Fix you

di Attide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap.1 ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 ***



Capitolo 1
*** Cap.1 ***


Buonasera! Questa storia era nata ancora mesi fa, con il nome di “Carry on”. Mi scuso con tutti coloro che l'avevano letta, recensita o seguita, ma per vari motivi ho preferito cancellarla e ricominciare da capo con questa.

Spero che vi possa piacere più dell'altra, e vi invito a commentare o quantomeno di farmi sapere cosa ne pensate :D un bacio, alla prossima.

 

 


Cap. 1

 

 


Scricchiolava il mondo ormai, sotto quei piedi.

Cigolava e si crepava come legno marcito dall'acqua salmastra.

Si teneva il cappuccio del mantello nero ben calcato in testa, una mano artigliata sulla nuca come a proteggersi.

Passi veloci, silenziosi. I passi di chi non vuole nemmeno sentirsi.

Poi entrò.

Spinse con delicatezza il pesante portone di legno, entrata dell'ennesima bettola maleodorante in cui da troppi anni si decideva la sua vita; sì la sua vita, quella che una volta tutto il mondo magico gli invidiava, quella vita che si districava tra abiti in velluto e maschere d'ipocrisia.

L'odore di alcool gli arrivò forte come un pugno, i fumi nell'aria gli premevano la testa, ma lui non era lì per questo anche se avrebbe voluto con tutta l'anima: lui no, lui non era lì per dimenticare.

Si guardò attorno fino a che non lo vide, seduto al tavolo: lui, curvo su un boccale vuoto, gli occhi bassi di chi ha tutto e nulla da dire, le mani magre e nodose aggrappate al legno scuro del tavolo.

Si avvicinò e si sedette di fronte a lui, senza guardarlo, senza parlare: quando si hanno troppe cose da dire ed altrettante da perdere è difficile trovare le giuste parole.

 

-L'hai trovato?-

 

Tre parole, tre insignificanti parole.

Eppure tre parole che lo avrebbero condannato ancora e con lui la sua famiglia.

Non sarebbe stato difficile sottrarsi, decidere di liberarsi da quei giochi di potere e opportunismo. Sarebbe bastato alzarsi e uscire da quella locanda, senza guardarsi indietro, senza pensare.

Ma la mente ormai aveva già deciso, il suo stomaco aveva già deciso.

 

-Si- sussurrò tra le labbra, muovendo impercettibilmente la testa e facendo scivolare fuori dalla copertura alcune delle sue ciocche biondo pallido.

 

Tremava, Lucius Malfoy, tremava della sua stessa decisione.

 

-Si trova dove pensavamo che fosse?-

 

Deglutì, inspirando a fondo. Che diamine stava facendo, ancora una volta?

 

-Si, ho controllato di persona- rispose.

 

Un ghigno deforme gli si presentò davanti, occhi scuri e illuminati dalla follia, cerchiati da profonde occhiaie violacee. Lo guardò bere dal bicchiere con avidità, quasi a brindare affogando nell' autocompiacimento, una gloria sporca come opachi erano i vetri di quelle finestre da cui entravano gli ultimi raggi prima della sera.

 

 

-Agiremo stanotte. Non c'è altro da dire- decretò la figura che gli stava davanti, improvvisamente chinatasi in avanti come per sorreggersi.

 

Lucius si alzò, senza aspettare altro per andarsene.

Passi veloci,silenziosi. Passi di chi non vuole credere.

Svoltati due angoli delle vie laterali si fermò, appoggiandosi al muro e trattenendo il fiato.

L'aveva fatto per la sua famiglia, per un avvenire migliore.

E perchè allora non smetteva di sentire quella patina che gli appesantiva i polmoni?

L'aveva fatto per sua moglie, per suo figlio.

 

Si sistemò il cappuccio sugli occhi con un gesto rabbioso, disperato.

 

-Perdonami- sussurrò piano, diretto al vuoto.

Si sentì uno schiocco e poi più nulla.

 

 

 

§§§

 

 

 


Chilometri di distanza.

Passi concitati, impazienti. Passi di chi ha tutta la vita davanti.

 

Con le gambe fasciate da dei semplici jeans, l'impermeabile grigio chiaro e i capelli raccolti in una coda allentata, Hermione Granger tornava a casa dopo una giornata di lavoro.

Percorse il piccolo ingresso di ciottoli prima di far girare le chiavi nella toppa del portone verde bottiglia, incastonato in una facciata color mattone, e con il sorriso sulle labbra entrò.

 

-Sono a casa!- urlò verso le scale nella speranza di ricevere una risposta.

 

Una risposta che, come ogni volta, non arrivò.

Si spogliò lentamente, procedendo verso la cucina e guardando dentro il frigo: la desolazione dei ripiani vuoti le si parò davanti,facendola sospirare.

Anche questa settimana Ronald si era dimenticato di andare a fare la spesa: possibile che dopo quasi un anno di convivenza non avesse ancora imparato i turni che avevano concordato?

Lo richiuse con stizza, cercando nella dispensa qualcosa che avrebbe potuto saziare l'appetito indomabile del fidanzato una volta tornato dal lavoro.

 

Guardò l'ora sull'orologio da polso, impaziente: Ron era in ritardo, nuovamente. Questa volta una bella ramanzina a lui e ad Harry non l'avrebbe tolta nessuno, pensò la ragazza, addentando una mela e versandosi dell'acqua.

Il campanile della cittadina suonò i nove rintocchi, e il buio dell'esterno ormai era invalicabile.

Guardò fuori dalla finestra, pensierosa.

Ron non si era mai assentato per così tanto tempo senza avvisarla.

 

Una strana sensazione le strinse le viscere, costringendola a sedersi per l'ansia che cominciava a salire.

Subito si diede della sciocca paranoica, colpendosi la fronte con una mano e tendendo le labbra in un sorriso: in fondo il suo Ron era parte della squadra più specializzata degli Auror, sapeva come fare il suo lavoro e soprattutto sapeva come difendersi.

Rassicurata fece scorrere lo sguardo per la cucina, in cerca di qualcosa da fare per ingannare il tempo nell'attesa.

Poi lo vide.

 

L'orologio regalatole dalla signora Weasley per lo scorso Natale, appeso alla parete, le fece gelare il sangue nelle vene.

Le lancette di Ron ed Harry puntavano sul segno “pericolo di morte”.

Non accadeva da anni, da quattro anni ormai, da quando...

 

Il bicchiere che teneva in mano le cadde, frantumandosi sul pavimento.

Frantumandosi nello stesso istante in cui dentro di lei si propagò il terrore.

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Cap. 2 ***


Buonasera, eccomi ancora qui! Innanzitutto voglio ringraziare tutti coloro che hanno inserito questa storia tra le seguite e le preferite, ma soprattutto voglio fare un ringraziamento speciale a coloro che hanno commentato: siete importantissimi, non mi stancherò mai di dirlo! Detto questo vi lascio al secondo capitolo, invitandovi a dirmi cosa ne pensate se ritenete che ne valga la pena :D buona lettura.
I personaggi di questa fiction appartengono esclusivamente alla scrittrice J.K.Rowling; la storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 



Cap. 2


 



Può un solo ricordo avere la dolcezza e l'amarezza di una vita intera?

 

-Guardami-.

 

Ed Hermione lo fece.

Si specchiò in quei due occhi color del cielo, talmente belli da star male.

Si sforzò di sorridere pur non sentendo di avere più alcun potere sul suo corpo, e quello che ne uscì fu solo una patetica smorfia.

 

Alzò la mano tremante, affondando le dita tra i capelli fulvi con la delicatezza di una madre e la dedizione di un'amante.

 

-Manca poco, tesoro. Manca poco e poi sarà tutto finito- gli sussurrò con voce flebile.

 

Ron tese le labbra verso l'alto, chiudendo gli occhi ed abbandonandosi sul cuscino bianco del letto.

 

-Sono stanco, Hermione. Sono...- si bloccò, inspirando forte tra i denti serrati.

-tu non sei stanca?-.

 

Oh si Ron, non hai idea di quanto lo sia.

 

-No Ron, no. Ma non ti sforzare, tra poco torneremo a casa- disse Hermione, lo sguardo fisso sui lineamenti dell'altro, pronta a non perdersi nulla.

 

-Si...torneremo a casa- bisbigliò Ron, più a se stesso che in risposta al dolore della ragazza.

 

Passarono pochi minuti, oppure delle ore.

Nessuno saprebbe dirlo, o semplicemente Hermione non saprebbe farlo.

La stretta delle loro mani si affievolì a poco a poco e quegli occhi, quei magnifici pezzi di cielo, trovarono pace.

 

 

 

 

§§§




 

 

Parole vuote.

Solo parole vuote.

-
Nessun discorso potrà mai racchiudere il valore ed  il coraggio di questi uomini che hanno sacrificato la loro vita per l’intera comunità, ma sarebbe ingiusto non provarci nemmeno…-


Il vento le scompigliava le ciocche sfuggite alla costrizione delle forcine, il mantello nero le frustrava  le gambe come un animale feroce che si attacca sulla pelle della preda.
Non voleva piangere, non poteva piangere: in un qualche luogo nascosto sicuramente vi erano degli occhi pronti a raccogliere quella sua debolezza e cibarsene come avvoltoi.

Strinse forte a pugno le mani nascoste sotto la veste, il dolore delle unghie conficcate nel palmo sembrava quasi un balsamo per il suo animo lacerato.


-Q
uesti uomini nell’incertezza del successo si affidarono alla speranza, ma nei fatti, di fronte alla situazione che avevano davanti agli occhi, credettero di dover  fare affidamento su loro stessi;
in quel momento ritennero che difendersi e soffrire fosse più nobile che cedere e salvarsi, ed affrontarono con le loro vite i rischi di questa professione  e nel brevissimo momento decisivo della loro sorte, al culmine della fama ma non della paura, scomparvero-
  proclamò la profonda voce di Kingsley Shacklebolt dall’alto del palco montato ad arte al centro della piazza del Ministero.


Lei non poteva sentire altro, non voleva:  tutto arrivava nella sua mente ovattato, lontano,  quasi fosse in una specie di sogno.
E forse lo era…chissà, magari fra pochi minuti si sarebbe risvegliata e non avrebbe più dovuto soffrire…

 

Manca poco e poi torneremo a casa.

Si, sicuramente si doveva trattare di un frutto della sua mente: tutte quelle emozioni non sarebbero state concepibili nella realtà, un solo paio di polmoni non avrebbero potuto sopportare i graffi di tutta quell’ angoscia.

-Hermione…-

E poi…
Poi accadde.


 Si voltò di scatto  come scottata da quella voce, quella voce che come un ago aveva rotto la bolla che le aveva consentito di respirare fino a quel momento.

E poi accadde.

Un dolore così grande, un dolore indescrivibile che le impediva di respirare. Le sembrò di annegare, nulla aveva più senso, nulla avrebbe avuto più senso.

E poi accadde.

Gelide lacrime rovinarono il latteo candore della sua pelle, facendo brillare di un cupo splendore quegli occhi che tanto l’avevano contraddistinta.
Se quello era ciò che l’aspettava per il resto dei suoi giorni, non sarebbe riuscita ad arrivare a vedere l’alba seguente.

Due braccia la strinsero, con forza e disperazione. Quelle stesse braccia che per tutta la loro vita non avevano fatto altro che cercare appoggio in lei.

-Hermione, andrà tutto bene, andrà tutto bene- le sussurrò Harry sui capelli, guardando il cielo con occhi chiusi.

-Andrà tutto bene- continuava a ripetere, come una litania.


-
So che è difficile convincervi, poiché di questi figli avrete spesso il ricordo nel vedere le occasioni di felicità altrui, felicità di cui una volta anche voi godevate.
Il dolore non si sente quando si è privati di beni dei quali non si è fatta esperienza, ma quando viene tolta una cosa a cui si era abituati.
Raccogliete il vostro dolore, e portatelo nel cuore fintantoché potrete, e fate onore a queste anime con il ricordo-



Un singulto soffocato scosse quei due corpi avvinghiati, come due alberi che, cresciuti insieme,  non avrebbero potuto  più vivere se uno dei due fosse stato reciso.

-Andrà tutto bene…- ripeteva  Harry, più per convincere se stesso che per ribadire una realtà, con la voce rotta dal pianto che faticava a scendere.

Hermione aprì gli occhi, appannati dalle lacrime e rossi di dolore.

Un dolore rosso sangue.

Rosso sangue. Rosso come il suo sole.

Rosso come il suo amore.

Quell’amore che ora veniva condiviso da tutti, chi per pietà, chi per commozione, chi per conformismo.
Quell’amore che ora giaceva inerme con la persona che lo aveva suscitato, avvolto da morbido velluto e duro legno.

I bisbigli delle persone la infastidivano, nessuno avrebbe dovuto essere là, nessuno avrebbe dovuto sporcare il suo sentimento con inutili frasi di circostanza.
L’encomio terminò, lasciando fluire verso le loro vite tutti i presenti  ed in quel momento Harry si staccò da lei, lasciandole un senso di vuoto.

Hermione sentì i pezzi del suo corpo cigolare, pronti a crollare ad una minima spinta.

Poi un’altra mano più delicata e discreta le si posò sulla spalla, facendola voltare.

-Per quanto possa essere utile, ti porgiamo le nostre più sentite condoglianze Hermione. A te ed a tutta la famiglia Weasley-  disse una donna dai capelli biondo grano e dall’espressione distinta.

Narcissa Black le stava di fronte, ancora con la mano protesa  e la guardava come se conoscesse fino all’ultima goccia quello che stava provando.
Che sciocchezza, nessuno sarebbe mai riuscito a sopravvivere ad un dolore come quello.

Hermione rimase per alcuni istanti interdetta, alternando dentro di sé la rabbia di un compatimento che non voleva ricevere e il disgusto per la presenza di persone come quella donna.

No, non di persone come quella donna...ma di quella donna.

Immagini di un passato che non voleva ricordare riaffiorarono prepotentemente.

Volse lo sguardo verso la destra di Narcissa.
Al suo fianco, prendendola a braccetto, vi era l’alta figura del figlio che serbava ancora alcuni tenui tratti dell’aspetto che ricordava.

Colorito diafano, capelli chiari ed acconciati ordinatamente, occhi grigi come il cielo che li opprimeva.
Occhi ormai limpidi, curati dai dolori di una guerra lontana eppure dannatamente vicina.
Occhi diversi da quelli che ricordava.

Occhi troppo puliti per tutto ciò che realmente avevano visto.

-La ringrazio signora Malfoy. Spero di poterla rivedere in una circostanza più lieta- rispose Hermione, senza un’ombra di sorriso, senza perdere quell’educazione impeccabile che aveva ricevuto.

 

Nel suo animo,tuttavia, si scontravano pensieri ben diversi da quelli che aveva espresso.
Da lontano , altezzoso e insinuante come sempre, scorse Lucius Malfoy parlare pacatamente con il Ministro Shacklebolt, in mezzo a tutta quella gente come se avesse realmente il diritto di essere libero e non di marcire per il resto dei suoi giorni ad Azkaban.

Socchiuse le labbra, cercando aria.


Con un brusco cenno del capo si allontanò dalla coppia, passando tra le file di sedie ormai vuote ed arrivando fino al feretro che più la riguardava, scansando le mani che cercavano di toccarla per darle conforto.
L’irritazione di poco prima stava lasciando nuovamente posto al dolore, facendole egoisticamente odiare tutti coloro che osavano immettersi nella sua strada verso il buio.

Si fermò a pochi passi dalla foto appoggiata di fianco alle corone di fiori celesti, aggrappandosi al mantello e torturandosi il labbro con i denti.

Nulla sarebbe stato più come prima, nulla avrebbe avuto più senso.


Ron. 

Guardare quella foto le fece tornare le lacrime agli occhi.

Ron.

Il mondo cominciò a vorticare, ad oscurarsi.
Un urlo straziante le uscì soffocato dalla gola, mentre si accasciava a terra, coprendosi il volto con le mani.
Di nuovo quella stretta calda la avvolse, ricomponendola e calmandola.


-Andrà tutto bene Hermione, fidati di me, fidati di noi- le sussurrava Harry.


Niente sarebbe stato più come prima.

 


 
 
 








N.B:  per il discorso del Ministro ho preso liberamente spunto dall’encomio di Pericle scritto da Tucidide.
 

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Capitolo 3
*** Cap. 3 ***


Buonasera gente, come state? Eccomi con un nuovo capitolo, spero che vi piaccia!
Grazie a tutti coloro che si stanno appassionando alla storia,vi adoro :D ma suvvia, lasciatemi un pensierino, giusto per farmi sentire importante. Alla prossima!







Cap. 3
 
 




Chiuse con uno scatto il giornale che stava leggendo, osservando le foto animate che svettavano in prima pagina.

 

Attacco nella notte! Squadra Auror decimata, Harry Potter e Ronald Weasley gravemente feriti.
È in agguato un ritorno dei seguaci di Voldemort?

 

Arricciò leggermente l'aristocratico naso, contrariata.

Sapeva, Narcissa Malfoy, cosa significasse essere al centro di uno scandalo nero, di morti incomprensibili, di dolore.

Erano passati diversi giorni dal funerale di stato, eppure le voci non si erano ancora placate.

Chi aveva osato toccare i salvatori della Guerra? Perchè l'aveva fatto?

Chi avrebbe potuto covare dentro di sé sufficiente rabbia o pazzia per compiere uno scempio come quello?

 

Sentì dei passi dal corridoio, poi deboli voci ormai inconfondibili: quella del marito Lucius, sovrastata da quella più profonda del ministro.

 

Sospirò frustrata.

Lucius non aveva voluto ancora spiegarle il motivo di quella improvvisa confidenza, non aveva ancora imparato dagli errori del passato.

 

Congiunse le mani sul grembo, aspettando e rimanendo in ascolto di quel brusio fino a che non scomparve.

 

Chiuse gli occhi, tremando al pensiero dell'enormità entro la quale la sua famiglia si doveva essere nuovamente cacciata, e pregò che, almeno per quella volta, ne fosse valsa realmente la pena.

 

 




§§§
 

 




 



Un urlo femminile squarciò l’aria degli affollati corridoi del ministero, facendo girare numerose teste in cerca del colpevole.

-Possibile che io debba avere a che fare solo ed unicamente con incapaci?- protestò quella stessa furia che con poco grazia aveva fatto volare in aria dalle mani di uno spaventato tirocinante un intero plico di scartoffie.

Hermione Granger decisamente non era di buon’umore quella mattina, ma a dire la verità non lo era da ormai quasi due mesi, da quando aveva voluto chiudere prepotentemente tutta la sua vita passata all’interno di un baule, nella speranza di dimenticare.

Era successo tutto molto in fretta, troppo, tanto che nemmeno lei era stata in grado di tenere testa alle emozioni che le si agitavano dentro.

Con passo spedito si avviò verso l’ufficio che ormai visitava ogni mattina, decisa ad ‘’eliminare’’ una volta per tutte quelle sanguisughe che, a suo dire, non facevano altro che intralciare e rallentare il suo lavoro.
Arrivata alla porta di legno scuro, bussò tre volte, fissando il suo riflesso storpiato nella targhetta dorata del capo del comando del 
Dipartimento della Regolazione e Controllo delle Creature Magiche.

-Avanti- rispose pochi attimi dopo una voce strascicata ed affaticata.

Hermione non se lo fece ripetere due volte, abbassò la maniglia ed entrò nella stanza.
Venne immediatamente sommersa dalla confusione delle centinaia di cartelline gialle e sbiadite, accatastate precariamente sui pochi centimetri quadrati della scrivania: alle pareti erano appese immagini di creature fantastiche, e dietro la scrivania capeggiava un’enorme bacheca piena di articoli di giornale ritagliati.

Sbuffò sommessamente, tentando di contenere l’irritazione per quello scempio di carta e pergamene e, ricordandosi del motivo per cui era venuta, cercò lo sguardo del direttore.

-Signor Brick?-domandò allungando il collo, cercando di scorgerne il profilo.

Un mugugno soffocato preannunciò la comparsa dell’uomo, riemerso da sotto la scrivania con una decina di fogli in mano fittamente scritti.

-Mi dica, signorina Granger…quale incompetente bambino viziato dovrei prontamente licenziare oggi?- domandò con velato sarcasmo, sistemandosi sulla sedia di pelle e pigiandosi gli occhiali sul naso.

Pancras Brick era un uomo a modo, dedito al suo lavoro e terribilmente confusionario: stempiato e brizzolato, sul suo volto aleggiava sempre un’aria stanca e rassegnata, come di chi non ha più nulla da aspettarsi nella vita, ma non appena apriva bocca tutta la sua acuta ironia e il suo divertimento nei confronti del mondo denotavano un animo intelligente e ingegnoso.

-Lavanda Brown, signore- rispose Hermione senza alcuna remora.

-Oltre ad un atteggiamento infantile ed un approccio al lavoro assolutamente inaccettabile, oserei definire il suo livello di preparazione desolante.
Se poi a tutto ciò affianchiamo un vestiario fuori luogo ed un chiaro intento di intrattenersi con i colleghi di lavoro, si: ritengo che la signorina Brown sia inadatta a qualsivoglia mansione- concluse con un tono serio e professionale.


Pancras le lanciò un’occhiata divertita , congiungendo poi le mani e picchiettandosi il mento.

-E mi dica, Hermione…come intenderebbe risolvere il problema?- le domandò, guardandola dritta negli occhi come a volerle scrutare l’anima.

Come a volerle scrutare l’anima, sapendo già con esattezza che cosa vi avrebbe trovato.

-Annullando il mese di prova e lasciando il posto a ragazzi più meritevoli di lei. Là fuori esistono centinaia di ragazzi che darebbero un braccio pur di avere un lavoro ed essere al suo posto- sentenziò lei accaldandosi, incrociando le braccia al petto.

-Mmm, suppongo quindi che anche gli ultimi quattro tirocinanti non rientrassero nella categoria dei ‘cento ragazzi disposti a dare un braccio’, dico bene?- rispose lui, senza nemmeno tentare di nascondere il sorriso che ormai gli curvava verso l’alto le labbra sottili.

 

-Nelle ultime due settimane mi ha descritto la situazione dei nuovi candidati come...disastrosa- continuò.

-Dice bene, signore. E nemmeno con questi tentativi di mettermi a disagio riuscirà a farmi cambiare idea- concluse Hermione alzando il mento, sfrontata.

Sospirò, togliendosi gli occhiali ed appoggiandosi con i gomiti sulla scrivania.

Come avrebbe potuto fare quello che gli avevano imposto di fare se lei continuava a guardarlo in quel modo?

-Siediti, Hermione- le disse improvvisamente serio.

Hermione seppur con qualche dubbio fece quello che le era stato detto, prendendo posto sulle sedia più vicina e si concesse di osservare l’uomo: improvvisamente le sembrava più vecchio, e quel brusco cambiamento le fece pensare di essersi spinta oltre.

-Mi scusi signor Brick, non avrei dovuto…-

-Non scusarti Hermione, non ce n’è motivo. Voglio solo parlarti da uomo più vecchio e più malandato di te, quale sono- le disse sorridendo appena, mettendola a tacere.

-Vedi, tre anni fa quando ti sei presentata alla mia porta sono rimasto molto sorpreso, non avrei mai immaginato che una mente brillante come la tua si sarebbe scelta una carriera così inconsistente e monotona come questa. Fin dal primo momento in cui ti ho assunta ho avuto modo di osservarti, di testare con mano le tue innegabili capacità, ma non mi vergogno nel dirti che all’inizio ero scettico, molto scettico. Eri pur sempre una delle sopravvissute alla guerra contro Colui che non deve essere nominato- la guardò da sotto gli occhiali, attento.

 

Stava camminando su un campo minato, e lo sapeva.


-Una delle eroine, certo, ma pur sempre una reduce di guerra.
Avevi visto troppi orrori e non potevo permettermi che delle crisi esistenziali di una ragazzina potessero intralciare il mio lavoro, soprattutto in un momento delicato come quello- disse senza mai abbassare lo sguardo, pronto a cogliere ogni piccola espressione sul volto della ragazza.


Hermione dal canto suo era sconvolta: perché le stava raccontando quelle cose? Dove voleva arrivare?

Ma soprattutto: come poteva aver osato dubitare della sua stabilità mentale e della sua efficienza?

Strinse la mano, schiacciandosi le nocche.

La sentiva, ormai.

La riconosceva, quella vampata di caldo che preannunciava una rabbia ceca, furiosa.

-Tuttavia ho avuto modo di ricredermi: giorno dopo giorno mi hai dimostrato di avere competenza e passione per quello che fai, e di questo te ne rendo onore e merito.
Però non posso nasconderti che all’inizio è stato molto difficile comprenderti, è stato molto…faticoso…riuscire a darti fiducia e vedere oltre il tuo atteggiamento aggressivo- continuò Pancras, accompagnando le parole con veloci gesti delle mani.

-Tutti abbiamo bisogno di aiuto Hermione, e rendersene conto non è altro che una dimostrazione di coraggio.
Allora sei riuscita a riprenderti da sola, ma…non so se ora…dopo quello che è successo…tu possa avere la forza di farcela di nuovo- concluse l’uomo.

All’improvviso tra i due calò il silenzio più totale, un silenzio talmente carico di tensione che sembrava schiacciarli sotto il suo peso.

 

-Non fraintendermi, non sto nemmeno lontanamente paragonando l'esperienza della guerra con la morte di Ronald, ma non ho potuto fare a meno di notare come tu sia ricaduta nello stesso stato di qualche anno fa- riprese.

-Non capisco cosa intende, signor Brick- rispose Hermione dopo una lunga pausa, raddrizzando la schiena e irrigidendosi sulla sedia.

Pancras inspirò aria tra i denti, tentando di trovare il modo migliore per esporle la situazione.

-Vedi Hermione, due mesi fa hai subito una perdita molto grande, e sarebbe sciocco pensare che dopo quello che hai già passato tu non possa avere delle ricadute…-     

-Mi sta forse dicendo che sono pazza e che ho bisogno di uno psicologo?- lo interruppe Hermione, sputando le parole con cattiveria.

-Non ho mai avuto intenzione di dire questo- rispose Pancras con severità, per nulla intimorito dal repentino cambiamento d’umore della ragazza.

-Ah no? E allora cosa intendevi Pancras? Spiegamelo, perché allora temo di non aver capito- continuò Hermione, sempre più rossa in viso e cominciando a torturarsi le dita per l’irritazione.


Gli occhi dell’uomo saettarono verso un promemoria adagiato sulla scrivania, come a cercare conferma prima di raggruppare le parole più adatte.

Avevano affidato a lui quell'incarico gravoso, proprio lui che con le parole non era mai stato bravo.

Come si può dire ad una persona di doversi allontanare dal lavoro, senza farla sentire umiliata, senza poterle dare nemmeno una spiegazione?

Hermione si alzò di scatto, talmente velocemente da far cadere la sedia a terra e con un movimento veloce si impossessò di quel foglio di carta che aveva catturato l’attenzione di Brick.

 

Per un attimo il tempo si fermò.

Era sempre stata acuta e in quei pochi secondi aveva capito che se voleva delle risposte alle affermazioni dell’uomo non doveva fare altro che leggere quello che vi era scritto.

-Signorina Granger, le impedisco di rivolgersi a me in questo modo!
Esigo che lei mi ridia quel foglio!- disse Pancras alzando la voce e avvicinandosi alla donna, tentando di recuperare l’irreparabile.


Successe tutto in un attimo.

Le spalle di Hermione si irrigidirono, gli occhi diventarono lucidi di lacrime a forza di tenerli aperti.
Come se tenendoli aperti quello che aveva appena letto potesse scomparire.

Come se quello che aveva appena letto potesse non esistere.

-Mi dica che non è vero- sussurrò nella direzione di Pancras.

-Hermione, non giungere a conclusioni affrettate…-disse lui, appoggiandole una mano sulla spalla.

-Mi dica che non è vero- disse di nuovo, stavolta guardandolo e parlando più forte.

Un lampo di compassione attraversò lo sguardo dell’uomo, facendo scattare la scintilla.
Immagini orrende si susseguivano nella mente di Hermione.

Vestiti strappati.

Sangue sulle mani.

Pelle bruciata.

-Esigo una spiegazione! Non posso credere che realmente lo stiate facendo!- gli urlò contro, scrollandosi di dosso quel calore che all’improvviso la disgustava.

-È così che funziona quindi in questo posto? Più si paga in denaro meno si deve rendere conto delle proprie azioni?- continuò con tono più basso.

 

Pancras era attonito, svuotato delle patetiche scuse che tanto si era preparato.

 

-pensavi che non sarei mai venuta a saperlo, Pancras? È per questo che mi hai fatto tutto questo discorso? Speravi che mi sarei tolta dai piedi senza fiatare? Che avrei capito, che sarei andata avanti?-

 

Le doleva la testa, il sangue scoreva veloce nelle vene.

 

-non mi conoscete proprio, allora. Farò tutto quello che mi è possibile per impedirlo- concluse con voce roca.



Non riusciva più a reggerne lo sguardo.
Uscì da quella stanza con in gola il sapore del disgusto, stringendo ancora tra le dita quel foglio.

Quel foglio su cui stava scritto con calligrafia elegante:


                             
Il posto vuoto nella squadra 6 del reparto Auror è stato affidato al signor Draco Malfoy.
                              La preghiamo di tenere nascosta l’informazione fino al prossimo ordine.

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Capitolo 4
*** Cap. 4 ***


Allora, allora, allora. Non dovrei nemmeno più mettere piede in questo profilo, ne sono consapevole, ma odio lasciare le cose in sospeso. Negli ultimi mesi ho avuto svariati ed innumerevoli problemi che hanno portato la scrittura di questa storia in ultimo piano, tuttavia per vostra sfortuna non ho intenzione di abbandonarla.
L'unica cosa che tengo a precisare è che ormai mi sono resa conto dei tempi strettissimi che mi perseguitano e vi chiedo quindi di accettare questa storia così com'è: frutto di una mente affranta e desiderosa d'evasione, senza costanza nella pubblicazione né con particolari qualità stilistiche o creative. Mi scuso con chiunque abbia atteso anche solo per un solo giorno l'aggiornamento, cogliendo l'occasione per farvi gli auguri per un sereno 2013.
Spero a presto, buona lettura.
I personaggi di questa fiction appartengono esclusivamente alla scrittrice J.K.Rowling; la storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
 






 
Cap. 4






Sembrerebbe strano svegliarsi una mattina e scoprire che tutto ciò in cui avevi sempre creduto ormai non esiste più, come un castello di carte crollato miseramente sotto lo sguardo del fato.

Sembrerebbe strano aggirarsi per una villa che trasuda dell’onta di un passato che continua a bruciare, macchiando una pelle liscia e setosa come l’olio.

Dovrebbe sembrare strano, eppure per lui non lo era.

Draco Malfoy, sempre lui, al centro del suo piccolo cosmo di riverenze e sotterfugi.

Da troppi anni ormai giocava a fare l’uomo vissuto, da quando ancora dell’uomo abbracciava solo l’idea ed ora che tutto glielo concedeva non avrebbe voluto fare altro che girarsi indietro e stringersi all’esile vita della madre, in cerca del calore che tanto aveva rifiutato per vana moralità.

Percorreva i silenziosi corridoi in marmo che lo avrebbero condotto da suo padre con il cuore che batteva forte e il respiro accelerato.

Quante volte ai tempi della scuola le sue compagne di Casa lo avevano lodato frivole per quel suo muoversi silenziosamente, quasi fosse un serpente che striscia nell’ombra pronto a fare del male?

Sorrise amaramente, ripensando a ricordi che avevano un che di agrodolce.

La verità è che non aveva mai sopportato di rimanere solo, non avrebbe mai avuto il coraggio di farlo.
Mostrarsi con l’udito prima ancora che con la vista avrebbe significato esporsi troppo, e lui di esporsi non ne aveva mai avuto l’intenzione.

Giunto alla porta in noce bussò lievemente, quasi sperasse di passare inosservato.

-Entra Draco- rispose una voce all’interno, sgretolando ogni illusione.

Aprì la porta ed entrò nello studio del padre, permettendosi solo qualche discreta occhiata: le pareti erano chiare, di un bianco panna ormai annerito a contrasto con gli scaffali e la scrivania di legno scuro, ed il tutto era tenuto impeccabilmente.
La luce filtrava abbondante dalle grandi finestre, come a dimostrare la non presenza di oscuri segreti e vari oggetti dorati abbellivano il tutto.

Sarebbe sembrato il ritratto di una vita perfetta se solo la stessa aria non fosse stata pesante di marcio.

E poi lui, Lucius Malfoy. Meraviglioso nel suo completo in velluto nero, seduto sul suo trono, i lunghi capelli biondi raccolti in un codino aristocratico.

-Siediti, Draco. Abbiamo alcune questioni di cui parlare- gli disse guardandolo negli occhi, cercandovi la remissività che tuttavia non trovò.

-Preferisco stare in piedi, padre. Alle volte le situazioni necessitano di essere…osservate da un’altra prospettiva- rispose il figlio perdendo lo sguardo in un punto imprecisato della parete.

Lucius sorrise appena, colpito dalla triste ironia della situazione.
È strano come nella vita suo figlio si fosse sempre e solo opposto nelle più piccole e futili situazioni.

-Come vuoi, figlio mio- sussurrò senza mostrare il minimo tentennamento, nemmeno di fronte a quel figlio dal quale per anni era stato idolatrato incondizionatamente.

Volse lo sguardo alla piuma che stava facendo roteare tra le mani, scegliendo accuratamente tutto ciò che doveva restare taciuto.

Ancora una volta.

 

-Questi ultimi tre anni sono stati particolarmente duri per tutti noi, Draco, mi rendo conto della situazione in cui versiamo. Ora ti ho fatto chiamare per parlarti di un'occasione unica, di un'opportunità che ti sto offrendo e che ci stiamo offrendo come famiglia per portare nuovamente in alto il nome della nostra casata-

Draco strinse i denti, innervosito da quella situazione.

-E secondo te noi ora ci troviamo in una posizione tale da poter “riportare in alto” il nome della nostra famiglia?- chiese Draco, colorandosi leggermente in volto per l’irritazione e la vergogna.

La vergogna di chi non è stato abituato a perdere, a cadere per terra e farsi male.

 

L'irritazione di chi sa di non poter incolpare solo gli altri.

-Non ti permetto di parlare in questo modo Draco. Tutto quello che hai ora lo devi solo ed unicamente a me, non te lo scordare- gli rispose Lucius alzando il tono di voce e irrigidendosi sulla sedia.

Quelle due paia d’occhi si scontarono per l’ennesima volta, grigio dentro grigio, così simili ed al contempo così irrimediabilmente diversi.

 

-Su questo non ci sono dubbi. Non ne andrei così fiero, se fossi al tuo posto!- urlò di rimando il ragazzo.

Forse per la prima volta, Lucius si concesse di vacillare di fronte a quello sguardo. Si concesse di vacillare come un padre che dopo aver fatto tutto ciò che riteneva più giusto, si ritrova ad aver perso.

 

-Ho tentato, Draco. Ho tentato più di quanto tu possa immaginare- sibilò con crudeltà, perchè è più facile fare del male agli altri che ammettere di aver sbagliato.

Dal canto suo Draco era immobile, pronto a ricevere il colpo: non era mai stato proprio dell’indole di suo padre l’immolarsi per qualcuno che non fosse se stesso.

Tutto quel discorso non presagiva nulla di buono.

 

-Il Ministro ha offerto un posto nella squadra 6 degli Auror, la squadra che di recente ha subito l'attacco di cui avrai sicuramente sentito parlare. Ne ho già discusso con lui, non ci sono motivazioni sufficientemente valide per impedire che il posto venga assegnato a te.-

 

Draco era immobile, persino respirare gli appariva come superfluo.

No, non poteva essere. Lui era un rifiuto della società, lui non poteva aspirare a tanto. Nessuno gli avrebbe mai potuto affidare tale ruolo.

-Non scenderò nei dettagli...

 

Quali scelleratezze devi aver mai fatto per aver ottenuto questo risultato, padre?

 

-quel che conta è che finalmente hai la possibilità di risanare ciò che altri hanno distrutto...

 

Ciò che tu hai distrutto.

 

-manca così poco, Draco. Ti basterebbe stendere un braccio e troveresti la soluzione ai nostri problemi. Non compiere sciocchezze, non fare domande stupide. Non immischiarti in questioni che non ti riguardano e tutto finirà per il meglio-

 

Gli stava forse leggendo nel pensiero? O forse bastava osservarlo in volto per vedere il terrore che gli cristallizzava i lineamenti?

 

-Padre, come avete...-

-Non...chiedere, Draco. Devo forse ripetermi?-

 

Si, perché questa volta voglio sapere quanto in là mi hai spinto.

 

-No, padre. Non serve-



Come quando si sale in superficie dopo essere rimasti sott’acqua per troppo tempo, Draco riprese a respirare a pieni polmoni.
La prospettiva di una vita gli era sembrata ormai da molti anni solo un pallido miraggio, ed ora gli si prospettava di fronte, ma era già stato fregato troppe volte dalla vita per potersi abbandonare alla gioia con così poco buonsenso.

 

Portò lo sguardo al padre, cercando rassicurazioni ma l’unica cosa che trovò fu orgoglio e fierezza, le due qualità che avevano già portato una volta alla rovina tutti loro.

-Devi recarti tra mezz’ora dal Ministro per passare alcuni controlli di routine e per familiarizzare con l’ambiente, ma confido nelle tue capacità, Draco. Non deludermi- concluse Lucius con serietà, facendo sentire il figlio, per l’ennesima volta, una semplice pedina nelle mani di altri.


E Draco, nel profondo del suo cuore ormai debole, pregò di essere almeno questa volta dalla parte giusta.
 
 

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Capitolo 5
*** Cap. 5 ***


Buonasera! Come state? Spero bene :D ecco un nuovo capitolo, che spero vi possa piacere più degli altri visto che non hanno avuto molto successo. La trama si infittisce e compaiono nuovi personaggi, spero di non deludere troppi di voi! Recensite, un bacio e alla prossima.
 

 

 



Cap. 5

 

 



Confusione.

 

 

L'antico orologio a pendolo fece risuonare tre rintocchi nel silenzio più assordante.

O forse furono di più, non saprebbe dirlo: lo stordimento era troppo e il terrore ancora di più.

 

La stanza era buia e lo scoppiettante fuoco acceso rendeva l'aria calda e secca.

 

Irrespirabile.

 

Il baluginare delle fiamme lo confondeva, lo accecava, disegnando sulle pareti giochi d' ombre che sembravano prendersi gioco di lui e della sua paura.

 

Il suo corpo fu attraversato da un brivido mentre si concedeva di guardare quel fuoco, incastonato all'interno di un camino in marmo chiaro: le braci sul fondo vibravano ancora di rosso nel futile tentativo di imitare quello che erano state, un lieve fumo si alzava a spirali, alcune scintille e schiocchi ne interrompevano la monotonia.

 

Si allungò da sopra la poltrona su cui era legato, domandandosi se, in fondo, dovesse fare poi così male morire bruciati.

 

Forse anche il suo corpo sarebbe stato accarezzato così come venivano vezzeggiati quei ceppi, quasi che le fiamme stesse non volessero fare del male.

 

 

Sentì dei passi, o forse era semplicemente il battito del suo cuore: ormai non sapeva più cosa pensare.

 

-Signorino Shacklebolt, cosa la turba a tal punto da non prestarmi nemmeno attenzione?- domandò una voce alle sue spalle.

 

Sobbalzò, non riuscendo a vedere la figura che gli aveva parlato a causa della prolungata reclusione al buio.

 

-mi dispiace, non volevo spaventarti. È da molti giorni che desidero parlarti, ed ora eccoci qui! Non ti sembra magnifico?- continuò avvicinandosi.

 

Roran Shacklebolt indietreggiò per quanto gli era possibile, appiattendosi sullo schienale della poltrona: ora, grazie a quella nuova vicinanza, riusciva a scorgere il profilo dell'uomo che in poche ore era stato in grado di rovinargli l'esistenza.

 

Aveva capelli neri e rasati, il colorito pallido: il naso era storto, chissà quante volte era stato rotto, ma il particolare che più l'aveva inquietato erano stati gli occhi.

Occhi chiari come l'acqua, iniettati di sangue: occhi sfregiati da una lunga e lineare cicatrice che partiva da una tempia per giungere all'altra.

 

Fu come se all'improvviso tutti gli indizi di una caccia al tesoro fossero stati uniti, facendogli apparire chiaramente l'ultimo suggerimento per arrivare alla soluzione.

 

Un ricordo gli vorticava in testa, vagando nelle infinite conversazioni con suo padre, eppure per quanto continuasse a sforzarsi continuava a sfuggirgli.

 

-Io ti ho già visto- gli sibilò, tentando di ricordare.

 

L'uomo si aprì in un sorriso che di rassicurante non aveva nemmeno l'intenzione, avvicinandosi fino ad arrivare a pochi centimetri dal figlio del Ministro.

 

-Di questo non ne dubito- gli soffiò, chinandosi verso il suo volto.

-e sono sicuro che ti ricorderai di me ancora per molto.

Mi sei stato molto utile, sai? Ho sempre pensato che amare qualcuno oltre a se stessi fosse solo un modo in più per farsi del male, e guarda ora tuo padre...non deve essere stato facile per lui accettare la realtà e sottostare alle mie...priorità- sussurrò con tenerezza, alzando una mano come per accarezzargli il capo.

 

-Che cosa gli hai fatto?- urlò Roran, scostandosi a quel contatto.

 

L'uomo si drizzò, guardandolo negli occhi ma senza vederlo realmente. Fu allora che Roran lo vide per un attimo: un uomo che era il fantasma di se stesso, il fantasma di un pazzo.

 

Sentendosi osservato e fin troppo esposto, l'uomo si voltò per allontanarsi da quel prigioniero che da subito l'aveva incuriosito.

 

Perchè sì, questo era Roran: prigioniero di un pazzo che non aveva ancora avanzato alcun tipo di richiesta.

 

Forse è solo uno squilibrato, forse sta solo farneticando. Mio padre è al sicuro e non è uno sciocco, non può aver fatto nulla di insensato.

 

 

-Sai, Roran. Ho constatato che voi giovani tendete a fare sempre un errore che il più delle volte porta a conseguenze a dir poco sciocche- gli disse, ormai invisibile nel buio.

 

-La domanda che ti dovrebbe interessare maggiormente non è “che cosa gli ho fatto”...ma che cosa tu hai fatto- gli suggerì sempre con quel tono amorevolmente fanatico.

 

Vuoto.

 

Si sentì un tonfo e poi più nulla.

 

Roran appoggiò la nuca all'alto schienale, colpito da quell'ultima frase, stremato e senza forze per la troppa tensione.

Cos'era quell'improvvisa e nuova ondata di angoscia che gli faceva attanagliare le viscere?

Rivolse il palmo delle mani verso l'alto, osservandosi e cercando una traccia di qualcosa, qualsiasi cosa che fosse anche solo in grado di farlo uscire da quello stato di oblio.

 

Che cosa ho fatto?

 

Nulla,non ricordava nulla.

 

Maledizione.

 

Senza rendersene conto si era consumato come quei ceppi, rimanendo solo un'ombra di quello che era stato.

 

 

 

 

 

 

§§§

 

 

 

 

 

-Ecco a lei, signorina- disse il giovane ragazzo del bar, sorridendo.

 

Hermione rispose gentilmente, afferrando il bicchiere di cartone e avviandosi verso l'interno del parco.

Era ormai sua abitudine passare la pausa pranzo fuori dal suo ufficio, allontanandosi da tutta quella confusione che non faceva altro che peggiorare la sua ormai persistente emicrania.

 

Sorrise fra sé, prendendo il primo sorso del suo caffè, ma non fece nemmeno in tempo ad arrivare alla “sua” panchina che già aveva arricciato il naso in una smorfia di disapprovazione.

 

Che cosa disgustosa.

 

Non le era mai piaciuto il caffè, il gusto era fin troppo deciso.

 

Ma con lui aveva imparato ad amarlo.

Lo pensò, come ogni giorno, ripercorrendo nella sua mente tutti i più belli e sciocchi ricordi.

 

Ripensò alla prima volta in cui, sdraiati in mezzo al loro soggiorno ancora vuoto e dalle pareti bianche, lei e Ron avevano condiviso una tazza di caffè da lui solertemente preparata; e ricordò come, per la prima volta, quel sapore tanto odiato fosse diventato il più dolce di tutti.

 

Si sedette per pochi minuti, giusto il tempo di finire quella brodaglia, massaggiandosi le tempie e calciando di tanto in tanto qualche piccolo ciottolo del sentiero.

 

Che stanchezza...

 

All'improvviso sentì un forte schiocco ormai familiare e senza pensarci a lungo si alzò, avvicinandosi con cautela alla fonte del rumore, la mano già pronta sulla bacchetta nascosta all'interno dell'impermeabile.

 

Chi mai sarebbe potuto essere così sciocco e sprovveduto da smaterializzarsi nel bel mezzo della Londra babbana?

 

Sentì una sorta di basso brontolio, come se quel qualcuno stesse parlando da solo, sporgendosi verso alcuni cespugli a lato del sentiero.

 

Poi vide una figura di spalle, avvolta da un mantello nero e con il cappuccio alzato, come se fosse pronta ad urlare di essere guardata.

 

-Hey, tu, sei per caso impazzito? Siamo in un luogo pubblico, avrebbe potuto vederti o sentirti qualcuno!- lo rimproverò Hermione con tono pedante.

 

La figura sussultò, girandosi appena e senza rispondere.

 

Incosciente e maleducato, a quanto pare.

Si avvicinò ancora, ormai fin troppo curiosa di conoscere il volto di quella persona che invece a quanto sembrava non aveva la benché minima intenzione di svelarsi.

 

-Mi hai sentito?- continuò la ragazza, scocciata di essere ignorata così apertamente.

 

Fu in quell'istante che la sua vita prese una direzione completamente diversa, scontrandosi con quella di quel ragazzo così silenzioso.

 

Quel ragazzo che non aveva mai, presuntuosamente, avuto bisogno di saper stare al mondo giacché era il mondo stesso che doveva modellarsi a lui.

 

Si guardarono, fissi occhi negli occhi: lei improvvisamente taciturna, lui improvvisamente nervoso.

 

-Si, Granger. Ti ho sentita- le rispose Draco a bassa voce, immagine perfetta di un animale impaurito.

 

Malfoy. Draco Malfoy.

 

Davanti a lei.

 

La guerra era iniziata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Cap. 6 ***


 



Cap. 6

 

 

 


-Mi hai sentito?-

 

Ma che diamine...?

 

Draco si voltò di scatto, improvvisamente consapevole di dove si trovasse: un parco, babbano a giudicare dalla vegetazione.

 

Come aveva potuto essere così sprovveduto da smaterializzarsi con quello stato d'animo?
Avrebbe potuto spaccarsi, avrebbe potuto ferirsi in modo così profondo che nessuno avrebbe potuto aiutarlo.

 

Un forte capogiro lo colse, facendolo barcollare.

Che ne era stato del suo proverbiale autocontrollo?

 

Si sentì pervadere da brividi freddi, l'angoscia nei suoi occhi era palese.

 

Hermione Granger gli stava di fronte e lo guardava insistentemente, con cipiglio severo e irritato.

 

Fu nel momento esatto in cui i loro occhi si incontrarono che ebbe la certezza che lo avesse riconosciuto: i tratti alterati del suo volto si distesero in un'espressione stupita, sgranò leggermente gli occhi e socchiuse la bocca.

 

La situazione avrebbe avuto un risvolto quasi comico se solo i due sfortunati protagonisti non fossero stati loro due, con i loro difetti e i loro trascorsi di vita.

 

A poco a poco, troppo presto, Hermione sembrò riacquistare pieno possesso delle sue facoltà, momentaneamente anestetizzate dall'apparizione del vecchio compagno di scuola e tornò a guardarlo con disapprovazione.

 

-Si Granger, ti ho sentita- rispose Draco, ostentando indifferenza.

 

Peccato che però chi prova indifferenza, solitamente, non abbia la voce che trema.

 

Hermione incrociò le braccia al petto, quasi si volesse proteggere e nascondere, ed alzò fieramente il mento.

 

-Che cosa ci fai qui?- gli domandò accusatoria, non riuscendo a frenare il risentimento e la rabbia che il solo guardarlo le faceva riaffiorare.

 

Non era più abituata a fare i conti con il passato, né tantomeno con le persone che glielo avevano segnato, e di certo questo non deponeva a suo vantaggio.

 

Lei era diventata debole, non poteva non ammetterlo: dopo la morte di Ron non aveva più permesso a nessuno di avvicinarsi, di avvicinarsi a lei realmente, nemmeno ad Harry e Ginny, o alla signora Weasley.

 

Nessuno.

 

Ma lei non poteva ancora saperlo.

No, non poteva conoscere la verità più grande che invece ora più che mai la accomunava a Draco: chi non accetta di provare sentimenti prima o poi ne viene sommerso.

 

Ne viene travolto così prepotentemente da non riuscire a resistervi.

 

-Avevo bisogno di schiarirmi le idee, non ti capita mai?- le rispose Draco, beffardo e forte nella sua spavalderia.

 

Hermione contrasse le mani, così forte da far sbiancare le nocche, e si morse un labbro.

 

Perchè doveva essere così? Perchè improvvisamente ogni più piccola inezia le entrava dritta nelle ossa, vibrando e colpendo il suo sistema nervoso?

 

-Malfoy, non dirmi che con gli anni hai affinato la tua ironia perchè, credimi, tra tutte le cose che avresti dovuto migliorare hai fatto proprio una pessima scelta- gli rispose a tono, incanalando la sua frustrazione.

 

Fu il turno di Draco di irritarsi, colpito dalla cattiveria che ogni singola parola di Hermione sembrava essere intenzionata a riversare su di lui.

 

Si portò una mano alla fronte, passandosela poi tra i capelli, imitando quel gesto che da adolescente aveva il potere di farlo sentire grande, al sicuro.

 

 

Un Malfoy non deve mai presentarsi in modo non consono, deve sempre avere il potere su ogni parte del suo corpo.

 

Sorrise, ricordando le parole che il padre era solito ripetergli ad oltranza nelle volte in cui stavano insieme: ai suoi tredici anni, momento in cui ogni ragazzino non vuole fare altro che ribellarsi ai propri genitori, scompigliarsi i capelli gli sembrava essere una delle più grandi trasgressioni che avrebbe mai potuto fare.

 

Alzò di nuovo gli occhi sulla figura della ragazza, scrutandola e cercando di riordinare i pensieri: in fin dei conti Hermione gli era servita per non cadere in uno stato di panico, gli era stata utile seppur a sua insaputa.

 

A che cosa gli sarebbe servito andare avanti con quel teatrino di frecciatine?

 

-D'accordo Granger, finiamola qui. La prossima volta starò più attento a come e dove mi smaterializzerò. Contenta?- le rispose in tono remissivo e stanco.

 

Si studiarono per alcuni istanti,l'uno in attesa di una mossa dell'altra, fino a che Hermione non annuì rigidamente col capo.

 

-Bene. Ora, a meno che tu non voglia che mi unisca a te per bere un caffè, me ne andrei. Buona giornata, Granger- si congedò, sorridendo leggermente e guardando verso il sentiero acciottolato.

 

Ma non si mosse.

Rimase lì fermo in attesa di qualcosa, qualsiasi cosa che lo facesse sentire vivo: e sentirsi insultare dalla Granger lo faceva sentire estremamente vivo.

 

Lo faceva sentire umano.

 

Hermione, dal canto suo, era attonita: che ne era rimasto del vecchio e spocchioso Malfoy che aveva conosciuto?
Davvero non l'aveva offesa nemmeno una volta per il suo sangue?

 

Raccolse la sua borsa, gettando un'ultima occhiata dubbiosa al ragazzo, e si incamminò verso il Ministero.

 

Chissà che cosa ci faceva lì, Malfoy non era mai stato in buoni rapporti con la Londra babbana.
Eppure si era smaterializzato proprio nella sua parte più lontana dal mondo magico.

L'unica cosa che avrebbe potuto richiamarlo sarebbe stato il Ministero, ma...

 

Certo, il Ministero.

 

Così Hermione improvvisamente ricordò e collegò ogni tessera.

 

Malfoy. La squdra 6 degli Auror.

 

La sua discussione con Pancras di qualche giorno prima.

 

Come quando aveva scoperto che uno dei posti vuoti della squadra sarebbe andato a Draco, allo stesso modo venne travolta dalla rabbia e dal dolore.

 

Come poteva il Ministero permettere che la morte di Ron, del suo Ron, venisse macchiata in questo modo?
Come potevano anche solo pensare di sostituire un posto vuoto con il simbolo di una delle famiglie di mangiamorte contro le quali si erano più battuti?

 

Non si voltò, non osò nemmeno ripensare al volto di Draco e ai suoi capelli biondi.

Non avrebbe resistito alla tentazione di tornare indietro e sfogare su di lui tutto il dolore che aveva provato.

 

 

Ancora una volta il destino aveva voluto far incrociare le strade di quei due ragazzi, facendosi gioco di ogni odio e tensione.
 

Draco rimase fermo per molti minuti, la distrazione che gli aveva portato Hermione era già lontana.

 

-Non parlare con nessuno, non affezionarti a nessuno.
Chiunque si rivolgerà a te con una parvenza di umanità lo farà solo per tornaconto, non essere così sciocco da cascarci. Troverai solo sguardi di disprezzo e disapprovazione, ma sei forte Draco.
Fino ad ora non è riuscita a piegarti nemmeno la vita, non farti manovrare ancora una volta dalle folli idee di tuo padre.

Hai la possibilità di riscattarti, di liberarti di questa famiglia e di crearti una tua strada.
Fallo per te stesso, Draco.  Fallo per me-

 

 

Le parole di sua madre gli tornarono in mente, forti e terrificanti come gli erano sembrate prima di arrivare in quel parco.

Parole talmente crude da averlo totalmente sconvolto.

 

Aveva finalmente avuto la conferma alle sue paure: suo padre lo stava nuovamente usando come pedina, e sua madre ancora una volta non poteva fare altro che stare a guardare impotente.

 

Questa volta però avrebbe avuto un'altra scelta, non sarebbe rimasto ad aspettare che altri decidessero della sua vita.

 

Una folata di vento gli scompigliò i capelli, accarezzandogli il volto e facendogli levare lo sguardo su quel paesaggio che fino a pochi istanti prima avrebbe solo disprezzato.

 

Inspirò a pieni polmoni, tentando di scacciare i demoni che gli opprimevano il petto.

 

Quello era un nuovo inizio.

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