My rebirth-Anima di tenebra

di FireMC
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo due ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


MY REBIRTH


Anima di tenebra


 

Prologo


 

Fin da quando, appena bambina, sono stata in grado di comprendere me stessa e ciò che mi circondava, ho subito capito di non essere un persona normale.

Mi sono sempre sentita fuori posto, come se non appartenessi alla realtà in cui vivevo, come se non fossero quelli nè il luogo nè il tempo in cui dovevo esistere.

Ho sempre notato gli strani e sconvolgenti fenomeni che si verificavano intorno a me, almeno fin da quando ho memoria, e che inevitabilmente coinvolgevano le persone che mi stavano accanto, forse proprio per questo con il tempo ho finito per allontanare tutti coloro che cercavano di avere un qualsiasi tipo di rapporto con me.

L'essere tutti i giorni a contatto con la morte, l'imparare a conviverci e a non temerla hanno forgiato il mio carattere aumentando la distanza che fin dall'età di due anni ho visto tra me e gli altri.

Sì, anche da piccola sapevo di essere diversa, ma non diversa nel modo comune di tutti gli adolescenti ribelli e trasgressivi, perchè in me di ribelle e trasgressivo non c'è proprio nulla.

Mi sono sempre sentita diversa in modo animalesco, quasi bestiale e primitivo, ma sono venuta totalmente in possesso di questa consapevolezza solo in tempi recenti.

Quando?

Quando ho abbracciato la morte risorgendo dalle mie ceneri e prendendomi la vita che di diritto mi spettava fin da principio.


 

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Capitolo 2
*** Capitolo uno ***


Capitolo 1


 

Il belvedere di Tokyo era un luogo piuttosto isolato e silenzioso da cui si poteva godere della splendida vastità del mare e dove era possibile ottenere un po' di tranquillità, lontano dal caos metropolitano.

Questo almeno fino al tramonto, dopo il quale, quell'idilliaco paesaggio si trasformava nel punto di ritrovo dei più pericolosi criminali della città.

"Criminali..."pensò con amarezza Ryo serrando con forza i profondi occhi nocciola dalle intense sfumature dorate, che in quegli ultimi anni avevano visto troppa violenza e crudeltà.

Davvero lui e i suoi fratelli potevano essere definiti dei criminali?

Non era forse loro diritto difendere coloro che amavano, anche a costo di infrangere qualche legge?

Ormai da secoli tutto ciò che era in grado di fare era lottare per la propria vita e per quella della sua stirpe seriamente minacciata da coloro che, persino in quel momento agivano con l'intendo di ridurla all'estinzione.

In alcuni momenti sentiva di essere giunto al limite, di non essere più in grado di risollevarsi da terra e proseguire nel suo cammino, troppo gli era stato tolto a causa di quella guerra e a troppo ancora era stato costretto a rinunciare, ma gli era sufficiente ripensare a ciò che segretamente, ma ancora per poco, stava custodendo per capire che, gettare la spugna, non faceva certamente al caso suo.

E se per questo veniva considerato un criminale, bè, per diamine...era fiero di esserlo, su ciò non vi era alcun dubbio.

Il vento, che fino a quel momento lo aveva investito con il rilassante profumo del mare, gli fece giungere al naso un odore nuovo,più fresco e pungente, precedendo l'arrivo di colui, che stava aspettando già da molto tempo.

-Splendida serata, non trovi?-

Ryo non si voltò nella direzione da cui era arrivata quella domanda, si limitò a sollevare gli occhi verso la volta stellata, osservando che, sì, quella era davvero una splendida serata di fine estate e l'atmosfera sarebbe anche potuta risultare magica e piacevole, se solo non fosse stato così agitato.

Attese, con il cuore che martellava incessantemente all'interno della cassa toracica, che il suo interlocutore lo affincasse davanti alla ringhiera di ferro arrugginito.

-Mio signore, io...-pronunciò insicuro.

-Qualunque cosa tu voglia da me Ryo, questo non è un buon modo per accattivarti i miei favori, perciò evita di chiamarmi in quel modo, se non vuoi che ti tagli la lingua.-sibilò con voce gelida l'imponente e scura figura alla sua destra.

Ryo sospirò, scaricando un minimo la tensione, che sentiva irrigidirgli ogni singolo muscolo del corpo.

-...ho un disperato bisogno del tuo aiuto...se non mi trovassi con le spalle al muro, non te lo chiederei, ma è davvero molto importante per me e tu sei l'unico di cui mi fido ciecamente...-fece una pausa, respirando a fondo e sondando con attenzione l'espressione indecifrabile sul volto del vicino, notando come nessuna delle sue parole fosse stata in grado di provocare alcun cambiamento in esso.

-Si tratta di mia figlia.-concluse, la voce ridotta ad un roco sussurro.

Vide immediatamente un nero soprecciglio scattare verso l'alto, creando così una appena percettibile ruga sulla fronte del compagno.

-Che cosa vuoi che faccia? Solitamente cerchi sempre di tenermi il più lontano possibile dalle donne, che cos'ha tua figlia di così speciale?-chiese con una ben udibile ironia nel tono duro.

-Non ho potuto starle accanto per i motivi che tu ben sai, perciò è totalmente allo scuro della sua vera natura...tra poco in lei avverrà la mutazione, ma ancora non lo sa, ha bisogno di una guida e il tuo sangue è molto potente...tu sei il solo che può esserle d'aiuto.-spiegò a bassa voce, impiegando diverso tempo nel selezionare accuratamente le parole, come se temesse di dire qualcosa di errato da un momento all'altro e ridurre a zero le, già scarse, possibilità di ottenere il favore di cui necessitava.

-No.-la risposta fu veloce e secca.

Ryo rimase per alcuni istanti basito, poi molteplici sentimenti attraversarono il suo viso incredibilmente giovane, inizialmente lo stupore, lo sconcerto, il disappunto, la rabbia, la consapevolezza, la rassegnazione, la delusione ed infine il terrore.

-Potrebbe non sopravvivere!-esclamò tremante.

-Non è un problema che mi riguarda, puoi chiederlo a qualcuno degli altri.-fu la disinteressata replica che ricevette.

La paura contaminò il suo cuore e avvertì gli occhi bruciare a causa delle lacrime, che a stento cercava di trattenere.

Non era nel suo carattere mostrarsi debole, ma la vita di sua figlia era un bene troppo prezioso e non poteva metterla a repentaglio, aveva trascorso diciannove anni cercando di proteggerla al meglio e, se fosse servito a qualcosa, si serebbe persino messo a pregare in ginocchio.

-Ti supplico, lei è importante...-mormorò, rivolgendogli uno sguardo implorante.

-Ogni singolo membro della nostra comunità è importante, non per questo dono il mio tempo e il mio sangue a ciascuno di loro.-disse, voltandosi ed iniziando ad allontanarsi.

-Tu non capisci Kei!!!-gridò Ryo, raggiungiendolo con uno scatto e fermandolo, afferrandogli una delle ampie spalle.

L'occhiata furiosa che sembrò trapassarlo da parte a parte lo fece tremare da capo a piedi e saggiamente ritirò la mano con cui aveva osato troppo.

-Perdonami.-sussurrò dispiaciuto.

-Di grazia...cosa non capirei Ryo?-la sua voce era stranamente calma e vellutata, nonostante i suoi occhi scintillassero inquietanti nell'oscurità.

Per l'ennesima volta, dall'inizio di quella conversazione, Ryo si ritrovò a sospirare pesantemente.

-Lei...è come te.-emise, calcando con forza su ciascuna parola, sperando di ottenere un ripensameto da parte dell'altro.

Trascorsero diversi minuti, carichi di elettricità e tensione, in cui entrambi rimasero immobili a fissarsi, Ryo carico di aspettativa, Kei imperscrutabile, non lasciando trasparire alcun tipo di emozione, che avrebbe potuto far pensare il suo interlocutore ad una possibile presa in considerazione del favore chiestogli.

-La mia risposta è sempre no!-detto ciò, a grandi passi, si inoltrò nella fitta boscaglia che circondava il belvedere, sparendo in poco tempo alla vista dell'altro.

Ryo rimase fermo ad osservare il punto, in cui aveva visto per l'ultima volta la schiena di Kei, mentre una leggera brezza portava via con sè l'odore delle sue lacrime, ma non la pena all'interno della sua anima.


 

Nel medesimo istante, pochi chilometri lontano da lì, una ragazza dagli occhi castani scrutava il cielo dalla finestra della sua stanza, ancora del tutto ignara del fututo che l'attendeva.

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Capitolo 3
*** Capitolo due ***


Capitolo 2


 

Settembre era iniziato e, con esso, anche il periodo scolastico, interroto durante i mesi estivi.

Al Collegio Sant'Anna le lezioni erano state riprese, noiose ed impegnative, fin dai primi giorni, poichè dal lontano 1919, data della fondazione ad opera dell'ormai defunta educatrice Kaori Suzumiya, si occupava dell'istruzione delle rampolle dell'alta società giapponese.

Hilary Tachibana non era una ragazza di buona famiglia, lei nemmeno ne aveva una per quanto ne sapeva. Era nata in quel collegio e da allora aveva sempre vissuto lì, per gentile concessione della direttrice Sanae Minamino.

Tutto ciò di cui era venuta a conoscenza, era il nome di sua madre, Kira Tachibana, dalla quale aveva ereditato il conognome e l'enorme ed elegante stanza in cui alloggiava, che era precedentemente appartenuta a lei, ai tempi in cui frequentava quello stesso istituto.

Hilary aveva spesso fantasticato su di lei, sapeva con sicurezza che le somigliava molto nei tratti del viso e che era di poco più bassa di lei, ma ben proporzionata, come testimoniavano le misure delle divise del collegio che aveva trovato nel grande armadio a quattro ante accostato alla parete.

Aveva una passione sconfinata per la lettura e per la fotografia, nel grosso baule ai piedi del letto erano infatti custoditi vecchi romanzi, libri di psicologia, ritagli di riviste, manuali di fotografie e molti album, tutti contenenti le foto scattate da sua madre. Tra queste, molte mostravano il pancione di sua madre, fotografato da diverse angolazioni, dal primo all'ultimo mese di gravidanza.

Una foto in particolare l'aveva colpita, sua madre si era posizionata davanti allo specchio appeso difronte al letto a baldacchino, dovevano mancare pochissimi giorni al parto, infatti il suo pancione era enorme e sopra, vi aveva disegnato il viso sorridente di un bambino. Il momento in sè non era nulla di speciale pensandoci bene, ma quello era lo scatto che Hilary preferiva perchè era l'unico di lei e sua madre insieme. Il suo volto morbido e roseo splendeva di un sorriso felice e pieno di vita, incorniciato dalle lunghe onde di riccioli castani.

Hilary tante volte si era chiesta, che cosa avesse provato sua madre mentre lei le cresceva dentro, se qualche volta si fosse sentita spaventata, o se l'amore, che fin da subito aveva provato per lei, fosse stato grande a tal punto, da non lasciar il minimo spazio per alcun sentimento negativo.

Le era stato detto molte volte che era figlia del peccato, una vergogna, un mostro, un abominio che non aveva diritto d'esistere, ma lei non si era mai sentita così. Sapeva che sua madre l'aveva amata e desiderata intensamente, fin dal primo momento in cui aveva saputo di essere incinta.

Purtroppo era morta per cause sconosciute poco tempo dopo averla messa al mondo, appena tre giorni dopo il suo diciottesimo compleanno, il tredici giugno.

La direttrice Minamino si era presa l'incarico di accudirla, istruirla ed assicurarle vitto e alloggio all'interno del collegio almeno fino al compimento della maggiore età.

L'anno prima, quando Hilary si era accorta che poco tempo ancora mancava al tredici giugno del suo diciottesimo compleanno, aveva fatto di tutto per trovare un lavoro che potesse aiutarla a mantenersi autonomamente e a pagare l'affitto della stanza alla signorina Minamino, perchè non si sentiva pronta ad abbandonare il luogo dove ancora sentiva forte e viva la presenza di sua madre, se avesse abbandonato il collegio, sentiva che il, già sottile, rapporto che la legava a lei, sarebbe andato inevitabilmente distrutto.

Fino a quel momento la direttrice in persona si era occupata di provvedere dal lato economico ad ogni suo bisogno, poichè i suoi nonni materni, unici parenti che ancora aveva, con lei non avevano mai voluto avere nulla a che fare.

Per quanto riguardava suo padre, la sua identità era sconosciuta.

Non aveva mai saputo nulla su di lui, ma non lo aveva mai visto come un problema, in tutti quegli anni non si era mai presentato per riprenderla e ciò poteva significare solo due cose: o non sapeva della sua esistenza, o più semplicemente non gli interessava; in entrambi i casi però Hilary sentiva, che non avrebbe mai potuto fargliene una colpa.

Tutto sommato non se la passava affatto male, finchè aveva un tetto sulla testa.

In alcuni momenti, sentiva però il bisogno di sapere chi era, dov'era e se magari, qualche volta, pensasse a lei e sua madre, chiedendosi se stessero bene o no.


 

Ryo, nonostante il cattivo esito avuto dalla chiacchierata con Kai, non si era lasciato sorprendere dall'improvviso attacco alle sue spalle, evitò con grazia un dardo contenente una dose di sonnifero sufficiente a stendere un elefante e rapidamente si portò alle spalle del nemico, afferrandolo per il colletto della tuta mimetica, che indossava e sbattendolo con violenza contro il tronco dell'albero, dietro cui si era appostato.

Il Soldato dell'Organizzazione Cacciatori di Tokyo, era un esemplare ben piazzato, alto quasi un metro e novanta, ad occhio e croce in un'età compresa tra i venticinque e i trent'anni.

Aveva i tratti tipici di tutti i membri dell'organizzazione: testa rasata, occhi neri e vacui, simili a quelli di un animale e una mezzaluna impressa a fuoco sulla pelle sensibile del collo, proprio sotto l'orecchio sinistro.

Non era nella natura dei soldati mostrare paura di fronte alla preda, erano addestrati unicamente a combattere ed uccidere, ma ciò di cui non si rendevano conto era che, nel caso si fossero trovati a sfidare uno dei guerrieri della Cofraternita delle Bestie Sacre, i ruoli sarebbero stati irreparabilmente capovolti.

Ryo frugò impaziente tra le tasche della divisa del nemico, recuperando un piccolo telefono cellulare e un biglietto, su cui erano state scritte in modo disordinato le indicazioni per raggiungere il molo.

-Ti diverti senza di me fratello?-

Ryo ghignò lasciando intravedere il bagliore bianco delle zanne, senza però staccare gli occhi di dosso al soldato.

-Non oserei mai Boris.-esclamò ridacchiando, mentre dietro di lui, l'elegante figura del compagno si avvicinava, seguita da quella minuta di Ivan.

-Che cosa abbiamo qui?-chiese entusiasta proprio quest'ultimo, puntando gli occhietti scarlatti sul viso del soldato, mentre con una mano guantata si sistemava i grandi occhialoni da aviatore sopra i lunghi capelli dallo strano colore blu, legati in una coda bassa.

Ryo allentò la presa sul collo della sua vittima, lasciando che questa ricadesse pesantemente a terra ed invitò il piccoletto a farsi avanti.

Ivan non perse tempo e subito estrasse dalla fondina, nascosta sotto il giubbotto marrone, la sua Magnum, sparando al petto del nemico, di cui non rimase altro che un mucchietto di cenere a terra.

-Abbiamo una pista.-comunicò Ryo agli altri due e senza perdere tempo, prese ad avviarsi a grandi passi nel parcheggio dove aveva lasciato la sua Lamborghini Gallardo nera. Sorrise appena, ripensando al fatto, che l'aveva comprata per la sua bambina, come regalo per il suo diciottesimo compleanno.

-Dove si va a fare casino?-chiese Boris incastrandosi di fianco a lui in auto, dovendo obbligatoriamente piegare le gambe troppo lunghe, per poterci stare.

-Al molo.-rispose passandogli il biglietto, sottrato precedentemente al soldato.

Boris esaminò attentamente il piccolo pezzo di carta e con la coda dell'occhio, Ryo potè facilmente notare le sue iridi grigio fumo splendere per l'eccitazione, che solo la lotta ed il sesso erano in grado di provocare nell'amico.

Abbandonaro l'auto prima di arrivare al luogo di incontro, indicato sul biglietto e proseguirono a piedi, stando ben attenti a muoversi con circospezione, per non essere notati, in caso ci fosse stato qualcun'altro lì oltre a loro.

La banchina sembrava deserta e solo il rumore provocato dall'acqua rompeva l'inquietante silenzio di quel luogo.

"Dividiamoci"comunicò Ivan agli altri due, che subito presero direzioni opposte, perlustrando ogni angolo del porto.

Quel luogo era troppo calmo e Ryo aveva uno strano presentimento, mentre si aggirava nei dintorni e si avvicinava sempre più al pontile, dove erano attraccate le barche, tenendo occhi ed orecchie ben aperti.

Troppo tardi si accorse della figura nera che gli era strisciata accanto e non potè fare nulla per evitare il dardo, che aveva colpito la sua coscia destra.

Si voltò furioso, mentre il suo ringhio attirava l'attenzione dei suoi compagni.

Con la mano destra afferrò il dardo, strappandolo dalla carne, per poi utilizzarlo per colpire il nemico in pieno viso, rompendogli molto probabilmente il setto nasale e le ossa della parte sinistra del cranio.

Un secondo ed un terzo soldato arrivarono in aiuto del compagno, assalendo Ryo contemporaneamente, ma entrambi fungevano solo da diversivo, poichè, mentre lui era impegnato a disfarsi di quelle noiose scocciature, una quarta unità ebbe il tempo di sparare un'altro dardo nella sua direzione, colpendolo alla schiena, ma non fu ancora sufficiente a fermarlo.

Nonostante la vista cominciasse a diventare sempre meno nitida e le forze iniziassero ad abbandonarlo, abbattè comunque un pugno sulla testa di uno dei soldati, sfondando le ossa e provocando zampilii di sangue tutto attorno a loro, i tre rimanenti furono costretti ad intervenire contemporaneamente, iniettandogli attraverso una siringa un'ulteriore dose di sonnifero per ridurlo in ginocchio.

Eppure Ryo ancora resisteva, cercando di dare il tempo a Boris e Ivan di raggiungerli, dal momento in cui aveva cercato di richiamarli con il suo grido rabbioso erano passati solo pochi millesimi di secondi, ma non credeva che questi fossero sufficienti, per permettere ai compagni di materializzarsi nel luogo in cui si trovava con i suoi avversari.

Incassò i pugni ed i calci dei soldati, finchè la testa non cominciò a sembrargli insopportabilmente pesante, impedendogli di continuare ad opporsi.

Mentre veniva legato e trasportato sopra ad una delle barche ormeggiate, il suo ultimo pensiero, prima di chiudere gli occhi e sprofondare nel sonno, andò a sua figlia Hilary.


 

Tutto ciò che Boris riuscì a vedere, mentre velocemente compariva a poca distanza dal pontile, seguito in breve tempo da Ivan, era un Ryo privo di conoscenza, che veniva portato al largo sopra ad una barca, con a bordo quattro soldati.

Imprecò sonoramente, mentre al suo fianco il compagno tremava dalla rabbia, ma un sommeso lameto fu in grado di attirare la loro attenzione, catalizzandola sul soldato agonizzante, che nascosto fra gli ormeggi delle barche, tentava di trascinarsi lontano da lì.

Scambiandosi uno sguardo complice, non impiegarono molto tempo a piombare come sciacalli sul nemico.


 

Kai Hiwatari si rifugiò nei suoi appartamenti, tentando di ricercare la serenità perduta pochi istanti prima.

Il colloquio avvenuto con Ryo aveva avuto la capacità di turbarlo non poco e lasciargli l'amaro in bocca, nonchè un fastidioso senso di disagio, che gli stava attanagliando lo stomaco proprio in quel momento.

Ora stava misurando l'intero perimetro delle sue stanze a grandi passi, aggirandosi per quell'enorme spazio come una bestia feroce tenuta in catene.

Lui non era crudele, era di questo che cercava disperatamente di convincersi, da quando aveva lasciato uno sconvolto Ryo al belvedere.

Se gli fosse stata richiesta qualsiasi altra cosa, avrebbe certamente fatto di tutto per aiutare l'amico, ma non poteva pregarlo di guidare una ragazzina ignara attraverso le numerose difficoltà che implicava il momento della mutazione.

Non era mai venuto a conoscenza del fatto che il compagno avesse una figlia, loro erano guerrieri, impegnati in una lotta che da secoli minacciava le loro esistenze e il tempo a loro disposizione per dedicarsi alle donne era sempre stato esiguo per una semplice scopata con qualche sgualdrina e pressochè inesistente per poter avventurarsi in una relazione seria, ma evidentemente si era sbagliato.

Ciò nonostante non poteva fare quello che l'amico gli aveva chiesto; Ryo sapeva, quanto fosse difficile per lui legarsi a qualcuno, figurarsi prendersi cura di una novellina e, cosa ben più importante, la pratica della cessione del suo sangue durante e dopo la mutazione della ragazza, per permetterle di sopravvivere, lo avrebbe inevitabilmente portato ad instaurare un quasi indistruttibile rapporto con lei.

La loro razza era ormai ridotta a poche centinaia di unità isolate, sparse per tutto il mondo.

La difficoltà nel riprodursi naturalmente e il pericolo che si incorreva nel generare nuovi elementi erano alti, per questo un nuovo membro, specialmente se di sesso femminile, sarebbe stato davvero un miracolo per loro, ma a questo lui non avrebbe mai potuto contribuire.

Ryo avrebbe dovuto cavarsela da solo e chiedere ad un altro fratello, di aiutare la sua preziosa figlia.

Si passò svogliatamente una mano tra gli scompigliati capelli corvini striati di grigio, mentre l'insistente squillare del suo telefono cellulare contribuiva a peggiorare il suo umore già nero.

Con uno scatto rabbioso si portò il ricevitore all'orecchiò.

-Che c'è?-ringhiò.

Chiunque fosse all'altro capo dell'apparecchio telefonico, non si lasciò spaventare da quella brusca reazione, evidentemente c'erano questioni ben più importanti da affrontare ed il nervosismo di Kai passava automaticamente in secondo piano.

-Capo, abbiamo un problema al molo.-


 

Quando Ivan e Boris ebbero terminato di raccontargli ciò che era accaduto al molo, del pregiato mobilio con cui era stato arredato il salotto che precedeva la camera da letto, rimaneva ben poco a causa della furia cieca di Kai.

-Non è distruggendo l'arredamento, che risolverai il problema.-commentò pacatamente Yuri, facendo il suo ingresso nella stanza, unendosi agli altri già seduti sull'unico divano, fortunatamente rimasto ancora intatto.

Una lampada di ceramica dipinta passò a pochi millimetri dalla guancia del nuovo arrivato, infrangendosi contro il muro alle sue spalle, ma questo non lo fece scomporre.

Appena Kai si fu calmato, gli altri cinque individui presenti nella stanza si scambiarono sguardi agitati, attendendo ordini.

Intuendo il loro disagio e la loro impazienza, Hiwatari voltò loro le spalle e con voce stanca diede le prime istruzioni.

-Cercate ogni informazione possibile, dobbiamo trovarlo al più presto.-strinse forte i pugni, fino a sbiancarsi del tutto le nocche delle mani.

Se avevano catturato vivo un membro della confraternita, ciò significava guai seri per tutti loro, evidentemente volevano costringere Ryo a parlare riguardo i loro ritrovi, i loro progetti e ogni possibile punto debole dei fratelli, così da poter mettere le basi per un piano atto a distruggerli definitivamente.

Sapeva che Ryo non avrebbe rivelato nulla, meglio la morte della resa.

Sperava solo che il compagno fosse abbastanza scaltro e prudente da evitare di farsi ammazzare subito.

-Questo è tutto?-chiese Rei, già diretto verso l'uscita.

Kai annuì, lui aveva altro da fare.

Quando gli altri lo ebbero lasciato solo, chiamò l'anziano servitore che da diversi decenni si occupava di Ryo.

Il vecchio Jay Kinomiya si affrettò a raggiungere villa Hiwatari, giustamente preoccupato per l'incolumità del suo padrone e dopo aver appreso con rammarico gli ultimi avvenimenti che lo avevano coinvolto, non esitò un solo istante a mettersi a completa disposizione per contribuire alle sue ricerche.

-Gli altri se ne stanno già occupando.-spiegò Kai,-Ho bisogno di un altro favore da te Jay...dove posso trovare la figlia di Ryo?-

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Capitolo 4
*** Capitolo tre ***


Capitolo 3






Hilary aveva sempre avuto parecchie difficoltà, a trovare il coraggio e la forza di scostare le coperte calde ed alzarsi dal letto al mattino appena sveglia, se solo avesse potuto avrebbe volentieri continuato a sonnecchiare, fino a pomeriggio inoltrato.

Non era una scansafatiche, semplicemente, fin da piccola, aveva avuto qualche problema in fatto di orari sfasati, notando, quanto la sua mente e il suo corpo fossero decisamente più attive con l'arrivo della sera.

Solitamente era sempre piena di energie e difficilmente si riusciva a vederla ferma, ma solo perchè era brava a nascondere la debolezza che l'assaliva, mentre camminava per strada in pieno giorno e un velo di sudore freddo le imperlava la fronte, oppure la difficoltà e lo sforzo immane che compiva, per mantenersi concentrata su ciò che stava facendo al lavoro, o quando si rendeva utile all'istituto durante le lezioni.

Una persona normale, sarebbe immediatamente crollata addormentata sul letto, una volta tornata in stanza a fine giornata, ma stranamente, lei non riusciva ad abbandonarsi ad un buon sonno ristoratore.

Di notte era più forte di lei, non riusciva a chiudere gli occhi.

Tante volte aveva tentato, fallendo però miseramente, così, aveva imparato a sfruttare, quello che lei credeva essere un grave problema di insonnia, occupando il suo tempo con lo studio.

In quegli anni, aveva trascorso quasi ogni notte a leggere libri sui più svariati argomenti, a documentarsi sui problemi di attualità, perfino ad imparare a suonare un notevole numero di strumenti musicali, tra cui: il pianoforte, la chitarra, il flauto traverso, l'armoniaca, nonchè il violino, esercitandosi nell'aula insonorizzata, che si trovava al pianterreno del collegio.

Le era sufficiente riposare qualche ora dall'alba al momento fatidico in cui la sua sveglia le annunciava alle sette e mezzo, con il suo allegro trillo, l'inizio di un nuovo giorno di duro lavoro.

Diverse volte aveva pensato di esporre il suo problema ad uno specialista, o a rivolgersi ad un medico, per chiedere consiglio ed, eventualmente, un rimedio efficace, ma ciò avrebbe avuto un peso significativo sul suo già magro stipendio, perciò aveva deciso di imparare a non dare troppo peso a quella sua stranezza.

Anche quella mattina impiegò una buona mezz'ora, dopo il suono della sveglia, a scivolare fuori dalle coperte, evitando accuratamente di scostare le tende, inondando così la stanza di luce, reputata, almeno per le prossime quattro ore, terribilmente fastidiosa.

Si preparò, nel bagno adiacente alla camera da letto, indossando, come ormai faceva da oltre dieci anni, una delle divise estive di sua madre, composta dalla gonna scozzese blu e verde, la camicia bianca inamidata a maniche corte e, al collo, la cravatta a righe oblique, che riprendeva i colori della gonna. Per semplice comodità, aveva sostituito gli eleganti mocassini neri con delle scarpe da ginnastica, che le consentivano di camminare e correre liberamente, senza poi dover fare i conti con i calli e le vesciche.

I lunghi capelli castani, che ormai arrivavano ad una decina di centimetri sotto la vita, erano stati raccolti in una crocchia disordinata, fissata con il fermaglio nero a forma di farfalla, unico regalo fattole dalla direttrice Minamino, quando ancora era bambina.

Il rapporto con la donna non era dei più idilliaci, entrambe non si sopportavano vicendevolmente, ma tra di loro esisteva il muto accordo di una reciproca e pacifica accettazione.

Hilary non sapeva il perchè di quell'ostilità, ma aveva da sempre notato la durezza nello sguardo della direttrice quando le parlava, o il fatto che con lei fosse molto più severa ed intransigente rispetto ad altre, c'era sempre un malcelato rancore ed una sorta di ripugnanza nel suo tono, mentre la rimproverava o le rivolgeva commenti sarcastici, criticado pesantemente tutto ciò che faceva.

Solo la consapevolezza di dovere proprio a quella donna tutto ciò che possedeva, tratteneva la giovane dal risponderle a tono, sostenendo il suo sguardo con uno di sfida, ogni qual volta si incrociavano tra i corridoi del collegio.

La Minamino era la cosiddetta "donna con le palle": austera, severa, tenace e dalla lingua velenosa, per questo Hilary non si sorprendeva del fatto che a quarantasei anni non avesse ancora trovato uno straccio di marito.

Eppure era proprio grazie a lei e al trattamento che le aveva riservato in quegli anni, se aveva sviluppato il suo bel caratterino, che la spingeva a reagire in qualsiasi situazione e a non farsi mettere i piedi in testa da nessuno.

In fin dei conti, avrebbe anche potuto dire, che in un qualche astruso modo si somigliavano.

Quel pensiero la fece sorridere sarcasticamente, mentre si apprestava ad uscire dalla sua stanza. Attraversò il lungo corridoio del terzo piano, scese lentamente le tre rampe di scale e prima di uscire, salutò con un cenno del capo, il maggiordomo e le poche cameriere in atrio.

A grandi passi superò il grande cortile che circondava l'istituto e appena si fu lasciata l'alto cancello nero alle spalle, si voltò sentendo subito la mancanza delle care quattro mura della sua stanza, ma fu solo un attimo, perchè riprese immediatamente a camminare verso la fermata degli autobus, dove avrebbe preso quello diretto in centro Tokyo, dove si trovava la sede del giornale per cui lavorava: il Tokyo News.

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Capitolo 5
*** Capitolo quattro ***


Capitolo 4



Quando Hilary aveva deciso di trovarsi un lavoro, inizialmente non aveva avuto grandi pretese, credendo che molto probabilmente sarebbe finita a fare la cameriera in qualche squallido bar o la commessa alla cassa in un fast food.
Incredibilmente, mentre adocchiava vari annunci esposti sulla bacheca di un'agenzia lavorativa, aveva visto un semplice volantino stampato su carta bianca, del tutto anonimo e per nulla attraente rispetto a tanti altri dai colori sgargianti.
Un poco conosciuto giornale locale stava cercando un fotografo, anche alle prime armi.
Hilary non aveva perso tempo e si era presentata nell'ufficio del direttore del giornale, il signor Daitenji, quella mattina stessa, spiegandogli il suo disperato bisogno di lavorare per riuscire a mantenersi da sola.
Fortunatamente la ragazza aveva ereditato da sua madre la passione e la bravura con la macchina fotografica, perciò non era stato affatto difficile per lei fare una buona impressione al il direttore. Questo l'aveva infatti immediatamente messa alla prova per una settimana, affiancandola al giovane reporter Max Mizuhara e in breve tempo, notando la sua dedizione per quel lavoro e la sua diligenza, l'aveva definitivamente assunta come nuova fotografa.
La giovane era orgogliosa di se stessa e sicuramente, se sua madre fosse stata viva e avesse potuto vederla, lo sarebbe stata anche lei.
Al giornale tutti l'avevano accolta amichevolmente e con calore, facendola sentire come parte di una grande, allegra, felice famiglia.
In particolare il signor Daitenji, una persona davvero molto piacevole, l'aveva presa sotto la sua ala protettrice, trattandola più come una figlia, che come una dipendente.
Era un omino piuttosto basso e cicciottello dall'aria simpatica ed il sorriso gentile, in grado di mettere a proprio agio chiunque in qualsiasi momento o circostanza.
In qualche modo Hilary gli si era affezionata, per quanto questo potesse essere possibile per una come lei che rifiutava e si teneva ben alla larga da qualsiasi possibile relazione umana.
Non era certamente quella che si poteva definire una ragazza allegra e socievole, ma non le dispiaceva stare in mezzo alla gente e il relazionarsi con i colleghi al lavoro non le era mai parso troppo difficile.
Il suo unico problema era costituito dal tragitto dal collegio alla sede del giornale, che doveva obbligatoriamente fare in autobus, sempre troppo affollato e chiassoso per lei. Nell'angusto spazio del mezzo, dove circa centoventi persone o poco più se ne stavano in piedi -in mancanza di posti a sedere- pressate le une contro le altre, si sentiva sempre a disagio. L'aria era pesante e faceva fatica a respirare, il coincitato brusio della gente le perforava i timpani facendole inevitabilmente venire il mal di testa e l'odore di chiuso e sudore le dava sempre un senso di nausea.
Avrebbe perfettamente potuto prendere un taxi, ma il costo sarebbe stato troppo elevato e lei non era proprio il tipo che buttava via in quel modo i soldi che duramente si guadagnava. Non poteva permettersi di sprecare nemmeno un penny.
Fortunatamente quel sabato c'era solo una decina di passeggeri sparpagliata tra i sedili oltre a lei.
Una vecchina era seduta tra i primi posti e discorreva amabilmente con l'autista. Da dove si trovava, Hilary non riusciva bene a sentire tutto, ma intuì che l'argomento principale era l'imminente apertura del nuovo centro commerciale poco lontano dai giardini pubblici.
Qualche sedile avanti a lei, una donna cullava il figlio canticchiando sottovoce una ninnananna. Al fianco di questa stava seduta una bambina, che sonnecchiava con la testa poggiata sulla spalla della madre.
In piedi, davanti alla porta dell'autobus, stava un ragazzo ad occhio e croce sui quattordici anni che batteva ritmicamente il piede a terra, mentre sgranocchiava delle patatine al formaggio, a giudicare dall'odore che arrivò al naso di Hilary. Poco distante da lui, la giovane intravide la figura di un uomo che dormiva con la schiena appoggiata al finestrino e le gambe stese sui sedili. Doveva essere parecchio alto, si ritrovò a notare osservando la posizione poco comoda nella quale era costretto quell'individuo. Le sole altre caratteristiche che riuscì ad individuare in lui furono la muscolatura non indifferente messa in evidenza dalle braccia incrociate sul petto e i lunghi capelli corvini dalle tenui sfumature blu raccolti da una coda. Il viso le era precluso alla vista dato che era interamente coperto da berretto rosso.
Infine, in fondo al mezzo, quattro ragazzi occupavano l'ultima fila di sedili parlando ad alta voce e ridendo sguaiatamente.
La giovane non prestò loro molta attenzione, preferendo oncentrarsi sul ragazzino poco più avanti rispetto a lei. Era strano, non c'era alcun dubbio. Indossava una maglietta blu sbiadita e consumata con le maniche arrotolate fin sopra le spalle, qua e là riuscì ad individuare qualche macchiolina di salsa al pomodoro e mayonese. I suoi jeans erano chiari e strappati in più punti e ai piedi portava delle scarpe da ginnastica bianche sporche ed evidentemente vecchie. Ma la cosa che attirò maggiormente la sua attenzione furono i capelli di un rosso acceso sollevati grazie ad una quantità esorbitente di gel.
"Eccentrico" pensò la ragazza "ma originale."
Le piaceva quello stile sciatto e trasandato, ma notevolmente comodo. Lei di abiti ne aveva davvero pochi, poichè in tutti quegli anni aveva utilizzato per la maggior parte del tempo le divise del collegio di sua madre o qualche tuta da ginnastica che si era potuta permettere quando aveva iniziato a lavorare, nonostante il suo armadio fosse colmo dei vecchi vestiti di sua madre, ma gonne colorate e camice eleganti non facevano proprio al suo caso. Ricordava vagamente che, da piccola, la Minamino si ostinasse a vestirla con pizzi e merletti con una gamma di colori che andava dal giallo limone al rosa confetto. Assolutamente orribile. Se fosse stata una ragazza normale, probabilemente lo stile di quel ragazzino sarebbe stato perfetto per lei.
Improvvisamente qualcosa in fondo all'autobus la distrasse.
-...molto carina eh?-stava dicendo uno dei ragazzi che aveva precedentemente notato.
-Quanti anni avrà secondo voi? Sarà maggiorenne?-chiese un'altro.
-Anche se non lo è che importa? Io ci provo lo stesso.-affermò con sicurezza un terzo e, anche se Hilary non poteva vederlo, riuscì comunque a capire che questo si era alzato e si stava dirigendo verso...evidentemente verso di lei.
Un'espressione annoiata prese forma sul suo viso mentre lo sentiva avvicinarsi e notò che lo scambio di battute avvenuto non era affatto passato inosservato, attirando lo sguardo vagamente preoccupato della donna con i due bambini che aveva improvvisamente interrotto il suo canto.
Avertì con chiarezza l'approssimarsi di quel tipo, ma fece finta di nulla, continuando a guardare davanti a sè.
-Ciao dolcezza.- alitò il giovane quando si fu fermato al suo fianco.-Posso sedermi qui?-le chiese indicando con un cenno del capo il sedile vuoto.
Hilary lo guardò inespressiva per alcuni secondi. Capelli biondo cenere, occhi verdi, abbronzatura da surfista e sorriso sfrontato. Indubbiamente un bel ragazzo, ma incrociando il suo sguardo percepì uno strano brivido solleticarle la pelle e il sapore di metallo sulla lingua, una sensazione spiacevole, come se il suo corpo la stesse avvertendo di tenersi alla larga dal pericolo. Quel ragazzo era malvagio, non seppe dire con certezza da che cosa derivasse questa consapevolezza, ma ne era sicura al cento per cento.
-No, è occupato.-rispose infine, lasciando interdetto il biondino.
-Ma è vuoto.-protestò recuperando il suo ghigno spavaldo.
La ragazza sbuffò pesantemente mentre spostava la sua traccolla dalle sue gambe al sedile libero.
-Ora non più.-ribattè con una smorfia divertita, prima di riportare l'attenzione su altro, sicura che quel tizio insopportabile non l'avrebbe più infastidita.
Si sbagliava dato che il ragazzo, non dandosi pervinto, si sentì in diritto di spostarle la borsa e prendere posto.-Come fai la difficile, dai...voglio solo parlare un po'.-
La giovane si sentì pervadere da un moto di rabbia, mentre sentiva le dita pizzicare e il sapore metallico farsi ancora più forte. Strinse forte i pugni e cercò di respirare lentamente per calmarsi. Aveva sempre odiato la gente insistente, la faceva andare su tutte le furie.
-Dimmi qualcosa di te tesoro, sei così carina.-
"Lasciami in pace, vattene via."continuava a ripetersi in testa, mentre il repriro si faceva più corto e pesante. Ecco, stava per avere l'ennesimo attacco di panico. Le tempie cominciarono a pulsare ad un ritmo spaventoso, sembrava che la testa stesse per scoppiarle, mentre i suoni esterni si facevano sempre più ovattati. In un attimo di lucidità pensò che probabilmente sarebbe collassata nel giro di qualche secondo se quell'ameba non si fosse sbrigato a chiudere il becco girando i tacchi e tornandosene al suo posto. Ma le mani di quel verme erano troppo vicine a lei per i suoi gusti e la sua voce continuava a perforarle i timpani dandole il tipico fastidio dello stridio prodotto dal gesso sulla lavagna.
-Ehy idiota, se non ti risponde vuol dire che non le interessi.-
Il dolore sparì all'improvviso, quando udì la voce del ragazzino con i capelli rossi.
Perfino il surfista ne era rimasto spiazzato, voltandosi a guardare chi aveva preso le difese di quella che considerava la sua preda.
-Come hai detto moccioso?-domandò con voce irosa.
-Le stai dando fastidio a giudicare dalla sua espressione schifata, dovresti davvero toglierti dai piedi e tornartene dai tuoi amici.- continuò sprezzante il piccoletto.
-O loro potrebbero raggiungerci qui.-disse il biondo in tono minaccioso, facendo un cenno ai compari rimasti in fondo al bus, i quali non persero tempo iniziando ad avvicinarsi.
"Qui si mette male."pensò Hilary osservando quei tre ragazzoni sghignazzanti.
Uno dei tre, con un ciuffo nero alla John Travolta e il chiodo di pelle, prese il ragazzino per la maglia, alzandolo da terra di alcuni centimetri.
-Mettilo giù scimmione.-sibilò la ragazza, scattando in piendi.
-Stà buona piccola, ora io e te ci divertiamo.-la riprese il surfista da strapazzo posandole una mano sul fianco.
"Questo non dovevi farlo."
Successe tutto in pochi secondi, un lasso di tempo così breve che pure Hilary stessa fece fatica a capire l'esatto svolgimento dei fatti, ma quando ritornò a ragionare stava aiutando il ragazzino con i capelli rossi a rimettersi in piedi, mentre questo la stava guardando con bocca ed occhi spalancati.
"Oddio, che diavolo ho fatto?"si domandò sgomenta, voltandosi ad osservare la pietosa scena del surfista e del Danny Zucco della situazione, a terra doloranti, mentre gli altri due se ne stavano imbambolati a fissarla come se fosse stata un mostro a due teste.
Il biondo scosse la testa, massaggiandosi la guancia arrossata.-Mi hai dato un pugno...brutta puttana, mi hai colpito.-inveì contro di lei furioso, per poi rivolgersi agli altri due.-Che aspettate idioti, prendeteli.-
Senza rifletterci troppo, Hilary agì d'istinto premendo il pulsante rosso di fermata più vicino, prima di afferrare il braccio del ragazzino e correre verso l'autista, il quale frenò bruscamente, aprendo immediatamente la porta davanti.
Mentre sfrecciava accanto al conducente e alla vecchina, Hilary potè distintamente afferrare ciò che le stavano dicendo.
-Mi occupo io di questi vandali ora.-
-Bel gancio ragazza.-
La giovane si sentì fiera di sè e si ritrovò a ridacchiare come una scema appena scesa dal mezzo di trasporto, senza nemmeno capirne il perchè.
-Wow...tu sì che sei strana forte.-commentò scettico il rosso.
Hilary si risollevò subito cercando di ridarsi un tono, ma non abbandonando l'espressione divertita e soddisfatta che le si era dipinta in viso.
Si schiarì la voce borbottando delle scuse.
-Certooo...-bisbigliò il piccoletto inarcando un sopracciglio-...comunque...-abbandò l'espressione dubbiosa, per mostrarne una sopresa es entusiasta-Come hai fatto?-domandò eccitato.
-Fatto cosa?-chiese Hilary.
-Ma che vuol dire 'cosa'? Li hai stesi, sei stata fenomenale accidenti, a malapena sono riuscito a vederti finchè ti muovevi!!-esclamò esaltato, gesticolando ampiamente.
-Ehm...-non sapeva proprio che cosa rispondere, nemmeno lei sapeva che cosa aveva fatto.-Autodifesa...corso avanzato.-propinò la prima idea valida che le era saltata in mente.
L'altro si fermò scrutandola con gli occhi ridotti a fessure-Tu non me la racconti giusta...-sussurrò, fissandola per qualche istante.-Mah...fatto stà che sei stata grande e mi hai salvato la pellaccia...ti devo un favore.-disse infine.
-Non serve davvero, grazie comunque.-gli rispose ottenendo un'incurante alzata di spalle.-Io sono Hilary.-si presentò.
Il ragazzino si strofinò l'idice sotto il naso sorridendole.-Daichi, mi chiamo Daichi!-









I teppistelli erano stati gentilmente sbattuti al fresco per un po' in seguito alla chiata effettuta dall'autista. Probabilmente sarebbe servita loro per il futuro, d'ora in avanti magari avrebbero fatto più attenzione pensadoci due o tre volte prima di infastidire delle ragazze. Soprattutto ragazze come Hilary.
"Niente male la ragazzina."pensò ridacchiando divertito il giovane uomo abbassando la visiera del cappello sugli occhi e tornando a far finta di dormire. "Se ne vedranno delle belle."



 

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