Pink Lipstick

di _Caline
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Coffee ***
Capitolo 2: *** Secret advices. ***
Capitolo 3: *** Kidnapping ***
Capitolo 4: *** Party ***



Capitolo 1
*** Coffee ***


Coffee


Non poteva essere.
Era in ritardo!
Dannatissimo file!  Apriti! – imprecò Felicity tra sé e sé, iniziando a digitare più velocemente i tasti del suo portatile. Pregò che il tempo iniziasse a scorrere più lentamente.
Walter Steele le aveva affidato un lavoro importantissimo e da sbrigare entro quella sera, e lei stava facendo tardi. Dannatamente tardi.
Come sempre, il signor Steele si rivolgeva a lei quando c’erano di mezzo documenti e file criptati che aveva recuperato da chissà dove. E Felicity ogni volta si trovava davanti a nuovi codici da scoprire e nuove combinazioni da provare.
Quel giorno, il pacchetto di file che le aveva consegnato il Boss in persona si stava rivelando più complicato del solito da mettere a posto, ma Fel sapeva benissimo che nessun file era impossibile da decriptare, bastava solo metterci un po’ d’impegno.
Guardò ancora l’orologio. Erano le cinque e ventuno minuti.
Doveva muoversi.
Risistemò gli occhiali sul naso e armandosi di pazienza ricominciò a digitare una serie di numeri e lettere.
All’Odeon quella sera sarebbe cominciata la Star Wars Week, con tanto di convegni e cosplay di rito, e lei non poteva assolutamente mancare. Aveva impiegato settimane di lavoro sul suo costume da Principessa Leila e non avrebbe certo rinunciato a vedere il primo episodio della saga, quella sera.
L’inizio era previsto per le sei, per cui aveva poco più di mezz’ora per finire il lavoro, volare nei bagni dell’ufficio, mettere su il costume e correre all’Odeon.
Insomma, i suoi tempi erano strettissimi.
Premette il tasto invio per la trecentesima volta in meno di mezz’ora, ma la combinazione risultava ancora una volta sbagliata.
Ricominciò da capo, stando attenta a tutti gli indici che aveva studiato e alle combinazioni precedenti che aveva provato.
All’improvviso, come se il computer avesse capito quanta fretta avesse in quel momento, il file principale, che le avrebbe permesso di accedere a tutti gli altri, si aprì.
Prima di dare il via al suo personale balletto della felicità (di solito portava le braccia avanti e le faceva roteare prima in senso orario e poi antiorario), si assicurò che l’ufficio si fosse svuotato. Poi, del tutto soddisfatta di sé, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro, dedicò quattro o cinque secondi buoni al balletto.
L’orologio segnava pochi minuti alle cinque e mezza, per cui, non appena ebbe aperto anche l’ultimo file, salvò tutto il materiale su un hard disk portatile, afferrò la sua tazza termica piena di caffè ancora caldo e si avviò verso l’ufficio del signor Steele, impettita e fiera di sé.
L’ascensore, che di solito ci metteva secoli ad arrivare, fu al suo piano dopo pochi secondi, e Felicity si tuffò dentro.
Con sommo orrore, non appena mosse il primo passo dentro l’ascensore, si scontrò con qualcuno.
Ebbe appena il tempo di alzare lo sguardo e riconoscere Oliver Queen, che in quei giorni non faceva altro che rimbalzare con la notizia del suo ritorno da un canale all’altro, prima che la sua mug[1] e tutto il caffè le si versassero addosso.
«Oddio, chiedo… chiedo scusa! Insomma, ero certa che non ci fosse più nessuno in ufficio», farfugliò, chinandosi per recuperare la sua tazza.
«Evidentemente non è così…» ribatté Oliver, fissando la strana ragazza che si era visto piombare addosso e controllando che il suo completo fosse rimasto indenne dalla cascata di caffè.
«Sa com’è », iniziò a spiegare Felicity rimettendosi in piedi, «ho appena finito un lavoro per il signor Steele e sono tremendamente di fretta, perché ho un importantissimo appuntamento a cui non posso mancare e questi file criptati si sono messi di mezzo e rischio di non incontrare il mio gemello Luke se non mi muovo a consegnare tutto e spero proprio che il caffè non sia finito anche qui dentro, perché altrimenti dovrò ricominciare parte del lavoro da capo!», disse tutto d’un fiato, fissando le iridi blu del giovane Queen con il suo sguardo da cucciolo smarrito.
Dopo di che, fece un passo indietro e tornò sul pianerottolo, seguita dal ragazzo.


Dal canto suo, Oliver si sentì sommergere da quella valanga di parole, ritrovandosi, come poche volte era successo negli ultimi tempi: completamente disarmato.
«Spero allora che l’hard disk non si sia danneggiato», riuscì a rispondere alla fine. «Io ero solo sceso a cercare la signorina Smoak, non so se la conosce…»
Felicity non poté fare a meno di sorridere forzatamente. «L’ha trovata», disse, indicando se stessa e abbassando lo sguardo.
Oliver restò ancora più sorpreso. Da come l’aveva descritta Walter, l’esperta d’informatica della Queen Industries l’aveva immaginata come una donna sulla quarantina, invece si era ritrovato davanti ad una ragazza giovanissima, che a quanto pareva amava i rossetti dai colori vivaci e la cui unica arma risultavano essere le tazze piene di caffè che rovesciava accidentalmente e per giunta addosso a se stessa.
«Allora credo proprio di aver bisogno del suo aiuto», le disse, mostrandole una custodia che inconfondibilmente conteneva un laptop, «a meno che Skywalker non necessiti della sua presenza immediata», concluse con un sorriso che sorprese persino se stesso.
«Puoi chiamarmi Felicity», rispose la ragazza. «E comunque Luke è abituato a cavarsela da solo».


Una volta arrivati alla sua scrivania, Fel gettò un’occhiata alla busta contenente il suo costume da principessa Leila, per poi tornare a studiare Oliver Queen.
Forse per quella volta, Star Wars poteva aspettare.


Note:
[1] La mug è la tazza termica da caffè. Nei telefilm se ne vedono sempre a bizzeffe :)


 

Angoletto dell'autrice

Cari lettori,
Beh, come dice l'intro in questa raccolta inserirò delle one-shot che raccontano alcuni momenti (che ovviamente sono frutto della mia testolina fantasiosa) di due dei personaggi che amo di più in questo telefilm.
Ollie e Felicity per quanto mi riguarda sono la ship dell'anno :)
Certo, la serie è ancora agli inizi, ma non posso fare a meno di adorarli.
E questo è tutto, mi sa :)
A presto,
Anna.

 

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Capitolo 2
*** Secret advices. ***


Secret advices
 


Oliver Queen era rimasto tutta la notte nella vecchia sede della Queen Industies a fare ricerche.
Erano ore e ore che cercava notizie su Jonathan Gillmore e tentava di preparare la sua prossima missione. La sua colpa era quella di essere un imprenditore edile senza scrupoli. Si era arricchito assumendo in nero lavoratori Messicani, per la maggior parte immigrati irregolari, che portava nei suoi cantieri e impiegava per i lavori più pesanti, senza fornire loro gli adeguati sistemi di sicurezza.
Oliver aveva tentato dei controlli incrociati, e negli ultimi vent’anni, più di cento uomini avevano perso la vita nei cantieri di Gillmore, ma inspiegabilmente, tutte quelle morti erano state classificate come incidenti e non era mai stata effettuata un’indagine approfondita sul caso.
Gillmore risiedeva in una delle più lussuose ville alla periferia di Starling City, all’altro capo della città e non molto lontano dalla proprietà dei Queen.
Adesso Oliver doveva solo trovare una modo per eludere la sorveglianza.
Non che non fosse capace di uccidere le guardie in modo silenzioso e rapido e arrivare in fretta nell’ufficio privato di Gillmore per punirlo come meritava, ma quella villa aveva un sistema di sorveglianza che avrebbe fatto invidia al Pentagono.
C’erano telecamere piazzate ad ogni ingresso e ad ogni corridoio. Gli ingressi erano sorvegliati ventiquattr’ore al giorno, sette giorni su sette, e lui non poteva rischiare soprattutto in quel momento di essere ripreso e alimentare ancora di più i sospetti del detective Lance.
Da quando aveva sentito dei recenti avvenimenti, Gillmore aveva raddoppiato gli uomini del suo team di sorveglianza privata e potenziato l’intero sistema di controllo del suo ufficio e della sua residenza.
Centrare le telecamere con delle frecce mentre avanzava poteva essere una buona soluzione, ma avrebbe dovuto affrontare anche diversi uomini da solo.
Aveva bisogno di una soluzione alternativa e la cosa più logica sarebbe stata infiltrarsi nel sistema delle telecamere di sicurezza, in modo tale da ridurre al minimo il rischio di far accorrere l’intera squadra della polizia di Starling City, oltre che la sicurezza privata.
Le sue conoscenze in merito, però, doveva ammetterlo, erano parecchio limitate.
Una cosa era effettuare delle ricerche e infiltrarsi facilmente nei sistemi informatici di alcuni uffici o su qualche computer privato, ma la Starling and Co. era il massimo in fatto di sicurezza e i suoi sistemi di certo non erano facilmente accessibili.
Ma doveva prendere Gillmoore. Doveva.
L’unica soluzione che gli venne in mente in quel momento era strana e non del tutto sicura, ma faceva decisamente al caso suo.

Felicity Smoak era in piedi dalle sei del mattino.
Non aveva dormito per niente bene, rigirandosi tra le lenzuola per ore, ma non c’era stato verso di addormentarsi come si deve. La giornata, inoltre, non si prospettava per nulla positiva.
Nubi grigie e cariche d’acqua si stavano accumulando sul cielo di Starling city e lei odiava la pioggia. A meno che non fosse chiusa in casa, accoccolata sul divano con la sua coperta, la sua tisana e un buon libro da leggere.
Rassegnata all’imminente diluvio, indossò il cappotto e uscì dal suo appartamento e si diresse a piedi fino al bar all’angolo della sua via, dove Cinthia preparava il caffè nero più buono del mondo.
La sua barista preferita l’accolse con un sorriso e la caffettiera in mano e Fel le porse immediatamente la sua tazza termica, pronta per il primo caffè della giornata.
«Buongiorno, Felicity,» disse una voce familiare alle sue spalle.
Fel si voltò, e con grande sorpresa trovò Oliver Queen seduto ad uno dei tavoli, con un enorme tazza di cioccolata fumante in mano.
La ragazza sorrise e si avvicinò, dopo aver recuperato la sua mug dal bancone.
«Viene spesso da queste parti? Sa com’è, non l’ho mai vista qui e penso proprio che non sia un caso incontrarla, lei è come se fosse il mio capo, non mi aspettavo di trovarla in un bar…in fondo nella sua mega villa ci saranno litri di caffè e chili di pane tostato per fare colazione,» spiegò, senza prendere fiato come al solito. « Non che lei non possa andare in giro per i bar quando vuole, s’intende.»
Oliver la fissò stranito. Non si era ancora abituato al modo di fare di quella ragazza. 
«Mi trovavo a passare di qua e mi sono fermato per fare colazione. Mi avevano detto che i pancake che fanno qui sono ottimi,» rispose Oliver, indicando il piatto vuoto.
«Anche tutto il resto, a dire la verità.»
«E poi speravo di incontrarti,» ammise. «Devo chiederti un consiglio.»
Felicity si ritrovò ad arrossire involontariamente.
Le sue guance, notò Oliver, stavano diventando dello stesso colore del rossetto rosa pesca che indossava quella mattina.
«Riguardo a cosa?» chiese la ragazza infine.
«Diciamo che riguarda il tuo campo… ma credo sia meglio parlarne da un’altra parte,» rispose Oliver, alzandosi e recuperando la sua tazza di cioccolata.
«Possiamo andare da me,» gli disse lei, dirigendosi fuori dal bar.
Il giovane Queen la seguì e camminarono fianco a fianco in silenzio.
Fel ogni tanto gli lanciava un occhiata, concentrandosi sul suo profilo.
Notò che la sciarpa che Oliver indossava si era leggermente allargata, mostrando l’inizio di una cicatrice sul collo, che scorreva fino a sotto il colletto della camicia.
Non sarà stata esattamente una vacanza, su quell’isola – pensò.
Quando finalmente entrarono nell’appartamento di Felicity, il ragazzo sembrò rilassarsi un attimo, ma Fel sapeva che non abbassava la guardia, mai.
Lo invitò ad accomodarsi sul divano, mentre lei si sedette sul tavolino basso, di fronte a lui.
«Cosa voleva chiedermi?»
Oliver finalmente le rivelò perché era andato fin sotto casa sua per cercarla. «Sai qualcosa di sistemi di sicurezza? Intendo telecamere a circuito chiuso e roba del genere…»
Felicity sorrise e si sistemò gli occhiali sul naso. «Cosa vuole sapere?»
«Tutto.»
 


Angoletto dell'autrice

Beh, che dire? Ho voluto immaginare un Ollie più umano e meno supersonico. Quel ragazzo sarà pure un supereroe, ma i sistemi informatici sono pane per i denti di Felicity :)
Insomma, un altro momento fluffoso tra di loro, nothing more.
Alla prossima,
Anna.

 

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Capitolo 3
*** Kidnapping ***


  Kidnapping

betata da nes_sie, la donna più paziente che conosca.




Era buio.
Tremendamente buio.
E c’era un odore strano.
Felicity Smoak si era appena risvegliata in un luogo che sicuramente non era il suo letto.
Si sentiva frastornata, come se si fosse risvegliata dopo una sbronza, ma era sicura di non aver bevuto nulla di alcolico nelle ultime tre settimane.
Okay, nella torta al cioccolato che aveva preso mercoledì c’era del liquore, ma quello non contava, giusto?
Era certa di essere andata a letto presto, nonostante fosse Sabato e le avessero proposto di uscire.
Aveva bevuto il the alla menta e aveva cominciato a leggere gli ultimi aggiornamenti della sua rivista di informatica preferita, ma era così stanca (dato che aveva lavorato anche nel week-end) che era crollata quasi subito.
E adesso si ritrovava in mezzo al nulla.
Che poi non era proprio il nulla, ma quel posto era decisamente al buio.
E lei aveva decisamente freddo.
Portò istintivamente le mani intorno alle braccia e tentò di assumere una posizione più comoda, ma si accorse di avere una caviglia legata.
Legata?!
Ci mise un attimo a realizzare che quello non era un sogno e che lei era stata portata via dalla sua camera.
Qualcuno l’aveva…rapita?
«Mi hanno rapita!» urlò al buio, arrabbiata. La sua voce rimbombò, apparentemente tra le pareti di una stanza.
A quanto sembrava, intorno a lei non c’era nessuno, e niente aveva accennato a muoversi. Non che lei potesse vedere molto, comunque.
Riuscì a mettersi in piedi, ma non riuscì a fare più di tre passi in avanti.
Si fermò, ma era decisa a scoprire a cosa era legata.
Scese con le mani fino alla caviglia destra, e tastò lentamente per vedere cosa la tratteneva. Era una catena.
L’afferrò e seguì il suo percorso, cercando di mantenere l’equilibrio. Dopo sette passi, si scontrò con qualcosa di estremamente solido. Fece scorrere le mani su una superficie piana. Un muro.
Intercettò qualcosa con le dita, e capì che la catena era agganciata al muro tramite un occhiello in ferro, molto spesso.
Si diede della stupida quando provò a tirare. Ovviamente non avrebbe smosso nulla, tirando.
Non tentò una seconda volta, sapeva che era inutile.
Fece scorrere di nuovo le mani sulla parete e si accasciò per terra.
L’istinto le diceva di liberarsi, ma non sapeva come.
Rifletti, Fel, rifletti! – disse a se stessa, passandosi una mano tra i capelli sciolti.
Perché l’avevano portata lì?
Chi avrebbe potuto rapirla?
E soprattutto, cosa volevano da lei?
Felicity non ebbe molto tempo per riflettere.
All’improvviso una luce si accese, tanto accecante da costringerla a portare le braccia sugli occhi.
Cercò di abituarsi lentamente alla nuova luminosità della stanza, e quando finalmente riuscì a scoprire del tutto gli occhi, trovò di fronte a se un uomo, seduto su una sedia.
Anche se non portava i suoi occhiali, ci mise meno di un secondo ad identificarlo: era Ben Hawthorne.
Magnate dell’acciaio, Hawthorne era uno dei pezzi grossi di Starling City.
Periodicamente il suo nome compariva sui giornali perché, oltre che all’industria, il suo nome era legato a molte iniziative filantropiche.
Accanto a lui, nella penombra, c’era un uomo alto in completo scuro. Aveva l’aria decisamente minacciosa.
Ma una domanda assillava Felicity in quel momento: cosa diamine voleva Hawthorne da lei?
Come per rispondere alla sua domanda, l’uomo iniziò a parlare.
«Suppongo che lei voglia sapere perché è qui».
Felicity non rispose, si limitò a fissarlo, ancora parzialmente frastornata.
«Vede, signorina Smoak, lei ha qualcosa che mi appartiene. O meglio, lei ha scoperto qualcosa che mi riguarda molto, molto da vicino.»
La ragazza continuava a non capire. Si limitò ad uno sguardo interrogativo.
«Qualcosa che riguarda me i miei affari. E vorrei sottolineare miei. Di nessun altro»
Stufa delle illusioni che Hawthorne continuava a fare, Felicity quella volta reagì. «Di cosa sta parlando?»
«Lei lavora per la Queen Consolidated, e il signor Steele si affida a lei per tutto quello che riguarda il settore informatico, dico bene?»
La domanda ovviamente era retorica. Fel restò immobile.
« Signorina Smoak, anch’io ho i miei esperti. Ieri abbiamo rintracciato un’intrusione nel nostro sistema. Il mio uomo è riuscito a risalire al suo computer.»
Era vero. Steele le aveva affidato un ulteriore lavoro, e per portare a compimento le sue ricerche era stata costretta ad invadere il sistema della Hawthorne Industries, ma Felicity si stranì di quell’affermazione. All’ansia adesso si era aggiunto il dubbio. Poteva essere stata così stupida da non coprire le sue tracce? Lei copriva sempre le sue tracce.
E poi la sua intrusione era stata rapida e indolore, aveva solo bisogno di un dato in un vecchio bilancio dell’azienda.
Come avevano fatto a rintracciarla?
Hawthorne lesse nei suoi pensieri. «Non crederà di essere l’unica esperta sul campo, vero?». Il sorriso che seguì a quell’affermazione era decisamente diabolico.
«Adesso, signorina, ho bisogno che lei mi dica esattamente cosa ha scoperto. »
Fel non sapeva cosa fare.
Confessare?
Probabilmente se non l’avesse fatto, Hawthorne l’avrebbe tenuta in ostaggio.
O peggio, torturata.
Cosa ne sarebbe stato di lei?
E di Bill Cates? Il povero gatto sarebbe rimasto senza croccantini! Sarebbe morto di fame!
Ti sembra il momento di pensare al gatto, Fel? – le disse la solita vocetta dentro la sua testa.
Forse era il caso di trovare una soluzione. E anche in fretta.
Hawthorne non sembrava per nulla paziente.
«Allora?» le chiese, ancora retorico, appoggiando i gomiti alle ginocchia.
Felicity sospirò, e si preparò ad iniziare a parlare, sperando che la bugia che aveva architettato funzionasse.
«Signor Hawthorne, io…»
La ragazza non ebbe il tempo di terminare la frase perché la luce, proveniente da un’unica lampadina al centro della camera, si spense di botto.
Felicity si guardò intorno nella speranza di scorgere qualcosa, ma non riuscì a vedere nulla.
Hawthorne e il suo uomo si erano decisamente agitati, e parlavano tra loro, nella speranza di capire cosa fosse successo.
Se avesse avuto lo sguardo laser, Fel avrebbe potuto approfittarne per liberarsi, ma ovviamente non poté far nulla, se non piegarsi ancora di più su se stessa, tentando di farsi più piccola.
Hawthorne e il suo guarda spalle tentarono di uscire dalla stanza, ma da quello che capì dal loro vociare, la porta era bloccata.
Perfetto, adesso avrebbero potuto ucciderla senza troppi sforzi.
Felicity maledisse l’inventore delle catene.
D’un tratto, mentre cercava una soluzione a quel macello, finalmente la serratura della porta scattò, e la ragazza sentì chiaramente i due uomini che si dirigevano all’esterno, ma prima che la porta potesse richiudersi, udì anche due urla di dolore.
La porta si riaprì cigolando, e Fel percepì chiaramente la presenza di qualcuno nella stanza.
Si agitò ancora di più e si appiattì contro il muro contro il muro, temendo che il bestione di Hawthorne fosse tornato per ucciderla.
La persona nella stanza con lei si avvicinò sempre di più, e molto velocemente, ma al contrario di quello che pensava Felicity, non la colpì. L’unica cosa che udì fu un sonoro clang, e immediatamente sentì la tensione intorno alla caviglia allentarsi.
La stava forse liberando?
La ragazza si sentì sollevare da due braccia forti.
Cercò di scorgere il viso di chi l’avesse presa con sé, ma portava un cappuccio che copriva la sua visuale.
Un momento. Che fosse…il Vigilante?
Era assurdo.
Il Vigilante che salvava Felicity Smoak?
Era parecchio assurdo.
Adesso che erano fuori dalla stanza in cui Felicity era stata tenuta, una luce tenue illuminava il corridoio di quello che doveva essere un grattacielo, a giudicare dalla visuale che si scorgeva oltre un’enorme vetrata in fondo.
L’uomo che la stava tenendo in braccio si voltò verso di lei, e per un attimo incrociò il suo sguardo.
Fel era sicura di aver già visto quelle iridi blu.
Un attimo dopo percepì un pizzico al braccio e precipitò immediatamente in un sonno profondo.

Felicity si risvegliò che il sole era già alto.
Bill Cates era accoccolato accanto a lei, sulla coperta al patchwork, e ronfava beatamente.
Si stropicciò gli occhi e tentò di ricordare cosa aveva sognato.
Ricordò una stanza buia e una catena. E Oliver Queen.
Aveva sognato che Oliver Queen era il Vigilante, e che l’aveva salvata da qualcuno che l’aveva rapita.
Si sorprese della sua stessa fantasia e si alzò dal letto.
Oliver Queen il Vigilante.
Che assurdità.
Eppure le era sembrato tutto così reale.
Non che avesse dubbi sull’aver sognato, ma per sicurezza ispezionò la caviglia alla ricerca di un qualche segno. Era leggermente arrossata.
Fissò lo specchio sopra la toilette. Che fosse accaduto davvero?
Decise che era meglio schiarirsi le idee e andare a preparare del the, ma voltandosi non notò il piccolo livido viola appena sotto il gomito destro. Era il piccolo segno di una puntura.


Angoletto dell' autrice:
Questa OS, è necessario pecisare, è stata scritta appena dopo la messa in onda della 1x05, quindi ancora la chimica tra Oliver e Fel non era al punto a cui è arrivata adesso, né tantomeno Fel era stata vicina a scoprire la verità sulla vita segreta di Ollie.
Insomma, ho solo immaginato un altro momento in cui le loro vite si sono intrecciate, ma ci tenevo a descrivere Ollie nei panni di Green Arrow per una volta.
La mia incapacità totale nel raccontare le scene che mi vengono in mente è palpabile, ma ci tenevo comunque ad inserire qualcos'altro in questa raccolta.
Alla prossima,
Anna.




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Capitolo 4
*** Party ***


Party

betato da Nessie, eccezionale cacciatrice di virgole superflue e Beta d'oro :)

 

Sapeva benissimo che non sarebbe dovuto andare a quel party aziendale.
Oliver Queen, da quando era tornato dall’isola, non era più come prima. Men che meno il festaiolo che era a ventidue anni, quando aveva lasciato Starling City a bordo del Queen’s Gambit.
Vedere la gente che si divertiva e fingere di divertirsi con tutti ormai era diventato il ruolo che sapeva interpretare meglio. Aveva bisogno di quella facciata.
Quello che prima era il suo mondo, e che fino a cinque anni prima sembrava calzargli a pennello adesso gli sembrava terribilmente lontano e vuoto.
Per l’ennesima volta si chiese quanto l’isola avesse potuto cambiarlo,  e per l’ennesima volta si diede la stessa risposta.
Troppo.
Per quella sera non era riuscito a pianificare nulla, le sue ricerche su Calvin Mason erano ancora a metà e Diggle stava finendo di raccogliere le informazioni necessarie sul sistema di sicurezza nel suo appartamento in centro.
Si era lasciato convincere dalle chiacchiere di sua madre e dalle preghiere di sua sorella, ma quello, più che un party aziendale, sembrava più uno degli eventi mondani che Moira  amava organizzare.
Oltre al personale della Queen Consolidated, erano presenti alcune eminenti personalità di Starling City, nonché diverse conoscenze della famiglia Queen.
E Thea, che aveva tanto insistito perché andasse con lei perché altrimenti si sarebbe ritrovata da sola, era già equipaggiata con calice di champagne e circondata da coetanee.
Oliver si ritrovò a vagare per l’enorme sala ricevimenti dove era stato organizzato il party, stringendo mani a sconosciuti o quasi, che gli davano il bentornato, e pronunciando frasi di rito. Finché non incontrò Laurel.
Non era la prima volta che la rivedeva da quando era tornato, ma i rapporti tra di loro erano tutt’altro che cordiali.
«Anche tu qui?» gli chiese, fermandosi di fianco a lui.
«Questa è anche la mia azienda, dopotutto,» si limitò a rispondere, asciutto.
«Certo. Sei tornato dopo cinque anni e questa adesso è la tua azienda, dopotutto,» rispose lei, acida.
«Mio padre non ce l’ha fatta, e questo è ciò che succede. Si chiama eredità.»
«Sono un avvocato, non c’è bisogno che lo spieghi a me. E poi tuo padre non è stato l’unico a non farcela.»
«Laurel, devi sapere che per quanto riguarda Sarah…»
La ragazza gli afferrò il braccio. «Non permetterti nemmeno a pronunciare il suo nome.» scandì a denti stretti. «E poi ti sembra il momento?»
«Laurel, io…»
«No, Oliver. Questa conversazione è finita,» concluse. Si allontanò velocemente verso l’ingresso della sala.
Il primo istinto fu quello di correrle dietro, come era abituato a fare ogni volta che litigavano. Prima dell’isola.
In quel momento, invece, capì che non era la cosa giusta da fare. Forse Laurel era una di quelle cose che doveva lasciare indietro.
Una di quelle persone che appartenevano al suo prima, ma che non potevano far parte del suo adesso.
Era certo che prima o poi si sarebbe ripresentato il momento in cui avrebbe dovuto scusarsi con Laurel e con suo padre, ma non poteva farlo finché entrambi si rifiutavano di sentirgli anche solo pronunciare il nome di Sarah.
Quella era una ferita ancora aperta, nonostante tutto il tempo che era passato.
E non perché amasse Sarah, ma perché il fardello della sua morte era così pesante da portare che pensandoci a volte si sentiva soffocare.
Aveva bisogno d’aria.
Corse velocemente verso la terrazza della sala ricevimenti e si abbandonò alla sensazione piacevole del vento fresco d’inizio autunno sulla pelle.
Andava decisamente meglio.
Si affacciò al balcone e cominciò ad osservare la città  con le sue mille luci che si snodava sotto di lui, e si perse nei suoi pensieri.
«Anche lei da queste parti, signor Queen?» gli chiese una voce femminile, che riconobbe immediatamente, alle sue spalle.
«Buonasera, Felicity,» rispose lui, voltandosi. Si ritrovò davanti la figura minuta ed armoniosa di Felicity Smoak, fasciata da un tubino color borgogna.
 «Mi scusi, le ho fatto una domanda stupida. È ovvio che lei sia qui. È solo che non sapevo come attirare la sua attenzione,» ammise, stringendosi nelle spalle.
Ancora una volta, Oliver si trovò disarmato di fronte alla genuinità delle parole della ragazza.
«Non ti fare problemi. Ti stai divertendo?»
«Non troppo. Diciamo che questo non è esattamente il mio ambiente,» rispose, mordicchiando la cannuccia del suo drink.
«Non credo sia l’ambiente di qualcuno. Se non di mia madre, forse.»
«Già, Moira sembra sempre a suo agio in queste occasioni. Cioè, la signora Queen,» disse Felicity, appoggiandosi alla ringhiera della terrazza. « Steele!, la signora Steele! O adesso si chiama Queen-Steele? Io non ho mai chiesto…»
«Non lo so nemmeno io, sai? Per me è ancora difficile realizzare che lei abbia sposato Walter.»
«È difficile metabolizzare i cambiamenti quando si sta via per un po’, vero?» chiese la ragazza, fissando il panorama di fronte a lei.
«Non sai quanto.» ammise Oliver. Si rese conto che Felicity era la prima persona che forse aveva idea di cosa avesse provato lui da quando era tornato. «Ci sei passata anche tu?»
«Non sono stata via per cinque anni, ma posso comunque provare a capire,» rispose lei, voltandosi a guardarlo.
Il giovane Queen si rese conto che Felicity aveva la pelle d’oca. Anche se non sapeva se per il vento fresco o per il tuffo nei suoi ricordi che aveva fatto, le chiese comunque se aveva freddo.
«Posso resistere,» rispose lei con un sorriso.
«Ci saranno i giochi pirotecnici tra un po’. Non vorrai congelarti,» ribatté Oliver. Si sfilò la giacca e poggiandogliela sulle spalle.
«Grazie, signor Queen.»
«Puoi chiamarmi Oliver,» rispose lui, giusto mentre il cielo si colorava della luce del primo fuoco.



Angoletto dell'autrice

Questa piccola OS doveva essere, o meglio è quella che chiude il mio grande periodo d'ispirazione Feliver, arrivato e terminato in pochi giorni alla fine dello scorso Novembre.
Al momento su di loro non ho scritto altro, tuttavia questa raccolta rimarrà aperta, nel caso in cui dovesse balenarmi in mente qualcos'altro su di loro.
I miei ringraziamenti vanno doverosamente a Marty (IoNarrante), Vennie (nes_sie) e Rosie (SYLPHIDE88), miei pilastri fangherlosi :3 Ho scritto queste storie principalmente per loro. E poi forse per dimostrare a me stessa che non avevo definitivamente appeso la tastiera al chiodo.
A presto, 
Anna.

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