La tua bellezza effimera ti rende dannatamente bello.

di p a n d o r a
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rette Mich - Salvami. ***
Capitolo 2: *** Odore di pioggia e succo d’arancia. ***
Capitolo 3: *** Una macchina fotografica e un nastrino rosso. ***
Capitolo 4: *** Bracciale elettrico ed alta fedeltà. ***



Capitolo 1
*** Rette Mich - Salvami. ***


La tua bellezza effimera ti rende dannatamente bello.
Rette Mich - Salvami.

 
Salve, mi chiamo Naminé Tnetsixeton, ho sedici anni, i miei genitori e la mia matrigna sono morti e io, bhè, vivo in un collegio-riformatorio.
Come ci sono finita? Lunga storia.
Il succo è che ho praticamente accusato il sindaco della mia ex città di avere potere magici con i quali ha ucciso i miei genitori. Sono pazza, eh? 

 
-
 
Stavo camminando in giro per il collegio. Le mura bianca e luminose quasi mi accecavano. Di solito la luce dovrebbe rallegrare, no?
Eppure a me, quelle mura, davano un enorme senso di tristezza. Appesi alle pareti c’erano vari quadri variopinti, la maggior parte dei soggetti erano dei pagliacci.
Quei quadri sembravano essere stati messi lì apposta. Ho sempre odiato i pagliacci, da piccola ne avevo una paura tremenda, cosa al quanto strana visto che mio padre era un pagliaccio/mimo/giocoliere, ma disprezzavo quelle persone che magari nella vita non avevano niente e mascheravano la loro tristezza dipingendosi un sorriso sul volto con il rossetto.
Mi facevano pena. Dopo aver percorso il lungo e stretto corridoio tappezzato di immagini, finalmente arrivai al punto in cui si incontravano i dormitori femminili con quelli maschili.
Qui succedeva di tutto e di più. Le coppiette separate con la forza si davano alla pazza gioia, alcuni ragazzi si incontravano per fumare tutto quello che trovavano, io, invece, avevo uno “spacciatore” diverso. 

 
“Axel.. Pss, dove sei?” 
 
Sussurravo per non farmi sentire dagli altri, a lui non piaceva essere nominato in giro. All’improvviso una mano mi tirò dietro un divano capovolto. 
 
“Pensavo non saresti più venuta.”
 
Il rosso sogghignò con il suo solito spinello in bocca. Io iniziai a prendere l’oggetto da scambiare. Contrabbandavamo CD e gelati. Che crimini da carcere!
 
“E’ sempre un piacere trattare con te, Nannà.” 
 
Io gli feci la linguaccia, mi alzai e me ne andai verso la mia stanza con il mio nuovo album dei Tokio Hotel stretto al petto.
Mentre camminavo pensavo. Axel era l’unico con il quale mi sentivo a mio agio in quel cumulo di matti. Non importava se eravamo fratellastri o fratelli, era l’unica persona a me cara rimasta sulla terra. Non volevo perderlo per nulla al mondo.
Sorrisi tra me e me nel accertare che ero davvero io quella che stava pensando quelle parole così dolci. Mi piaceva quando mi chiamava “Nannà”, mi dava un senso di familiarità, come se fossi a casa.
Con quei pensieri affettuosi arrivai a destinazione, aprii la porta della mia stanza e entrai. Accesi lo stereo e ci infilai dentro il dischetto appena ottenuto. La prima traccia si chiamava “Rette Mich.” Era tedesco, e significava “Salvami”, bhè, si, parlavo un po’ di tedesco.
Lo avevo imparato quando mio padre aveva lavorato con la sua truppe a Berlino, lì dove conobbe la mamma di Axel, ossia la mia matrigna. Mi accasciai sul letto, ma non ebbi il tempo di rilassarmi perfettamente che all’improvviso bussarono alla mia porta. 

 
“Xeton! - era l’abbreviazione del mio cognome - Esci! C’è una riunione nell’aula magna.”
 
La sua voce era riconoscibile, Xion Key. La mia più grande nemica all’interno dell’intero edificio.  Non che io le avessi fatto qualcosa, semplicemente ci odiavamo dal primo giorno in cui ci siamo viste. Come esiste l’amore a prima vista, può esistere anche l’odio no? 
Sbuffando, mi alzai dal letto e misi lo stereo in pausa. Presi un cardigan da sopra la sedia e uscii dalla stanza verso l’aula magna. Non vi aspettate granché. Una stanza leggermente più grande di campo da calcio, con tre o quattro finestre, senza vetri, sparse qua e là sulla parete destra che lasciavano penetrare un po’ di luce.
Umidità alle stelle e muffa dappertutto. Freddo e ogni tipo di virus contraibile, credo ci fosse anche la malaria. Un’interminabile fila di sedie una dietro l’altra e un banco, con un microfono che aveva smesso di funzionare da anni, all’apice. Ecco, questa era la nostra “aula magna”.
Tutti i carcerati li studenti si accomodarono e una professoressa bassina, circa 1.60, con i capelli grigi raccolti in uno chignon e coperti da un cappello fin troppo grande, si avvicinò al microfono - cosa assolutamente inutile visto che era praticamente guasto - e iniziò a parlare con voce molto, moooolto bassa. 

 
“Buongiorno, cough! Ragazzi.. cough, cough!”
 
Tutti la guardavano con fare schifato, io invece provavo quasi pietà per quella signora. 
 
“Buongiorno Miss Medford.”
 
Un coro di voci, non vi aspettate che dica bianche perché erano tutto tranne che bianche e/o angeliche, si innalzò annoiato. Come se per dire quelle parole li fosse stata tolta metà durata vitale. 
 
“Oggi sono lieta di annunciare che un nuovo compagno si unirà a noi.”
 
Se lei era lieta dell’annuncio, allora il povero malcapitato non lo era affatto. Tutti si zittirono e al banco si avvicinò un ragazzo che, da prima io non notai, ma dopo catturò la mia attenzione. Un ragazzo biondo, alto, magro, due occhi azzurri nei quali sarei stata disposta a tuffarmi con tutta me stessa.
Un misterioso angelo biondo. Indossava dei vestiti alquanto insoliti visto il luogo in cui si trovava, ma a lui donavano lo stesso. La maglia a maniche corte lasciava intravedere la pelle liscia dei suoi bicipiti non molto muscolosi ma molto attraenti. Si, era proprio un angelo. Qualcosa che si distingueva dalla massa di quel riformatorio.
Chissà perché era finito qui, ma in quel momento non mi interessava. Mi era incantata a fissare quella figura sovrannaturale. E all’improvviso mi ritrovai in piedi, davanti a tutti, a urlare verso quello sconosciuto.

 
“Rette Mich!”


Spazio Autrice:
Salve salvino! (?) 
Eccomi con una nuova Fan Fiction. ** Vorrei ringraziare i fans della mia pagina di FaceBook per avermi stimolata a scriverla e le mie due migliori amiche che mi sostengono sempre. :3 Marianna e Giada. C:
Spero vi piaccia e si accetta ogni tipo di recensione. ;)

LittleHippie_Amber

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Capitolo 2
*** Odore di pioggia e succo d’arancia. ***


La tua bellezza effimera ti rende dannatamente bello.
Cap. 2 - Odore di pioggia e succo d’arancia.

 
“Rette Mich!”
 
Circa quattrocento occhi puntati su di me compresi i suoi. Mi guardavano con uno sguardo misto tra lo stupito e l’incredulo. All’inizio non mi ero resa conto della situazione, ma dopo un paio di minuti ferma immobile a fissarlo, la mia compagna di stanza, che era improvvisamente riapparsa, mi fece notare in che guaio mi ero cacciata. Ero con i piedi sulla sedia leggermente china in avanti con una mano tesa verso quel misterioso ragazzo e con gli occhi pieni di disperazione.  Io diventai rossa in volto all’istante, e feci per scendere, quando mi accorsi che il biondino aveva abbassato lo sguardo e sorriso.
 
“Ich kann nicht.”
 
Disse infine, per poi andarsene nella sala d’accoglienza. “Non posso.” Allora aveva capito cosa avevo detto? Parlava anche lui tedesco? Ma in quel momento questo non era importante. Tenevo lo sguardo fisso nel vuoto mentre pensavo a cosa mi avesse spinto a gridargli quelle parole.. Insomma, nemmeno lo conoscevo. Quando mi sentii dare delle lievi gomitate da Kairi, la mia compagna di stanza. 
 
“Nami, Nami! La Medford ti sta chiamando! Nami? Ci sei?” 
 
Fu come una secchiata di acqua gelida che mi riportò alla realtà.
 
“Signorina Xeton - La Medford era ferma davanti a me - Vsito che mi è sembrata molto in confidenza con il nuovo arrivato, credo che non le dispiacerà portarlo a fare un giro del nostro istituto.”
 
Tossicchiai mormorando qualcosa del tipo “Carcere” e tutti si misero a ridere, ma la professoressa non depistò la sua cattiveria. Rassegnata, mi alzai e mi diressi verso l’aula accoglienza dove, stranamente, non trovai nessun altro oltre alla guardia.
 
“Poffer! - Era il nome che io gli avevo affibbiato - Dov’è il ragazzo biondo che è entrato circa cinque minuti fa?” 
 
La guardia mi guardò impotente.
 
“Non lo so. Defe essersi affiato ferso i dormitori. Te lo hanno affibbiato?”
 
Il suo accendo leggermente misto tra il russo e il tedesco mi fece scappare una risata. 
 
“Si, purtroppo. Vado cercarlo.”
 
Salutai con un cenno di mano Adolf - si chiamava così in realtà - e mi avviai verso i dormitori. Lo cercai in lungo e in largo mentre i corridoi iniziavano a riempirsi di studenti che tornavano nelle proprie stanze prima dell’inizio delle lezioni pomeridiane. Io le avrei saltate comunque, anche se non avrei trovato il biondino. Il problema è che non mi ricordavo nemmeno il suo nome, visto che, invece di ascoltare la Medford che lo presentava, ero stata troppo occupata a ascoltare la mia mente lodare il suo bell’aspetto. “Ma sentitemi! Sono veramente pazza!” questi erano i miei pensieri mentre aprivo la porta della mia stanza rassegnata a non trovare più quella dannata matricola. “Sono una pazza che se ne va in giro a piede libero e che… Ha trovato il biondino!” Sgranai gli occhi nel vedere quell’individuo sdraiato sul mio letto mentre ascoltava la canzone che avevo lasciato a metà prima che iniziasse l’assemblea. 
 
“Tu? Cosa ci fai nei dormitori femminili? E soprattutto nella mia stanza!”
 
Lui sobbalzò nel sentire la mia voce, dopodiché si alzò sui gomiti continuando a rimanere sdraiato e mi fissò per qualche minuto prima di aprire bocca. 
 
“Bhè, voi mi avete espressamente posto la richiesta di salvarti davanti a un vasto pubblico, erro per caso?”
 
Io avvampai ripensando alla figura che avevo fatto davanti a tutti. Come si permetteva di venire nella mia stanza e di prendermi in giro così? Con quel tono altezzoso poi. Non lo risposi, perciò lui riprese parola.
 
“Per vostra fortuna il tedesco è una lingua alquanto nobile e poco conosciuta.”
 
In un attimo si era alzato dal letto e era accanto alla mia mensola piena di libri e.. li stava sfogliando?!??! Feci uno scatto da fare invidia a Schumacher e gli strappai da mano tutti i libri con fare irritato.
 
“Okay, puoi darmi del tu, ma non puoi prenderti la confidenza di metterti a sbirciare tra le mie cose!”
 
Lui mi ignorò completamente e già stava per aprire il mio armadio, ma un mio schiaffo sulle mani lo fece indietreggiare e sedere sul letto. 
 
“Dove l’hai imparato?”
 
“Non sono fatti tuoi.”
 
Lo risposi seccamente, duramente. Avevo assunto un tono antipatico, ma non mi piaceva parlare del mio passato. Mi metteva un’incredibile angoscia. Sistemai i libri uno ad uno in ordine alfabetico e poi mi avvicinai alla porta della stanza aprendola.
 
“E ora, mi potresti fare il favore di uscire.”
 
Lui sembrò comprendere e senza proferire parola si avviò verso la porta. Ma quando arrivò sulla soglia si arrestò per poi sussurrare delle parole che capii a fatica, ma che sembravano essere.
 
“Ich werde dich retten.” 
 
Richiusi la porta dietro di me e passai il pomeriggio a studiare. Verso le 06:00 pm mi venne voglia di leggere un libro. L’unico pregio di quell’ “istituto” era che vantava di un’immensa biblioteca, in cui io mi andavo a rifugiare ogni volta che ne avevo bisogno.
 
Camminai a passo veloce tra le immense colonne piene zeppe di libri di vario genere, fin quando arrivai al settore Thriller, amavo quel genere.  Presi un libro a caso dalla valanga che era esposta e poi me ne andai nel mio posto segreto. Mentre mi avviavo verso la mia metà mi fermai davanti al mini frigo e presi un bicchiere di succo d’arancia. Il mio preferito.
Dopodiché andai verso una libreria più bassa rispetto alle altre e che faceva da scaletta ha un davanzale di una finestra, senza vetri (tanto per cambiare), con una griglia di  ferro.  Mi accomodai con il bicchiere di succo in una mano e il libro nell’altra. Mi accorsi che stava iniziando a piovere. Adoravo l’odore che precedeva un bel acquazzone. E all’improvviso mi venne in mente l’odore che aveva il biondino quando era passato vicino a me, prima di uscire dalla mia stanza e dirmi “Ti salverò.” Salvarmi? Come? Mi salverai davvero principe che odora di pioggia e succo d’arancia? E da cosa?

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Capitolo 3
*** Una macchina fotografica e un nastrino rosso. ***


La tua bellezza effimera ti rende dannatamente bello.
Cap. 3 - Una macchina fotografica e un nastrino rosso.
 
Quella mattina mi svegliai molto presto, non so come mai ma avevo una sensazione positiva della giornata. Mi alzai e mi guardai allo specchio, dopodiché presi la mia macchina fotografica e mi feci una foto. Sembravo uno zombie vivente. Mi presi le punte dei capelli tra l’indice e il medio della mano sinistra sfiorandomele appena con la destra e presi una decisione.

“Mi voglio tagliare i capelli.”

Kairi sobbalzò dal letto.

“Cooooosaaa?!?!? Ma cosa ti viene in mente?”

In un momento si ritrovò dietro di me con i miei capelli in mano ad esaminare le mie punte e tutto questo mi dava leggermente fastidio, così le diedi un leggero schiaffo sulle mani. Non mi piaceva essere toccata, non dopo il mio passato. Sotto il suo sguardo stupito presi i vestiti nell’armadio e mi rifugiai nel bagno a cambiarmi, dopo esserne uscita mi diressi direttamente verso la mensa per fare colazione. Arrivata a destinazione mi misi in fila con il mio vassoio in mano, ma non sapevo che cosa mi aspettava. Infatti, non me ne ero resa ancora conto, però davanti a me c’era Xion con le sue amiche oche che, non appena mi riempirono il vassoio, me lo rovesciarono addosso.

“Oh, scusa. Che sbadata, pensavo fossi il secchio dell’immondizia! Aspetta, prendi anche questo già che ci sei.”

Detto questo mi rovesciò in testa anche il suo frullato al cioccolato. Che nervi, la volevo uccidere con le mie mani.

“Senti mi spieghi che problema hai?”

Stavo.. Urlando? Forse i nervi mi avevano portato all’esasperazione e non ce la facevo più a tenere tutto dentro.  Lei mi guardava stupita delle mie parole.

“Come scusa?”

“Ho detto di spiegarmi che problema hai con me! Non ti ho fatto mai niente! Però da quando sono arrivata mi tratti male, mi critichi, mi giudichi – Accompagnavo l’elenco dei dispetti contandoli sulle mani -  Mi butti la colazione addosso, cosa ti ho fatto?”

Lei era decisamente in difficoltà. C’erano circa quattrocento occhi, di nuovo, a fissarci, ma ormai ci avevo fatto l’abitudine perciò non me ne importava più di tanto. All’improvviso però Xion si rimise in carreggiata.

“Ti piace essere al centro dei riflettori, vero?”

Io la guardai stupefatta.

“Come scusa?”

“Non fare finta di non capire. E’ tutta la settimana che ti fai notare. Prima con il nuovo arrivato, ora mi fai la ramanzina, cosa c’è ti mancano i vecchi tempi?”

Alle parole “vecchi tempi” mi senti il cuore dilatarsi con forza, molta forza, in due pezzi separati. Non riuscii a proferire parola, ma a quella vipera sembrava non bastare.

“Cosa c’è? Fai finta di niente ? Come se tutti non sapessero il motivo per il quale sei qui! Ti è piaciuto uccidere i tuoi genitori?”

Stronza. Aveva toccato il mio punto più debole. Mi sentivo come nuda davanti a tutti benché avessi due maglie e un felpone. Volevo morire, sprofondare, scomparire. Desideravo con tutta me stessa avere poteri magici in quel momento. Poi, il disastro, scoppiai in lacrime davanti a tutti gli studenti che mi guardavano stupefatti, e corsi via.
Corsi a lungo senza una metà, quando all’improvviso vidi il bagno, mi ci infilai dentro e piansi tutte le lacrime che un essere umano può piangere. Mi sentivo male, accaldata, spezzata, come se qualcuno mi avesse appena pugnalato e stessi perdendo litri e litri di sangue. Mi ero ripromessa che non avrei più pianto, non l’avrei più fatto. E dovevo mantenere quella promessa. Cercai di asciugarmi le lacrime, mi alzai e mi guardai allo specchio.

“Ma quale giornata positiva? Questa giornata fa schifo.”

Parlavo da sola, non c’era nessuno in bagno, ma anche se ci fosse stato qualcuno non mi sarei potuta umiliare più di tanto. Presi la mia borsa e la poggiai sul recipiente del sapone, mi tolsi la felpa ormai solo da lavare e mi sciacquai il viso, dopodiché presi una forbice da dentro la borsa e iniziai a tagliare quelle stupide ciocche di capelli biondi. Me li tagliai corti fino all’altezza del mento e, una volta posata la forbice e sistemata l’acconciatura, mi ripassai la matita nera intorno agli occhi. In quel momento entrò Kairi in bagno, che non appena mi vide finse uno svenimento.

“Cosa hai fatto?”

“Oh questi? – dissi indicando i capelli nel lavandino – Mi davano fastidio.”

“M-Ma fastidio un corno! Come hai potuto fare una cosa del genere?!?!?”

Aveva le lacrime agli occhi vedendo i miei capelli sparsi qua e là intorno alla mia postazione.

“Basta, voglio essere una nuova Naminé!”

Dissi con il sorriso sulle labbra. Lei mi guardava disperata con le mie ciocche tagliate in mano.

“Ma non c’era motivo di fare… QUESTO!”

Si destreggiava con i miei capelli privi di vita. Io la ignorai completamente e uscii dal bagno convinta di quello che stavo per fare.

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Nel frattempo che io ero in bagno, alla mensa era tornata la tranquillità fra tutti, o dovrei dire quasi tutti.

“Non ti sembra di aver esagerato?”

Axel era in piedi davanti a Xion con le braccia conserte mentre quest’ultima faceva segno alle sue amiche di allontanarsi.

“Cosa c’è? Sei in pensiero per la tua sorellina adorata? – fece la voce da bambina – Pft. Mi fai pena. E pensare che ha ucciso i tuoi genitori.”

A quelle parole il rosso blocco la vipera vicino al muro portandole una mano alla gola.

“Non dire mai più una cosa del genere!”

Lei, mentre cercava di liberarsi, cercava di indicare verso il polso di Axel, ma non fece in tempo che una scossa oltrepasso interamente il corpo del ragazzo.

“Non ti scaldare troppo, topo rosso!”

Lui sussurrò un “dannazione” mentre a velocità flash arrivai io chiamando a gran voce Xion che si era girata e stava per andarsene. Quando fui quasi vicino a lei e lei stava dicendo le parole “Chi si rivede!” nessuno mi trattenne dal sferrarle un pugno in pieno volto. Mi massaggiai le nocche delle dita e prima di voltare i tacchi e andarmene dissi qualcosa che nemmeno io mi aspettavo.

“Se ho davvero ucciso i miei genitori, non mi farò scrupoli a farlo con te.”

Dopodiché me ne andai lasciando una Xion spaventata a terra e una marea di gente a guardarmi. Mi diressi verso il mio posticino al di fuori del collegio. Non era un granché, semplicemente era un albero un po’ ricurvo dove mi piaceva sedermi. Arrivai lì e tirai fuori dalla borsa la mia macchina fotografica. Buttai il resto delle cose a terra e rimasi solo con il mio tesoro in mano. Ero immersa nel mio mondo di pensieri quando sentii una voce dietro le mie spalle.

“Perché ti sei tagliata i capelli?”

Sobbalzai voltandomi di scatto. Era Roxas che mi guardava incuriosito.

“Non sono fatti tuoi!”

Mi voltai di nuovo verso la mia macchina fotografica.

“Bhè, sei molto carina così.”

Io avvampai all’istante. Ma cosa voleva lui da me? Non mi sembrava di aver fatto niente neppure a lui, ma a quanto pare mi aveva preso in simpatia.

“Tieni.”

Da dietro la mia schiena apparse un nastrino rosso che poi lui mi legò attentamente tra i capelli. Io sempre più rossa mi scansai non appena lui ebbe finito di fare l’ultimo nodo.

“M-Ma cosa fai? Chi te la da tutta questa confidenza?”

Lui si mise semplicemente a ridere mentre io cercavo di scendere dall’albero, ma lui mi bloccò per un polso facendomi sobbalzare al tocco della sua pelle sulla mia. Era liscia e morbida. Infine l’altra sua mano prese la mia macchina, la allontanò da noi e ci scattò una foto. Una foto che io avrei bruciato non appena avrei sviluppato il rullino. Io ferma immobile con un nastrino rosso tra i capelli messo a mo’ di cerchietto e completamente rossa in viso e lui che mi dava un bacio sulla guancia. Quel tizio mi dava i nervi.

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Capitolo 4
*** Bracciale elettrico ed alta fedeltà. ***


La tua bellezza effimera ti rende dannatamente bello.
Cap. 4 - Bracciale elettrico ed alta fedeltà.


Tornata nella mia stanza, posai la macchina fotografica su un antico mobile di legno e mi guardai allo specchio. Passai la mano leggera su quel nastrino rosso, la cosa buffa era che il rosso era il mio colore preferito, ma come faceva lui a saperlo?
Guardai i miei capelli che ora mi arrivavano al massimo alle spalle e per un attimo pensai che forse avevo sbagliato a tagliarli, però dopo aver ricordato la sensazione provata nel sferrare quel pugno a Xion ributtai i miei pensieri nel dimenticatoio. Mi stesi dolcemente sul letto e mi misi a guardare il soffitto. Nulla di interessante, ma almeno passavo il tempo. All’improvviso mi vennero in mente le parole di quella vipera corvina, mi aveva umiliata davanti a tutti, aveva svelato a tutti il mio passato. Non era giusto. Le lacrime stavano per scendere, ma mi sforzai a bloccarle, non dovevo più piangere, l’avevo promesso a mamma e papà, l’avevo promesso alla mia matrigna e anche ad Axel. Non potevo infrangere la promessa. Mentre la mia mente vagava nei ricordi più oscuri della mia vita sentii qualcuno bussare alla porta. Una volta, due volte, tre volte, era un ritmo familiare. Dopodiché una voce parlò da dietro di essa.
 
“Nannà, apri! Muoviti, so che sei lì dentro. Forza! E’ urgente.”
 
Solo una persona in quel sudicio posto mi chiamava così. Axel!
Corsi alla porta e l’aprii delicatamente, ma proprio quando stavo per urlare il suo nome piena di gioia, Axel spense il mio sorriso con un sguardo visibilmente triste e facendomi segno di stare zitta. Così da sorriso, la mia bocca si incurvò in una smorfia di preoccupazione.
 
“Cosa ci fai qui?”
 
Sussurrai appena per non farmi sentire. Lui entrò e chiuse la porta dietro di sé, mi condusse al letto facendomi sedere e mi abbracciò. Solo dopo quel lungo e straziante abbraccio, che non faceva altro che mettermi ancora più ansia di quanta non ne avessi già, parlò.
 
“Naminé - aveva pronunciato il mio nome per intero, segno che era qualcosa di serio - Ora devi stare tranquilla. Promettimi che qualsiasi cosa ti dirò tu non farai sceneggiate e non ti farai prendere dal panico.”
 
Io ero spaventata, però sapevo di potermi fidare di lui e così, guardandolo nei suoi occhi verde smeraldo, annuii. Lui prese un bel respiro prima di continuare.
 
“Stavo camminando per i corridoi, quando ho sentito la voce di Xion che parlava con la preside del fatto che tu le abbia dato un pugno.”
 
Al nome Xion mi salirono i nervi e Axel, evidentemente, se ne rese conto prendendomi per i polsi e trasmettendomi fiducia.
 
“E alla fine la preside ha deciso che…”
 
Si bloccò, avevo paura. Axel non era mai stato il tipo da tirare le cose per le lunghe, le diceva chiare e inequivocabili in faccia. Ma questo suo comportamento mi procurava terrore.
 
“Nannà, tu sei mia sorella, e ti vorrò sempre bene qualunque cosa accada, però la preside ha detto che… Dovrai essere… Tranquillizzata.”
 
Appena finita la frase sentii le mani di Axel stringermi i polsi e provai una strana sensazione come se il cuore mi si fosse bloccato per qualche secondo, come se fossi in uno stato di coma. Una morsa nel petto, che stringeva sempre più forte, come se volesse farmi morire. Avevo paura e iniziai a tremare. Il rosso se ne accorse e mi abbracciò forte. Io volevo piangere, ma le lacrime non scendevano come se avessero sentito le mie parole precedenti riguardo alla promessa. Adesso capivo perché Axel ci metteva tanto a parlare, perché non aveva il coraggio di dirmi questa triste realtà. Lui ci era passato e ci stava passando tutt’ora, capiva come mi potevo sentire.
In quel momento ricordai il giorno in cui lo ‘tranquillizzarono’. Fu una cosa orribile, lo presero con la forza mentre lui era in lacrime, forse una delle poche volte in cui vidi Axel piangere, e lo portarono in una stanza dove gli misero quel dannato bracciale e tutto questo solo per aver spintonato un ragazzo nel fiume che scorreva vicino alla scuola. Una scena orribile che io guardavo da dietro la schiena di Kairi, non avevo il coraggio di stare in prima fila. Sentii una mano accarezzarmi la testa e Axel mi allontanò da lui in modo da poterlo guardare negli occhi. Mi rivolse un sorriso di incoraggiamento e sussurrò delle parole.
 
“Nannà, non devi aver paura. Io sarò sempre al tuo fianco.”
 
Io caddi di nuovo fra le sue braccia e iniziai a piangere dicendo con un filo di voce appena percettibile.
 
“Ti voglio bene.. Fratellone.”
 
All’improvviso, sentii di nuovo bussare alla porta. Andò Axel ad aprire, non ne avevo la forza. Da dietro la soglia apparvero la preside e Poffer, la guardia che mi guardava triste e rassegnato. La donna entrò nella stanza con un sorriso di quelli che ti verrebbe voglia di prendere a pugni, ma ero già abbastanza nei guai e preferii evitare, e si avvicinò a me.
 
“Oooh, cara la mia Tnetsixeton, mi sembra che il tuo fratellino ti abbia già anticipato la tua sorte! Bene, così sei più preparata. Andiamo! Adolf, prendila!”
 
Fece segno a Poffer di portarmi con lui e ad Axel di seguirci. La guardia si avvicinò a me sussurrando un “mi dispiafe” con il suo buffo accento. Io gli lanciai uno sguardo di rassegnazione e intanto ascoltavo la preside pavoneggiarsi per i corridoi e ‘parlare’ con Axel.
 
“Oh che bello! AH AH AH. Avremo entrambi i fratellini in manette! Chi vuole assistere allo spettacolo?”
 
Mi sentivo un fenomeno da baraccone e, in più, era la terza volta che mi facevo notare quella settimana, ma ne fosse stata una positiva. Arrivammo davanti alla fatidica stanza e io guardai per l’ultima volta Axel, dopodiché entrammo. Lì dentro c’era un uomo che mi prese la misura del polso e si diresse verso una specie di valigetta da cui estrasse quello stupido bracciale. Stavano per scendere le lacrime ma pensai che così la scossa sarebbe stata più forte perciò riuscii a trattenerle. Aprì il bracciale e me lo mise intorno al polso per poi richiuderlo. Era piccolo e non dava fastidio, ma all’improvviso quell’uomo parlò.
 
“Ora ti farà un po’ male.”
 
Disse prima di cliccare su un bottone che mi diede una scossa talmente forte che non riuscii ad trattenermi dall’urlare. Per qualche secondo mi sembrò di aver perso i sensi perciò caddi a terra. Ripensai alla voce di quell’uomo, non era cattiva come quella della preside. Evidentemente non gli piaceva fare quel lavoro, ma era come se fosse obbligato. Dopo il mio atterraggio a terra il braccio destro, quello a cui mi avevano messo il bracciale, tremava e la porta si aprì sbattendo contro il muro. Era Axel che mi voleva portare via. Nessuno fece obbiezione perché ormai la punizione mi era stata inflitta e quindi potei andarmene senza tante storie. Appena fuori dalla stanza mi liberai dalla presa di Axel. Non volevo aiuto. Mantenni la testa bassa e appoggiando la mano destra sulla sinistra me ne andai verso la mia stanza sotto gli occhi curiosi di tutti e quelli malinconici di mio fratello, il quale non fece resistenza ma mi capì e mi lascio andare.
Aprii piano la porta della mia camera e sdraiato sul letto trovai il biondino. Dannate serrature, dovevano farle controllare. Gli passai davanti con sguardo basso.
 
“Vattene, voglio stare sola.”
 
Mormorai, ma lui sembrò non volermi ascoltare.
 
“Vattene.”
 
Niente.
 
“VATTENE HO DETTO!”
 
Alzai la testa verso di lui e me lo ritrovai davanti che mi sorrideva. Non mi importava se avrei preso un’altra scossa. Tentai di tirargli un pugno, ma lui lo schivò e prima che potesse darmi la scossa elettrica mise la mano sul bracciale e la prese anche lui. Cademmo entrambi sul letto tremanti per le scosse. Io riuscii a cacciare un filo di voce appena percettibile.
 
“Perché?”
Una semplice domanda a cui ricevetti però un’enorme risposta. La quale mi fece scendere le lacrime che fino a poco prima si erano bloccate.
 
“Per mostrarti la mia treue.”
 
Mi abbracciò stringendomi a sé con quella poca forza che gli era rimasta mentre io piangevo, ma non per il bracciale. Perché dopo tanto tempo qualcuno mi avevo dimostrato la sua fedeltà.






Spazio autrice:
Allora.. So che sono stata assente per un mese e mezzo, ma capitemi il liceo linguistico NON E' FACILE c.c
Oggi fortunatamente mi sono tolta di mezzo la maggior parte delle interrogazione e ho trovato il tempo di scrivere D:
Perdonatemi ancora e vorrei tanto che LASCIASTE OGNI TIPO DI RECENSIONE. :)
Da oggi in poi cercherò di aggiornare ogni due settimane però capitemi, non è facile. Grazie per la comprensione *C:

LittleHippie_Amber

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