Anata

di hidama
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Lei ***
Capitolo 3: *** Tutto quello che resta ***
Capitolo 4: *** Lui ***
Capitolo 5: *** Anata ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



"Pronto?" 
"Takanori, sono io."
"Dimmi"
"Posso passare a casa tua a pendere gli spartiti? Volevo ricontrollarli..."
Quella donna. A casa sua. 
Non era certo la prima volta e con assoluta certezza non sarebbe stata nemmeno l'ultima, ma nonostante questo riusciva comunque a farlo sentire a disagio. Il disagio spariva solo quando, nuda, la trovava nel suo letto, e allora tutte le inibizioni non avevano più alcun valore, non esistevano dubbi o incertezze, e quel che veniva dopo non era difficile da immaginare.
Come succede sempre per questo genere di cose, tutto era cominciato per gioco, per via di una semplice infatuazione tra colleghi, un uomo e una donna costretti a vedersi tutti i giorni per cause inoppugnabili, inconvenienti della loro carriera. 
E poi c'era il palco. La folla urlante, la folla che era impazzita quando quell'unica volta in cui avevano suonato insieme lei gli si era avvicinata e davanti a migliaia di persone lo aveva baciato lascivamente, mentre da ogni suo poro fuoriusciva una miscela letale di lussuria e femminilità. Un bacio di scena, una cosa programmata, niente più, ma era bastata ad accendere un poco quel qualcosa che ora bruciava più di sempre.
Una cosa senza impegno, una cosa fatta per noia, una diretta conseguenza di un tedio provocato dalla monotonia di quel Giappone così bigio e dalla frustrazione che veniva da un lavoro così stressante. "Solo sesso", avevano detto, e avevano mantenuto la parola.
Ma qualcosa ultimamente non lo lasciava tranquillo, la presenza di quella donna accanto a lui non solo lo eccitava, ma lo metteva pesantemente a disagio, e quando c'era avrebbe desiderato che sparisse all'istante, quando mancava implorava per la sua presenza come fosse una droga della quale non poter fare a meno. Era assuefatto a quegli occhi azzurri, a quelle labbra sottili, a quel corpo perfetto, e sarebbe morto piuttosto che imparare a farne a meno. Lo sapeva.
"Ok..."
"Ora sono sul treno, sarò da te tra non molto. ... Tutto bene?"
Rispondeva controvoglia, in uno stato di angoscia inspiegabile, ma già pregustando il sapore di quella bocca, di quella pelle, degli antri più nascosti di lei. Anche quel giorno, la voleva. L'avrebbe obbligata se necessario, ma lui aveva bisogno di lei.
"Si, sono stanco. Ti aspetto a casa." rispose, poi tagliò la conversazione gettando il telefono sul divano di pelle scura. Il piccolo cane sobbalzò per il tonfo.
"Arriva la nostra amica, sei contento?" sorrise maliziosamente, poi decise che era meglio fare una doccia per lavare via almeno l'ansia, perché l'eccitazione l'avrebbe lavata via solo nel solito modo.

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Capitolo 2
*** Lei ***


L'acqua scorreva ancora limpida e calda sul suo corpo quando suonò il campanello. Quanto tempo era passato? Non lo sapeva, ma sapeva che mentre lui era lì a fare le sue considerazioni e a cercare di placare i suoi istinti e le sue fantasie più sfrenate, quella donna era davanti alla sua porta e lo stava aspettando, e non se ne sarebbe andata fino a quando non avesse ottenuto ciò di cui aveva bisogno.
Il campanello suonò di nuovo:
"Takanoriiii, sono io! Apri! ... Ci sei o no?!"
Uscì con calma dalla doccia, sapeva che non c'era nessuna fretta e che la notte era ancora lunga. Con indosso dei vestiti improvvisati andò ad aprire la porta, lei era appoggiata al muro e lo fissava con uno sguardo indagatore.
"Per un attimo ho pensato che mi avresti lasciata qui" disse ironicamente.
"L'ho pensato anch'io..." -rispose frettolosamente a bassa voce- "Entra".
Quella non se lo fece ripetere due volte e varcò la soglia sfilandosi le scarpe e gettando la giacca di pelle sul divano. Era perfettamente a suo agio in quella casa, che conosceva a memoria in ogni suo angolo, soprattutto al buio e soprattutto per esperienza tattile, come poteva essere ovvio.
"Quanti cazzo di giorni sono che non sistemi qui dentro? Questa stanza è un porcile!"
Takanori chiuse la porta alle sue spalle, poi ci si poggiò con la schiena e iniziò ad osservare quell'insolita creatura che aveva cominciato a riordinare la stanza con gesti decisi e sicuri.
"Sei sempre il solito. Dovresti occuparti di più della tua casa... Beh, non mi saluti?"
Era crudele, sapeva perfettamente che quella sua espressione beffarda e canzonatoria lo faceva impazzire, e sapeva anche che era disposto a fare qualsiasi cosa pur di averla per sé. Quando una donna è consapevole del proprio potenziale erotico sa essere davvero, davvero pericolosa, e lei lo era particolarmente.
"Ciao"
Quella inarcò un sopracciglio con disappunto, poi si voltò di nuovo a sistemare senza proferire parola mentre lui si sedeva sul divano accanto alla giacca disordinata.
"Gli spartiti sono sul tavolo", sussurrò.
La fissò avvicinarsi con passo sinuoso al piano lucido del tavolo su cui era adagiato un enorme plico di fogli scritti in ogni angolo in modo disordinato e frenetico: "In settimana dovremmo rivederci per sistemare questa roba" disse iniziando a sfogliare "Non ci si capisce niente e io mi rifiuto di partecipare all'evento senza un'adeguata preparazione. Non ho intenzione di fare brutta figura: con i tempi che corrono, un insuccesso può voler dire la chiusura della baracca."
LEI suonava in una band di secondo ordine che ultimamente non se la passava troppo bene, ma poiché vi era stata investita un'ingente somma di denaro che non poteva essere perso, l'agente aveva deciso di tentare il tutto per tutto facendolo accompagnare ai The GazettE nel tentativo di recuperare il successo e la popolarità persi anni prima per motivi apparentemente incomprensibili. Forse sarebbe stato meglio se questa idea non avesse mai preso vita. Almeno lui ora sarebbe stato libero, e invece si ritrovava imprigionato in un vortice di seduzione e lussuria che temeva con tutto se stesso ma del quale allo stesso tempo non riusciva a fare a meno. 
Continuava a sfogliare tirando fuori ogni tanto coppie di fogli e mettendo le da parte, quando si accorse che lui la stava fissando profondamente.
"Devi dirmi qualcosa Takanoriさん?"
Non rispondeva e la cosa la infastidiva notevolmente, rimaneva impassibile davanti alla sue parole e non poteva sopportarlo: odiava essere ignorata.
Si avvicinò a lui lentamente, con l'indice accarezzò piano il suo viso partendo dalla fronte, passandolo sul naso, fino alle labbra.
Gli diede un buffetto sul naso chinandosi su di lui, le loro bocche erano vicinissime, troppo vicine. 
"Cattivo bambino!... Lo so cosa vuoi..."

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Capitolo 3
*** Tutto quello che resta ***


Si alzò e tornò ad avvicinarsi al tavolo per continuare la sua ricerca mentre lui continuava a fissarla, e tutto quello che riusciva a pensare era “SEI-UNA-STRONZA”. Sentiva la sua eccitazione crescere, nella sua testa cominciavano ad affollarsi immagini, ricordi, voci, un turbinio di informazioni che gli dava il voltastomaco. Sentiva la testa pesante e un senso di smarrimento lo avvolgeva, era confuso, il suo respiro di faceva sempre più pensante nello sforzo estremo di rimanere calmo. L’avrebbe presa di forza, trascinata in camera, spogliata violentemente e poi avrebbe goduto di lei fino allo sfinimento.
Non poteva più resistere.
Quella donna, quella… cosa… era troppo per la sua vista, per il suo naso, per le sue orecchie, per la sua pelle. Il minimo contatto era letale.
Si alzò di scatto, inebriato dalla scia di profumo che lei aveva lasciato quando gli si era avvicinata, e si diresse in camera da letto: non avrebbe aspettato oltre, non gli importava quali fossero i suoi programmi per quella sera, per quella notte, non gli interessava cosa lei pensasse della cosa, se avesse voglia di fare l’amore –se così poteva essere chiamato–  o meno. Lui, semplicemente, inoppugnabilmente, la desiderava, e l’avrebbe ottenuta.
Eppure lei non lo aveva seguito… strano: di solito bastava molto meno per convincerla. Possibile che non si fosse accorta di…? Non era una di quelle donne ingenue e pudiche, no di certo, e già solo per la sua maliziosità avrebbe dovuto immaginare che qualcosa nella mente, e nei pantaloni, dell’uomo che si portava a letto da mesi doveva essersi pur svegliato.
“Ti decidi a entrare o no?”
“Uhm? Ti giuro che sono venuta con le migliori intenzioni oggi, non c’è bisogno che…”
“Spogliati.”
Lo fissò interdetta per un attimo, poi scrollò le spalle con disinvoltura, come se fosse una richiesta normalissima, come se le avesse appena chiesto di portargli un bicchier d’acqua, ma quello che in verità stava chiedendo era l’ennesimo bicchiere della sua anima e della sua accecante femminilità.
Entrò nella stanza, illuminata da una fioca lampada posta sul comodino. Le finestre chiuse, le tende tirate, non trapelava un filo di luce, non il minimo rumore, niente di tutto quello che si trovava là fuori riusciva ad oltrepassare il confine tracciato dall’impurità dell’atto che ancora una volta stava per compiersi in quella camera.
“Quando la smetterai, Takanori? Quando ne avrai abbastanza? Non sei stanco di questo nostro gioco perverso?”
Era appoggiato alla scrivania e la guardava intensamente, sembrava che i suoi occhi volessero indagare persino la sua mente oltre che il suo corpo. Di nuovo lo assalì quella sensazione di disagio e si sentì… inadatto, inopportuno.
“Non ti capisco. Cosa stai cercando di dirmi?”
“Esattamente, cosa provi per me Takanori?”
Quella domanda era come un fulmine a ciel sereno. Cosa provava? Nemmeno lui lo sapeva. Avrebbe voluto urlare, piangere, disperarsi, avrebbe voluto gridare il suo nome e spiegare che era tutto un errore, spiegare la folle ossessione che gli attanagliava le membra ogni volta che la pensava, avrebbe voluto che qualcuno gli desse un rimedio per la sua dipendenza, che qualcuno lo disintossicasse da quella tragica abnegazione nei suoi confronti. Ma come poteva?
“Niente. Avevamo detto ‘solo sesso’ “
“Sì ma…”
“Ma cosa?”
“Ma io, sinceramente, comincio a credere che tu possa diventare un amico sincero Takanori. E gli amici non vanno a letto insieme.”
Non rispose: che diavolo significavano quelle parole? Perché mai avrebbe dovuto comportarsi in quel modo? Non aveva un senso quella situazione, non aveva un senso quella relazione, quel senso di disperazione cronica di cui soffriva in presenza di quella donna.
“Spiegati”
Iniziò a sbottonarsi la camicia, lentamente “Io posso venire a letto con te oggi, Takanori…”
Il reggiseno “… e domani…”
I pantaloni “… e dopodomani…”
La biancheria fina da cui si poteva intravedere ogni cosa “… e ogni volta che vorrai….”
Sentiva che sarebbe esploso da un momento all’altro. Era troppo da sopportare con le mani in mano.
“Ma quando ti sveglierai e io me ne sarò andata…. Takanori, cosa ti rimarrà?”

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Capitolo 4
*** Lui ***


Sempre più forte, più veloce. Forse le stava facendo male, ma non importava poi molto.
Il suo corpo si muoveva sinuoso sotto di lui che con le mani vagava tra le sue cosce lattee, spingendo sempre più a fondo. Voleva che urlasse il suo nome, che gli dimostrasse la sua stessa disperata dipendenza, forse nel vano tentativo di giustificare quella sua ossessione.
Cercava di diventare per lei la droga della quale non avrebbe potuto più fare a meno, di diventare ciò che lei era per lui, tentava di convincere se stesso che l’estasi del sesso non sarebbe durata per sempre e che forse aveva ancora qualche possibilità di guarire dalla sua malattia in apparenza irreversibile.
L’odore di lei riempiva i suoi polmoni, la sua bocca, la sua mente, l’anima, tutto. Si sentiva invaso da quegli occhi di ghiaccio che lo fissavano sporadicamente mentre esausti si concedevano delle pause per riprendere fiato, sempre più eccitato dal suo respiro affannato, sempre più pregno di lei. Sempre più in lei, fino all’apice. Era l’orgasmo migliore della sua vita, o almeno così gli sembrava.
Madido di sudore, si sdraiò sopra di lei senza uscire e si lasciò abbracciare la testa, premendola sul suo seno caldo.
“Nee, ne hai abbastanza? Okay…”
Stremato, non rispose, sperando che quella conversazione assurda non proseguisse, sperando che presto si sarebbe addormentata accanto a lui, che avrebbe lasciato ogni parola per il domani, che non avrebbe ripreso quel discorso ridicolo di prima… erano andati a letto, avevano avuto il loro sesso estremo e violento, lei aveva vinto ancora una volta, aveva soggiogato la sua volontà senza nemmeno volerlo, lo aveva tra le sue braccia come una preda inerme: cosa voleva di più?
“Allora, cosa ti è rimasto ora di me, Takanori? Cosa senti di avere più di prima?”
Proprio non demordeva… che razza di donna testarda!
Sollevò la testa per guardarla negli occhi poi poggiò le labbra sul suo naso.
“Sento che non sarai mai mia.”
“Hai visto?... e dimmi, sei felice di questo?”
“No.”
“Vedi Takanoriさん, la vita… è bastarda. Prima ti fa credere di possedere qualcosa, ti fa credere con tutte le tue forze di essere padrone di ciò che desideri più ardentemente, te lo concede come una divinità benevola e misericordiosa, ma poi ti lascia con un pugno di polvere senza che tu possa farci niente. Io sono la tua polvere Takanori, e la tua disperazione più grande, non è così?”
La fronte imperlata ancora di sudore riluceva al fioco bagliore della lampada, dovevano essere le quattro del mattino e fuori i primi passeri cominciavano a cinguettare, era il primo suono diverso dai loro ansimi eccitati che sentivano quella notte.
“… è così… mi ami?”
“No.”
“Mi odi?”
“No.”
“E allora perché non puoi essere mia?”
“Mi ami?”
“No.”
“Ecco, per questo non posso essere tua.”
“Ma avevamo detto…”
”Lo so cosa avevamo detto!” non gli aveva mai riposto in tono così scontroso. Si sollevò poco dal materasso umido prendendogli la testa fra le mani e carezzandogli una guancia “Dormi.”
 

*   *   *

 
Era una mattinata uggiosa e la pioggia scendeva fiacca bagnando i grattacieli di Tokyo, il sole spuntava timidamente tra le nuvole rincorse dal vento.
Si girò verso il lato del letto dove avrebbe dovuto esserci lei.
Vuoto.
Si lasciò prendere dallo sconforto e dal panico, abbandonandosi in un sospiro profondo: sapeva che se ne sarebbe andata così, lo aveva sempre fatto, e allo stesso modo sapeva che sarebbe tornata. Eppure quella sensazione di solitudine non lo lasciava, e anche se cercava di autoconvincersi della normalità di quella situazione che invece era così paradossale, non vi riusciva. Di solito, non c’era nulla di più dolce che pensare al suo ritorno, al momento in cui le loro labbra si sarebbero ricongiunte, al momento in cui prima con gli occhi poi con le mani avide l’avrebbe spogliata poco a poco, al momento in cui palpitante sarebbe entrato in lei e ne avrebbe goduto fino allo sfinimento, avrebbe urlato il suo nome all’apice dell’orgasmo per poi rimanere stretto a lei tutta la notte, risvegliandosi solo, proprio come in quel momento. Un diabolico circolo vizioso, diabolico e perfetto, saporito, buono. Ma qualcosa lo turbava, quella mattina qualcosa era imperfetto.
Veloce si vestì e uscì dalla camera, sperando stavolta di trovarla in un’altra stanza. Chiamò il suo nome: nulla. Sulla porta, un biglietto, che diceva più o meno così:
 
“Vado via perché non hai che me”

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Capitolo 5
*** Anata ***


Epilogo


Tu, che con i tuoi occhi mi hai ammaliato e sedotto fino alla follia più completa, che nella tua più fervida perversione hai goduto di me fino allo stremo delle forze, che più donna di tutte hai saputo usarmi e giocare con la mia inoppugnabile voglia della tua carne, che avvinghiata al mio petto nelle notti più fredde hai urlato il mio nome, che hai fatto di me una inerme pedina tra le tue unghie, che mi hai abbandonato nella mia tragica dipendenza da te, che mi hai reso debole e hai annullato di me ogni volontà o spirito di ribellione, che hai sedato il mio odio e la mia rabbia per il mondo, che hai dato un barlume di luce alla mia esistenza triste e monotona, tu, che in fondo mi volevi bene senza che io me ne accorgessi, mi hai fatto ammalare di te, e ora, cerchi di guarirmi. E io, come uno stupido, ti ringrazio, rabbrividendo al solo pensiero del mio letto freddo.

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