Oh sì, è lui che ha traviato mio fratello! Chissà con quali turpi ricatti l’ha costretto a condividere il giaciglio coniugale. Peggio di Elena, e mio fratello ingenuo come Eracle con Deianira! Non voglio che Gaia raccolga il suo sangue immacolato!»

In fondo, Aiolia era uno scrittore, e belle immagini sapeva produrre a valanghe. Il sangue di Aiolos sulla terra, anche se Shaka ignorava perché dovesse morire, sembrava far parte di un disegno più grande, come quello in cui Elena era pedina di Afrodite e premio di Paride.

Ma no, no.

Questo era troppo.

«Per favore.» replicò Shaka, scostandosi dalla porta e avvicinandosi a una finestra. «Insulta quanto vuoi Saga, ma Aiolos come Eracle – che non era certo un santo – è un po’ troppo anche per la mia sopportazione.»

Si volse verso di lui, alzando un sopracciglio. «Prova a chiamare ancora. Magari risponde.»

Aiolia annuì lievemente. Mentre si avvicinava al tavolino, Shaka scostò le tende di una finestra e la aprì. Bello il Sole, bello e radioso; bella giornata benché funestata dal mutamento di Kanon, bello il giardino che Shaka curava. Tutto sarebbe stato bello, se solo non si fossero alzati degli urli terrorizzati, come quelli di una vittima davanti un folle carnefice.

«Che succede?!» gridò Aiolia, perdendo la cornetta dalle mani.

Shaka si affacciò alla finestra, esterrefatto, quindi si volse a destra e sinistra per capire donde provenissero quegli urli. Giardino di Aldebaran e Mu, silenzioso, perfetto: giardino di Camus e Milo, chiassoso, palco di quello spettacolo indecente; e Shaka non si seppe spiegare razionalmente perché Camus minacciasse Milo con un paio di cesoie da giardino.

«Aiolia, prendi un rastrello ed esci immediatamente in giardino!» soffiò balzando verso la porta, armandosi di una scopa lungo il corridoio. «Presto, Aiolia!»

Ok, ok. Camus con cesoie. Camus con cesoie contro Milo. C’era un limite a tutto, ma Shaka aveva molto da ridire in merito a questa osservazione.

«Oh Dio, Camus!» urlò Aiolia, non appena mise piede in giardino. Shaka, invece, senza perder tempo in chiacchiere si diresse correndo verso il giardino degli amici, e puntò il manico della scopa contro Camus.

A parte l’assurdità della scena, c’era davvero qualcosa che non quadrava. No, perché Camus che faceva una cosa del genere era più impensabile di Kanon elegante; soprattutto, Camus che aveva metà testa con i capelli cortissimi lasciava intendere che gli fosse balenata in mente un’idea insensata.

«Che diamine sta succedendo?!» fece Aiolia, ponendosi tra Camus e Milo, il rastrello a mo’ di arma. «Camus, posa quelle cesoie!»

Per tutta risposta, Camus indietreggiò e lanciò un’occhiata incollerita verso lo scrittore.

«Io non sto facendo nulla.» sibilò, stringendo meglio le cesoie. «È Milo che sta cercando di farmi del male.»

«Io, del male a te?»

La voce di Milo s’incrinò pericolosamente. Non era né rabbia né commozione, ma semplicemente una brusca caduta di fiducia per quella frase così avventata.

«Del male a te?» ripeté, cercando di avventarsi su di lui – ma Aiolia, velocemente, li divise. «Sei tu che ti sei puntato quelle cesoie alla testa!»

Shaka bloccò per un braccio Milo, prima che potesse gettarsi ancora su Aiolia e il fidanzato. Voleva far chiarezza sulla situazione, quindi portò Milo dietro di sé e sillabò, poca voglia di scherzare: «Vi sembra normale ciò che state facendo?»

«Camus è fuori di testa.» mormorò Milo, una smorfia confusa in viso. «Mi sono svegliato e l’ho trovato con quelle cesoie puntate alla testa. Ma ti rendi conto cosa devo sopportare?! Io, del male a te?!»

«Cinque centimetri sono meglio di cinquanta.» replicò stizzito Camus, portandosi nuovamente le cesoie alla testa. E no, nessuno poté intervenire: le splendide ciocche rosse che raggiunsero il terreno sembravano scie di sangue su una distesa di smeraldi.

Milo prese a fremere nervosamente. Aiolia abbassò il rastrello e pose una mano sulla spalla dell’amico, esterrefatto, ma non riuscì né a placarlo né a tranquillizzarlo.

Ad approfittare dell’attimo di silenzio, ovviamente, fu Camus.

«Che splendida scena!» sorrise subdolo, gettando le cesoie sull’erba. Il suo nuovo taglio di capelli era asimmetrico e disordinato, ma nel complesso manteneva l’eleganza del viso. «Per renderla ancora più bella, però, dovete rispettare alcuni cliché.»

Shaka abbassò la scopa, demoralizzato. Scambiò un’occhiata con Aiolia, ma entrambi avevano già capito che Camus aveva subito la stessa sorte di Kanon. Ma cosa poteva esser successo?!

«Cosa diavolo stai dicendo?!» ringhiò allora Milo, gli occhi di un predatore.

Camus alzò un sopracciglio, l’espressione saggia.

«Millantatori, geni del male, principi azzurri!» sibilò, quasi divertito dal suo stesso elenco. «Avanti, Milo: chi vuoi essere? Perché non ammicchi a una ragazza e la conquisti con il tuo proverbiale charme? Oh, sono sicuro che la tua maliarda arroganza saprà conquistare i cuori di tutti.»

Shaka sgranò gli occhi, sconvolto. No, una roba del genere il vero Camus non l’avrebbe mai detta, perché priva di senso e ricca, al contrario, di insulti gratuiti e immotivati.

Ancor prima che l’indiano potesse voltarsi per scorgere la reazione di Milo, Camus lo fissò negli occhi e scosse la testa, non disgustato ma semplicemente contrariato.

«Shaka, tu stenti a capire. Potresti essere perfetto, e invece…» contrasse le labbra, lo guardò come se avesse davanti il peggiore dei criminali. «Potresti essere lo stereotipo migliore di tutti. Sederti e sorridere, bere del tè mentre ascolti i racconti frivoli dei conoscenti; potresti persino ignorare il tuo cervello, e lasciarti guidare dai comandi altrui: saresti perfetto lo stesso. Ma no!»

Camus alzò le spalle. «No, non ti va! Non vuoi ascoltare nemmeno i discorsi di un uke ribelle.»

E questa fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Se Camus, solitamente posato e serio, arrivava a dichiararsi con convinzione un “uke ribelle”, allora la situazione era critica.

«Ascoltami, tu.» lo apostrofò Aiolia, lasciando bruscamente Milo e avanzando. «Dove sei stato oggi pomeriggio?»

«Era con me!» intervenne allora Milo, sconcertato. «Mi sono appisolato solo un attimo!»

«Un attimo!» ripeté divertito Camus. «Il casanova ha una strana concezione del tempo.»

«Dove sei stato?!» tentò ancora Aiolia.

Shaka strinse le labbra. Viveva quel momento come se fosse lontano millenni, come se appartenesse a un’altra dimensione; non riusciva davvero a spiegarsi come Camus, in poche ore, fosse uscito totalmente di senno e avesse modificato così radicalmente il carattere.

Qualche ciocca di capelli gli era caduta sulla spalla. Ah, che bel cremisi. Un rosso così acceso aveva infiammato l’animo vitreo di Camus, un tempo riservato e distaccato.

L’occhio di Shaka, tuttavia, fu richiamato da un altro dettaglio rosso nella figura dell’amico. Dapprima gli parvero le maniche della maglietta, che arrivavano al polso; poi, mentre Camus parlava di niente e di tutto, capì che quei dettagli altro non erano che polsini.

Polsini, polsini…

Sgranò lentamente gli occhi, mentre ritornava col pensiero in casa di Aphrodite.

«Ero a casa, come puoi negarlo? E al tempo stesso non c’ero: puoi affermare il contrario?» cianciò Camus. «La casa è solo un’idea!»

«Dove li hai presi?»

La voce di Shaka era imperturbabile, ma straordinariamente severa. Milo e Aiolia non capirono a cosa si riferisse, e in principio lo stesso Camus fu preso alla sprovvista; solo dopo si portò una mano al polso e sorrise con malizia, scuotendo la testa.

«Certe cose…» mormorò alzando gli occhi su Aiolia. «Può inventarle solo uno scrittore.»

Shaka s’accigliò. Evidentemente Camus aveva voglia di dissimulare.

«Aiolia, perché non scrivi una conclusione degna di questo dialogo?» rise allora “l’uke ribelle”, incrociando le braccia. E benché Shaka fosse già pronto a bloccare il fidanzato, quello si seppe gestire da solo e non aprì bocca, ma anzi gli diede le spalle e lasciò velocemente il giardino.

«Bravo.» lo derise Milo, nauseato. «Hai ottenuto molto con questa tua trovata.»

Shaka provò a immaginare i sentimenti di Milo, ma ovviamente non poteva comprendere appieno quanto profonda fosse la delusione. Tentò di giustificare Camus tramite i polsini, tuttavia spiegare a Milo tutta quella faccenda non avrebbe portato a nulla.

Doveva agire da solo.

«Ho un temperamento difficile.» replicò Camus. «Ma non voglio perderti.»

Milo, a quel punto, rimase interdetto. Anche per Shaka era chiaro che nessuno dei due volesse gettare all’aria una relazione importante (soprattutto per motivi esterni: Camus poco c’entrava), ma preferì stare zitto e attendere un commento di Milo.

«Va’ a casa a schiarirti le idee.» mormorò quello, indicando la porta. Subito dopo imboccò il vialetto e si diresse verso casa degli amici, umiliato, ma aggiunse: «Stasera ne parliamo.»

«Bene!» esclamò allora Camus, tornando a sorridere. Probabilmente era pure schizofrenico, ma Shaka, raccogliendo la propria scopa e il proprio rastrello, non poté fare a meno di incenerirlo con un’occhiata.

E Camus tornò serio.

«Dove li hai presi?» chiese ancora l’indiano.

Camus volse il capo. «Non t’interessa. Non sei ancora autorizzato a saperlo.»

Autorizzato a saperlo, tsk. Se non fosse stato per lui e Kanon, difficilmente avrebbe voluto quell’autorizzazione.

Seguì allora lo sguardo di Camus, il cui bel rame oltrepassavano il vialetto e il marciapiede. Beh, avrebbero potuto fissare tante cose, il cielo, la strada o un animale: tuttavia, in quel momento attraversava le strisce pedonali l’uomo col cerottino sul naso.

Shaka batté due volte le palpebre, serio.

Shura Xavier forse sapeva troppo.

Ma quando Shaka tornò a guardare Camus, questi s’era allontanato, lasciando a terra un bigliettino stropicciato che Milo non aveva letto.

A me gli enigmi non piacciono. Ci vediamo più tardi.

 

“Aiolos… se ti dicessi Ines Olere?”

“Il tuo romanzo, fratellino?”

“Sai, forse avrei fatto meglio a non scrivere niente.”

 

 

 

911 Emercency! Hello!

I just killed my boyfriend.

[Clicca per vedere una scena simile]

 

D’accordo, due o tre capitoli e finisce tutto. Mi sento un po’ sollevata: questa parodia sta diventando soffocante. È tutta roba che nello yaoi si trova, e che dopo un po’ diventa insostenibile.

Vabbò, intanto guardatevi Lady Saga nel suo ultimo video (?). L’ha girato interamente alla Tredicesima, ci sono troppi paparazzi da eliminare! Ringrazio ovviamente tutti coloro che ancora seguono questa fic e la commenteranno. <3

Sperando che Lady Saga si proclami il mio più grande fan, alla prossima!

Gem!

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Capitolo 6
*** Sei ***


L’uke perfetto

 

SEI

… minuti e sarà tutto finito.

 

Era notte.

Dalla finestra semichiusa entravano i bagliori dei lampioni di Yaoi City, ma la tenda scura di seta fungeva da ulteriore ostacolo alla luce. Un unico raggio giungeva, vergine, ad illuminare un braccio nudo cosparso di capelli biondi.

La luce lo faceva apparire più bianco di quanto già non fosse. Come una dea lunare, come un abitante della notte, Shaka osservava quei pochi riflessi, catturato dal loro fascino spettrale e quasi irreale. Né il trovarsi così vicino ad Aiolia, né sapere che, per restare incolumi, bisognava lasciare la città, potevano placare la sua insonnia, e consegnarlo tra le braccia di Morfeo.

Alzò di poco il capo dal cuscino. Fu sufficiente per scorgere il profilo di Aiolia, nel buio, e contemplarlo qualche secondo, sospeso tra i pensieri pesanti. Sì, era vero, avrebbe potuto lasciare la città anche subito, svegliando Aiolia e fuggendo con la complicità della Luna. Ma che senso avrebbe avuto abbandonare Camus in quelle condizioni? E Aiolos certamente li avrebbe cercati.

Passò l’indice sulle labbra di Aiolia. Com’erano calde, vive. E come s’erano dovute sentite miserabili, ogni volta che avevano lasciato uscire una parola sbagliata, una frase di troppo, un’offesa umiliante. Forse, doveva ancora arrivare il momento peggiore per loro. Se davvero il sindaco avesse nascosto un segreto terribile, come avrebbe reagito Aiolia?

Shaka chiuse bruscamente il pugno, allontanandolo dal viso dell’altro. Non poteva certo permettere che il rapporto tra i due fratelli s’incrinasse così, per colpa di…

Di Saga?

Poteva davvero essere tutta colpa sua? E perché, poi? C’era da tener conto che lo stesso Kanon, fratello di Saga, era cambiato da un giorno all’altro…

Cercando di mantenere il silenzio, si issò e appoggiò i piedi sul pavimento, osservando la tenda muoversi al vento notturno. In fondo aveva poco da perdere… no, non doveva mentire a se stesso. L’uomo che dormiva alle sue spalle non era “poco”.

Si alzò, ma non volle guardarlo. Si infilò, invece, un paio di jeans velocemente e una maglietta, facendo ben attenzione a non svegliare il compagno. Così com’era entrato in casa di Aiolos una sera passata, sarebbe riuscito a farlo anche quella notte, anche a condizione di uscirne totalmente cambiato.

Scese silenziosamente per le scale, raggiungendo la porta di casa in pochi attimi. Diede un’occhiata a Milo che dormiva sul proprio divano: per evitare scene simili a quella delle cesoie era fondamentale che si mantenesse – almeno per il momento – lontano dal suo fidanzato.

Osservò anche le case intorno, una volta fuori: la casa di Mu aveva le luci totalmente spente, quella di Camus invece aveva una stanza illuminata debolmente, forse da una piccola lampada. Quanto avrebbe voluto che Camus leggesse un libro serenamente, com’era solito fare!

Si immise nel vialetto.

“Buonasera, Aiolos. Sei un assassino?”

Beh, no, certamente questa non filava. Mentre avanzava nel buio verso casa del sindaco, Shaka rifletteva su qualche frase adatta al contesto… anche se era sicuro che sarebbe entrato in quella casa di nascosto. Di nuovo.

“Buonasera, Saga. Lei è un assassino?”

Oh, questa filava un po’ meglio.

“Deve semplicemente sapere che questa città è lo sfacelo della civiltà umana. Vi catalogate come se amaste i pregiudizi e le persone – leggasi: Kanon e Camus – impazziscono.”

Notevole.

Notevole, il fatto che Yaoi City di notte avesse un cielo limpido e terso. Quante costellazioni, lassù. E chissà se Shaka era nato sotto una stella nefasta, o semplicemente inadatta agli uomini, con una componente divina troppo pronunciata.

Non mancava molto per arrivare a casa di Aiolos. Tagliando per i cortili, come la notte della folle corsa, aveva risparmiato molto tempo. Si trovava adesso, se la memoria non lo ingannava, nel retro della villa antistante quella del “cognato”.

Oltrepassò il vialetto del garage e si accostò alle mura della casa, mentre scrutava all’interno di questa tramite una finestra. C’era una lampada accesa in quello che sembrava un salottino, ma forse era solo una dimenticanza dei padroni di casa. All’interno non c’era nessuno.

Shaka si decise, quindi, a proseguire silenziosamente la sua strada. Non appena voltò l’angolo, ecco infatti apparire la casa di Aiolos, e il sostegno d’edera su cui s’era arrampicato. Dolci ricordi!

C’era solo da attraversare la strada… e sarebbe arrivato a 452 N Kurumada Road.

Ebbe all’improvviso l’istinto di correre, ma non appena tentò lo slancio, si sentì strattonato all’indietro e finì, incredulo, contro al muro.

Era la fine?

Oh no, Shaka non si sarebbe fatto prendere così alla sprovvista. Allungò subito il braccio in avanti, con violenza, per attaccare, ma subito una voce atterrita lo fece ricredere.

«No!» cadenza nota. «Sta’ fermo!»

Shaka non ebbe dubbi. Era l’uomo col cerottino sul naso.

«Sono Shura Xavier.» fece quello, abbassandogli il braccio. «Questa è casa mia.»

Con una smorfia infastidita, Shaka si liberò della presa e gettò un’occhiata tagliente all’altro. Quell’incontro non ci voleva proprio.

«Non m’interessa casa tua.» tagliò corto Shaka. «Sparisci.»

«Hanno preso Camus mentre parlava con me.» mormorò Shura, indicando con un cenno del capo la casa del sindaco. «Se sei diretto lì, cambia idea il prima possibile e lascia questa città.»

«Cosa sai di Camus?»

«Va’ via da qui!»

Stringendo i denti, Shaka afferrò per il colletto Shura e non impiegò molto per ribaltare i ruoli, spingendolo al muro con evidente insofferenza.

«Non m’interessa se parli o meno. Stanotte sarò io a fare chiarezza su questa incresciosa situazione.» sibilò Shaka, determinato come non mai. «Non sono come voi.»

«Non è questione di…»

Ma Shaka già era scattato verso la strada, là dove la luce dei lampioni lo illuminava senza offrirgli alcuna protezione. Si girò solo un istante per controllare Shura: lo vide là dove lo aveva lasciato, quasi totalmente immerso nell’ombra; non sembrava volesse seguirlo, e l’unico pensiero che fece impensierire Shaka fu la possibilità che chiamasse Aiolia.

Tsk, lo facesse pure: Aiolia sarebbe arrivato a verità svelata.

Corse velocemente sino all’ingresso della villa del sindaco. Si ritrovò davanti alla porta, c’erano pochi passi a separarlo da… una verità, forse? Da una scoperta sconvolgente? Quanti passi ancora doveva percorrere Shaka per ritornare a vivere una vita tranquilla?

Sobbalzò, quando la porta si schiuse da sé. Evidentemente qualcuno lo aspettava… tsk. Si fece sfuggire un ghigno beffardo, quindi spinse la porta in avanti ed entrò senza esitazioni.

Un fortissimo raggio di luce lo costrinse a socchiudere gli occhi, stupito. Non ebbe neanche il tempo di entrare del tutto, che una voce lo accolse ostentando falso disinteresse.

«Shaka, sei qui?» la sorgente della luce oscillò qualche attimo. «Ti dispiacerebbe chiudere la porta?»

Stringendo i denti, Shaka portò la mano agli occhi ed entrò, richiudendo con violenza la porta dietro di sé. Aveva riconosciuto il premuroso ospite… non c’era voce più subdola e misteriosa di quella di Saga Valiant.

«Togli quella luce.» sibilò Shaka, cercando di mettere a fuoco il luogo in cui si trovava. «Devo parlare con te e Aiolos.»

«Aiolos dorme.» rispose con nonchalance Saga. «Ma… prima di parlare, non vorresti dare un’occhiata a questo filmato con me?»

Shaka fece qualche passo in avanti, spostandosi dal raggio di luce. Mentre i suoi occhi si abituavano al cambio di luminosità, iniziò ad accorgersi di cosa stesse facendo Saga. Distinse una poltroncina, il proprietario sedutovi; scorse anche un proiettore appoggiato su un tavolino di mogano, quindi, voltandosi, comprese che la luce che lo abbagliava non era altro che un video.

«Ho pensato che fosse più scenografico… accoglierti così, intendo. Si vedrà un po’ male, ma le tende sono scure, perciò goditi la visione.»

… a Yaoi City, la città dei seme e degli uke.

Shaka sgranò gli occhi. Colorate e luminose foto della città scorrevano in quel video, come attimi rubati di quei profondi segreti.

Dove nulla è lasciato al caso… dove tutti sono qualcuno.

La voce di Saga accompagnava persino quel video. Tutto era stato preparato così nei dettagli che a Shaka non sembrava vero.

Qui gli uke vengono aiutati tramite dispositivi elettronici a migliorare se stessi. Potete controllare nel nostro catalogo le tipologie offerte: non ve ne pentirete! Ma cosa intendiamo per uke? Questo è il termine che diamo all’individuo passivo di una coppia. Si distingue per essere solitamente più basso del compagno, più effeminato e delicato, timido o sensibile sul piano caratteriale. Ovviamente, come abbiamo già accennato, vi sono varie tipologie e questi elementi possono differire notevolmente…

Cosa…?

Noi ci limiteremo a soddisfare i vostri desideri! Volete un uke ribelle? Un uke stuprabile? Ditecelo, e noi vi accontenteremo! Impianteremo un microchip nel cervello del vostro uke che verrà collegato a dei polsini, serviranno per controllare le funzioni vitali. Tuttavia, verrete lasciati per qualche minuto soli con il vostro partner in anestesia totale: sarete voi a decidere quando attivare il microchip, senza alcun condizionamento esterno.

Shaka per poco non scoppiò a ridere.

Bene, ora si spiegava tutto.

Possiamo operare anche in casi disperati… è nostro obiettivo anche perfezionare la creazione di androidi intelligenti. Abbiamo salvato diversi ragazzi paralizzati da incidenti tramite inserimento di componenti totalmente meccaniche.

L’immagine che questa volta apparve nel video mostrava Aphrodite, quello che si era definito “uke lascivo”. Era su un letto d’ospedale, totalmente ingessato, sì… paralizzato. E le foto che seguirono lo ritrassero con vari tutori prima, interi esoscheletri dopo, e infine…

«Un endoscheletro artificiale…» mormorò Shaka, osservando l’ultima foto. Non aveva mai visto un intervento chirurgico così invasivo.

«Non sono un criminale.» si giustificò Saga. «Ho salvato questo ragazzo, no?»

No?

No.

Qualunque problema voi abbiate, noi lo risolveremo. Yaoi City offre anche un appoggio sincero ai seme, ossia i compagni degli uke. Tramite riunioni periodiche essi verranno seguiti e indottrinati verso la cultura yaoi in modo tale da comportarsi al meglio col proprio partner.

Shaka alzò le spalle.

«Sembra quasi più facile di quanto immaginassi.» mormorò, scuotendo la testa. Non sapeva nemmeno cosa dire… «Beh, cosa vuoi fare adesso, Saga?»

Shaka non aveva paura. Si volse nuovamente verso il segretario del sindaco, che aveva poggiato il mento su una mano e lo fissava con i suoi occhi indagatori. I suoi pensieri apparivano indecifrabili, le sue reali intenzioni avevano ancora una strana patina che nascondeva qualcosa.

E mentre il video continuava a ciarlare, elencando e spiegando ogni tipologia di uke, il campanello risuonò più volte nell’atrio, e una voce serena esclamò: «Arrivo.»

«Aiolos!» si volse Shaka, all’improvviso. Per un attimo quasi sperò di incastrare Saga nel suo stesso gioco, ma si bloccò al vedere Aiolos sorridere e dirigersi verso la porta, come se nulla fosse successo.

Bastò che gli occhi di quello incontrassero quelli di Shaka per qualche secondo per mostrare la complicità tra il sindaco e Saga.

«Credo di sapere chi suoni a casa mia nel cuore della notte.» sorrise Aiolos, una bontà agghiacciante nel viso, mentre schiudeva la porta. «Oh: mio fratello.»

Shaka sussultò. Sì, era proprio Aiolia: era proprio Aiolia, quello che si catapultava all’interno della casa mentre il video lo abbagliava, mentre Aiolos chiudeva la porta a chiave, mentre Saga si alzava e incrociava le braccia, maliardo e insensibile.

«Scegli, Aiolia.»

La voce di Aiolos era rigidissima, la più rigida che Shaka avesse mai sentito.

E lo scrittore si bloccò a metà strada tra Aiolos e Shaka.

«Me o lui.»

Questo era davvero buffo… certo che Shaka quasi non ci credeva. Come non credé più a nulla, quando Aiolia lo guardò con le lacrime agli occhi e Saga scoppiò a ridere, mormorando: «Sei minuti e sarà tutto finito. Vedrai.»

 

Poteva sentire l’aroma del tè salire sino alle narici e disperdersi nell’aria, come il profumo spruzzato da un mercante in un bazar orientale. Poteva ascoltare il rumore delle dita che ticchettavano sulla tastiera, regolari come il cammino di una lancetta di un antico orologio a pendolo. Poteva vedere il Sole brillare più che mai fuori dalla finestra, oltre l’amaca, in una giornata che prometteva le migliori cose possibili ed immaginabili.

«Sto uscendo per recarmi in banca.» lo raggiunse dall’altra stanza una voce pacata, senza disturbarlo. «Sarò di ritorno tra un’ora. Controlla la bacheca, ci sono dei messaggi per te.»

Come se volesse stuzzicarlo, Lord Rhadamanthys replicò: «Niente amaca, oggi?»

«For God’s sake, thou shall not joke anymore.» fu la risposta compunta. «I’m flabbergasted!»

Poi la porta sbatté, sorda.

E il critico si ritrovò con entrambe le mani a mezz’aria, lontane dalla tastiera del computer, ricordando vecchi rimproveri di nonni e lontani parenti attempati. Lì in Inghilterra avrebbero conferito a Kanon un riconoscimento per il suo forbito linguaggio, senza dubbio.

Osservò con un certo timore il compagno allontanarsi per il vialetto di casa, aggirando con accortezza l’amaca. Vestiva ancora una volta giacca e cravatta, e i capelli erano freschi di shampoo. Davvero elegante, forse troppo elegante anche per Lord Rhadamanthys.

Tornò a fissare lo schermo del computer.

… un linguaggio armonioso e ricco di grazia facilita la lettura di un testo così…

Un linguaggio armonioso e ricco di grazia.

Grazia.

Ma perché diamine Kanon poteva essere solo estremamente rozzo o estremamente elegante?!

Afferrò la tazza di tè accanto al computer e ne bevette velocemente un sorso, con occhi sgranati e fissi davanti a sé.

No, no, c’era qualcosa che non andava.

Perché non riusciva più ad accettare…

Liszt iniziò a suonare con mani delicati la terza parte del suo Sogno d’Amore. O quale leggiadria nell’aria, o quale morbida tenerezza al posto dell’irruenza delle Valchirie come campanello…!

Rhadamanthys scosse la testa. Era così sovrappensiero da non essersi accorto di aver passato un’ora tra le nuvole? Kanon era già di ritorno…

Si alzò con mestizia, quindi gettò un’occhiata fuori dalla finestra. Non vedeva chi vi fosse davanti la porta, e a dir la verità non aveva neanche visto quando questo qualcuno si fosse avvicinato. Ma dando per scontato che fosse Kanon, forse tornato per aver dimenticato qualcosa (sempre se fosse stato possibile, conoscendo la sua nuova indole), raggiunse lentamente l’ingresso e tirò la porta con rassegnazione.

Poi, si ritrovò davvero in un bazar orientale e fu cosparso di profumi inebrianti, mentre guardava un orologio impazzito ticchettare troppo velocemente sotto il Sole cocente di un estate cipriota. Che fosse… un segno del destino?

Sgranò gli occhi, rinvigorito.

Perché mai di fronte a lui non c’era Kanon Valiant, ma…

Un plico di fogli volteggiò nell’aria mentre la mano di Rhadamanthys veniva agguantata come acqua nel deserto.

«Che emozione… piacere di conoscerla!» sorrise raggiante il misterioso arrivato, stringendo con vigore la mano del Lord. «Ho fatto l’autostop per raggiungere questa città. Non volevo arrivare in ritardo il primo giorno di lavoro!»

Rhadamanthys non fiatò, flabbergasted. Ricambiò la stretta di mano spinto dalla forza dell’abitudine e squadrò l’altro dalla testa ai piedi, sempre in silenzio. Indossava un paio di jeans strappati e una maglietta smanicata, scucita sulla spalla sinistra, mentre al collo aveva un foulard rosso. Ai piedi portava degli stivaletti di moda negli anni 80 – questo non importa, pensò il Lord – ma nel complesso l’abbigliamento non appariva trascurato come quello del “vecchio” Kanon.

Tuttavia, tra una massa di capelli castani spuntava sospetta una ciocca rosa. Perfetto… un nostalgico punk.

«Kanon ti ha chiamato per pulire casa?» fu tutto ciò che Rhadamanthys seppe dire.

L’arrivato rimase immobile, quasi offeso nel suo entusiasmo. Ma due occhi dorati pieni d’ammirazione continuarono a fissare quelli di Rhadamanthys.

«Ehm, no.» rispose, spaesato. «Mi chiamo Valentine Chocolate, del Chicago Tribune. Avevo fatto richiesta per il ruolo di segretario nel suo ufficio… ieri sono stato assunto.»

Segretario, ufficio, assunzione.

Evidentemente Kanon aveva risposto a qualche chiamata per lui e…

«Scusami un attimo.» mugugnò, torvo, il Lord, quindi si volse e raggiunse un tavolino poco distante, sopra al quale era appesa una bacheca. Non poteva essere vero… non doveva esserlo…

Appuntamento in banca, lunedì 10.30.

Appuntamento dal dentista, mercoledì ore 15.30.

Assunto segretario, hanno chiamato dallo studio per confermare.

«Hai detto di chiamarti Valentine?» fu tutto ciò che Rhadamanthys riuscì a dire, le mani poggiate sul tavolino, lo sgomento più profondo mai provato chiarissimo dall’espressione del viso.

Kanon… organizzava gli impegni della settimana. Su una bacheca.

«Sì, signor de Wyvern.» rispose l’altro, affacciandosi alla porta di casa, mentre raccoglieva i fogli che aveva gettato a terra per l’euforia. «Qualcosa la preoccupa?»

«Vedi, Valentine, la situazione è molto grave e non so neanche io come tutto ciò sia potuto succedere. Normalmente so con certezza cosa producono le mie scelte, ma questa volta pare che abbia giocato un po’ troppo col Fato.»

«Prego?» ripeté Valentine, sempre più sbigottito.

«Cosa?»

«Ha giocato col Fato?»

La goccia che fece traboccare il vaso.

«Valentine, ti conosco da qualche secondo ma ho bisogno che tu vada a casa di Shura Xavier.» il Lord scarabocchiò l’indirizzo su un pezzo di carta, quindi lo consegnò tra le mani del novello segretario. «Di’ che ti ho mandato io, capirà. Io devo cercare un’altra persona.»

«Certamente!» sorrise subito Valentine, osservando il critico indossare una giacca. «Posso lasciare qui la mia valigia? Non ho ancora trovato un albergo in cui soggiornare.»

Lord Rhadamanthys riacquisì, tutt’un tratto, la sua naturale espressione. Strinse le labbra, corrucciò il monociglio, gli occhi divennero due minacciose fessure. Doveva riprendersi il suo ego… a tutti i costi!

«Valentine!»

«Sì signore!» scattò il segretario, ritto sulla porta come un fedele luogotenente.

«Abbiamo alcune stanze libere, puoi stare qui quanto vuoi.» acconsentì Rhadamanthys, poi squadrò ancora Valentine. Era troppo… “particolare” per non dare nell’occhio, perlomeno secondo lui, e questo a Yaoi City non andava bene. «Metti questo.»

Gli passò una giacca dall’appendiabiti, quindi aggiunse: «Se qualcuno ti chiede se tu sia uke, rispondi così: “No, sono seme. Faresti meglio a non voltarti se sono nei paraggi.” E fa’ una risatina diabolica.»

 

I capelli biondi profumavano di cioccolato. I boccoli color albicocca che scendevano sulle spalle erano le estreme appendici di un’alta coda di cavallo, attraversata da un filo di perle bianche. Quel colore così lindo ben si abbinava ai denti dell’attraente possessore, il cui viso, aperto in un sorriso, pareva davvero appartenere a un’entità sovrannaturale.

Una mano si sollevò sino a uno scaffale. Le unghie, lunghe e tinte di rosa confetto, indugiarono su una confezione di detersivo, che alla fine fu riposta in un carrello con la massima grazia.

La musica delicata del supermercato aiutava quella scelta. Non metteva né fretta, né agitazione.

«Shaka, mi sono rotto.» si spazientì tuttavia un ragazzo dai capelli rossi al suo fianco, sbuffando. «Voglio tornare a casa.»

Il biondo socchiuse gli occhi, un leggero sorriso sulle labbra. «Camus, sei sempre così impaziente. Abbiamo quasi finito: cerca di comportarti in maniera educata.»

Diede un’altra spinta al carrello, riprendendo la marcia lungo la corsia. A tutti coloro che incrociava Shaka rivolgeva un raggiante sorriso, a volte un cenno di saluto con la mano sinistra. Era ormai abituato a tutti quegli occhi ammirati rivolti solo e unicamente a lui.

«Ah, smettila di montarti!» vociò Camus, mostrando i denti a un ragazzo poco distante. «Sei veramente stomachevole. Prima o poi mi scoperò Aiolia, stanne certo.»

Shaka lo ignorò. Mancava poco alla cassa, quindi prese qualche sacchetto di plastica e iniziò a riporre tutta la spesa sul rullo nero. Ah, che beatitudine. Tutto era così semplice e tranquillo. Il Nirvana probabilmente doveva essere qualcosa del genere.

Camus si appoggiò alla cassa, gettando un’occhiata torva al cassiere, poi tornò a fissare l’indiano con stizza. «Hai capito quello che ho detto? A volte penso che gli uke perfetti siano semplicemente scemi.»

«Basta aver fiducia nel proprio compagno.» replicò allora Shaka. Continuò a sorridere senza mai lasciare gli occhi del cassiere, il quale sembrava ipnotizzato. «Non credo che Aiolia cederebbe a te. E soprattutto non credo che tu possa tradire in tale modo la fiducia di Milo.»

«Ah! Milo!» Camus ridacchiò e si portò oltre la cassa, scuotendo la testa. «Quell’ameba che dorme da voi perché ha paura di me. Beh, se non si decide a porre fine a questa dannata astinenza, dovrò assolutamente trovare un altro.»

Shaka iniziò a posare gli oggetti acquistati nei sacchetti. Fece un sorriso più raggiante al commesso, poi azzardò un occhiolino e abbassò volutamente gli occhi. Seppe di averlo in pugno.

«Ehi.» sussurrò quello, arrossendo. «Vuoi qualche buono pasto?»

«Sarebbe meraviglioso.» bisbigliò Shaka, portando una mano al petto.

Subito gli vennero offerti diversi coupon e qualche blocchetto di buoni. Ah, questo era davvero incredibile. Avrebbe mangiato gratis per… per  un mese. Non pensava che fosse così facile prendersi gioco degli uomini.

«Allora… a presto.» ammiccò ancora, allontanandosi con la spesa.

«Ciao.» replicò il commesso, sorridendo.

Ma tutta quella scena, rifletté Shaka, non doveva esser sfuggita agli occhi di Camus, che ovviamente riprese a parlare non appena lasciato il supermercato.

«Questa sarebbe la fiducia!» scoppiò a ridere, appoggiandosi a un palo della luce. «Fammi il piacere, Shaka. Devo solo scegliere tra Aiolia e Shura, penso che sia il caso di dare un avvertimento a quel fallito di Milo.»

Shaka questa volta si arricciò in una smorfia. «Beh, per prima cosa potresti darti una regolata. Sembri tu il fallito.»

Camus subito sgranò gli occhi.

«Camus.» riprese Shaka, spostandosi una ciocca della frangetta rosa. «Quasi mi dispiaceva dirtelo, ma sai com’è. Pensi che a casa nostra Milo dorma soltanto?»

Le guance di Camus divennero paonazze, ma Shaka continuò l’affondo. «Devo dire che non è rimasto insensibile al mio fascino, anzi

La menzogna – non poteva essere altro – ebbe l’effetto sperato sul rosso. Ah, che soddisfazione vederlo così geloso e infuriato! Le guance continuavano ad arrossarsi come se animate da vita propria. Shaka seppe con certezza di avere una lingua perfida, quando Camus si staccò dal lampione e con sguardo truce avanzò verso di lui.

«Sei una maledetta puttana!» gridò, prima di aggredirlo.

Shaka bloccò subito i polsi dell’altro, cercando di offrire resistenza a quel gatto imbizzarrito. Le buste della spesa scivolarono a terra, un piede arretrò di qualche centimetro – in fondo Camus pesava qualche chilo più di lui, e la forza fisica ne risentiva abbastanza.

I passanti cercarono subito di separare i due, ma Camus sembrava veramente inferocito e oppose una strenua resistenza ai pacieri. «Cagne! Puttane!»

Shaka, al contrario, trovò subito un caldo rifugio nelle braccia di qualche seme di passaggio, ostentando paura. Sì, di essere stato aggredito da quel selvaggio, di non poter fare nulla per replicare! Le risate che dovette ricacciare in gola gli avevano fatto venire gli occhi lucidi, interpretati dai presenti come segno di un prossimo pianto.

Eppure non solo Shaka non pianse, ma continuò a passare da seme a seme facendo incollerire sempre più Camus, quello ridotto davvero in lacrime.

«Non toccare Milo, hai capito?!» gridò, liberandosi dalla presa. «Non toccarlo mai più!»

Shaka stava per balzargli di nuovo addosso, ma desistette quando vide che Camus era stato preso per le spalle da una ben nota conoscenza. Beh, ne sarebbe stato anche felice.

«Cosa diamine sta succedendo qui?!» urlò il nuovo arrivato, un cerottino sul naso a piegarsi ogni volta che apriva di più la bocca. «Shaka, Camus, mi meraviglio di voi!»

Shaka alzò le spalle, sistemandosi i boccoli. «Shura, qual buon vento…»

«Shura!» vociò subito Camus, gettandogli le braccia al collo. L’indiano trattenne una smorfia di disapprovazione, incentivata dalle successive parole del rosso: «Non puoi immaginare come mi tratti quell’uke perfetto. È la rovina di tutte le coppie di Yaoi City! Guardalo!»

Shaka strinse i denti in un sorriso forzato. Gettò quindi un’occhiata attorno a sé: se tanti seme si premuravano di dargli sostegno e aiuto, altrettanti uke lo osservavano da lontano biechi, indispettiti, forse ingelositi e qualcuno addirittura in lacrime.

Ancora una volta, ne fu soddisfatto e non lasciò l’abbraccio del seme di turno.

Shura lo guardò, prima di stringere imbarazzato e sorpreso Camus.

Già, Xavier, guardami bene. Pareva gridare col pensiero Shaka. Guarda bene questi polsini, guarda bene i miei occhi azzurri. Non lasciarti ingannare dalle perle o dalle unghie, guardami.

«Shaka, ho appena saputo dal segretario di Lord de Wyvern che il momento è giunto.» sibilò con serietà Shura. «Per ulteriori conferme, attendiamo questa sera.»

Shaka lasciò che un angolo delle labbra si curvasse verso l’alto. Era fatta.

«Che cosa?!» urlò ancora Camus, aggrappandosi alla giacca di Shura. «Ah, è così? Vuole portarsi a letto pure Lord de Wyvern? Complimenti!»

L’indiano alzò le spalle, quasi con un cenno di ovvietà.

«Complimenti, puttana!» rincarò la dose Camus, prima che Shura lo stringesse in un altro abbraccio e lo portasse via da quel capannello di gente.

 

 

Questo è il penultimo capitolo! Il prossimo sarà più lungo e conterrà anche l’epilogo.

Mi scuso per il ritardo, ovviamente, e anche per lo stile “variegato” di questo capitolo… l’ho scritto in 3 periodi diversi… intervallati da mesi, credo. Dio, non avevo proprio idea di cosa fosse il pov asd

Beh, a presto!

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Capitolo 7
*** Sette ***


L’uke perfetto

 

SETTE

… giorni servirono a Dio per creare la Terra.

 

«Così hai litigato con lui

La voce di Milo rimase sospesa nell’aria, in cerca di una risposta. Shaka, tuttavia, gli versò nel piatto una buona dose di funghi alla crema di tofu e fece lo stesso per Aiolia. Solo quand’ebbe finito quel rituale così importante appoggiò la teglia sul tavolo e prese posto insieme agli altri due.

«Buon appetito.» esclamò sorridendo. «Spero il pranzo vi piaccia.»

«Shaka, hai litigato con Camus?!» sbottò ancora Milo, allontanando di colpo la sedia dal tavolo. Il rumore fastidioso, però, non riuscì ad alterare il pacifico indiano, che immerse la propria forchetta in una polpetta di quinoa e sorrise ad Aiolia.

«Pure tu sei impazzito?!» vociò ancora Milo. «Ti stai comportando così per davvero?!»

«Aiolia, per favore, digli qualcosa.» sospirò allora Shaka, scuotendo la testa. «È tutto il giorno che fa così.»

Dopo un attimo di assoluto silenzio, durante cui l’indiano continuò a consumare il proprio pranzo, il tavolo tremò in maniera eclatante e un bicchiere si rovesciò. Ah, quello era davvero troppo.

«Per favore.» ripeté Shaka, tagliente, mentre gettava un’occhiata ammonitrice a Milo. Avrebbe chiuso un occhio sul tono della voce… ma non poteva sopportare di vederlo sbattere i pugni sulla tavola e alzarsi col viso stravolto dalla rabbia.

Aiolia si pulì la bocca con un tovagliolo, prima di voltarsi verso Milo e incupire lo sguardo.

«Siediti e mangia.» sibilò. «Altrimenti puoi pure lasciarci soli.»

«Aiolia, sei impazzito anche tu!» esclamò Milo, indietreggiando, urtando contro la sedia su cui prima era seduto. «Non hai visto come s’è conciato Shaka?! Ha i capelli rosa e arancioni e… i boccoli, le perle… ma che diamine sta succedendo? E l’hai visto o no che quei due là fuori ci stanno guardando da mezz’ora?»

Shaka appoggiò la forchetta al piatto e, con un sospiro, si volse verso la finestra. Sapeva di essere osservato, se n’era accorto già mentre preparava il pranzo. Tuttavia, facendo ricorso a tutta la sua buona volontà, alzò una mano in segno di saluto e sorrise.

«Mu e Aldebaran stanno semplicemente pranzando in giardino.» rispose Aiolia, raccogliendo il bicchiere che s’era rovesciato. «Per favore, siediti e mangia. Il pasto che ci ha preparato Shaka è squisito.»

In quel momento accaddero tre cose contemporaneamente: Milo si gettò a sedere e si portò la testa tra le mani, in una chiara ostentazione di sbigottimento; Aiolia riprese in mano la forchetta, con calma, e infine il telefono iniziò a squillare.

«Vado io.» disse Shaka.

Provò quasi sollievo ad alzarsi da quella tavola tanto sfarzosa e artificiosa, ad allontanarsi dall’attonito Milo e tentare, per quanto possibile, di sottrarsi agli occhi di Mu e Aldebaran. Lasciò scorrere le mani sulla cornetta e ricercò lo sguardo di Aiolia, in una tacita abitudine che non avrebbe mai abbandonato, prima di falsare tutto se stesso e aprirsi in un sorriso radioso.

«Qui parla Shaka Tuja. Pronto?» trillò come neanche il miglior centralinista del mondo.

«Oh Shaka, che piacere sentirti!» una calda voce d’uomo lo abbracciò, a dispetto del telefono. «Sono Aiolos. Spero di non aver chiamato in un momento inopportuno, ma ho davvero una grande notizia da dare a te e mio fratello.»

Shaka si sentì invadere di soddisfazione. Dissimulò ancora. «Figurati! Dimmi pure.»

«Vedi, Lord de Wyvern mi ha proposto di organizzare un evento per presentare al mondo intero questa città.» spiegò Aiolos. «Non essendoci motivi per posticiparlo, ho ritenuto opportuno fissarlo domani sera nel giardino della mia casa! Saranno presenti giornalisti di tantissime emittenti, così almeno mi ha garantito Lord de Wyvern, e probabilmente una trasmissione statale trasmetterà la diretta! Non è meraviglioso?»

Oh, sì che lo era. Era fantastico.

«Puoi contare sulla nostra presenza, caro cognato.» Shaka stavolta non riuscì a trattenersi: un vero e proprio ghigno gli apparve sulle belle labbra. «Parlo anche a nome del mio amico Milo.»

Senza attendere la risposta del sindaco, l’indiano riagganciò la cornetta e si volse verso il tavolo, dove ricevette due occhiate differenti sia per l’aspetto in sé sia per il messaggio che trasmettevano.

Se Milo, con i suoi affilati occhi azzurri, pareva semplicemente in cerca di una spiegazione per quell’assurda vicenda, Aiolia al contrario affidava ai suoi occhi da gatto il compito che usualmente spettava alla bocca.

Approvavano. Qualsiasi cosa Shaka avesse deciso.

«Domani sera vi sarà un importante evento a cui dobbiamo assolutamente presenziare.» scandì l’indiano sedendosi nuovamente, mentre i boccoli gli scivolavano lungo tutte le spalle. Tollerò: sapeva che sarebbe finito presto. «Milo, tu verrai con noi. Avrai l’occasione di rivedere Camus.»

Quelle parole ebbero l’effetto di un tornado sull’amico. Shaka lo vide rinvigorirsi e accendersi di colore, come se avesse appena avuto un’illuminazione.

«Ti prego, dimmi cosa è successo oggi al supermercato.» lo supplicò, appoggiando entrambe le mani sulla tovaglia, tormentandola quasi. «Cosa vi siete detti?»

Per estrema casualità gli occhi di Shaka incrociarono ancora quelli di Aiolia. Benché avesse già deciso di non proseguire il discorso, ricevette un’ulteriore conferma dall’uomo con cui, nel bene e nel male, aveva condiviso parte della sua vita.

E a cui doveva moltissimo.

Portò alla bocca una polpetta di quinoa, la masticò lentamente, si pulì le labbra quando l’ebbe ingoiata.

«Cosa ti preparo stasera, Aiolia?»

 

Casa di Aiolos, con la sua bella tinta gialla e le finestre che per forza di cose Shaka conosceva molto bene, era illuminata da almeno sei riflettori che la facevano apparire più grande di quanto non fosse. Il giardino, inoltre, era talmente pieno di persone che non sarebbe stato difficile riconoscere qualcuno gettando semplicemente un’occhiata.

La notte era ancora giovane…

Shaka lasciò scorrere il braccio sotto quello di Aiolia, aprendosi in un sorriso tanto dolce quanto spaventoso. Sapeva bene che più si fingeva docile e mansueto, più il demone che era in lui scalciava per porre fine a quella vicenda; ogni gesto, ogni espressione veniva quindi a macchiarsi di un dettaglio che finiva per mostrare qualcosa di inadeguato.

Ma a Shaka, quella sera, proprio non importava. Stava tutto per finire.

Se lo ripeteva lentamente, mentre si faceva osservare come se fosse una divinità; se lo ripeteva mentre sconosciuti borbottavano ad Aiolia che sì, doveva essere proprio un tipo fortunato, per avere un uke tanto perfetto, e se lo ripeteva come una nenia mentre camminava tra i giornalisti, ben conscio di avere una pettinatura tutt’altro che ordinaria.

«Sono stanco di essere trattato come se non esistessi.» sberciò all’improvviso Milo, ponendosi di fronte a lui e Aiolia. «Vorrei sapere cosa avete intenzione di fare.»

Con un’occhiata gelida, Shaka si fermò e si guardò intorno. Grazie al cielo nessuno aveva prestato troppa attenzione alle parole di Milo.

«Non è ancora il momento.» mormorò stringendo con più forza il braccio di Aiolia. «Per favore, continua a seguirci senza parlare.»

«Aiolia, ti prego, perché anche tu stai facendo così?» esclamò ancora Milo alzando le mani in aria, sconvolto. Ma nessuna risposta si levò dallo scrittore, che sorrise a Shaka e riprese a camminare.

Il giardino ospitava tra i tanti presenti anche gli abitanti di Yaoi City. Shaka non si stupì, dunque, quando si accorse di un elegantissimo Shura che parlava con un giornalista, ma trasalì – e anche vistosamente – quando incrociò per sbaglio lo sguardo di un collerico Camus vestito completamente di rosso e nero, neanche fosse un ballerino di flamenco. Si fermò.

«Da questa parte.» sibilò subito, cercando di portare Aiolia e Milo altrove, ma era già troppo tardi.

«Che diamine…»

Le labbra di Milo rimasero schiuse, tremule, mentre il suo dito si alzava nella direzione del fidanzato.

Quella proprio non ci voleva, pensò Shaka. Fece mente locale della situazione: era talmente vicino a realizzare il suo piano, che mandarlo in fumo soltanto per i capricci di Camus sarebbe equivalso ad abbandonare una maratona a dieci metri dal traguardo.

«Perdonami, Aiolia.» mormorò staccandosi da lui.

Si diresse – o meglio: si catapultò – verso Milo e gli gettò le braccia al collo, voltandolo in maniera tale che avesse Camus alle proprie spalle. Lo strinse quindi in quell’abbraccio di circostanza e, facendo forza affinché non si liberasse, analizzò il comportamento del gatto dai capelli rossi.

«Lasciami, Shaka!» vociò Milo, cercando di staccarselo di dosso, ma per tutta risposta l’indiano gli bloccò il viso tra le mani e appoggiò la propria fronte alla sua.

Gli occhi di Milo si spalancarono.

«Io ti amm-»

«Se dici un’altra parola ti spedisco nel mondo delle bestie.»

Shaka non avrebbe voluto essere così drastico, ma Milo certo sapeva essere fastidioso. Lo vide sgranare ancora di più gli occhi, guardarlo come se fosse un fantasma, cercare di ritrarsi da quella presa troppo intima e facilmente equivocabile. Ma Shaka non poteva mollare, no: non adesso, almeno, che vedeva Camus dimenarsi come una furia tra le braccia di Shura.

Eppure è ben noto che le disgrazie non vengono mai da sole.

«Ehi, ma cosa combinate!»

Shaka lasciò andare Milo nello stesso momento in cui Shura e Camus scomparvero dal suo campo visivo. Non si curò né dell’espressione sconcertata del povero amico, né di quella tristemente comprensiva di Aiolia; si volse invece verso colui che aveva parlato e congiunse le mani, come se non fosse successo alcunché.

«Aphrodite, mio caro.» salutò, aprendosi in un sorriso forzato. «Da quanto tempo!»

L’uke lascivo si portò le mani ai fianchi, ad occhi socchiusi. «Mio caro? Mpf! Finché non ti farai tagliare i capelli, tra di noi potrà scorrere soltanto invidia!»

Sta per finire tutto.

Manca poco, Shaka, poi riporterai le cose alla normalità.

Tutti questi ragazzi sono nelle stesse condizioni di Camus. Pensaci.

«Allora arrivederci.» tagliò corto Shaka. «Salutami Death Mask.»

A passi svelti condusse Milo e Aiolia lontano da Aphrodite, in silenzio. Poteva scorgere con la coda dell’occhio l’espressione confusa del primo, ma apprezzò il fatto che fosse rimasto zitto e non facesse più alcuna domanda. A suo modo era una manifestazione di fiducia.

Si fermò, infine, tra due schiere di giornalisti, a pochi metri da un palco allestito vicino al garage della casa. Dal viavai di gente che portava microfoni e sedie dedusse che da lì a poco qualcuno avrebbe parlato. E allora sì che si sarebbe divertito come mai in vita sua.

«Va tutto bene, tesoro?» sussurrò allora Aiolia, voltando il capo verso di lui. «Ti vedo un po’ turbato.»

Sta per finire tutto.

Shaka fece un altro sorriso. Eppure, questa volta, non era artificioso.

«Sì, Aiolia. Non preoccuparti.»

«SIGNORI! Benvenuti!» una voce rombante, resa ancora più potente dal microfono, spezzò il chiacchiericcio dei presenti e concentrò tutte le attenzioni verso il palco. Persino Shaka si volse a guardare, sospirando di sollievo. Tutto stava per compiersi.

«Signori, benvenuti a Yaoi City! Il mio nome è Sion e sono uno dei tanti abitanti di questa meravigliosa città!» continuò il ragazzo mentre salutava con la mano e si muoveva sul palco come il più esperto dei presentatori. «Lasciate che vi presenti Doko, ovvero mio marito. Perché sì, amici miei, in questa città il mio matrimonio è valido!»

Uno scroscio di applausi si levò all’istante. Shaka si guardò intorno, per valutare la situazione: come previsto, c’erano diverse telecamere più tantissimi fotografi già all’opera.

«Sono serviti parecchi mesi per portare a termine questo progetto, ricordate? All’inizio esisteva un’unica grande città, poi smembrata grazie all’operato di due persone meravigliose: il sindaco Aiolos Anthelios e il suo segretario Saga Valiant!» strepitò ancora Sion.

Shaka si volse verso il palco, aggrottando la fronte. Dalle scale stavano salendo sul palco, mano nella mano, i due uomini che Sion aveva nominato. Mpf, sembravano così felici… non sanno ancora quello a cui vanno incontro.

«Essi hanno davvero votato le loro esistenze a questa città. Sono stati lontani dalle loro famiglie per più di un anno!» Sion strinse la mano al sindaco, gesto plateale che serviva solo ai fotografi. «L’hanno progettata, l’hanno battezzata sei mesi fa, e poi entrambi si sono candidati a sindaco… ma hanno infine deciso di continuare ad amministrarla insieme! Non trovate che sia una cosa bellissima?!»

Shaka fece scorrere una mano lungo il braccio di Aiolia.

«Devo andare.» gli bisbigliò all’orecchio, la voce assolutamente tranquilla. Lo guardò negli occhi: vide l’assoluta devozione. «Grazie di tutto, Aiolia.»

Lo scrittore gli sorrise, poi gli scostò la frangetta e gli stampò un bacio sulla fronte. Per una volta, Shaka ignorò il fatto di scambiarsi effusioni in pubblico.

«Vai.» fu la risposta di Aiolia.

Staccandosi quasi a malincuore, Shaka indietreggiò e rivolse un’ultima occhiata al palco, dove Aiolos stava per prendere la parola. Era quello il momento di agire: afferrò il braccio di Milo energicamente e lo tirò con sé a ogni passo. Dopo un’iniziale resistenza, sempre nell’assoluto silenzio, riuscì a ottenere la fiducia dell’amico e lo condusse lontano dal palco, dall’altra parte del giardino.

Dopodiché si volse a guardarlo.

Nessuna pietà nei suoi occhi azzurri.

«Milo, adesso vieni con me.» sibilò strappandosi con un gesto deciso le perle dai capelli e gettandole a terra. Dannazione, quanto aveva desiderato farlo! «Spero che tu sia ancora atletico come un tempo.»

Milo lo fissò come un pirata fisserebbe un tesoro. Poi gli si gettò addosso.

«Ma allora tu sei normale!» biascicò quasi singhiozzando, mentre Shaka tentava di sottrarsi all’abbraccio. «Ti prego, dimmi cosa è successo a Camus!»

«Abbassa la voce, sciocco.»

Shaka afferrò Milo per un polso e lo trascinò verso un cespuglio vicino a una finestra, dove si acquattò. Da lì poteva vedere ancora le ultime propaggini di folla. «Dobbiamo prendere una cosa dalla cantina di questa casa. Dopodiché riavrai il tuo Camus.»

L’amico prese ad annuire spasmodicamente, corrugando il viso giovane in un’espressione di seria disponibilità. Si passò una mano sulla fronte e con l’altra si slacciò il primo bottone della camicia.

«Come possiamo entrare?» mormorò iniziando subito a guardarsi intorno, accalorato. «Tutte le porte sono visibili dal palco…»

Shaka si sciolse anche la coda di cavallo e si lasciò sfuggire uno sbuffo di ovvietà.

«Entreremo dalla finestra.»

Milo si volse a guardare quella alle sue spalle. «Devo romperla?»

«No!» Shaka continuò a togliersi anelli e bracciali, senza però trattenersi dall’assumere un’espressione risentita. «Da questa stanza l’unica uscita porta a un corridoio con una vetrata dall’altra parte del giardino, saremmo in trappola.»

«E quindi?»

Alzando una mano, Shaka indicò la finestra del piano superiore. Ah, com’era felice di tutta quell’edera…

«Sei impazzito?!» esclamò Milo, sobbalzando.

Shaka però lo incastrò nel suo stesso gioco: «Hai detto poco fa che sono normale, o sbaglio?»

Senza nemmeno dargli tempo di replicare, spiccò un salto e si resse sia a una sporgenza della parete sia al legno del sostegno dell’edera. Non era difficile arrampicarsi, anzi, in qualche secondo riuscì a giungere a un cornicione e camminare sino alla finestra, dove finalmente si sedette.

Con grande piacere si accorse che era stata lasciata aperta di due dita. La schiuse del tutto, sorridendo infervorato, quindi si concesse una prudente occhiata a Milo.

Che, per la cronaca, non s’era mosso di un millimetro.

«Sali!» gli soffiò mentre scivolava all’interno della camera. «Questo graticcio sicuramente sostiene fino a 80 chili.»

«Ma ne peso 84!» si lamentò Milo.

Shaka diede un’occhiata al giardino. Grazie anche alla parziale oscurità, nessuno sembrava aver notato i due scalatori provetti, perciò fece segno a Milo di venir su e – onde evitare disgrazie – resse per quanto possibile il sostegno di legno. Eppure notò con sorpresa che l’amico era svelto quanto lui, se non di più: quello infatti si issò sul cornicione in poco più di tre passaggi e si aggrappò agilmente alla finestra.

«Questo è solo per Camus.» sibilò a denti stretti.

Shaka non riuscì a trattenersi dall’alzare un sopracciglio. «A quanto pare sei ancora atletico.»

Senza tergiversare oltre, oltrepassò il letto di Saga e aprì la porta della camera. Ricordava ancora quel corridoio, perciò evitando di farsi scoprire accendendo la luce prese per un polso Milo e lo condusse per le scale che conducevano al pianterreno.

Nel completo silenzio continuò a vagare per la casa, tra fotografie mute e silenti e quadri dalle cornici preziose. Era incredibile quanto fosse simile a una villa normale: nulla lasciava immaginare cosa realmente si nascondeva tra quelle pareti ostili.

Si fermò di fronte a una specchiera lunga quanto un’automobile. Con la luce che entrava dalle finestre Shaka riusciva a scorgere debolmente il riflesso proprio e di Milo, ma non si fece distrarre. Si concesse solo un sospiro, lasciando il polso dell’amico. Adesso sì che il gioco si complicava.

«Mi hanno portato qui.» sussurrò, avvicinandosi alla parete, dove un telefono spezzava la monotonia della vernice bianca. «Ed è da qui che si accede alla cantina.»

Milo tentò subito di staccare la specchiera dal muro, ma non ci riuscì.

«No, è una porta nascosta.» spiegò subito Shaka. All’improvviso, senza nemmeno finire di parlare, si aggrappò con forza al telefono e lo staccò dal muro, gettandolo a terra senza troppi fronzoli. Non si curò dell’espressione stupita di Milo ma al contrario iniziò a strappare tutti i fili che fuoriuscivano dalla crepa.

«Ma che stai facendo?!»

A Shaka sembrava parecchio ovvio, ma volle dare una spiegazione ancora più esaustiva. Spingendo  l’amico dentro un’altra stanza, e allontanandosi a propria volta, raccolse da terra il telefono e lo lanciò contro il vetro. Decine di frammenti schizzarono via liberando quell’inconfondibile rumore cristallino, ma subito dopo l’indiano tornò ad accanirsi contro i fili nel muro arrivando addirittura a staccare pezzi di parete.

«Shaka…!» frusciò allora Milo con voce sconvolta, osservando ciò che si nascondeva dietro lo specchio. Beh, Shaka l’aveva già visto: gettò una semplice occhiata di sottecchi a quella specie di porta blindata, poi riuscì a staccare una grande lastra metallica su cui erano incastrati diversi fili.

«Così rischi di prendere la scossa!» quella volta Milo rese la voce più incisiva e arrivò addirittura a bloccare i polsi dell’altra. «Non riuscirai mai ad aprirla, così. Rischi solo di bloccarla del tutto.»

«Ah, davvero?»

Shaka non era particolarmente avvezzo a ricevere ordini, soprattutto quando aveva già deciso cosa fare. Si districò dalla presa dell’amico e si portò la mano a uno stivale, lanciandogli un’occhiata di sfida. Un attimo dopo ne estrasse il manico di quello che sembrava un martello.

«Chi ti ha detto che io voglia aprirla?» proseguì, mentre tirava fuori dall’altro stivale una massa. Mentre univa le due parti della mazzetta, si compiacque di esser stato così bravo da scalare il sostegno dell’edera pur avendo un simile peso alle caviglie. Di sicuro non era un comune essere umano!

Benché Milo lo fissasse incredulo, Shaka proseguì nel suo intento. Gettò un’occhiata alla più vicina finestra per assicurarsi che la festa in giardino continuasse, quindi con rapidi colpi iniziò ad allargare il buco nel muro. Il rumore non era eccessivo, ma prestò comunque la massima attenzione.

«Sei pazzo a prescindere, Shaka.» biascicò a un certo punto Milo, mentre si avventava sullo squarcio e iniziava a tirar via pezzi di mattone a mani nude. «E se questo fosse stato un muro portante?»

«Saresti già morto sotto le macerie.» fu la secca replica.

Il buco nella parete divenne appena più grande di un comunissimo forno a microonde. Milo strappò via un’altra scatoletta di giunzione, ma a quel punto Shaka lo fermò per un polso e scosse la testa.

Sapeva che quello che stava per dire aveva una certa componente di follia, ma dando un’ultima mazzata in profondità al muro riuscì finalmente a trovare un vano. Era il momento.

«Aiutami a entrare.»

Milo si portò le mani alla testa. «Tu sei-!»

Dieci secondi dopo le spalle di Shaka erano incastrate nel muro. Un braccio, però, aveva già raggiunto il vano e cercava di spingersi in avanti aiutandosi con la mazzetta; le gambe, al contrario, erano allacciate a qualcuno che tentava disperatamente di farle entrare in quello squarcio.

«Spingi ancora.» soffiò Shaka, tentando di non pensare a quali assurdi doppi sensi potevano nascere da quella frase. Sentì le mani di Milo stringersi intorno ai propri polpacci e indirizzarlo sempre più in profondità. Il dolore fisico, Shaka, nemmeno lo conosceva: aveva sofferto molto di più indossando le perline tra i capelli.

A un certo punto si sentì scivolare in avanti nel buio più assoluto. Era fatta! Cadde a terra, dall’altra parte del muro, facendosi scudo unicamente delle braccia, ma fu lesto a tirarsi in piedi e iniziare a tastare la parete.

Alla fine sentì una lastra metallica più fredda del resto del muro su cui alcuni bottoni in rilievo avevano una consistenza diversa. Li premette tutti, esultando tra sé e sé per quella vittoria, quindi si affrettò a guardare con soddisfazione il retro della porta blindata aprirsi. Al tempo stesso, alcuni deboli neon sul soffitto si accesero e illuminarono finalmente quella stanza segreta.

Milo entrò dall’ex specchiera, ma non tardò a commentare sconvolto: «Tutto ciò non ha senso.»

Shaka alzò le spalle, dirigendosi verso una rampa di scale con i vestiti totalmente strappati sulle braccia e sul busto.

«Se può interessarti, io sono scoppiato a ridere quando Saga ha scritto la combinazione d’apertura sul telefono.» sospirò Shaka con aria di superiorità. «Avevo già capito che il resto del muro non era stato rinforzato. Ora sbrigati.»

Senza tergiversare ulteriormente Shaka scese le scale che conducevano al piano inferiore.

La luce dei neon era ancora abbastanza debole quando arrivò in un’altra sala, più grande della precedente e molto più accessoriata: a tutte le pareti erano state infatti addossate delle scrivanie che reggevano computer di grosse dimensioni, come se fossero processori di sistemi di sicurezza nazionale. Erano tutti accesi, con lo schermo che mostrava quelli che parevano sismogrammi; soltanto a un’occhiata più accorta – che Shaka non si risparmiò – si potevano scorgere nomi e cognomi di centinaia di persone.

«Cosa diamine…» Milo si portò una mano alla bocca, mentre i suoi occhi sgranati correvano da un computer all’altro.

«Credo che Saga sia un genio.» constatò Shaka, battendo le dita sulla targhetta di un processore che recava la scritta CIA. «Un genio del male. Forse troppo scomodo persino per il governo.»

Milo continuò a fissare i vari schermi.

«Perciò cosa c’è di meglio di creare un piccolo mondo su cui governare?»

Shaka si avvicinò alla porta di un’altra stanza. «Guarda, Milo.»

«C’è il nome di Camus!» esclamò Milo all’improvviso, indicando uno schermo, poi si volse verso di lui. «Qui c’è an-»

S’interruppe.

Shaka sapeva benissimo che gli schermi, per quanto interessanti, non potevano competere con la stanza in cui stava entrando. E Milo, mpf, cos’altro avrebbe potuto fare, se non zittirsi e seguirlo?

Le pareti totalmente bianche erano occupate da grandissimi schermi blu su cui spiccavano in bianco dei disegni anatomici di varie parti del corpo. Ma ciò che costituiva il nocciolo dello stupore non era tanto quella lezione di anatomia fuori programma, quanto tutte le numerose componenti meccaniche che erano state inserite con precisione nei muscoli, nelle giunzioni neuromuscolari, in alcuni organi… e nel cervello.

Un lettino al centro di quella stanza, circondato da infiniti strumenti da sala operatoria, non lasciava dubbi di interpretazione.

«Li hanno completamente trasformati in androidi…» sussurrò Milo, pallidissimo.

Shaka annuì greve, mentre si portava vicino a una grande lastra spessa almeno due dita su cui v’erano oltre un centinaio di piccole antenne. Alcune avevano la punta illuminata, altre invece spenta. E proprio queste non erano accompagnate da nessun nome, mentre le prime recavano tutte un’etichetta con gli stessi nomi che poco prima si leggevano sugli schermi dei processori.

«Abbiamo vinto, Milo.» disse l’indiano, quindi lasciò la mazzetta sul lettino e prese in mano la lastra. «Tieni.»

Milo non si fece ripetere due volte quell’ordine. Iniziò anche lui a guardare con evidente sgomento le antenne e le etichette, finché non impallidì ancora e mormorò, alzando gli occhi: «Ma Shaka… quell’antenna ha il tuo nome.»

Per concludere la sua spiegazione, Shaka prese un altro oggetto e lo puntò dritto contro di lui. Una pistola più grande di una comune revolver, con una canna di metallo dentellata e la punta talmente fine che sembrava adatta per introdurre qualcosa in un corpo umano, era adesso ferma a qualche centimetro dal naso di Milo.

«Saga ha lasciato il compito di immettermi il chip di controllo ad Aiolia. Con questa.» sussurrò mentre i suoi occhi si facevano più freddi del ghiaccio. «Fa credere che la decisione finale spetti a coloro che chiama “seme”, mentre attende nell’altra stanza che si attivino i parametri vitali.»

Milo trasalì. «Ma se tu sei normale, allora…»

Shaka portò subito le dita intorno all’antenna che portava il suo nome, rigido.

«Aiolia è l’unica cosa che mi lega a questa spregevole umanità.» mormorò chiudendo gli occhi. «Non avrebbe mai potuto ridurmi in quello stato.»

Staccò e frantumò poi tra le dita il trasmettitore.

 

Colto da un conato di vomito, come se avesse perso del tutto l’equilibrio, Aiolia barcollò in avanti e si portò le mani alle tempie. Fu solo un istante, perché dopo acquisì la totale consapevolezza di essere nuovamente libero e non dover sottostare a nessun ordine.

Shaka ce l’ha fatta.

Sollevò lo sguardo.

«Signor Valiant, posso farle una domanda?»

Fece appena in tempo a scorgere una mano alzarsi, vicinissima al palco, poi distinse l’uomo che aveva parlato. Era Lord Rhadamanthys.

«Prego.» rispose tranquillamente l’altro, mentre gli faceva cenno di raggiungerlo sul palco. Un attimo dopo il Lord fu accanto a lui, serissimo come al solito, con le braccia incrociate. Saga tuttavia non gli passò ancora il microfono, ma aggiunse: «Quest’uomo è un critico molto famoso che ha deciso di vivere in questa città. Il suo nome è Lord Rhadamanthys de Wyvern! Fate un applauso!»

La folla iniziò a battere le mani, mentre Aiolia sgusciò più vicino al palco per incrociare gli occhi del critico. Dovette attendere qualche istante, ma quando intercettò lo sguardo si fece sfuggire un largo sorriso ferino: missione compiuta.

«Faccia pure la sua domanda.» lo incitò Saga passandogli il microfono.

Il Lord se ne appropriò immediatamente. «Grazie. Vorrei sapere, se possibile, cosa ne pensa lei del controllo mentale.»

La folla cadde in un gelido silenzio. Aiolia vide Saga impallidire, diventare di un bianco quasi cadaverico; notò persino una scintilla di paura nei suoi occhi, subito sostituita da un lampo di rabbia.

«Lord Rhadamanthys, non pensa che questa domanda sia inappropriata all’evento?» biascicò il vicesindaco, senza microfono, ma a voce abbastanza alta affinché si udisse nei dintorni del palco. «Mi dia il microfono.»

«Ma signor Saga.» Rhadamanthys indietreggiò, sfuggendo alla mano di Saga. «La prego, risponda: com’è possibile che dopo aver letto i suoi volantini decine di ragazzi decidano all’improvviso di comportarsi come uke ribelli, uke lascivi, uke stuprabili…?»

«Aiolos, fallo smettere.» ruggì Saga.

Tuttavia, proprio in quell’istante, Aiolia si portò proprio sotto il palco e tra il mormorio stupito della folla iniziò ad applaudire con studiata lentezza, senza mai distogliere lo sguardo da quello del cognato. Brutta situazione, eh? Pensò soddisfatto. Adesso ti faccio pentire di aver toccato mio fratello.

Saga abbassò gli occhi proprio su di lui. Sgranati, sgomenti, quasi lucidi; il demone si sentiva sotto scacco, a quanto pare. Aiolia lo vide dischiudere la bocca e, benché il volume fosse troppo basso per essere sentito, riuscì a capire cosa avesse detto semplicemente leggendogli le labbra. Shaka.

Con uno scatto felino, il segretario si diresse verso le scalette del palco, ma lo scrittore non era tanto stupido da lasciarlo fuggire. Anzi, forse per la sua naturale propensione a immaginare trame complesse, pensò che quello avesse già intuito l’inganno di Shaka e volesse correre a bloccarlo.

Tsk! Aiolia lo placcò immediatamente ma ricevette una strenua opposizione. Saga aveva una forza davvero notevole a dispetto dell’apparenza raffinata, come se nascondesse dentro di sé una galassia pronta a esplodere.

«Aiolos, digli di lasciarmi!» vociò allora, voltandosi verso il palco. «Lo sai che io sono nel giusto!»

La folla allibita iniziò a mormorare sempre più insistentemente e numerose telecamere si puntarono verso i due ai piedi del palco. Sempre tenendo ben stretto il vicesindaco Aiolia gettò un’occhiata al fratello, sperando che facesse qualcosa, ma quello continuava a stare immobile a pochi passi da Rhadamanthys con un’espressione impassibile in viso.

Ma perché…?

«Aiolos!» la voce di Saga divenne un vero e proprio grido. Gli occhi erano adesso colmi di terrore. «Aiolos, se Shaka riuscisse a-»

«Niente se, Saga.»

Aiolia avrebbe riconosciuto quella voce ovunque. Si volse, verso la folla che non capiva e che vociava, verso Camus che s’aggrappava a Shura, verso Milo che reggeva una lastra di metallo.

Verso Shaka, che aveva in mano una pistola.

Bloccò Saga con più forza.

 

«Niente se, Saga.»

Shaka socchiuse gli occhi. Poteva scorgere, sebbene non fosse vicino a loro, Aiolia e Saga intenti in una colluttazione ai piedi del palco, e anziché crucciarsene se ne beò: lo scrittore aveva riacquistato la sua indole abitudinaria.

Gettò a terra la pistola di iniezione, mentre spostava lo sguardo prima sui vari giornalisti increduli, poi sul sindaco Aiolos che era in piedi sul palco, assolutamente impassibile e col viso spento, come se non avesse ben compreso cosa stesse succedendo.

Alzò le spalle nella sua direzione.

«Credo che sia ora di fare chiarezza, Aiolos.» disse con un certo risentimento. «L’idea è stata di Saga?»

«Aiolos, fermalo!»

Saga gridò in preda alla collera, ma questa volta Aiolia lo buttò a terra e lo placcò con più forza, tappandogli la bocca. Sebbene non amasse simili scenari di forza bruta, Shaka non trovò motivo di opporsi e, avvicinandosi a Milo, staccò subito un’antenna dalla lastra.

«Cosa succede?!» osò chiedere un giornalista temerario.

Ma la risposta non fu data da Shaka. Si udirono alcuni forti colpi di tosse provenire dalla folla, che si dispiegò mentre l’uomo che tossiva veniva avanti, una mano sulla bocca, gli occhi rivolti al palco.

Kanon Valiant era salvo.

«Come… come hai potuto…» mormorò mentre la rabbia tingeva il suo viso di rosso. Shaka seguì il suo sguardo: non era di certo Aiolos il destinatario, oh no, né tantomeno il fratello Saga.

Lord Rhadamanthys in fondo non era del tutto innocente.

Shaka inasprì lo sguardo. Con un veloce gesto, ruppe le antenne di moltissimi altri ragazzi e lasciò che il cortile si riempisse di gemiti, ansiti, colpi di tosse e persino urla, mentre il mito di Yaoi City iniziava a cadere.

Con la coda dell’occhio vide anche Camus staccarsi da Shura, portandosi le mani tra i capelli tagliati, e Milo che sorrideva in silenzio, trattenendosi il labbro inferiore con i denti. Sentiva i mugolii di protesta di Saga, adesso bloccato anche da altre persone, e avvertiva come se fossero schiaffi tutti i flash dei fotografi.

Ho vinto.

Mancavano ormai pochi trasmettitori.

Tuttavia, mentre li disattivava, si accorse che alcune etichette non erano contraddistinte da nomi, bensì da numeri. Si fermò quando rimasero soltanto sette antenne, contraddistinte proprio dai numeri da 1 a 7.

Poi Milo, davanti a lui, sgranò gli occhi e gli rifilò una spallata per spostarlo.

«Attento, Shaka!»

Barcollando, l’indiano fece qualche passo e finì tra la folla impaurita. Si volse subito, cercando di capire cosa fosse successo, ma riuscì solo a scorgere Shura avventarsi velocemente su un furioso Death Mask.

«Fallo smettere, Shura! Non pensi all’incidente?!» urlò quello, mentre alle sue spalle Aphrodite guardava la scena senza reagire. «Shura, lo capisci che cosa sta per fare?! Shura! Fallo smettere!»

Incidente.

Shaka trasalì, vittima di un brutto presentimento, ma non riuscì a fermarsi. Corse di nuovo da Milo che reggeva la lastra e afferrò i trasmettitori 6 e 7, quindi li ruppe.

Un urlo di terrore spezzò la confusione che s’era creata dopo l’aggressione di Death Mask. Persino quello smise di placcare Shura, atterrito, mentre il suo viso sbiancava vistosamente.

Non… non c’era tempo da perdere.

Shaka scambiò un’occhiata perplessa con Milo, confuso quanto lui, poi avvicinò il palmo della mano ai trasmettitori restanti. Li ruppe tutti tranne il numero 1.

Sapeva di aver indubbiamente fatto la cosa migliore. Sapeva che, per mettere fine allo scempio di Yaoi City, avrebbe dovuto distruggere ogni cosa creata da Saga e restituire alla natura tutte le sue facoltà; non era forse per quello che sia Rhadamanthys sia Shura avevano deciso di aiutarlo?

Di conseguenza si sorprese quando vide, sul palco proprio davanti a sé, il giovane Sion e il suo compagno scivolare a terra, senza fare alcunché per limitare i danni della caduta. Ancora qualche urlo si levò dalla folla, ma l’attenzione di Shaka fu calamitata da ciò che successe a pochi passi da lui.

Death Mask lo guardò a bocca aperta, cereo, sconvolto, un attimo prima di afferrare Shura che scivolava a terra come Sion. Non staccò lo sguardo nemmeno quando sorresse Aphrodite che, poco prima di chiudere gli occhi, lo aveva abbracciato da dietro.

Shaka rimase immobile.

La sua mente elaborava un’unica, terribile, agghiacciante spiegazione.

«Shaka, loro sono… sono m…» balbettò Milo. «Sono…»

In quel momento Death Mask si sedette a terra, stringendo i corpi dei due ragazzi esanimi, poi coprì con una mano gli occhi di Aphrodite e abbassò il capo.

Chi vuol trovare la verità si metta sulla strada del dubbio.

Ma Shaka, il dubbio, lo aveva sentito nascere nel cuore solo in quel momento.

«NO! FERMO! FERMO!»

Sollevò gli occhi giusto in tempo per vedere Saga liberarsi da coloro che lo bloccavano, Aiolia compreso, e correre verso di lui. Col viso paonazzo, lo sguardo fuori di sé. Esagitato. In lacrime.

«Fallo, Shaka!»

La voce del sindaco fu un tuono potente.

Quando Shaka spezzò l’ultima antenna si ritrovò Saga davanti, in lacrime. In lontananza invece non vide altri che Aiolos cadere dal palco.

«Perché…» mormorò Milo, mentre lasciava scivolare a terra la lastra metallica. Camus lo raggiunse, gli prese il viso tra le mani e glielo nascose sulla propria spalla, come se volesse proteggerlo da quell’orribile verità; Shaka vide quel gesto, sì, ma vide anche Aiolia portarsi le mani alla bocca, mentre osservava il corpo senza vita del fratello.

«Shaka, sette giorni servirono a Dio per creare la Terra. Ho preteso troppo.»

Saga cadde in ginocchio, mentre la folla intorno a lui si ritraeva atterrita.

«Mi dispiace di non poter essere io a darti le risposte che cerchi.»

Fu troppo veloce, fu troppo imprevisto.

Shaka ebbe solo il tempo di notare Saga raccogliere la pistola da terra, ma non riuscì a evitare che si spingesse in petto sia la punta sottile sia la stecca dentellata della lunga canna.

Kanon urlò.

 

 

 

 

 

EPILOGO

 

Appoggiando una mano a un lampione, Shaka si assicurò che anche l’ultimo poliziotto avesse abbandonato il giardino che guardava ormai da qualche minuto. Poco dopo, mentre rimaneva immobile, due volanti si allontanarono a sirene spente e lasciarono dietro di sé una scia di fumo grigiastro.

Di grigio, tuttavia, non c’era solo qualche gas pronto a disperdersi nell’aria. Le strade quasi deserte, le case silenziose, il Sole prossimo a tramontare sembravano a Shaka privi di colore almeno quanto il proprio stato d’animo.

Quando ci sarà la fine del mondo, dicevano i catastrofisti di Chicago, io voglio essere in Kentucky, perché ogni cosa accade lì vent’anni dopo essere accaduta nel resto del mondo.

Ma Shaka l’aveva già vista, la fine del mondo. Del suo mondo. E l’aveva vista proprio in Kentucky.

Si allontanò dal lampione e varcò il cancello del giardino, diretto verso la porta della casa davanti a sé. Gettò distrattamente un’occhiata alla più vicina finestra del pianterreno, mentre i ricordi si facevano quasi opprimenti.

Battendo la mano a pugno solo due volte, bussò alla porta di casa e si sfregò le scarpe con rispetto sullo zerbino, ben attento a non urtare i due cespugli di rose che crescevano ai suoi lati.

Si sentì sollevato, quando la porta si schiuse appena e un viso spuntò dallo spiraglio lasciato aperto. Nessuno dei due parlò per qualche secondo, poi, senza aver fretta, il padrone di casa indietreggiò e sparì all’interno, lasciando volutamente aperta la porta.

Shaka entrò in silenzio.

Benché fuori imbrunisse, nessuna luce era accesa e il poco chiarore proveniva da una finestra semiaperta. Ciò nonostante, l’indiano non ebbe difficoltà a scorgere ciò che si trovava intorno a lui.

Un divano era stato coperto con un lenzuolo bianco e sopra di esso erano stati ammucchiati, confusamente, diversi scatoloni già sigillati. Un tavolo, invece, era stato capovolto e alcune sedie posizionate su di esso in modo da non sporgere oltre le quattro gambe.

Alle pareti non si trovava appeso niente, ma appoggiati a terra v’erano grossi rettangoli impacchettati che avevano l’aria di essere – o esser stati – quadri.

Soltanto un mobiletto era ancora intatto nella sua forma e funzione. Su di esso, però, tutte le cornici erano state capovolte nascondendo ogni fotografia.

«Posso fare qualcosa per lei?» parlò allora il padrone di casa.

Shaka gli puntò gli occhi addosso. «Spero di non disturbare, signor Death Mask. Vorrei farle una sola domanda.»

Death Mask per tutta risposta raccolse un tappeto da terra e iniziò ad arrotolarlo.

«Scommette che indovino?» borbottò secco, senza esternare una singola emozione, mentre faceva scorrere le mani sul tessuto. «L’incidente, vuole sapere? Non può aspettare che la polizia finisca le indagini e le comunichi tutto?»

«Io voglio saperlo da lei.»

La voce di Shaka suonò parecchio dura, ma non si arrestò: «Lei è un avvocato, dovrebbe sapere che la verità non sarà mai resa pubblica. Non quando c’è di mezzo un agente della CIA, perlomeno. O anche più di uno.»

Death Mask si bloccò, alzando gli occhi di scatto.

«Mi permetta di dirle…» mugugnò torvo. «… che se indovina anche quale nome si cela dietro la mia identità fittizia, il prossimo a lavorare alla CIA sarà lei.»

Shaka non raccolse la provocazione, si limitò ad alzare una volta le spalle e puntare lo sguardo verso il divano. E dire che proprio lì s’era consumato uno degli episodi più assurdi della sua esistenza.

«Cosa c’è da spiegare?» fece allora Death Mask, tornando a occuparsi del tappeto. Ma a Shaka non sfuggirono i movimenti più nervosi. «Sa, c’ero io, c’era Saga, c’erano gli altri. Poi sono caduto a terra. E tutto ciò che ricordo è Aphrodite con la schiena spezzata che giaceva accanto a me.»

L’indiano non si concesse nemmeno il diritto di sgranare gli occhi. Si limitò a osservare l’altro mentre finiva di avvolgere il tappeto e lo appoggiava accanto ai quadri, disordinatamente.

«In questo universo la gente nasce e muore come se fosse polvere.» proseguì Death Mask, sfregandosi le mani. «Non è d’accordo?»

Shaka esitò un attimo prima di rispondere.

Fallo smettere, Shura! Non pensi all’incidente?! Shura, lo capisci che cosa sta per fare?! Shura! Fallo smettere!

Non reputando utile far notare la contraddizione, si limitò ad annuire. «Anche se mentre si è in vita si cerca di ottenere l’amore e la gioia per superare la sofferenza, alla fine tutto finisce invano con la morte.»

«Sono d’accordo.»

Con un ghigno visibilmente forzato, Death Mask aprì uno dei cassetti del mobiletto e iniziò a rovistare tra il contenuto.

«Di Aphrodite era rimasto soltanto il viso. Tutto il resto, in quella testa, gliel’aveva sistemato Saga.» proseguì, strappando alcuni fogli e appallottolandone altri. «Allora è proprio meglio che sia morto.»

Shaka stavolta tacque del tutto. Notando che Death Mask era ormai impegnato a sistemare i cassetti, decise di tener fede alla propria iniziale richiesta di una sola domanda e si diresse verso l’uscita. Non c’era nient’altro da fare, se non lasciare quell’uomo al peso delle sue considerazioni.

Tuttavia, mentre si voltava per chiudere la porta, lo sorprese a sollevare una delle cornici.

Anche se mentre si è in vita si cerca di ottenere l’amore e la gioia per superare la sofferenza, alla fine tutto finisce invano con la morte, aveva detto, ma adesso quasi si pentiva di non aver aggiunto, forse per presunzione, che in realtà la vita umana è come un lampo di luce.

Si diresse velocemente verso la strada, senza guardare indietro. Le ombre ormai lunghissime accompagnavano il Sole che s’avvicinava sempre di più all’orizzonte.

Quando già s’era avviato per il viale, si accorse con la coda dell’occhio che un’automobile sulla strada aveva rallentato. Riconobbe la vettura, ma ebbe una ulteriore conferma ai suoi pensieri quando il conducente gli fece un segnale con gli abbaglianti.

Si avvicinò.

«Shaka, noi partiamo adesso.» con voce inflessibile, Camus si sporse dal finestrino smuovendo appena la corta capigliatura. «Incontriamoci alla prima area di servizio.»

L’indiano gettò un’occhiata all’abitacolo, dove Milo guardava fuori dall’altro finestrino. A giudicare dai suoi occhi spenti, tuttavia, era completamente sovrappensiero.

«Sì.» rispose allora Shaka. «Ci vediamo dopo.»

Con un cenno del capo, Camus alzò il finestrino e riprese la marcia lungo il viale. Shaka, al contrario, attraversò il giardino di una delle case per risparmiare tempo, quindi prese a camminare lungo la strada dell’altro isolato.

Fu qui che vide, parcheggiata davanti una grande villa, una decappottabile sui cui sedili posteriori c’era una grande gabbia per animali. Anche questa volta non dovette sforzarsi molto per riconoscere il proprietario: uscì in quell’istante dalla casa un uomo in jeans strappati che portava al guinzaglio un alano di grossa taglia. Subito dopo altri due uomini lo seguirono correndo.

Shaka si fermò.

«Kanon, dove vuoi andare in quelle condizioni?» a parlare era stato Lord Rhadamanthys, visibilmente scosso. «Non hai fatto altro che vomitare tutto il giorno.»

L’altro, per tutta risposta, aprì lo sportello della macchina e lottò per spingere il cane nella gabbia. Quello oppose resistenza, ma alla fine Kanon ebbe la meglio. Quindi il Lord si avvicinò.

«Allontanati.» replicò Kanon con un’occhiata assassina. «Apparteniamo a due mondi diversi. Non c’è niente su cui discutere.»

«Ma Sag-»

«Non nominarlo.»

Il tono fu così gelido che persino Shaka, seppur lontano dal trio, trasalì.

«Non nominare mai più mio fratello. Addio.»

Chiudendo la portiera con uno schianto fortissimo, Kanon balzò in auto e mise in moto senza nemmeno allacciarsi la cintura. Voleva andarsene, pensò Shaka. Vuole andarsene perché non ha più niente qui, se non una tomba su cui piangere. Vicino a un’altra su cui piangeva e per sempre avrebbe pianto uno scrittore che proprio non s’immaginava un simile epilogo.

Shaka sospirò, riprendendo a camminare in direzione opposta. Malgrado il rombo del motore, malgrado i latrati del cane, malgrado le invocazioni di Lord Rhadamanthys, fu troppo facile avvertire i singhiozzi di Kanon perdersi nell’aria di quella soffocante città.

La sagoma della propria casa era ormai visibile in lontananza.

Non contò i passi che lo separavano da quella meta, tutt’al più si preoccupò di contare quante macchine stavano abbandonando quel posto. Si trattava di un esodo lento, ma necessario. C’era chi aveva perso il proprio carattere e la propria dignità per mano della persona più amata, chi invece con l’inganno; altri, addirittura, s’erano trovati a vivere la vita di una mera macchina robotica.

Trovò Aiolia appoggiato al cofano dell’auto. Senza dire una sola parola, gli fece un cenno col capo invitandolo a salire e si diresse senza esitazioni verso il posto del guidatore, quindi montò a bordo e si allacciò la cintura.

Lo scrittore fu più lento nei suoi movimenti, ma una volta che Shaka ebbe messo in moto chiuse gli occhi e si coprì il viso con una mano.

L’uke perfetto.

Tsk, qualcuno aveva addirittura pensato che il nome Shaka Tuja potesse confarsi a quella descrizione senza controllo mentale. Strinse i denti, indignato.

Chiunque leggerà questo romanzo è destinato ad essere ucciso dal grande Kasha Juta.

Accelerò non appena imboccata la strada che conduceva alla provinciale.

Egli è Verità, Egli è questo romanzo, e in quanto tale non può essere violato dai vostri occhi infami e perversi. Egli è il Mondo su cui oggi vive l’umanità.

Dando un’occhiata allo specchietto retrovisore, riuscì a scorgere il cartello segnaletico della città. La scritta “Benvenuti a Yaoi City” era ancora leggibile, ma qualcuno s’era premunito di sbarrare quell’infame nome con una vernice rosso scarlatto. Più in alto, con lo stesso colore, un nuovo toponimo brillava sotto gli ultimi raggi del Sole.

Egli lottò contro il Male che sembrava Bene e contro il Bene che sembrava il Male. Ha vinto ogni battaglia: ciò che resta è una tomba silenziosa in cui tutti i vivi hanno sepolto i propri ricordi.

“Benvenuti al Santuario”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Okaaaaaaay, fatemi spiegare!

Quando iniziai a scrivere la fanfiction non avevo assolutamente intenzione di farla finire così, mi sarei allontanata dal film per un lieto fine più divertente. Anzi, essendo una parodia dissacrante, sarebbe dovuta sfociare in un altro dei tanti luoghi comuni dello yaoi. Tuttavia siccome sono passati secoli dalla stesura del primo capitolo ho cambiato idea e mi sono detta “Oh beh, tanto qui ho combinato già abbastanza casini, perché non complicare ulteriormente la situazione? In fondo Saga l’ha fatta grossa!”.

Ed effettivamente in questo capitolo scopriamo che, dopo un indefinito incidente che ha coinvolto sette agenti della CIA, soltanto Saga e DM sono riusciti a sopravvivere in maniera “naturale”. Da qui il comprensibilissimo gesto di Saga di creare delle vere e proprie macchine pensanti per sostituirli, e quello un po’ meno discutibile di usare la propria abilità per piegare al proprio volere tutti gli abitanti di una città creata ad hoc. Ma questo l’ha capito solo Shaka: dubito che racconterà la verità completa ad Aiolia.

Se vi fosse sfuggito i numeri 6 e 7 indicavano Mu e Aldy, non a caso Kanon si porta via il loro cagnolone Fuffi. E molla Rhadamanthys senza nemmeno pensarci due volte. Anche nelle AU un saint e uno specter non possono pretendere rose e fiori ù__ù

Comunque in questo capitolo ho usato molte citazioni tratte dal manga per il dialogo Shaka/DM; anche la frase sul Kentucky l’ho letta da qualche parte e l’ho inserita perché nel contesto era azzeccata.

Mh…

Grazie a Dio è finita. Non sapevo più gestirla ù___ù;;;;

Perdonatemi, nobile Shaka, per avervi coinvolto nelle mie folli idee di tre anni fa. Accadrà di nuovo, ma non saranno AU di questo calibro.

Tutti a vedere La Donna Perfetta adesso! è_____é

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