Caribbean Tales 1 - Revenge of the daughter (la versione definitiva restaurata)

di Laura Sparrow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Caribbean Dream ***
Capitolo 2: *** Jack Sparrow ***
Capitolo 3: *** Black Pearl ***
Capitolo 4: *** In fuga ***
Capitolo 5: *** Schiaffi ***
Capitolo 6: *** Beatrix Barbossa ***
Capitolo 7: *** Il capitano dell'Olandese Volante ***
Capitolo 8: *** Stoccata ***
Capitolo 9: *** La Locanda Del Cigno Nero ***
Capitolo 10: *** Prigionieri ***
Capitolo 11: *** La prova e il premio ***
Capitolo 12: *** La caverna ***
Capitolo 13: *** Insieme ***
Capitolo 14: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** The Caribbean Dream ***


Prologo



E finalmente, dopo circa tre anni da quando questa storia è apparsa, neonata e ancora impacciata, sui fogli del mio quablock che periodicamente portavo da leggere alle mie amiche, riesco a correggerla ed aggiornarla in modo da darle una trama e una forma soddisfacente!
In tutto questo tempo il mio stile (ma anche il mio modo di pensare e soprattutto il mio rapporto con Capitan Jack Sparrow) si sono evoluti e sono maturati, e col il fondamentale esempio e insegnamento delle bellissime fanfiction su POTC che ho letto in questi anni ho deciso che era tempo anche per la mia semplice storiella di crescere e diventare la degna fanfiction che avrei voluto scrivere per Capitan Jack Sparrow e per me, anche perché è stata solo la prima puntata di una lunga serie, e il balzo di qualità fra questa prima e le ultime che ho scritto è agghiacciante.
Altro inghippo piuttosto spinoso che ha ostacolato la riscrittura: l'uscita del sequel.
A parte il fatto che quel secondo film mi ha uccisa (non una ma ben quattro volte...), c'era il fatto che una nuova storia si era intrecciata a quella che già conoscevamo, e il peggio è che ancora non si sapeva come sarebbe andata a concludersi. Quindi, dato che la mia storia è ambientata circa quattro anni dopo il primo film (Elizabeth e William hanno già un figlioletto) cosa avrei dovuto fare? Fingere che gli avvenimenti del secondo film semplicemente non fossero esistiti; darli per realmente accaduti e conclusi; o lasciare nel dubbio?
Queste ff le ho scritte molto prima dell'uscita del sequel anche se prendono vita solo adesso, infatti tutte hanno subito una forte riscrittura per inserire nuove idee che potevano sia migliorare la storia sia riallacciarla agli avvenimenti avvenuti nel sequel, quindi mi arrovellai per trovare una sorta di incastro: Laura e Faith hanno conosciuto Elizabeth da ragazzine e si sono lasciate mentre lei era fidanzata con William e ad un passo dal matrimonio(perciò dopo il primo film e appena prima del secondo), quindi sono state mandate a Redmond, dove hanno passato lavorando al servizio della Marina locale circa quattro anni. In quel lasso di tempo a Jack, Will ed Elizabeth è accaduto quel che è accaduto (che io conto come un anno fra il primo e il secondo film, e tre anni dopo la conclusione del terzo film, naturalmente senza contare la scena dopo i titoli di coda) e infine il magico gruppo si è riunito in questa mia prima ff.
Ho corretto e aggiornato la mia storia man mano che si aggiungevano idee e particolari, ma aspettavo l'uscita del terzo per approntare i dettagli definitivi, e chi ha seguito fin dal principio questa storia può notare che questa è ben la terza riscrittura che faccio.
Il finale del terzo è stato una mazzata in pieno stomaco che ha ribaltato completamente la situazione.
Subito non avevo accettato il finale scelto per William ed Elizabeth, una coppia che ho sempre amato e sostenuto fedelmente fin dal primo film, e soprattutto non avevo idea di come poter usare loro due nelle mie storie senza dovermi vedere costretta a cambiare il finale, cosa a cui avevo pensato ma che non ho fatto in nome dell'affetto e dell'ammirazione che nutro per i film della trilogia dei Pirati: solo dopo ho raggiunto un compromesso, decidendo di tenere il finale del terzo film in tutto e per tutto, per riunire Elizabeth e Will proprio nella mia ff, tre anni dopo la loro separazione: sì, odio le separazioni decennali.
Quindi cancellate la scena dopo i titoli di coda del terzo... almeno per il momento. Non si sa mai che trovi il modo di allacciare una scena simile alla conclusione di tutta la saga, heeee he he!

Mi ha addolorato molto dover depennare completamente personaggi come Norrington e il governatore Swann, ma così ha voluto la crudeltà degli sceneggiatori... Una cosa che invece sono stata felicissima di aggiungere è stata la scimmietta pestifera e... Barbossa! Dopo averlo semplicemente adorato in POTC 3 sono entusiasta di poterlo utilizzare anche nei miei deliri scrittorici! Non sperateci troppo però, per esigenze di copione avrà solo un ruolo marginale in questa prima ff... per adesso.
Spero che questa storia vi piaccia, apprezzo moltissimo i commenti, suggerimenti e critiche costruttive! Buona lettura!

Capitolo 1
The caribbean dream



La prigione era umida e scarsamente illuminata; ogni volta che vi entravo desideravo fosse l'ultima volta. Ma sapevo che il giorno dopo vi sarei dovuta tornare, distribuendo il cibo ai carcerati che mi guardavano storto, sorvegliata da una guardia armata perché ai prigionieri non saltassero in testa strane idee. Non era un lavoro solito ad una giovane ventitreenne, ma era l'unico che io, Laura Evans, ero riuscita a trovare in quella piccola città. Io e la mia migliore amica, Stephanie, lavoravamo in quella sudicia prigione ormai da quasi un anno. Ero nata in un anonimo paesino portuale: mio padre faceva il pescatore e il ferramenta, spesso mi portava con lui a pescare, salivamo sulla sua barchetta e ci spingevamo a largo del porto, dove le onde allegre facevano dondolare la nostra imbarcazione. Quando non tenevo la canna da pesca mi sdraiavo sul fondo della barca e chiacchieravo placidamente con mio padre, guardando il cielo terso dei Caraibi punteggiato dai gabbiani, godendo della carezza del mare finché papà non riponeva la canna e, con i secchi pieni di pesce, remava fino al porto per fare ritorno a casa. Amavo quei momenti di quiete dove tutto attorno a noi era solo lo scroscio delle onde, le strida dei gabbiani e, spesso, il motivetto fischiettato da papà: continuai ad uscire a pescare con lui per molto tempo.
Non avevo fratelli, né sorelle, ma una persona per me fu come una sorella. Il paese era piccolo e tutti conoscevano tutti, erano molti i bambini che furono miei compagni di giochi nella mia infanzia, ma una in particolare rimase con me per tutti gli anni a venire: Stephanie Faith Westley.
Capelli lisci e neri perennemente intrecciati dietro la testa, grandi occhi scuri e un sorriso contagioso, io la chiamavo semplicemente Faith: da sole eravamo ragazze riservate, insieme nulla ci poteva fermare.
Eravamo entrambe inguaribili sognatrici e non facevamo che fare progetti: a quindici anni, parlando del più e del meno, ci ritrovammo a discutere del nostro futuro, di cosa avremmo fatto una volta entrate nell'età adulta. - Io non voglio rimanere qui. - dissi una sera che mi trovavo con lei, seduta sul muretto dinanzi a casa mia. - Molte si accontentano di rimanere del posto dove sono nate, trovare un impiego, sposare uno dei giovanotti della città... Io non voglio questo. -
Gli occhi di Faith si illuminarono di un guizzo di meraviglia e interesse. - Cosa vorresti fare allora?-
Scrollai le spalle, senza rispondere, ma in realtà serbavo già un progetto nel mio cuore. Prendere il mare, salpare dalla mia città, viaggiare e... trovare un posto speciale in cui vivere. Sapevo che si trattava di fantasie audaci, sogni irrealizzabili, e allora spesso mi mettevo a tacere da sola, mi dicevo di non fare voli di fantasia. Ma subito mi accorgevo che le mie parole assomigliavano spaventosamente a quelle delle anziane pettegole della città, le stesse che per anni ci avevano fatto la paternale ripetendo che una brava ragazza deve essere ubbidiente, sposarsi presto e fare felice il marito. All'idea di diventare un giorno come loro, che ti guardavano dall'alto in basso, che parlottavano fra loro guardandoti come se tu fossi stata qualcosa di sbagliato, un torto che andava raddrizzato, mi montava la rabbia in corpo, e alimentavo ancora di più le mie fantasie, in una decisa ribellione contro quella detestata mentalità chiusa e bigotta, che tracciava il tuo destino fin da quando eri in culla e non ti lasciava scampo. Lo sguardo di Faith richiedeva una risposta, così azzardai: - Non sarebbe male girare un po' il mondo. -
La mia amica sorrise, e in quel momento capii che condivideva quel sogno. - Viaggiare, eh?- disse, alzando gli occhi verso la strada per il porto: il mare non si vedeva, ma entrambe stavamo immaginando quella via aperta davanti a noi. - Sarebbe difficile, ci vogliono molti soldi per viaggiare... ma dove andresti?-
Di nuovo mi strinsi nelle spalle. - Vorrei vedere tutti quei posti meravigliosi di cui parlano tanto i marinai!-
- Sposerai un capitano di ventura!- replicò Stephanie ridendo, io le lanciai un'occhiata complice. - Tu no?- Ridacchiammo insieme, poi tornammo silenziose, ponderando la possibilità di una vita lontana dai posti che conoscevamo, nelle isole esotiche e nelle affollate città della costa. - Sarebbe bello. - disse infine Stephanie, voltandosi a guardarmi in faccia. - Ma sarebbe ancora più bello viaggiare insieme. -
- Certo che viaggeremo insieme. - risposi con sicurezza. - Qui ci vuole un giuramento. - le porsi la mano in modo teatrale e con voce impostata dissi: - Saresti disposta a lasciare questo paese, la tua casa e la tua vita tranquilla per imbarcarti con me per viaggiare insieme per i Caraibi e trovare un posto dove fare fortuna?-
- Sono disposta!- Stephanie mi strinse vigorosamente la mano. - Il patto è concluso!- annunciai, e ci sorridemmo complici. Non era altro che un tacito accordo, il sogno comune di due adolescenti, eppure in qualche modo mi sentivo rafforzata da questo reciproco giuramento: saremmo rimaste insieme e insieme ci saremmo inoltrate nel mar dei Caraibi.

*

La nostra cittadina tanto tranquilla era diventata la meta preferita del governatore di Port Royal, Weatherby Swann e sua figlia: avevano un'elegante villa appena fuori dalla città e vi venivano in villeggiatura per due o tre mesi l'anno. Quando incontrai per la prima volta Elizabeth Swann avevo diciassette anni, e lei ne dimostrava altrettanti: stava passeggiando presso la spiaggia, accompagnata dalla sua dama di compagnia; io e Faith ci trovavamo proprio lì vicino e vedendola avvicinarsi la salutammo con un educato: - Buongiorno miss Swann. - sapevamo chi fosse poiché dal giorno del suo arrivo praticamente ogni donna del paese non faceva che parlare della figlia del governatore.
Lei sembrò felice di avere incontrato qualcuno della sua età e si trattenne a parlare con noi, prima ci scambiammo convenevoli in tono piuttosto formale, poi pian piano il ghiaccio fra noi cominciò a rompersi: smisi di vedere una nobildonna e vidi una ragazza della mia età in cerca di compagnia.
Infatti, al di là del suo aspetto impeccabile e delle sue maniere squisite scalpitava una ragazza volitiva e forte, appassionata e spiritosa, con cui era piacevole parlare per ore: e come le si illuminavano gli occhi quando si discuteva del nostro argomento preferito: le antiche leggende del mare, i racconti dei pirati più famosi, storie agghiaccianti che si raccontavano la sera in cupe osterie.
Noi due ed Elizabeth diventammo amiche, quando ci incontravamo non perdevamo mai un'occasione per scambiare quattro chiacchiere e raccontarci gli ultimi avvenimenti: anche quando se ne andò a Port Royal continuammo a tenerci in contatto via lettera, e quando fece ritorno l'anno successivo fu come se il tempo non fosse passato affatto.
Ci raccontavamo tutto ciò che era successo durante i mesi di lontananza, lei parlava della sua città, Port Royal, di un noioso capitano della Marina Britannica che frequentava regolarmente casa sua, e di un suo caro amico, William Turner, un fabbro con cui aveva stretto una profonda amicizia. Io e Stephanie ci divertivamo a canzonarla insinuando che forse la loro non era affatto una semplice amicizia e, pur ridendoci sopra, io ne ero convinta.
L'espressione del suo viso, la dolcezza e l'ammirazione nei suoi occhi quando ci raccontava di lui erano inequivocabili.
Infatti, diverso tempo dopo, quando ormai le sue visite si erano fatte più che mai rare e discontinue, Elizabeth ci comunicò per lettera il suo imminente matrimonio proprio con lui, il fabbro William Turner. Disse che il loro fidanzamento era stato deciso in seguito a circostanze un po' avventurose eppure, per una ragione o per l'altra, si rifiutò di fornirci ulteriori spiegazioni. Lo stesso anno, a pochi mesi dal loro matrimonio, vennero a farci visita entrambi e finalmente potemmo fare la conoscenza del suo fidanzato: William Turner era un giovane attraente e un vero gentiluomo, ma bastò poco per capire cosa in lui affascinasse così tanto Elizabeth; quel giovane apparentemente pacato aveva il fuoco dentro, le scintille del ferro stesso che forgiava con le sue mani. Fin dal primo momento in cui lo conobbi sentii che non c'era da sottovalutare quel giovane uomo, proprio per niente.
Fu l'ultima volta che li vidi: quello stesso anno morì mia madre.
Le cose per me precipitarono: mio padre ne uscì distrutto e ci mise mesi per riprendersi, così che toccò a me assumere precipitosamente il ruolo che era stato di mia madre di padrona di casa e portare avanti la vita per tutti e due. Devastata dalla perdita, mi sorse anche il timore che mio padre decidesse di disfarsi di me: allora raddoppiai i miei sforzi per rendermi utile in famiglia, per anticipare i suoi bisogni, qualunque cosa per dimostrargli che non sarei stata un peso morto sulle sue spalle, che volevo restare con lui. Avevo appena diciannove anni, e tutto quell'improvviso carico di responsabilità sulle mie spalle mi fece quasi tagliare i ponti con Faith, paradossalmente proprio nel momento in cui avevo più bisogno di sostegno.
Poi fu mio padre a stupirmi: una sera, davanti alla cena, dopo lunghissimi istanti di silenzio sollevò gli occhi su di me e ad un certo punto cominciò: - Ascoltami... lo sai che le cose non sono più state le stesse da quando tua madre se ne è andata. - diceva sempre così: “andata”. A me aveva sempre dato fastidio, non le rendeva giustizia e faceva della sua morte qualcosa di vago e innominabile mentre per me era un vuoto reale e doloroso: comunque rimasi ad ascoltarlo. - E' evidente che per te non c'è futuro qui: non sei sposata né promessa, non hai una posizione, e io non posso più occuparmi di te se devo lavorare. -
Posai immediatamente il cucchiaio senza osare più portarmelo alla bocca: avevo la gola annodata. Stava succedendo, infine: mi stava cacciando via, mi avrebbe mandata ad accasarmi con qualche vecchio mercante perché non gli gravassi più sulle spalle e se ne sarebbe andato via col suo lavoro di pescatore. - Non mandarmi via, padre!- esclamai, presa da un impeto di panico. - Non ti sarò d'intralcio! Continuerò a lavorare in casa per te, mi darò da fare, lo giuro!-
- Laura... - mio padre sospirò, ma io lo interruppi di nuovo, stavolta piantando i pugni sul tavolo e alzandomi dalla sedia. - Non ti voglio lasciare!- il tono della mia voce aveva ormai abbondantemente superato il livello della decenza. - Farò tutto quello che vorrai, mi renderò utile, non sarò un peso! Ti prego, non voglio finire a marcire nella casa di qualche... -
- Laura!- lui mi zittì con veemenza, e lentamente tornai a sedere. Non avrei dovuto perdere il controllo a quel modo, mi rimproverai mentre chinavo gli occhi sul mio piatto, probabilmente mi ero giocata qualsiasi speranza di fargli cambiare idea, se mai ne avevo avuta alcuna.
Mio padre rimase a guardarmi e addolcì il tono di voce: - Non intendo darti per moglie a nessuno che tu non voglia. - disse con dolcezza, e a quelle parole mi sentii come se un grosso peso mi fosse stato tolto dal cuore. - Ma viene il tempo in cui una fanciulla deve lasciare la casa di suo padre: questo non è più posto per te, e se non sono riuscito a trovarti un marito almeno sono riuscito a trovarti un impiego. Nel mio ultimo viaggio per vendere il pesce ho preso contatti con la milizia di Redmond, un'isola a poche leghe da qui: hanno bisogno di donne di servizio che si occupino del forte. Vivrete e lavorerete al forte, sotto la responsabilità e la protezione del corpo militare di Redmond. -
Sgranai gli occhi mentre sollevavo lo sguardo verso mio padre: quello che mi stava dicendo era troppo incredibile per essere vero. Una cosa ancora non mi era chiara. - “Lavorerete”? Perché hai parlato al plurale?-
- Tu e la tua amica: Stephanie Westley. - concluse mio padre, e finalmente un sorriso gli illuminò il volto barbuto. Per dieci secondi buoni rimasi seduta senza sapere come reagire e senza il coraggio di muovere un muscolo, infine come in sogno mi alzai, girai attorno al tavolo e gettai le braccia al collo di mio padre sentendomi salire le lacrime. - Grazie... - mormorai col fiato corto per l'emozione. - Grazie, grazie, grazie. -

*

Così partimmo alla volta di Redmond: Faith portò con sé il suo fratellino, Michael Westley, che all'epoca aveva solo dieci anni; lei e i suoi genitori avevano pensato che avrebbe avuto più possibilità con noi in qualche grande città che non nel nostro paesino. Mio padre accompagnò tutti e tre sul bastimento che ci avrebbe portati a destinazione: con pochi bagagli e un po' di soldi in tasca, inizialmente tutti noi eravamo molto eccitati. Ogni cosa per noi era nuova, e con la prospettiva di una nuova vita in un nuovo posto, il mondo sembrava un libro aperto nelle nostre mani, pieno di opportunità che aspettavano solo di essere raccolte.
Il nostro arrivo al forte bastò a spazzare via in un colpo solo tutte le nostre illusioni: fummo ricevuto dal capitano del forte, un britannico dai lineamenti spigolosi e i modi affettati, che in due parole ci disse qualcosa in merito ai nostri compiti, la nostra paga e il nostro alloggio; quest'ultimo si rivelò essere un minuscolo casolare sulla strada del porto a poca distanza dal forte.
Mio padre ci aveva appena lasciate che due soldati ci scortarono rudemente per i corridoi dell'avamposto mostrandoci dove e come avremmo dovuto lavorare. Michael avanzava timidamente nascondendosi dietro alla sorella: uno dei soldati gli scoccò un'occhiata di sbieco e sentenziò in tono acido: - Il tuo bambino non può stare qui. -
Mi sentii subito infastidita per come ci dava irrispettosamente del tu, ma cominciavo a capire che in quel posto noi non eravamo altro che sguattere. Il nostro lavoro ci aveva fatte cadere più in basso di quanto mi sarei aspettata. - Non è il mio bambino, è mio fratello. Che cosa dovrei fare di lui, allora?- protestò Faith con uno sguardo di astio al soldato: quello si era stretto nelle spalle continuando a guardare Michael come se fosse stato uno scarafaggio nella minestra. - E' abbastanza grande per badare a sé stesso, dovrai lasciarlo a casa. Per la cronaca, ti consiglio di moderare i termini, sguattera. -
Entrambe ci trattenemmo a forza per non rispondergli a tono: quella fu la prima di innumerevoli volte che rimanemmo zitte davanti alle ingiurie dei soldati. Era umiliante, ma che potevamo fare? Eravamo individui di seconda classe. Avevano il diritto, se non quasi il dovere, di trattarci a quel modo.
Quando ci mostrarono le celle mi sentii male: vidi davanti a me interminabili corridoi di pietra, poca luce, aria viziata, e ovunque sbarre, sbarre, sbarre, dalle quali volti pesti e irriconoscibili di uomini imprigionati ci osservavano di sbieco. Lì era dove avremmo lavorato ogni giorno. Una prigione. La nostra prigione.
Non dissi una parola quando ci condussero per la prima volta in quel dedalo di corridoi angusti, ma sentii chiaramente che qualcosa dentro di me premeva per urlare fino a squarciarmi la gola.
Passammo in quel posto quattro anni.
L'unica notizia da persone amiche che ricevemmo in tutto quel tempo fu una brevissima lettera recapitata quasi per miracolo, sorprendentemente non da Port Royal ma da un paesino portuale chiamato Oyster Bay che da quanto sapevo sorgeva su un'isola non lontana dal nostro arcipelago, nella quale Elizabeth ci informavano della nascita del primogenito suo e di Will, David William Turner. Fummo felici per loro: se non altro loro erano riusciti a realizzare i loro progetti.
Così si concludeva il nostro brevissimo volo, il nostro viaggio in cerca di fortuna. Ma cosa dico, fortuna? Non avevamo avuto molta fortuna fino a quel momento: da quattro anni interi eravamo bloccate in quel paesino grigio come il mare d'inverno, con un lavoro di infima qualità.
Non era quello il futuro che tante volte avevo sognato.
Non era il giuramento che io e Faith ci eravamo scambiate quella volta sotto il tramonto del porto, non era questo il nostro sogno dei Caraibi.

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Capitolo 2
*** Jack Sparrow ***


Capitolo 2
Jack Sparrow



- Laura?- Stephanie mi agitò la mano davanti alla faccia. - Sei con noi?-
- Oh sì, scusami Faith... - mi ero distratta: la minestra nella pentola ribolliva: tolsi la pignatta dal fuoco e seguii Faith che mi precedeva per i corridoi della prigione, brandendo il mestolo. - La zuppa!- annunciò mentre passavamo davanti alle celle: i prigionieri si avvicinarono alle sbarre con l'aria di animali affamati, tendendo la loro scodella in attesa che fosse riempita. Quanti ne avevo visti in un anno? Uno che il giorno prima c'era, il giorno dopo poteva non esserci più, e nessuna di noi due se ne meravigliava: ormai avevamo imparato a cosa, otto volte su dieci, andavano incontro i prigionieri che vedevamo. Di cella in cella riempimmo le scodelle di tutti i detenuti: mentre Faith riponeva il mestolo nella pignatta dopo aver riempito la scodella di un tipo grande e grosso di nome Hans io la avvertii: - Aspetta, c'è anche l'ultima cella: hanno portato uno nuovo stamattina. -
Così ci fermammo di fronte all'ultima cella. Il nuovo prigioniero se ne stava seduto con la schiena contro il muro, e sembrava perfettamente a suo agio. Pareva addirittura rilassato, non smaniava né imprecava, né si disperava come tanti altri prigionieri, se ne stava semplicemente lì seduto come se stesse attendendo qualcosa. Non era particolarmente alto né muscoloso, ma era asciutto e ben piantato: aveva lineamenti affilati e due vispi e profondi occhi castani. I suoi capelli erano scuri, lunghi e arruffati, coperti da una bandana rossa e un consunto tricorno da capitano; anche la sua camicia, i pantaloni e gli stivali erano piuttosto sporchi e consumati, aveva inequivocabilmente l'aria di chi viaggia per mare.
Quando ci avvicinammo lui sollevò gli occhi all'udire i nostri passi, e inarcò le sopracciglia.
- Ohi, se le carceriere sono così carine qui ci torno anche l'anno prossimo. - esclamò con aria sorniona appena ci vide. Se non altro oggi ci era capitato un commento lusinghiero, di solito i commenti erano di tutt'altro tono.
- Su, avrete fame: datemi la scodella. - disse Faith; l'uomo le porse la scodella e lei la riempì con una porzione piuttosto generosa. - Grazie dolcezza. - ritirò la scodella, sempre col suo sorriso scintillante nella penombra della cella: notai che aveva tre denti d'oro; per un attimo i nostri sguardi si incrociarono. Era insolito, questo contatto che si era improvvisamente stabilito fra noi e lui: di solito non socializzavamo mai con i prigionieri, eppure per lui sembrava non fare differenza l'essere dietro le sbarre di una cella per fare conoscenza. - Scusatemi, non mi sono presentato: sono il capitano Jack Sparrow, e voi?- inaudito: mi porgeva addirittura la mano attraverso le sbarre.
Lo fissai aggrottando la fronte. - Vi sembra che siamo qui per fare conoscenza?- dissi in tono quasi di scherno. Lui si corrucciò, abbassando gli occhi e stringendo la bocca in un'espressione buffa mentre abbassava lentamente la mano ritraendo un dito dopo l'altro. C'era qualcosa di così bizzarro e al contempo divertente nel suo modo di fare che un istante dopo aggiunsi in tono più gentile: - Mi chiamo Laura Evans. E lei è Stephanie Westely. -
Sparrow risollevò lo sguardo e mise in mostra i denti d'oro. - Piacere di conoscervi, pur se in un posto tanto allegro... -
Sembrava gioviale, era diverso dagli altri bruti che la prigione ospitava: eravamo abituate a sentirci chiamare “bambola” o “bellezza” dai prigionieri, ma le loro erano sempre frasi di scherno: il suo invece era stato un complimento, una gentilezza. Davvero uno strano prigioniero.
E il suo nome... Jack Sparrow aveva detto? Possibile che mi suonasse familiare? Aggrottai le sopracciglia mentre lo scrutavo forse con troppa curiosità di quanto fosse conveniente: dove potevo averlo già sentito nominare?
- Westley! Evans!- ci richiamò la guardia, per ricordarci che non eravamo lì per socializzare. A malavoglia raccattai la pignatta ed io e Faith girammo i tacchi per tornare ai nostri compiti.
- Bene, sembra che ci rivedremo spesso, allora. - ci salutò Sparrow, appoggiato alle sbarre, sorridendomi di nuovo mentre mi seguiva con gli occhi. Mi fermai per un attimo, la pignatta fra le mani, rimanendo ad osservarlo. - Di certo. Buona permanenza, signor Sparrow. -
Gli voltai le spalle e me ne andai.

*

- Marcirete tutti all'inferno! Vermi! Avanzi di galera, luridi, viscidi topi di fogna!- il prigioniero urlava e smaniava, picchiando contro le sbarre: lo avevano appena rinchiuso, e a quanto pareva non era affatto d'accordo. - Ve ne farò pentire amaramente, vedrete se non ve la farò pagare!-
Le guardie facevano orecchie da mercante in fondo al corridoio, c'ero solo io ad ascoltare le sue grida: mi diressi di gran carriera verso la sua cella e mi fermai proprio di fronte a lui. - Smettila, urlare non ti servirà a niente. - intimai. Il prigioniero esitò solo un attimo, sorpreso dal mio arrivo, ma poi ricominciò ad urlare, più forte di prima.
- E tu levati di torno, sgualdrinella! Io voglio uscire da qui! Vi farò ingoiare le vostre budella!- si dimenava come un'anguilla, scalciando contro le sbarre della sua cella come se fosse deciso a sfondarle.- Basta!- urlai, superando la sua voce. - Sta zitto! Stammi a sentire, non so perché ti abbiano messo dentro... -
- Perché? Oh, te lo dico io il perché!- esclamò lui, pigiando il viso irsuto contro le sbarre, i lineamenti contratti in una smorfia ringhiante. - Perché mi divertivo a fare fuori le puttanelle come te! E mi hanno chiuso qua dentro... in questo buco... non si respira... e ci lasceranno marcire qui per l'eternità, finché non ci crescerà il muschio sulle ossa!-
Sostenni il suo sguardo spiritato, replicando: - Se è quello che facevi allora te lo meriti. Non so se davvero marcirai, non sarò qui a vederlo in ogni caso. - mi allontanai dalla cella mentre il prigioniero continuava a smaniare, stavolta fra i denti, picchiando contro le sbarre. Mi appoggiai alla parete, cercando di fermare il tremito delle gambe: si vedevano spesso scene di quel genere, non erano altro che folli che una volta in cella davano di matto, eppure mi lasciavano ancora scossa. Respirai a fondo, l'aria umida e viziata della prigione: non il massimo per riprendersi ma cominciavo già a sentirmi meglio.
- Tutto bene?- da dietro le sbarre della sua cella Jack Sparrow mi osservava con aria seria, rigirandosi fra le dita un sassolino probabilmente raccattato dal pavimento. Mi raddrizzai e mi sforzai di sorridere con sicurezza. - Sì... solo un prigioniero che dava di matto. -
- Non un bel vedere, eh?- fece con comprensione, oscillando il capo.
- No. - ammisi, scuotendo il capo. Jack gettò via il sassolino che teneva in mano per poi frugare sotto la paglia che ricopriva il pavimento di pietra e raccoglierne un altro, che strofinò contro la pietra della parete. Non soddisfatto buttò via anche quello, quindi si voltò ancora verso di me e tornò a guardarmi, carezzandosi pensoso la barba. - Che ci fate tu e Stephanie qui?- domandò ad un certo punto, mentre la sua mano si allungava a raccogliere un altro sassolino.
Logico che se lo chiedesse, se lo chiedevano tutti. Perfino io. - Abbiamo dovuto accettare il primo lavoro decente che abbiamo trovato. - risposi con un'alzata di spalle, Jack abbozzò un sorriso comprensivo. - Se tu questo lo chiami decente... - aveva trovato un altro sassolino, nero come un carboncino, e pareva soddisfatto del segno che esso lasciava sul muro.
- Non ci crederete, ma il compenso è più che accettabile per badare a degli avanzi di galera. - replicai. Lui si tirò su dal pavimento per avvicinarsi di più alle sbarre. - Grazie per il complimento. - sorrise ironico.
- Ma non mi riferivo a te!- ribattei fingendomi esasperata, senza neanche accorgermi di essere passata bruscamente al “tu”. Alle mie parole lui sollevò le sopracciglia, sogghignando. - No?- mi chiese sottovoce, mentre una punta di malizia si mescolava alla sua parlata calda. - Ha parlato miss “buona permanenza”?-
- Vi accorgerete in fretta che rimanere qui il più a lungo possibile è quanto di meglio potrete augurare a voi stesso!- sibilai con tanta veemenza che Sparrow rizzò il capo aggrottando le sopracciglia. Sapevo di essere stata acida, cattiva perfino, vista la sua condizione: eppure non sopportavo il suo modo di prendere tutto come se fosse stato un contrattempo, una situazione di stallo, mentre io da un anno vedevo gente entrare lì dentro ed uscirne solo per andare al patibolo. - Lo sapete come vanno le cose qui? I soldati riempiono il carcere finché c'è posto, e se ci sono dei prigionieri importanti mandano l'avviso di cattura a Port Royal. Così, nel giro di una o due settimane, le autorità di Port Royal decidono la sua sorte, e così caricano i condannati scelti in massa su una nave e li spediscono a Port Royal, dove vengono messi a morte. Redmond fa la parte della ramazza: raccoglie tutto, poi però non si sporca le mani con le impiccagioni. Capite ora perché quel che posso augurarvi è... buona permanenza?-
- Port Royal... - ripeté lui lentamente, dondolando il capo, quindi sogghignò apertamente. - E' toccante che tu mi dica queste cose... sembra quasi che ti preoccupi per me! In fondo io sono pur sempre un pirata... non hai paura di me?-
Avanzai di qualche passo verso di lui, stando al gioco e ricambiando il sorrisetto strafottente che gli si dipingeva su quei tratti affilati. - Perché, dovrei averne? A parte che non potete fare granché finché siete lì dentro e io qui fuori. - lo avvisai candidamente. Lui non smise di sorridere sotto i baffi: - Apri la cella allora. - rispose prontamente. - Così puoi verificare se davvero sono pericoloso quando non sono dietro le sbarre. Oppure... - abbassò la voce mentre un ghigno birichino gli si allargava sul volto. - ... puoi entrare tu. - Ci fissammo per alcuni istanti, in silenzio: i suoi occhi scuri avevano letteralmente catturato i miei. A che gioco stavamo giocando? Dopo qualche attimo distolsi lo sguardo da lui e gli voltai le spalle per tornare ai miei compiti, ma sentivo il suo sguardo sulla mia schiena: sembrava trapassarmi.

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Capitolo 3
*** Black Pearl ***


Capitolo 3
Black Pearl



Sapevo che avrei fatto meglio ad affrettarmi, si stava già facendo buio e di certo Michael e Stephanie a casa stavano aspettando con impazienza che tornassi col necessario per la cena. Il paniere pesava sul mio gomito, eppure non potevo mai fare a meno di rallentare mentre percorrevo la strada del porto, e lanciare uno sguardo dove il sole parzialmente nascosto dalle nubi si abbassava sull'acqua. Le mura del forte si sporgevano ben oltre la banchina del porto, anche da lì potevo vedere le finestrelle squadrate con le sbarre alle finestre che si affacciavano sul lato esterno delle mura: le celle.
Stavo per distogliere lo sguardo quando con la coda dell'occhio mi parve di notare un movimento. Tornai a guardare: non mi ero sbagliata, c'era qualcosa che si muoveva proprio su una delle finestrelle, come un drappo colorato che sbatacchiava nella brezza... no, non un drappo. Era un uccello.
Incuriosita avanzai rapidamente di qualche passo lungo il molo, aguzzando la vista: sì, era senza dubbio un grosso uccello, un pappagallo forse, dalle penne azzurre e gialle, lo vedevo sbatacchiare forsennatamente le lunghe ali mentre se ne stava aggrappato sul davanzale della stretta finestra. Poi improvvisamente si staccò e prese il volo: lo seguii con lo sguardo mentre si allontanava rapido verso il mare aperto, e mi domandai sorpresa cosa mai lo spingesse in quella direzione, lontano dalle palme di solito tanto amate da quegli uccelli variopinti che affollavano quelle isole.
L'uccello divenne ben presto un puntino contro l'orizzonte, per questo mi ci volle un attimo per individuare un altro puntino, appena più grosso, una figura appena visibile che si stagliava in lontananza sulla linea piatta del mare.
Inspiegabilmente fui percorsa da un brivido e stupita me ne chiesi il perché. Poteva essere semplicemente una nave all'orizzonte, no? Una come le tante che passavano per le acque vicino a Redmond.
Eppure, in qualche modo, avevo provato quel brivido inspiegabile proprio quando avevo posato gli occhi su quel puntino quasi invisibile: perché intuivo che, così come l'uccello, doveva essere ben più di quello che sembrava. Mi portai distrattamente una mano al collo, giocherellando col pendente che sapevo essere lì: le mie dita scivolarono sulla catenella, sui tre minuscoli brillanti di vetro e infine sulla liscia, tonda pietra fredda. Una perla nera. La portavo sempre al collo, ed ero solita giocherellarci quando ero nervosa, o anche solo come per assicurarmi che fosse sempre lì, come un amuleto.
Si stava facendo tardi, mi ricordai di nuovo. Distolsi bruscamente lo sguardo dall'orizzonte e mi incamminai a passi svelti verso casa, mentre lasciavo che la perla tornasse a nascondersi nelle pieghe del mio vestito, forse più fredda del solito contro la pelle.

*


Al forte noi due facevamo di tutto: cucinavamo, pulivamo la prigione e cucivamo le divise degli ufficiali. Una sera, esattamente due giorni dopo l'arrivo di Jack Sparrow nella prigione, eravamo addette alle pulizie: mentre passavamo gli spazzoloni bagnati sul pavimento di pietra, anche se di solito non amavamo chiacchierare quando tutti i prigionieri potevano stare ad ascoltarci, facevamo progetti.
- Ho sentito che cercano qualcuno per fare la cameriera alla locanda del Leone Marino. -
- Hm... Faith, lo sai che non mi piace il proprietario. E poi da' una paga da fame. -
- Altrimenti... - Faith si interruppe per un istante con espressione meditabonda, appoggiata al suo spazzolone. - E' un po' di tempo che ci penso: ci sono diversi mercantili che fanno continuamente scalo da qui a Oyster Bay... Forse... finché rimaniamo qui non cambierà niente, ma potremmo imbarcarci di nuovo e lasciare Redmond. -
- Oyster Bay?- ripetei, sorridendo fra me e me. - Potremmo ritrovare William ed Elizabeth dopo tanto tempo! Mi chiedo quante cose saranno cambiate nel frattempo... -
- Avete detto... William ed Elizabeth? Non saranno William ed Elizabeth Turner, per caso?- una voce ci interruppe e ci voltammo entrambe bruscamente: Jack Sparrow si sporgeva dalle sbarre della sua cella e ci guardava. Fui sorpresa di sentire dalla sua bocca i nomi dei miei amici, e mi domandai cosa lui potesse avere a che vedere con loro due.
- Cosa fate, origliate le conversazioni che non vi riguardano adesso?- lo rimbeccai, piuttosto seccata dalla sua intromissione. Lui fece spallucce e accennò al luogo in cui ci trovavamo. - Impossibile non sentirvi... comprendi?-
- Comunque, parlavamo di nostri vecchi amici. - replicai. - Perché?-
Sparrow sorrise e abbassò lo sguardo, come immerso nei suoi ricordi. - Sono stati anche amici miei, oh, ne abbiamo passate delle belle insieme! In effetti non li vedo più da tre anni a questa parte, la stessa età che dovrebbe ormai avere il pupo... David se non sbaglio. -
Lui? Un vecchio amico di Elizabeth e William? Non era assolutamente possibile, loro normalmente non avevano certo a che fare con uomini del suo genere... eppure sembrava davvero conoscerli, e aveva anche pronunciato il nome di David, lo stesso che pochi anni prima avevamo visto scritto con orgoglio nell'ultima lettera di Elizabeth che avevamo ricevuto dopo il nostro lungo vagare.
- David? David Turner? Conoscete loro figlio? Anzi, come fate a conoscerli? - disse Faith.
- Non può conoscerli. - replicai, scuotendo il capo: Jack Sparrow mi guardò col capo buffamente piegato da una parte. - Elizabeth è figlia del governatore di Port Royal, non frequenta persone del vostro genere. - continuai. - William forse potrebbe conoscervi... no, è troppo per bene anche lui. -
Sparrow inarcò le sopracciglia con aria stupita, facendo rimbalzare lo sguardo fra noi due con aria meravigliata. - Mie care, siete rimaste indietro, Elizabeth non si presenta più come “la figlia del governatore” da quando... Ma come, conoscevate quei due e loro non vi hanno mai raccontato delle nostre belle avventure passate?- domandò, in tono quasi oltraggiato. Vedendo che restavamo in silenzio si mise più comodo, puntellandosi con le braccia dietro la schiena, quindi schioccò le labbra: - Onestamente non ho mai conosciuto il bambino, è stato Gibbs a passare di lì una volta e così mi ha riferito... Dunque, William Turner è un giovanotto senza macchia e senza paura sempre pronto ad infervorarsi per qualsiasi cosa gli stia a cuore, accanito sostenitore del duello leale ed onesto oltre ogni comune pudore. - snocciolò in tutta tranquillità. Rimasi sbigottita: era assolutamente William quello che aveva descritto. - Fabbro di Port Royal prima di sposare Elizabeth Swann tre anni fa dopo una serie di circostanze... movimentate... e inoltre eunuco. -
Faith aggrottò visibilmente le sopracciglia. - Eh?-
- Niente, lascia stare. - rispose Sparrow, scuotendo in aria una mano come a cancellare ciò che aveva detto. In quel momento come per una folgorazione ricordai dove avevo già sentito il nome di Jack Sparrow: pronunciato dallo stesso William, ne ero sicura. Se solo fossi riuscita a ricordarmi quando, e perché...

... Stavamo parlando di pirati.
Di nuovo, come tanto tempo prima: avevamo appena conosciuto William Turner, ma non sapevamo che quella sarebbe stata l'ultima volta che avremmo visto lui ed Elizabeth prima di lasciare per sempre il nostro paesino. Appena toccammo l'argomento, Elizabeth e Will si sorrisero quasi divertiti, come se sapessero qualcosa che a noi era nascosto. Chiedendo spiegazioni, William aveva menzionato quel nome. - Be', se c'è un pirata che vale la pena di ricordare, quello credo sia capitan Jack Sparrow. -
Noi due avremmo voluto sapere il perché, cosa avesse a che fare William con un capitano pirata, ma lui si strinse nelle spalle con quel sorriso segreto, e avevamo abbandonato l'argomento.
Ma quel nome non l'avevo dimenticato. Jack Sparrow. Capitan Jack Sparrow.


- Mi ricordo del tuo nome. - dissi lentamente, e Sparrow sembrò drizzare le orecchie. - Sembra che tu lo conosca davvero William. - ammisi, scrollando le spalle.
Lui annuì vigorosamente. - Eh già... in effetti credo che a Will non piacerebbe sapermi in prigione, comprendi? Mai sentito il detto “l'amico del mio amico è mio amico”, o giù di lì?-
- Dove vuoi arrivare?-
Lui non rispose ma sembrò riflettere; poi si mise in ginocchio, il viso contro le sbarre, e agitando due dita ci fece cenno di avvicinarci: dopo un istante di esitazione vinse la curiosità, ed io e Faith ci chinammo arrivando alla sua altezza; il suo viso era vicinissimo. - Ascoltatemi. - sussurrò. - A quanto pare a voi non piace stare qui, e non vi piace nemmeno quello che fate. In breve, a voi serve un lavoro e un nuovo posto dove stare, a me serve un modo per uscire da qui e ritrovare la mia nave e la mia ciurma. - parlava in fretta, a voce bassa, continuando a scrutare il corridoio per accertarsi che non ci fossero guardie in ascolto o prigionieri un po' troppo interessati ai nostri discorsi.
- Sei un pirata?- immaginavo qualcosa del genere, ne aveva davvero tutta l'aria. E così le parole che William mi aveva detto quel giorno venivano riconfermate in pieno: Jack Sparrow, il capitano pirata. - Per questo ti hanno messo qui dentro?-
Sparrow annuì. - Esatto, mi hanno beccato nel porto e mi hanno sbattuto dentro. La mia proposta è molto semplice: fatemi uscire da qui e imbarcatemi con voi a Oyster Bay. Voi dovete andare da Elizabeth... e William... per farvi una nuova vita sulla loro isoletta felice, io per trovare un posto dove nascondermi: conviene ad entrambi. C'è solo questo piccolo problema dell'essere chiuso in cella. - ci fissò, in attesa di una risposta. - Allora?-
Ci stava chiedendo di farlo evadere, di nasconderlo e portarlo clandestinamente a Oyster Bay. E la cosa più assurda era che stavo seriamente prendendo in considerazione la sua proposta. Mai avrei pensato di potere arrivare a quel punto. Perché stavo ponderando la sua proposta? Quando eravamo state assunte ci era stato detto in termini molto chiari che qualsiasi cosa avessimo visto o sentito, mai e poi mai avremmo dovuto socializzare con i prigionieri: noi eravamo lì per dare loro il cibo e per tenere pulito il forte, nient'altro. Eppure, per la prima volta, dietro le sbarre c'era qualcuno che non avrei voluto fosse lì.
Scambiai un'occhiata con Faith e, come al solito, ci capimmo senza bisogno di parlare. Quel pirata sicuramente aveva colpito entrambe, ma fidarsi di lui era un grosso rischio. - Mi dispiace. - risposi, e per la prima volta ero sinceramente dispiaciuta per un carcerato di quella prigione. - Ma non sappiamo se possiamo fidarci di te. -
Lui mi fissò, gli occhi nocciola improvvisamente molto, molto più seri. - Dite di essere amiche di William. Lui lo avrebbe fatto per me. Be'... ad essere sinceri lui lo ha fatto per me, più di una volta. Se davvero siete sue amiche come dite questo dovrebbe bastarvi. -
Mi abbassai un po' di più, appoggiando la fronte contro le sbarre. - Non lo so. Davvero. - mormorai.
- Ci penserete almeno?- implorò lui, afferrandomi il polso; il mio primo impulso fu quello di liberare la mano dalla sua presa, ma poi ci ripensai: non aveva una stretta forte, era solo salda, ma gentile. Il contatto con la sua mano mi fece una strana sensazione.
- Questo sì, te lo prometto. - assicurai. Rincuorato, lui mi diede una stretta amichevole al polso, poi mi lasciò e tornò a sedersi per terra.

*

Alcune ore dopo finimmo il turno di pulizie alla prigione, Faith ed io tornammo a casa nostra. Condividevamo una piccola casetta un po' malmessa ma confortevole non lontano dalla zona del porto, anche se la maggior parte della giornata la passavamo sempre a lavorare al forte.
La strada era silenziosa, quasi già addormentata a quell'ora della sera, il mercato del pomeriggio aveva già chiuso le bancarelle lasciando ai lati della strada mucchi di paglia, corde spezzate e rifiuti.
Mentre ci incamminavamo in insolito silenzio per la strada debolmente illuminata dalla luce delle lanterne ancora accese fuori dai portoni delle case, improvvisamente Faith ruppe il silenzio dicendo in fretta: - Secondo me potrebbe essere una possibilità. -
Alzai lo sguardo su di lei e capii che stava parlando dell'offerta di Jack Sparrow: la fissai, sbalordita. - Faith, non lo conosciamo!- ribattei bruscamente, osservandola per capire se fosse seria, ma lei teneva gli occhi bassi. - Lui dice di conoscere Elizabeth e William, chi ce lo assicura?-
- Hai detto tu stessa che ti ricordi di lui!- replicò lei, sollevando il capo e sostenendo con sicurezza il mio sguardo. - E anch'io ricordo di avere sentito il suo nome da loro... Loro... ecco, sono stati così importanti per noi, mi sembra orribile ora non provare nemmeno ad aiutare lui... -
Sospirai, ravviandomi nervosamente una ciocca di capelli castani dietro l'orecchio. - Io... lo so che cosa provi, Faith, ma la situazione è così rischiosa e così poco chiara...Quello è un pirata, santo cielo, chi ci assicura che se lo liberiamo non correremo il rischio di venire uccise... o altro?- mi sforzavo di essere realista, di vedere le cose come potevano essere se messe al peggio. Eppure non ero convinta delle mie stese parole: non riuscivo a credere che quel Jack Sparrow potesse essere capace di farci del male, anche se si trattava pur sempre di un pirata. Era chiaramente successo qualcosa di diverso quel giorno: molti prigionieri ci avevano pregate con suppliche e minacce di tirarli fuori di prigione, ma noi ci eravamo sempre imposte di non ascoltarli, come volevano le regole al forte.
Le regole. Ma erano davvero giuste, quelle regole? Era la legge che decideva chi meritava la morte e chi no in quel carcere, e noi non dovevamo impicciarcene. Eppure ormai il tarlo rodeva: come tempo addietro avevo visto Elizabeth non come la figlia del governatore ma come una mia coetanea, ora non vedevo un furfante, ma un uomo che chiedeva la libertà. Eravamo arrivate a casa nostra: Faith aprì la porta ed entrando si mise a chiamare suo fratello.
- Michael! Michael, sei in casa?-
- Sì!- giunse la risposta dalla stanza adiacente. Michael aveva tredici anni, il viso tondo da bambino, gli occhi castani di Faith e i capelli castano scuro, diversi da quelli quasi neri della sorella. Benché i due fratelli bisticciassero spesso e volentieri erano molto legati: per questo Faith aveva portato con sé Michael quando noi due avevamo deciso di trovare lavoro in un'altra città, aveva voluto offrire anche a lui la possibilità di una nuova vita. Il ragazzo uscì dalla stanza da letto e ci raggiunse mentre noi due preparavamo le vettovaglie per la cena: dato che sia io che Faith eravamo al lavoro al forte quasi tutto il giorno, Michael era piuttosto indipendente e già girava da solo per Redmond, e noi ci fidavamo di lui. Ci mettemmo a tavola per la cena; il buio aveva avvolto rapidamente la città, e l'unica luce nella nostra casa era quelle baluginante delle candele sul tavolo di cucina: quelle piccole luci e la crescente oscurità del resto della casa generavano strane ombre che guizzavano ipnotiche sulle pareti. Mentre mangiavamo, Faith si rivolse a Michael che rovistava rumorosamente col suo cucchiaio nella scodella: - Senti, ti piacerebbe se ci trasferissimo a Oyster Bay?-
Lui alzò lo sguardo su di lei, accigliandosi. - Oyster Bay?- ripeté mentre inghiottiva un sorso di zuppa. - E dove sarebbe?-
- Non lontano da Redmond. - risposi io, posando il mio cucchiaio. - Qui non troviamo nessun buon lavoro, e a Oyster Bay ci sono due amici che potrebbero aiutarci: ricordi Elizabeth e William Turner?-
- Certo che me li ricordo, a me va benissimo!- esclamò lui, rizzandosi eccitato sulla seggiola come se dovessimo partire in quell'istante. - Sapevo che non potevamo restare in questo posto per sempre. Quando partiamo?- mi sorprese il suo entusiasmo, ma evidentemente non eravamo le sole a non apprezzare del tutto quel posto. - La nave parte fra due settimane, quindi mettiti pure il cuore in pace. E stai composto! - rispose Faith, prendendolo per una spalla e spingendolo di nuovo sulla sedia mentre il fratello le scoccava un'occhiata di biasimo. E così avremmo di nuovo preso il mare, diretti all'isola dove sorgeva Oyster Bay. Rimaneva ancora un grosso nodo da sciogliere: se fidarci o no di Jack Sparrow.

*

Nei giorni a venire Sparrow divenne una specie di amico, al forte. Gli davamo il buon giorno quando passavamo con il rancio e chiacchieravamo con lui durante i turni di pulizia, cosa che finiva inevitabilmente per farci passare più tempo in quella zona del corridoio che in altre, tanto che le guardie ci rimproverarono più volte questa negligenza. Saputo che Elizabeth e William non ci avevano mai raccontato nulla di lui aveva deciso che spettava a lui rimediare, così spesso e volentieri attaccava a raccontarci delle sue avventure passate: era di certo un ottimo narratore, se non fosse stato che ogni tanto tornava indietro per precisare qualcosa, tipo che i cannibali che lo inseguivano quella volta sull'isola erano duecento e non una cinquantina, ma gonfiava le storie a tal punto di particolari assurdi che ascoltarlo era uno spasso.
Una volta ci raccontò di come avesse combattuto un improbabile mostro marino che i marinai chiamavano kraken, ma era veramente troppo grossa per darcela a bere. Non che il resto delle sue storie fossero molto più credibili, ma certamente era interessante starlo a sentire mentre si lavorava: quasi mi pareva di essere tornata ai tempi in cui sentivo raccontare le vecchie storie dai vecchi nelle osterie o da Elizabeth.
Jack Sparrow era fatto così: bugiardo, doppiogiochista e ironico fino alla perfidia, ma in lui, nel suo modo di fare, di parlare o anche semplicemente di guardarti c'era sempre, inevitabilmente, qualcosa di estremamente magnetico. Quella di alcuni giorni prima non fu l'unica volta in cui parlammo faccia a faccia io e lui, e ogni volta che mi rifiutavo di credere alle sue storie finendo in indiavolate discussioni ne uscivo sempre e comunque frustrata e indispettita, e ripetevo a me stessa che il giorno dopo non gli avrei più permesso di prendersi gioco di me... e il giorno dopo puntualmente ero sempre lì ad ascoltarlo quando voleva parlare.
Quella specie di circolo vizioso si poteva spiegare con una sola parola: carisma. Di certo lui apparteneva a quel genere di persone che quel misterioso magnetismo sembravano sprizzarlo da tutti i pori, e nessuna di noi due sembrava esserne immune. Un compagnone. I nostri turni di lavoro divennero quasi gite di piacere, se ci poteva stare una chiacchierata con Jack.
Col tempo dovetti non senza fatica ammettere con me stessa che non era solo di compagnia e divertente, ma anche innegabilmente affascinante: quel tipo di fascino dal quale era impossibile non rimanere catturate almeno un po'. Pian piano avevo cominciato ad adorare i suoi scompigliati capelli rasta con quelle strane trecce di perline colorate che oramai mi erano diventate tanto familiari, i suoi vispi e profondi occhi castani, ma soprattutto mi faceva impazzire il suo sorriso furfantesco in cui scintillavano maliziosi i denti d'oro.
Ero pienamente consapevole che la cosa stava diventando seria e assurda al tempo stesso.
Una sera, sfidando ogni regola, io e Faith gli portammo di straforo una bottiglia di rum sapendo quanto il forte liquore fosse universalmente amato dagli uomini di mare: quando gliela passammo attraverso le sbarre gli brillavano gli occhi. - Grazie, grazie, grazie, grazie mille!- ripeté, stritolandoci la mano non so quante volte, poi stappò la bottiglia, guardandola con aria adorante, e si attaccò al collo scolandosi avidamente il rum. Sembrava non volersene staccare più, e doveva già essersi bevuto quasi mezza bottiglia quando la mise giù, ad occhi socchiusi e leccandosi le labbra con evidente goduria, poi dopo un istante pulì il collo della bottiglia con l'orlo di una manica e me la porse. - Prendete anche voi, brindiamo insieme!-
A dire la verità non amavo molto gli alcolici, ma aveva un'espressione talmente giuliva che mi dissi che per una volta uno strappo si poteva fare: presi la bottiglia, me la portai alle labbra e bevvi un sorso. Fu come ingoiare una palla di fuoco: il rum aveva un sapore curioso, a metà fra il dolce e l'amaro e scaldava tantissimo; ma l'effetto bruciante arrivò solo un istante dopo. Avevo appena inghiottito il liquore che sentii la lingua prendere fuoco, e il calore scendere giù in gola come se avessi innescato una miccia: passai la bottiglia a Faith che assaggiò a malapena qualche goccia, lei era quasi astemia, non beveva quasi neanche il vino. Avevo ancora la bocca e la gola bollenti, ma il sapore intenso e speziato che mi era rimasto sulla lingua non era per nulla spiacevole.
- Chi non beve in compagnia... - commentò Jack sorridendo soddisfatto sotto i baffi, poi si protese in avanti appoggiandosi contro le sbarre. - Ragazze, vi ringrazio di cuore, siete state gentilissime; niente mi tira su come il rum! Però i giorni sono passati in fretta, e ora mi preme davvero sapere se avete deciso di aiutarmi. -
La domanda ci colse alla sprovvista: no, non avevamo ancora deciso sul suo conto: ci eravamo accordate per partire per Oyster Bay, ma in quanto a fare evadere Jack non ci eravamo ancora decise. - La nave per Oyster Bay salpa dopodomani all'alba. - dissi lentamente, lanciando un'occhiata circospetta per sincerarmi che non ci fossero orecchie indiscrete. - Ma... no... non sappiamo ancora se potremo liberarti. -
Jack sospirò, inclinando il capo da una parte: - E' un modo gentile per dirmi che posso scordarmelo? Capisco... io almeno ci ho provato. -
- Cerca di capire; per prima cosa non sapremmo proprio come farti evadere, e se anche tentassimo rischieremmo di essere scoperti; invece se riusciamo a farti scappare saremo tutti e tre braccati dalla marina... non è una decisione facile da prendere. - spiegò Faith, abbassando la voce.
Jack ci fissò negli occhi entrambe: - Avevi ragione... - mi indicò con un cenno della mano. - Ogni parola. Sei informata, a quanto sembra. Fra pochi, pochissimi giorni verranno a prendermi, per portarmi a Port Royal, come avevi detto. La mia è una condanna a morte. Comprendi?- disse. Rimasi senza fiato: condanna a morte? Lo avrebbero impiccato perché era un pirata...
- Potete fidarvi di me e accettare il mio patto. - continuò lentamente, a voce bassa. - O non potete. Potete decidere di salvarmi il collo... - si staccò dalle sbarre e si sedette con calma sulla paglia della cella. - O non potete. - concluse, lapidario.
Per un attimo ebbi quasi un impeto di rabbia verso di lui: furbo il tipo, ora che aveva conquistato la nostra fiducia, come avremmo potuto lasciare che lo impiccassero? Ci aveva solo usate, facendo il compagnone, solo per essere sicuro che lo salvassimo dalla prigione? In ogni caso fui costretta ad ammettere con me stessa che non avrei potuto lasciare che lo impiccassero.
- Anche se venissi con noi a Oyster Bay, come ritroveresti la tua ciurma?- domandai abbassando ancora di più la voce.
- Le tue informazioni si sono rivelate estremamente utili. - fece lui, raccogliendo qualcosa da terra e mostrandomelo. Io e Faith ci avvicinammo per vedere di cosa si trattasse: era un carboncino. Scoccai a Jack uno sguardo interrogativo. - Io e la mia ciurma abbiamo i nostri mezzi di fortuna per comunicare. - si decise a spiegarci, giocherellando col carboncino. - Ora sanno che in ogni caso dovrò essere portato a Port Royal per essere giustiziato, perciò si sono diretti lì e aspetteranno il mio arrivo per cercare di liberarmi... ma se lo fate prima voi potrò procurami una barca ad Oyster Bay e raggiungerli con calma, con molte meno noie e molti meno rischi. Comprendi?-
In quel momento mi ricordai: il pappagallo! Ecco quali erano i “mezzi di fortuna” per comunicare con la sua ciurma. Il pappagallo doveva avergli portato un messaggio da parte della sua ciurma, e lui era riuscito a rispondere informandoli di tutto: io stessa avevo visto quel pappagallo volare verso il mare in direzione di un puntino indistinto all'orizzonte...
Prima che potessimo rispondere la guardia ci chiamò per avvisarci che il nostro turno era finito: dovemmo lasciare Jack e seguire il soldato, che come di consueto ci scortò per il corridoio fino all'uscita dalla prigione.
- Signore, è vero che il prigioniero Jack Sparrow è condannato a morte?- domandai alla guardia mentre gli camminavamo appresso: lui annuì, trastullandosi con l'impugnatura del moschetto. - Proprio così, presto verrà imbarcato per Port Royal per essere processato e giustiziato. -
- Ma perché?- rincarò Faith con fare indispettito. - Che cosa ha fatto di così grave?- il soldato la guardò di sbieco.
- Anche a parte tutti i crimini da lui compiuti... è un pirata. - rispose come se fosse ovvio.
- Non è un buon motivo per uccidere un uomo. - replicai in tono gelido.
- Preferirei che non vi faceste venire strane idee, signorine: ultimamente socializzate un po' troppo con i detenuti. - il volto di pietra del soldato fu attraversato da un ghigno di scherno mentre lo diceva, e mi venne una voglia incredibile di mollargli uno schiaffo, ma ti trattenni. La guardia si voltò per scortarci fuori dalle prigioni, Faith mi guardò e disse, muovendo solo le labbra: - Dobbiamo aiutarlo. - io annuii, poi mi voltai rapidamente per tornare alla cella di Jack: dovevo dirgli che eravamo d'accordo: l'avremmo fatto scappare.
- Ehi! Dove stai andando?- esclamò la guardia, voltandosi bruscamente quando si rese conto che ero tornata indietro. - Mi è caduta una cosa nel corridoio, torno subito!- risposi con la prima scusa che mi venne in mente, senza fermarmi. Girai in fretta l'angolo, nascondendomi alla vista della guardia e raggiunsi la cella di Jack, che vedendomi si tirò subito su e mi si avvicinò: c'era una nuova luce nei suoi occhi. Speranza. - Allora, abbiamo un accordo?- bisbigliò, tendendomi la mano.
- Abbiamo un accordo. - gliela strinsi. - Domani sera, va bene?-
- Sono nelle vostre mani, tesoro. -
Tornai indietro con aria noncurante. - Cosa avevi perso?- domandò il soldato, sospettoso, appena mi vide ricomparire da dietro l'angolo. - Il mio ciondolo. - risposi imperturbabile, mostrando la perla nera che portavo al collo. - Mi era caduto. - lui sembrò tranquillizzato. - Be', è una fortuna che siate riuscita a ritrovarlo prima di quei topi di fogna dei prigionieri. - rise grassamente. - Prego, ora potete andare. -

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Capitolo 4
*** In fuga ***


Capitolo 4
In fuga



Faith era un'esperta di erbe medicinali: in casa nostra avevamo una gran quantità di una piccola pianta simile al crescione, commestibile, che tritata era un antidolorifico prodigioso, ma in grande quantità era anche un potente sonnifero. Ne avevamo cinque sacchetti, di quelle piccole foglie seccate: a Faith era venuto in mente un piano, e stavamo cercando di calcolare quante ce ne occorressero per realizzarlo. - Un sacchetto intero dovrebbe bastare. - disse lei, ammucchiando sul tavolo il mucchietto di foglie. - Ci sono venti prigionieri, nella zuppa dovrebbe amalgamarsi bene. -
- Ma se non ne mangiassero abbastanza da addormentarsi?- chiesi io. - Non sarebbe meglio mettercene più che possiamo?- Faith annuì: - Va bene, possiamo fare due sacchetti. Sarà una dormita storica!-

*

Il giorno seguente sembrò passare al rallentatore: i nostri bagagli erano pronti, a Michael avevamo detto che sarebbe venuto anche un nostro conoscente per farci da accompagnatore durante il viaggio (non ci sembrava opportuno rivelargli che avevamo intenzione di fare evadere un pirata) e avevamo avvisato le guardie che quello sarebbe stato il nostro ultimo giorno di lavoro. La sera finalmente preparammo la solita zuppa, e Faith vi vuotò dentro i due sacchettini di foglie sonnifere.
- Adesso mescola per bene. - mi istruì, ed io mescolai finché le foglie tritate non si mischiarono completamente al condimento della zuppa. Allora cominciammo il nostro giro, distribuendo la minestra drogata sotto il naso delle guardie: del resto, chi avrebbe mai sospettato di Evans e Westley? Avevamo due pentole: una era piena della zuppa annacquata destinata ai prigionieri, che servii io, l'altra era la minestra per gli ufficiali, avevamo drogato anche quella. Ci dividemmo: Faith salì al piano di sopra per servire la cena alle guardie del forte, sarebbero rimaste solo le inevitabili sentinelle della prigione, nessun altro a disturbarci. Servii la zuppa anche a Jack, ma mentre vuotavo il mestolo nella sua scodella mi chinai verso di lui e gli bisbigliai: - Non mangiare. - Jack recepì il messaggio e, mentre io finivo il giro, con la coda dell'occhio lo vidi versare la zuppa giù dalla finestra.
Dopo aver distribuito la cena, Faith tornò dai piani di sopra e cominciammo a fare le pulizie; tutto come al solito: - Come è andata di sopra?- le chiesi sottovoce.
- Mi sono sembrati un po' assonnati. - rispose lei con un sorrisetto segreto. Minuto dopo minuto notammo che uno ad uno i prigionieri sbadigliavano sempre di più, fino a sdraiarsi sulla paglia della loro cella e sprofondare nel mondo dei sogni. Tutti tranne Jack, che se ne stava seduto in un angolo, facendo finta di nulla, ma sapevo che dentro di sé era teso al massimo, in attesa del momento della fuga.
- Ascolta. - sussurrai, fermandomi davanti alla sua cella mentre tutti gli altri prigionieri ronfavano beatamente. - Ora ti facciamo uscire; tu ci prenderai in ostaggio, così potremo evitare di essere fermati dalle guardie alla porta e riusciremo ad andarcene restando uniti. -
- Perfetto. I miei effetti dove sono?-
- Le tue armi? Credo che siano nel magazzino con tutte le altre che sequestrano ai prigionieri... ne hai bisogno?-
Lui annuì insistentemente, facendo tintinnare la treccia di perline appesa ai capelli. - Decisamente sì. Sono una spada e una pistola... e una bussola, ti sarei molto grato se li recuperassi. -
Annuii in fretta. - Va bene, va bene: vado a prenderteli. - mentre mi dirigevo alla stanza delle armi bisbigliai alla mia amica, passandole accanto: - Ora Faith, prendi le chiavi. -
Ci dividemmo nuovamente: io all'armeria e lei all'entrata della prigione, dove tenevano le chiavi; era rischioso, potevo solo sperare che la mia amica riuscisse a cogliere un momento in cui la guardia non passava. Nell'armeria erano custoditi tutti gli oggetti personali dei prigionieri: frugai a lungo fra le rastrelliere di spade, pistole, cinturoni, coltellacci, fucili e qualsiasi altra diavoleria avessero sequestrato ai detenuti, infine mi sembrò di aver trovato quello che stavo cercando. C'era un cinturone nero con una spada infilata in un fodero di pelle rigida, una pistola ed una bussola di legno nero appesa con un cordino. Raccolsi tutto, infilandomi le armi sottobraccio, quindi sollevai con una mano la bussola, fissandola con curiosità. Era un bell'oggetto, intagliata con cura: la aprii, dando un'occhiata al quadrante, e rimasi sorpresa nel constatare che non sembrava proprio che quella bussola puntasse il nord... anzi, nel momento in cui l'avevo aperta, l'ago aveva preso a girare su sé stesso indicando ora da una parte ora dall'altra. Ma a cosa diavolo poteva servirgli una bussola che non funzionava?
La richiusi e feci per andarmene, ma esitai: indugiai un attimo fissando un'altra pistola sulla rastrelliera proprio davanti al mio naso; non sapevo a chi potesse appartenere, ma chissà, forse mi sarebbe stata utile. Esitai ancora un attimo soltanto, poi la presi e la nascosi in una tasca del vestito quindi tornai in fretta alle celle.
Le foglie di Faith avevano funzionato a meraviglia: erano passati cinque minuti e tutti dormivano profondamente, i miei passi erano coperti dal russare; più in fretta che potei raggiunsi la cella di Jack, ma la mia amica non era ancora tornata: aspettammo nervosamente, e ad ogni istante che passava ci sentivamo più vulnerabili. “Dai Faith, sbrigati, ti prego, sbrigati!” implorai fra me e me. Finalmente lei apparve nel corridoio, camminando in fretta: in mano aveva le chiavi. - Ci sono!- esclamò a bassa voce. Infilò la chiave nella toppa e la girò: la serratura fece uno scatto sonoro che ci fece sobbalzare, ma nessuno si svegliò e nessuna guardia arrivò a controllare.
Quando la porticina della cella si aprì cigolando, Jack si rizzò in piedi quasi troppo in fretta con un unico movimento talmente barcollante che per un attimo sospettai che fosse ubriaco, anche se non aveva avuto altro rum che quello che gli avevamo portato noi il giorno prima: uscì dalla cella a passo di marcia con espressione assolutamente compiaciuta, decisamente non era fatto per i posti angusti; gli diedi la spada e la pistola e lui se le rigirò in mano, tutto soddisfatto.
- Ci sono una decina di soldati là fuori a bloccare il corridoio. - ci riferì Faith: sapevamo che cosa c'era da fare, uscire di soppiatto senza farsi vedere era impossibile: dovevamo letteralmente uscire di sfondamento. Jack si infilò la spada in cintura: - Perfetto. Facciamo un po' di casino. -
- Aspetta. - gli presi la pistola dalle mani e la controllai: aveva quattro colpi in canna. Tolsi i proiettili uno dopo l'altro e, stringendo i bussolotti di piombo nel palmo della mano, restituii a Jack la pistola scarica. - E questo?- protestò Jack con aria seccata squadrandomi dall'alto in basso: ora potevo confrontarmi con lui in piedi, anche se non era particolarmente alto mi superava di una buona spanna.
- Una semplice misura di sicurezza. - replicai impassibile, infilandomi i proiettili in una tasca del vestito. Era il momento: io e Faith cominciammo a sgolarci: - Allarme! Un prigioniero è scappato! Aiuto! Aiutateci!-
- Compermesso. - Jack abbrancò con un braccio Faith, stringendola a sé e puntandole la pistola scarica alla testa. - Si va in scena!-
Arrivarono le guardie, con le armi in pugno, ma si bloccarono appena videro Jack che teneva in ostaggio la mia amica. - Armi a terra o le faccio saltare la testa!- gridò, minaccioso, spingendo la ragazza di fronte a sé e mostrando la pistola puntata alla sua tempia. I soldati esitarono: non potevano azzardarsi a sparare senza il rischio di colpire Faith; mi augurai di tutto cuore che nessuno di loro tentasse di fare l'eroe. - Bravi, e ora levatevi di mezzo se non volete che alla ragazza succeda qualcosa di brutto. - Jack recitava tanto bene che cominciai a temere che non stesse affatto recitando: in quel momento fui molto sollevata di avere tolto i proiettili alla pistola del capitano. Le guardie arretrarono lentamente mentre Jack avanzava verso l'uscita, continuando a tenere Faith come scudo fra lui e i soldati: quando ebbe guadagnato sufficiente terreno si voltò appena, a segnalarmi che era il momento che io gli corressi dietro come per inseguirli.
Corsi avanti: - Lasciala schifoso!- gridai, fingendomi furibonda; ad un tratto uno dei soldati mi afferrò per un braccio e mi tirò all'indietro. - Ferma, non seguirlo! Libereremo noi la tua amica!-
Lodevole proposito, però rischiava di mandare a monte tutta la fuga! Jack si fece rapidamente strada fra i soldati ed uscì di corsa dalla prigione.
- Lasciami, la sta portando via!- strappai il braccio alla presa del soldato e inseguii Jack e Faith. Superai tutte le guardie e corsi in strada; allora Jack si voltò verso di me e sibilò: - Ora, scappiamo!-
Sempre fingendo di minacciare Faith con la pistola attraversò a razzo la strada e si nascose in un vicolo, io lo seguii prima che le guardie ci raggiungessero.
Nascosti nel vicolo attendemmo immobili che i soldati si allontanassero; Jack bisbigliò a Faith: - Tutto bene? Non ti ho fatto male, vero?-
- No, no; però ora potresti lasciarmi. - rispose lei. Prima che lui potesse fare qualsiasi cosa, una voce familiare gridò: - Ehi! Lascia stare mia sorella!-
Inorridii: Michael! Se ne andava sempre in giro per la città la sera, ma come potevamo aspettarci di trovarcelo lì proprio adesso? Era all'ingresso del vicolo, e guardava Jack furibondo: il suo grido intanto aveva attirato le guardie che si avvicinarono correndo, coi moschetti spianati nella nostra direzione. “Michael, dannazione a te!” pensai, disperata: Jack non poteva lasciare Faith, unico scudo fra lui e i fucili, e non potevamo neppure spiegare a Michael la situazione, davanti alle guardie.
- Mi hai sentito, balordo? Lasciala andare!- gridò Michael. Accidentiaccidentiaccidenti... eravamo bloccati nel vicolo, sotto il tiro dei soldati.
- Avanti, pirata, libera le ragazze!- intimò uno di loro col fucile puntato.
- Se no cosa mi fate?- replicò a tono Jack, rafforzando la presa su Faith, senza smuovere la canna della pistola dalla sua fronte, anche se dalla sua espressione vedevo che stava cercando in tutti i modi una via di fuga. - State tutti indietro o le sparo! Non sto scherzando!-
Ancora una volta i soldati non potevano fare niente se non ubbidirgli: arretrarono, ma si vedeva che erano pronti a sparare appena il pirata avesse fatto un passo falso. Jack avanzò, intravedendo una via di fuga senza doversela vedere coi soldati, ma Michael non si mosse da dove stava, anzi, si buttò contro di lui e cominciò a colpirlo coi pugni. - Lasciala! Ti ho detto di lasciarla!-
Balzai avanti e agguantai Michael, staccandolo violentemente da Jack e mettendomi allo stesso tempo fra lui e i fucili dei soldati: una mossa azzardatissima, ma poteva rivelarsi l'unica speranza di fuga per noi. - Fermo! Dice sul serio, la ucciderà se non lo lasciamo passare!- gridai, ma poi incollai la bocca al suo orecchio e fra i denti bisbigliai: - E' un amico, porca miseria! E' tutto calcolato, dobbiamo riuscire a seminare le guardie e arrivare a casa nostra!-
A quel punto Jack si mise a correre, trascinandosi dietro Faith praticamente di peso. Anticipando i soldati, li seguii di corsa tirandomi ugualmente dietro Michael: Jack e Faith svoltarono un angolo e lei spinse Jack dentro la prima porta che trovò. Era il negozio del pescivendolo, potevamo solo augurarci che a quell'ora lui e sua moglie stessero dormendo molto profondamente. - Rimanete lì!- dissi io, chiudendo la porta dietro di loro; un attimo dopo arrivarono di corsa le guardie, urlando e imprecando fra il clangore metallico dei moschetti che sbatacchiavano.
- Sono andati di là!- iniziai a gridare come una pazza, indicando freneticamente la strada e fingendomi disperata. - Prendetelo, maledizione, prendetelo!-
Ci cascarono: corsero via alla ricerca del rapitore, e quando finalmente sparirono dietro ad una curva della strada tirai un sospiro di sollievo. - Che imbecilli. - commentai, e aprii la porta dietro cui si erano nascosti Jack e Faith: - Potete uscire, se ne sono andati. - loro due uscirono, Michael era assolutamente disorientato e ci fissò ad occhi sgranati come se pensasse che fossimo impazziti tutti.
- Ma cosa stavate facendo? E lui chi è?- indicò Jack, fissandolo con sospetto.
- In breve, questo è Jack Sparrow... - cominciai io, ma Jack mi interruppe. - Capitan Jack Sparrow, prego. - precisò, col dito alzato. Sospirai. - ... Capitan Jack Sparrow: è un amico di Elizabeth e William, aveva bisogno di una mano, lo abbiamo fatto evadere e verrà con noi ad Oyster Bay. Tutto chiaro?-
Michael fece tanto d'occhi alle mie parole: - Lo... avete fatto evadere?- ripeté fissando prima me, poi la sorella, poi Jack con aria sconcertata. Poi inaspettatamente sorrise. - Forte!-
- Su, è ora di andare a casa. - disse Faith, tirando un gran sospiro sollevato. - Partiremo domani all'alba. -
Jack annuì: - Va bene. - acconsentì, aggiustandosi il cappello, così noi quattro insieme ci incamminammo verso casa nostra. Fummo costretti a fare un giro piuttosto lungo, dato che dovevamo nasconderci nelle viuzze laterali e prendere una decina di scorciatoie per raggiungere la nostra strada senza incappare nelle guardie che ancora si aggiravano per la strada alla ricerca di Jack. Quando finalmente fummo a casa sorse un altro problema: dove far dormire Jack. La nostra casa era molto piccola, con solo tre stanze: la camera dove dormivano Faith e Michael, la camera dove dormivo io e la stanza d'ingresso dove stava la cucina e il tavolo dove mangiavamo; e un gabbiotto con la latrina. Avevamo soltanto tre letti, e nessun'altra camera.
- Per stanotte dovrai dormire sul divano. - dissi, indicando il vecchio divano mezzo sfondato in un angolo della stanza: quel divano era in quella casa ancor prima del nostro arrivo, non sarebbe stato il massimo della comodità ma era pur sempre qualcosa.
- Non c'è problema. - rispose Jack, buttandosi pesantemente a sedere sul divano e togliendosi il cappello. Faith condusse Michael in camera, io sbadigliai: era piuttosto tardi e fra il lavoro di quel pomeriggio e la fuga di poco prima cominciavo ad avere proprio sonno. - Buonanotte allora. - dissi, posando la mano sulla maniglia della porta della mia stanza. Lui stava lottando per levarsi gli stivali; alzò gli occhi verso di me: - Buonanotte. - mi sorrise nel suo modo speciale e per un istante mi sentii arrossire senza un vero motivo; ma mi ripresi quasi subito.
In verità c'era un'altra cosa che mi preoccupava: a parte il fatto che i soldati giravano per la città alla ricerca di un evaso e c'era l'alto rischio che ci piombassero in casa sorprendendo Jack, il dubbio che mi angustiava era se Jack avrebbe rispettato la sua parte del patto ora che era libero. In fondo nulla gli impediva di agire come voleva adesso che non era più dietro le sbarre.
Lui dovette accorgersi che lo stavo fissando, perché sollevò lo sguardo con aria corrucciata e mi lanciò un'occhiata interrogativa. - Che c'è?-
- Niente. - scossi rapidamente il capo e feci per voltargli le spalle, ma lui improvvisamente si alzò dal divano e mi si avvicinò.
- Che cosa ti succede? Per caso hai paura di me?-
Le sue parole mi inchiodarono sulla soglia della porta: mi voltai di scatto verso di lui fissandolo duramente. - Ti piacerebbe. - risposi in tono secco.
Le labbra di Jack si arricciarono sotto i baffi. - Eppure è così: tu hai paura. Fammi indovinare... temi che possa derubarvi durante la notte per poi imbarcarmi da solo, giusto?-
- E lo farai?- ribattei quasi in tono di sfida, sostenendo il suo sguardo. Lui quasi rise, come trovando l'idea divertente. - Non ho nessun motivo per farlo... e ti dirò anche perché. Per prima cosa, sono più al sicuro qui stanotte che non per strada. Secondo, quando i soldati cercano un evaso, dà molto più nell'occhio un uomo solo che uno in compagnia di due donne e un ragazzino, perciò per me è meglio viaggiare con voi. Terzo, perché impedirvi di partire? Se i soldati decidessero di prendervi e interrogarvi potreste finire per rivelare dove sono diretto. -
Di un'onestà e una chiarezza spiazzante, per una volta: mi lasciò quasi sorpresa. - Non ti fidi di noi, insomma. - conclusi, con più di una sfumatura di provocazione nella voce. Jack semplicemente sorrise come suo solito, né sardonico né provocatore. - Tu ti fidi di me?- rilanciò in tono ovvio.
Scossi lentamente il capo. - Non più del necessario. Mi capirai. -
Lui annuì con decisione: sembrava molto soddisfatto della mia risposta.
- Oh, a proposito del non fidarsi... - aggiunsi, fermandolo prima che mi voltasse le spalle. - Credo che sia meglio se mi dai la tua spada, solo per stanotte. - indicai il fodero alla sua cintura, e lui si accigliò. - Un'altra misura di sicurezza, eh? Ti ricordo che ti sei già presa tutti i miei proiettili. - borbottò, ironico.
- Lo so. - tesi la mano perché mi consegnasse la spada: con aria rassegnata Jack sfilò l'arma dal fodero e me la porse per l'elsa. - Attenta, potresti farti male. - aggiunse in tono di puro scherno quando la presi fra le mani.
Presi l'arma con la destra per avere l'impugnatura corretta e fulminea gliela puntai contro, facendolo sussultare.
Rimanemmo immobili a fissarci per un unico istante, quindi con tutta la calma del mondo replicai: - So come si usa una di queste, grazie signor Sparrow. -
Jack fissò prima la punta della spada quasi incrociando gli occhi e poi me con aria preoccupata, quindi sollevò le mani in gesto di resa. Abbassai la spada e aprii la porta di camera mia, mentre Jack andò a sistemarsi sul divano.
Mi richiusi la porta alle spalle e posai la spada in un angolo contro il muro. Quasi istintivamente la mia mano corse alla tasca del vestito, sentendo il rigonfiamento metallico della pistola che avevo preso dall'armeria, e un sorrisetto mi si dipinse svelto sulle labbra: qualunque cosa fosse accaduta, non mi sarei fatta cogliere impreparata. Le pareti di legno erano sottili, così ad un tratto dalla camera a fianco udii la voce di Michael che, maligno, bisbigliava a Faith: - Non è che ti sei presa una cottarella per quel pirata, eeeehh?-
- Deficiente!- replicò secca lei, seguita da un un tonfo attutito come se Michael fosse stato sbattuto di peso sul suo letto. Ridacchiai mentre mi mettevo in camicia da notte. Era bizzarro rendersi conto di avere un ricercato in casa, per di più uno che noi avevamo fatto evadere. In effetti mi sentivo un po'... ribelle. Sorrisi mentre mi mettevo a letto: la vita cominciava a farsi movimentata.

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Capitolo 5
*** Schiaffi ***


Capitolo 5
Schiaffi



Il mattino seguente mi svegliò un insistente bussare alla porta della mia camera. Svogliatamente, ancora immersa nella nebbia del sonno, mi rigirai fra le lenzuola e sbadigliai. - Sì?- borbottai, aprendo a fatica gli occhi.
- Perdonami se disturbo, ma se non sbaglio abbiamo una nave da prendere. - fece la voce di Jack al di là della porta. In un attimo mi tornò tutto in mente: Jack, l'evasione, le guardie. - Arrivo subito!- risposi, saltando giù dal letto. - Sveglia Stephanie e Michael. -
Lo sentii bussare alla porta dell'altra camera mentre mi vestivo: mi infilai il mio vestito rosso, sarebbe andato bene per il viaggio, essendo molto semplice e comodo, come piaceva a me. Feci per aprire la porta della camera quando notai il mio riflesso nel piccolo specchio quadrato che avevo appeso al muro: una giovane donna di ventitré anni ricambiò il mio sguardo con aria imbronciata. Curiosamente mi trovai ad osservarmi con aria più critica, e mi chiesi con una certa sorpresa da quanto tempo avessi quella faccia scura, che non era quella della ragazza che ricordavo. Mi osservai minuziosamente come se inconsciamente stessi cercando di scrutare qualcosa al di là della mia immagine riflessa: un viso regolare appena dorato dal forte sole dei Caraibi, labbra sottili un po' imbronciate, occhi marroni che squadravano il mio riflesso severo, e capelli castani che mi ricadevano sulle spalle in onde ribelli... più ribelli del solito in effetti, per averci dormito sopra.
Sorrisi divertita a me stessa e andai a frugare nella piccola sacca con i miei pochi averi che avevo preparato per il viaggio: tirai fuori una spazzola e pettinai per bene i miei capelli drammaticamente arruffati finché non fui in ordine, quindi ributtai la spazzola nella sacca; allora uscii.
Jack, Faith e Michael erano già seduti a fare colazione. La casa era insolitamente spoglia: tutto quello che ci occorreva era stato stipato nelle borse; l'unica cosa presente in cucina erano le tazze in cui bevevamo il the. - Buongiorno Laura. - mi salutò Faith sgranocchiando la sua fetta di pane.
- Giorno. - fece Jack agitando le dita in un cenno di saluto. C'era qualcosa di estremamente assurdo nel vederlo seduto bello comodo al tavolo della mia cucina a fare colazione, dopo averlo visto per così tanto tempo dietro le sbarre, seduto sul pavimento di una cella. Ricambiai il saluto e mi sedetti: mentre bevevo il mio the notai che Jack, da sopra il bordo della sua tazza, ci osservava, e anche parecchio. Mi sentii un pochino a disagio: che aveva da guardare? Poi capii: quando lavoravamo nelle prigioni indossavamo la nostra tenuta da lavoro, cioè un grembiule scolorito che non era certo un granché; vederci vestite bene sembrava interessarlo parecchio. Forse anche un po' troppo.
Dopo aver fatto colazione ci preparammo per andare: non avevamo molto da portarci dietro, in tutto avevamo tre borse neanche tanto pesanti. - Ci saranno dei soldati in giro. - rimuginò Faith. - Cercheranno Jack: dobbiamo dargli un cappuccio, qualcosa per nascondersi la faccia. -
Frugammo dappertutto e finalmente scovammo un lungo mantello da viaggio che Jack infilò tirandosi il cappuccio sul volto: gli si vedeva chiaramente soltanto il mento, la bocca e la punta del naso, il resto era nascosto sotto la stoffa.
- Ci vedi là sotto?- chiesi, cercando di distinguere gli occhi di Jack sotto il cappuccio; lui ridacchiò. - Ci vedo, ci vedo, non ti preoccupare! Allora, partiamo?-
- Partiamo. Il tuo cappello. - glielo porsi e lui lo nascose sotto il mantello, non potendoselo mettere in testa. Io e Faith prendemmo le borse; stavo per prendere anche quella di Michael quando Jack mi precedette. - Lascia, la porto io. - disse, e distinsi lo scintillio dei suoi denti d'oro sotto il cappuccio. Mentre facevamo per uscire per poco Jack non andò a sbattere contro lo stipite della porta. - Meno male che ci vedevi, eh?- commentai mentre Jack, disorientato, si alzava un po' il cappuccio in modo che non gli impedisse la visuale.
Uscimmo e ci dirigemmo al porto: faceva abbastanza caldo, e pensai che Jack stesse sudando sotto quel mantello; questo però non gli impediva di camminare nel suo modo strano: era davvero curioso e rimasi a fissarlo per un bel pezzo mentre camminava. Dondolava, come se non fosse del tutto sicuro della stabilità della strada o come se fosse ubriaco, anche se potevo giurare che non aveva toccato un goccio di liquore dalla sera prima. E le sue mani, non riusciva a tenerle ferme. Doveva sempre dondolarle lungo i fianchi o gesticolare a vuoto nell'aria. Strambo davvero. Eppure su di lui quella camminata goffa non era stonata, in effetti dopo un po' aveva un che di ipnotico. Raggiungemmo il porto: come Faith aveva previsto c'erano più guardie del solito che pattugliavano la zona. Alcuni fermavano i passanti perché si identificassero: non dovevamo assolutamente permettere che qualcuno di loro ci fermasse. Individuai la nave mercantile che traghettava i passeggeri a Oyster Bay: era ancora ormeggiata e un po' di gente stava salendo.
- Mescoliamoci alla folla. - suggerii mentre ci avvicinavamo. L'attesa in fila fu interminabile: le guardie giravano tutt'intorno, da un momento all'altro uno di loro poteva insospettirsi vedendo quel tipo incappucciato e costringerlo a farsi riconoscere. Cosa avremmo fatto in quel caso?
Dopo un'attesa che sembrò lunghissima finalmente potemmo salire a bordo, e mentre pagavamo la quota d'imbarco dissi intimamente addio ad una cospicua parte di tutto il denaro che possedevamo.
Ci fu assegnata un'unica cabina per tutti e quattro: era molto piccola, con una minuscola finestra che dava appena un po' di luce, e l'unico arredamento erano quattro cuccette disposte a castello. Lasciammo lì i bagagli, poi io andai sul ponte. La mia città si allontanava sempre di più: non ci ero mai stata veramente bene, ma era stata la mia casa.
Faith mi raggiunse: ci scambiammo un'occhiata e sorridemmo. Sì, Redmond era stata la nostra casa per due lunghi anni, ma ora era il momento di scoprire nuovi orizzonti.

*

A bordo la vita si rivelò presto piuttosto noiosa: la ciurma era sempre al lavoro, ma noi dell'equipaggio non facevamo un bel niente, se non starcene lì a girarci i pollici. Jack aveva potuto finalmente liberarsi del mantello e sembrava contento di essere tornato per mare, ma anche frustrato dall'inattività: girava avanti e indietro per il ponte con la sua andatura barcollante, non riusciva a stare fermo.
Io e Faith ingannammo il tempo in cabina, anche per avere un riparo dal sole cocente, sedute sulle nostre brande, chiacchierando del più e del meno come al solito. Il capitano della nave non ci aveva fatto domande quando ci aveva presi a bordo, ma gli spazi per i passeggeri erano ristretti, e ci era stata assegnata una sola cabina per tutti e quattro. Nessuno aveva fatto commenti quando ci era stato detto... eccetto Jack, naturalmente.
- Devono averci preso per una famigliola. Sapete, dovremmo inventarci una storia plausibile, giusto nel caso ci facciano domande. - aveva cominciato una volta a bordo, probabilmente trovando molto divertente l'idea della nostra futura convivenza forzata. - Possiamo sempre raccontare che Faith è mia moglie, e voi due siete i nostri figli. -
Io e Faith ci eravamo guardate, sconcertate, mentre Michael rideva. L'infame. - Chi mai ci prenderebbe per madre e figlia?- avevo replicato, tagliente, a sottolineare che io e la mia amica avevamo la stessa età.
- Be', per un'adulta non ti prenderebbero proprio. - aveva ribattuto lui sogghignando.
- Va al diavolo, eh?- se c'era una cosa che odiavo, erano le battute sulla mia statura. E Jack sembrava trovare un gusto tutto particolare nel farmi irritare.
Dio, dovere dividere la cabina con lui era già quanto di più imbarazzante potessi immaginare, e parlare con Faith mi aiutava a non pensarci troppo. Eravamo entrambe curiose ed impazienti di scoprire che cosa avremmo trovato ad Oyster Bay, quando avremmo rivisto i nostri amici, e quante cose avremmo trovato cambiate. Avremmo finalmente visto il loro bambino, per il quale tempo prima non avevamo potuto dare altro che una lettera con i nostri migliori auguri, e avremmo potuto raccontare ad Elizabeth tutte le cose che ci erano capitate... Le aspettative erano tante, ma c'era anche un certo eccitato nervosismo al pensiero di quegli amici che non rivedevamo da anni. Stavamo immaginando l'aspetto del piccolo David Turner quando Faith si fece meditabonda e ad un certo punto mi chiese: - Senti... come ti sembra Jack Sparrow ora che è... be', che non è più dietro le sbarre?-
Fui sorpresa dalla domanda e la fissai aggrottando la fronte. - Eh? Intendi se penso che possiamo fidarci di lui?-
Si strinse nelle spalle. - Non proprio... cioè, in generale. -
Incrociai le gambe sulla branda. Perché sollevava quell'argomento? Non avevo voglia di ammettere con qualcuno che quel bizzarro pirata svitato aveva qualcosa che mi incuriosiva, qualcosa che non avevo la minima idea di cosa fosse, ma che c'era e non mi dava pace. - Be'... è strano da dire, ma per quanto sia un pirata e a volte si comporti in modo irritante... non mi da l'idea di qualcuno che potrebbe farci del male. A me sembra un brav'uomo. - fu tutto quello che dissi.
Silenzio per alcuni attimi, poi Faith alzò gli occhi mentre sulla faccia le si dipingeva il sorriso birichino di quanto si divertiva a stuzzicarmi: - Hm... a me pare anche un bell'uomo, non trovi?-
Scoppiammo a ridere come ragazzine ed io le affibbiai una spinta scherzosa. - Prega che Michael non ti senta o diventerai il suo zimbello da qui all'eternità!- la avvertii.

*

Il capitano ci informò che saremmo giunti ad Oyster Bay fra due giorni. Era ormai sera: io ero sulla prua della nave che ammiravo il sole tramontare sull'oceano: era uno spettacolo magnifico che non mi godevo da quando avevo viaggiato per mare l'ultima volta; la sfera rosso-arancio era già immersa per metà nell'orizzonte piatto, riempiendo il mare e il cielo di un arcobaleno di riflessi fiammeggianti.
- Mozzafiato, vero?- disse all'improvviso una voce alla mia destra: sussultai; non mi ero neanche accorta che Jack si era appoggiato al parapetto di fianco a me. - Sì, è davvero bellissimo. - risposi. Jack annuì lentamente come perso nei suoi pensieri, poi tornò a guardare il tramonto, ed io feci lo stesso: la presenza di Jack al mio fianco non mi dava fastidio, ma inspiegabilmente mi innervosiva. Anche un po' imbarazzante in effetti; io e lui lì a guardare il tramonto... però non era spiacevole.
- E sì che ormai ne ho visti tanti. - continuò il capitano in tono meditabondo, come discorrendo più con sé stesso che con me. - Tramonti, albe, eclissi di sole, bagliori verdi... Però devo dire che... sì, è ancora un bello spettacolo. - lasciò vagare gli occhi scuri verso l'orizzonte, perso nei suoi pensieri.
Mi portai una mano al collo appendendo due dita alla catenella sottile: come distratto dal mio movimento Jack distolse gli occhi dal tramonto per posarli sul mio collo, e lo vidi aggrottare le sopracciglia incuriosito. - Che cos'è quella?- domandò, accennando al mio pendaglio con un cenno del capo.
- Questa?- allungai la catenella davanti a me rivelando la perla prima nascosta nel colletto del vestito. - E' un vecchio regalo. La porto con me da anni, ormai è quasi una specie di portafortuna. -
Lui annuì lentamente senza distogliere lo sguardo dal gioiello, poi allungò una mano. - Posso...?-
Gli porsi il pendente e lui lo prese fra il pollice e l'indice, accostandosi per esaminare meglio la perla: era anche un po' troppo vicino di quanto normalmente gli avrei concesso, ma lo lasciai terminare il suo esame, infine lasciò il ciondolo. - Una perla nera. - commentò con un misterioso sorriso. - Solo per curiosità, posso sapere come ne sei venuta in possesso?-
- Quando ero bambina e ancora non vivevo a Redmond, mio padre era l'aiutante di un costruttore di navi... Joby Price, si chiamava. - iniziai a raccontare, sistemandomi più comodamente contro il parapetto. - Era già anziano allora, ma era una gran brava persona. Mi regalò questo ciondolo quando terminò di costruire la sua ultima nave... la Wicked Wench mi pare si chiamasse. -
Gli occhi di Jack si allargarono appena quando pronunciai il nome, e mi guardò aggrottando le sopracciglia. - Wicked Wench?-
Annuii. - Sì... mi pare. Mio padre collaborò alla costruzione, e non puoi immaginare quanto Joby fosse felice, addirittura commosso quando la terminò. Era uno che amava il suo lavoro e le sue navi. Ricordo che ero molto piccola, e Joby mi portò a vedere la sua ultima nave. - i ricordi mi fecero sorridere. - Mi ricordo ancora cosa mi disse... “Ti piace, eh, piccola? Vedrai che questa giovincella diventerà una vera signora dei mari, ha tutte le carte in regola! Ma tu tieni questa, così ti ricorderai del vecchio matto Joby.” e mi regalò questa perla. -
Jack fece un cenno d'assenso con la testa, socchiudendo gli occhi come se avessi detto qualcosa di molto profondo, quindi prese a tamburellare le dita sul legno del parapetto tornando a fissare l'orizzonte dove il sole si era quasi del tutto immerso nell'acqua.
- Era un brav'uomo, Joby. Sentii molto la sua mancanza quando se ne andò. - mormorai fra me. Rimasi in silenzio per un po', poi tornai a rivolgermi a Jack. - Tu conosci la Wicked Wench?- la sorpresa e l'interesse nella sua espressione mi avevano fatto intuire che il nome della nave non doveva essergli sconosciuto. Lui inclinò il capo con aria meditabonda, quindi fece nuovamente un curioso sorriso prima di rispondere con una scrollata di spalle. - La conosco, sì. -

*

Stavolta ci sarebbe toccato condividere con Jack la stessa cabina, ma a quanto pareva ci saremmo dovute accontentare: quando entrammo tutti e quattro nella nostra piccola stanza dove ci saremmo ritirati per la notte, Jack si sedette pesantemente su una delle cuccette di sotto: - Avete preferenze per i posti?- ci chiese, facendo saltellare un po' il materasso per testarne la comodità.
- Facciamo che voi due state nei posti di sopra?- propose Faith, e dal suo tono mi resi conto che era a disagio: in effetti la capivo, in fondo era la prima volta che ci toccava dover dormire nella stessa stanza con un uomo sconosciuto.
- Bene. - Jack annuì senza muoversi dal letto. Attendemmo alcuni secondi sperando che capisse il messaggio, ma lui rimase tranquillamente seduto al suo posto facendo vagare distrattamente gli occhi per la stanza. - Jack?- lo esortò infine Faith in tono leggermente indispettito, lui alzò lo sguardo con aria candidamente innocente. - Sì?-
- Io e Laura dobbiamo cambiarci, e tu te ne stai seduto lì. -
- Non vedo il problema. - commentò Jack, senza riuscire a trattenere un ghigno. Senza un vero motivo mi sentii avvampare, ma immediatamente passai dall'imbarazzo alla collera. Era troppo: mi voltai verso di lui e gli mollai uno schiaffo. Sì, esatto: in piena faccia.
- Schifoso!- gli dissi rabbiosa, scandendo le sillabe.
- Eddai, questo non me lo meritavo!- protestò Jack, allibito, massaggiandosi la guancia colpita e arretrando di colpo temendo altre sberle.
- Te lo meritavi eccome, razza di porco! Chi ti credi di essere?- replicai bruscamente. - Statemi un po' a sentire, capitano: il fatto che ci troviamo a dover condividere questa cabina non vi autorizza, e ripeto, non vi autorizza a mancarci di rispetto in alcun modo. Mi sono spiegata? Ora tu e Michael ve ne state fuori finché io e Faith non ci siamo cambiate. -
Chiudemmo la porta dietro di loro, ed io, per maggiore sicurezza, infilai la chiave nella toppa perché non si potesse vedere dallo spioncino. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.
- Si sta montando un po' troppo la testa, non trovi?- commentò Faith mentre si metteva la camicia da notte. - Già. - annuii con decisione affrettandomi a fare altrettanto.
Quando fummo pronte lasciammo entrare Michal e Jack, che salirono sui letti di sopra, dove il primo si cambiò con la camicia da notte fuori dalla nostra vista, Jack invece doveva essere abituato a dormire vestito perché si liberò soltanto di stivali, cappello, giacca e cinture, ammucchiando tutto in fondo al letto e coricandosi così com'era. Faith spense la lampada ad olio: io mi ero già infilata sotto le coperte; Jack si era messo nella cuccetta sopra alla mia, e i sostegni cigolavano ogni volta che lui si muoveva. - Be', buonanotte. - augurai a tutti e tre, girandomi di fianco. - Notte. - mi risposero in coro gli altri.
Scese il silenzio, io chiusi gli occhi e, con la testa sprofondata nel cuscino, aspettai di addormentarmi: potevo sentire la nave rollare lentamente, una volta che ti adattavi al dondolio poteva risultare anche piacevole. Il letto di sopra cigolò piuttosto forte: aprii gli occhi e vidi che Jack sporgeva la testa da sopra la cuccetta coi lunghi rasta a penzoloni. - Ehi. - ci chiamò a voce bassa. - Non ce l'avete ancora con me per prima, vero?-
Lanciai uno sguardo a Faith accoccolata nell'altra cuccetta e fingendomi dubbiosa le feci: - Che dici, lo perdoniamo?-
- Ma sì, dai. Perdonato... per stavolta!- rispose lei dopo aver simulato un istante di esitazione.
- Basta che non lo rifai troppo presto, e ricorda che per te avrò sempre pronta qualche sberla. - aggiunsi come ammonimento, e Jack ridacchiò: - Mi sento veramente onorato. -
Poi Michael bofonchiò che voleva dormire, così Jack sospirò e scosse il capo. - Notte. - ci salutò, e il suo viso sparì oltre la testata della cuccetta.

*

Il capitano masticò distrattamente la coda della sua pipa mentre, seduto su un barile rovesciato, osservava la nave nera allontanarsi sempre di più dal porto di Tortuga.
E così, stavolta quel vecchio tricheco ubriaco di Gibbs non si era fatto gabbare, meditò con una scrollata di spalle senza poter fare a meno di scrutare con ammirazione e con una qualche strana sorta di affetto le vele color cenere spiegate al vento: ordini precisi stavolta, rifornimento rapido e rotta a Port Royal, dovevano recuperare il capitano e lui non era ammesso a bordo...
Barbossa soffiò una voluta di fumo acre dalla pipa: il capitano... per quanto negli ultimi anni si fosse suo malgrado trovato quasi a rivalutare Jack Sparrow, giammai lo avrebbe considerato il capitano degno di un gioiello come la Perla Nera. Troppo maldestro ed irresponsabile per una signora dei mari come quella.
Eppure la Perla se ne stava andando, e stavolta era lui a rimanersene lì a guardarla sparire: se non altro era nel suo porto preferito e non su un'isoletta sperduta. Erano già tre anni che lui e Jack Sparrow erano tornati a contendersi la Perla? si domandò il capitano tirando un altra profonda boccata dalla sua pipa.
In quel momento udì il suono di passi pesanti fermarsi alle sue spalle: non si voltò, ma alzò gli occhi al cielo intuendo di chi doveva trattarsi.
- Non posso credere che tu li abbia lasciati andare!- disse in tono indispettito la persona dietro di lui.
- E tu quando sei tornata?- replicò il capitano, voltandosi verso di lei senza mutare espressione e senza smettere di fumare la sua pipa. La donna alle sue spalle strinse le labbra e incrociò risolutamente le braccia sostenendo il suo sguardo: - Poche ore fa, in effetti. In tempo per vederti con la Perla Nera alla tua portata... e lasciartela scappare via!-
Barbossa si tolse la pipa di bocca e si alzò in piedi di scatto, raggiungendo in tre passi la donna e piantandosi dritto di fronte a lei. - Ti importa così tanto quello che faccio o non faccio?- ringhiò, col suo consueto tono a metà fra il minaccioso e il canzonatorio, scrutandola coi denti digrignati in un ghigno sardonico. - Quanto sei ingenua, mia cara, credi forse che se la Perla fosse nelle mie mani per te sarebbe più facile averla?-
La donna non poté sopportare oltre lo sguardo perforante di quegli occhi azzurro sbiadito, ed abbassò i suoi stringendo i pugni con collera crescente.
- Se proprio sei così determinata ad impossessartene... - continuò il capitano scostandosi da lei e tornando a mordicchiare la sua pipa. - Perché non ci provi ora che è senza un capitano?-
- La mia nave non può reggere uno scontro con la Perla Nera, e non c'è nave abbastanza veloce da poterla inseguire. - ammise lei. - Dov'è Sparrow se non si trova a bordo?-
- E' finito nelle prigioni di Redmond. - fece Barbossa distrattamente mentre tornava a sedersi sul barile. - Gibbs sta facendo vela per Port Royal perché è lì che portano i condannati a morte: io però dubito che Jack ci arrivi, senz'altro avrà trovato un modo di scappare ben prima. -
- Quindi per ora anche Jack Sparrow è fuori dalla mia portata, come la Perla... - rifletté ad alta voce la donna cominciando a camminare avanti e indietro. - Se non posso averla combattendo devo per forza trovare il modo di trattare... a modo mio, naturalmente. -
- E come intenderesti farlo, mia cara?- chiese Barbossa con un ghigno. - Tutti i pezzi della scacchiera sono fuori dalla tua portata. -
La donna non rispose, mentre continuava a misurare a passi lenti la banchina con lo sguardo fisso sulle assi di legno corrose dalla salsedine. Ad un tratto si fermò, sgranando gli occhi: - C'è un altro anello della catena. - mormorò, mentre un sogghigno le si allargava sulle labbra. - Turner. Vediamo se il capitano non ha alcun tipo di legame come vuole far credere. In fondo non ho niente da perdere. -
E detto questo girò sui tacchi e si allontanò lungo la banchina, diretta verso un imponente imbarcazione a tre alberi ormeggiata al molo poco lontano; Barbossa la seguì con lo sguardo, facendosi più scuro in viso, quindi si rialzò e, continuando a tirare profonde boccate dalla sua pipa, si allontanò nella direzione opposta.

Note dell'autrice:Volevo ringraziare di cuore la mia appassionata (e unica! ;-P) lettrice Shalna per i suoi commenti e per i suoi consigli, sono davvero felice che la storia ti piaccia e ti assicuro che farò tesoro di tutte le tue osservazioni. Sono rimasta colpita dal fatto che riesci ad individuare nella storia cose alle quali magari io non avevo pensato più di tanto mentre le scrivevo, ma ora che me le fai notare... accidenti, era davvero quello che intendevo trasmettere! Ne sono felice. Grazie di tutto!

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Capitolo 6
*** Beatrix Barbossa ***


Capitolo 6
Beatrix Barbossa



- Yo ho, haul together,
hoist the Colors high.
Heave ho, thieves and beggars,
never say we die... -

Cantava a bassa voce, come ipnotizzata dal suono della sua stessa voce, mentre mescolava la zuppa che bolliva sul fuoco con gesti automatici, distratti: era chiaro che la sua mente era altrove. Perché stava cantando quella canzone? Sapeva che era ben più di un semplice motivetto piratesco, era un canto di allarme, un segnale che tutti i pirati conoscevano... per questo lo cantava sottovoce.
Presto sarebbe calata la sera, e le ombre stavano per avere la meglio sulle candele che illuminavano la cucina della piccola abitazione: be', di certo lì dov'era non correva il rischio di essere udita da qualche pirata, di questo poteva stare sicura. Quel ritornello le era tornato in mente nelle ultime ore, le ricordava posti remoti, avventure passate, amici lontani... Elizabeth sentì qualcosa pizzicarle agli angoli degli occhi e sollevò svelta la mano libera ad asciugare la lacrima che furtivamente cercava di superare il livello di guardia.
- Mamma?- mormorò un bambino di tre anni che se ne stava seduto sul pavimento: l'espressione preoccupata dei suoi occhi castani anticipò la sua domanda, alla quale Elizabeth rispose scuotendo appena il capo: - Niente, David, niente... - disse, sorridendo allo sguardo penetrante di suo figlio: aveva gli occhi così grandi, quel bambino, fra il marrone e il dorato come i suoi. David Turner ricambiò il sorriso della madre, quindi riportò la sua attenzione sulla piccola nave di legno con la quale stava giocando, spingendola sul pavimento come se stesse veleggiando.
Elizabeth tornò a mescolare la loro cena, ma non distolse lo sguardo dal bambino: la sua presenza, la sua infantile allegria bastavano a confortarla e a farle sentire che la sua vita lì aveva ancora un senso. Dalla finestra si scorgeva il mare: aveva scelto apposta quella casa discosta dal resto della piccola città che sorgeva sull'isola, più vicina alla spiaggia. Dal volto del figlioletto gli occhi della giovane donna corsero lì, lungo la linea piatta e azzurra che a malapena segnava il confine con il cielo che cominciava a diventare blu scuro.
“Tieni gli occhi piantati sull'orizzonte...” da quanto tempo non sentiva la voce che aveva pronunciato quelle parole? Tanto, troppo tempo. E ne sarebbe passato ancora e ancora prima di poterla risentire, non erano neanche a metà della condanna prescritta al capitano dell'Olandese Volante.
La zuppa stava bollendo: Elizabeth la tolse dal fuoco, e fece per chiamare David per mettersi a tavola quando qualcuno bussò insistentemente alla porta. La giovane si accigliò: chi poteva essere? Non riceveva mai visite e le poche volte che usciva in città era per andare al mercato o per fare passeggiare David, non si poteva dire che fosse in confidenza con gli abitanti. Posata la pentola piena di zuppa sul tavolo, Elizabeth si diresse alla porta mentre David seguiva curioso i suoi spostamenti: alla porta bussarono ancora. Diavolo, ma chi era che aveva tanta fretta...
Elizabeth aprii la porta. - Chi è?... - quelle parole le si bloccarono in gola quando ci trovammo faccia a faccia: credevo di essere preparata a rivederla, ma la verità era che nulla probabilmente ci avrebbe mai preparate a scoprire quanto eravamo cambiate nei quattro anni durante i quali eravamo state separate.
- Elizabeth... - fu tutto quello che riuscii a dire fissando il viso della mia vecchia amica: per certi versi era come me la ricordavo, anzi, forse anche più bella di allora.
Sembrava più grande, meno ragazzina e più una giovane donna: indossava un vestito semplice e scuro, ben diverso dagli ingombranti abiti che ero abituata a vederle indosso quando veniva in villeggiatura a Redmond, e i suoi capelli color miele di norma pettinati in improbabili acconciature erano sciolti sulle spalle ad eccezione di alcune ciocche raccolte ed intrecciate dietro la nuca.
- Laura! Laura Evans!- esclamò lei, fissandomi a bocca aperta come se non potesse credere ai suoi occhi. Poi si accorse di Faith al mio fianco e i suoi occhi si allargarono se possibile ancora di più. - Faith! Voi... non posso crederci!- fece con voce improvvisamente rotta dall'emozione, e a quel punto non potemmo più trattenerci: ci lanciammo le une fra le braccia dell'altra, ed Elizabeth ci strinse entrambe a sé con forza.
- Non credevo che vi avrei più rivisto!- esclamò quando ci lasciò andare, con una nota di felicità quasi isterica nella voce mentre ci fissava come se ancora non credesse di averci davanti a lei. - Quattro anni! Quattro anni che non avevo più vostre notizie!-
- E lo dici a noi?- replicò Faith mentre nessuna delle tre si decideva a sciogliere del tutto l'abbraccio. - Tutte quelle cose che avremmo voluto dirti, tutto quello che avremmo voluto chiederti per così tanto tempo... Oh, Elizabeth, non riesco a credere che sei davvero tu!-
- Oh, ma entrate, entrate, ne avete di cose da raccontarmi!- esclamò lei facendosi indietro di un passo per aprirci la porta. In quel momento una voce alle nostre spalle commentò, sardonica: - Donne! A loro i convenevoli e a noi i bagagli... così non va, figliolo, proprio no!-
A quelle parole Elizabeth rizzò le orecchie, e vidi la sua espressione farsi se possibile ancora più sgomenta quando vide avvicinarsi alle nostre spalle Jack fianco a fianco con Michael che si trascinavano appresso le nostre sacche da viaggio.
- Jack!- esclamò, in un tono che non capii se fosse sconvolto o meravigliato. Il capitano posò per terra la sacca e sorridendo le rivolse una sorta di buffo inchino. - Miss Turner... - la salutò. Elizabeth oltrepassò me e Faith per raggiungere Jack, e quando gli fu di fronte lo prese per le spalle fissandolo a bocca aperta. - Tu... cosa ci fai qui?-
Lui si corrucciò, scostandosi un poco da lei: - Un “che piacere rivederti dopo tre anni” è fin troppo ottimista, vero?- disse in tono rassegnato.
- Oh, stupido! Sei più che benvenuto. - Elizabeth guardò alternativamente noi due e Jack. - Come... come mai siete con lui?-
- Non ci crederai mai, ma le tue deliziose amiche mi hanno appena aiutato ad evadere. - rispose Jack con un sogghigno. Elizabeth si voltò di nuovo verso di noi con gli occhi spalancati. - Che...? Ragazze, ne avrete di cose da spiegarmi!-
- Anche tu, mi pare. - aggiunsi mentre la nostra amica ci invitava ad entrare nella sua casa: era più grande della casetta che avevamo a Redmond, ed era anche in condizioni migliori. - Per esempio, come mai voi due vi conoscete? E poi, dov'è William?-
Quando ebbi finito di pronunciare le ultime parole calò di colpo un silenzio di gelo, Elizabeth, che stava tirandosi la porta alle spalle, si immobilizzò per un momento, lo sguardo fisso sul pavimento, quindi richiuse senza aggiungere una parola. Mentre scambiavo uno sguardo con Faith capendo di avere appena toccato un punto dolente anche se non riuscivo a capire perché, mi accorsi che anche Jack aveva abbassato lo sguardo.
- William non è qui. - proferì finalmente Elizabeth senza sollevare gli occhi mentre attraversava la stanza e ci conduceva nella cucina. - Non c'è più da tre anni. -
- Come non c'è più?- esclamò Michael con veemenza, sgranando gli occhi, ma Faith lo zittì posandogli prontamente una mano sulla spalla. - Zitto, Mickey. - gli intimò in tono piatto.
La pesante cappa di imbarazzo e di brutti presentimenti che era appena calata su quel felice rincontro fu fortunatamente spezzata dall'arrivo di un bimbetto di circa tre anni che ci osservò con curiosità quando noi quattro mettemmo piede nella cucina al seguito di Elizabeth: mi bastò dargli uno sguardo per rivedere in lui entrambi i miei amici, sul viso tondo del bambino andavano già delineandosi i bei tratti regolari del padre, i suoi capelli erano fra il bruno e il dorato e i grandi occhi curiosi avevano le sfumature nocciola di quelli della madre.
- David, questi amici cenano con noi stasera. - gli disse Elizabeth mentre faceva cenno a noi di accomodarci attorno alla tavola, per poi affaccendarsi attorno ad una pentola piena di quella che dall'odore doveva essere zuppa. - Spero che la minestra basti per tutti, al massimo posso allungarla un po'. -
Consumammo la nostra cena frugale attorno a quel tavolo mentre raccontavamo ad Elizabeth tutta la storia su come fossimo arrivate lì, con Jack che puntualmente ci interrompeva come suo solito per aggiungere particolari o semplicemente per dire la sua, nel frattempo ebbi modo di accorgermi quanto l'ambiente in alcuni aspetti rispecchiasse la Elizabeth che ricordavo e quanto in altri discordasse. La stanza era pulita e in ordine, e non mi era difficile figurarmi la mia vecchia amica attenta a tenere una casa come dio comanda. Eppure, mentre distrattamente portavo il cucchiaio dalla scodella alla bocca e viceversa, il mio sguardo guizzava qua e là cogliendo particolari sorprendenti e inequivocabili: là, appoggiata su un ripiano della cucina, era appoggiata una spada, come lasciata lì nel caso qualcuno avesse avuto bisogno di prenderla. Per terra, un poco nascosti in un angolo forse per non sfidare l'attenzione all'ordine della madre, alcuni giocattoli del piccolo David, compresa la piccola barca con la quale stava giocando prima, una spada di legno, e un laccio di cuoio al quale erano appesi due curiosi pendagli metallici.
- Dunque... - fece Elizabeth posando il cucchiaio nella scodella vuota. - Sei riuscito ad arrivare qui, Jack, ma la tua ciurma si aspetta di doverti liberare a Port Royal secondo le tue indicazioni. Come intendi raggiungerli?-
Jack si allungò contro lo schienale della sedia sgranchendosi le dita. - Oh, adesso che ho mantenuto la mia parte del patto e le signorine sono arrivate sane e salve... - si protese per un attimo verso Faith posandole una mano sulla spalla e sorridendole. - ...mi basta una barca e il vento dalla mia parte... non ci metterò molto a ritrovare la Perla. - mentre lo diceva si mise a tamburellare con le dita sulla bussola appesa in cintura e lanciò ad Elizabeth un'occhiata allusiva come se ritenesse che quell'aggeggio fosse la soluzione a tutti i problemi.
- Intendi metterti in mare da solo, soltanto con una barca, e cercare la tua nave?- fece Michael guardandolo ad occhi sgranati.
- E non sarebbe la prima volta, figliolo. - assentì lui annuendo con decisione.
- Va bene: allora... - Elizabeth si alzò in piedi e cominciò a sparecchiare la tavola dalle scodelle vuote. - Faith, Laura, Michael, vi posso ospitare qui per tutto il tempo che vi occorre, sarà bello avere un po' di compagnia. Per stanotte dovremo arrangiarci, la casa è piccola... dunque, David può dormire nel letto con me e se a voi due non secca stringervi un po' potete stare anche voi in camera mia nel suo letto. In quanto a Jack e Michael... - li osservò pensosa prendendosi il mento fra le dita, e Jack si protese verso Michael sogghignando: - Sta a vedere che a noi uomini stanotte ci tocca il pavimento... -
- Probabile, ma vedrò di rendervelo il più confortevole possibile. - replicò Elizabeth con un sorriso riponendo le scodelle sporche. - Venite ad aiutarmi a prendere un po' di lenzuola, possiamo ricavare due brande. - si diresse verso l'altra stanza mentre ancora parlava: sembrava diventata di colpo molto più allegra e ciarliera, perché continuò a parlare del più e del meno anche mentre io e Faith la aiutavamo ad arrangiare due brande sul pavimento della cucina. Mi dissi che era evidentemente felice di avere compagnia: aveva dunque passato quei tre anni lì ad Oyster Bay sola col piccolo David? E che ne era stato di William? L'ultima domanda non aveva smesso di tormentarmi da quando avevo messo piede nella casa, e se non avevamo più sollevato l'argomento era stato solo per delicatezza nei confronti di Elizabeth. Sentivo Elizabeth parlare senza ascoltarla veramente, scrutavo i suoi sorrisi ora più aperti e spontanei e non riuscivo a liberarmi del tarlo che mi rodeva.
“Elizabeth... Will è forse morto? Perché non ne hai più fatto parola da quando siamo entrate? Che cosa è accaduto, e da quanto tempo sei qui senza di lui?”
Mentre sistemavamo le brandine, uno sbadiglio rumoroso portò la nostra attenzione su David che, con gli occhi che gli si chiudevano dal sonno, ciondolava la testa al di sopra del ripiano del tavolo al quale se ne stava ancora seduto.
Elizabeth sorrise intenerita e lo raggiunse, carezzandogli i capelli. - C'è qualcuno che dovrebbe andare a dormire?- gli disse prendendolo in spalla.
- Non ho sonno... - protestò debolmente, ma il modo in cui si abbandonò contro il petto di Elizabeth rivelò tutto il contrario: lei attraversò la stanza col bambino che le si stava assopendo fra le braccia, e prima di aprire la porta che conduceva alla camera da letto si chinò a raccogliere dal pavimento uno dei suoi giocattoli, il laccio coi pendagli. Vedendola con le mani occupate le aprii la porta di camera sua e lei mi ringraziò con un cenno mentre entrava; in quel momento scoccai uno sguardo a Jack, Faith e Michael che stavano ancora approntando le brande sul pavimento, e mi resi conto che quella poteva essere forse l'unica occasione di parlare un momento in privato con Elizabeth. La seguii nella camera e mi chiusi la porta alle spalle.
La stanza era piccola, sufficiente per due letti ed una vecchia cassettiera: rimasi a guardare Elizabeth mentre adagiava David sul letto più grande, che doveva essere il suo. Con dolcezza gli carezzò una guancia, poi la vidi mettergli al collo con cura quasi reverenziale il laccio coi pendagli che poco prima aveva raccolto da terra. Ora che potevo guardarlo meglio notai che i pendagli erano due: uno piccolo, che assomigliava ad una conchiglia d'argento, ed uno più grande e rotondo, color ambra.
David mugugnò nel dormiveglia e la sua manina salì a stringere uno di quei pendagli, sopra le dita di Elizabeth.
- Sei sicura che non ti daremo disturbo?- le domandai.
- Non ti devi preoccupare. - rispose lei mentre allontanava la mano dal ciondolo con una sorta di malinconica riluttanza, quindi esibì un sorriso forzato in netto contrasto con quelli con cui aveva accolto la nostra richiesta di rimanere presso casa sua. - Mi fa piacere la vostra compagnia. -
- Liz... - inciampai su quel nomignolo come se stessi chiedendo il permesso di chiamarla ancora così. - Che cosa è successo a William?-
La mia amica abbandonò del tutto il suo finto sorriso: dell'allegria di poco prima non era rimasta la minima traccia. Mi fissò seria negli occhi con uno sguardo quasi rassegnato, quindi con voce triste proferì: - Anche se te lo dicessi, non mi crederesti. -
Le sue parole mi confusero ulteriormente: il discorso precedente mi aveva già fatto temere il peggio, ma ora non capivo il perché di tanto mistero. Esitai un istante ancora prima di insistere debolmente: - Non vuoi nemmeno lasciarmi provare?-
Abbassando sul pavimento gli occhi ambrati, Elizabeth scosse lentamente il capo.
Nella stanza accanto Jack osservò soddisfatto il proprio lavoro: - Perfetto. Abbiamo una sistemazione da re per stanotte. - scherzò con Michael accennando alle brandine. Il ragazzino sorrise mentre provava la comodità della propria branda, Faith invece era rimasta silenziosa da un po': avvertendo su di sé lo sguardo della ragazza Jack si voltò verso di lei, alzando un sopracciglio quando si accorse che il suo sguardo era accusatore.
- Tu lo sapevi. - gli disse Faith a voce bassa senza staccare gli occhi da lui. - Sapevi che a William era successo qualcosa e non ci hai detto nulla. -
Jack abbassò gli occhi per un istante, quindi li rialzò facendo scattare in alto l'indice e aprendo la bocca in cerca di qualcosa da dire, ma in quel momento io ed Elizabeth uscimmo dalla camera. - Faith, puoi venire: David sta già dormendo. - disse Elizabeth facendo cenno alla mia amica di seguirci, quindi si rivolse a Jack e Michael. - Tutto pronto qui? Bene. Buonanotte, allora. -
- Anche a voi. - rispose Jack con un sorriso, poi ad un tratto si voltò verso di me ed alzò un dito ad indicare me e Faith. - Sono in debito con voi due, dolcezza. Mi mancherete. - disse in tono solenne.
Sì, come no. Feci un sorriso amaro tra me e me; lui ci avrebbe detto grazie e se ne sarebbe andato l'indomani, io sapevo già che mi sarebbe mancato. - Oh... a proposito. - mi frugai nella tasca e, con le dita un po' annerite di polvere da sparo, gli tesi quattro tondi proiettili di metallo. - Questi sono tuoi. -
Jack rise mentre se li riprendeva.

*

Un'altra notte sotto la volta sterminata del cielo dell'aldilà.
Neppure una nuvola oscurava la miriade di stelle che risplendevano di luce irreale nel cielo nero; a lungo William aveva passato il tempo con lo sguardo al cielo cercando di riconoscere qualche costellazione, ma aveva dovuto riconoscere che tutto in quel posto gli era alieno, perfino il cielo.
L'Olandese Volante scivolava rapida e sicura sul mare tranquillo; William riportò l'attenzione sul mare davanti a sé e scorse fra il buio della notte la luce tremolante di una piccola lanterna che dondolava all'altezza dell'acqua, tante lanterne.
Sapeva di cosa si trattava, ma come di consuetudine gridò al nostromo che stava di vedetta: - Nostromo! Che cosa vedi?-
- Sono solo le barche dei morti, signore!- rispose il nostromo dall'alto dell'albero maestro. William annuì brevemente, tornando ad appoggiarsi al parapetto e scrutando le piccole imbarcazioni che passavano accanto alla chiglia dell'Olandese. Le barche di coloro che erano morti, il loro mezzo per arrivare sicuri all'altro mondo.
Non avevano a che fare con il suo compito: l'Olandese doveva traghettare le anime che vagavano disperse sotto il pelo dell'acqua, quelle di coloro che erano morti nelle profondità marine. Nei tre anni che aveva passato a bordo dell'Olandese, William aveva svolto egregiamente il suo compito.
Sapeva che non avrebbe dovuto guardare i volti di quelli che passavano, ma non poteva farne a meno: là, un'anziana donnina dall'aria dimessa; accanto, un uomo di mezza età che fissava il mare davanti a sé con espressione assente; lì invece, Will sentì una stretta al cuore che non aveva più, un bambino piccolissimo raggomitolato sul fondo della barca.
Le barche aumentavano, erano così tante che ormai avevano completamente accerchiato l'Olandese: mentre gli uomini della ciurma compivano le loro manovre in rispettoso silenzio, William non riusciva a distogliere gli occhi da quella moltitudine di morti: vecchi, giovani, bambini, donne...
Improvvisamente sussultò, aggrappandosi al legno del parapetto. No, non era possibile, se lo era immaginato.
I suoi occhi saettarono qua e là fra la folla galleggiante, cercando disperatamente ciò che avevano scorto per un attimo, e quando lo videro di nuovo per un fugace istante William sentì il respiro venirgli meno. Lunghi capelli biondo scuro e un gentile viso di ragazza.
- Elizabeth!- l'urlo di Will spezzò il silenzio facendo voltare tutti gli uomini della ciurma verso di lui, in compenso nessuna delle anime dei morti reagì in alcun modo al suo richiamo.
William scrutò febbrilmente le barche che passavano sotto la nave sentendosi la mente in subbuglio: non poteva essere lei, non doveva... - Elizabeth!- urlò di nuovo con tutto il fiato che aveva, scendendo sul ponte nel tentativo di seguire con lo sguardo la figura che gli era sembrato di scorgere.
- Capitano... - una voce strascicata lo richiamò dal timone; William la ignorò e si sporse dal parapetto, gridando ancora una volta: - Elizabeth! Sono io, sono Will! Se ci sei rispondi, ti prego!-
- William!- fu la voce severa dell'uomo dietro di lui a richiamarlo: Sputafuoco lo prese per una spalla e lo tirò indietro, distogliendolo dalle barche dei morti che si allontanavano. Gli occhi di William si puntarono disperati in quelli di suo padre. - Non puoi essere certo che fosse lei. -
- Non posso essere certo nemmeno del contrario!- replicò William in un sussurro febbrile.
Sputafuoco aprì la bocca come per dire qualcosa, ma esitò. Infine, più serio che mai, disse lentamente: - Anche se fosse... tu non potresti farci niente, e lo sai. -
Will respirò profondamente: lo sapeva, eccome se lo sapeva. Certo, poteva non avere visto veramente Elizabeth, forse si era trattata soltanto di un'allucinazione, dell'ombra di una ragazza che le somigliava, ma come poteva convivere con questo dubbio? Il giorno in cui Elizabeth fosse morta, sarebbe potuta passargli accanto senza che lui neppure la vedesse in mezzo a tutte quelle anime dei morti. E lui non lo avrebbe saputo mai.
Aveva creduto di vedere il volto di Elizabeth fra i morti. Era vero o si era solo lasciato suggestionare? Forse stava impazzendo, dopotutto sapeva che prima o poi sarebbe successo dopo tre lunghi anni in quel mare sconfinato sospeso fra il regno dei vivi e quello dei morti.
Insieme a suo padre tornarono sul cassero di poppa: lì Will si sedette pesantemente su una cassa e nascose il viso fra le mani. - Non ce la faccio più, padre. - mormorò.
Sputafuoco gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla: era incerto su ciò che avrebbe dovuto dirgli, in quegli anni che avevano passato fianco a fianco a bordo dell'Olandese avevano recuperato il tempo che non avevano mai potuto trascorrere come padre e figlio, eppure... eppure sentiva che mai avrebbe potuto aiutarlo veramente, men che meno ripagare il prezzo altissimo che il figlio aveva pagato a suo tempo per la sua libertà.
- Questo è il tuo compito, Will... il nostro compito. - mormorò dandogli una lieve stretta alla spalla nel tentativo di offrirgli un qualche conforto. Will non rispose, così Sputafuoco lo lasciò e tornò mestamente al timone, lasciandolo solo con i suoi pensieri.
Sette anni ancora. Sette anni e la sua condanna sarebbe finita, gli sarebbe stato concesso di tornare da Elizabeth... ma se lei fosse morta veramente? A cosa gli sarebbe servito tornare su quella spiaggia e non trovare nessuno ad attenderlo? Come poteva vivere col dubbio di non poterla rivedere mai più?
Un pensiero cominciò ad insinuarsi nella sua mente, un pensiero pericoloso ma proprio per questo estremamente allettante: lui non poteva scendere a terra, ma questo non valeva per i membri della sua ciurma. Il posto dell'Olandese e del suo capitano era il mare sconfinato dei confini del mondo, ma Davey Jones aveva veleggiato per i mari della Terra per lunghi anni.
“Un giorno soltanto...” la voce che si era risvegliata nella sua mente non poteva più essere messa a tacere, ormai. “Un giorno soltanto lontano dal mio compito... Calypso non ne sarà contenta, ma mi basta un istante, solo per assicurarmi che Elizabeth sia ancora in vita, e poi tornerò indietro. Le anime dei dispersi in mare... loro possono anche aspettare.” Non erano pensieri da lui, si accorse con un certo sgomento, lui era sempre stato fedele alla parola data e aveva svolto con pazienza, sacrificio e dedizione il compito affidatogli dalla dea Calypso... ma come allontanare ormai quel pensiero che gli ossessionava la mente? Come attendere sette anni senza sapere cosa ne fosse stato della donna che amava? “E se scoprissi che è morta?” allontanò lentamente le mani dal viso mentre i suoi pensieri davano voce alla sua paura più grande. “Che cosa faresti, William Turner, se Elizabeth fosse morta davvero?”
Avrebbe perso ciò che lo faceva andare avanti, la ragione per cui sopportava tutto il silenzio e la solitudine dei mari ai confini del mondo.
Si alzò in piedi, con espressione più determinata che mai. Se Elizabeth fosse morta, allora avrebbe consacrato la sua esistenza all'adempimento del suo compito. Per sempre. Non ci sarebbe stata via d'uscita, allora. Ma per decidere se i prossimi anni sarebbero stati un'attesa del suo prossimo incontro con Elizabeth o una perenne dedizione al compito del capitano dell'Olandese Volante... lui doveva sapere. Subito.
- Uomini, issate tutte le vele!- gridò, avanzando sul ponte: il suo ordine spedì gli uomini della ciurma ad arrampicarsi sulle sartie a sciogliere le vele, Sputafuoco guardò il ragazzo con tanto d'occhi. - Uhm... Dove siamo diretti, capitano?- domandò con un certo stupore. William si voltò verso di lui, con un curioso sorriso che l'uomo non vedeva da tanto tempo.
- Al confine, signor Turner. - rispose senza perdere il sorriso, quindi gli voltò le spalle e si incamminò verso la tolda dell'Olandese.

*

Era notte fonda, forse era già passata la mezzanotte quando un'improvvisa esplosione mi fece fare un salto dal letto. Per alcuni attimi rimasi immobile, aggrappata al letto, col cuore che andava a mille: dov'ero? Ah sì, a casa di Elizabeth. Cos'era accaduto? Quell'esplosione là fuori... cos'era stato?
Improvvisamente ci fu una seconda esplosione, e allo stesso tempo qualcosa mi colpì forte sulle costole: Faith, che dormiva di fianco a me nel letto di David, si era alzata bruscamente, svegliata dal botto. - Uuuf!- gemetti portandomi una mano alle costole mentre udivo anche Elizabeth svegliarsi con uno strillo.
- Oddio, scusa Laura... - Faith non fece in tempo a finire di parlare che una terza detonazione ci fece lanciare un urlo in contemporanea. Balzai giù dal letto e corsi alla finestra: ci misi un po' a distinguere il paesaggio fra le tenebre della notte, ma appena i miei occhi si furono abituati all'oscurità riuscii a scorgere il porto: dal mare venivano lampi di cannoni, e questo voleva dire solo una cosa: la città era sotto attacco.
- Qualcuno ha attaccato la città!- praticamente urlai, voltandomi bruscamente verso Elizabeth, in piedi con un terrorizzato David fra le braccia.
- Lo so!- rispose lei, spaventata quanto me.
- Dov'è Michael?- gridò di rimando Faith, precipitandosi alla porta della camera. In preda al panico, riuscendo solo a dirmi che dovevamo metterci al riparo e subito, la seguii di corsa nella stanza adiacente: quello che vidi servì solo a spaventarmi ancora di più, la porta d'ingresso era aperta, le brande sul pavimento vuote, Faith chiamava Michael... Michael... dov'era Michael?
Ci fu una quarta esplosione: quel colpo era arrivato vicino, sentii il pavimento vibrare e sobbalzai all'indietro, finendo dritta tra le braccia di qualcuno alle mie spalle. Colta totalmente alla sprovvista strillai di sorpresa e mi divincolai. - Oh, calma, sono io!- esclamò Jack lasciandomi andare.
- Jack! Succede qualcosa, qualcuno là fuori... -
- Lo so, sono appena andato fuori a vedere: c'è un galeone pirata nel porto, e non è la Perla. - Jack mi voltò le spalle per dirigersi nuovamente alla porta. - Io torno fuori, voi mettetevi al riparo. - in due passi saltellanti infilò la porta e sparì alla mia vista prima che avessi il tempo di fare o anche solo di dire qualsiasi cosa.
- Laura!- mi voltai quando Elizabeth mi chiamò: era uscita dalla camera e stringeva in braccio il figlio, ora la sua espressione non era più terrorizzata, ma urgente e determinata. Faith ci raggiunse, stringendo per mano Michael: quando aveva sentito la prima bordata si era rintanato in un angolo della stanza mentre Jack usciva a vedere cosa stava accadendo. David si stringeva ad Elizabeth, con gli occhi sbarrati dalla paura: lei respirò profondamente per calmarsi, poi ci disse: - Presto, dobbiamo nasconderci; venite con me!-

*

La casa di Elizabeth sorgeva su un piccolo promontorio accanto alla costa, a soli pochi passi dalla città vera e propria: da lì Jack corse verso la via principale del paese, ma si fermò bruscamente quando vide il galeone pirata che si profilava al largo nel porto immerso nell'oscurità della notte.
I suoi occhi si allargarono dalla sorpresa mentre ciondolava su sé stesso senza riuscire a decidersi. Certo, da quella distanza non poteva esserne sicuro, eppure pareva proprio... Una masnada di uomini urlanti con le armi in pugno si riversò nel porto non appena le scialuppe calate dalla nave toccarono terra: per strada era un fuggi fuggi generale, i cittadini prima usciti dalle case perché spaventati dalle cannonate ora fuggivano via alla disperata ricerca di un riparo dalla furia dei pirati. I più non ebbero fortuna: in pochi istanti i pirati invasero le strade del paese come un fiume urlante di pistole e sciabole, sfondando le vetrine dei negozi e le porte delle case, e passando a fil di spada chiunque si parasse loro davanti.
Jack si tuffò in un vicolo e si acquattò dietro ad un grosso barile mentre un manipolo di uomini strepitanti attraversava di corsa la strada: mentre stava con la schiena appiccicata al legno del barile, sfilò rapidamente la propria pistola di cintura e la caricò, ringraziando mentalmente Laura per avergli provvidenzialmente restituito i proiettili. Si girò, affacciandosi per un attimo da dietro il suo nascondiglio per verificare se se ne fossero andati, e quello che vide lo fece sussultare: scorse un numeroso gruppo di pirati che correva lungo la strada, e sembrava avere una meta precisa. Alla testa del gruppo c'era una giovane donna: era alta, slanciata, con lunghi e ricci capelli castano scuro. Precipitosamente si rintanò di nuovo dietro al barile, in tempo per scorgerla trucidare due cittadini: aggrappandosi convulsamente al suo precario nascondiglio sbarrò gli occhi e si morse la lingua per trattenere un'imprecazione, non si era sbagliato, dunque. La nave nel porto era la Revenge, e... lei... poteva essere lì per un solo motivo. Jack abbassò gli occhi, rimuginando su cosa gli fosse più conveniente fare a quel punto, poi ad un tratto risollevò lo sguardo come se avesse udito qualcosa... e si gettò di lato evitando per un soffio il proiettile che forò da parte a parte il barile facendone zampillare un getto d'acqua. - Giochiamo a nascondino?- ridacchiò malignamente il pirata, incombendo su di lui e preparando a fare fuoco un'altra volta.
- Per quanto possa essere un'occupazione divertente... - Jack gli sferrò rapido un calcio alla gamba, facendolo perdere l'equilibrio e rovinare per terra. - ...al momento non ho proprio tempo, scusami tanto... -
Si rialzò più in fretta che poteva evitando per un pelo il pirata che cercò di afferrarlo per la gamba, e corse in strada. Gli ci volle un istante per ritrovare il gruppo con la donna alla testa, stava correndo lungo la via principale del paese. In quel momento un altro pirata lo attaccò alle spalle e gli fu impossibile vedere altro, di nuovo trascinato nella furia del combattimento. Mentre, indietreggiando per quanto gli era concesso, parava un colpo dopo l'altro, si disse che di una cosa poteva essere sicuro: quel gruppo capitanato da quella donna pirata si dirigeva verso la casa di Elizabeth.

*

Da fuori veniva il frastuono della battaglia: io, Faith, Michael, Elizabeth e David ci eravamo barricati nella camera ed attendevamo lì, in silenzio. L'attesa era snervante: sentivo il cuore battermi forte in petto, non sopportavo di restarmene rinchiusa, impotente, mentre fuori si scatenava un inferno. Pensavo a Jack: aveva lasciato la casa così di corsa, ed ora poteva trovarsi là fuori in mezzo a tutto quel cataclisma. Perché non era rimasto? Di certo sapeva cavarsela, ma ciò non mi impediva di essere preoccupata. Improvvisamente dalla stanza d'ingresso ci fu un tonfo. Sussultammo, poi un altro, e un altro, tanti colpi ripetuti, come se qualcuno cercasse di scardinare la porta. Guardai Faith, aveva gli occhi spalancati dalla paura, probabilmente la stessa espressione che avevo io. Poi un rumore stridente e lo sbattere di una porta. - Oh mio dio, sono entrati... - mormorò Elizabeth, David era aggrappato a lei con tutte le sue forze, la faccia nascosta contro la sua spalla; Elizabeth cercava di incoraggiarlo, ma si vedeva che era terrorizzato. - Non devono trovarci!- esclamai. - Liz! Dobbiamo bloccare la porta. -
Elizabeth annuì, poi, non senza fatica, convinse David a staccarsi da lei e lo diede in braccio a Michael, quindi si guardò intorno cercando qualcosa con cui sbarrare la porta. Faith cominciò a trascinare lo scrittoio. - Aiutatemi!- disse, io ed Elizabeth la raggiungemmo e insieme spingemmo il mobile contro la porta. - Una spada, dio, se avessi solo una spada... - mormorava febbrilmente Elizabeth fra i denti mentre barricavamo la porta. A lavoro finito ci accostammo alla porta, in ascolto, cercando di sentire se i pirati ci avessero già raggiunti.
Dalla stanza accanto arrivarono suoni di passi in corsa, voci concitate, fracasso di mobili buttati all'aria. La maniglia della porta si abbassò, qualcuno da fuori tentò di aprirla ma essendo chiusa a chiave ottenne solo di scuoterla di qualche millimetro. Una voce da fuori gridò: - Qui dentro!- gli uomini fuori afferrarono di nuovo la maniglia e la scossero violentemente: noi tre ci addossammo allo scrittoio, spingendolo ancora di più contro la porta. Mentre difendevamo strenuamente la nostra debole barricata, guardai verso Michael; era vicino alla finestra della camera e reggeva in braccio David. Ad un tratto mi sembrò di scorgere qualcosa passare davanti alla finestra: mentre ancora mi stavo chiedendo che cosa potessero essere, una mano scostò le tende e la rude faccia di un pirata si affacciò nella stanza.
- Michael, via di lì!- urlai, Michael sobbalzò e si scansò immediatamente, ma ormai ci avevano visti: i pirati avevano aggirato la casa, raggiunto la finestra ed ora c'era solo quella fra loro e noi. Erano in quattro, il primo di loro tirò una mazzata contro il vetro, mandandolo in frantumi, per poi balzare all'interno coi suoi compagni.
Era una situazione impossibile. Loro erano in quattro, grossi, forzuti e armati, noi eravamo tre ragazze disarmate, un ragazzino e un bambino; dietro la porta chiusa c'erano altri pirati. Michael era chiuso in un angolo, spaventato ma deciso a proteggere David: i quattro pirati si diressero verso di lui. Fui presa da un inaspettato attacco di coraggio, o forse fu solo un'istintiva difesa dettata dalla paura: balzai avanti e afferrai la prima cosa che mi capitò sottomano, una paletta da caminetto, e la sbattei in faccia al pirata più vicino. Quello urlò e barcollò all'indietro portandosi le mani al naso sanguinante; approfittando dell'attimo di stordimento del pirata lo colpii ancora, stavolta in testa. Nello stesso istante Elizabeth e Faith scattarono avanti, Liz si mise fra i pirati e Michael che stringeva David a sé per proteggerlo, Faith agguantò le molle del camino e con quelle, brandendole a mo' di spada, incrociò la spada di un altro pirata. In quel momento la porta ebbe la bella idea di cedere: la serratura si spaccò, e da dietro gli uomini cominciarono a colpire furiosamente il legno per levare di mezzo lo scrittoio con cui l'avevamo bloccata.
Stavo tenendo a bada il primo pirata dalla faccia sanguinante con la paletta di ferro, ma un altro comparso alle mie spalle mi afferrò e mi immobilizzò. Mi divincolai, ma le braccia forzute del pirata mi serrarono così forte da togliermi il respiro, e un altro mi strappò di mano la mia rudimentale arma. Allo stesso modo i pirati catturarono Faith ed Elizabeth; a quel punto la porta si spalancò, rovesciando la scrivania. Una decina di uomini barbuti, urlanti, armati e con cinturoni pieni di coltelli si riversarono nella stanza. - Lasciatemi! Nooo! Lasciatemi!- i pirati avevano preso anche Michael, che gridava e si dimenava, e avevano strappato David dalle sue braccia, che aveva preso a strillare terrorizzato.
In quel momento mi ricordai della pistola che alcuni giorni prima avevo sottratto nei magazzini della prigione, ma anche quella speranza sfumò nel nulla quando realizzai che l'arma era rimasta occultata nella tasca del mio vestito, mentre io indossavo la camicia da notte.
Poi, stranamente, i pirati si fermarono: due di loro mi tenevano saldamente con le braccia bloccate dietro la schiena e mi era impossibile muovere un muscolo: dalla porta sfondata entrò una donna. A occhio e croce doveva avere circa una decina d'anni più di me; era alta, slanciata, piuttosto bella: aveva un volto grazioso, occhi verde scuro e i capelli scuri, lunghi e ricci. Era vestita come un uomo, eppure in qualche modo il suo vestiario piratesco era tutto tranne che maschile, dandole un innegabile fascino selvaggio che lì per lì mi trovai quasi ad invidiarle. Portava un cappello sgualcito ma elegante, un vistoso corpetto di pelle nera e una camicia bianca con larghe maniche a sbuffo.
Indossava un paio di pantaloni marroni e degli stivali alti: alla cintura aveva una pistola e il fodero di una spada, teneva l'arma in mano; si avvicinò a noi con aria spavalda, sorridendo sprezzante. - Ammiro le donne che sanno combattere. Ma non provate a darmi noia o vi sgozzo con le mie mani. - la sua voce era sicura, fredda, il suo sguardo passò su di noi, indifferente. - Non mi interessa uccidervi ora, se non mi creerete problemi. - guardò David, tenuto fermo da uno dei suoi pirati, e un sorriso inquietante le increspò le labbra. - Oh bene, eccoti qui. - mosse un passo verso di lui, ma Elizabeth si dibatté, cercando di bloccarla. - Sta lontana da lui, schifosa assassina!- gridò, furibonda.
La donna si voltò a guardarla e il sorriso divenne un ghigno. - Ci tieni a rivederlo vivo, miss Turner? Allora fammi un favore... - estrasse un coltello, rapida come un lampo.
Rabbrividii, e Faith gridò: - Non farlo!- ma fortunatamente la donna non intendeva colpire Elizabeth; tirò fuori una pergamena arrotolata e la inchiodò al muro col coltello. - Da' questa a Jack Sparrow. So che sai di chi sto parlando. Come lo troverai sono affari tuoi, ma ti consiglio di fare più in fretta possibile e di convincerlo ad attenersi a tutte le mie indicazioni... nell'interesse del tuo bambino, signorinella. Il tempo parte da ora: è tutto nelle tue mani. -
Un pirata si caricò David in spalla come un sacco di patate mentre la donna sconosciuta ci voltava le spalle e si dirigeva verso la porta sfondata. - No!- Elizabeth prese a divincolarsi come un'indemoniata, gridando: - No! Lasciate David! Lasciatelo! Lasciate subito mio figlio! David!- ci vollero tre pirati per tenerla ferma: mentre la donna e gli altri se ne andavano con David, gli uomini rimasti aprirono la porta della latrina e, sghignazzando a più non posso, uno dopo l'altro ci ficcarono dentro. Il pirata che mi bloccava mi spinse dentro: atterrai malamente in un groviglio di gambe e braccai, i pirati chiusero la porta e sentii girare la chiave. Poi senza smettere di ridere grassamente lasciarono la stanza.
- Ahia! Laura, quella è la mia gamba!- protestò Faith; mi spostai, per schiacciare Michael contro la porta chiusa: si stava decisamente stretti e non si vedeva niente. Liz prese a pugni la porta bloccata. - David!- gridò, in un grido disperato e quasi isterico. - Dannazione, dannazione, l'hanno preso! Dobbiamo fermarli, dobbiamo fare qualcosa!-
- Spingiamo tutte insieme. - suggerì Faith. - Forse cederà!- cominciammo a martellare di pugni la porta, ma era spessa e di legno robusto, e non cedette. Eravamo in trappola. Udii qualcuno lasciarsi cadere sul pavimento della stanzetta angusta, poi Elizabeth cominciò a singhiozzare piano.
- Liz... coraggio... - pigiandomi fra Faith e Michael riuscii ad inginocchiarmi di fianco ad Elizabeth. - Li fermeranno, vedrai, non gli permetteranno di fare del male a David!-
- Chi è quella donna?- singhiozzò Elizabeth, fra lacrime non di disperazione come avevo creduto, ma di rabbia. - Cosa vuole da David? Perché?-
- Cercava anche Jack. - disse Faith, anche nel buio mi pareva quasi di vedere la sua espressione seria di quando rifletteva. - Forse ha qualche conto in sospeso con lui... ma perché tirare dentro anche te e David?-
- Non possiamo rimanere qui, dobbiamo farci sentire, dare l'allarme!- esclamò Michael. - Qualcuno ci sentirà, se diamo l'allarme potremmo fermarli prima che portino via David. -
Picchiammo contro le pareti della stanzetta, ci sgolammo per chiedere aiuto, ma nessuno arrivò. Non so per quanto tempo rimanemmo chiusi lì dentro, forse ore: la battaglia proseguì per un bel pezzo, se ne sentiva il frastuono fin da lì dentro. Alla fine eravamo esausti, abbattuti e demoralizzati: ci eravamo seduti sul pavimento, non c'era molto spazio, quindi ero stretta fra Elizabeth e Faith, con le ginocchia raccolte contro il petto.
Dopo non so quanto tempo finalmente udii lo scatto della serratura: la porta si spalancò e la luce di una lampada ad olio, seppur debole, mi ferì gli occhi dopo tutto quel tempo nell'oscurità; per questo ci misi qualche secondo a riconoscere il viso di chi si era chinato su di noi chiedendomi apprensivo: - State tutti bene?-
Jack mi diede la mano e mi aiutò ad alzarmi, poi aiutò anche Faith, Michael ed Elizabeth, e vedendo il volto bagnato di lacrime di quest'ultima si accigliò: - Che cosa è successo? Hanno fatto un bel parapiglia qui dentro, vedo... -
- Hanno preso David!- lo interruppe Elizabeth soffiando con violenza le parole fra i denti stretti: le lacrime che le bagnavano gli occhi non erano solo di disperazione. Jack inarcò le sopracciglia con stupore: - Chi ha rapito David?- esclamò facendo saettare lo sguardo fra noi tre in cerca di una risposta.
- C'era una donna, penso fosse il capitano. - spiegai. - Sono entrati e hanno preso David: lei ha detto di avere un messaggio per te. Non so cosa volesse, ma penso che userà David come ostaggio. -
Jack esitò per un secondo con espressione sbigottita, quindi ebbe una specie di scatto nervoso agitando una mano verso Elizabeth: - Siete una maledizione, voi Turner! Non avete niente di meglio da fare che mettervi nei guai?- vista l'espressione già abbastanza sconvolta di Elizabeth si calmò, fece un breve sospiro e si grattò la testa sotto la bandana. - La nave se ne è già andata da un po', e in città stanno prestando soccorso ai feriti... mi dispiace. - mi sembrava sinceramente rattristato per l'accaduto, e in quel momento sentii venir meno le mie speranze: se i pirati avevano già lasciato il porto, per noi non c'era più nessuna possibilità di raggiungerli e recuperare il bambino.
Faith si avvicinò al muro dove la donna aveva inchiodato il suo messaggio: staccò il coltello dalla parete e lo appoggiò sul letto, poi porse il messaggio a Jack che, un po' titubante, lo prese e lo srotolò. Esitò un istante mentre cominciava a leggere, poi ci lesse ad alta voce mentre la sua faccia si faceva sempre più scura: - “Questo messaggio è per Jack Sparrow, capitano della Perla Nera. A David Turner non accadrà nulla di male finché vi atterrete alle regole. Fra tre giorni a partire da oggi, al calare del sole vi aspetterò a Tortuga alla locanda del Cigno Nero, solo voi, nessun altro della vostra ciurma e nessuna spia che vi guardi le spalle. Nel caso Elizabeth Turner non sia riuscita a consegnarvi questo messaggio entro i tre giorni stabiliti, aspetterò altri tre, ma non di più. Se non vi presenterete all'incontro o se cercherete di trami in inganno, il bambino è morto: sia ben chiaro...” - in quel momento Jack si fermò come se fosse incerto sul continuare o meno.
- Cosa c'è?- fece Michael impaziente, cercando di allungare il collo per vedere la lettera. - Va' avanti, cosa dice?-
Finalmente Jack rispose: - E' firmata Beatrix Barbossa. -
A me il nome non diceva niente, ma Liz rimase a bocca aperta. - Barbossa?- ripeté, fissando il capitano ad occhi sbarrati come se ogni sillaba le suonasse assurda. - Ma come... Jack... chi è quella donna? E soprattutto... perché rapire David se cercava te?-
Gli occhi di Jack indugiarono sulla prima riga della lettera, mentre, con una punta di amarezza, lui replicava: - Non sta cercando me. -

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Capitolo 7
*** Il capitano dell'Olandese Volante ***


Capitolo 7
Il capitano dell'Olandese Volante



- Ma dobbiamo trovare un modo per andare a Tortuga!-
- Accomodati. Chiamami quando l'hai trovato. -
- Ma se hai detto poco fa che ti era sufficiente una barchetta e potevi andare ovunque... - protestai mentre seguivo Jack che si avviava verso la costa: Elizabeth, Faith e Michael stavano recuperando il recuperabile dalla casa devastata, Jack era uscito per giudicare in che condizioni fosse il porto ed io ero andata con lui.
- Quello solo se potevo viaggiare per conto mio. - replicò Jack alzando gli occhi al cielo. - Dubito che la nostra miss Turner acconsentirebbe a lasciarmi andare all'incontro da solo, perciò temo che staremmo un po' stretti... per di più non mi pare che nemmeno tu, la tua amica e il suo petulante fratellino vogliate starvene con le mani in mano, uh?-
- Mi sembra ovvio. - replicai caparbiamente mentre mi affrettavo per tenere il suo passo. - Ci sarà pure qualcuno disposto a fornirci di una barca, forse Elizabeth ha ancora del denaro in casa... - il capitano mi interruppe con un solo cenno, indicando davanti a noi verso il molo. Guardai, e vidi i danni causati dalle bordate del galeone pirata: le piccole barche, i pescherecci, ogni singola imbarcazione ormeggiata nel porto aveva subito impietosamente le cannonate; sembrava che sul molo si fosse abbattuto un urgano.
Respirai a fondo e lasciai andare il fiato lentamente. - Insomma mi stai dicendo che non c'è alcun modo di lasciare l'isola?- conclusi rassegnata.
- Oh, no!- replicò Jack scuotendo il capo con l'aria di trovare la cosa divertente. - Sto solo considerando che la cosa non sarà così facile. In più, temo di intuire fin troppo le vere intenzioni della nostra Beatrix... -
Annuii in silenzio mentre fra me ponderavo la valanga di novità che ci era stata riversata sopra solo pochi minuti prima: vedendo Elizabeth così sconvolta nell'udire il nome di Barbossa, nome che a me e Faith non diceva niente, avevamo chiesto chi fosse e che cosa avesse a che fare con lei. La nostra amica e Jack si erano guardati per un attimo, quindi lui aveva raddrizzato una sedia buttata a terra, vi si era accomodato e aveva detto: - Sì, c'è tempo per una storia. -
Elizabeth lo aveva fissato quasi oltraggiata, ma poi sembrava avere capito che al momento non potevamo fare assolutamente nulla per suo figlio, così anche lei si era seduta, accingendosi a spiegarci tutto quello che dovevamo sapere.
- E' cominciato tutto alcuni anni fa, quando Jack arrivò a Port Royal... be', no; in verità è cominciato tutto molto tempo prima, quando Jack era capitano della Perla Nera e si mise in cerca del tesoro dell'Isla de Muerta... - così ci raccontò di come il primo ufficiale di Jack, Barbossa, dopo essersi fatto rivelare la posizione dell'isola lo avesse tradito e abbandonato su un isolotto deserto da cui però riuscì a scappare tre giorni dopo approfittando del passaggio di una nave di contrabbandieri.
Ci raccontò di come Barbossa e la sua ciurma furono colpiti da una maledizione quando si impossessarono delle monete maledette del tesoro di Cortez, e come suo padre, William Turner senior, a cui non era mai andato giù l'ammutinamento e l'abbandono di Jack, avesse spedito un pezzo del tesoro a lui, perché i pirati non lo trovassero mai e rimanessero maledetti per sempre. La vendetta di Barbossa fu terribile: buttò William Turner nell'oceano, condannandolo ad una vita immortale bloccato sul fondo del mare. Alcuni anni dopo Will si imbarcò dall'Inghilterra, ma la nave su cui viaggiava fu attaccata e lui, unico sopravvissuto, fu raccolto dalla nave del governatore Swann. Aveva indosso il medaglione con la moneta maledetta: quell'oggetto avrebbe potuto marchiarlo come un pirata, così Elizabeth glielo prese e lo nascose. Passarono gli anni, e un giorno Jack giunse a Port Royal: la stessa notte Barbossa e la sua ciurma attaccarono la città e rapirono Elizabeth per riavere il medaglione: Will e Jack si allearono per andarla a salvare e, dopo molte traversie, riuscirono a salvare Elizabeth, spezzare la maledizione e uccidere Barbossa.
- Fammi capire... quindi miss Perfezione che veniva in villeggiatura nella nostra città con fidanzato nuovo di pacca in realtà era da poco scampata ad un'avventura con pirati e antiche maledizioni?- avevo chiesto con gli occhi sbarrati alla fine del racconto, strappando ad Elizabeth un sorriso mesto. - Eh sì. - disse stancamente. - Sapevo che non mi avreste mai creduto. E poi quello fu soltanto l'inizio, in seguito siamo andati incontro a cose ben più spaventose... Ricordate quando vi scrissi per informarvi che io e Will avremmo dovuto sposarci? Non mi sposai allora. - un'ombra le passò sul viso: tristezza? Rimpianto? Non avrei saputo dire con precisione di cosa si trattasse. - Un viscido signorotto di nome Beckett prese il controllo di Port Royal, mise me in galera e spedì Will alla ricerca di Jack... - se pensavo di avere sentito veramente di tutto mi ricredetti quando ascoltai da Elizabeth la seconda parte della storia, dove ci narrò di come un ambizioso quanto spietato Lord avesse sconvolto tutti i Caraibi mirando ad annientare la pirateria servendosi di un demone del mare a lui asservito per mezzo di un cuore nascosto dentro ad un forziere.
Mentre ascoltavo mi chiesi come fosse possibile che la mano dell'astuto Lord Beckett non fosse giunta fino a noi durante il breve periodo durante il quale aveva dominato i mari, ma giunsi alla conclusione che, trovandoci in quel momento su isolette lontane dall'arcipelago, probabilmente non lo avevamo interessato.
Elizabeth e William si erano uniti all'antica fratellanza dei pirati e avevano combattuto nello scontro finale contro Beckett, uscendone vincitori. Il padre di Elizabeth era stato assassinato poco prima per ordine dello stesso Beckett: senza null'altro che la legasse a Port Royal, Elizabeth era rimasta su quell'isola, poco lontana da dove si era svolta l'ultima battaglia.
- E William?- avevo osato chiedere infine. - Che ne è stato di lui?-
Jack aveva aperto la bocca come per parlare, ma Elizabeth lo aveva fulminato con lo sguardo: lui allora l'aveva ricambiata con un'occhiata come a chiederle se desiderava dircelo lei, ma lei, senza guardarci negli occhi, si era limitata a dire: - Will ha pagato il prezzo più alto di tutti. Non c'è altro da dire. -
Con quelle parole lapidarie si era chiuso il suo lungo racconto, lasciando me, la mia amica e suo fratello con la crescente sensazione di essere appena precipitate in qualcosa di estremamente misterioso ed inquietante: infine avevo seguito il capitano mentre usciva dirigendosi verso il molo.
- E quali sarebbero... - chiesi continuando a camminare alle spalle di Jack. - ...queste sue intenzioni?-
- Vuole la mia nave. - rispose lui voltandosi appena verso di me mentre procedeva a passo spedito. - E sapendo di non potersi permettere di prenderla in uno scontro aperto ha preferito tendermi questo bel trabocchetto... Di certo, sapendo che ho avuto a che fare in passato con i Turner pensa che mi importi del bambino e... -
Lo acciuffai improvvisamente per una manica della giacca costringendolo a fermarsi e a guardarmi. - E a te importa del bambino... non è così?- lo rimbeccai in tono severo, scrutandolo in attesa della sua reazione. Jack inarcò le sopracciglia mentre mi fissava: - Sì, sì, mi importa... davvero!- aggiunse, notando l'occhiata scettica che gli scoccai. - Logico che non voglio che al nostro Turner in miniatura accada qualcosa di male, solo gradirei che i guai della famigliola non venissero continuamente a scontrarsi con i miei... - si interruppe di colpo, sgranando gli occhi e puntandoli su qualcosa alle mie spalle.
Sorpresa da come si era ammutolito di colpo, anch'io mi voltai verso il mare e dopo un istante capii che cosa aveva sorpreso il capitano: qualcosa sulla linea dell'orizzonte baluginò per un attimo, e prima che qualcuno di noi potesse proferir parola, un bagliore verde si innalzò dal mare, brillò per un secondo appena come un lampo a ciel sereno per poi scomparire senza lasciare traccia di ciò che era appena accaduto.
- Ma cosa...?- battei le palpebre, senza riuscire a capire se fosse stato solo uno scherzo dei miei occhi. Mi voltai verso Jack: a giudicare dalla sua espressione stupefatta, no, non me lo ero immaginato. - Che cos'era?- mormorai, portando alternativamente lo sguardo da lui all'orizzonte.
Jack non rispose, ma fece qualche passo ciondolante in avanti senza distogliere gli occhi dal mare, dove, aguzzando la vista, ora mi pareva di scorgere una nave in avvicinamento, all'incirca nel punto dal quale si era innalzato l'innaturale bagliore.
- Jack? Che cos'era?- azzardai nuovamente.
- Va a chiamare Elizabeth. - disse Jack, avanzando di qualche passo in direzione della spiaggia con gli occhi sempre fissi davanti a lui; quindi si voltò verso di me con espressione indecifrabile. - Non sono del tutto sicuro di quel che sta succedendo... ma credo che valga la pena controllare. - del tutto inaspettatamente lo vidi sfoggiare il suo sorriso dal dente d'oro. - Chiama Elizabeth, presto. Ci vediamo sulla spiaggia. -

*

Gli stivali di Jack Sparrow affondarono nella sabbia dorata, mentre si fermava a pochi passi dal bagnasciuga con le mani sui fianchi, in attesa che la piccola imbarcazione che dondolava sulle onde arrivasse a terra. Sulla scialuppa, una figura tarchiata se ne stava china sui remi vogando con energia per portare la barca sulla spiaggia il più presto possibile; gli dava le spalle, perciò non si accorse di lui nemmeno quando il fondo della scialuppa finalmente si fermò sulla riva. Sorridendo, Jack si avvicinò e posò un piede contro il legno della scialuppa, bloccandola.
- Non credevo di rivederti tanto presto, Sputafuoco. - esordì in tono gioviale.
L'uomo a bordo della scialuppa sussultò, voltandosi di scatto verso di lui, ma quando lo riconobbe il volto gli si illuminò di sorpresa. - Jack!- esclamò, incredulo, scendendo dalla barca. - Perché sei qui?-
- Storia lunga. - il capitano scrollò le spalle, lanciano al vecchio amico un'occhiata penetrante. - Piuttosto, tu perché sei qui?-
Un sorriso sardonico attraversò il viso rugoso del marinaio. - Storia lunga. - gli fece eco.
- Non è il momento di scherzare!- replicò Jack facendo scattare la testa in un gesto indispettito. - C'è una... questione... piuttosto sgradevole, e ora che ci penso... il tuo capitano potrebbe tornarci utile. -
- William?- disse lentamente Sputafuoco, accigliandosi. - Oh no, Jack... non chiedere altro da lui, te ne prego. Soltanto venendo qui abbiamo sfidato l'ira di Calypso, se ci tratteniamo ancora non so che cosa potrebbe accadergli. -
- Perché siete qui?- gli chiese nuovamente Jack. In quel momento li interruppe la voce di Elizabeth, che alle loro spalle gridò: - Sputafuoco!-
L'uomo si voltò, trovandosi faccia a faccia con Elizabeth che gli correva incontro, seguita da noi tre. Non avrei saputo stabilire l'età precisa del marinaio, poteva avere forse una sessantina d'anni, il suo viso aveva tratti marcati che mi parvero stranamente familiari, e i suoi occhi scuri erano... liquidi. Non c'era altro modo per descriverli. Grandi e brillanti come quelli di un bambino: non sapevo chi fosse, ma per qualche strana ragione mi bastò guardarlo per sentire che potevamo fidarci di lui.
- Elizabeth... - mormorò con un sorriso affettuoso quando la ragazza fu davanti a lui; la sua voce era calda e mesta. Con un gesto quasi impacciato posò una mano sulla spalla della mia amica. - Sarà felice di sapere che stai bene, aveva temuto che tu fossi morta... Non poteva continuare con questo dubbio. -
- Sputafuoco... - continuò Elizabeth, e stavolta udii chiaramente l'emozione che le faceva tremare la voce. - Will... lo posso vedere?-
Un momento, mi dissi, Sputafuoco? Non era il soprannome con cui Elizabeth poco prima ci aveva parlato del padre di William? Ma allora quell'uomo era...
Sputafuoco scosse il capo, distogliendo lo sguardo da Elizabeth. - No, no... Cerca di capire, noi dobbiamo ripartire subito, non avremmo dovuto lasciare il nostro compito. - la guardò ancora per un attimo soltanto, con occhi tristi come mi auguro di non vedere mai più. - Gli dirò che stai bene. -
- Ma... - protestò Elizabeth con voce rotta.
- Portami a bordo. - disse improvvisamente Jack facendo un passo in avanti. - Devo parlare con William, c'è la vita di loro figlio in ballo... - indicò Elizabeth. - Voi potreste essere la nostra unica speranza. -
Sputafuoco sgranò gli occhi, spostandoli da Jack a Elizabeth. - ...Figlio?!- esclamò, senza fiato, guardando la ragazza come in cerca di una conferma. Per tutta risposta Elizabeth annuì.
Jack si accostò alla scialuppa e fece per salire a bordo. - Vengo con te. -
- Veniamo tutti!- protestò Elizabeth con veemenza, facendo per avvicinarsi alla barca, ma Jack la fermò sollevando una mano. - No. Non ancora, almeno. Devo convincerlo ad aiutarci, e mi occorre che non sia... distratto, comprendi?-
La ragazza lo fulminò con un'occhiata, ma si fece indietro. Mentre Jack e Sputafuoco montavano a bordo della piccola imbarcazione e cominciavano a remare a ritroso, Elizabeth si fece indietro fra me e Faith, stringendo le mani ad ognuna di noi: sembrava sconvolta. Le strinsi la mano fra le mie, sebbene non capissi che cosa stava veramente accadendo.
William. Sapevo solo che su quella nave c'era William.

*

In piedi sulla tolda dell'Olandese Volante, William respirò a fondo, riempiendosi i polmoni dell'aria del mondo dei vivi.
Quant'era diversa anche soltanto l'aria in quel posto! Nel mare infinito ai confini del mondo, l'Olandese si muoveva sfruttando un vento inesistente, che soffiava solo per le sue vele mentre tutto il resto in quel posto spettrale era perfettamente immobile. Qui il vento gli accarezzava la faccia, gli scompigliava i capelli trattenuti sulla fronte dalla bandana nera, gli soffiava in viso schizzi di spuma.
E gli odori! Inalava a pieni polmoni il profumo salato dell'acqua insieme a quello dell'isola distante solo poche miglia: fiori, alberi, terra, spezie...
Respirò di nuovo come se lo facesse per la prima volta: perché non c'era niente del genere nel posto dove era confinato?
Le voci concitate dei suoi uomini che si affrettavano all'argano gli segnalò che suo padre doveva essere tornato; si voltò per vedere la scialuppa che veniva issata a bordo... e insieme a suo padre vide scendere sul ponte l'ultima persone che si sarebbe aspettato di incontrare.
Jack Sparrow scese sul ponte dopo Sputafuoco, si sistemò il cappello, si guardò intorno con interesse e infine, vedendolo, gli rivolse un cenno di saluto e gli venne incontro con la sua andatura dondolante. - Sei in anticipo, amico mio... di sette anni circa, te ne eri accorto?-
William, che era rimasto totalmente paralizzato dalla sorpresa, impiegò un istante prima di rispondere, fissando Jack ad occhi sbarrati: - Cosa... cosa ci fai tu qui?- gli occhi del giovane si strinsero pericolosamente mentre faceva quella domanda.
- Oh... no, no, ora non pensare nulla di male. - si difese Jack sollevando le mani davanti al petto. - E' la prima volta che vengo qui in tre anni, e stavolta per cause di forza maggiore... Elizabeth sta ancora facendo la fedele Penelope che aspetta il suo Ulisse immortale. -
Alzando gli occhi al cielo William si impose di ignorare l'irritante parlantina del capitano: di certo poteva annoverarla fra le cose che non gli erano mancate. - Elizabeth... sta bene?- disse, ponendo la domanda che più gli premeva.
Jack annuì: - Sì, sta bene. E' per questo che sei tornato, sì? Be', allora penso che spetti a me informarti anche di un'altra cosa: hai un figlio. -
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso: William fissò Jack ad occhi sbarrati, aprendo la bocca per dire qualcosa ma senza trovare nulla da dire. Un figlio! Un figlio suo e di Elizabeth! Allora quell'unico giorno in cui avevano fatto l'amore per la prima volta, quella loro prima e ultima volta insieme... Un figlio! Rimase ammutolito per lunghi istanti sotto lo sguardo di Jack, mentre pensava che se il suo cuore fosse ancora stato nel suo petto lo avrebbe sentito riscaldarsi dalla gioia. Ma subito dopo una punta di amarezza rovinò la meraviglia della notizia, perché si rese conto che da tre anni lui era padre... di un figlio che non conosceva. E che non avrebbe mai visto fino al prossimo incontro, fra sette anni ancora.
- Non... non so che cosa provare. - disse onestamente, sentendosi senza fiato. - Non riesco... non riesco a crederci. -
- Credici, perché è lui adesso ad avere bisogno di te. - Jack si avvicinò a William che ancora era ammutolito. - Proprio stanotte una nave pirata ha attaccato la città: il capitano è una mia vecchia conoscenza. Sono venuti qua e hanno rapito tuo figlio. -
Will sollevò lo sguardo di scatto. - Cosa?!-
- Ricatto. - Jack allargò le braccia. - Hanno dato alla tua bella un messaggio perché si mettesse in contatto con me: fra tre giorni al massimo io devo incontrare il capitano a Tortuga per ascoltare le sue richieste, in palio la vita del bambino. -
- Cosa c'entra mio figlio con te?- scattò Will con rabbia, fronteggiando Jack faccia a faccia.
- Non ho chiesto io che lo rapissero. - si difese Jack tirandosi indietro. Will si concesse un attimo per calmarsi, quindi tornò a fare domande: - Chi è questo capitano?-
- Beatrix Barbossa. -
Gli occhi del giovane si strinsero di nuovo. - Barbossa?- ripeté, incredulo.
- Poche prostitute di Tortuga non scelgono di perdere i bambini per poter continuare a lavorare... tuttavia quelle poche lo fanno. - rispose Jack a mo' di spiegazione. - Sì, sua figlia. Cominciano ad esserci un po' troppi figli in giro, non trovi?-
- E cosa vuole questa figlia di Barbossa in cambio di mio figlio?- continuò Will imponendosi di non perdere la calma. Jack fece un gesto vago con la mano: - La mia nave, poco ma sicuro. Sembra un vizio di famiglia. -
- Tu e la tua maledetta nave. - soffiò Will tra i denti, scuotendo il capo. - Che cosa vuoi da me?-
- Io?- Jack ostentò un'espressione stupita. - Io potrei anche infischiarmene, volendo. E tu? Tu puoi infischiartene?-
William strinse i denti abbassando lo sguardo ricordando la sua teoria del “potere o non potere”, costringendosi ad ammettere che Jack Sparrow lo aveva incastrato. Di nuovo. Mentre rimaneva a fissare le assi del ponte Jack gli si accostò di un passo e parlò, lapidario, direttamente al suo orecchio: - Come possiamo aiutarlo finché rimaniamo bloccati su quest'isola? Dobbiamo essere a Tortuga fra tre giorni e dobbiamo trovare il modo di riavere tuo figlio senza giocarci la mia nave. Ce lo dai un passaggio?-
William si allontanò bruscamente da lui, per quanto stesse seriamente prendendo in considerazione le sue parole. - Devi capire, Jack: io ho già mancato al mio compito venendo qui per accertarmi che Elizabeth fosse viva, non so che cosa potrebbe accadere se mi trattengo di più. - si sentiva in dovere di dirlo anche se era ormai una ben misera difesa: come non aveva potuto non controllare di persona che sua moglie fosse viva, ora sentiva di non potere voltare le spalle a suo figlio.
- Al massimo potrebbe spuntarti qualche tentacolo qua e là... - disse Jack accennando con le mani ai movimenti frenetici dei tentacoli, evidentemente cercando di smorzare la tensione, ma a William fecero tutto un altro effetto. - Devi soltanto portarci via da qui: è un piccolo contributo per la vita di tuo figlio, no?-
Lentamente, molto lentamente, William annuì. - Dov'è la Perla Nera?- domandò sollevando gli occhi su Jack. Quello sogghignò e giocherellò con la bussola in cintura. - A quella mi ci porti tu. -
Così era quello tutto ciò che doveva fare. Sentendo gli occhi di tutta la ciurma piantati su di lui, Will tese la mano a Jack che gliela strinse. - Andata. -

*

- Sta tornando indietro!- avvisai quando vidi Jack venire calato in mare sulla scialuppa.
- Come vi sembra? Avrà accettato?- esclamò Elizabeth, così nervosa che saltellava come se la sabbia scottasse. Mi schermai gli occhi con la mano cercando di distinguere chiaramente Jack: in lontananza lo vidi fare dei segni verso di noi con le braccia, strizzai gli occhi e continuando a guardare vidi che alzava le mani... coi pollici verso l'alto.
- Ha detto di sì!- quasi urlai, in un'esplosione di gioia. - Ci prendono a bordo!-
Elizabeth quasi lanciò un grido entusiasta, poi di colpo spalancò gli occhi e si portò una mano alla fronte come se ricordasse solo in quel momento qualcosa. - Oddio... torno subito, voi aspettate qui!-
E senza aggiungere altro girò sui tacchi e risalì di corsa la spiaggia diretta alla propria casa devastata.
- Ma cosa...?- cercò di richiamarla Faith, ma lei era già lontana. La mia amica si voltò verso di me.
- Voi aspettate qui!- fece eco ad Elizabeth, partendo di corsa al suo inseguimento.
- Ehi!- protestai, vedendola correre via, quindi a mia volta mi voltai verso Michael. - Tu aspetta qui!- gli gridai, prima di cominciare a correre dietro alle due. Michael fece per protestare, ma io ero già partita, e così, con aria profondamente offesa, si lasciò cadere seduto sulla sabbia aspettando Jack a braccia incrociate.
Quando raggiunsi Elizabeth e Faith le trovai dentro la casa: Elizabeth era inginocchiata sul pavimento e, a meno che non mi sbagliassi di grosso, stava facendo forza con una sbarra di ferro per rimuovere delle assi.
- Elizabeth, che cosa... - stavo ancora parlando quando una delle assi cedette con uno schianto, facendoci sussultare. Elizabeth non si fermò neanche per un secondo e continuò di buona lena a togliere le altre assi dal pavimento finché non ebbe aperto un buco sufficiente da farci passare entrambe le braccia. Terminato il suo lavoro si asciugò il sudore dalla fronte, e mi accorsi che si era legata una cintura alla vita alla quale portava una spada e una pistola.
- Vi ricordate la leggenda dell'Olandese Volante?- ci chiese ad un certo punto in tono estremamente serio. Scambiai un'occhiata con Faith, certa che quella domanda non fosse semplicemente un ricordo delle storie che ci eravamo raccontate durante i mesi che avevamo trascorso insieme. - Sì. - risposi, esitante.
Elizabeth si inginocchiò sul foro aperto nel pavimento e vi infilò le braccia, quindi sollevò qualcosa di voluminoso che doveva essere stato nascosto al di sotto. Lo estrasse dal buco e lo posò sul pavimento: era un forziere, piccolo abbastanza da essere portato fra le mani, era nero e finemente decorato, con una serratura elaborata. Nel silenzio che calò nella stanza mi parve di udire un debole rumore, come di qualcosa che pulsava, ritmico.
- William è il nuovo capitano dell'Olandese. - disse Elizabeth, rialzandosi lentamente con il forziere fra le braccia.
Pulsava. Pulsava senza interruzione, e per quanto debole fosse il suono, poteva venire solo dall'interno del piccolo forziere.
- Oh mio dio... - mormorai in un soffio.

*

Quando salimmo a bordo dell'Olandese Volante la prima cosa che pensai fu che non aveva proprio l'aspetto della nave fantasma di cui narravano le leggende, se si escludeva la polena costituita da un'enorme bocca zannuta come quella di un coccodrillo, che si allungava coprendo tutta la prua. I marinai che ci aiutarono a salire a bordo ci osservarono per un po' come se ci trovassero bizzarri, quindi tornarono ai loro compiti, ignorandoci totalmente: tutti tranne Sputafuoco che, dal suo posto al timone, rimase a guardarci e ci diede il benvenuto a bordo col suo ormai familiare sorriso mesto.
- Possiamo salpare. -
Quella voce! Era più profonda e più autoritaria di come la ricordavo, ma dopo quattro anni ancora la riconoscevo. Ci voltammo per vedere William che ci veniva incontro scendendo le scale del castello di prua, e devo ammettere che rimasi letteralmente a bocca aperta. Quello era Will? Il giovane ed educato fabbro di Port Royal che Elizabeth ci aveva fatto conoscere quando era venuta in villeggiatura nel nostro porticciolo?
Innanzitutto aveva più barba, che rendeva più maturi i suoi tratti giovanili; i suoi capelli scuri ricadevano ricci e ribelli fino alle spalle, trattenuti sulla fronte da una bandana nera; in più era abbigliato come un vero pirata, con due cinturoni uno sulla spalla e uno in vita da fare concorrenza a Jack, imponenti stivali neri, pantaloni scuri e una camicia rosso scuro.
Stavo ancora chiedendomi se quello che vedevo era veramente Will Turner quando accanto a me Elizabeth disse in un soffio incredulo: - Will... -
William si voltò a guardarla, e anche se non disse una parola l'espressione dei suoi occhi era inconfondibile.
Subito Elizabeth posò sul ponte il forziere e gli corse fra le braccia gridando un'altra volta il suo nome prima di affondare il viso nella sua spalla.
- Sono così contento che tu stia bene... - disse Will con voce rotta dall'emozione mentre se la stringeva al petto prima di incontrare le sue labbra e baciarla con una passione tale da fare arrossire perfino Sputafuoco, che riportò rapidamente l'attenzione sul timone.
- Ehm ehm... - Jack tossicchiò insistentemente quando i due cominciavano a dare segno di non volersi più staccare: accorgendosi forse solo in quell'istante della loro sconvenienza, i nostri amici si separarono precipitosamente, rossi in volto, ma Will non spostò il braccio che cingeva la vita di Elizabeth. - Bene... a te la rotta Jack. - disse William in tono un po' impacciato, e per un attimo mi trovai a sorridere rivedendo il Will Turner che conoscevo.
- William... - lo chiamai in tono esitante: non ero più certa di chi avevo davanti, se l'amico di quattro anni prima o il capitano di una nave leggendaria. Will si voltò verso di me e notai un guizzo nel suo sguardo quando mi guardò in volto.
- Mi ricordo di voi... - mormorò dopo un istante, fissando me, Faith e Michael come se fossimo apparizioni uscite da un sogno. - Tu... - esitò, indicando Faith. - Tu sei... Stephanie!- la mia amica annuì mentre Will sembrava non credere ai suoi occhi. - E tu... Laura... e Michael. - il viso si illuminò nel primo gentile sorriso che gli avessi visto fare da quando eravamo salite a bordo. - Scusate se non vi ho riconosciute subito, sono successe così tante cose... -
- E' comprensibile. - lo rassicurai sorridendo a mia volta. - Sono felice di rivederti. -
- Allora... - Jack aveva in mano la sua bussola e l'aveva aperta. - Ci porterai alla Perla?-
- No!- protestò Elizabeth, guardando prima Jack poi Will. - Noi dobbiamo andare a Tortuga per salvare David!-
- Prima la Perla. - replicò ostinatamente il capitano continuando a giocherellare con la bussola.
- Prima Tortuga!-
- Avete bisogno della Perla!- disse Will, lasciando Elizabeth e ponendosi in mezzo ai due litiganti. - L'Olandese può fare ben poco: che cosa farete se arriverete a Tortuga così come siete, senza nessun aiuto? Io non posso scendere a terra e non posso nemmeno chiedere ai miei uomini di scortarvi, o combattere con la mia nave. Prima di venire qui ho promesso a Calypso che per ripagare all'abbandono temporaneo del mio compito non avrei lasciato traccia di me nel mondo dei vivi... sto già sfidando pericolosamente la sua pazienza prendendovi a bordo. -
Fra noi cadde il silenzio: nessuno aveva accennato al destino di William da quando eravamo saliti a bordo, e sentirlo dalla sua bocca ci costrinse a guardare in faccia la verità. Will non apparteneva più a questo mondo, volente o nolente. Fu Jack a spezzare la tensione, sollevando la bussola con una mano e osservando l'ago che girava.
- Quella bussola non funziona. - obiettai. Jack alzò lo sguardo su di me, scrutandomi con aria divertita. - Che cosa te lo fa pensare?- mi chiese in tono canzonatorio.
- L'ho guardata mentre te la recuperavo nelle prigioni di Redmond, e l'ago girava da tutte le parti. - mi giustificai con un'alzata di spalle. Senza smettere di sorridere, Jack mi venne più vicino e mise la bussola proprio sotto il mio naso in modo che potessi guardarne il quadrante. - Si vede che non avevi le idee chiare... - sussurrò in tono misterioso mentre l'ago della bussola girava... per fermarsi puntando verso nord-ovest.
- Bene, allora. - William si allontanò da noi di qualche passo, e mi accorsi che la sua espressione si era nuovamente incupita: Elizabeth, alle sue spalle, lo guardava come se desiderasse disperatamente dirgli qualcosa, ma senza sapere cosa. - C'è un modo di raggiungere la Perla Nera il più velocemente possibile, ed è meglio che tutti voi restiate sottocoperta finché non saremo arrivati: ci penserà la nave a proteggervi. -
- Ooooh, ti prego, mi sono sempre chiesto come deve essere stare a bordo mentre si inabissa!- esclamò Jack in tono improvvisamente giulivo. William si girò a guardarlo con aria di sufficienza: - Ti consiglio di stare sottocoperta, o rischierai di sperimentarlo nel meno piacevole dei modi. - replicò in tono molto eloquente. Jack abbassò lo sguardo per un istante ponderando le sue parole, quindi si fece indietro unendo i palmi delle mani: - Ai vostri ordini, capitano. - disse, in un tono che era inequivocabilmente di scherno.
Mentre venivamo scortati sottocoperta, William raggiunse la sua postazione sul cassero di poppa, dove Sputafuco Bill Turner attendeva un suo ordine. - Ordini, signore?- domandò stringendo le mani sul timone. Il figlio si voltò verso di lui, senza nemmeno l'ombra di un sorriso sul volto.
- Giù. - fu il suo unico ordine.
Sputafuoco e tutta la ciurma sapevano che cosa significava: l'uomo impresse al timone un unico movimento, e la forza misteriosa che guidava l'Olandese Volante fece inclinare la prua zannuta della nave che affondò fra le onde come un delfino che si tuffa, trascinando con sé il resto del galeone finché non sparì sotto la superficie del mare inghiottito dai flutti.

*

Il sole splendeva in un cielo senza nuvole, picchiando impietoso sulle teste e sulle schiene dei pirati a bordo della Perla Nera che, a largo della baia di Port Royal, attendevano una vela all'orizzonte che li avrebbe informati dell'arrivo della nave che portava i prigionieri provenienti dalle carceri di Redmond.
L'attesa era tediosa, e il caldo soffocante rendeva le cose ancora meno sopportabili. Sul ponte semideserto stava un uomo tarchiato dalla folta barba e ispide basette bianche, si dondolava avanti e indietro stringendo in mano una bottiglia vuota e cantando con voce stonata una canzone piratesca, ed era, indiscutibilmente, ubriaco fradicio.
- Cape Cod girls they don’t use no combs...
Bound awaaaay, Pound awaaaay!
Comb their hair on the cod fish bones.
On their waaaay to Australiaaaa! -

Fece per portarsi alla bocca il collo della bottiglia, forse non ricordandosi che era ormai completamente vuota, quando improvvisamente un'enorme figura eruppe dal mare solo pochi metri a fianco della Perla Nera sollevando spruzzi alti come fontane: spaventato, l'anziano pirata sobbalzò all'indietro, ribaltando la cassa su cui stava seduto e piombando miseramente sul ponte a gambe all'aria.
- Per mille palle di cannone con la barba!- urlò, risvegliandosi dal torpore dell'alcol e rialzandosi goffamente in piedi. - In coperta! In coperta uomini, che è stato?!- non appena si sentì sufficientemente sicuro sulle gambe corse al parapetto ed osservò a bocca aperta la nave che era appena emersa dall'acqua accanto alla Perla: non c'era alcun dubbio, si disse sbalordito, era l'Olandese Volante, la sua memoria non lo ingannava. Ma come era possibile? E perché mai era comparsa proprio lì?
La sua sorpresa si fece se possibile ancora più grande quando vide chi ricambiava il suo sguardo dal ponte dell'Olandese. - Capitano!- gridò, riconoscendo Jack Sparrow affacciato al parapetto della nave.
Sul ponte dell'Olandese Volante, dopo l'incredibile traversata sottomarina che noi avevamo passato completamente all'asciutto chiusi sottocoperta, ci stavamo preparando a scendere sulla scialuppa per passare sulla Perla Nera. - Possiamo ancora fare qualcosa per voi. - disse William in tono insolitamente piatto mentre ci raggiungeva. - Vi scorterò fino a Tortuga, per assicurarmi che arriviate sani e salvi. -
Jack lo osservò ciondolando su sé stesso. - Non eri tanto ansioso di tornare di corsa da Calypso?- lo canzonò, con fin troppa perfidia. Gli scoccai di sottecchi un'occhiata di biasimo e mi aspettai che Elizabeth facesse di peggio, ma lei non aveva distolto lo sguardo da Will.
- Io resto a bordo. - proferì dopo un momento. Will si voltò di scatto verso di lei, la sua espressione era a metà fra lo stupito e il ferito. - Elizabeth, non devi... -
- Tre anni, Will!- esclamò improvvisamente lei, raggiungendolo in tre passi. - E ne passeranno altri sette prima di poterti vedere ancora! E' tanto chiedere... di poterti rimanere accanto?-
Erano l'uno davanti all'altra, e vidi Will guardarla di nuovo con quegli occhi insopportabilmente tristi, senza osare nemmeno allungare una mano per toccarla. - Va bene, allora. - mormorò.
Con un ultimo sguardo di saluto ad Elizabeth, io, Faith, Michael e Jack scendemmo sulla scialuppa e colmammo in fretta la distanza che ci separava dalla nave. Prima, sconvolta com'ero dal viaggio impossibile che avevamo appena compiuto e dalla dolorosa riunione dei miei amici, non avevo badato più di tanto al galeone di Jack, ma quando fummo sulla scialuppa la guardai, e rimasi a bocca aperta. Era un grande galeone a tre alberi, con immense vele color cenere. Anche il legno di cui era fatta era scuro, e tutto l'insieme dava alla nave un'aria cupa, ma anche maestosa: era bella, bella e letale. Era appropriato il suo nome: dava proprio l'idea di un gioiello oscuro.
Mentre la scialuppa si avvicinava e io fissavo ammirata quel magnifico veliero qualcosa all'improvviso scattò nella mia memoria appena riuscii a distinguerla da più vicino: di colpo riconobbi quel legno scuro, quella polena a forma di donna che tendeva una colomba verso il cielo, e quelle assi che tanti anni prima avevo toccato con le mie stesse mani. - Jack!- esclamai ad un tratto agitandomi come se avessi il fuoco sotto il sedere dimenticando di essere spiaccicata fra quattro persone in una stretta scialuppa. - Quella... mioddio, quella è la Wicked Wench, la riconosco!-
Jack ricambiò il mio sgomento con un largo sorriso soddisfatto. - Così sembra... o perlomeno, la è stata. - non aggiunse altro, così dovetti reprimere il mio stupore e la curiosità che aveva cominciato a rodermi furiosamente mentre la scialuppa si accostava alla nave. Mentre i pirati dal ponte ci gettavano le funi che quelli della scialuppa assicurarono alla nostra imbarcazione tesi una mano a toccare la fiancata umida della Perla Nera come per assicurarmi che quello che vedevo fosse reale.
I pirati issarono a bordo la nostra scialuppa e ci fecero scendere: appena misi piede sul ponte notai a malapena la folla di uomini nerboruti, irsuti e cotti dal sole che ci osservavano con curiosità, tutto quello che vedevo era quel legno ancora più scuro di come lo ricordavo, gli alberi maestosi e le vele dispiegate come immense ali nere.
Guardando un galeone da lontano non riuscivi a renderti conto di quanto in realtà fosse grande, invece una volta che ti trovavi sul ponte... sembrava un altro mondo. Un mondo fatto di legno e di funi.
La Wicked Wench. La Perla Nera. Non riuscivo a credere che quella fosse la stessa nave che avevo visto costruire da bambina, ogni particolare sembrava parlarmi di mio padre al lavoro per inchiodare quelle assi o del carpentiere Joby Price che vedeva realizzata la sua ultima creatura.
Perché Jack non mi aveva detto niente quando gli avevo parlato della Wicked Wench? Se voleva mantenere l'effetto sorpresa c'era proprio riuscito.
- Capitano!- il pirata tarchiato che dal ponte della Perla aveva riconosciuto Jack ci venne incontro precipitosamente. - C'è... ehm... c'è stato qualche cambio di programma?- balbettò, guardando prima l'Olandese Volante e poi il suo capitano.
- Solo qualcuno, signor Gibbs, nulla di cui preoccuparsi adesso. - rispose Jack stringendosi nelle spalle. - Felice di rivedervi. - fece rivolgendosi alla sua ciurma. - Dunque, uomini!- annunciò a gran voce piantandosi nel mezzo del ponte e rivolgendo lo sguardo tutt'intorno a sé richiamando l'attenzione generale della ciurma. - Abbiamo una questione da sbrigare: il figlio di William ed Elizabeth Turner è stato rapito da una vecchia conoscenza, e noi dobbiamo recuperarlo, faremo rotta verso Tortuga, dove incontreremo i rapitori. - spiegata la situazione ai pirati, essi si affrettarono a dispiegare le vele e prendemmo rapidamente il largo.
- Jack... - mi avvicinai a lui, ancora ad occhi spalancati per lo stupore mentre la ciurma correva a sciogliere le vele. - Questa è la Wicked Wench, la nave di cui ti ho parlato. -
Lui agitò un dito in cenno di diniego, schioccando le labbra. - No, tesoro, questa è la Perla Nera. Ma effettivamente un tempo era la Wicked Wench... prima di morire e risorgere dalle acque. -
Non capii cosa intendesse dire, ma toccai la perla che portavo al collo: era una bizzarra coincidenza o un gioco del destino, nel quale oltretutto io non credevo, come se quel gioiello che il carpentiere mi aveva regalato il giorno in cui avevo visto la Wicked Wench ultimata, mi avesse in qualche modo legata a quella nave che ora appariva più cupa, maestosa, selvatica, eppure ancora familiare. La Perla Nera. Sembrò che Jack stesse per aggiungere qualcos'altro, quando improvvisamente qualcosa piombò fra di noi con uno squittio minaccioso: colti di sorpresa sobbalzammo tutti all'indietro, Gibbs e il capitano compresi, io urtai Faith, Michael grido di sorpresa. Dopo un attimo di sgomento mi accorsi che la figuretta che si era lanciata ai nostri piedi altro non era che una piccola scimmia dalla pelliccia nera, come quelle che tanti marinai amavano portarsi appresso dalle isole tropicali, e, cosa ancora più sorprendente, era vestita con una minuscola casacchina rossa.
La scimmia rimase a fissarci per un attimo, ritta sulle zampe posteriori, poi emise uno squittio simile ad una risata di scherno e corse via rapida lungo il ponte dimenando la coda arricciata.
- E quella che cosa ci fa qui?- esclamò Jack voltandosi verso Gibbs con espressione a dir poco disgustata. Gibbs si strinse nella spalle allargando le braccia: - Mentre eri in prigione abbiamo dovuto fare un breve scalo a Tortuga prima di raggiungere Port Royal, e quando lui ha saputo della tua cattura ha voluto a tutti i costi lasciare la scimmia a bordo... sospetto che fosse pronto a pretendere il comando della nave, ma gli ho detto chiaro e tondo che stavamo andando a recuperarti. -
Jack si esibì in una boccaccia, mostrando la lingua con evidente disprezzo. - Blah. Non ha ancora imparato la lezione? Cosa crede di fare, controllarmi? Comunque io quella... - indicò con gesto secco la scimmia che ora se ne stava appollaiata sul parapetto. - ..a bordo non ce la voglio. Qualcuno la butti di sotto. -
- Tanto non serve a niente, no?- ribatté Gibbs, laconico. - Bah... - Jack sbuffò alzando gli occhi al cielo, poi con un unico gesto sfilò la pistola dalla cintura, caricò e fece fuoco, prendendo in pieno la scimmia. L'esserino sobbalzò per il colpo ricevuto, ma sorprendentemente si resse forte al parapetto per non cadere fuoribordo, quindi si voltò verso Jack, soffiò arrabbiata e balzò via.
- Cosa diavolo...?!- io e Faith eravamo rimaste a bocca aperta: la scimmia era stata colpita. Eppure se ne era andata come se niente fosse.
- Storia lunga. - fece Jack riponendo la pistola con un sospiro. - Purtroppo temo che ci toccherà sopportare questa fastidiosa compagnia. Ma ora veniamo a voi... - continuò, intrecciando le dita delle mani. - Voi fate parte dell'equipaggio, quindi potete sistemarvi da qualche parte, per arrivare a Tortuga ci metteremo qualche giorno. -
- Sai Jack... io avrei cambiato idea. - risposi impulsivamente, senza averci meditato sopra precedentemente né altro: il fatto era che non avrei sopportato un altro viaggio da passeggera, ero su uno dei galeoni più magnifici che avessero mai solcato il mar dei Caraibi e non avevo nessuna intenzione di starmene semplicemente seduta da qualche parte ad aspettare di arrivare a destinazione. - Vorremmo arruolarci come mozzi, è possibile? Volevo dire... - mi corressi, voltandomi verso Faith. - Io vorrei arruolarmi come mozzo. Tu vorresti, Faith?-
La mia amica mi guardava come se fossi impazzita. - Laura, ma parli sul serio?- mi chiese, sbigottita. - Insomma... tu intendi lavorare su questa nave, unirti alla ciurma, diventare... diventare un pirata?-
- Solo... solo fino a quando non troveremo David e torneremo ad Oyster Bay con Elizabeth. Io... non credo che ci sia qualcosa di male in questo. - ammisi. - Avevo una certa idea dei pirati, ma ho dovuto cambiarla. - rivolsi un sorriso a Jack. - Quindi per un po'... mi piacerebbe davvero lavorare su questa nave, per questo viaggio. Solo per provare com'è. Faith, forse è questo quello che desideravo a quindici anni quando abbiamo stretto quel patto, capisci?-
Lei rimase zitta, rimuginando, mentre Jack in silenzio assisteva alla nostra discussione. Infine sollevò gli occhi a guardare le vele nere della Perla che si gonfiavano nel vento. - Non so se tu abbia ragione. - disse a voce bassa. - Forse sì. In ogni caso ti ho fatto una promessa e la voglio rispettare. -
- No. Non devi diventare un pirata anche tu, se non lo vuoi. - la rimproverai: l'ultima cosa che volevo era imporle le mie scelte, ma lei mi guardò negli occhi con un sorriso. - Chi ha detto che non lo voglio?- tornò ad osservare la nave. - Pirati... - disse, assaporando la parola. - Forse è proprio questa la strada per il nostro sogno. -
Mi portai la mano al cuore e con l'altra finsi di asciugarmi una lacrima. - Quanto siamo poetici oggi!- la canzonai, poi mi voltai verso Jack. - Abbiamo deciso: vorremmo arruolarci, e lavorare come marinai sulla tua nave per questo viaggio finché non torneremo con Elizabeth e... con Elizabeth... ad Oyster Bay. -
Jack si illuminò: - Oh, benissimo! In tal caso consideratevi i nuovi mozzi della Perla Nera!- ci fece un buffo inchino, poi chiamò: - Annamaria!-
Al richiamo di Jack una giovane donna mulatta con lunghi e lisci capelli neri impegnata a cucire le vele si voltò nella nostra direzione: - Che cosa c'è?- Jack accennò a noi due. - Porta queste due nella stiva e dà loro dei vestiti più comodi; e già che ci siamo possono mettersi subito al lavoro lavando questo schifo di ponte. - batté il tacco di uno stivale sulle assi incrostate di salsedine. - Poi ritengo che abbiate bisogno di una sistemazione... Michael sottocoperta col resto della ciurma, voi tre potete occupare una delle cabine degli ufficiali: è tutta per voi. -
Mentre Jack se n andava avanti e indietro per il ponte, evidentemente soddisfatto di avere recuperato il suo amato ruolo di capitano, Annamaria ci condusse sottocoperta: scendemmo oltre il ponte intermedio e giungemmo nella stiva, dove la ragazza, dopo avere scostato alcuni barili e grossi forzieri, aprì una cassa piena di vecchie camicie e pantaloni. - Ecco qui, potete cambiarvi. -
Io e Faith ci cambiammo rapidamente e indossammo camicie e calzoni: erano un po' consunti ma molto comodi, e di sicuro molto più appropriati al lavoro su una nave. Mi fece uno strano effetto indossare abiti da uomo, ma una volta abituata all'idea cominciai a trovarli confortevoli. Mentre mi infilavo nei pantaloni la camicia troppo larga per la mia vita stretta per un attimo fantasticai sull'abbigliamento di Beatrix Barbossa e sul suo esotico fascino piratesco, e quasi desiderai somigliare almeno un po' a lei. Ripensai alle occhiate fin troppo allusive che Jack aveva lanciato a me e a Faith quando ci aveva viste per la prima volta in abiti civili, chissà se mi avrebbe trovato attraente anche vestita così? “Laura! Finiscila con la vanità.” mi rimproverai seccamente sentendomi improvvisamente frivola e stupida in una situazione tanto delicata.
- Non ci siamo presentate; io sono Annamaria, e voi?- ci chiese porgendoci la mano: gliela stringemmo e ci presentammo, poi Annamaria si diresse ad una rastrelliera dove erano accatastate alcune sciabole. - Queste sono le vostre armi. - ci disse in tono sbrigativo prendendone due e porgendocele per l'elsa. - Ognuno deve tenere la propria spada e la propria pistola... - ci porse anche quelle mentre noi la fissavamo sbalordite. - ...pulite e pronte all'uso. Chiunque trasgredisca e si faccia quindi cogliere impreparato in caso di bisogno perde la sua quota di bottino e riceve qualunque altra punizione il capitano o la ciurma ritenga necessaria. -
- Ci date anche le armi?- fece Faith sbalordita mentre si rigirava fra le mani la spada e la pistola. Vedendo la sua sorpresa, la giovane mulatta sbottò in una risata: - Cosa ti aspettavi, di fare la donna di servizio? E' di vitale importanza che ciascuno sappia difendersi: vi insegnerò io. -
- Io so usare la spada... un pochino. - dissi mentre assicuravo le mie nuove armi alla cintura. Annamaria mi scoccò un'occhiata di sufficienza: - E chi ti ha insegnato, il maestro di ballo?- replicò, con un'ironia che però, intuii, non voleva essere pungente ma solo canzonatoria.
- Mio padre. - risposi, sentendomi un po' sciocca. - Ecco... lui era un fabbro e ogni tanto mi permetteva di assisterlo mentre provava le sue spade, così sono riuscita a strappargli qualche lezione. -
Un sorriso addolcì il viso color cioccolata della giovane pirata: - Ti accorgerai che le cose non sono per niente semplici... ma almeno saprai da che parte si impugna una spada. - e così detto ci riportò sul ponte dove altri mozzi erano al lavoro e ci spiegò quello che avremmo dovuto fare. Ci diede un secchio e delle spazzole dure e noi ci mettemmo di buona lena al lavoro. Pulire il ponte di una nave dopotutto non era molto diverso da fare pulizie al forte... l'unica differenza era che qui non c'erano interminabili corridoi stretti ma un lunghissimo ponte, e strofinavamo le spazzole su un misto di acqua e sabbia. Ricordai quello che avevo sentito sulla pulizia dei ponti con le pietre sante, chiamate così perché si trattava di pietre ruvide squadrate grandi quanto una Bibbia, che venivano strofinate sulle assi del ponte: fui contenta che a noi per quella volta fossero toccate le spazzole.
Mentre pulivamo il ponte ci passò accanto Michael, con fare volutamente sfaccendato, rosicchiando una mela. - Lavora schiava!- si mise a prendere in giro la sorella: lei gli lanciò un'occhiata storta. - Va a farti un giro, piaga. -
- Non ci penso neanche!- rise Michael, incombendo sopra di lei coi pugni sui fianchi. - Mi diverto a vederti sgobbare! Striscia ai miei piedi!- a quel punto Faith agguantò il secchio e versò tutta l'acqua che conteneva sui piedi di Michael, che sobbalzò all'indietro sotto quella doccia improvvisa. - Non vale!- esclamò arretrando, ma le scarpe bagnate slittarono sulle assi umide e lui scivolò dando una gran sederata sul ponte. Io, Faith e tutti i pirati che avevano assistito alla scena scoppiammo a ridere di gusto; Michael si rialzò, borbottando che sua sorella giocava sporco, e si allontanò con le scarpe fradice che facevano cick-ciack sonoramente.
La giornata fu piena: sotto la supervisione di Annamaria lavammo il ponte, cucinammo, cucimmo le vele, sulla Perla il lavoro non mancava mai: era un po' come lavorare al forte, solo in un'atmosfera molto più avventurosa e cameratesca. Ai pirati era stato spiegato il nostro ruolo di nuovi mozzi sulla Perla e i più sembravano averci accettato fra di loro, anche se naturalmente battute e commenti si sprecavano.
Quella sera dopo aver mangiato nella mensa della nave assieme al resto della ciurma andai a sedermi col capitano sotto il cassero di poppa, seduti su due secchi ribaltati, e parlammo della nostra missione. - Cosa pensi di fare quando saremo a Tortuga?- gli domandai.
Lui si strinse nelle spalle. - Non possiamo permetterci di rischiare, finché quelli hanno David. Beatrix punta di certo alla mia nave, ha la stessa insopportabile smania di suo padre... sì, lei è la figlia di Barbossa. - precisò quando vide la mia espressione incuriosita. - Come minimo vorrà togliermi di mezzo. Come minimo. O, in una prospettiva più rosea, forse vorrà solo la Perla in cambio di David... non che sia intenzionato a pagare un tale riscatto. - si stiracchiò, guardando il mare appena increspato sotto il cielo scuro. - In entrambi i casi abbiamo le mani legate: la prima mossa spetta comunque a Beatrix. -
- Tu la conosci?- domandai ad un tratto. - Personalmente intendo. Lei sembrava conoscere te. -
Jack scrollò le spalle: - Ho avuto a che fare con lei un paio di volte, ma parecchio tempo fa; Barbossa l'ha avuta da una prostituta: non mi aspettavo che fosse così spietata per vendicare suo padre. - si voltò di nuovo a guardarmi; mi piacevano i suoi occhi. - Di te invece che mi dici? Come ti trovi qui sulla Perla?-
- Io? C'è da lavorare duro, ma mi piace. - risposi, meditabonda. - Devo ammettere che è stata una grossa sorpresa trovare la nave che ho... be'... “conosciuto” fin dall'infanzia, per così dire. Ma come hai fatto a diventarne il capitano? E come è diventata la Perla Nera?-
Jack si mise più comodamente sul suo secchio, segno che era pronto a raccontare una storia. - In parole povere... ti basti sapere che c'era un capitano. Un capitano che per breve tempo fece il più grosso errore della sua vita: lavorare come corsaro agli ordini di un viscido signorotto di nome Beckett. Poi però decise che non gli stava più bene seguire i suoi ordini, e quello gli fece pagare la sua ribellione arrestandolo e affondandogli la nave... la Wicked Wench, appunto. Fu dura per quel capitano: Beckett non aveva preso molto bene la sua scelta di essere libero, e gli lasciò in modo poco piacevole un marchio che segnava la sua condizione di pirata... - automaticamente il mio sguardo cadde sul suo polso destro, coperto dall'ampia manica della camicia e da un bracciale di cuoio: avevo visto su quel braccio il tatuaggio di un passero sul tramonto, e appena più sotto una P bruciata nella carne. - Ma quel capitano non poteva fare a meno della sua nave. - riprese Jack, ricatturando la mia attenzione. - E per riaverla era disposto a tutto: cercò invano di recuperarla dal fondo del mare, in ogni modo, e poco ci mancò che ci lasciasse la pelle. - aveva cambiato tono, ora la sua voce era più cupa, misteriosa. - Fu allora che fu disposto perfino a fare un patto con il diavolo in persona, pur di riaverla. -
Mi fissò in silenzio per alcuni istanti come per sfidarmi a contraddirlo, col suo sogghigno misterioso sulle labbra che non mi faceva mai capire se fosse serio o vaneggiasse.
- Impressionante... e poi?- feci in tono vagamente scettico.
- Poi il diavolo restituì al capitano la sua nave, che non era più semplicemente la Wicked Wench, ma un vero gioiello uscito dagli abissi... la Perla Nera. E per tenersi quella e la sua vita dovette passarne di ogni... però questa è un'altra storia, che si conclude con William che prende il posto del diavolo. -
L'enfasi con cui parlava della sua nave e la scintilla di fierezza e affetto nei suoi occhi mi ricordarono molto Joby: lui aveva costruito con le sue mani quel gioiello, Jack aveva vissuto dentro quel mondo di legno nero.
- Quel capitano doveva amare veramente la sua nave. - dissi, sorridendogli.
- Oh sì. Avresti dovuto conoscerlo, ti sarebbe senz'altro piaciuto. - replicò lui, malizioso. Ridacchiai fra me e alzai gli occhi verso gli alberi dove la brezza notturna gonfiava le vele. - Ho visto questa nave quando io ero una bambina e lei non aveva ancora visto il mare aperto. - mi trovai a mormorare in tono sognante. - Ora la rivedo che è una signora dei mari, e io... - esitai.
- Una pirata?- mi suggerì Jack.
- Non lo so. Quasi. - risposi, stringendomi nelle spalle. - E' strano, tutto qua. -
Jack annuì, posando gli occhi sulla perla nera che spiccava lucente sul colletto della mia camicia. - Strano sì. - ammise, scoprendo i denti d'oro con aria quasi stupita. - Sei piena di sorprese, Laura Evans. Prima mi liberi di cella e mi aiuti a fuggire, poi combatti contro un branco di rapitori, e ora sei pronta a lasciare tutto per unirti ad una ciurma di pirati... -
Mi fissava con interesse quasi provocatorio, chiaramente attendendo una qualche risposta. Mi strinsi nelle spalle, distogliendo lo sguardo dal suo. - Praticamente da sempre ho vissuto aspettando il momento in cui le cose sarebbero cambiate e la vita avrebbe cominciato ad andare avanti sul serio... l'occasione giusta insomma. - dissi lentamente dopo qualche istante di riflessione. - Perciò... perché non cogliere questa finché ce l'ho a disposizione?-
Il sorriso di Jack si allargò di divertito stupore e nei suoi occhi brillò una scintilla di ammirazione. - Ti sorprenderebbe sapere che abbiamo tanto in comune noi due... non avrei saputo spiegarlo meglio. - mi disse in tono vagamente mellifuo. Incrociai le braccia chinandomi in avanti sul secchio: - Sì che avresti saputo, invece. - ribattei. - Anche tu sei un mistero, capitan Sparrow. Non mi sarei mai aspettata di conoscere un giorno un tale pirata. -
Jack reclinò la testa all'indietro senza smettere di sorridere. - Posso prenderlo come un complimento?-
Sollevai gli occhi a guardarlo e sorrisi. - Suppongo di sì. In ogni caso... è bello stare qui. Devi essere fiero di una nave come la Perla Nera... e sono contenta di come sono andate le cose. -
Jack fece scattare in aria l'indice con espressione decisamente soddisfatta e annuì sorridendo. - Così va presa! Anche Faith si trova bene?-
Annuii. - Sì, mi è sembrata contenta anche lei per fortuna. -
- Bene!- Jack mi mollò una pacca amichevole sulla spalla come se fossi stata un uomo. - Ne sono felice, tesoro, ci tengo ai miei mozzi preferiti!- mi fece l'occhiolino. Il marpione di sempre. Sorrisi e scossi il capo alzando gli occhi al cielo mentre Jack si dirigeva alla sua cabina. Io mi diressi alla mia: la Perla Nera era una nave grande, e sebbene la maggior parte della ciurma dormisse nelle amache sul ponte intermedio, c'erano diverse cabine solitamente riservate agli ufficiali o ad altri membri della ciurma, io e Faith ne avremmo occupata una insieme alla giovane mulatta di nome Annamaria che avevamo conosciuto quella mattina. Avevamo fatto amicizia in fretta, dopotutto lei era l'unica donna oltre a noi due sulla Perla.
Era strano: ero lì da malapena un giorno e già mi sentivo a casa.

Note dell'autrice:Grazie ancora a Shalna, il tuo commento mi ha fatto venire voglia di aggiungere un capitolo visto che stasera non avevo niente da fare! Come sempre grazie per i tuoi preziosi consigli, mi aiutano sempre molto a migliorarmi o a correggere piccole sviste. Il ruolo di "rivale" che ho dato a Beatrix nel capitolo precedente è voluto, ma fa sempre piacere scoprire cosa trasmette ai lettori quello che scrivi. E' molto utile anche quello! Spero come sempre che anche i prossimi capitoli ti piacciano, Ciao e grazie ancora!

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Capitolo 8
*** Stoccata ***


Capitolo 8
Stoccata


L'Olandese Volante veleggiava rapido e silenzioso accanto alla Perla Nera, la sua prua zannuta sembrava non smuovere nemmeno l'acqua mentre passava. Nella cabina del capitano, William se ne stava seduto allo scrittoio, col volto tra le mani. Non c'erano mappe, né strumenti per la navigazione nella cabina: l'Olandese Volante era stata fatta per veleggiare in un luogo dove non occorrevano mappe.
Contro la parete accanto troneggiava un grande organo a canne interamente scolpito nel legno: un'opera mirabile, ma ormai in Will non suscitava né meraviglia né interesse.
Avrebbe potuto cominciare anche lui a suonare per placare la sua solitudine come aveva fatto a suo tempo Davey Jones, il pensiero lo fece perfino sorridere: per quanto ogni tanto trastullarsi sui tasti di quel pianoforte fosse stata la sua unica occupazione vagamente divertente, non ci si vedeva proprio a suonare l'organo con la perizia del precedente capitano dell'Olandese.
Chiuse gli occhi, posandosi le mani sulla fronte mentre coi gomiti si appoggiava allo scrittoio. Perché aveva voluto accompagnare la Perla Nera? Aveva soddisfatto appieno la richiesta di Jack, con la Perla sarebbero arrivati a Tortuga in poco tempo e là si sarebbero organizzati per salvare suo figlio... Ma lui aveva voluto prolungare il suo tempo immeritato nella terra dei vivi, anche se il suo compito qui era terminato da un pezzo. Perché? Perché sfidare ulteriormente l'ira della sua padrona? Non aveva mai desiderato arrecarle offesa né venire meno al suo compito, eppure da quando gli era parso di vedere il viso di Elizabeth fra i volti dei morti non riusciva più a ragionare con lucidità.
David.
Suo figlio si chiamava David.
David Turner, suo figlio, il suo bambino che non aveva mai conosciuto.
Sapeva che quello che stava facendo era assolutamente sbagliato, sapeva che stava rischiando di condannare sé stesso e la sua ciurma di nuovo ad un'esistenza come quella di Davey Jones, ma non riusciva a togliersi dalla testa quel pensiero che lo ossessionava... Perché lui voleva vedere suo figlio.
“Non puoi.” si ripeteva, nel vano tentativo di recuperare la determinazione di un tempo. “Non ti è permesso, tu hai un solo compito a cui adempire, e lo farai per tutto il tempo che è stato stabilito.”
Ma come voltare le spalle ad un figlio di cui solo ora scopriva l'esistenza? Come tornare ai confini del mondo, anche se rincuorato dal pensiero che Elizabeth stava bene, sapendo che lui invece rischiava la vita? Come andarsene senza poterlo vedere almeno una volta e dirgli che lo amava con tutto sé stesso... anche se non lo conosceva?
Respirò. La presenza di Elizabeth rendeva tutto più difficile. Aveva creduto che sarebbe stato forte abbastanza da svolgere il suo compito lontano da lei, illuminato dalla speranza di rivederla dieci anni dopo. Forse ce l'avrebbe fatta. Ma ora, ora che un inaspettato gioco del destino l'aveva riportato da lei ben prima dello scadere del tempo, non si sentiva più tanto sicuro che ce l'avrebbe fatta a lasciarla.
“Elizabeth... Elizabeth, perché non mi hai semplicemente lasciato andare?” si chiese, affondando il viso fra le mani. Le immagini correvano rapide dietro alle palpebre chiuse, la sua testa era in subbuglio come non era mai stata in quegli ultimi tre anni di solitudine, in quelle notti interminabili in cui si era disperatamente rifugiato nei sogni...
- Stai cercando di mettere alla prova la mia pazienza... mio bel capitano?- una voce calda e inquietante insieme, dal forte accento esotico che tendeva a strascicare le vocali dandole una cadenza ipnotica. Era solo frutto della sua immaginazione o l'aveva udita davvero?
Aveva gli occhi chiusi, ma nell'oscurità dei suoi pensieri distinse chiaramente un viso dalla pelle d'ebano e due occhi scuri, brillanti di una luce minacciosa. - Stai rubando troppo tempo al tuo compito... o forse credi... di poterti permettere di fare ciò che ti pare?- un sorriso inquietante, un brillio di denti fra due labbra scure. - Vuoi davvero tentare... la mano del destino?-
- Will?-
William si raddrizzò improvvisamente: doveva essersi addormentato sul tavolo, la testa abbandonata fra le braccia conserte. Strizzò più volte gli occhi, cercando di cacciare la strana sensazione, per nulla rassicurante, lasciatagli da quello strano sogno.
- Va tutto bene?- domandò esitante Elizabeth mentre si lasciava chiudere la porta alle sue spalle.
- Sì... tutto bene. - Will si voltò verso di lei, sollevando le sopracciglia con aria sorpresa quando la vide portare fra le braccia il forziere che conteneva il suo cuore. Accorgendosi dello sguardo di Will, Elizabeth si mosse, a disagio. - Non potevo lasciarlo lì, se qualcuno lo avesse trovato... Certo, la chiave ce l'hai tu, ma... Be'... posso metterlo qui? Sarà al sicuro. -
William annuì senza parlare, seguendo con lo sguardo la ragazza che posava con cura lo scrigno in un angolo della cabina. Lo sentiva pulsare. Possibile che il suo battito fosse così udibile? No, era diverso per lui. Lo sentiva dentro di sé. La vicinanza del suo cuore strappato gli faceva sentire più forti i battiti che sarebbero dovuti risuonare all'interno del suo petto, e invece rintoccavano fra quelle quattro anguste pareti di metallo.
- Abbiamo un figlio. - disse lentamente e con dolcezza mentre lei ancora gli dava le spalle. Sorpresa da quelle parole, Elizabeth si alzò e si voltò a guardarlo. - Oh, Will... è il tuo ritratto. - mormorò mentre un sorriso affettuoso le si allargava sul viso. - Gli ho parlato così tanto di te... è come se ti conoscesse, ormai: lui ti adora, non fa che chiedermi quando potrà vedere il capitano dell'Olandese Volante e... - fu costretta a fermarsi quando si accorse di avere gli occhi pieni di lacrime. Dannazione, ma perché le succedeva così spesso in quegli ultimi giorni? Si portò una mano sulla bocca fissando gli occhi a terra cercando di trattenere un singhiozzo che già saliva, ma dopo un istante sentì le braccia di William circondarla.
- Non piangere... - bisbigliò Will mentre lei gli si aggrappava con vigore, soffocando le lacrime contro la sua spalla. - Elizabeth, tu... non potevi dirmi una cosa più bella, davvero. Io amo nostro figlio anche senza averlo mai visto... e lui vuole bene a me per le cose che tu gli hai raccontato... Sono felice di questo, veramente. -
Elizabeth aveva intrecciato le braccia dietro la sua schiena e non accennava ad allentare l'abbraccio. - Mi sei mancato così tanto, Will... - gemette, la voce soffocata nella sua camicia.
- Anche tu. - non ricordava che la pelle di Elizabeth avesse un odore così buono: abbracciò più stretta la ragazza, senza spostare il viso dal suo collo.
- Perché te ne devi andare?-
Will temeva quella domanda, sebbene se l'aspettasse. Perché se ne doveva andare. Elizabeth non immaginava quante volte Will se lo fosse chiesto, nella solitudine della sua cabina? Perché aveva dovuto lasciare la donna che amava, la cosa a cui teneva di più al mondo, per un'esistenza solitaria ai confini della terra dei viventi?
- Vorrei saperlo. - mormorò.
Elizabeth sollevò improvvisamente il viso e incollò le labbra alle sue, assaporando il gusto della bocca del giovane. Quindi i suoi baci scesero sul suo collo, mentre le braccia si stringevano possessivamente ai fianchi di lui. - Elizabeth... - bisbigliò Will, stranito, capendo le sue intenzioni. La ragazza lo zittì con un altro bacio, e con quello Will abbandonò ogni resistenza: le sue mani la presero sotto le ascelle, sollevandola e costringendola contro di lui mentre il bacio si faceva ancora più intenso e senza freni, due passi e insieme raggiunsero il letto del capitano dove si lasciarono cadere senza interrompere il bacio. Un giorno solo gli era stato concesso tre anni prima, un giorno solo dove si erano amati non una volta soltanto, ma mai abbastanza per tanta solitudine patita.
- Will... - mormorò Elizabeth mentre lui si stendeva sopra di lei, aderendo alle sue forme morbide e invitanti. - Ti amo... -
- Anch'io ti amo... - sussurrò affannoso William, affondando con lei nell'abbraccio delle lenzuola.

*

Le due giornate successive furono piene come non erano mai state prima d'ora; eppure, pur lavorando duro mi sentivo libera come mai mi ero sentita in vita mia. Era impressionante quanto in fretta mi fossi abituata: stavo diventando anche piuttosto abile nell'arrampicarmi sulle sartie, io che avevo sempre avuto paura delle grandi altezze: era ugualmente impressionante salire in coffa, ma lassù, col mare che si stendeva in ogni direzione e il vento sulla faccia sembrava di volare sull'oceano. Valeva la pena di affrontare la paura dell'altezza per godere di quel panorama.
Michael, che prima ci derideva perché noi dovevamo lavorare e lui no, ora ci invidiava terribilmente perché un viaggio per mare può essere tedioso e lui non aveva niente da fare dal mattino alla sera, mentre noi due andavamo su e giù fra il cordame per sciogliere le vele, salivamo in coffa per fare da vedetta in caso si avvicinassero navi della marina britannica e ci occupavamo dei lavori a bordo.
Avevamo fatto conoscenza con gli altri pirati: c'era Gibbs, il primo ufficiale, che già conoscevamo; Cotton, un vecchio pirata a cui era stata tagliata la lingua e che parlava attraverso un pappagallo che si esprimeva con detti marinari; Marty, un nanerottolo calvo alto la metà di me; Gomez, Jona, Rodrigo, Samuel, John... la Perla era piena di gente e si viveva a stretto contatto con tutti. Essendo le uniche donne, io e Faith condividevamo la cabina sottocoperta con la giovane mulatta di nome Annamaria.
L'Olandese Volante ci seguiva giorno e notte, rimanendo sempre fianco a fianco con la Perla, e non potevo fare a meno di chiedermi con un certo struggimento come Elizabeth e Will avrebbero affrontato la loro prossima separazione.
Il primo giorno di navigazione dopo il nostro arrivo a bordo della Perla, fu Gibbs, che a quanto sembrava era un maestro nel raccontare storie, a soddisfare la mia curiosità riguardo la triste storia dei miei amici. Avevo intuito che Jack sapeva che cosa era successo, ma quella sera in cui gli avevo chiesto la storia della Wicked Wench non avevo avuto il coraggio per chiedergli di chiarirmi le idee anche su Elizabeth e William. Il vecchio Gibbs ci pensò per me: mentre supervisionava il nostro lavoro di cucitura delle vele (anche se in realtà facevamo già un lavoro ottimo e la sua era una scusa in più per starsene seduto all'ombra a scolarsi la sua bottiglia di rum) notò gli sguardi che di tanto in tanto non potevo fare a meno di lanciare all'Olandese, sperando di scorgere sul ponte Elizabeth o Will.
- La conosci la storia di quei due ragazzi?- mi aveva chiesto dando dei colpetti alla bottiglia di rum come se fosse stato un infante.
- Non proprio. - avevo risposto. - Almeno... non nei dettagli. -
- Davey Jones tre anni fa era il capitano dell'Olandese Volante. - aveva cominciato Gibbs in tono grave. - Quella nave è stata creata dalla dea Calypso per un solo scopo: traghettare all'altro mondo le anime di coloro che muoiono dispersi in mare. Il suo capitano non può scendere a terra che una volta ogni dieci anni e, cosa più importante, il suo cuore ancora pulsante è rinchiuso in un forziere di cui lui stesso custodisce gelosamente la chiave. - sottolineò le ultime parole stringendo la mano a pugno e portandosela allo sterno; ripensando al piccolo forziere che Elizabeth aveva portato con sé quando eravamo saliti a bordo dell'Olandese avevo avvertito un brivido corrermi giù per la schiena.
- Davey Jones aveva corrotto il suo compito disertando i confini del mondo e veleggiando nella terra dei vivi diventando il terrore dei mari di tutto il mondo, prendendo i naufraghi come schiavi sulla sua nave infernale... compreso il padre del giovane Will Turner, Sputafuoco. - Gibbs aveva preso un sorso di rum dalla bottiglia, scrutando la polena zannuta dell'Olandese Volante. - Sfortunatamente c'era un prezzo da pagare per liberarsi del mostro che era divenuto Davey Jones: l'Olandese Volante deve avere un capitano per svolgere il suo compito, perciò chiunque colpisca il cuore del capitano... deve prenderne il posto. -
Avevo annuito in silenzio mentre intuivo come poteva essere andata a concludersi la storia. Bevendo un altro sorso del forte liquore Gibbs aveva proseguito: - Will era intenzionato a farlo: era disposto a sacrificarsi pur di avere libero suo padre. Qualcun altro però aveva pensato di assumersi quella responsabilità, diventare capitano dell'Olandese. Jack. -
- Jack?- avevo esclamato, incredula. - Jack traghettatore delle anime dei naufraghi? Senza poter fare porto che una volta ogni dieci anni?-
Gibbs aveva annuito e roteato gli occhi: - Già... penso che fosse l'idea dell'immortalità a stuzzicarlo, più che altro... - si era guardato in giro e poi si era chinato su di me accostandosi una mano alla bocca come se temesse di essere sentito. - Aehm... non andarglielo a dire, ma temo che se veramente ne avesse preso il posto... tempo un anno e ce lo saremmo ritrovato coperto di cozze. -
Avevo soffocato una risata per poi lasciare che recuperasse il filo del discorso per finire di raccontarmi la storia: - In ogni caso, ci fu una grande battaglia fra la Perla e l'Olandese, e proprio mentre Jack stringeva in mano il cuore pulsante di Davey Jones, quando finalmente sembrava che avessimo in pugno quella creatura spietata... Jones uccise William. -
Lo avevo guardato ad occhi sbarrati. - Uccise...?-
Gibbs si era limitato ad annuire. - Lo impalò con la sua spada, proprio quando sembrava che avessimo vinto. E allora Jack... - si era guardato nuovamente attorno con aria furtiva. - ...Non dirgli nemmeno questo... ma Jack fece forse la cosa più nobile che avesse mai fatto in tutta la sua vita: si avvicinò a Will che era in fin di vita e fece pugnalare a lui il cuore. Jones morì. La battaglia fu vinta. E Will tornò come capitano dell'Olandese Volante... legato per sempre ad un arduo compito, ma vivo. -
Così era stato, dunque, per i miei vecchi amici. Così era finita Elizabeth, sola ad Oyster Bay insieme al figlio che William le aveva lasciato. Così i miei amici sarebbero finiti, separati per sempre da un compito più grande di loro.
Quel racconto, però, mi aiutò anche a rivalutare Jack: forse dopotutto avevo ragione, c'era qualcosa di più grande che lo legava ad Elizabeth e Will, e che lo aveva spinto a salvare la vita di William pur in un modo tanto doloroso. Ora che conoscevo anche questa parte della storia, sapevo che non avrei mai potuto pensare a lui come ad un capitano crudele, né tantomeno indifferente agli altri come avrebbe voluto far credere.
Da parte mia, Jack rimaneva la cosa più affascinante della Perla Nera. Ora potevo vederlo nel suo vero elemento; lui e la sua nave sembravano una cosa sola, la sua vita era fare il capitano. Lo vedevo sempre la mattina al timone, sicuro, e felice come un bambino; durante la giornata sembrava essere ovunque come una pallina di mercurio impazzita: sul ponte a dare ordini, al timone, in sala ufficiali, nella stiva... soprattutto nella stiva, quando la sua scorta di prezioso rum finiva. Di certo era uno che prendeva sul serio il suo lavoro. Ora che lo vedevo nel suo vero mondo non potevo fare a meno di pensare che fosse nato per essere capitano della Perla Nera e null'altro; lo si vedeva da come scrutava il mare quando teneva con mano sapiente il timone, col quale a volte pareva fondersi e diventare tutt'uno con la sua nave: era quella e solo quella la sua vita.
Amavo il suo essere un pirata, avevo cominciato ad amare praticamente tutto di lui, ma non dicevo niente a nessuno, nemmeno a Faith che di norma era la mia unica e fidata confidente. Per la prima volta sentivo che quello che provavo era qualcosa di troppo personale per essere condiviso da altri.
Jack era il mio capitano, eravamo diventati grandi amici: vivendo su una nave costantemente gomito a gomito con la ciurma non potevano che crearsi saldi legami alimentati dal cameratismo e dell'indispensabilità che ciascuno aveva per la sopravvivenza della ciurma. Mi divertivo a parlare con lui e punzecchiare il suo orgoglio pirata ogni volta che ne avevo l'occasione, e lui faceva altrettanto: lo amavo in silenzio, senza farne parola con nessuno.
Un mentore prezioso per la nostra nuova condizione di pirati fu proprio Gibbs: l'anziano pirata, oltre ad occupare la carica più alta dopo il capitano, sembrava anche essere la persona che gli era più vicina; del resto era impossibile conoscere Gibbs e non volergli bene. Aveva preso me e Faith sotto la sua ala protettrice, per così dire, e si era preso l'incarico di insegnarci le fondamentali nozioni della vita di mare: io e la mia amica ascoltavamo assorte mentre seduto sul ponte Gibbs ci mostrava come fare correttamente un nodo o come si ricucivano le vele strappate, io ero sempre piena di domande per lui, e lui sempre pronto a soddisfare la mia curiosità, che si trattasse di sapere perché la nave prendeva il vento in un certo modo o perché certe vele andavano spiegate più di altre.
Oltre alla cultura piratesca e ai vari lavori che andavano svolti sulla nave, come promesso ci insegnarono anche a combattere: cosa fondamentale per un pirata. Ci insegnava Annamaria, anche se spesso alcuni altri pirati, che erano tutti buoni spadaccini, si univano a noi per aiutarci trovandolo un divertente diversivo dal lavoro a bordo.
- Così, perfetto. - fece soddisfatta Annamaria mentre eseguivo una stoccata. - Ora prova questa: pari il colpo di piatto, ti abbassi e dai un calcio agli stinchi. - mi fece vedere la mossa al rallentatore in modo che capissi esattamente il movimento, poi mi fece provare. Scherma da pirati; sporca ma incredibilmente funzionale. - Va bene, però calcia un po' più forte, devi fare male al tuo avversario. - si rivolse a Faith. - Adesso prova tu. -
Per non avere mai preso in mano una spada prima di allora non ce la cavavamo neanche tanto male. In realtà io una spada qualche volta l'avevo usata: dato che mio padre ne possedeva alcune e si teneva allenato, da ragazza spesso gli chiedevo di insegnarmi a duellare. Dopo diversi sbuffi e rimproveri anche piuttosto aspri, “Sei una ragazza, non è decoroso per una giovane della tua età volere usare la spada!” papà aveva ceduto e ogni tanto per farmi un piacere mi insegnava per gioco a tirare di scherma. Quei piccoli allenamenti mi sembrarono subito ridicoli in confronto a quello che io e Faith affrontammo a bordo. Dopo aver imparato un po' di mosse Annamaria ci sfidò una alla volta in un breve duello; ci disarmò in due minuti, ma intanto imparavamo. - Attacchi con troppa violenza. - mi avvertì quando finimmo di combattere. - La forza ci vuole, ma se ci metti solo quella finisci per agitare a caso un pezzo di ferro; devi essere precisa. -
- In poche parole devo andare forte ma piano?- chiesi con un sogghigno, mentre mi asciugavo il sudore dalla fronte.
Annamaria rise: - Qualcosa del genere. Su, ricominciamo!- continuammo a duellare sul ponte, mentre Faith si allenava contro Michael, che aveva voluto anche lui imparare i rudimenti della scherma, non potevo vedere come se la cavava perché ero totalmente concentrata a parare gli attacchi della spada di Annamaria. C'era anche un altro spettatore che seguiva il nostro duello: la scimmietta che avevamo visto il giorno del nostro imbarco era l'altra cosa, oltre a Jack, che sembrava essere sempre dovunque a bordo di quella nave, spuntando dai posti più impensabili.
Fin da quando avevamo iniziato il nostro allenamento sul ponte, la scimmia si era appollaiata sull'argano ed era rimasta lì, osservandoci con palese curiosità. Quell'animale era ben strano: non si lasciava avvicinare da nessuno, però finivi sempre per ritrovartela lì a tre passi che ti fissava come se avessi appena commesso un delitto. Il capitano sembrava detestarla di tutto cuore e non perdeva occasione di spararle addosso ogni volta che si avvicinava troppo: in quei casi l'incomprensibile avvenimento che avevamo osservato la prima volta si ripeteva regolarmente; quando non riusciva a schivarlo, la scimmia incassava il colpo, strepitava e scappava via senza un graffio.
Mentre ancora combattevamo, ad un certo punto Annamaria si fermò e guardò qualcosa alle mie spalle. - Ehi, guarda chi c'è. - commentò sollevando un sopracciglio, io mi voltai e mi trovai faccia a faccia con Jack; aveva la spada in mano e mi guardava col suo consueto sorrisetto furfantesco.
- Mi concedi questo duello?- domandò educatamente come se mi stesse invitando a ballare, dondolando pigramente il busto.
- Perché no?- risposi, arretrando di un passo e mettendomi in guardia. Sapevo benissimo di non valere una cicca in combattimento contro di lui, ma non volevo rifiutare la sfida.
Ci fronteggiammo, l'uno davanti all'altra: i nostri amici avevano smesso di allenarsi e notai che erano rimasti a guardarci attendendo che cominciassimo a combattere.
Jack mosse appena un passo avanti e vibrò un fendente senza troppa energia, io lo parai facilmente; allora tentai un attacco, ma non con molta enfasi: lui lo parò e lo respinse. Ci girammo attorno lentamente: mentre lo fissavo per capire quale sarebbe stata la sua prossima mossa capii da come mi guardava che il duello era solo un pretesto, mi stava studiando; ed io detestavo quando lo faceva. “Basta giocare, combattiamo sul serio!” mi dissi, e sferrai con decisione un fendente. Jack sembrò appena sorpreso per quell'improvvisa energia, ma non si scompose e parò di nuovo il mio attacco. Dopo un po' divenne frustrante: io mi impegnavo più che potevo, ma per lui era molto facile tenermi a bada, e quel suo sorrisetto cominciava a farsi strafottente. - Allora? Combatti o fai finta, io sono qui che aspetto!- ridacchiò arretrando rapidamente di due passi. “Te lo do io, te lo do.” pensai, attaccai dall'alto, la sua lama si alzò a parare la mia, ed io gli pestai violentemente un piede. - Ahia!- esclamò sorpreso, balzando all'indietro.
- Non verrai proprio tu a dirmi che non vale, spero!- dissi, sogghignando; lui mi fissò per un attimo con aria oltraggiata, poi gli tornò sulle labbra il sorriso furfante. - Certo che no... - capii troppo tardi che aveva in mente qualcosa: infatti la sua spada guizzò rapidissima e colpì la mia, facendomela volare via di mano. - Infatti vale anche questo. - commentò con calma puntandomi la lama alla gola con un gesto quasi elegante. Mi aveva disarmata in un solo istante.
- Va bene, va bene; hai vinto, soddisfatto?-
- Sì. - Jack rinfoderò la spada, poi gettò il capo all'indietro con aria compiaciuta. - Dai, facciamo una pausa, offro io da bere ai perdenti!-
Posai la spada e andai a sedermi sulle casse insieme a Faith, Annamaria e Michael mentre Jack andava nella sua cabina a procurarsi del rum; dopo circa mezz'ora di allenamento mi sentivo assolutamente esausta. Dalla sua postazione in cima all'argano, la scimmietta emise il suo squittio che mi ricordava sempre in modo inquietante una risata e balzò giù, cominciando a perlustrare le assi del ponte a passetti saltellanti come se fosse alla ricerca di qualcosa di interessante da mettere sotto i denti.
- Sei andata bene. - mi disse Faith in tono incoraggiante quando presi posto al suo fianco, io le sorrisi e scrollai le spalle. - Tanto era ovvio che perdevo, ho appena imparato, cosa pretende?-
Faith aggrottò le sopracciglia. - Ma il suo obiettivo non era batterti. -
La fissai, sorpresa della sua risposta. - Ah no?- replicai, accigliandomi.
- Be', non si può parlare di un vero duello perché lui è molto più esperto. - continuò lei, arricciandosi su un dito una ciocca di capelli scuri. - Infatti lui stava... come dire, giocando: era te che voleva mettere alla prova, forse voleva vedere cosa eri in grado di fare. E a me alla fine è parso soddisfatto. -
Non ci avevo pensato. Soddisfatto di cosa, però? Non avevo fatto altro che sforzarmi inutilmente di tenergli testa e pestargli un piede quando non ci ero riuscita.
Jack tornò con una bottiglia di rum che mi diede in mano prima di sedersi sulle casse con noi. - Suvvia, pace e da bere per tutti!- commentò in tono gioviale.
- Drink up, me hearties!- assentii io, citando le prime parole di una canzone marinaresca che avevo sentito cantare a bordo, e che pareva essere piuttosto popolare. Bevvi un sorso dalla bottiglia; il liquore era forte e bruciava in gola, ma cominciava a non dispiacermi. Lo passai a Faith, che lo passò ad Anamaria che lo passò a Michael, e infine Jack si scolò a collo quanto restava.
Notai che Faith aveva una faccia strana, come se cercasse di togliersi dalla bocca un cattivo sapore.
- Che c'è, Faith?- domandai.
- Il rum!- rispose lei, sorridendo e roteando gli occhi. - Non mi ci abituerò mai. -
- Farai meglio ad abituartici, tesoro, sulla Perla non sono ammesse insubordinazioni, comprendi?- Jack le diede una pacca su una spalla. Delicata. Non come quella che non molto tempo prima aveva rifilato a me come se fossi un mozzo di sentina. - Vuoi fare un altro po' di pratica?- abbassò la voce e sogghignò, porgendole di nuovo la bottiglia.
- No grazie, per oggi mi è bastato!- rifiutò lei, allontanandola con un gesto deciso della mano, e Jack, con un'alzata di spalle, bevve l'ultimo sorso.
- Ne avrai da imparare, dolcezza... se vuoi posso insegnarti io. -
Jack si protese improvvisamente verso di lei e le circondò le spalle con un braccio, un po' abbracciandola un po' fingendo di strangolarla. Lei si liberò ridendo.
Risi anch'io, come tutti, però vederlo fare il cretino con lei mi diede fastidio, e non si trattò solo di una rapida puntura. Mi sentii bruciare il petto di qualcosa di feroce e irrazionale che non aveva nulla a che fare con il rum. Lui era mio. E non avrebbe dovuto fare qualcosa di assolutamente stupido come rivolgere quel sorriso dal dente d'oro a Faith proprio sotto i miei occhi.
Mi accorsi che lo stavo fissando solo quando lui incrociò il mio sguardo, e mi affrettai a distogliere l'attenzione da loro due. A quel punto Jack si alzò per tornare ai suoi compiti, noi restammo lì a riposarci ancora qualche minuto prima di rimetterci al lavoro.

*

Poco più tardi, verso l'ora del pranzo, ero diretta di fretta sottocoperta per servire il rancio. Feci per scendere le scalette che da sotto il cassero di prua conducevano al ponte intermedio, quando dallo stretto passaggio comparve Jack, in direzione opposta alla mia. Quasi sobbalzai, maledicendo dentro di me la strana capacità del capitano di apparire praticamente ovunque.
Pensando che volesse passare mi feci indietro, ma lui invece fece l'ultimo gradino e mi venne dritto incontro.
- Sbaglio o sento un po' di gelosia nell'aria?- mi canzonò, avvicinandosi a passo di marcia con le braccia che dondolavano come al solito.
Gli rivolsi un'occhiata di sufficienza, senza capire esattamente che cosa volesse, ma imponendomi di ignorarlo.
- Sei stupido o lo fai?- lo rimbeccai, sapendo di stare sfidando non poco il mio rango di mozzo nei confronti del suo capitano. Tuttavia lui non aveva mai dato segno di preoccuparsene, quindi non vedevo perché avrebbe dovuto tacciarmi di insubordinazione proprio ora.
Cercai di aggirarlo, ma inaspettatamente lui allungò un braccio e si appoggiò al corrimano, impedendomi di andare avanti: il cassero era una piccola stanza chiusa a prua, cosa che rendeva privata la nostra conversazione, ma quattro aperture portavano rispettivamente alle scalette di sottocoperta e in coperta. Da sotto arrivavano le risa e le conversazioni dei pirati in attesa di mangiare: ero consapevole che chiunque sarebbe potuto passare di lì da un momento all'altro e, curiosamente, non sapevo se, nel caso, l'avrei considerata una via di scampo o un'interruzione.
- Perché mi confondi le idee, miss Evans?- aveva abbassato la voce quasi ad un sussurro, e il suo sguardo aveva un che di sfida in quel momento. - Prima mi togli le armi perché mi temi, poi mi prendi a schiaffi perché non mi sopporti, e infine ti batti con me anche se sei solo ai rudimenti con la scherma. Eppure, l'ho visto quanto ti ho punto sul vivo quando prima scherzavo con miss Westley... e non con te. -
- Stupefacente, adesso credi perfino di sapere leggere nel pensiero?- replicai, sardonica.
- Io lo so perché. - continuò, ciondolando su se stesso e fissandomi col ghigno sornione sulle labbra. - Me lo hai detto tu stessa, no? Chissà com'è che nonostante tutto, tu conservi sempre uno schiaffo per me...? -
- Te ne sta per arrivare uno adesso. -
La mia risposta lo fece solo sorridere di più. Il suo dannatissimo sorriso canzonatorio, ma magnetico.
- Guarda che dicevo sul serio quando ho detto di tenere ai miei mozzi. - di colpo il suo sorriso cambiò, diventando gentile... quasi dolce. - E chissà... magari ad uno in particolare. Magari proprio a quello che è tanto insolente da conservare sempre uno schiaffo per me... comprendi? Vorrei davvero che mettessimo giù le armi. Sul serio. Io non ho niente da temere da te, e tu non hai niente da temere da me. -
- Andiamo, piantala. - risi con poca convinzione, allungando un gomito nel tentativo di toglierlo di mezzo.
Lui ne approfittò per venirmi più vicino, e riuscì a stringermi a tradimento un braccio attorno alla vita in un rapido abbraccio. Non mi bloccò, non mi forzò, non mi impedì di scostarmi. Fui io a rimanere perfettamente ferma, senza sapere che fare e senza nessun desiderio di respingerlo.
- Ecco che lo rifai... è divertente, ma se continui non saprò mai che cosa devo fare. - disse in tono decisamente divertito, tirandomi gentilmente verso di sé: sorrideva, eppure c'era ancora una sorta di inaspettata dolcezza nel modo in cui lo faceva.
- Potresti lasciarmi!- replicai, staccandomi bruscamente da lui.
Mi sentivo sulle braci. Ero tra le sue braccia. Dovevo allontanarlo, perché di colpo avevo una paura tremenda di quello che sarebbe potuto accadere se lo avessi lasciato continuare.
- D'accordo. -
Lui allentò subito la stretta, però si protese di nuovo verso di me e mi stampò un rapido e morbido bacio sulla guancia, solleticandomi col tocco più ruvido della barba.
- A più tardi. - mi bisbigliò all'orecchio con voce dannatamente sensuale mentre per un breve attimo riusciva a tenermi stretta contro di sé, prima di sciogliermi dall'abbraccio e andarsene così come era arrivato.
Quando scesi sottocoperta fra i pirati vocianti, rossa come un peperone e col cuore che sembrava una grancassa, stavo ancora camminando a un palmo da terra.

*

Era il pomeriggio del terzo giorno, un pomeriggio addirittura troppo sereno: il sole bruciava implacabile nel cielo limpido, arrostendo le schiene dei pirati al lavoro sul ponte. Io passavo in quel momento con un involto di lenzuola pulite sottobraccio da portare nella cabina del capitano; boccheggiavo per l'afa insopportabile e non vedevo l'ora di potermi ritirare nell'ombra di sottocoperta a bere qualcosa di rinfrescante.
Aprii la porta che dava sulla sala degli ufficiali che precedeva la cabina del capitano, e stavo per scostare la tenda di pesante stoffa rossa che era stata tirata per offrire riparo dal sole quando udii uno scoppio di risate fragorose. Mi fermai: Jack doveva avere compagnia. In effetti non era insolito che incontrasse i suoi ufficiali nella saletta a poppa, e quel pomeriggio sembravano anche tutti parecchio allegri. Per qualche motivo esitai ad entrare ed indugiai dietro la tenda scarlatta, semplicemente incuriosita: riconobbi per prima la voce di Gibbs; stava già parlando quindi afferrai soltanto metà dell'animato discorso: - ...allora un brindisi alla nostra, signori!-
- E un cortese calcio nel sedere a quel mucchio di figli di puttana della Revenge!- lo seguì la voce di Samuel, il quartiermastro. Battei le palpebre, arricciando le labbra in una smorfia tipo “uh!”, anche se dopo un paio di giorni su una nave pirata imprecazioni e simili non mi toccavano più di tanto.
Udii un cozzare di boccali: certamente stava scorrendo diverso rum fra gli invitati al tavolo del capitano. - Alla nostra. - fece allegra la voce di Jack.
- E ai mozzi più graziosi che si siano mai visti in tutti i Caraibi!- aggiunse la voce di Rodrigo, uno degli ufficiali secondo solo a Gibbs. Il suo commento suscitò uno scroscio di grasse risate e un forsennato battere di boccali sul legno del tavolo.
- Fingerò di non capire a chi vi state riferendo... - rispose la voce di Jack, mellifua ma assolutamente diabolica. I pirati risero di nuovo, per poi lanciarsi in coloriti commenti: - Non si può proprio dire che siano come la nostra Annamaria, non trovate? Almeno non ho da temere di perdere qualche dente se mi avvicino troppo... -
- Temere? - Samuel ridacchiò. - Nooo... che hai da temere da loro? Sono così dolci e graziose... -
- Insomma, il tipo da tentare con un goccio di rum per vedere se diventano ancora più dolci e graziose!- terminò Jack con una semplicità che era assai più maliziosa di qualsiasi commento lascivo. Risate; io intanto cominciai a sentirmi piuttosto a disagio: avevo capito che stavano parlando di me e di Faith, e di colpo desiderai trovarmi da tutt'altra parte, ma ora che c'ero non potevo schiodarmi dal mio nascondiglio celato dalla tenda, così tesi le orecchie anche se in verità non ne avevo affatto bisogno considerato il tono della conversazione che si faceva sempre più animata man mano che veniva annaffiata col rum.
- E Laura Evans? Una colombella imbottita di polvere da sparo, ve lo dico io! Vi siete accorto che vi fa gli occhi dolci, capitano?-
- Se me ne sono accorto?- sentii rispondere Jack col tono di quando si voleva dare delle arie, mentre sentivo le guance andarmi in fiamme non avrei saputo dire se più per l'imbarazzo o l'indignazione. - Bisogna essere ciechi per non notarlo!-
- Buttatevi capitano, è la vostra occasione! Quella vi accoglie a braccia aperta, parola mia!-
No, adesso vado dentro e li prendo a sberle, dal primo all'ultimo. Ma come si permettevano? Avevo una mezza idea di entrare a dirgliene quattro quando la voce di Rodrigo, ora discretamente impastata dall'alcool, continuò: - Questa è quella che io chiamo fortuna, fortuna sfacciata! Neanche una, ben due, due belle fanciulle in cerca di avventura! Per me le faremmo solo contente se le offrissimo qualche altro genere di “impresa”... Non esiste giovane donna che non sogni qualcosa del genere, ammettiamolo!-
- Oh no no no... - lo interruppe Jack. - Ve lo dico io come stanno le cose... si da il caso che la giovane miss Evans è perdutamente innamorata di me, non c'è scampo!- scoppi di risa, ululati e battute, poi lui continuò imperterrito al di sopra del baccano: - Eh, la povera piccola innamorata! Avete visto, ohi, non ne lascio una! Nessuna più resiste al capitano Jack Sparrow!-
Le risate si fecero sempre più sguaiate, seguite da commenti che salirono sempre più di tono fino a sfociare nell'osceno, tanto che desiderai davvero tapparmi le orecchie per non sentire più nulla. Stringevo un lembo della tenda, le nocche tremanti di furia a stento contenuta.
Anche se la mia rabbia mi spingeva con tutte le sue forze a spazzare via la tenda ed entrare a dirgli il fatto loro, sapevo che non ne avrei mai avuto il coraggio. Ma soprattutto ero allibita. Come aveva potuto Jack dire quelle cose su di noi, su di me? Dopo che avevamo combattuto insieme, addirittura dopo che era venuto da me e mi aveva dato quel bacio gentile fuori dalla cambusa...
“Povera piccola innamorata... nessuna resiste al capitano Jack Sparrow!” brutto pomposo pirata pieno di boria, come si permetteva di parlare così di me? Non gliela facevo passare liscia, questa me la pagava.
Girai sui tacchi e uscii dalla porta attenta a non farmi sentire, anche se dalla confusione che stavano facendo probabilmente non mi avrebbero sentita nemmeno se me la fossi sbattuta violentemente alle spalle. Con ancora le lenzuola tutte spiegazzate fra le braccia mi infilai sotto le scale del cassero di poppa, a fianco della porta, e attesi lì, fremente di rabbia. Rimasi lì finché non vidi i tre pirati lasciare uno dopo l'altro la sala degli ufficiali, tutti discretamente sbronzi. Vedendo uscire per ultimo Gibbs mi ricordai improvvisamente di non averlo sentito prendere parte ai commenti che ci erano stati rivolti: aveva anche la faccia più scura del solito, non sembrava allegro quanto i suoi due compagni. Oh, be'. Mi consolai un poco al pensiero che almeno il vecchio Gibbs era rimasto quello che sembrava.
Erano usciti tutti tranne Jack. Perfetto. Allora uscii dal mio nascondiglio e spalancai la porta della saletta, scostando la tenda: Jack era seduto al tavolo ingombro di bottiglie e di boccali vuoti, intento a dondolarsi distrattamente sulla sedia con lo sguardo perso nel vuoto, ed era chiaramente un po' sbronzo. Vedendomi si voltò con divertita sorpresa, esibendo il suo sorriso migliore. Ma va al diavolo, esibizionista. - Oh, salve Laura! Che ci fai qui?-
Non risposi al saluto e non entrai nella stanza: tesi l'involto di lenzuola pulite verso di lui. - Queste devono essere tue. - le sbattei violentemente per terra. Jack inarcò le sopracciglia fissandomi con aria stupefatta. - Grazie tante per i complimenti, prima. - aggiunsi in tono gelido.
Lui per poco non cadde dalla sedia; il sorriso svanì dalla sua faccia, lui aprì la bocca per ribattere, ma non seppe cosa dire.
- Sono anch'io parte della ciurma o no? Credevo che fossimo amici, e credevo che tu fossi una brava persona. E invece vedo che sei soltanto un bastardo arrogante. - gli voltai le spalle.
- Ehi, no! Non bene! Aspetta!- esclamò, balzando in piedi e agitando le mani nella mia direzione; io mi voltai bruscamente verso di lui: stavo tremando. - No, tu non puoi venire a fare il carino e poi metterti a discutere su chi ti porterai a letto per prima! Comprendi? - chiusi la porta dietro di me e me ne andai.

*

- Laura, va tutto bene?-
Mi concentrai sul pesce che stavo pulendo: faceva uno schifo tremendo sviscerarlo, ma almeno il disgusto mi distraeva.
- Sì, tutto ok. - risposi mestamente.
Prendere il pesce, tagliarlo per il lungo e ripulirlo dagli intestini, solo quello: non dovevo pensare a nient'altro.
- Invece no. - insistette lei, appoggiando il coltello. - Sul serio, c'è qualcosa che non va?-
Io scossi il capo.
- No, Faith, è tutto a posto, davvero. -
Stupido Jack. E stupida me, stupida per tutti quegli stupidi pensieri che mi ero permessa di fare su di lui. Dovevo immaginarmelo, dannazione, non era altro che un arrogante, stupido pirata. E io ero soltanto una ragazzina, come al solito.
- Senti... ha a che fare con Jack?- domandò Faith, con delicatezza.
Chiedendomi se la mia faccia fosse davvero così trasparente, esitai e buttai nel cesto il pesce che avevo in mano. Quel lavoro non avrebbe mai smesso di farmi schifo. Si sposava bene con ciò che provavo per il capitano, al momento.
- Sì. - risposi infine: avrei dovuto rinunciare al mio proposito di non rimuginarci sopra. - Ma non è come pensi tu. Sfortunatamente ho potuto constatare che il capitano non è nient'altro che un superficiale arrogante. -
- Ma si può sapere cos'è successo?- disse Faith, che si stava spazientendo. Sospirai e mi accinsi a spiegarle la questione.
- In parole povere: il capitano e gli altri dell'allegra combriccola se ne stavano in sala ufficiali a sfotterci e a chiedere a Jack chi fra noi due voleva portarsi a letto per prima. E questo a me ha scocciato non poco. - mi pulii le mani sui calzoni. Avrei puzzato di pesce, ma pazienza. Sinceramente, chi se ne sarebbe preoccupato a bordo di una nave pirata? - Oh sì, ci possiamo considerare i nuovi mozzi della Perla Nera, siamo “parte della ciurma”... Come no, siamo due fenomeni da baraccone qui a bordo, ecco cosa siamo! Due puttane! Non mi sono mai sentita così insultata in vita mia! Scommetto che ci ha prese tutte e due per i fondelli fin dall'inizio. Pensare che mi ero anche ambientata bene qui... con un capitano talmente bastardo pronto a spararne di grosse come una casa su di te non appena giri l'occhio!-
Faith mi fissò in silenzio, con un sopracciglio che si inarcava intanto che mi ascoltava, e infine si lasciò sfuggire solo un profondo sospiro per poi scuotere il capo. Però fu su di me che puntò uno sguardo condiscendente.
- Laura, di certo non sono cose gentili da dire e non è bello trovarsi ad ascoltarle. Ma, onestamente, che cosa ti aspettavi?-
Rizzai le orecchie, senza capire che cosa intendesse.
- Scusa?-
- Sono uomini. - rincarò Faith, per nulla impressionati. - Pirati. Ubriachi. Radunati in cabina per una bevuta con il capitano. Ti aspetti che dalla loro bocca esca qualcosa di vagamente lusinghiero nei confronti delle uniche due donne a bordo? Non dovresti davvero basarti su quel che hai sentito oggi per giudicare Jack... -
- Mi aspetto un po' di rispetto!- protestai.
Volevo che anche Faith mi dicesse che Jack era un bastardo, così forse mi sarei convinta e avrei smesso di pensare a lui. Insomma, era già abbastanza brutto essermi affezionata così tanto a lui e poi scoprirlo di punto in bianco a parlare di me come di una puttana... ma era ancora peggio dopo tutto questo scoprire di volergli ancora molto bene, anche senza volerlo ammettere.
Invece Faith non rispose, ma strinse le labbra e si chiuse in ostinato silenzio come a volermi dimostrare che avevo torto. Tornò al suo pesce, fissando il pavimento con aria meditabonda.
Avevo paura di quel suo silenzio. Avevo paura di intuire che, nonostante tutto, potessi non essere l'unica ad avere a cuore l'opinione di Jack Sparrow.

*

Dopo la cena Faith era sul ponte mentre il sole tramontava; un tramonto cupo, in contrasto col sole spaccapietre che c'era stato quel pomeriggio. Si profilava burrasca all'orizzonte.
La Perla procedeva senza fretta al fianco dell'Olandese, sul ponte erano rimasti pochi pirati, i più sulle sartie occupati ad allentare le vele per meglio catturare l'ultima bava di vento.
Faith se ne stava su quello che era diventato il suo posto preferito, seduta su una barra di legno all'ombra dell'albero maestro.
Guardava Jack, che se ne stava al timone sul cassero di poppa. Il capitano aveva una faccia cupa quanto il cielo, in mano teneva una fiasca di rum -la sua miglior cura per il morale a terra- e ogni tanto ne prendeva una lunga sorsata.
Faith si alzò dal suo posto e salendo la scaletta gli si avvicinò a passi lenti, senza una ragione precisa.
Non sapeva ancora cosa voleva, non capiva che cosa stava provando in quell'istante. Dal furibondo resoconto che Laura le aveva fatto riguardo ai fatti accaduti nel pomeriggio, Faith aveva capito che c'era stata una rottura fra lei e il capitano, una brutta rottura che era andata a minare seriamente lo strano rapporto che si era pian piano instaurato fra di loro.
Faith se ne era accorta, durante le giornate passate sulla Perla, e aveva dovuto ammettere che per la prima volta aveva provato una sorta di... infantile gelosia per le attenzioni che il capitano rivolgeva alla sua amica.
Se ne era anche stupita. Gelosia? E di cosa? Lei e Laura erano come sorelle, avevano sempre diviso tutto, vissuto l'una per il bene dell'altra. E adesso forse qualcosa cominciava a cambiare, lo sentiva.
Ma forse ora quel qualcosa era stato troncato sul nascere, pensò, a causa di quella malaugurata conversazione che Laura aveva origliato. Sapeva bene che la sua amica non era molto incline a perdonare chi tradiva la sua fiducia.
Tradire la sua fiducia... Ma allora forse anche lei...? Indugiò su quel pensiero che la tormentava. Anche lei stava tradendo la fiducia dell'amica? Avrebbe dovuto parlarle di ciò che provava? Avrebbe dovuto confessarle che i suoi occhi non erano gli unici che cercavano Jack ogni mattina sul ponte?
Jack la vide e le rivolse un sorriso mesto.
- Miss Westley. Tutto a posto?- chiese, appoggiando un braccio sul timone.
- No... cioè, sì... cioè... non lo so. - rispose Faith, trovandosi improvvisamente a balbettare.
- Morale sotto le suole, uh?- fece Jack, comprensivo, dondolando il capo. - È una serataccia. - ingurgitò un altro sorso di rum.
- Sì, anche Laura è giù oggi... - si pentì subito di averla tirata in ballo. Non che non le importasse di lei, solo in quel momento non se la sentiva di parlare di lei, non con Jack. Avrebbe solo complicato ulteriormente la cosa.
Lui annuì, ancora più serio.
- Sì, Laura... - borbottò il suo nome lentamente, quasi con un sospiro, in un modo che fece rizzare le orecchie a Faith: come se gli costasse pronunciarlo ma allo stesso tempo gli piacesse. Mosse in modo curioso le spalle, come nel tentativo di liberarle da un peso, e bevve un altro sorso, più lungo dei precedenti, prima di voltarsi a guardare la ragazza ciondolando il capo. - Senti... odio fare quello che affibbia i messaggi scomodi a qualcun altro, ma... Oggi, ecco... c'è stato un malinteso con lei, e quello che vorrei veramente fare è porgerle le mie scuse. Ma non credo che lei mi permetterebbe di farlo. Non è che puoi... che so, fungere da intermediario?-
Fatih lo scrutò aggrottando le sopracciglia. - Come, scusami?-
Il capitano si strinse nelle spalle, facendo un gesto come di rimestamento con le mani.
- Io non volevo offenderla. Mai voluto. Assolutamente! È stato un caso estremamente sfortunato, intendiamoci: ci sono modi in cui un uomo parla con altri uomini, che non sono affatto quelli che un uomo riserverebbe ad una signora, ma se la signora in questione finisce per ascoltarli e prenderli per verità... - per un istante sembrò perdersi, con la bocca aperta e lo sguardo nel vuoto, poi le spalle gli si afflosciarono. - Aiuterebbe davvero se le spiegassi tu che non c'è ragione per prendersela... I vostri discorsi da donne, che ne so io. Aiutami, per favore. -
- Ascolta, c'è una cosa che di cui ti dovrei... cioè... Io non so più cosa pensare. - mormorò Faith, parlando più con se stessa che con Jack. - Non sono sicura di niente, in verità. Io... non capisco. -
Voleva rivelare al capitano che avrebbe fatto meglio a fare molta attenzione a quali parole sceglieva con Laura, perché forse lui neppure si rendeva conto di quanta influenza esercitasse su di lei e quanto potesse ferirla. Di quanto l'avesse già ferita.
E tuttavia il pensiero di ciò che aveva origliato la sua amica, Jack che parlava di loro due, di lei, in quel modo, la turbava in modi molto contrastanti.
“Dunque pensi a noi anche in quei termini, non è vero, capitano? Dunque lo dici anche ad alta voce. Ci consideri donne, in tutto e per tutto. Entrambe. Anche me. Hai parlato anche di me in quel modo.”
Sapeva di dover fare una scelta, in ogni modo, se schierarsi con Jack o con la sua amica.
Jack... Jack l'aveva in qualche modo catturata. Non lo poteva negare; anche lei sul ponte cercava di continuo i suoi occhi, seguiva ogni guizzo della sua bandana rossa, sentiva il cuore battere più forte quando lui le si accostava.
Cos'era che provava lei? Attrazione? Possibile? Però non voleva perdere Laura, il cui interesse per Jack era palese. Era tremendamente confusa, più sentiva bisogno di certezze, più queste le sfuggivano dalle mani.
In quel momento, facendola quasi sobbalzare, Jack le posò inaspettatamente una mano sulla spalla.
- Ehi, se c'è qualcosa che non va, dolcezza, me lo diresti, vero?-
“Io ti ho difeso. Ti ho difeso anche quando sapevo che l'avevi ferita.”
La mano di Jack sulla sua spalla, il suo tono gentile. Quel piccolo, semplice gesto risvegliò in lei un desiderio proibito, che ora si ritrovava a desiderare a tutti i costi. Faith si voltò improvvisamente verso di lui e gli si accostò un po' di più, poi cogliendo di sorpresa anche se stessa avvicinò il viso al suo e gli sfiorò appena le labbra con un bacio.
Rimasero fermi un istante, quasi paralizzati, poi improvvisamente Faith si ritrasse come se avesse preso la scossa, e lo stesso fece Jack, più lentamente, aggrottando le sopracciglia come se non capisse esattamente che cosa fosse appena accaduto.
- Perdonami... non... non volevo! - farfugliò lei, arretrando, con le mani sollevate e gli occhi strabuzzati.
Il capitano allargò gli occhi, sorpreso, e alzò a sua volta le mani come per calmarla.
- È tutto a posto. - assicurò lui, ancora sorpreso, ma Faith stava già arretrando. Rimase confusa per un attimo ancora, poi di scatto voltò le spalle a Jack e se la svignò in fretta verso la propria cabina con un'espressione di puro sgomento stampata in volto.
Faith era rossa fin sulla punta del naso, in preda ad un misto di imbarazzo e rancore: aveva ancora sulle labbra il sapore del rum che Jack aveva bevuto. Aveva appena baciato un uomo, per la prima volta nella sua vita di ragazza onesta. perché? Perché? Perché? Ma era impazzita? E per di più lì a poppa... davanti a tutti! Dio mio, e se qualcuno li avesse visti? Sentì il viso diventarle se possibile ancora più infuocato.
Aveva voluto baciarlo, non lo poteva negare. Era stato più forte di lei. E le era piaciuto. Peggio ancora: Jack, tranquillo, aveva ricambiato. Eppure ora che l'aveva fatto si sentiva peggio di prima, ancora più confusa: era un guazzabuglio di emozioni contrastanti e, no, non andava affatto bene.

*

Anamaria non era ancora tornata in cabina, e nemmeno Faith: io me ne stavo distesa su un fianco sulla mia brandina, cercando di convincere la mia mente ad addormentarsi, ma avevo la sensazione che fosse una battaglia persa in partenza.
Ad un tratto la porta della cabina cigolò, accompagnata da rumore di passi sul legno. Mi voltai a guardare chi era e vidi Faith.
- Ciao. - la salutai a mezza voce. Lei mi guardò: sembrava nervosa.
- Laura... ti devo parlare. -
Mi alzai sui gomiti. - Che c'è?-
Si passò la punta delle lingua sulle labbra, innervosita, come cercando di decidersi a parlare.
- Io ho... - sembrava sul punto di piangere, tanto che dovette prendere un respiro profondo prima di mormorare: - Credo di avere... cioè, ho baciato il capitano. -
Mi paralizzai. Qualunque pensiero razionale avessi fatto fino a quel momento, si volatilizzò, cancellato dalla sensazione di sbigottimento totale che mi piombò addosso come una slavina.
- Scusami, avresti fatto cosa?- domandai lentamente, con una voce che quasi non riconobbi come la mia.
- Io... non significava niente. E non so come sia successo. -
- Sai, non è tanto difficile. Serve che due persone stiano sufficientemente vicine. Serve la bocca, di solito. E, almeno di questo sono piuttosto sicura, non accade per sbaglio. -
L'acredine nella mia voce saliva sempre di più. Cosa provai in quell'istante? Stupore? Rabbia? Tristezza? Probabilmente tutte e tre insieme, ma soprattutto una spiazzante sensazione di sgomento. Rimasi come paralizzata con gli occhi sgranati e una spiacevole sensazione di occlusione allo stomaco, poi, con enorme autocontrollo, le voltai le spalle e tornai molto lentamente a distendermi sulla brandina.
- Laura, te lo giuro, io non... io vorrei non averlo mai fatto... - balbettò lei.
- Però l'hai fatto, o sbaglio? Perciò, quando oggi peroravi il suo “essere un brav'uomo”, immagino fosse un commento del tutto interessato. Scusami. Errore mio. Non mi intrometterò. - replicai, gelida e acida quanto e più di prima.
In realtà mi trattenevo a stento. Io e Faith eravamo come sorelle, ci conoscevamo da anni, eravamo sempre state amiche. Eravamo una famiglia. Non volevo litigare con lei, non con lei; non con la mia migliore amica, non potevo. Ma soprattutto non volevo scontrarmi col fatto che la mia unica amica avesse potuto farmi una cosa del genere.
Ecco, un unico colpo, una sola stoccata, come mi insegnava Anamaria, ed ero stata ferita a morte proprio dalle due persone a cui tenevo di più. Non avevo nemmeno avuto il tempo o il coraggio di spiegare nulla a nessuno... solo di insultare Jack. E ora se lo era preso Faith. Mi ero appena inimicata entrambi. Li avevo persi entrambi. In silenzio e senza disturbare, aveva agito prima lei. Un'amara lezione per me che mi ero crogiolata nel dubbio e nel mio stupido orgoglio.
- Io non voglio litigare con te!- insistette; sembrava veramente triste e smarrita.
Mi ostinai a voltarle le spalle. Basta parlare. Basta, per favore. Basta o dirò cose che non riuscirò a trattenere, che feriranno tanto te quanto me.
Rimasi a fissare la parete di legno; lei rimase in piedi di fianco alla mia branda per un po', forse sperando di vedermi girare, ma io non lo feci, e così lei si rassegnò e si distese sulla sua branda.
Non mi girai, non mi mossi, non la guardai neanche: non ce l'avrei fatta. In quel silenzio di gelo non potei impedire ad una lacrima di scendermi lungo la guancia e cadere sul cuscino.

Nota dell'autrice:Ci ho messo un sacco di tempo per riscrivere questo capitolo! Perché? Perché sto lottando strenuamente per non cadere nel "Mary-Sueismo" e nemmeno nel "telenovelismo", cosa che facevo un po' troppo presto nella prima versione di questa storia, e chiedo a chiunque mi legga di tirarmi bacchettate sulle dita ogni volta che tendo a sconfinare in questi due pericolosissimi generi! ;-P Come sempre un grandissimo ringraziamento a Shalna per i consigli che mi ha dato per correggere questo capitolo, spero di poter contare su di te anche in futuro e soprattutto di leggere presto nuovi capitoli delle tue bellissime ff!

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Capitolo 9
*** La Locanda Del Cigno Nero ***


Capitolo 9
La locanda del Cigno Nero


La mattina dopo fui svegliata da Anamaria che mi scuoteva non troppo gentilmente.
- Che c'è?- sussultai, saltando dalla branda, ancora assonnata, chiedendo se la nave fosse sotto attacco.
- C'è da tornare al lavoro. - rispose lei in tono sbrigativo. - Devi svegliare il capitano. -
- Non c'è già andata Stephanie?- mi scappò di bocca, in tono acido.
Non avrei voluto dirlo, ma immediatamente mi apparve una stucchevole immagine di lei seduta sulle ginocchia di Jack che lo imboccava col pane. La scacciai subito, cercando di tenere a bada il rancore. Basta rimuginare. L'unica cosa che sapevo era che dovevo smettere di commiserarmi, e subito. Non avevamo cose più importanti a cui pensare, come la vita di un bambino?
Non avrei dovuto essere arrabbiata con lei. Non eravamo sempre state amiche? Avrei fatto meglio a tenermi stretta l'unica amica che avevo sempre avuto. Invece non avevo mai fatto nulla per tenermi stretto Jack... non avevo mai neanche ammesso né con lei né con nessun altro quel che avevo incominciato a provare per lui.
Se Jack aveva scelto lei come destinataria delle sue attenzioni... non potevo farci nulla, per quanto mi ferisse. Inutile incolpare Faith. Dopo tutto quello che avevamo passato insieme non era affatto leale da parte mia allontanarmi da Faith, anche se faceva così male.
- No, Faith è a distribuire la colazione alla ciurma. Stavolta ti tocca. - rispose Anamaria scostandosi dalla cuccetta.
Le rivolsi un sorriso forzato e mi alzai, ravviandomi i capelli con una mano.
- Ehi, hai la fronte rossa come un pomodoro!- esclamò divertita, scrutandomi col capo inclinato come se mi trovasse buffa: a lavorare sul ponte e sulle sartie il sole picchiava, e non era difficile finire per scottarsi.
- Che ci posso fare, c'è un sole che spacca!- risi io, passandomi istintivamente una mano sul viso arrossato.
Anamaria si mise a frugare nel piccolo baule che tenevamo nella cabina e che conteneva tutti i nostri pochi, necessari averi, quindi mi porse una bandana di stoffa rosso scuro.
- Tieni. Quando stai sul ponte mettiti questa: si lavora molto meglio quando non sei impegnata a pensare alla testa che ti si cuoce. -
- Grazie!-
Presi la bandana dalle sue mani e me la allacciai sulla testa: assomigliava molto a quella di Jack, e per qualche secondo la accarezzai con affetto con due dita.
Anamaria mi osservava soddisfatta. - Niente male. - commentò.
Infilati gli stivali, uscii dalla cabina per immergermi nel consueto fracasso di sottocoperta: le assi scorrevoli che usavamo come tavoli erano state abbassate fra un cannone e l'altro e i pirati seduti alle panche vociavano mentre consumavano avidamente la loro frugale colazione.
Salutai gli altri pirati mentre facevo la fila per andare a prendere la razione per il capitano. A distribuire ai pirati affamati il pane e le mele trovai proprio Faith; lei mi guardò preoccupata appena ci trovammo faccia a faccia, ma io mi sforzai di fare buon viso a cattivo gioco e, dopo un istante di gelo, le rivolsi un timido sorriso, in silenzio.
Anche se stavo da cani, volevo, dovevo fare pace con lei. Subito, senza porre tempo in mezzo. Lei sembrò piacevolmente sorpresa dal mio gesto. Presi una mela e una fetta di pane e le misi su un vassoio di legno: li osservai vogliosamente, ma avrei mangiato dopo. Quelli dovevo portarli a Jack. Avevo intenzione di fare pace con entrambi: con lui e con Faith. Mi sarei tolta il bisogno di dirgli una minuscola parte di tutto quello che non avevo avuto il coraggio di rivelargli. Forse mi avrebbe fatto stare meglio. Forse.
Uscii sul ponte di coperta e mi godetti lo spettacolo della Perla alla mattina: soffiava una piacevole brezza, il cielo era limpido con solo qualche spruzzo di nuvole, e i gabbiani volteggiavano vicino agli alberi della nave lanciando richiami stridenti. Il mare era mosso, ma non troppo; era azzurrissimo con le creste bianche di spuma delle onde, praticamente lo specchio del cielo. Mi tornò un po' di buonumore: non riuscivo ad essere veramente giù con una giornata del genere, avevo ancora lo stomaco chiuso in una morsa che non sembrava avere alcuna intenzione di andarsene, ma se non altro mi teneva un po' su il morale.
La cosa peggiore era non riuscire nemmeno a provare un po' di sana e liberatoria rabbia.
Sarebbe stato comprensibile essere semplicemente in collera per quel colpo basso da parte della mia amica, no? Eppure, il forte legame che ci univa e il ricordo di tutti i sacrifici che ognuna aveva fatto per l'altra mi impedivano perfino di sentirmi semplicemente arrabbiata, e questo rendeva la cosa ancora più dolorosa e insopportabile, come un dolore lancinante che non puoi reprimere ma al quale non puoi neppure dare sfogo.
Aprii col gomito la porta che dava sulla saletta interna al cassero di poppa: la tenda stavolta non era tirata, così entrai direttamente nella sala degli ufficiali. E se il giorno prima, semplicemente, non mi fossi fermata ad origliare? Me lo chiesti, sconsolata, aggirando un piccolo mappamondo posto su un treppiede, e avvicinandomi alla porticina che dava nella stanza da letto del capitano. Mi sarei risparmiata tutte quelle grane inutili. Perché mi andava sempre tutto storto?
Jack Sparrow aveva fatto irruzione nella mia vita come solo un vero pirata era capace di fare. Era forse per questo che ora il pensiero di averlo perso completamente era così insopportabile?
Bussai forte alla porta: - Capitano, la colazione!- lo chiamai a voce alta, e fui sorpresa di sentirlo rispondermi subito.
- Avanti. -
Era già sveglio. Spinsi la porticina ed entrai.
Non ero mai entrata prima di allora nella cabina di Jack, e rimasi innegabilmente colpita: la quantità di forzieri e cianfrusaglie ammucchiati nella sala degli ufficiali non era niente in confronto a tutta la roba che il capitano aveva accumulato nella sua cabina. Il suo letto era contro la parete opposta; Jack aveva il lusso di un letto vero incatenato al pavimento, non una cuccetta né un'amaca, ma un vero materasso e vere lenzuola. Nella stanza c'erano anche un armadio di legno che sembrava averne passate di ogni, e ovunque guardassi era stipato di bauli, piccoli forzieri, bottiglie vuote o meno, calici, mappe, pergamene, attrezzi per segnare la rotta, pistole, coltelli dall'impugnatura decorata, candelabri, strane chincaglierie.
Trovai Jack già alzato, con gli stivali ai piedi, seduto sul suo letto; aveva l'espressione pensierosa, ma quando mi vide entrare alzò gli occhi su di me, inarcando le sopracciglia nel suo modo strano e mi rivolse un largo sorriso.
- Oh, sei tu, Laura! Buongiorno. - mi salutò, con l'aria più affabile del mondo.
Dovevo ignorare il suo sorriso. E, ora che lo notavo, il fatto che fosse in camicia e che gli si scorgesse una buona parte di petto abbronzato.
- Buongiorno capitano. Ecco qui. - su un piccolo scrittoio non lontano dal letto c'era un po' di spazio: gli lasciai il vassoio sopra un paio di mappe spiegazzate, poi alzai lo sguardo su di lui, prendendo in silenzio un gran respiro. - Ah, Jack, senti... riguardo a ieri... volevo dirti che non sono arrabbiata. Non è niente. -
Jack allargò gli occhi, irrigidendo il collo; sembrò sorpreso, ma anche sollevato perché alcuni attimi dopo fece scattare in alto una mano esclamando: - Oh! Mi... mi fa piacere!-
Appena l'ebbe detto, richiuse all'improvviso le labbra come a volersi rimangiare le parole, corrucciandosi più che mai.
- Cioè... no no no, non mi fa piacere!- si corresse agitando, freneticamente la mani davanti al viso in modo tanto buffo che dovetti trattenermi per non scoppiare a ridere sul serio.
- Quello che voglio dire è che mi dispiace! Insomma, sono contento che non te la sia presa... oh, ma ciò non significa che tu non ne avessi tutto il diritto, eh?-
Gesticolava in modo così assurdo che non ce la feci e risi, portandomi svelta una mano alla bocca: vedermi ridere sembrò tranquillizzarlo, così abbassò con gesto lento le dita alzate in aria e riuscì finalmente a terminare in tono più pacato.
- Ti faccio le mie scuse. Mi rincresce che tu abbia sentito quel che hai sentito, perché non sono cose che pensavo. Sono un capitano: non penso la metà delle cose che dico in presenza del mio equipaggio. E quando si parla di discorsi in cabina tra uomini ubriachi... Credimi: ogni parola che dico a te adesso, a tu per tu, vale dieci volta qualsiasi sciocchezza tu mi abbia sentito pronunciare l'altra sera. -
- Lo so. E so che non avrei dovuto prendermela così a male. In fondo, come hai detto tu e come ha rimarcato Faith... sono uomini!- mi sforzai di alleggerire la cosa, e anche Jack sorrise sotto i baffi alle mie parole. - Solo che... ecco... è che forse non me lo aspettavo... da te. -
Un momento, ma che stavo dicendo? Ero lì per chiudere una questione, niente di più, diamine, stavo sconfinando in un limite pericoloso. Jack smise di sorridere, abbassò gli occhi per un attimo corrucciando le labbra, quindi risollevò il viso verso di me.
- Non dicevamo davvero, te lo giuro. Almeno, io di certo non parlavo sul serio. Scherzavamo soltanto, in modo piuttosto pesante, lo ammetto, ma... non intendevamo mancare di rispetto né a te né a Faith, davvero. Scusami. -
Lo disse quasi con aria solenne, in modo tale che mi strappò un sorriso divertito. Ecco una cosa che non avevo ancora visto prima di allora: Jack serio. Quasi serio. Era forse una delle pochissime volte che l'avevo visto così, e mi sentii lusingata dalla sincerità che sentivo nelle sue parole.
- Tutti questi problemi, e solo perché siamo due donne a bordo. - sospirai, per poi scrutarlo con aria meditabonda mentre rimuginavo. - Che cosa diresti di me in quanto mozzo, se io fossi un uomo?-
Un sopracciglio di Jack scattò verso la sua bandana rossa.
- Prego?-
- Se io fossi un uomo. Se tu non ti sentissi in dovere di rivaleggiare con la tua ciurma quando si tratta di ricordare a tutti quanti che siamo donne e che cosa questo significa per una ciurma di pirati. Che cosa diresti?-
Jack sembrò prendermi sul serio, perché si accarezzò la barba e rifletté per qualche secondo.
- In quel caso direi... che sei un giovanotto estremamente volenteroso, molto più di quanto avessi sospettato quando ti ho ingaggiato. Che impari in fretta. Che devi mettere su ancora un po' di muscoli, o la prima mareggiata ti porterà via, ma che stai dando buona prova di te. Ti direi che sono orgoglioso di te. - i denti d'oro brillarono. - E ti direi che mi metti molto a disagio, perché ti troverei piuttosto carino per essere un uomo. -
Stavolta risi sul serio, e poi gli tesi una mano.
- Scuse accettate, capitano. -
Lui me la strinse vigorosamente e mi regalò un altro dei suoi meravigliosi sorrisi: a quanto pare adorava farmi del male. Come avevo potuto tirare uno schiaffo a quel viso così bello solo pochi giorni prima?
- Su, mangia. - lo invitai, mentre facevo per dirigermi alla porta. - Oggi dovete incontrare Beatrix, vero?-
Jack sospirò mentre giocherellava con la mela.
- Temo di sì. - rispose. Ad un certo punto mi lanciò un'altra occhiata, lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso. - Bella bandana. - terminò con voce flautata a mo' di saluto.
Tornai in cambusa perché ormai il mio stomaco aveva cominciato a protestare. Mi servii di pane e mela e mi sedetti alla tavolata insieme agli altri a consumare la mia colazione. Avevo appena attaccato alla mia mela, chiedendomi se sarei mai riuscita ad accettare che non avrei mai avuto Jack e soprattutto perché mi sembrava di rendermene conto soltanto ora che l'avevo perso definitivamente, quando Faith mi si sedette accanto.
- Come stai?- mi chiese in tono gentile: un'offerta di pace.
Scrollai le spalle. - Sopravviverò. - mi costrinsi a voltarmi a guardarla, perché dovevo delle scuse anche a lei. - Faith, ti devo dire una cosa. -
- Laura... -
- E devi lasciarmi parlare. -
Mi tirai nervosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio e presi fiato; se mi avesse interrotto avrei perso completamente il filo di ciò che intendevo dirle.
- Scusa se sono stata così fredda ieri sera... però devi capirmi, ero arrabbiata. Sono arrabbiata. Voglio essere sincera: io tengo a Jack. Ma se c'è qualcosa tra di voi, se io sono arrivata tardi... va bene. So perdere. In fondo alla fine di questa storia lascerò la Perla Nera e me ne tornerò ad Oyster Bay con Elizabeth. - non avrei sopportato di vedere loro due insieme. - Ti devo tanto, tantissimo, e non posso rovinare tutto per una sciocca bega amorosa. Non abbiamo mai litigato e non comincerò proprio ora. - appena ebbi ripreso fiato la guardai, in attesa di una risposta.
- Laura... - disse lei lentamente, con un'espressione quasi commossa. - Ti giuro, neanch'io avrei mai voluto ferirti e mi dispiace tantissimo, davvero. Sono contenta che siamo ancora amiche... -
- Anch'io. - risposi, ma il mio tono dovette tradire il mio vero stato d'animo. Faith si era presa il mio capitano, e malgrado le mie offerte di pace non potevo passarci sopra tanto facilmente.
A quel punto lei cambiò del tutto espressione e lo sguardo le si accese, mentre incrociava le braccia sul tavolo e mi si accostava.
- Ascoltami, anche io devo essere sincera con te. Non sopporto di vederti mentre mi guardi con quell'espressione: so che cosa vuol dire. No, fammi parlare. Ieri sera, no, quando lui... quando l'ho baciato. - per un momento Faith abbassò gli occhi. - Sono stata io a prendere l'iniziativa: non lo so perché, è solo colpa mia. Non sono felice di averlo fatto, e lui non mi ha incoraggiata in alcun modo. Non siamo... mai state libere come siamo in questo momento, Laura. Tutto è così strano. Tutto potrebbe succedere. E il capitano, nonostante tutto, è sempre stato così gentile con noi: ci ha accolte e ci ha protette. Sta ripagando il suo debito. È per questo che ti dico che sono convinta che sia un brav'uomo. Lui è un uomo speciale, e penso di essere stata... attratta da lui per questo, ma... come gli ho dato quel bacio, ieri, sono fuggita. -
Si interruppe per un attimo, mordicchiandosi un labbro come aspettando una mia reazione, ma poi continuò.
- Sono fuggita perché mi ero resa conto di avere fatto uno stupido errore. Non lo volevo. E non avrei avuto il diritto di farlo, sapendo che tu... Sono andata da Jack stamattina prima che tu ti svegliassi, perché non sopportavo più di tenere la cosa in sospeso. Ne abbiamo parlato... - arrossì violentemente, e con una punta di malizia pensai in cuor mio che io sarei morta piuttosto che trovarmi in una situazione del genere. - Gli ho spiegato che mi sentivo in colpa e che è stato solo... un bacio. Cioè, nulla di più. Se è quello che vuoi sapere, non sono innamorata di lui e non la sono mai stata. -
Il mondo si fermò per un attimo mentre facevo il punto della situazione.
Faith e Jack avevano parlato quella mattina, e a quanto pareva avevano fatto luce sul bacio della sera prima. Faith non amava Jack. Faith non lo voleva. Poi quando io ero entrata nella sua cabina, il sorriso e lo sguardo di Jack erano stati per me. Non per Faith. Per me. Come del resto lo erano stati tutti i sorrisi che mi aveva lanciato da quando ero sulla Perla, e il bacio sulla guancia datomi a tradimento fuori dalla cambusa. Tutti segnali molto eloquenti, che io invece mi ero ostinata ad ignorare fino a quel momento.
Riportai lo sguardo sul mio piatto.
- Va bene, allora. - mi limitai a commentare nel tono più neutro possibile. Faith, non soddisfatta dalla mia reazione e incoraggiata dal modo in cui l'avevo perdonata poco prima, mi stuzzicò col gomito: - Andiamo... le avvisaglie ci sono tutte, che cosa aspetti ancora?-
- Ah-ha. Sei stata tu quella che ha tirato fuori la parola “amore” nel discorso. Io non l'ho mai fatto. -
- Solo perché non ne hai il coraggio. -
Agguantai la prima cosa che mi capitò a tiro, ovvero la mia mela, e la tirai in testa alla mia amica con la precisione di un proiettile. Dopotutto me la doveva una piccola rivincita: lei infatti sobbalzò e protestò, ma poi scoppiammo entrambe in una risata liberatoria. Finalmente eravamo tornate quelle di prima.

*

Mi spostai cautamente lungo il pennone, equilibrandomi sulla corda portante; una volta all'estremità cominciai a dispiegare la vela; dal lato opposto John, uno dei gabbieri, faceva altrettanto. Poco a poco la vela prese il vento e si gonfiò, mi ressi al pennone, spostandomi perché la vela non mi arrivasse addosso, mentre sopra di noi venivano spiegate le altre vele: eravamo molto, molto in alto, dispiegare le vele richiedeva la massima efficienza e attenzione, poiché un volo dalle sartie da quell'altezza non era consigliabile per nessuno. Avevamo il vento a favore, e se le cose continuavano così saremmo arrivati a Tortuga in poche ore. - Perfetto!- mi gridò John. - Possiamo tornare giù!- si dondolò e si lasciò cadere sulle sartie, per aggrapparsi con agilità e cominciare la discesa. Lo imitai, e presi a percorrere rapidamente a ritroso l'intricata strada sospesa nel vuoto costituita dal cordame. Quando ebbi percorso già un buon pezzo notai vicino a me una delle funi che alcuni dei pirati usavano per scendere più velocemente; l'occasione era troppo ghiotta e ormai avevo imparato abbastanza bene come fare, la afferrai saldamente, mi bilanciai sulle sartie e poi saltai giù. Descrissi un breve arco e planai sul ponte; stavo per lasciarmi andare quando all'improvviso travolsi Gibbs, buttandoci entrambi lunghi distesi sulle assi del ponte. - Oddio, scusa!- esclamai, mentre lo aiutavo a rialzarsi.
- Questi mozzi!- protestò Gibbs massaggiandosi la schiena, ma ridendo. - Credono sempre di saper tutto e poi guarda cosa ti vanno a combinare!-
- Scusami... - ripetei, mentre attorno a noi tutti i pirati ridevano fragorosamente. - Cosa succede qui?- era arrivato Jack, Gibbs agitò la mano per dire che era tutto a posto. - Niente, niente; tutto sotto controllo! Mi solo piovuto addosso un mozzo volante!- rise; Jack mi lanciò un'occhiata sorniona. - Occhio con le funi, d'accordo?- disse, in tono appena un po' più rigido, ma solo un po'. - Non decimarmi la ciurma!- annuii, un po' imbarazzata per l'incidente. - Va bene... scusami, starò più attenta!-
- Oppure la prossima volta almeno vedi di travolgere me... quello te lo concedo!- mi stuzzicò Jack, lanciandomi un'occhiata ammiccante. Tornammo tutti al lavoro, ed io mi incamminai sul ponte canticchiando un motivetto che avevo imparato sulla Perla. - Pirati, corsari e gran bucanieri, yo ho, beviamoci su! Yo ho, yo ho, la vita pirata per me... -

*

Arrivammo a Tortuga poche ore dopo, e mentre ci avvicinavamo non potei fare a meno che sporgermi dal parapetto per vedere il porto della città che si avvicinava. Tortuga! La stella polare dei pirati di tutto il mar dei Caraibi, il punto nevralgico di ogni attività malavitosa, per mare o per terra. Avevo sentito così tante storie su quel posto favoloso e maledetto che rimasi ad osservare rapita mentre alle mie orecchie giungevano suoni di grida, spari, musica, risate di ubriachi. Entro poche ore sarebbe scesa la sera, eravamo ormai vicini e vedevo la banchina gremita di piccole imbarcazioni e due golette, più avanti, dove cominciava la strada ingombra di gente rissosa o semplicemente ubriaca, si estendeva la città con la luce scoppiettante che si vedeva dalla finestre delle locande.
Jack, dalla sua postazione sul cassero di prua, abbassò il cannocchiale col quale aveva osservato il porto finché non fummo abbastanza vicini. Gibbs si avvicinò alle sue spalle e guardò nella stessa direzione con aria corrucciata. - Vedi la sua nave? -
- No. - replicò lui, richiudendo lo strumento su sé stesso. - Potrebbe essere ormeggiata ovunque, l'isola è molto grande. E comunque... non potremmo certo attaccarla, pessima idea finché hanno loro il figlio di William. -
L'Olandese stava cominciando a rallentare la sua andatura: certamente William non aveva intenzione di attraccare, perciò la Perla Nera sarebbe dovuta andare da sola al suo incontro. Spostandosi lungo il ponte e guardando verso la nave accanto, dove Elizabeth e William erano affacciati al parapetto scrutando la città davanti a noi, Jack si portò le mani ad imbuto davanti alla bocca e gridò: - Ohi! Signori Turner! Ho bisogno di conferire con voi un minuto!-
Così entrambe le navi si misero alla cappa, e i timonieri manovrarono finché le due navi non furono bordo a bordo, sufficientemente vicine da calare la passerella perché Will ed Elizabeth passassero sul ponte della Perla Nera e raggiungessero Jack che li attendeva sotto l'albero maestro: tutta la ciurma si fermò per assistere all'incontro, io e Faith eravamo sedute ad un passo da loro, impegnate ad intrecciare delle cime. Attesi col fiato sospeso che Jack comunicasse come aveva intenzione di muoversi per salvare David dalle mani dei rapitori.
- Scendiamo ora. - spiegò appoggiandosi con una mano all'albero maestro. - Tu ed io. - indicò sé stesso ed Elizabeth, la quale naturalmente neppure per un secondo aveva contemplato l'idea di essere lasciata a bordo durante l'incontro. - Andiamo al Cigno Nero, incontriamo Beatrix e sentiamo che cosa vuole. Ci saremo solo noi, ha detto espressamente di non portare nessun altro della ciurma. -
Will lanciò un'occhiata al porto gremito con espressione molto dubbiosa: - Mi puzza di trappola lontano un miglio; non sarebbe più saggio farvi seguire a distanza da qualcuno dei tuoi uomini?- domandò, ma Jack sospirò fra i denti e scosse la testa. - No, troppo rischioso. - accennò alla moltitudine di gente sul molo. - Scommetto quello che vuoi che lì in mezzo c'è qualche spia di Beatrix che aspetta solo di vedere se ci portiamo dietro qualcuno, pronti ad agire di conseguenza... no, no, credimi, per il bene di David è meglio se andiamo noi da soli. -
- E poi?- insistette Will, evidentemente contrariato. - Qualunque cosa avrà in progetto per te, ci cadrete dentro senza neanche dire “bah”. Ve ne andrete tranquilli a farvi prendere nella tela del ragno senza lo straccio di un piano?-
Elizabeth assisteva in silenzio allo scambio di vedute dei due, lo sguardo preoccupato come le avevo visto poche volte. Jack alzò gli occhi al cielo, quindi gli si accostò fissandolo negli occhi. - William... - disse con calma come se stesse spiegando ad un mentecatto. - O stiamo al loro gioco e ci facciamo infinocchiare come loro vogliono... e troviamo David... o cerchiamo di fare i furbi, ci cacciamo nei guai e non troviamo David. Siamo in svantaggio. Comprendi?-
Quindi gli voltò le spalle e si diresse con passo ondeggiante verso Gibbs, che accanto al castello di prua attendeva ordini, gli si appoggiò per un attimo contro la spalla e gli disse: - Preparati. -
Nulla di più. Ma Gibbs sembrò avere capito, perché fece un cenno di assenso con la testa, e Jack tornò indietro verso Elizabeth e Will, sorpassando me che, seduta sul ponte, non mi ero persa una parola del loro discorso.
Avevo ascoltato le parole di Jack, e mi rivolsi alla mia amica abbassando la voce perché il terzetto non ci sentisse: - E' assurdo. Quella Beatrix li catturerà tutti e due, è sicuramente una trappola!-
Faith alzò lo sguardo su di me, stringendo gli occhi. - Lo so, Laura, lo sa anche Jack, hai sentito. - replicò. - Ma ha ragione lui, non possiamo fare niente senza mettere a rischio la vita di David. - mi voltai a guardare Jack ed Elizabeth. Avrebbero avuto bisogno di una retroguardia, qualcuno che potesse guardargli le spalle o perlomeno che potesse correre subito alla Perla a dare l'allarme nel caso la situazione si fosse messa al peggio. Ma di certo ci controllavano; nessuno di noi sarebbe potuto scendere dalla Perla senza venire pedinato dalle spie di Beatrix. A meno che... Di colpo mi alzai in piedi.
- Faith, non li perdere di vista, torno subito. - prima che la mia amica potesse chiedermi spiegazioni corsi alla nostra cabina e frugai nel piccolo baule: sul fondo, discretamente spiegazzati, c'erano i vestiti che io e Faith indossavamo quando ci eravamo imbarcate. Presi il lenzuolo dalla mia cuccetta, lo stesi per terra e vi posai sopra i due abiti, poi cercai finché non trovai un paio di vecchi cappelli a tesa molto larga, uno dei quali apparteneva ad Annamaria: sperai che mi scusasse per il prestito. Agguantai insieme i quattro capi del lenzuolo facendone un sacco e me lo caricai sulle spalle, quindi, coi cappelli in mano, tornai rapidamente sul ponte.
- E tu... - vidi Jack voltarsi verso la scimmia che si era seduta sul parapetto accanto a loro, facendogli gesto con le mani di cacciarla via. - Via da qui, sciò! Tornatene a casa, la strada la sai... - ma mentre stava ancora parlando, la scimmia spiccò un salto e, inaudito, gli si arrampicò sulla spalla. Rimasi ad occhi sgranati mentre camminavo verso Faith col sacco sulle spalle, cercando di non dare troppo nell'occhio: la scimmia non si era mai nemmeno fatta toccare da nessuno, figurarsi da Jack!
- Ehi!- lui prese a dimenarsi, saltellando in cerchio mentre Elizabeth e William lo fissavano sconcertati. - Vattene giù immediatamente! Sloggia! Ho mai dato l'impressione di volerti portare in groppa?-
Per tutta risposta la scimmia soffiò minacciosamente e si attaccò più forte alla sua giacca.
- Ma che gli è preso?- fece Elizabeth scrutando di sottecchi l'animale. Jack si avvicinò goffamente ai due porgendo la spalla alla quale era aggrappata la scimmia. - Staccatemela di dosso, vi prego!- implorò, scuotendo il braccio.
Will fece per farsi avanti e agguantare la scimmietta ostinata, ma quella soffiò mostrando una chiostra di dentini aguzzi, e lui sembrò cambiare idea. - Non mi sembra il caso, Jack... - si scusò facendo un passo indietro.
- Sembra che voglia venire anche lei dopotutto. - disse Elizabeth con espressione quasi divertita.
- Questa bestiaccia capisce un po' troppo. - sbuffò Jack, facendo un altro tentativo di afferrare la scimmia per la collottola, evitando per un soffio un bel morso sulle dita. - Oh, e va bene, resta lì!- si arrese lanciando un'occhiata bieca all'animaletto ancora saldamente aggrappato alla sua spalla. - Solo per stavolta. E che non diventi un'abitudine, comprendi bestiaccia?-
La scimmietta berciò trionfante, agitando in aria il pugnetto. Quell'attimo di divertimento fu rotto dallo sguardo che Jack scoccò a William: tutti sapevamo che cosa significava. - Noi andiamo. - disse, improvvisamente molto serio. - Credo sia meglio che anche tu vada, a questo punto. -
Will abbassò gli occhi per un attimo, quindi annuì lentamente mentre lo rialzava sul capitano. - Grazie. - disse semplicemente. Lui gli fece un cenno col capo, quindi si allontanò di un passo lasciandolo solo accanto ad Elizabeth: ebbi una stretta al cuore, ecco una cosa alla quale non avrei voluto dover assistere, il secondo addio fra i miei amici.
- Di' a David che gli voglio bene. - disse Will accarezzando dolcemente la guancia di Elizabeth, mentre lei stringeva la sua mano fra le sue. - E... che desidero tanto vederlo, quando potrò tornare. -
Non aggiunse altro, non lasciò nemmeno ad Elizabeth il tempo di replicare: tolta la mano dal suo viso le voltò le spalle e si incamminò in fretta sulla passerella tesa fra le due navi, pronto a lasciarci per sempre. Elizabeth non lo fermò.
- William!- era stata Faith a chiamarlo, si era alzata in piedi al mio fianco. Will si fermò a metà passerella e voltò appena il capo nella nostra direzione.- Buona fortuna. - fu tutto quello che riuscì ad aggiungere Faith. Will annuì, quindi tornò all'Olandese.
“Addio amico mio.” aggiunsi in cuor mio. “E' così che finisce allora? Hai terminato il tuo compito, qui?”
La passerella fu ritirata e le due navi si separarono; così, mentre la Perla Nera procedeva verso il porto di Tortuga, l'Olandese virò, probabilmente diretta verso il mare aperto. Elizabeth rimase con la schiena appoggiata al parapetto e lo sguardo perso nel vuoto: stava soffrendo, era evidente.
Avrei voluto andare da lei e dirle qualcosa, ma non mi veniva in mente niente che avrebbe potuto alleviare un tale peso da sopportare. Improvvisamente mi venne da ripensare a come mi ero sentita quando avevo creduto che Jack preferisse Faith a me e mi sentii assalita dai sensi di colpa.
Attraccammo nel porto mentre l'Olandese già si era allontanata alle nostre spalle, e mentre il capitano ed Elizabeth scendevano sul molo, con Jack curiosamente piegato su sé stesso come cercando di tenere tutto il resto del suo corpo il più possibile lontano dalla spalla, mi rammentai improvvisamente del mio piano, così raggiunsi Faith e le misi in mano il cappello. - Mettitelo, svelta. -
- Ma che cosa hai intenzione di fare?- domandò lei mentre se lo metteva.
Indossavo già la bandana; raccolsi i capelli e li infilai nel cappello, abbassandomelo sul viso quasi fino agli occhi. - Le spie di Barbossa vedranno due ragazzi scendere dalla Perla. - spiegai, mentre la aiutavo a nascondersi il volto sotto il proprio cappello. - Ma quelle che seguiranno Jack ed Elizabeth saranno due ragazze. - lei fece tanto d'occhi. - E come, scusa?-
I due si stavano già allontanando, non c'era più tempo per le spiegazioni: la presi per mano e, sistemandomi il sacco in spalla, la incitai a seguirmi. - Te lo spiego dopo, andiamo!- scendemmo a terra e cominciammo a seguirli a debita distanza. Il nostro aspetto era perfettamente adatto al nostro scopo, ero a tutti gli effetti un anonimo mozzo: nient'altro che un ragazzo non particolarmente alto, con occhi scuri e capelli castani celati sotto la tesa del vecchio cappello, abbigliato poveramente; ed era una fortuna che la camicia di batista che indossavo fosse abbastanza larga in modo da completare ancor meglio il mio travestimento. Non apparendo altro che banali ragazzi di bordo, sarebbe stato ancora più facile depistare gli inseguitori una volta che avessimo cambiato abito.
Vidi Jack che diceva qualcosa ad Elizabeth, mentre ci facevamo largo fra la gente del molo io scrutavo le persone che avevo attorno, nel tentativo di capire chi potesse essere una spia di Beatrix. Jack condusse Elizabeth per le strade di Tortuga e noi due, fra gli ubriachi che ciondolavano per strada e le risse furibonde, faticavamo a stargli dietro. Ad un certo punto fui convinta di aver trovato l'uomo che ci seguiva: potevo giurare che era la terza volta che lo vedevo, e pareva starci alle calcagna con tenacia; un uomo grosso con una folta criniera bionda e scarmigliata, con una lunga sciabola in cintura. Bene, era il momento di cambiare identità: feci segno a Faith di seguirmi e, sempre col cappello calato sul viso, mi accostai ad un gruppo di donne a lato della strada. - Scusate signora... - dissi ad una, con voce più roca che potei.
- Che c'è, carino?- mi chiese lei in tono mellifuo, portandosi una mano sul fianco in una posa studiata.
- Sapreste dirmi dov'è la locanda del Cigno Nero?- lei ci pensò su un attimo, poi indicò la strada davanti a noi. - Sempre dritto e poi a sinistra, tesoro, non ti puoi sbagliare. -
- Grazie. - ci allontanammo in fretta. - Lì dentro. - dissi a Faith accennando ad un vicolo; c'era puzza di rum, di pesce e di urina, e fra mucchi di immondizia stavano scompostamente distesi due ubriachi: uno era svenuto o addormentato, l'altro aprì appena un occhio quando ci avvicinammo, ma si limitò a bofonchiare qualcosa e abbracciare più stretta la sua bottiglia. Mi tolsi il sacco dalle spalle e diedi a Faith il suo abito. - Tieni, infilalo sopra ai vestiti. - gettai via il cappello scrollandomi i capelli lunghi sulle spalle e mi slacciai la bandana, infilandomela in tasca, poi lottai per indossare il mio vestito sopra alla camicia. L'ubriaco ci fissò con gli occhi vacui spalancati, probabilmente stupito di vedere due giovani mozzi trasformati di colpo in due ragazze; biascicò qualcosa in tono sorpreso per poi crollare addormentato. Mi sistemai frettolosamente la gonna: i pantaloni che portavo sotto non si vedevano, e anche Faith era a posto. Uscimmo dal vicolo cercando di assumere un'aria noncurante; avevamo perso di vista il duo, ma se le indicazioni della donna erano giuste li avremmo raggiunti direttamente alla locanda. Mentre proseguivamo lanciai un'occhiata indietro e vidi il tizio biondo dirigersi a passo svelto verso il vicolo stringendo la sciabola in una mano: potevo solo sperare che non scoprisse troppo in fretta il trucco.
Voltammo a sinistra e trovammo il Cigno Nero: l'insegna dondolava, cigolando sinistramente, e vi era disegnata la sagoma stilizzata di un cigno color pece. Aprii la porta e, una dopo l'altra, entrammo nella locanda.
Va bene, non era stata una delle mie trovate migliori: eravamo due ragazze sole in una delle peggiori locande di Tortuga; normalmente non avrei mai messo piede in un posto del genere.
- Laura!- Faith mi tirò per la manica; c'erano Jack ed Elizabeth a pochi passi da noi, ci facemmo indietro, neanche loro dovevano vederci. Mentre la scimmia ancora appollaiata sulla sua spalla si drizzava e girava attorno la testolina come se fosse alla ricerca di qualcuno, Jack si avvicinò al bancone dove una giovane dai capelli scuri raccolti in una treccia stava pulendo dei boccali: le chiese qualcosa e lei indicò verso i tavoli, per poi rimanere a guardarlo con aria adorante. Le scoccai di sottecchi un'occhiataccia ma di certo non mi vedeva; Jack si incamminò allora verso i tavoli seguito da Elizabeth. Improvvisamente un uomo piombò a terra ad un centimetro dai miei piedi, quello che lo aveva buttato a terra si lanciò su di lui e cominciò a riempirlo di pugni mentre gli avventori della taverna si accalcavano attorno ai due urlando e chiedendo la rissa. Noi due ci spostammo più in fretta che potemmo, prima che la calca di persone in delirio ci travolgesse.
Ci eravamo appena allontanate dalla rissa quando vidi un uomo spuntare dalla ressa di gente e accostarsi a Jack ed Elizabeth, fermandoli: - Voi due, seguitemi. - ordinò accennando col capo a qualcosa dietro di lui. Loro si scambiarono un'occhiata, poi lo seguirono: l'uomo li accompagnò ad un tavolo e li fece sedere, al tavolo sedevano già un altro pirata e Beatrix Barbossa in persona, con aria infinitamente rilassata e un boccale stretto in mano. Io e Faith, trattenendo il fiato per la tensione, andammo a sederci ad un tavolo vicino: per fortuna ora nella locanda c'era una certa confusione, e nessuno del tavolo accanto ci notò.
- Benarrivati. - fece Beatrix con un sorriso ironico, posando sul tavolo il boccale da cui aveva appena bevuto e incrociando le braccia. - Vi stavo aspettando. -
- Vedo. - commentò Jack lanciando un'occhiata ai due corpulenti pirati seduti al fianco di Beatrix come guardie del corpo. Si era appena seduto quando la scimmia spiccò un salto e dalla sua spalla balzò a quella della donna, che sussultò sorpresa per un attimo, ma poi vedendo che l'animale si accomodava docilmente sul suo braccio arricciò appena gli angoli della bocca in un sorriso e prese ad accarezzare distrattamente il pelo nero della scimmia.
- Schifosa carognetta. - sbottò Jack in tono risentito rivolto alla scimmia. - Ma veniamo al punto, dato che sei stata così carina da organizzare questo bel ritrovo: cos'è che vuoi?- il sorriso di Beatrix si allargò, ma stavolta era crudele, quasi spiritato. - Cosa voglio? Voglio trattare con te, semplicemente. Dopotutto... - rapida come il lampo estrasse una pistola e in men che non si dica l'aveva puntata in fronte a Jack, tirando indietro il cane con il pollice. - ...non c'è nessun motivo per non essere civili, no?-
Jack fissò la canna della pistola puntata sulla sua fronte tanto intensamente da incrociarsi gli occhi. - No no, proprio nessuno... - disse, riportando lo sguardo su Beatrix.
- Non credi di averci fatto già abbastanza male, maledetta?- scattò Elizabeth picchiando i pugni sul tavolo e protendendosi vero di lei, fissandola con odio. Uno dei pirati la prese per la spalla e la risospinse bruscamente a sedere, mentre Beatrix la guardò con aria di sufficienza come se avesse a che fare con una bambina capricciosa: - Vedi di calmarti, o al tuo bambino potrebbe capitare qualcosa di brutto. - avvertì, in tono gelido.
- Dov'è mio figlio?- ringhiò lei calcando le parole; non l'avevo mai vista così arrabbiata.
- Non vi scaldate, madamigella. - replicò lei con tutta la calma del mondo e facendosi quasi sfuggire una risata alla rabbia cieca dei miei amici, evidentemente le piaceva avere la situazione in pugno. - Vostro figlio è sulla mia nave, non gli è stato fatto alcun male. -
- La tua offerta?- chiese Jack, senza smettere di seguire con gli occhi la pistola puntata alla sua testa.
- La Perla Nera. - la mano armata di Beatrix fremeva, con l'indice sul grilletto: iniziai a sudare freddo, come previsto quella non era la trattativa di un riscatto ma una trappola pronta a scattare. - Cedimi la tua nave ora, e lascerò vivi miss Turner e il bambino. - la pistola si spostò da Jack ad Elizabeth che fissava Beatrix con odio crescente.
Jack guardò Elizabeth seduta alla sua destra, poi guardò il pirata che sorvegliava la sua sinistra, infine tornò a guardare Beatrix. - No. - rispose dopo aver finto di pensarci sopra un attimo. - Perché non vai a reclamarla di persona, visto che ci tieni così tanto?-
- Come no, cercare di prenderla mentre è ormeggiata per scontrarci contro i tuoi uomini armati che avrai sicuramente preparato all'evenienza?- ribatté lei, sardonica, senza spostare la pistola da Elizabeth. - Affrontarla in mare per fare schiacciare la mia nave dalla sua maggiore potenza di fuoco? Oh no, Jack Sparrow, non sono così stupida. Stupida come te, per il quale è bastato minacciare un marmocchio per farti accorrere dove ti volevo. In più, mio caro... la tua vita non era compresa nell'accordo. Sei tu adesso il mio ostaggio: vediamo se quel vecchio tricheco del tuo primo ufficiale è tanto attaccato a te da essere stupido quanto il suo capitano. -
La situazione era diventata critica, la trappola di Beatrix era scattata: era Jack quello che voleva catturare, un'altra esca nel suo piano per impossessarsi della Perla Nera. Feci un cenno a Faith e insieme ci alzammo lentamente, pronte a fuggire da quel posto il più rapidamente possibile.
- Miss Turner, voi volete rivedere il vostro David, giusto?- proseguì lei con un sorriso per niente amichevole. - Bene, sarete accontentati, perché lo raggiungerete... diciamo adesso. - i due pirati si alzarono in piedi, e contemporaneamente altri due uomini si avvicinarono al tavolo, chiudendo ogni via di fuga ai nostri amici: Beatrix aveva piazzato i suoi uomini ovunque. Poi non riuscii a vedere più nulla di quello che accadde perché una mano mi agguantò per un braccio e mi strattonò, ed io mi ritrovai a fissare un volto rabbioso circondato da una criniera bionda.
- Sapevo che c'era qualcosa che non andava!- esclamò il pirata, afferrandomi brutalmente per le spalle. - Due mozzi non svaniscono nel nulla, ma per magia diventano due ragazze! Due ragazze molto curiose... - mi divincolai, mentre lui estraeva un enorme coltello affilato. Lanciai un grido e afferrai la mano che mi stringeva il braccio, tentando di liberarmi. - Ti faccio vedere io cosa succede a chi mette il naso negli affari che non lo riguardano!-
- Lasciami!- urlai, dimenandomi mentre mi puntava il coltello alla gola. - Konrad! Basta così!- lo richiamò una voce alle mie spalle; il pirata abbassò il coltello ed io mi voltai: un secondo pirata bloccava Faith, era un tipo alto, dagli occhi scuri e infossati, con una barba corta e ricci capelli castani legati in una coda: era stato lui a fermare il mio aggressore. - Non prendo ordini da te, Ettore!- ringhiò Konrad, quasi spappolandomi il polso.
- Il capitano le vuole vive, mozzi o ragazze che siano. - ribatté il pirata di nome Ettore, dando uno strattone a Faith per costringerla a seguirlo. Nel frattempo gli altri pirati avevano circondato Jack ed Elizabeth, e li avevano disarmati: Beatrix osservava la scena soddisfatta continuando a carezzare la scimmietta che si era ormai scelta il suo posto privilegiato sulla sua spalla. I due pirati ci spinsero verso di lei. - Faith, mi dispiace... - mormorai, ma la mia amica scosse febbrilmente il capo. - Non è colpa tua. -
- Sono della sua ciurma. - disse Ettore, trascinandoci di fronte a Beatrix; lei ci scrutò sgranando gli occhi quasi divertita. - Non mi dire, Jack Sparrow, nonostante tutto hai provato a tenere una retroguardia? Idiota. Mi aspettavo almeno qualcuno di più valido di queste due. Meglio così, più ostaggi. Ottimo lavoro voi: portateli tutti a bordo e sbatteteli in cella. -
Ci spinsero rudemente in fila e, accerchiandoci e prendendoci per le braccia perché non potessimo scappare, ci portarono fuori dalla locanda. - Perché ci avete seguiti, dannazione? Andava abbastanza male senza che veniste catturate anche voi!- esclamò Jack mentre camminava davanti a me.
Pungolati dalle spade e minacciati dalle pistole fummo condotti lungo la strada: non raggiungemmo il porto anche se per un po' riuscii a distinguere al di sopra delle cascine gli alberi maestri delle navi ormeggiate, e anche quello che riconobbi come quello della Perla Nera. Ma era troppo lontana, e anche se gli uomini di Beatrix ci avessero fatto passare per la banchina, in mezzo alla folla la ciurma non ci avrebbe mai visto. In quel momento mi ricordai che Jack si era accostato a Gibbs prima di scendere a terra, e gli aveva detto “Preparati”. Solo quello. Sperai di tutto cuore che avesse previsto un piano di riserva e mi aggrappai a quella speranza con tutte le mie forze.
Attraversando le strade affollate di Tortuga raggiungemmo un altro porto: era lì che Beatrix aveva ormeggiato la sua nave. Era un grande vascello a tre alberi, più piccolo e slanciato della Perla; lessi il nome scolpito sulla fiancata: Revenge. Appropriato. Ci portarono a bordo a suon di spintoni e immediatamente la ciurma ci si affollò intorno, insultandoci e spintonandoci.
- Queste due non c'entrano col piano del capitano, giusto?- chiese un pirata, indicando me e Faith.
- No, sono due mozzi di Sparrow. - un altro pirata mi agguantò per un braccio. - Sono per noi. - disse, guardandomi in modo tale che per poco non mi venne da vomitare. Jack lo staccò violentemente da me e mi tirò indietro. - Oh, vuoi guai?!- esclamò il pirata, infuriato.
- Prendiamo le donne!- esclamò un altro, preparandosi ad assalirci.
- Lasciatele. - li richiamò severamente Beatrix; mio malgrado le fui grata. - Portate tutti in cella, due mozzi in più fanno sempre comodo. -
- A che gioco stai giocando, Beatrix? Se mi vuoi morto perché non mi uccidi subito?- chiese Jack; teneva ancora la mano sulla mia spalla, tenendomi lontana dai pirati. Beatrix gli rivolse un ghigno e gli si avvicinò. - Oh, ma io non ti voglio morto. - sussurrò, a un centimetro dalla sua faccia. - Non morto. Troppo facile. E se per caso ti venisse la tentazione di provare una delle tue fughe miracolose... pensa alle tue amiche, Sparrow. Loro non mi sono necessarie. - e senza aggiungere altro gli voltò le spalle e ordinò di mollare gli ormeggi. Fummo portati sottocoperta, nelle prigioni: là sotto c'era un tanfo tremendo, peggiore perfino di quello delle sentine della Perla, il che era tutto dire. I pirati chiusero Jack in una cella ed io, Faith ed Elizabeth in quella accanto, poi se ne andarono lasciandoci lì al buio, fra l'umido e la puzza di stantio.
Ad un tratto una voce infantile gridò: - Mamma!- una figuretta si alzò nella penombra a poca distanza da noi: c'era David nella cella di fronte alla nostra, si sporse dalle sbarre.
- David!- esclamò Elizabeth, affacciandosi freneticamente alle sbarre della cella. - Stai bene? Non ti hanno fatto del male, vero?-
David scosse la testa; io lo stavo osservando attentamente: i suoi vestiti erano luridi, era sporco e pallido, e mi sembrò anche dimagrito. Ebbi una stretta al cuore: per tutto il tempo che avevamo impiegato per raggiungere Tortuga lui era rimasto segregato in quell'orribile cella buia. - Non mi fanno uscire. - mormorò, poi lanciò un'occhiata preoccupata alla porta della prigione. - Ma uno che mi porta da mangiare è cattivo! Mi vuole tagliare la lingua! Io non voglio che mi tagli la lingua, mamma... - sembrava spaventato a morte, Elizabeth tese il braccio fuori dalle sbarre cercando di raggiungerlo. - Non aver paura, David, non aver paura... nessuno ti taglierà la lingua, e se quel pirata ci prova giuro che gliela taglio io!-
Mentre Elizabeth consolava il figlio e nel frattempo mormorava: - L'hanno rinchiuso qui e ha appena tre anni... non hanno davvero cuore... - vidi Jack sedersi con la schiena contro la parete di legno, con aria meditabonda. Forse anche lui, come me, si stava chiedendo dove volesse portarci Beatrix: non potevamo fare altro che aspettare, mentre la nave si allontanava rapida da Tortuga.

*

Si era gettato dall'Olandese e si era tuffato in acqua.
Ignorando le grida di suo padre e della ciurma dietro di lui era riemerso e aveva cominciato a nuotare verso l'isola, spingendo con tutta la forza concessagli dalle sue braccia.
Pazzo, sì. Forse era diventato pazzo. Così pazzo che l'idea di tornare ai confini dei mondo gli sembrava ormai insopportabile, così pazzo da desiderare ardentemente di tornare a terra... A terra!
La sua testa emerse dall'acqua mentre prendeva un profondo respiro. Non era poi così lontana, la riva, aveva una buona energia e in poco tempo l'avrebbe potuta raggiungere.
Via dall'Olandese Volante, via dal suo interminabile navigare, via dai mari spettrali dei confini del mondo... Strizzò gli occhi contro l'acqua salata che glieli faceva pizzicare e vide la riva a soli pochi metri da lui. Così vicina!
Si spinse in avanti con ulteriori bracciate, ma improvvisamente un'onda lo travolse e lo spinse sott'acqua, soffocandolo. Un'onda che andava controcorrente, spingendolo lontano dalla riva.
Sputacchiando, Will riemerse, ma un'altra onda innaturale lo spinse indietro con forza inaudita, allontanandolo dalla meta che così faticosamente aveva quasi raggiunto.
Stringendo i denti Will continuò ostinatamente a nuotare, ricevendo un'altra onda in piena faccia e ingoiando una sorsata di acqua salata. La corrente contraria gli afferrava le gambe, lo spingeva indietro, gli impediva qualsiasi movimento in direzione della terra ferma.
Allora Will gridò mentre le onde lo spingevano via, gridò dando sfogo a tutta la sua rabbia e la sua frustrazione con un urlo penetrante e infuriato che scosse l'animo di ogni uomo a bordo dell'Olandese. Quando la corrente lo riportò con innaturale velocità alla fiancata dell'Olandese Volante, Will stava piangendo. Lacrime di rabbia gli scorrevano calde sul volto già zuppo, mescolandosi all'acqua di mare, mentre suo padre gli gettava una cima e gli uomini lo issavano a bordo.
William si lasciò trascinare sul ponte. Che ridicolo capitano aveva l'Olandese Volante. Era stato a causa della notte, anzi, per essere sinceri le due notti, trascorse con Elizabeth? Era stata l'inebriante sensazione di averla di nuovo vicina e sua che aveva fatto crollare la sua determinazione di portare a termine il suo compito piegandosi al volere di Calypso?
- Will!- suo padre lo afferrò per la collottola rimettendolo bruscamente in piedi: stavolta non c'era niente di impacciato o tranquillo nei modi di suo padre, che una volta tiratolo su lo costrinse a guardarlo in viso. - Che ti è successo, Will? Lo sai anche tu che non puoi farci niente! Ti distruggerai se continui a questo modo!-
Odiava dovergli dire quelle cose, dover infrangere tutte le sue false speranze; ma erano tre anni che non vedeva il figlio talmente sconvolto. Credeva che i primi tempi sarebbero stati i peggiori, e in un certo senso lo erano stati: per i lunghi primi mesi Will era stato triste e taciturno... ma mai aveva perso il controllo a quel modo. Mai aveva detto una parola contro il suo compito. Mai aveva mostrato di volere sfidare la volontà di Calypso. Il vecchio Sputafuoco sentiva fin dall'inizio che tornare nei mari dei vivi sarebbe stata una cattiva idea, e ora vedeva realizzati i suoi timori nella cieca disperazione del figlio. Lo vide scuotersi l'acqua dai capelli, chiedendosi se sarebbe mai più stato in grado di accettare il suo destino come prima, se sarebbe riuscito a non perdere il senno. E per la prima volta tremava in cuor suo, sospettando che avrebbe potuto non farcela.
Will guardò suo padre, cercando una spiegazione per il suo gesto sconsiderato, ma in quel momento vide qualcosa alle sue spalle: una nave si allontanava da Tortuga, un galeone con la scritta Revenge che fiammeggiava a lettere rosse sulla fiancata. La nave di Beatrix Barbossa, realizzò con sgomento mentre la seguiva con gli occhi, se se ne stava andando poteva voler dire solo una cosa.
- Li hanno presi... - mormorò, senza riuscire a credere alle sue stesse parole. Sputafuoco seguì la direzione del suo sguardo e i suoi occhi si allargarono quando vide la Revenge che fuggiva. - Dov'è la Perla?- balbettò incredulo, cercando freneticamente un segno nelle acque attorno al galeone che si allontanava rapidamente, le vele gonfie di vento.
La Revenge era salpata da un'insenatura ad lato dell'isola, un alto promontorio separava quel luogo dal porto vero e proprio: oltre l'altura Will poteva giurare di scorgere l'albero della Perla Nera, ancora ormeggiato nel molo. - Perché non la insegue?- sibilò nervosamente tra i denti, facendo scattare lo sguardo fra le due navi. - Perché non le viene dietro?-
La Revenge se ne andava e la Perla non si muoveva, lasciando che il galeone pirata fuggisse portando Elizabeth e David con sé. Non poteva permetterlo, no!
In preda alla stessa furiosa follia che lo aveva spinto a tuffarsi fuoribordo, Will camminò rapido verso il castello di prua e si fermò con una mano contro la parete di legno. - Inseguite la Revenge. - fu l'unica cosa che disse voltandosi appena verso suo padre.
- Will... no! Non sai a cosa vai incontro!- cercò di fermarlo Sputafuoco, comprendendo che cosa volesse fare; ma Will lo incenerì con un'occhiata più determinata che mai. - Questo è un ordine. -
Distolse gli occhi dal padre e li portò sulla sua mano che aderiva alla parete. L'attimo di un respiro, e la mano affondò nel legno come parte di essa, seguita un istante dopo dal resto del corpo che attraversò le solide assi come se fossero state fatte d'acqua.

*

Due pirati sfaccendati erano scesi nelle prigioni, e da cinque minuti se ne stavano attaccati alle sbarre evidentemente divertendosi un mondo ad importunare me e le mie compagne di cella.
- Ehi, bella puttanella! E girati un momento!-
- Dai, signorina, vogliamo vedere come ti faccio godere?-
- Giuro che se continuano ancora un po' non rispondo più di me. - sibilai stringendo i denti per l'irritazione, sforzandomi di ignorare i due uomini disgustosi che stavano mettendo a dura prova i miei nervi. Io, Fatih ed Elizabeth gli avevamo voltato ostinatamente le spalle, ma quelli non sembravano per nulla intenzionati a lasciarci stare.
- Fatela finita voi due. - li richiamo pigramente Jack che si era accomodato a modo suo sdraiato sul pavimento della cella. - Se volete importunare qualcuno perché non importunate il capitano? O non siete più tanto spavaldi con le sue belle pistole puntate in faccia?-
- Tu chiudi quella boccaccia, pezzo di buffone!- sbraitò uno di loro sferrando un calcio alla grata della cella nella quale era rinchiuso Jack.
- Stiamo chiedendo a queste belle figliole se a loro garba avere qualcosa di nostro puntato in faccia... - e mentre quei due orribili pirati ridevano delle loro sconcezze, il suono della loro risata soffocò in parte un rumore ben più strano che proveniva da un angolo della stiva. Ma si accorsero del pericolo solo quando sentirono i passi alle loro spalle, ed ebbero appena il tempo di urlare e mettere mano alle armi che William con un calcio ne sbatté uno contro le sbarre, prima di piantargli la spada nello stomaco.
Il primo pirata ancora urlava come un maiale sgozzato mentre moriva: il secondo gridò qualcosa prima di avventarsi su Will con la sciabola sguainata, ma lui fu più rapido; abbassandosi schivò il colpo, e avanzando di un passo mise a segno un unico, brutale affondo che terminò nelle costole del pirata, il quale gemette orribilmente prima di accasciarsi sul pavimento in un bagno di sangue.
- Will!- gridò Elizabeth, avventandosi contro le sbarre. - Che cosa ci fai qui?!-
Con uno strattone, William liberò la lama dal corpo del pirata. - Sono qui per aiutarvi... - cominciò a dire, ma la voce di un altro pirata gridò dalle scale: - Che diamine sta succedendo quaggiù?!-
- Pezzo di idiota, scappa!- ringhiò Jack, facendogli segno col braccio di andarsene mentre il suo sguardo dardeggiava alle scale dove stava arrivando di corsa un altro pirata. Will invece avanzò con passo sicuro, la lama sguainata: era deciso, nulla poteva fermare il capitano dell'Olandese Volante, nessuno di quei pirati aveva il potere di ucciderlo finché il suo cuore rimaneva al sicuro nel forziere. Aveva il potere di salvare Elizabeth e l'avrebbe fatto: poteva uccidere tutti quei pirati finché non ne sarebbe rimasto nemmeno uno.
Il pirata lo fronteggiò agitando davanti a sé la sua spada. - Schifoso clandestino, come ci sei salito a bordo?- ruggì, incalzandolo con la spada.
Will era pronto, e fece per lanciarsi su di lui.
...
- Oh no, mio bel capitano. Ora stai... abusando del tuo potere. -
...
La stessa voce che aveva udito quella notte nella sua cabina gli suonò così vicina che la strega voodo conosciuta come Tia Dalma sarebbe potuta essere lì al suo fianco. Ma non fu quello a paralizzarlo. La mano destra, nella quale stringeva la spada, di colpo cominciò a dolergli in modo insopportabile come se gli si stessero spezzando le ossa, e la sua stessa carne cominciò a trasudare un muco appiccicoso. Con un grido di dolore Will cadde in ginocchio, stringendosi il braccio, e il pirata ne approfittò per agguantarlo per il collo e sbatterlo contro la parete.
- Idiota. - ringhiò, premendogli la spada contro la schiena. - Potrei squartarti in questo istante, ma penso che avrai molte cose da raccontare al capitano. - gli sferrò una botta in testa con l'elsa della spada abbastanza forte da farlo piombare a terra stordito, quindi si tolse dalla cintura un mazzo di chiavi e aprì la cella di Jack, per gettarvi dentro il giovane che ruzzolò sul pavimento come un fantoccio.
- Certo che sei un fenomeno... - sospirò Jack quando il pirata se ne fu andato, ribaltando uno stordito Will per metterlo seduto contro la grata. - Tutto a posto?-
Io, Faith ed Elizabeth ci schiacciammo contro le sbarre per vederlo: non sembrava stare bene, e non era soltanto per il colpo ricevuto. - Il suo braccio!- strillò Faith, sobbalzando. Guardai, e per poco il respiro non mi si strozzò in gola: il braccio destro di William, lo stesso con il quale poco prima aveva impugnato la spada con tanta maestria, era gonfio e verdastro e appariva traslucido, come la pelle di una creatura marina. La mano era orribilmente deformata, solo il pollice era rimasto ad una parvenza di umanità, mentre le altre quattro dita si erano fuse formando una sorta di osceno tentacolo. Sulla pelle del braccio, inoltre, erano spuntate piccole escrescenze simili a molluschi.
- Will... - mormorai senza fiato, sentendomi vicina alle lacrime.
- Ehww... - commentò Jack scrutando il braccio orribilmente mutato di Will. - Mi pare un chiaro avvertimento. Non credo sia il caso di utilizzare i tuoi poteri ancora una volta. -
Will scrutò per lunghi istanti quello che era stato il suo braccio ad occhi sgranati, quindi scosse lentamente il capo e alzò gli occhi su di noi. - Che cosa ho fatto... -
- Ci volevi aiutare!- singhiozzò Elizabeth, allungando le mani attraverso le sbarre per toccargli il viso. - Volevi salvarci, non hai fatto niente di sbagliato!-
- Mamma... - il debole richiamo di un bambino spaventato ci ricordò della presenza di David. Quasi all'unisono ci voltammo verso la cella accanto, dalla quale David faceva capolino fissando con espressione atterrita i pirati morti lasciati riversi sul pavimento.
Will si voltò e guardò suo figlio. Per un lunghissimo istante i loro sguardi si incrociarono, gli occhi nocciola spalancati per la paura del bimbo si fissarono in quelli castani e sgomenti del padre, e fu solo dopo un altro interminabile attimo che Will balbettò: - D...David?-
Il bambino non rispose, continuando a fissare Will come paralizzato: non avrei saputo dire se fosse spaventato per averlo visto uccidere i pirati, o se avesse visto il suo braccio trasformato.
- Tu sei David... mio figlio. - insistette Will facendosi coraggio e appoggiando il viso alle sbarre: nel farlo, vidi che tirava la manica della camicia a ricoprire, per quanto poteva, il braccio destro. - Sono William... sono tuo padre... -
- Papà!- esclamò finalmente David in tono stupefatto.
Un immenso sorriso illuminò il viso di Will, prima che il senso di vertigine provocatogli dal colpo ricevuto e dalla trasformazione del braccio avessero la meglio su di lui e, sotto i nostri occhi, lo facessero scivolare nell'incoscienza, accasciato contro le sbarre della cella.

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Capitolo 10
*** Prigionieri ***


Capitolo 10
Prigionieri



- No, penso che quaggiù non verrà più nessuno per un bel pezzo; tanto ormai dietro le sbarre non possiamo più dare problemi, no? Dobbiamo assolutamente pensare a qualcosa... ma... Cielo... Oh cielo... ma che diavolo stanno facendo quei due?-
Fui svegliata da qualcuno che aveva preso a ridacchiare incontrollabilmente a bassa voce: battei le palpebre e aprii gli occhi, ritrovandomi accoccolata su di un fianco sulle assi umide della cella. Sentii strusciare la guancia contro la stoffa del vestito che durante la notte mi ero tolta e avevo appallottolato per usarlo come rudimentale cuscino: ormai insudiciato com'era sarebbe stato buono solo per pulirci il ponte. Sentendomi intontita come se non avessi riposato affatto mi sollevai a sedere e mi stiracchiai, pentendomi un attimo dopo di averlo fatto: avevo la schiena indolenzita per aver dormito sul pavimento duro e scricchiolante. Scostandomi con una mano i capelli dal viso mi accorsi che anche Faith ed Elizabeth dovevano essersi appena svegliate, e osservavano con interesse qualcosa nella cella accanto alla nostra: Liz scuoteva il capo con aria di compatimento, Faith si premeva le mani sulla bocca ed era tutta rossa in viso per lo sforzo di trattenere le risate.
- Che succede?- domandai con la bocca ancora impastata dal sonno, Faith si voltò verso di me e senza smettere di ridacchiare mi indicò la cella di fianco, tappandosi la bocca con una mano. Quando si spostò per farmi vedere dovetti seguire rapida il suo esempio e soffocare a stento una risata: Jack e Will stavano ancora dormendo della grossa, e dato che le celle erano tutto tranne che spaziose, erano finiti in una posa veramente ridicola: Jack era disteso a braccia spalancate, occupando la maggior parte dello spazio sul quadrato di pavimento nella cella, in qualche modo Will gli era crollato sul petto e ronfava con la testa sul suo sterno.
Io e Faith ci guardammo e ci scappò una risata contenuta a fatica che sembrava una pernacchia, e questo ci fece ridere ancor di più, abbandonando definitivamente ogni tentativo di contenerci. In quel momento, quasi sicuramente per causa nostra, Jack emise un grugnito e mosse una gamba, poi lo osservai battere le palpebre come un gufo e gettare un'occhiata appannata a noi tre che dall'altra parte delle sbarre ridacchiavamo senza ritegno prima di riuscire a biascicare: - Che c'è?-
- Non sono teneri?- fece candidamente Elizabeth, scossa dalle risate.
- Eh?- fece Jack, confuso. Poi sembrò accorgersi del peso sul proprio petto e abbassò lentamente lo sguardo, incontrando quello intontito di Will che strizzava gli occhi come non capendo bene dove si trovasse. L'espressione di orrore sul volto di Jack vanificò ogni mio tentativo di smettere di ridere mentre il capitano, dopo avere esitato per un istante con le mani sollevate, non trovava soluzione migliore che agguantare Will e toglierselo di dosso con uno spintone che lo fece rotolare fin contro le sbarre.
- Ehi!- protestò William stringendosi le mani alla nuca che aveva sbattuto contro la dura grata di metallo. - Ma che diavolo...?!-
- Due regole che contano qui dentro, Braccio Di Seppia! Due soltanto!- lo interruppe Jack, che si era rizzato a sedere e ora gli agitava forsennatamente due dita sotto gli occhi mentre noi tre soffocavamo dal ridere. - In questa cella io sto di qua e tu stai di là! E non ammetto altri sconfinamenti! Comprendi?!-
- Dai, smettetela, è stato un incidente!- intervenne Elizabeth, che per il troppo ridere aveva ormai le lacrime agli occhi.
- Perché non ci avete svegliato?- protestò Will, che aveva il volto in fiamme.
- Be'... sembrava avreste gradito rimanere ancora un po' insieme. - lo canzonò Elizabeth, e Will la guardò molto male.
- Davanti a tua moglie per di più! Vergognati!- aggiunse Jack con un mezzo sogghigno, evidentemente deciso a scaricare tutta la colpa su William mentre agitava un dito accusatore verso di lui. - Già sapevo che eri eunuco, ma se avessi saputo che eri anche un... -
- E tu smettila una buona volta con questa storia dell'eunuco!- Will quasi urlò, voltandosi verso Jack col volto talmente rosso che pareva che si fosse ustionato sotto il sole: sembrava fuori di sé. - Ho un figlio, nel caso ti fosse sfuggito; un figlio che, ti faccio notare, è in pericolo per causa tua! E la situazione ora come ora non è divertente! Non la è affatto!-
- Uh, nervosetto? Dev'essere colpa di quel braccio da pesce... -
Le grida inferocite di William avevano svegliato anche David che, sentendosi preso in causa, osservava la scena con aria preoccupata da dietro le sbarre della sua cella: in quel momento la porta della prigione si aprì ed entrò un uomo che una volta che fu più vicino riconobbi come il pirata che ci aveva catturate il giorno prima; qual era il suo nome? Ah già, Ettore.
Si trascinava dietro un piccolo sacco di tela, e vedendoci ci rivolse un sorriso stiracchiato a mo' di saluto. - Ehi, salve. - fece appena prima di infilare tra le sbarre una pagnotta presa dal suo sacco. Non rispondemmo al saluto, Will serrò le labbra, chiuso in un astioso silenzio, ed io mi limitai a raccogliere la pagnotta e portarla a Faith e ad Elizabeth per dividercela.
David sembrava attendere l'arrivo del pirata, perché si alzò in piedi e pigiò il faccino contro le sbarre per guardarlo mentre si avvicinava. - Ciao Ettore. - lo salutò con sorprendente confidenza. Ettore gli sorrise in modo quasi affettuoso mentre si fermava di fronte alla sua cella. - Ciao piccolo. Tieni. - gli porse un'altra pagnotta; David la prese, poi guardò Ettore esitante, con la bocca aperta, come se avesse paura di chiedere qualcosa. - Ettore... per favore... ho sete. - mormorò infine.
Lui non fece una piega, anzi, scoperchiò un barile pieno d'acqua e ne riempì un mestolo, che poi passò a David attraverso le sbarre: David bevve avidamente, rovesciandosi rivoli d'acqua sul mento; quando ebbe finito si pulì la bocca con la manica, sorridendo con evidente sollievo - Grazie. - disse educatamente restituendo il mestolo.
- Dove ci state portando?- chiese Faith ad un tratto, forse incoraggiata dall'atteggiamento del pirata; lui si girò a guardarla stringendo gli occhi castani. - All'Isla de Muerta. - rispose con leggerezza come se stessimo parlando del tempo. - Ci vorrà qualche giorno. -
- Cosa? L'Isla de Muerta?- William premette la faccia contro le sbarre. - Ma quell'isola è stata sommersa anni fa, è irraggiungibile... -
Il pirata lo interruppe con una bassa risata, scuotendo il capo. - In tre anni ne cambiano di cose, marinaio d'acqua dolce... o qualunque cosa tu sia. - aggiunse con un rapido sguardo al suo braccio. - O non conosci i capricci delle correnti e dei venti? Oltretutto... ci vuole più di una semplice inondazione per fermare il nostro capitano. - il tono con cui lo disse e la scintilla che mi parve di scorgere nel suo sguardo tradivano una certa ammirazione: senza aggiungere altro si avvicinò alla porta della cella, armeggiò con un tintinnante mazzo di chiavi e ne fece girare una nella serratura. - Voi tre venite con me. - ordinò.
- Cos'hai intenzione di fare?- chiesi io, allarmata, già aspettandomi il peggio. Lui aprì la porta, aveva in mano una pistola ma la teneva pigramente, come se per lui si trattasse di pura routine. - Lavorerete per la ciurma, da adesso in poi. - aveva una parlata morbida e tranquilla: l'avrei quasi definito una persona rassicurante se non fosse stato per il fatto che mi puntava contro una pistola. - Forza, venite. -
Dopo un altro istante di esitazione, cosa che lo portò a ripetere un po' più severamente il comando che ci aveva dato, noi tre ci alzammo e uscimmo dalla cella: facendoci mettere in fila e restando alle nostre spalle, il pirata ci condusse verso l'uscita della prigione.
- Ci vediamo dopo. - ci salutò Jack in tono rassegnato, agitando pigramente le dita mentre Ettore richiudeva con un tonfo la porta della prigione.
Fummo portate nella stiva, dove ci aspettavano una montagna di patate da pelare e pesce da pulire. Sospirai rassegnata chiedendomi se il mio destino fosse sventrare pesci fino al giorno del giudizio, e feci per sedermi su di una cassa quando il pirata mi fermò facendo un cenno verso di me. - Tu no, devi venire con me. Voialtre... - accennò col capo a Faith ed Elizabeth che si erano fermate in mezzo alla stanza, incerte su cosa dovessero fare ora che intendevano separarci. - ...avete da fare, mi sembra. Mettetevi al lavoro, verrò io a riprendervi quando avrete finito. Avanti. - mi prese per una spalla e mi spinse fuori dalla stiva mentre le mie amiche esitavano ancora per un breve istante prima che la porta si richiudesse e le chiavi girassero nella serratura, bloccandole dentro. Una volta chiusa la porta, Ettore mi riafferrò per la spalla e mi condusse su per le scalette che portavano al ponte intermedio.
- Dove mi state portando?- domandai in tono acido quando lui rafforzò un po' troppo la stretta.
- Ma tutte le giovani donne come voi sono tanto curiose o è solo una particolarità della ciurma della Perla Nera?- mi canzonò senza smettere di spingermi davanti a sé su per le scale. Mi morsi la lingua con stizza, ripromettendomi di non rivolgergli più la parola se tutto quello che ottenevo era sarcasmo. Superammo anche il secondo ponte fino a salire in coperta: dopo il buio di sottocoperta la luce del giorno mi abbagliò e strizzai forte gli occhi mentre il pirata mi conduceva lungo il ponte. Come potei constatare guardandomi attorno, eravamo in mare aperto: dovunque mi girassi c'erano solo l'orizzonte azzurro e piatto, senza l'ombra di una nave. Sentii come una lieve morsa allo stomaco: forse segretamente avevo sperato di scorgere la Perla Nera alle calcagna della Revenge, invece non vidi assolutamente nulla. Che Jack si sbagliasse a riporre tanta fiducia nella ciurma?
Quando Ettore mi tirò con un po' più di insistenza mi resi conto di essermi fermata un attimo di troppo e tornai a seguirlo docilmente: sul ponte diversi dei pirati al lavoro si voltavano a guardarmi in modo strano, alcuni eccessivamente curiosi, altri divertiti come se la mia presenza lì fra loro fosse una specie di scherzo.
Fui sorpresa quando oltrepassammo la porta degli alloggi del capitano: la cabina di Beatrix era molto grande e, ora che lo notavo, molto simile agli alloggi della Perla Nera. Dove mi trovavo in quel momento era una specie di studio con una scrivania coperta di carte e di mappe e con bauli dappertutto, una porta conduceva in una seconda stanza che doveva essere la stanza da letto. Beatrix era seduta alla sua scrivania, intenta a tracciare qualcosa con una mappa con l'aiuto di un compasso: quando ci udì entrare sollevò appena lo sguardo, e non distolse l'attenzione dal suo lavoro finché Ettore non disse: - Capitano, la prigioniera. -
L'ultima cosa che volevo era parlare con lei. Aveva rapito David, ci aveva ricattati in modo ignobile, ci aveva teso una trappola nella quale eravamo dovuti cadere per forza, ci aveva in pugno; che cosa voleva ancora? Lei finalmente mi guardò in faccia e mi fece un cenno sbrigativo con la mano. - Vieni. - mi ordinò in tono secco, quasi annoiato. Mi avvicinai, rimanendo in piedi davanti alla scrivania mentre lei mi squadrava: Ettore rimase accanto alla porta, immobile come una statua. In quel momento mi accorsi della scimmia che se ne stava accovacciata sul coperchio di un baule: l'animaletto incrociò il mio sguardo e piegò la testina di lato sfoderando un sorriso tutto denti.
- Piccolo mostro. - sibilai senza quasi muovere le labbra. - Che hai detto?-
Mi affrettai a riportare lo sguardo su Beatrix. - Niente. -
- Bene. - continuò, appoggiandosi contro lo schienale della sua sedia. - La nostra piccola spia. Qual è il tuo nome?-
- Ha importanza?- risposi in tono accuratamente piatto.
Le labbra della donna si incresparono per un attimo come se la mia risposta la divertisse. - Ma sentila... Dimmi un po', signorina; che cos'ha in mente il tuo capitano?-
Aggrottai le sopracciglia, non afferrando il senso della domanda. - Che cosa ha in mente?- ripetei senza capire.
Beatrix posò entrambe le mani sul tavolo in un gesto impaziente: - Col mio ricatto non gli ho lasciato possibilità: lui e miss Turner sono dovuti venire da me, ma so benissimo che non l'avrebbero mai fatto senza lo straccio di un piano, e tu e la tua amica ne siete la prova. Li stavate seguendo per poter riferire alla sua ciurma quel che sarebbe successo, è ovvio. Bene allora, dov'è la Perla Nera?-
- Perché lo chiedete a me?- replicai nel tono più calmo possibile. - Mi spiace deludervi, ma io e la mia amica non stavamo seguendo gli ordini di nessuno, anzi: abbiamo trasgredito il volere del capitano seguendo lui miss Turner a loro insaputa. In quanto alla Perla Nera... non penso abbiano idea di cosa ci è successo o di dove siamo diretti. O se anche la hanno... ogni uomo che indietro rimane, indietro viene lasciato, no?- quasi sorrisi ripetendo le parole che il vecchio Gibbs mi aveva detto parlando del codice d'onore dei pirati.
Il capitano mi squadrò storcendo la bocca. - Dubito molto che capitan Sparrow non abbia previsto questa eventualità. In quanto a te e all'altra ragazza... be', devo confessare di essere davvero delusa. Confidavo che foste qualcosa di un po' più rilevante, ma a quanto mi dici non siete nemmeno le più miserabili delle spie. Dunque ficcavate il naso per pura curiosità? Molto stupido. O magari speravate di offrirgli aiuto? Commovente. Ma ugualmente stupido. -
Il tono sbrigativo e annoiato col quale liquido me e Faith mi fece pulsare le tempie dalla rabbia: in quel momento non avrei chiesto di meglio di colpire quell'affascinante viso imbronciato incorniciato di riccioli scuri. - Sì, siamo due stupide finite nel posto sbagliato al momento sbagliato. - le feci eco cercando di nascondere il tremito d'ira nella mia voce. - Tutto qui quello che volevate sapere? Se avevo idea di come capitan Sparrow intendesse rispondere alla vostra mossa? Mi spiace, non credo di potervi aiutare... e non avete pensato che anche se lo sapessi, voi siete l'ultima persona a cui lo direi?-
- Ovvio che l'ho pensato. - rispose lei, intrecciando le dita e appoggiando il mento sulle mani. - Infatti penso che tu sia una bugiarda. La ciurma di Sparrow sa dove siete, e sicuramente ci sta inseguendo. Eppure la nave non si vede. Perché? Illuminami, signorina. -
Preparati. Jack gli aveva detto “preparati”. E Gibbs sapeva che cosa doveva fare. Ma a questo punto, ne sapevo quanto Beatrix: ero certa che Jack avesse ordinato di tallonare la nave di Beatrix, ma se era così perché non c'era traccia della Perla?
- Non ne ho idea. - risposi con sincerità. Beatrix emise un basso sbuffo di esasperazione e si ravviò i capelli con un gesto secco: - Lo so che è lì, da qualche parte... lo so che quelli non abbandoneranno mai il loro capitano... faranno una mossa falsa presto o tardi per venirvi in soccorso, ed io avrò quella nave, sissignore!-
- E' la Perla Nera che volete?- realizzai, accigliandomi. - Perché? E' soltanto una nave. - nel dirlo mi sembrò di avvertire più intensamente la perla posata contro il mio sterno sotto la camicia. La scimmia squittì irritata, e una volta di più mi domandai se capisse quello che dicevamo.
- Solo una nave?- Beatrix abbozzò una risata. - Da quando la vidi per la prima volta nelle mani di mio padre capii che quella non era solamente una nave. Dieci anni, per dieci anni l'ho visto navigare su quella meraviglia, e mi ripetevo che presto sarebbe stata mia. Ma il tuo affezionato capitano ha cambiato le carte in tavola e ha pensato bene di riprendersela... - abbassò lo sguardo con aria irritata: io ero mio malgrado sempre più incuriosita.
- Perché?- ripetei con più insistenza. - Perché quella nave?-
La donna alzò gli occhi, e il ghigno che le contorse il volto non aveva nulla di gradevole. - Perché? Non conosci la storia della nave che risorse dalle acque per mano di Davey Jones in persona? Quella non è mai più stata semplicemente una nave dal momento in cui eruppe dalle profondità. C'è la mano del destino su quel pezzo di legno, un pezzo di legno che niente, nemmeno lo stesso diavolo che l'aveva fatta risorgere, è riuscito a fare tornare negli abissi. Anche dopo essere stata riconquistata da Sparrow, quella nave ha veleggiato nelle acque dell'aldilà, ed è tornata tutta intera. L'unica nave che ha tenuto testa all'Olandese Volante quando ancora solcava i mari di questa terra! La nave che è stata l'ammiraglia della flotta dei signori dei pirati!-
Grazie ai chiarimenti del signor Gibbs avevo un'idea di che cosa stesse parlando anche se mi ero persa appena dopo il racconto di Davey Jones che conoscevo grazie a quello che Jack mi aveva raccontato la prima sera a bordo della Perla: ma l'espressione bramosa sul volto di Beatrix non lasciava dubbi, ella era superstiziosa come tutti i pirati, e per quella nave attorno alla quale si narravano tante leggende sembrava disposta a tutto.
- Sicuramente quella nave ha una storia interessante, ma come vi ho detto, non ho idea di dove essa si trovi in questo momento. - risposi con una scrollata di spalle volutamente insolente. Lei mi incenerì con lo sguardo, strappata alle sue fantasticherie, poi la sua espressione si rilassò lasciando solo un'ombra di velata malignità. - Ti stai applicando molto per proteggere la Perla Nera e la sua ciurma; come mai una tale fedeltà? Magari sei convinta che i tuoi stimati compagni pirati farebbero lo stesso per te?- si concesse una risatina antipatica. - Certo, a meno che tanta devozione non sia rivolta semplicemente alla ciurma... Credi davvero che col tuo silenzio proteggerai Sparrow?-
Non rispondere, mi imposi mentre le viscere mi si contraevano in modo fastidioso anche se il mio viso non tradiva la mia irritazione; non rispondere, voleva aizzarmi, farmi sentire piccola e stupida nella speranza che mi tradissi con una parola o un dettaglio di troppo. Beatrix scosse il capo con un sorriso compassionevole: - Stai perdendo il tuo tempo. Immagino che tu sappia dove vi stiamo portando. Non avete nessuna speranza di uscirne e quando la Perla arriverà... e so che arriverà, è solo questione di tempo... saremo pronti a riceverla, ed io avrò ciò che mi spetta di diritto. -
- Da quanto mi hanno raccontato... la Perla appartiene a Sparrow, non a capitan Barbossa, tantomeno a voi. - replicai molto lentamente, godendomi la scintilla d'irritazione che vidi scoccare negli occhi della donna. - Vi ho detto che non so dove si trovi, e vi ho detto la verità, qualunque cosa pensiate. Ma lasciate che vi dica una cosa: non l'avrete tanto facilmente. -
Beatrix sbuffò come se mi trovasse noiosa e fece un cenno con la mano ad Ettore che durante tutta la nostra conversazione era rimasto fermo alle mie spalle. - Portala via, lei e la sua amica sono inutili. Loro e la terza compagna, miss Turner, lavoreranno per noi fino alla fine del viaggio: affido a te il compito di sorvegliarle. - Ettore annuì mentre mi prendeva di nuovo per il braccio e mi allontanava dalla scrivania.
- Stagli appiccicato. - aggiunse lei. - Non vorrei che a qualcuna... - mi sorrise, o almeno, mostrò i denti. - ...venisse in mente di tentare di fare qualcosa di molto eroico. Ho notato che hanno una certa tendenza a fare cose stupide. -
Non risposi, ma intimamente la mandai al diavolo mentre il pirata mi conduceva fuori dalla cabina: non opposi resistenza, ero ben felice di abbandonare quella spiacevole conversazione. E così questa era Beatrix Barbossa: abbastanza umorale da organizzare un rapimento per pura vendetta; ostinata, quasi capricciosa, per il suo smodato desiderio verso la Perla Nera. Aveva certamente intuito che con ogni probabilità la ciurma ci stava seguendo, e la sua preoccupazione non era stata tanto per quello quanto per il fatto che la nave non si vedeva da nessuna parte. Alla fine era quello che le interessava, compresi: non la vendetta, ma la Perla. Anzi, tutte e due le cose. In un solo colpo.
- Il vostro capitano mi sembra troppo avventata. - borbottai mentre il pirata mi portava nuovamente sottocoperta.
Udendomi, lui si voltò verso di me con un sorriso strano: - Non più di voi. Anche se devo ammettere che siete state coraggiose, tu e l'altra ragazza, a seguire Sparrow quando lui e la ragazza sono scesi in porto, a Tortuga. E ingegnose a depistarci con quel trucchetto dello scambio di vestiti... - fui sicura di averlo sentito ridacchiare fra sé. - Non avremmo mai badato a voi se un ubriaco nel vicolo dove eravate sparite non avesse cominciato a biascicare qualcosa riguardo a ragazzi in abiti da donna... -
Eravamo tornati davanti alla porta della stiva dove avevamo lasciato Faith ed Elizabeth: riprendendo il mazzo di chiavi dalla cintura, Ettore aprì ed entrammo insieme: le mie amiche erano al lavoro, sedute fra ceste di pesce e patate. Alzarono gli occhi quando entrammo, e vidi Elizabeth aprire la bocca per parlare, ma Ettore la precedette con un laconico: - Al lavoro e niente chiacchiere. - così andai a sedermi su una cassa in mezzo a loro due, prendendo una patata e un coltello: mentre Ettore si sedeva su un'altra cassa accanto alla porta, sorvegliandoci con la pistola in mano, compresi che per un bel pezzo avremmo fatto meglio a non scambiarci opinioni.
Mentre pelavo una patata dopo l'altra cominciai a cercare un modo per fuggire. Guardai il coltello che raschiava rapidamente la buccia di una patata: era piuttosto affilato. Sarei riuscita ad usarlo sul pirata, per poi uscire da quella stiva e... “E cosa?” mi chiesi con rammarico, eravamo nel bel mezzo dell'oceano, anche se fossimo riuscite ad uccidere qualche pirata non saremmo arrivate comunque da nessuna parte. Senza contare che Ettore aveva una pistola.
Pelai decine di patate: ormai la stanza era piena del loro aroma, mista alla puzza del pesce. Ad un tratto Faith al mio fianco esclamò: - Ahia!- e mollò la patata che stava pelando mandandola a rotolare sul pavimento.
- Che succede?- chiesi, voltandomi verso di lei: si stringeva la mano sinistra e un filo di sangue le colava dall'indice, si era tagliata. - Ehi, tutto a posto?- domandai, cercando di vedere in che condizioni fosse il suo dito.
- Non è niente, non è niente!- ci assicurò, riprendendo in mano la patata e il coltello; però la vidi fremere appena piegò il dito ferito. Ettore si alzò dalla cassa e si inginocchiò di fronte a lei con espressione corrucciata. - Fammi vedere. - le ordinò, secco. Lei si ritrasse, osservandolo con aria diffidente. - Dai qua!- insistette Ettore, spazientito, prendendole con forza la mano e portandosela davanti al volto: le controllò il dito, che continuava a sanguinare; vidi che il taglio non era molto profondo, ma doveva farle male e per di più aveva cominciato a sanguinare parecchio, facendole colare rivoli rossi sul palmo. Faith fece un debole tentativo di ritrarre la mano, come invitando Ettore a lasciargliela, ma lui la tenne stretta nella sua senza ammettere repliche mentre con quella libera frugava in una tasca. Tirò fuori un brandello di stoffa e lo legò stretto all'indice di Faith. - Tenti già di renderti invalida per scampare al lavoro? Guarda che il risarcimento di 1500 sterline e la possibilità di lasciare la ciurma sono concesso solo a chi rimane storpio in servizio!- commentò, ironico quando ebbe finito, ma subito dopo aggiunse in tono appena più gentile: - Meglio?-
La mia amica annuì. - Sì... - mormorò. Lui si alzò e tornò meccanicamente a sedersi sulla cassa.
La giornata fu estenuante: forse per consuetudine o per pura umiliazione ci toccarono tutti i compiti più pesanti, compreso lavare il ponte in tre. Quando avevo protestato, Beatrix, o meglio, il capitano, come mio malgrado avevo dovuto rassegnarmi a chiamarla mi aveva rivolto un ghigno e aveva replicato: - Preferisci intrattenere la ciurma?- non avevo potuto far altro se non inginocchiarmi e cominciare a strofinare le pietre sacre sul miscuglio di acqua e sabbia che si usava per raschiare il ponte incassando gli insulti e i commenti degli odiosi pirati della sua ciurma sotto lo sguardo strafottente di Beatrix.
La odiavo. La crescente antipatia che provavo per lei si era rafforzata ancora di più dopo il nostro dialogo a quattrocchi di quella mattina: la odiavo semplicemente per come se ne stava tronfia in mezzo alla ciurma, per come scrutava febbrilmente il mare col cannocchiale, di certo domandandosi stizzita perché mai la preziosa nave che da anni la ossessionava non fosse ancora apparsa all'orizzonte.

Nota dell'autrice: intanto mille grazie a Claudié per avere commentato, sono contenta che la mia storia ti piaccia e sono ancora più contenta di essere riuscita a realizzare un Jack Sparrow IC come mi hai detto. Grazie mille! Spero che continuerai a seguirmi! Infine, scusatemi se ci ho messo un bel po' per pubblicare questo capitolo, ma è perché ci ho lavorato molto, e ho avuto anche poco tempo per scrivere. Come al solito spero che vi piaccia e attendo commenti e suggerimenti!

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Capitolo 11
*** La prova e il premio ***


Capitolo 11
La prova e il premio



Era tardo pomeriggio quando William fu portato sul ponte, scortato rudemente da due pirati. Ricordando che da solo aveva ucciso due dei loro gli avevano provvidenzialmente incatenato i polsi, vincendo il raccapriccio per il braccio destro disgustosamente mutato.
Il giovane fu condotto a prua dove un'altezzosa capitana stava ancora osservando il mare piatto col cannocchiale, apparentemente alla ricerca di inseguitori: quando udì i loro passi avvicinarsi richiuse il cannocchiale e si voltò nella loro direzione, squadrando Will dalla testa ai piedi per soffermarsi sull'arto spettrale. - Ebbene, che abbiamo qui?- domandò in tono stizzoso, avvicinandosi a lui: senza gtanti complimenti lo agguantò per il polso ammanettato e sollevò il braccio per osservarlo con curiosità. Will sottostava al suo esame senza mutare d'espressione.
- Allora, cosa sei?- continuò Beatrix con aria annoiata. - Un clandestino? Uno della ciurma di Sparrow? Uno scherzo della natura?- lasciò ricadere bruscamente il braccio. - Qual è il tuo nome?-
Ancora William non rispose. Allora la donna estrasse dalla cintura un coltello e con mossa felina glielo puntò alla gola. - Ti ho fatto una domanda, mozzo! E sarà meglio per te che tu mi risponda. -
Guardando di sottecchi il pugnale che gli veniva puntato al collo Will rispose in tono accurata,ente neutro: - William Turner. -
Beatrix sgranò gli occhi di compiaciuta sorpresa, prendendo a giocherellare lentamente col coltello a pochi centimetri dalla sua gola. - Turner... - mormorò, stupita. - Mi ero chiesta come mai ci fosse solo la tua mogliettina nella vostra casa... le voci dicevano che eri sparito per sempre. -
- Non conoscete le storie?- replicò lui, piatto. Beatrix si strinse nelle spalle scuotendo la chioma di riccioli scuri. - Cosa è verità e cosa è leggenda ormai, dopo tre anni? Nessuno sa con esattezza che cosa è successo in quell'ultima battaglia della Fratellanza... eccetto coloro che hanno combattuto Davey Jones a bordo dell'Olandese. - con un sogghigno stuzzicò ancora il collo di Will con la punta del coltello, poi inasprì il tono. - Come sei salito a bordo, cane? Sapevi del mio piano o sei stato mandato da Sparrow?-
- Né l'uno né l'altro. - rispose lui ritraendosi per quanto i pirati alle sue spalle gli permettevano. Beatrix rimase a fissarlo per lunghi istanti, rigirandosi il coltello fra le dita con una luce minacciosa negli occhi castani. - E allora a che cosa mi servi?- fece con dolcezza, prima di cambiare presa sul coltello e affondarglielo nel petto. Will sussultò mentre i pirati lo trattenevano saldamente per le braccia: guardò la lama del pugnale affondargli nel petto fino all'elsa, poi sollevò gli occhi su Beatrix Barbossa che stava a guardarlo con un ghigno che dopo pochi istanti si trasformò in un'espressione di puro sgomento. La mano della donna si ritrasse di scatto, estraendo il pugnale sporco di sangue, ma Will rimaneva lì in piedi di fronte a lei, a fissarla.
Poco ci mancò che anche i due pirati messi alle sue spalle non lo mollassero, resisi improvvisamente conto che il giovane non era morto: senza scomporsi Will fissò negli occhi la donna che gli stava di fronte. - Io sono senza cuore quasi più di voi. -
Gli occhi di lei si allargarono rendendosi conto del significato di quelle parole. - Il capitano dell'Olandese Volante... - sibilò stupefatta.
A quel punto i due uomini lo lasciarono davvero, scostandosi di scatto: improvvisamente la misteriosa apparizione del giovane e quel braccio mostruoso acquistavano un nuovo significato.
- Idioti codardi!- li redarguì immediatamente Beatrix. - Se questo balordo avesse voluto ucciderci come quei due precedenti topi di sentina lo avrebbe già fatto da un pezzo. E invece eccolo qua... prigioniero... ma soprattutto separato dalla sua nave e dalla sua ciurma infernale... - si prese il mento fra le dita, meditabonda.
Lo sguardo di Will si fissò su di lei con una determinazione del tutto nuovo. - Temi tu la morte, Beatrix Barbossa?- domandò lentamente, con più di una nota di provocazione nella voce. - O forse temete l'Olandese Volante? Buttatemi fuori bordo, capitano, se temete le antiche maledizioni. -
I pirati sembrarono prendere in seria considerazione la proposta e guardarono speranzosi il loro capitano, ma la donna non era propensa a farsi abbindolare: squadrandolo con ira e sicurezza insieme replicò: - Se fossi potuto tornare all'Olandese Volante lo avresti già fatto. E invece non lo hai fatto, così come hai rinunciato ad attaccarci. Ci deve essere senz'altro qualcosa... - gli punzecchiò violentemente il braccio mutato col dito. - ...che ti impedisce di farlo. No, non ti butterò fuori bordo permettendoti di riunirti alla tua nave, signorino. Rimarrai qui nella tua cella: sono ormai passati i tempi in cui il solo nome dell'Olandese faceva tremare i più indomiti pirati, ora che ci sei tu come capitano!-
Mentre William veniva ripreso e riportato nelle celle sottocoperta, si concesse segretamente un sorriso di vittoria: aveva ottenuto esattamente quello che voleva.

*

Fu una lunga giornata di lavoro. Molto lunga.
Capii in fretta che l'atmosfera che si respirava sulla Revenge era ben diversa da quella a bordo della Perla: fu una fortuna che Beatrix avesse affidato noi tre ad Ettore; lui, con l'ordine di tenerci sotto sorveglianza, in qualche modo salvaguardava anche la nostra sicurezza. Avevo avuto paura anche solo a stare sul ponte a cucire le vele insieme a quegli uomini che ci squadravano con l'occhio spiritato di chi è stato troppo tempo per mare, e soltanto la presenza del pirata accanto a noi mi aveva dato un'illusione di protezione: il che era meglio di niente.
Quando a tarda sera noi tre fummo ricondotte in cella eravamo completamente esauste: con una certa apprensione William volle sapere cosa ci avessero fatto, e sembrò molto sollevato sapendo che ci volevano soltanto per i lavori a bordo. Fortunatamente il rancore tra lui e Jack di quella mattina sembrava essere ormai completamente sbollito; dal canto suo il capitano se ne stava sdraiato sul pavimento con le gambe accavallate come se prendesse il sole, bofonchiando di tanto in tanto che si stava annoiando. Nella cella di fronte a noi David aveva passato la maggior parte del tempo a dormire, e cominciai seriamente a pensare che non stesse bene.
- Beatrix ha voluto parlare con me, stamattina. - dissi mentre mi sedevo sul pavimento. Udendomi, Jack alzò gli occhi e mi guardò, corrucciato.
- Allora, che cosa voleva?- domandò Faith, con l'aria stanca quanto me: per tutta la giornata non avevamo avuto occasione di parlare del mio colloquio col capitano e sapevo che lei ed Elizabeth non avevano fatto che chiedersi che cosa avessi mai detto a quella donna.
- Informazioni. - scrollai le spalle. - Mi ha fatto molte domande riguardo la Perla Nera e quali piani avesse il nostro capitano... - accennai a Jack. - E' ossessionata, vuole quella nave. Credo che non ci abbia catturati solo come ostaggi: siamo l'esca, vuole chiaramente che la ciurma ci venga a cercare per poter prendere la Perla. -
Jack fece un profondo sospiro: - Lo sospettavo. - si rizzò bruscamente a sedere e ruotò il capo come per sgranchirsi il collo, arricciò le labbra con aria meditabonda, quindi tornò a voltarsi nella mia direzione. - Tu... uhm... che cosa le hai detto?-
- Cosa credi che le abbia detto?- ribattei, forse un po' troppo acidamente. - Che non sapevo niente, e che per quanto ci riguardava la Perla poteva anche essersi dimenticata di noi. -
La mia risposta sembrò divertirlo, perché fece un sogghigno e commentò: - Una buona risposta. I miei complimenti alla nostra abile spia. -
- Non c'è bisogno di infierire, va bene? Lo so che il nostro...il mio... è stato un atto molto stupido e per di più inutile, dato che ci troviamo tutti qui. - borbottai, abbassando il capo. Elizabeth mi si accostò, e posò una mano sulla mia spalla e una su quella di Faith: - Io penso che voi due non abbiate niente di cui pentirvi: volevate solo aiutarci e avete fatto quello che ritenevate giusto. - proclamò con decisione, guardando prima noi e poi Jack. - Se i ruoli fossero stati scambiati neanch'io le avrei lasciate sole senza sapere a cosa andassero incontro. -
- Ah no? Che strano, ricordo un episodio in cui non hai ragionato proprio così. - replicò improvvisamente Jack, con una sfumatura lievemente aggressiva nella voce mentre fissava negli occhi Elizabeth. Lei strinse le labbra e poi abbassò lo sguardo con aria contrita.
- Non siamo qui per dare la colpa a qualcuno. - rispose stancamente Will, seduto in un angolo. - Ci avrebbero presi comunque. Ora ho paura soltanto che possa accadere qualcosa a voi. - ci lanciò uno sguardo cupo.
- Grazie per l'interessamento, eh?- fece Jack, sarcastico, poi tornò a rivolgersi a noi. - Comunque, per il momento noi non abbiamo niente da fare: possiamo solo confidare nella mia ciurma. -
- La Perla Nera non si vede, a quanto dicono. - replicò Will, serio. - Jack... la tua ciurma verrà ad aiutarci?- Per un attimo vidi lo sguardo di Jack saettare in direzione della porta chiusa. - Non ho nessuna ragione per non pensarlo. - disse, quindi diede un colpetto al cappello abbassandoselo sugli occhi e si accomodò contro la parete, decisamente pronto a farsi una dormita. Senza sapere se ritenerci sconfortati o rassicurati, poco a poco seguimmo il suo esempio: mi preparai ad un'altra notte scomoda mentre mi sdraiavo sul pavimento.
Non dormimmo molto in ogni caso: stavamo tutti dormendo da poco quando fummo svegliati da David che era stato colto da un violento attacco di tosse. La cosa suscitò prima preoccupazione, poi panico, dato che il bambino non dava segno di riuscire a smettere, e il fatto che si trovasse in una cella divisa dalla nostra rendeva le cose ben più difficili. Alla fine, non trovata altra soluzione, presi a chiamare aiuto nella speranza che qualcuno mi sentisse.
Pochi minuti dopo la porta della prigione si aprì bruscamente e una figura tarchiata avanzò a passi pesanti verso di noi: anche al buio riconobbi la criniera bionda e irsuta del mio vecchio amico dal coltello facile, quel Konrad. Aveva tutta l'aria di essere stato davanti alla porta della prigione da un pezzo, ma di essersi degnato di rispondere alla mia richiesta d'aiuto solo in quel momento tanto per il gusto di tenerci sulle spine.
- Be', che diavolo succede qua sotto?- sbottò ruvidamente quando fu davanti alle nostre celle.
- Il bambino sta male. - rispose Faith in tono gelido, indicando David che continuava a tossire nella cella accanto.
- E cosa credete che siamo, un convento di suorine?- il pirata sputò una bestemmia prima di voltarci le spalle: stava per andarsene di nuovo, ma Faith lo fermò gridandogli: - Aspetta! Almeno lascia che stia nella cella insieme a noi, possiamo aiutarlo. Lascia che stia vicino a sua madre!-
Sbuffando e imprecando a mezza voce, il pirata aprì con la massima riluttanza la prigione di David, agguantò il bambino per la collottola sollevandolo praticamente di peso e, aperta la nostra cella, lo buttò dentro con noi. Elizabeth lo raggiunse immediatamente e lo prese tra le braccia, cullandolo amorevolmente e battendogli buffetti sulle spalle scosse dai sussulti della tosse: il pirata se ne andò mentre io e Faith ci accostavamo ad Elizabeth, desiderose di aiutarla, e Will ci guardava da dietro le sbarre, visibilmente tormentato dall'essere così vicino al figlio e non potergli offrire nessun aiuto.
- Credo che abbia la febbre. - disse Faith, posando la mano sulla fronte sudata di David e scrutandolo con occhio clinico. - Se almeno avessi con me un po' di bacche di belladonna... lo aiuterebbero contro quella tosse... è rimasto tutto sulla Perla. -
Dopo alcuni lunghi minuti sembrò che la tosse cominciasse a placarsi, ma non si poteva certo dire che David stesse bene. Ci risolvemmo mettendogli sulla fronte uno straccio bagnato per fare calare un po' la febbre: Jack ci diede un curioso straccetto di pizzo che portava legato al polso sinistro, io dovetti chiamare nuovamente quel simpaticone di Konrad per chiedergli un poco d'acqua, che ottenemmo insieme ad una sfilza di improperi. Mentre, in disparte, guardavo Elizabeth che coccolava il figlio tenendogli lo straccetto bagnato sulla fronte, mi voltai verso Jack che, insieme a Will, osservava la scena dall'altra parte delle sbarre: - Quello che cos'era?- domandai, più per smorzare la tensione del momento che per altro.
- Una specie di... trofeo. - rispose lui facendo spallucce. - Trofeo? Del pizzo?-
- Be', era di una ragazza. -
- Non oso chiederti come o perché ne sei venuto in possesso... -
Scoprì i denti in un sogghigno inequivocabile. - Meglio che tu non lo sappia... -
- Porco. - stavolta risi però, e rise anche lui: c'era una nuova complicità fra di noi, più innocente. Quando smise di ridere fra sé tornò a guardarmi nel suo modo buffo: col capo piegato da una parte e il mento sollevato, con l'ombra di un sorriso sulle labbra. - Vedrai che starà bene. - mi disse in tono più rassicurante accennando a David.
- Lo spero. - risposi, voltandomi per un istante a guardare come stesse il bambino che ora pareva essersi calmato fra le braccia di Elizabeth. Mi girai di nuovo con l'intenzione di aggiungere qualcos'altro, ma mentre stavo per parlare mi accorsi di William che guardava non suo figlio, ma verso di me da dietro la spalla di Jack. Abbassò subito gli occhi, ma non abbastanza in fretta da dissimulare l'espressione corrucciata che per un attimo gli aveva attraversato il viso.
Vedendomi guardare alle sue spalle anche Jack si voltò e scoccò a Will un'occhiata strana: io decisi che quel gioco di sguardi stava cominciando a diventare imbarazzante e mi allontanai dalle sbarre, tornando a sistemarmi nell'angolo dove dormivo prima che venissimo svegliate dal trambusto, per riaddormentarmi profondamente in pochi minuti.

*

Fra l'esserci svegliate in piena notte e la scomodità della cella, quando fui svegliata dallo sbattere della porta della prigione mi sentii come se non avessi dormito per nulla.
- In piedi, c'è altro lavoro per voi. - cominciò a richiamarci Ettore aprendo la porta della cella mentre io ancora mi sforzavo di liberarmi la testa dalla nebbia del sonno. Elizabeth chiese di poter rimanere accanto a suo figlio, ma Ettore scosse la testa dicendo che il capitano non lo avrebbe permesso. Si limitò a concedere che, se il bambino fosse stato di nuovo male, sarebbe potuta tornare da lui.
Mentre noi tre ci tiravamo su sbadigliando, nella cella accanto Jack incrociò le braccia con un lungo sbuffo. - Per curiosità, ci vorrà ancora molto? L'ultima volta che siamo stati all'Isla de Muerta c'era la tempesta, e ci siamo arrivati in un paio di giorni. -
Il commento fece sfuggire un lieve sorriso al pirata. - Tempo capriccioso, pirata. Sono due giorni che soffia solo la bonaccia, e la nave va a passo di lumaca: arriveremo domani, si spera. Hai fretta?- le ultime parole le aggiunse con un sogghigno divertito.
- Oh no... solo che non mi annoiavo tanto da quando sono rimasto chiuso nella cantina di un'osteria abbandonata insieme ad un sordomuto quasi orbo. -
Stavolta Ettore rise sul serio, quindi, una in fila all'altra ci guidò fuori dalla prigione. - Inventatevi qualcosa. - suggerì bonariamente mentre si richiudeva la porta alle spalle. Jack sospirò di nuovo mentre si frugava in tasca e, dopo aver rovistato per un po', ne estraeva una monetina di rame.
- Testa o croce?- domandò distrattamente voltandosi verso Will.

*

Faith tirò il filo di lino e lo spezzò coi denti: un altro strappo nella vela era ricucito. Io, lei ed Elizabeth eravamo tornate alla nostra ormai abituale postazione sul ponte appena sotto il cassero di poppa, dove sotto l'occhio vigile di Ettore aggiustavamo le vele.
Si era alzata una bava di vento, e l'impaziente capitana aveva ordinato che si dispiegassero tutte le vele: mi era difficile concentrarmi sul mio lavoro perché ero spesso distratta dagli ordini che si gridavano i pirati al lavoro sulle sartie, sapevo per esperienza che spiegare le vele era un lavoro impegnativo, e non potevo fare a meno di guardare gli uomini che balzavano rapidi da una fune all'altra.
Faith si stava alzando per aiutare alcuni uomini ad arrotolare la vela aggiustata quando accadde.
Un'esclamazione improvvisa che di colpo divenne un urlo, uno schiocco di funi strattonate: alzai lo sguardo di scatto verso gli alberi, e come al rallentatore vidi le braccia e le gambe del pirata annaspare vanamente nell'aria mentre l'uomo precipitava. L'istante dopo cozzava contro il ponte, con un tonfo seguito da un secco schiocco osceno che mi fece contrarre le viscere.
Elizabeth si coprì la bocca con una mano mentre attorno a noi si levavano altre grida. Faith era rimasta paralizzata, in piedi a soli pochi passi dall'uomo steso sul ponte, che aveva preso ad agitarsi debolmente cacciando urli e gemiti.
- Chiamate il medico di bordo!- gridò Ettore al di sopra dello scompiglio generale: qualcuno si precipitò ad eseguire il suo comando mentre gli altri pirati si affollavano attorno, morbosamente interessati all'incidente. Il pirata steso a terra sbarrò gli occhi, digrignando i denti e soffiando i peggiori improperi e bestemmie, poi ad un tratto cercò di girarsi su un fianco come tentando di rialzarsi.
- No, stai fermo!- lo riprese severamente Ettore raggiungendolo in due passi mentre dalla ciurma si sollevava un concitato brusio: certuni commentavano lo stato del ferito, altri ridacchiavano, molti lo squadravano con crescente interesse. Il pirata non lo ascoltò: con gli occhi lacrimanti si puntellò sulle braccia e prese a strisciare pietosamente, interrompendo la sua sfilza di imprecazioni soltanto per gemere di dolore.
- Ti ho detto di stare fermo!- fece Ettore, afferrandolo per una spalla e bloccandolo. Con un respiro affannoso il pirata tentò di liberarsi.
- Non muoverlo!-
Era stata Faith a gridare. Ettore e numerosi altri uomini si voltarono verso di lei con aria corrucciata: che cosa voleva saperne lei? Quasi senza rendersi bene conto di cosa stava facendo, Faith cominciò ad avvicinarsi, squadrando il pirata ferito con occhio clinico. Non sapeva nemmeno lei perché lo stava facendo: dopotutto quei pirati erano i nostri rapitori, non gli dovevamo niente. Però l'uomo era ferito, lei sapeva cosa c'era da fare e perciò doveva farlo. Semplicemente.
Come tutti quei preziosi libri di medicina, custoditi gelosamente dai suoi genitori, le avevano insegnato, sapeva che in quelle condizioni il minimo movimento poteva essere fatale. Si inginocchiò accanto al pirata e tutta la sua attenzione si concentrò sulla gamba sinistra che l'uomo si trascinava dietro, piegata in una strana angolazione come la gamba inerte di un burattino.
- Non dovete muovervi, serve qualcosa per steccare quella gamba prima di fare qualsiasi movimento. - disse con un filo di voce. Ettore la fissò sempre più accigliato, il pirata si infiammò in viso e le sputò addosso un insulto velenoso dietro l'altro: - Vattene all'inferno disgustosa puttana, non mi serve l'aiuto di una... - in quel momento mosse la gamba, e un urlo terrificante troncò il resto della frase, facendo rizzare i capelli a tutti i presenti.
Faith raggelò vedendo il sangue colare sul ponte: era successo ciò che temeva, l'osso spezzato si era mosso e le schegge aguzze avevano forato la carne. - Il medico di bordo, dannazione!- urlò Ettore, accorgendosi che la situazione peggiorava di minuto in minuto.
La ragazza sentiva le mani tremare incontrollabilmente, ma quasi automaticamente si trovò ad alzare lo sguardo su Ettore e implorare: - Serve qualcosa per steccare la gamba, subito!-
Non trovando sottomano niente di meglio, il pirata si sganciò dalla cintura il fodero della sua sciabola e la porse a Faith, inginocchiandosi con lei al fianco dell'uomo che ora sembrava capace solo di rimanere riverso sul ponte, immobile, gemendo ininterrottamente. Con infinita lentezza Faith cominciò a raddrizzare la gamba del pirata, poi cercò gli occhi di Ettore, senza il coraggio di dire che cosa c'era da fare. Ma lui lo sapeva: senza esitazione afferrò saldamente la caviglia del compagno, respirò, poi chiuse gli occhi e tirò.
Il pirata lanciò un altro urlo, più acuto e più lungo del primo, i pirati attorno vociarono impressionati. Ettore non si fermò finché non gli sembrò di sentire l'osso tornare al suo posto, infine fece cenno a Faith di appoggiare il fodero alla gamba ferita e cominciò a legarla strappando strisce di stoffa dal fazzoletto che come molti marinai portava al collo. Era concentrato nella sua azione, eppure non poté fare a meno di scrutare febbrilmente le mani di Faith che insieme alle sue stringevano i nodi attorno alla gamba ferita dell'uomo. Mani con la sapienza, la delicatezza e la determinazione di un chirurgo.
Gli ricordarono altre mani, quelle di una donna che lo aveva cresciuto e che per lungo tempo aveva chiamato “madre”, mani che lo toccavano con la stessa dolce sicurezza ogni volta che si faceva male. Sentì qualcosa chiudergli la gola e il cuore prese a pulsargli all'impazzata mentre la ciurma faceva largo al medico di bordo che arrivava di corsa.
Io ed Elizabeth eravamo rimaste paralizzate, sedute al nostro posto, guardando Faith che assisteva l'uomo ferito: ora il medico di bordo lo stava facendo portare via anche se dubitavamo che sarebbe riuscito a salvargli la gamba, e Faith rimaneva inginocchiata lì insieme ad Ettore come incapace di muoversi.
La ragazza rimase ferma, respirando profondamente. Aveva fatto quello che poteva. Quello che doveva. Sudava freddo e aveva cominciato a tremare tutta come percorsa da un fremito nervoso, non trovava nemmeno la forza per alzarsi in piedi. Ad un tratto sentii una mano prenderla per la spalla e farla alzare, e quando sollevò lo sguardo si trovò faccia a faccia con Ettore che, curiosamente, aveva negli occhi la stessa espressione sconvolta che doveva avere lei.
Il pirata fece un cenno d'assenso con il capo, come a voler approvare il suo operato ma senza trovare le parole, infine riuscì a dire: - Sei stata brava. -
Anche Faith annuì leggermente, ancora stordita dal nervosismo e la tensione: - Grazie. - mormorò.
Prese un respiro profondo e tornò verso di noi.

*

- Come siete arrivate sulla Perla Nera voi due?-
Anche quella lunga giornata volgeva al termine, e il nostro ultimo compito era pulire il ponte intermedio. Non era tutto sommato un compito spiacevole, per prima cosa perché i ponti più bassi potevano essere lavati semplicemente con acqua e spazzolone, e in secondo luogo perché a quell'ora i pirati erano tutti in coperta a fumare, bere o riposarsi, e così potevano starcene un po' in pace. Soltanto Ettore come al solito stava con noi, e quella sera sembrava particolarmente interessato alla nostra storia.
- Sembrate giovani di buona famiglia, non serve e nemmeno povere... cosa ci fate su una nave di pirati?-
- Abbiamo aiutato capitan Sparrow ad evadere di cella. - cominciò a raccontare Faith, immergendo lo spazzolone nel secchio. - E quando avete rapito David Turner ci siamo imbarcate per inseguirvi. -
- Dove hai imparato quello che sai di medicina?-
- Mio padre era un erborista e possedeva anche diversi libri di medicina, ho soltanto studiato un po'. - rispose Faith, dissimulando l'orgoglio che ben sapevo che provava per le sue conoscenze. - E voi invece?- continuò lei, strofinando lo spazzolone per terra. - Da quanto tempo siete sulla Revenge?-
Ettore si sistemò più comodo sulla panca su cui stava seduto, giocherellando con la pistola. - Sono stato su diverse navi pirata: sono qui più o meno da un anno, il capitano cercava uomini ed io mi sono arruolato; la paga è buona e Beatrix Barbossa sa il fatto suo, non ho di che lamentarmi. -
- E prima?- insistette Faith. - Insomma, qui a bordo tutti gli uomini hanno un nome temuto, una storia alle spalle, crimini per cui sono ricordati, voi invece... non so, di voi non siamo venute a sapere nemmeno il cognome. -
Ettore fece un mezzo sorriso. - Se non lo sapete è perché non lo so nemmeno io. Sono semplicemente Ettore: non ho un cognome, non so chi mi abbia messo al mondo. La maggior parte della ciurma si è imbarcata perché aveva alle spalle crimini orribili, io invece, spiacente di deludervi, non sono nessuno. - continuammo a pulire per una buona mezz'ora, poi ad un certo punto Ettore si alzò dalla panca, stiracchiandosi, e disse: - Be', dai, basta così. Penso che possiate tornare in cella. -
- Non passeremo dei guai?- osservai dubbiosa il ponte non del tutto pulito; Ettore scrollò le spalle. - Naaa... credo che per oggi abbiate lavorato abbastanza. - ci fece segno di seguirlo. - Avanti. -
Ci ricondusse in cella: Will, Jack e David dormivano già, fui felice di constatare che il bambino sembrava stare meglio della sera precedente. Ettore aprì la porta della nostra cella per farci entrare.
- Cammino da sola. - lo rimbeccò Faith quando Ettore le mise una mano sulla schiena per invitarla ad entrare. Ettore si staccò da lei. - Scusa. - rispose, con un sorrisetto che mi ricordò fin troppo Jack.
Ci chiuse in cella e se ne andò: Faith si accoccolò per terra: - Sono distrutta. - sospirò.
- A chi lo dici!- risposi io, cercando di sistemarmi più comodamente possibile sul pavimento. Elizabeth ci sorrise mentre, pian piano per non svegliarlo, prendeva in grembo David e si raggomitolava nell'angolo. - Buonanotte. - disse sottovoce. - Notte. - rispondemmo noi, assonnate. In pochi minuti calò il silenzio, turbato solo dal nostro respiro lento e regolare. Nella prigione filtrava un po' di luce lunare, e riuscivo a distinguere Jack addormentato, seduto contro le sbarre poco lontano da me. Mi avvicinai un po', fino ad essere divisa da lui solo dalle sbarre: aveva il cappello calato sugli occhi ma riuscivo a scorgere il suo volto rilassato, le labbra appena imbronciate nel sonno.
Teneva le braccia incrociate sul petto, e la debole luce che filtrava nella cella scintillava giocosamente sulla pietra verde acqua del suo anello. - Mio dio, quanto sei bello... - mormorai in un soffio.
Elizabeth e Faith dormivano, esitai solo un secondo, poi tesi una mano fra le sbarre e gli accarezzai piano una mano, facendo scivolare un po' le mie dita fra le sue come avevo disperatamente desiderato ogni giorno che avevo passato con lui sulla Perla: lui non fece una piega, continuando a dormire, allora lentamente, quasi esitante, sollevai la mano e gli accarezzai una guancia; gli sfiorai le labbra col pollice e mentre le mie dita scivolavano sulla sua barba feci tintinnare le perline attaccate alle due treccine del pizzetto. Il suo respiro cambiò impercettibilmente di tono, e vidi le sue labbra incresparsi, sollevai appena il cappello a scoprire gli occhi chiusi: dormiva, non si era accorto di niente, eppure, anche inconsciamente, gradiva il mio gesto.
In quel momento provai l'improvviso, tenero desiderio di dargli un bacio: anche solo di sfiorargli con le labbra la guancia abbronzata... ma con le sbarre di mezzo non mi sarebbe stato comunque possibile. Sorrisi e gli feci un'ultima tenera carezza sulla guancia, poi ritrassi a malincuore la mano; mi voltai e trovai Elizabeth sveglia che mi sorrideva e sussultai per la sorpresa.
- Io... - balbettai sottovoce automaticamente, cercando una scusa decente, ma lei mi precedette sottovoce, senza smettere di sorridere: - Non c'è mica da vergognarsi, tranquilla!- io tacqui: mi sentivo così imbarazzata! Una cosa all'apparenza così frivola, eppure così difficile da ammettere ad alta voce... mi sono innamorata di Jack. Eppure la mia espressione parlava da sola, ed Elizabeth sembrava avere capito già da tempo.
- Perché non glielo dici e basta?- sussurrò Elizabeth. - Io penso che ci tenga a te. -
- Oh andiamo... l'unica cosa che ha avuto da me è stato uno schiaffo. E... e abbiamo già abbastanza problemi... non è il momento, insomma. - mi giustificai, con un agghiacciante tono da bambina vergognosa. - E poi ammettiamolo: non sappiamo ancora se usciremo vivi da qui. - Elizabeth mi si avvicinò e mi mise una mano sulla spalla, incoraggiante.
- Se c'è una cosa che ho imparato in questi anni... è che non c'è tempo da perdere. Non c'è. Specialmente in questo genere di situazioni. - anche al buio notai l'occhiata cupa che lanciò in direzione di William, addormentato poco più in là nella cella accanto. - Lo sai come ci siamo sposati?-
- In effetti... non me lo hai mai raccontato. -
- Abbiamo pronunciato i nostri voti di matrimonio sul ponte della Perla Nera, durante la battaglia finale contro Beckett e l'Olandese Volante. -
- No!-
- Sì!- Elizabeth quasi rise. - E sai una cosa? In un certo senso non avrei potuto desiderare una... cerimonia migliore!- dopo queste parole ridemmo sul serio, premendoci le mani sulla bocca per non svegliare gli altri. Finito il nostro scoppio di ilarità, la mia amica tornò seria: - Pochi minuti dopo, Will veniva pugnalato a morte da Davey Jones. -
Rabbrividii, ricordando la storia narratami da Gibbs. - Perché hai scelto di non dirci nulla? - domandai dopo un istante, anche se credevo di conoscere la risposta.
Elizabeth chinò il capo, e una cortina di capelli biondo scuro le velarono il viso, prima che sollevasse una mano a rimetterli a posto. - Era il mio peso da portare. - ripose senza tradire alcuna emozione. Nessuna delle due aggiunse altro per un poco: non sapevo che cosa risponderle, e lei dovette intuire i pensieri che mi passavano per la testa perché continuò: - Devi capire, Laura... non mi serviva la compassione. Nemmeno quella di persone care come te e Faith. Rendervi partecipi del mio dolore lo avrebbe forse diminuito? Le vostre parole mi avrebbero forse riportato indietro Will?- erano parole dure ma sincere, schiette, pronunciate da una ragazza insospettabilmente forte. Quella era Elizabeth. Eravamo persone diverse da quelle che si erano conosciute da ragazzine, e lo avevamo capito in quell'istante, in quella cella buia. Elizabeth annuì lentamente come se si fosse accorta che avevo capito, prima di ripetermi semplicemente: - Non c'è tempo da perdere, Laura. E non perdere la speranza, siamo venuti fuori da situazioni peggiori... credimi! - si concesse un sorriso. - Coraggio, vedrai che ce la caveremo. E allora forse... -
Guardai Jack addormentato e sorrisi anch'io. - Già, forse. -

*

Si rigirò bruscamente, facendo ondeggiare l'amaca consunta. Non riusciva a dormire. Non riusciva a dormire, lui, abituato a riposare col mare gonfio che scuoteva l'amaca e il roco russare dei compagni pirati che dormivano con lui sottocoperta.
Calciò via il lenzuolo logoro e si adagiò a pancia in su, lasciando pendere le braccia ai lati dell'amaca, il petto ampio e muscoloso che si gonfiava lentamente nel respiro.
Non riusciva a dormire. Faceva caldo quella notte, e la sua mente si rifiutava categoricamente di annebbiarsi malgrado i suoi sforzi, e si perdeva dietro ad un unico pensiero.
Aveva sentito il bisogno di rassicurarla. “Sei stata brava” le aveva detto: ricordava ancora quanto tremasse, quanto le fosse apparsa piccola e indifesa in quel momento.
E lei gli aveva detto “Grazie”. Una sciocchezza, mera buona educazione, eppure non riusciva a togliersi dalla testa che quella giovane donna, appena passata attraverso forse una delle più grosse prove della sua vita, aveva detto grazie a lui. A lui che era il suo carceriere.
E quelle maledette, benedette mani dalle quali si era lasciato incantare... Come poteva avere ancora delle mani simili dopo tutto il lavoro a bordo? si chiese indugiando col pensiero sulla figura della ragazza che non sembrava intenzionata a mollare la presa sulla sua mente. Si disse che in realtà le mani della fanciulla erano davvero indurite dal lavoro e scurite dal sole, come quelle di chiunque lavorasse su una nave, eppure era bastato lasciarsi incantare dalla grazia e dalla maestria con cui le muoveva su quella gamba ferita, ed ecco che parevano le più belle che avesse mai visto.
Si girò di nuovo, tanto rapidamente che uno meno abituato a dormire in amaca si sarebbe sicuramente ribaltato. Non poteva succedere così, non a lui. Cosa diavolo gli era preso? Lui era fedele ad un solo capitano, ad una sola persona: Beatrix Barbossa.
Eppure qualcosa era cambiato. Qualcosa che si era sistemato nei pressi del suo stomaco e della sua gola e che non gli avrebbe dato tregua fino al mattino seguente.

*

Un dito gli picchiettò sulla spalla sinistra, insistentemente. Will grugnì e serrò gli occhi più forte, fermamente deciso a continuare a cullarsi nel mondo dei sogni. Il dito lo colpì di nuovo sulla spalla, stavolta senza tanta delicatezza: - Svegliati!-
Bruscamente strappato al suo sonno, Will sobbalzò e afferrò quella mano che lo tormentava per togliersela di dosso.
- Yech, tieni quel tentacolo a casa tua!- Jack sussultò e strappò il polso alla presa dell'arto trasformato di Will: quest'ultimo si ritrasse lentamente, lo aveva afferrato con la mano destra.
- Scusami. - disse, alzandosi a sedere mentre scrutava la faccia del pirata nell'ombra di sottocoperta. - Perché mi hai svegliato?-
Il capitano si accomodò a gambe incrociate, chinandosi su Will: - Non dimentichi qualcosa?-
- Cosa?-
Jack alzò gli occhi al cielo. - Domani arriveremo a destinazione. - spiegò con calma. - Cosa accadrà quando i pirati scopriranno che uno dei prigionieri non può scendere a terra neanche volendo?-
William aggrottò le sopracciglia, cominciando ad intuire dove volesse andare a parare. - Cosa suggerisci, allora?-
- Se scoprono che cosa sei oltre quel braccio di seppia, capiscono subito che c'è sotto qualcosa di più grosso e fiutano subito l'odore di trappola. - continuò il pirata, dondolando il capo. - E io non li voglio allarmati... solo allerta magari, ma non certo timorosi di una trappola. Diciamo che... la sparizione di un prigioniero li preoccuperebbe, ma non quanto un prigioniero immortale, comprendi?-
William abbassò lo sguardo, capendo cosa gli stava per chiedere. - Quindi vuoi che sparisca?- si toccò il braccio, rabbrividendo al contatto con la propria pelle innaturalmente fredda e viscida. - Hai visto cosa mi succede se uso i miei poteri. -
- Tanto peggio di così... - sospirò Jack, con un'ombra di rammarico nella voce, ma dopo un istante tornò serio. - Non possiamo rischiare: devi tornare sull'Olandese adesso. Non possiamo permetterci intoppi. -
Will esitò un attimo ancora, quindi si alzò in piedi lentamente, prendendo un silenzioso respiro profondo come se si stesse preparando a spiccare un balzo: si accostò alla parete fatta di assi umide della cella. In effetti Jack aveva ragione: che aveva da perdere? Se con la sua fuga avrebbe potuto facilitare la salvezza degli altri, che così fosse. Appoggiò la mano destra sulla parete, lasciando scorrere lo sguardo sul braccio che non pareva neanche più parte del suo corpo, e di colpo si sentì determinato come non mai. Era venuto meno al suo compito. Era stato punito. Il breve tempo passato di nuovo accanto ad Elizabeth non era stato che un'illusione, un mero sogno nel quale si era ingenuamente cullato, dimenticando il suo destino; ma ora era tempo che si lasciasse infine tutto alle spalle e che le cose tornassero ad essere come dovevano.
- Proteggili. - fu l'unica cosa che disse, girandosi ad accennare col capo alle ragazze e al bambino che giacevano addormentati nella cella accanto. Jack scoprì i denti d'oro in un piccolo sogghigno: - Sono in buone mani. - dichiarò, con un tono che forse voleva essere rassicurante.
Voltandogli le spalle, William mosse un passo e il suo corpo affondò nel legno.

*

Con un gorgoglio sommesso le carni di Will si separarono dal legno dell'albero maestro e il giovane riaprì gli occhi, ritrovandosi dove voleva essere: sul ponte dell'Olandese Volante, dove alla sua apparizione i suoi marinai mostrarono solo una blanda sorpresa; dopotutto erano ben poche che i pirati dell'Olandese non avessero ancora visto.
Per un istante William quasi credette di essere già tornato nel mare dei confini del mondo: la nave era immersa in una nebbia talmente fitta da non poter scorgere nemmeno l'acqua sotto la chiglia, le vele erano state messe all'imbando così che l'Olandese rimaneva ferma, dondolando appena alla spinta delle onde; forse erano vicini a terra.
- Will!-
Udendo il suo richiamo, si voltò verso suo padre, e quando vide l'espressione di sgomento sul volto dell'anziano marinaio mentre puntava gli occhi sul suo braccio destro non fece una piega: dopotutto se lo era aspettato. - Dove ci troviamo?- domandò invece, senza mutare espressione.
Sputafuoco impiegò diversi istanti per distogliere lo sguardo dal pallido tentacolo che si agitava dove prima c'erano state le dita di una mano, ma quando lo fece riuscì a riacquistare una parvenza di autocontrollo e a rispondere: - Siamo... siamo nella baia dell'Isla de Muerta, ci siamo messi alla cappa, come del resto la Perla Nera... -
Will alzò improvvisamente le sopracciglia: - La Perla Nera? E' qui?-
Sputafuoco annuì. - Questo era il piano. -
Will gli voltò le spalle e andò a sporgersi dalla murata, scrutando la nebbia che li circondava: non vedeva nulla; a quanto diceva suo padre la Perla doveva essere lì da qualche parte, ma la nebbia era troppo fitta. Una sorta di folle sorriso gli illuminò improvvisamente il volto mentre cominciava a capire che cosa sarebbe accaduto. - Ci tratteniamo qui fino all'arrivo della Revenge. - disse in tono estremamente soddisfatto mentre i suoi occhi continuavano a vagare sul mare di nebbia attorno alla nave. Alle sue spalle, Sputafuoco continuava a fissarlo: suo figlio, il figlio che per la sua salvezza aveva rinunciato a tutto... suo figlio che per troppo amore aveva infranto la promessa fatta alla dea Calypso... ed ora era ad un passo da diventare come Davey Jones, il capitano che per tanto tempo lui si era trovato a servire.
Come poteva William sorridere a quel modo se a lui, Sputafuoco, salivano le lacrime? Dunque Will non aveva ancora pagato abbastanza per il bene di coloro che amava? Aveva già rinunciato al suo cuore, era pronto a rinunciare a sé stesso?
Mentre Sputafuoco si allontanava in silenzio coi sensi di colpa che gli opprimevano il petto, William sorrise ancora più apertamente nella nebbia impenetrabile. - Dio benedica Jack Sparrow... - disse fra sé, concedendosi un sorriso ancora più grande.

*

La mattina mi svegliò una voce squillante che mi gridò nelle orecchie: - Buongiorno!- sussultai e battei le palpebre come un gufo, Jack mi sorrideva da dietro le sbarre: mi resi conto che avevo dormito praticamente fianco a fianco con lui, se non fosse stato per le sbarre. - Jack... che c'è?- borbottai stiracchiandomi, diedi un'occhiata agli altri e vidi che stavano ancora dormendo.
- Ieri sera abbiamo ceduto al sonno e non abbiamo potuto informarvi. - continuò lui, mettendosi a sedere più comodamente e protendendosi da dietro le sbarre. - Uno dei carcerieri ci ha detto che si è alzato il vento e che oggi avremmo raggiunto l'Isla de Muerta. -
- Oggi?- esclamai sorpresa, rizzandomi del tutto a sedere. - Ma Beatrix che cosa ha intenzione di fare là?-
Jack scrollò le spalle gettando la testa all'indietro con espressione rassegnata. - Oh, se non ci ha ancora uccisi e ha scelto proprio questo particolare posticino per il suo gran finale posso azzardare che sia perché intende usare su di noi il tesoro maledetto di Cortez, per esempio. Dopotutto... quale vendetta migliore se non farci subire quello che suo padre ha passato?-
Annuii pensosamente mentre lentamente mi abbracciavo le ginocchia, prendendo in considerazione quella prospettiva orribile. Da ciò che Elizabeth aveva raccontato avevo un'idea della sorte che ci aspettava: una vita come spettri, né vivi né morti, senza più la possibilità di provare qualsiasi sensazione fisica e con la luce della luna che ci avrebbe mutati in scheletri ambulanti... Cacciai via il pensiero, era troppo terrorizzante da immaginare. - Capisco... il problema è: come ne veniamo fuori?-
Jack fece un sorriso smagliante e quasi gli lanciai un'occhiataccia: perché, perché diavolo continuava nonostante tutto a ghignare come se fosse tutta una partita divertente? Eppure lui avrebbe dovuto essere ancora più preoccupato, lui aveva visto coi suoi occhi gli effetti dell'orrenda maledizione di cui ci avevano raccontato... Forse era davvero soltanto pazzo. - Sai che è una buona domanda? Ma un modo lo troveremo: sono sicuro che i miei ragazzi non ci hanno abbandonati. -
Solo in quel momento il mio sguardi cadde alle sue spalle. E solo in quel momento mi accorsi con sgomento che nella cella non c'era nessuno oltre a lui.
- Jack! Dov'è Will?!- esclamai, scattando in piedi e istintivamente cercando William in tutti gli angoli, chiedendomi dove diavolo fosse finito e soprattutto come.
- Un'ottima domanda!- ruggì una voce fin troppo conosciuta alle nostre spalle prima che Jack potesse rispondermi: nel vano della porta erano comparsi il pirata di nome Konrad ed Ettore, doveva essere l'ora in cui solitamente venivano a prenderci per portarci a svolgere i nostri compiti sulla nave, e non era sfuggita loro l'inspiegabile mancanza di un prigioniero.
Il pirata dalla criniera bionda si avventò come una furia contro le sbarre e appena ebbe aperto la porta si scagliò su Jack, agguantandolo per il collo e sbattendolo nell'angolo dov'era seduto. - Dov'è il prigioniero?- ringhiò, scrollandolo brutalmente avanti e indietro. - Rispondi, cane! Dov'è andato quel topo di fogna?-
Jack annaspò sotto la stretta furibonda dell'uomo, afferrandolo per i polsi nel tentativo di fargli staccare le mani dalla sua gola. - Se ti dico che è passato attraverso la parete mi credi?- sibilò ironicamente fra i denti, scrollando i polsi del pirata per fargli notare che lo stava strangolando. Il trambusto aveva svegliato Faith ed Elizabeth, che come me assistevano impotenti; una cosa però l'avevamo capita dalle parole di Jack: Will se ne era andato, doveva essere tornato all'Olandese Volante durante la notte.
- No che non ti credo! Pensi di essere spiritoso, per caso?- urlò Konrad, tirando su Jack per poi sbatterlo a terra: repressi un grido, la mano del pirata fremeva sull'impugnatura del coltellaccio del quale sembrava essere tanto fiero. - Parla maledetto! Da dove diavolo è scappato?-
Accasciato dove il pirata lo aveva buttato, Jack fece saettare lo sguardo attorno a sé. - Uhm... vedi quel buco fra le assi?- indicò un foro sottile nella parete appena sopra la sua testa. - Il ragazzo è diventato piccolo piccolo e si è tuffato in mare da lì. -
- Ora basta!- anche Ettore era entrato nella cella: si chinò su Jack con la pistola spianata e lo fissò con espressione estremamente seria, anche se neppure lontanamente minacciosa quanto quella di Konrad. - Tieni a freno la lingua, Sparrow, potrebbe costarti caro. - per un istante sollevò lo sguardo per scrutare la cella nei minimi dettagli come se fosse alla ricerca di qualsiasi segno che potesse spiegare la sparizione di William. - Quando è fuggito il tuo compagno di cella?-
Jack si rimise a sedere, ignorando la pistola di Ettore che continuava a tenerlo a bada. - Poche ore fa, in effetti. - replicò placidamente mentre si accomodava a gambe incrociate sul pavimento della cella. Gli occhi di Ettore si strinsero. - E da dove? Abbiamo avuto la ronda sul ponte tutta notte e nessuno ha visto niente, non manca nessuna scialuppa e di certo il vostro amico non sarebbe potuto andare da nessuna parte a nuoto... A meno che non si trovi ancora a bordo. - Alle sue parole Konrad fece scattare il capo attorno a sé come un'animale in cerca di preda, tormentando fra le dita il manico del coltello.
- Oh no che non si trova più a bordo, non è così stupido... credo. - rispose Jack con un cenno del capo. - Da dove è fuggito? Diciamo soltanto che William Turner non è uomo che possa essere tenuto in gabbia... letteralmente, comprendi?- terminò con un largo sorriso, fissando Ettore che a giudicare dalla sua espressione non comprendeva affatto, ma anzi, si fece ancora più corrucciato e improvvisamente avvicinò ancora di più la canna della pistola al petto di Jack.
- Avete fatto i furbi, e non so come, l'avete passata liscia. - disse, scandendo ogni parola. - Un ostaggio in meno non è un problema per il capitano. Ma ti avverto, Sparrow... - il tono della sua voce si era fatto più che mai urgente. - Se fai solo un altro passo falso, saranno loro a pagarne le conseguenze. - accennò a noi che li guardavamo dalla cella accanto, infine si rialzò bruscamente e uscì dalla cella tirando Konrad con sé. Fu con molta più durezza del solito che prese me, Faith ed Elizabeth per condurci di nuovo sul ponte e prepararci ad un altro giorno di lavoro.
Sgobbai per ore, poi nel tardo pomeriggio mi diedero una pila di mappe con l'ordine di portarle nella cabina di Beatrix, scortata da Ettore e con quella montagna di carta sottobraccio raggiunsi la cabina del capitano: non vi dico la mia sorpresa quando vidi due pirati che vi stavano conducendo Jack.
- Che ci fa Jack qui?- esclamai, quasi parlando più con me stessa che con Ettore, lui mi rispose stringendosi nelle spalle: - Evidentemente il capitano ha chiesto di vederlo. - I due pirati si fermarono sulla soglia e lasciarono andare Jack, che fino a quel momento avevano tenuto stretto per le braccia. Lui rimase fermo ciondolando sul posto, poi voltò la testa verso l'uno e verso l'altro pirata con espressione interrogativa. - Entra, muoviti!- gli ordinò seccamente uno dei due sferrandogli un colpo nella schiena. Jack barcollò in avanti alzando le mani in segno di resa ed entrò nella cabina. Mi avvicinai a mia volta, esitante, quando fui davanti a loro i due uomini nerboruti mi squadrarono con aria minacciosa come chiedendomi con lo sguardo cosa diavolo ci facessi lì. - Devo portare queste al capitano. - mi spiegai mostrando le mappe che portavo sotto braccio.
- Il capitano ha richiesto espressamente di non essere disturbata. - replicò acidamente uno dei due.
- Ci vorrà un attimo, si tratta solo di una consegna. - intervenne Ettore alle mie spalle: mi voltai a guardarlo sorpresa, e lo stesso fecero i pirati che lo scrutarono biechi. Infine il secondo pirata scrollò le spalle e mi ordinò ruvidamente: - Entra. -
Attraversai rapidamente la soglia richiudendomi la porta alle spalle: Beatrix era in piedi nel mezzo della stanza insieme a Jack, e vedendomi entrare mi lanciò un'occhiata noncurante. - Che vuoi?- mi chiese sprezzante: sostenni senza problemi il suo sguardo mentre le rispondevo: - Dovevo portarvi queste carte. -
- Mettile lì e sparisci. - accennò alla scrivania, liquidando la questione, quindi si diresse alla seconda stanza. - Tu vieni con me. - ordinò a Jack puntandogli un dito contro. Lui ciondolò sul posto per un attimo con aria corrucciata, quindi si mosse per seguirla e prima di entrare nella stanza mi rivolse un'occhiata come a dire “boh!”, poi Beatrix chiuse la porta alle loro spalle.
Da sotto il tavolo schizzò fuori la scimmietta che corse verso la porta, e trovandola chiusa vi si fermò davanti, rizzandosi sulle zampe con aria offesa e squittendo mentre si molleggiava su e giù come se si aspettasse che le fosse aperto.
- Oh, piantala. - le borbottai a mezza voce. Depositai le mappe sulla scrivania senza riuscire a staccare gli occhi dalla porta: non si era chiusa bene e vedevo che era rimasto uno spiraglio aperto. Stavo morendo dalla curiosità, e forse non avrebbero sospettato niente anche se ci avessi messo qualche secondo in più ad uscire dalla cabina... in punta di piedi mi accostai alla porta e mi piegai a sbirciare dalla fessura. La seconda stanza era più piccola della prima e c'era un letto, Beatrix vi si era seduta sopra, e Jack era in piedi vicino alla porta.
- A dire il vero sono un po' stanco di venire sbattuto di qua e di là senza un'apparente ragione, Beatrix... magari adesso posso sapere che cosa vuoi?- chiese Jack in tono annoiato. Beatrix si limitò a sorridere languidamente, scrutandolo con evidente apprezzamento, e mio malgrado cominciai ad intuire come poteva andare a finire la cosa.
- E chi ti ha mai “sbattuto di qua e di là”?- gli fece eco fingendosi sorpresa. - Avevo calcolato le tue mosse fin dal principio, capitano. Come potevo impossessarmi di una nave che non posso affrontare in campo aperto? Attirandola in un posto dove la sua velocità e la sua potenza di fuoco non contino niente. Come attirarla? Usando il capitano stesso come ostaggio. - sogghignò, quel ghigno orribile che le attraversava tutta la faccia distorcendo in modo inquietante anche i suoi bei lineamenti. - Come attirare il capitano? Catturando il bambino della sua vecchia amica e usandolo come esca a Tortuga. -
- Come mai quell'intermezzo?- domandò Jack sinceramente incuriosito. - Potevi portare il bambino all'Isla de Muerta e farti inseguire. -
Beatrix sbuffò, stizzosa. - Troppo palese, avreste capito subito che il mio vero intento era tendere un agguato alla Perla Nera nella nebbia, e vi sareste premuniti di conseguenza. In più... non avrei ottenuto te. Tu non mi nuocerai più, Jack Sparrow, e non ti metterai fra me e la Perla Nera un'altra volta. Sogni l'immortalità? L'avrai. Prova cosa vuol dire essere intrappolati in una mezza vita come ha fatto mio padre. E se proprio vorrai tentare di lasciare l'Isla de Muerta... cammina sul fondo del mare per miglia e miglia, se ti garba. Non ho dubbi che ci proverai. Ma io sarò già lontana con la tua adorata Perla, quando lo farai. Una situazione divertente, non ti pare?-
Inaspettatamente, Jack sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi: - Di una perfidia ammirevole, di sicuro. -
- Ti ricordi quando ti ho conosciuto?- continuò lei lentamente, con voce più dolce del solito. - Non mi sei mai dispiaciuto, lo sai. Che peccato che debba finire tutto così. - si alzò in piedi e con due passi decisi si avvicinò a lui, gli si piazzò proprio di fronte, ad un centimetro dalla sua faccia. - Questo non cambierà assolutamente niente a ciò che ti aspetta... ma non potrai godere mai più di niente, ti conviene approfittarne ora. - le sue labbra piene e sensuali erano ad un soffio dalle sue e il suo corpo era spiaccicato contro quello di Jack, le sue mani stringevano vogliose la sua camicia tirando i suoi fianchi contro quelli di lei.
Stavo friggendo di rabbia, tirai alcuni profondi respiri per calmarmi e pigiai più forte l'occhio allo spiraglio della porta per vedere ciò che succedeva nella stanza. Potevo vedere Jack quasi di profilo: sotto l'assalto del capitano mi parve un po' spiazzato, lasciò che Beatrix lo abbrancasse ai fianchi senza reagire, e per un attimo dischiuse le labbra all'avvicinarsi di quelle di lei, ma poi lo vidi socchiudere gli occhi scrutandola di sottecchi, e si staccò un po' da lei. - Normalmente non dico di no ad una bella donna, lo sai... - disse a voce bassa, tirando indietro il busto. - ... ma vedi, ho una certa difficoltà a lasciarmi andare con le serpi. -
L'espressione di Beatrix si trasformò all'istante da seducente a rabbiosa; spinse via Jack quasi con disgusto e lo fissò furibonda. Alle mie spalle, la scimmia era balzata sul tavolo e continuava a squittire senza sosta: mi voltai verso di lei con l'intento di zittirla quando mi accorsi di tre bottiglie sul ripiano del tavolo, accanto alla scimmia. In un impeto di avventatezza decisi che era il caso di agire. Raggiunsi il tavolo in un balzo e agguantai per il collo una delle bottiglie, levandola sopra la mia spalla come una mazza: la scimmia si acquattò fissandomi ad occhi sgranati come se cominciasse ad intuire che aria tirava. - Ti conviene toglierti. - sibilai, concedendomi un ghigno. Con un solo gesto del braccio colpii le bottiglie, che si infransero a terra in un'esplosione di cocci e liquore mentre la scimmia balzava via strepitando.
Due porte si spalancarono all'istante: quella della stanzetta dalla quale uscì di gran carriera una Beatrix assolutamente inferocita, e la porta di ingresso della cabina dalla quale entrarono i due pirati nerboruti seguiti da Ettore.
- Cosa stai facendo qui dentro?- ruggì uno dei pirati, indicandomi con aria assassina. La scimmia, inzuppata di rum uscito dalle bottiglie fracassate, corse a rifugiarsi dietro gli stivali di Beatrix e da lì mi scrutò, soffiando.
- Scusate!- esclamai, mentre pensavo che mai espressione innocente era stata così palesemente fasulla. - Scusate! Ho urtato il tavolo e ho combinato un disastro, perdonatemi!-
A Beatrix poco mancava che le uscisse fumo dalle orecchie mentre rabbiosamente spazzava via col piede alcuni dei cocci che ingombravano il pavimento; alle sue spalle Jack fece un'espressione buffissima corrucciando le labbra e sollevando le sopracciglia, sembrava impedirsi a forza di ridere.
- Ripulisco tutto, non vi preoccupate!- assicurai in tono ossequioso.
- Fuori di qui. - sibilò Beatrix fissandomi con espressione omicida.
- No, no, insisto per rimediare... -
- Fuori!- ruggì lei, scattando in avanti ed evitando per un soffio di scivolare sulla pozza di rum rimasta per terra. - Fuori tutti e due!- gridò, quasi isterica. - Riportateli in cella!-
I due pirati afferrarono me e Jack e cominciarono a trascinarci via praticamente di peso. Ettore li rincorse cercando di fermare quello che aveva preso me. - Sono io che devo sorvegliarla!-
- Il tuo incarico è finito, Ettore!- replicò seccamente Beatrix, schiacciando cocci sotto gli stivali. - Siamo quasi all'Isla de Muerta, non c'è più ragione di preoccuparsi di loro. Vedremo quanto avranno voglia di fare gli spiritosi quando saremo là!-
Ce ne andammo dalla cabina, mentre io cercavo di fermare un sorriso soddisfatto che per poco non mi faceva il giro completo della faccia. Mentre ci scortavano rudemente sottocoperta io ero felice, trionfante perché Jack aveva fatto a Beatrix uno smacco personale forse sufficiente da ripagarle tutto quello che ci aveva fatto, e incredibilmente felice perché nonostante tutto c'era ancora qualcosa che lei non era riuscita a portarmi via, e quello era Jack.
Mentre scendevamo le scale della prigione coi pirati davanti e dietro incrociai il suo sguardo e lo vidi inarcare le sopracciglia e farmi un sorriso pienamente soddisfatto. - Tesoro, la prossima volta che vieni a salvarmi cerca di evitare spargimenti di rum, intesi?- mi bisbigliò, urtandomi la spalla con la sua mentre procedevamo fianco a fianco.
- Accontentati capitano! Per un attimo ho anche dubitato che volessi essere “salvato”. - replicai con un sogghigno.
- Dubitato?- ripeté lui con voce volutamente maliziosa. - Perché mai? A parte che ero sicuro che ci fossi tu lì dietro a sbirciare quel che accadeva... sembra essere diventata un'abitudine quella di guardarmi le spalle, eh?-
- Pirata!- ridacchiai semplicemente, crogiolandomi in un piacere torvo ricordando l'espressione oltraggiata di Beatrix.
Ci fermarono davanti alla porta della prigione, uno dei pirati ci diede le spalle mentre infilava la chiave nella toppa e l'altro ci spinse ad un lato dell'angusto corridoio schiacciandoci contro la parete, spalla a spalla; ad un tratto, forse approfittando del fatto che eravamo così vicini, Jack si protese di più verso di me, sentii la sua mano salire sul mio collo, poi sul mento. - La mia pirata preferita. - disse sottovoce, la sua voce meravigliosa ora a pochi centimetri dal mio orecchio mentre gli si dipingeva sul viso l'adorato sorriso furfante. Improvvisamente le nostre facce erano troppo vicine. Mi baciò, premendo le sue labbra sulle mie con una dolcezza insospettata. Tutto svanì in un attimo: il corridoio verso la prigione, i pirati che ci accerchiavano, c'eravamo solo io e Jack; istintivamente gli avevo stretto le braccia sui fianchi per tenerlo ancora più vicino a me e sentivo la sua bocca sulla mia, labbra con labbra che si accarezzavano dolcemente, era una sensazione così strana e allo stesso tempo così dolce... quel bacio durò qualche secondo, poi Jack staccò il viso dal mio a labbra ancora dischiuse, separandoci troppo presto anche se continuò a tenermi il viso fra le mani che mi sembrarono improvvisamente fresche sulle mie guance diventate bollenti.
- Ehi, voi due! Piantatela e camminate!- esclamò uno dei pirati dando una spinta a Jack, strappandomi troppo, troppo presto da quell'abbraccio che mi aveva lasciata letteralmente senza fiato, e pungolandolo in modo che si dirigesse alla sua cella. Io mi lasciai condurre docilmente dietro le sbarre perché al momento non avevo il pieno possesso delle mie facoltà mentali e fisiche. Avevo ancora in bocca il sapore del suo bacio. Un sapore caldo, non avrei saputo come altro definirlo.
Mi sedetti accanto ad Elizabeth e a Faith, che se ne stavano un po' mogie nel mezzo della cella, ma mentre lo facevo cercai lo sguardo di Jack attraverso le sbarre, come per convincermi che era successo veramente: lui ricambiò lo sguardo, e mi fece un sorriso segreto, intimo, che era per metà brigante e per metà dolce. I pochi metri fra le sbarre che ci separavano mi sembrarono improvvisamente chilometri, e qualcosa che era rimasto troppo tempo addormentato si svegliò di soprassalto e prese a rimbalzarmi impazzito all'altezza dello stomaco.
Stavamo per arrivare all'Isla de Muerta, dove si sarebbe deciso il nostro destino, eppure in quel momento l'unica cosa che riuscivo a fare era chiedermi come poteva la bocca di Jack sapere di rum quando erano giorni che non ne toccava un goccio.

Note dell'autrice:ehm ehm... finalmente dopo un bel po' di tempo ecco questo nuovo, lungo capitolo che ha richiesto veramente tanto lavoro! Grazie ancora a Shalna per i complimenti sull'ultimo capitolo, è soprattutto grazie al tuo aiuto e ai tuoi consigli che sto migliorando così tanto! Spero che apprezzerai anche questo nuovo capitolo un po' speciale dove i nostri due protagonisti si sono finalmente e definitivamente riuniti! Wind the sails!

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Capitolo 12
*** La caverna ***


Capitolo 12
La caverna



Alcune ore dopo mi parve che la nave gettasse l'ancora, e non mi ero sbagliata perché di lì a poco un drappello di pirati entrò nella prigione: ci fecero uscire in fretta dalle nostre celle e ci legarono le mani; a Jack passarono delle catene perfino attorno alle caviglie, in modo da permettergli di camminare ma non di correre. David che cominciò a singhiozzare impaurito quando le funi spesse strinsero in una morsa anche i suoi piccoli polsi, anche se i pirati permisero ad Elizabeth di tenerlo vicino a sé.
- Muovetevi!- ci ordinò uno di loro tirandomi per farci camminare, io istintivamente feci resistenza anche se ero ben consapevole che non mi sarebbe servito a molto. - Cosa volete farci?- chiesi, sottraendomi alla presa del pirata. Quello sogghignò, mostrando i denti marci, e mi riacciuffò per un braccio per trascinarmi dietro di sé. - Si sbarca dolcezza, siamo arrivati. -
E così eravamo all'Isla de Muerta: questo significava che per noi probabilmente era la fine. Ci spinsero fuori dalla prigione facendoci camminare in fila indiana: Jack incespicava continuamente per colpa delle catene ai piedi tanto che i pirati lo facevano avanzare a spintoni, io mi dannavo cercando di allentare la corda che mi stringeva dolorosamente i polsi, ma se c'era qualcosa che quegli uomini erano bravi a fare, quelli erano i nodi. Mentre ci spingevano fuori notai Ettore fermo accanto alla scaletta che dava in coperta, e come per un folle impulso mi rizzai in punta di piedi per vederlo da dietro le teste dei pirati che ci accompagnavano: lui non ci guardava ed era serio in volto.
- Ettore per favore... - mormorai in un soffio, aggrappandomi anche all'ultimo, effimero brandello di speranza. Lui non si voltò neppure.
- Non puoi lasciare che ci facciano questo, Ettore! Ti prego!- esclamò Faith con voce notevolmente più alta della mia mentre un altro pirata la strattonava brutalmente. Quasi involontariamente Ettore alzò gli occhi su di lei solo per un attimo, per poi voltare bruscamente il capo. - Non sono più il vostro responsabile. - mormorò in tono piatto stando attento a non incrociare il suo sguardo , per poi voltarci le spalle e salire in coperta.
- Ettore!- lo chiamò ancora Faith in un grido disperato che mescolava paura, supplica e rabbia insieme, ma lui aveva già risalito la scaletta. Ci portarono in coperta e per un momento mi chiesi con sgomento dove fossimo finiti: il cielo limpido sotto il quale avevamo navigato quella mattina era sparito, tutto attorno a noi era una foschia di nebbia grigia e anche sul ponte regnava un silenzio innaturale come per un reverenziale timore per quel posto misterioso.
- Voglio che carichiate i cannoni e teniate pronte le armi. - ordinò Beatrix con la scimmia sulla spalla, marciando davanti ai suoi uomini schierati sul ponte. - So che la Perla Nera ci sta inseguendo, e sono sicura che presto sarà qui: saremo pronti a riceverla. Avremo il favore della nebbia, non ci vedrà arrivare e potremo abbordarla: nessuna pietà per l'equipaggio. Noi torniamo fra pochi minuti: voglio le vedette pronte ad individuare il minimo segno di una nave in arrivo, e sia chiaro che non tollero errori o distrazioni. -
All'ordine di Beatrix ci caricarono su tre scialuppe che una dopo l'altra furono calate in acqua: ben pochi parlarono durante le manovre, e il tonfo che le barcacce fecero toccando l'acqua parve in qualche modo violare il silenzio tombale. Eravamo, a quanto pareva, in una baia immersa nella nebbia, attorno a noi spuntavano dall'acqua immensi scogli nerastri, frastagliati come fauci, e relitti di navi affondate, un posto spettrale: un cimitero di navi. Regnava un silenzio di morte, la nebbia era così fitta che con ogni probabilità l'isola non era individuabile da navi di passaggio. Affondati i remi nell'acqua, i pirati condussero le scialuppe dove la scogliera si faceva più compatta e si innalzava sopra di noi formando una specie di enorme caverna: sollevando lo sguardo verso la volta della grotta notai che per buona parte era crollata, e i grossi macigni affioranti fra i quali avanzavamo dovevano essere i detriti. La grotta allagata sembrava aprire un considerevole foro all'interno della parete rocciosa, ma finora non avevo visto nulla che potesse suggerire un passaggio che conducesse nelle viscere dell'isola.
- In questi anni questo posto non è cambiato poi tanto. - udii commentare Jack a bassa voce quando le due scialuppe dove stavamo, lui in una ed io, Faith, Liz e David nell'altra, si accostarono fino ad urtare lievemente l'una contro l'altra. Beatrix, sulla scialuppa di fronte alle nostre, stava ritta in piedi con sicurezza e sembrava del tutto soddisfatta: certo che la era, stava per liberarsi di noi in un colpo solo quella maledetta... Il mio cuore era un tamburo, per la rabbia e per la paura.
Ad un certo punto incontrai gli occhi di Jack, che mi fece un lieve sorriso, come per incoraggiarmi: forse il primo sorriso vero che gli vedevo fare, né sardonico né provocatorio. Un sorriso dolce, e basta. Ricambiai con uno molto tremante: non potevo impedirmi di avere paura. E invece lui... lui era il capitano Jack Sparrow, e per qualche sua bizzarra follia non avrebbe smesso di giocare i suoi piani anche ad un passo dal disastro. Forse era per quello che mi ero così disperatamente innamorata di lui.
Erano passate soltanto poche ore da quando mi aveva baciata all'ingresso della cella? Mi sembrava fosse trascorsa un'eternità, anche se nella mia mente rivedevo a ripetizione la scena nei particolari, chiedendomi ancora se non fosse forse troppo bello per essere reale. Forse sarebbe finito tutto lì, su quell'isola maledetta dove Beatrix avrebbe compiuto la sua vendetta, anche su di noi che non avevamo nulla a che fare con lei. Ma Jack... almeno aveva fatto in tempo a mostrarmi che cos'era la vera libertà, ed era una cosa che non avrei dimenticato mai.
E mi aveva fatto quell'ultimo, inaspettato regalo, quella muta e dolce confessione che cercava una conferma.
“Vorrei avertelo detto prima.” mi trovai improvvisamente a pensare mentre lo guardavo scivolare via sulla scialuppa: di colpo mi sentivo piena di sconforto e, sì, di frustrazione. Avevo avuto il capitano per me per pochi istanti in quel bacio furtivo che, non potevo più negarlo, avevo desiderato con tutta me stessa, ma ora la vendetta di Beatrix me lo avrebbe portato via. Di nuovo. “Vorrei avere avuto il coraggio. Perdonami, Jack. E grazie...”
Le barche si misero in fila l'una dietro l'altra, così vicine che ogni onda le facevano cozzare insieme: allora vidi la spaccatura. Era sopravvissuta al crollo della volta che doveva avere chiuso l'immensa caverna che pareva esserci stata un tempo: seminascosta da una parete di macigni, si spalancava un'alta apertura semicircolare, dove l'acqua spariva in quello che sembrava un lungo condotto all'interno dell'isola. Con cautela, le scialuppe vi si infilarono mentre anche la debole luce dell'esterno spariva, inghiottita dal buio del canale: percorremmo un lungo tunnel sotterraneo fiocamente illuminato dalle lanterne a bordo delle scialuppe la cui luce danzava sinistramente sulle pareti umide e sconnesse della galleria. A tratti sull'acqua si allungavano passerelle di roccia su cui si muovevano granchi ed altri piccoli molluschi disturbati dalla luce improvvisa, e ad un certo punto fui certa di aver intravisto degli scheletri umani. Ad un certo punto il condotto divenne così stretto che fummo tutti costretti ad abbassare la testa per non prendere contro al soffitto e avvertii una spiacevole sensazione di claustrofobia, infine fu la chiglia della nostra scialuppa a grattare il fondo e approdammo davanti ad un'intricata rete di gallerie che si diramavano in tutte le direzioni.
Ci fecero alzare: Jack ebbe bisogno di aiuto per via delle catene ai piedi, poi a suon di spintoni fummo condotti attraverso le gallerie illuminate dalla luce delle torce dei nostri carcerieri dove camminavamo ancora con l'acqua fino alle ginocchia. Con un senso crescente di inquietitudine mi trovai a domandarmi se l'acqua arrivasse mai ad allagare completamente l'intricata rete di gallerie.
Attraversata l'ultima tortuosa galleria ci si presentò uno spettacolo mozzafiato: un'enorme caverna, per metà allagata, traboccante di ogni ben di dio: dobloni, monili, perle, suppellettili preziosi, statuette d'oro, sciabole dall'elsa ingioiellata... ogni angolo ne era pieno, al centro della caverna emergeva dall'acqua un isolotto, anch'esso ricoperto di monete d'oro e oggetti preziosi, e in cima vi era un grosso forziere di pietra.
- Sembri conoscere bene questo posto. - disse Jack a Beatrix mentre venivamo condotti verso l'isolotto affiorante. Lei gli lanciò appena un'occhiata, molto più impegnata a fare scorrere gli occhi sul suo tesoro. - L'avidità di mio padre mi è stata utile: dopo che l'ho scoperto mentre tutti gli altri credevano il suo tesoro perduto per sempre a causa dell'inondazione, questo posto è stato il mio deposito per anni: ho sfruttato un bel po' delle immense ricchezze che mio padre mi aveva lasciato. Siamo stati fortunati: dopo che l'isola per lungo tempo è stata sommersa dal mare, adesso di notte la marea allaga completamente tutto il condotto. Non tutto il tesoro è stato risparmiato... al resto ci ho pensato io. - salì a grandi passi fino in cima all'isolotto, calciando via una coppa d'oro e fermandosi davanti al forziere, sul quale appoggiò lentamente, quasi con cautela le mani.
Al suo gesto la scimmia, che durante tutto il tragitto era rimasta aggrappata alla sua spalla, scese a terra con un balzo atterrando ai piedi del forziere, e cominciò a camminare avanti e indietro per l'isolotto, frugando di tanto in tanto fra i preziosi abbandonati sulla roccia.
Jack ruotò lentamente il capo a destra e a sinistra come cercando qualcosa, infine lo puntò ai piedi dell'isolotto. - Dimmi, il tuo caro ex-estinto lo sa che per anni ti sei goduta il suo tesoro?-
Beatrix si voltò verso di lui arricciando le labbra con aria seccata come per ricordargli che non era esattamente nella posizione di fare domande, quindi scrollò bruscamente le spalle. - Quello che faccio non lo riguarda. Ti ricordo che mio padre era ufficialmente morto quando sono riuscita a scovare l'isola. -
Jack distolse gli occhi dall'isolotto per alzarli su di lei, con aria per niente turbata. - Che sorpresa trovartelo vivo e vegeto neanche un anno dopo, eh? Buffo come alcuni al suo cadavere ci abbia pensato qualcun altro invece che tu, sua figlia. - le fece in tono affabile. Alle sue parole l'espressione di Beatrix si fece più dura e si fermò accanto al forziere di pietra, i pugni sui fianchi. - Cosa vorresti dire?- domandò aspramente.
- Mai sentito parlare di Tia Dalma?- continuò Jack mentre i pirati che ci accompagnavano cominciavano a sembrare innervositi dalla piega che stava prendendo il discorso. - Oh... no, non dirmi che il vecchio Hector non ti ha raccontato proprio nulla! Eppure tornare in vita non è cosa da tutti i giorni... -
- Tutte queste chiacchiere mi stanno annoiando. - sbuffò Beatrix distogliendo lo sguardo da lui, ma Jack proseguì imperturbabile e lei dovette ascoltarlo per forza. - Perché non ti ha mai rivelato nulla? Perché non ha mai cercato di servirsi di te per prendermi la Perla? La risposta non è allegra ma è semplice, Beatrix... Barbossa non si fida di te. Sa che sei troppo avventata. E sa che non riuscirai nel tuo intento nemmeno stavolta. -
Per lunghi istanti uno strano silenzio immerse la caverna mentre Beatrix stringeva le labbra e abbassava gli occhi sgranati, meditando chissà cosa fra sé e sé, infine sussultò come riscossasi all'improvviso e abbaiò ai suoi pirati: - Portateli qui!- indicando il forziere.
I pirati portarono me, Faith Elizabeth e David ai piedi dell'isolotto e ci fecero inginocchiare nell'acqua bassa mentre Jack veniva trascinato in cima all'isolotto, accanto al forziere di pietra: ora lo vedevo meglio, era inciso con l'immagine di quattro figure umane danzanti, in stile maya. Era dunque quello il tesoro maledetto? Uno dei tre pirati che ci teneva sotto controllo mi puntava una pistola contro il collo, e ad un tratto sentii qualcuno che mi afferrava per i piedi: sussultai, e mi resi conto che i pirati ci stavano legando insieme anche le caviglie, ora eravamo completamente inermi e legate come salami.
- Ora, se fossi così gentile da prendere qualche moneta dal forziere... - disse pigramente Beatrix, osservando Jack con le mani sui fianchi, in attesa.
- E se non lo faccio mi ucciderai?- replicò Jack inarcando un sopracciglio.
Beatrix sbottò in una risata cinica, scuotendo il capo. - Mi hai fraintesa, Sparrow, così sarebbe troppo facile. Non è “prendi una moneta o muori”, è “prendi una moneta o le tue care amiche e il bambino muoiono”. -
- Sei una schifosa lurida bastarda!- gridai senza riuscire più a trattenermi, la pistola premette ancor di più contro la mia nuca e Beatrix mi lanciò uno sguardo carico di disgusto. - Rapido tu, la mia pazienza ha un limite. - sibilò, tamburellando le dita sulla propria pistola.
Jack esitò un attimo poi tese le mani legate e prese una moneta d'oro dal forziere, se la rigirò per qualche istante fra le dita, quindi lanciò uno sguardo incuriosito a Beatrix come a dire “e adesso?”. I pirati lo osservavano con curiosità morbosa come se si aspettassero di vederlo trasformarsi in fantasma da un momento all'altro. Non accadde niente, ma dal racconto di Will sapevo che ora era maledetto: presto con la notte sarebbe arrivata la luna, e, se ciò che mi aveva detto era vero, con essa si sarebbe svelato il suo nuovo aspetto di morto vivente.
- Ora che ne facciamo di loro, capitano?- domandò uno dei pirati quando, con una certa delusione, constatò che niente di orribile era ancora accaduto a Jack, e cominciando ad occhieggiare impaziente i tesori disseminati per la caverna. Beatrix scoccò un'occhiata ad uno degli uomini che trattenevano i nostri amici, e quello si abbassò e strinse tutto d'un colpo le catene alle caviglie di Jack, che si sbilanciò e piombò pesantemente a terra fra le grasse risate del resto della ciurma. Una volta che il capitano fu per terra con braccia e gambe bloccate, lo presero con malagrazia per le spalle e lo trascinarono giù dall'isolotto per depositarlo come un sacco di patate in un angolo della caverna.
- Raccogliete tutto quello che potete del nostro bottino, lasciamo questo posto per sempre. - rispose Beatrix mentre altri pirati prendevano anche noi quattro e ci trascinavano nell'acqua bassa per scaricarci accanto a Jack. - E loro lasciateli qui: lasciamo che si godano la loro nuova condizione. - aggiunse con un ghigno. Con un grido di gioia i pirati si gettarono a fare razzia lasciandoci legati e impotenti nel nostro angolo.
- No aspetta!- le gridò Elizabeth, contorcendosi inutilmente nel tentativo di liberarsi. - Jack è sotto l'effetto della maledizione, ma noi no! Annegheremo appena si alzerà la marea!-
La donna si portò una mano alla bocca ostentando un'espressione di sconvolta sorpresa. - Oh santo cielo, non ci avevo proprio pensato!- esclamò con un tono da bambina volutamente irritante. - In effetti temo proprio che annegherete se vi lasciamo lì legati... So che tuo marito era il figlio di Sputafuoco Bill Turner, signorina, quell'idiota senza fegato della ciurma di mio padre che era rimasto fedele a Sparrow. - l'ultima frase la aggiunse con un tono molto più ruvido.
- E con questo?- replicò acidamente Elizabeth, lanciandole uno sguardo di fuoco.
- So come è finito Bill Turner. - Beatrix tornò a rivolgersi a Jack con un sogghigno spietato stampato in faccia. - Dovrebbe essere un'esperienza interessante per te sperimentare esattamente che cosa ha provato quel povero diavolo, immortale e in balia del mare. - con queste parole ci voltò le spalle e fece per raggiungere il resto della sua ciurma. Ero sdraiata nell'acqua, e l'impossibilità di muovermi rendeva tutto molto più scomodo: ancora una volta mi divincolai, ma le funi che mi stringevano polsi e caviglie sembravano d'acciaio tanto erano rigide. Elizabeth era riuscita ad avvicinarsi a Faith e stava cercando goffamente di sciogliere i suoi legacci, ma senza risultato.
- Perfetto!- esclamò Jack ribaltandosi su un fianco per essere girato verso di noi; mi accorsi che stringeva ancora in mano il doblone d'oro che aveva raccolto dal forziere. - Adesso dobbiamo solo aspettare che se ne vadano... -
- Per fare cosa?!- sibilai, riuscendo, dopo alcuni attimi di contorcimenti, a mettermi seduta. - Siamo in trappola! Appena salirà la marea... -
- Beatrix e la sua ciurma sono in trappola quanto noi. - Jack esibì il sogghigno più sadico che gli avessi mai visto fare, quindi si portò le mani legate al petto armeggiando per infilare il doblone d'oro al sicuro dentro una delle tasche della sua giacca.
Improvvisamente risuonò un boato, giunto dall'esterno e amplificato attraverso la rete di gallerie: tutti i pirati sussultarono e si bloccarono, guardandosi attorno con aria allarmata; era stato il boato di un cannone.
- Credo che sia arrivata la mia ciurma. - commentò Jack sogghignando, con tutta la calma del mondo. Beatrix si voltò verso di lui con uno scatto repentino e lo fissò furibonda. - Lo sapevi!- sbraitò, comprendendo improvvisamente. - Come hanno fatto a... non possono... non possono averci preceduti! Non è possibile!-
- Non possono? Tu dimentichi che la Perla Nera è pur sempre la nave più veloce dei Caraibi, Beatrix. - la interruppe gelidamente Jack. - Sapevo esattamente dove volevi portarci, così prima di incontrarvi ho detto alla mia ciurma dove dirigersi nel caso non fossimo tornati dalla locanda. La Perla ci stava aspettando là fuori da un pezzo, esattamente come speravate di fare voi. Certo i tuoi uomini erano pronti a ricevere la Perla e abbordarla di sorpresa col favore della nebbia... però non credo che fossero pronti a vedere invertiti i ruoli. E ora la Revenge è là fuori, praticamente indifesa, e quando uscirete sulle scialuppe sarete un facile bersaglio per i cannoni. - un sogghigno più duro gli si dipinse sul viso. - Vi consiglio di prendere la vostra decisione in fretta, capitano: non vorrete arrivare e trovare la vostra nave già affondata. -
Si udirono altri boati: fuori la Perla Nera si stava scontrando con la Revenge, che avrebbe avuto poche possibilità priva di gran parte della ciurma. Beatrix lanciò a Jack un'occhiata assassina, poi sguainò la spada e gridò: - Ciurma, alle armi! Se qualche codardo non darà il meglio di sé là fuori mi occuperò personalmente di strappargli le budella, a meno che non ci abbiano già pensato i nostri nemici! Avanti, cani rognosi!-
I pirati seguirono di corsa, Beatrix che stava già correndo verso il tunnel, urlando e agitando le armi come un branco di indemoniati. - Laura!- Faith mi richiamò con una gomitata. - Strisciamo, forse riusciamo a raggiungere una di quelle spade e liberarci!- mi fece cenno col mento ad un punto davanti a noi, e lì vidi alcune sciabole accatastate fra i gioielli.
- Va bene... - occhieggiai la galleria, constatando che se ne erano andati quasi tutti e in ogni caso non avrebbero badato a noi. - Adesso!-
Ci eravamo appena rigirate carponi per trascinarci fino alle sciabole quando al mio fianco la mia amica lanciò un urlo: sobbalzai, voltandomi verso di lei, e con orrore mi accorsi che non tutti i pirati avevano lasciato la caverna. Due di loro avevano agguantato Faith, e dai loro ghigni non sembravano affatto intenzionati a partecipare all'attacco.
- Qualcosa mi dice che oggi guadagneremo di più rimanendo qui!- sghignazzò uno dei due, grosso e col viso ricoperto di efelidi, abbrancando Faith alla vita e sollevandola di peso. Lei urlò e cercò di prenderlo a calci, io mi buttai goffamente verso di loro determinata a fare qualsiasi cosa, ma il secondo mi allontanò con un calcio che mi spedì per terra, ammaccata e frastornata.
- Lasciala andare!- anche Elizabeth e gli altri stavano cercando di fermarli, ma messi così eravamo pericolosi quanto pesci in un barile: i due pirati strattonarono Faith abbastanza lontano da noi perché non potessimo nuocere, e uno di loro estrasse uno dei lunghi coltellacci che avevo già visto addosso a diversi della ciurma.
Faith si ritrasse e cercò di tirargli un calcio, ma il pirata la bloccò. - Dai, urla adesso!- rise, puntandole il pugnale alla gola e cominciando a toccarla brutalmente con la mano libera. - Mi piace quando le mie vittime urlano... -
Il colpo fu repentino quanto inatteso: una terza figura apparsa in quel momento alle spalle dei pirati sferrò all'uomo un pugno al volto talmente violento da buttarlo per terra mentre l'altro, allibito e furioso gridava: - Che stai facendo?!-
In quel momento riconobbi il terzo pirata: era Ettore. E sembrava assolutamente infuriato.
- La battaglia è là fuori, razza di disertori codardi!- sbraitò, stringendo i pugni tanto che le nocche erano bianche. L'uomo indietreggiò senza lasciare andare Faith, malgrado questa gli stesse colpendo ripetutamente uno stinco col piede: - Ma che accidenti vuoi?- fece, arretrando ancora di qualche passo: quello a terra riuscì solo a gemere, stringendosi la faccia con le mani. - Non c'è bisogno che ti scaldi, volevamo solo divertirci un po'... -
Ettore sguainò la spada e gliela puntò contro: - Lasciala!-
L'ordine pronunciato con rabbiosa determinazione fece sussultare di sorpresa il pirata, che dopo avere esitato solo un istante spinse Faith lontano da sé, lasciandola cadere malamente sulla roccia. Strisciai verso di lei più in fretta che potei, anche se la vidi raddrizzarsi e allontanarsi dai due pirati, quindi non poteva essersi fatta troppo male.
- E adesso si può sapere che cosa ti è preso?- ringhiò l'uomo, scrutando Ettore che gli puntava contro la spada mentre la sua mano esitava accanto alla pistola infilata in cintura. Il pirata che era stato buttato a terra si era alzato a sedere e si strofinava il viso, fissando Ettore con odio indicibile. - Le vuoi per te, eh?- ringhiò, tremante di rabbia. - Non avere fretta di farci la predica, tu, pomposo leccapiedi del capitano!-
- Suvvia, siamo gentiluomini di fortuna, possiamo dividerci le donne tutti e tre, basta che tu non ci denunci di codardia... - propose il primo pirata, con quella che a quanto pareva considerava un'offerta di pace.
- Adesso basta!- gridò Ettore, e si mise con decisione fra noi e i due pirati. - Non vi avvicinate! Nessuno ha detto di far loro del male!-
- Cane!- sbraitò il secondo sputandogli addosso. - Bastardo senza fegato! L'ho sempre detto che il capitano sbagliava a fidarsi di te!-
Sguainò la propria spada e scattò avanti, ma Ettore fermò il suo colpo. - Ti ho detto di stare indietro!- urlò di nuovo, respingendo la sua lama.
- Forse una spada in gola ti calmerà i bollenti spiriti!- il pirata si scagliò contro di lui: le spade si incrociarono rapide, si colpirono ripetutamente in una danza frenetica e mortale. Nel frattempo il terzo pirata si era rialzato e gli si avvicinava alle spalle decisamente imbufalito. - Dietro!- esclamò Faith: Ettore girò su sé stesso e deviò la lama del pirata che, sbilanciato, esitò quei pochi secondi che occorsero ad Ettore per infilzarlo. Nello stesso istante l'altro pirata si gettò su di lui urlando: io allungai prontamente le gambe e gli feci lo sgambetto. Quello incespicò e piombò per terra imprecando, Ettore gli bloccò la mano armata con un piede e gli piantò la spada nella schiena.
- Però congratulazioni!- si complimentò Jack quando il pirata, ansimante, si allontanò dai corpi: lui fece un sorriso frettoloso e si chinò su Faith, liberandola dalle corde che le bloccavano le mani.
- Forse siamo ancora in tempo per fermarli. - disse mentre liberava Elizabeth, e Faith a sua volta slegava me, quindi si accostò a Jack, cominciando ad armeggiare con le sue catene. - Se riusciamo a raggiungerli con una delle scialuppe rimaste possiamo aiutare la tua ciurma!-
Dopo alcuni istanti riuscì a liberare anche lui e gli diede una delle spade dei pirati morti; Jack soppesò la nuova arma e sorrise soddisfatto, per poi voltarsi a guardare il pirata con aria impaziente: - Ebbene... andiamo?-
- Aspetta, non è meglio liberarti dalla maledizione prima?- chiese Elizabeth accennando alla cassa, ma Jack scosse vigorosamente la testa. - No, sono più utile immortale in questo caso, credimi... Beatrix avrà una bella sorpresina. - - Aspettateci, veniamo con voi. - dissi, guardandomi in giro in cerca di qualche arma: in mezzo ai tesori avevo visto alcune sciabole, ma prima che potessi andare a cercarle Jack mi agitò il dito davanti alla faccia. - No tesoro, adesso voi rimanete qui al sicuro finché non è finita la battaglia, comprendi?-
- Ma... - feci per protestare, ma lui mi zittì con un sorriso quasi di scusa, per poi avviarsi con Ettore verso la galleria. Da chissà dove apparve la scimmietta che fino a quel momento doveva essere rimasta a frugare fra i tesori, e cominciò a saltellare e berciare come impazzita. - Ma che le prende?- feci in tempo a chiedermi prima di avere un orrendo presentimento e voltarmi di scatto verso la galleria, ma troppo tardi. Ettore fece per imboccare il condotto quando improvvisamente risuonò uno sparo, e il pirata ruzzolò per terra gridando e stringendosi il fianco.
- Ettore!- gridò Faith, facendo per correre verso di lui, ma io la trattenni: avevo visto chi gli aveva sparato nascosta nell'ombra.
- Quando ho sentito rumori di lotta credevo di dover venire a pescare dei codardi. E invece tu. - quella voce non ci lasciò altri dubbi: Beatrix uscì dalla galleria, la pistola ancora fumante, con sei dei suoi pirati alle spalle. Doveva essere tornata indietro per sistemare i presunti traditori mandando il resto dei suoi uomini a combattere contro la Perla. Ettore emise un gemito rabbioso e faticosamente arrancò lontano da lei.
- Sapevo che non dovevo fidarmi di te. - disse lei in tono sprezzante, puntò la pistola, il dito già sul grilletto.
- Beatrix... - gemette lui stringendo i denti, gli occhi strabuzzati. - Beatrix... -
- Pietà? Tu supplichi? Tu implori adesso?- gridò lei con furia indicibile, tirando indietro il cane della pistola con uno schiocco sonoro.
- No!- gridai, lasciando andare Faith e cercando disperatamente un modo per fermare Beatrix...
Il colpo partì. Ma non colpì Ettore, bensì Jack che repentinamente si era messo in mezzo. Orripilata guardai il foro fumante nel suo petto, aspettandomi di vederlo accasciarsi a terra da un momento all'altro... ma non accadde. Jack guardò il foro del proiettile con aria noncurante e sogghignò tranquillo in faccia a Beatrix. - Questo non l'avevi previsto, eh?-
Beatrix lanciò un urlo di rabbia poi ordinò, agitando la spada: - All'attacco, topi di fogna, teneteli indietro!- i cinque pirati ci attaccarono; io agguantai una sciabola che spuntava da una cassa piena di dobloni, Faith ed Elizabeth seguirono rapide il mio esempio mentre David corse a rifugiarsi dietro il forziere maledetto. Cominciò lo scontro: il pirata che mi arrivò addosso sembrava aspettarsi di buttarmi giù con un colpo per poi andare ad occuparsi dell'avversario più pericoloso, Jack, di certo non si aspettava che fossi in grado di opporgli resistenza. Era il momento di mettere in pratica tutte quelle faticose lezioni di scherma. Con un urlo, forse per liberare l'adrenalina o per farmi coraggio, respinsi il suo colpo con forza, poi feci un passo in avanti e gli feci lo sgambetto. Il pirata vacillò ed io feci un affondo, che andò però a vuoto.
La sua lama incrociò la mia, arrivandomi pericolosamente vicina e graffiandomi un braccio; mentre sostenevo il suo attacco con la mano destra, con la sinistra gli mollai un pugno in pieno petto, lui sobbalzò all'indietro, allora lo caricai. Si spostò di lato per evitare la mia carica e lo ebbi dove lo volevo: mi fermai di botto e gli diedi uno spintone con l'elsa della spada, buttandolo in acqua.
Elizabeth incrociava ferocemente la spada contro un secondo pirata aiutata da Faith che lo ostacolava attaccandolo di fianco, il resto del gruppo aveva circondato Jack e lo incalzava con le lame sguainate. Vedendosi privo di vie di fuga, Jack ruotò rapido su sé stesso facendo cozzare la sua spada contro le quattro dei suoi avversari. - Ebbene, fatevi sotto!- esclamò, ostentando una baldanza palesemente falsa. Un istante dopo lo vidi sparire sotto la massa dei pirati urlanti che lo attaccarono tutti insieme: temetti il peggio, ma lo udii solo gridare in tono seccato: - Uno alla volta, per la miseria!-
La testolina di David spuntò da dietro al forziere insieme a quella della scimmia, entrambi guardando preoccupati in direzione dei quattro pirati che attaccavano Jack: la piccola mano di David sollevò fin sopra la testa una grossa coppa e la lanciò con forza, colpendo sulla testa uno dei pirati che sussultò e imprecò. David tornò svelto a nascondersi ridacchiando sommessamente mentre la scimmietta alzava in aria le manine in segno di vittoria.
Improvvisamente scorsi Beatrix che si allontanava lungo la galleria. Scappava, si era resa conto che ora la maledizione giocava a nostro favore e aveva deciso di fuggire e tornare dai suoi. No, non le avrei permesso di farla franca, non questa volta.
Stringendo la sciabola corsi verso di lei: vedendomi lei accelerò il passo, corremmo per il cunicolo buio sollevando spruzzi nell'acqua bassa al nostro passaggio, le stavo alle calcagna. Ad un tratto si voltò e mi sparò: io mi buttai a terra finendo lunga distesa nell'acqua mentre il colpo finiva sulla parete di roccia. Mi era andata di lusso: se fossimo state all'aperto non avrei avuto questa fortuna. Mi rialzai in fretta scrollandomi l'acqua dalla faccia e tornai ad inseguirla, eravamo arrivate al punto in cui il mare invadeva più profondamente la galleria, dove eravamo sbarcati: c'era ancora una scialuppa ormeggiata, la scialuppa che Beatrix e i cinque pirati rimanenti non avevano preso. Io e lei rimanemmo ferme, immobili, sulla pedana di roccia a pochi passi dall'acqua, fissandoci: Beatrix voleva raggiungere la scialuppa, ed io ero determinata a non farmela sfuggire. Beatrix sollevò di nuovo la pistola, ed io corsi a nascondermi dietro una roccia sporgente mentre attorno a me risuonavano gli spari, terribilmente vicini: mi addossai alla roccia, serrando gli occhi mentre udivo i colpi risuonare assordanti sulla parete, e il mio cuore batteva all'impazzata.
Ad un tratto la pistola diede un CLICK CLICK secco ed insistente. L'aveva scaricata! Mi concessi più o meno tre secondi per riprendermi dallo spavento, poi balzai fuori e corsi verso Beatrix che si stava dirigendo in fretta alla scialuppa: la travolsi, tentando un maldestro fendente con la spada, reso molto goffo dall'impeto della corsa, ma bastò a farla arretrare. Mentre le puntavo la spada contro diedi un calcio alla scialuppa, mandandola a dondolare sull'acqua alcuni metri più in là.
Beatrix mi fissò furiosa e sguainò la spada. - Tu non te ne andrai di qui... - la minacciai, sebbene mi tremasse la voce. Lei mi fissò con rabbia gelida. - Questo è da vedere. - mi attaccò con abilità e velocità inaudite, respinsi il colpo con difficoltà, poi fu tutto un susseguirsi di attacchi fulminei: paravo e respingevo, senza riuscire in alcun modo a contrattaccare. Cominciai ad indietreggiare, terrorizzata dalla sua micidiale maestria con la spada, lei ne approfittò e con un colpo mi spinse via, poi mi voltò le spalle e corse verso l'acqua.
Per un istante rimasi sorpresa, chiedendomi dove volesse andare: la vidi correre nell'acqua bassa e poi arrampicarsi sulla parete della galleria, c'era una sottospecie di lunga e sconnessa pedana di roccia che sporgeva per poco più di un braccio sopra l'acqua, Beatrix vi camminò sopra e avanzò verso l'uscita della galleria. Dove voleva andare? Certo, là fuori potevano esserci i suoi uomini sulle scialuppe che eventualmente avrebbero potuto aiutarla... e sul quel terreno impervio una combattente esperta come lei si sarebbe liberata più facilmente di me, approfittando del mio scarso equilibrio per uccidermi o buttarmi in acqua. Era un'impresa disperata e folle, ma non potevo permettere che scappasse.
La seguii su quell'improvvisata passerella rocciosa, e percorsi alcuni metri la luce della luna invase con insistenza il condotto: era scesa la notte e attraverso la nebbia che ammantava l'isola distinguevo la luna splendere luminosissima nel cielo scuro. Eravamo sulla scogliera rocciosa dell'Isla de Muerta, sopra di noi si innalzava l'ampia volta rotonda che formava una specie di narice nella faccia dell'isola. Non c'era più il silenzio spettrale che c'era stato al nostro arrivo, ora rimbombavano le esplosioni, e l'aria era satura di polvere da sparo: ecco la Perla Nera e la Revenge che si affrontavano a colpi di cannone, la Perla non mi era mai apparsa così bella ed inquietante, sembrava emergere dalla nebbia bassa sul mare come se facesse parte di quel posto spettrale: non mi stupiva che la sua sagoma scura fosse riuscita a nascondersi nella nebbia fitta, spiandoci fin da quando eravamo arrivati nella baia. I cannoni mandavano lampi, aprendo squarci nella fiancata della Revenge.
Le scialuppe della ciurma della Revenge si stavano avvicinando, ma avevano poche speranze: la Perla era troppo grande e troppo ben armata per loro. Guardai Beatrix, anche lei stava osservando le due navi che combattevano, e dalla sua espressione sembrava capire che la sua nave non poteva reggere il confronto con la Perla.
- La tua nave è sconfitta, Beatrix!- le gridai con torva soddisfazione. - Sei caduta nella trappola. -
Si voltò verso di me, la lama della sua spada scintillò minacciosamente sotto la luce della luna. Strinsi forte l'elsa della spada: era il momento. Beatrix scattò in avanti e quasi istantaneamente sentii una fitta di dolore acuto sul braccio: la lama mi aveva preso di striscio, deviai con forza la spada e arretrai. Ma lei non aveva intenzione di lasciarmi scappare, mi balzò davanti e di nuovo incrociò la spada con la mia. Finalmente riuscii a mettere a segno un colpo, la colpii col filo della lama ad un fianco, lei sussultò appena e spinse via la mia spada con violenza.
Ci eravamo spinte sull'orlo della scogliera, sotto al punto dove le due arcate delle narici si univano a formare la punta del naso che si innalzava come un gigantesco sperone diversi metri sopra di noi. Beatrix si fece avanti roteando la spada. Io saltai giù, sugli scogli più bassi. Scesi più velocemente che potei sugli scogli ripidi, reggendomi anche con le mani per non scivolare. Avevo un discreto vantaggio su Beatrix, che mi stava inseguendo, mi fermai su uno spiazzo relativamente in piano e attesi che arrivasse.
Appena mi raggiunse la attaccai: la colsi impreparata perché ancora si stava bilanciando sulla discesa ripida, ma riuscì ugualmente a parare il mio attacco. Improvvisamente scattò in avanti e colpì con una violenza incredibile: persi la presa sulla spada e quella ruzzolò sugli scogli.
Ero disarmata! Mi tolsi di mezzo appena in tempo prima che Beatrix mi infilzasse: il colpo mancato la sbilanciò, e mentre girava su sé stessa gli cadde la pistola dalla cintura, rimbalzando sulle rocce con un clangore che mi parve assordante. Era finita ai miei piedi: con uno scatto frenetico la agguantai e gliela puntai contro, premendo ripetutamente il grilletto. CLICK CLICK CLICK Era scarica, maledizione!
Indietreggiai, senza più vie d'uscita. Beatrix si avvicinò, ghignando, sicura di aver vinto. Esitai ancora un istante, poi mi rigirai rapidamente l'arma in mano e tirai una sberla in faccia a Beatrix col calcio della pistola.

*

La lama affondò nella schiena di Jack emergendogli con violenza da sotto lo sterno: con un certo stupore ne avvertì la fastidiosa presenza nella carne, ma nessun dolore. - Ehi!- protestò in tono indignato, rigirandosi svelto la spada in una mano e infilzando in un colpo solo il pirata che l'aveva colto alle spalle. Quello boccheggiò e cadde per terra: Jack si sfilò rapidamente la sua spada dal corpo, era l'ultimo pirata: Beatrix doveva essere fuggita.
Elizabeth infilò la spada nella cintura, augurandosi di non doverla usare troppo presto, e corse sull'isolotto dove David si era rifugiato durante il combattimento. - David!- lo chiamò, arrampicandosi in quattro balzi fino al forziere maledetto. - David, vieni fuori, sei al sicuro... -
Di nuovo il bimbo e la scimmia spuntarono improvvisamente da dietro il forziere pronti a lanciare le loro preziose munizioni, ma riconoscendo Elizabeth, David lasciò cadere la statuetta d'oro che aveva raccolto per esclamare: - Mamma!- e correrle incontro tutto contento.
Elizabeth lo abbracciò stretto sentendosi invadere dal sollievo: era salvo. - Hai visto, mamma? Hai visto?- fece lui tutto contento, mimando il gesto di scagliare qualcosa: Elizabeth scoppiò a ridere di cuore e baciò i capelli bruno dorati del figlioletto. - Bravissimo, tesoro mio... bravissimo!-
Faith si guardò intorno cercando con lo sguardo Laura: ad un tratto i suoi occhi si posarono su Ettore, accasciato sul pavimento di roccia, sembrava privo di sensi. Buttò via la sciabola e lo raggiunse, si chinò su di lui: il proiettile l'aveva colpito al fianco e la ferita sanguinava abbondantemente. - Ettore... - mormorò, scuotendolo leggermente. - Ettore rispondi!- strillò, in tono quasi isterico, lui aprì gli occhi, battendo le palpebre come un gufo. - Sto bene... sto bene!- assicurò, anche se con voce affaticata. Sentendosi quasi svenire dal sollievo Faith lo abbracciò forte: Ettore esitò, sorpreso, prima di ricambiare l'abbraccio, poi avvicinò il viso al suo e le diede un rapido bacio gentile sulle labbra.
- Faith!- Elizabeth era ai piedi dell'isolotto, con in braccio David, e venne verso di loro. - Come sta Ettore, tutto bene?-
Ettore lanciò a Faith un sorriso in tralice e rispose in tono flautato: - Io al momento benissimo, grazie!- scoppiarono a ridere entrambi come due sciocchi mentre Elizabeth insieme a David li raggiungeva. - Ma che avete da ridere voi due?- esclamò, sconcertata dal loro comportamento in una situazione tanto delicata. - Ettore, stai sanguinando! Fammi dare un'occhiata a quella ferita. -
Con passo ciondolante Jack avanzò verso il centro della caverna, scavalcando i corpi del piccolo gruppo di pirati che aveva decimato: essere immortali aveva i suoi vantaggi, si ritrovò a pensare, mai gli era capitato di essere da solo contro quattro e di avere la meglio. Non in corpo a corpo, perlomeno. Continuava tuttavia a trovare la fuga la soluzione più elegante; come del resto pareva pensarla anche Beatrix... Il suo sguardo vagò per la caverna, corrucciandosi quando non trovò quello che cercava. - Dov'è Laura?- domandò improvvisamente, girando su sé stesso alla ricerca della ragazza.
- Credo... non avrà inseguito Beatrix su per la galleria? - esclamò Faith, accorgendosi della mancanza dell'amica. Jack esitò per qualche attimo ciondolando su sé stesso, poi sbarrò gli occhi e si diresse di corsa verso la galleria.
- Aspetta! E la ciurma della Revenge?- lo chiamò Ettore mentre Elizabeth e Faith facevano del loro meglio per tirarlo su da terra.
- Dopo! La Perla se la caverà!- replicò lui senza neanche voltarsi e correndo rapido verso il cunicolo.

*

- Sì!-
Il grido di esultanza di William risuonò addirittura al di sopra del boato dei cannoni e dello scricchiolio assordante del legno della Revenge sfondato dalla bordata della Perla Nera, si mescolò alle urla eccitate dei vincitori e alle grida accorate degli sconfitti. A eco del loro capitano i pirati dell'Olandese Volante, aggrappati alle sartie o assiepati accanto alla murata di tribordo per assistere allo scontro, lanciarono a loro volta grida eccitate ed esultanti ad ogni devastante cannonata sferrata dalla nave dalle vele nere: l'unica gioia che potevano trarre dal loro ruolo obbligato di spettatori in quella battaglia decisiva. William gridò ancora, quasi euforico, aggrappandosi ad una fune e salendo in piedi sulla murata per godersi meglio la distruzione della Revenge: la vittoria della Perla Nera voleva dire salvezza per i suoi amici, salvezza per Elizabeth e per suo figlio.
Sputafuoco non esultava. L'anziano uomo era rimasto composto e zitto al timone, e lo rimaneva anche ora che tutta la ciurma partecipava alla gioia del suo capitano. William Turner scrutava di sottecchi suo figlio, e il nodo alla gola si faceva sempre più opprimente insieme al senso di colpa: quelle erano le ultime ore per suo figlio nel regno dei vivi, la pazienza della dea Calypso era stata messa alla prova troppo a lungo, come Sputafuoco aveva caldamente sottolineato diverse volte, e il segno della disobbedienza aveva già provveduto a marchiare Will in modo indelebile.
Nonostante tutto, Will era esultante. Esultante.
“Per gli altri” si disse Sputafuoco continuando a guardare il giovane. “Tutta la sua giovane vita è stata spesa per il bene degli altri, di coloro che amava e a cui teneva. E io... io non sono certo meno colpevole per il destino che si è scelto.”
Ad un tratto gli occhi miti dell'anziano pirata si dilatarono, mentre si posavano sulle assi del ponte ai suoi piedi. Il senso di colpa che gli attanagliava il petto era diventato ormai una presenza costante, ma ora era un pensiero folle a fargli mancare il fiato: c'era qualcosa che poteva fare per suo figlio. C'era forse un modo di pagare il suo debito.
In silenzio voltò le spalle alla ciurma e si allontanò in direzione della cabina del capitano.
- Oh, sì!- Will esultò di nuovo col pugno alzato al cielo, godendosi le grida entusiaste della sua ciurma insieme a quelle dei pirati della Perla Nera. Con un ultimo sguardo alle vampate dei cannoni che balenavano nella nebbia Will si concesse un crudo sorriso, e si voltò vero i suoi uomini.
- Ricordate questo giorno. - disse, scendendo dalla murata. - Perché ripartiamo per il mare dei confini del mondo. Il nostro tempo... anzi... - gettò uno sguardo al tentacolo viscido che spuntava dalla manica della camicia. - Il mio tempo qui è decisamente esaurito: torniamo al nostro compito. -
Stava per ordinare di dispiegare le vele e prendere il largo quando un sussulto improvviso emerso dalle profondità del suo petto lo squassò improvvisamente, facendolo piegare su sé stesso.
- Capitano?!- gli uomini della sua ciurma, sorpresi da quell'improvviso malore, gli si affollarono attorno senza capire che cosa non andasse. Will barcollò, annaspando col braccio mutato alla ricerca di qualcosa a cui reggersi mentre l'altro era premuto a inutile difesa sul suo sterno: non capiva cosa stava accadendo, si sentiva male. Per un attimo temette che fosse successo qualcosa al cuore, ma cacciò via il pensiero ripetendosi che era impossibile, il forziere era al sicuro in cabina.
Con le gambe che gli tremavano, Will si fece largo fra la ciurma: in cabina, doveva andare assolutamente in cabina, doveva vedere cosa stava succedendo al cuore, perché qualcosa di certo era successo. Non era dolore, perciò non poteva essere stato ferito, era più come... come se qualcosa... o qualcuno... stesse tenendo in mano il suo cuore.
- Fatemi passare!- ansimò, spingendo via senza troppa delicatezza gli ultimi due pirati che gli bloccavano il passaggio verso la cabina del capitano: col petto in subbuglio spalancò la porta e si precipitò dentro, cercando il forziere che sapeva di avere lasciato lì al sicuro.
La prima cosa che vide nella penombra della cabina fu suo padre accasciato sul pavimento, bianco come un cencio e con la giacca aperta a scoprire il petto squarciato da un'orribile ferita sanguinante: le sue mani contratte stringevano ancora un piccolo coltello la cui lama affondava interamente nello squarcio sul suo torace. Si era inferto quella ferita da solo.
Will annaspò e dovette aggrapparsi con tutte le sue forze all'immenso organo a canne per non cadere, ma appena l'orrore gli permise di distogliere gli occhi dal corpo senza vita di suo padre si accorse di una seconda figura in piedi in un angolo a soli pochi passi da lui e a quel punto il fiato gli mancò del tutto, permettendogli soltanto di fissare a bocca aperta una bella donna dalla pelle scura vestita con un lungo abito vissuto e confusamente ornato di pizzo, stoffe fiorite e strane chincaglierie; i suoi lunghi capelli scuri le pendevano in ciocche intrecciate attorno al viso dipinto, nel quale gli occhi neri sembravano scintillare di vita propria sopra le labbra scure che si stirarono quasi voluttuosamente in un sorriso per niente rassicurante. Ai suoi piedi giaceva, aperto, il forziere. Lentamente, quasi con grazia, la donna si portò al petto le mani che richiudeva a coppa attorno a qualcosa... che pulsava.
- ...Calypso... - Will inciampò sul suo nome, evitando solo per un soffio di chiamarla Tia Dalma, poiché era quello l'unico nome che le sembianze della dea gli ricordavano.
Il sorriso della donna si fece più mellifuo mentre quella avanzava di qualche passo verso il giovane, reggendo il suo cuore tra le mani quasi con delicatezza. - Così... in questa forma tu mi riconosci, William Turner... - esordì con la sua cadenza strascicata, ipnotica, mentre i suoi occhi brillanti indugiavano sull'espressione sconvolta del giovane capitano. - Sei stato un capitano alquanto... indisciplinato negli ultimi tempi, hmmm?-
Troppo sconvolto per poter parlare, Will abbassò lo sguardo, incontrando soltanto il macabro spettacolo del cadavere di suo padre che giaceva tra loro due.
- William Turner è venuto qui per te, questa notte. - proclamò Calypso, portando a sua volta la sua attenzione su Sputafuoco. - E davanti al forziere a me si è rivolto. Con una supplica. - gli occhi della donna intrappolarono nuovamente quelli di Will. - Accettare un sacrificio. O meglio... uno scambio. William Turner offre a me il suo cuore per il tuo, e squarciandosi il petto a me ha posto la scelta, perché io prenda la mia decisione. Ora dimmi, mio fidato capitano... - il sorriso le si stiracchiò nuovamente sulle guance mentre pronunciava quell'appellativo con evidente sarcasmo. - Per quali ragioni dovrei accettare l'offerta del tuo coraggioso padre?-
Will si lasciò cadere in ginocchio davanti alla donna, chinandosi quasi fino a toccare il pavimento di assi con la fronte. - Calypso, te ne prego... - mormorò senza smuoversi dalla sua posizione. - Se devi punire qualcuno per le sue mancanze, punisci me che di quel che è successo ho tutte le colpe. Io ho abbandonato il mio compito e ho tradito la tua fiducia: per questo sono stato punito e riconosco la giustizia delle tue decisioni. Ma mio padre... - la voce gli mancò. - ...Ti prego, perdona il suo gesto sconsiderato. Io... non lo so perché l'ha fatto... ti prego, non permettere che muoia per causa mia! Troppi hanno sofferto per causa mia!-
Stava ancora parlando quando sentì una mano calda carezzargli una guancia, e sollevò il viso di scatto, trovandosi faccia a faccia con Calypso che si era chinata su di lui: sulle dita aveva ancora tracce di sangue lasciate dal cuore che portava in mano, e Will ne sentì l'umido sulla pelle del viso.
- Tanti hanno trovato invece la salvezza, per merito tuo. - continuò lentamente la donna, scrutandolo. - Ogni tuo sacrificio, ogni tuo sforzo, perfino ogni tuo tradimento, per amore di qualcun altro è stato. La mano del destino... - le dita della donna scivolarono ancora un poco sul mento di Will, per poi allontanarsi. - E lo stesso amore che a votarti a me ti ha portato, al tradimento del tuo compito ti ha spinto. Ma buon capitano e uomo fedele tu rimani, William Turner... -
Will non capiva più dove la donna volesse andare a far finire il discorso: tutto quello che vedeva era suo padre morto ai suoi piedi, probabilmente spinto da un impulso di follia nella cieca speranza di aiutarlo in qualche modo. - E lo rimarrò... - promise, imponendosi di distogliere gli occhi dal penoso spettacolo. - Per il resto degli anni che ti sono dovuti, e poi per altri dieci anni, e dieci anni ancora, fino alla fine del mondo o finché la mano di qualcun altro non pugnalerà per qualche motivo il mio cuore. Ma mio padre... non lasciar morire mio padre... non posso... non posso permettere che muoia nella patetica speranza di sollevarmi dal mio compito. -
Le sue parole fecero sorridere ancora di più la misteriosa donna. - Perché patetica, mio capitano? Non è stato lo stesso folle amore a portare te a fare la tua scelta? Non è stato un amore altrettanto disperato... - un'ombra le velò di tristezza gli occhi scuri. - ...a spezzare per sempre l'esistenza di un uomo chiamato Davey Jones? Ora William Turner, un uomo per il quale il figlio ha dato ben più della vita, mi chiede di pagare il suo debito concedendo a te la libertà e a me i suoi servigi. - la mano di Calypso scese sul petto sanguinante di Sputafuoco, mentre nell'altra reggeva ancora il cuore pulsante di Will. - Un tale spirito di sacrificio tanto nel padre quanto nel figlio va solo onorato. Per questo Sputafuoco Bill Turner... capitano dell'Olandese Volante sarà. - dichiarò, alzandosi lentamente in piedi.
Will rimase inginocchiato sul pavimento a guardarla, incapace di proferire parola mentre quella sorrideva maliziosamente: - E ogni dieci anni... potrà tornare per rivedere il figlio che per lui a tutto ha rinunciato, che per amore mi è stato fedele e per amore ha disertato, e che un senso alla sua esistenza ha dato. Accetto il suo cuore in cambio del tuo. Per amore di tuo padre, tu sei libero, mio buon capitano. -
In piedi di fronte ad uno sconcertato William, Calypso si portò davanti al volto le mani a coppa reggendo il cuore, quindi schiuse le labbra scure e soffiò sull'organo pulsante. Ad un tratto Will sentì i capelli agitarglisi per un'improvvisa brezza salmastra, come se il soffio di Calypso avesse portato improvvisamente in quella stanza il soffio del mare: nelle mani della donna il cuore sembrò sgretolarsi, anzi, con stupore Will constatò che si era effettivamente sgretolato perché in pochi secondi Calypso strinse in mano un mucchietto di polvere rossa... che afferrate dal suo soffio turbinarono nell'aria per volare rapide al suo petto dove ancora spiccava netta la cicatrice dello squarcio dalla quale anni prima il cuore era stato strappato.
Un dolore terribile lo fece sussultare tanto violentemente che si ritrovò con la schiena sul pavimento, con le braccia e le gambe che tremavano incontrollabilmente. Qualcosa gli si gonfiava a sinistra dello sterno, e faceva tanto male che non si sarebbe stupito se la ferita che aveva sul petto si fosse riaperta... ma non era così. Un battito nacque dentro di lui, e gli parve così assordante da rimbombargli incessante nelle orecchie, nella gola, nei polsi.
Tum. Tum. Tum.
Pulsava. Il suo cuore stava pulsando. Stordito com'era, supino sul pavimento della cabina, gli parve di cogliere una fugace visione di Calypso che prendeva il coltello dalle mani morte di Sputafuoco per poi chinarsi su di lui, poi la vista gli si appannò del tutto e perse i sensi.

Note dell'autrice: Capitoli finali! Un ringraziamento speciale a (indovina un po'???) la mia cara Shalna, che col suo ultimo lungo commento non solo mi ha incoraggiata tantissimo (GH!) ma mi ha anche dato qualche idea su come definire meglio il rapporto tra Jack e Laura... e credo che ci riuscirò anche se questa storia sta per concludersi, non è che il primo capitolo delle Caribbean Tales!
Wind the sails!

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Capitolo 13
*** Insieme ***


Capitolo 13
Insieme


Beatrix si portò una mano al volto gridando: le avevo sferrato un bel colpo, e un grosso livido violaceo le si stava gonfiando sulla guancia sinistra. - Tu piccola lurida serpe!- ringhiò, con gli occhi che le lacrimavano per il dolore. Le corsi contro e la spinsi via con violenza: mentre facevo per ritrarmi lei mi piantò la spada nel fianco. Il dolore fu terribile: urlai e scivolai, inciampando e battendo le ginocchia sugli scogli. Il taglio mi faceva male, ma non sembrava molto profondo: ancora una volta avevo avuto una fortuna sfacciata. Strisciai via in fretta, grattugiandomi le ginocchia sugli scogli: se avessimo continuato a combattere lì prima o poi saremmo finite in acqua. Beatrix mi inseguì rapida e spietata come un cacciatore sulle tracce della preda ferita, e quando temetti di non avere più scampo alle sue spalle apparve una figura.
- Beatrix!- gridò, e la voce fu l'unica cosa che riconobbi, perché tutto quello che vidi mi paralizzò.
Rimasi senza fiato: era Jack, ma era una visione terrificante; era uno scheletro, e pochi brandelli di pelle penzolavano rinsecchiti dalle ossa grigiastre. I vestiti pendevano flosci scoprendo le costole spolpate, i denti ghignavano minacciosi in una bocca senza labbra, i suoi capelli erano grigi e secchi, gli occhi, l'unica cosa macabramente viva, scintillavano bianchi nelle orbite ossee. Non urlai, ma ci mancò poco: Beatrix dovette notare il mio sguardo orripilato, perché si voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia col Jack non morto. Nemmeno lei gridò ma strabuzzò gli occhi con un'espressione di paura che mai avrei pensato di vedere sul suo viso: esitò un secondo soltanto, e aveva già alzato la spada quando Jack le sparò.
Lo sparo paurosamente vicino mi esplose nelle orecchie: Beatrix boccheggiò, vacillò, muovendo convulsamente la bocca come per dire qualcosa, gli occhi pieni di rabbia, poi cadde giù dalla scogliera, finendo in mare e sparendo in uno spruzzo di spuma.
- Laura!- Jack scheletro si chinò su di me, che ero ancora a terra con la schiena appiccicata allo scoglio. Istintivamente sussultai e mi ritrassi da lui: non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso per quanto fosse orribile. - Laura, sono io! Stai bene?-
Lentamente cominciai a riprendermi dallo spavento e mi toccai con cautela la ferita sul fianco: solo un taglio, nulla di grave. - Sì, sto bene. - risposi: lui mi porse la sua mano scheletrita per aiutarmi ad alzarmi, dopo un attimo di esitazione la presi. Carne contro ossa, una sensazione che mi fece venire i brividi: mentre mi alzavo in piedi vacillai, la ferita mi faceva male. Jack rimase al mio fianco aiutandomi a camminare mentre ci apprestavamo a lasciare il frastagliato spiazzo di scogli che era stato il teatro del nostro scontro.
Un'esplosione più forte delle altre ci fece voltare verso le navi: la Revenge era stata ferita a morte, il suo albero maestro si piegò spezzato e cadde in mare mentre la nave si inclinava sul fianco sfondato. Non vedevo più le scialuppe attorno alla Perla, probabilmente ormai erano tutte affondate o se l'erano svignata. - E' finita. - disse Jack, soddisfatto.
Annuii mestamente: forse erano state le troppe emozioni o il terrore degli ultimi minuti, ma non riuscii a sentirmi felice per la vittoria, solo mortalmente esausta. - C'era ancora una scialuppa nella grotta, possiamo usarla per tornare alla Perla. - dissi accennando alla galleria.
Jack annuì, distogliendo lo sguardo dalle due navi. - Sì... torniamo indietro. -
Vedendomi in difficoltà a causa della ferita mi porse il braccio scheletrico, a cui mi ressi senza tante storie: tuttavia quando tornammo nell'ombra della galleria fui piuttosto sollevata di sentirlo tornare di carne. - Lo sai che è stato molto stupido da parte tua andare ad affrontare Beatrix da sola, vero?- mi domandò ad un certo punto mentre quasi con troppa attenzione mi aiutava a camminare lungo la passerella di roccia: per tutta risposta mi strinsi nelle spalle. - Tu non avevi più bisogno che ti guardassi le spalle. - risposi senza guardarlo. Una fitta più intensa al fianco mi costrinse a stringermi più forte al suo braccio, così che voltandomi mi trovai il suo viso fin troppo vicino: - Forse ora sei tu ad aver bisogno che io guardi le tue, tesoro. - mi rispose con un sorriso. Percorremmo a ritroso la galleria a passi svelti e tornammo nella grotta: Jack, riparato dalla luce della luna, aveva ripreso il suo aspetto normale.
- State bene!- fu il grido di gioia di Faith che ci accolse nella caverna: Ettore sembrava essersi ripreso dal colpo ricevuto, Elizabeth e Faith gli avevano fasciato la ferita con delle bende di fortuna ricavate dalla sua camicia.
Quando arrivai, barcollante ma sorridente, con Jack che mi aiutava a camminare, mi fecero subito sedere e cominciarono a fasciarmi il fianco ferito. - Com'è finita là fuori?- chiese Elizabeth mentre mi annodava le bende e io sopportavo il fastidioso bruciore del taglio.
- La Revenge è affondata, Beatrix è morta e anche quasi tutti quelli della sua ciurma, qualcuno deve essersela svignata sulle scialuppe, ma pochi: quelli della Perla hanno fatto un bel lavoro. - quando annunciai la morte di Beatrix guardai Ettore con la coda dell'occhio, cercando di interpretare l'espressione che passò sul suo viso di solito impenetrabile. Ma non era un'espressione sorpresa, o rabbiosa, o addolorata; dopotutto Beatrix aveva cercato di ucciderlo. Era meditabonda, quella dell'uomo che accetta le cose per come arrivano. Pensai che avremmo avuto molto da scoprire sul nostro salvatore.
- E adesso la ciurma è là fuori pronta a partire, non facciamoli aspettare ancora. -
La voce che ci chiamò dall'imboccatura della galleria ci fece sussultare tutti, e simultaneamente ci voltammo senza poter credere alle nostre orecchie. Ma dovemmo invece credere ai nostri occhi, perché alla bocca del tunnel c'era Will, con gli stivali affondati nell'acqua fino alle ginocchia, ma col viso raggiante come non avrei mai pensato di poterlo vedere. Nella grotta calò per lunghi istanti uno stupefatto silenzio, poi del tutto inaspettatamente una voce infantile gridò: - Papà!-
David corse incontro a Will a braccia spalancate, continuando a chiamarlo come se avesse paura di vederlo sparire prima di poterlo raggiungere. - Papà! Papà! Papà!-
Will lo accolse fra le braccia, braccia umane tutte e due, e se lo strinse al petto con vigore. - E' tutto finito, piccolo. - gli sussurrò, premendo affettuosamente la fronte contro la sua. - Sei al sicuro ora... David. Sei stato coraggioso... ora andiamo a casa. -
- Tu stai... - Jack lo fissò ad occhi spalancati, con le mani che scattavano in diverse direzioni. - Tu sei... cioè... sei qui... sulla terraferma... puoi...?- fece il gesto con le dita di due gambe che camminavano. Il sorriso di Will si fece ancora più grande mentre lo guardava da sopra la spalla del suo bambino: - Sono libero, Jack. Mio padre ha voluto prendere il mio posto come capitano dell'Olandese Volante. -
Con un grido Elizabeth si lanciò verso di lui e gli si gettò al collo abbracciandolo insieme con il figlio, mettendoci tanto impeto che poco ci mancò che lo buttasse per terra: io di colpo non sentivo neanche più il bruciore della ferita che Liz e Faith avevano appena fasciato, tutto quello che riuscivo a pensare era che per qualche strana ragione William era libero dal gravoso incarico che aveva tenuti separati i miei amici per tre lunghi anni. Mi sentivo così piena di gioia che sarei volentieri corsa anch'io ad abbracciarlo, ma non mi sembrava il caso di intromettermi nella gioia di lui ed Elizabeth: la loro famiglia era finalmente riunita.
- A-ehm... - un po' a disagio Jack distolse gli occhi dai tre voltandosi verso me e Faith che condividevamo la fastidiosa sensazione di essere di troppo. - Ebbene, pare che tutti qui abbiano rinunciato al giochetto dell'immortalità, eh? In tal caso... ritengo che sia ora di spezzare questa benedetta maledizione, e scusatemi il gioco di parole... Io però continuo a trovare che non sia poi tanto male. - aggiunse con un sospiro mentre si avvicinava al forziere di pietra.
- Io invece sono sempre più convinto di non voler averci mai più a che fare con questo tesoro. - replicò William concedendosi finalmente una risata liberatoria che aveva tutto il sapore del trionfo mentre lui ed Elizabeth si voltavano a guardare il pirata. Jack scrollò le spalle, poi si fece illuminare dalla luna, tornando scheletro, e con una mano cominciò a frugarsi fra le costole. Will lo guardò a occhi sbarrati sollevando un sopracciglio. - Che stai facendo?- mormorò, sconcertato e piuttosto disgustato dallo spettacolo.
- Il vecchio Barbossa una volta è crepato per aver ignorato questo piccolo particolare. - rispose lui con aria assorta, e sollevò davanti al viso con interesse il proiettile che si era tolto dal corpo. Gettatolo via si accostò al forziere e si tolse di tasca la moneta maledetta, poi raccolse dal forziere un coltello d'osso e si aprì un taglio sul palmo della mano sinistra. Strinse per alcuni attimi la moneta nella mano, bagnandola col proprio sangue, poi la buttò nella cassa.
- E' finita?- azzardai, non vedendo in loro nessun cambiamento. Jack fece per voltarsi verso un raggio di luce lunare che filtrava dal soffitto della grotta quando uno squittio ci fece sobbalzare, e in un balzo la scimmietta si arrampicò sul forziere, rimanendo poi appollaiata su due zampe a guardarsi intorno squadrandoci uno per uno. Il capitano esitò per un attimo fissando gli occhi sgranati sul piccolo animale con un'espressione che mi piacque poco, quindi allungò cautamente la mano verso di essa con un sorriso falsissimo.
- Vieni qui piccolina... - la blandì con un tono per nulla rassicurante. La scimmia dovette intuire le sue vere intenzioni perché berciò allarmata e aveva già fatto dietro front per saltare giù dal forziere, ma con inaspettata agilità Jack riuscì ad agguantarla a metà balzo. Il resto di noi rimase a guardare sconcertato mentre Jack con una mano sosteneva sopra il forziere una scimmia inferocita e con l'altra armeggiava minacciosamente con il coltello d'osso: infine uno squittio acuto e un'imprecazione da parte di Jack ci segnalarono che lui era riuscito ad avere un po' del suo sangue e quella era riuscita ad azzannargli un dito.
Terminata in modo poco ortodosso la sua operazione, Jack scrollò violentemente la mano per liberarsi della scimmia, che corse via a velocità raddoppiata per poi nascondersi dietro un masso dove, giuro, cominciò a berciare rabbiosamente agitando il pugno in direzione del capitano.
Quest'ultimo con tutta la calma del mondo si avvicinò al cono di luce che filtrava dal soffitto: tese la mano e se la fece illuminare dalla luce azzurrina, muovendo le dita: la sua mano rimase uguale, niente ossa nude. - Bene, credo sia il momento di tornare alla Perla. -
- Capitan Sparrow. - lo chiamò Ettore mentre Faith gli dava una mano ad alzarsi. - Quella che servivo è morta, e con la mia vecchia ciurma non ho alcun legame. Vorrei unirmi alla tua ciurma, se me lo permetti. -
- Perché no?- rispose Jack, dopo averlo scrutato per un istante col capo inclinato. - Dopotutto ci hai salvati tutti, te lo devo. E non combatti male. -
Faith porse la mano ad Ettore. - Forza, ti aiuto io. - col suo aiuto Ettore si alzò un po' barcollante e si appoggiò a lei. - Non sono ancora molto in forma, mi sa che per un po' ti toccherà sorreggermi!- disse, facendole un sorrisetto, e lei sorprendentemente gli fece l'occhiolino. - Oh, non credo che mi dispiacerà. -
Mentre ci dirigevamo all'uscita della caverna Jack mi venne vicino e accennò con la testa ad Ettore e Faith. - Fra quei due qualcosa bolle in pentola. - facendo un gesto col dito come di rimescolamento.
- Ma che spirito d'osservazione! Buongiorno capitano, te ne sei accorto solo adesso?- lo presi in giro tirandogli una gomitata scherzosa. Lui si limitò a sorridere, poi in tutta naturalezza mi prese sotto braccio. Oddio. A quello non ero preparata. Anche se non mi guardai alle spalle potei avvertire le occhiate trionfanti di Elizabeth e di Faith.
- Bene, tutti sani e salvi? Torniamo indietro allora. - annunciò Jack vivacemente, muovendo un passo verso il cunicolo. Il piede gli finì nell'acqua. Con aria sorpresa guardò verso il basso, e seguendo il suo esempio mi accorsi che l'acqua, che prima arrivava all'orlo della passerella di pietra, cominciava a lambirci i piedi. La scimmietta, con le zampe a mollo, ci scoccò un'occhiata eloquente. Improvvisamente mi ricordai cosa aveva detto Beatrix riguardo alla marea che inondava le gallerie a notte fonda. - Torniamo indietro in fretta, direi. - aggiunse Jack. Guidati dalla scimmietta e accelerando il passo per quanto ci era possibile riattraversammo la galleria e recuperammo la scialuppa che galleggiava alla deriva nel bacino sotterraneo, quindi a colpi di remi, con una scimmia discretamente zuppa abbarbicata a prua come una bizzarra polena, tornammo alla Perla che si stagliava vittoriosa accanto al relitto della Revenge che affiorava dall'acqua scura. Mentre ci avvicinavamo scrutai nella nebbia fitta alla ricerca della sagoma zannuta della prua dell'Olandese Volante, ma forse intimamente già immaginavo che non l'avrei rivista mai più. William dovette capire cosa stavo cercando perché mi toccò la spalla per richiamare la mia attenzione e mi disse: - L'Olandese non è più qui, è tornata al suo compito. - sorrideva mentre lo diceva.
- E... tuo padre?- mi azzardai a domandare
. Will non perse il suo sorriso, e i suoi occhi si spostarono sul mare ammantato di nebbia mentre mi rispondeva: - Lo rivedrò, un giorno. -
Mentre il suo cuore tornava a battergli nel petto, Calypso aveva chiuso quello di suo padre nel forziere. Quando era rinvenuto, Will si era trovato accanto al padre di nuovo vivo e con il petto solcato da una cicatrice gemella alla sua: sorrideva come stava facendo lui in quel momento ricordando quegli ultimi attimi, e Will non ricordava di averlo mai visto con un'espressione talmente felice. - Padre... - aveva balbettato: erano tante le cose che gli voleva chiedere, in primo luogo perché aveva fatto questo per lui. Ma in fondo già conosceva la risposta: la conoscevano entrambi. - Non mi devi niente, Will. - aveva detto con dolcezza, ripetendo quelle stesse parole con cui anni prima gli aveva chiesto di stare lontano, di abbandonarlo. - Ora va. Non hai molto tempo. -
Quando tornammo a bordo fummo salutati da un coro di urla entusiaste da parte dei pirati ancora eccitati per la vittoria appena riportata: Gibbs ci corse incontro e Jack andò a battergli una pacca fraterna sulla spalla: - Ottimo lavoro! Ottimo lavoro vecchio mio!-
Furono tutti contenti di rivederci sani e salvi, specialmente Michael che corse da Faith non si capì se arrabbiato o felice. - Perché ti vai sempre a ficcare nei guai?- le gridò, pestando i piedi sul ponte. - Perché in un modo o nell'altro tu ti vai sempre a cacciare nei guai? Ero preoccupato da morire!-
- Adesso ti metti anche a farmi la predica?- ribatté Faith dopo essersi premurata di fare appoggiare Ettore all'albero di trinchetto. - La maggiore sono io, quindi zitto e vieni qui!- lo stritolò in un abbraccio da frattura. - Mi sei mancato, stupido!-
- Gibbs, andiamocene di qui!- ordinò Jack, tutto contento di nuovo al timone della sua Perla. - E stappate qualche barile di rum, stasera si festeggia!-

*

E quella sera si festeggiò alla grande: rum a fiumi, carne salata, pirati ubriachi che ballavano e cantavano. Ettore stava meglio e prendeva parte ai festeggiamenti brindando insieme a Will ed Elizabeth: David era crollato addormentato su una pila di sacchi e sorprendentemente Michael aveva fatto lo stesso. - In questi giorni non ha quasi dormito. - ci spiegò Gibbs fra un boccale e l'altro, rosso in viso per le troppe bevute. - Insisteva sempre per stare di vedetta, per darci una mano a ritrovarvi. -
- Il mio fratellino pazzoide. - commentò Faith lanciandogli un'occhiata intenerita. In quel momento si avvicinò Jack, che miracolosamente aveva ancora il pieno possesso delle sue capacità fisiche e mentali nonostante la forte bevuta, quasi a passo di danza con la sua andatura barcollante che in quel momento aveva un che di trionfale, e mi disse: - Vieni con me un attimo?- accennando col capo alle scale che portavano in coperta. Mi alzai in piedi, imponendomi di ignorare i sorrisi fin troppo complici di Faith ed Elizabeth. - Sì, certo. - risposi, mentre alle mie spalle partiva un fermento di risate e ululati da parte del resto della ciurma ai quali la cosa non era affatto sfuggita.
Fendendo la folla festante e risalendo in fretta la scaletta, Jack mi portò fuori sul ponte: un bel cambiamento dalla bolgia di sottocoperta, lì fuori l'aria era fresca, l'unico rumore era lo scricchiolio della nave e il tranquillo sciabordio delle onde, il mare era scuro ma pieno di riflessi argentei della luna e delle stelle che risplendevano in un cielo senza nuvole.
La cupa foschia che circondava l'Isla de Muerta ce la eravamo già lasciata alle spalle. Mi infilai fra due cannoni e mi appoggiai al parapetto, inspirando con gusto l'aria fresca della notte, e guardai Jack. - Sai, ti preferisco così sotto la luna. - commentai, lui ridacchiò in silenzio, poi si appoggiò di fianco a me con studiata naturalezza scrutandomi di sottecchi. Aspettai: immaginavo perché mi avesse portata lì e volevo che fosse lui a parlare per primo.
- Allora?- domandò dopo qualche istante.
- Allora cosa?- chiesi io, aggrottando le sopracciglia.
- Insomma... - non mi guardava, il suo sguardo vagava sull'acqua scura sotto di noi. - Cosa farai ora? Vuoi tornare ad Oyster Bay con William ed Elizabeth? Oppure... vuoi... resterai a bordo?-
Mi aspettavo quella domanda, era la stessa che mi ero fatta io da quando eravamo tornati sani e salvi alla Perla Nera. Il cameratismo fra noi e i pirati della ciurma era stato qualcosa di reale, quel manipolo di uomini cotti dal sole venuti dai quattro angoli del mondo erano stati per breve tempo la nostra famiglia: era ormai ovvio che qualcosa aveva finito per legarci entrambe a quel mondo galleggiante. - Non lo so. - risposi con sincerità. - Non lo so proprio. Forse stasera è ancora troppo presto per prendere decisioni... anche se io credo che Faith deciderà di restare. -
Jack si voltò di scatto verso di me, cogliendomi di sorpresa. - Faith, Faith... ti prego, smetti di parlare come se foste un tutt'uno. - mi rimproverò allargando le braccia e inclinando il capo in un gesto esasperato. - Siete due persone diverse, e le scelte di una non possono influenzare per sempre l'altra. -
- Come ti permetti di parlare così?- mi aveva spiazzata: l'argomento cominciava a toccare un punto che non avevo considerato. Mi voltai a guardarlo in faccia, anche se lui sostenne senza problemi il mio sguardo indispettito. - Tu non hai idea di cosa significhi per me, non sai tutto quello che abbiamo passato insieme!-
Con espressione più affabile lui sollevò le mani imponendomi di calmarmi. - Posso immaginarlo. Ma tu, tesoro, mi hai frainteso: non volevo dire niente contro Faith, volevo che tu facessi la tua scelta. E' da quando vi ho viste entrare in quella prigione che vi osservo, voi due. - sorrise quasi con tenerezza. - Sempre insieme, sempre a spalleggiarvi l'una con l'altra: siete grandi amiche, e si vede. Ma devi capire... che non si può contare per sempre su una persona. Non sto dicendo che non merita la tua fiducia. - mi precedette quando avevo appena aperto la bocca per protestare. - E' diverso tempo che osservo te, Laura Evans, e da quando hai messo piede su questa nave ti ho vista liberarti una dopo l'altra di tutte le catene che ti rendevano remissiva... silenziosa... o semplicemente diffidente. - scandiva le parole una per una, come per sottolineare ciò che diceva: io non sapevo se sentirmi a disagio o lusingata da quello che mi stava rivelando.
- Faith ti ha aiutata. Lo vedo che lei è il tuo punto di riferimento da sempre, ma tu devi... tu devi permettere a te stessa di fare quello che vuoi. Indipendentemente da ciò che sceglierà lei. - improvvisamente si sporse verso di me tanto che ci separava la distanza di un respiro. - Tu che cosa vuoi?-
Esitai a rispondere: era la pesantezza delle sue domande a farmi mancare le parole o il fatto che lui fosse così vicino? - E tu dove vuoi arrivare, Jack Sparrow?-
Jack mi fissò socchiudendo le palpebre e inclinando il capo in avanti. - Quello che ti sto chiedendo... - disse lentamente, a voce più bassa. - E': vuoi venire con me?-
Abbassai gli occhi, senza rispondere subito. Con Faith ora c'era Ettore. Michael si era ormai votato con entusiasmo alla pirateria. E io? Tutti noi sembravamo aver dato per scontato che saremmo rimaste, abbracciando la nostra nuova vita. Eravamo state troppo precipitose? Ero davvero capace di prendere una decisione definitiva?
- Faith ha Ettore, Michael adora essere un pirata... come al solito solo io non sono sicura sulla strada da prendere. - mi voltai dalla parte opposta, verso il ponte, e mi scostai di qualche passo.
- Oh andiamo... “Faith ha Ettore”... era il nostro carceriere solo stamattina!- esclamò Jack venendomi dietro e sporgendosi da dietro la mia spalla. Sospirai e mi girai nuovamente verso di lui: - Apri gli occhi, Jack, si vede quando fra due persone c'è qualcosa!-
In quel momento lui si fece improvvisamente serio, per alcuni attimi smise perfino di barcollare su sé stesso. - Oh, io lo so. - fece in tono di sfida. - Sei tu che sembri ostinarti a fingere di non vederlo fra di noi... -
Sentii il sangue affluirmi violentemente alle guance e mi morsi le labbra quasi con rabbia mentre chinavo appena il capo per non guardarlo negli occhi. - Lascia perdere, capitano. -
- Ma perché no?- insistette, allargando le braccia e chinandosi in modo buffo per costringermi ad incrociare il suo sguardo. - Perché non potremmo anche tu ed io?-
- E perché sì, allora?- replicai, tagliente. - Perché sono una facile conquista o un bel premio dopo quest'impresa?-
Lui sollevò di scatto la testa e mi fissò con espressione indecifrabile: l'avevo punto sul vivo. - No!- esclamò con inaspettata foga. Fra noi regnò il silenzio per lunghissimi ed insopportabili istanti, infine Jack trasse un sospiro e ricominciò a parlare: - Ti faccio notare che ho rifiutato le profferte di Beatrix per amore di un mozzo indisciplinato... oh perdonami... - sogghignò facendo scintillare i denti d'oro. - ...di una splendida pirata che ha pensato bene di starmi perennemente alle costole. -
- Come al solito cerchi di cavartela con le lusinghe, capitano?- ribattei.
Jack alzò gli occhi al cielo con espressione di resa. - E va bene... le lusinghe lusingano solo chi vuole essere lusingato, e cercare di lusingare chi non cerca lusinghe non è molto lusinghiero. - si interruppe per un attimo mentre io lo fissavo basita. - ...Comunque ci terrei a rinfrescarti la memoria, perché alla suddetta pirata ho anche dato un bacio, e speravo di essere riuscito a scaldarla un po'. -
- Sei insopportabile!- strillai col volto che sembrava andare a fuoco, dandogli improvvisamente una spinta sul petto che lo fece sobbalzare all'indietro. - Non lo capisci che questo non è il lieto fine di una bella impresa? Cosa credi, che ora che abbiamo salvato David e Beatrix è morta, adesso è tutto a posto? Ho ucciso, e ho rischiato di venire uccisa a mia volta. Ho paura. Ne abbiamo tutti: io, Faith, Michael, anche se loro non lo danno a vedere. Certo, abbiamo già viaggiato parecchio e andare da un posto all'altro non è una novità per noi, però ora stiamo... tagliando completamente col passato. Ce l'abbiamo davvero il coraggio per continuare una vita così?-
Mi appoggiai nuovamente al parapetto mentre Jack rimaneva in silenzio ed entrambi abbassavamo lo sguardo sulle onde leggere che si infrangevano contro lo scafo scuro della nave. - Hai detto di non esserti sentita a casa in nessuno dei posti in cui hai vissuto. - disse ad un certo punto, continuando a guardare all'orizzonte. - Stavolta sarebbe la tua casa a venire con te. E' un grande vantaggio. E tu... diavolo, devo ammettere che fino ad ora tu sei l'unica che ho visto guardare la Perla Nera allo stesso modo in cui la guardo io!-
- Già... - capivo quello che mi voleva dire: condividevamo ben più del semplice rapporto fra due persone, condividevamo l'affetto per la Perla Nera, la nave che aveva intrecciato i nostri destini in modo inaspettato. Ma non era quello il problema: tutto quello che mi serviva era una certezza, una e una sola. E sapevo benissimo quale.
Forse Jack se ne rese conto, perché inclinò appena il capo, aprì la bocca e guardò altrove come era solito fare quando si preparava a dire qualcosa di impegnativo. - E io per te... - si intartagliò, contorse ancora la bocca in modo buffo tanto che dovetti sforzarmi per non mettermi a ridere: non mi sembrava proprio il caso. - ...Ci... ci sarò sempre. D'accordo?-
Lo guardai. Piantai ancora una volta i miei occhi nei suoi, facendomi coraggio per dire tutto ciò che dovevo. - Tu non sai quanto vorrei crederti. - dissi a voce bassa, ma sicura. - C'è forse qualcosa che ti impedisce di farlo?- replicò lui, tranquillo, inclinando il capo. - E a me non hai pensato? No? Non hai pensato che potrei non volere che lasci la nave? Non hai pensato che mi sto arrovellando per convincere il mio mozzo dallo schiaffo facile a restare con me? Io vorrei... che tu venissi con me perché è quello che vuoi. E... voglio dividere con te il comando della Perla Nera...in parte, certo. Dopotutto ti spetta... tu sei legata a questa nave. - accennò a me col mento, e sapevo che stava parlando della mia perla. - Solo voglio... che resti insieme a me. - smise di gesticolare e rimase a guardarmi. - Non sarebbe molto carino nemmeno da parte tua piantarmi in asso dopo tutto quello che abbiamo passato, non trovi?- deglutì a vuoto e abbassò di scatto lo sguardo. - Resti sempre la mia pirata preferita. - concluse con un lieve sorriso: il suo tono si era fatto esitante, anche se non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura avrei potuto scommettere che era imbarazzato.
Abbassai anch'io il viso perché non si notasse troppo il sorriso che mi si stava allungando da un orecchio all'altro, poi mi feci coraggio e avanzai di un passo verso di lui, annullando i pochi centimetri di sicurezza che ci separavano. - Ecco... mi spieghi come faccio a darti del pazzo buffone quando ti metti a parlare in questo modo? Perché tu sei un pazzo pirata buffone... e non riesco a capire come diavolo hai fatto a rendermi altrettanto pazza da non poter più rinunciare a te. -
Jack batté le palpebre come in tralice, poi mormorò: - Laura... - mi cinse i fianchi con le braccia, io non mi opposi: lasciai che mi stringesse a sé mentre le sue mani salivano ad accarezzarmi la schiena, ed io feci scivolare le braccia attorno al suo collo. Eravamo di nuovo vicini, il mio petto contro il suo, le sue braccia che mi tenevano: non riuscivo a credere quanto il suo calore mi fosse mancato.
- Ti amo Jack. - mormorai tutto d'un fiato. Finalmente l'avevo detto! Dopo tutto quello che avevo passato mi sembrava quella la cosa più coraggiosa che avessi mai fatto. Jack spalancò gli occhi così tanto che le sopracciglia gli sparirono sotto la bandana: io strinsi le braccia attorno alle sue spalle e gli venni incontro deponendogli un bacio sulle labbra mentre era ancora lì ad occhi sgranati, e pur non avendo una grande esperienza non me la cavai male.
Le nostre bocche si separarono per un istante ed io socchiusi gli occhi, senza scostare il mio viso da quello di lui: le sue labbra dischiuse sfioravano ancora le mie come se non se ne volessero staccare del tutto, infine le sentii aprirsi nel suo bellissimo sorriso che in quel momento aveva un che di stupefatto, quindi incollò di nuovo le nostre labbra, a lungo. Se la prima volta era stato bello, quello fu stupendo: ci baciammo e tutto intorno a noi era perfetto; il quieto sciabordio del mare, il cielo tappezzato di stelle, il ponte deserto, tutto sembrava avvolgerci, complice, perché stavolta quella strana magia non finisse, non ancora...

Nota dell'autrice:Innanzitutto grazie ad ultraviolet per avere letto e commentato, rinnovo i ringraziamenti che ti ho fatto per e-mail per i tuoi consigli e ti assicuro che, dato che questa storia è quasi finita ma che ho intenzione di aggiungere nuovi elementi dopo l'uscita del terzo film, terrò sicuramente conto dei tuoi consigli e farò di tutto per dare il giusto spazio anche a Will ed Elizabeth che (orrore!) ho veramente trascurato! Comunque sia loro sia il vecchio Barbossa troveranno spazio in seguito... perché questo non è che il primo episodio di una saga, e se ti interesserà seguirmi e darmi suggerimenti sarai più che benvenuta.

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Capitolo 14
*** EPILOGO ***


EPILOGO


All'orizzonte si poteva già scorgere la cittadina di Oyster Bay ergersi sopra la costa fra il verde smeraldo della vegetazione. Jack corresse appena la rotta imprimendo un leggero movimento al timone: la costa era bassa e sabbiosa e il fondale era troppo basso per permettere loro di attraccare, perciò ai Turner sarebbe servita una scialuppa per tornare a terra.
Un rumore di passi lo avvertì di William che stava salendo le scale del cassero di poppa per raggiungerlo: quando gli fu accanto Jack si voltò verso di lui e gli rivolse un cenno del capo: - Ci siamo quasi, anche se dovrete remare un po'. -
Will annuì senza parlare: sul ponte, sotto di loro, David stava giocando a sfuggire a sua madre, tuffandosi fra il cordame e zigzagando con un'agilità sorprendente che stava dando filo da torcere ad un'affannata Elizabeth. - Sembra che il tuo marmocchio stia meglio. - commentò Jack.
Lui sorrise, poi, dopo un attimo di esitazione, gli rispose: - Volevo ringraziarti, Jack. Davvero. -
Il capitano rimase per qualche istante con lo sguardo fisso sull'orizzonte, quindi, senza cambiare espressione, replicò: - Non c'è di che. -
- Mio figlio... - Will abbassò gli occhi sul bambino che ancora una volta sfuggiva ridendo agli agguati di sua madre. - ...è tutto quello che ho, insieme ad Elizabeth. Non ti ringrazierò mai abbastanza per averlo salvato. -
- Hm mh. - Jack girò un poco il timone mentre Will si scostava di qualche passo andando ad appoggiarsi al parapetto mentre osservava Oyster Bay farsi più vicina.
- E ora che ci penso non ti ho ancora... - si interruppe per un attimo, quindi terminò: - ...non ti ho ancora ringraziato per avermi salvato la vita quella volta, tre anni fa. -
Stavolta Jack si voltò verso di lui corrugando la fronte: - Abbiamo passato due giorni chiusi insieme in una cella senza trovare un accidente da fare e tu mi fai questi discorsi adesso?- esclamò, fissando sconcertato il giovane che a quelle parole scoppiò improvvisamente a ridere. - Be', come dire... avevo la testa altrove in quel momento! Comunque sento davvero di doverti ringraziare. - aggiunse tornando serio. - Mi hai salvato la vita e hai fatto di tutto per salvare quella di David. Grazie. -
- Va bene, va bene... ho capito. - sbottò il capitano incominciando a sentirsi curiosamente a disagio. - Non mi aspettavo così tanta gratitudine considerata la situazione in cui ti avevo messo. Comunque... sono contento di vederti di nuovo tutto intero. In... - si picchiettò un pugno sul petto, a sinistra dello sterno. - ...tutti i sensi. -
William annuì, abbassando gli occhi sulle assi del ponte – Già. Sai... avrei tanto voluto che David almeno conoscesse suo nonno. -
L'espressione del capitano si addolcì un po', comprendendo che cosa passasse per la testa del ragazzo. - Sputafuoco sarà un buon capitano, e sarà ancora più felice di svolgere il suo compito sapendo che tu sei felice. - la sua voce assunse una nota divertita ripensando al vecchio amico il cui destino aveva rimescolato le carte in un modo che nessuno di loro due si sarebbe mai aspettato. - Allora, adesso ti aspetta una vita con la tua mogliettina e col tuo Turner in miniatura su questa bella isoletta? Sei così sicuro che riuscirai a riprendere una vita normale dopo essere stato, pensa te, capitano dell'Olandese per tre anni?-
William tenne gli occhi bassi finché non emise un lungo sospiro, rialzandoli. - Lui mi mancherà, e molto anche. Però devi capire... il mio posto è ad Oyster Bay adesso, abbiamo fatto una scelta. E soprattutto... io non posso più rischiare le vite di coloro che amo. Non voglio. Non proprio adesso che al di là di ogni speranza siamo di nuovo insieme. Io devo... be'... conoscere la mia famiglia. Ho un vuoto di ben tre anni da colmare, e non sarà facile. - sul ponte, Elizabeth era riuscita a catturare David che ora rideva a crepapelle, divincolandosi nel tentativo di liberarsi. Jack annuì, tamburellando le dita sul timone. - Buona fortuna. - disse, inclinando il capo all'indietro.
In quel momento altre risate attirarono la loro attenzione: io e Faith eravamo uscite sul ponte e ci eravamo unite alla battaglia di Elizabeth contro David che non pareva affatto intenzionato ad arrendersi: dall'alto Jack mi guardò e scoprì i denti in un sorriso.
Con espressione sorpresa Will guardò lui, poi guardò me.
- Aaahhh... - fece senza riuscire a trattenere un'espressione divertita, riportando gli occhi su Jack con l'aria di chi la sa lunga. Jack tornò rapidamente serio e voltò di scatto la testa verso di lui aggrottando le sopracciglia. - “Ah” cosa?- fece in tono indispettito.
- Allora sei cambiato davvero. - commentò William con semplicità.
Lo sguardo del capitano guizzò ancora per un attimo su di me quasi per sbaglio, quindi lui strinse gli occhi fissando Will di sbieco. - Non capisco di cosa parli. -
- Certo che capisci!- insistette il ragazzo, godendosi l'idea di tenere il pirata in scacco. - Oh andiamo, non ne sei contento?-
- Non sono affari tuoi!- scattò lui, desiderando mordersi la lingua l'istante dopo.
William rise silenziosamente, avviandosi verso la scaletta. - Fai attenzione, capitano Jack Sparrow. - gli disse in tono vivace, fermandosi col piede sul primo gradino e voltandosi verso di lui. - Potresti anche finire per imparare qualcosa. -
Jack lo seguì con lo sguardo sforzandosi di trovare qualcosa di abbastanza tagliente da rispondergli, ma non gli venne in mente nulla di appropriato, così dovette rassegnarsi a lasciarlo scendere sul ponte con quell'irritante espressione compiaciuta. Dopo qualche istante scrollò le spalle e alzò gli occhi al cielo: William poteva anche sapere più di quanto lui stesso volesse ammettere, poco male; lui non avrebbe confermato né negato nulla. Non gli avrebbe dato quella soddisfazione.
Aveva pur sempre una reputazione da difendere.
Dopotutto era il capitano Jack Sparrow.

*

- C'è qui un bambino che non vuole fare il bravo?- William arrivò in mezzo a noi tre e acchiappò rapido David, sollevandoselo sopra la testa mentre lui scalciava e rideva. - Questa è insubordinazione, signorino Turner! Che ne dite di appenderlo all'albero maestro?-
- Sì!- esclamammo io, Faith ed Elizabeth all'unisono agitando i pugni in aria.
- Per quanto la cosa potrebbe essere divertente... temo che dovremo rimandare. - Jack ci si avvicinò a passo di marcia, dondolando le braccia. - Siamo il più vicino possibile alla spiaggia, ma non possiamo trattenerci a lungo. -
Con un finto sospiro di delusione, Will rimise a terra il figlioletto. - Ti è andata bene, David. Adesso si torna a casa. -
- Nooo!- protestò il bambino con delusione ben più autentica.
Abbracciammo e salutammo Elizabeth e William almeno una decina di volte, senza riuscire a credere di doverci davvero separare: improvvisamente mi sentivo le lacrime agli occhi. - Promettete che ci scriverete!- mi disse Elizabeth stringendomi in un altro abbraccio.
- Lo farò!- promisi, soffocando una lacrima che già minacciava di superare il livello di guardia. - Ogni volta che sarà possibile!-
Abbracciai anche Will, forse con fin troppo trasporto perché lo feci arrossire, poi quando ci separammo mi mise le mani sulle spalle come un fratello e mi disse a bassa voce: - Ti darà del filo da torcere. -
Aggrottai le sopracciglia senza capire. - Chi?-
Will accennò col capo a Jack alle nostre spalle, e stavolta fui io ad arrossire, ma lui continuò, molto serio: - Tu sei una ragazza forte, Laura. Restagli vicino... sempre. Lui ha bisogno di te più di quanto non ammetterà mai. - e con una stretta affettuosa alla spalla mi lasciò andare.
Fu preparata una scialuppa mentre noi restavamo sul ponte ad assistere alla partenza dei nostri amici: mentre William faceva salire David, Elizabeth si voltò indietro. - Jack!- lo chiamò, avvicinandosi. Lui sollevò un sopracciglio: - Sì?-
Cogliendolo completamente alla sprovvista, Elizabeth gli gettò le braccia al collo e lo abbracciò stretto. - Grazie. - disse con fervore appoggiando il mento sulla sua spalla. - Grazie. Grazie. Grazie. Grazie. -
Il capitano sgranò gli occhi, con le mani rimaste a ciondolare a mezz'aria accanto alle spalle di lei, indeciso se ricambiare l'abbraccio. - Prego. - rispose in tono un po' sconcertato, come chiedendosi se ne bastasse uno.
Si separarono, Elizabeth montò sulla scialuppa insieme a Will e David e i pirati li calarono in mare.
Li guardai remare in direzione del porto, e intanto un turbine di domande mi tormentava. Come se la sarebbero cavata a casa? Elizabeth non avrebbe potuto chiedere di meglio che riavere Will dopo tutto quel tempo, ma tre anni di separazione avevano inevitabilmente lasciato il loro segno. Il piccolo David aveva subito riconosciuto con trasporto in Will il padre di cui Elizabeth gli raccontava da quando era nato, ma entrambi avrebbero avuto bisogno di tempo per imparare a conoscersi. La prossima sfida di Will ed Elizabeth si combatteva sulla terraferma, in quella che sarebbe stata la loro casa: era una cosa che dovevano affrontare da soli. Ma non potei fare a meno di immaginare un futuro con loro, i miei più cari amici, con noi sulla Perla Nera, per condividere la nuova vita che ci eravamo scelte. Anche se purtroppo si trattava di un sogno destinato ad infrangersi come l'acqua sotto i remi che sotto la spinta di Will riportavano la scialuppa verso Oyster Bay, a riconquistare tutta la vita che si era perso in quei tre lunghi anni.
- Uomini!- gridò Jack ad un certo punto rivolto alla ciurma, distogliendomi dai miei pensieri. - Lasciamo questo porto, svelti. Ma prima... - posò le mani sulla mia spalla e su quella di Faith, e fece accostare a noi Michael. - Date il benvenuto definitivo ai nostri nuovi pirati: Faith e Michael Westley... - spinse gentilmente entrambi avanti mentre gli uomini della ciurma li salutavano gridando: - Aye!-
Mi stavo chiedendo perché ci presentasse uno alla volta dato che tutti e tre avevamo deciso di diventare pirati definitivamente quando Jack fece fare un passo avanti anche a me. - E salutate Laura Evans. - proferì in tono solenne. - Capitano in seconda della Perla Nera. -
- Cosa?!- la mia voce coprì perfino i commenti stupefatti dei pirati mentre mi voltavo bruscamente verso di lui. - Ma sei impazzito?-
- Neanche un po'. - replicò lui pigramente. Sconcertata mi girai nuovamente verso i pirati che dal canto loro mi fissavano come se fossi il diavolo in persona piombata sul ponte, infine Gibbs portò la mano alla fronte in segno di saluto ed esclamò: - Aye, capitano!-
Gli altri lo imitarono facendomi il saluto: - Aye, capitano!-
Jack sorrise soddisfatto, quindi mi voltò le spalle diretto al timone dicendomi semplicemente: - Su, partiamo!- Per un attimo rimasi ferma dov'ero senza sapere bene che cosa fare, con i pirati schierati sul ponte che sembravano confusi quanto me, infine presi coraggio e gridai: - Avanti, issare le vele e virare di prua!-
Come se il mio ordine li avesse bruscamente risvegliati gli uomini sussultarono e corsero rapidi alle loro postazioni per issare le vele e portare la nave lontano da lì: mentre osservavo il loro operato con un certo orgoglio notai Faith al mio fianco, istintivamente aprii la bocca per dirle qualcosa ma mi resi conto di non trovare neanche una parola. Per tutta risposta lei sorrise e portandosi la mano sul cuore mi fece un inchino. - Aye capitano!- disse con aria maliziosa prima di incamminarsi lungo il ponte.

*

E così quel giorno sancì definitivamente il nostro ingresso nella pirateria. Non sentii nostalgia di tutto ciò che mi lasciavo alle spalle con quella scelta.
Viviamo sulla Perla ormai da alcune settimane, e sembra che finalmente abbiamo trovato la nostra casa. Michael è il beniamino della ciurma, ha cominciato anche lui a darsi da fare lavorando come mozzo: secondo Gibbs ha le carte in regola per diventare un ottimo pirata.
Faith si è innamorata di Ettore. A quanto pare la sorte non ha ancora finito di portare imprevisti nella nostra vita, anzi, a me pare che abbia appena cominciato. Forse avrei dovuto capirlo già da quell'indole bonaria che neppure il suo aspetto di rude pirata riusciva a dissipare, o dalla delicatezza con cui ci aveva sempre trattate mentre eravamo prigioniere sulla nave di Beatrix. E' un brav'uomo. Sono tanto contenta per Faith.
Una sera stavo al timone: finalmente avevo ottenuto quel privilegio e ne approfittavo ogni volta che potevo, anche se sospettavo che Jack ne fosse in un certo senso geloso. Però si fidava di me: me lo aveva detto lui stesso; ero l'unica che guardava la Perla con lo stesso affetto che lui esprimeva anche semplicemente toccandone quasi per caso il legno nero. La nave scivolava libera sotto i miei comandi, il ponte era quasi deserto, e nella luce e il silenzio del tramonto mi sentivo assolutamente libera. In quel momento qualcuno salì dalle scalette del cassero di poppa: mi bastò uno sguardo alla svolazzante bandana rossa per riconoscere Jack, che mi si avvicinò con una curiosa espressione soddisfatta. - Ehi, tesoro, molla il timone e vieni qui un attimo!- mi ordinò agitando una mano verso di me. Il mare era calmo e non c'era nessun ostacolo intorno a noi, così lasciai il timone e mi voltai verso di lui: mi tese i due pugni chiusi.
- Ho una cosa per te, ma devi indovinare dov'è. - disse, esibendo il suo migliore sorriso malizioso: stetti al gioco e osservai i pugni chiusi, cercando qualcosa che potesse aiutarmi a scegliere mentre lui dondolava pigramente sul posto come suo solito.
- Bada che se non indovini al primo colpo me lo tengo io!- aggiunse lui, poi prese ad accennare con la testa alla sua mano destra, mormorando fra i denti: - ... è questa... è questa!... -
Naturalmente scelsi la sinistra. - Giusta!- esclamò lui, stavo per prenderlo in giro per quanto ci si può fidare dei pirati quando aprì le dita ed io rimasi a bocca aperta. Era un anello, grosso, con una larga fascia di metallo decorata con elaborate spirali e con incastonata una pietra azzurra perfettamente ovale; Jack se lo fece saltellare sul palmo una volta per poi riacchiapparlo, quindi me lo porse. - Grazie!- esclamai mentre lo prendevo, quasi commossa da quel gesto assolutamente inaspettato. Mi rigirai fra le dita l'anello, ipnotizzata dal luccichio della pietra che a seconda della luce che catturava mostrava una metà di un azzurro più chiaro o più scuro. Mentre ancora lo ammiravo ammaliata notai un'incisione all'interno della fascia, così strinsi gli occhi e lessi: my Black Pearl.
La guardai. Cosa poteva significare? Niente. Tutto.
- “La tua perla nera”?- ripetei, guardandolo divertita: lui allungò rapido un dito sotto la mia catenella e fece tintinnare la perla, lasciandomela poi ricadere contro lo sterno. - Forse non la sei?-
Sgranai gli occhi e li alzai a guardarlo, e lui inclinò il capo, sorridendo quasi imbarazzato come se si sentisse fuori posto. Spinta da un'improvvisa felicità quasi infantile gli gettai le braccia al collo, lo abbracciai stretto e cogliendolo di sprovvista gli diedi un bacio sulle labbra: - Jack... grazie! E' bellissimo!-
Dopo un istante di esitazione lui mi prese la mano fra le sue e mi infilò l'anello all'anulare sinistro: dovevo averlo lasciato un tantino spiazzato da quell'impeto di affettuosità perché per qualche attimo sembrò incerto su cosa fare, ma poi mi cinse con un braccio tenendomi vicina a lui e sembrò cominciare a rilassarsi. Nascondendo un sorriso appoggiai il capo sulla sua spalla, e rimanemmo abbracciati davanti al timone. - Allora, ora dove si va, mio capitano?- domandai, premendogli il cappello a tricorno sulla testa.
- Possiamo andare ovunque, mia piccola perla! - rispose lui con fare ammaliatore. - C'è tanto da fare in giro: mercantili da saccheggiare, navi della marina a cui far mangiare la polvere, tesori ancora da scovare... Oh, ne ho di cose da mostrarti! Anzi, ora sei capitano in seconda: datti da fare e scegli tu la nostra prossima meta! Sai come si traccia una rotta?-
Mi scostai un po' da lui per guardarlo in faccia. - Non ancora. -
Lui mi regalò uno scintillio dei suoi denti d'oro mentre diceva semplicemente: - Imparerai. - Uno squittio familiare attirò la nostra attenzione verso l'alto, dove la scimmietta si stava dondolando su una cima osservandoci con evidente curiosità. Jack roteò gli occhi: - La prima cosa che facciamo appena approdiamo a Tortuga è restituire quella scimmia. - disse con decisione.
Lo guardai accigliandomi. - A chi?-
Jack alzò le sopracciglia e sogghignò appena con aria misteriosa, prima di lasciarmi andare e scendere a passi lenti le scale del cassero di poppa. Lo seguii con lo sguardo mentre riprendevo il timone: seguii con gli occhi quel passo ciondolante, ipnotico e ora più che mai familiare, il guizzo delle cocche della bandana rossa fra la criniera di capelli arruffati nella brezza che si stava alzando, e in quel momento seppi che sarei stata con lui. Con il capitano Jack Sparrow. Sempre, qualunque cosa fosse accaduto.
Ad un tratto lui si voltò come se avesse avvertito il mio sguardo sulla sua nuca e mi guardò dal ponte mentre stringevo il timone fra le mani. Mi sembrò che ci guardasse entrambe, me e la nave, nello stesso tempo. Poi sorrise, ciondolando il busto all'indietro. - Portateci all'orizzonte. - disse semplicemente, prima di voltarsi di nuovo.
Inarcai un sopracciglio, chiedendogli: - Cosa?- ma lui si stava già allontanando lungo il ponte.
Esitai per un momento, quindi mi strinsi nelle spalle.
Avevamo tutto il tempo del mondo. E tutto il mondo davanti al nostro scafo: c'era qualcosa di meglio? Strinsi un po' più forte il timone; mentre pensavo a dove andare scrutai la linea piatta dell'oceano, dove il sole cominciava ad inabissarsi e fiamme vermiglie divoravano l'orizzonte.





Don't you see the ships a-coming? Don't you see them in full sail?
Don't you see the ships a-coming With the prizes at their tail?
Oh, my little Rolling sailor, oh, my little Rolling he;
How I love my Rolling sailor, when he’s on a Rolling sea.

Sailors they get all the money, soldiers they get none but brass;
How I love my Rolling sailor, soldiers they may kiss my arse.
Oh, my little Rolling sailor, oh, my little Rolling he;
How I love my Rolling sailor, when he’s on the Rolling sea.

How can I be blithe and merry, with my true love far from me,
All those pretty little sailors they’ve been pressed and taken to sea
Oh, my little Rolling sailor, Oh, my little Rolling he;
How I love my Rolling sailor, when he’s on the Rolling sea.

How I wish the press were over and all the wars were at an end;
then everybody sailor Laddie would be happy with his friend.
Oh, my little Rolling sailor, Oh, my little Rolling he;
How I love my Rolling sailor, when he’s on the Rolling sea.

When the wars they are all over and peace and plenty come again
Everybody’s sailor Laddie will come sailing on the main
Oh, my little Rolling sailor, Oh, my little Rolling he;
How I love my Rolling sailor, when he’s on the Rolling sea.

All the wars will soon be over and all our sailors once come home,
Every lass would get her lad she won't have to sleep alone.
Oh, my little Rolling sailor, Oh, my little Rolling he;
How I love my Rolling sailor, when he’s on the Rolling sea.



Note dell'autrice: Storia finalmente restaurata e completa! Che lavoraccio... Comunque annuncio che era l'ULTIMO rifacimento della storia in assoluto.(per fortuna!!!)Per intenderci, nella sventurata possibilità che esca un quarto film (fachenoncisiafachenoncisiafachenoncisia...), non verrà considerato. La mia personale storia dei Pirati dei Caraibi si conclude con AWE e ricomincia nella mia saga. Wind the sails...
Grazie a Peeves per i commenti, sono contenta che questa... fantastic-fiction, come l'hai definita, ti sia piaciuta! La battuta su Ulisse, ora che mi ci fai pensare, non era esattamente voluta: l'avevo messa, ma non avevo proprio pensato ad un possibile doppiosenso su "Calipso". E, pensandoci bene, in effetti in bocca a Jack può suonare anche così!

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