Non è una Storia d' Amore

di GinevraCorvino
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** NEL CUORE DI UNA NOTTE ESTIVA ***
Capitolo 3: *** VITE SEGRETE IN SOBBORGHI BABBANI (prima parte) ***
Capitolo 4: *** VITE SEGRETE IN SOBBORGHI BABBANI ( Seconda parte ) ***
Capitolo 5: *** VITE SEGRETE IN SOBBORGHI BABBANI (terza parte) ***
Capitolo 6: *** VITE SEGRETE IN SOBBORGHI BABBANI (quarta parte) ***
Capitolo 7: *** VITE SEGRETE IN SOBBORGHI BABBANI ( quinta parte) ***
Capitolo 8: *** VITE SEGRETE IN SOBBORGHI BABBANI (sesta parte) ***
Capitolo 9: *** VITESEGRETE IN SOBBORGHI BABBANI (Settimaparte)) ***
Capitolo 10: *** SANGUE INFETTO ***
Capitolo 11: *** HOGWARTS ***
Capitolo 12: *** LA PROFEZIA DEI TAROCCHI ***
Capitolo 13: *** DI SUCCO DI ZUCCA E DI TRUE BLOOD ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


 

 

 A mio marito a cui da bambino nessuno ha mai raccontato una favola.
Questa è per te.
G.

  

 

PREMESSA DELL'AUTORE

Questa FF riprende in tutto e per tutto gli avvenimenti del terzo libro della Rowling : Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban. In realtà io lo considero un libro che con l'ausilio di un personaggio inventato Lenora Corvino ( di cui detengo tutti i diritti), ripercorre con occhi e punti di vista alternativi la Storia.
E' il mio Sogno. Nulla di più.
Chiedo cortesemente a chi avrà voglia di sfogliare la mia immaginazione, di segnalarmi qualsiasi tipo di incoerenza ( sopratutto cronologica), con il testo originale della Rowling.
Grazie.
 Non esistono Miracoli in terra, ma per fortuna esiste la Fantasia.


 PROLOGO 

  Notturn Alley, nessun mago perbene vi si inoltrerebbe, nessun mago onesto sarebbe interessato a qualsiasi cosa quel luogo offrisse.

I passi di un uomo echeggiano sul selciato umido della pioggia appena passata. La via è buia, solo un cane nero vaga errabondo, sporco come i vicoli fatiscenti di quella strada  abbandonata al suo squallore.
L'uomo avverte un rumore spezzato, un gorgogliare strozzato provenire da una nicchia nascosta dalle tenebre in  quella notte stregata dell'ultimo giorno d' Ottobre, nella quale anche la luna si nasconde come a presagire un delitto.
Il mago dal bel soprabito elegante si blocca di fronte a  quell'oscurità da dove provengono quegli strani suoni di respiri infranti e mugolii voluttuosi; circospetto si avvicina a quel buco spalancato nel oscurità che respira, è come spinto da una forza sconosciuta, inspiegabile, ambigua. Tende l'orecchio pallido ad un  lappare lento, languido, ad un sospiro che ascende alla notte, e fugge senza ritorno.
Si immerge in quella voragine di solida ombra, ma si immobilizza come un animale terrorizzato, ogni suo muscolo si contrae nello spasmo di non far rumore, di non disturbare quello che intravede soltanto, mentre gli occhi si abituano all'assenza di luce e nelle narici si insinua acre un dolciastro odore metallico: un  banchetto abominevole.

Dall'oscurità claustrofobica sbocciano due enormi occhi ferini in un volto bianco come il gesso imbrattato di un rosso troppo scuro, troppo vivo. Un volto di sangue che scivola indolente dal mento levigato di una  donna dai capelli di fiamma che è china sul corpo esanime di un uomo. Lo tiene amorevolmente tra le braccia, come una bambola rotta di cui si rammarica di non potervi più giocare. Mentre lo sta fissando, con quegli occhi d'abisso solo pupilla,sembra quasi imbronciata ,le sopracciglia finissime si sono incurvate in un espressione di capriccioso disappunto.

L'uomo sa che  si è accorta di lui, eppure non fugge, osserva quella creatura bellissima e terribile che si comporta come un felino che difenda la sua preda: immobile, in una pericolosa attesa.
Lucius serra la mano sulla testa d'argento di serpente del suo bastone che nasconde la bacchetta, ma contro ogni logica o immaginazione quell'essere osceno fa germogliare un sorriso indefinibile ma dolce su quel volto assassino. Le zanne criminali scintillano come avorio, gocciolanti pesanti gocce di rubino.

Un cane guaisce poco lontano, ma nessuno se ne cura, è come se l'attimo fosse congelato, interamente trattenuto dagli sguardi colpevoli di entrambi. Oltre il mago e la vampira in quel momento non esiste nulla. Solo loro nei loro segreti.
Incongruente alla situazione Lucius allenta la stretta del bastone, e resta lì, come ammaliato a guardarla mentre lei senza distaccare i suoi occhi da quelli di lui si tira su con il busto e si appoggia lasciva al muro che le sta dietro, scomposta in un modo quasi volgare, lasciando scivolare dalle sue braccia quel corpo dissanguato come un giocattolo vecchio che si butta perché non è più di nessun interesse.

Il mago ha capito, attende senza far nulla lo scatto ferino. Ma non accade niente la ragazza resta fissa come una visione apocalittica in fondo al vicolo, è come ubriaca, e sembrano i suoi occhi gli occhi di un demonio che sogni *.


*NOTA: L'ultima frase del capitolo è una citazione del CORVO di Edgar Alan Poe

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Capitolo 2
*** NEL CUORE DI UNA NOTTE ESTIVA ***


Le grandi bifore intarsiate della torretta al settimo piano erano spalancate, sembravano enormi pupille di gatto che scrutassero l'oscurità del parco nel quale danzavano pigre le luci pulsanti delle lucciole; la luna entrava curiosa in punta di piedi come una ladra, portandosi addosso il profumo della prima notte d'Agosto: una fragranza assortita di mughetto e gelsomino come una pozione.
Nella stanza ovale del castello i personaggi dei quadri bisbigliavano tra loro in modo circospetto, mentre un uomo anziano con una lunga barba come zucchero filato, che indossava una larga tonaca porpora e oro distrattamente accarezzava una superba fenice posata su un trespolo accanto a una grande scrivania di mogano piena zeppa di carte e strani alambicchi. Di fronte al vecchio mago immobile come una statua di marmo si trovava un altro uomo appena sfiorato dalle pallide dita della luna, quasi che anche questa avesse timore di quella staticità priva di respiro.
Anche se nulla in quel quadretto sembrasse troppo strano, c'era comunque qualcosa di bizzarro che gli conferiva un aspetto cospiratorio. Infondo si sa, la notte è il confessionale dei segreti e dei sotterfugi.
- Capisco ciò che le sto chiedendo Silente, so che non rientra tra le vostre regole e che le circostanze in cui si trova la mia protetta sono - l'uomo accennò una smorfia increspando  divertito gli angoli della bocca - particolari. Ma per un qualche scherzo di natura ella appartiene alla mia specie quanto alla vostra.
- E' troppo grande ormai - ovattata  arrivò preoccupata la voce di una donna in vestaglia verde dietro di lui.
- Forse - rispose il mago con capelli bianchi e fini come fili di ragnatele, mentre continuava ad accarezzare le piume cremisi della bella fenice.
- Tu, che ne dici Fanny? -
La donna dal cappello a punta emise un sospiro esasperato.
- Albus, ci sono delle regole. Purtroppo non sempre riusciamo a trovarli in tempo e poi...- la strega non terminò il suo pensiero come se farlo sarebbe stato indelicato.
Sorridendo dolcemente alla fenice, il mago guardò dritto l'uomo di fronte a sé e fissandolo da sopra gli occhiali a mezza luna con occhi acuti, quasi scaltri, occhi cerulei che dimostravano un intelligenza ben oltre il comune, puntualizzò :
- Signor Jvanovich, lei mi ha raccontato che la signorina Corvino, prima di "incontrarla" ha studiato magia e stregoneria presso una Congrega italiana giusto? -
- Si, signor preside, dagli otto fino ai diciassette anni. -
- E che nonostante il suo, come dire, "intervento", ha mantenuto la sua magia. -
- Esattamente. - affermò lapidario l'uomo dagli occhi di un lupo siberiano.
- Albus, dovrebbe frequentare l'ultimo anno! Come può inserirsi e recuperare? - obbiettò la strega facendosi più vicina ai due uomini mentre si tormentava le mani senza tregua.
Silente spostò lo sguardo azzurro brillante oltre l'uomo verso la strega  ora investita in pieno dal chiarore lunare.
- Minerva, cosa temi davvero, che sia perduta al mondo magico o il suo cuore di vampira? -
La donna serrò le labbra con evidente disappunto ma non rispose alla domanda, restò ingessata in un granitico silenzio e cessò quel gesto compulsivo di rigirarsi le mani, le strinse invece rabbiosamente a pugno lungo i fianchi.
Silente sorrise senza cattiveria in quel modo enigmatico e bonario che a  volte la professoressa McGranitt trovava terribilmente irritante, poi si rivolse nuovamente all'uomo vestito in modo babbano che non era mutato di un atomo in tutto quel tempo.
- E' qualcosa di molto raro quello che dite, per questo deve avere un quale si voglia senso, il caso è caso solo quando si ha paura di chiamarlo destino.-
Il mago aveva arpionato gli occhi dell' uomo senza alcun timore, con una inconsueta serietà, e con altrettanta autorità si rivolse alla strega ancora contrariata.
- Minerva manda un gufo al professor Piton , che si presenti immediatamente qui. -
Il tono, anche se pacato non ammetteva repliche.
La professoressa McGranitt simulando un inchino rigido di disapprovazione congedandosi rispose in tono asettico - Immediatamente. -
 
Una volta che la strega fu uscita impettita come se le avessero fatto un dispetto, il mago si avvicinò all' uomo più diafano della luna stessa.
- Se vuole ora può dirmi perché è così importante che la ragazza sia nascosta ad Hogwarts? -
L'uomo sorrise mephistofelico scoprendo appena le zanne acuminate e con un gesto ampio del braccio come un invito indicò una zona d'ombra dove la luna non aveva potuto sbirciare.
Silente posò il suo sguardo ammiccante in quella direzione, e con un sorriso luminoso dichiarò -Benvenuta signorina Corvino -
Come se la tenebra avesse rilasciato un respiro trattenuto, felpata come una gatta emerse una figura esile incappucciata in un mantello che nulla faceva intravvedere, se non che dentro di esso fosse celata una persona.
- Buonasera preside - educatamente rispose una voce femminile.
- Il tuo creatore mi dice che ancora la tua magia convive con il sangue oscuro. -
- Si, signor preside -
Testarda la luna tentava di insinuarsi nel nero mantello che la teneva segreta.
- Non so ancora se l'istruzione che hai ricevuto può essere adeguata allo standard di Hogwarts. -
- Lo è - rispose arrogante la vampira - o lo sarà - concluse sicura.
- Bene - si congratulò il preside con una certa malizia. - Ma prima di decidere di ammetterti dobbiamo esserne certi, come dobbiamo essere sicuri che non nuocerai agli studenti.- quest'ultima frase fu pronunciata dal mago in un tono di inconsueta minaccia.
- Non lo sarà - rispose per lei il vampiro dai capelli del colore del grano morente.
- Bene - ribadì il mago sempre in tono più d'avvertimento che di affermazione.
La vampira non si scompose, non replicò, restò avvolta nel suo mantello custodita come un inesprimibile segreto. Ancora la luna cercava di toccarla con le sue dita indiscrete, ma ella era solo ombra nell'ombra.
 
La porta scorrevole dello studio del preside si aprì in mezzo a due imponenti e massicci Gargoyles di pietra al cui centro si stagliò la figura di un uomo dai capelli corvini e il volto severo.
La vampira in quel momento si rivolse verso la porta e il suo volto di madreperla venne finalmente ghermito dalla luna, anche l'uomo appena arrivato avvolto in quel mantello nero come ali di pipistrello si voltò verso quello squarcio di donna.
Nella tenebra intravide lo smeragliare di occhi impossibili al mondo: occhi lilla come ametiste e riflessi di rosse ciocche, ma era solo un inganno della luna, anche se per un attimo il suo cuore di serpente aveva riacquistato calore, quei semplici frammenti non erano che menzogne della penombra.
La vampira non si accorse dell' accelerare del sangue di quello sconosciuto che a sua volta aveva richiamato il suo. Nulla più.
Silente no, dietro lo scintillio causale dei suoi occhiali a mezza luna aveva abbozzato un sorriso stanco di soddisfazione e profetico trionfo. Speranza.
- Professor Piton, questa è la signorina Lenora Corvino - Il professor Piton accennò un inchino galante col capo, più per proforma che per reale cortesia.
- Il suo tutore, il signor Klaus Jvanovich - continuò l'anziano mago - avrebbe espresso il desiderio che la ragazza frequentasse l'ultimo anno ad Hogwarts. -
- L'ultimo anno Preside? - chiese incolore Piton.
- Si, l'ultimo anno, la ragazza ha diciassette anni, o meglio è stata vampirizzata a quell'età. -
Silente osservò Piton che non riuscì a mascherare un ombra di disgusto nelle labbra.
- Avendo conservato i suoi poteri di strega desidererebbe poter conseguire il diploma qui ad Hogwarts-
- Lo trovo azzardato- dichiarò atono il professore di pozioni.
- Forse- rispose sibillino Silente, - ciò nonostante desidero che lei appuri la sua istruzione prima dell'inizio dell'anno e mi dia il suo parere sull'idoneità della ragazza per questo progetto -
- Io? - chiese sospettoso Piton, nuovamente guardando la femminea figura ammantata.
- Si Severus, visto la delicata natura della situazione, non potrei che chiedere a un uomo della tua esperienza.-
- Perché non al professor Lupin, sarà lui il nuovo insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, e visto la natura stessa della "ragazza", quale migliore tutore potrebbe delucidarne poteri e istruzione - rispose sarcasticamente l'uomo dai capelli color petrolio.
- Severus, questa ragazza è una indescrivibile creatura, una vampira che ha conservato i poteri di una strega-
- Impossibile - sentenziò il professor Piton indispettito.
- Raro, non impossibile- lo corresse  il preside dagli occhi di fanciullo.
Piton restò in silenzio ricomponendo la sua figura in un gelido nulla.
- Mi avete fatto chiamare, Preside, che cosa desiderate da me ? -
Avvicinandosi al mago funereo, Silente quasi gli bisbigliò in tono cospiratorio - che in questo mese prima dell'inizio dell'anno tu misuri le sue capacità, a quel punto io deciderò.-
Gli occhi limpidi di Silente incontrano quelli foschi di Piton, c'era molto in quello sguardo che nessuno avrebbe potuto conoscere.
- Come? - chiese il professore visibilmente irritato.
- Desidererei, se non trovi altra soluzione che  la Signorina Corvino, si stabilisca da te, perché tu ne appuri le capacità e laddove sia possibile ne colmi le lacune.-
Piton sgranò gli occhi come un uomo a cui fosse stata decretata una sentenza di morte.
- Lei crede sia appropriato?- e lanciando uno sguardo verso la foto di un uomo incatenato che si dimenava come un indemoniato sulla prima pagina di un giornale aperto sopra la scrivania continuò, - non crede che per quest'anno si siano presentati già abbastanza problemi? -
Il professor Silente  lanciò un' occhiata alla foto accennata dal professor Piton, si avvicinò alla scrivania e raccolse da un piattino d'argento una curiosa goccia nera che saltellava insieme ad altre e se la infilò in bocca, dopodiché chiuse il giornale e si rivolse all'uomo senza respiro, come se il sottile avvertimento del professore di pozioni non fosse mai stato sollevato.
- Lei che ne pensa Signor Jvanovich?-
Sorridendo di un sorriso indefinibile il vampiro rispose - io non ho alcuna obbiezione.-
- Bene -  esultò il professor Silente battendo le mani. - Ora dipende da te Severus -.
Quest'ultimo si voltò nuovamente verso quella figura ormai solo oscurità amorfa nel mantello che non lo guardava più, ma che era protesa con tutto il suo essere all'essenza della notte.
- E sia- dichiarò senza entusiamo Piton, anche se in realtà agognava con tutto se stesso  che quella ragazza fallisse.
Il professor Silente si avvicinò alla bifora aperta sul cielo stellato dove si trovava la vampira.
- Le è data una possibilità, non la sprechi, non solo per lei. - le sussurrò criptico il vecchio mago.
Lenora incuriosita si girò verso di lui, non aveva capito davvero tutto ciò che quell'uomo dalle lunghe dita sottili che le era accanto le aveva detto, ma intuì che oltre le parole c'erano mondi a lei sconosciuti.
- Io sono ciò che sono e so cosa sono, per questo per tutti è così facile decidere cosa debba essere per ognuno.-
- Davvero?- Le rispose sornione Silente. - tu non sei niente altro che le tue paure, le tue abitudini e i tuoi desideri. Da quanti anni hai diciassette anni?-
- Tre - rispose sconcertata la ragazza.
- Sempre troppo giovane, tra i mortali e gli immortali- e con una carezza innocente le scoprì il cappuccio.
La luna la invase trionfante come una conquistatrice, il volto alabastro, i capelli come magma e gli occhi pietre lilla in cave di inferno. Incredibili.
 
"Non è lei", Piton lo sa, così troppo diversa a parte i colori, non è lei; è solo un inganno spudorato della disperazione del tempo. Non è lei, non ha gli occhi di Lily. Però ne subisce la vertigine e il vuoto in cui cade e che fa montare in lui verso quella ragazza un odio e un livore quasi insopportabile.
- Bene- ripeté per l'ennesima volta il mago con gli occhiali a mezzaluna sul lungo naso, stavolta rivolgendosi al vampiro.
- Da una settimana da oggi, la signorina Corvino si trasferirà dal professor Piton, e poi decideremo. Lei è d'accordo?"-
Il vampiro si soffermò su Lenora, alla fine non le importava cosa desiderasse lei.
- Assolutamente. -
- Professor Piton?-
- Come lei desidera - fu la risposta laconica dell'uomo in nero.
- E sia, andate pure, questa questione è rinviata ad un mese da oggi.-
 
Con un inchino i due vampiri si dissolsero nell'ombra, Piton camminando all'indietro fu fagocitato dalla porta girevole e svanì.
 
Il professor Silente si trovò solo di fronte alla grande bifora, solo di fronte all'immensità onnivora della notte. Guardava la luna che giocava a nascondino tra le nuvole e ricordava altre promesse.
Si avvicinò al pensatoio di pietra con il bordo inciso di rune; non c'era un motivo, e se c'era solo il suo inconscio lo aveva intuito, con la bacchetta  estrasse un piccolo fumoso filo argentato dalla sua mente è lo lasciò cadere leggero come una piuma nel bacile affamato colmo di uno strano liquido opalescente, lasciando che questo lo digerisse. Un nuovo ricordo consegnato. In realtà non riguardava tutta quella notte ma solo un frammento rubato di  questa. Uno sguardo. Semplicemente.
 
- Non è appropriato- squillò la voce della strega dal cappello a punta.
- Oh Minerva - il mago non era stupito che l'occhialuta strega fosse ripiombata nel suo studio.
- Non è appropriato- ripeté con più veemenza la McGranitt - che una ragazza conviva con un uomo- e in quell'affermazione c'era tutta la sua rigida etica.
- Mia cara Minerva quella ragazza non  ha più 17 anni da almeno 3 calendari -
- Allora non dovrebbe proprio strare qui! - rispose stizzita la strega.
- Nulla è deciso -
Ma la strega conosceva il mago con cui stava parlando e inarcando le ciglia sottili domandò -davvero?-
Silente la guardò inalterabile, incorruttibile.
- Credi che se  non sarà all'altezza Severus la favorirà? -
La strega ci pensò un po' su - No -
- Allora cosa ti  preoccupa?-
- E' una vampira! - affermò con fervore la McGranitt.
Silente sorrise di quel sorriso che solo l'esperienza di tutta una vita permette - abbiamo già avuto lupi mannari, perché non una vampira.-
Ma la McGranitt lo conosceva ormai da abbastanza tempo per intravedere in quel sorrisetto svampito e nel brillare degli occhi che Silente le stava omettendo qualcosa.
- Tu hai in mente non so che Albus.- dichiarò la donna stringendo gli occhi a fessura
- Minerva non sono mai stato bravo in divinazione.- rispose ironico il mago.
Forse era vero ma la strega lo guardò con sospetto e l'ansia corrucciata, di chi era stata messa da parte.
 
Rimasto solo nel suo studio Silente si recò di nuovo al  pensatoio, tra le tante fiale ne cercò una, ma non la  prese, tornò alla notte calda e profumata di estate.
Il professor Silente non aveva doni di veggenza o di divinazione, eppure si era convinto che quella cospirazione avrebbe dato possibilità al futuro.
Quanto poco sapeva delle stelle nonostante fosse il più grande mago del suo tempo.


NOTA : KLAUS JVANOVICH è un personaggio di mia invenzione di cui detengo ogni diritto.


RINGRAZIAMENTI : a EmmaStarr che grazie ad un suo contest mi ha dato l'idea degli occhi lilla di Lenora. Infinitamente Grazie.

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Capitolo 3
*** VITE SEGRETE IN SOBBORGHI BABBANI (prima parte) ***


Nella notte tra il 6 e il 7 d'Agosto, una pallida figura incappucciata in un nero mantello percorreva una stradina fatiscente portandosi dietro un enorme baule sotto una luna opaca. Tale vicolo era  fatto di pietre acciottolate, sporco e silenzioso, dalle insopportabili case tutte uguali ad eccezion fatta per lo stagliarsi della sagoma malridotta e probabilmente in disuso di una vecchia ciminiera; mentre in lontananza si udiva il gorgogliare malato dall'odore macilento di un fiume che opprimeva tutto il sobborgo.
Aggirandosi furtiva tra la luce tisica di un lampione dai vetri sudici e l'ombra di altri fulminati, la misteriosa figura cercava di indovinare quale fosse la via giusta dove svoltare per entrare in Spinner's End.
Nonostante i suoi occhi fossero fatti per la notte, quella squallida omogeneità amorfa la metteva in una certa difficoltà.
Esasperata, tirò il naso dritto come un righello all'insù ed iniziò ad annusare gli odori della notte. Nauseabondo le arrivava il fetore della sporcizia lungo le rive del fiume, ma doveva ignorarlo, come doveva ignorare l'acre miscela di escrementi che aleggiava per le strade putride.
Era un profumo particolare quello che andava cercando in mezzo a quel crogiolo di immondizia. Il profumo del sangue. Non di un sangue qualunque, bensì quello di uno specifico mago. Solo così aveva risolto che sarebbe riuscita a trovarne la casa.
D'improvviso un topo squittì accanto allo scolo di una fognatura oltre la quale, girando in un altro identico fatiscente vicolo, la donna avvertì penetrante l'odore che cercava: metallico sulla punta della lingua.
Si diresse quindi quasi fluttuando tra una macchia di luce sporca e un'indecente ombra verso la via. Non controllò che fosse Spinner's End; mentre le rane e i rospi gracidavano melanconici lungo il greto del fiume lei era già davanti alla porta della casa del professor Piton.
 
 
Quando il mago dall'aspetto fosco socchiuse la porta, uscì una falena lungo una tenue striscia di luce che investì solo in parte la figura ammantata della sua inquietante visitatrice.
Ma visto che il professor Piton, anche se controvoglia, la stava aspettando, aprì con un movimento rigido la porta consunta e con un gesto gelido del braccio la invitò ad entrare in quello che era un piccolo salotto dall'aria decadente.
Lenora Corvino entrò leggera con il suo immenso baule in quella stanza foderata di libri e si fermò sotto la chiazza di luce tremolante del lampadario dove le fiamme delle candele stavano lentamente morendo. Si tolse il cappuccio nero del mantello e si voltò verso il mago che stava chiudendo la porta.
- Suppongo che a quest'ora lei abbia già cenato, signorina Corvino - fu il saluto sarcastico dell'uomo.
Lenora lo guardò dritto in quegli occhi all'apparenza neri come pozzi e beffarda increspò le labbra in un sorrisetto malizioso.
Severus Piton, abituato a esser lui tra gli interlocutori quello sgradevolmente arrogante, ne fu indispettito, ma non seppe come replicare a quella piccola smorfia maligna di quella ragazza troppo pallida.
Sotto l'opaca macchia di luce quella creatura assumeva le fattezza di qualcosa di violentemente inumano. I capelli troppo rossi, in contrasto con la pelle esageratamente bianca, e gli occhi, gli occhi di uno strano lilla, inumani, erano come fiori che le sbocciavano in volto e una strana liquidità di luce guizzava scivolando sulle iridi fredde. Piton non pensò che fosse bella, constatò semplicemente che era pericolosa.
- Si sieda pure - disse l'uomo indicando un piccolo divano liso di fronte a un tavolino sbilenco dove, anche lì come nello studio del preside di Hogwarts, era appoggiato un giornale aperto con la medesima foto dell'uomo incatenato che urlava come un ossesso digrignando i denti.
Il titolo riportava che un pericoloso assassino era scappato dalla prigione di massima sicurezza di Azkaban e che il Ministero della Magia aveva impegnato per la sua cattura tutta l'armata dei guardiani di quella fortezza.
Se Piton notò Lenora osservare il giornale, non gli diede importanza. Si avvicinò alla ragazza a passo lento e altero, questa rialzò lo sguardo su di lui si slacciò il mantello con un unico elegante gesto e languidamente si sedette sul divano scricchiolante.
- Bene - affermò Piton congiungendo le mani - Il professor Silente è convinto che lei debba avere una possibilità di dimostrare di essere all'altezza di conseguire un diploma - abbozzò cattivo una specie di sorriso il mago, facendo chiaramente capire alla ragazza che per lui era solo una perdita di tempo.
- In questo mese - continuò in tono di sufficienza, quasi canzonatorio - mentre sprecherò il mio tempo con lei, ci saranno delle regole alle quali dovrà attenersi -
Il professore non si era accorto che nonostante i suoi sforzi di mettere a disagio la sua ospite, questa a malapena lo stava ascoltando, rapita dall'infinità di libri che quell'uomo possedeva.
- Possiede solo saggi accademici, libri di magia, o anche romanzi?- lo interruppe d'un tratto la vampira.
Piton si voltò verso di lei come un serpente che scattasse per un rumore inaspettato.
Si chinò alterato poggiando le mani sul tavolino, il quale traballo pericolosamente e le sibilò:
- Lei non è in vacanza, signorina Corvino. Se vuole buttare il suo tempo, non sprechi il mio! Lei è qui per studiare tutto quello che non sa! -
Senza la contrazione di un muscolo, ancora seraficamente seduta sullo scomodo divano dalla tappezzeria sfilacciata, Lenora accavallò con non curanza le gambe e con un cenno impercettibile di bacchetta fece scattare l'immane baule.
Piton si voltò repentino verso di esso.
- Ho comprato tutti i libri di tutte le materie di tutti e sette gli anni del programma di Hogwarts -
Il mago ricomponendosi tornò eretto a scrutare meglio il baule.
- In questa settimana ho già studiato tutta Storia della Magia, compresa quella di quest'anno. Non è male, ma su alcune epoche e situazioni ci vorrebbero degli aggiornamenti -
Il mago si voltò verso di lei e non sapeva se essere divertito o offeso da quella strafottente analisi.
- Ah davvero? - domandò inarcando le sopracciglia, sarcastico.
- Si - dichiarò la ragazza sempre sorridendo in quel modo impercettibile, quanto insopportabile.
- Il programma di Erbologia è molto buono, eccellente direi - continuò imperturbabile, mentre il professore si accomodava con estrema calma su una vecchia poltrona che pareva non essere in grado di sostenere neanche un capello. - I libri di Pozioni presentano delle inesattezze in alcune formule, ma diciamo che sono accettabili - Contro ogni fibra del suo essere Piton non poté far a meno di far balenare un ombra di sorriso compiaciuto a quell'affermazione.
- Trasfigurazione è ottima, così come Antiche Rune, mentre per quanto riguarda Divinazione nella mia congrega eravamo decisamente più avanti di quanto lo siete voi con sette anni di studi. -
Il mago a quel punto smise di avere quell' espressione sorniona e con disprezzo le rispose: - Divinazione è una materia di nessuna utilità. -
Lenora come se quest'ultimo neanche avesse respirato continuò - Ho problemi con Artimanzia e Astronomia -
- Ah ma davvero? - esclamò burlandosi di lei il professore.
Stavolta la vampira lo guardò indispettita - conosco perfettamente ogni costellazione e ogni stella dalla quale è composta, ma non sono brava nei calcoli matematici dei vari moti dei pianeti e quant'altro. -
- Ne sono stupito, pensavo che fosse lei ad essere venuta a darmi ripetizioni - la sbeffeggiò il mago. Ma la ragazza non raccolse la provocazione e andò avanti.
- Incantesimi è incompleto. E deficitario. -
- In cosa ? - domandò spazientendosi Piton.
- Manca tutta "la magia del fare",  non è minimamente nominata. -
- E' magia oscura e babbana - replicò secco con una punta di astio l'uomo dai capelli corvini.
- Non è vero - lo contraddisse stavolta con emozione Lenora - la magia del fare permette di invocare e di proteggersi, quanto di ledere o incatenare, dipende dall'uso che se ne fa! -
- Noi siamo maghi e streghe, questi sotterfugi appartengono a chi ha bisogno di rubare la magia per ottenerla! - si alterò Piton.
- Oppure - proseguì pacata l'anomala strega - serve a chi non è stato trovato in tempo, ma non è perduto. -
Piton resto in silenzio, livido di rabbia per l'atteggiamento così sfrontato di quell'ibrida creatura. Poi una fosca fiamma balenò d' un tratto nel fondo dei suoi occhi, un malizioso guizzo che aveva un qualcosa di maligno.
- Che mi dice di Difesa contro le Arti Oscure? -
Il sorriso di Lenora si allargò e divenne tagliente come un rasoio affilato, le piccole zanne puntute nel fodero delle gengive rilucettero per un secondo minacciose.
- Credo di conoscerle a fondo. -
Un brivido gelato passò dietro la nuca di Piton che restò immobile come pietrificato con aria arrogante e inespressiva di fronte alla maschera perniciosa di quel volto di ceramica della ragazza, dopodiché con un colpo di bacchetta spalancò una porta segreta dietro una parete di libri, si alzò in piedi come un manichino e invitò la ragazza a seguirlo all'interno di quel pertugio.
 
Salendo una strettissima scala a chiocciola, arrivarono davanti ad un'altra porta dal legno ormai screpolato dall'incuria.
Piton la aprì ed entrò mostrando a Lenora una stanzetta fatiscente con un lettino in ferro battuto, un comodino sbilenco e un secretaire dallo specchio macchiato dalle ossidazioni. In un angolo un lungo tavolo mezzo marcio che avrebbe dovuto essere una scrivania stava quasi sovrapposto ad un armadio dalle ante mezze rotte.
- Spero sia di suo gradimento - commentò atono il mago.
Lenora si guardò in torno senza alcuna espressione, rispecchiando in tutto e per tutto il tono indifferente di Piton.
- Sul tavolino del secretaire troverà delle fiale, non le permetteranno di vivere sotto la luce del sole, ma le daranno la possibilità di esistere sveglia nella penombra e di essere destata dalla morte dei suoi sonni.-
Lenora si avvicinò a una decina di fiale dal colore giallognolo. Qualunque cosa pensasse era celato ermeticamente in quel suo volto perfetto.
- Ci sono delle regole signorina Corvino per il tempo che sarà residente qui-. Lenora si voltò lentamente come una sonnambula verso l'austero mago.
- Non le è permesso per nessuna ragione uscire da questa casa. Nessuna. - Il professor Piton proferì l'ultima parola con una certa soddisfazione crudele ed a Lenora sembrò che sul viso dell'uomo fosse sfuggito un sorrisetto cattivo.
- Buonanotte signorina Corvino, domani inizieremo presto. Si ricordi di prendere la fiala ogni volta prima di coricarsi - e detto questo richiuse la porta dietro di sé.
 
Rimasta sola la vampira ebbe l'opprimente, quanto mai reale sensazione di essere in prigione. Stringendo la piccola fiala nella mano, si gettò a peso morto sul letto, il quale protestò facendo cigolare le molle indispettite.
Guardò la fiala per qualche secondo. La stappò, l'aprì e la bevve. A occhi spalancati verso il soffitto si ripeté di essere in carcere e morì.
 

- FINE PRIMA PARTE -

 
NOTA : Il capitolo è stato ripartito in sottocapitoli perché altrimenti sarebbe risultato alla lettura eccessivamente lungo.
NOTA 2 : "La Magia del Fare ", non è una mia invenzione ho semplicemente dato un nome a quelle forme di magia ( Bianca,nera, rossa, verde) di cui notoriamente "si parla nel mondo reale"

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Capitolo 4
*** VITE SEGRETE IN SOBBORGHI BABBANI ( Seconda parte ) ***


La luce giungeva indiretta, spezzata. Le ante di legno chiuse di una finestrella nel tetto producevano uno strano effetto, come se la stanza fosse affetta dal vaiolo. La luce si insinuava azzurra in bolle e lame, ma il letto non ne era toccato. Il letto restava in ombra, ingoiato in questa non luce, abbandonato in un’oscurità irrisolvibile. Era un relitto ancorato ad una pavimento di legno  marcio, abbandonato ai dispetti del tempo.
 
Lenora fece scattare le ciglia lunghissime al bubolare di un gufo. Restò inumanamente immobile nel pozzo oscuro del letto, ma voltando il viso come un automa verso il resto della stanza si accorse incredula che davvero era perfettamente sveglia in piena giorno.
Si alzò a sedere su quel materasso  cigolante e poggiò i piedi scalzi per terra. Se il legno fosse stato freddo o meno lei non poteva saperlo, visto che era un corpo morto privo di ogni calore e per giunta a digiuno.
Nuovamente dal basso provenne lo sbatter d'ali di un gufo accompagnato dal suo verso cacofonico.
Non era con Klaus a Londra, era davvero nella casa di quel professore dal volto altero e il naso di un corvo.
Avrebbe voluto sospirare di rassegnazione, ma non lo fece. Si avvicinò a secretaire, si tolse la camiciola bianca che la faceva molto bohemienne e  per un momento restò a fissare se stessa nello specchio chiazzato : bianca, dal corpo muto. Solo un involucro che era un bell'abito al vuoto.
Si poggiò una diafana mano sul petto e non sentì alcun rumore scandire la sua esistenza. Se questo la turbasse non trasparì dagli occhi di gatta color dei Lillà in primavera.
Prese un paio di Jeans e una maglietta nera, e dopo tanto tempo accarezzò quelle lame di luce dove miliardi di pulviscoli danzavano fluttuanti; esterrefatta si rese conto che non le facevano del male, che la sua delicatissima pelle non si piagava, che la luce era solo luce, niente di più. Fu un pensiero strano, perché era un pensiero al quale aveva rinunciato da tempo.
 
Prima che potesse aprire la porta che si nascondeva dietro la parete di libri, sentì che questa scattava, come se qualcuno sapesse che lei si trovasse lì dietro.
Era così. Piton se ne stava comodamente seduto su quel divano instabile leggendo il giornale, che come al solito riportava la solita notizia in prima pagina mentre sul tavolino sbilenco fumava una grossa tazza di tè.
Lenora restò sull'uscio in una zona dove l'ombra e la luce si mescolavano, confondendosi, e solo allora si rese conto di aver fame. La sua fame.
Piton alzò con sufficienza lo sguardo verso di lei. Nessuno dei due disse niente; se doveva essere un mese di meschini giochetti, bene, che lo fosse. Lei si sarebbe divertita. Era brava ad essere cattiva.
- Buongiorno signorina Corvino, mi sono permesso di prepararle la colazione. - Piton sorrise, ma il suo sorriso era più una smorfia pungente di provocazione che un gesto di cortesia.
Lenora alzò un sopracciglio ramato, fine come un filo d'erba bruciato dal sole.
- Non le hanno insegnato l'educazione ?- domandò sarcastico Piton.
- Buongiorno professore, mi scusi, ma non riesco a immaginare cosa lei possa intendere per colazione nei miei confronti. -
- Venga. -
Il mago richiuse il giornale e lo depose con calma sul tavolinetto accanto alla tazza fumante, poi si alzò repentino, come un soldato che fosse scattato sull'attenti e con un gesto secco della mano le indicò una porta infondo al salotto che lei non ricordava di aver visto la sera prima.
Lenora lo guardò titubante e Piton con una smorfia di malcelata superiorità rispose alla domanda inespressa della vampira.
-Non andrà in fiamme non si preoccupi. Dentro casa è al sicuro, nessuna luce diretta del sole può toccarla, tutto è filtrato da qualcosa.-
La ragazza non mostrò cedimenti di sfiducia e si avviò verso di lui a passo lento ma cadenzato.
Per un attimo quella vicinanza fu una sfida tra la repulsione del mago e la frenesia del sangue della strega. Entrambi ne erano consapevoli ed entrambi se lo stavano vomitando silenziosamente in faccia : Lenora assorta dal pulsare ritmico della giugulare dell'uomo, Piton dall'arricciarsi involontario del labbro superiore.
Quando tornarono a guardarsi però nei loro volti non era rimasto niente. Solo un impenetrabile distacco. Come fossero stati due statue di pietra posta l'una di fronte all'altro. Assolutamente illeggibili.
 
Piton si voltò e si avviò verso la stanza sbucata dal nulla, Lenora lo seguì.
*L'ambiente era piccolo e sembrava inutilizzato da anni, non sporco, semplicemente privo di un vissuto.
Su un tavolo rettangolare, apparecchiato con una tovaglia di cotone lisa e ingiallita stava una tazza con dentro un liquido denso e scuro. Accanto a questa una lettera indirizzata a lei con una raffinata calligrafia verde smeraldo e più in là un grosso rotolo di pergamena con un calamaio e una lunga piuma di corvo.
- Sangue...- sussurrò quasi mugolando la vampira. Le pupille le si erano talmente dilatate dalla brama da divorare l'iride.
- Si- confermò in tono freddo ma con un accento schifato il professore.- Un gufo ha per così dire preso delle bottiglie di sangue dal macellaio infondo alla strada.-
Lenora lo guardò con quegli occhi trasfigurati, occhi di tenebra come quelli degli squali e Piton per la prima volta dovette trattenersi per non indietreggiare.
- Grazie - disse la creatura in un modo inquietante. Sembrava una gatta che facesse le fusa.
- Bene - si riprese da quell'attimo di sgomento Piton quando ha finito, venga da me in salotto, e con un movimento stizzoso, voltò le spalle alla ragazza e si diresse nuovamente al suo divano.
 
Lenora restò in piedi davanti alla tazza di sangue. L'annusò pregustando il piacere di sentirselo scorrere in gola; purtroppo dall'odore capì che non era umano ma animale. Arricciò il naso indispettita, ma infondo era meglio di niente. Era acqua e non vino, ma sempre e comunque l'avrebbe sostentata.
Prese la tazza rotonda tra le mani come fosse una coppa preziosa e la trangugiò voracemente. Non c'era nulla da dover assaporare, era solo cibo per vivere, quindi perché soffermarsi al gusto di quel liquido ematico.
Nella foga un rivolo di quel sangue le scivolò da un angolo della bocca, se lo pulì con il dorso della mano e in seguito leccò la sua stessa pelle per non sprecare nulla. Buono o non buono era ciò che passava la casa. E il sangue era la sua vita. Fare la schizzinosa non le sarebbe servito.
Prima di tornare da Piton aprì la lettera. Proveniva da Hogwarts, Silente le chiedeva se si era sistemata bene e se l'impegno che aveva preso era davvero pronta a sostenerlo. Lui avrebbe capito.
Lenora pensò che il preside di Hogwarts fosse un uomo strano, non in senso negativo, bensì in senso bizzarro. Aveva una dolcezza e una galanteria che non riuscivano però a nascondere un intelligenza troppo acuta per essere completamente buona.
Riposò la lettera sulla tovaglia dalla trama sfilacciata ripromettendosi di rispondergli più tardi e tornò con passo calmo in salotto da Piton.
 
L'uomo stava sorseggiando il suo tè con un certo appagamento.
Lenora sorrise malefica. Gli occhi erano tornati normali, le iridi lilla spiccavano nel volto di cera bianco, ma al fondo della pupilla una fiammella diabolica guizzava di malignità.
- Vuole che le legga il fondo delle sue foglie di tè professore? -
Per un attimo Piton la guardò interdetto.
- Così, per fare una prova e vedere a che punto sono in Divinazione - continuò la vampira avvicinandosi languidamente.
- Non è questo il tuo compito stamattina - rispose secco il mago, ora che si era ripreso dalla spudoratezza della ragazza.
- Di là c'è un rotolo di pergamena che contiene 10 domande di Storia della Magia dei sei anni che lei non ha frequentato. Lo svolga. -
- Perfetto - affermò Lenora e con un movimento impossibile da cogliere alla vista umana tolse di mano a Piton la tazza di tè.
- Me la ridia immediatamente- scattò il professore furente.
La ragazza sbirciò per qualche istante le figure al fondo della tazza. Sul suo volto si formò un'espressione indecifrabile, quasi stranita, come se ciò che vedesse non collimasse con ciò che doveva essere.
Ridiede la tazza a Piton livido di rabbia senza pronunciare una parola.
Se avesse voluto avrebbe potuto leggergli nel pensiero e tutta l'occlumanzia di questo mondo non sarebbe servita contro il suo potere. Era una vampira, non era per magia che conosceva i pensieri degli altri, era per natura. Ma non lo fece. Lo guardò è basta. Lasciandolo ai suoi segreti.
Piton non seppe mai che infinito riguardo fu quello nei suoi confronti. Strinse nervosamente la tazza sino a farsi divenire le nocche bianche dallo sforzo, e Lenora non capì se quel gesto fosse semplice rabbia per mancanza di rispetto o anche paura. Scelse di non chiederselo e domandò.
- Quanto tempo ho per svolgere il compito? -
Piton riprese il controllo delle proprie emozioni in un lampo.
- Quello che le serve. - sogghignò.
- Tre ore basteranno. - sentenziò la strega dalla pelle troppo fredda.
- Ah davvero ? -
 Lenora abbozzò un sorriso superbo e si diresse verso la cucina senza più voltarsi.
Piton osservò le minuscole foglioline di tè che aveva bevuto.
Nessuno può leggere il proprio destino, ma tutti conoscono i propri segreti e molti sanno dove essi conducono.
Posò la tazza sul tavolino. Nuovamente si sedette sul divano che ormai agonizzava per ogni minimo peso e riaprì il giornale alla pagina dell'evaso di Azkaban.
Qualsiasi cosa quella ragazza avesse visto le era collericamente grato che non gli avesse detto niente; sempre che davvero avesse visto qualcosa. Si rilassò pensando a che materia insulsa fosse Divinazione. Crogiolandosi in quel pensiero sentì arrivare vellutata nella sua testa la voce della vampira.
- Si può morire di segreti -
Piton si voltò di scatto come morso da un serpente, con le labbra socchiuse come a voler rispondere. Ma cosa c'era da rispondere?
Maledette piccole foglie di tè pensò irato dentro di sé.
 

- FINE SECONDA PARTE -

 
 
NOTE : *La cucina in casa di Piton non risulta in nessun libro della Rowling, è una mia "invenzione" corroborata dal fatto che comunque una cucina ci dovesse essere.
 
RINGRAZIAMENTI: Ad Amahy .A volte basta un piccolo incoraggiamento. Avevi ragione, mi sono messa a digitare e Lei è tornata. Grazie.

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Capitolo 5
*** VITE SEGRETE IN SOBBORGHI BABBANI (terza parte) ***


La penna di corvo scorreva veloce sulla pergamena, non aveva esitazioni.
Piton sulla poltrona la sentiva scorrere senza pause. La tazza di tè era ancora colpevolmente sul tavolino. Ogni tanto lui la osservava di sbieco impassibile.
Cosa aveva visto di vero la vampira?
Questo pensiero lo angosciava anche se esteriormente restava seduto su quella vecchia poltrona annoiato leggendo il giornale.
Lenora intanto aveva già messo l'ultimo punto, all'ultima risposta dell'ultima domanda di quell'inutile compito.
Non si alzò immediatamente per consegnarlo al professore nella sala accanto. Restò algida e immobile a fissare la luce che proveniva dalla finestra.
La luce...
Era tre anni che non sapeva più niente del giorno. Improvvisamente le venne in mente Klaus. Sapeva di questa pozione "diurna" ?
Il volto di pietra si sgretolò in un sorriso antico.
Anche se lo avesse saputo, Klaus era solo un vampiro, e non voleva, desiderava essere altro. E lei?
Lei lo aveva atteso da tutta la vita, credendolo solo una fantasia sgangherata. Ma Klaus l'aveva trovata. L'aveva raccolta quando stava morendo di segreti.
Questo la riportò all'uomo dai capelli corvini in quella casa.
"I segreti uccidono" pensò, " E l'amore è solo una scelta " concluse nel suo cinico cervello. Sorrise, ma fu un sorriso strano. Un sorriso triste.
"Non si muore per amore, anche se è così romantico crederlo."


Le tre ore erano passate, una pendola suonò il rintocco.
Lenora si alzò con il rotolo in mano e comparve come un fantasma davanti a Piton.
L'uomo abbassò il giornale che teneva davanti a sé e la fissò incolore.
- Fatto- dichiarò la rossa creatura.
Il docente le prese il rotolo dalle mani e lo aprì. Centonovanta centimetri di risposte.
Senza rivolgerle parola iniziò a leggere.
Lenora gli stava davanti in piedi come una colonna. Dritta e immobile.
 
Dopo dieci minuti Severus alzò lo sguardo su di lei con le sopracciglia arcuate.
- E' stata molto prolissa nelle sue risposte Signorina Corvino -
- Ho aggiunto quello che per voi ad Hogwarts è Storia di seconda importanza. -
Piton la guardò quasi con astio. Ma ciò che gli uscì dalla bocca fu.
- Ammirevole. -
La ragazza abbozzò un sorriso più trionfante che compiaciuto; il professore di rimando alzandosi in piedi le domandò senza preamboli:- Lei può leggere i pensieri delle persone signorina Corvino, non è vero?-
- Si, è uno dei miei doni oscuri -
Piton  sorrise maligno. - Allora come si può sapere ciò che lei sa e ciò che ruba dagli altri? -
Lenora si fece dura in volto, divenne come una statua di marmo, solo le labbra che emettevano suono potevano far intuire che non era un blocco di pietra.
- Lei non stava pensando alle risposte, lei stava pensando alle sue foglie di tè, e al tizio sul giornale. Lo odia molto vero? Mi chiedevo perché, visto che servite lo stesso padrone."
Piton socchiuse le labbra dallo stupore preso in contro tempo, ma subito si rilassò.
- Signorina, non credo che chi l'abbia creata avesse molto potere. L'evaso era un seguace di tu sai chi. Io l'ho combattuto. -
Lenora fece divampare il suo sorriso, le zanne anche se inguainate nelle gengive scintillarono come diamanti.
- Ho forse detto questo? - controbatté la strega.
Piton rimase in silenzio, altero, fissandola.
Se dentro avesse provato un brivido di panico fuori non lo dimostrò.
- Devo uscire. - disse cambiando argomento - Lei studi i libri di Incantesimi, quando tornerò, valuterò a che punto si trova. -
Lenora trattenne la voglia di replicare che le era arrivata in punta di lingua.
Severus Piton prese il suo mantello imbucò la porta e senza voltasi uscì.
Lenora non seppe mai che fuori dalla porta l'uomo prese un gran respiro chiudendo gli occhi, come chi fosse fuggito da un grande pericolo.
 
Una volta sola nella piccola casa, Lenora prese i libri di Incantesimi; fece scorrere le pagine velocemente sbuffando e poi li appoggiò sul tavolino bilanciando la sgambatura.
Incantesimi....
Ma quel mago non aveva sentito quando la settimana prima nello studio del preside avevano detto che aveva studiato in una congrega fino a diciassette anni?
Curiosa  si mise a scrutare gli scaffali.
Oltre ad una miriade di libri foderati in pelle marrone di arti magiche, saggi ed eventuali aggiornamenti ad enciclopedie magiche, in un angolo trovò uno scaffale che in fondo conteneva autori babbani.
E luce fu!
Shakespeare, Goethe, Dante, Milton, Yeats, Baudelaire e alla fine Poe.
Se non ricordava male Edgar Alan Poe aveva scritto un racconto col suo nome, se non ricordava male suo padre l'aveva chiamata Lenora per il racconto di quello scrittore.
Nella sua vita mortale Lenora aveva vissuto di libri. I libri erano insieme ai film il suo "vero" mondo.
Klaus le leggeva sempre qualcosa di Bukowskiy prima della morte.
Quella casa invasa di libri per lei era un tempio. Non le importava niente a chi quell'arca di sapienza appartenesse.
Sfilò il libro dei racconti di Poe dallo scaffale e andò immediatamente a cercare il racconto che le interessava.
" ...e il Corvo disse Mai Più..."
Perché in quella pagina c'era una margherita essiccata?
Lenora la sfiorò e vide il volto di una bambina dai capelli rossi e gli occhi verde prato. Le fece male. Perché la visione fu violenta, come se fosse custodita da un incantesimo.
Il libro le casco dalle mani e lei stordita rimase a guardarlo per terra.
I segreti...
Si inginocchiò sula margherita morta da tempo.
La sfiorò.
C'era una bambina che con gentile ingenuità faceva sbocciare un fiore di fronte ad un'altra bambina.
Non sentiva le parole ma l'altra bambina correva via disgustata. La rossa restava lì sul prato con le lacrime a forzare gli occhi. Poi un altro bambino dai capelli neri, faceva volare per la bambina dai capelli rossi libellule di salice*.
Lenora interruppe la visione. Se aveva riconosciuto il bambino, nulla sapeva del resto. E decise che non le doveva importare.
Si chiese solo  perché Klaus l'avesse voluta mandare ad Hogwarts,  ma non ebbe problemi a darsi la risposta. Quella risposta era il suo segreto, di cui lei non si era mai vergognata.
Si rivolse ancora alla margherita tra le pagine che portavano il suo nome, ma non la sfiorò più, chiuse il libro e lo rimise al suo posto.
Cosa pensava la vampira?
Il suo volto era cera vergine.
 
Fame, Piton non era ancora tornato, la notte era scesa. Fame. Maledetto Klaus che l'aveva infilata in questa sciarada.
La porta si aprì l'uomo in nero aveva fatto il suo ingresso. Lenora distesa sul divano sciupacchiato agitava lenta la bacchetta su un vaso di fiori.
Piton sulla porta la vide far sbocciare e richiudere come se fossero tante piccole mani i fiori di melo nel vaso senza muovere le labbra.
Il mago ne rimase positivamente stupito anche se non glielo disse mai. Gli incantesimi non verbali sono un livello superiore. Alcuni maghi non riescono a raggiungerlo mai.
Invece  le chiese : - Ha studiato i libri di Incantesimi -
 Lenora si voltò verso di lui.
- No. - rispose atona.
Piton la guardò: nonostante l'irruenza del suo essere, quei capelli di fiamma e gli occhi dal colore inaccettabile, lilla come una distesa di fiori, non era più umana di un essere mitologico
La guardò, assolutamente impassibile su quel divano, agitare con indifferenza la bacchetta.
- Credi di poter entrare ad Hogwarts senza studiare Incantesimi? - le disse con alterigia.
- Io conosco i libri di  Incantesimi di Hogwarts, lei conosce la mia magia? - rispose ostile la vampira senza alzare la voce.
- Il tuo sangue oscuro non è magia- ribatté controllato Piton.
- Non parlavo di questo. - replicò la strega seria.
- E di cosa?- domandò sarcastico Piton.
- Sa cosa è un " Legamento" ?- chiese Lenora provocatoria.
- Nessun mago può spezzarlo se non chi ha fatto l'incantesimo. - Lo squadrò cattiva - I filtri hanno una durata e hanno contro incantesimi, i legamenti no, se chi li ha fatti non li recide, anche chi odia l'oggetto del suo desiderio non può fare a meno di stargli vicino. -
Piton la guardò sprezzante: - E' questa la vostra magia?-
- No, questa è solo la parte che ignorate, perché anche i babbani sono in grado di praticarla. -
Lenora sorrise maliziosamente, e in quel'arroganza superba era di una bellezza tremenda.
- Mostrami - domandò nello stesso modo provocatorio Piton.
- Non posso- replicò fredda la vampira. - Non c'è nessun amore  che lei voglia legare.- Fu la conclusione lapidaria della ragazza.
Per un istante negli occhi di Piton passò un riflesso subito ingoiato dalla pupilla.
Lenora lo vide. La Margherita.
Lei non aveva queste malinconie.  Lei aveva capito da tempo che non si spreca l'amore.
Lo guardò statica. Non provò compassione per lui, solo un infinito senso di impossibilità.
Gerarchie emotive.
 

- FINE TERZA PARTE -

 
 
NOTA* : Immagine ripresa dal Film Harry Potter e i Doni della Morte II parte.

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Capitolo 6
*** VITE SEGRETE IN SOBBORGHI BABBANI (quarta parte) ***


Lenora era concentrata sul libro di Erbologia; davanti a lei sul tavolo di cucina stavano mazzetti di erbe e vari barattoli di vetro.
Oltre a studiare le proprietà delle varie piante si stava impegnando a preparale perché divenissero ingredienti per le pozioni e a quanto sembrava, senza entusiasmo, al professor Piton che ogni tanto si affacciava alla porta, la ragazza stava facendo un ottimo lavoro.
Era passata una settimana da quando era stata imposta loro quella convivenza forzata e il mago decise che poteva già essere arrivato il momento di fare una prima stima della preparazione di quella strega inconsueta.
Prese una pergamena e con gotica calligrafia scrisse al preside di Hogwarts.
 
***
 
Silente accennò un sorriso sornione
 
"...La ragazza, mostra di conoscere a fondo la maggior parte delle materie, con buona attitudine ad Erbologia e Pozioni, non che Divinazione..."
 
Silente chiuse la lettera e guardò fuori dal parco. Era silenzioso e quieto  senza il via vai degli studenti. Ma non era a questo che pensava il mago dagli occhiali a mezzaluna.
Perché quel sorriso aleggiasse ancora compiaciuto sulle sue labbra nascoste dalla folta barba bianca nessuno poté intuirlo.
 
***
 
Il sole era già tramontato per le fatiscenti stradine di Spinner's End.
Era tardi, anche se la luna ancora si nascondeva dietro i tetti tutti uguali.
Piton camminava impettito, ma silenzioso, come un ombra furtiva verso casa; arrivato alla porta sentì una musica provenire da dentro le mura. Una canzone babbana vibrava nell'aria. Aprì la porta pronto a rimproverare la ragazza per quell'indecente baccano, ma poi restò sulla soglia immobile e muto.
Le mani della vampira disegnavano sinuosi arabeschi nell'etere.
A occhi chiusi, sorridendo al niente ballava da sola, scalza sul tappeto mangiucchiato dalle tarme; ed era di una bellezza violenta, che faceva male agli occhi.
I rossi capelli vorticavano leggeri, Piton sentì il suo cuore perdere un battito in un tempo perduto, un passato remoto.
Lily.
Lily amava ballare.
La canzone finì e Lenora riaprì il sipario degli occhi e lo vide sulla porta. Non fece caso alla serietà del volto dell'uomo, una serietà diversa dal solito, meno rigida, più triste. No, lo vide e sorrise con le labbra esangui dalla fame.
Il mago si riprese immediatamente e nell'osservare quella bizzarra creatura, subitaneo si fece strada in lui la differenza tra le due donne : Lily era forte, ma dolce, Lenora era maliziosa e ambigua. Niente a parte il colore dei capelli le legava in alcun modo.
Lenora non aveva gli occhi di Lily. Lenora aveva gli occhi di chi non aveva nulla di umano. Lilla, non verdi.
La radio riprese a trasmettere una nuova canzone, Lenora andò ad abbassare il volume, Piton entrò e chiuse la porta senza proferire parola e finalmente si accorse di un odore strano che permeava la casa.
Col volume quasi piatto riuscì a captare un ribollio in cucina. L'odore era profumo di cibo.
- Le ho preparato la cena professore. - Esordì la vampira.
Piton la squadrò con sospetto.
- Sono stata umana per diciassette anni, mi piaceva cucinare. Il compito di Trasfigurazione è qui sul tavolo, l'ho finito presto e per non annoiarmi ho preparato qualcosa. Spero lo gradisca. -
Piton continuava a guardarla tra l'interdetto e lo scettico. Lenora continuava a sorridere in quel modo particolare che la distingueva da Lily: dolcemente provocatorio, come se dietro quella stessa dolcezza si nascondesse qualcosa di pericoloso.
Severus si inoltrò nella cucina. La tavola era naturalmente apparecchiata per uno. Sul fornello brontolava una pentola.
- Si sieda professore - lo invitò la rossa, dopodiché prese un mestolo per rigirare l'appetitosa pietanza.
Piton si sedette, la ragazza gli prese il piatto che gli aveva sistemato sul tavolo e lo riempì di un voluttuoso spezzatino.
Severus guardò il cibo fumante dal profumo incantevole, sino ad allora non aveva ancora pronunciato mezza parola, come se quel gesto lo avesse messo in imbarazzo facendolo vacillare in una sorta di timidezza.
Guardò la strega senza mostrare alcun sentimento di ciò si stava attorcigliando dentro di sé  e la ringraziò.
Lenora sorrise, meno maliziosa e più tenera. Prese dalla dispensa una bottiglia di sangue e si recò in salotto.
Piton odiava vederla mentre si nutriva.
L'uomo assaggiò il primo boccone, era così buono che la carne quasi gli si sciolse in bocca come burro.
Fu un momento strano per lui, non avrebbe potuto dargli una definizione, perché era una sensazione che non aveva mai provato davvero: casa.
Sua madre era troppo occupata a litigare con suo padre quando lui era piccolo per dedicarsi a lui. I loro pasti erano sempre nervosi e veloci.
La musica si alzò nuovamente nell'altra stanza e Severus si ricordò che quel cibo lo aveva preparato per lui una sconosciuta.
Quel pensiero da una parte lo disturbò, dall'altra lo confuse. Finì silenziosamente la sua cena, gustandola sinceramente.
Quando si alzò da tavola per recarsi in salotto, vide Lenora occupata a cercare qualche frequenza che trasmettesse una canzone di suo gradimento.
Piton si appoggiò a braccia incrociate allo stipite della porta, osservò sul tavolinetto la bottiglia di sangue prosciugata, ma non ebbe nessuna reazione di repulsione, al contrario sorridendo sarcastico si rivolse alla vampira: - I vicini penseranno che mi sia fidanzato, con questa musica. -
Lenora si voltò a guardarlo. E ciò che vide le piacque: un uomo che finalmente stava ai sui giochetti annoiati.
- Vuole ballare professore?-
- No. - rispose Piton tornando algido. Quello era troppo anche per lui.
Lenora lo fissò imbronciata.
- Signore, lei è l'unica persona con cui mi è dato di interagire. Non posso uscire, non posso fare niente. Non le sto chiedendo il suo sangue!-
Piton la guardò freddamente, come si può guardare un caminetto spento.
- Come le ho già detto non è qui per divertirsi. - replicò acido.
Lenora soffiò come una gatta a zanne sguainate, le iridi lilla avvamparono come se fossero state gettate nel fuoco. Si girò di scatto verso la radio e si rimise a cercare qualcosa che le potesse interessare. Senza battere ciglio Piton si mise a sedere sulla mal ridotta poltrona. La guardava. Non aveva avuto paura di quello scatto di rabbia della vampira, anzi, ne era compiaciuto perché ne era stato l'artefice.
 
Ecco Lenora aveva trovato ciò che cercava: una canzone babbana... le note si alzavano limpide e si diffusero intorno a lei. Erano come farfalle invisibili che vibrassero nel piccolo salotto.
Si voltò verso il mago, lo guardò per un momento con quegli occhi d'ametista, freddi come la pietra alla quale somigliavano, poi chiuse le ciglia lunghissime e iniziò a ballare da sola.
 

...You don't understand me
But if the feeling was right
You might comprehend me
And why do you feel the need to tease me
Why don't you turn it around
It might be easier to please me...*

 
Perché lo fece non seppe spiegarselo nemmeno lui, non fu né per gentilezza, né per compassione che si alzò dalla poltrona e mise la mano destra sul fianco della vampira.
Lei aprì gli occhi come se fossero sbocciati in contemporanea due fiori.
Piton allungò l'altra mano per prendere quella della ragazza, il tutto con volto privo di qualsiasi espressione.
Lenora lo guardava granitica, come se lui non avesse compiuto quel gesto, ma si lasciò completamente guidare dall'uomo in una danza lenta, quasi medievale.
Era una scena bizzarra, dama e cavaliere ballavano rigidi, ma gli sguardi erano arpionati e carichi di qualcosa che non aveva definizione.
Quando la canzone finì, per un attimo restarono come congelati in quella posizione.
- Non è stato così terribile - affermò la vampira con una punta di cattiveria.
Piton si staccò da lei rigido come un soldato.
- E non si ripeterà -
Concluse fissandola impenetrabile.

 
- FINE QUARTA PARTE -

 
 
NOTA* Pezzo della canzone YOU DON'T UNDERSTAND ME dei ROXETTE

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Capitolo 7
*** VITE SEGRETE IN SOBBORGHI BABBANI ( quinta parte) ***


Il vapore saliva in spirali che si attorcigliavano come in una danza l'una stretta all'altra.
Lenora quella sera aveva portato in camera un fornellino e varie erbe che nei giorni scorsi aveva preparato per il professor Piton in vari compiti di Erbologia.
Era curiosa.
Il liquido madreperlaceo pigramente borbottava nel calderone mentre lei con un mestolo lo rigirava con cautela.
Aveva in testa questo piccolo esperimento. Non per le valutazioni di Piton ma per una sorta di sfida col passato.
La luna filtrava furtiva dalle tapparelle di legno sul soffitto della camera, una candela illuminava timidamente il libro di Pozioni. Lenora si sentiva una cospiratrice, anche se in ciò che stava facendo nessuno avrebbe potuto riscontrare qualcosa di strano.
Piton era rimasto in salotto come tutte le sere a leggere di quell'assurdo personaggio fuggito da Azkaban. Lei non ne aveva mai voluto sapere nulla. Non le interessava. Anche se Klaus aveva voluto reintrodurla nel mondo magico, lei apparteneva alla stirpe delle tenebre; ma visto che c'era perché non sfruttare il più possibile le conoscenze che la scuola inglese, così diversa dalla sua congrega italiana, poteva offrirle.
Ecco, la pozione era pronta, spense il fornellino ed aspirò i serpentelli di vapore che fuoriuscivano abbondanti dal calderone.
Chiuse gli occhi per meglio focalizzare, ma non avvertì che odore di rame e qualcosa di salato.
Forse aveva sbagliato qualcosa. Ma la ricetta lei l'aveva seguita in modo impeccabile.
Sentì dei passi sulle scale. Piton. Non vi diede importanza. Invece il mago bussò alla porta.
- Entri professore -
La porta si spalancò, controluce l'insegnante era solo una sagoma d'ombra.
- Che sta facendo signorina? -
- Provavo una pozione -
Piton entrò nella stanza e la fiammella della candela traballò sulla sua espressione altera.
- Cosa sente lei ?- chiese con vero interesse la ragazza.
Severus Piton si avvicinò al tavolo dove si trovava il calderone ormai silenzioso.
Si chinò verso questo e subito si ritrasse.
Lenora non capì l'espressione quasi stravolta del docente.
- Amortentia - sussurrò Piton quasi avesse pronunciato una bestemmia.
- Si, ma io non sento che rame e sale -.
Piton la guardò con una strana espressione, molto distante dalla sua solita freddezza.
- Lei sente qualcosa? -
L'uomo si ritrasse il più lontano possibile dal calderone senza rispondere.
Lenora lo osservo inclinando la testa affascinata dalla reazione del mago.
- Quello che sento sono affari miei.- rispose Severus quasi con rabbia.
- Allora non ho sbagliato, la pozione, è corretta? -
Piton la squadrò dall'ombra.
- E' corretta. -
- Perché allora io non sento niente?-
Ancora menomato nel controllo il mago rispose malevolo:
- Tu senti il sangue, non hai un anima per amare. -
Lenora si irrigidì istantaneamente. Il suo volto prima spontaneamente curioso divenne di una freddezza disumana.
Osservò Piton più con astio che con gli occhi. L'uomo quasi non riusciva a controllare il respiro, afferrò la maniglia della porta e si congedò con un siderale - Buonanotte-
Lenora restò accanto al calderone come una pallida statua, priva di espressione.
" Solo il sangue"...
Forse era vero, perché le importava, e poi le importava davvero.
Cos'era l'amore? Solo stupida chimica dell'anima. Lei aveva amato e se era ciò che era il motivo dipendeva da questo : non esistevano le favole nel mondo.
Non sentì i passi dell'insegnante avviarsi verso la camera.  Doveva essere rimasto dietro la porta. Perché?
Si avvicinò leggera come un fantasma alla porta chiusa e sentì l'odore di Piton dietro di questa. Il respiro trattenuto e...sale.
L'uomo stava piangendo.
Lenora resto immobile e basita dietro la porta dove si trovava l'uomo.
Avrebbe potuto leggergli i pensieri, ne era tentata, ma non lo fece. Tutti hanno il diritto ai loro segreti e alle loro menzogne. Lei lo sapeva bene. Lei era l'enorme menzogna che Klaus aveva sussurrato alla notte, liberandola. Davvero?
Sentì Piton avviarsi a passo lento per le scale, se ne stava andando. Non sapeva il motivo ma sentiva come se qualcosa le fosse stato strappato. Per un istante aveva famelicamente desiderato quella disperazione.
Tornò al calderone.
Solo rame e sale. Soffiò violenta contro di esso a zanne sguainate, poi si diresse verso il letto. Non sapeva perché ma una fame feroce le contorceva lo stomaco. Azzannò il cuscino sino a farsi sanguinare le gengive. Strinse più forte che poté e lo dilaniò.
Si ricordò delle fiale giallognole.
Dormire, morire. Ne strappò una e la trangugiò mentre la fame le dava spasmi allo stomaco. Tanta fame...e rabbia, anche se lei non le distinse.
 
 
Non sapeva che ore fossero, nelle narici aveva ancora l'effluvio della pozione, aprì gli occhi. Il calderone freddo, senza più vapori era ancora lì sul tavolo. Quella visione la infastidì.
Era mattina presto, questo lo capiva; c'era qualcosa della notte ancora legato alla timidezza dell'alba.
Sentì qualcosa di viscoso intorno al polso. Si era morsa, non lo ricordava, ma si era morsa da sola.
Si alzò, si guardò il polso con il sangue raggrumato senza ferite. Osservò il calderone e i suoi occhi si fecero duri, inumani.
Prese il calderone e corse in bagno. Era l'alba nessuno era sveglio, neanche il gufo era arrivato con le sue scorte di sangue.
Buttò il contenuto madreperlaceo ormai denso nel water, tirò l'acqua ma questa non scese. Irritata pronunciò un incantesimo, ma la bacchetta sembrò ancora addormentata. Non accade nulla. Spazientita cercò di aprire il rubinetto del lavello, ma niente. Maledetta casa di  pezzenti pensò con un odio che non le apparteneva.
"Aguamenti" invocò, ma la bacchetta non rispose.
"Aguamenti", di nuovo , ancora con più foga.
Finalmente dalla punta della bacchetta di Salice sgorgò un tenue flusso d'acqua e lei si lavò il polso incrostato di sangue morto.
Si sfregò la pelle in modo isterico, ma non era quel sangue raggrumato ad innervosirla.
Se le pozioni sono chimica, e l'anima umana reagisce a quella chimica, la sua anima era morta quando Klaus l'aveva trasformata?
E lei cosa era?

- FINE QUINTA PARTE -

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Capitolo 8
*** VITE SEGRETE IN SOBBORGHI BABBANI (sesta parte) ***


Il cielo era terso, l'aria tratteneva l'ultimo calore di fine Agosto.
Mentre il professor Piton sistemava il telescopio, Lenora si godeva la notte con i suoi occhi di vampira.
Il giorno prima era sorta la luna nuova, ma Piton le aveva detto che un evento straordinario sarebbe stato visibile la notte successiva.
Così per la prima volta dopo quasi un mese Lenora era fuori dalla casa, nella radura vicino al fiume puzzolente. Lucciole danzavano tra la sporcizia abbandonata nell'erba, ma lei non si curava di ciò che si trovava sotto i suoi piedi. Col naso all'insù ammirava lo splendore della Via lattea di cui riusciva a cogliere ogni minima sfumatura. Le sue pupille ingoiavano la luce delle stelle e ne prendevano possesso.
Piton si voltò verso di lei, una figura che quasi riluceva opalescente nell'oscurità della campagna notturna.
Non si chiese se era bella. Sembrava un fantasma che avesse nostalgia del cielo. Fu un pensiero anomalo per lui. Non provava nessuna tenerezza per quella creatura eppure, trovò che in quel luogo ella fosse l'unica cosa pulita da sempre. O forse no...forse Lily era stata davvero l'unica persona incorrotta da tutto quello squallore. Gli diede fastidio aver considerato quel mostro prima di Lily, ma nell'ombra la sua espressione indignata non poté essere colta da nessuno.
- Signorina Corvino, venga qua, e mi descriva cosa vede, in modo dettagliato. -
Lenora voltò il viso con estenuante lentezza. Gli occhi lillà erano così grandi che le divoravano il viso. Quegli occhi incredibili, impossibili al mondo.
Severus non si accorse di aver trattenuto il respiro di fronte a quegli occhi straordinari, solo quando la ragazza iniziò ad avvicinarsi a lui, si ricordò di riprendere fiato.
- Non ho bisogno del telescopio signore, i miei occhi sono fatti per la notte.-
- Molto bene - rispose acido il mago - il compito non cambia, non mi interessa come lo esegue, basta che lo svolga. -
La vampira chiuse per un momento le palpebre e la notte sembrò ancora più scura.
Quando le riaprì nelle pupille gigantesche si riflettevano come in uno specchio le stelle.
Piton la osservò siderale come quegli astri. No, non c'entrava la bellezza, la quale era solo un inganno vampirico, no era la sua inumanità a stupirlo ogni volta.
- Sopra di noi la Via Lattea che è il centro della nostra galassia. Da quest'area si origina infatti un fiume di stelle che si estende tutto intorno a noi e che possiamo seguire alzando lo sguardo andando in alto e verso sinistra, attraverso il Triangolo Estivo - ovvero le costellazioni dell'Aquila, della Lira e del Cigno. -
- Ammirevole, passiamo alla fascia zodiacale - la interruppe Piton
- Rimanendo lungo la fascia zodiacale - rispose la ragazza - si possono vedere  le costellazioni della Bilancia e dello Scorpione che si avviano al tramonto verso occidente; a Sud - Est troviamo invece il Capricorno e l'Acquario, costellazioni relativamente grandi ma prive di stelle brillanti. -
- Ottimo. Quali stelle riconosce? -
-A Nord-Ovest la brillante stella Arturo contende a Vega il primato di astro più luminoso: essa fa parte del Bootes, dall'inconfondibile forma ad aquilone. Alla sua sinistra, la piccola costellazione della Corona Boreale. Vega, è uno dei vertici del Triangolo Estivo, insieme a Deneb e Altair, nelle prima parte della notte si trova prossima allo Zenit, proprio sopra le nostre teste, e costituisce un buon punto di riferimento per proseguire il riconoscimento delle altre costellazioni.
Partendo da Vega e spostandoci verso Ovest possiamo individuare la costellazione di Ercole; più in basso, tra Vega e Antares (la stella più luminosa dello Scorpione) è situata l'ampia ma poco appariscente costellazione dell'Ofiuco.-
- Perfetto. - la bloccò nuovamente Piton - Ma cosa accade nel cielo di unico stanotte? -
Lenora sorrise e i canini scintillarono per un istante in un modo per niente rassicurante.
- Il pianeta rosso è una goccia di sangue pulsante molto vicino alla terra. - Si voltò verso l'insegnante e con una strana espressione cattiva continuò - troppo vicino. C'è una guerra che farà scorrere molto più sangue della precedente.-
Piton la squadrò senza emettere un suono. Aveva capito perfettamente la profezia della strega. Il professor Silente aveva sempre sostenuto che in quella notte di 14 anni fa, il male non era stato annientato, ma solo allontanato.
- Prenda il telescopio signorina, il compito è finito. -
L'uomo si avviò verso casa con il mantello che oscillava sopra l'erba alta.
Lenora restò un momento a guardarlo allontanarsi e si accorse per la prima volta che in tutto quel mese aveva adorato torturarlo con le sue provocazioni, che le era piaciuto davvero sgretolare certezze e abitudini. Ora si chiedeva semplicemente quanto le crepe che aveva creato fossero più o meno profonde.
 

- FINE SESTA PARTE -

 
 
 
NOTA : la descrizione del cielo è stata fatta con una carta stellare dell'Agosto del 2003 ( spero sia precisa e di non aver fatto errori). Il 28 Agosto del 2003 ci fu la grande opposizione di Marte .

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Capitolo 9
*** VITESEGRETE IN SOBBORGHI BABBANI (Settimaparte)) ***


In quell'ultimo giorno di Agosto tutto scorreva normale in casa Piton, proprio come se non fosse l'ultimo giorno.
Il professore di Pozioni aveva mandato il gufo finale al professor Silente, senza dare alla vampira neanche un accenno della sua decisione.
Dal canto suo Lenora faceva finta di non essere infastidita da quell'esclusione che la riguardava. Camminava scalza per la casa agitando la bacchetta e trasfigurando ogni ninnolo in vetro.
Piton la lasciava fare come se la ragazza non  fosse nemmeno in casa. Come tutti i giorni si era insediato sulla poltrona e si era messo a leggere un libro.
In realtà si godeva sadicamente il suo ultimo straccio di potere su quella creatura.
Lenora si buttò sul divano, senza curarsi dei pericolosi scricchiolii di protesta di questo.
Piton alzò gli occhi su di lei e con un certo maligno rimprovero le disse : - Si dovrebbe avere rispetto delle cose degli altri -
Lenora lo guardò per un istante imbarazzata. Se c'era una cosa che odiava era la maleducazione, essere tacciata di tale peccato era forse la sola cosa che davvero la ferisse.
- Mi scusi - sussurrò.
Piton riprese a leggere e Lenora si rivolse nuovamente al soffitto.
Attesa.
La ragazza si sentiva come un respiro trattenuto. Aveva imparato per quanto poteva, a conoscere abbastanza il mago da capire che stava gongolando di quella sua ben celata ansia, ma non voleva dargli soddisfazione. Si chiedeva anche se nel giudizio finale fosse stato onesto. Lei sapeva di aver superato brillantemente ogni compito da quell'uomo assegnatole, ma allo stesso modo era sicura che lui non la sopportasse.
Ma infondo se non fosse stata ammessa che le importava? Era un desiderio di Klaus tutta quella storia.
Si voltò a guardare la figura di Piton, ma sarebbe più esatto dire che si soffermò a misurarlo.
Non aveva mai letto nella sua mente. Perché?
Disinteresse verso quel meschino individuo? No, non esattamente. C'era qualcosa in quell'uomo che riconosceva in se stessa: la caparbia volontà di essere lasciato in pace con i propri segreti.
Piton si accorse di essere osservato.
- Desidera qualcosa ?-
- Niente signore - rispose laconica la strega.
Piton però non riprese a leggere continuò a fissarla. Lei aveva quelle iridi di fiore che lo inquietavano tanto. Troppo. E quel volto che non esprimeva nulla se non se stesso.
Il sole stava calando è alla finestra si udì uno sbatter frenetico di ali.
Il gufo era tornato.
Piton aprì la finestra, prese la lettera e con un gesto secco la diede alla strega. Lenora la prese e l'aprì cercando di non dimostrare alcun interesse per ciò che vi era scritto.
 
"...Dopo le entusiastiche valutazioni del professor Piton sulla sua preparazione siamo lieti di averla come nostra alunna per questo ultimo anno..."
 
"Entusiastiche valutazioni"
Lenora guardò Piton come fosse un oggetto sconosciuto, ma non proferì parola, nè si azzardò a sorridere.
 
- Entro stasera il suo precettore le farà recapitare il biglietto per Hogwarts, e il suo famiglio. -
- Mi accompagnerà lei a King Cross ?- domandò la vampira.
- Certo che no!- esclamò quasi offeso Piton - Prenderà il Nottetempo ed entro domattina sarà alla stazione -
Lenora non aveva la più pallida idea di cosa fosse un Nottetempo, ma non replicò, le venne solo un certo sguardo negli occhi, come dire, perfido.
Dopo circa un'ora, quando ormai il cielo era imbrunito e carico di oscurità nel salotto si avvertì un miagolio.
Lenora sapeva a chi apparteneva.
- Eclisse! -
Il suo bel micio nero era arrivato insieme ad un bel biglietto dorato infilato in una busta nella gabbietta del felino.
Fu strano per Piton osservare quella scena, la trovò quasi patetica. La vampira coccolava quell'animale in un modo svenevole che l'uomo non aveva mai intuito appartenerle.
- Bene signorina i suoi bagagli sono pronti, prenda la sua bestiola. -
Lenora lo guardò interdetta, si voltò verso la porta e vide il suo enorme baule chiuso ed eretto. Era stato Piton a prepararlo per lei?.
Sulla poltrona c'era il suo mantello. Lo prese e lo indossò. Si avviò all'uscita con la gabbietta in mano, mentre il  mago apriva la porta e tirava fuori la bacchetta.
In un lampo si materializzo davanti la soglia di casa un autobus viola a tre piani. Un ragazzetto brufoloso scese e salutando prese l'immenso baule.
- Arrivederci signorina Corvino - sogghignò Piton
La vampira si voltò verso di lui con un espressione diabolica.
- Non si preoccupi professore, non avrà il tempo di sentire la mia mancanza -
E con quel sorriso affilato sparì all'interno dell'autobus, che immediatamente scomparve.
Piton restò sull' uscio spalancata verso la notte.
"Insolente creatura" pensò con fastidio. Ma quando rientrò dentro casa e si chiuse la porta alle spalle non poté fare a meno di notare lo spazio vuoto sul divano rosicato.

 
- FINE SETTIMA E ULTIMA PARTE -

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Capitolo 10
*** SANGUE INFETTO ***


Il treno scarlatto sfrecciava veloce lungo le morbide campagne inglesi. Il fumo della locomotiva era possente e regolare, si confondeva con un cielo plumbeo, pronto a scoppiare da un momento all'altro, riversando così tutta la sua foga su quel paesaggio già torturato dal vento.
Lenora aveva trovato uno scompartimento dove potesse essere sola. Guardava dal finestrino il susseguirsi del panorama, mentre Eclisse ancora rogava per il viaggio sballottato nel Nottetempo. Distrattamente lei lo carezzava con una mano, ma il gatto impermalito non accennava a perdonarla per quel tragitto schizofrenico dell'autobus viola.
Quando era giunta a King's Cross nessuno le aveva detto come arrivare al binario 9 e 3/4; si era guardata intorno irritata con Piton che, ne era convinta, deliberatamente non le aveva accennato alcuna informazione.
Avviatasi col carrello verso il binario 9 e 10 aveva notato che gettandosi nel mezzo di un divisorio, ragazzi con gufi e rospi, svanivano, come ingoiati dalla pietra. Si era accodata senza proferire parola e, al momento del proprio turno, aveva tirato un sospiro e si era lanciata, uscendo in un'altra stazione dove un treno fiammeggiante borbottava impaziente di partire.
Il treno per Hogwarts non poteva che essere quello.
Scivolò tra la fiumana di gente, leggera come un alito di vento, tra i borbottii, le grida e i saluti. Lei non aveva nessuno, perciò si sbrigò a trovare un posto e a chiudere porta e tende, con la speranza che nessuno entrasse; ed adesso era lì: diretta verso quella scuola, con il suo gatto nero acciambellato sulle sue gambe, ancora profondamente stizzito da quell'infernale viaggio.
Con una guancia poggiata sul palmo della mano, la vampira era assorta in una serie di elucubrazioni pindariche.
In fondo che ci faceva lei lì? Conosceva la risposta di Klaus, non poteva restare in Italia dopo tutto il macello che aveva fatto, però perché mandarla in una scuola di stregoneria in Inghilterra?
E come avrebbe fatto con la sua fame?
Un accenno di collera le fece mordersi un labbro. Nello stesso momento qualche enorme goccia di pioggia si suicidò sul finestrino. Un tonfo sordo che la riportò con la mente nello scompartimento. Il labbro le sanguinava appena, lo toccò con un dito che poi si mise in bocca come fosse un leccalecca e chiuse gli occhi.
Hogwarts...
Ormai il cielo non ne poteva più di trattenersi, era come un gigante ubriaco pronto a vomitare, che nello sforzo di non farlo fosse divenuto cianotico sino allo spasmo.
Lenora si chiese perché non esplodesse e basta; e come se questo l'avesse udita in un momento la pioggia iniziò a riversarsi violenta senza più remore. Non sapeva spiegarselo, ma quello schianto del cielo la calmava dalle sue ansie. Non ci aveva fatto caso prima, ma era tesa come la corda di un violino.
Le luci dello scompartimento si accesero fastidiose e dopo pochi minuti il treno iniziò a rallentare. Lenora guardò fuori nell'ombra. Che fossero già arrivati? Ma l'unica cosa che videro i suoi occhi vampirici furono delle lugubri figure dai mantelli stracciati che fluttuavano lungo il treno.
Sul finestrino si formarono lunghe ragnatele di ghiaccio. Anche se lei non poteva sentire freddo, fu lampante che la temperatura era calata di colpo.
Il gatto si immobilizzò in una contrattura dall'erta e in un secondo schizzò sotto i divanetti dello scompartimento.
Una mano scheletrica graffiò il vetro. Fu un attimo. Mille grida le straziarono la mente, si sentì soffocare dal suo stesso sangue, quasi che questo volesse fuggire dal suo corpo. Il dolore era atroce, le urla incessanti; lacrime di sangue le arrivarono agli occhi strabuzzanti. Poi fu silenzio.
Così come era iniziato, era finito. Era rimasta solo la pioggia, indifferente, a battere isterica contro il metallo del treno.
Ancora sconvolta Lenora sentì aprire la porta dello scompartimento. Si voltò come un automa verso quella figura dai capelli color paglia in piedi con la bacchetta sguainata.
La ragazza ansimava vistosamente, come se non riuscisse a respirare, l'uomo entrò, e nello sforzo di alzare lo sguardo su di lui, un rigetto di sangue le fuoriuscì dalla bocca. L'individuo le si sedette accanto mentre lei continuava a tossire come una tisica.
- Signorina Corvino, so chi è lei. Non credo debba proseguire sul treno. -
Lenora lo cercò con occhi appannati dallo sforzo del conato.
- Delle urla...delle urla. -
L'uomo la guardò senza alcun ribrezzo, anche se lei era in uno stato pietoso, inzuppata dal suo stesso sangue e a zanne estese.
- Mi lasci andare un momento dal macchinista. Tornerò immediatamente da lei.-
Le mise una mano sulla spalla, senza timore, con estrema dolcezza, Lenora ne avvertì il calore... e il sangue. Lo osservò nuovamente, non poteva dire di riuscire davvero a vederlo, tutto era sfocato, ma aveva uno strano odore.
Lo sconosciuto si alzò, ma prima che uscisse dallo scompartimento fu trattenuto dalla domanda della vampira: - Perché? -
- Perché lei è un'assassina - rispose quasi triste lui e si chiuse la porta alle spalle.
Lenora non riusciva a ragionare, ma quella frase le tamburellava nelle tempie.
Un' assassina.
Sì, lo era. E allora?
Dopo qualche minuto quello strano individuo tornò.
- Signorina Corvino, sono il professor Lupin. Prenda questa. -
Il professore le diede una boccetta dal colore scuro e denso.
Lenora l'aprì e subito fu invasa dall'odore dolciastro e metallico del sangue. Afferrandola con entrambe le mani la trangugiò come se fosse l'ultimo pasto al mondo.
- Mi spiace signorina, ma credo sia meglio smaterializzarzi ad Hogsmeade e arrivare al castello tramite la metropolvere. In questo stato lei è pericolosa.-
Lenora lo fissò dritta in volto e finalmente lo vide. Un uomo piacente, ma trasandato, dalla barba mal rasata e cicatrici lungo una guancia.
-Si, certo -
- Ho mandato un gufo al preside per fargli presente la situazione, non credo ci saranno obiezioni, per di più quello che è successo è inaccettabile.-
- Mi scusi professore, ma cosa è successo? -
- E' successo che i dissennatori di Azkaban non avrebbero dovuto avvicinarsi a questo treno.-
Lenora lo guardò interdetta.
- I dissennatori sono creature malvagie che rubano la linfa vitale degli esseri umani, ogni loro ricordo lo trasformano in agonia e tormento. Sono i guardiani e i carnefici della prigione di Azkaban. -
- Io non sono umana professore - replicò con un accenno di disappunto la ragazza.
- No, non lo sei. - Lupin tirò fuori un fazzoletto e glielo consegnò perché si pulisse il viso dal sangue che la imbrattava come fosse stata immersa nella vernice. Lenora lo prese e iniziò a strofinarsi il volto e le mani con piccoli scatti nervosi.
- Credo che ciò che lei abbia subito, fosse la disperazione delle sue vittime. -
Lupin la scrutava serio e lei smise di pulirsi.
- Vive del sangue altrui, e quel sangue è stato rubato, strappato ai legittimi proprietari portandoli alla morte .-
Lenora non rispose, abbasso le ciglia lunghissime sul fazzoletto intriso e sulle mani appiccicose del vischioso liquido. Era vero, portava nel suo corpo la vita degli altri. Era un otre riempito di vino, non era lei il vino.
- I dissennatori devono aver fiutato tutto il dolore e il rancore del suo sangue e vi si sono gettati come in un banchetto delizioso. -
- E' successo solo a me? - chiese in un tono quasi infantile la ragazza non viva.
- No, anche un'altro ragazzo si è sentito male, ma in modo diverso. Lui è umano. -
Gli occhi di Lenora erano di nuovo due galassie lilla, grandi e impossibili. Il professor Lupin le sorrise e lei si sentì spiazzata.
- Presto, ha bisogno di risistemarsi prima dello smistamento. I bagagli le verranno recapitati nella Casa a cui sarà assegnata.-
Lenora si alzò in piedi come un automa, l'uomo dagli occhi gentili le porse la mano e lei l'afferrò.
Un attimo, un gorgo. Non erano più sul treno.
Il panciuto gatto nero riemerse ancora più irritato di prima dal suo nascondiglio.

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Capitolo 11
*** HOGWARTS ***


Strana creatura Lenora Corvino, bellissima, ma indefinibile. Non usciva mai nel parco con gli altri studenti; anzi la si trovava spesso nella penombra dei corridoi del castello, o con le gambe lunghissime e candide seduta nell'ombra di qualche anfratto.
Bizzarro che una così fosse finita a Tassorosso anziché a Serpeverde; che il Cappello Parlante vista la sua veneranda età stesse iniziando a perdere colpi? Per di più Lenora era stata affidata al Professor Piton (capo della Casa Serpeverde); si diceva per recuperare diverse lacune in varie materie. Eccentrica questione.
Già era stato inconsueto vedere una maggiorenne sedersi sullo sgabello davanti alle quattro tavolate e indossare il cappello.
Lenora ricorda bene quel momento; tutti quegli occhi curiosi puntati su di lei e poi quella vocina antica nel suo cervello : "Uhm, è fredda la tua carne, come quella di un serpente, e gelato il cuore. Troppa furbizia e poca logica in una mente troppo ardente e concetti relativi di bene e di male non si addicono a un grifone.
Ti smisterò nell'unica casa dove la tua natura non potrà fare danno, ma anzi, dovrai faticare per esserne degna." dopo di ché urlò: - TASSOROSSO!
Di tutta quella contorta riflessione la vampira aveva capito ben poco, ma allo scoccare di tutte le mani del tavolo di quelli che presunse fossero tassi, si alzò con un sorriso malfermo e andò a sedersi tra loro.
La ragazza pallida dagli occhi di gatta era giunta dall'Italia per frequentare Hogwarts nella classe dell'ultimo anno, ma più di questo non era dato sapere, e tutto restava avvolto nel mistero. Nessuno sapeva dove avesse studiato prima, o il perché si fosse trasferita. Non era arrivata col treno, come tutti gli studenti, bensì era comparsa dal nulla al fianco del professor Piton sulla soglia della Sala Grande e si era unita ai piccoli maghi di undici anni, davanti al preside che annunciava le novità del nuovo anno e presentava come professore di Difesa contro le Arti Oscure, quell'uomo gentile che l'aveva aiutata poche ore prima sul treno, quando i dissennatori l'avevano resa un grumo di dolore. Remus Lupin.
Era lui che l'aveva immediatamente accompagnata dal professor Piton perché la rimettesse in sesto in poche ore.
I due avevano avuto uno scambio di battute sarcastiche, mentre lei aspettava coi crampi allo stomaco che almeno uno dei due maghi si occupasse del suo stato.
All'ennesima frecciatina era scattata a zanne pericolosamente sguainate e con un brontolio sordo e minaccioso aveva imposto un rimedio. Dei loro dissapori che se ne occupassero in seguito. A quel punto Lupin si era congedato e Piton con freddezza glaciale le aveva dato il tanto agognato sangue di cui aveva bisogno. Dopo di ché le aveva lasciato il bagno perché si ripulisse e non terrorizzasse la scuola. Amen aveva sospirato con esasperazione la vampira.
 
Nei corridoi si bisbigliava di lei, gli studenti non potevano immaginare che ella era in grado di sentire ogni cosa come se fosse urlata. Non aveva stretto amicizie, per questo veniva considerata una snob e molti credevano fosse una purosangue. Infatti nonostante fosse una tassorosso, spesso i serpeverde cercavano di avvicinarla per cercare di scoprire a quale antica casata italiana appartenesse. Lei li ignorava.
A pranzo e a cena gli elfi domestici le preparavano solo scure minestre dall'odore dolciastro e ferroso. Rabarbaro? Le ragazze spettegolavano che dovesse essere talmente vanitosa, o malata da essere perennemente a dieta.
In realtà Lenora Corvino aveva un segreto.
Lenora Corvino era una vampira.
 
Nel mondo magico era molto raro che una strega una volta morsa conservasse la propria magia, di solito il sangue oscuro divorava quello precedente, non conviveva con esso. A Lenora non era successo, il suo sangue di strega era sopravvissuto all'infezione vampirica. Ma certo questa non era cosa da rendere pubblica. Solo il preside e il corpo insegnanti ne erano a conoscenza.
Le lunghe ore che la ragazza passava nella stanza del professor Piton erano dovute a questo segreto : non esisteva un antidoto contro il vampirismo, ma esisteva una pozione con la quale se non esposta direttamente al sole Lenora poteva sopravvivere avvolta nell'ombra anche durante il giorno.
Non era questo però il suo problema maggiore, in realtà la vera sfida era la vertigine immanente del sangue, era perennemente circondata da carne mortale e l'odore succulento che le invadeva le narici ogni volta che si trovava nelle vicinanze di uno di loro era un tormento diabolico!
In quella prima settimana di scuola, una volta, a cena, si era incantata a guardare il pulsare ritmico e costante della giugulare di Justin Finch-Fletchley . Il suo cuore morto aveva accelerato e rombava come un' auto da corsa, le pupille avevano divorato il lilla dell'iride e schiudendo le labbra come si apre il bocciolo di una rosa i canini avevano iniziato ad allungarsi predatori.
Fortunatamente era passata lì accanto la professoressa McGranitt, la quale non si era fatta sfuggire quell'incantamento famelico.
- Signorina Corvino - la chiamò toccandole una spalla.
Lenora si ridestò come da un sogno, in un attimo le pupille le tornarono normali e ritrasse immediatamente le zanne portandosi anche una mano diafana alla bocca per nasconderla.
- Signorina Corvino - ripeté la McGranitt - venga con me -
Lenora si alzò da tavola senza fare domande, sapeva cosa aveva rischiato. La professoressa McGranitt si fermò dal professor Piton, si chinò su di lui e gli sussurrò qualcosa ad un orecchio. Piton puntò subito i suoi occhi gelidi su di lei.
L'avrebbero espulsa? Di già?
Piton si alzò fece cenno a Lenora di seguirlo, lei obbedì imbarazzata. Il professore di pozioni la portò giù nel sotterraneo nelle sue stanze, ma stavolta, aprendo l'armadietto non le diede la fiala contro la luce solare, no, prese una bella bottiglia di cristallo decorata d'argento antico, la stappò e gliela porse.
- Bevi - le disse senza preamboli.
Lenora aveva già avvertito il profumo pungente del sangue, quella deliziosa punta di rame e sale.
Afferrò la bottiglia e la trangugiò .
- Ora basta - Piton le strappò quel nettare dalle mani e lei soffiò come una gatta inferocita.
- Signorina Corvino, io non le avrei mai permesso di frequentare Hogwarts, ma il professor Silente ha il cuore tenero. Lei è solo un bizzarro caso di natura, troppo pericolosa. Ora vada. -
Piton le voltò le spalle tappò la bottiglia e la ripose di nuovo dentro l'armadietto di legno di tasso.
Lenora si sentì gli occhi ardere, stava forse per piangere? Ma i vampiri non piangono, secernono solo sangue...
- E' stato lei ad approvare il mio ingresso. - disse a denti stretti di rabbia la vampira.
- Ho fatto un errore - le rispose con occhi gelidi e tono sdegnoso Piton.
Di scatto la vampira aprì la porta e si mise a correre ad una velocità che l'occhio umano non consentiva di seguire.
Si ritrovò nella foresta proibita, cullata dalla notte, sotto lo sguardo bianco della luna.
Lacrimava sangue. Urlò tutto il dolore e la rabbia che il suo esile corpo poteva contenere. Poi si lasciò cadere a terra come una bambola rotta.
Non aveva chiesto lei di vivere fingendosi una mortale tra i mortali. Era colpa di Klaus, e se Piton non la riteneva opportuna al luogo perché torturarla scrivendo al preside che era idonea, per poi massacrarla costantemente con frecciate velenose sulla sua natura?
Sentì un frusciare di fronde vicino a lei, si voltò allertata, ma vide solo degli strani cavalli scheletrici pascolare per l'erba scura. Si alzò incuriosita, cercando di avvicinarli piano. I cavalli neri con le ali di pipistrello nitrirono nervosi. Lei si bloccò.
- Prova con questo -
Lenora si voltò a zanne sguainate. C'era una ragazza bionda con una borsa immensa dietro di lei, vi rovistava dentro; ne tirò fuori un pezzo di carne cruda e gliela porse.
Lenora rimase interdetta. Quella ragazza dagli occhi grandissimi la guardava sorridendo, senza paura.
- So cosa sei - le disse dolce - mi chiamo Luna, Luna Lovegood, Corvonero. -
Lenora ritrasse le zanne nel fodero delle gengive.
- Era abbastanza ovvio, non credi? - continuò l'angelica fanciulla.
- E non hai paura che possa dissanguarti?- domandò stupita la rossa.
- No - rispose lapidaria l'altra.
Lenora restò pietrificata.
- Prendi- di nuovo Luna le offriva quel pezzo di carne macilento.
La vampira lo raccolse dalle mani di Luna, lo guardò. Era carne e sangue, ma carne e sangue morta, l'avrebbero intossicata.
- Lancialo ai Thestral-
- Thestral ? -
- Si, sono creature incomprese sai? Spesso le persone ne hanno paura perché solo chi ha visto morire qualcuno riesce a vederli -
Lenora aveva visto morire se stessa. Si voltò verso i cavalli alati e provò per loro un istintivo senso di compassione, lanciò loro il pezzo di carne. Un Thestral si avvicinò e iniziò a mangiarlo.
Lenora sorrise.
- In realtà sono creature docili, è solo il pregiudizio della gente a isolarle -
La rossa si voltò verso Luna che le sorrideva serafica, con quegli occhi immensi del colore del cielo incorrotto delle mattine primaverili.
- Sono Lenora Corvino, Tassorosso - e le porse la mano.
Luna la strinse senza titubanze o timori. Lenora la sentì calda e non pensò al sangue, bensì solo al calore di quella stretta che incredibilmente riscaldava anche la sua.
 
La rossa vampira aveva trovato un'amica. Non era più sola, non era più un mostro.
Forse Hogwarts era sopportabile.

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Capitolo 12
*** LA PROFEZIA DEI TAROCCHI ***


Le lezioni di Divinazione erano le preferite di Lenora Corvino, il perché era abbastanza ovvio per chi conoscesse il suo segreto : Lenora Corvino era una vampira e la legimanzia era parte integrante del suo sangue tenebroso, perciò per leggere il futuro dei suoi compagni non aveva bisogno di interpretare gli arabeschi delle minuscole foglie che si formavano al fondo delle tazze da tè, o cercare nei libri il significato delle evoluzioni fumose nelle palle di cristallo; a Lenora Corvino bastava leggere nella mente di chi le sedeva davanti per conoscerne dettagliatamente ogni preoccupazione, ogni desiderio, ogni segreto.
 
La professoressa Cooman la venerava come se fosse la reincarnazione dell'oracolo di Delfi.
Solo Luna Lovegood conosceva la verità sulle "doti straordinarie di chiaroveggenza" della sua pallida amica.
 
Non era comunque solo per quell'innocente inganno che Lenora adorava quelle lezioni; c'era anche il pentolone di rame, i cui effluvi tanto intensi, intorpidivano i sensi, e questo le permetteva di avvertire in modo molto attenuato l'odore dolciastro del sangue che scorreva dentro quegli involucri di carne che erano quei ragazzi mortali. Anche perché, mescolato al calore aromatico del calderone,  vi era l'essenza pungente dell'incenso che copriva e sfumava con la fragranza stessa del sangue e il profumo penetrante dei fiori dai petali carnosi come lingue lascive, che la professoressa Cooman aveva disseminato per tutta l'aula che rendevano l'aria all'interno un crogiolo di essenze soporifere e pesanti.
Lenora, non aveva quindi bisogno di lottare con i propri appetiti, i suoi sensi si perdevano  aspirando il fumo madreperlato che germogliava dai bastoncini di incenso come  piccoli draghi cinesi, i quali evaporavano in evoluzioni languide e costanti sino a liberarsi della loro corporeità per disperdersi informi nell’aria circostante, e lì restare adagiati in una nebbia opaca e insalubre, che aleggiava nella stanza  come un velo di sogno troppo simile ad un logoro sudario, fragile, eppure palpabile.
 
La rossa vampira quel pomeriggio, ovattata nella luce soffusa delle lampade drappeggiate dell'aula,  fissava un punto spoglio di fronte a sé: anonimo, incolore, ma era come se in quello sconosciuto dove ella vedesse qualcosa che solo a lei era dato vedere e che a lei sembrava così scontato vederlo, sapere che era lì, granitico, reale. Un  pensiero così solido da poterle fare male schiantandovisi contro,  inevitabilmente, insuperabile: avrebbe avuto diciassette anni per tutta l'eternità. Nonostante lo scorrere dei giorni, degli anni, dei secoli, il suo corpo non sarebbe stato insultato dal tempo, non un atomo di tutto il suo essere sarebbe mutato : i sui capelli non sarebbero cresciuti di un centimetro in più, non una ruga si sarebbe scavata sul suo viso. Una volta Klaus le disse che solo gli occhi dei vampiri dimostrano lo scorrere del tempo. Lenora non aveva capito e Klaus si era limitato a un laconico "capirai".
 
Così esisteva in quel suo estraniamento a cui nessuno era stato invitato e vi si crogiolava in sentimenti incoerenti e contraddittori.
Helena Dry* continuava a muovere le labbra di fronte a lei, ma Lenora non le prestava alcuna attenzione.
- Lenora! Ma mi ascolti? Hai sentito che ti ho detto? -
Alla fine la rossa si dovette riscuotere dalle sue riflessioni. Helena Dry con la sua voce acuta l'aveva ormai definitivamente strappata al suo mondo.
- Cosa? - Lenora sbatté le ciglia lunghissime in un gesto innocente.
- Lenora guarda le tue carte! Il Diavolo e gli Amanti!-
La vampira abbassò lo sguardo sui tarocchi che avrebbero dovuto rappresentare il suo prossimo futuro : disposte vicine c'erano le carte della Morte, l'Imperatore, il Diavolo e gli Amanti. A lei non dicevano assolutamente niente, se non la carta della Morte, perché era la sua natura, il suo stesso essere. Guardò interrogativa Helena.
- Insomma Lenora! - sbuffò esasperata la ragazza riccia. - Allora l'Imperatore rappresenta un uomo importante, gli Innamorati è ovvio, o lui si innamorerà di te, o tu ti innamorerai di lui, o vi innamorerete e basta, ma c'è il diavolo! -
- E allora? -
- Allora? Menomale per la Cooman sei diretta discendente delle più antiche profetesse greche! -
- Si va bene Helena, taglia corto!- si spazientì Lenora.
- Il Diavolo, come la Morte ha molti significati a seconda delle carte a cui si trova accanto, insomma, secondo me significa che avrai un amore tormentato e difficile, che più che altro sarà caratterizzato da una forte attrazione sessuale! -
Lenora abbozzò l'accenno di un sorrisetto malizioso.
Reclusa da Klaus ad Hogwarts, dove lo avrebbe mai potuto trovare un uomo tanto interessante?
- Beh poi c'è la Morte, forse significa che durerà poco...-
Alla vampira sfuggì una risata come un cinguettio, Helena aggrottò le sopraciglia scure.
- Che ci trovi di divertente?-
- Oh niente! Ma questa dovrebbe essere la previsione entro un mese da oggi. Helena, dov'è ad Hogwarts questo affascinante e lussurioso Imperatore? -
- Non lo so! Magari lo trovi ad Hogsmeade tra tre settimane ! -
Lo sguardo di Lenora si accese repentinamente, una strana luce fosca le arse al fondo delle pupille. Helena ebbe uno strano brivido lungo il collo, ma la rossa non se ne accorse, doveva trovare Luna e raccontarle quella "storiella",  magari avrebbe potuto trovare il modo di sfruttarla a favore della propria natura.
 
*( personaggio inventato - quando ci troviamo nel terzo libro di Harry Potter non so quale Tassorosso sia al settimo anno - )

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Capitolo 13
*** DI SUCCO DI ZUCCA E DI TRUE BLOOD ***


Sedute su una panchina di pietra nella penombra di una delle nicchie del corridoio dell'ala ovest, sotto la Torre di Corvonero,  Lenora raccontava a Luna della profezia delle carte con un allegro sarcasmo.
- Lenora, io inizierò Divinazione il prossimo anno, non so se la tua compagna ha letto bene i tarocchi. -
La ragazza dai lunghi capelli biondo sporco si avvicinò un bicchiere di succo di zucca alle labbra, vi appoggiò appena la bocca e con non curanza continuò -
- Mia madre era brava nella chiaroveggenza, sai era una strega davvero brillante, ma non ha saputo prevedere il suo incidente. -
Lenora la guardò interrogativa, inclinando la testa come un cardellino;  Luna la fissò per un attimo in silenzio e serafica spiegò - A mia madre piaceva sperimentare incantesimi, quando avevo nove anni è morta perché uno di questi è andato male. -
- Per questo anche tu vedi i Thestral -  costatò con delicatezza la rossa.
- Si - rispose laconica Luna.
La vampira si soffermò a scrutare il volto della ragazzina: aveva un non so che di angelico, gli occhi celesti come fiordalisi, occhi grandi che le divoravano il viso pallido. Luna ispirava la pace dei sogni, anche in quel momento nel quale le aveva rivelato quell'episodio così doloroso.
Lenora la invidiò sinceramente per quel suo essere così pacata.
- Mi manca - disse poi d'un tratto Luna - menomale c'è papà - e sorseggiò, stringendo con entrambe le mani il bicchiere di succo di zucca.
Lenora non sapeva cosa dirle, al contrario di Luna, da quando Klaus l'aveva trasformata, lei non aveva più pensato a loro. Non perché li odiasse o quant'altro. Solo non era più possibile che facessero parte di quella sua nuova vita. In più non avrebbero capito che era stata una sua scelta, non un incidente o un'aggressione. Lenora aveva aspettato per tutta la vita quell'assassino.
Non li aveva più rivisti da allora. Forse a volte li pensava, si sentiva in colpa per essere sparita: immaginava la disperazione che aveva provocato loro, ma in quella vita mortale stava lentamente morendo. I suoi giorni non erano che ore buttate nell'inceneritore dell'inutilità, e tutta la sua esistenza una straziante eutanasia. Non era colpa della sua famiglia, era lei, semplicemente lei.
Perciò no, non disse niente a Luna, non tentò di consolarla con frasi che non le appartenevano; le toccò semplicemente una mano, sfiorandola con le sue dita fredde.  Luna sorrise e Lenora si sentì inadeguata di fronte a quella dolcezza che la biondina le regalava.
- Avevo un ragazzo a Pisa, in Italia, un ragazzo normale. Voglio dire, un mortale -
- Ti manca ? - chiese Luna
- Mi mancava quando c'era - la voce di Lenora si fece triste, iniziò a tormentarsi le mani -  Lui mi ha uccisa prima di Klaus, e così ora sono ciò che sono -  e guardò Luna dritta negli occhi come a sfidarla, ma la ragazza sembrava invulnerabile a quegli attacchi di sadico masochismo della vampira.
- E cosa sei Lenora? -
La rossa sbottò  -  Un mostro! Pensi che non senta lo scorrere quieto del tuo sangue, il suo profumo invitante mentre stiamo qui a chiacchierare come buone amiche! -  aveva gli occhi lucidi dalla rabbia, che sembravano ancora più brillanti, due scrigni di quarzo rosa cangianti.
- Tieni - Luna passò a Lenora una lattina con scritto True Blood 0 negativo* che teneva dentro il suo zaino.
Lenora rimase talmente spiazzata da quel gesto che si immobilizzò come fosse stata pietrificata da un incantesimo.
- Me lo sono fatta spedire per te da mio padre, io non potevo acquistarlo, si deve essere maggiorenni.-
La vampira schiuse le labbra come per dire qualcosa, ma Luna la precedette.
- Non preoccuparti, mio padre non mi ha fatto domande e io non ho dovuto mentire, né spiegare nulla -
Lenora prese la lattina con una certa titubanza, il metallo non era freddo, anzi...
- E' calda! - esclamò.
- Si, sorrise soddisfatta Luna - l'ho incantata perché restasse sempre alla temperatura del sangue di un corpo umano. -
Finalmente la vampira si aprì in un sorriso radioso.
- Grazie Luna -
- Di niente - rispose di rimando l'altra.
Lenora fece scattare la linguetta di metallo e con un'avidità priva di qualsiasi pudore iniziò a trangugiare il liquido scarlatto.
- Oh scusa - si riprese la rossa, pulendosi la bocca con il dorso della mano, imbarazzata.
- Di cosa? -
Lenora proprio non riusciva a capire se Luna fosse svampita, o semplicemente la persona più cara di questa terra.
- Perché ti sei trasferita ad Hogwarts ?- domandò a bruciapelo la dodicenne.
- Ho ucciso una donna -
Perché era stata così sincera? Poteva inventasi una "storia", invece la prima cosa che le era venuta in mente era la verità e non si era preoccupata di dirgliela.
- Oh - esclamò in un sussurro Luna.
Era fatta! Era riuscita a rovinare tutto, ora anche l'unica amica che aveva l'avrebbe considerata un mostro e si sarebbe allontanata da lei! Stupida!
- Raccontami, dove studiavi prima? -
Forse Lenora non aveva capito bene, Luna non aveva battuto ciglio e continuava a parlarle come nulla fosse.
- Beh, in Italia è un po' diverso. Non esistono scuole come Hogwarts. Da noi quando nasce una strega la Congrega locale la accoglie all'interno del cerchio, la istruisce e si istaura un rapporto di sorellanza.-
- Non avete stregoni? -
- Si, ma donne e uomini sono rigorosamente separati -
- Uhm -  rifletté pensosa Luna  - non mi piacerebbe.-
Lenora rise di gusto.
- I tuoi genitori erano maghi? -
Gli occhi della vampira divennero duri e freddi come pietra, il lilla brillante si incupì in una tonalità più scura, quasi fossero divenuti rossi come sangue stantio.
- I miei genitori non hanno mai creduto alla magia, per loro non è mai stata vera.-
La voce di Lenora era ebbra di un qualcosa che non si poteva definire rancore, ma che certo non era piacevole, era profona, roca.- La Congrega si è presa cura della mia istruzione a loro insaputa, mentre io fingevo di essere solo un appassionata di occultismo. -
- Mi dispiace Lenora, in tutti i mondi purtroppo ci sono i miscredenti. Nel mondo magico c'è stato un tempo in cui qualcuno credeva, ma forse ancora oggi, che solo i purosangue avessero il diritto di impugnare una bacchetta -
Per la prima volta Lenora notò nell'espressione dell'amica una ruga di disappunto molto simile alla tristezza.
 
- Oh buonasera Dama Helena! - in un millesimo di secondo Luna aveva nuovamente stampato sul viso un sorriso sgargiante.
Quella ragazza era imprevedibile come i cieli d'Irlanda!
Lenora si voltò per vedere chi fosse arrivato, ma non vide nessuno. Intanto Luna continuava quella conversazione con l'aria:
- Come state oggi? -
Silenzio, solo spifferi leggeri.
- Si, certo capisco -
La vampira scrutò tutto l'ambiente circostante con espressione corrucciata.
- Ma con chi stai parlando Luna ? -
La ragazzina si voltò stupita verso di lei.
- Ma con la Dama Grigia, il fantasma di Corvonero! Non la vedi? -
Lenora restò un momento in sospensione, poi rassegnata confermò - No. -
- Uhm, tu non vedi i fantasmi che si aggirano nel castello? -
- No - fu il laconico monosillabo.
- Chissà perché ? - si domandò tra sé Luna.
- Non lo so...prima di essere vampirizzata li vedevo e ci parlavo, dopo sono scomparsi.-
- Ah - esclamò Luna come se avesse avuto una rivelazione. - Probabilmente è per questo. -
- Questo cosa? - si irrigidì la rossa.
- Penso che la vostra natura "abiti" in una sottile linea di confine, dove la morte e tutto ciò che ne è connesso non vi accetti, per questo non puoi più vedere e parlare coi fantasmi; perché per quanto morta, tu vivi ancora in un corpo terreno. -
Lenora ci rifletté sopra e trovò che le parole di Luna avessero un senso. Era un cadavere senziente, non viva, non morta.
 
- Helena, questa è la mia amica Lenora Corvino - la biondina dagli occhi cerulei fece le presentazioni.
Lenora fu riscossa dai suoi pensieri e si sentì spaesata.
- Piacere - rispose al vuoto della nicchia.
- Anche Helena è felice di conoscerti, è molto timida sai? -
La vampira accennò un sorriso tirato. Stava facendo mente locale a come avrebbe fatto se qualche fantasma le avesse parlato in presenza di altri e lei non gli avesse risposto. Già la consideravano una snob, a quel punto l'avrebbero definitivamente bollata come una ragazza presuntuosa e sprezzante.
Come se le avesse letto nel pensiero, Luna la confortò.
- Non preoccuparti Lenora, ci penserò io a dirti se qualche fantasma ti saluta - e gli fece un occhiolino malizioso.
La vampira tirò un sospiro, menomale c'era Luna! Certo, c'erano quattro classi di differenza tra le due, e quindi non sarebbero sempre state insieme, ma che importava se perlomeno, anche solo per un momento al giorno poteva stare con lei come una ragazza normale.
 
Le due ragazze alzarono un ultimo brindisi, facendo cocciare il bicchiere di succo di zucca e la lattina di True Blood a suggellare quella complicità, prima di recarsi ognuna alla propria sala comune.
 
*NOTA : La marca TRUE BLOOD per le lattine di sangue non è di mia invenzione, appartiene alla scrittrice Charlaine Harris che ha scritto una serie di libri sulla saga vampiresca su Sookie Stackhouse, da cui appunto ho preso il TRUE BLOOD.

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