I WANNA BE LAURA K

di SakiJune
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Seamus Takezawa ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Laura Bradley ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Declan Kaufmann ***
Capitolo 4: *** I don't want to know! ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Laura is back again ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - That's love at last... ***
Capitolo 7: *** He is still here, after all... ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Seamus Takezawa ***


I WILL BE LAURA K


CAPITOLO 1

Mi chiamo Seamus Mohin Takezawa. Fino a non molti anni fa, mi avreste estorto questa semplice frase solo se foste stati impiegati dell'anagrafe o potenziali datori di lavoro. Questo nome da folletto mi ha sempre causato imbarazzo: in parte perché ero un ragazzino stupido, poi perché ero circondato da coetanei altrettanto superficiali. Abitavo a S..., una cittadina ad una trentina di miglia da Londra, ed ero iscritto al primo anno dell'università di S., nei pressi del quartiere italiano, sul lato ovest della città. Invidiavo con tutto il cuore i miei amici d'infanzia e i miei compagni di facoltà, sia gli italiani, sia gli indiani, sia gli inglesi purosangue. Ero certo che sarei stato fiero delle mie origini se fossero risalite ad un'unica etnia, ad un'unica cultura, qualunque essa fosse. Invece avevo questo squallido nome irlandese, una vecchia madre irlandese (era rimasta incinta di me a 45 anni) e gli occhi a mandorla.

La mamma si chiama Martha Mohin. La sua famiglia, per quanto ne so, non era né ricca né povera, per la Dublino di cinquant'anni fa, lei era graziosa al punto giusto e com'è naturale un giorno un uomo le chiese di sposarla. Tutto normale, no? Già. Lui si chiamava Ernst Kaufmann... era un operaio tedesco, ebreo non praticante, di buon carattere. Nonostante le proteste del nonno, fervente cattolico, si sposarono presto e a quanto pare il loro matrimonio era molto ben assortito. Non ho mai visto una sua foto, ma anche così sono sicuro che l'attrazione fisica non c'entrasse niente con il loro amore. Comunque, non è che stessero tutto il giorno a guardarsi negli occhi, perché nel '57 nacque mio fratello Declan. Dieci anni dopo Ernst morì in un incidente sul lavoro. Considerato che di queste tragedie ne capitavano spesso (allora non esisteva l'HCCP), la cosa non avrebbe suscitato tanto scalpore: ma il sindacato questa volta sollevò un tale polverone che la fabbrica fu costretta a chiudere - pagando regolarmente gli stipendi ai dipendenti - finché i proprietari non avessero messo in pratica certe elementari misure di sicurezza e modernizzato un pochino gli impianti.

Mia madre si tirò su le maniche. Aveva studiato da segretaria, e trovò un impiego a Blackpool. Oh, si señores, dall'altra parte del mare. Non si guardò indietro. A quarant'anni era diventata nientemeno che l'assistente del direttore generale, ma se le aveste chiesto - chi sei? - vi avrebbe risposto semplicemente: - la vedova K.

Agli inizi degli anni Ottanta, la sede della ditta fu trasferita a Londra. A Martha (che di nuovo non si guardò indietro) toccò un appartamento in affitto più che agevolato, ma con un piccolo difetto che forse avrete indovinato: era a S.! Seppe adeguarsi anche a questo... non cercò un'altra casa e fece la pendolare fino alla pensione.

Il cambiamento.

Le nuove colleghe, l'atmosfera della capitale.

Gli uomini. Per la prima volta da quando era rimasta sola, si accorgeva degli uomini.

Mio padre, un anonimo uomo d'affari di Tokyo, era capitato a Londra, nell'ufficio dove la mamma lavorava, e si erano frequentati finché lui non era dovuto ripartire. Mesi dopo, quando era tornato per altre trattative di non so che, aveva scoperto che la signora M. era in maternità... e aveva fatto due più due. L'andò a trovare e lei gli sbatté la porta in faccia, dicendogli che il suo senso del dovere non sapeva dove metterselo: ma quando vide che faceva sul serio, gli permise di starle vicino. Lui riuscì a trasferire i suoi affari a Londra e hanno vissuto più o meno insieme per venti anni. Papà ha cinque anni meno della mamma, cioè sessantacinque. Di recente è tornato a stare in Giappone. Non che me ne importi più di tanto. Che lui mi voglia bene, lo so, ma non basta. Ha sempre odiato Declan, e se un tempo condividevo i suoi sentimenti, ora me ne vergogno con tutto il cuore. La mamma soffriva tantissimo per questo nostro atteggiamento, naturalmente. Ma cosa potevo avere io, un ragazzetto bruno, dal fisico minuto, con la passione per lo skate e il rischio totale, con un elettricista in sovrappeso ex studente alla yeshivah, e che in più abitava a C...? Non avevamo né lo stesso cognome né avevamo mai vissuto insieme. Così con mio padre mi divertivo a prenderlo in giro, e se passava a trovarci me ne restavo in camera mia a chattare o andavo dove mi pareva.

E, ovvio, ero anche geloso di lui, perché mia madre lo adorava talmente... Ho sempre avuto l'impressione, da quando ero molto piccolo, che mi considerasse già un adulto, o comunque che pensasse che non avessi bisogno di lei perché avevo un padre, io. Non so se fossi nel giusto, ma in casa mia respiravo quell'aria, e non riuscivo a non pensarci. Una volta lo chiesi a papà: "La mamma pensa che Deke sia ancora un bambino?" "Se è per questo crede ancora di essere in Irlanda". Era una frase fatta, perché mio padre (me ne accorgo adesso) non poteva sentire la differenza tra un inglese e un irlandese, lui che viveva in Occidente da meno di dieci anni. Ma dalle sue parole ricevetti la conferma dei miei pensieri: la mamma non mi voleva veramente bene, almeno non quanto ne volesse a Deke, e non amava davvero papà, almeno non quanto aveva amato il signor Kaufmann. Cominciai a capire che i fatti non corrispondono quasi mai alla volontà. La mamma era affettuosa, ma non per questo provava vero affetto; mio padre aveva un carattere più tranquillo, meno espansivo, ma ero sicuro di poter contare su di lui.

Adesso ho capito che, se le cose non sono come le vedi, non sono neanche il contrario di come sembrano. La verità sta in qualche punto imprecisato nel mezzo, o fuori dalla visuale, e quando la si trova è sempre tardi.

Ricordo che una volta, andavo in quarta o quinta elementare, mi beccai un'infezione alla gola e dovetti restare a letto per varie settimane. Era la prima volta che mi sentivo così male, per quanto ne so. Ed ero anche parecchio giù di morale. Mio padre, la sera, tornava dal lavoro con un ghiacciolo e restava a leggermi qualcosa, o giocavamo a dama. Ma per quasi tutto il giorno ero solo, perché mia madre era sempre al telefono con Deke.

La ditta per cui lavorava mio fratello era in crisi, e le prospettive a breve termine erano due: chiudere i battenti, o venire "risucchiata" dalla multinazionale con cui aveva l'esclusiva, perché a quest'ultima pare non convenisse più darle l'appalto alle solite condizioni. Nel secondo caso per i dipendenti, in apparenza, non ci sarebbe stato nessun problema, ma Deke la pensava in modo diverso. La mamma era così preoccupata per questa situazione che a me non pensava affatto. Almeno così sentivo allora, così mi ricordo. Poi, in qualche giorno, tutto andò a posto: sia per quanto riguardava il lavoro di Deke che la mia salute - ma dentro di me rimase qualcosa, come una piccola voce, che mi ripeteva "sarai sempre il secondo per lei".

L'unico colpo di testa di mio fratello, in tutta la sua vita, era stato lasciare a metà gli studi. Ci era stato costretto: aveva capito di essere fondamentalmente ateo, e non si era mai visto un rabbino ateo. Così era diventato un tecnico elettricista e si era iscritto al NCP. Questo non mi faceva ridere, perché era un atto di ribellione, anche se la mia idea del ribelle tipo era molto diversa per il mio cervellino da videogames, e la politica mi interessava solo quando c'era da fare casino in piazza. Nel duemilauno avevo diciott'anni, i capelli lunghi, i vestiti stracciati e le tasche rifornite di erba. Mi ero iscritto da poco all'università ed ero già indietro con gli esami in maniera preoccupante. Mi facevo chiamare Shin: un nomignolo per lo meno coerente con i miei lineamenti.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Laura Bradley ***


Avevo conosciuto Laura nella cantinetta dove suonavano alcuni miei amici, una punk band abbastanza conosciuta nei dintorni di S... Aveva due anni più di me, era bruttina e disponibile. Disponibile perché, nonostante l'aria da santarellina, mi pareva avesse voglia di sesso almeno quanto me. Bruttina, perché voleva esserlo. D'altra parte Dot, la sua migliore amica, era parecchio appariscente, ma di soddisfazioni non me ne dava.

Laura era più o meno alta come me, cioè non molto. Bionda, un po' grassottella, con gli occhi verdi. Si vestiva come una monaca pentita, ma portava una spilletta da balia come orecchino sinistro e una catenella con un lucchetto al collo; metteva dei profumi tremendi eppure era rarissimo che uscisse con un filo di rimmel o perlomeno i capelli in ordine. Frequentava la mia stessa facoltà, ma non me ne ricordavo affatto. Ecco, anche in quello scantinato non l'avrei proprio notata, se in quel momento non stesse cantando a squarciagola il brano degli Offspring che suonava la band. Il batterista, Hare, mio compagno di sbornie e di conquiste, era stato il suo ragazzo ai tempi delle medie, e soddisfò parecchie mie curiosità.

- Primo, - cercò di stupirmi (e ci riuscì!) - ti pare brutta?

Risposi che sì, abbastanza, di certo Dot era un po' più il mio tipo.

- Intanto, Dot è leggermente fidanzata con uno che ha trent'anni, quindi levatela dalla testa. Poi se Laura non si mette mai in tiro, è perché non le interessa farsi notare, punto. Quando stavamo insieme era molto diversa. Secondo, ti dà l'impressione di una secchiona?

No di certo, feci, scommetto che non sa mettere due parole in fila.

- Beh, non scommettere niente, perderesti secco. Va matta per il nostro genere di musica perché è ribelle di natura, ma a casa sua ha un arsenale di dischi jazz. Se le guardi in borsa, ci trovi di sicuro un libro, e se non è filosofia, è un saggio sociopolitico. Scrive poesie che ti fanno rizzare i peli. Terzo, è trasparente. E' assolutamente incapace di dire una bugia e si fa un punto d'onore di dire quello che pensa anche quando sarebbe sconveniente. Quando si innamora non la ferma nessuno, riesce a volerti bene in un modo che non si spiega.

- E allora perché vi siete lasciati? - chiesi, in tono di sfida. Stai disegnando il ritratto della ragazza perfetta.

- Non potevo mica fermarmi al primo semaforo. E nessuno ha sostenuto che l'abbia lasciata io. Qui lo dico e...

Ma dai, fratello, trombiamocele tutte. Avevo ancora una visione del genere riguardo al mondo femminile.

Purtroppo frequentavo anche gente più casinista. Ci divertivamo a fare baldoria e a movimentare anche le manifestazioni più pacifiche. Allora non mi importava molto per che cosa si protestasse, e il più delle volte lo ignoravo cordialmente. A parte qualche strigliata dalla polizia, a Londra non mi successe mai niente di grave, ma a C..., nel novantanove, fui costretto a cambiare rotta.

Saremmo stati in cinque, arrivati con il primo treno del mattino - a scrocco - e avevamo rovesciato un paio di cassonetti per strada, mentre la gente sfilava tranquilla. Pensavamo di farla franca, perché di poliziotti in giro non ne avevamo visti: in effetti, loro se la filarono indisturbati. Invece io ad un tratto mi sentii afferrare per un orecchio e trascinare fino a un grosso mucchio di rifiuti.

- Proprio tu! Mamma perdonami, mi vergogno di avere anche solo una goccia del tuo sangue, Seamus!

Quando riconobbi Declan, diventai tutto rosso. Ero indispettito, ma soprattutto mi vergognavo che i miei amici sapessero chi fosse. I loro fratelli erano giocatori di calcio, di basket, padri di famiglia o bimbetti vivaci: io avevo questo vecchiaccio mezzo crucco che ora mi stava facendo annusare spazzatura fino quasi a strofinarmici il muso. Era la prima volta che mi trovavo in una situazione così imbarazzante.

- Ecco dove se ne va il piccolo, quando passo da casa sua e non c'è mai! A fare il teppista e a distruggere il lavoro degli altri! E non a S..., nientemeno, ma qui! Qui dove quel coglione di suo fratello, tra gli altri, si fa un mazzo così per cambiare le cose... e tranquillizzare la gente che ha ancora tutti quei preconcetti su di noi e su chi non sta a guardare. E tu! Porco schifo! Vorrei darti in pasto agli sbirri, tanto sei stupido. Ma almeno sai cosa stiamo dicendo? Hai letto, hai guardato, hai sentito? O eri troppo occupato a fare casino? Leggi! Forza! - e mi trascinò davanti a un cartellone.

Acerbo com'ero, capii che si trattava di qualcosa di importante. La vergogna che avevo provato stava mutando direzione. Lo guardai in viso: aveva lo stesso sguardo di mia madre quando era arrabbiata.

- E adesso vieni con me, prima che telefoni alla mamma. Stasera noi, la piazza, la ripuliamo, lo sai? Tutti insieme. Lo vedi, i tuoi amici - e sottolineò la parola con uno sguardo circolare - se la sono svignata. Non hai niente da perdere, no?

Dovetti seguirlo. Mi presentò a un bel po' di persone, che mi spiegarono in dettaglio la loro causa e le iniziative che erano riusciti a portare a compimento in città.

- Per me, pure quello è protestare. - Feci spallucce, riferendomi al gesto di poco prima.

- Già, hai ragione - mi rispose un uomo con la barba e la camicia a scacchi. - Protestavi contro di noi.

Tornai a casa con le idee un po' più chiare. Non che ora Declan mi stesse meno antipatico di prima, ma quest'avventura mi aveva fatto riflettere.

Il tizio con la barba, John-qualcosa, mi fornì dei contatti con la sezione universitaria del partito a S... Erano una mezza dozzina di studenti del secondo e terzo anno, impegnati più che altro in attività di informazione. In poche parole, volantinavano. Scritti contro la guerra, per lo più, ma anche sulla globalizzazione e sui rapporti internazionali in generale, oltre a opuscoli stampati più o meno di nascosto nella redazione del giornalino scolastico, che affrontavano i problemi dell'istruzione pubblica. Sollevato che non si trattasse solo di nostalgici (come sospettavo fosse Deke), mi unii a loro. Avevano persino un pulmino per partecipare alle varie manifestazioni - con criterio, naturalmente, e mi andava più che a genio: avevo imparato la lezione... Mollai i miei pseudo-amici casinisti e mi concentrai un po' meglio sullo studio. Con la band, invece, strinsi i rapporti. Era una compagnia meno avventurosa, che nonostante le creste colorate non puntava mai più lontano del pub sotto casa, ma d'altra parte quel tipo di avventure non faceva più per me. E avevo capito quanto la lealtà fosse più importante di tante cazzate.


Da principio mi sembrò che Hare e Laura stessero di nuovo flirtando. Poi scoprii che quando si appartavano in macchina, dietro la batteria, eccetera, parlavano esclusivamente di me. Il bastardo si era messo a fare il mezzano.

Mi ritrovai Laura in tutte le salse: alla cantina, il sabato sera, ai concerti, in facoltà, e indovina chi si presenta come nuova compagna della sezione? Uff! Appiccicata stile sanguisuga, ora sfoggiava i look più svariati, si truccava, si arricciava i capelli... oddio, si era innamorata? Di me? Hare (quel bastardo) mi aveva pur avvertito, salvo poi aiutarla nell'impresa!

Lo strano è che sotto sotto mi piaceva parecchio stare con lei. Parlare, intendo, cose così. Senza contare che mi aiutava con gli esami di italiano. Già, perché anche se aveva la faccia più cockney del circondario e di cognome faceva Bradley, il padre di sua madre era di Firenze. Di ragazze italiane nel mio quartiere ne avevo conosciute un'infinità, tutte brunette dal seno arrapante e la pronuncia impossibile. Laura era ben poco sexy e adorava Shakespeare e Byron. Sì, mi aiutava anche con gli esami di inglese! Prendemmo l'abitudine di studiare spesso insieme. La mia impressione riguardo al suo desiderio si trasformò in certezza, e in breve me ne approfittai.

Fingeva indifferenza quando, il divano ancora caldo dei nostri goffi esperimenti erotici, le annunciavo di aver conosciuto tipe delle medie con più esperienza di lei. Mi faceva le linguacce assicurandomi di tenere in serbo il meglio per l'uomo dei sogni, che non ero io. Riprendeva in mano i libri, con il reggiseno ancora slacciato, e fissandola di schiena allora mi diventava duro, solo allora, ma ormai non potevo dirglielo. Nemmeno potevo confessarle di avere ancora meno esperienza di lei. Eppure sarebbe stato così semplice essere sinceri l'uno con l'altra, senza cercare di dominarsi a vicenda, di mantenersi freddi. Non arrivammo mai fino in fondo, sapete. Hare aveva esagerato dichiarando che "avevano avuto una vita sessuale invidiabile"? Mentivo a me stesso, io, ricordando le mie avventurette al liceo? No, era tutto vero, avevamo superato l'adolescenza, io ero lontano dall'essere impotente e lei dall'essere frigida: era il noi forzato a congelare i nostri rapporti. Io mi divertivo, o credevo di divertirmi, e Laura annullava i suoi sentimenti proprio perché sentiva di non essere amata.

Se le avessi mostrato un po' di tenerezza, credo che già allora avrebbe saputo darmi qualcosa che, con tutto il mio orgoglio, non volevo ancora conoscere. Così, recitava la parte dell'innamorata davanti a tutti, rassicurandomi poi in segreto che si trattava solo di un suo gioco perverso, che non contavo poi molto. Per un certo periodo finsi di crederci: mi ripetevo che per lei ero una distrazione come lei lo era per me. Eravamo due poli uguali che, più cercano di avvicinarsi, si separano. Quindi una sua vera dichiarazione mi avrebbe spaventato e stupito oltremodo.

Durante una riunione di orientamento, all'università, ci fecero fare un test. Ne uscì fuori che Laura aveva grandi prospettive in campo giornalistico-letterario, mentre io ero portato per l'insegnamento. Incredibile, no? Non avevo nessuna voglia di cambiare facoltà; oltretutto non credevo molto a quel genere di esami psicologici. Anche Laura mi disse che non avrebbe mai provato a scrivere, per un motivo che non mi sorprese: la coinvolgeva troppo, metteva in tensione troppe corde dentro di lei, la estraniava dal mondo. I versi di quando era ragazzina erano stati, come mi disse, partoriti con dolori atroci. Molto meglio studiare, manifestare, fare porcate con il giapponesino... E' più sano, specialmente con i casini in famiglia che si trovava. Il padre si era praticamente volatilizzato da un anno a quella parte, la madre sognava di andare a vivere con il nuovo fidanzato a C. e lei ovviamente pestava i piedi per restare. Aveva l'età per abitare da sola, certo, ma non se la sentiva.

Finì come aveva temuto. Una mattina, mentre uscivamo da lezione, mi annunciò che si sarebbe trasferita di lì a poco. Piangeva, l'ex sciattona soft-punk, la mia piccola amante. E mi fece una tenera dichiarazione... "una ragazza sa di potersi dichiarare quando è sicura di essere corrisposta appieno, o di non esserlo affatto", parole sue: già, mi disse che non sperava più di conquistarmi, che era tardi, e che proprio per questo poteva confessarmelo...

- Shin, ti voglio bene.

Tutto qui? direte. Ma, ragazzi, dopo che hai sfruttato una tipa per mesi per risollevare i tuoi voti, dopo che l'hai usata sessualmente senza nemmeno soddisfarla, dopo che ti sei vantato con gli amici di tenerla in pugno ed esserti sentito in colpa per questo, ma hai continuato a farlo, questa è una frase che ti schiaccia. Anche perché non mi aveva detto "sono innamorata" o "per me la nostra relazione era tanto importante". Ti voglio bene, sei una creatura del mio mondo intimo, sei una parte di me. Uuh. E se ne andava.

Lo raccontai a mia madre. Che mi rispose più o meno in questi termini:

- Siete tutti degli sciocchi, voi uomini. Ho partorito solo eterni indecisi. Andrà a stare molto meglio senza di te.

Io non meritavo Laura? Beh, sarà anche stato vero, ma perché doveva dirmelo in quel modo?

- Perché ho conosciuto suo padre, ed è un gran figlio di... e tu non sei molto diverso da lui.

Oh no, mamma, io sono molto diverso, l’ho capito ora. Non serve a niente credersi superiore ad una donna.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Declan Kaufmann ***


Rieccomi con un nuovo capitolo! La poesia al fondo è mia, dedicata al vero "Deke"... un uomo che ho amato e che è stato la mia musa per molti anni... Grazie a chi mi ha recensito ma anche semplicemente ha letto la mia storia... Per TALLIS: so che le k possono dare fastidio, ma come avrai notato non sono inserite all'interno dei dialoghi (non avrebbero senso), fanno parte dello spirito in cui Seamus racconta la sua giovinezza... ne ho comunque eliminata qualcuna. In questo capitolo ce n'è una e l'ho lasciata così com'è, in quanto ha ragione d'essere. Here you are!

CAPITOLO 3


Di tutto ciò che successe dalla partenza di Laura, proverò a raccontare quello che so. Se mia madre mi sta ancora tacendo qualche cosa, è assai improbabile che questo qualcosa venga fuori in futuro. Avreste dovuto trovare una bibliografia in fondo a questo racconto, ma che avreste pensato leggendo

"liberamente tratto dal Daily qualcosa di metà ottobre"

o

"confidenza che mi ha fatto L. quattro anni fa"?

Posso solo dire: non ho saputo tutto nello stesso momento, né dalla stessa persona. Quello che vi sembra troppo romanzato, me l'ha raccontato lei, che ama.

La sera prima della partenza, Dot regalò a Laura un maglione (come se la latitudine cambiasse di molto, da lì a C.) e calde lacrime. Vederle che leggevano la Yazawa, le teste vicine, le mani umide intrecciate, sentire i loro singhiozzi, beh, faceva un bel po' ridere.

- Quando uscirà il prossimo numero di Nana, mi avrai già dimenticata... - diceva Dot, con gli occhi da gattina rossi e gonfi.

- Ma no! Sarai sempre la mia amica... - rispondeva Laura, mentre una lacrima bagnava la faccia di Takumi2. I manga erano l'unico suo vizio spiccatamente consumistico, e Ai Yazawa l'autrice preferita di entrambe. L'apprezzavo anch'io, perché aveva uno stile originale, ma non avevo le mani bucate per i fumetti fino al punto di ordinarli direttamente dal Giappone. Loro, sì.

- E chi lo sa... - riprendeva Dot.

- Lesbicone! - gridai, nel silenzio giovane e disperato. E tirai fuori il mio regalo d'addio. Era un foglio di bristol con stampati su gli indirizzi che pensavo potessero esserle utili a C.


Pub O' Connor Wanton St.

non ti innamorare del barista con i baffi

Kenton's (abbigliamento) Draw Sq.

mi sembra che tu possa trovare parecchie cosine di tuo gusto.

se mi sbaglio, non ti conosco affatto

Jameson's Int. Bookshop 141, Furhouse Rd.

per i tuoi adorati fumetti

Circolo NCP dalle parti di Longware Rd.

magari ti metti in politica sul serio!


Auguri, il tuo kompagno di sbornie (e.....)

Shin


Continuo a ripetermi che anche se non avessi aggiunto quell'ultimo indirizzo, Laura si sarebbe messa in contatto ugualmente con il partito a C. La politica le piaceva perché rappresentava una giusta via di mezzo tra l'impegno sociale e la scienza astratta. Un hobby coerente con la sua scala di valori personale, che la distraeva da quella droga pesante chiamata letteratura. Non ho quindi da rimproverarmi né da congratularmi con me stesso per la piega che prese la sua vita. Credo. Almeno, non per quel biglietto... semmai per averla lasciata partire. E non solo quella volta.

La scuola andava sempre meglio. Perlomeno, dopo quell'incontro orientativo, mi ero schiarito le idee. Dopotutto, non avrei dovuto stravolgere il mio piano di studi, almeno metà degli esami che avevo già dato (pochi) erano validi anche per la facoltà in cui mi trasferivo. Il mio tutor, Mr. Shotton (accento del nord-ovest, cinquanta chili per un metro e ottanta) si grattò la testa, poi si complimentò per la scelta. Non credo che abbia mai scommesso un penny sulla mia costanza. Ma nemmeno io vivevo della sua stima.

Le festicciole superetiliche che organizzavamo a casa di Dot divennero off-limits con l'arrivo del suo fidanzato, una specie di svedese di due metri che veniva da Manchester e faceva l'architetto. Prove generali di convivenza. Addio, bella gnocca, wedding bells con quel che segue, povera te.

Perlomeno Laura non aveva da preoccuparsi, all'università femminile di C., di corteggiatori che la distraessero dallo studio e la convincessero ad un matrimonio prematuro. Né, per quanto ne sapevo, avrebbe trovato coetanei compiacenti in sezione. Già. John-qualcosa, anzi John Farrell, segretario del partito, veleggiava per i cinquantacinque. Poi c'erano Richard, Auburn, Pete e naturalmente Declan, tutti oltre gli -anta. C'era chi aveva divorziato da tempo, chi era felicemente sposato e chi ferocemente single, ma di giovani neanche l'ombra. L'unico con qualche pretesa anagrafica davanti alla tenera giovinezza di Laura era Drew Meade, ma lei fiutò subito una malinconia congenita nei suoi modi e nel suo sguardo da pesce. Era, infatti, un operaio del famigerato settore automobilistico, così in crisi in quegli anni, sull'orlo della cassa integrazione e, a parte la lotta sindacale, senza una passione cui dedicare il tempo libero che di lì a poco avrebbe posseduto in abbondanza. Auburn era una giornalista, una donnina sottile e tenace, con figli adulti. Si affezionò a Laura e tentò ripetutamente di coinvolgerla nel progetto di una rubrica all'interno del settimanale per il quale scriveva. Richie Dunning abitava in collina ed era famoso per la sua generosità. Tutto quanto riguardava il volontariato, l'ambiente, era territorio suo. Gli amichevoli dibattiti con i laburisti li lasciava volentieri a Declan. Pete Jessup, carpentiere in trasferta con moglie e figli in Galles, sognava di ristrutturare la sede e di renderla degna di una federazione provinciale. John lo considerava matto, ma sorrideva davanti ai suoi progetti che tirava fuori ad ogni riunione. Altri compagni gravitavano intorno a quelle tre stanzette, per fare un saluto o per rinnovare la tessera, ma il grosso dei militanti era tutto qui.

Laura all'inizio provò a mettere su una sezione giovanile come quella che frequentavamo a S.: andava ai concerti, parlava con i ragazzini delle superiori, sondava il terreno. Tirate le somme, trovò ovunque buoni propositi e nessuna voglia di legarsi ad un gruppo stabile. Li capì e rinunciò. Restò con i vecchietti.

Oltre che con Auburn, andava molto d'accordo con Declan. La faceva ridere il suo essere polemico con tutto quello che diceva John, il suo brontolio, la sua parlata veloce un po' irlandese, un po' del Mersey, dove aveva abitato con la mamma prima di trasferirsi a Londra. Deke sembrava davvero una persona strana, a conoscerlo. Metti che fosse con degli amici, d'estate in una panineria all'aperto e sta per addentare un hot-dog: all'improvviso strabuzzava gli occhi, fissava il panino come se non l'avesse mai visto prima e con l'aria di risvegliarsi da un incubo. Poi si ricordava di non essere più un ebreo praticante, si guardava attorno sperando che nessuno si fosse accorto della faccia che aveva appena fatto, e cominciava a mangiare di gusto.

Era capace di prendersi due settimane di permessi non pagati dal lavoro per friggere pesce alla festa della federazione a Londra, ma se riusciva a prenotare i biglietti per un concerto o uno show che gli interessava, allora a quel paese la politica! Il fisico pesante, i capelli rossi appena sbiaditi dall'età, un paio di occhialetti vecchio modello e un guardaroba invernale in ogni mese dell'anno, aveva ben poco fascino. Ciò non toglie che avesse una specie di fidanzata, Chloe, una scorfana riccia che odiava tutte le donne inclusa se stessa. Lo accompagnava raramente alle conferenze organizzate dal circolo, e in quelle occasioni manifestava apertamente la sua insofferenza verso le compagne.

- Ma cara, - cinguettava Deke - Laura è una bambina, e Auburn è andata ad abitare con il nostro segretario - e la racchia si rassicurava un po', dopodiché ricominciava con le sue gelosie.

Che Auburn stesse con John, Laura era venuta a saperlo piuttosto tardi, un mattino che era andata con Drew a volantinare al mercato, ed era stata così contenta! Nella sua fantasia era una coppia caduta dalle nuvole, perché presi singolarmente erano così diversi, ma immaginarli condividere una vita insieme le dava una tale tenerezza! John, vero ritratto del proletario consapevole, e quella donna colta e magrissima...

- Sei sicuro, stellina rossa? - Era il soprannome di Drew, perché era un nostalgico più che un attivista. Durante uno sciopero in fabbrica era stato scoperto con in mano un compressore mentre eseguiva un graffito sinistroide nel magazzino del reparto verniciatura. - Ma io non li ho mai visti che si baciavano! Vengono sempre ognuno con la sua macchina, e John ha sempre le camicie stropicciate!

Drew scosse la testa.

- Va beh, non funziona come pensi tu. Non è mica tenuta a fargli da colf, e non sono due ragazzini che si strofinano davanti alla gente.

- Ma non ci sarebbe niente di male.

- Guarda che ad una certa età... ma te lo devo spiegare io? Non è che non ci si voglia bene: si ha un rapporto più maturo, no?

- Più maturo? Avvizzito, vuoi dire? Io penso il contrario. Se ci si scopre innamorati a cinquant'anni, si ha una sicurezza e una chiarezza di sentimenti che alla mia età è impossibile.

- Uuuh... allora, se adesso incontri un tipo e ti prendi una cotta, non provi neanche a metterti con lui perché sai che un giorno ti passerà?

- Ma no, ma no - ribatté lei. - Cercherei di viverla meglio che posso. Però è vero che... se la godano anche loro, senza le nostre illazioni. Sono tanto contenta per Auburn, davvero!

E la invidiava, davvero. Sana invidia, ma tant'è. Cominciava a sentire il bisogno del famigerato qualcuno: le mancavo io? A posteriori, in un certo senso tutte le prove sono a mio favore. Era indissolubilmente attratta dal sangue focoso dei Mohin. Altrimenti, perché di tutti gli esemplari maschili di C. si sarebbe andata proprio ad innamorare di mio fratello?

Già, amici e compagni, voi che pensavate che questa fosse la Fantastika Storia di Laura e Shin, nossignori, avete sbagliato rotta. Vi trovate nella Lamentevole Saga dei Kaufmann, e se avete fiutato che la sbobba non è di vostro gradimento, prendete il primo autobus e salpate verso più rosei lidi.

L'entrée di Laura alla sezione di C. era stata salutata con speranza ed allegria da Richie e Auburn, ma soprattutto dai calcoli di John. Costui infatti prospettò una sua prossima autodestituzione. Arrivano le nuove reclute, pensava, e io sono qui da venti anni buoni, tra associazioni e partito, e sono stufo. E Declan? Tra le chiacchiere di quella prima bella serata, captò una citazione di Laura sul PCF, e le rispose a proposito. Poi:

- Ma che ci fai qui, che son quasi tutti pensionati, io no eh, ma dai, non prenderai mica la tessera? A ventun anni? - e lei non sentì più nulla se non la propria risata, basta tristezze, ciao Dot, ciao Shin, ho trovato la mia

(famiglia)

dimensione.

- Guarda che la tessera ce l'avevo, a S..., alla sezione universitaria.

- Mhhh... appunto, stai con quelli della tua età. Siamo mezzi sfasciati, non lo vedi?

Come ho detto, ci provò, a stare con i giovani, ma si sentiva sempre più legata agli sfasciati. Che poi, tanto disorganizzati non erano. Almeno una volta al mese c'era una conferenza sull'ambiente, o sugli investimenti del beneamato major in carica. C'erano i picchetti fuori dalle fabbriche dove c'era uno sciopero, siccome Pete e Drew erano attivi anche nel sindacato. I cortei, naturalmente, i concerti folk, i banchetti, i volantinaggi. Le collaborazioni con gli altri partiti e con le associazioni cittadine. E poi le famigerate spedizioni alla federazione di Londra.

Di tutti quanti, da anni e anni, i prescelti per le Riunioni Grandi erano due: Auburn e Declan. La prima, ovviamente, per scrivere il riassunto della serata sul bollettino provinciale, il secondo per la sua vena oratoria altamente polemica. Laura puntò i piedi per andarci. Aveva degli argomenti da presentare sulla situazione socio-economica dell'Inghilterra? Un programma per un futuro e improbabile ingresso alle Camere? Ma no, voleva solo ascoltare, farsi una cultura sulla roba pesante. Detto fatto, un pomeriggio Auburn le telefonò per invitarla. Tu-tum!

- Com'è la federazione giovanile? - chiese ad Auburn in auto, sciogliendosi la treccia che, si accorgeva solo ora, non era adatta ad un evento del genere. I capelli le rimasero ondulati, morbidi.

- Si riunisce nello stanzone accanto al principale. E'... il raduno dei referenti delle sezioni universitarie, l'avrai capito. Tu, avrai molto da dire su quello che fai, e non ti sentire in imbarazzo per non... insomma, per il fatto che... che a C... quelli della tua età hanno la testa a troppe stupidaggini per interessarsi di cose serie! Poi lo sanno anche a Londra che il nostro major ha certe tendenze maccartiste. Ma sai che stai proprio bene, così?

Laura sorrise, e si guardò nello specchietto. Per un attimo vide riflessa una donna, e quella donna era lei.

Contava di incontrare qualche rappresentante dell'università di S., quelli che si erano laureati l'anno prima, magari, e che ora sicuramente alternavano i corsi di specializzazione nella capitale con un'attività politica più concreta. Joe Frazer, per esempio, che al liceo era stato il migliore amico di Hare. Oppure, il fidanzato di Dot. Beh, in ogni caso... forse avrebbe fatto meglio a rimanere nella stanza principale. Dove ci sarebbe stato Declan.

Aveva confidato alla madre la simpatia che provava per lui. Così, come al liceo le aveva raccontato di lei e Hare, e - con qualche abbellimento - di lei e me: non c'era mai stato il minimo imbarazzo tra loro. Questa volta, però... fu cinica al massimo grado. Le parlò del complesso di Edipo, di bisogno di protezione, dei pericoli di una simile follia, e dopo aver visto una fotografia di Deke, grigiastra e sfocata, sul bollettino di distretto (un trimestrale di otto pagine che il Partito spediva agli iscritti della zona), lo classificò in un attimo come furbastro, maniaco del sesso, igienista, pedofilo e arrogante. Il tutto condito da vari epiteti in italiano. Laura restò sgomenta. Era ancora nell'età in cui il punto di vista dei genitori conta ancora molto. D'altra parte, era da qualche anno che le doti di veggente della madre facevano cilecca. E poi, credeva di più a quello che le aveva detto John, quando si erano conosciuti: "Puoi fidarti ciecamente di ogni singola persona qui dentro, e puoi contare su di noi in ogni momento. Il vantaggio di essere di sinistra, vedi..."

Si fidava di Declan, quindi, e se Auburn sarebbe tornata a casa prima della fine della riunione, sì, sarebbe salita sulla sua auto. E se l'avesse baciata? Se le avesse chiesto di...

Auburn la vide arrossire di colpo. E di colpo il suo sentimento si era macchiato, le sembrò, in modo irrimediabile. Deke le piaceva, le piaceva immensamente - ma se sua madre avesse avuto ragione? o comunque, se lui avesse detto una parola, se avesse fatto un gesto che lei non desiderava?

Era innamorata, o almeno lo credeva. Ai suoi occhi era una persona stupenda; pure, quando la sua immaginazione andava oltre - capite - il sogno si faceva grottesco, come quando ti ritrovi in una stanza che credi di avere già visto, e le persone intorno a te hanno facce oscene, e gli scalini si moltiplicano, i corridoi si allungano... Forse erano davvero quei ventitré anni a spaventarla, o forse, lo dico con tutta la tenerezza che provavo e che ancora provo per lei - era tornata un'altra volta vergine.

Deke non ci provò quella sera, né in altre occasioni - mi sembra inutile dirlo. Durante la riunione, prese appunti tutto il tempo, riempiendo mezzo notes con la sua scrittura confusionaria. Laura lo spiava da dietro, fingendo un contegno intellettuale, in realtà divorandolo con gli occhi: per la prima volta, non c'era Richie a disapprovarla. Dimenticò di conseguenza ogni proposito di partecipare alla riunione dei suoi coetanei nell'altra stanza. Quando venne il suo turno, Declan salì sul palco a fare il suo discorsetto, mentre lei non staccava lo sguardo dalla sua figura, seguendo ogni movimento delle sue mani. Mancavano ancora un paio di interventi quando Auburn le fece cenno di andare.

- Adesso? Ma non deve parlare quel tale della commissione ambiente? Devi scrivere un articolo domani, no?

- Ho già un opuscolo, mi pare ci sia scritto su tutto. Comunque, dirà le stesse assurdità del mese scorso... ma se vuoi rimanere, puoi tornare con Kaufmann. Se con tutti quei papiri riesci a entrare in macchina... vero? - e le strizzò l'occhio. Laura finse una risatina, ma si sentiva tesissima.

- Non c'è Chloe? Non vorrei fare la candela, non mi va proprio.

- Ma và! Avranno litigato. Tanto, quando c'è, la candela è lei, perché...

Un grugnito la interruppe. - Hai finito di traviare i giovani comunisti inglesi? Non si parla male dei compagni, specialmente di quelli presenti e suscettibili...

Scoppio di risa delle due donne. - Suscettibile, questa è buona davvero, Kaufmann... caro, và, che tenero lui! - E Auburn si eclissò.


Ho una donna, disse l'orso

e dai suoi fianchi lecco il miele

ma la mia miseria non ha eredi -

Con le tue opinioni tesso un tappeto

(ogni incontro un nodo, ogni frase un colore).

Vorrei raddoppiare quel tuo sguardo che amo,

fiorire alla tua larga ombra,

ricoprirti di fresco profumo,

somigliarti in tutti i tuoi difetti,

affilare le tue armi così che il nemico

non senta il proprio dolore, ma il mio!

Ho una donna, disse l'orso

ma perché non prendi invece una sposa

e dai un erede alle ricche foreste?

Un bimbo dagli occhi d'acqua torbida

ma un cuore rosso e forte,

un amore grassottello e testardo...

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Capitolo 4
*** I don't want to know! ***


Era arrivata al POC con i capelli blu, la sua cartellina straripante e un quarto d'ora di anticipo. Quella mattina aveva ritirato l'ultimo stipendio settimanale - l'ultimo sul serio, purtroppo - e l'aveva consegnato direttamente nelle mani della parrucchiera di Longthorne Street. C'era da fare la spesa a casa, avrebbe dovuto comprare a sua madre il regalo di compleanno: a queste cose non aveva pensato minimamente. Uscita dal salone, tirò le somme. In anticipo per l'ultimo esame, disoccupata, single, con un taglio alla Imbruglia che avrebbe fatto scappare ogni potenziale datore di lavoro e/o spasimante, in tasca aveva solo spiccioli che sarebbero stati presto sacrificati alla dea Yazawa, la sua mangaka preferita. Cena per modo di dire, maglietta rossa aderente, jeans chiari stropicciati. Sembrava un semaforo: perfetto.

Spense il PC dove galleggiavano un solitario, una foto di Auteuil e un texture processor. Le cadde l'occhio sul borsello del trucco, che stava ormai per denunciarla per abbandono, e si concesse una ritoccata, però in tinta. Va bene il semaforo, l'arcobaleno no. Sembrava che stesse andando ad un incontro col destino, della serie principe azzurro o vincita al lotto. Ma no, era la solita serata in sezione.

John arrivò quando aveva letto due volte il suo fumetto e riempito due fogli di graffiti sinistroidi.

- E' finita la festa a Londra? - salutò senza nemmeno alzare la testa.

- Siiiiii - fece la bella voce sonora. - Ci siamo sentiti una mezz'ora fa, tra poco arriva. E' leggermente distrutto, il nostro dirigente, era quasi da solo a friggere pesce là dentro e ha messo in discussione il suo rapporto con i compagni di città. Bella testolina eh.

- Friggere? Non c'erano dei chioschi? Dei chioschi privati?

- Cooosa? Noi non privatizziamo niente. Figurati, hanno messo su un capannone e ci hanno dato dentro. Sai che per fare la guardia allo stand del sindacato, Ned Rowley ha dormito lì, nel parco, con lo spolverino beige arrotolato a fare da cuscino, e che nel mezzo della notte ha cominciato a venire giù un acquazzone...

La manifestazione nella capitale aveva impegnato Declan per più di un mese. Non aveva una gran fiducia nelle capacità organizzative della federazione di contea, ma quel poco che ne restava era stata spazzato via dai fatti. Ci sarebbe stato da aprire l'ombrello per ripararsi dai fulmini, sbraiterà tutta la sera, pensò. Beh, meglio così. Lo adoro quando ha ragione.

Speriamo che arrivi subito, rifletté ancora; o che venga Richie, o Auburn, altrimenti John comincerà a chiedermi come va la scuola, come se fossi alle elementari... però se il discorso fosse proseguito sul filone "festa di Londra" non le sarebbe dispiaciuto. Parlare di Declan era in un certo senso meglio che vederlo: come un bambino che adora le fiabe, e vorrebbe che la mamma stesse ore e ore accanto al suo letto ad aprirgli mondi fantastici e orizzonti magici, ma la razionalità già formata nella sua mente sarebbe terrorizzata di trovarsi davvero di fronte ad una strega malvagia, ad un orco, o anche ad una fata, perché sa che non dovrebbero esistere, nel suo mondo, dove mangia e dorme e fa i compiti e gioca a pallone. Sa che non è roba per lui, perché per lui c'è la famiglia e gli amici e persino il dentista cattivo, e la maestra antipatica, ma niente magie o draghi. Così Laura vedeva la sua passione crescente come un errore gigantesco, un pasticcio organizzato dal signor Freud anima gioconda. Non era per lei, non si doveva fare. Non perché glielo aveva proibito la mamma, ma perché faceva paura, faceva parte di quella dimensione ignota e oscura chiamata Fantasia Perversa, anche se poco c'entrava con il sesso. Laura voleva alimentare una Fantasia Perversa? N-no. Aveva avuto un ragazzo alle superiori, un batterista punk con una cicatrice di due centimetri sotto il naso

(Hare)

Era stata la bambolina privata di un giovane dalle squisite fattezze orientali

(io)

e, se non fosse partita, la cosa si sarebbe fatta seria, perché ormai noi...

Ma erano appunto Storie Adolescenziali. Il punto non è che cosa faceva, ma con chi aveva in mente di farlo. Per molta gente, tra cui sua madre, Richie e il suo super-io, una ragazza dai diciotto anni in poi può avere tutte le esperienze che vuole, se a) sta lontano dalle droghe pesanti b) usa gli anticoncezionali c) non indossa nero e blu assieme. Ma la regola segreta, quella che non si insegna a scuola ma si apprende già nell'utero, vieta di desiderare un uomo maturo, tanto meno erano da considerare quelli avvizziti. Ricapitolando: Declan era off-limits. Quarantasei meno ventuno uguale venticinque. Facciamo ventiquattro e mezzo, ma sempre osceno, vero?

"No, non c'è proprio niente di osceno." (istinto contro comportamento appreso: sbang! bum! crash!)

"Se c'è un motivo per cui devo cancellare questo sentimento, andava ricercato nella presenza di una donna chiamata Chloe, brutta come la notte ma che ha dei punti in più di me. Nel fatto che non ho speranze: ma, per la miseria, ho la certezza di volergli un bene dell'anima."

- Allora, la scuola come va? - Puntuale. Interrotta dalla sua riflessione, stava per rispondere, anzi grugnire, quando Auburn fece il suo ingresso, sottile e sorridente. Restò un poco allibita alla vista dei suoi capelli, ma non disse nulla. Chiese a John se avesse controllato la casella di posta e se ci fosse di nuovo "quella caterva di messaggi": sì, ovvio, Declan tormentava tutti con la commissione ambiente e la raccolta differenziata fino a farti sentire in colpa... La settimana prima c'era stato un nuovo iscritto, e prima ancora del nome gli aveva chiesto l'indirizzo e-mail.

La sera che l'aveva accompagnata a casa, non era successo niente di ciò che temeva; lui si era messo a parlare degli interventi alla riunione, senza degnarla di un'occhiata. Guardava la strada, per fortuna: per un attimo Laura aveva pensato che avrebbe tirato fuori tutti quegli appunti, ma si ricordava tutto e aveva continuato a parlare, e gli attacchi all'inceneritore in periferia avevano il suono di una musica

e con il naso che premeva sul finestrino Laura vedeva il guard-rail, il fiume, il cielo

(No no they can't take that away from me)

e si era sentita così bene, cullata dal ronzio del riscaldamento e dalla voce di Deke.

Alle dieci ancora non era arrivato nessun altro. Auburn aveva tirato fuori un progetto per una rassegna di film nella piazzetta del municipio. John era al telefonino, (la sua amante, avevano ridacchiato) e non sembrava avere intenzione di terminare la chiacchierata tanto presto. Ad un certo punto era uscito a camminare avanti e indietro, e le due donne rimasero al tavolo senza parlare finché non si aprì di nuovo la porta e il suo cuore prese a battere più forte.

- Kaufmann!

Il cerchio era chiuso. Potevano mettersi a litigare, leggere ognuno per i fatti propri, poteva anche non guardarlo per tutta la sera, ma c'era, e per lei se c'era lui c'era tutto.

Compagno Kaufmann, tesoro.

Come al solito si mise a cercare il giornale, e dopo aver passato in rassegna vari numeri arretrati del New Worker chiese dove fosse "quello di oggi, merda, voglio vedere cos'hanno osato dire su chi si è fatto un mazzo così per tutta l'estate...".

Alle loro scrollate di spalle andò a cercare nello stanzino della caldaia, dove tenevano anche gli striscioni e altre cianfrusaglie, oltre a un vecchio computer e alle foto di gruppo.

- Io non ho scritto niente di brutto su di te! - chiarì Auburn, che da qualche tempo infatti collaborava anche con l'organo nazionale del partito. In quel mentre John rientrò.

I lampioni in Scholar Street funzionavano a singhiozzo, e quella sera ne era acceso solo uno all'inizio della strada. Fu perciò naturale volgersi verso la luce improvvisa che passava dalla porta a vetri. Le ombre si mossero velocemente: videro il martello, e un istante dopo John si teneva la spalla sanguinante fissando sbalordito la porta in frantumi.

- Nazisti bastardi! - ebbe il tempo di dire prima che comparisse di nuovo la luce, e videro che era carta fiammeggiante, con i pezzetti bruciati che svolazzavano. Poi, un altro fagotto. E fumo, rumori di fuga, e lo scoppio.

Per fortuna, Laura non aveva fatto in tempo ad alzarsi, così cadde dalla sedia senza gravi conseguenze rotolando sotto il tavolo. Strinse gli occhi, e pensò: ma non siamo negli anni quaranta. Immagini dei libri di storia. Un poco di raziocinio. John voleva dire neonazisti, certo, teppistelli imbevuti di stronzate. Forse più giovani di lei.

Gridò il secondo nome che le veniva alle labbra.

- John! - Sì, il suo grido era una menzogna.

- Laura. Dimmi dove sei.

Era ancora là sotto? Il fumo l'aveva trasportata agli albori del mondo, come in It? Non osando aprire gli occhi, si trascinò finché sbatté un fianco contro una gamba del tavolo. A questo punto si tirò su. Qualcuno le afferrò un braccio e si lasciò guidare all'aria aperta, sull'asfalto freddo dove si sedette frastornata. Auburn era sdraiata accanto a lei. Aveva perso i sensi, ma John sembrava non preoccuparsene. Solo quando qualche minuto dopo si riebbe, lui le soffiò in faccia - un gesto stranissimo che Laura non dimenticò - e constatata la reazione positiva, non si occupò più di loro.

Non c'era un vero e proprio incendio, perlomeno non verso l'esterno. Era crollata la parete di cartongesso che divideva la sala riunioni dal piccolo ufficio, e la polvere aveva spento buona parte delle fiamme. Ma nella stanzetta della caldaia le pareti erano ricoperte per metà di perlinato ammuffito, e proprio là il fuoco aveva resistito. Sentì John e Richie parlare concitati (quando era arrivato Richie?), erano d'accordo ad allontanarsi aspettando i soccorsi, ma lei era ormai lucida e quanto mai pericolosa per se stessa. Mi stanno prendendo in giro? Non gliene importa nulla? E' tutto un assurdo scherzo? Declan è LA' DENTRO! La caldaia sta per scoppiare, e Declan...

Sentiva le sirene che si avvicinavano... stupidi anche loro! Non faranno in tempo! Si accorse con orrore che non era affatto uno scherzo, John era al telefono con la sua amante o con chissà chi e non aveva proprio visto arrivare Kaufmann... non le avrebbe creduto... non faranno mai in tempo...

Era dentro. Contava i passi tenendosi aggrappata al muro. Si sentiva svenire, ma resisteva. Non le importava di morire, ma se l'avesse lasciato succedere non avrebbe potuto salvare l'unica persona che meritasse di vivere. Sì, in quel momento avrebbe preferito che il mondo scomparisse, che lei stessa svanisse nel nulla, piuttosto che fosse accaduto qualcosa a Declan. Voleva bene a sua madre, a Dot, a me, a Auburn, a John a Richie e persino a Drew. Ma per il suo amore li avrebbe mandati tutti all'inferno. Esattamente dove si trovava ora.

Inciampò nel gradino sulla soglia della stanzetta e si ritrovò lunga distesa di fronte alla libreria. A differenza della sala, qui il fumo non era altrettanto denso, quasi il fuoco lo divorasse anziché emanarlo. Così lo vide. Gli scaffali in basso gli erano crollati sopra. La vecchia macchina da scrivere che tenevano sul terzo ripiano sembrava esserglisi incastrata nel petto. Se è morto, decise, resterò qui. I parenti si consoleranno, ho letto l'ultimo numero di Nana, posso andarmene. Ma cambiò subito idea. Aveva voglia di arrostirsi lentamente, bene, poteva farlo da sola, ma non aveva il diritto di decidere per lui. E poi, se c'era ancora una speranza...

Non era fisicamente in grado di tirarlo fuori: Deke pesava novanta chili, e i suoi muscoli erano flaccidi in maniera imbarazzante. Tesi. Salvare Declan non era una questione fisica. Antitesi. E la sintesi si dispiegò tra la fame d'aria e lo sforzo immane. Centimetro dopo centimetro.

All'ospedale, dove si svegliò, per la seconda volta inghiottì il suo nome. Ma questa volta non ne propose un altro. Non ne esisteva un altro.

- Non voglio sapere niente. Non voglio vedere mia madre. Ditemi solo quanto dovrò stare qui.

Oh, non più di due giorni, per gli accertamenti del caso. I loro. Lei non volevo essere sicura di nulla. L'indomani sera era sul treno. Sua madre l'aveva vista solo addormentata, e aveva lasciato dei vestiti puliti. Una gonna a fiorellini fitti (non era in grado di indossare jeans, per una lieve ustione su una gamba) e un twinset quasi estivo. Tremava dal freddo e dallo stordimento. Ma più di tutto si sentiva svuotata dentro.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Laura is back again ***


Dot aveva aperto il divano letto dove avrebbero dormito insieme per quasi un anno. La definì "rifugiata politica" e non toccò mai l'argomento. Era senza documenti, ma siccome questa era la sua vecchia città, sarebbe stato molto più facile procurarseli.

Lei era sempre fidanzata con quel compagno di Manchester (anche se non vivevano più insieme), ma in quanto a destra e sinistra, le distingueva solo mentre guidava. In quell'ultimo periodo si erano sentite raramente, ma era sempre una grande amica. Su una mensola in cucina faceva bella mostra di sé il loro principale interesse comune, l'opera omnia della Yazawa: incluso l'ultimo numero di Nana. L'ho letto e ora posso anche morire, ricordò, ma Dot non gliel'avrebbe perdonato.

Così visse. Lavorava quattro ore al giorno e preparava gli ultimi esami. Si iscrisse persino ad un corso di Web design. Pagava metà della bolletta telefonica per l'accesso a Internet (l'appartamento era di proprietà dei genitori di Dot, quindi non c'erano altre spese) e metà delle provviste. Mangiavano da scoppiare, facevano jogging tutte le mattine sulla spiaggia - la nostra città, S..., era sulla costa orientale - passavano le serate a chattare e a bere con gli amici. Ascoltavano molta musica. Le atmosfere cupe di Nick Cave, il pop nostalgico dei Fastball, la rabbia meravigliosa dei Linkin Park. Tutto le affascinava. Ma per fortuna Dot detestava il jazz. Una sola canzone di Cole, un solo swing, e Laura sarebbe crollata.

Riprendendo a frequentare la vecchia compagnia, una sera ci rivedemmo. Per me non fu affatto una sorpresa, in realtà: io sapevo. Sapevo che cosa era successo perché la mattina dopo l'attentato, mentre ero sotto la doccia, avevo sentito squillare il telefono, e poi mia madre che piangeva, e alle sette papà aveva preso l'auto per andare al lavoro e lei non sapeva come arrivare all'ospedale, allora avevo chiamato Hare che ci aveva portato in macchina fino a C., e meno di una settimana dopo i miei genitori si erano lasciati definitivamente, e mamma era rimasta ad abitare in casa di mio fratello.

E sapevo come era andata a finire: se avevano preso i nazisti bastardi, se ne aveva parlato il Times (lei non lesse mai un giornale dal suo arrivo, per quanto ne so), e poi c'era il se più grande, più tremendo, il se che per lei doveva restare tale. Mi scongiurò di tacere, e tacqui. Anch'io attendevo notizie da C., ogni giorno, e ogni giorno erano sempre più confuse. Laura aveva bisogno di certezze, vero? Sarei stato la sua.


Will you take my heart away

from this crazy mind of mine

before I get full awake?

if you can't, well, lead me astray,

after all, I'm never fine:

let your love be my next ache!3


Finché rimase a S., Laura tornò ad essere il centro della mia vita. Ma quante cose erano cambiate?

Lei aveva adesso lo sguardo di chi ha già incontrato il proprio destino, e ne è stato trascinato lontano. Era sbocciata una bellezza struggente sul suo viso, che forse soltanto io riuscivo ora a vedere. I suoi capelli ora erano di un celeste chiaro, più lunghi. Si era fatta fare un piercing sul sopracciglio. Era trasandata come un tempo, se possibile. Ormai ero del tutto - oh - innamorato di lei. Aveva tutto il fascino di cui mi parlava Hare mille anni fa, completo e irresistibile, era caricata da una passione che nulla aveva a che spartire con il gioco o la curiosità. E io sapevo di goderne senza avere alcun merito. La situazione si era invertita: un tempo mi ero preso Laura perché non potevo avere Dot, per cui tra l'altro non provavo che un'infatuazione, e adesso ero io a rappresentare uno sfogo, un riparo conosciuto che le permetteva di lasciar fuori il dolore e riprendersi il passato con gli interessi.

Non avevo mai considerato Declan un uomo tale da attirare particolari attenzioni da una donna. Immaginavo ovviamente che non fosse più vergine da tempo, di certo da prima che nascessi io, così come lui lo pensava di me. Ma che una donna, appunto, anzi una ragazza di ventidue anni - potesse provare un sentimento così forte nei suoi confronti da rischiare la propria vita per lui... che questa ragazza fosse Laura... beh, la cosa mi sconvolse parecchio. In secondo luogo, cosa sapevo di questo sentimento? Cosa mi aveva potuto raccontare John, quell'unica volta che ero andato a C.? Laura non si era per niente confidata con lui. Faceva delle ipotesi. Era nello shock più totale, si attribuiva delle colpe inesistenti; non concepiva come Laura avesse potuto agire con un tale coraggio e poi lasciare la città senza dire una parola, sennonché... sì, ammetteva di essersi accorto del modo in cui lei guardava Declan. "Ma davvero" mi disse "Credevo fosse una sciocchezza. Doveva per forza essere una sciocchezza, non c'era altra spiegazione" (da parte sua, non era al corrente dei miei rapporti con lei, perciò me ne parlò come di una persona a me sconosciuta) "Io l'avrei fatto per la mia donna. Ma mi vergogno a dire che, per qualunque altro, sarei andato a cercare aiuto". Disperava di ricostruire la sede, di trovare la forza e la motivazione, nonostante la popolazione di C. si fosse dimostrata solidale in un'accusa unanime nei confronti dell'accaduto. Su una cosa sola manteneva un incrollabile ottimismo: sulla sorte di mio fratello.

Anch'io speravo e pregavo, pregavo non so chi, tuttavia non rivelai nulla a Laura. Lei ballava ai concerti e si ubriacava con me e facevamo l'amore, fino in fondo e non più distrattamente, certo, e aveva ormai solo un esame che la separava dalla tesi, ma ero consapevole che solo un filo sottile le permetteva di tenere insieme i pezzi di se stessa. Questo filo si chiamava dubbio. Qualcosa di meno della speranza, qualcosa in più della disperazione. La mia decisione può apparire vile (così come alcuni giudicarono tale la fuga di Laura a S.), ma non dite che non fosse giusto che dimenticasse! Se il suo gesto tanto eroico si fosse dimostrato perfettamente inutile, i suoi nervi avrebbero retto?

Proprio perché tra Laura e me, in quei mesi, il nome di Declan non venne mai pronunciato, puntai tutto sul mio potere di seduzione, sul mio stato anagrafico, sulla nostra vecchia liaison (da non tradurre: a quei tempi sconsiderati, mi vedevo molto Valmont). Ero orgoglioso di lei, del suo coraggio; e anche di me stesso, perché questa volta la sceglievo, la sentivo mia. Erano finiti i pomeriggi in cui le rinfacciavo i nuovi difetti che ero riuscito a trovarle, quando ad una festa la lasciavo in una stanza a rivestirsi in lacrime, quando le promettevo performances strabilianti in cambio degli appunti di letteratura... c'era un sentimento nuovo che chi colleziona libri antichi conosce bene.

Laura

è il personaggio di un poema arcaico le cui avventure sono scritte su carta sottile e friabile. I suoi versi sono stati composti nella lingua di un'altra dimensione, di un altro tempo, ma che io ho avuto il dono di comprendere per uno scopo preciso. E se fosse quello di leggerla per sempre! Di tradurre ogni suo sorriso, ogni suo timore, ogni suo istante di vita nell'amore di ogni giorno! Di essere il suo uomo, accidenti...

non è così. E ho una voglia tremenda di raccontarvi quanto è stato eccitante essere finalmente il suo ragazzo, ma mi imbarazza pensare che Deke non abbia mai immaginato niente di tutto questo... veramente, non ha mai saputo nemmeno che Laura e io ci conoscessimo.

Ci fu il suo esame finale e passarono due mesi di pioggia, e mi arrivò una lettera da Milano nel momento in cui non m'interessava più riceverla. Si trattava di un progetto universitario europeo; avevo mandato la richiesta poco tempo dopo essermi iscritto ai corsi di Scienze della formazione, e come la maggior parte dei miei compagni di facoltà non ci speravo troppo. Per me l'Italia era un sogno, il mito della mia adolescenza. E ora c'era anche Laura, e tutt'e due le cose si erano fuse in una realtà più che plausibile.

Immaginai di andare a vivere insieme laggiù, nella città delle banche e degli stilisti. Ci saremmo sposati, io sarei diventato un educatore professionista, lei avrebbe diretto un giornale. Avremmo passato le vacanze dai suoi parenti, nella campagna toscana, con i nostri bambini, in un idillio senza fine.

Però. Fosse stato semplice.

Non pensiate che, anche se tra noi non si parlava mai dell'attentato, Laura non mi avesse raccontato della sua vita a C. Al contrario, mi disse tutto sulla scuola, sui lavori part-time che aveva fatto, e mi descrisse persino le attività del partito, tralasciando naturalmente l'argomento

(Declan)

che la tormentava. Ma sentirla parlare di John, con l'affetto e il rimpianto che metteva nelle sue parole, non poteva non ricordarmi mio fratello. Così mi sentivo sempre più in colpa per la mia indifferenza nei suoi confronti, per i preconcetti che mio padre mi aveva inculcato sin da piccolo e dei quali non mi ero del tutto sbarazzato. Anche dopo la famosa manifestazione di C., anche se ci eravamo per così dire riavvicinati, non avevamo un vero rapporto. E questo non potevo imputarlo al fatto di vivere lontani, alla differenza d'età, e in fondo nemmeno a mio padre... era colpa mia.

Credevo che essere, al contrario di lui, giovane e carino mi desse le chiavi del mondo, ed ecco che la mia ragazza soffre per lui, e il suo ricordo la stravolge e le impedisce di amarmi, perché lui possiede il suo cuore, senza apparentemente aver fatto o detto niente per conquistarlo, senza nemmeno saperlo. Questa è la punizione per aver sbagliato con entrambi, per tanto, tanto tempo. Ma che ad essere punito sia soltanto io, allora! E che vengano buone notizie, così da poter infrangere la promessa al più presto

(il se più tremendo)

e se questo vorrà dire perderla, posso sopportarlo. Andrò a Milano da solo, studierò quello che mi piace e lavorerò per quello che ho studiato, vedrò i posti che ho sempre sognato di visitare e non rimpiangerò nulla, tranne lei, ma va tutto bene, è lei che deve avere tutto il resto.

Per ora continuerò a firmarmi

Shin Takezawa

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - That's love at last... ***


La piazza della stazione di C., il sabato mattina, gremita di famiglie che cambiavano aria per il weekend, e che avrebbero affollato gli autobus parcheggiati più in là o il treno per Brighton. Lei, invece, tornava: una rentrée in grande stile, oh sì, e indovinate chi era quel fesso del regista, da dove era partita la telefonata che aveva fatto scattare l'operazione "Laura è rientrata alla base". E i salti mortali per farle avere quel lavoro: come dire, gli applausi scroscianti dagli spalti, poi appena fuori dalla visuale del pubblico, sbam, con i denti sul pavimento. Avevo aspettato, con la coscienza imbavagliata e appesa al muro, tra una frustata e una carezza, detestando lui e detestando me, prendendomi a pugni in faccia ogni giorno, e infine augurandogli il bene e regalandomi il suo contrario. Il tutto, infiocchettato alla perfezione, badate, senza conoscere un briciolo dei suoi veri sentimenti.

L'imbocco del viale così familiare...

- E' impossibile, - mi aveva detto - non posso tornare a C., neanche per un'ora - e io, ve lo immaginate, a convincerla che era un'occasione che-mica-capita-sempre,

- Laura, ti preeeego! Ho già assicurato che saresti andata! Non puoi già pensare solo a quella tesi... ci tengono, ci tenevano che lo facessi io e non sono neanche all'altezza: non cercano mica un professionista, tu sei perfetta, credimi...

Lei, in lacrime, occhi sgranati

(non hai capito niente allora)

- Grazie, Shin, lo so che vuoi farmi superare quello che è stato.

(come hai potuto, mangiariso del cazzo)

- Mi assicuri che anche se mi prendono...

- Il lavoro è tuo in ogni caso e non ci dovrai tornare un'altra volta.

Perché non andrai più via da C. Non verrai più da me.


John stava con le mani in tasca davanti all'edicola, e la aspettava. Era una giornata caldissima, eppure portava i suoi soliti calzini blu e le scarpe da pensionato con i pantaloni a tre quarti che andavano tanto di moda l'anno prima. In realtà lo riconobbe principalmente da questo. Si era tagliato la barba e sfoggiava solo un paio di baffetti sottili. Sembrava più giovane ma nello stesso tempo il suo viso era stanco.

Una volta le avevo detto che conoscevo John perché era stato coinvolto in un'iniziativa della sezione universitaria (mi pare di aver parlato di non so quali borse di studio che dovevano partire da C.). Laura se ne ricordava, e capì parte del mio piano, in quel momento.

Ma più che il dispetto e la rabbia, fu il terrore che la assalì. Era davanti alla verità. Fuggire, poteva farlo. Ma fuggire davanti a un amico? Davanti ad un compagno? Era finito il tempo dei capricci: non si trattava di me o di Dot, che le concedevamo di non guardare in faccia il dolore. John era

(l'autorità)

Basta, basta! Lei era lì per lavoro, no? Era passato abbastanza tempo. Era sfinita. Salutalo, si disse, e se ti racconterà quello che non hai voluto sentire fino a adesso, lo dovrai accettare.

(ma lui è qui proprio per dirmelo)

(tra poco avrò gli accertamenti che)

(amore)

Lo sguardo le cadde sul cartellone delle prime pagine. Lo distolse: per un attimo credette di dover leggere la cronaca di quella sera.

(sono passati dieci mesi)

No, è stato ieri. Sente che quando sta per piovere John sente dolore alla spalla, e che Auburn sente stringersi la gola se più di una persona fuma vicino a lei. Sente che Richie ringrazia il destino di essere arrivato in ritardo, ogni volta che guarda suo figlio. E per quanto la riguarda, la bruciatura sulla sua gamba è scomparsa, ma quella nel cuore, mai.

- Che cosa credevi di fare?

- Non volevo sentirlo. Non volevo saperlo!

- Che cosa, Laura?

"John è sempre lo stesso, non intuisce mai nulla. O vuole incidere ancora più a fondo?" Le uscì solo un mugolio inarticolato.

- Che dici? Sei stata tanto coraggiosa.

MA NON E' SERVITO A NIENTE!

Tutto si ferma. John accenna ad un sorriso che sembra voler dire: ho capito. E' un sorriso amaro che finalmente raccoglie tutti questi suoi giorni disperati e li soppesa incredulo.

Si gira verso la porta dell'edicola, fa un cenno con il mento.

- Ragazzina! Ma non sapevi che l'erba cattiva è dura da levare dalle scatole? E tu hai disertato la sezione per quasi un anno per piangere questo topo malriuscito?

Il cuore le fa male. Sa che è un dolore psicosomatico, ma è lo stesso vero che l'anima urla di gioia e sbatte in ogni cellula del corpo, ubriaca. Non è scientifico, ma è vero. E' vero, quello che vede. Declan Kaufmann esce dal negozio e si avvicina. Ha i capelli più lunghi e spettinati. Peserà venti chili in meno, zoppica leggermente.

Lui è

(vivo)

Declan.

Era stata così sciocca. Così vile.

- La nostra piccola compagna. Ma dove eri finita: sarebbe stato tremendo lasciarsi ringraziare?

La sua voce era roca, di un tono inconfondibile. Fu allora che capì che non era un sogno, che non era un fantasma. Capì che il miracolo era avvenuto, con o senza di lei.

- Guarda, mi hanno rattoppato alla meglio. - Vedeva. Qualcosa in lei continuava a gridare. - Non vivrò fino a novant'anni, ma sono qui. Ma che cos'hai? Faccio tanta impressione?

La verità, amore? Sei la cosa più bella che abbia mai conosciuto. Forse un tempo il mio era davvero un complesso di Edipo al contrario (come si dice, di Elettra?), ma in quest'istante io non ho ventidue anni, tu non ne hai quarantasei, non siamo nemmeno in Inghilterra. Tu sei la creatura che adoro. E tuttavia non posso abbracciarti. Non devo.

Cominciò a piangere: piano.

- Hai visto, Kaufmann? Fai sempre soffrire le donne, vecchio balordo!

Con questa frase John rischiò bene che Laura lo schiaffeggiasse. Nascondeva gli istinti umani che pure provava dietro le sue battute stupide, riduceva ogni cosa ad un luogo comune. Ma l'occhiata che Declan gli lanciò colpì nel segno: si allontanò di qualche passo.

- Non avresti dovuto andartene, sei ancora spaventata quanto me. Ti devo la vita, Laura, ma a quale prezzo? Sei troppo giovane per convivere con il terrore che ti leggo negli occhi. Se avessi potuto impedirti di venire a salvarmi, vedendoti ora, l'avrei fatto.

Non ce la fece a frenarsi. Gli prese il viso tra le mani, disperata. Fu un tremito elettrico, un calore sconvolgente.

- Io non potevo lasciarti morire! John non ti aveva visto entrare, e Auburn...

- Non è questo. E' solo che non riesco a spiegarmi quello che hai fatto. Sono mesi che mi chiedo: l'ha fatto per me, o sperava di non uscirne più nemmeno lei? E se la seconda ipotesi era troppo crudele, la prima era troppo assurda. Ho risentito quella canzone di Mark Dinning... scusa, tu non puoi ricordarti.

- Teen angel. No, tu non eri un anello del liceo. Lo sai che non credo nella proprietà privata.

Era un vecchio ritornello che ripeteva in sezione.

- Però è vero che sono tornata a prendere la cosa più preziosa che avevo. Guarda caso, era il compagno più cafone e polemico del circondario...

Rise. Era meraviglioso. Fu naturale allora cedere alla stanchezza e appoggiarsi a lui.

- E' quasi un anno che corri, Laura Gump. - Lo disse con la voce di Tom Hanks, o perlomeno ci provò. Se mai gli infileranno un tubo in gola, anche Carreras dovrà ritirarsi.

- Non capirò mai perché l'hai fatto, ma non puoi sfuggire alla mia gratitudine. Tu, e nessun altro, puoi... devi chiedermi quello che vuoi. Non ho avuto pace fino ad ora. Ricordavo una ragazzina che incontravo in sezione e ai concerti jazz in città, di cui non conoscevo neanche il cognome. E un giorno mi dicono "è stata lei a salvarti la vita". Come pensi che mi sentissi? Ho rintracciato tua madre, e nemmeno lei ha voluto dirmi dove fossi. Aspetta - e fece un respiro. - Non parlo mai così tanto. - Allarmata, aprì la bocca per domandargli che avesse. - No, tranquilla, è tutto regolare. Io non sto scherzando: se non l'hai fatto solo per suicidarti, chiedimi di fare qualcosa per te, qualcosa a cui tieni, no? Ci sarà un sogno che posso esaudire. Ce l'ho il fisico del genio della lampada, eh?

- Tutto quello che voglio è che tu rimanga su questa terra per sempre. Non riesco a trovare niente di più essenziale.

- Uh! Che esagerazione! Bimba, ma questo non dipende da me. E poi mi annoierei, ad un certo punto, no? Non hai letto l'Affare Makropulos? - Laura annuì.

- L'ho studiato al corso di recitazione. "Per l'amor di Dio, Vitek...". Lo so, che non è possibile. Lo so e non voglio saperlo. Ma c'è solo un'altra cosa che io desidero, e potrebbe non piacerti.

Non dirglielo... lui non ti ha mai vista come una donna.

Lo guardò: e non le importò più niente. Così vicina a lui come non era mai stata, conoscendo finalmente quel calore elettrico, non poteva più farne a meno. Che lui ridesse di lei, sarebbe stato il minore dei mali.

- Declan... io voglio essere tua moglie. Io voglio essere Laura Kaufmann, lo desidero con tutte le mie forze.

- E' un'idea tanto folle che ho una gran voglia di dirti sì - sorrise. Ma si rabbuiò all'istante. - Purtroppo ho il cuore troppo tenero per rovinarti la vita, e i polmoni troppo malandati. Dovrei subire un'altra operazione, ma se non hai i contanti... beh, sai come vanno queste cose. Mi hanno dato una bella pensione, ma non so che darei per tornare a lavorare. Mia madre è venuta a stare da me, e ha lasciato il mio fratellastro da solo in un'altra città. Lui ha ventun anni e sono io quello che ha bisogno di lei.

Laura lo strinse più forte. - E io sono quella che ha bisogno di te! Se vuoi, come hai detto? Rovinarmi? Non devi fare altro che trattarmi con indifferenza. L'unica cosa che mi teneva lontana era...

- Che cosa, Laura? Accidenti, che cosa?

- La morte! Se tu respiri in qualche angolo del mondo, non c'è ragione di restare separati. E se avessi riflettuto meglio, avrei dovuto capire! Finora sono andata avanti perché tu eri vivo... Oh, Declan! E' stato inutile, scusami!

- Perfettamente inutile - rimbeccò John, con gli occhi lucidi. Da quanto ascoltava? Dov'era finita la sua vena ironica? - Fatti dare un consiglio, e poi, sht, sparisco. Ricordati di Chloe. E poi guarda chi ti sta davanti, topo. - Si avvicinò a Laura e le afferrò il naso. - Tu non sparire più, eh.

Lo videro allontanarsi lungo il viale.

- Andiamo anche noi - fece Declan. - Non hai fame?

La portò a casa sua. Era un appartamento in una trifamiliare, dopo il ponte della stazione, in Whitham Road.

Mia madre le diede un'impressione un po' strana, di dejà-vu. Come poi seppe, questa sensazione aveva basi più che fondate. Non era mai stata a casa mia quando ci abitava lei, ma S. era un paesone.

Laura notò gli occhi verdi, profondi, del tutto diversi da quelli di Declan, in cui però brillava la stessa luce. I capelli erano tinti di biondo, ma dalle sopracciglia capì che un tempo erano rossi. Una perfetta signora irlandese, pensò. E lei, chi era? Come poteva presentarsi? Ma ci pensò lui.

- Mamma, lei è Laura.

- Runaway? - chiese Martha, con un tremito nella voce.

- Runaway bride - rispose Declan arrossendo. Si era già arreso. Ancora non credeva a lei, ma aveva fiducia in se stesso. Il suo cuore funzionava più lucidamente che in altri uomini. In lui, i sentimenti non sbattevano l'uno contro l'altro rendendosi irriconoscibili... ma salivano come boe rosse nell'acqua, solidi, reali. Era impossibile non accorgersi della loro esistenza anche chiudendo gli occhi, perché rimanevano impressi sulla retina finché non li riaprivi e sceglievi di accettarli. Da quel mercoledì sera, quando se n'era andato un'ora prima della fine della riunione, e si era messo a piovere ed era rimasto lì a bagnarsi, con la macchina a due passi e le gambe che quei due passi non volevano farli, dandosi del pedofilo e dell'Humbert Humbert, e aveva chiamato Chloe. Passando per le innumerevoli volte in cui le aveva propinato i resoconti del congresso di quell'anno e di quello prima e di quello passato ancora, invece di avvicinarsi a baciarla. Mi piaci, Laura, senza troppe fanfare. Ecco cosa le avrebbe detto.


Bimba,

per me il matrimonio è sempre stato una grossa sciocchezza. Avere dei figli, poi, non mi sembrava giusto - per loro. Rischiavano di somigliarmi.

Se lo scorso ottobre invece di venire in sezione fossi rimasto a casa, o a teatro o quant'altro, sarei ancora di quest'idea. Forse starei ancora con Chloe. Non mi hai chiesto di lei: non me ne stupisco. Non conosci la gelosia. Ti basterà sapere che non si è mai fatta vedere all'ospedale. Ero diventato scomodo.

Mi dispiace di non poterti evitare altre sofferenze. Se avessi immaginato quello che mi avresti chiesto... ma non torno indietro, Laura, non sono un bastardo, ti darò tutto quello che posso. Quanto al tuo primo desiderio, scusami, non rientra nelle mie competenze. Domani la vita potrebbe regalarti qualcosa di molto più bello, e non sarò io ad impedirti di afferrarlo al volo.

Tu non mi hai semplicemente salvato: mi hai rimesso al mondo. Se qualcuno oserà rientrare in quelle stanze, troverà ancora il fantasma di un uomo senza amore. E pure sono qui. Piccola compagna, sono tuo.

Declan


A nessuno dei due, la prima notte, venne in mente di fare l'amore.

Restarono in pigiama, abbracciati, aspettando che i cuori si sciogliessero. All'alba si scambiarono il primo bacio. Poi lui si addormentò. Laura lo guardava, continuava a guardare il suo viso - per la prima volta lo vedeva così com'era adesso ed era più che mai convinta, più che mai innamorata.

Da quale di quei lineamenti prendeva vita il suo sentimento?

I capelli rosso spento, spruzzati di grigio,

la fronte un po' troppo alta, le sopracciglia dall'arco ondulato,

le palpebre arrossate, il naso grazioso,

le labbra sottili, il mento rotondo, le orecchie piccole. Un volto niente affatto armonioso, niente affatto comune.

Pure l'elettricità non si era ancora dileguata e Laura sperò che non accadesse mai. Di non stancarsi mai.

Ancora continuò a guardare il suo uomo arrivando a cogliere la causa suprema - se non il mistero della vita - quello del suo amore.

- Declan.

- Laura.

- Tu devi fidarti di me. Non devi pensare che debba finire. Perché qualcosa è cominciato, vero? Non lo fai per ringraziarmi?

- Che dici? Però lo sai che non ti avrei toccata con un dito prima. Quello che è successo... ha stravolto tutto. E' rimasto solo ciò che importa davvero. Mi importa che ti amo.

- Sì?

- Forse ti amavo già quando tu sospettavi soltanto di avere una simpatia per me.

- Quando?

- Dalla prima sera in sezione, temo. Quella frase che non ti ho lasciato finire perché era così entusiasmante per me che tu la conoscessi. E poi quella notte - ti ricordi vero? - che eravamo andati ad affiggere i manifesti davanti al municipio, e avevi i tacchi che facevano rumore e ti sei tolta le scarpe? Ecco, ti sei messa a fischiettare piano They can't take that away from me, e come mi guardavi - mi sembrava tutto possibile, per un momento solamente, però, perché non rientravi nel mio schema di valori. Ero terrorizzato anche quando ti stringevo la mano.

- Mi sembravi indifferente, invece...

- Che cosa? Sono proprio un bravo attore, allora! Io tremavo dentro, te lo giuro! Mi sembrava ogni volta che John e Pete e Richie dovessero definirmi un maledetto pedofilo. Ma adesso - adesso non voglio più farmi condizionare da queste...

- Sovrastrutture?

- Stronzate, era quello che voleva dire Karl, stronzate...

Lasciarono che i sentimenti e il destino facessero il loro corso. Il paesaggio non era più grottesco, non era più distorto, solo a tratti un po' offuscato o troppo luminoso. Erano lacrime di gioia che le impedivano la visuale o il sole della sua presenza ad abbagliarla.

Piena di energie, si presentò al lavoro (non ero stato così bastardo da mandarla in un posto fasullo): l'avevo naturalmente descritta come una larva tremante, e le sembrarono tutti piuttosto premurosi nei suoi confronti.

Dot andò a casa di sua madre a portarle i vestiti e le altre cianfrusaglie che Laura aveva accumulato durante la sua permanenza. Per quanto ne so, fu l'ultima volta che si videro. Tagliare i ponti con S. non era un punto d'onore, per carità, per Laura non esisteva il mai dire mai: le situazioni estreme possono portarti dove non penseresti, che sia uno spazio sconosciuto e lontano o i luoghi della tua infanzia. Ma adesso, adesso - il suo mondo era di nuovo quello opposto al mio, solo questa volta avevo dato una mano considerevole a tale svolta. Era sicura che avessi rinunciato a lei di mia iniziativa, aveva ormai capito che avevo organizzato tutto, e non pensò proprio di chiamarmi. Mi scrisse solo due parole in un biglietto e lo diede a Dot. Ci credete che aspettai quasi una settimana a leggerlo? E che mi decisi a farlo soltanto quando mi arrivò la lettera di ammissione all'Università di Milano?


1) grazie

2) scusa

L.


Erano passati meno di due mesi dall'ultima volta che aveva fatto l'amore con me: ma ora attendeva con rinnovato candore la sua prima volta.

Riprese l'abitudine di andare a correre al parco quasi tutte le mattine. Cominciava a fare davvero caldo, e il rosa e il bianco degli alberi in fiore si andava trasformando in un verde intenso. Aveva sempre preferito passare dalla strada del liceo, un tempo. Di fronte agli edifici scolastici c'era un parcheggio, e sulla destra una stradina che ad un certo punto sfociava in una galleria di cemento costellata di graffiti, tra cui qualche breve scritta sua, in pennarello blu. Era il suo angolo magico. Appena fuori, attraversava un ponticello di legno e poi una breve discesa, ed era nei viali del parco. Da casa sua, questa era la via più tranquilla, suggestiva e anche più breve.

Ma ora faceva il giro più lungo, ogni volta. Arrivava quasi alla fine di Longthorne Street (che, dopo un miglio circa, diventava la strada statale per K.) e svoltava in uno stradone periferico pieno di curve e in salita, da dove finalmente raggiungeva l'entrata principale dei giardini. Faceva così perché per arrivare in fondo a

(Longware Road)

quella strada così tranquilla non c'erano traverse, si partiva dal numero 1, e di fronte il 2, un bar minuscolo, il 3, e di fronte il 4, un condominio con un grande giardino, il 5, e di fronte - voilà,

(che è successo qui dentro? Ohi ohi. Ma nessuno dà mai una ripulita? Volete un preventivo?)


- Non è un problema di soldi, non solo - aveva detto John. - E' che non è più un posto sicuro, Pete è convinto che ormai la struttura del palazzo sia precaria, prima o poi il proprietario lo farà buttare giù e non c'è motivo di piagnucolare...

Erano tutti a casa di Richie, ad assaggiare il vino che i parenti di sua moglie avevano mandato come tutti gli anni dalla Francia.

Auburn non si trattenne.

- E il locale di tua zia, allora? Te lo tieni stretto? Non l'hai ancora detto a nessuno, scusa, però...

John scosse la testa. - Non mi tengo proprio niente. Ma devi farmi i conti in tasca?

Richie chiese di cosa stessero parlando. Auburn raccontò:

- Un paio di mesi fa è morta una zia di John che viveva a Manchester. Era, come dire, benestante, e gli ha lasciato un locale commerciale. Ti ricordi la merceria di Devon Square, Julie?

La moglie di Richie rise. - Eccome! Non mi dire che quella signora con i capelli di due colori era tua zia!

John strinse le spalle. - Non puoi ricordartene, dovevi essere appena nata. Te ne avrà raccontato tua madre! Ha chiuso il negozio nel... dunque, trent'anni fa, nel '74.

- Quando io andavo già alle scuole superiori, caro compagno... ho solo quattro anni meno di te. Ma se era un complimento, beh...

- Fissò il bicchiere che teneva in mano. - Io non intendo tenermelo per guadagnarci su. Sto bene come sto. Se questa cavolo di proprietà fosse a Londra, la regalerei volentieri al Partito, con tutto il cuore. Ma qui a C. non se ne farà più niente.

Laura lo guardò come se avesse appena detto una bestemmia. - Io credevo che non vi sareste arresi.

- Non mi guardare come se fossi un traditore, bambina! Poi non abbiamo alternative: il numero degli iscritti per quest'anno è inferiore al limite. Di poco, ma tant'è. Quelli di Londra avevano già chiuso un occhio nel '97, no? Adesso sono ben felici di vederci in federazione, anzi... ma se vogliamo organizzare ancora qualcosa a C. dovremo far partire tutto da laggiù. Io non sono più il segretario di niente. E quel cazzo di negozio, Auby, sai che ci faccio? - Gli brillavano gli occhi, non di gioia, ma neanche di tristezza.

- Cosa, John?

- Lo darò in gestione a qualcuno che se lo merita.

Laura scoppiò a ridere. - E chi la vuole, una merceria? - Seduta su un bracciolo del divano, aveva le guance rosse dal vino, la gonna a fiorellini di quando era partita. Su di lei, ora e per sempre, era disteso lo sguardo paterno del compagno Farrell, oltre a quello innamorato di Deke.

- Che lavoro fai adesso, Laura? - chiese Auburn. Conosceva John da troppo tempo per non aver capito dove volesse andare a parare, e ne era orgogliosa.

- Io? Creo siti Internet, cose così.

- E lavori a casa? Non hai un cartellino da timbrare?

Laura la fissò preoccupata. - Perché, non posso più prendere la tessera se lavoro per la globalizzazione?

Ci fu un'esplosione di risa generale. Declan la tirò per i capelli fino a farla cadere sopra di lui. - Cara! Piccola cara ingenua! Ma che dici! - La baciava, e le faceva il solletico, e lei rideva forte, come se non avessero nessun altro intorno. Ad un tratto si rimisero a sedere composti, un po' imbarazzati. - Perché, io non lavoravo per una multinazionale?

- Ma non era una ditta di riparazioni? - fece lei.

- Sì, ma avevamo una convenzione di esclusiva con il produttore per questa contea.

Auburn le spiegò: - Tesoro, non è la tua condizione a farti appartenere a qualcosa, perlomeno non è più così da tempo. Sono le tue convinzioni. Non tutta la classe operaia la pensa come me e come te, e non tutti gli impiegati la pensano come il primo ministro. Vedi Richie - e il suddetto si alzò per andare a prendere un'altra bottiglia - è uno statale, e non per questo si fa mettere i piedi in testa... comunque, ti volevo solo proporre un altro lavoro part-time.

E le chiese se voleva provare a scrivere qualche articolo per il New Worker.

Laura prese la cosa anche troppo seriamente: la sua prima obiezione fu che "non era abbastanza ortodossa".

- Infatti, per fortuna, il giornale non lo dirige John.

- Spiritosa, Auby, proprio! Hai visto, Laura: la tua militanza prosegue. Era ora che qualcuno mi desse il cambio... si dice che ho idee troppo estremiste, basta, viva la Lode del Dubbio!

Laura afferrò al volo la citazione come un dono prezioso. Chiuse gli occhi: - "Tu, tu che sei una guida, non dimenticare che tale sei, perché hai dubitato delle guide! E dunque, a chi è guidato, permetti il dubbio!"

- Brava! Ecco la lezione per John! - rise Auburn.

- Cosa si declama mentre sono via? - disse Richie arrivando con due bottiglie e il piccolo Kenny, svegliato dalle risate di poco prima.

- Oh, niente, Brecht. - sbadigliò John grattandosi la testa. - Ho dato le dimissioni ufficiali.

Declan saltò su facendogli il verso: - Oh, niente, tascabili da supermercato! Che bevi? Niente, Moët & Chandon! Che ascolti? Uh, niente, Víctor Jara...

- Farrell, che cos'è questa storia delle dimissioni?

- C'è che non esiste più una sezione a C., da tanto tempo, e volevo farlo presente. Non fate i sentimentali, ragazzi.

- Yo soy muy sentimental, por qué ella es así...

- Por qué ella es aquí, compañero, altrimenti non so dove saresti andato a parare.

- Se parlate inglese, forse riesco a capirci qualcosa, John... - Richie era esasperato, ed è dir poco, ma non perché non capiva: aveva capito fin troppo e non gli piaceva per nulla.

Fu un problema che Declan dovette affrontare a suo tempo. Se John aveva ormai dato la sua benedizione, Richie era un osso duro. Il nocciolo non era tanto riconquistare la sua stima - perché non aveva davvero qualcosa da farsi perdonare, non stava affatto commettendo un errore - ma convincerlo di avere le migliori intenzioni per il futuro.


Tutto questo perché le avevo risposto che nooo, non ero geloso, non me ne importava niente:


Mio piccolo Seamus,

mi scrivi che stai bene, che l'Italia è la tua dimensione, e non posso che rallegrarmene con te. Il dolce tormento di vivere con Deke è rinfrescato dal sapere te felice e al sicuro; se poi mi confermerai che, almeno laggiù, ti sia saputo tenere lontano dalla politica, mi rasserenerei totalmente.

Deke dovrà subire un'ulteriore operazione tra pochi mesi. Si dice che questo potrà allungargli la vita di altri quattro, cinque anni, oppure... non farmi dire altro. Proprio adesso, non merita altro che vivere la primavera che soffia su C. e sul suo cuore.

Qui c'è un angelo, uno spirito buono, un elfo che sembra uscito dai libri che gli leggevo da bambino: una ragazza. La tua Laura Bradley, che ha salvato Deke dall'inferno, che l'ama come io amavo suo padre. E che, penso, ha voluto bene a te come io ne volevo a tuo padre. Non credo si possa chiamare destino, mi aggrapperei piuttosto a Goethe quando parla di affinità elettive. Mi ricorda tanto com'ero io da giovane! Credevo che dare amore fosse l'unico scopo per cui vivere, e lo crederei ancora se Ernst non mi fosse stato strappato via... Dio mio, sono quasi quarant'anni! Eppure ancora, come se fosse ieri, le immagini delle nostre ultime ore insieme lampeggiano davanti ai miei occhi ogni notte senza lasciarmi dormire. La vita si ripete, ci ripresenta un copione che, sai già, reciterai alla perfezione, se non vuoi finire in manicomio. C'è sempre una seconda occasione, che a volte è mille volte migliore della prima e altre volte è una minestra insipida, ma sempre meglio di niente. Allora sarò sincera: diciamo che un'occasione, con lei, tu l'hai già avuta. Spero che non cercherai di rivederla, quando tornerai in Inghilterra, anche perché lei non sa assolutamente, e non saprà certo da me, che tu e Deke siete fratelli, e tanto meno Deke deve venire a conoscenza dei vostri rapporti a S.

Ti sembro crudele? Credi che non ti voglio bene perché non sei figlio di Ernst? Ma sei mio figlio, Seamus. Sei una parte di me. Se ti ho dato questo nome che odi tanto, è stato per ricordare a tuo padre che non mi avrebbe mai trasformata nella sua geisha: e che avrei fatto di tutto per crescerti a modo mio. Ma in me non c'era odio; la sentivo una sfida leale tra due persone adulte che si stimolavano e attraevano a vicenda. Una schermaglia dei sensi, per dirla con Shakespeare. Solo quando ho percepito la profonda gelosia di Yasu nei confronti di Deke, ho compreso quant'era meschino. E ancora non lo disprezzo e sono grata a Dio di aver fatto una parte di strada con lui, perché su quella strada sei nato tu.

Un abbraccio, tesoro,

mamma


Com'era ovvio la madre di Laura non reagì affatto bene alla notizia del fidanzamento. Immaginava che a S. ci fossimo rimessi insieme, sperava che non tornasse, soprattutto dopo che Declan aveva cominciato a chiedere di lei. Che Laura prendesse una cotta per un uomo di quarantasei anni, era una tragedia, che se ne innamorasse, peggio ancora; che l'uomo in questione fosse ora un invalido a vita, una catastrofe - ma che il famigerato volesse incastrarla, era una violenza inaudita, più di quella che i neonazi gli avevano inflitto! Quasi se l'era meritata, il vecchione, con le sue idee! A queste parole, Laura riprese le valigie appena disfatte, recuperò le sue cose e cominciò a vivere la sua vita, la sua storia, non più come una ragazzina disturbata, ma come una donna vera... a dare tutto ciò che aveva all'uomo per cui era nata. Come milioni di donne prima di lei. Com'è scritto nel codice genetico. Come raccontano pagine e pagine di libri antichi e moderni. Entrava nell'età della ragione con tutto il corpo ancora intriso della follia della giovinezza. Luccicava nei suoi capelli di un azzurro ora scolorito, splendeva nei suoi occhi in spicchi di luna verde, ed era questa luce tutta speciale che avrebbe incastrato Deke. Andava incontro alla vita, ma anche alla morte, perché pare retorico, ma ogni nostro passo ci avvicina alla fine, e perché, per quanto sia bella la terra che attraversiamo, più ancora sarà profondo il baratro oltre le colline. Era lo stesso brivido che l'aveva pervasa quando, quattordicenne, divorava sotto le coperte edizioni economiche di Poe e Leroux e Maupassant, o mentre, quell'inverno, giocava a carte con Dot fino a notte inoltrata, ascoltando il White Album e le Murder Ballads di Cave: ma questa volta era la sua canzone, sua e di Declan, l'uomo che aveva scelto nell'attimo stesso in cui le aveva detto "je suis marxiste, tendance Groucho" e la primavera si affacciava timida al suo arrivo a C. Una canzone che andrebbe ascoltata con cautela, ricordandosi che verso la fine c'è quel nastro rovesciato e Lennon dirà che Paul è morto, ci manca, ci manca...


Dei giorni oziosi dopo l'operazione rimangono tanti fogli scritti fitto fitto. I medici gli avevano proibito di parlare per un mese. Per sua scelta, si fece silenziosa anche lei, seppure questo le costasse molto.

"Che tipo è tuo fratello?"

"Cos'è, vuoi farmi ingelosire?"

"Insomma! E' che potrei conoscerlo, ho abitato tutta la vita a S... Potrebbe persino essere un mio compagno del liceo"

"Con cui magari hai flirtato per tutti e tre gli anni... grazie, non voglio saperlo"

"Al liceo non ho mai flirtato con nessun compagno di scuola. Semmai mi prendevano in giro perché studiavo troppo"

"Lui non ha mai studiato troppo, per quanto ne so. Ma ha una vera passione per l'Italia e ora frequenta l'università a Milano. Pare che laggiù chi non ha voglia di lavorare possa rimanere a scuola finché non si sposa, e lui ne ha approfittato"

"Mio nonno è italiano. Te l'avevo mai detto?"

"Sono tante le cose che non so di te, ma che importa? So quello che conta"

"Che ti amo?"

"Che mi ami, anche se non riesco a capacitarmene. Mi sembra un miracolo"

"Ne stanno capitando parecchi"

"Già. Sto quasi pensando di rinnegare il mio spirito laico. Un giorno potrei farlo. Dopotutto, un secolo fa stavo per diventare rabbino"

"Un rabbino comunista! Che buffo! Però tua madre è cattolica, no?"

"La religione della mamma è la crema antirughe"

"Sei spietato. Mi piaci... Ma dimmi solo come si chiama, tuo fratello"

"E si innamorò non appena lesse il suo nome... rischio? Si chiama Seamus. La mamma è molto tradizionalista, in queste cose. Così quando ci presentiamo la gente sente odore di trifoglio e ci controlla le orecchie"

"Non saprei neanche pronunciarlo"

"Lascia perdere. Non lo devi mica chiamare"

"Declan ha un suono così dolce. Quando Richie mi ha parlato di te la prima volta, mi aspettavo proprio un folletto vestito di verde. Un folletto molto carino, però" (seguiva schizzo a penna)

"Da piccolo mi chiamavano Deke. Un po' troppo americano, vero? Quando me ne sono reso conto, ho proibito a chiunque di usare quel nomignolo. Ma esageravo"

"Si dà il caso che lo trovi delizioso, e ti chiamerò così anch'io, brutto... fondamentalista!"

"Coerente, tesoro, soltanto coerente... ma lo sai che una volta di politica non volevo sentirne parlare? Ed eccomi martire per il materialismo storico. Mio padre non sarebbe stato per niente fiero di me. Mi affascinava l'idea di non avere patria in quanto proletario... nel mio caso, poi, calzava a pennello: non saprei dire se sono irlandese, tedesco, ebreo, inglese, e se sono inglese ci sarebbe da decidere se basarsi sulla residenza che ho qui o sul dialetto in cui bestemmio"

"College di Blackpool, previsti stage full-immersion in moli prestigiosi. Inserimento in azienda con tutor capo-scaricatore. Contributi europei di frustate garantite, sbobba e branda incluse"

"Laura, perché io? Perché non Drew..."

Non credeva. Non concepiva ancora come potesse amare lui, lui e non qualcun altro.


Deke ora ricordava la prima estate senza suo padre.

Il Merseyside gli andava a genio. Il porto e quell'odore di sale putrido. Scendere alla spiaggia gremita di turisti, con indosso solo uno slip, a piedi nudi, mentre i sassi aguzzi ti tormentano e hai fretta di arrivare perché l'acqua ti chiama... e nuotare, andare al largo e tornare con la marea, che lo deponeva sulla sabbia e si ritirava come una coperta portata via dal vento. Il sole lo asciugava, arrossandogli la pelle delicata. Guardava il cielo sopra di lui, e si dimenticava di tutta la gente che aveva intorno, fissava il niente azzurro pensando all'Irlanda e ai cuginetti e alla nonna, ma più di tutto pensava a suo padre, rimpiangeva il suo viso pieno di pace e la sua risata gentile. Finché qualcuno cominciava a chiedersi se quel ragazzino obeso sdraiato sulla sabbia umida con gli occhi fissi al cielo stesse bene, e gli dava una bonaria scrollata che disturbava irrimediabilmente i suoi ricordi.

Ma finché c'erano i turisti, e finché non cominciò la scuola, per Deke fu un periodo tranquillo. Fu a settembre, quando la spiaggia si spopolò e solo i giovani autoctoni rimasero per gli ultimi bagni e gli ultimi giochi, allora sì, che fu notato, da quegli stessi ragazzi che lo prendevano in giro nella scuola appena iniziata, perché era grasso e aveva i capelli rossi e aveva un accento strano (ma si sentivano loro?), e ora sapevano anche che giocava da solo come i matti, venite, boys, facciamogli vedere...

Sputi. Sassate.

- La prof ci ha detto che tuo padre è morto. Lo hai ammazzato tu cadendogli sopra?

- Ma sei un cattolico del cazzo? Sei uno sporco cattolico del cazzo?

- Io sono ebreo! - sbottava Deke in lacrime, consapevole di quanto sembrasse ancora più ridicolo quando piangeva, ma non potendone fare a meno - Mio padre l'ha schiacciato una macchina in fabbrica per colpa dei padroni di merda, è chiaro?

Non fu chiaro mai. Almeno finché non finì le medie, sputi e ancora sputi e altri sassi e altre parole che facevano male, giù giù...

- Voglio andare alla chiesa di papà.

Martha, neovedova e aiuto-segretaria in una piccola azienda che si sarebbe ingrandita fino ad aprire la nuova sede a Londra (dove sarebbe stata trasferita nell'82 come vice capo contabile e dove avrebbe conosciuto un certo Yasuhiro Takezawa), ma soprattutto una madre e una donna sola e spaesata, non poteva, ogni volta che notava in Deke una somiglianza con il padre, non considerarla una benedizione. Accettò dunque di buon grado la scelta dell'ebraismo - anche perché, di quei tempi e da quelle parti, era più facile essere ebrei che cattolici) e gli preparava il panino al formaggio invece che al prosciutto, sopportò gli scarponi da operaio in estate e si adattò ai suoi silenzi, ed era una benedizione anche questa perché era un figlio tranquillo ed educato e tanto intelligente... Che fosse grasso, era un problema, certo, ma sua sorella Trisha era tale e quale, all'età di Deke, e verso i quindici anni era dimagrita in modo sorprendente. Era comunque un'altra epoca. Si entrava negli anni settanta e c'erano decine di dolci e snackerie assortite che qualsiasi ragazzino poteva comprare per pochi penny, e se non glieli davi se li guadagnava con le bottiglie vuote che trovava al porto la mattina presto. Forse la sua era rabbia, una rabbia incontrollata che non poteva o non voleva sfogare in altro modo, una smania di mangiare il mondo o, più realisticamente, un vuoto da colmare.

Che dirgli?


"E tu, perché sei nato con i capelli rossi? E perché noi siamo al sud dell'Inghilterra, al nord dell'equatore, sulla Via Lattea? Perché io sono una ragazza, perché tu sei un uomo?"

"Anche Drew è un uomo. Sa disegnare bene..."

"Specie sui muri. Non mi piace proprio. Ha gli occhi da pesce bollito e si mette nei guai troppo spesso. Tanto ci pensa Ned"

"Non si porta la bombola in giro..."

"Si porta la bomboletta! Allarme vittimismo. Urge trattamento intensivo"

"Mi arrendo, piccola. Bandiera bianca"

"Bandiera rossa! Hasta siempre, compañero Kaufmann. Yo te quiero mucho".


Changing the grey

changing the blue

scarlet for me

and scarlet for you

(G. Pitney)


Mio caro Seamus,

la tua mamma è così fiera di te. Sapevo che da tempo eri diventato un uomo, ma quello che mi scrivi mi riempie di gioia e mi fa ben sperare per il futuro di tutti noi. Perché un uomo è chi sa al tempo giusto accogliere l'amore tra le sue braccia, ma anche rinunciarvi se se ne presenta la necessità. E in questo caso, vero amore non era, se sei felice come dici: e se mi hai tenuto nascosto che non è proprio così, caro, le cose sono andate troppo avanti perché tu ti possa permettere di cambiare idea. Giorno dopo giorno sono sempre più sicura che Laura non prova per Deke una passione di ragazzina insoddisfatta o una sorta di compassione o che altro... Seamus, lei lo adora, e se ti è sembrato di cattivo gusto il paragone che ho fatto l'altra volta, ecco mi dispiace, ma ne sono sempre più convinta: tra di loro c'è la stessa magia che provai io alla sua età.

Deke sembra stare molto meglio. Per ora. Sabato scorso siamo stati al matrimonio di quel suo compagno di partito che conosci anche tu, John Farrell, e anche se non c'è stata nessuna cerimonia, insomma, niente chiesa - da vere teste rosse - loro due hanno fatto da testimoni ed erano così eccitati da sembrare loro gli sposi, e a questo punto non ci sarebbe niente di strano se entro l'anno decidessero di imitarli. Ma, caro, non te ne sto parlando per farti star male, vorrei che tu capissi, è che se accadesse lui vorrà invitarti ma sarebbe fuori discussione... troverai una scusa plausibile, allora? Saprai sacrificarti ancora una volta? Continuerai a essere il mio piccolo grande uomo? Grazie, tesoro.

Ti voglio bene,

la tua mamma


Questa lettera fu la prima di una serie, tutte identiche, tranne che per un dettaglio: la supposizione era diventata un progetto più che concreto. Lei inconsciamente, lui più lucidamente, sapevano di non avere tempo, che quel momento non sarebbe mai più tornato, e accorrevano verso quella luce tiepida fingendo di non vedere le gelide terre che si estendevano al di là di essa. Avrebbero potuto aggirare la luce, cominciare a coprirsi per affrontare quel freddo che li avrebbe attanagliati di lì a poco, ma no, non sarebbe stato lo stesso.

Furono due stupide firme, un pezzo di carta, un quarto d'ora davanti al sindaco di C.

Fu una piccola rivoluzione.

Vestita in blu, le punte dei capelli ormai scolorite,

Laura Bradley, nata il 20 giugno 1981 a S.

divenne ciò che da mesi e mesi desiderava:

Laura Kaufmann.


Mentre andavano al ristorante, Laura disse fra altre cose a suo marito, con impeto:

-Non morire mai.

E mio fratello, trasformato in un attore di musical, intonò serio serio:

- Non chiederlo più.

Laura scoppiò a piangere. Realizzava allora che quel giorno sarebbe dovuto essere una piccola rappresentazione di eternità, mentre la vita era tutt'altro che eterna, era uno scherzo, un flash, un siparietto.

- Scusa-scusa, shh, amore. Ok? Ok?

Lei cercò di sorridere.

John, che non guidava certo con le orecchie, fermò l'auto di colpo preoccupando non poco Auburn e improvvisò una scenata fingendo un'indignazione da CCC.

- Cosa devo sentire? Quel coglione demagogo di Webber? L'inno alla moglie di un dittatore? Nella mia macchina?

- Ti ricordo che Stalin non ci fece fare una gran bella figura.

- Lo zio Joe sapeva quel che faceva! Il potere ti prende la mano... è un altro discorso. La...

- La pjatiletka e paparapà... uffa, John! E' un'opera musicale, e appartiene a tutti, no? Io mi sono stufato della tua ortodossia a tutti i costi. Nemmeno Marx era marxista, lo sai?

- Ma la volete piantare? - si fece sentire Auburn. - Buttate tutto in politica, voi! Che c'entra questa volta?

- Quel verso che ha cantato era di Evita, non l'hai sentito?

- E allora? Oltretutto a me il film con Banderas era piaciuto, ed è un'opera critica, mica un'apologia. Poi lui è un gran bel ragazzo.

- Ouh!

- Tu sei ancora convinto che l'arte sia soltanto un mezzo politico.

- Oseresti dire che non lo è?

- Lasciati andare, un pochino, solo oggi! Ecco perché le persone inorridiscono quando sentono parlare di noi. Ma stiamo qui a discutere? Rimetti in moto e sbrighiamoci!

Ragazzi, non stiamo parlando di eroi invincibili. Declan era un essere umano, come tutti si sentiva impotente di fronte alla morte e alla sofferenza. Aveva dovuto rinunciare a parte della sua indipendenza, al lavoro, alla prospettiva di una vecchiaia serena. Più di tutto gli mancava il lavoro. Si direbbe: non è che il suo fosse un mestiere esaltante. Ma a lui piaceva ugualmente, era la dimensione che aveva scelto dopo aver lasciato gli studi religiosi: aveva frequentato la scuola professionale ed era stato assunto dalla famigerata ditta di servizi tecnici di cui parlai all'inizio. Vent'anni di quella vita tranquilla, mentre la mamma si costruiva una nuova famiglia a S. e i suoi idoli jazz venivano a suonare in città e con i compagni si protestava contro il nucleare. C'erano le donne, naturalmente, quella Dottie che fumava anche a letto ma aveva delle gambe strepitose (e ci era uscito per tre anni buoni senza riuscire a lasciarla, finché lei non aveva trovato un altro), e Charlene, con cui era stato lì lì per andare a convivere, ma era una tory convinta e finivano sempre con il litigare per quel motivo. E poi Chloe. Non è che ne fosse innamorato, ma andavano quasi sempre d'accordo. All'inizio. Avevano davvero tante cose in comune, ed era così piacevole, dopo le riunioni, attardarsi in un bar pregustando il dopo-caffé. Però mai, in tutto il tempo della loro relazione, gli passò per la mente di chiederle di sposarlo. E se avesse avuto ancora voglia (ma non ne aveva) di scavare più a fondo, nemmeno lei l'avrebbe voluto. Perché il vero amore - ma anche la vera amicizia, se è per questo - si fortifica nelle avversità. Chloe, così pronta a mostrarsi gelosa ad ogni occasione, l'aveva cancellato dal cuore dopo i fatti di ottobre. Quando gli altri compagni della commissione ambiente le avevano chiesto una spiegazione del suo comportamento (non è per entrare nella tua vita privata, ma...) lei aveva dato le dimissioni. Ora, può essere che la reazione di Chloe fosse in qualche modo parallela a quella di Laura? Che tenesse davvero a Deke, ma che anche lei in quel momento non se la fosse sentita di affrontare una tale sfida? Tutto è possibile, già. Non sarò io a giudicarla. Ma tenete presente due o tre cose: Chloe non era lì quella sera. Non aveva vissuto quei momenti orribili. Se avrebbe reagito in maniera differente da Laura o meno, sta nel limbo delle ipotesi, ma non c'era. In secondo luogo, allora Laura aveva 22 anni, e Chloe 48: ciò che dovrebbe chiamarsi una donna responsabile. Poi, lei aveva ben letto i giornali e discusso il caso in federazione. Non era una questione di sapere - ma di volere. Non volle, e la questione è chiusa.

Dov'ero rimasto, a parte questa divagazione? Ah. Non si era certo illuso di vivere a lungo, solo perché si sentiva meglio, e non avrebbe fatto nulla per illudere la donna che amava. A costo di farla piangere il giorno del loro matrimonio. Tanto, finché erano insieme, quelle lacrime lui avrebbe potuto asciugarle.

Al ristorante John non parlò per niente di politica, ma consegnò agli sposi, davanti a tutti, il regalo di nozze suo e di Auburn: le chiavi del negozio di Devon Square. - Non è possibile - disse a Deke con le lacrime agli occhi - che tu debba rinunciare alla tua dignità. Io non so proprio che farmene... e andiamo, ragazzi, vi verrà in mente qualcosa, no?

Lui non capiva. - Dobbiamo riaprire il negozio di tua zia?

Laura strabuzzò gli occhi e quasi si strozzò con la sua fetta di torta.

- Ne riparliamo in altra sede, va bene? Però porca miseria, Farrell, non so che dire!

Il tizio del karaoke, Keith, che aveva lasciato cantare successi della Houston ad una stonatissima Julie per tre quarti d'ora, cominciava a dar segni di disperazione e si aggrappò al microfono:

- Tocca agli sposi dare spettacolo! Sul palco i piccioncini, coraggio...

Deke si sentì smarrito. Poteva davvero cantare? Era passato abbastanza tempo? Forse bastava non sforzarsi troppo... Incredibile, non gli era mai piaciuto esibirsi da bambino. Perché era grasso e goffo e aveva un'intonazione petulante. Adesso invece era una sfida che voleva vivere fino in fondo. Sorrise, sistemò una sedia vuota sotto il palco e prese Laura per mano. La fece sedere, poi disse due parole a Keith... e gli uscì una voce un po' incerta, roca, ma intrisa di commozione, che inseguiva le note di Yes sir, that's my baby.


La ristrutturazione del locale occupava tutto il loro tempo. Era già aprile, avevano pagato due mesi di spese praticamente a vuoto, e volevano aprire quanto prima. Pete si era assicurato l'appalto gratuito della tinteggiatura, Drew quello dei murales che avrebbero coperto le pareti e reso quasi inutile il lavoro di Pete (dallo sguardo penetrante di Guevara nella sala da ballo alla silhouette di Helene Wiegel sul muro di fronte all'entrata, in modo tale da spaventare ogni potenziale cliente), e Deke si improvvisò direttore F&B (anche se l'unico cibo per cui avevano la licenza erano i salatini). Tutto ciò che le era permesso fare era contattare i complessi musicali e procurare i CD per l'intrattenimento pomeridiano. Ovviamente solo tramite telefono, fax e Internet: Deke era sicuro che una passeggiata al mercatino l'avrebbe uccisa... i ruoli si erano invertiti, e invece di farla sentire oppressa, questa situazione la divertiva molto.

Mise un annuncio dei più classici su un giornale specializzato per cercare un barman. Il giorno stesso della pubblicazione si presentarono una ventina di professionisti, dai trenta ai cinquant'anni, che spedì a casa con un bel sorriso, dopodiché studiò un taglio diverso per l'inserzione, e la portò ad un settimanale giovanile. Aspettarono una settimana, e stavano per disperare, ma non appena sentì la sua voce al telefono, seppe che Swann era il loro uomo.

Swann, al secolo Ewan Julius Bates, aveva all'incirca l'età di Laura, dreadlocks biondi, una laurea in filosofia e un'autentica, profonda passione per il jazz. Aveva lavorato part-time in vari circoli privati, possedeva una buona manualità e autonomia, ma ciò che li spinse ad assumerlo senza pensarci troppo su fu un particolare non trascurabile: era palesemente, simpaticamente gay. Qualunque esemplare maschile sensibile al fascino muliebre avrebbe suscitato la tremenda gelosia di Declan (questo era un lato del carattere di suo marito che apprezzavo oltremodo. Sebbene mi fosse grata per aver organizzato il suo rientro stellare, ora non avrebbe tollerato che il suo uomo rinunciasse a lei: pretendeva che lottasse). Oltre a non doversi più preoccupare di quel lato della gestione del locale, aveva trovato un prezioso confidente.

Erano giorni divertenti, nel loro cantiere musicale, anche se i preventivi di prestazione dei musicisti e i cumuli di fatture facevano aumentare la sua nausea regolamentare. Spesso dormivano sul retro, attrezzato con un divano letto e una libreria: sullo scaffale di Laura troneggiava l'opera omnia di Daniel Pennac, a nascondere I ragazzi della 22a strada e Cose preziose.

Era tutto così cristallino. Tutto era futuro.

Un pomeriggio, Deke era appena rientrato da un'estenuante coda alla Camera di Commercio per le ultime scartoffie, quando arrivò John, ed era di nuovo come nella sua lunga parentesi da single, come l'avevo conosciuto io, con la camicia stropicciata e la barba lunga. Capirono, prima che potesse aprire bocca, che dopotutto avrebbero dovuto rimandare l'apertura del club. Non sembrava dire "sono venuto a darvi una notizia", ma "spiegatemi voi che sta succedendo, perché io non capisco". Auburn si era ammalata, e lui era perso, distrutto, disperato. Fuori sembrò farsi buio. Stava per mettersi a piovere, e le loro ombre erano sempre meno nette, mentre l'angoscia si faceva tangibile.

Non si vedevano da Natale, il che era grave, e non si sentivano da due mesi, e questo era peggio. Si vergognava tanto. E anche Declan. Avevano dimenticato tutti quanti, creando una nuvola rosa intorno a loro, quasi che l'amore li proteggesse dal dolore e dal tempo. Lo sguardo di John li riportava alla realtà, nel modo più sconvolgente possibile.

- Non avrei mai creduto che Kaufmann... cioè, che Declan potesse trovare una donna capace di amarlo tanto. Pensavo che sarebbe invecchiato solo, e lo pensavo anche di me, prima di incontrare John. Ora so che non invecchierò più di così, però non sarò mai più sola. E questo è più di quanto mi fossi aspettata. Ho avuto una seconda occasione, non me la sono lasciata sfuggire, anche se avevo un matrimonio tremendo alle spalle e i miei figli non mi hanno mai perdonato di essermi rifatta una vita. Per John è lo stesso... e tu sei stata la seconda occasione di Declan. Tu, Laura, non ti sei mai accorta di come il destino sia buono con noi?

Il Cielo sapeva se Laura non aveva intenzione di stendere un bilancio in quel momento, in quella stanza d'ospedale, se non provava tutta questa gratitudine verso il destino, ma sì, ammetteva che per quanto la riguardava era felice.

- Vivere un amore dopo i quarant'anni è come lavorare per la pubblica amministrazione. Ci sono tante prove da superare, ma deve succedere qualcosa di veramente grave perché la storia finisca. Però fai attenzione lo stesso - alla routine, alle distrazioni, ai rimpianti... ciò che conta non è quanto vi amiate adesso: è necessario innamorarsi ogni giorno.

Faceva sempre più caldo.

Lei e Declan avevano deciso di non scoprire il sesso del bambino, almeno non subito; sarebbe stata una sorpresa bellissima in ogni caso. Ma cambiarono idea quando John li informò che Auburn voleva ricamare un bavaglino: era al termine del sesto mese, così andarono a fare la seconda ecografia.

- Come lo chiamate? - chiese il medico, in tono anche troppo prosastico.

- Lo? E' un lui? - Declan era diventato tutto rosso. Da come la guardava, ebbe paura che volesse far l'amore lì, in quel momento, sul lettino dello studio. Più tardi le confessò che non si era sbagliata.

- Deke, ti spiace se non gli mettiamo Vladimir e neanche Iosif?

- Che dici! Io detesto Stalin... non farmi passare da anti-democratico...

- Mi piacerebbe Stephen. E' abbastanza irlandese senza risultare incomprensibile. E poi - non so come puoi prenderla... pensavo -

- Stop... mi sembra perfetto così. Il secondo nome è utile per casi tipo John Balthazar Smith, ma con un cognome come il mio...

- Come il nostro - rettificò Laura.

I suoi occhi gridavano amore. Si affrettarono a tornare a casa, con la gioia nel cuore, con la passione in corpo, e si abbandonarono a entrambe.

Quella sera Deke trovò in tasca un bigliettino azzurro, con su scritto:


Stavo dicendo:

Stephen Ernst Kaufmann.

Martha è d'accordo...

Ti amo, Laura


E io ti adoro - disse ad alta voce. Laura fingeva di dormire, ma il suo cuore gridava - sono felice -


Un soffio leggero... e attese.

Ancora un soffio... e ancora...

- Auby cara? Compagna Laughton? Ho comprato il filo azzurro. Oh, signora del New Worker...

PUOI CHIAMARLA COME VUOI, NON SERVIRÀ A NIENTE.

John, incàzzati. Esci di qui, e spacca qualche cosa. Ma non restare a guardarla... sei un uomo, merda, lo sai come funziona la vita, lo dicevano anche Karl e Friedrich.

Però... però lei... cioè, sfuggire a quell'attentato per morire di qualcosa di più subdolo e impalpabile - ne valeva la pena? Uno per uno, noi irriducibili del circolo di C. ci spegneremo così, e non resterà nessuno a ricordare come ci siamo incontrati Richie ed io vent'anni fa. E come abbiamo inaugurato la sede con il numero minimo di iscritti. E Ned che sognava di aprire il centro di assistenza fiscale, Declan con ancora gli ultimi rimasugli di religione in quella sua testa rossa, e Auburn... irraggiungibile come può esserlo una compagna più grande e sposata. Aspettare che i suoi figli crescessero, che lei prendesse la decisione di separarsi da suo marito. Sperare di vedere il suo sguardo cambiare e voltarsi nella mia direzione. E quando è successo, quando finalmente l'ho avuta... erano cambiate così tante cose... ma non i miei sentimenti. Mai.

Devo vivere... non è vero? Mi tocca. Non so che cosa sia peggio, davvero non so più di cosa abbia senso aver paura.


Si chiamerà Stevie.

Arriva un'altra generazione.

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Capitolo 7
*** He is still here, after all... ***


La lampada dalla luce forte sulla scrivania, la porta aperta della mia camera, il profumo dei biscotti della mamma. Il mio quaderno di giapponese... un me stesso di dieci anni all'ombra del Financial Times di mio padre, i cui occhi sottili si alzano talvolta dall'angolo di una pagina, per correggere un ideogramma storpiato:

- Così è solo una "o", Shin, cos'è questo sgorbio, hai dimenticato un pezzo per strada? Se vuoi scrivere "grande", che poi lo vedi tutti i giorni nei cartoni animati, guarda... - Le sue dita perfette tracciano la versione armoniosa di quei miei goffi tentativi. E insieme alla sua lingua mi insegnava la sua verità,

(tu non hai un fratello)

mi comunicava la sua gelosia degna di un siciliano - ma davvero, in Italia non conobbi mai un uomo tanto ossessionato...

(non hai un fratello perché tua madre non può aver avuto un altro uomo)

Però, nella mia mente di bambino, non credevo certo che Declan non esistesse; lo assimilavo piuttosto ai personaggi buffi della TV: buffi e noiosi. A Milano, anni e anni dopo, scoprii un presentatore di talk-show che me lo ricordava molto. E in quel momento capii una cosa: che nessuno è ora come lo ricordi. Le immagini degli altri che conserviamo in testa sono profondamente diverse dal viso che ci troveremo di fronte quando li rincontreremo.

Se li rincontreremo.


Stephen si avvicinava ai tre anni, con l'energia di uno Scorpioncino cresciuto tra gente adulta e buona musica. Aveva i capelli biondissimi come Laura, ma ricci, e gli occhi chiari di Deke. Iniziò l'asilo prestissimo, si dimostrò sveglio e socievole con gli altri bambini, ma il suo vero divertimento era stare con Swann. Il locale era diventato un'istituzione, a dispetto delle gufate del sindaco e dei filo-discotecari di C., e ospitava, due volte l'anno, il festival jazz della contea. Gli eventi principali si svolgevano all'aperto - lo Swinging dava su Devon Square - ma i solisti si esibivano nella sala arancione. Due sere alla settimana Lance, il ragazzo di Swann, dava lezioni di ballo.

Una domenica, dopo pranzo, Martha era scesa dalla vicina e Laura stava lavando i piatti con la radio accesa. In soggiorno, sul divano, Stevie sfogliava un libro illustrato e Deke leggeva il New Worker. Ad un tratto si alzò, visibilmente affaticato, stropicciando il giornale che cadde sul pavimento. Stevie staccò gli occhi dalle figure del libro, voltandosi a guardare suo padre: questi, con un certo sforzo, gli fece cenno di tacere ed uscì dalla stanza. Per la prima volta nella sua ancor breve esistenza Stevie conobbe la paura. Era una vera e propria scelta, quella che si trovava davanti: restare zitto e buono come gli era stato ordinato, andare dalla mamma a dirle... a dirle cosa? Che papà è andato in bagno? Sbirciò la porta della cucina, poi saltò giù e seguì Deke in corridoio. La porta del bagno gli sbatté in faccia.


- Declan? Va tutto bene?

Dì la verità, signor Kaufmann, non te l'aspettavi? Credevi che il destino avesse cambiato idea, lo credevi davvero? Pensavi di averla passata liscia, eh no, bello, comincia pure a dire addio - paga i debiti e chiudi le persiane.

Si guardò allo specchio. Il viso era chiazzato di rosso. Era stata una crisi passeggera? Un'irritazione di qualche fottuta mucosa bronchiale? Ricordò che a due anni io avevo cominciato a soffrire di una forma asmatica: nient'altro che allergia a due o tre tipi di frutta.

Balle.

Il tempo era scaduto. Cominciava il conto alla rovescia.

Ora apro la porta, lascio entrare Laura, la guardo negli occhi e le dico... che cosa? Quello che le fa più paura in assoluto. Io non posso! Non voglio vederla piangere, è orribile!

Perché?

In quei brevi minuti il desiderio di Dio gli riattraversò la mente. Era stata colpa delle sue idee se...

Era stato anche grazie ad esse che aveva conosciuto lei. No, non c'era stato niente di sbagliato, solo che adesso veniva la parte più difficile.

Non si trattava di rimandare la sofferenza, questo era impossibile: l'unica via era sostituirla con un altro dolore. Certo, poteva risultare addirittura peggiore, ma non credeva di avere alternative.


Dal Diario di Laura Bradley Kaufmann, estate 2008:


"Ma mi ami? Ma sei caduta così in basso?" mi dice sempre più spesso. E non è più l'insicurezza, la disistima di sé che sento in queste parole... mi pare ODIO... mi sembra che tutto intorno a me si oscuri e la nostra strada si divida... ma dove andremo, allora? E' possibile che mi abbia mentito per tutto questo tempo? Ha finto anche con Stevie? La sua indifferenza mi travolge, mi spaventa.

[...]

Non prova un minimo di vergogna a parlare di me ad alta voce con i clienti dello Swinging. Ieri sera scherzava con Swann a proposito di uno stock di bottiglie di rum "che poteva pagare semmai in natura, aveva giusto qualcosa da rottamare". Qualcuno direbbe, l'hai detto tu, scherzava soltanto: ma in quel momento nessuno, nemmeno Swann, ha percepito la cattiveria con cui l'ha detto, a parte me.

[...]

Mi si potrebbe tacciare di paranoia... se non fosse che Drew si è accorto benissimo di quello che sta accadendo! Dunque saremmo in due ad essere impazziti? No, è che Deke è cambiato, mi odia, lo so! Cerca di litigare ad ogni occasione, ma non è nemmeno questa la cosa più terribile, è che si sta allontanando anche da Stevie: anche con lui è diventato freddo, e per quanto nostro figlio cerchi il suo affetto, lui la butta a ridere o lo prende in giro.

[...]

Declan, perché non mi parli? Chi può spiegarmi che cosa succede al mio uomo? Come può essere cambiato tutto da un giorno all'altro? Ci si può alzare un mattino e decidere "non ti amo più"? Può essere, a questo punto può anche darsi. Ma che non voglia più bene a Stevie?

[...]

Mi chiedo se quest'uomo sia lo stesso di cui mi sono innamorata quella sera in sezione, l'uomo che ho scelto fra mille e che ancora sceglierei ogni giorno, senza esitare. Cosa lo turba? Qualche mese fa non avrei avuto alcuna soggezione a domandarglielo - ma ora - ora! E' davvero un estraneo... ultimamente, poi, ha preso l'abitudine di dormire al locale. Mi ha ripudiata, temo. Il suo cuore ha abbandonato questa famiglia che sembrava renderlo felice, ma che a questo punto non gli basta più. Gli hai chiesto tu di sposarti, mi ripeto spesso.


Declan continuava la sua farsa. Quando era costretto a restare a casa, la notte, credeva di impazzire. Sentiva il desiderio di accarezzarle le labbra, di posarvi un bacio leggero e poi svegliarla... e dirle tutto. Ma quando a volte lei apriva gli occhi, e sarebbe stato così semplice rompere il muro, si faceva forza e si voltava dall'altra parte, mostrandosi irritato all'ennesimo grado, brontolando che non riusciva a dormire in quel letto - nascondendo le lacrime che altrimenti le avrebbero parlato d'amore.

Ormai la gestione del club era tutta sulle spalle di Swann. Il giovane era disorientato dal comportamento di Declan, che era sempre stato un datore di lavoro quanto mai gentile e scherzoso, e che ora si dimostrava un socio scorbutico e per nulla collaborativo. Rinunciò al teatro, alle conferenze, alle vacanze... per fortuna di musica poteva averne quanta ne voleva.

Gli dispiaceva per Laura, che lo pregava (oh quante volte!) di dirle quello che sapeva: se c'era un'altra donna, o qualcuno che "preoccupasse" Deke - si riferiva evidentemente a qualche forma di racket o ad un usuraio o cose così - ma Swann non solo non riusciva a immaginare che cosa fosse successo a Declan, ma non ci dormiva la notte, proprio come lei! Con la notevole differenza che... Swann non era innamorato di lui.


"Gli dà fastidio se lo chiamo per nome. Credevo, e credo ancora, di non poter vivere senza di lui; ma adesso mi è proprio impossibile restare... soprattutto perché capisco che non mi sopporta più. E anche per Stevie. Sta respirando troppo veleno.

[...]

Mi sono vista di nuovo con Drew, gli ho chiesto di passare al locale per cercare di capire cosa frulla in testa a Deke. Ma che mi aspettavo? Gli ho solo procurato un dispiacere. Lui l'ha accusato di aver fatto un pessimo lavoro (ma se tre anni fa l'aveva ringraziato con le lacrime agli occhi!), ha tirato in ballo vecchie divergenze, il tutto con un sorriso crudele - penso che fosse lo stesso che ho imparato a conoscere così bene in queste settimane - e stordendolo a colpi di Martini. Drew ha concluso il suo reportage con una parola che prima o poi avrei sentito: lascialo. E so che Richie mi direbbe e farebbe di peggio, perciò non voglio che venga a sapere nulla. Sarebbe capace di... oh, ma che cosa significa? Declan vuole farsi odiare da tutti? Eppure con i fornitori e con quelli dell'orchestra non si comporta così. Ce l'ha solo con chi gli vuole bene."


John non credette mai alla messinscena di Deke. Chiese, indagò, stuzzicò, senza risultato: e la conclusione che poté trarne fu che non era una questione di sentimenti. Se Declan aveva smesso di amare qualcuno, questi era se stesso, ed era un problema che nessuno poteva risolvere al posto suo. Perché altrimenti, lui gliel'avrebbe detto, ne sono sicuro. Sarebbe passato da casa sua, lo sguardo circospetto quasi si aspettasse che la moglie sbucasse fuori da qualche porta - e si sarebbe versato da bere:

- Ma non hai dodici ripiani colmi di questa robaccia, al locale?

- Sì, ma sul lavoro non alzo mai il gomito.

E gli avrebbe raccontato di come si fosse pentito d'aver sposato una bambina viziata, spendacciona e sporca.

Ma non era successo nulla di simile - non sarebbe mai potuto accadere. Fatto sta che lei se n'era andata, era stata costretta a sloggiare con Stevie, non prima di essersi sfogata come è prassi in ogni separazione

TU MI PAGHI GLI ALIMENTI FINO A CHE NOSTRO FIGLIO NON FINISCE L'UNIVERSITÀ!

- Figurati, se è secchione come sua madre gli daranno tre borse di studio già alle elementari!

(amore piccolo amore mio se sapessi che non ci sarò nemmeno al suo prossimo compleanno)

John non gli credette mai, dicevo, ma lo stesso aveva finto così bene. Gli ebrei, e anche gli irlandesi, come i napoletani e i greci, hanno il tocco dell'artista, hanno spiccate doti istrioniche, un talento speciale per il trasformismo, ed eventualmente eccellono nella carriera diplomatica. E se un irlandese può essere spesso timido, ed esprimerà il suo genio interiore diversamente, con la musica ad esempio, chi ha anche una sola goccia di sangue d'Israele non può fare a meno di essere brillante in ogni situazione.

Così Declan aveva allestito l'ultimo atto della sua tragedia familiare, come palcoscenico le mura di casa, come protagonisti inconsapevoli le persone da lui più amate, regista di un Truman Show crudele - e non pensate che questa grande Menzogna, questo nascondere le sofferenze, pronunciando parole dure contro la sua stessa carne, che fremeva dal desiderio d'accarezzare e proteggere,

non pensate che tutto questo abbia accelerato la sua fine?


What was that you were looking for

that took your life that night?

They said they found my high school ring

clutched in your fingers tight.

(M. Dinning)


Il sipario si era già abbassato. Gli attori erano già ognuno nel suo camerino a togliersi il trucco - o ad applicarsi quello di tutti i giorni.

Che faceva Laura?

Stava a casa della madre mentre lei era fuori a cena con il suo Gabe e aveva messo a letto Stevie. Non si faceva più domande. L'indomani aveva appuntamento con un avvocato.

E Deke?

Beh, a Deke non piaceva affatto quello che vedeva allo specchio.

Altro che compiacersi per l'ottima esibizione! Provava solo un gran ribrezzo. Lasciò il teatro dall'uscita di servizio, e uscì allo scoperto. Al freddo. Alla pioggia. Alla verità che è amore.

Suonò al campanello di sotto. Laura pensò che la madre fosse rientrata in anticipo perché aveva litigato con Gabe, ed era preparata al massimo ad una camomilla in famiglia. Non aveva motivi per sperare in lui.

Ma sentì che i passi sulle scale non erano femminili, e tanto meno quel respiro affannato. Non sperava, e tuttavia era vero. Era venuto a cercarla. Era vicino a lei. Li separava solo una porta sottile.

(e quando ti disse che era tutta un'abitudine)

Ma è qui per me.

(che il matrimonio è un'istituzione assurda che è una dannata sovrastruttura)

Devo ascoltarlo.

(che sei stata tu a chiederlo che ti doveva un favore piccola illusa)

- Laura. Amore. - Le bastarono queste due parole a dimenticare tutte le altre.

- Sono venuto a riprendermi l'anello della scuola.

- Spostiamoci dalle rotaie allora.

E sì, lei tolse il chiavistello, girò la maniglia e un treno li travolse. Perché era di nuovo tutto come quella mattina alla stazione. Era ancora meglio, ché non c'era neanche John a rompere le scatole.

- Laura. Cara, cara perdonami...

Lo guardò alla luce del pianerottolo ed ebbe un brivido. - Ma ti sei inzuppato! Vieni dentro, per carità! Pazzo, sei pazzo ad uscire così. - Prese un asciugamano, gli strofinò i capelli, poi gli sbottonò la camicia.

- Senza di te era uno schifo. - Lei gli toccò la fronte. - Se ti viene la febbre cosa faccio? Eh? - Gli sfregava il petto, la schiena, le braccia che ora non riuscivano a stare ferme e la stringevano. - Oh Deke! Tu devi dirmelo perché volevi farmi impazzire!

In camera da letto trovò un maglione di Gabe. Verde, ma era meglio di niente. Declan non smetteva un attimo di baciarle le labbra, il collo, i seni. Si tuffava tra i fiori di un prato in primavera. Non faceva più freddo, perché lei era calda, era bella, e i tuoni erano fuochi artificiali, se non guardavi e non avevi paura.

- Mettitelo.

- Ma non sento freddo. Sento te...

- Voglio tornare a casa, amore, andiamo?

(mi vuoi ancora davvero?)

- A casa? Adesso? - il suo sorriso esplose. - Oh Laura! Tu sei la mia gioia. Puoi davvero scusarmi di tutto? Io non posso spiegarti, forse non potrò mai.

- Andiamo.

- Andiamo.

Mentre uscivano, la luce dell'ascensore si accese e Laura capì che la madre stava salendo. - Prendiamo le scale - disse - l'ultima cosa che desidero è che ti veda qui stasera.

Aveva smesso di piovere. Tranne che sotto i cornicioni.

- Hai ragione a vergognarti di me. Di sicuro lei non mi perdonerà mai.

Laura cascò dalle nuvole. - Declan... non capisci? Non mi importa niente cosa pensa di te... ma non sopporto come ti guarda. Non lo sopporto, okay? - Lui annuì. Era felice. Non si era aspettato che lei lo amasse ancora, ma che dopo tutta la Grande Menzogna fosse rimasta intatta anche tutta la stima che aveva di lui, era incredibile.

Era così forte la gioia di averla vicino. Tutti i suoi propositi si erano dissolti con l'ultimo sprazzo di sole di quella lunga giornata. Era stato tutta la mattina al telefono con il manager del musicista che avrebbe suonato l'indomani allo Swinging, si era dimenticato di pranzare salvo poi mandare giù un panino a metà pomeriggio. Come al solito non si sentiva affatto bene.

E non era affatto più tranquillo. Non ci sarebbe stata mai la certezza che, solo perché lui si era così bruscamente allontanato, lei non avrebbe sofferto dopo. Stava solo costruendo intorno ad entrambi una prigione che non faceva trapelare le verità difficili ma nemmeno quelle che dobbiamo conoscere per andare avanti.

La verità è che lui stava morendo.

La verità è che lui amava Laura e Stevie.

E nella notte, per fortuna, fece crollare le mura di quella prigione, fece cadere le assi del palcoscenico su cui aveva recitato per mesi, e consumò le ultime energie - questa volta non è una metafora né un'iperbole - provando a vivere, in poche ore, tutto ciò che si era perso per colpa di un orgoglio assurdo.

E stringendo la sua donna tra le braccia, baciandola in ogni centimetro del corpo, gli scoppiava nella mente il pezzo di Cole che aveva cantato

(sussurrato)

al microfono durante il pranzo di nozze:


Yes sir that's my baby

no sir don't mean maybe

yes sir that's my baby now.


That's my baby again.



Aiutami, Laura, non voglio andarmene adesso. Voglio accompagnare Stevie il suo primo giorno di scuola, voglio festeggiare i nostri dieci anni di matrimonio, voglio fare l'amore con te come stanotte, tutte le notti. Voglio vederti addosso quel vestito che hai comprato ai saldi dell'anno scorso, e voglio conoscere tuo padre anche se dici che è uno stronzo. Lo so che è chiedere troppo, il sogno non poteva durare così tanto... ma non voglio morire ugualmente. Tutto questo dicevano i suoi occhi, e non capiva perché questi desideri non potessero essere esauditi. Abbiamo chiesto troppo, sì, forse è così, ma ora non posso accettare di perdere tutto.

Non posso accettare di perdere Deke.

Doveva chiedere aiuto, lo sapeva, ma non riusciva a staccare gli occhi dai suoi. Era sicura che, se si fosse allontanata, se avesse lasciato quella stanza, lui sarebbe morto. Ma non sarebbe sopravvissuto solo perché lei era lì a dirgli che l'amava, non è l'amore a fare miracoli, sono i respiratori e gli stimolatori cardiaci e le flebo. Qualche volta.

Fu uno sforzo tremendo, ma riuscì ad alzarsi e uscire dalla stanza.

'istinto bussò alla porta di mia madre, poi l'aprì senza aspettare risposta. Lei lesse la disperazione e l'angoscia sul suo viso, ma non sembrò allarmarsi: parve a Laura più forte in lei la sorpresa di vederla di nuovo a casa. Senza alcuna fretta, indossò la vestaglia. Sembrava tanto più vecchia... e sembrava anche qualcos'altro, ma Laura non capiva, voleva solo che si sbrigasse, che andasse da Deke mentre lei chiamava un'ambulanza, e se avesse compreso, se... se si fosse fermata a guardarla meglio sotto la luce, non l'avrebbe mai lasciata sola con suo figlio.

Mentre si precipitava sul telefono, inciampò in un pezzo delle costruzioni di Stevie. Era a piedi nudi, e il dolore fu lancinante. Perse l'equilibrio e tentò di aggrapparsi a qualcosa, a qualsiasi cosa... e in un terribile errore si trovò a terra, con in mano la cornetta. Doveva essere una scena buffa, ma fu orribile. La portò all'orecchio, mentre si rialzava e valutava il misfatto. Il resto del telefono, tenuto in sospeso dal filo a spirale alla cornetta, era finito nel ripiano di sotto, insieme alle pagine gialle e alle cartine delle autostrade. Non sentiva nulla. Il cavo si era staccato dalla spina; penzolava dietro il mobiletto come una coda o una stella filante.

Corse in soggiorno, mentre il piede continuava a pulsarle di dolore, e si guardò attorno cercando la borsetta: era sul divano, mezzo nascosta dall'impermeabile ancora umido.

Cominciò a frugarvi dentro, mentre l'ansia prendeva il sopravvento, mentre le lacrime le offuscavano la vista e sentiva le mani gelide perdere sensibilità. Con uno scatto di nervi rovesciò la borsa tenendola per il fondo, e tutto il contenuto si sparpagliò tra i cuscini: chiavi, fazzoletti (Dio sapeva se ne aveva consumati, in quei giorni), caramelle, il portafogli e, finalmente, il cellulare. Tenerlo in mano le sembrò come afferrare la maniglia di un portone per uscire da una casa in fiamme (sic). Sarebbe andato tutto bene.

Ma mentre aspettava di mettersi in comunicazione con i soccorsi, sentì - no, più che altro non sentì - di nuovo, come nella cornetta del telefono, un silenzio impressionante. Di nuovo cominciò ad agitarsi. - Martha! - chiamò, ma lei non rispose. Andò in camera, e vide.


Swann andò ad aprire il locale, mise su la musica, sistemò i salatini, e aspettò.

Aspettò.

Solo quando si accorse che, sebbene ci fossero 5 CD differenti nello stereo, aveva già sentito elencare dalla Vaughan le sue cose preferite una mezza dozzina di volte, diede un'occhiata all'orologio e gli venne un discreto dubbio. Anzi, due.

Il primo era che Laura fosse tornata a casa ed era meglio non chiamare per non disturbare i piccioncini, chiudere tutto e...

Il secondo era che lui, Swann, non si fosse ricordato che era giorno di chiusura.

Ma no, era sabato, quella sera si sarebbe esibito un pianista francese. Il quale sarebbe arrivato in treno da Londra, poi bisognava accompagnarlo all'albergo, aspettare che si sistemasse, poi fargli prendere confidenza con quel pianoforte, e un milione di altre cose. Perciò si accinse a telefonare ai signori K.

- Che cazzo significa disattivato? - si chiese quando la voce registrata gli comunicò che niente, se voleva parlare con i padroni doveva andare a trovarli a casa. Provò con il cellulare di Laura, anche se non era affatto sicuro che fosse in città o che le importasse più niente della serata musicale, se è per questo. Squillava, ma non rispondeva nessuno. E anche se la preoccupazione non era un sentimento che avrebbe mai potuto sfiorare la testolina rasta di Ewan Bates, non trattenne però la sua curiosità.

Della pioggia della sera prima restava solo qualche macchia scura sull'asfalto, quando parcheggiò la sua Renault impolverata davanti al 14 di Whitham Road. Mentre scendeva dall'auto notò una figura accoccolata sulla soglia dell'androne, che riconobbe quando fu più vicino. Non trattenne un brivido. Aveva la testa appoggiata al portoncino socchiuso, le gambe premute contro il corpo e sembrava guardarsi le mani, gli occhi fissi e trasparenti.

- Signora Mohin?

Allungò una mano.

- E' stato meglio anche per lei.

- C-cosa? - balbettò Swann.

- Ancora? Per quanto doveva stare così male? Ancora, e ancora? Io volevo chiudere gli occhi e sapere che i miei figli non avevano bisogno di niente. Io volevo morire prima di loro... perché è così che va in tutto il mondo, vero? Non c'è scritto da nessuna parte che obbliga una madre a vedere quello che stavo vedendo. Suo padre è stato due mesi in ospedale prima di andarsene. Ma è stato un incidente... mi manca, mi manca ancora Ernst, ma non è stata colpa di nessuno... e invece ora sono anni. Anni, e andava sempre peggio...

Swann ascoltava, rapito dalla follia di quelle parole, ma forse più dalla loro ragionevolezza. Qualsiasi cosa abbia fatto, mi sembra lucida, pensò, e un istante dopo: è solo perché lei è oltre la pazzia. Sentì il rumore di uno sportello, dei passi e un frusciare di plastica, e si voltò: una donna, che probabilmente abitava nella palazzina, stava rientrando con la spesa e un borsone blu.

- Martha! Mio Dio, che cosa succede? - fece quella, accorrendo.

Swann ne approfittò per scivolare nell'androne. Fu allora che sentì quelle grida terribili. Era una voce che da tempo non ha più nulla a cui attingere per continuare a riempire l'aria di dolore, che normalmente non esce dalla gola di un essere umano, a meno che questi non abbia visto l'inferno. Da quanto sta piangendo così? si chiese, senza alcun dubbio su chi stesse piangendo.



Si è consumata ieri mattina verso le nove in un tranquillo appartamento di Witham Road la tragedia familiare che ha come protagonisti Martha Mohin, pensionata ultrasettantenne, e il figlio Declan Kaufmann, 51 anni, gestore del club 'Swinging Years'. Secondo una prima ricostruzione, basata sulle testimonianze raccolte finora, l'uomo era in preda ad una crisi respiratoria acuta, di cui soffriva in seguito alle ferite riportate nell'attentato alla sede locale del NCP in cui era stato coinvolto nell'ottobre del 2003. La madre avrebbe deciso di porre fine alle sue sofferenze soffocandolo con un cuscino. E' ancora in corso la perizia psichiatrica che dovrà stabilire se la donna sia imputabile di omicidio. La moglie della vittima, Laura Bradley, è tuttora ricoverata in stato di choc all'ospedale di C. "Non nego che la signora Mohin fosse da tempo in ansia per la salute di suo figlio" racconta Ewan Bates, dipendente dello 'Swinging Years' "ma immaginare un gesto simile non era possibile. Eutanasia? Se è così, non è stata richiesta. Se c'era una persona che amasse la vita, quello era il signor K." Declan Kaufmann lascia anche il figlio Stephen di tre anni e il fratello Seamus, oltre ad amici e conoscenti di cui si fa portavoce il signor John Farrell e che lo ricordano "con l'affetto riservato agli uomini onesti, generosi, che non rinnegano i propri ideali nemmeno davanti alla violenza e all'intolleranza".



Erano al POC. Gli squarci nelle vetrine semioscurate lasciavano passare una luce che non era di questo mondo. I sigilli della polizia scoloriti giacevano sulla soglia.

Declan indossava una maglietta e un paio di jeans chiari, il che gli dava un'aria giovanile che non gli aveva mai visto. E' così che si vestono gli angeli? pensava. Allora, quanti ne avrò incontrati finora per strada? Il suo volto aveva perso l'ombra sofferente e minacciosa degli ultimi mesi. Però non era nemmeno la vecchia espressione da eterno single socialmente impegnato. C'era amore, di una tinta meno abbagliante, finalmente e troppo tardi.

Tra i calcinacci anneriti trovarono ciò che cercavano. Lei distolse lo sguardo. Era quella macchina da scrivere, ormai una massa informe di metallo, ma ancora con tutta la capacità di uccidere nascosta in ogni fessura. Di uccidere lentamente, lasciandoti il tempo di sposarti, avere un figlio, aprire un jazz club, sognare, illuderti di avere ancora tempo per guardare il mondo, amarlo e lasciarsi amare. Guardando verso la porta, la luce era insopportabile, e aveva paura che lui scomparisse, perciò tornò a voltarsi. Declan le prese la mano: abbiamo dimenticato, le disse con una voce serena. Abbiamo portato rancore ad uno spostamento d'aria... ma non sono le macchine da scrivere a fare del male, né le bombe, né le pistole: sono gli uomini. Sono stati tre ragazzini con le scarpe firmate e in testa idee macabre riciclate dai libri di storia e adattate ai loro cervelli viziati e rimpiccioliti da pasticche velenose. Perché se incolpiamo un pezzo di metallo, ok, ero stato io ad appoggiarla là sopra a prendere polvere, quando Auburn aveva portato il computer. Ero stato io anche a rimandare quando Pete Jessup si era offerto di puntellare gli scaffali. Quanto ai vetri anti-sfondamento, è un discorso che si può estendere a tutti noi. Bastavano poche sterline, il fratello di Richie non si sarebbe certo fatto pagare la manodopera. Ma come non è stata colpa nostra, non lo è stata né delle cose, né del destino. Per nostra fortuna e sfortuna la nostra indole ci porta ad avere fiducia nella natura umana... Certo, è sbagliato cercare un capro espiatorio per ogni nostro errore, ma dare a noi stessi la colpa per le azioni deliberate degli altri è puro masochismo.

Dovremmo ricostruire qui? chiese. Non lo domandare a me, rispose Declan, e le sue mani le accarezzavano il viso come fresche farfalle. Potete andare avanti così o addirittura mollare tutto. Per me non cambia niente, la politica di questo mondo non mi riguarda più. Non... provò a replicare, ma lui la portò nella luce accecante, fissandola con un'espressione arrabbiata che non conosceva. Non? Dirmi così? Non farmi ricordare? Non smuovere il dolore, taci la verità, non parlare, non fare, nascondimi dalle responsabilità, sono fragile, sono piccola, non voglio sentire! Basta, Laura! Basta scappare! Cosa ti aspetti dalle persone, che siano perfetti, che siano immortali? Avrei dovuto ucciderti perché tu non corressi il rischio di perdermi? Sei così infantile da farmi pentire di avere sprecato i miei ultimi anni con te!

Gli occhi le facevano male, le sue parole le facevano male, e pensava: se questo è l'addio che ho rimpianto -

Ti sbagli, amore, l'addio che volevi è questo, sussurrò abbracciandola, la voce di nuovo tranquilla.

Declan... mio amato Declan... che cos'è la morte di fronte al disprezzo, al disamore? Luce, verità, non vi temo, non più!

Ma almeno, che io ti segua!

Un suo cenno, e stupidamente si volta. Fuori è tutto così vuoto, così bianco -


John Farrell. Il Proletario Consapevole.

Laura Bradley Kaufmann. No, Laura Kaufmann e basta, la Piccola Compagna, Colei Che Ama.

Questi due personaggi camminano l'uno a fianco dell'altra, sul lungo palcoscenico di Shoreview Lane, da Yardbird Square alle case popolari vicino alla statale. Poche foglie a terra. Il vento leggero. John porta i soliti mocassini, i calzini bicolori, i pantaloni rimboccati, lo spolverino bordeaux tenuto aperto. Laura veste ancora il suo dolore immenso.

Entrambi conoscono l'impotenza di vedersi strappato ciò che nella vita avevano di più speciale - di più necessario.

Dietro ad una curva della strada ci incontriamo.


And driving down the road I get the feeling

that I should have been home yesterday.

(J. Denver)


I miei zii, a Dublino, si sono indignati, e così la comunità ebraica di Blackpool, ma la cerimonia è stata assolutamente laica. Niente croci e niente stelle di Davide, nessun prete e nessun rabbino. Bandiere, quelle sì: ma di questi tempi sono il simbolo di una religione come tante. D'altronde il circolo di C. è chiuso da molto tempo, e anche se il caro estinto si è fatto a suo tempo un culo così per il Partito, per loro nessuno è insostituibile.

No.

Eh, no.

I compagni di Londra saranno anche disorganizzati, cinici, e ad ogni congresso dicono la stessa minestra, e il New Worker conclude ogni notizia con le stesse formulette, lo so. Ma tutto questo era la nostra forza, quando ci preoccupava vedere il mondo stringersi in una morsa attorno a noi: ora ci annoia perché con gli occhi pieni di lacrime quello stesso mondo ci appare troppo grande... ed ha mille strade che non ci interessa più prendere, e mille boschi fatati che non vogliamo più attraversare.

Ma la verità è che il tizio della commissione ambiente, quello che Auburn non voleva mai sentir parlare, aveva una profonda stima di Deke. E Ned Rowley. E Travis, Johnson, Crewe, erano decine, o meglio una persona sola, a cantare l'Internazionale mentre gli occhi si arrossano, le labbra tremano, mentre Laura tenta di sfuggire alla mia stretta e imitare Ashley Wilkes in Rossella15, e Stevie scoppia a piangere in braccio alla moglie di Richie. "Non so perché piango, zio, è una bella canzone...".

Un'altra verità è che molti di loro non hanno ben compreso la relazione tra l'attentato al circolo e il gesto di mia madre. Vorrei vergognarmi dicendo che non è stata lei a uccidere Deke, che sono stati quelli dell'NF cinque anni fa, che questi cinque anni sono stati un regalo del destino... e anche un po' mio. Però non mi vergogno per niente, perché lei è mia madre! Forse è pazza, forse è confusa, ma non sarò io a giudicarla, né oggi né mai. Dov'ero io, mentre giorno dopo giorno vedeva la sofferenza rinnovarsi?

La mamma è stata condannata a quindici anni di manicomio criminale. Non tanto per il gesto in sé, no, per quello c'erano fior di avvocati e di medici legali pronti a spergiurare che si era trattato di un raptus, che l'imputata non era in grado di intendere eccetera... che non era perseguibile. Sennonché l'imputata, la signora Martha Mohin Kaufmann (non aveva mai sposato mio padre), ad ogni interrogatorio rispondeva con tale fermezza, con tale lucidità, che l'accusa riuscì a convincere il giudice che la debolezza mentale aveva solo facilitato una decisione che la forza del suo cuore aveva già preso.

A trentaquattro anni, posso dire con onestà di averla perdonata. E' per ciò che di conseguenza ha vissuto Laura, che non posso dimenticare: è perché a volte la sento così distante da temere che voglia raggiungerlo ora, domani - lo stesso troppo presto...

Mi ricordano che dovrei sentirmi il numero due. Non è del tutto così. In fondo, ora, su questa Terra c'è solo un uomo che lei possa amare, e quell'uomo sono io, ne sono sicuro. Laura me lo dice tante e tante volte. Se non fossi certo che sia la verità, non riuscirei a sopportarlo.

Laura ama.

Laura sa cucinare, sa costruire un sito web, parla perfettamente l'italiano, conosce la differenza tra uno shojo manga (quelli che legge lei) e uno shonen ai (quelli che legge Swann), ma più di tutto - si direbbe la sua vera professione - Laura sa amare.

Alla vecchia sezione il sindacato ha aperto uno sportello per le dichiarazioni dei redditi e le consulenze fiscali. Quando Ned Rowley è andato in pensione, si è reso disponibile per il progetto e la cosa è andata in porto. Il partito è in ottimi rapporti con il sindacato, perciò non ha posto obiezioni, anzi pare che abbia contribuito alla ristrutturazione, dal momento che se mai accetteranno di entrare in Parlamento, avranno bisogno di una base operativa fuori Londra. Tutto sommato, Pete si sbagliava riguardo ai danni dell'edificio. O forse era proprio solo una scusa di John per buttare alle ortiche utopie e tutto.

Lo Swinging Years invece è rimasto chiuso solo per sei mesi, dopodichè Swann e Lance hanno rilevato il locale. Non è cambiato niente, a parte una stampa di Paul Klee che ha sostituito la silhouette della Wiegel che spaventava davvero un po' troppo i clienti. Stevie passerebbe tutto il santo giorno là dentro, e non escludo che abbia fatto fuga da scuola varie volte per ingozzarsi di salatini e tracannare succo di fragola mentre il complesso fa le prove per la serata. E non è che Swann me lo verrebbe mai a dire. Non conto molto in famiglia.

Perché sapete, ci siamo sposati, Laura e io. Abbiamo avuto una bambina, che ho chiamato Aimée: non è solo un nome, è una promessa e una certezza. Nessuno dovrà dire che è stata amata di meno solo perché ha avuto la fortuna di avere un padre. Sì, pare che sia questa la moda, pare che sia questa la prassi: chi ha una famiglia normale diventerà sicuramente una persona brillante ed equilibrata, non ha bisogno di cure particolari, basta innaffiarlo e lasciare che il sole faccia il resto,

(insegnargli qualche ideogramma per decodificare il mondo dove vivrà)

basta fargli credere di avere le chiavi del mondo e le spalle forti

(continuerai a essere il mio piccolo grande uomo ti sacrificherai ancora?)

ecco, io non farò mai questo sbaglio. Non darò mai a mia figlia una responsabilità maggiore di quella che in quel momento può affrontare. Non prenderò nulla per scontato.

Ha gli occhi dal taglio orientale, ma i capelli castano chiaro; so di non essere imparziale, ma per me è bellissima. Abbiamo fatto credere che fosse nata prematura, e so che è una bastardata; penso che John non ci sia cascato affatto. Sembra sempre che lui sappia tutto, a volte prima che una cosa accada. Anche se non ha nulla a che fare con la famiglia di Laura, lo considero il mio vero suocero. Mi fa soggezione, non c'è scampo. E va bene, compagno Farrell, Aimée è stata concepita la notte prima del processo. E allora, John? Ancora sento che mi disapprovi. Eppure, stanne sicuro, che quella notte non l'ho violentata. Non puoi da una parte sventolare la nostra bandiera e combattere a parole le superstizioni e la morale religiosa - e poi venire da me ad accusarmi di essere incestuoso, di aver approfittato di una persona vulnerabile. Avresti voluto farmi arrestare, non è vero? E' un po' troppo tardi. Io non faccio credere che vada tutto bene. O che sia tutto facile. Solo non voglio sentir dire a nessuno, né a John, né alla signora Bradley, che mia moglie non ha una sua volontà.

Piuttosto, ditelo di me.

Ho trovato lavoro come educatore presso una struttura privata. Buffo, no? Giorno dopo giorno, il mio compito principale è educare me stesso.

Io non sono niente.

Sto disinfettando i tessuti attorno ad un organo asportato.

E, troppo spesso, sbaglio.

Laura mi ha impedito di adottare legalmente Stephen. Ci tenevo, è naturale, ma quando gliel'ho proposto ho rischiato di mettere seriamente in discussione il nostro rapporto. Credevo che, pensavo che, ma con lei non devo credere, non devo pensare, me ne ero dimenticato. Persino lui, Stevie, che aveva otto anni, per un po' ha evitato di parlarmi... poi un giorno è sceso in garage mentre gli gonfiavo le ruote della bici e mi ha detto in lacrime: - Ti voglio bene, Shin, ma lo capisci che io un padre ce l'ho?

Scusami, piccolo, perdonami, Laura,

non devo pensare,

non devo credere,

e in ogni mio pensiero, in ogni mia azione,

non posso prescindere da Declan.

Lui è vivo più che mai.





E anche questa è finita! Grazie a chi ha letto questo mini-romanzo, e a chi lo farà. Ma soprattutto grazie alle persone che, senza saperlo, mi hanno ispirato la storia: Mario (Deke), Tiziana (Auburn), Sandro (Drew), Carlotta (Dot), Graziella (Chloe). Shin non esiste ed è un peccato... perciò è inutile chiedervi di presentarvelo!
always yours, SakiJune

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