I'm Not Who You Think

di Avah
(/viewuser.php?uid=264094)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Coraggio e Sangue Freddo ***
Capitolo 2: *** Completa Fiducia ***
Capitolo 3: *** Concorrenza ***
Capitolo 4: *** Pericoli ***
Capitolo 5: *** Prove e Sospetti ***
Capitolo 6: *** Non Sono un Oggetto ***
Capitolo 7: *** Parole Pericolose ***
Capitolo 8: *** Sola Contro Tutti ***
Capitolo 9: *** Disattenzioni Rischiose ***
Capitolo 10: *** Crisi di Nervi ***
Capitolo 11: *** Solitudine ***
Capitolo 12: *** In Trappola ***
Capitolo 13: *** Tantazioni e Resistenze ***
Capitolo 14: *** Identità Svelata ***
Capitolo 15: *** Emozioni Bugiarde ***
Capitolo 16: *** A Viso Aperto ***
Capitolo 17: *** Sesso, Droga e Proiettili ***
Capitolo 18: *** Doppia Identità ***
Capitolo 19: *** La Morale della Favola ***
Capitolo 20: *** Odi et Amo ***



Capitolo 1
*** Coraggio e Sangue Freddo ***




Capitolo I - Coraggio e Sangue Freddo

E' incredibile quali ricordi ti possono tornare in mente mentre lotti per continuare a vivere, con il rischio di non riuscire ad andare avanti. Ti ritornano in mente i momenti belli di quando eri bambino, quando giocavi in giardino con i tuoi fratelli e facevi a botte con loro perché ti venivano a disturbare quando te ne stavi in pace.
Così è successo a me, mentre cercavo di sopravvivere ancora, andando avanti attraverso tutto quel casino in cui ero immersa fino a qualche ora prima. Fino a quando uno sporco criminale mi credeva ancora dalla sua parte.
                                    
11 giorni prima...
-Non puoi farlo, mettitelo bene in testa!-.
-Chris dannazione devo essere io! Non c'è nessun altro che conosca quel bastardo meglio di me!-.
-Non ti permetterò di fare come vuoi, è troppo rischioso-.
-Sarai anche il mio capo, ma ti giuro che se non mi lasci procedere me ne andrò di qui-.
-Se non ti faccio entrare in questa missione è perché ci tengo a te. Sei una tra i migliori agenti, non posso permettermi di perderti-.
-Proprio perché sono tra i migliori della centrale devo essere io! Se fai infiltrare qualcun altro tutto il mio lavoro sarà andato a puttane!-.
Già, tutte quelle indagini che avevo portato avanti contro tutto e contro tutti, rischiando più di una volta di farmi sbattere fuori per la mia testardaggine che mi aveva sempre caratterizzato.
"Quando ti ho assunto mi avevano detto che probabilmente avrei avuto dei guai con te, ma ero sicuro di quello che facevo e finora non me ne sono mai pentito". Così mi aveva detto Chris, quando avevo davvero minacciato di mollare tutto e andarmene, non so nemmeno io per dove. Quella volta era riuscito a convincermi a non lasciar impolverare il distintivo in un cassetto, ma ero certa che ormai il mio tempo era scaduto e non dovevo più stare lì.
-Ascoltami, andrà tutto bene anche senza di te-.
-No, non può essere così. Tu e Tiggers mi avete sempre dato contro, cercando di farmi lasciar perdere tutto. Adesso che sono a un passo dal successo non lascerò che qualcun altro si prenda il merito-.
-Ti capisco, ma...-.
-Nessun ma. Lasciami la missione, o io lascio te-.
Lui sospirò, davanti alla mia testardaggine. Non era per me che lo facevo, ma avevo fatto una promessa ed ero intenzionata a mantenerla, a qualsiasi costo. Anche a costo della mia stessa vita.
-Sei davvero...-.
-Sì- dissi, senza lasciargli finire la frase -Non togliermi questa occasione-.
-Non vedo altra scelta- mormorò, sconfortato -Ti preparo una falsa identità-.
 
La mia falsa identità, quella con cui avrei dovuto mentire a un criminale incallito pieno di armi fino al collo. Dovevo riuscire a entrare nelle sue grazie senza farmi notare, facendomi passare per un'assassina ostinata, in continua ricerca di una vendetta eterna; l'unica vendetta che volevo, però, era la sua stessa morte. Quel dannato bastardo aveva passato il segno, ammazzando la persona sbagliata nel momento sbagliato. Aveva fatto uccidere a sangue freddo quel bravo ragazzo che si era dato una ripulita, uscendo da quel tunnel in cui era entrato a 20 anni, dopo che aveva incontrato quella ragazza che lo aveva riportato alla luce del sole, tenendolo per mano; e per essere certo di colpirlo, aveva scelto il giorno che doveva essere il più felice della sua vita, ma che si era trasformato nella sua condanna a morte: il giorno delle sue nozze.
Era quello che pensavo sull'aereo, mentre tornavo nella mia città natale, in quel luogo che volevo dimenticare. Avevo fatto di tutto per non andarmene, e ora che ci stavo tornando non volevo. Mi ero abituata alla mia nuova vita, a una città nuova, non avevo voglia di tornare indietro e ricordare quei fottutissimi momenti che mi accompagnavano. Eppure dovevo farlo e fermare quel bastardo, ammazzarlo con le mie mani se necessario, e poi lasciare tutto, andarmene di nuovo in cerca di una vita migliore.
Quando posai di nuovo i piedi per terra, uno strano senso di appartenenza mi pervase, facendomi sentire piccola e vulnerabile. Solo qualche anno prima avevo pianto lì, in quello stesso luogo, mentre mi voltavo indietro per cercare di mantenere vivi i ricordi; in quel momento invece sentivo solo un vuoto, un enorme buco scavato dentro di me che quella città si era creato, per essere sicura di non essere dimenticata. No, non avrei mai potuto dimenticare, non con tutto quello che era successo.
Sentii le lacrime salirmi agli occhi e un groppo formarmisi in gola, ma ricacciai tutto indietro: adesso non potevo farmi prendere dai sentimentalismi, dovevo fare la parte della dura e mantenere il sangue freddo, più che in qualsiasi altra situazione in cui mi ero trovata. Dovevo riuscire a conquistarmi la sua fiducia, catturare il suo completo interesse, e allora sarei riuscita facilmente a lavorarmelo come mi serviva, pronto a essere servito su un piatto d’argento da consegnare ai gran capi.
Non mi ci volle molto ad arrivare da lui; conoscevo ogni angolo di quella città, ogni vicolo, non mi sarei mai persa in quel labirinto di strade. Arrivata davanti alla porta del suo grande appartamento mi feci coraggio e bussai; un momento dopo la porta si aprì e mi ritrovai una pistola puntata alla fronte.
-Ehi calmo- dissi, alzando le mani per mostrargli che ero disarmata.
-Chi sei?- fece l’uomo, senza smettere di puntarmi addosso l’arma.
-Voglio solo parlare con il tuo capo- dissi con tono molto diplomatico -Penso che gli farebbe piacere avere una mia visita-.
-Tony, falla passare- fece una voce dall’interno che capii subito appartenere a quello che stavo cercando.
Il tizio sulla porta mi tolse la pistola davanti e mi fece passare, non senza mandarmi un’occhiataccia piuttosto sospettosa.
Quando misi piede dentro all’appartamento mi ritrovai in una grande stanza circolare, dominata da un’imponente divano su cui stava sprofondato tra i cuscini un uomo di mezza età, con una folta barba nera e gli occhi scuri, che fumava un sigaro, sicuramente cubano.
-Guarda guarda cosa mi ha portato la mia tranquilla giornata- disse, emettendo uno sbuffo di fumo e con uno sguardo che mi stava già spogliando.
-Finalmente ho il piacere di incontrare il famoso Montano- feci io, avvicinandomi.
-E io, con chi ho l’onore di parlare?-.
-Ashley Harrison- mi presentai, facendo ricorso mentalmente alla mia identità da assassina professionista.
-Ashley Harrison- ripeté lui, lisciandosi la barba -Non ti ho mai sentita nominare. Che cosa vuoi da me?-.
-Sono venuta per farle una proposta che potrebbe interessarle- dissi, sedendomi davanti a lui a un suo cenno.
-Cosa ti fa pensare che potrei essere interessato a te?-.
-Beh, so che lei è uno degli uomini con il maggior controllo sul mercato della droga e che si ritrova parecchi nemici. Io sono qui per far piazza pulita, diciamo-.
-Un sicario?-.
-Esattamente- annuii.
-E come mai hai deciso di venire qui, per rendermi i tuoi “servigi”?-.
-Ho voglia di cambiare. Sono stanca di quei facili assassinii su commissione, poco divertimento. Ho voglia di qualcosa di più grosso, di più elettrizzante. In più, credo che questo mio lavoro porterebbe grandi vantaggi sia a me che a lei: più divertimento per me e meno concorrenza per lei-.
Lui non rispose subito; continuò per un momento a lisciarsi la barba, guardandomi negli occhi; sostenni il suo sguardo, pensando che probabilmente tra breve sarei salita in quell’avventura a dir poco rischiosa.
-In effetti mi servirebbe qualcuno che metta fuori gioco la concorrenza- disse poi.
Rimasi con il fiato sospeso; non era ancora un conferma, ma era già un bel passo avanti.
-Inoltre, in questo periodo sta diventando tutto più difficile. Ormai devo sbarazzarmi anche dei miei dipendenti, per paura che gli sbirri li prendano e vuotino il sacco-.
-Allora ingaggiami- dissi, con tono più che convincente -Posso toglierti dai piedi tutti quegli idioti-.
-Credi di avere abbastanza sangue freddo?-.
Feci una risatina -Sono nata con il sangue negli occhi. Adoro vedere la vita spegnersi negli occhi della gente-.
Lui sorrise -Bene. Sei dei nostri-.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Completa Fiducia ***


Capitolo II  - Completa Fiducia

Con quelle poche parole riuscii a entrare nella sua banda. Molti dei suoi mi guardavano sospettosi, ma lui già si fidava ciecamente di me; prima di mettermi al lavoro, però, volle constatare le mie esperienze in fatto di spari, autodifesa e test per la droga; fortunatamente mi ero preparata precedentemente in tutti e tre i campi.
Per la prova di tiro mi portò in un piccolo campo fuori città di sua proprietà, dove aveva allestito una specie di poligono; quando impugnai la pistola, mi sentii protetta e iniziai a sparare un colpo dietro l’altro, senza aver fretta; alla fine, il bersaglio che avevo preso di mira era diventato un pezzo di cartone con un grosso buco al centro. Montano era soddisfatto, perciò mi condusse alla seconda prova, quella dell’autodifesa: grazie a Dio ogni settimana andavo in palestra almeno tre volte, e scaricavo tutta la mia rabbia e il mio stress su un sacco da boxe; mettere al tappeto un tizio più grosso di me non fu affatto difficile. E per quanto riguardava la prova dei test per riconoscere la droga… Beh, quello era il mio pane quotidiano.
-Sei brava, Ashley- disse Montano, dandomi una pacca sulla spalla -Ritieniti parte della squadra a tutti gli effetti-.
Sorrisi, sollevata; ero finalmente riuscita nel mio intento. La parte difficile era finita, ora sarebbe stata una lunga camminata in discesa, alla fine della quale per lui ci sarebbero state le manette e una nuova vita per me.
 
Passai i primi due giorni in sua compagnia, in cui mi mostrò ogni sua singola opera che con il suo mercato era riuscito a costruirsi; mi disse che la produzione era costante, ma che doveva assolutamente ridurre il numero di scagnozzi al suo seguito, dal momento che la polizia li stava braccando da un po’ di tempo e la paura di finire dentro diventava giorno dopo giorno più forte.
-Se vuoi posso darti una bella ripulita- dissi -Mi manca l’odore del sangue-.
-Non avere fretta, cara. Ne avrai da fare, tranquilla- mi disse lui, facendomi l’occhiolino.
-Quando pensi di darmi qualche lavoretto? Non voglio stare troppo tempo inattiva-.
-Te l’ho detto, non devi avere fretta- ripeté lui -Inoltre, voglio essere sicuro che non ti farai prendere quando ci sarà del lavoro per te-.
-Gli sbirri non mi prenderanno mai- feci io, con un’impavida sicurezza.
-Ne sei davvero sicura?- mi guardò di sottecchi.
Feci una risatina a denti stretti -In cinque anni da sicario, ne ho fatte fuori di persone, e la polizia non mi ha mai trovato. Mi intendo abbastanza di tecniche investigative-.
-Allora sei una donna dalle mille risorse- fece lui, ricambiando il mio sorrisino.
-Con me al tuo fianco potrai stare al sicuro-.
Mi venne da prendermi a schiaffi, solo a pensare a tutte quelle stronzate che stavo dicendo: odiavo l’odore del sangue e della morte che più di una volta avevo dovuto sopportare da vicino; odiavo dover sparare alla gente, anche se si trattava di un bastardo qualunque; odiavo dargli tanta fiducia, quando alla fine l’unica che mi interessava di lui era il suo funerale.
Mi riscossi dai miei pensieri quando sentii un telefono suonare; fortunatamente non era il mio, altrimenti non avrei saputo cosa dire in sua presenza.
Lui rispose e, dopo una breve conversazione, riagganciò e mi guardò con gli occhi che gli brillavano.
-Tieniti pronta- disse lui, alzandosi in piedi e tendendomi una mano per fare lo stesso -Da  oggi inizi a lavorare-.
-Finalmente- feci io, alzandomi a mia volta -Chi è lo sfortunato?-.
-Uno dei nostri, un povero idiota che avevo preso per compassione. Adesso però sta facendo il pazzo dicendo che andrà alla polizia perché non se la sente più-.
-Sarà un lavoretto facile-.
Scendemmo in strada e in meno di dieci minuti arrivammo fuori città, in un vecchio capanno abbandonato. All’interno era tutto buio, tranne per una forte luce in un angolo, dove vidi un ragazzo di forse 20 anni legato a una sedia con diverse ferite e abrasioni su tutto il corpo; era uno spettacolo terrificante, ma dovetti farmi forza e andare avanti.
-Quindi sei tu, che vuoi lasciare tutto?- disse Montano avvicinandosi al ragazzo, mentre io rimasi un po’ più indietro.
-Lasciatemi andare!- urlò lui.
-Non posso farlo, Tommy. Non posso permetterti di andare alla polizia. Quando sei venuto da noi sapevi cosa rischiavi-.
-Mi dovete lasciare and… aaaaaargh!- non terminò la frase perché un altro gli schiacciò la sigaretta accesa sul palmo della mano.
-Mi dispiace di doverlo fare- fece Montano, tirandosi su -Ashley, sta a te- disse, facendomi un cenno.
Avanzai di qualche passo titubante, ancora sconcertata da quello che avevo visto.
-Prendi questa e dimostrami quanto vali- mi porse una pistola, già carica.
-Non ce n’è bisogno. Preferisco usare la mia- dissi, estraendo la pistola che mi ero portata e caricandola -Non ti dispiace, vero?-.
Lui sorrise -E’ il tuo lavoro. Puoi fare quello che vuoi-.
Impugnai la pistola e mirai, al centro dell’addome del ragazzo. Pregando che andasse tutto per il meglio, premetti il grilletto.
Mi si ghiacciò il sangue nelle vene a sentire quel povero innocente che urlava; abbassai lentamente la pistola e guardai le conseguenze di quello che avevo fatto. Tommy (così mi sembrava l’avesse chiamato Montano) lanciò un ultimo urlo, poi la testa gli cadde sul petto, mentre un liquido rosso gli macchiava gli abiti; grazie a Dio era andato tutto liscio.
“Con questa andrà tutto bene. È stata progettata appositamente per queste situazioni: sembra una pistola normale, ma spara dei piccoli proiettili composti di due parti: in una c’è una sostanza che provoca una morte apparente, nell’altra c’è del sangue animale”.
-E’ morto- disse quello che lo aveva torturato, sentendogli il battito.
“La morte apparente compare dopo alcuni secondi dallo sparo, il tempo che la sostanza si diffonda in corpo, e dura per qualche ora; il sangue animale renderà tutto più verosimile e ti terrà al sicuro. Ti raccomando solo di non mirare mai alla testa, scoprirebbero subito il trucco e tu saresti nei guai”.
Cercai di ritornare nel mio personaggio, facendo un sorrisino di soddisfazione e rimettendo a posto la pistola, dopodiché mi voltai verso di lui, mettendomi le mani sui fianchi.
-Che te ne pare?- dissi.
Lui batté le mani in un breve applauso -Brava. Molto brava- fece lui, avvicinandosi -Se proprio quello che mi serviva-.
-Contenta di poter soddisfare la tua richiesta-.
-Ora ti credo. Hai la mia piena fiducia-.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Concorrenza ***


Capitolo III - Concorrenza


Dopo pochi minuti uscimmo di lì per tornare in città; io mi tenni un po’ più indietro degli altri, intenta ad armeggiare con il telefono.
“Se dovessi usare la pistola, devi comunicarmelo nel più breve tempo possibile, in modo che potremo andare a prendere quello che ci hai lasciato”.
Stavo finendo di scrivere un messaggio a Chris quando una berlina nera si fermò davanti a quella di Montano, impedendoci di andarcene; ne uscì una donna alta, con i  lunghi capelli rossicci perfettamente lisci che le ricadevano sulle spalle; il viso era contorto in una smorfia di disprezzo e rabbia.
-Taylor!- disse Montano, avvicinandosi alla donna per abbracciarla.
Lei invece non gli rispose e si dileguò dal suo tentato abbraccio; anzi, la sua mano si alzò e lo colpì direttamente su una guancia. Ci fu un momento di congelamento, come se tutti fossero in attesa di qualcosa; Montano  si massaggiò per un momento lì dove era stato colpito, poi si mise a ridere.
-Non ci trovo niente di così divertente, Greg- fece lei, senza mutare nemmeno un tratto del viso.
-E’ per questo che mi piaci, Taylor. Ti ribelli perfino a un uomo-.
-Ma che cazzo stai dicendo Greg?-.
Lui non rispose e continuò a ridere, senza degnarla di una risposta.
-Greg mi stai facendo incazzare - disse lei, pronta a tirargli un altro ceffone.
-Calmati tesoro- disse lui, prendendola per un braccio e tirandola verso di sé -Perché sei venuta qui?-.
Lei si divincolò dalla sua presa e tornò al suo posto; nel farlo i nostri sguardi si incrociarono in un lungo secondo. Temetti che venisse da me e iniziasse a interrogarmi, ma decise di rimanere con Montano e fare finta di niente, anche se dubitavo che la questione si fosse risolta così, senza una parola di chiarimento.
-Perché non mi hai chiamato e non mi hai detto che avevi un lavoro da fare? Mi sono preoccupata quando non ti ho trovato da nessuna parte-.
-Andiamo tesoro, non dovrò dirti tutto quello che faccio!-.
Lei ridusse gli occhi a due fessure e lo fissò con uno sguardo di ghiaccio -Te la sei fatta con quella?- ringhiò, indicandomi con un cenno del capo.
A sentire quelle parole tutti si voltarono verso di me a fissarmi, ricordandosi improvvisamente della mia presenza; avrei voluto farmi piccola o sparire, inghiottita dalla terra, ma mi feci forza e rimasi lì a testa alta, senza dire niente.
Montano scoppiò di nuovo a ridere, ancora più fragorosamente di prima.
-Andiamo Taylor, come puoi solo pensare una cosa simile?- fece poi, quando riuscì a parlare -Lei è solo un aiuto che mi sono permesso-.
-E ti fidi di lei?- fece la donna, squadrandomi da capo a piedi.
-Mi ha appena dimostrato quanto vale. Ha sangue freddo e non mi costa niente. Perché non dovrei tenerla con noi?-.
-Non mi convince-.
Continuai a sostenere il suo sguardo di ghiaccio che mi stava trapassando come i raggi x. Da quel momento in avanti avrei dovuto essere molto più cautela che prima; è risaputo che le donne sono sospettose di natura nei confronti di altre donne, e lei non era certo da meno.
-Non ti devi preoccupare, non ci creerà alcun fastidio. Anzi, ci aiuterà a far piazza pulita- fece lui, poi mi chiamò
-Ashley, vieni qui-.
Cercando di mantenere il controllo e uno sguardo che non trasmettesse la mia angoscia mi feci avanti, un passo dopo l’altro, respirando profondamente e continuando a dirmi che sarebbe andato tutto bene, che nessuno mi avrebbe mai scoperto, per quanto tutta la situazione fosse così pericolosa.
Quando mi ritrovai di fianco a lui, potei notare quello sguardo freddo e tagliente di quella donna: nei suoi occhi da felino, allungati verso l’esterno e con le pupille nerissime e scintillanti, c’era un non so che di misterioso e affascinante allo stesso tempo, come se dietro quelle iridi ghiacciate si nascondessero dei segreti imperscrutabili.
-Taylor, lei è Ashley, il nostro nuovo acquisto- disse Montano, presentandomi -Sarà parte integrante della squadra-.
Rimase a fissarmi per un lunghissimo secondo, come a volermi scannerizzare per vedere se nascondevo qualcosa; riuscii a resistere al suo sguardo senza battere ciglio, ricordandomi che lo sbattere di palpebre davanti a un nemico era un chiaro segno di debolezza. Taylor rinunciò per il momento a indagare su di me, ma ero sicura che non appena ne avesse avuto la possibilità sarebbe tornata all’attacco.
-Che ce ne dovremmo fare di lei?- disse lei, tornando a fissare Montano negli occhi -Non sei capace di badare ai tuoi affari da solo?-.
-Ascolta bene Taylor: qui sono io che prendo le decisioni, e se non ti sta bene puoi anche andartene- replicò lui con tono duro -E se lo fai sai a cosa vai incontro-.
Lei digrignò i denti, capendo perfettamente a cosa stesse facendo riferimento Montano; mi lanciò una lunga occhiata tagliente, poi si voltò e se ne andò, all’improvviso così come era arrivata.
Rimanemmo tutti a guardare la sua auto che scompariva in lontananza, come al comando invisibile di qualcuno che stesse manovrando fili trasparenti che ci tenevano legati, come delle marionette.
-Beh, cosa state guardando?- la voce di Montano mi fece riscuotere da quella specie di trance in cui ero caduta, completamente stordita e confusa da quella donna che mi stava sfidando con i suoi sospetti -Andiamocene di qui-.
Salimmo tutti quanti in macchina e ce ne andammo; facemmo appena in tempo a scappare da quel posto quando vidi un’auto a me familiare andare proprio dove nel luogo da cui stavamo fuggendo. Un sorrisino amaro e di sollievo si affacciò sul mio volto, che però riuscii a mascherare perfettamente davanti agli altri.
Per quella volta era filato tutto liscio e non avevo corso grossi rischi, ma ero certa che prima o poi mi sarei cacciata in qualche guaio ben più pericoloso. E l’occasione giusta arrivò molto prima di quanto potessi mai aspettarmi.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Pericoli ***


Capitolo IV - Pericoli


Quando mi svegliai l’indomani mattina, capii subito che c’era molta più tensione nell’aria e perciò dovevo stare molto più attenta a cosa dicevo e come mi comportavo. Mi vestii in fretta e furia e uscii dalla stanza che Montano mi aveva riservato nel suo appartamento; quando entrai nel salotto lo vidi seduto sul divano, con un sigaro acceso e lo sguardo teso puntato fuori dalla finestra.
Mi avvicinai silenziosamente, cercando di non fare il più piccolo rumore; sarebbe stata l’occasione perfetta per farlo fuori e scappare, ma sarebbe finito tutto troppo in fretta, e io avevo ancora del lavoro da fare. Dovevo assolutamente scoprire cosa stava succedendo, e forse sarei riuscita ad andarmene il prima possibile.
Un’idea si fece lentamente largo nella mia testa, anche se era piuttosto sgradevole e avrei preferito non farlo mai; con le mani che mi prudevano per la voglia di tagliarmele, arrivai dietro di lui e gli appoggiai le mani sulle spalle, premendo leggermente. Lui sobbalzò, forse sorpreso dalla mia presenza, e mi guardò sorridendo.
-Buongiorno Ashley- disse, tornando a guardare fuori e investendomi con una nuvola di fumo.
Non risposi e rimasi lì, con le mani che toccavano il corpo di quel figlio di puttana.
-C’è qualcosa che non va, lo sento- dissi a bassa voce.
Lui non rispose subito; emise uno sbuffo di fumo e sospirò.
-Se c’è qualcosa che ti preoccupa puoi dirmelo, di me puoi fidarti ciecamente-.
Quant’ero falsa e bugiarda. Non mi sorprende sapere quanto la gente può essere così meschina e dalla doppia faccia, dal momento che io stessa ero la prima a esserlo.
-Hai ragione, sono preoccupato- fece lui infine, senza distogliere lo sguardo.
-E posso fare qualcosa per aiutarti?- chiesi di rimando, staccandomi e sedendomi di fronte a lui.
Magari piazzandoti una pallottola in mezzo agli occhi e buttando il tuo corpo nel fiume?
-Credi di poter essere all’altezza della situazione?- disse, guardandomi fisso negli occhi.
-Ne sono certa, basta che tu mi spieghi cosa devo fare-.
Lui sospirò, lasciandosi ricadere contro lo schienale -Vedi, stamattina ho dovuto far fuori un altro dei nostri. Il problema è che aveva delle prove importanti che potrebbero mettere in crisi il nostro mercato-.
-E…?- lo incoraggiai a parlare.
-Ce ne saremmo sbarazzati in poco tempo, se non fosse stato che per poco non venivamo beccati dalla polizia. Quello che mi preoccupa è che possano trovare qualcosa contro di noi-.
Senza volerlo, mi scappò un ghigno di soddisfazione; finalmente un punto per me.
-Che c’è di così divertente?- chiese lui, con voce dura.
-Scusa. Il fatto è che sarà un giochetto da ragazzi, non mi preoccupa-.
-Pensi di riuscire a sbarazzarti di tutto senza farti beccare dagli sbirri?-.
-Consideralo già fatto-.
Stavo per alzarmi e uscire, quando la porta d’ingresso si aprì e fece la sua apparizione Taylor, che mi fulminò subito con il suo sguardo di ghiaccio; riuscii a sostenerla senza sbattere ciglio, mentre lei dovette distogliere gli occhi di dosso, segno che si era arresa alla sfida.
-Greg che sta succedendo?- esordì lei, mettendosi a sedere di fianco a Montano -Ho intercettato una chiamata della polizia in cui dicevano che hanno trovato il corpo di James in un vicolo-.
-E’ vero, ho dovuto toglierlo di mezzo- rispose lui, tornando a guardare fuori dalla finestra.
-Cosa?- quasi gridò, come se fosse impazzita in quel momento -Hai ammazzato James?-.
-Ha minacciato di farci finire tutti quanti dietro le sbarre, non potevo permetterglielo-.
-James non era il tipo per certe cose!-.
-Davvero?- si voltò di nuovo verso di lei -E come mai allora era pieno di prove?-.
-Non è possibile, dannazione! Conoscevo bene James, e so per certo che non avrebbe mai tradito quella che era la sua famiglia!-.
-Smettila Taylor. Si è messo contro di noi e non posso permettermi certi rischi- chiuse il discorso Montano -Ashley, sai cosa devi fare- fece poi, chiamandomi in causa.
-Cosa dovrebbe fare?- s’intromise Taylor, prima ancora che potessi aprire bocca.
-Non sono cose che ti riguardano Taylor-.
-Greg sono all’interno dell’organizzazione da anni, non puoi tenermi all’oscuro di tutto!-.
-Falla finita Taylor. Ashley, vai pure-.
Mentre mi alzavo, Taylor mi mandò un’occhiataccia, segno che non si sarebbe arresa tanto presto; feci finta di niente e uscii da quel posto che puzzava di fumo e crimine.
In pochissimo arrivai dove Montano mi aveva detto, e ci trovai una gran folla di curiosi stipati contro il nastro giallo della polizia che indicava la presenza di una scena del crimine. Avanzai lentamente, strisciando in mezzo alla gente, fino ad arrivare in un punto abbastanza vicino al cadavere che giaceva a terra supino, ma allo stesso tempo abbastanza lontano dal terzetto di poliziotti che stavano parlando tra loro.
Sgusciai sotto il nastro e con due passi mi ritrovai proprio vicino al morto; con l’agilità di un gatto mi infilai un paio di guanti e gli aprii lentamente la bocca, trovando subito la palla di carta che conteneva il tesoro più prezioso. Con cautela lo estrassi e lo richiusi in una busta di plastica ermetica, rimettendola subito in tasca, cercando di non farmi vedere. Stavo giusto per andarmene quando…
-Ehi! Cosa sta facendo?!-.
Vidi uno dei tre poliziotti venirmi incontro, gridando come un ossesso; senza pensarci due volte scappai via, aprendomi un varco a furia di gomitate, mentre il tizio dietro di me imprecava e mi urlava di fermarmi.
Continuai a correre, sempre più veloce, mentre lo sentivo corrermi dietro insieme ad altre decine di agenti in uniforme; voltai a destra e a sinistra, e poi ancora a sinistra, e di nuovo a destra, fino a trovarmi sulla strada che passa per il ponte.
Con le gambe che bruciavano per lo sforzo, mi convinsi a correre sempre di più, e ancora, e ancora di più, fino a non sentirmi più le forze. Ero circa a metà del ponte quando vidi davanti a me delle pattuglie che mi bloccavano la strada, cercando di braccarmi come il peggiore dei criminali. Rallentai la corsa, sentendo gli uomini alle mie spalle che mi stavano per raggiungere. Non mi rimaneva che un’unica via d’uscita.
Con uno slancio saltai sul parapetto del ponte, guardando per un momento le acque scure sotto di me; non sapevo se sarei riuscita a resistere all’impatto con l’acqua.
-Ferma dove sei!-.
Mi voltai indietro e vidi un uomo con i capelli neri e gli occhi chiarissimi che mi puntava contro una pistola, mentre mi intimava di scendere dal di lì. No, non mi sarei fatta prendere da una banda di mangia ciambelle a tradimento; no, dovevo solo farmi forza e convincermi che tutto sarebbe andato bene. Lo avevo promesso.
-Non farlo!-.
Con un ultimo sorrisetto, mi sbilanciai in avanti, lasciandomi precipitare nell’acqua fredda e lontana.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Prove e Sospetti ***


Capitolo V - Prove e Sospetti


Mi sentivo bruciare gli occhi in modo insopportabile, ancora offuscati dall’acqua che mi spingeva dove voleva lei. Facendomi forza riemersi e spalancai la bocca, inspirando più aria possibile. Quando riuscii a riprendermi voltai lo sguardo verso l’alto e vidi numerosi puntini che si agitavano di qua e di là.
Con le braccia e le gambe doloranti mi portai vicino al pilone del ponte, dove l’acqua si fendeva contro il cemento; rimasi lì nascosta per un po’, in modo ad riposarmi gli arti stanchi. Mentre cercavo di recuperare un po’ di forze, mi guardai intorno, cercando la strada più breve per tornare a riva; fortunatamente non ero molto lontana dall’argine scivoloso e senza barriere.
Mi staccai dal pilone e iniziai a nuotare, cercando di non farmi trascinare via dalla corrente del fiume che scorreva impetuosa, rischiando di farmi affogare più volte; alla fine riuscii a toccare di nuovo la terra ferma, scivolosa e fangosa. Con le ultime energie mi inerpicai su per il pendio, fino a trovare un piccolissimo spazio verde senza alberi, protetto da un contorno di cespugli e reso soffice dall’alta erba.
Mi lasciai cadere, ormai senza più forze, e rimasi lì supina rivolta verso il sole, aspettando che mi asciugassi almeno un po’; ero sicura che se mi fossi fatta vedere in giro così bagnata sarei subito saltata all’occhio di qualcuno.
Chiusi gli occhi, abbagliata dalla luce splendente del sole; cullata dal calore e dal ritmo sempre uguale dell’acqua che si infrangeva sulle pietre sotto di me, scivolai in uno stato di dormiveglia, senza però addormentarmi del tutto.
Mi ripresi da quello stato quando sentii un paio di mani che mi toccavano tutto il corpo, ma che non avevano niente a che fare con una perquisizione; quel contatto era diverso, aveva qualcosa di suo, qualcosa di lascivo e invadente, ma soprattutto qualcosa di libidinoso.
Mi svegliai completamente, senza però aprire gli occhi; con movimenti lenti e precisi, come se stessi ancora dormendo e cercando di non dare nell’occhio, infilai una mano sotto la schiena e strinsi con forza il calcio della pistola. Socchiusi a malapena gli occhi e, nella controluce confusa, vidi un uomo di profilo, completamente intento a palparmi e a toccarmi, con un’espressione di piacere dipinta sul volto.
Con cautela sfilai la pistola dalla cintura, cercando di fare i movimenti il più lentamente possibile; quando riuscii a tirarla fuori completamente, con un gesto rapido la puntai contro quell’uomo che, vedendomi scattare a sedere, si era tirato indietro e aveva alzato le mani.
-Che cazzo stai facendo?- dissi, togliendo la sicura per far vedere che non stavo scherzando.
-Io… Veramente…- balbettò.
-Vattene di qui se non vuoi che ti faccia saltare in aria il cervello-.
-Mi denuncerai alla polizia?- chiese lui, intimorito; mi sembrava sincero, forse non era completamente impazzito.
-Vattene o ti pianto un proiettile in mezzo agli occhi. Non sto scherzando-.
Lui si alzò lentamente, senza che smettessi di puntargli contro la pistola; a passi malfermi retrocedette, rischiando più volte di cadere a terra; quando fu abbastanza lontano da me, si girò e iniziò a correre via, sparendo tra gli alberi.
Quando sparì alla mia vista, rimisi la sicura alla pistola e la lasciai cadere a terra, prendendomi la testa fra le mani: non solo per poco la polizia mi beccava, ma ero stata sul punto di essere violentata da uno sconosciuto. Non poteva andare meglio quella giornata.
Rimasi seduta in mezzo all’erba per un po’, cercando di riprendermi; quando mi alzai in piedi, mi accorsi che stavo tremando come una foglia al vento. Senza rendermene conto mi ritrovai di nuovo a terra e mi guardai le mani, che tremavano visibilmente, e sentii sulla fronte formarsi un centinaio di gocce di sudore freddo. Possibile che mi fossi spaventata così tanto da diventare un tremolio continuo?
Di sicuro non era stato il fatto di poter essere sorpresa dalla polizia, me la sarei cavata comunque, ma a rendermi così doveva essere stato quel tizio che voleva approfittarsi di me soltanto perché sembravo mezza svenuta in mezzo all’erba. Dannazione, ci mancava solo quello.
Mi presi la testa tra le ginocchia, facendo dei respiri profondi e cercando di recuperare la calma e il sangue freddo; non era successo niente, me l’ero cavata senza ammazzare qualcuno, dovevo soltanto smetterla di pensarci o non ne sarei mai venuta fuori, con il rischio di far saltare tutto.
Lentamente mi rialzai, cercando di non traballare più di tanto, e con passi lenti mi inerpicai su per il pendio, fino a trovarmi di nuovo all’altezza del ponte. Incassando la testa fra le spalle e tenendo lo sguardo basso, andai nel misero appartamentino di due stanze che il dipartimento, molto gentilmente e modestamente, mi aveva offerto, in modo da potermi nascondere e per non dover rimanere sempre da Montano.
Quando misi piedi in quelle stanze, mi sentii opprimere dall’oscurità delle persiane malmesse chiuse e dall’odore pungente e nauseabondo tipico di un ambiente che non viene arieggiato da un bel po’ di tempo. Cercando di ignorare quel fetore, mi feci una doccia calda e mi cambiai, lasciando gli abiti lerci su una sedia.
Grazie a Dio quelli dei piani alti avevano perfino pensato di rifornire almeno un po’ la dispensa; con un caffè bollente in mano, andai a recuperare la busta con dentro quella palla di carta che per poco non mi faceva ammazzare; avrei fatto un bel regalino a Chris, quella sera stessa. Di sicuro mi avrebbe implorato di farla finita e di lasciare tutto a qualcun altro, ma non glielo avrei mai permesso; Montano si fidava di me, non potevo perdere quell’occasione per sbarazzarmi di lui e infliggere un bel colpo al mercato nero della droga.
Mi sedetti a terra, con la schiena appoggiata al muro e un fascicolo sulle ginocchia; sorseggiando lentamente il caffè, anche se piuttosto schifoso, ripassai tutto quello che sapevo su Montano, tutto quello che avevo imparato stando con lui. Aggiunsi un paio di informazioni a penna, poi l’occhio mi cadde sull’orologio che portavo al polso e che fortunatamente non si era rotto: era ormai pomeriggio, e quel bastardo si stava di sicuro chiedendo che fine avessi fatto, imprecando che ero stata portata al fresco.
Riordinai i miei due stracci e uscii, tenendo ben nascosto il fagottino all’interno della giacca; chiamai un taxi e mi feci lasciare due isolati più avanti rispetto all’indirizzo che ospitava l’appartamento di Montano; non volevo che il tassista si segnasse il luogo e potesse mettermi alle calcagna la polizia. Feci l’ultimo pezzo di strada quasi di corsa, come se fossi inseguita da un branco di diavoli con i loro tridenti appuntiti; alla fine arrivai, con il fiato corto.
Salii i gradini del palazzo due a due, cercando di fare il meno rumore possibile; presi la chiave della porta nascosta dietro un vaso di felci sul pianerottolo e entrai, sperando di non beccarmi una bella lavata di capo.
-Finalmente sei tornata Ashley!- esclamò Montano, vedendomi entrare -Avevo paura che ti avessero beccato-.
-No, tranquillo. Non mi hanno preso- dissi, avvicinandomi alla finestra.
-Allora perché hai impiegato così tanto tempo per tornare qui?- chiese lui, indagandomi con lo sguardo.
Gli diedi le spalle guardando fuori, cercando di non far vedere il mio riflesso stravolto -Un piccolo contrattempo. Non ti preoccupare, ho sistemato tutto-.
-Hai fatto quello che ti avevo detto?-.
-Certamente. Ho fatto sparire tutte le prove che c’erano bruciandole. Devi stare tranquillo, nessuno ti può rintracciare e, se anche lo facessero, non avrebbero niente contro di te-.
-Molto bene, molto bene- disse, con voce più rilassata di prima -Sei stata molto utile-.
-Spero di esserlo ancora- feci io, voltandomi verso di lui.
-Lo sarai, non ti preoccupare- mi rivolse un sorrisetto pieno di comprensione.
Ricambiai il sorrisetto con uno molto più fiacco; avevo le braccia e le gambe che mi bruciavano ancora per lo sforzo di sfuggire a quello sbirro e la mia mente tornava a quel bastardo che voleva violentarmi. Doveva vedersi dalla mia faccia che c’era qualcosa che non andava, perché Montano mi chiese se stessi bene.
-Certo- risposi, raccogliendomi i capelli dietro la testa e lasciandoli ricadere -Sono solo un po’ stanca-.
-Vatti a risposare, allora. Per oggi hai fatto anche abbastanza-.
-Bene. Se hai bisogno di me, sai dove trovarmi- dissi, dirigendomi verso la mia stanza nel retro dell’appartamento.
Sembrava che quel giorno tutti quanti fossero fuori; tutte le stanze erano vuote e silenziose, e non c’era nemmeno Taylor nei paraggi. Confortata dal fatto che potessi starmene un po’ tranquilla, entrai nella mia stanza e mi accorsi subito che c’era qualcosa che non andava.
Mi diressi subito alla borsa che avevo lasciato ai piedi del letto dove tenevo le munizioni e la pistola d’ordinanza, oltre alla mia personale; per fortuna avevo quella finta con me. Mi accorsi che qualcuno aveva frugato lì in mezzo, in cerca di qualcosa, anche se lì dentro non mancava niente. Con un bruttissimo sospetto, spalancai le ante dell’armadio e notai che i vestiti erano tutti alla rinfusa, come non li avevo lasciati quando ero uscita la mattina.
Avevo i miei sospetti su chi fosse stato, ma non ne avevo l’assoluta certezza; le opzioni erano minime, e c’era solo una persona che potesse avercela tanto con me da andare a frugare di nascosto tra le mie cose per cercare qualcosa che facesse rivelare la mia vera identità.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Non Sono un Oggetto ***


Capitolo VI - Non Sono un Oggetto


Maledizione. Come potevo stare tranquilla se c’era qualcuno lì dentro che andava a frugare in mezzo alla mia roba? Come potevo sentirmi al sicuro se non appena me ne andavo di lì qualcuno si impadroniva della mia privacy? Da quel momento avrei dovuto dormire con un occhio aperto, per essere sicura che non si ripetesse un episodio del genere. Dannazione, perché tutti quei casini dovevano capitare a me? E per di più nella stessa giornata, a poche ore di distanza uno dall’altro?
A quel punto mi rimaneva solo una cosa da fare. Ancora piuttosto arrabbiata per quella incursione, tornai in soggiorno da Montano, che stava guardando qualcosa sul portatile.
-Montano- esordii, facendolo sobbalzare.
-Ashley, mi hai fatto prendere un colpo!- fece lui, chiudendo il computer -Non ti avevo detto di riposarti?-.
-C’è una questione più importante del mio riposo- dissi, con voce dura.
-E di che si tratta?-.
-Qualcuno si è intrufolato nella stanza che mi hai dato ed è andato a frugare in mezzo alle mie cose in cerca di qualcosa- riassunsi brevemente -Tu non hai idea di chi potrebbe essere stato, vero?-.
-Ascolta, Ashley, qui viviamo tutti insieme, ognuno può fare quello che vuole-.
-Ma io ho bisogno di un po’ di riservatezza! Come credi che riesca a concentrarmi se non ho uno spazio mio?-.
-Mi spiace, ma non posso accontentarti. Se vuoi rimanere qui, devi adattarti alla situazione-.
Strinsi le mani in un pugno, cercando di lottare contro l’istinto di stenderlo con un destro -Non è questo il punto. Sto dicendo che qualcuno è andato a frugare in mezzo alle mie cose. E voglio sapere chi è stato-.
Lui sospirò e allungò una mano per prendermi il braccio; con un movimento sfuggii alla sua presa -Ashley, devi credermi, io non ne so niente-.
-E’ stata Taylor, non è vero?- dissi, allontanandomi da lui di un passo -Lo ha fatto perché mi odia, non riesce a sopportare l’idea che io sia entrata nella vostra organizzazione, non è così?-.
-Te l’ho detto Ashley: non so chi è stato- fece lui, scandendo ogni singola parola.
-Sai che ti dico? Fottiti, tu e la tua amica-.
Con quelle parole me ne andai, sbattendogli in faccia la porta. Ne avevo abbastanza di lui e di quella sgualdrina al suo seguito che non faceva altro che mettermi i bastoni fra le ruote. Gliel’avrei fatta pagare, poco ma sicuro.
Tornai nella mia stanza e mi sedetti sul letto, indecisa sul da farsi. Forse avevo esagerato un po’ con Montano, ma proprio non riuscivo a sopportare Taylor, che a lui piacesse o meno. Quella donna non avrebbe fatto altro che mettergli in testa strane idee su di me, mettendomi davanti a un rischio ancora maggiore a quello che stavo passando in quel momento. Di certo non potevo contare sulla mia identità per molto tempo; prima o poi avrei fatto un passo falso e mi sarei trovata un paio di proiettili in corpo.
Stavo ancora riflettendo, quando sentii dei passi avvicinarsi alla mia porta; per non farmi trovare troppo pensierosa, scattai in avanti prendendo la sacca ai piedi del letto, poi ne estrassi la mia pistola e, con finzione quasi teatrale degna di una star di Hollywood, iniziai a pulirla, del tutto concentrata con gli occhi sulla canna e con le orecchie tese. Di lì a qualche secondo fece il suo ingresso Montano, che mi guardava in silenzio.
Non dissi niente e finsi di non averlo nemmeno sentito, continuando a tenere gli occhi fissi sul ponticello della pistola, controllando con attenzione che non ci fosse nemmeno la più piccola traccia di polvere da sparo o qualcosa di simile che intralciasse il suo buon funzionamento.
-A quanto pare non ti vuoi lasciar scappare nemmeno la traccia più piccola- disse lui, interrompendo il silenzio.
-Voglio solo che queste cose funzionino quando ne ho bisogno- risposi con voce dura, sempre senza guardarlo.
-Non ti do torto. In certe cose bisogna essere piuttosto pignoli e precisini-.
-Si può sapere che vuoi?- dissi, voltandomi verso di lui -Sei venuto qui per farmi incazzare più di quanto non lo sia già o cos’altro?-.
-Calmati Ashley. Non ti devi arrabbiare così- si avvicinò e mi sfiorò una guancia con la mano; mi spostai e lo inchiodai con lo sguardo -Non ne vale la pena-.
-Certo, intanto io devo sempre guardarmi le spalle perché la tua maledetta sgualdrina mi odia e fa’ di tutto per cacciarmi a calci in culo, se non addirittura ammazzarmi-.
-Non ti devi preoccupare- si sedette di fronte a me e mi guardò dritto negli occhi, con uno sguardo fin troppo lascivo per i miei gusti -Ti proteggerò io-.
Lo guardai senza dire niente; lui scivolò silenziosamente nella mia direzione e si sporse verso di me, con uno sguardo pieno di desiderio e presunzione. Mi spostai indietro, fino a trovarmi con le spalle appoggiate alla testiera del letto; lui continuò a spostarsi verso di me, senza distogliere lo sguardo, esattamente come me. Era pericolosamente vicino quando sentii la sua mano scivolare sulla mia gamba, con fare fin troppo invadente; decisi di ribellarmi solo quando lo sentii diventare troppo deciso, con la mano che ormai aveva raggiunto la coscia e stava per attaccarsi alla cintura.
Lo allontanai con un calcio e balzai in piedi, scostandomi dal letto il più lontano possibile, per quanto la stanza me lo permetteva; ma che succedeva quel giorno? Ero io che ero fatalmente un’attrazione sessuale o che altro? Perché altrimenti non mi riuscivo a spiegare il fatto che, a distanza di poche ore, due uomini avessero tentato di violentarmi.
-Che cazzo stai facendo?- dissi, appoggiandomi all’armadio, cercando di controllare il tono di voce per non dimostrare che stavo tremando.
-Andiamo, lo so che lo vuoi anche tu- si alzò e tornò alla carica, appoggiando le mani alle ante dietro di me e impedendomi una via di fuga -Possiamo farlo, non c’è nessuno qui dentro-.
Si sporse verso di me e tentò di baciarmi; riuscii a scansarmi per un pelo, gli pestai un piede e cercai un altro angolo, sperando che non ci riprovasse più, ma in fondo sapevo che le mie speranze erano vane. Lui infatti tornò alla carica, prendendomi per i polsi e spingendomi con forza contro il muro; tentò di nuovo di baciarmi, cercando inutilmente di istigarmi a ricambiare, ma continuai a tenere le labbra serrate, mentre sentivo la sua gamba strusciarsi contro di me.
Cercando tutta la forza che avevo in corpo, gli diedi una ginocchiata nello stomaco, poi, quando era piegato in due dal dolore, lo colpii al naso con un calcio; lui cadde a terra di schiena e rimase lì a contorcersi, un po’ per lo stomaco e un po’ per il naso che aveva iniziato a sanguinare copiosamente. Recuperai la pistola dal pavimento, che era rimasta lì da quando quel porco aveva iniziato a fare le sue avance, poi mi inginocchiai davanti a lui e gliela puntai esattamente fra gli occhi.
-Non ci provare mai più, o ti faccio saltare in aria il cervello- dissi, guardandolo fisso negli occhi.
Lui alzò lo sguardo e fece un sorrisino beffardo -Mi piaci. Hai le palle per ribellarti a un uomo-.
Mi alzai di scatto per non cedere alla tentazione di ammazzarlo in quel momento; mi serviva ancora, dovevo tenermelo da parte ancora per un po’.
-Fanculo- sbottai, prendendo la borsa con le munizioni e chiudendola a chiave all’interno dell’armadio.
-Davvero, sei la donna che vorrebbero avere parecchi uomini-.
-Non sono un oggetto, Montano- dissi, dandogli le spalle e uscendo -Fottiti-.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Parole Pericolose ***


Capitolo VII - Parole Pericolose


Uscii dalla mia stanza e mi diressi verso l’ingresso con l’intenzione di andarmene da quell’appartamento almeno per qualche ora; avevo bisogno di starmene un po’ da sola in qualche posto solitario dove potevo rilassare per un momento i nervi. Passando dietro lo schienale del divano notai il portatile che stava usando Montano poco prima; forse non era proprio una buona idea, ma dovevo correre il rischio e fare quello che mi diceva la testa.
Controllando che non stesse tornando indietro, mi inginocchiai davanti al divano, in modo che se qualcuno mi avesse visto avrei potuto dire che mi era caduto qualcosa e che era scivolato lì sotto; lo aprii con cautela e mi ritrovai a fissare il monitor nero; mossi il cursore e lo schermo si illuminò su un documento. Scorsi brevemente le colonne di parole che si accalcavano l’una sull’altra e notai con orrore che si trattava di uno di quegli articoli falsi su di me che Chris aveva preparato prima che arrivassi lì e che aveva messo online per depistare eventuali sospetti.
Iniziai a leggere l’articolo, curiosa su cosa avesse potuto scrivere sul conto di Ashley; ero circa a metà, quando sentii dei passi frettolosi salire su per le scale. In fretta e furia rimisi tutto come lo avevo trovato e mi tirai su; mi ero appena rimessa in piedi quando la porta si spalancò di colpo e entrò Taylor, che non appena mi vide mi trapassò con il suo sguardo di ghiaccio; ressi la sfida, come sempre senza parlare.
-Stronza- ringhiai tra i denti, quando notai che in mano teneva uno dei miei caricatori per la pistola.
-Parla per te- disse lei, senza scomporsi.
-Sei una maledetta sgualdrina- replicai, stavolta alzando la voce -Maledetta…- non riuscii a finire perché in quel momento entrò Montano.
-Che sta succedendo qui?- chiese, spostando lo sguardo da me a Taylor e viceversa.
-La tua amica si sta divertendo a insultarmi- fece lei, come se fosse un angelo senza macchia.
-E’ così, Ashley?- disse, rivolgendosi a me.
-Forse è perché quella maledetta è andata a frugare in mezzo alle mie cose e mi ruba le munizioni- detto questo, mi avvicinai a lei e con uno strattone le tolsi il caricatore dalle mani.
-Me la pagherai, poco ma sicuro- fece lei sottovoce.
-La stessa cosa vale per te- la inchiodai con lo sguardo -Non pensare di farla franca-.
-Sto tremando di paura- fece lei, alzando le mani in un gesto ironico.
-E fai bene-.
-Voi due, smettetela immediatamente- s’intromise Montano -Siete due donne o due bambine che litigano per una bambola?-.
Ci lanciammo una lunga occhiataccia, poi mi allontanai da lei di qualche passo, senza però perderla d’occhio; con quella lì era facile fare un passo falso.
-Se non vuoi che litighiamo- disse Taylor -Cacciala fuori-.
-Non ci pensare nemmeno- fece lui, scuotendo la testa -E’ preziosa per me- detto questo mi lanciò un’occhiata piuttosto eloquente.
Lo guardai senza dire niente, anche se avevo capito perfettamente a cosa stava alludendo; non voleva proteggere la donna che gli avrebbe messo fuori gioco la concorrenza, ma il suo giocattolino con cui divertirsi quando l’altro non era disponibile. Mi dispiaceva per lui, ma prima o poi avrebbe perso tutto: la sua droga, i suoi uomini, la sua assassina e il suo divertimento alternativo.
-Preziosa per cosa? Per metterti nei casini più di quanto non lo siamo già?- esplose Taylor, tirando fuori tutto l’odio che provava per me -Non farà altro che mandarci alla rovina, come puoi fidarti di lei?!-.
-Taylor, smettila con queste assurdità. So che è una donna affidabile e dalla mia parte- sulle ultime parole mi lanciò un’altra lunga occhiata di sottecchi, con lo stesso significato di quella di prima.
Lo guardai socchiudendo gli occhi, cercando di fargli capire che non mi sarei concessa a lui tanto facilmente per una notte di sesso, se era quello che desiderava; doveva riuscire a capire che da me non avrebbe avuto altro che non fosse una mia falsa collaborazione, niente di più.
In quel momento sentii il mio telefono vibrare nella tasca della giacca; senza tirarlo fuori, guardai il messaggio che Chris mi aveva inviato per dirmi a che ora e dove incontrarci quella sera.
-Tutto a posto Ashley?- chiese Montano, facendomi trasalire.
-Sì certo- dissi, ricacciando il telefono in fondo alla tasca -Solo una questione di affari-.
-Tu, con gli affari? Ma non farmi ridere- s’intromise Taylor, gettando indietro la testa e iniziando a ridere.
-Che c’è, non posso avere degli agganci pure io?- sbottai, squadrandola da capo a piedi -Chi ti credi di essere, la dea suprema senza cui non si può far niente?-.
-Ashley, calmati per favore- intervenne Montano, impedendomi di spaccarle la faccia -Vieni con me un momento-.
-Che cosa vuoi?- dissi, intimorita da cosa potesse volere ancora da me. Che ne sapevo io se era ancora arrapato come prima e voleva tentare di nuovo di saltarmi addosso?
-Non ti devi preoccupare. Vieni con me e basta-.
Con un cenno mi invitò a seguirlo in un’altra stanza; mi tenni distante da lui, tenendo la mano ben salda sul calcio della pistola assicurata alla cintura. Mi portò in uno stanzino minuscolo, dove non c’era nemmeno una finestra; probabilmente era stata ricavata innalzando un muro di divisione da un’altra stanza. Si diresse verso un vecchio mobile tarlato e, dopo aver aperto una delle ante, ne tirò fuori una pistola che mi mise tra le mani.
-Prendi questa- disse lui.
-Perché dovrei? Ho già le mie armi- obiettai, anche se morivo dalla voglia di prenderla e usarla contro di lui.
-Voglio essere tranquillo. Sai che gli affari sono duri da portare a termine, e molte volte cercano di fregarti. Usa questa, se necessario, e porta qui la roba-.
-Montano, io…- iniziai a dire, ma lui mi bloccò.
-Non devi dire niente. Prendila e basta. Voglio essere sicuro che non ti succederà niente, chiaro?-.
Mi arresi di fronte alla sua insistenza -D’accordo- dissi, prendendola in mano con cautela.
-Bene-.
Rimasi in silenzio per un attimo, fissando la pistola come se fosse un oggetto sconosciuto; perché mi facevo tanti problemi? L’avrei consegnata a Chris e lui avrebbe fatto il resto del gioco. Cosa poteva mai andare storto? Sarei riuscita sicuramente a trovare una scusa; d’altronde, Montano si fidava ciecamente di me, perciò avrebbe dato retta alle mie bugie che gli avrei raccontato quando sarei tornata lì.
-E’ tutto a posto?- la sua voce mi fece riscuotere dai miei pensieri.
-Sì certo- mi affrettai a rispondere, assicurando la pistola al polpaccio.
-Quanti soldi ti servono per la roba?-.
-Ehm… Non ne ho idea. Non mi è stato detto quanta roba mi daranno e se è di qualità, perciò…-.
-Ho capito. Ti possono bastare 500mila dollari?-.
Strabuzzai gli occhi, a sentire una cifra del genere -Ehm… Sì, certo. Possono bastare-.
-D’accordo- sospirò, tirando fuori una ventiquattrore e riempiendola di banconote verdi -Mi raccomando, assicurati che non sia uno scherzo-.
-Non ti preoccupare. So pur sempre usare le armi-.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Sola Contro Tutti ***


Capitolo VIII - Sola Contro Tutti


Uscii dallo stanzino con la valigetta in mano, seguita a ruota da Montano; tornando nell’ingresso, vidi Taylor seduta sul divano, intenta ad armeggiare con il portatile. Quando ci sentì entrare, alzò a malapena lo sguardo per mandarmi un’occhiataccia sospettosa, poi tornò a fissare le colonne di articolo sul mio conto. Anzi, sul conto di Ashley.
Senza dire niente, uscii di lì e presi l’ascensore; mentre scendevo, tolsi la pistola dalla legatura al polpaccio e la avvolsi con cura in un fazzoletto, in modo da poter preservare le impronte di Montano. Appoggiai la valigetta a terra per aprirla e notai delle piccole ma nitide macchie di sangue; probabilmente il naso di Montano non aveva ancora smesso di sanguinare per il calcio che gli avevo dato quando aveva preso la valigetta. Presi un fazzoletto di carta e lo passai sulle gocce rosse, in modo da non poterle perdere e conservare il DNA, poi chiusi il pezzo di carta in una busta di plastica che avevo in tasca e riposi tutto quanto all’interno della valigetta con i soldi.
Uscii dal palazzo e mi avviai lentamente verso il luogo dell’appuntamento con Chris; avrei potuto benissimo prendere un taxi, ma la paura che il tassista potesse pensare male per farmi lasciare in un posto del genere a quell’ora di sera mi aveva tenuta lontana dall’idea. Certo, avrei potuto dire un indirizzo più credibile e poi fare il resto della strada a piedi, ma in quel momento avevo bisogno di pensare e fare due passi a piedi per riprendermi; non che la convivenza con Montano stesse diventando insopportabile, ma avevo bisogno di un momento per rilassare i nervi.
Mi fermai alla fine del ponte, vicino all’inizio del sentierino sterrato che scendeva giù fino al parchetto vicino al pilone; gettai un’occhiata alle mie spalle per assicurarmi che non ci fosse nessuno in giro, poi con cautela mi avviai per la stradina scoscesa, puntando i piedi nei punti più ripidi. Alla fine mi trovai di nuovo in un punto piano e mi fermai, cercando di adattare la vista alla poca luce dei lampioni lontani, sul ponte. Feci qualche passo in avanti, poi mi fermai, portando istintivamente la mano alla pistola assicurata alla cintura.
-Sei tu Chris?- dissi, cercando di mantenere un tono calmo.
L’ombra che avevo intravisto fece qualche passo nella mia direzione, senza fretta; strinsi ancor di più il calcio della pistola, pronta a estrarla da un momento all’altro.
-Non ho voglia di scherzare, Chris. Se sei tu vieni fuori e basta-.
L’ombra continuò a dirigersi lentamente verso di me; a un certo punto infilò la mano in una tasca e poi la tirò di nuovo fuori, ma non era armata come credevo. Presa dall’angoscia, lasciai cadere a terra la valigetta ed estrassi la pistola, tendendola davanti a me; per quel giorno me n’erano capitate abbastanza, non volevo stare di nuovo a subire i soprusi degli altri. Stavolta mi sarei difesa, qualunque cosa succedesse.
L’ombra avanzò ancora, in silenzio, lentamente, mentre sentivo crescere in me la paura, la stessa che si prova quando si è piccoli e non si vuole rimanere da soli chiusi in una stanza buia. Mi accorsi che le mie mani tremavano, anche se impercettibilmente, ma mi feci forza pensando che non mi sarei fatta sopraffare di nuovo; impugnai ancora più saldamente la pistola e mossi il dito verso il grilletto, pronta ad aumentare la pressione in caso di effettivo pericolo.
-Ehi calmati. Sono io- fece la voce familiare di Chris, emergendo dal buio.
-Oddio Chris, mi hai fatto venire un accidente!- dissi, riponendo la pistola -Potevi dirmelo che eri tu, dannazione! Stavo per spararti contro!-.
-Ero al telefono con Tiggers, non potevo dirgli che ero con te-.
-Dio santo, potevi almeno farmi un cenno! Ti avrei potuto ammazzare, lo sai?- iniziai a urlargli contro, sfogando tutta quella rabbia che avevo dentro -Oh Cristo, come posso fidarmi di uno che non si fa nemmeno riconoscere? Non sai quante ne ho passate oggi, ti avrei scambiato per uno di quelli! Mio Dio, sei un completo idiota!-.
-Ti sei sfogata abbastanza?- disse lui semplicemente, quando smisi di urlare.
-Sì- gli mandai un’occhiataccia, senza però riuscire a trattenere un sospiro di sollievo -Perché mi hai voluto incontrare?-.
-Volevo sapere come va con Montano. È tutto ok?-.
-Sì, Chris, dannazione. Anzi, ti ho portato un paio di prove da portare al processo- presi la valigetta e ne estrassi la pistola, il fazzoletto con il sangue e la palla di carta che per poco non mi faceva finire dietro le sbarre -Portali al laboratorio e dì che si sbrighino-.
-Che roba è?- mi chiese lui, prendendo le buste in mano.
-Sulla pistola ci sono sia le mie impronte che quelle di Montano: falle tamponare per le epiteliali e avremo il DNA. Sul fazzoletto c’è il suo sangue e nella palla di carta ci sono delle prove compromettenti. Ah, e poi devo sapere tutto quello che trovi su una certa Taylor affiliata a Montano-.
-Perché?- chiese lui -Chi è?-.
-Una che mi sta mettendo i bastoni tra le ruote. E’ per questo che ho bisogno di sapere qualcosa di lei, così posso ricattarla-.
-Senti, la situazione sta diventando pericolosa, forse dovresti…- non lo lasciai finire, già sapendo dove voleva andare a parare per l’ennesima volta.
-No Chris, non mollo. Montano si fida di me e non posso andarmene adesso, lasciando tutto così-.
-Ma devi fartene una ragione, stai rischiando la tua vita-.
-E a chi importa?- sbuffai. Sinceramente, volevo soltanto che quel bastardo marcisse in galera, se non lo avessi fatto fuori prima io.
-A me importa-.
Alzai lo sguardo e lo guardai dritto negli occhi, anche se era buio e non si vedeva praticamente niente; forse era solo per una questione di non perdere un’agente in un’operazione ch e i superiori non avevano approvato, ma era più probabile che stesse pensando ancora a quello che c’era stato fino a qualche mese prima.
-Chris, non ti devi preoccupare per me. So cavarmela da sola, lo sai anche tu-.
Nella penombra lo vidi sorridere -Testarda come al solito, vero?-.
-Non ho alcuna intenzione di cambiare- dissi, con gli angoli della bocca leggermente piegati verso l’alto.
Rimanemmo per un momento in silenzio, senza nemmeno guardarci, ognuno immerso nei propri pensieri. Forse non aveva torto, la situazione stava veramente diventando pericolosa e io stavo rischiando per niente… Probabilmente era solo una mia chimera, un fantasma del mio passato che avevo inconsciamente incastrato sulla sua figura. Avevo ricalcato su di lui l’immagine di qualcosa del passato che mi aveva fatto soffrire e che in qualche modo volevo esorcizzare, eliminare per sempre. Forse quella operazione non era nemmeno adatta a me, fin troppo coinvolta emotivamente… Forse Chris aveva ragione, avrei dovuto mollare tutto a qualcuno che riuscisse a pensare in modo lucido senza esserne coinvolto.
Scacciai quei pensieri, scossando energicamente la testa, come se così facendo avrei potuto allontanare tutto. No, non era vero. Ero io quella che doveva fermare quella follia omicida, quell’isteria criminale. Avevo visto con i miei occhi quel bastardo che uccideva a sangue freddo un giovane ragazzo solo perché si era tirato indietro, non potevo permettere che continuasse a girare per la città facendo ancora del male a qualcuno. Io ero della Narcotici, dovevo fare in modo che il suo impero della droga crollasse una volta per tutte. Vero, non potevo fare tutto da sola, ma dall’esterno avrei avuto dei grandi aiuti, ne ero sicura.
-Come sta Tommy?- chiesi all’improvviso, riscuotendomi dai miei pensieri.
-Chi, il ragazzo del capannone?- fece Chris, con voce appena udibile.
Mi limitai a malapena ad annuire.
-Si sta riprendendo. Il veleno non era ancora completamente entrato in circolo quando siamo andati a prenderlo, quindi in un paio di giorni si riprenderà completamente-.
-Ha detto qualcosa sul fatto che testimonierà contro Montano quando ci sarà l’udienza?-.
-Per il  momento non ha ancora detto niente, è praticamente paralizzato dalla paura. Ma di sicuro parlerà prima o poi-.
-Sei sicuro che non si tirerà indietro quando sarà arrivato il momento?-.
-Sinceramente non lo so-.
Sbuffai; se non avevo delle testimonianze, non sarei andata tanto in là.
-Ma sono certo che se gli diremo che lo terremo al sicuro testimonierà- aggiunse Chris.
-Lo pensi davvero?-.
-Certamente. Faremo di tutto pur di portarlo davanti al giudice. La tua sola parola non basterà a incastrarlo-.
Sorrisi, con un senso di sollievo: era quello l’aiuto che speravo di ricevere.
-Senti, io voglio solo che questa storia finisca il prima possibile. Ti stai esponendo a un rischio troppo grande…-.
-Presto sarà tutto finito, vedrai-.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Disattenzioni Rischiose ***


Capitolo IX - Disattenzioni Rischiose


Finimmo di chiarire alcuni piccoli particolari riguardanti quello che gli avevo portato, poi ci allontanammo in due direzioni diverse. Ero certa che sarebbe andato tutto bene, me lo sentivo. Avevamo praticamente tutto quello che ci serviva, bastava solo una retata il giorno della consegna della droga e poi avrei potuto tirarmene fuori, dimenticando per sempre quella brutta storia. Immaginavo il momento in cui avrei preso il telefono e composto il numero di Mary, dicendole che finalmente era tutto finito e che poteva stare tranquilla, che poteva riniziare a vivere, nonostante il fantasma della morte di Matt le sconvolgesse le notti che aveva passato senza dormire.
Ero talmente immersa nei miei pensieri che non mi ero nemmeno accorta che, senza pensarci, avevo ripreso in mano la valigetta piena di soldi scottanti. Quando me ne resi conto era ormai tardi; si stava facendo notte fonda, Chris doveva essere ormai lontano dal luogo in cui ci eravamo incontrati e io non potevo permettermi di tornare indietro, facendo preoccupare ulteriormente Montano, per quanto non me ne importasse niente.
Camminando come se avessi avuto un peso sulla coscienza, che altro non era che quella dannatissima valigetta, cercai un angolo buio dove nascondermi. Passando vicino al cancello del parco notai un lampione spento, probabilmente a causa della lampadina rotta; senza pensarci due volte mi nascosi nell’ombra, appoggiata al cancello di schiena, cercando di rendermi visibile il meno possibile. A quell’ora non c’era praticamente nessuno lì, a parte il popolo notturno dei venditori di droga e di sesso, ma a me non importava; dovevo solo fare una telefonata, e tutto si sarebbe risolto. O almeno così speravo.
Avevo già un’idea di come risolvere la questione, ma avevo di nuovo bisogno dell’aiuto di Chris; da sola, rinchiusa in una stanza in un appartamento con un malvivente, non potevo fare un granché, se non solo sperare che tutto potesse andare per il verso giusto.
Tirai fuori il cellulare e composi quel numero che avevo imparato a memoria per il numero di volte che lo avevo usato; feci partire la chiamata e mi portai l’apparecchio all’orecchio, ascoltando con un’angoscia crescente il tu-tu sempre uguale del telefono che suona. In quel momento pensai che chi aveva inventato il telefono non dovesse soffrire di momenti di tensione, dal momento che la ripetizione di quella sillaba sempre uguale dava solo un senso di fastidio e timore, paura di un rifiuto e istanti interminabili di sudori freddi.
Stavo ormai per cedere e rassegnarmi all’idea che avrei dovuto trovare qualche altra idea quando sentii lo scatto della risposta.
-Brown- fece Chris dall’altra parte.
-Chris sono di nuovo io- dissi, con un sospiro di sollievo.
-Cos’è successo?- chiese subito, sentendo dalla sua voce che era passato sulla linea d’allarme.
-Abbiamo un problema-.
-Che genere di problema?-.
-Uno di quelli in cui mi serve il tuo aiuto per uscirne viva-.
-Di che si tratta?-.
Gli spiegai del fatto della valigetta piena di soldi e il mio piano per fare in modo che potessi tornare indietro senza destare troppi sospetti; Chris rimaneva in silenzio, mentre davo voce a ciò che lui avrebbe dovuto organizzare in meno di sei ore. Contavo sul suo aiuto, sapevo che avrebbe fatto di tutto pur di facilitarmi le cose. E infatti non sbagliavo.
-D’accordo, ho capito. Cercherò di fare tutto quello che posso per riuscire a mettere in piedi questa messinscena-.
-Chris, devi farlo. Un passo falso e mi costerà la vita, lo sai meglio di me-.
-Non permetterò che ti succeda niente, te lo assicuro-.
Sospirai -Grazie Chris- mormorai.
-Non ci pensare nemmeno. Ora torna là e inizia la scenata- fece lui con il tono da capo.
-D’accordo- riagganciai.
Gettai la testa indietro, appoggiandomi al cancello in ferro battuto del parco; forse avrei fatto male a lasciare tutto, ma non ne potevo veramente più di rimanere lì. Chris era l’unica cosa che mi legava là, a quella città lontana e vicina allo stesso tempo, ma ormai quel legame che c’era stato tra noi si era incrinato, diventando più sottile giorno dopo giorno. Sapevo perfettamente cosa avrebbe comportato il mio gesto quando tutta quella storia sarebbe finita, ma avevo (anzi, avevamo) capito che le cose non erano più come una volta, che il nostro rapporto era diventato sempre più freddo e impersonale, soprattutto da parte mia. Forse lui ci credeva ancora, potevamo cambiare di nuovo, tornare come prima, ma io personalmente ci credevo poco. Le persone fanno fatica a cambiare, non tornano quasi mai quelle di una volta, il più delle volte è tutta una fregatura. Non aveva senso riprovarci se c’era solo più dolore di prima, se le lacrime sarebbero tornate più numerose.
Trassi due respiri profondi, cercando di scacciare le immagini di qualche mese prima che lentamente si erano formate nella mia mente, evocate da qualche forza oscura recondita in una parte della mia memoria che non volevo mai rispolverare. Mi incamminai lentamente verso l’appartamento di Montano, senza avere fretta; avevo sistemato le cose, perché avrei dovuto scapezzarmi per arrivare da lui?
Quando arrivai era ormai l’una passata. Salii i gradini lentamente, uno per volta, con le gambe stanchissime e gli occhi che facevano fatica a rimanere aperti.  Quando arrivai sul pianerottolo non avevo nemmeno la forza per entrare da me, perciò bussai e aspettai che qualcuno venisse ad aprirmi. Vidi dalla fessura di luce sotto la porta che stava arrivando qualcuno, perciò alzai la testa e cercai di mostrarmi ancora abbastanza sveglia. La porta si aprì, e nel rettangolo di luce vidi la figura imponente di Montano, che mi fece subito passare.
-Allora, com’è andata?- chiese subito, chiudendo in fretta la porta.
-Mi volevano fregare- dissi, lasciando la valigetta sul tavolino di fronte al divano -Ho dovuto farlo fuori-.
-Ma…- iniziò a dire, ma lo bloccai.
-Tranquillo, so fare il mio lavoro. Gli ho sparato poi ho gettato la pistola nel fiume e sono tornata qui. Non mi ha visto nessuno-.
-Sei sicura?-.
-Certo- dissi, cercando di trattenere uno sbadiglio -Ora se non ti dispiace vado a dormire-.
Senza attendere una sua risposta mi trascinai nella mia stanza e, una volta chiusa la porta a chiave, mi gettai a peso morto sul letto. Non mi alzai nemmeno per cambiarmi, e mi addormentai di sasso.
 
L’indomani, quando mi svegliai, mi sentivo tutto un formicolio sulla pelle per il sonno agitato che avevo avuto. Avevo sognato che tutto il mio piano era stato scoperto e che Taylor in persona, con la presenza di Montano dietro di lei, metteva fine alla mia vita piantandomi un unico proiettile in fronte. Ero stata contenta di alzarmi.
Mi preparai e raggiunsi gli altri nel salotto mentre guardavano il notiziario della mattina. Proprio in quel momento era iniziato il servizio che dovevo vedere: il luogo dove mi ero trovata quella notte con Chris non pareva più lo stesso: era tutto un viavai di macchine della polizia, con un’ambulanza e un carro funebre. La zona era delimitata dal nastro giallo con le parole nere “crime scene: do not cross”. Sotto un telo bianco steso a terra si vedeva spuntare una mano con il palmo rivolto verso l’alto, chiaramente senza vita.
Guardai i visi degli altri: erano tutti completamente presi dalla notizia, con gli occhi spalancati dalla sorpresa. Mi venne da sorridere; Chris aveva fatto davvero un buon lavoro.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Crisi di Nervi ***


Capitolo X - Crisi di Nervi


“Il cadavere è stato ritrovato questa mattina da un uomo mentre faceva jogging lungo l’argine del fiume. Aveva visto un uomo a terra e si è avvicinato, pensando che si fosse sentito male o che stesse dormendo dopo una sbronza. Solo quando si è avvicinato abbastanza ha notato il foro di proiettile nel petto, e ha subito chiamato la polizia”.
Così stava dicendo la voce del giornalista fuori campo, mentre mostravano le immagini di un uomo, accuratamente vestito con una tuta e con tanto di fascia in fronte, che parlava con la polizia. Quella volta avrei proprio dovuto fare le congratulazioni a Chris per come aveva inscenato bene il tutto.
-Sei stata tu, non è vero?- la voce di Montano mi fece riscuotere dai miei pensieri.
Sul mio volto apparve un ghigno amaro -Già. Ma non ti devi preoccupare di niente: non riusciranno mai a collegarmi a quell’omicidio- dissi, rassicurandolo.
Lui sorrise -Mi fido di te. So che sai fare bene il tuo lavoro e che stai attenta ai dettagli-.
-Appunto-.
Rimasi a fissarlo per un lungo istante, poi mi voltai di nuovo verso il televisore; ancora non riuscivo a credere di avercela fatta. Sì, insomma, non credevo che riuscisse a darmi tanta fiducia quando ero sbucata fuori dal nulla. Ero sicura che la mia comparsa così all’improvviso lo avrebbe messo sulla linea d’allarme, ma invece era andato tutto diversamente; non sapevo cosa fosse esattamente, ma sentivo che c’era qualcosa tra me e lui.
Mettiamo le cose in chiaro: non mi stavo innamorando di quel bastardo, non ci sarei mai riuscita, ma avevo la sensazione che da lui provenisse qualcosa di diverso da una formale “relazione di lavoro”. In più, il giorno prima aveva cercato di saltarmi addosso, e per un pelo non ce l’aveva fatta. Probabilmente avrei dovuto guardarmi bene le spalle in quei giorni, poteva tornare all’attacco in qualsiasi momento, e sapevo che una sua azione sbagliata mi avrebbe tirato addosso tutta la collera di Taylor che, per il momento, sembrava fosse riuscita a tenere a freno.
In quel momento un telefono suonò. Tutti si voltarono a guardarmi, mentre il cellulare nella mia tasca continuava a vibrare insistentemente. Ostentando indifferenza, lo tirai fuori e guardai il numero che lampeggiava sul display.
-Devo rispondere, scusate- dissi, allontanandomi velocemente dal salotto.
Entrai nella mia stanza e chiusi la porta a chiave, poi risposi -Pronto?-.
-Allora com’è andata? Se la sono bevuta?- fece la voce di Chris dall’altra parte.
-Direi proprio di sì. Sembravano tutti imbambolati davanti alla televisione, e Montano mi ha ribadito per l’ennesima volta che si fida di me-.
Non so nemmeno io perché glielo riferii. Forse era per evitare il solito discorso che dovevo andarmene di lì, lasciare tutto a qualcun altro, insomma rompere una promessa.
-Ricordami di farti le congratulazioni quando uscirò di qui- dissi, per impedirgli di tornare ancora all’attacco su quella vecchissima, identica storia.
-Lo farò di sicuro- fece lui.
-Dì un po’, come hai fatto a organizzare tutto in così poco tempo? Quante persone hai buttato giù dal letto?- gli chiesi, incuriosita.
-Beh, avere dei favori da ricevere e un distintivo sono molto utili. Ho chiamato un paio di televisioni e radio, e anche qualche collega di qui e siamo riusciti a mont…- non lo feci finire di parlare, allarmata dalla parola “colleghi”.
-Che diavolo hai fatto?!- esclamai, resistendo all’impulso di spaccare il telefono contro il muro e cercando di tenere un tono di voce abbastanza basso.
-Ehi calmati- disse lui, cercando di persuadermi.
-Come posso stare calma??- stavo quasi per urlare, ma dovetti farmi forza e continuare a parlare piano per paura che qualcuno potesse sentirmi -Sei andato da estranei a spifferare tutto!-.
-Non sono estranei, sono colleghi- protestò lui -E poi non sanno praticamente niente di te-.
-Sarà meglio, perché altrimenti mi hai condannato a morte, ricordalo-.
-Ascoltami bene, ok? Io sono il tuo supervisore, quindi le decisioni le prendo io- sentii che la sua voce stava perdendo la sua proverbiale calma e stava per diventare una furia -Mi hai chiesto tu il mio aiuto, no? Bene, allora cerca di adeguarti alla situazione e rimani agli ordini!-.
-Chris, io…- cercai di ribattere, ma lui non voleva starmi a sentire.
-Già il fatto di autorizzare questa missione è stato praticamente un suicidio, perciò vedi di non rovinare tutto e mettiti di impegno per tirartene fuori ancora viva. Non voglio venire a ripescare il tuo cadavere da qualche parte-.
Non dissi niente e scivolai a terra, con il telefono premuto contro l’orecchio e prendendomi il viso tra le mani. Ancora qualche giorno lì dentro e sarei impazzita completamente.
-Mi stai ascoltando? Non voglio ripescare il tuo cadavere, hai capito??-.
-Sì Chris, ti sto ascoltando e ho capito- dissi con un filo di voce -Starò attenta e non farò niente di pericoloso. Sei tu il capo e io devo stare ai tuoi ordini-.
Dall’altra parte, sentii la sua voce cambiare improvvisamente tono -Ehi, va tutto bene?-.
-Certo- mentii spudoratamente.
Non era vero che stavo bene; la verità era che stavo di merda, non riuscivo più a controllarmi, tutta quella situazione mi stava distruggendo. La mia paura più grande, però, era quella di perdere il controllo nel momento meno opportuno, facendomi scoprire. Mi ero cacciata in quel guaio da sola, quando ancora non riuscivo a capire che era tutto troppo grande per me, che non sarei riuscita a reggere tutto quel peso da sola. Ero testarda e orgogliosa, non volevo l’aiuto di nessuno, se non in casi eccezionali, e soprattutto non volevo che qualcun altro al di fuori di me si prendesse il merito per quell’operazione.
-Non ti credo- disse Chris -Ti conosco troppo bene. E non sei mai stata una grande bugiarda. Si può sapere che è successo?-.
-Niente- risposi, cercando di trattenere le lacrime che spingevano per uscire a rigarmi gli zigomi -E’ tutto ok-.
-Davvero, dovresti allenarti ancora un po’ con le bugie. Che diavolo sta succedendo?-.
-Merda Chris, hai ragione- esplosi poi, con la voce incrinata dal pianto in arrivo -Sta tutto andando male-.
-In che senso?- la sua voce divenne più dolce, ma anche preoccupata.
-Non ne posso più di stare qui, voglio andarmene, dimenticare tutta questa fottutissima storia!- dissi senza nemmeno riprendere fiato -Voglio scappare, lasciare tutto quanto e mollare tutta questa situazione!-.
-Ma lo sai che sei stata tu a volerlo fare, ricordi?-.
-Lo so Chris, dannazione! Lo so che è tutta colpa mia, che non sono stata capace di trattenermi! Lo so che sono orgogliosa e testarda, ma io non posso farci niente! Voglio solo andarmene!-.
-Senti…- iniziò a dire, ma lo bloccai.
-Chris, portami via di qui- dissi, con il contegno che ormai era andato a farsi benedire -Fammi scappare. Fammi tornare a casa-.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Solitudine ***


Capitolo XI - Solitudine


Isolamento, allontanamento da tutto e da tutti. Era quello che mi serviva, per poter resistere ancora. Andarmene di lì, staccare la spina per un paio d’ore, il prima possibile. Non ne potevo veramente più di stare rinchiusa tra quelle quattro mura; avevo bisogno di respirare, sentire che non stavo effettivamente morendo.  Ormai stavo perfino dimenticando come si fa a respirare, a rimanere in vita; se il cuore non fosse stato un muscolo involontario, probabilmente mi sarei persino dimenticata come si fa per continuare a farlo battere.
Parlare con Chris in un certo senso mi aveva fatto bene; mi aveva lasciato sfogare, ascoltando le mie lamentele sul fatto che volessi andarmene, che non volessi più stare lì. Aveva fatto la sua parte, di amico e collega, e mi aveva aiutato, come tante altre volte in passato. Forse avrei dovuto ricredermi sulla decisione che avrei preso una volta finita quella storia; forse non dovevo andarmene, scappare di nuovo dai miei problemi, lasciando Chris da solo e, molto più che probabilmente, ferendolo.
Dio, quanto ero confusa in quel momento! Tra la situazione con Montano, il guardarmi le spalle da Taylor, avere le orecchie ben aperte per catturare le informazioni che mi servivano e tranquillizzare Chris non ci stavo più capendo niente. Decisamente, l’unica cosa di cui avevo bisogno in quel momento era scappare di lì.
La soluzione migliore, forse, era lasciare temporaneamente la città, giusto per un giorno, per staccare la mente e riuscire a ritrovare la concentrazione e il sangue freddo. Ma poi, se fossi sparita per un intero giorno, che avrei raccontato a Montano? Cosa mi sarei potuta inventare per giustificare un’assenza tanto lunga?
No, purtroppo non era possibile. Sarei dovuta rimanere all’interno della città, al massimo potevo sconfinare e andare momentaneamente a sud, in un altro stato, ma sarei comunque dovuta tornare presto.
Sospirai, appoggiandomi con la testa al muro e chiudendo gli occhi per un momento, mentre torturavo il cellulare che tenevo in mano. Dovevo fare qualcosa per andarmene di lì, il prima possibile, o sarei veramente esplosa, nel vero senso della parola.
In quel momento sentii qualcuno avvicinarsi e dopo pochi secondi udii due battiti alla porta; con uno scatto felino mi rimisi in piedi, nascosi in tasca il cellulare e mi avvicinai, non senza aver constato la presenza della pistola assicurata alla cintura. Quando aprii mi ritrovai Montano davanti.
-Che c’è?- chiesi, cercando di trovare nuovamente il mio tono di voce duro e deciso.
-Va tutto bene?- ribatté lui, squadrandomi da capo a piedi.
-Certo. Perché?-.
-No niente. Sei sparita all’improvviso e…- lo interruppi a metà frase.
-Tranquillo, va tutto bene. Era solo uno che aveva avuto dei problemi con il tizio che ho fatto fuori stanotte e mi voleva ringraziare per averlo tirato fuori dai guai- mentii.
Wow. Non credevo di essere capace di inventarmi una storia bell’e buona così, su due piedi, senza averci pensato un attimo prima. Evidentemente a star lì dentro mi ero abituata alle bugie e ormai mi venivano in mente da sole, senza che mi dovessi scervellare più di tanto per trovarne una che fosse abbastanza convincente.
-D’accordo- sorrise, ma tempo due secondi e la sua espressione tornò vagamente preoccupata -Sei sicura che va tutto bene?-.
-Certo- risposi con fermezza, anche se stavo cercando di capire il perché di quella domanda.
Quasi non mi accorsi della sua mano che si era avvicinata al mio volto e lentamente diminuiva la distanza per sfiorarmi le guance; quando me ne accorsi, feci un passo indietro, un po’ per paura, un po’ per istinto di conservazione.
-Hai le guance bagnate- disse, facendo ricadere la mano -Hai pianto?-.
-E se anche fosse?- dissi, maledicendomi da sola per essermi fatta scoprire come una bambina con le mani nel vasetto della marmellata -Che te ne importa?-.
-Beh, mi importa. Voglio sapere se i miei collaboratori hanno qualcosa che non va-.
-Vuoi davvero sapere cosa non va in me?- gli chiesi, con un’illuminazione improvvisa -Non va che sono sempre rinchiusa qui dentro, e non posso far niente senza che gli altri si mettano a spettegolare o qualcosa di simile-.
-Tutto qui?-.
-Sì, tutto qui. Dì ai tuoi amici di smetterla di parlare di me e di fare la spia se esco senza dirti niente. Ho bisogno anche io dei miei spazi, e i tuoi accoliti di certo non me li lasciano-.
-Ho capito, ma non c’è bisogno che tu sia così dura con loro. Sono solo persone che hanno voglia di fare dei soldi e non vogliono finire in gattabuia-.
Feci un ghigno -Se è per questo, non sarò io a fare la spia. Siamo sulla stessa barca: mettono dentro loro, mettono dentro me. Perché dovrei rischiare?-.
-In effetti hai ragione- approvò lui, con un cenno affermativo della testa -Non avrebbe senso-.
-Per l’appunto- sottolineai, con fermezza -Quindi, se non ti dispiace, mi prendo l’intera giornata libera-.
Senza attendere una sua risposta, mi voltai e andai a recuperare la finta pistola che mi aveva dato Chris, in caso Taylor fosse tornata nella mia stanza per un’altra perquisizione; presi una giacca per nascondere la fondina e uscii, senza degnare Montano di uno sguardo. Sentivo i suoi occhi scrutarmi mentre chiudevo la porta della stanza con una doppia mandata e infilavo della chiave in tasca; quando mi voltai, vidi che nella sua espressione c’era una domanda che voleva pormi, ma che alla fine decise di tenere per sé.
-Starò via tutto il giorno- dissi, dirigendomi verso l’ingresso -Voglio stare da sola, quindi non cercarmi, se non per qualcosa di urgente-.
-Nessuno ti disturberà- confermò, venendo a chiudere la porta alle mie spalle.
Quando la porta si fu chiusa alle mie spalle, mi fiondai giù per le scale, impaziente di uscire da quel palazzo. Ne avevo abbastanza di quelle quattro mura tutte uguali, in cui riuscivo a percepire in maniera precisa un forte sentore di crimine, che tutte le volte mi dava alla testa.
Arrivata giù in strada, mi misi a camminare per le strade senza una meta precisa, con le mani in tasca e la testa leggermente incassata tra le spalle, con gli occhiali da sole che mi nascondevano gli occhi. Inspirai profondamente, mentre sentivo dentro di me l’aria scivolare all’interno di ogni singola cellula, che lentamente si stava risvegliando dal suo torpore e stava riniziando a lavorare come si deve.
Con una specie di sorriso che affiorava sulle mia labbra, camminai per un bel pezzo, gettando di tanto in tanto un’occhiata ai lati per vedere la gente indaffarata che correva come topi di laboratorio. Io non avevo nessuna fretta, anzi, avevo a disposizione tutto il giorno per stare fuori e nemmeno io sapevo come riempire il mio tempo.
Mentre andavo dove volevano i miei piedi, mi accorsi di essere arrivata fino al parco; forse in cerca di una dose di tranquillità, forse in cerca di qualche ricordo d’infanzia vi entrai, trovando subito un posticino all’ombra di una quercia, leggermente isolato dal resto della gente che si dedicava ad ogni tipo di attività: jogging, frisbee con gli amici o con il cane, partite a calcio e pallavolo, picnic in famiglia.
Mi appoggiai al tronco dell’albero, gustandomi quel momento di infinita tranquillità, ascoltando il canto degli uccelli che si rincorrevano per il cielo terso, con qualche ciuffo bianco in qua e là. Iniziai a fissare la volta celeste che mi sovrastava in tutta la sua grandezza, facendomi sentire piccola e fragile al mondo esterno; stranamente, mi venne da pensare che era da tantissimo tempo che non mi prendevo un momento tutto per me, per poter stare da sola a non pensare a niente di fastidioso o triste.
Come potevo non farmi trasportare da tanta semplicità e bellezza? Il giusto equilibrio tra il cielo e la terra, tra i suoni allegri del parco e i clacson impazziti dall’altro lato della strada mi stordivano, quasi come se mi volessero alleggerire del fardello che mi portavo appresso e che, per una volta, mi abbandonassi a loro nel mondo dei sogni.
 
Quando mi risvegliai notai subito la differenza di illuminazione del sole: si era spostato molto più a ovest di quanto ricordassi, e il cielo stava già perdendo la sua trasparenza e traslucidità per essere imbastardito dai colori caldi del vicino tramonto. Le risate e le grida di divertimento si stavano smorzando lentamente nell’aria rossastra, mentre i rumori del traffico non molto distante non si erano affatto affievoliti, anzi sembravano aver preso ancora più carattere.
Mi tirai su a sedere e mi stiracchiai per bene, per una volta stranamente calma e rilassata; anche se il parco non era uno dei posti più sicuri in cui dormire, mi aveva fatto bene e avevo tutti i nervi distesi; in più, era pieno giorno, in un luogo pubblico… Di cosa avrei dovuto preoccuparmi?
Lanciai un’occhiata all’orologio e sobbalzai: era da un bel po’ che non dormivo per nove ore consecutive. Altro che pisolino di mezz’ora! In fondo, però, dovevo ammettere a me stessa che mi sentivo molto meglio di quando ero arrivata lì, con i nervi a fior di pelle.
Mi alzai e mi scrollai di dosso la polvere e il polline che si erano sparsi su tutti gli abiti, poi con passo fermo ma lento iniziai a incamminarmi verso l’appartamento di Montano, con una sorta di senso di intaccabilità e invulnerabilità.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** In Trappola ***


Capitolo XII - In Trappola


L’indomani mattina, dopo aver passato una notte tranquilla anche se avevo già dormito per metà della giornata, decisi di uscire di nuovo, anche senza dire niente a Montano. Gli avevo detto che mi servivano i miei spazi, quindi potevo andarmene quando volevo e tornare allo stesso modo.
Mi preparai con calma e, facendo meno rumore possibile, uscii e scesi in strada, mentre un’altra giornata stava iniziando. Come il giorno precedente, non mi importava dove stessi andando; quello che mi premeva era starmene lontana da lui il più possibile, per quanto il successo della missione me lo consentisse.
Stavo girovagando tra le vie del centro quando sentii il mio telefono suonare nella tasca della giacca che portavo sempre per nascondere la fondina della pistola, nonostante si facesse sempre più caldo. Lo tirai fuori e lanciai un’occhiata veloce al display.
-Pronto?- risposi, anche se sapevo perfettamente chi c’era dall’altra parte.
-Sono io- fece la voce di Chris dall’altra parte -Va tutto bene con Montano?- chiese.
-Non potrebbe andare meglio di così. Perché?-.
-Ieri ti ho vista in giro per la città, ma non ti ho fermata perché pensavo che fossi con lui- disse, forse con una nota di imbarazzo nella voce -Quindi, volevo sapere se…- lo interruppi a metà frase.
-No no, non è successo niente. Ero in giro per conto mio- spiegai -Stavo per avere un crollo, lo sai, quindi gli ho detto di lasciarmi un po’ di spazio e sono stata fuori tutto il giorno per calmarmi-.
-Ed ha funzionato? Sei di nuovo in grado di andare a fondo?-.
-Certo- dissi con convinzione -Anzi, sono uscita anche oggi, e penso che starò fuori per tutta la mattinata. Te lo giuro Chris, non ne potevo più di stare là dentro-.
-Me lo immagino- sussurrò.
-Chris che succede? Ti sento malissimo- dissi, con una punta di sorpresa nella voce.
-Devo riattaccare- tagliò corto lui -Ci sentiamo un’altra volta-.
-Chris si può sapere che sta succedendo? Perché stai parlando così piano?-.
-C’è Tiggers in giro. Ti richiamo più tardi- riattaccò.
Rimasi a fissare il telefono come se fosse un oggetto sconosciuto, chiedendomi perché Chris mi avesse buttato il telefono in faccia. Allontanando quel pensiero, rimisi il cellulare in tasca e ripresi a camminare lentamente, non so perché dirigendomi verso il ponte.
A un certo punto, sentii il mio stomaco protestare per la fame; in effetti, era da un po’ che non mettevo qualcosa sotto i denti. Non ricordavo nemmeno quando era stata l’ultima volta che avevo fatto un pasto decente; di sicuro era da un po’, perciò cambiai strada e mi diressi verso un bar per fare colazione.
Quando entrai notai con piacere che era semideserto, quindi andai al bancone e ordinai una tazza di caffè e un toast, poi con la colazione in mano mi sedetti a uno dei tavoli, scegliendone uno tra i più lontani dalla porta e dal bancone.
Mi misi a mangiare con gusto, sentendo il caffè caldo che scivolava giù in gola riscaldandomi, mentre il mio stomaco piano piano smetteva di lamentarsi. Quando stavo finendo il toast, la cameriera si avvicinò al mio tavolo per riempirmi nuovamente la tazza con un secondo caffè, che accettai con un sorriso a trentadue denti.
Rimasi lì seduta ancora per una decina di minuti, guardando fuori dalla vetrina la gente che passava tutta trafelata; come sempre, il luogo comune che quei cittadini andassero sempre di fretta non si era smentito nemmeno quel giorno. Pagai la consumazione, lasciando anche un po’ di mancia, poi uscii di nuovo, e una vampata di calore mi avvolse all’istante, facendomi quasi rabbrividire. Inforcai gli occhiali da sole e ripresi a camminare, sempre senza alcuna fretta, con la testa leggermente incassata tra le spalle.
Avevo camminato per circa una decina di minuti quando sentii il mio telefono trillare di nuovo nella tasca; senza guardarci nemmeno, risposi.
-Pronto?-.
-Sono ancora io- fece la voce di Chris; questa volta non sussurrava, ma aveva il solito tono di voce pacato.
-Si può sapere che è successo prima?- gli chiesi -Mi hai buttato il telefono in faccia-.
-Lo so, lo so- si affrettò a dire, con voce scusante -Il fatto è che Tiggers mi stava cercando e non mi potevo far beccare al telefono con te-.
-Ancora per la storia che non sa niente della missione?-.
-Già, e per il fatto che si sta incazzando perché non ti fai più vedere alla centrale-.
-Chris che posso fare? Sono bloccata nell’appartamento di Montano, non posso venire in ufficio, mi scoprirebbero subito!-.
-Lo so, ed è per questo che sto cercando di inventarmi ogni scusa per giustificare la tua assenza-.
-Che gli hai detto?- chiesi, fermandomi di botto in mezzo alla strada per poi cercare un nascondiglio.
-Gli ho detto che sei dovuta andare fuori città per qualche giorno perché hai avuto un’emergenza personale, ma non credo che se la sia bevuta fino in fondo…-.
-Merda- sbottai, iniziando a camminare più velocemente.
-Già puoi ben dirlo- disse Chris con voce scoraggiata.
Mi voltai indietro per un momento, sperando di riuscire a fugare ogni sospetto che stava montando dentro di me, ma dovetti ricredermi.
-Chris devo riattaccare- dissi, ormai iniziando a correre.
-Che succede?-.
-Te lo dico un’altra volta- senza aspettare una sua risposta, feci terminare la conversazione e mi ficcai il telefono in tasca, mentre sentivo il tizio dietro di me che mi intimava di fermarmi.
Continuai a correre, spintonando di qua e di là la gente che mi impediva la fuga; incredibile che in una città con otto milioni di abitanti dovessi proprio incontrare di nuovo lui, quel dannato sbirro che per poco non mi faceva saltare tutto il piano.
Data la mia posizione, decisi di prendere una scorciatoia, in modo da riuscire a sfuggirgli una seconda volta: appena ne ebbi l’occasione, svoltai in un vicolo che ricordavo immetteva sulla strada adiacente, ma tanti anni di manutenzione stradale avevano cambiato l’assetto della città. Mi ritrovai in un vicolo cieco, con una rete metallica che mi separava dalla libertà; sarei potuta arrampicarmi e poi mi sarei lasciata scivolare dall’altra parte, scampandola per un’altra volta.
Il mio momento di esitazione fece in modo che il poliziotto mi arrivasse alle spalle; senza pensarci più sopra, iniziai ad aggrapparmi alla rete, puntellando i piedi nelle maglie della rete. Sentii una mano afferrarmi per la caviglia; voltai lo sguardo in basso, appena sopra la spalla, e iniziai a scalciare forsennatamente, nella speranza di riuscire a farlo mollare la presa. In effetti lui mi mollò, ma prima che potessi muovere un solo muscolo mi afferrò per tutte e due le caviglie e mi scaraventò a terra; cercando di restare aggrappata, mi ferii una mano con uno spuntone di ferro, e il palmo cominciò subito a sanguinare e pulsare di dolore.
Mi ritrovai a terra, con uomo sulla schiena che cercava di immobilizzarmi; non mi sarei fatta prendere, non gliel’avrei permesso. Con il braccio ancora libero riuscii a dargli una gomitata nel torace e, quando si fu spostato di lato, mi rimisi in piedi con l’intenzione di scappare uscendo dal vicolo. Ma non appena fui di nuovo in piedi, mi accorsi con orrore che il vicolo era ostruito da una mezza dozzina di sbirri in uniforme che mi puntavano contro la pistola; a quanto pareva il tizio si era portato la scorta quella volta.
Pensai di estrarre la pistola dalla fondina, ma sapevo che un mio movimento li avrebbe messi in allarme e probabilmente mi avrebbero scaricato addosso un paio di pallettoni; sapevo anche, però, che se fossi scappata scavalcando la rete non mi avrebbero sparato contro, dato che il protocollo vietava loro di fare fuoco se non per legittima difesa. Ero sicura che il tizio dietro di me fosse messo troppo male per impedirmi di scappare, ma non appena mi girai alzai le mani, non per riuscire ad arrampicarmi, ma perché quel dannato sbirro si era rimesso in piedi e mi puntava contro la pistola, con un sorrisino strafottente.
-Fine dei giochi- disse, estraendo le manette.
Merda.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Tantazioni e Resistenze ***


Capitolo XIII - Tentazioni e Resistenze


-Ashley Harrison… A quanto pare hai un curriculum di tutto rispetto. Schedata a 14 anni per un taccheggio, hai fatto 30 ore di servizi sociali. Poi ti sei calmata per un po’ e sei tornata in attività con omicidio preterintenzionale e due condanne per omicidio colposo-.
Il tizio davanti a me posò sul tavolo il fascicolo che mi riguardava, aggiungendo alla sua aria da sbruffone un sorrisino compiaciuto, mentre i suoi occhi brillavano di derisione dietro le lenti degli occhiali.
-Io direi di aggiungere anche una bella accusa per aggressione a pubblico ufficiale e resistenza all’arresto, Danny- l’altro uomo, quello che mi aveva arrestato e mi aveva portato lì ammanettata, era rimasto appoggiato al muro in silenzio, mentre mi guardava con quello stesso sorrisino irritante che aveva un paio d’ore prima.
-Hai ragione- disse, senza smettere di fissarmi -La tua situazione si sta aggravando, Ashley-.
Non dissi niente; sapevo che rispondere alle loro provocazioni mi avrebbe fatto finire nei casini più di quanto non fossi in quel momento.
L’uomo appoggiato alla parete si mosse e si mise dietro di me, appoggiando le mani sul tavolo su entrambi i miei lati e sporgendosi in avanti sulla destra -Che c’è, il gatto ti ha mangiato la lingua o hai le gambe più lunghe per scappare?-.
Mi voltai verso di lui, sfidandolo con lo sguardo; i nostri visi erano vicinissimi, ma in quel momento non me ne importava niente; dovevo assolutamente trovare un modo per tirarmi fuori dal di lì, possibilmente incolume.
-Vuoi che ti dica qualcosa, detective?- dissi, con voce dura -Allora ascolta questo: fottiti-.
Lui alzò lo sguardo verso l’altro tipo, poi tornò a guardarmi -Hai sentito, Danny? La nostra amica vuole essere nostra ospite per un po’, a quanto pare- si tirò su e tornò al suo posto, appoggiato al muro.
-Bene, vedremo di accontentarla- fece l’altro, sbeffeggiandomi di gusto -Una cella 3x3 è di tuo gradimento?-.
-Sarò fuori di qui prima che ve ne rendiate conto- dissi con convinzione.
-Sembri convinta di riuscire a cavartela. Ma sei sicura che te ne tirerai fuori come speri?-.
Mi morsi le labbra con forza per non parlare troppo; mi stavo facendo trasportare dal mio orgoglio e non volevo che nessuno mi mettesse al muro per farmi sputare tutta la verità.
-Andiamo Ashley, chi credi che possa salvarti questa volta?- il tizio seduto di fronte a me allargò le mani, come per dire che non c’erano altre soluzioni -Abbiamo le tue foto ai muri e il mio collega ti ha visto gironzolare intorno a un cadavere non più tardi di tre giorni fa-.
-Forse il tuo collega si è confuso- dissi come se non me ne fregasse niente -La mia faccia è piuttosto comune-.
-Credi che abbia le trabecole o cosa?- l’altro si fece di nuovo avanti, appoggiandosi al tavolo con le mani, continuando a fissarmi -TI ho vista perfettamente mentre rubavi qualcosa per poi dartela a gambe e gettarti nel fiume. Che cosa hai preso quel giorno?-.
-Doveva essere qualcosa di importante, se sei tornata sul luogo dell’omicidio per recuperarlo-.
-Niente di cui voi dovreste venire a conoscenza-.
-Testarda, eh?- risero entrambi, ma cambiarono subito espressione -Se non l’hai ancora capito, o parli e vuoti il sacco dicendoci cosa facevi in quel vicolo tre giorni fa, o noi ti sbattiamo dietro le sbarre-.
-Ve l’ho già detto- mi sporsi in avanti, fissando ora l’uno ora l’altro -Sarò fuori di qui prima che ve ne rendiate conto-.
I due si scambiarono un’occhiata, poi si voltarono di nuovo verso di me; in quel momento la porta alla mia sinistra si aprì e ne entrò una donna bionda, con i capelli corti e lisci e gli occhi castani.
-Danny, puoi venire un momento fuori?- disse -Devo farti vedere alcune cose-.
L’uomo annuì poi uscì, chiudendosi la porta alle spalle; l’altro invece rimase lì, e con disinvoltura prese la sedia lasciata libera dall’altro, appoggiando lo schienale al tavolo e mettendocisi a cavalcioni.
-Allora Ashley, hai intenzione di dirmi qualcosa?- chiese, guardandomi fisso negli occhi -Ho tutto il tempo che vuoi-.
Non dissi niente; mi riappoggiai di peso allo schienale della sedia e lo guardai dritto negli occhi, senza battere ciglio. Non so quanto tempo passammo così, fissandoci l’un l’altro, ma alla fine fu lui a rompere il silenzio.
-D’accordo, non vuoi parlare- disse, senza distogliere lo sguardo -Allora ripercorrerò io quello che hai fatto, ok?-.
Non gli risposi; ero davvero curiosa di sapere quante informazioni avevano su di me e cosa si sarebbe inventato per far quadrare tutto.
-A quanto pare, hai fatto fuori quell’uomo, chissà per quale motivo, ma hai dimenticato di portargli via le prove- iniziò -O forse era perché stava arrivando la polizia proprio in quel momento? Abbiamo avuto una chiamata che diceva di una donna molto somigliante a te che stava gironzolando nelle vicinanze-.
Cosa, una chiamata che diceva che io ero lì? Ma io quella mattina ero da Montano, e dormivo ancora quando avevano fatto fuori il tizio!
-Una chiamata da parte di chi?- chiesi, non riuscendo a trattenermi.
-Questo è riservato- mi rispose, con un sogghigno -Credi davvero che ti dirò il suo nome per avvantaggiarti nel cercare chi ha fatto la spia?-.
-Non voglio sapere il suo nome, idiota- dissi, socchiudendo gli occhi -Voglio solo sapere se era un uomo o una donna. Ho già i miei sospetti a riguardo, voglio solo una conferma, o una contraddizione-.
-Dammi una buona ragione per cui dovrei dirtelo, Ashley-.
-Facciamo così: tu mi dici chi era che vi ha chiamato riguardo a me, e io ti racconto una bella storia su com’è andata-.
-Lo vedi che si riesce a ragionare in modo civile?- disse, con lo stesso sorrisino irritante -Vuoi sapere chi era? D’accordo, era una donna-.
Ma certo, me lo sarei dovuto immaginare. Chi altro poteva essere stata se non Taylor, quella dannata serpe? Ah ma gliel’avrei fatta pagare prima o poi, poco ma sicuro. Dovevo solo trovare il momento giusto, quando non ci fosse stato Montano nei paraggi, poi gliene avrei dette quattro, a quella fottutissima stronza.
-Ora sta a te- la sua voce mi fece riscuotere dai miei pensieri -Raccontami la tua versione dei fatti-.
-Sai una cosa detective?- gli risposi, senza la minima intenzione di continuare a parlare con lui -Non aggiungerò una parola senza il mio avvocato. E voglio chiamarlo adesso-.
-Stai venendo meno all’accordo- mi ricordò.
-Io non ti ho promesso che avrei parlato- risposi, imitando la sua espressione irritante -Ti ho mentito-.
-D’accordo- rispose semplicemente, palesemente incazzato.
Si alzò e venne dietro di me a togliermi le manette, poi lanciò il suo telefono sul tavolo. Mi sfregai i polsi che bruciavano, guardando anche la ferita alla mano che doleva ancora, nonostante la bendatura alla buona che mi avevano fatto quando mi avevano arrestata.
Presi in mano il telefono e composi il numero; prima di far partire la chiamata mi alzai per avvicinarmi all’angolo, in modo da avere il più riservo possibile.
-Ehi- disse il tipo non appena mi alzai -Rimani seduta-.
-Che c’è, hai paura che scappi di qui?- risposi, senza ubbidirgli -Dimmi come faccio, se è pieno di poliziotti-.
Lui mi guardò di traverso, senza dire niente.
-Voglio soltanto un po’ di privacy, ok?- senza attendere una sua probabile risposta, mi avvicinai all’angolo e mi voltai dandogli le spalle, come una bambina in castigo.
Mi portai il telefono all’orecchio e aspettai lo scatto della risposta con impazienza; dovetti far ricorso a tutte le mie forze per non iniziare a saltellare lì sul posto.
-Brown- fece Chris dall’altra parte, con mio enorme sollievo.
-Sono io- dissi, con un sussurro -Ho bisogno che mi tiri fuori dai guai. Di nuovo-.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Identità Svelata ***


Capitolo XIV - Identità Svelata


-Oh Cristo, che è successo stavolta?- disse Chris dall’altra parte -Se continui così ti farai beccare di sicuro-.
-Chris non ti ci mettere pure tu- gli risposi, cercando di essere più convincente -So già che la mia situazione si sta aggravando, non serve che tu inizi a farmi la predica-.
-Ok, ok. Che è successo?-.
-Mi ha beccato la polizia. Mi hanno arrestato, credo che mi vogliano mettere dentro almeno per una notte-.
-Tu hai detto qualcosa?-.
-No, dannazione!- risposi, cercando di controllarmi -Hanno il fascicolo di Ashley, hanno scoperto la mia falsa identità, e io ho solo detto che volevo chiamare il mio avvocato-.
-Quindi vuoi che venga lì?- mi chiese lui, anche se la risposta mi sembrava piuttosto ovvia.
-Secondo te perché ti ho chiamato? Vedi di improvvisarti un buon avvocato-.
-Ok sarò lì tra…- non riuscii a sentire il resto della frase perché qualcuno dietro di me mi strappò il telefono delle mani.
Mi voltai di scatto e mi ritrovai davanti lo sbirro che teneva in mano il cellulare, dopo aver chiuso la comunicazione.
-Ehi!- protestai -Non avevo ancora finito di parlare con il mio avvocato!-.
-Mi spiace, tempo scaduto Ashley- fece lui, con un sorrisino sempre più irritante -Ora mettiti seduta e stai buona-.
-Per chi mi hai preso, per un cane?- dissi, andando a sedermi al tavolo.
Lui non rispose; si limitò a tenere ancora quella espressione da deficiente che mi dava sui nervi.
Dopo che mi fui seduta, lui mi rimise le manette e uscì di lì, lasciando un’agente di guardia davanti alla porta, come se avesse avuto paura che potessi scappare di lì. Mi lasciai andare contro lo schienale, cercando di mantenere le mani in una posizione che non mi desse fastidio ai polsi; gettai la testa all’indietro e chiusi gli occhi, pregando che Chris arrivasse in fretta e mi tirasse fuori di lì il prima possibile.
Possibile che stessi arrugginendo così in fretta? Prima d’allora in situazioni del genere non mi era mai capitato che venissi arrestata da colleghi, o che venissi scambiata per una vera e propria criminale. Però forse non era poi così difficile come pensavo: insomma, se ero riuscita ad ingannare degli agenti molto esperti, evidentemente ero in grado di riuscire a calarmi perfettamente nei panni di qualsiasi identità Chris mi avesse preparato.
Mi sentivo come se mi fossi trasformata in un camaleonte: mi nascondevo al mondo, mescolandomi e integrandomi tra gli altri gruppi, rendendomi il meno visibile possibile, scomparendo sul fondo piatto della società.
Non so quanto tempo rimasi chiusa in quella stanza, come un cane abbandonato rinchiuso tra quattro muri di rete metallica di un canile; alla fine stavo ormai per perdere le speranze quando la porta davanti a me si aprì e vidi una specie di miracolo terrestre. Chris era lì in piedi davanti a me, con uno sguardo apparentemente vuoto; era vestito con giacca e cravatta e in una mano aveva una ventiquattrore; per un momento pensai davvero che fosse un avvocato, da quanto era riuscito a calarsi bene nei panni.
Mi alzai in piedi trattenendo a forza un sorriso di sollievo; non appena fui in piedi, Chris si accorse delle manette che mi cingevano i polsi in una morsa dolorosa.
-Voglio parlare da solo con la mia cliente- esordì lui con voce profonda, rivolgendosi alla guardia dietro di lui -E voglio che le vengano tolte le manette-.
-Mi spiace ma non è possibile- ribatté l’altro, scuotendo la testa -E’ ancora in custodia-.
-La mia cliente è innocua!-.
-Senta, non posso agire senza il consenso di un mio superiore e…-.
-Bene, allora lo vada a cercare e lo porti qui- lo interruppe Chris con un tono che non ammetteva repliche -Voglio parlargli. Ora-.
Il poliziotto sembrò indeciso se lasciarci soli o meno; alla fine se ne andò, non senza lanciarmi un’occhiataccia.
Non appena scomparve dal mio campo visivo, feci un passo in avanti per avvicinarmi a Chris e sussurrargli almeno un “grazie di non avermi abbandonata”, ma non appena mi vide muovermi mi fece un cenno di rimanere dov’ero e fare finta di niente, come se fossimo due estranei, come avvocato e cliente.
Pochi minuti dopo tornò la guardia, in compagnia di un uomo decisamente più vecchio di lui; aveva i capelli neri corti e gli occhi verdi sembravano concentrati su qualcos’altro che non era la mia presenza lì dentro; vestiva in modo semplice ma comunque formale, con una giacca nera sul cui risvolto sinistro, proprio sopra il cuore, brillava una spilla tonda, non so per quale menzione d’onore.
-Finalmente!- esclamò Chris.
-Qual è il problema?- fece l’uomo appena entrato.
-Voglio che alla mia cliente vengano tolte le manette, e voglio anche avere un colloquio privato con lei-.
L’uomo non disse niente; fece solo un gesto affermativo e l’altro poliziotto venne vicino a me e mi tolse quelle fastidiosissime polsiere di metallo. Mi strofinai i polsi, osservando con attenzione ciò che mi stava accadendo intorno; gli altri due se ne andarono, lasciando me e Chris da soli.
-Grazie a Dio sei arrivato- dissi con immenso sollievo, andandogli accanto.
-Si può sapere che è successo?- mi chiese lui, appoggiando la valigetta sul tavolo e allentando un po’ il nodo della cravatta.
Vedendo quel gesto mi venne da sorridere; nonostante tutto sarebbe rimasto sempre lo stesso Chris che avevo conosciuto e che, una volta, avevo imparato ad amare, con i suoi pregi e i suoi difetti.
-Ero in giro per la città- iniziai il mio racconto -Ed ero al telefono con te. A un certo punto ho visto lo sbirro dell’altra volta che si guardava intorno e stava guardando una fotografia, sicuramente la mia. Quando si è accorto di me mi è corso dietro; ho cercato di seminarlo, ma sono finita in un vicolo cieco e mi ha preso. Volevo scappare, ma aveva con sé almeno una mezza dozzina di poliziotti. Mi hanno portata qui di peso e poi ho detto che volevo chiamare il mio avvocato, ed eccoti qui con me-.
-Hai detto qualcosa riguardo a te?- mi chiese quand’ebbi finito.
-Ma sei pazzo? Ho tenuto la bocca chiusa, era la cosa più sensata-.
Lui scosse il capo -No, non era la cosa più sensata. Ti stai scavando la fossa, e lo sai anche tu-.
-Ma che stai dicendo?!- esclamai, allibita -Perché avrei dovuto dire chi sono in realtà? Io non mi fido di quelli, preferisco contare solo su me stessa e lo sai-.
-Dovresti almeno fidarti di me- disse lui, impassibile -O quello che c’è stato tra noi ti ha reso totalmente cinica anche nei miei confronti?-.
Davanti a quelle parole rimasi letteralmente a bocca aperta. Non ero sicura di aver capito bene: Chris mi stava davvero dicendo che secondo lui ero così diffidente per causa sua?
-Sai che non è colpa tua, Chris- risposi quando mi fui ripresa abbastanza da poter parlare -Quello che è successo è stato tutto troppo avventato che ci ha fatto solo del male. E la colpa è solo mia-.
-Ti prego, dimmi quand’è che smetterai di piangerti addosso- disse con mio totale stupore -Sappiamo entrambi che è stato una svista, e che tutti e due ne siamo responsabili. Da quando ti conosco non hai fatto altro che caricarti di responsabilità altrue, impedendo a tutti di aiutarti-.
Feci un respiro profondo, cercando di non gridare -Ti prego Chris, dimentichiamoci questa fottutissima storia. È finita, facciamocene una ragione-.
-Io ho smesso di crederci da un po’. Sei tu che continui ad aggrappartici con tutte le tue forze-.
-Che stai…- iniziai a dire, ma lui mi interruppe.
-Non ti rendi conto che sei sempre tu che torni su questa storia? Io non ti ho mai chiesto niente, non ho mai sperato davvero che potessimo tornare quelli di una volta. Ma tu che mi dici? Tu ci speri ancora, non è così?-.
Abbassai lo sguardo, sconvolta e stordita da quelle parole; seppur a malincuore, dovetti ammettere che era così. Cercavo di mostrarmi indolente, come se non me ne importasse più niente di lui e di tutto quello che era successo tra noi, ma la verità era che ancora non riuscivo a capacitarmene, che non ero capace di dimenticare.
-Hai ragione Chris- sussurrai -Non riesco a dimenticarti-.
Lui scosse appena la testa -Se vuoi sapere la verità, nemmeno io-.
Feci vagare lo sguardo per la stanza pur di non incrociare gli occhi con i suoi, ma fu praticamente inutile: nel voltarmi a sinistra vidi i nostri riflessi nel vetro nero a specchio. Fissai per un momento i nostri riverberi nelle tonalità più scure, poi distolsi gli occhi da quell’immagine e tornai a puntarli sul pavimento di piastrelle scure.
-Cerchiamo di tornare professionali- la voce di Chris interruppe i miei pensieri -Dobbiamo fare qualcosa per farti uscire di qui, e sai anche tu cosa-.
Alzai lo sguardo e lo fissai dritto negli occhi, sapendo perfettamente a cosa stava alludendo; purtroppo per me non c’erano altre soluzioni, che mi piacesse o meno.
-D’accordo- sospirai -Diremo la verità. Ma tu devi dirmi una cosa-.
-Che cosa?-.
-Hai scoperto niente su quella Taylor?-.
Lui scosse la testa -No. Nel database non risulta nessuna Taylor, sembrerebbe una brava cittadina-.
Sospirai -Ok-.
Chris fece un cenno affermativo con la testa, poi uscì per un momento dalla stanza; rientrò qualche minuto dopo, seguito dal tizio di prima.
-Che succede?- si informò lui, spostando lo sguardo tra noi due.
-Vorremmo parlarle- prese la parola Chris -E chiarire questo disguido-.
-Non credo ci siano stati degli errori-.
-Purtroppo sì- dissi, a voce molto bassa -Io non sono chi pensate voi. Ashley Harrison nella realtà non esiste, è tutta una montatura. Non è questo il mio vero nome, e non sono un’assassina-.
-La mia collega ha ragione- riprese Chris -E nemmeno io sono un avvocato. Siamo due poliziotti della Narcotici di Jersey City. Siamo… Cioè lei, è in missione sottocopertura-.
L’altro ci guardava in silenzio, con uno sguardo che stava valutando se stessimo abilmente mentendo o meno.
-Sono infiltrata in un’organizzazione con finalità alla produzione di droga che da Jersey City si è trasferita a New York. Sono qui da circa una settimana ed è vero che il suo collega mi ha visto nei pressi di un cadavere tre giorni fa-.
-Che cosa ci faceva lì?- mi chiese con voce tagliente.
-Ero in cerca di prove per incastrare Greg Montano, il capo dell’organizzazione. Stando alle sue parole è stato lui a uccidere quell’uomo, tra l’altro era uno dei suoi-.
-Perché lo avrebbe fatto?-.
-Perché sa che gli stiamo alle calcagna, e ha paura che qualcuno venga preso e vuoti il sacco- feci una pausa -Io sono riuscita a conquistarmi la sua fiducia, e se non ritorno entro stasera di sicuro mi manderà a cercare e potrebbe uccidermi-.
Lui sembrò riflettere sulle mie parole, valutando qualche ipotesi. Ero in ansia, e aveva una tremenda paura, quella che ti attanaglia le viscere con una morsa d’acciaio. Avevo paura per me, per quello che sarebbe successo in seguito; avevo paura per ciò che mi avrebbe cambiata.
-Ho capito- disse infine -Anche se potevate almeno avvisarci- per un momento il suo volto fu rischiarato da un sorriso.
Anche Chris sorrise davanti alla sua comprensione -Diciamo è stata una precauzione-.
-Capisco- annuì -Allora il detective Mac Taylor e la sua squadra vi offre il suo aiuto, per quanto possibile- tese una mano verso di noi.
Chris l’afferrò con forza -I detective Christopher Brown e Jessica Angell accettano con gratitudine-.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Emozioni Bugiarde ***


Capitolo XV - Emozioni Bugiarde


Quando io e Chris finimmo di chiarire gli ultimi dettagli di una nostra cooperazione con i colleghi di New York, uscimmo dall’ufficio e ci dirigemmo verso l’entrata principale per andarcene da lì il prima possibile.
-Aspetta un secondo- dissi, fermandomi di colpo in mezzo al corridoio e afferrando Chris per un braccio -Non di qui-.
-Cosa…?- chiese lui, con espressione interrogativa.
-Non usciamo di qui. Passiamo dal retro- feci dietrofront e mi incamminai verso un’uscita secondaria.
-Perché scusa?-.
-Non voglio correre rischi- spiegai -Non vorrei che uscendo di qui mi trovassi faccia a faccia con uno degli scagnozzi di Montano. Meglio passare dal retro-.
-Giusto- convenne lui, camminando di fianco a me.
Avevo appena adocchiato un’uscita secondaria che dava su un vicolo chiuso tra i due palazzi quando sentii una voce familiare alle mie spalle; mi fermai un momento e, dopo aver tratto un bel respiro profondo, mi voltai pronta a difendermi per l’ennesima volta.
-Dove diavolo pensi di andare?- lo sbirro che mi aveva fermata e che mi aveva arrestata era in piedi davanti a me e aveva la faccia di uno che sta per perdere le staffe una volta per tutte.
-Te l’avevo detto che sarei uscita di qui prima che voi ve ne sareste resi conto- risposi, sfoggiando quel suo stesso sorrisino che mi aveva tanto irritata e che, in quel momento, stava facendo lo stesso effetto su di lui.
-Si può sapere che stratagemmi hai usato per tirartene fuori tanto facilmente?-.
-Perché non lo chiedi al tuo capo- dissi, voltandomi di nuovo -In fondo è stato lui a togliermi le manette-.
Non ebbi nemmeno il tempo di fare più di tre passi che mi sentii strattonare per il braccio e dovetti girarmi di nuovo, ritrovandomi con il viso a pochi centimetri di distanza dal suo.
Solo ora so il perché della mia reazione, ma in quel momento non riuscivo a capire niente; ero come rimasta ipnotizzata, accecata, incapace di muovermi o persino di ricordarmi come si fa a respirare. Non riuscivo a distogliere lo sguardo, a stento riuscivo a sbattere le palpebre per mantenere le iridi umide. Le mani mi si ghiacciarono all’istante e sentii il cuore iniziare a battermi nel petto all’impazzata, sentendo il sangue pulsare nelle vene a più non posso, rendendomi incapace di sentire un altro rumore che non fosse quel tum-tum nelle orecchie e nelle tempie che mi dolevano. Mi sentivo la bocca asciutta e non riuscivo nemmeno a deglutire; mi sentivo le gambe tremendamente molli e per un momento temetti di cadere a terra.
Non so per quanto tempo rimasi così imbambolata, incapace di intendere e di volere, ma sapevo che era abbastanza per farmi un lavaggio del cervello, centrifuga e asciugatura inclusi.
-Giuro sul mio onore che ti darò la caccia, Ashley- disse lui, interrompendo quel silenzio assordante, con un tono simile a un sibilo carico di minaccia.
-Avrai una bella sorpresa, allora- gli risposi quando riuscii a recuperare la voce -Perché non sono quello che credi-.
-Davvero?- fece finta di sorprendersi, o almeno così mi parve -Vuoi davvero dirmi che non sei un’assassina?-.
-No. E non lo sarò mai-.
Non avrei saputo come si sarebbero evolute le cose se in quel momento non fosse intervenuto Chris. Con un gesto repentino mi tolse dalla stretta del poliziotto e si mise davanti a me come proteggermi, nascondendomi per metà con il suo corpo.
-Basta così- disse con un tono glaciale -Lei non ha diritto di bloccarci così. Abbiamo avuto il permesso di andare via, quindi se non le spiace…- lasciò la frase a metà, lasciando sottinteso tutto il resto.
-Ma certo- fece l’altro, mollando la presa e alzando le mani, non senza mandare un’occhiataccia sia a me che a Chris -Andate pure-.
Chris gli lanciò una lunga occhiata, poi si voltò e mi fece cenno di seguirlo fuori di lì senza più indugiare. Lo seguii con passi brevi e tentennanti, come se fossi combattuta tra due forze opposte; quando mi voltai di nuovo indietro prima di chiudermi la porta alle spalle non lo vidi più.
Restai qualche momento più indietro, ferma accanto alla porta da cui ero appena uscita, ancora sovrappensiero; proprio non ero in grado di darmi delle spiegazioni, del perché avessi reagito così e non mi fossi difesa come tutte le altre volte. Solo in seguito riuscii a capire, quando riuscii a tirarmene fuori, ma in quel momento era tutto così maledettamente confuso e insensato. Era come se… non saprei come definirlo. Avevo perso qualsiasi cognizione non appena mi ero ritrovata a così pochi centimetri di distanza da lui e dai suoi occhi. Dio, quegli occhi… Era come se nascosti all’interno di quelle iridi ci fossero sia il paradiso sia l’inferno. Era come se…
-Ehi, ti vuoi dare una mossa?-.
La voce di Chris mi fece sobbalzare e all’istante ripresi la cognizione di dove mi trovavo. Sbattei un paio di volte le palpebre e lo cercai con lo sguardo, ritrovandomelo a qualche metro di distanza che mi guardava con espressione fredda; mi ripresi del tutto e mi affrettai a raggiungerlo.
-Si può sapere che ti è preso?- mi chiese una volta che fui di fianco a lui -Prima non riesci nemmeno a reagire alle provocazioni, e adesso ti imbamboli in mezzo alla strada-.
-Scusa, ma non so cosa sia…- dissi con un profondo imbarazzo -Non mi era mai capitato prima-.
-Beh, cerca di evitare altre situazioni che facciano capitare di nuovo episodi del genere- disse con voce dura.
-Perché te la prendi tanto?- gli chiesi, un tantino stupita.
-Perché prima mi fai venire qui di fretta e furia, dicendo che se farai tardi ti faresti scoprire, poi inizi a comportarti come una bambina e fai di tutto per aumentare il tuo ritardo- cercò con tutte le sue forze di ostentare sicurezza, ma per come lo conoscevo io sapevo che sotto c’era qualcos’altro, e lo intuii dal suo tono così duro.
-Non ci posso credere- dissi, scuotendo la testa.
-A cosa?-.
-Christopher Brown, allora hai dei sentimenti- feci io, quasi con sorpresa -Sei addirittura geloso!-.
 Lui sbuffò, senza guardarmi, e continuò a camminare, calciando di tanto in tanto qualche sassolino che aveva la sfortuna di capitare sulla sua strada.
-E’ così, sei geloso!- dissi, sempre più sorpresa -Sei veramente geloso di quello?-.
-Non dire stronzate, Jess- replicò lui, con tono sempre più secco e senza degnarmi di uno sguardo.
-Andiamo Chris, ammettilo! Si vede lontano un chilometro- continuai a punzecchiarlo, spingendomi oltre i limiti.
-Piantala Jess!- quasi urlò, voltandosi di scatto verso di me -Piantala di dire tutte queste cazzate! Mi hai implorato di venire a tirarti fuori dai guai, ed adesso sei fuori di lì. Ora però vattene e lasciami in pace!-.
-Ma Chris…- iniziai a dire, sconvolta, ma lui mi fu addosso come una bestia feroce.
-Vattene Jessica! Vattene via di qui!-.
-Io…- provai a dire, ma vedendo il suo sguardo lasciai perdere -D’accordo- dissi, poi mi voltai e me ne andai di lì, senza più voltarmi, senza più cercarlo.
 
Dopo aver percorso un paio di chilometri a passo lento e con la testa a poco prima, all’incontro ravvicinato con lo sbirro e la litigata con Chris, mi accorsi che si stava facendo veramente fin troppo tardi e che non sarebbe ancora molto tempo prima che Montano mandasse qualcuno dei suoi a cercarmi. Con la paura di essere vista e riconosciuta, iniziai a camminare sempre più velocemente, fin quasi a correre, cercando di recuperare tutto il tempo che avevo perso poco prima con tutto quel casino.
Grazie a Dio non incontrai nessuno che mi conoscesse, così quando arrivai nei pressi dell’appartamento iniziai a rallentare il passo, anche se sentivo i nervi che stavano cominciando a contrarsi e i muscoli diventare rigidi e intorpiditi. Cercando di tornare nelle vesti della spietata Ashley, salii i gradini uno a uno, in modo del tutto naturale, senza dare nell’occhio. Come se ormai fosse diventata un’abitudine vecchia di anni, entrai nell’appartamento di Montano, accolta come al solito da un forte odore di sigaretta mescolato a un vago tentativo di migliorare l’ambiente con uno spray profumato.
Mi aggirai tra le stanza silenziosamente, tendendo le orecchie in cerca di qualsiasi suono che mi dicesse che c’era qualcuno, ma l’appartamento era come una tomba. Né Montano, né Taylor, né nessun altro. Non sapevo se esserne felice in quanto non avrei avuto alcun problema, oppure se pensare che avevo perso un’altra occasione per affrontare Taylor a viso aperto dopo quello che mi aveva combinato.
Nonostante tutto, come al solito mi rinchiusi nella mia camera per il resto della serata, pensando e ripensando al perché di quella reazione di Chris: insomma, non avevo detto niente di particolare. Dopotutto, ero rimasta chiusa in quella stanza per non so quanto, con i nervi talmente tesi che avevo paura di scoppiare da un momento all’altro, e mi sembrava normale che una volta uscita di lì potessi parlare liberamente e magari scherzare un po’ per allentare la tensione. In seguito avrei scoperto il perché, ma in quel momento era tutto un punto interrogativo.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** A Viso Aperto ***


Capitolo XVI - A Viso Aperto


No, quella volta non mi sarei lasciata scappare l’occasione. Mi ero affilata le unghie per tutta la settimana, era ora di passare all’attacco e sferrare il mio colpo. Carpe diem, così dicevano i romani. Era quello che avrei fatto: non mi importava di chi potesse sbarrarmi la strada, avrei combattuto con le unghie e con i denti e sarei arrivata al mio scopo, non importava come, ma solo il fatto che lo avrei fatto il prima possibile. Taylor non sarebbe scappata da me ancora per molto tempo.
 
Mi svegliai di soprassalto quando sentii fuori dalla finestra il suono secco e prolungato del clacson di un camion giù in strada. Mi misi a sedere sul letto cercando di riprendere il controllo; avrei dovuto sapere che mi sarei svegliata sul punto più bello del sogno. Come ogni altra volta, dopotutto.
Scesi dal letto e mi vestii, presi la pistola dal cassetto del comodino e l’assicurai alla cintura, poi uscii dalla mia stanza. A parte due uomini di Montano e me, lì dentro non c’era nessuno, e di Taylor nemmeno l’ombra; evidentemente stava succedendo qualcosa di grosso, e io dovevo tenermi preparata.
Passai nel soggiorno come se nulla fosse, facendo appena un cenno della testa quando i due uomini che stavano parlando fitto tra di loro mi videro; senza curarmi dell’argomento della loro discussione, presi la porta e uscii di lì, non sapendo dove dirigermi.
Scesi in strada e iniziai a camminare lungo il marciapiede, senza sapere dove andare o dove poter trovare Taylor per darle una bella lezione. Nel frattempo avrei potuto pensare a cosa dirle una volta che le avrei puntato la pistola alla testa… Ero certa che fosse coinvolta in quella soffiata alla polizia che mi aveva portata dentro per un paio d’ore, ma non sapevo ancora come dimostrarlo. Di certo si sarebbe inventata tante scuse per screditarmi di fronte a Montano…
No, lui non sarebbe stato presente quando l’avrei affrontata. Non poteva permettersi che una come me potesse interferire con la sua puttanella da quattro soldi, l’avrebbe protetta a tutti i costi, facendomi passare come la cattiva di turno e quella invidiosa di lei.
Quel pensiero mi fece raddrizzare i capelli sulla nuca: io, invidiosa di quella? Ma per favore! Non ero così fuori di testa da pensare minimamente di mettermi con un bastardo come Montano, facendogli da passatempo. Avrebbe dovuto passare sul mio cadavere prima di trasformarmi così, poco ma sicuro.
L’unico metodo per essere sicura che fosse stata lei a mettermi nei casini era indurla a fregarsi con le sue stesse mani… Il problema era come farla parlare senza destare troppi sospetti?  Una parola di troppo e mi sarebbe costata la vita, una di meno e il risultato avrebbe potuto rimanere invariato. Insomma, un casino.
Gettai la testa all’indietro e feci un gran respiro, continuando a camminare lungo il marciapiede tenendo le mani in tasca. Dio, quanto volevo che quella storia finisse… Mi stavo consumando lentamente, giorno dopo giorno, e la mia lucidità e freddezza erano messe a dura prova ogni secondo che passavo all’interno di quel lurido appartamento. Presto o tardi sarei impazzita di sicuro, e mi sarei fatta scoprire, mettendomi ancora di più nei guai. Perlomeno, se mi avessero scoperta e ammazzata a sangue freddo, non avrei più dovuto preoccuparmi di nulla. Nessuno mi avrebbe più usato, nessuno mi avrebbe più cercata. Nessuno mi avrebbe più amata.
A chi sarei potuta mancare? A Chris forse? No, forse nemmeno a lui. Era stato lui a dirmi che aveva smesso di credere in noi da tempo, perché avrebbe dovuto piangere sulla mia lapide? Sarei rimasta sola come un cane, sarei finita nell’oblio, dimenticata da tutti. Sarei stata soltanto un mucchio di ossa sepolte sotto un paio di metri di terra.
Tornai con i piedi per terra quando mi scontrai per caso con un uomo vestito in giacca e cravatta che stava correndo verso di me; mi voltai a guardarlo per controllare chi fosse, ma poi capii che non era qualcuno di cui preoccuparsi: solo un uomo d’affari che stava perdendo l’autobus per il lavoro.
Mi voltai di nuovo a guardare di fronte a me, continuando a camminare, cercando di allontanare quei pensieri: se ci avessi pensato ancora per un solo secondo, sarei scoppiata in lacrime, e non era proprio il caso di farsi prendere dai sentimentalismi e dalle emozioni. Cavolo, no… Non potevo essere così dannatamente romantica e melodrammatica, mi avrebbe rovinato tutta la messinscena che avevo costruito con fatica.
Voltando per un momento lo sguardo verso l’altro lato della strada, vidi qualcosa che non mi sarei mai aspettata di vedere. Forse per una volta la fortuna aveva deciso di sorridermi, una volta ogni tanto…
Cercando di non farmi investire dalle auto, attraversai di corsa la strada e ripresi a camminare sull’altro marciapiede, a ritmo costante e sostenuto, cercando di non perdere di vista il mio obiettivo. Con quei capelli così rossi, era impossibile non accorgersi di lei. Taylor… sarebbe stata tra le mie mani, finalmente. La vidi camminare con lo sguardo puntato davanti a sé, senza esitare e senza guardarsi attorno, ben intenzionata ad arrivare dove stava andando. Sempre che io glielo avessi permesso.
Fendendo la folla a colpi di gomito, riuscii ad avvicinarmi abbastanza, tanto da riuscire a fermarla dandole uno strattone. Feci un rapido calcolo della nostra posizione, poi mi decisi ad agire: allungai il passo e, cercando di non farmi notare, mi affiancai a lei e la presi per un braccio, trascinandola nel vicolo cieco davanti a cui stavamo passando. La trascinai circa per metà vicolo, lontano dalla folla e da occhi indiscreti, poi la misi contro al muro e le puntai la pistola proprio sotto il mento.
-Finalmente ti ho trovata da sola, puttanella che non sei altro- dissi con una voce simile a un ringhio.
-Dovrei avere paura dei tuoi giocattolini?- fece lei, credendo di essere molto più forte di me; il problema era che non sapeva quanto potessi essere cattiva quando ero infuriata.
-Oh sì, devi esserne terrorizzata- tolsi la sicura, dimostrandole che facevo dannatamente sul serio -Parla o ti faccio saltare in aria il cervello-.
-Vuoi aggiungere un’altra accusa di omicidio al tuo curriculum?-.
Feci un sorrisetto -Sono una professionista. La polizia non mi ha mai beccato-.
-Forse perché non ne hanno avuto l’occasione, ma sono sicura che prima o poi tu finirai dietro le sbarre- sfoderò un ghigno che mi fece imbestialire ancora di più; se non fossi stata una persona con i nervi saldi, probabilmente le avrei sparato alla prima occasione.
-Riuscirò a nascondere il tuo cadavere in maniera perfetta- dissi, aumentando la pressione della canna della pistola sulla sua gola -Credimi, sei già sepolta-.
Lei alzò le mani come per arrendersi, ma il suo era solo un modo patetico per farmi perdere le staffe -Oh ti prego, spietata assassina, non farmi del male!- implorò lei, quasi esasperandomi.
-So quello che hai fatto, dannata bastarda- dissi, con gli occhi stretti in due fessure -So che sei andata alla polizia per farmi arrestare. Dì quello che sai o giuro che questo sarà il tuo ultimo giorno-.
-Perché avrei dovuto farlo?- fece lei, con tono quasi sorpreso e avvilito -Non sono questo genere di persona-.
-Oh hai ragione- risposi -Sei molto più viscida e subdola. Anche se questo rientra nel tuo stile-.
-Io non ho fatto quella telefonata anonima!-.
Non appena sentii quelle, mi lasciai scappare una risatina e mi allontanai di un passo, continuando a tenere la pistola puntata su di lei. Lei respirò profondamente non appena tolsi il braccio appoggiato sul suo petto e mi guardò male, con i suoi freddi occhi di ghiaccio.
-Lo sai, sei una vera idiota- dissi, con un ghigno.
Taylor mi guardò per un secondo, poi si rese conto di quello che aveva detto -Maledetta stronza, io ti ammazzo…- fece per avvicinarmisi, ma io le ricordai che impugnavo un’arma puntata proprio contro di lei.
-Prima devi riuscire a evitare tutto il caricatore- rimisi la sicura -Ora, ammetti di aver fatto quella telefonata e dimmi il perché-.
-Sì, è vero, l’ho fatto- ammise lei, sempre con lo sguardo di sfida negli occhi -L’ho fatto perché te ne devi andare, tu non sei la benvenuta-.
-Mi pare che Montano non la pensi come te- dissi, inarcando un sopracciglio.
-Non so che cosa sia preso a Greg, probabilmente è convinto che gli sarai utile, ma io penso che l’unico aiuto che ci darai sarà quello di farci andare a fondo-.
Oh sì, aveva ragione. Li avrei fatti affondare tutti, uno dietro l’altro, smantellando la sua organizzazione come una ruspa che distrugge una casa. Non era ancora arrivato il mio momento, ma quel giorno prima o poi sarebbe arrivato e i miei problemi sarebbero stati sepolti insieme a loro.
-Ti vorrei ricordare che se affondate voi affondo anche io- dissi -Non mi sembra che rientri nei miei interessi-.
-Io non so cosa ti faccia comodo, ma giuro che scoprirò tutto su di te e ti ucciderò con le mie mani, puoi starne certa-
Un brivido  mi corse lunga la schiena, mentre le immagini di quel sogno di qualche notte prima mi bombardavano la mente. No, non sarebbe andata a finire così. Non avrebbe vinto lei, avevo molte carte da giocare ancora e lei non poteva certo prevedere tutte le mie mosse.
-Io non ho niente da nascondere- le risposi, forse con un tono non troppo convinto.
-Tanto meglio- ghignò lei -Sarà ancora più divertente quando dirò a Greg la verità-.
-Grandioso- dissi, mettendo a posto la pistola -Allora ci si rivede alla resa dei conti- detto questo mi voltai e me ne andai, sparendo ben presto in mezzo alla folla.
Avevo ragione, Taylor era coinvolta… Era stato il suo piano per scoprirmi e farmi perdere credito agli occhi di Montano quando ne avrebbe avuto le prove. Grazie a Dio era andato tutto bene, non era trapelato niente, ma ancora non sapevo quanta verità potesse conoscere.
Mi rendevo perfettamente conto che ogni secondo che passava ero sempre più in pericolo e che ben presto la mia copertura sarebbe saltata per aria, ma ero convinta che in poco tempo sarebbe tutto finito e, se fosse uscita la verità, era perché era giunto il momento opportuno.
 
-Ashley, puoi venire un momento nell’altra stanza per favore?-.
Ero tornata nell’appartamento di Montano da un paio d’ore dopo il testa a testa con Taylor quando lui si affacciò alla porta della mia stanza. In quel momento ero seduta sul letto con la pistola davanti, intenta a ripulirla e di tanto davo uno sbirciata alle carte che tenevo nascoste dietro al fianco.
Quando sentii chiamarmi, nascosi tutto in fretta e furia sotto il lenzuolo e, dopo un cenno affermativo della testa, chiusi tutto con cura all’interno dell’armadio, poi andai in soggiorno, dove Montano mi stava aspettando.
-Che succede?- chiesi, rimanendo in piedi vicino alla porta.
-Vieni, siediti pure- Montano mi indicò di sedermi sul divano, di fianco a lui -Devo parlarti di una cosa importante-.
Un po’ titubante, mi avvicinai a passi lenti e misurati, cercando di eliminare ogni tratto di orrore che, immaginavo, si stavano formando sul mio volto.
-Allora?- chiesi, sedendomi sul divano, sempre con cautela, quasi all’opposto del punto in cui si trovava Montano.
-Volevo dirti che domani sarà un grande giorno- disse lui, versando del vino in due bicchieri -Un tizio che aveva un debito con me mi ha detto che domani mi arriverà un gran quantitativo di droga, abbastanza per poterci arricchire tutti quanti-.
Fantastico! Quella era la mia occasione ideale per potermene andare e dare un taglio a tutta quella storia. Mi bastava solo fare una telefonata a Chris, dirgli il luogo… e sarebbe tutto finito.
-Grandioso- dissi -Quindi domani è giorno di paga?-.
-Direi proprio di sì- mi porse un bicchiere -In questi giorni hai fatto un ottimo lavoro e proporrei di continuare a lavorare per me. Ovviamente verrai pagata per tutto-.
-Fantastico-.
-Bene. Allora brindiamo a questa nuova collaborazione- prese il bicchiere e sfiorò il mio, provocando un leggero suono nell’aria.
Mi portai il bicchiere alle labbra, mentre subito l’odore mi pizzicò le narici; mi bastò solo un sorso per farmi rabbrividire dal disgusto. Allontanai subito il bicchiere e lo appoggiai sul tavolino, mentre Montano continuava sempre a fissarmi, con il calice in mano. Feci per alzarmi e tornare nella mia stanza, ma non appena mi misi in piedi traballai sulle gambe molli e ricaddi indietro, seduta sul divano.
Mi presi la testa tra le mani, mentre sentivo tutto il mondo vorticare attorno. I suoni erano attutiti, come se ogni cosa lì dentro fosse imbottita di cotone, e la vista iniziò a sfocarsi e a vacillare.
Non so esattamente cosa accadde, ma mi ritrovai praticamente stesa sul divano, con la testa appoggiata sul bracciolo, mentre le luci diventavano ombre e io venivo inghiottita dall’oscurità.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Sesso, Droga e Proiettili ***


Capitolo XVII - Sesso, Droga e Proiettili


Quando ripresi conoscenza ero ancora tutta intontita. Mi sentivo la gola secca e collosa, le palpebre sembrava fossero sigillate dalle ciglia e non ne volevano sapere di aprirsi. Mi sentivo le gambe e le braccia intorpidite e a malapena riuscivo a muoverle senza avere fitte di dolore; provai a sollevare la testa, ma la sentivo pesantissima e ricaddi sopra il cuscino. Mi passai la lingua sulle labbra aride, riuscendo finalmente a schiudere almeno un po’ gli occhi.
La luce proveniente dalla finestra di fronte mi ferì le iridi, costringendomi a richiudere subito gli occhi. Mi girai cercando di non fare movimenti azzardati; nel momento stesso in cui mi voltai percepii uno strano odore. Cercando di tirarmi su a sedere, riaprii gli occhi e vidi che c’era qualcosa che non quadrava.
Quella non era la mia stanza. Non ero nel mio letto, e una strana sensazione mi correva sulla pelle. Inspirai profondamente, cercando di capire cosa fosse successo; sentii di nuovo quell’odore, uno strano miscuglio tra fumo e un profumo da uomo.
-Alla fine ti sei svegliata- disse una voce di fianco a me, con una sottile linea di divertimento.
Mi voltai di lato, con improvviso dolore al torace, e per un momento credetti di morire sul momento: Montano era steso di fianco a me, appoggiato con la schiena al cuscino, e stava fumando un sigaro con un’espressione più che soddisfatta dipinta sul volto.
Solo allora capii cos’era quello strano formicolio sulla pelle: mi guardai e notai con orrore che ero coperta solo dal lenzuolo, mentre il mio corpo era completamente nudo. Mi coprii come meglio potevo, mentre il disgusto e l’orrore al solo pensiero di quello che poteva essere successo mi correvano lungo la spina dorsale, come una fredda scarica elettrica.
-Mio Dio!- quasi urlai, alzandomi di scatto e trascinando con me il lenzuolo -Sei un porco!-.
-Mi sembra che stanotte ti sia divertita- controbatté lui con un ghigno sul volto.
-Mi fai schifo!- corsi via da quella camera e mi rinchiusi nel bagno con una doppia mandata.
Mi infilai subito sotto la doccia per togliermi di dosso quell’odore che mi stava distruggendo fisicamente e mi stava annebbiando la percezione della realtà. L’acqua mi scivolava addosso come un fresco ristoro, ma io non riuscivo a concentrarmi su quel sollievo. Ancora sentivo addosso l’odore di quel porco, e non potevo nemmeno immaginare cosa potessi aver fatto quella notte…
Come potevo essere stata così stupida? Sapevo perfettamente che quel bastardo mi voleva a tutti i costi, che già una volta c’aveva provato, eppure io ero caduta nella sua trappola. D’altronde, come potevo sapere che avrebbe agito in un modo tanto subdolo quando la prima volta era stato molto più esplicito? Dio che casino…
Scivolai giù a terra, prendendomi la testa tra le mani, mentre l’acqua fredda mi correva addosso senza che io ne sentissi i benefici. Mi sentivo così… Oh nemmeno io ero in grado di dire com’era quella dannata sensazione. Se solo pensavo a quel bastardo, con me, nello stesso letto… Un brivido mi percorse lungo tutto il corpo, facendomi rabbrividire dall’orrore.
Come avrei fatto a dirlo a Chris? Che gli avrei detto a riguardo? Ma lui, cosa avrebbe fatto? Si sarebbe semplicemente fatto da parte, lasciando che fossi io a vedermela da sola, o lui mi avrebbe in qualche modo aiutato, standomi vicino e cercando di tranquillizzarmi?
Chinai la testa sulle ginocchia e iniziai a piangere, lacrime amare che mi scivolavano lungo le guance e che si confondevano con le gocce dolci che cercavano di portare via quello schifo dal mio corpo.
Ero vuota, confusa, senza più certezze… Quel bastardo mi aveva annientato, aveva distorto i miei sensi e si era preso gioco di me. Mi aveva reso un inutile fantoccio senza più coraggio, voglia di combattere, voglia di vendetta. Ero come un rottame inutile, senza più niente di utile da offrire. Ero soltanto una donna senza emozioni, senza vita.
 
Mi riscossi quando sentii dei passi pesanti fuori dalla porta. Alzai la testa di scatto, realizzando che mi trovavo ancora dentro la doccia e che l’acqua mi stava ancora scivolando addosso. Senza alzarmi chiusi il rubinetto e rimasi in ascolto per un po’, finché non sentii più niente. In fretta e furia uscii di lì e mi avvolsi dentro un asciugamano, cercando di riscaldarmi un po’ prima di tornare di corsa nella mia camera.
Mi fermai per un momento di fronte allo specchio e osservai in silenzio il mio riflesso: negli occhi c’erano ancora tutto l’orrore e la disperazione che mi stavano scavando dall’interno, rodendo ogni singolo straccio di sensazione vitale.
Stavo per andarmene nella mia stanza quando notai qualcosa di strano appoggiato sul bordo del lavandino: mi chinai per un momento e mi ritrovai tra le mani un sacchettino di pillole bianche e una bottiglietta di vetro con un liquido trasparente all’interno. Non appena vidi quel sacchetto, come in una specie di déjà-vu, mi ricordai di una mano che mi offriva una di quelle e un bicchiere d’acqua che avevo ingenuamente accettato.
Ora mi era tutto chiaro, e sentivo dentro di me che la mia rabbia e la mia disperazione stavano crescendo a dismisura, mescolandosi e diventando qualcosa che non sarei riuscita a trattenere facilmente.
Presi quella roba in mano e, dopo essermi vestita per evitare un nuovo attacco, mi diressi nella camera di Montano, dove lui si stava ancora rivestendo. Entrai senza nemmeno bussare e feci il mio ingresso come una furia con la voglia di distruggere tutto ciò che mi capitava a tiro; se fosse stato il momento giusto lo avrei ammazzato in quel momento.
Quando mi sentì entrare si voltò di scatto e, vedendomi, fece un sorrisetto -Sei venuta per il secondo round?- disse.
Per tutta risposta lanciai il sacchetto e la boccetta di vetro sul letto e glieli indicai con un’espressione che voleva dire tutto -Tu non ne sai niente, vero?- chiesi.
-Che roba è?- fece lui con aria innocente, come se non capisse di cosa stessi parlando.
-Ecstasy e roipnol- risposi, facendo qualche passo verso di lui e incrociando le braccia sul petto -Allora, non ne sai niente?-.
-Sono due droghe- continuò a tenere la sua faccia da angelo, ma sapevo bene che era tutto opera sua.
-Le due droghe dello stupro perfetto-.
Lui sbuffò -Che me ne dovrei fare, scusa? Saranno di qualcuno dei miei…-.
Con uno scatto improvviso mi avventai su di lui e lo spinsi contro il muro, puntandogli la pistola alla gola, appena sopra il pomo d’Adamo -No maledetto stronzo, quella roba è tua- dissi, fissandolo dritto negli occhi.
Fece un sorrisetto -Vedo che sei ancora piuttosto eccitata, mia cara-.
-Oh non sai quanto sono eccitata per ucciderti-.
-Non dire queste cose- disse, con un tono quasi di rimprovero -Stanotte eri piuttosto soddisfatta-.
-Vorrai dire che ero fatta per colpa tua- premetti ancora di più la pistola contro la sua gola -Tu mi hai offerto quel vino drogato, e quando mi stavo riprendendo mi hai dato l’ecstasy-.
Alzò gli occhi al cielo per un momento, poi tornò a fissarmi -Sì, è vero. Ed è stato veramente fantastico-.
-Sai cosa sarà fantastico? Vedere il tuo corpo cadere in mezzo al fiume-.
-Non mi puoi uccidere- disse con un sorrisetto di trionfo dipinto sul volto -Vorrei ricordarti che tu sei sotto la mia protezione, e se mi ucciderai finirai dritta in galera-.
-Sai, non me ne frega un cazzo se sei tu a proteggermi- risposi -Perché quando io ti ammazzerò, sarò fuori dalla tua vita da un pezzo-.
-Io non credo- continuò lui, sempre con quel dannato ghigno -Tu non mi abbandonerai tanto facilmente-.
-Oh invece sì. Sarà un gioco da ragazzi, e presto te ne accorgerai- detto questo, rimisi la pistola al sicuro alla cintura e me ne andai da lì, sbattendo con forza la porta.
Mentre stavo tornando nella mia stanza, passai davanti a una porta accostata da cui si sentiva un forte bisbiglio, perciò mi appostai lì fuori in silenzio, ascoltando attentamente.
-Allora, quando arriva la roba?- disse una voce maschile.
-Da quanto ha detto Greg, questa mattina tra un’ora circa- disse una seconda voce, anch’essa sconosciuta -Ha detto anche che il suo contatto sarà lì al porto, al molo 16, per concludere l’affare-.
-Speriamo che non sia un buco nell’acqua come l’altra volta, quando…-.
Non seppi mai cosa successe l’altra volta perché me ne andai di lì, prima di essere scoperta. Avevo ormai abbastanza informazioni per dire a Chris dove potevamo mettere fine alla vicenda, quindi non mi rimaneva altro che dirglielo.
Mi rinchiusi nella mia stanza, poi tirai fuori il cellulare e composi il numero di Chris, attendendo che mi rispondesse. Dopo qualche squillo andato a vuoto scattò la segreteria: “Al momento non posso rispondere, vi richiamerò più tardi”. Dannazione ci mancava solo quella.
Quando scattò il segnale della registrazione gli lasciai un messaggio -Chris, sono io. E’ arrivato il momento: alle dieci al porto, da quello che ho capito al molo 16. Chiamami appena senti questo messaggio-.
Chiusi la conversazione con la strana sensazione che Chris non avrebbe mai ascoltato la segreteria, perciò non mi rimase che un’altra scelta. Composi un altro numero e aspettai la risposta.
-Detective Taylor- rispose l’uomo dall’altra parte dopo nemmeno due squilli.
-Detective, sono l’agente Angell- dissi con un certo sollievo, ma anche con uno strano senso di amaro in bocca -Non riesco a raggiungere il mio collega, perciò ho pensato di informare voi-.
-Che succede?- mi chiese.
-Tra un’ora, molo 16. Concluderanno l’affare, dobbiamo intervenire oggi o non avremo più speranze- dissi, coprendo la cornetta con la mano e abbassando di più la voce - Ho bisogno di quanti più rinforzi possibile-.
-Metterò in allerta i colleghi e faremo in modo di essere lì-.
In quel momento sentii dei passi avvicinarsi alla mia porta e qualcuno bussò, cercando anche di aprire la porta che avevo, per fortuna, chiuso a chiave.
-Devo andare- dissi, chiudendo la comunicazione ed andando aprire, per poi ritrovarmi di fronte Montano.
-Oh finalmente- fece lui, squadrandomi da capo a piedi.
-Ero al telefono- risposi, inarcando un sopraccigli -Che vuoi?-.
-Inizia a prepararti. Abbiamo un appuntamento e tra un quarto d’ora ci muoveremo-.
-Faccio in un attimo- gli richiusi in faccia la porta, poi iniziai a raccogliere le mie cose.
Finalmente me ne sarei andata da lì, e senza alcun rimpianto. Stava tutto per finire, finalmente sarei tornata alla libertà, alla mia vita… No, forse non proprio.
Quella storia mi aveva sconvolto, mi aveva segnato, mi aveva cambiato, ferendomi nel profondo. Probabilmente non sarei stata quella di prima… Eppure nemmeno io sapevo come sarei stata, cosa sarebbe stato di me, cosa avrei fatto.
Scacciai quei pensieri; non era certo quello il momento di pensarci. Ancora qualche dannatissima ora e sarebbe tutto finito. Finalmente.
Misi tutta la mia roba dentro la sacca e la lasciai dentro all’armadio; andarmene con quella in giro avrebbe destato parecchi sospetti… Presi con me solo la mia pistola, poi uscii di lì, consapevole del fatto che sarei tornata in quella stanza solo per lasciarla per sempre.
 
Cinque minuti più tardi mi trovai in macchina, diretta verso il molo. Di tanto in tanto sfioravo con la mano la pistola assicurata alla cintura, per rassicurarmi. Il paesaggio sfilava via al mio fianco, mentre pensavo che forse, dopotutto, non mi avrebbe fatto poi così male tornare lì per un po’, giusto per riprendermi da quella storia.
Alla fine arrivammo. Entrammo in un capanno in disuso, abbastanza grande da contenere più di un container. Mentre camminavo mi guardavo intorno, giusto per farmi un’idea del luogo in cui mi trovavo e in cui si sarebbe svolta la mia ultima battaglia contro Montano.
Mi ripresi quando vidi Montano insieme a Taylor avvicinarsi ad un altro uomo, più o meno della stessa età, circondato da almeno cinque uomini, armati fino al collo. Gli strinse la mano egli porse una valigetta di metallo che aveva strettamente tenuto sottocontrollo. L’altro la aprì e, soddisfatto, fece un cenno a uno dei suoi uomini di portargli qualcosa.
Era quello il momento. Senza tirare fuori il cellulare feci partire la chiamata rapida che avevo precedentemente impostato e aspettai.
Rimasi in piedi a tormentare il telefono per un tempo che mi parve infinito, chiedendomi perché ci mettessero tanto ad entrare. E se non fossero ancora arrivati? Se l’affare si sarebbe concluso e loro non erano lì? Che avrei fatto?
In quel momento sentii uno stridio di ruote fuori dal capanno, e un secondo dopo centinaia di passi pesanti fecero il loro ingresso. In quel momento si scatenò l’inferno.
Corsi a trovarmi un rifugio dalla parte dei colleghi, dietro delle casse, mentre iniziavano a partire i primi colpi che esplodevano con un rumore assordante, peggio di qualsiasi altro suono. Rannicchiata dietro il mucchio di casse, caricai la mia pistola, pensando che finalmente era arrivato il mio momento. Avrei avuto la mia vendetta, Mary avrebbe potuto dormire sonni più tranquilli. Finalmente avrei reso giustizia a Matt.
-Ashley!- sentii chiamare -Ashley mettiti al sicuro!-.
Ormai era tutto inutile perché lei non c’era più. Non esisteva più nessuna donna con quel nome, nessuna donna che lui conosceva. Ormai Ashley era morta.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Doppia Identità ***


Capitolo XVIII - Doppia Identità


Era come se fosse arrivato il giorno dell’apocalisse: il rumore degli spari si confondeva con quello delle urla e con il cozzare dei proiettili contro pareti metalliche. Schegge impazzite di legno e frantumi di ferro volavano ovunque, mentre piogge di vetro si riversavano dalle finestre abbattute.
Rimasi nascosta dietro le casse per non so quanto tempo, aspettando il momento opportuno per scoprirmi e iniziare a scaricare qualche pallettone sui quei bastardi. Dopo un po’ riuscii ad avere un giubbotto antiproiettile che i colleghi mi avevano fornito con il passamano per tutto il capanno; lo indossai in fretta e furia e mi preparai per lo scontro finale.
Erano sparpagliati per tutto il capannone, e correvano da un rifugio all’altro, cercando di uscire da lì senza farsi ammazzare. Sporgendo appena la testa cercai Montano, ma in quel momento non riuscivo a vederlo. Decisi di cambiare la mia postazione per riuscire a trovarlo: iniziai a correre verso un altro cumulo di casse, tenendo la testa bassa. Quasi scivolai e mi trovai a terra, perlomeno al sicuro; aspettai qualche secondo, poi mi alzai in piedi per controllare la situazione, ma niente.
Un momento di troppo di esitazione per decidermi a nascondermi di nuovo e non mi accorsi di un uomo che mi stava puntando. Me ne accorsi solo quando mi ritrovai a terra con una ferita superficiale all’avambraccio sinistro che aveva iniziato a sanguinare.
-Stai per caso cercando di farti uccidere?- mi chiese l’uomo che mi aveva tirato giù all’ultimo secondo.
Solo quando alzai lo sguardo realizzai con chi stavo parlando; possibile che ovunque andassi, ovunque mi trovassi, lui fosse sempre in mezzo ai piedi?
-Sì è la mia prossima missione!- sbuffai, rimettendomi in ginocchio e controllando la ferita.
Lo sparo mi aveva anche strappato la manica della giacca, così non mi fu difficile strapparla e stringerla ben stretta attorno alla ferita che continuava a sanguinare copiosamente.
-Dovresti stare più attenta in queste situazioni- mi disse lui, aiutandomi con la benda.
-Dì un po’, ti comporti così con tutte le donne che ti capitano a tiro?- risposi di rimando, riprendendo in mano la pistola e appostandomi dietro le casse.
-Solo con quelle che se lo meritano- si mise di fianco a me, controllando di tanto in tanto.
-Onorata di meritarmelo-.
Un momento di calma, poi riniziai a sparare, più determinata che mai; dovevo assolutamente bloccare Montano prima che riuscisse a scappare, era la mia missione personale.
Quel rumore assordante mi stava facendo esplodere le orecchie e il mio cervello era impazzito, completamente fuso; con tutto quello che era successo negli ultimi giorni, tutto il nervosismo che avevo addosso e il terrore che mi faceva scattare ad ogni minimo movimento si stavano facendo sentire. Se riuscivo a rimanere concentrata era solo dovuto al fatto che presto sarebbe tutto finito e che avrei finalmente sbattuto Montano dietro le sbarre.
Dio quanto ero stanca… Davvero non ce la facevo più, ero distrutta sia fisicamente che psicologicamente, e ogni istante che passava era uno sforzo enorme; in quel momento mi tornarono in mente i ricordi della mia infanzia, quando giocavo con i miei fratelli nel cortile davanti a casa, sporcando di erba i vestiti e per questo mandando su tutte le furie mia madre…
In quel momento udii una voce urlare -Stanno scappando!-.
Sporsi appena la testa per controllare la situazione e vidi, dall’altra parte del capannone, Montano e Taylor che stavano cercando di scappare, il primo con i soldi in mano, mentre l’altra gli faceva da scudo contro i proiettili che rimbalzavano da una parte all’altra dell’edificio.
-Coprimi le spalle- dissi rivolta al tipo accanto a me -Devo fermarli-.
-Sei completamente pazza?!- rispose lui con gli occhi fuori dalle orbite -E’ un suicidio!-.
-Se tutta l’operazione salterà ti riterrò personalmente responsabile- lo minacciai -Ora, coprimi!-.
Lui non disse niente, ma aspettò qualche secondo, poi si alzò in piedi e iniziò a sparare un colpo dietro l’altro, sempre più velocemente. Ne approfittai all’istante e uscii dal mio nascondiglio, sparando qualche proiettile dietro di me, andando poi a nascondermi dietro una motrice poco distante dall’uscita verso cui si stava dirigendo Montano.
Feci capolino con la testa giusto per sbirciare la situazione, e vidi che Taylor era ormai prossima alla porta. Senza pensarci su due volte mi misi allo scoperto e iniziai a sparare nella sua direzione, cogliendola di sorpresa; mi ritirai subito quando sentii dei colpi avventarsi su di me.
Quando riuscii a farmi di nuovo avanti vidi una pozza scura che si stava allargando sul pavimento, dietro alcune casse ridotte ormai in schegge ricolme di piombo. Cercai di avvicinarmi più che potei e vidi che quella macchia che si stava allargando era sangue; lì in mezzo giaceva Taylor, con tre ferite al torace e all’addome. Montano era chinato sopra di lei e le teneva la testa in grembo, disperandosi come non mai.
Vedendo quello che avevo fatto, mi sentii il cuore stringersi in una morsa: non importava il fatto che fosse la mia peggiore nemica, che avesse cercato di uccidermi in tutti i modi, era pur sempre un essere umano, e io le avevo tolto quel diritto inalienabile che spetta a tutti fin dalla nascita.
Non importava che mi trovassi nel bel mezzo di un’operazione antidroga e che intorno a me ci fosse un inferno di ferro e fuoco, mi sentivo come pugnalata allo stomaco, come se in quel momento fossi io quella distesa sul pavimento, nella pozza del mio stesso sangue, in fin di vita, con il terrore negli occhi.
Per poco non mi lasciai scappare la pistola dalle mani, per quanto ero rimasta sconvolta; in quel momento Montano alzò gli occhi verso di me e i nostri sguardi si incrociarono per una frazione di secondo che mi parve un’eternità. Nei suoi occhi vidi un fuoco brillare, un istinto di rabbia che a malapena si poteva trattenere, mescolato a un’infinta voglia di vendetta.
Mi parve di vedere un certo senso di rifiuto da parte sua, ma dovetti ricredermi: si alzò in piedi e mi puntò contro la pistola, iniziando a sparare appena un secondo dopo che ero riuscita a nascondermi. Mi esposi solo con il braccio e sparai qualche colpo alla cieca, senza sapere dove stessi puntando. Quando riuscii a guardare di nuovo lo vidi correre all’indietro verso la porta, continuando a tenermi la pistola puntata contro.
-Montano fermati!- urlai in quel frastuono, ma lui continuò a correre.
Gettai un’occhiata veloce al resto del capannone, vedendo come tutti quanti stessero rischiando la loro vita; per il momento nessuno mi stava puntando, perciò corsi fuori dalla porta sul retro, ritrovandomi in un enorme piazzale in cui i container formavano un infinito labirinto di metallo.
Avevo perso di vista Montano e non sapevo dove si trovasse; avanzai cautamente tenendo il braccio teso davanti a me, muovendomi sempre con la schiena incollata alle pareti fredde di metallo. Sentii un paio di rimbalzi di ferro vicino a me, perciò mi nascosi nel primo luogo più vicino a me; mi sporsi un attimo con la testa e lo vidi un paio di metri più avanti, dietro un altro container.
-Montano arrenditi!- urali, ancora nascosta -E’ finita ormai!-.
-No non lo è ancora!- rispose, poi sparò ancora contro di me.
Aspettai che la sequenza di colpi cessasse poi, coprendomi con un’altra scarica di proiettili, avanzai di qualche metro nella sue direzione, andando subito a cercarmi un nuovo nascondiglio.
-Ascoltami, se continui così non otterrai niente!-.
-Non me ne importa un bel niente!- un'altra serie di colpi -Ho già perso tutto ormai!-.
Chiusi gli occhi per una frazione di secondo, cercando di riconquistare la calma, poi, sentendo che non c’erano guai in vista per il momento, strisciai silenziosamente verso di lui, senza sparare, nascondendomi dietro il suo stesso container. Nonostante il rumore infernale che proveniva dall’interno del capanno, sentii distintamente che aveva tolto il caricatore alla pistola e lo stava sostituendo con uno nuovo.
In quel momento riprese a sparare, e io mi acquattai ancora di più contro la parete di ferro, quasi volessi fondermi con esso. Dopo qualche secondo di nuovo tutto tacque e, prima di sgusciare fuori, lo cercai con lo sguardo, trovandolo poco più in là, mentre stava attraversando l’unico spazio vuoto di tutto il piazzale.
Era il momento, mi esposi e sparai in alto; come avevo previsto, lui si voltò di scatto e mi sparò contro. Quando non sentii più le esplosioni dei colpi mi feci avanti, senza più nascondermi. Era ora di finirla a giocare al gatto e al topo.
Quando mi vide andare senza esitazione verso di lui alzò di nuovo la canna della pistola, ma non ne uscì nessun proiettile. Guardò prima la pistola, poi me, senza capire il perché fossi tanto sicura di me stessa.
-Ho contato i colpi da quando hai sostituito il caricatore- dissi, mettendo fine a quel gioco che ormai stava durando da troppo tempo -Come ti avevo detto, sono un’abile assassina-.
-No, sei solo una puttana- rispose lui, lasciando cadere a terra la pistola -Ma sì, volendo anche un’assassina-.
-E’ qui che ti sbagli Montano- dissi, per niente impressionata dalle sue parole -Non sono mai stata un’assassina-.
-E di Taylor che mi dici? Non l’hai forse uccisa tu?- la sua voce era velenosa, piena di rabbia, e se non fosse stato che avevo ancora la pistola carica mi avrebbe colpito.
-E’ stato un incidente- risposi con voce dura.
Non avevo voglia di pensarci in quel momento, sarebbe solo stato un modo per distrarmi e, probabilmente, la pena di morte. Ora dovevo solo pensare a mettere una fine a tutto, e allora non avrei avuto più rimorsi.
-Ormai è finita- mi avvicinai -In ginocchio con le mani dietro la testa-.
Lui eseguì e pochi secondi dopo mi ritrovai davanti a lui, con la pistola puntata dritto in mezzo agli occhi. Per quanto volessi sparargli, non riuscivo a farcela.
-Avanti, spara- disse lui, vedendo il mio tentennamento -Tanto hai già ucciso una donna. Che differenza fa con me?-.
Il mio dito si mosse verso il grilletto, pronta a sparare; in quel momento ripensai a tutte le volte che avrei voluto farlo, tutte le volte in cui avrei voluto mettere fine a quella fottutissima storia. Ma mentre pensavo così, capii che non era quello che volevo davvero. Se davvero l’avessi fatto mi sarei messa nei guai da sola, gli squali degli Affari Interni avrebbero aperto un fascicolo su di me, ed era proprio l’ultima cosa che volevo capitasse.
Serrai la mano attorno alla pistola, rimettendo la sicura; non avrei sparato, non era l’unica via di fuga. Con sguardo duro e glaciale, lo colpì con tutte le mie forze alla testa con il calcio della pistola; lui cadde a terra, privo di sensi.
Rimasi a fissare il suo corpo inerte per non so quanto; provavo una certa sensazione di sollievo, come se mi fossi tolta un enorme macigno che non potevo più sopportare. Stavo per voltarmi per andare a chiamare qualcuno quando sentii dietro di me il rumore della sicura della pistola che veniva disinnescata e una voce che conoscevo fin troppo bene.
-Abbassa la pistola, ora-.
Mi voltai lentamente, con i muscoli completamente irrigiditi; non potevo credere che stesse succedendo veramente.
 
-Hai sentito quello che ti ho detto? Metti giù la pistola-.
Lasciai andare l’arma, poi alzai le mani e mi voltai lentamente verso di lui, cercando di convincermi che non fosse veramente lui, anche se in fondo lo sapevo perfettamente.
-Che lurido figlio di puttana- mormorai -Eri tu fin dall’inizio-.
-Già, ero io- Chris fece qualche passo verso di me, continuando a tenermi sotto tiro -Ma devo dire che è stato facile tenerti al guinzaglio-.
-Mi fidavo di te- dissi, come se stessi sputando un boccone disgustoso - Avrei dovuto immaginare che fossi tu la talpa del dipartimento-.
-Beh, non mi hai scoperto- fece un sorrisetto -Perciò ora toglierti di mezzo sarà un vero piacere-.
-Mi fidavo di te… Ed è per questo che mi hai portato a letto, non è così?-.
-Soprattutto per quello, ma volevo anche farmi la donna più cocciuta e sexy del distretto-.
-Mi fai schifo, maledetto bastardo-.
-Oh andiamo, perché ti comporti così adesso?- mi venne vicino e mi sfiorò la guancia, ma io mi ritirai -Mi sembrava ti divertissi con me-.
-Forse non ti avevo ancora conosciuto abbastanza-.
Non mi rimanevano molte possibilità, dovevo agire in quel momento stesso. Subito dopo aver pronunciato quelle parole, scattai verso di lui, facendogli perdere la presa sulla pistola. Lo colpii allo stomaco con una ginocchiata, ma a lui bastò afferrarmi per il braccio ferito e stringermelo con forza per farmi cadere a terra, in preda al dolore.
Avevo il malditesta per quanto il braccio mi facesse male, non potevo certo permettermi che mi uccidesse sul momento. Con la coda dell’occhio vidi la mia pistola a pochi passi di distanza, perciò strisciai in quella direzione, ma Chris fu più veloce di me e la raccolse lui, puntandomela poi contro.
-No, non si fa-.
Alzai lo sguardo verso di lui, ma non riuscivo a vedere bene il suo volto, dal momento che il sole mi feriva gli occhi e lui rimaneva in penombra. Mi costrinse ad alzarmi di forza strattonandomi il braccio, poi mi perquisì, in cerca di altre armi e delle manette che portavo nascoste nella cintura.
-Lo sai, è stato un vero piacere lavorare con te- mi disse all’orecchio, mentre mi ammanettava con le braccia dietro la schiena, poi mi fece voltare verso di lui.
-Non la farai franca- dissi, cercando di convincere più che altro me stessa -Se ne accorgeranno che sei stato tu-.
-Davvero credi che non abbia un piano?- rise lui, poi mi spinse all’indietro, facendomi ritrovare in ginocchio davanti a lui -Non sono così sprovveduto-.
-Ammanettarmi non è stato astuto da parte tua-.
-Davvero? Io non credo- si inginocchiò di fronte a me, e con la canna della pistola mi scostò una ciocca di capelli dalla fronte -Ti ho vista rincorrere Montano fuori dal capannone, ma non sono riuscito a raggiungerti in tempo. Nel frattempo voi due avete lottato e lui ti ha sottratto la pistola, ammanettato e ti ha ucciso. Quando sono arrivato non ho potuto far altro che ucciderlo e informare gli altri-.
Rimasi letteralmente a bocca aperta; non potevo credere che avesse pianificato tutto nei minimi dettagli. Ma cosa mai poteva succedere di diverso? Chris era la persona che mi conosceva meglio in assoluto, era ovvio che sapesse tutto di me e di come avrei ragionato e agito.
Ero stata una stupida a fidarmi di lui… e ora nei avrei pagate le conseguenze. Chiusi gli occhi, attendendo il mio momento; non volevo vederlo mentre premeva il grilletto, non volevo andarmene all’altro mondo con quel ricordo.
-Addio puttana-.
Feci un respiro profondo. Volevo solo che finisse in fretta, non avevo voglia di stare lì ad aspettare oltre. Volevo pagare le conseguenze del mio gesto, e subito. Alla fine, uno sparo.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** La Morale della Favola ***


Capitolo XIX - La Morale della Favola


Mi girava la testa, mi sentivo tutto il corpo molle e indolenzito. Dietro le palpebre serrate iniziarono a formarsi delle strane immagini colorate che si muovevano sinuosamente; penso di essere caduta a terra priva di forze, con le mani ancora ammanettate dietro la schiena, ma ero talmente stordita che non ne sono totalmente sicura. Credo di essere rimasta stesa a terra per interi minuti che mi parvero ore; non so cosa stessi aspettando, perché non mi decidevo ad aprire gli occhi e constatare cos’era successo e chi aveva sparato.
Come in un sogno sentii dei passi che si avvicinavano a me, con cautela e senza fretta; mi parve di intuire un’ombra stagliarsi su di me, ma ero ancora talmente terrorizzata che non avevo il coraggio di guardare. Mi irrigidii all’istante, non appena sentii che qualcuno, accovacciato sopra di me, mi stava aprendo le manette.
Cercai di trattenere un grido di terrore e di stare ferma, in modo da sembrare almeno svenuta; non riuscii più a contenermi quando sentii una mano appoggiarsi sulla mia spalla, accarezzandomi.
-Jess calmati- sentii dire -Sono io, tranquilla-.
Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Che cavolo stava succedendo? Non doveva essere così, stavo sicuramente sognando… O ero morta? Se era così allora tutto aveva più senso… Cioè, più o meno.
-Jess?- sentii di nuovo quella voce -Jess, stai bene? Sei ferita?-.
Feci un rapido controllo mentale e, no, non sentivo nessun dolore, a parte il braccio a cui mi avevano sparato.
Sì invece, stai male da cani… Come fai a non rendertene conto? Sei stesa qui davanti a lui e non riesci a parlargli, e sai perché? Perché lui ti ha ferito, ti ha ingannato. Non è forse una risposta sufficiente?
Sentii gli occhi bruciarmi di lacrime, e per quanto avessi voglia di piangere lì, in quel momento, non era proprio il caso. Ripensai a tutto quello che avevo passato, a tutte le volte in cui avevo rischiato la mia vita; sentii montare dentro di me un’ondata di rabbia e odio verso quell’uomo che mi aveva sempre preso in giro; l’adrenalina mi salì alle stelle, come una benefica sferzata di energia.
Aprii di scatto gli occhi e senza più pensare a quanto dolore potessi provare, o a quanto potessi stare male, mi liberai da quel tocco sulla mia spalla e mi rimisi subito in piedi, raccattando la mia pistola con uno scatto felino.
-Oh calmati- non appena mi vide puntargli la pistola contro, Chris alzò le mani -Che cavolo stai facendo?-.
-Quello che avrei dovuto fare da tempo, figlio di puttana- sibilai, con gli occhi che iniziavano a offuscarsi di lacrime.
-Jess stai calma, c’è stato un malinteso- disse lui con lo sguardo impaurito.
-Ah sì? Non dovevo venire a conoscenza del fatto che eri tu quello che faceva la spia?-.
-No, Jessica, no. Lasciami spiegare-.
-Che cosa c’è da spiegare?- la mia voce iniziò a incrinarsi, e non potevo far niente per nasconderlo -Mi fidavo di te, ma tu non hai fatto altro che prendermi in giro-.
-Non l’avrei mai fatto, lo sai anche tu- continuò lui, con tono di voce calmo e avvicinandosi di un passo -Davvero credi che ti avrei lasciato da sola in questa situazione?-.
-Non lo so!- dissi, cercando di fermare invano le lacrime che mi stavano inondando gli occhi -Non lo so! Non ci sto più capendo niente!-.
-Abbassa la pistola, ti prego- si avvicinò ancora -Sono io il vero Chris, non mi riconosci?-.
Sapevo bene che era lui, ma per una ragione o per un’altra non riuscivo a crederci; insomma, l’avevo davanti alcuni secondi prima, che mi voleva uccidere, e ora mi veniva a dire che non mi voleva far del male. Che cavolo stava succedendo?
-Sei confusa, lo so, ma sono io, sono Chris- continuò lui vedendo che non rispondevo -Quello che hai visto prima non ero io, ma uno che si è finto me-.
Lo guardai a bocca aperta, letteralmente; per un momento abbassai lo sguardo e vidi dietro di lui il corpo di un uomo immerso in una pozza di sangue; era steso carponi, ma riuscivo comunque a vedere abbastanza bene il suo volto. Lo osservai bene e mi accorsi che non assomigliava quasi per niente all’uomo che mi era stato sempre vicino, che non mi aveva mai lasciato da sola.
Lentamente iniziai a comprendere; ero talmente tesa, nervosa, piena di rabbia che avevo bisogno di trovare qualcuno a cui dare la colpa di quello che sentivo dentro, e tutto ciò mi aveva giocato un brutto scherzo, facendomi credere che fosse Chris, il mio Chris a farlo.
Alzai gli occhi verso di lui, ancora incredula e incapace di rendermene perfettamente conto.
-So che è assurdo Jess, ma credimi, sono io quello vero- detto questo, si sbottonò i primi bottoni della camicia e lasciò trasparire una chiazza rossa sulla spalla destra che aveva la forma di una mano.
Rimasi a guardarlo come incantata, anche se sapevo benissimo cosa voleva dire tutto quello. Ero stordita, ancora incapace di realizzare quello che stava succedendo.
-Il tocco d’angelo, ricordi?- disse lui, coprendosi di nuovo -Solo noi due lo sapevamo, e nessun altro-.
In quel momento fu come se il vento avesse dissolto la nebbia che mi copriva gli occhi, rendendomi finalmente consapevole della realtà; lasciai cadere a terra la pistola e, con passi tentennanti, gli andai incontro e mi gettai con le braccia al suo collo, permettendo alle lacrime di scivolarmi lungo gli zigomi.
-Shhh, va tutto bene- disse lui, stringendomi forte e accarezzandomi i capelli -E’ tutto finito, è tutto finito-.
-Mi dispiace Chris- mormorai, cercando di essere comprensibile -Mi dispiace-.
 
Le onde dell’oceano si srotolavano di fronte a me gettando schizzi di spuma bianca sugli scogli che circondavano la piccolissima baia vicino al porto. I gabbiani volavano bassi, tenendosi rasenti alla linea dell’orizzonte, mentre il vento li sospingeva dolcemente lontano, sempre più verso l’oceano aperto.
Inspirai profondamente l’aria salmastra e carica di iodio, sentendomi di nuovo viva, mai come prima di allora. Raccolsi le gambe contro il petto e rimasi lì, con la testa sulle ginocchia, osservando con sguardo vuoto quella distesa enorme di acqua davanti ai miei occhi.
-Ehi- mi voltai di scatto e vidi Chris che mi tendeva una bottiglia di birra -Prendi-.
La presi in mano e lui si sedette di fianco a me sulla sabbia, senza dire una parola. Restammo per un momento in silenzio, bevendo dalle nostre bottiglie, senza nemmeno guardarci.
-Sai, non riesco ancora a credere che dietro tutto questo ci fosse Tiggers- dissi, continuando a bere.
Lui non rispose subito; si concesso un altro sorso di birra, continuando a guardare davanti a sé, poi si decise a parlare -Sinceramente, credo che avremmo dovuto essere più attenti-.
Mi voltai verso di lui con sguardo interrogativo -Che intendi dire?-.
-Nel senso, hai mai notato come ci guardava quando… stavamo insieme?- si voltò verso di me e mi guardò fisso negli occhi -Senza contare il fatto che non voleva assolutamente sentir parlare di Montano-.
Riflettei alcuni secondi su quello che aveva detto; in effetti aveva ragione, non c’avevo mai pensato prima. Annuii sovrappensiero, facendo scorrere la sabbia attraverso le dita. Ora che ci pensavo bene, non aveva mai autorizzato la missione, e in più avevo dovuto lavorare sempre di nascosto da lui.
Era ovvio, tutto tornava. Se avessimo scoperto qualcosa saremmo risaliti a lui facendo due più due… Dovevo ammettere che trovare un sosia di Chris e allenarlo per farmi uccidere era stata una mossa astuta, anche se per quello avrei voluto ammazzare Tiggers con le mie stesse mani. Purtroppo, però, quando erano andati a prenderlo, io non ero presente per fargli assaggiare il sapore della canna della pistola in bocca.
-Piuttosto, è incredibile come quell’uomo sia riuscito a ingannarti- Chris interruppe i miei pensieri -Doveva essere molto bravo, dal momento che tu sei la persona che mi conosce meglio-.
-Diciamo che ha avuto un vantaggio- dissi, rialzando lo sguardo -Con tutto quello che avevo passato avevo bisogno di qualcuno a cui dare la colpa… E in un certo senso speravo che fossi proprio tu. Se ti avessi sparato…-.
-Ma non l’hai fatto-.
-Avrei potuto, però. Se non l’ho fatto era per il fatto che non volevo credere che fossi proprio tu a uccidermi- guardai l’imboccatura della bottiglia, pur di non incrociare il suo sguardo.
-Beh, devo dire che anche io ho fatto la mia parte- disse -Se non fossi stato così stupido da farmi prendere alla sprovvista probabilmente non sarebbe successo niente di particolarmente entusiasmante-.
-A proposito, quando è successo? Non mi sono accorta dello scambio…-.
-Ricordi quando mi hai chiamato perché i colleghi ti avevano fermato e avevi bisogno di un “avvocato”?-.
Annuii, ricordando perfettamente quel giorno.
-Ecco, mentre stavo venendo a prenderti sono stati loro a prendere me. Dopodiché mi hanno portato con loro, non so esattamente dove, e mi hanno lasciato lì dentro fino all’altro giorno, alla conclusione dell’affare. Da quanto ho capito volevano uccidermi e poi buttare il mio cadavere in mezzo alla sparatoria, così non li avrebbero scoperti-.
Rabbrividii; non potevo nemmeno immaginare cosa potesse aver passato Chris in quei momenti. Probabilmente era stato molto peggio di quello che avevo passato io…
-Per fortuna sono riuscito a liberarmi in tempo e a metterli fuori uso, e… Beh, il resto della storia la sai-.
Rimanemmo in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. Nonostante fosse tutto finito mi sentivo ancora un po’ strana. Non so se fosse dovuto al fatto che non avevo raccontato tutto a Chris, ma fatto sta che ero ancora in preda a mille dubbi.
Ok, quella storia era finalmente finita, io ne ero uscita senza ferite troppo gravi, Montano e Tiggers erano stati arrestati. Ma dopo? Che avrei fatto in seguito? Avevo sempre giurato che una volta finita quella missione me ne sarei andata, avrei mollato la Narcotici e Chris e sarei tornata a casa, a New York. E ora che quel momento era arrivato, non sapevo più cosa fare.
-Chris…- mormorai, con lo sguardo basso.
-Che c’è?- si voltò verso di me, con voce quasi preoccupata.
-Ricordi quando dicevo che a questo punto ti avrei lasciato per strada e me ne sarei andata?- sussurrai, cercando di non farmi prendere dai sentimentalismi.
-Me lo ricordo fin troppo bene- rispose con una punta di amarezza nella voce.
-Ecco… Il fatto è che ora che siamo qui… Ora che tutto questo è finito… Non so più che cosa fare- rialzai lo sguardo verso di lui e lo guardai dritto negli occhi.
Lui mi passò un braccio intorno alle spalle e mi strinse a sé; lo lasciai fare, senza tirarmi indietro; in quel momento avevo bisogno di lui, avevo bisogno del suo sostegno.
-Non sono nella tua testa, e non so che cosa potrebbe aiutarti- mormorò -Ma voglio che tu sappia che qualunque cosa tu decida di fare - restare, andartene, non ha importanza - io lo accetterò, purché tu sia felice-.
Rimasi stretta a lui, senza replicare; possibile che le decisioni siano sempre così difficili da prendere?

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Odi et Amo ***


Epilogo - Odi et Amo


Il telefono sul comodino iniziò a vibrare insistentemente, ricordandomi che era ora di svegliarsi e di farla finita con tutto. Allungai una mano e interruppi la vibrazione della sveglia spingendo un tasto, dopodiché mi voltai dall’altra parte del letto vuoto. Aprii gli occhi e rimasi a fissare le lenzuola fredde accanto a me, la porta della stanza chiusa a chiave dalla sera prima e i vestiti gettati alla rinfusa su una sedia lì vicino.
Sospirai, rigirandomi di nuovo sulla schiena, osservando con annoiato interesse il soffitto bianco. Allora era arrivato il giorno, la mia vita sarebbe di nuovo cambiata. Incrociai le braccia dietro la nuca, continuando a ripensare alla lunga chiacchierata con Chris di qualche giorno prima, quando ancora non era partito per tornare a Jersey City.
Mi faceva ancora male pensare a quello che avevo fatto, a come mi ero comportata con lui. Era sempre stato disponibile nei miei confronti, dolce e comprensibile, presente quando ne avevo bisogno. L’uomo che ogni donna avrebbe desiderato di avere al proprio fianco. Ma io, da vera egoista, l’avevo messo da parte, gettato via come un giocattolo rotto. Forse lui in un certo senso era stato felice di andarsene, così non avrebbe più dovuto subire le mie angherie e i miei improvvisi cambiamenti che di solito avevano lui come bersaglio.
Mi alzai a sedere, scacciando quei pensieri. Avevo deciso di rifarmi una vita, no? Beh, era tempo di iniziare a viverla, soprattutto cercando di non arrivare tardi il primo giorno di lavoro nella mia nuova collocazione. Scaraventai le lenzuola di lato e andai in bagno per una bella doccia calda, anche se un po’ frettolosa. Mi asciugai i capelli e mi vestii, poi uscii dal piccolo monolocale che avevo affittato in attesa di trovare qualcosa di più vantaggioso.
Scesi in strada e cercai un taxi, dal momento che il tempo stringeva e il posto era piuttosto lontano da dove mi trovavo. Seduta sul sedile posteriore dell’auto, guardavo le fila di palazzi scorrermi accanto, ripensando a tutte le volte in cui, da ragazzina, camminavo sui quei marciapiedi insieme ai miei amici e ai miei fratelli.
Poco prima che il taxi si fermasse davanti alla mia destinazione, lanciai un’occhiata all’orologio che portavo al polso, e notai con orrore che ero in ritardo. Non appena l’auto iniziò a rallentare, diedi un’occhiata al tassametro e contai i soldi porgendoli al tassista, poi mi catapultai fuori, salendo di corsa i gradini che portavano all’entrata dell’edificio.
Una volta entrata mi sentii spaesata, con tutta quella gente che andava e veniva freneticamente; fermai un uomo e mi feci indicare il piano dove dovevo andare. Riuscii a salire sull’ascensore all’ultimo, proprio mentre le porte si stavano richiudendo; premetti il tasto del 35° piano e aspettai, saltellando da un piede all’altro.
Alla fine le porte si aprirono con un lieve cigolio e io ne balzai fuori come una furia, guardandomi a destra e sinistra, seguendo poi il mio istinto verso la seconda direzione. Seguii il labirinto di corridoi per non so quanto, ma alla fine approdai a una porta doppia che immetteva in un grande open-space adibito a multi ufficio, con scrivanie disposte a coppie una davanti all’altra. Attraversai la stanza e mi ritrovai in un altro corridoio in cui si affacciavano soltanto porte di legno; su quella più lontana vidi brillare una targhetta d’ottone con inciso il nome della persona che stavo cercando:  Brigham Sinclair.
Mi fermai davanti a quella porta e feci un respiro profondo, poi misi a posto i capelli e diedi un paio di colpetti leggeri alla porta; quando sentii una voce dirmi di farmi avanti, inspirai di nuovo e abbassai la maniglia. Mi ritrovai in un ufficio abbastanza grande, completamente rivestito di legni pregiati, a partire dalla grossa scrivania di mogano che stava in mezzo alla stanza, le finestre che rimanevano alle spalle di chi vi si sedeva.
-Prego, si faccia avanti- disse l’uomo di colore seduto su una grande poltrona dietro alla scrivania -La stavamo aspettando- con un gesto indicò un uomo seduto di fronte a lui di cui non riuscivo a vedere il volto.
-Mi scusi- dissi, richiudendo la porta alle mie spalle -Ho avuto un piccolo contrattempo-.
Non appena parlai, l’uomo si girò verso di me con espressione stupita; nel momento in cui vidi il suo volto rimasi letteralmente a bocca aperta, senza sapere cosa dire.
-Ancora tu?!- esclamammo tutti e due all’unisono, con una punta di orrore nella voce.
-Vi conoscete già?- disse l’altro, guardando ora me e ora lui.
-Capo, io non posso lavorare con lei!- lui si voltò di nuovo a guardare l’altro uomo in volto -Mi rifiuto!-.
-Credo che ci sia stato un errore- dissi, facendomi avanti e andando a finire di fianco a lui -Non posso essere con lui-.
-Si può sapere il motivo di questo rifiuto, detective Flack?- continuò l’uomo.
-Ho già lavorato con lei nei giorni scorsi, e non credo che potrebbe funzionare-.
-Ha ragione- intervenni -Non credo di poter riuscire a lavorare con una persona così diversa da me-.
L’uomo ci guardò per un momento, poi proseguì -Non mi importa delle vostre difficoltà personali, a me basta che questo dipartimento faccia il proprio lavoro- fece una pausa -Di conseguenza, siete voi che dovete adattarvi al lavoro, non viceversa-.
Lanciai un’occhiata furtiva all’uomo di fianco a me, poi tornai a guardare l’altro davanti a me -Con tutto il rispetto, signore…- iniziai a dire, ma lui non mi lasciò finire.
-Nessun commento, detective Angell. Per quanto mi riguarda, da questo momento lei è in coppia con il detective Flack- guardò l’altro -Sono stato chiaro?-.
-Sissignore- sospirammo entrambi, arrendendoci.
-Bene. Ora, fuori dal mio ufficio- con un cenno della mano ci invitò ad andarcene; mentre stavamo uscendo, lo sentii alzare la cornetta e chiamare qualcuno dicendo di andare lì appena possibile.
Mi richiusi la porta alle spalle lentamente, ancora un po’ sconvolta; non era certo così che pensavo di tornare. Cioè, più o meno era così, ma non mi aspettavo che sarei finita a lavorare con un… un… un tipo come quello, ecco.
-Per tua informazione, non ho intenzione di farti da cane da guardia- con quelle parole interruppe la sequenza dei miei pensieri -Sono stato chiaro?-.
-Per tua informazione, non ho intenzione di lavorare al tuo fianco per tutto il tempo- dissi con il suo stesso tono di voce irritante -Sono stata chiara?-.
 
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
 
Amore e odio. È incredibile come questi due sentimenti così diversi tra di loro, così lontani l’uno dall’altro, alla fine possano mischiarsi in qualcosa difficile da spiegare. In superficie non fai altro che mostrare il lato peggiore, quello che non può sopportare niente, ma in fondo, dietro quegli specchi imperfetti, si nasconde qualcosa di molto più potente, qualcosa di estremamente positivo che cambia il tuo modo di pensare.
Sono come luci e ombre: uno di essi non può esistere senza l’altro. Si compensano a vicenda, si completano in ciò che manca all’altro; come lo ying e lo yang, in ogni bene c’è un po’ di male, e in ogni male c’è un po’ di bene. Lo stesso vale per questi due sentimenti così contrastanti: non potrai mai odiare fino in fondo una persona, ci sarà sempre quel briciolo di amore che ti tratterrà dal compiere qualsiasi mossa idiota.
Non so come possa essere successo anche a me. Credevo che fossi troppo diversa per poter avere un buon rapporto con un come lui, ma adesso ringrazio Dio di aver fatto questa scelta, perché altrimenti non sarei qui, con una persona così speciale al mio fianco. Se tutto questo non fosse successo, se non avessi deciso di rimanere a New York, se solo avessi scelto un altro dipartimento, ora la mia vita non sarebbe così.
Che altro dire? È qui che la storia finisce, e la vita va avanti. Ma questa non sarà l’ultima puntata, no?

***THE END***

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1391220