I WANNA BE LAURA K di SakiJune (/viewuser.php?uid=25189)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Seamus Takezawa ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Laura Bradley ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Declan Kaufmann ***
Capitolo 4: *** I don't want to know! ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Laura is back again ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - That's love at last... ***
Capitolo 7: *** He is still here, after all... ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 - Seamus Takezawa ***
I
WILL BE LAURA K
CAPITOLO
1
Mi
chiamo Seamus Mohin Takezawa. Fino a non molti anni fa, mi avreste
estorto questa semplice frase solo se foste stati impiegati
dell'anagrafe o potenziali datori di lavoro. Questo nome da folletto
mi ha sempre causato imbarazzo: in parte perché ero un
ragazzino stupido, poi perché ero circondato da coetanei
altrettanto superficiali. Abitavo a S..., una cittadina ad una
trentina di miglia da Londra, ed ero iscritto al primo anno
dell'università di S., nei pressi del quartiere italiano,
sul
lato ovest della città. Invidiavo con tutto il cuore i miei
amici d'infanzia e i miei compagni di facoltà, sia gli
italiani, sia gli indiani, sia gli inglesi purosangue. Ero certo che
sarei stato fiero delle mie origini se fossero risalite ad un'unica
etnia, ad un'unica cultura, qualunque essa fosse. Invece avevo questo
squallido nome irlandese, una vecchia madre irlandese (era rimasta
incinta di me a 45 anni) e gli occhi a mandorla.
La
mamma si chiama Martha Mohin. La sua famiglia, per quanto ne so, non
era né ricca né povera, per la Dublino di
cinquant'anni
fa, lei era graziosa al punto giusto e com'è naturale un
giorno un uomo le chiese di sposarla. Tutto normale, no?
Già.
Lui si chiamava Ernst Kaufmann... era un operaio tedesco, ebreo non
praticante, di buon carattere. Nonostante le proteste del nonno,
fervente cattolico, si sposarono presto e a quanto pare il loro
matrimonio era molto ben assortito. Non ho mai visto una sua foto, ma
anche così sono sicuro che l'attrazione fisica non
c'entrasse
niente con il loro amore. Comunque, non è che stessero tutto
il giorno a guardarsi negli occhi, perché nel '57 nacque mio
fratello Declan. Dieci anni dopo Ernst morì in un incidente
sul lavoro. Considerato che di queste tragedie ne capitavano spesso
(allora non esisteva l'HCCP), la cosa non avrebbe suscitato tanto
scalpore: ma il sindacato questa volta sollevò un tale
polverone che la fabbrica fu costretta a chiudere - pagando
regolarmente gli stipendi ai dipendenti - finché i
proprietari
non avessero messo in pratica certe elementari misure di sicurezza e
modernizzato un pochino gli impianti.
Mia
madre si tirò su le maniche. Aveva studiato da segretaria, e
trovò un impiego a Blackpool. Oh, si señores,
dall'altra parte del mare. Non si guardò indietro. A
quarant'anni era diventata nientemeno che l'assistente del direttore
generale, ma se le aveste chiesto - chi sei? - vi avrebbe risposto
semplicemente: - la vedova K.
Agli
inizi degli anni Ottanta, la sede della ditta fu trasferita a Londra.
A Martha (che di nuovo non si guardò indietro)
toccò un
appartamento in affitto più che agevolato, ma con un piccolo
difetto che forse avrete indovinato: era a S.! Seppe adeguarsi anche
a questo... non cercò un'altra casa e fece la pendolare fino
alla pensione.
Il
cambiamento.
Le
nuove colleghe, l'atmosfera della capitale.
Gli
uomini. Per la prima volta da quando era rimasta sola, si accorgeva
degli uomini.
Mio
padre, un anonimo uomo d'affari di Tokyo, era capitato a Londra,
nell'ufficio dove la mamma lavorava, e si erano frequentati
finché
lui non era dovuto ripartire. Mesi dopo, quando era tornato per altre
trattative di non so che, aveva scoperto che la signora M. era in
maternità... e aveva fatto due più due.
L'andò a
trovare e lei gli sbatté la porta in faccia, dicendogli che
il
suo senso del dovere non sapeva dove metterselo: ma quando vide che
faceva sul serio, gli permise di starle vicino. Lui riuscì a
trasferire i suoi affari a Londra e hanno vissuto più o meno
insieme per venti anni. Papà ha cinque anni meno della
mamma,
cioè sessantacinque. Di recente è tornato a stare
in
Giappone. Non che me ne importi più di tanto. Che lui mi
voglia bene, lo so, ma non basta. Ha sempre odiato Declan, e se un
tempo condividevo i suoi sentimenti, ora me ne vergogno con tutto il
cuore. La mamma soffriva tantissimo per questo nostro atteggiamento,
naturalmente. Ma cosa potevo avere io, un ragazzetto bruno, dal
fisico minuto, con la passione per lo skate e il rischio totale, con
un elettricista in sovrappeso ex studente alla yeshivah,
e che
in più abitava a C...? Non avevamo né lo stesso
cognome
né avevamo mai vissuto insieme. Così con mio
padre mi
divertivo a prenderlo in giro, e se passava a trovarci me ne restavo
in camera mia a chattare o andavo dove mi pareva.
E,
ovvio, ero anche geloso di lui, perché mia madre lo adorava
talmente... Ho sempre avuto l'impressione, da quando ero molto
piccolo, che mi considerasse già un adulto, o comunque che
pensasse che non avessi bisogno di lei perché avevo un
padre,
io. Non so se fossi nel giusto, ma in casa mia respiravo quell'aria,
e non riuscivo a non pensarci. Una volta lo chiesi a papà:
"La
mamma pensa che Deke sia ancora un bambino?" "Se è
per questo crede ancora di essere in Irlanda". Era una frase
fatta, perché mio padre (me ne accorgo adesso) non poteva
sentire la differenza tra un inglese e un irlandese, lui che viveva
in Occidente da meno di dieci anni. Ma dalle sue parole ricevetti la
conferma dei miei pensieri: la mamma non mi voleva veramente bene,
almeno non quanto ne volesse a Deke, e non amava davvero
papà,
almeno non quanto aveva amato il signor Kaufmann. Cominciai a capire
che i fatti non corrispondono quasi mai alla volontà. La
mamma
era affettuosa, ma non per questo provava vero affetto; mio padre
aveva un carattere più tranquillo, meno espansivo, ma ero
sicuro di poter contare su di lui.
Adesso
ho capito che, se le cose non sono come le vedi, non sono neanche il
contrario di come sembrano. La verità sta in qualche punto
imprecisato nel mezzo, o fuori dalla visuale, e quando la si trova
è
sempre tardi.
Ricordo
che una volta, andavo in quarta o quinta elementare, mi beccai
un'infezione alla gola e dovetti restare a letto per varie settimane.
Era la prima volta che mi sentivo così male, per quanto ne
so.
Ed ero anche parecchio giù di morale. Mio padre, la sera,
tornava dal lavoro con un ghiacciolo e restava a leggermi qualcosa, o
giocavamo a dama. Ma per quasi tutto il giorno ero solo,
perché
mia madre era sempre al telefono con Deke.
La
ditta per cui lavorava mio fratello era in crisi, e le prospettive a
breve termine erano due: chiudere i battenti, o venire "risucchiata"
dalla multinazionale con cui aveva l'esclusiva, perché a
quest'ultima pare non convenisse più darle l'appalto alle
solite condizioni. Nel secondo caso per i dipendenti, in apparenza,
non ci sarebbe stato nessun problema, ma Deke la pensava in modo
diverso. La mamma era così preoccupata per questa situazione
che a me non pensava affatto. Almeno così sentivo allora,
così
mi ricordo. Poi, in qualche giorno, tutto andò a posto: sia
per quanto riguardava il lavoro di Deke che la mia salute - ma dentro
di me rimase qualcosa, come una piccola voce, che mi ripeteva "sarai
sempre il secondo per lei".
L'unico
colpo di testa di mio fratello, in tutta la sua vita, era stato
lasciare a metà gli studi. Ci era stato costretto: aveva
capito di essere fondamentalmente ateo, e non si era mai visto un
rabbino ateo. Così era diventato un tecnico elettricista e
si
era iscritto al NCP. Questo non mi faceva ridere, perché era
un atto di ribellione, anche se la mia idea del ribelle tipo era
molto diversa per il mio cervellino da videogames, e la politica mi
interessava solo quando c'era da fare casino in piazza. Nel
duemilauno avevo diciott'anni, i capelli lunghi, i vestiti stracciati
e le tasche rifornite di erba. Mi ero iscritto da poco
all'università
ed ero già indietro con gli esami in maniera preoccupante.
Mi
facevo chiamare Shin: un nomignolo per lo meno coerente con i miei
lineamenti.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 - Laura Bradley ***
Avevo
conosciuto Laura nella cantinetta dove suonavano alcuni miei amici,
una punk band abbastanza conosciuta nei dintorni di S... Aveva due
anni più di me, era bruttina e disponibile. Disponibile
perché, nonostante l'aria da santarellina, mi pareva avesse
voglia di sesso almeno quanto me. Bruttina, perché voleva
esserlo. D'altra parte Dot, la sua migliore amica, era parecchio
appariscente, ma di soddisfazioni non me ne dava.
Laura
era più o meno alta come me, cioè non molto.
Bionda, un
po' grassottella, con gli occhi verdi. Si vestiva come una monaca
pentita, ma portava una spilletta da balia come orecchino sinistro e
una catenella con un lucchetto al collo; metteva dei profumi tremendi
eppure era rarissimo che uscisse con un filo di rimmel o perlomeno i
capelli in ordine. Frequentava la mia stessa facoltà, ma non
me ne ricordavo affatto. Ecco, anche in quello scantinato non l'avrei
proprio notata, se in quel momento non stesse cantando a squarciagola
il brano degli Offspring che suonava la band. Il batterista, Hare,
mio compagno di sbornie e di conquiste, era stato il suo ragazzo ai
tempi delle medie, e soddisfò parecchie mie
curiosità.
-
Primo, - cercò di stupirmi (e ci riuscì!) - ti
pare
brutta?
Risposi
che sì, abbastanza, di certo Dot era un po' più
il mio
tipo.
-
Intanto, Dot è leggermente fidanzata con uno che ha
trent'anni, quindi levatela dalla testa. Poi se Laura non si mette
mai in tiro, è perché non le interessa farsi
notare,
punto. Quando stavamo insieme era molto diversa. Secondo, ti
dà
l'impressione di una secchiona?
No
di certo, feci, scommetto che non sa mettere due parole in fila.
-
Beh, non scommettere niente, perderesti secco. Va matta per il nostro
genere di musica perché è ribelle di natura, ma a
casa
sua ha un arsenale di dischi jazz. Se le guardi in borsa, ci trovi di
sicuro un libro, e se non è filosofia, è un
saggio
sociopolitico. Scrive poesie che ti fanno rizzare i peli. Terzo,
è
trasparente. E' assolutamente incapace di dire una bugia e si fa un
punto d'onore di dire quello che pensa anche quando sarebbe
sconveniente. Quando si innamora non la ferma nessuno, riesce a
volerti bene in un modo che non si spiega.
-
E allora perché vi siete lasciati? - chiesi, in tono di
sfida.
Stai disegnando il ritratto della ragazza perfetta.
-
Non potevo mica fermarmi al primo semaforo. E nessuno ha sostenuto
che l'abbia lasciata io. Qui lo dico e...
Ma
dai, fratello, trombiamocele tutte. Avevo ancora una visione del
genere riguardo al mondo femminile.
Purtroppo
frequentavo anche gente più casinista. Ci divertivamo a fare
baldoria e a movimentare anche le manifestazioni più
pacifiche. Allora non mi importava molto per che cosa si protestasse,
e il più delle volte lo ignoravo cordialmente. A parte
qualche
strigliata dalla polizia, a Londra non mi successe mai niente di
grave, ma a C..., nel novantanove, fui costretto a cambiare rotta.
Saremmo
stati in cinque, arrivati con il primo treno del mattino - a scrocco
- e avevamo rovesciato un paio di cassonetti per strada, mentre la
gente sfilava tranquilla. Pensavamo di farla franca, perché
di
poliziotti in giro non ne avevamo visti: in effetti, loro
se
la filarono indisturbati. Invece io ad un tratto mi sentii afferrare
per un orecchio e trascinare fino a un grosso mucchio di rifiuti.
-
Proprio tu! Mamma perdonami, mi vergogno di avere anche solo una
goccia del tuo sangue, Seamus!
Quando
riconobbi Declan, diventai tutto rosso. Ero indispettito, ma
soprattutto mi vergognavo che i miei amici sapessero chi fosse. I
loro fratelli erano giocatori di calcio, di basket, padri di famiglia
o bimbetti vivaci: io avevo questo vecchiaccio mezzo crucco che ora
mi stava facendo annusare spazzatura fino quasi a strofinarmici il
muso. Era la prima volta che mi trovavo in una situazione
così
imbarazzante.
-
Ecco dove se ne va il piccolo, quando passo da casa sua e non
c'è
mai! A fare il teppista e a distruggere il lavoro degli altri! E non
a S..., nientemeno, ma qui! Qui dove quel coglione di suo fratello,
tra gli altri, si fa un mazzo così per cambiare le cose... e
tranquillizzare la gente che ha ancora tutti quei preconcetti su di
noi e su chi non sta a guardare. E tu! Porco schifo! Vorrei darti in
pasto agli sbirri, tanto sei stupido. Ma almeno sai cosa stiamo
dicendo? Hai letto, hai guardato, hai sentito? O eri troppo occupato
a fare casino? Leggi! Forza! - e mi trascinò davanti a un
cartellone.
Acerbo
com'ero, capii che si trattava di qualcosa di importante. La vergogna
che avevo provato stava mutando direzione. Lo guardai in viso: aveva
lo stesso sguardo di mia madre quando era arrabbiata.
-
E adesso vieni con me, prima che telefoni alla mamma. Stasera noi, la
piazza, la ripuliamo, lo sai? Tutti insieme. Lo vedi, i tuoi amici -
e sottolineò la parola con uno sguardo circolare - se la
sono
svignata. Non hai niente da perdere, no?
Dovetti
seguirlo. Mi presentò a un bel po' di persone, che mi
spiegarono in dettaglio la loro causa e le iniziative che erano
riusciti a portare a compimento in città.
-
Per me, pure quello è protestare. - Feci spallucce,
riferendomi al gesto di poco prima.
-
Già, hai ragione - mi rispose un uomo con la barba e la
camicia a scacchi. - Protestavi contro di noi.
Tornai
a casa con le idee un po' più chiare. Non che ora Declan mi
stesse meno antipatico di prima, ma quest'avventura mi aveva fatto
riflettere.
Il
tizio con la barba, John-qualcosa, mi fornì dei contatti con
la sezione universitaria del partito a S... Erano una mezza dozzina
di studenti del secondo e terzo anno, impegnati più che
altro
in attività di informazione. In poche parole, volantinavano.
Scritti contro la guerra, per lo più, ma anche sulla
globalizzazione e sui rapporti internazionali in generale, oltre a
opuscoli stampati più o meno di nascosto nella redazione del
giornalino scolastico, che affrontavano i problemi dell'istruzione
pubblica. Sollevato che non si trattasse solo di nostalgici (come
sospettavo fosse Deke), mi unii a loro. Avevano persino un pulmino
per partecipare alle varie manifestazioni - con criterio,
naturalmente, e mi andava più che a genio: avevo imparato la
lezione... Mollai i miei pseudo-amici casinisti e mi concentrai un
po' meglio sullo studio. Con la band, invece, strinsi i rapporti. Era
una compagnia meno avventurosa, che nonostante le creste colorate non
puntava mai più lontano del pub sotto casa, ma d'altra parte
quel tipo di avventure non faceva più per me. E avevo capito
quanto la lealtà fosse più importante di tante
cazzate.
Da
principio mi sembrò che Hare e Laura stessero di nuovo
flirtando. Poi scoprii che quando si appartavano in macchina, dietro
la batteria, eccetera, parlavano esclusivamente di me. Il bastardo si
era messo a fare il mezzano.
Mi
ritrovai Laura in tutte le salse: alla cantina, il sabato sera, ai
concerti, in facoltà, e indovina chi si presenta come nuova
compagna della sezione? Uff! Appiccicata stile sanguisuga, ora
sfoggiava i look più svariati, si truccava, si arricciava i
capelli... oddio, si era innamorata? Di me? Hare (quel bastardo) mi
aveva pur avvertito, salvo poi aiutarla nell'impresa!
Lo
strano è che sotto sotto mi piaceva parecchio stare con lei.
Parlare, intendo, cose così. Senza contare che mi aiutava
con
gli esami di italiano. Già, perché anche se aveva
la
faccia più cockney del circondario e di cognome faceva
Bradley, il padre di sua madre era di Firenze. Di ragazze italiane
nel mio quartiere ne avevo conosciute un'infinità, tutte
brunette dal seno arrapante e la pronuncia impossibile. Laura era ben
poco sexy e adorava Shakespeare e Byron. Sì, mi aiutava
anche
con gli esami di inglese! Prendemmo l'abitudine di studiare spesso
insieme. La mia impressione riguardo al suo desiderio si
trasformò
in certezza, e in breve me ne approfittai.
Fingeva
indifferenza quando, il divano ancora caldo dei nostri goffi
esperimenti erotici, le annunciavo di aver conosciuto tipe delle
medie con più esperienza di lei. Mi faceva le linguacce
assicurandomi di tenere in serbo il meglio per l'uomo dei sogni, che
non ero io. Riprendeva in mano i libri, con il reggiseno ancora
slacciato, e fissandola di schiena allora mi diventava duro, solo
allora, ma ormai non potevo dirglielo. Nemmeno potevo confessarle di
avere ancora meno esperienza di lei. Eppure sarebbe stato
così
semplice essere sinceri l'uno con l'altra, senza cercare di dominarsi
a vicenda, di mantenersi freddi. Non arrivammo mai fino in fondo,
sapete. Hare aveva esagerato dichiarando che "avevano avuto una
vita sessuale invidiabile"? Mentivo a me stesso, io, ricordando
le mie avventurette al liceo? No, era tutto vero, avevamo superato
l'adolescenza, io ero lontano dall'essere impotente e lei dall'essere
frigida: era il noi forzato a congelare i nostri
rapporti. Io
mi divertivo, o credevo di divertirmi, e Laura annullava i suoi
sentimenti proprio perché sentiva di non essere amata.
Se
le avessi mostrato un po' di tenerezza, credo che già allora
avrebbe saputo darmi qualcosa che, con tutto il mio orgoglio, non
volevo ancora conoscere. Così, recitava la parte
dell'innamorata davanti a tutti, rassicurandomi poi in segreto che si
trattava solo di un suo gioco perverso, che non contavo poi molto.
Per un certo periodo finsi di crederci: mi ripetevo che per lei ero
una distrazione come lei lo era per me. Eravamo due poli uguali che,
più cercano di avvicinarsi, si separano. Quindi una sua vera
dichiarazione mi avrebbe spaventato e stupito oltremodo.
Durante
una riunione di orientamento, all'università, ci fecero fare
un test. Ne uscì fuori che Laura aveva grandi prospettive in
campo giornalistico-letterario, mentre io ero portato per
l'insegnamento. Incredibile, no? Non avevo nessuna voglia di cambiare
facoltà; oltretutto non credevo molto a quel genere di esami
psicologici. Anche Laura mi disse che non avrebbe mai provato a
scrivere, per un motivo che non mi sorprese: la coinvolgeva troppo,
metteva in tensione troppe corde dentro di lei, la estraniava dal
mondo. I versi di quando era ragazzina erano stati, come mi disse,
partoriti con dolori atroci. Molto meglio studiare, manifestare, fare
porcate con il giapponesino... E' più sano,
specialmente con i casini in famiglia che si trovava. Il padre si era
praticamente volatilizzato da un anno a quella parte, la madre
sognava di andare a vivere con il nuovo fidanzato a C. e lei
ovviamente pestava i piedi per restare. Aveva l'età per
abitare da sola, certo, ma non se la sentiva.
Finì
come aveva temuto. Una mattina, mentre uscivamo da lezione, mi
annunciò che si sarebbe trasferita di lì a poco.
Piangeva, l'ex sciattona soft-punk, la mia piccola amante. E mi fece
una tenera dichiarazione... "una ragazza sa di potersi
dichiarare quando è sicura di essere corrisposta appieno, o
di
non esserlo affatto", parole sue: già, mi disse che non
sperava più di conquistarmi, che era tardi, e che proprio
per
questo poteva confessarmelo...
-
Shin, ti voglio bene.
Tutto
qui? direte. Ma, ragazzi, dopo che hai sfruttato una tipa per mesi
per risollevare i tuoi voti, dopo che l'hai usata sessualmente senza
nemmeno soddisfarla, dopo che ti sei vantato con gli amici di tenerla
in pugno ed esserti sentito in colpa per questo, ma hai continuato a
farlo, questa è una frase che ti schiaccia. Anche
perché
non mi aveva detto "sono innamorata" o "per me la
nostra relazione era tanto importante". Ti voglio bene, sei una
creatura del mio mondo intimo, sei una parte di me. Uuh. E se ne
andava.
Lo
raccontai a mia madre. Che mi rispose più o meno in questi
termini:
-
Siete tutti degli sciocchi, voi uomini. Ho partorito solo eterni
indecisi. Andrà a stare molto meglio senza di te.
Io
non meritavo Laura? Beh, sarà anche stato vero, ma
perché
doveva dirmelo in quel modo?
-
Perché ho conosciuto suo padre, ed è un gran
figlio
di... e tu non sei molto diverso da lui.
Oh
no, mamma, io sono molto diverso, l’ho capito ora. Non serve
a
niente credersi superiore ad una donna.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 - Declan Kaufmann ***
Rieccomi con un nuovo capitolo! La poesia al fondo è mia, dedicata al vero "Deke"... un uomo che ho amato e che è stato la mia musa per molti anni... Grazie a chi mi ha recensito ma anche semplicemente ha letto la mia storia...
Per TALLIS: so che le k possono dare fastidio, ma come avrai notato non sono inserite all'interno dei dialoghi (non avrebbero senso), fanno parte dello spirito in cui Seamus racconta la sua giovinezza... ne ho comunque eliminata qualcuna. In questo capitolo ce n'è una e l'ho lasciata così com'è, in quanto ha ragione d'essere.
Here you are!
CAPITOLO
3
Di
tutto ciò che successe dalla partenza di Laura,
proverò
a raccontare quello che so. Se mia madre mi sta ancora tacendo
qualche cosa, è assai improbabile che questo qualcosa venga
fuori in futuro. Avreste dovuto trovare una bibliografia in fondo a
questo racconto, ma che avreste pensato leggendo
"liberamente
tratto dal Daily qualcosa di metà ottobre"
o
"confidenza
che mi ha fatto L. quattro anni fa"?
Posso
solo dire: non ho saputo tutto nello stesso momento, né
dalla
stessa persona. Quello che vi sembra troppo romanzato, me l'ha
raccontato lei, che ama.
La
sera prima della partenza, Dot regalò a Laura un maglione
(come se la latitudine cambiasse di molto, da lì a C.) e
calde
lacrime. Vederle che leggevano la Yazawa, le teste vicine, le mani umide intrecciate, sentire i loro
singhiozzi, beh, faceva un bel po' ridere.
-
Quando uscirà il prossimo numero di Nana,
mi avrai già
dimenticata... - diceva Dot, con gli occhi da gattina rossi e gonfi.
-
Ma no! Sarai sempre la mia amica... - rispondeva Laura, mentre una
lacrima bagnava la faccia di Takumi.
I manga erano l'unico suo vizio spiccatamente consumistico, e Ai
Yazawa l'autrice preferita di entrambe. L'apprezzavo anch'io,
perché
aveva uno stile originale, ma non avevo le mani bucate per i fumetti
fino al punto di ordinarli direttamente dal Giappone. Loro,
sì.
-
E chi lo sa... - riprendeva Dot.
-
Lesbicone! - gridai, nel silenzio giovane e disperato. E tirai fuori
il mio regalo d'addio. Era un foglio di bristol con stampati su gli
indirizzi che pensavo potessero esserle utili a C.
Pub
O' Connor Wanton St.
non
ti innamorare del barista con i baffi
Kenton's
(abbigliamento) Draw Sq.
mi
sembra che tu possa trovare parecchie cosine di tuo gusto.
se
mi sbaglio, non ti conosco affatto
Jameson's
Int. Bookshop 141, Furhouse Rd.
per
i tuoi adorati fumetti
Circolo
NCP dalle parti di Longware Rd.
magari
ti metti in politica sul serio!
Auguri,
il tuo kompagno di sbornie (e.....)
Shin
Continuo
a ripetermi che anche se non avessi aggiunto quell'ultimo indirizzo,
Laura si sarebbe messa in contatto ugualmente con il partito a C. La
politica le piaceva perché rappresentava una giusta via di
mezzo tra l'impegno sociale e la scienza astratta. Un hobby coerente
con la sua scala di valori personale, che la distraeva da quella
droga pesante chiamata letteratura. Non ho quindi da rimproverarmi
né
da congratularmi con me stesso per la piega che prese la sua vita.
Credo. Almeno, non per quel biglietto... semmai per averla lasciata
partire. E non solo quella volta.
La
scuola andava sempre meglio. Perlomeno, dopo quell'incontro
orientativo, mi ero schiarito le idee. Dopotutto, non avrei dovuto
stravolgere il mio piano di studi, almeno metà degli esami
che
avevo già dato (pochi) erano validi anche per la
facoltà
in cui mi trasferivo. Il mio tutor, Mr. Shotton (accento del
nord-ovest, cinquanta chili per un metro e ottanta) si
grattò
la testa, poi si complimentò per la scelta. Non credo che
abbia mai scommesso un penny sulla mia costanza. Ma nemmeno io vivevo
della sua stima.
Le
festicciole superetiliche che organizzavamo a casa di Dot divennero
off-limits con l'arrivo del suo fidanzato, una specie di svedese di
due metri che veniva da Manchester e faceva l'architetto. Prove
generali di convivenza. Addio, bella gnocca, wedding bells con quel
che segue, povera te.
Perlomeno
Laura non aveva da preoccuparsi, all'università femminile di
C., di corteggiatori che la distraessero dallo studio e la
convincessero ad un matrimonio prematuro. Né, per quanto ne
sapevo, avrebbe trovato coetanei compiacenti in sezione.
Già.
John-qualcosa, anzi John Farrell, segretario del partito, veleggiava
per i cinquantacinque. Poi c'erano Richard, Auburn, Pete e
naturalmente Declan, tutti oltre gli -anta. C'era chi aveva
divorziato da tempo, chi era felicemente sposato e chi ferocemente
single, ma di giovani neanche l'ombra. L'unico con qualche pretesa
anagrafica davanti alla tenera giovinezza di Laura era Drew Meade, ma
lei fiutò subito una malinconia congenita nei suoi modi e
nel
suo sguardo da pesce. Era, infatti, un operaio del famigerato settore
automobilistico, così in crisi in quegli anni, sull'orlo
della
cassa integrazione e, a parte la lotta sindacale, senza una passione
cui dedicare il tempo libero che di lì a poco avrebbe
posseduto in abbondanza. Auburn era una giornalista, una donnina
sottile e tenace, con figli adulti. Si affezionò a Laura e
tentò ripetutamente di coinvolgerla nel progetto di una
rubrica all'interno del settimanale per il quale scriveva. Richie
Dunning abitava in collina ed era famoso per la sua
generosità.
Tutto quanto riguardava il volontariato, l'ambiente, era territorio
suo. Gli amichevoli dibattiti con i laburisti li
lasciava
volentieri a Declan. Pete Jessup, carpentiere in trasferta con moglie
e figli in Galles, sognava di ristrutturare la sede e di renderla
degna di una federazione provinciale. John lo considerava matto, ma
sorrideva davanti ai suoi progetti che tirava fuori ad ogni riunione.
Altri compagni gravitavano intorno a quelle tre stanzette, per fare
un saluto o per rinnovare la tessera, ma il grosso dei militanti era
tutto qui.
Laura
all'inizio provò a mettere su una sezione giovanile come
quella che frequentavamo a S.: andava ai concerti, parlava con i
ragazzini delle superiori, sondava il terreno. Tirate le somme,
trovò
ovunque buoni propositi e nessuna voglia di legarsi ad un gruppo
stabile. Li capì e rinunciò. Restò con
i
vecchietti.
Oltre
che con Auburn, andava molto d'accordo con Declan. La faceva ridere
il suo essere polemico con tutto quello che diceva John, il suo
brontolio, la sua parlata veloce un po' irlandese, un po' del Mersey,
dove aveva abitato con la mamma prima di trasferirsi a Londra. Deke
sembrava davvero una persona strana, a conoscerlo. Metti che fosse
con degli amici, d'estate in una panineria all'aperto e sta per
addentare un hot-dog: all'improvviso strabuzzava gli occhi, fissava
il panino come se non l'avesse mai visto prima e con l'aria di
risvegliarsi da un incubo. Poi si ricordava di non essere
più
un ebreo praticante, si guardava attorno sperando che nessuno si
fosse accorto della faccia che aveva appena fatto, e cominciava a
mangiare di gusto.
Era
capace di prendersi due settimane di permessi non pagati dal lavoro
per friggere pesce alla festa della federazione a Londra, ma se
riusciva a prenotare i biglietti per un concerto o uno show che gli
interessava, allora a quel paese la politica! Il fisico pesante, i
capelli rossi appena sbiaditi dall'età, un paio di
occhialetti
vecchio modello e un guardaroba invernale in ogni mese dell'anno,
aveva ben poco fascino. Ciò non toglie che avesse una specie
di fidanzata, Chloe, una scorfana riccia che odiava tutte le donne
inclusa se stessa. Lo accompagnava raramente alle conferenze
organizzate dal circolo, e in quelle occasioni manifestava
apertamente la sua insofferenza verso le compagne.
-
Ma cara, - cinguettava Deke - Laura è una bambina, e Auburn
è
andata ad abitare con il nostro segretario - e la racchia si
rassicurava un po', dopodiché ricominciava con le sue
gelosie.
Che
Auburn stesse con John, Laura era venuta a saperlo piuttosto tardi,
un mattino che era andata con Drew a volantinare al mercato, ed era
stata così contenta! Nella sua fantasia era una coppia
caduta
dalle nuvole, perché presi singolarmente erano
così
diversi, ma immaginarli condividere una vita insieme le dava una tale
tenerezza! John, vero ritratto del proletario consapevole, e quella
donna colta e magrissima...
-
Sei sicuro, stellina rossa? - Era il soprannome di Drew,
perché
era un nostalgico più che un attivista. Durante uno sciopero
in fabbrica era stato scoperto con in mano un compressore mentre
eseguiva un graffito sinistroide nel magazzino del reparto
verniciatura. - Ma io non li ho mai visti che si baciavano! Vengono
sempre ognuno con la sua macchina, e John ha sempre le camicie
stropicciate!
Drew
scosse la testa.
-
Va beh, non funziona come pensi tu. Non è mica tenuta a
fargli
da colf, e non sono due ragazzini che si strofinano davanti alla
gente.
-
Ma non ci sarebbe niente di male.
-
Guarda che ad una certa età... ma te lo devo spiegare io?
Non
è che non ci si voglia bene: si ha un rapporto
più
maturo, no?
-
Più maturo? Avvizzito, vuoi dire? Io penso il contrario. Se
ci
si scopre innamorati a cinquant'anni, si ha una sicurezza e una
chiarezza di sentimenti che alla mia età è
impossibile.
-
Uuuh... allora, se adesso incontri un tipo e ti prendi una cotta, non
provi neanche a metterti con lui perché sai che un giorno ti
passerà?
-
Ma no, ma no - ribatté lei. - Cercherei di viverla meglio
che
posso. Però è vero che... se la godano anche
loro,
senza le nostre illazioni. Sono tanto contenta per Auburn, davvero!
E
la invidiava, davvero. Sana invidia, ma tant'è. Cominciava a
sentire il bisogno del famigerato qualcuno: le mancavo io? A
posteriori, in un certo senso tutte le prove sono a mio favore. Era
indissolubilmente attratta dal sangue focoso dei Mohin. Altrimenti,
perché di tutti gli esemplari maschili di C. si sarebbe
andata
proprio ad innamorare di mio fratello?
Già,
amici e compagni, voi che pensavate che questa fosse la Fantastika
Storia di Laura e Shin, nossignori, avete sbagliato rotta. Vi trovate
nella Lamentevole Saga dei Kaufmann, e se avete fiutato che la sbobba
non è di vostro gradimento, prendete il primo autobus e
salpate verso più rosei lidi.
L'entrée
di Laura alla sezione di C. era stata salutata con speranza ed
allegria da Richie e Auburn, ma soprattutto dai calcoli di John.
Costui infatti prospettò una sua prossima autodestituzione.
Arrivano le nuove reclute, pensava, e io sono qui da venti anni
buoni, tra associazioni e partito, e sono stufo. E Declan? Tra le
chiacchiere di quella prima bella serata, captò una
citazione
di Laura sul PCF, e le rispose a proposito. Poi:
-
Ma che ci fai qui, che son quasi tutti pensionati, io no eh, ma dai,
non prenderai mica la tessera? A ventun anni? - e lei non
sentì
più nulla se non la propria risata, basta tristezze, ciao
Dot,
ciao Shin, ho trovato la mia
(famiglia)
dimensione.
-
Guarda che la tessera ce l'avevo, a S..., alla sezione universitaria.
-
Mhhh... appunto, stai con quelli della tua età. Siamo mezzi
sfasciati, non lo vedi?
Come
ho detto, ci provò, a stare con i giovani, ma si sentiva
sempre più legata agli sfasciati. Che poi, tanto
disorganizzati non erano. Almeno una volta al mese c'era una
conferenza sull'ambiente, o sugli investimenti del beneamato major in
carica. C'erano i picchetti fuori dalle fabbriche dove c'era uno
sciopero, siccome Pete e Drew erano attivi anche nel sindacato. I
cortei, naturalmente, i concerti folk, i banchetti, i volantinaggi.
Le collaborazioni con gli altri partiti e con le associazioni
cittadine. E poi le famigerate spedizioni alla federazione di Londra.
Di
tutti quanti, da anni e anni, i prescelti per le Riunioni Grandi
erano due: Auburn e Declan. La prima, ovviamente, per scrivere il
riassunto della serata sul bollettino provinciale, il secondo per la
sua vena oratoria altamente polemica. Laura puntò i piedi
per
andarci. Aveva degli argomenti da presentare sulla situazione
socio-economica dell'Inghilterra? Un programma per un futuro e
improbabile ingresso alle Camere? Ma no, voleva solo ascoltare, farsi
una cultura sulla roba pesante. Detto fatto, un pomeriggio Auburn le
telefonò per invitarla. Tu-tum!
-
Com'è la federazione giovanile? - chiese ad Auburn in auto,
sciogliendosi la treccia che, si accorgeva solo ora, non era adatta
ad un evento del genere. I capelli le rimasero ondulati, morbidi.
-
Si riunisce nello stanzone accanto al principale. E'... il raduno dei
referenti delle sezioni universitarie, l'avrai capito. Tu, avrai
molto da dire su quello che fai, e non ti sentire in imbarazzo per
non... insomma, per il fatto che... che a C... quelli della tua
età
hanno la testa a troppe stupidaggini per interessarsi di cose serie!
Poi lo sanno anche a Londra che il nostro major ha certe tendenze
maccartiste. Ma sai che stai proprio bene, così?
Laura
sorrise, e si guardò nello specchietto. Per un attimo vide
riflessa una donna, e quella donna era lei.
Contava
di incontrare qualche rappresentante dell'università di S.,
quelli che si erano laureati l'anno prima, magari, e che ora
sicuramente alternavano i corsi di specializzazione nella capitale
con un'attività politica più concreta. Joe
Frazer, per
esempio, che al liceo era stato il migliore amico di Hare. Oppure, il
fidanzato di Dot. Beh, in ogni caso... forse avrebbe fatto meglio a
rimanere nella stanza principale. Dove ci sarebbe stato Declan.
Aveva
confidato alla madre la simpatia che provava per lui. Così,
come al liceo le aveva raccontato di lei e Hare, e - con qualche
abbellimento - di lei e me: non c'era mai stato il minimo imbarazzo
tra loro. Questa volta, però... fu cinica al massimo grado.
Le
parlò del complesso di Edipo, di bisogno di protezione, dei
pericoli di una simile follia, e dopo aver visto una fotografia di
Deke, grigiastra e sfocata, sul bollettino di distretto (un
trimestrale di otto pagine che il Partito spediva agli iscritti della
zona), lo classificò in un attimo come furbastro, maniaco
del
sesso, igienista, pedofilo e arrogante. Il tutto condito da vari
epiteti in italiano. Laura restò sgomenta. Era ancora
nell'età
in cui il punto di vista dei genitori conta ancora molto. D'altra
parte, era da qualche anno che le doti di veggente della madre
facevano cilecca. E poi, credeva di più a quello che le
aveva
detto John, quando si erano conosciuti: "Puoi fidarti ciecamente
di ogni singola persona qui dentro, e puoi contare su di noi in ogni
momento. Il vantaggio di essere di sinistra, vedi..."
Si
fidava di Declan, quindi, e se Auburn sarebbe tornata a casa prima
della fine della riunione, sì, sarebbe salita sulla sua
auto.
E se l'avesse baciata? Se le avesse chiesto di...
Auburn
la vide arrossire di colpo. E di colpo il suo sentimento si era
macchiato, le sembrò, in modo irrimediabile. Deke le
piaceva,
le piaceva immensamente - ma se sua madre avesse avuto ragione? o
comunque, se lui avesse detto una parola, se avesse fatto un gesto
che lei non desiderava?
Era
innamorata, o almeno lo credeva. Ai suoi occhi era una persona
stupenda; pure, quando la sua immaginazione andava oltre - capite -
il sogno si faceva grottesco, come quando ti ritrovi in una stanza
che credi di avere già visto, e le persone intorno a te
hanno
facce oscene, e gli scalini si moltiplicano, i corridoi si
allungano... Forse erano davvero quei ventitré anni a
spaventarla, o forse, lo dico con tutta la tenerezza che provavo e
che ancora provo per lei - era tornata un'altra volta vergine.
Deke
non ci provò quella sera, né in altre occasioni -
mi
sembra inutile dirlo. Durante la riunione, prese appunti tutto il
tempo, riempiendo mezzo notes con la sua scrittura confusionaria.
Laura lo spiava da dietro, fingendo un contegno intellettuale, in
realtà divorandolo con gli occhi: per la prima volta, non
c'era Richie a disapprovarla. Dimenticò di conseguenza ogni
proposito di partecipare alla riunione dei suoi coetanei nell'altra
stanza. Quando venne il suo turno, Declan salì sul palco a
fare il suo discorsetto, mentre lei non staccava lo sguardo dalla sua
figura, seguendo ogni movimento delle sue mani. Mancavano ancora un
paio di interventi quando Auburn le fece cenno di andare.
-
Adesso? Ma non deve parlare quel tale della commissione ambiente?
Devi scrivere un articolo domani, no?
-
Ho già un opuscolo, mi pare ci sia scritto su tutto.
Comunque,
dirà le stesse assurdità del mese scorso... ma se
vuoi
rimanere, puoi tornare con Kaufmann. Se con tutti quei papiri riesci
a entrare in macchina... vero? - e le strizzò l'occhio.
Laura
finse una risatina, ma si sentiva tesissima.
-
Non c'è Chloe? Non vorrei fare la candela, non mi va proprio.
-
Ma và! Avranno litigato. Tanto, quando c'è, la
candela
è lei, perché...
Un
grugnito la interruppe. - Hai finito di traviare i giovani comunisti
inglesi? Non si parla male dei compagni, specialmente di quelli
presenti e suscettibili...
Scoppio
di risa delle due donne. - Suscettibile, questa è buona
davvero, Kaufmann... caro, và, che tenero lui! - E Auburn si
eclissò.
Ho
una donna, disse l'orso
e
dai suoi fianchi lecco il miele
ma
la mia miseria non ha eredi -
Con
le tue opinioni tesso un tappeto
(ogni
incontro un nodo, ogni frase un colore).
Vorrei
raddoppiare quel tuo sguardo che amo,
fiorire
alla tua larga ombra,
ricoprirti
di fresco profumo,
somigliarti
in tutti i tuoi difetti,
affilare
le tue armi così che il nemico
non
senta il proprio dolore, ma il mio!
Ho
una donna, disse l'orso
ma
perché non prendi invece una sposa
e
dai un erede alle ricche foreste?
Un
bimbo dagli occhi d'acqua torbida
ma
un cuore rosso e forte,
un
amore grassottello e testardo...
|
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Capitolo 4 *** I don't want to know! ***
Era
arrivata al POC con i capelli blu, la sua cartellina straripante e un
quarto d'ora di anticipo. Quella mattina aveva ritirato l'ultimo
stipendio settimanale - l'ultimo sul serio, purtroppo - e l'aveva
consegnato direttamente nelle mani della parrucchiera di Longthorne
Street. C'era da fare la spesa a casa, avrebbe dovuto comprare a sua
madre il regalo di compleanno: a queste cose non aveva pensato
minimamente. Uscita dal salone, tirò le somme. In anticipo
per
l'ultimo esame, disoccupata, single, con un taglio alla Imbruglia che
avrebbe fatto scappare ogni potenziale datore di lavoro e/o
spasimante, in tasca aveva solo spiccioli che sarebbero stati presto
sacrificati alla dea Yazawa, la sua mangaka preferita. Cena per modo
di dire, maglietta rossa aderente, jeans chiari stropicciati.
Sembrava un semaforo: perfetto.
Spense
il PC dove galleggiavano un solitario, una foto di Auteuil e un
texture processor. Le cadde l'occhio sul borsello del trucco, che
stava ormai per denunciarla per abbandono, e si concesse una
ritoccata, però in tinta. Va bene il semaforo, l'arcobaleno
no. Sembrava che stesse andando ad un incontro col destino, della
serie principe azzurro o vincita al lotto. Ma no, era la solita
serata in sezione.
John
arrivò quando aveva letto due volte il suo fumetto e
riempito
due fogli di graffiti sinistroidi.
-
E' finita la festa a Londra? - salutò senza nemmeno alzare
la
testa.
-
Siiiiii - fece la bella voce sonora. - Ci siamo sentiti una mezz'ora
fa, tra poco arriva. E' leggermente distrutto, il nostro dirigente,
era quasi da solo a friggere pesce là dentro e ha messo in
discussione il suo rapporto con i compagni di città. Bella
testolina eh.
-
Friggere? Non c'erano dei chioschi? Dei chioschi privati?
-
Cooosa? Noi non privatizziamo niente. Figurati, hanno messo su un
capannone e ci hanno dato dentro. Sai che per fare la guardia allo
stand del sindacato, Ned Rowley ha dormito lì, nel parco,
con
lo spolverino beige arrotolato a fare da cuscino, e che nel mezzo
della notte ha cominciato a venire giù un acquazzone...
La
manifestazione nella capitale aveva impegnato Declan per più
di un mese. Non aveva una gran fiducia nelle capacità
organizzative della federazione di contea, ma quel poco che ne
restava era stata spazzato via dai fatti. Ci sarebbe stato da aprire
l'ombrello per ripararsi dai fulmini, sbraiterà tutta la
sera,
pensò. Beh, meglio così. Lo adoro quando ha
ragione.
Speriamo
che arrivi subito, rifletté ancora; o che venga Richie, o
Auburn, altrimenti John comincerà a chiedermi come va la
scuola, come se fossi alle elementari... però se il discorso
fosse proseguito sul filone "festa di Londra" non le
sarebbe dispiaciuto. Parlare di Declan era in un certo senso meglio
che vederlo: come un bambino che adora le fiabe, e vorrebbe che la
mamma stesse ore e ore accanto al suo letto ad aprirgli mondi
fantastici e orizzonti magici, ma la razionalità
già
formata nella sua mente sarebbe terrorizzata di trovarsi davvero di
fronte ad una strega malvagia, ad un orco, o anche ad una fata,
perché sa che non dovrebbero esistere, nel suo mondo, dove
mangia e dorme e fa i compiti e gioca a pallone. Sa che non
è
roba per lui, perché per lui c'è la famiglia e
gli
amici e persino il dentista cattivo, e la maestra antipatica, ma
niente magie o draghi. Così Laura vedeva la sua passione
crescente come un errore gigantesco, un pasticcio organizzato dal
signor Freud anima gioconda. Non era per lei, non si doveva fare. Non
perché glielo aveva proibito la mamma, ma perché
faceva
paura, faceva parte di quella dimensione ignota e oscura chiamata
Fantasia Perversa, anche se poco c'entrava con il sesso. Laura voleva
alimentare una Fantasia Perversa? N-no. Aveva avuto un ragazzo alle
superiori, un batterista punk con una cicatrice di due centimetri
sotto il naso
(Hare)
Era
stata la bambolina privata di un giovane dalle squisite fattezze
orientali
(io)
e,
se non fosse partita, la cosa si sarebbe fatta seria, perché
ormai noi...
Ma
erano appunto Storie Adolescenziali. Il punto non è che cosa
faceva, ma con chi aveva in mente di farlo. Per molta gente, tra cui
sua madre, Richie e il suo super-io, una ragazza dai diciotto anni in
poi può avere tutte le esperienze che vuole, se a) sta
lontano
dalle droghe pesanti b) usa gli anticoncezionali c) non indossa nero
e blu assieme. Ma la regola segreta, quella che non si insegna a
scuola ma si apprende già nell'utero, vieta di desiderare un
uomo maturo, tanto meno erano da considerare quelli avvizziti.
Ricapitolando: Declan era off-limits. Quarantasei meno ventuno uguale
venticinque. Facciamo ventiquattro e mezzo, ma sempre osceno, vero?
"No,
non c'è proprio niente di osceno." (istinto contro
comportamento appreso: sbang! bum! crash!)
"Se
c'è un motivo per cui devo cancellare questo sentimento,
andava ricercato nella presenza di una donna chiamata Chloe, brutta
come la notte ma che ha dei punti in più di me. Nel fatto
che
non ho speranze: ma, per la miseria, ho la certezza di volergli un
bene dell'anima."
-
Allora, la scuola come va? - Puntuale. Interrotta dalla sua
riflessione, stava per rispondere, anzi grugnire, quando Auburn fece
il suo ingresso, sottile e sorridente. Restò un poco
allibita
alla vista dei suoi capelli, ma non disse nulla. Chiese a John se
avesse controllato la casella di posta e se ci fosse di nuovo "quella
caterva di messaggi": sì, ovvio, Declan tormentava tutti
con la commissione ambiente e la raccolta differenziata fino a farti
sentire in colpa... La settimana prima c'era stato un nuovo iscritto,
e prima ancora del nome gli aveva chiesto l'indirizzo e-mail.
La
sera che l'aveva accompagnata a casa, non era successo niente di
ciò
che temeva; lui si era messo a parlare degli interventi alla
riunione, senza degnarla di un'occhiata. Guardava la strada, per
fortuna: per un attimo Laura aveva pensato che avrebbe tirato fuori
tutti quegli appunti, ma si ricordava tutto e aveva continuato a
parlare, e gli attacchi all'inceneritore in periferia avevano il
suono di una musica
e
con il naso che premeva sul finestrino Laura vedeva il guard-rail, il
fiume, il cielo
(No
no they can't take that away from me)
e
si era sentita così bene, cullata dal ronzio del
riscaldamento
e dalla voce di Deke.
Alle
dieci ancora non era arrivato nessun altro. Auburn aveva tirato fuori
un progetto per una rassegna di film nella piazzetta del municipio.
John era al telefonino, (la sua amante, avevano ridacchiato) e non
sembrava avere intenzione di terminare la chiacchierata tanto presto.
Ad un certo punto era uscito a camminare avanti e indietro, e le due
donne rimasero al tavolo senza parlare finché non si
aprì
di nuovo la porta e il suo cuore prese a battere più forte.
-
Kaufmann!
Il
cerchio era chiuso. Potevano mettersi a litigare, leggere ognuno per
i fatti propri, poteva anche non guardarlo per tutta la sera, ma
c'era, e per lei se c'era lui c'era tutto.
Compagno
Kaufmann, tesoro.
Come
al solito si mise a cercare il giornale, e dopo aver passato in
rassegna vari numeri arretrati del New Worker chiese dove fosse
"quello di oggi, merda, voglio vedere cos'hanno osato dire su
chi si è fatto un mazzo così per tutta
l'estate...".
Alle
loro scrollate di spalle andò a cercare nello stanzino della
caldaia, dove tenevano anche gli striscioni e altre cianfrusaglie,
oltre a un vecchio computer e alle foto di gruppo.
-
Io non ho scritto niente di brutto su di te! - chiarì
Auburn,
che da qualche tempo infatti collaborava anche con l'organo nazionale
del partito. In quel mentre John rientrò.
I
lampioni in Scholar Street funzionavano a singhiozzo, e quella sera
ne era acceso solo uno all'inizio della strada. Fu perciò
naturale volgersi verso la luce improvvisa che passava dalla porta a
vetri. Le ombre si mossero velocemente: videro il martello, e un
istante dopo John si teneva la spalla sanguinante fissando sbalordito
la porta in frantumi.
-
Nazisti bastardi! - ebbe il tempo di dire prima che comparisse di
nuovo la luce, e videro che era carta fiammeggiante, con i pezzetti
bruciati che svolazzavano. Poi, un altro fagotto. E fumo, rumori di
fuga, e lo scoppio.
Per
fortuna, Laura non aveva fatto in tempo ad alzarsi, così
cadde
dalla sedia senza gravi conseguenze rotolando sotto il tavolo.
Strinse gli occhi, e pensò: ma non siamo negli anni
quaranta.
Immagini dei libri di storia. Un poco di raziocinio. John voleva dire
neonazisti, certo, teppistelli imbevuti di stronzate. Forse
più
giovani di lei.
Gridò
il secondo nome che le veniva alle labbra.
-
John! - Sì, il suo grido era una menzogna.
-
Laura. Dimmi dove sei.
Era
ancora là sotto? Il fumo l'aveva trasportata agli albori del
mondo, come in It? Non osando aprire gli occhi, si trascinò
finché sbatté un fianco contro una gamba del
tavolo. A
questo punto si tirò su. Qualcuno le afferrò un
braccio
e si lasciò guidare all'aria aperta, sull'asfalto freddo
dove
si sedette frastornata. Auburn era sdraiata accanto a lei. Aveva
perso i sensi, ma John sembrava non preoccuparsene. Solo quando
qualche minuto dopo si riebbe, lui le soffiò in faccia - un
gesto stranissimo che Laura non dimenticò - e constatata la
reazione positiva, non si occupò più di loro.
Non
c'era un vero e proprio incendio, perlomeno non verso l'esterno. Era
crollata la parete di cartongesso che divideva la sala riunioni dal
piccolo ufficio, e la polvere aveva spento buona parte delle fiamme.
Ma nella stanzetta della caldaia le pareti erano ricoperte per
metà
di perlinato ammuffito, e proprio là il fuoco aveva
resistito.
Sentì John e Richie parlare concitati (quando era arrivato
Richie?), erano d'accordo ad allontanarsi aspettando i soccorsi, ma
lei era ormai lucida e quanto mai pericolosa per se stessa. Mi stanno
prendendo in giro? Non gliene importa nulla? E' tutto un assurdo
scherzo? Declan è LA' DENTRO! La caldaia sta per scoppiare,
e
Declan...
Sentiva
le sirene che si avvicinavano... stupidi anche loro! Non faranno in
tempo! Si accorse con orrore che non era affatto uno scherzo, John
era al telefono con la sua amante o con chissà chi e non
aveva
proprio visto arrivare Kaufmann... non le avrebbe creduto... non
faranno mai in tempo...
Era
dentro. Contava i passi tenendosi aggrappata al muro. Si sentiva
svenire, ma resisteva. Non le importava di morire, ma se l'avesse
lasciato succedere non avrebbe potuto salvare l'unica persona che
meritasse di vivere. Sì, in quel momento avrebbe preferito
che
il mondo scomparisse, che lei stessa svanisse nel nulla, piuttosto
che fosse accaduto qualcosa a Declan. Voleva bene a sua madre, a Dot,
a me, a Auburn, a John a Richie e persino a Drew. Ma per il suo amore
li avrebbe mandati tutti all'inferno. Esattamente dove si trovava
ora.
Inciampò
nel gradino sulla soglia della stanzetta e si ritrovò lunga
distesa di fronte alla libreria. A differenza della sala, qui il fumo
non era altrettanto denso, quasi il fuoco lo divorasse
anziché
emanarlo. Così lo vide. Gli scaffali in basso gli erano
crollati sopra. La vecchia macchina da scrivere che tenevano sul
terzo ripiano sembrava esserglisi incastrata nel petto. Se è
morto, decise, resterò qui. I parenti si consoleranno, ho
letto l'ultimo numero di Nana, posso andarmene. Ma cambiò
subito idea. Aveva voglia di arrostirsi lentamente, bene, poteva
farlo da sola, ma non aveva il diritto di decidere per lui. E poi, se
c'era ancora una speranza...
Non
era fisicamente in grado di tirarlo fuori: Deke pesava novanta chili,
e i suoi muscoli erano flaccidi in maniera imbarazzante. Tesi.
Salvare Declan non era una questione fisica. Antitesi. E la sintesi
si dispiegò tra la fame d'aria e lo sforzo immane.
Centimetro
dopo centimetro.
All'ospedale,
dove si svegliò, per la seconda volta inghiottì
il suo
nome. Ma questa volta non ne propose un altro. Non ne esisteva un
altro.
-
Non voglio sapere niente. Non voglio vedere mia madre. Ditemi solo
quanto dovrò stare qui.
Oh,
non più di due giorni, per gli accertamenti del caso. I
loro.
Lei non volevo essere sicura di nulla. L'indomani sera era sul treno.
Sua madre l'aveva vista solo addormentata, e aveva lasciato dei
vestiti puliti. Una gonna a fiorellini fitti (non era in grado di
indossare jeans, per una lieve ustione su una gamba) e un twinset
quasi estivo. Tremava dal freddo e dallo stordimento. Ma più
di tutto si sentiva svuotata dentro.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 - Laura is back again ***
Dot
aveva aperto il divano letto dove avrebbero dormito insieme per quasi
un anno. La definì "rifugiata politica" e non
toccò
mai l'argomento. Era senza documenti, ma siccome questa era la sua
vecchia città, sarebbe stato molto più facile
procurarseli.
Lei
era sempre fidanzata con quel compagno di Manchester (anche se non
vivevano più insieme), ma in quanto a destra e sinistra, le
distingueva solo mentre guidava. In quell'ultimo periodo si erano
sentite raramente, ma era sempre una grande amica. Su una mensola in
cucina faceva bella mostra di sé il loro principale
interesse
comune, l'opera omnia della Yazawa: incluso l'ultimo numero di Nana.
L'ho letto e ora posso anche morire, ricordò, ma Dot non
gliel'avrebbe perdonato.
Così
visse. Lavorava quattro ore al giorno e preparava gli ultimi esami.
Si iscrisse persino ad un corso di Web design. Pagava metà
della bolletta telefonica per l'accesso a Internet (l'appartamento
era di proprietà dei genitori di Dot, quindi non c'erano
altre
spese) e metà delle provviste. Mangiavano da scoppiare,
facevano jogging tutte le mattine sulla spiaggia - la nostra
città,
S..., era sulla costa orientale - passavano le serate a chattare e a
bere con gli amici. Ascoltavano molta musica. Le atmosfere cupe di
Nick Cave, il pop nostalgico dei Fastball, la rabbia meravigliosa dei
Linkin Park. Tutto le affascinava. Ma per fortuna Dot detestava il
jazz. Una sola canzone di Cole, un solo swing, e Laura sarebbe
crollata.
Riprendendo
a frequentare la vecchia compagnia, una sera ci rivedemmo. Per me non
fu affatto una sorpresa, in realtà: io sapevo. Sapevo che
cosa
era successo perché la mattina dopo l'attentato, mentre ero
sotto la doccia, avevo sentito squillare il telefono, e poi mia madre
che piangeva, e alle sette papà aveva preso l'auto per
andare
al lavoro e lei non sapeva come arrivare all'ospedale, allora avevo
chiamato Hare che ci aveva portato in macchina fino a C., e meno di
una settimana dopo i miei genitori si erano lasciati definitivamente,
e mamma era rimasta ad abitare in casa di mio fratello.
E
sapevo come era andata a finire: se avevano preso i nazisti bastardi,
se ne aveva parlato il Times (lei non lesse mai un giornale dal suo
arrivo, per quanto ne so), e poi c'era il se più grande,
più
tremendo, il se che per lei doveva restare tale. Mi
scongiurò
di tacere, e tacqui. Anch'io attendevo notizie da C., ogni giorno, e
ogni giorno erano sempre più confuse. Laura aveva bisogno di
certezze, vero? Sarei stato la sua.
Will
you take my heart away
from
this crazy mind of mine
before
I get full awake?
if
you can't, well, lead me astray,
after
all, I'm never fine:
let
your love be my next ache!
Finché
rimase a S., Laura tornò ad essere il centro della mia vita.
Ma quante cose erano cambiate?
Lei
aveva adesso lo sguardo di chi ha già incontrato il proprio
destino, e ne è stato trascinato lontano. Era sbocciata una
bellezza struggente sul suo viso, che forse soltanto io riuscivo ora
a vedere. I suoi capelli ora erano di un celeste chiaro, più
lunghi. Si era fatta fare un piercing sul sopracciglio. Era
trasandata come un tempo, se possibile. Ormai ero del tutto - oh -
innamorato di lei. Aveva tutto il fascino di cui mi parlava Hare
mille anni fa, completo e irresistibile, era caricata da una passione
che nulla aveva a che spartire con il gioco o la curiosità.
E
io sapevo di goderne senza avere alcun merito. La situazione si era
invertita: un tempo mi ero preso Laura perché non potevo
avere
Dot, per cui tra l'altro non provavo che un'infatuazione, e adesso
ero io a rappresentare uno sfogo, un riparo conosciuto che le
permetteva di lasciar fuori il dolore e riprendersi il passato con
gli interessi.
Non
avevo mai considerato Declan un uomo tale da attirare particolari
attenzioni da una donna. Immaginavo ovviamente che non fosse
più
vergine da tempo, di certo da prima che nascessi io, così
come
lui lo pensava di me. Ma che una donna, appunto, anzi una ragazza di
ventidue anni - potesse provare un sentimento così forte nei
suoi confronti da rischiare la propria vita per lui... che questa
ragazza fosse Laura... beh, la cosa mi sconvolse parecchio. In
secondo luogo, cosa sapevo di questo sentimento? Cosa mi aveva potuto
raccontare John, quell'unica volta che ero andato a C.? Laura non si
era per niente confidata con lui. Faceva delle ipotesi. Era nello
shock più totale, si attribuiva delle colpe inesistenti; non
concepiva come Laura avesse potuto agire con un tale coraggio e poi
lasciare la città senza dire una parola,
sennonché...
sì, ammetteva di essersi accorto del modo in cui lei
guardava
Declan. "Ma davvero" mi disse "Credevo fosse una
sciocchezza. Doveva per forza essere una sciocchezza, non c'era altra
spiegazione" (da parte sua, non era al corrente dei miei
rapporti con lei, perciò me ne parlò come di una
persona a me sconosciuta) "Io l'avrei fatto per la mia donna. Ma
mi vergogno a dire che, per qualunque altro, sarei andato a cercare
aiuto". Disperava di ricostruire la sede, di trovare la forza e
la motivazione, nonostante la popolazione di C. si fosse dimostrata
solidale in un'accusa unanime nei confronti dell'accaduto. Su una
cosa sola manteneva un incrollabile ottimismo: sulla sorte di mio
fratello.
Anch'io
speravo e pregavo, pregavo non so chi, tuttavia non rivelai nulla a
Laura. Lei ballava ai concerti e si ubriacava con me e facevamo
l'amore, fino in fondo e non più distrattamente, certo, e
aveva ormai solo un esame che la separava dalla tesi, ma ero
consapevole che solo un filo sottile le permetteva di tenere insieme
i pezzi di se stessa. Questo filo si chiamava dubbio. Qualcosa di
meno della speranza, qualcosa in più della disperazione. La
mia decisione può apparire vile (così come alcuni
giudicarono tale la fuga di Laura a S.), ma non dite che non fosse
giusto che dimenticasse! Se il suo gesto tanto eroico si fosse
dimostrato perfettamente inutile, i suoi nervi avrebbero retto?
Proprio
perché tra Laura e me, in quei mesi, il nome di Declan non
venne mai pronunciato, puntai tutto sul mio potere di seduzione, sul
mio stato anagrafico, sulla nostra vecchia liaison (da non tradurre:
a quei tempi sconsiderati, mi vedevo molto Valmont). Ero orgoglioso
di lei, del suo coraggio; e anche di me stesso, perché
questa
volta la sceglievo, la sentivo mia. Erano finiti i pomeriggi in cui
le rinfacciavo i nuovi difetti che ero riuscito a trovarle, quando ad
una festa la lasciavo in una stanza a rivestirsi in lacrime, quando
le promettevo performances strabilianti in cambio degli appunti di
letteratura... c'era un sentimento nuovo che chi colleziona libri
antichi conosce bene.
Laura
è
il personaggio di un poema arcaico le cui avventure sono scritte su
carta sottile e friabile. I suoi versi sono stati composti nella
lingua di un'altra dimensione, di un altro tempo, ma che io ho avuto
il dono di comprendere per uno scopo preciso. E se fosse quello di
leggerla per sempre! Di tradurre ogni suo sorriso, ogni suo timore,
ogni suo istante di vita nell'amore di ogni giorno! Di essere il suo
uomo, accidenti...
non
è così. E ho una voglia tremenda di raccontarvi
quanto
è stato eccitante essere finalmente il suo ragazzo, ma mi
imbarazza pensare che Deke non abbia mai immaginato niente di tutto
questo... veramente, non ha mai saputo nemmeno che Laura e io ci
conoscessimo.
Ci
fu il suo esame finale e passarono due mesi di pioggia, e mi
arrivò
una lettera da Milano nel momento in cui non m'interessava
più
riceverla. Si trattava di un progetto universitario europeo; avevo
mandato la richiesta poco tempo dopo essermi iscritto ai corsi di
Scienze della formazione, e come la maggior parte dei miei compagni
di facoltà non ci speravo troppo. Per me l'Italia era un
sogno, il mito della mia adolescenza. E ora c'era anche Laura, e
tutt'e due le cose si erano fuse in una realtà
più che
plausibile.
Immaginai
di andare a vivere insieme laggiù, nella città
delle
banche e degli stilisti. Ci saremmo sposati, io sarei diventato un
educatore professionista, lei avrebbe diretto un giornale. Avremmo
passato le vacanze dai suoi parenti, nella campagna toscana, con i
nostri bambini, in un idillio senza fine.
Però.
Fosse stato semplice.
Non
pensiate che, anche se tra noi non si parlava mai dell'attentato,
Laura non mi avesse raccontato della sua vita a C. Al contrario, mi
disse tutto sulla scuola, sui lavori part-time che aveva fatto, e mi
descrisse persino le attività del partito, tralasciando
naturalmente l'argomento
(Declan)
che
la tormentava. Ma sentirla parlare di John, con l'affetto e il
rimpianto che metteva nelle sue parole, non poteva non ricordarmi mio
fratello. Così mi sentivo sempre più in colpa per
la
mia indifferenza nei suoi confronti, per i preconcetti che mio padre
mi aveva inculcato sin da piccolo e dei quali non mi ero del tutto
sbarazzato. Anche dopo la famosa manifestazione di C., anche se ci
eravamo per così dire riavvicinati, non avevamo un vero
rapporto. E questo non potevo imputarlo al fatto di vivere lontani,
alla differenza d'età, e in fondo nemmeno a mio padre... era
colpa mia.
Credevo
che essere, al contrario di lui, giovane e carino mi desse le chiavi
del mondo, ed ecco che la mia ragazza soffre per lui, e il suo
ricordo la stravolge e le impedisce di amarmi, perché lui
possiede il suo cuore, senza apparentemente aver fatto o detto niente
per conquistarlo, senza nemmeno saperlo. Questa è la
punizione
per aver sbagliato con entrambi, per tanto, tanto tempo. Ma che ad
essere punito sia soltanto io, allora! E che vengano buone notizie,
così da poter infrangere la promessa al più presto
(il
se più tremendo)
e
se questo vorrà dire perderla, posso sopportarlo.
Andrò
a Milano da solo, studierò quello che mi piace e
lavorerò
per quello che ho studiato, vedrò i posti che ho sempre
sognato di visitare e non rimpiangerò nulla, tranne lei, ma
va
tutto bene, è lei che deve avere tutto il resto.
Per
ora continuerò a firmarmi
Shin
Takezawa
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 - That's love at last... ***
La
piazza della stazione di C., il sabato mattina, gremita di famiglie
che cambiavano aria per il weekend, e che avrebbero affollato gli
autobus parcheggiati più in là o il treno per
Brighton.
Lei, invece, tornava: una rentrée in
grande stile, oh
sì, e indovinate chi era quel fesso del regista, da dove era
partita la telefonata che aveva fatto scattare l'operazione "Laura
è
rientrata alla base". E i salti mortali per farle avere quel lavoro:
come dire, gli applausi scroscianti dagli spalti, poi appena fuori
dalla visuale del pubblico, sbam, con i denti sul pavimento. Avevo
aspettato, con la coscienza imbavagliata e appesa al muro, tra una
frustata e una carezza, detestando lui e detestando me, prendendomi a
pugni in faccia ogni giorno, e infine augurandogli il bene e
regalandomi il suo contrario. Il tutto, infiocchettato alla
perfezione, badate, senza conoscere un briciolo dei suoi veri
sentimenti.
L'imbocco
del viale così familiare...
-
E' impossibile, - mi aveva detto - non posso tornare a C., neanche
per un'ora - e io, ve lo immaginate, a convincerla che era
un'occasione che-mica-capita-sempre,
-
Laura, ti preeeego! Ho già assicurato che saresti andata!
Non
puoi già pensare solo a quella tesi... ci tengono, ci
tenevano
che lo facessi io e non sono neanche all'altezza: non cercano mica un
professionista, tu sei perfetta, credimi...
Lei,
in lacrime, occhi sgranati
(non
hai capito niente allora)
-
Grazie, Shin, lo so che vuoi farmi superare quello che è
stato.
(come
hai potuto, mangiariso del cazzo)
-
Mi assicuri che anche se mi prendono...
-
Il lavoro è tuo in ogni caso e non ci dovrai tornare
un'altra
volta.
Perché
non andrai più via da C. Non verrai più da me.
John
stava con le mani in tasca davanti all'edicola, e la aspettava. Era
una giornata caldissima, eppure portava i suoi soliti calzini blu e
le scarpe da pensionato con i pantaloni a tre quarti che andavano
tanto di moda l'anno prima. In realtà lo riconobbe
principalmente da questo. Si era tagliato la barba e sfoggiava solo
un paio di baffetti sottili. Sembrava più giovane ma nello
stesso tempo il suo viso era stanco.
Una
volta le avevo detto che conoscevo John perché era stato
coinvolto in un'iniziativa della sezione universitaria (mi pare di
aver parlato di non so quali borse di studio che dovevano partire da
C.). Laura se ne ricordava, e capì parte del mio piano, in
quel momento.
Ma
più che il dispetto e la rabbia, fu il terrore che la
assalì.
Era davanti alla verità. Fuggire, poteva farlo. Ma fuggire
davanti a un amico? Davanti ad un compagno? Era finito il tempo dei
capricci: non si trattava di me o di Dot, che le concedevamo di non
guardare in faccia il dolore. John era
(l'autorità)
Basta,
basta! Lei era lì per lavoro, no? Era passato abbastanza
tempo. Era sfinita. Salutalo, si disse, e se ti racconterà
quello che non hai voluto sentire fino a adesso, lo dovrai accettare.
(ma
lui è qui proprio per dirmelo)
(tra
poco avrò gli accertamenti che)
(amore)
Lo
sguardo le cadde sul cartellone delle prime pagine. Lo distolse: per
un attimo credette di dover leggere la cronaca di quella sera.
(sono
passati dieci mesi)
No,
è stato ieri. Sente che quando sta per piovere John sente
dolore alla spalla, e che Auburn sente stringersi la gola se
più
di una persona fuma vicino a lei. Sente che Richie ringrazia il
destino di essere arrivato in ritardo, ogni volta che guarda suo
figlio. E per quanto la riguarda, la bruciatura sulla sua gamba
è
scomparsa, ma quella nel cuore, mai.
-
Che cosa credevi di fare?
-
Non volevo sentirlo. Non volevo saperlo!
-
Che cosa, Laura?
"John
è sempre lo stesso, non intuisce mai nulla. O vuole incidere
ancora più a fondo?" Le uscì solo un mugolio
inarticolato.
-
Che dici? Sei stata tanto coraggiosa.
MA
NON E' SERVITO A NIENTE!
Tutto
si ferma. John accenna ad un sorriso che sembra voler dire: ho
capito. E' un sorriso amaro che finalmente raccoglie tutti questi
suoi giorni disperati e li soppesa incredulo.
Si
gira verso la porta dell'edicola, fa un cenno con il mento.
-
Ragazzina! Ma non sapevi che l'erba cattiva è dura da levare
dalle scatole? E tu hai disertato la sezione per quasi un anno per
piangere questo topo malriuscito?
Il
cuore le fa male. Sa che è un dolore psicosomatico, ma
è
lo stesso vero che l'anima urla di gioia e sbatte in ogni cellula del
corpo, ubriaca. Non è scientifico, ma è vero. E'
vero,
quello che vede. Declan Kaufmann esce dal negozio e si avvicina. Ha i
capelli più lunghi e spettinati. Peserà venti
chili in
meno, zoppica leggermente.
Lui
è
(vivo)
Declan.
Era
stata così sciocca. Così vile.
-
La nostra piccola compagna. Ma dove eri finita: sarebbe stato
tremendo lasciarsi ringraziare?
La
sua voce era roca, di un tono inconfondibile. Fu allora che
capì
che non era un sogno, che non era un fantasma. Capì che il
miracolo era avvenuto, con o senza di lei.
-
Guarda, mi hanno rattoppato alla meglio. - Vedeva. Qualcosa in lei
continuava a gridare. - Non vivrò fino a novant'anni, ma
sono
qui. Ma che cos'hai? Faccio tanta impressione?
La
verità, amore? Sei la cosa più bella che abbia
mai
conosciuto. Forse un tempo il mio era davvero un complesso di Edipo
al contrario (come si dice, di Elettra?), ma in quest'istante io non
ho ventidue anni, tu non ne hai quarantasei, non siamo nemmeno in
Inghilterra. Tu sei la creatura che adoro. E tuttavia non posso
abbracciarti. Non devo.
Cominciò
a piangere: piano.
-
Hai visto, Kaufmann? Fai sempre soffrire le donne, vecchio balordo!
Con
questa frase John rischiò bene che Laura lo schiaffeggiasse.
Nascondeva gli istinti umani che pure provava dietro le sue battute
stupide, riduceva ogni cosa ad un luogo comune. Ma l'occhiata che
Declan gli lanciò colpì nel segno: si
allontanò
di qualche passo.
-
Non avresti dovuto andartene, sei ancora spaventata quanto me. Ti
devo la vita, Laura, ma a quale prezzo? Sei troppo giovane per
convivere con il terrore che ti leggo negli occhi. Se avessi potuto
impedirti di venire a salvarmi, vedendoti ora, l'avrei fatto.
Non
ce la fece a frenarsi. Gli prese il viso tra le mani, disperata. Fu
un tremito elettrico, un calore sconvolgente.
-
Io non potevo lasciarti morire! John non ti aveva visto entrare, e
Auburn...
-
Non è questo. E' solo che non riesco a spiegarmi quello che
hai fatto. Sono mesi che mi chiedo: l'ha fatto per me, o sperava di
non uscirne più nemmeno lei? E se la seconda ipotesi era
troppo crudele, la prima era troppo assurda. Ho risentito quella
canzone di Mark Dinning... scusa, tu non puoi ricordarti.
-
Teen angel. No, tu non eri un anello del liceo. Lo
sai che non
credo nella proprietà privata.
Era
un vecchio ritornello che ripeteva in sezione.
-
Però è vero che sono tornata a prendere la cosa
più
preziosa che avevo. Guarda caso, era il compagno più cafone
e
polemico del circondario...
Rise.
Era meraviglioso. Fu naturale allora cedere alla stanchezza e
appoggiarsi a lui.
-
E' quasi un anno che corri, Laura Gump. - Lo disse con la voce di Tom
Hanks, o perlomeno ci provò. Se mai gli infileranno un tubo
in
gola, anche Carreras dovrà ritirarsi.
-
Non capirò mai perché l'hai fatto, ma non puoi
sfuggire
alla mia gratitudine. Tu, e nessun altro, puoi... devi chiedermi
quello che vuoi. Non ho avuto pace fino ad ora. Ricordavo una
ragazzina che incontravo in sezione e ai concerti jazz in
città,
di cui non conoscevo neanche il cognome. E un giorno mi dicono
"è
stata lei a salvarti la vita". Come pensi che mi sentissi? Ho
rintracciato tua madre, e nemmeno lei ha voluto dirmi dove fossi.
Aspetta - e fece un respiro. - Non parlo mai così tanto. -
Allarmata, aprì la bocca per domandargli che avesse. - No,
tranquilla, è tutto regolare. Io non sto scherzando: se non
l'hai fatto solo per suicidarti, chiedimi di fare qualcosa per te,
qualcosa a cui tieni, no? Ci sarà un sogno che posso
esaudire.
Ce l'ho il fisico del genio della lampada, eh?
-
Tutto quello che voglio è che tu rimanga su questa terra per
sempre. Non riesco a trovare niente di più essenziale.
-
Uh! Che esagerazione! Bimba, ma questo non dipende da me. E poi mi
annoierei, ad un certo punto, no? Non hai letto l'Affare Makropulos?
- Laura annuì.
-
L'ho studiato al corso di recitazione. "Per l'amor di Dio,
Vitek...". Lo so, che non è possibile. Lo so e non voglio
saperlo. Ma c'è solo un'altra cosa che io desidero, e
potrebbe
non piacerti.
Non
dirglielo... lui non ti ha mai vista come una donna.
Lo
guardò: e non le importò più niente.
Così
vicina a lui come non era mai stata, conoscendo finalmente quel
calore elettrico, non poteva più farne a meno. Che lui
ridesse
di lei, sarebbe stato il minore dei mali.
-
Declan... io voglio essere tua moglie. Io voglio essere Laura
Kaufmann, lo desidero con tutte le mie forze.
-
E' un'idea tanto folle che ho una gran voglia di dirti sì -
sorrise. Ma si rabbuiò all'istante. - Purtroppo ho il cuore
troppo tenero per rovinarti la vita, e i polmoni troppo malandati.
Dovrei subire un'altra operazione, ma se non hai i contanti... beh,
sai come vanno queste cose. Mi hanno dato una bella pensione, ma non
so che darei per tornare a lavorare. Mia madre è venuta a
stare da me, e ha lasciato il mio fratellastro da solo in un'altra
città. Lui ha ventun anni e sono io quello che ha bisogno di
lei.
Laura
lo strinse più forte. - E io sono quella che ha bisogno di
te!
Se vuoi, come hai detto? Rovinarmi? Non devi fare altro che trattarmi
con indifferenza. L'unica cosa che mi teneva lontana era...
-
Che cosa, Laura? Accidenti, che cosa?
-
La morte! Se tu respiri in qualche angolo del mondo, non c'è
ragione di restare separati. E se avessi riflettuto meglio, avrei
dovuto capire! Finora sono andata avanti perché tu eri
vivo...
Oh, Declan! E' stato inutile, scusami!
-
Perfettamente inutile - rimbeccò John, con gli occhi lucidi.
Da quanto ascoltava? Dov'era finita la sua vena ironica? - Fatti dare
un consiglio, e poi, sht, sparisco. Ricordati di Chloe. E poi guarda
chi ti sta davanti, topo. - Si avvicinò a Laura e le
afferrò
il naso. - Tu non sparire più, eh.
Lo
videro allontanarsi lungo il viale.
-
Andiamo anche noi - fece Declan. - Non hai fame?
La
portò a casa sua. Era un appartamento in una trifamiliare,
dopo il ponte della stazione, in Whitham Road.
Mia
madre le diede un'impressione un po' strana, di dejà-vu.
Come poi seppe, questa sensazione aveva basi più che
fondate.
Non era mai stata a casa mia quando ci abitava lei, ma S. era un
paesone.
Laura
notò gli occhi verdi, profondi, del tutto diversi da quelli
di
Declan, in cui però brillava la stessa luce. I capelli erano
tinti di biondo, ma dalle sopracciglia capì che un tempo
erano
rossi. Una perfetta signora irlandese, pensò. E lei, chi
era?
Come poteva presentarsi? Ma ci pensò lui.
-
Mamma, lei è Laura.
-
Runaway?
- chiese Martha, con un tremito nella voce.
-
Runaway bride - rispose Declan arrossendo. Si era già arreso. Ancora non
credeva a lei, ma aveva fiducia in se stesso. Il suo cuore funzionava
più lucidamente che in altri uomini. In lui, i sentimenti
non
sbattevano l'uno contro l'altro rendendosi irriconoscibili... ma
salivano come boe rosse nell'acqua, solidi, reali. Era impossibile
non accorgersi della loro esistenza anche chiudendo gli occhi,
perché
rimanevano impressi sulla retina finché non li riaprivi e
sceglievi di accettarli. Da quel mercoledì sera, quando se
n'era andato un'ora prima della fine della riunione, e si era messo a
piovere ed era rimasto lì a bagnarsi, con la macchina a due
passi e le gambe che quei due passi non volevano farli, dandosi del
pedofilo e dell'Humbert Humbert, e aveva chiamato Chloe. Passando per
le innumerevoli volte in cui le aveva propinato i resoconti del
congresso di quell'anno e di quello prima e di quello passato ancora,
invece di avvicinarsi a baciarla. Mi piaci, Laura, senza troppe
fanfare. Ecco cosa le avrebbe detto.
Bimba,
per
me il matrimonio è sempre stato una grossa sciocchezza.
Avere
dei figli, poi, non mi sembrava giusto - per loro. Rischiavano di
somigliarmi.
Se
lo scorso ottobre invece di venire in sezione fossi rimasto a casa, o
a teatro o quant'altro, sarei ancora di quest'idea. Forse starei
ancora con Chloe. Non mi hai chiesto di lei: non me ne stupisco. Non
conosci la gelosia. Ti basterà sapere che non si
è mai
fatta vedere all'ospedale. Ero diventato scomodo.
Mi
dispiace di non poterti evitare altre sofferenze. Se avessi
immaginato quello che mi avresti chiesto... ma non torno indietro,
Laura, non sono un bastardo, ti darò tutto quello che posso.
Quanto al tuo primo desiderio, scusami, non rientra nelle mie
competenze. Domani la vita potrebbe regalarti qualcosa di molto
più
bello, e non sarò io ad impedirti di afferrarlo al volo.
Tu
non mi hai semplicemente salvato: mi hai rimesso al mondo. Se
qualcuno oserà rientrare in quelle stanze,
troverà
ancora il fantasma di un uomo senza amore. E pure sono qui. Piccola
compagna, sono tuo.
Declan
A
nessuno dei due, la prima notte, venne in mente di fare l'amore.
Restarono
in pigiama, abbracciati, aspettando che i cuori si sciogliessero.
All'alba si scambiarono il primo bacio. Poi lui si
addormentò.
Laura lo guardava, continuava a guardare il suo viso - per la prima
volta lo vedeva così com'era adesso ed era più
che mai
convinta, più che mai innamorata.
Da
quale di quei lineamenti prendeva vita il suo sentimento?
I
capelli rosso spento, spruzzati di grigio,
la
fronte un po' troppo alta, le sopracciglia dall'arco ondulato,
le
palpebre arrossate, il naso grazioso,
le
labbra sottili, il mento rotondo, le orecchie piccole. Un volto
niente affatto armonioso, niente affatto comune.
Pure
l'elettricità non si era ancora dileguata e Laura
sperò
che non accadesse mai. Di non stancarsi mai.
Ancora
continuò a guardare il suo uomo arrivando a cogliere la
causa
suprema - se non il mistero della vita - quello del suo amore.
-
Declan.
-
Laura.
-
Tu devi fidarti di me. Non devi pensare che debba finire.
Perché
qualcosa è cominciato, vero? Non lo fai per ringraziarmi?
-
Che dici? Però lo sai che non ti avrei toccata con un dito
prima. Quello che è successo... ha stravolto tutto. E'
rimasto
solo ciò che importa davvero. Mi importa che ti amo.
-
Sì?
-
Forse ti amavo già quando tu sospettavi soltanto di avere
una
simpatia per me.
-
Quando?
-
Dalla prima sera in sezione, temo. Quella frase che non ti ho
lasciato finire perché era così entusiasmante per
me
che tu la conoscessi. E poi quella notte - ti ricordi vero? - che
eravamo andati ad affiggere i manifesti davanti al municipio, e avevi
i tacchi che facevano rumore e ti sei tolta le scarpe? Ecco, ti sei
messa a fischiettare piano They can't take that away from me, e come
mi guardavi - mi sembrava tutto possibile, per un momento solamente,
però, perché non rientravi nel mio schema di
valori.
Ero terrorizzato anche quando ti stringevo la mano.
-
Mi sembravi indifferente, invece...
-
Che cosa? Sono proprio un bravo attore, allora! Io tremavo dentro, te
lo giuro! Mi sembrava ogni volta che John e Pete e Richie dovessero
definirmi un maledetto pedofilo. Ma adesso - adesso non voglio
più
farmi condizionare da queste...
-
Sovrastrutture?
-
Stronzate, era quello che voleva dire Karl, stronzate...
Lasciarono
che i sentimenti e il destino facessero il loro corso. Il paesaggio
non era più grottesco, non era più distorto, solo
a
tratti un po' offuscato o troppo luminoso. Erano lacrime di gioia che
le impedivano la visuale o il sole della sua presenza ad abbagliarla.
Piena
di energie, si presentò al lavoro (non ero stato
così
bastardo da mandarla in un posto fasullo): l'avevo naturalmente
descritta come una larva tremante, e le sembrarono tutti piuttosto
premurosi nei suoi confronti.
Dot
andò a casa di sua madre a portarle i vestiti e le altre
cianfrusaglie che Laura aveva accumulato durante la sua permanenza.
Per quanto ne so, fu l'ultima volta che si videro. Tagliare i ponti
con S. non era un punto d'onore, per carità, per Laura non
esisteva il mai dire mai: le situazioni estreme possono portarti dove
non penseresti, che sia uno spazio sconosciuto e lontano o i luoghi
della tua infanzia. Ma adesso, adesso - il suo mondo era di nuovo
quello opposto al mio, solo questa volta avevo dato una mano
considerevole a tale svolta. Era sicura che avessi rinunciato a lei
di mia iniziativa, aveva ormai capito che avevo organizzato tutto, e
non pensò proprio di chiamarmi. Mi scrisse solo due parole
in
un biglietto e lo diede a Dot. Ci credete che aspettai quasi una
settimana a leggerlo? E che mi decisi a farlo soltanto quando mi
arrivò la lettera di ammissione all'Università di
Milano?
1)
grazie
2)
scusa
L.
Erano
passati meno di due mesi dall'ultima volta che aveva fatto l'amore
con me: ma ora attendeva con rinnovato candore la sua prima volta.
Riprese
l'abitudine di andare a correre al parco quasi tutte le mattine.
Cominciava a fare davvero caldo, e il rosa e il bianco degli alberi
in fiore si andava trasformando in un verde intenso. Aveva sempre
preferito passare dalla strada del liceo, un tempo. Di fronte agli
edifici scolastici c'era un parcheggio, e sulla destra una stradina
che ad un certo punto sfociava in una galleria di cemento costellata
di graffiti, tra cui qualche breve scritta sua, in pennarello blu.
Era il suo angolo magico. Appena fuori, attraversava un ponticello di
legno e poi una breve discesa, ed era nei viali del parco. Da casa
sua, questa era la via più tranquilla, suggestiva e anche
più
breve.
Ma
ora faceva il giro più lungo, ogni volta. Arrivava quasi
alla
fine di Longthorne Street (che, dopo un miglio circa, diventava la
strada statale per K.) e svoltava in uno stradone periferico pieno di
curve e in salita, da dove finalmente raggiungeva l'entrata
principale dei giardini. Faceva così perché per
arrivare in fondo a
(Longware
Road)
quella
strada così tranquilla non c'erano traverse, si partiva dal
numero 1, e di fronte il 2, un bar minuscolo, il 3, e di fronte il 4,
un condominio con un grande giardino, il 5, e di fronte -
voilà,
(che
è successo qui dentro? Ohi ohi. Ma nessuno dà mai
una
ripulita? Volete un preventivo?)
-
Non è un problema di soldi, non solo - aveva detto John. -
E'
che non è più un posto sicuro, Pete è
convinto
che ormai la struttura del palazzo sia precaria, prima o poi il
proprietario lo farà buttare giù e non
c'è
motivo di piagnucolare...
Erano
tutti a casa di Richie, ad assaggiare il vino che i parenti di sua
moglie avevano mandato come tutti gli anni dalla Francia.
Auburn
non si trattenne.
-
E il locale di tua zia, allora? Te lo tieni stretto? Non l'hai ancora
detto a nessuno, scusa, però...
John
scosse la testa. - Non mi tengo proprio niente. Ma devi farmi i conti
in tasca?
Richie
chiese di cosa stessero parlando. Auburn raccontò:
-
Un paio di mesi fa è morta una zia di John che viveva a
Manchester. Era, come dire, benestante, e gli ha lasciato un locale
commerciale. Ti ricordi la merceria di Devon Square, Julie?
La
moglie di Richie rise. - Eccome! Non mi dire che quella signora con i
capelli di due colori era tua zia!
John
strinse le spalle. - Non puoi ricordartene, dovevi essere appena
nata. Te ne avrà raccontato tua madre! Ha chiuso il negozio
nel... dunque, trent'anni fa, nel '74.
-
Quando io andavo già alle scuole superiori, caro compagno...
ho solo quattro anni meno di te. Ma se era un complimento, beh...
-
Fissò il bicchiere che teneva in mano. - Io non intendo
tenermelo per guadagnarci su. Sto bene come sto. Se questa cavolo di
proprietà fosse a Londra, la regalerei volentieri al
Partito,
con tutto il cuore. Ma qui a C. non se ne farà
più
niente.
Laura
lo guardò come se avesse appena detto una bestemmia. - Io
credevo che non vi sareste arresi.
-
Non mi guardare come se fossi un traditore, bambina! Poi non abbiamo
alternative: il numero degli iscritti per quest'anno è
inferiore al limite. Di poco, ma tant'è. Quelli di Londra
avevano già chiuso un occhio nel '97, no? Adesso sono ben
felici di vederci in federazione, anzi... ma se vogliamo organizzare
ancora qualcosa a C. dovremo far partire tutto da laggiù. Io
non sono più il segretario di niente. E quel cazzo di
negozio,
Auby, sai che ci faccio? - Gli brillavano gli occhi, non di gioia, ma
neanche di tristezza.
-
Cosa, John?
-
Lo darò in gestione a qualcuno che se lo merita.
Laura
scoppiò a ridere. - E chi la vuole, una merceria? - Seduta
su
un bracciolo del divano, aveva le guance rosse dal vino, la gonna a
fiorellini di quando era partita. Su di lei, ora e per sempre, era
disteso lo sguardo paterno del compagno Farrell, oltre a quello
innamorato di Deke.
-
Che lavoro fai adesso, Laura? - chiese Auburn. Conosceva John da
troppo tempo per non aver capito dove volesse andare a parare, e ne
era orgogliosa.
-
Io? Creo siti Internet, cose così.
-
E lavori a casa? Non hai un cartellino da timbrare?
Laura
la fissò preoccupata. - Perché, non posso
più
prendere la tessera se lavoro per la globalizzazione?
Ci
fu un'esplosione di risa generale. Declan la tirò per i
capelli fino a farla cadere sopra di lui. - Cara! Piccola cara
ingenua! Ma che dici! - La baciava, e le faceva il solletico, e lei
rideva forte, come se non avessero nessun altro intorno. Ad un tratto
si rimisero a sedere composti, un po' imbarazzati. - Perché,
io non lavoravo per una multinazionale?
-
Ma non era una ditta di riparazioni? - fece lei.
-
Sì, ma avevamo una convenzione di esclusiva con il
produttore
per questa contea.
Auburn
le spiegò: - Tesoro, non è la tua condizione a
farti
appartenere a qualcosa, perlomeno non è più
così
da tempo. Sono le tue convinzioni. Non tutta la classe operaia la
pensa come me e come te, e non tutti gli impiegati la pensano come il
primo ministro. Vedi Richie - e il suddetto si alzò per
andare
a prendere un'altra bottiglia - è uno statale, e non per
questo si fa mettere i piedi in testa... comunque, ti volevo solo
proporre un altro lavoro part-time.
E
le chiese se voleva provare a scrivere qualche articolo per il New
Worker.
Laura
prese la cosa anche troppo seriamente: la sua prima obiezione fu che
"non era abbastanza ortodossa".
-
Infatti, per fortuna, il giornale non lo dirige John.
-
Spiritosa, Auby, proprio! Hai visto, Laura: la tua militanza
prosegue. Era ora che qualcuno mi desse il cambio... si dice che ho
idee troppo estremiste, basta, viva la Lode del Dubbio!
Laura
afferrò al volo la citazione come un dono prezioso. Chiuse
gli
occhi: - "Tu, tu che sei una guida, non dimenticare che tale
sei, perché hai dubitato delle guide! E dunque, a chi
è
guidato, permetti il dubbio!"
-
Brava! Ecco la lezione per John! - rise Auburn.
-
Cosa si declama mentre sono via? - disse Richie arrivando con due
bottiglie e il piccolo Kenny, svegliato dalle risate di poco prima.
-
Oh, niente, Brecht. - sbadigliò John grattandosi la testa. -
Ho dato le dimissioni ufficiali.
Declan
saltò su facendogli il verso: - Oh, niente, tascabili da
supermercato! Che bevi? Niente, Moët & Chandon! Che
ascolti?
Uh, niente, Víctor Jara...
-
Farrell, che cos'è questa storia delle dimissioni?
-
C'è che non esiste più una sezione a C., da tanto
tempo, e volevo farlo presente. Non fate i sentimentali, ragazzi.
-
Yo soy muy sentimental, por qué ella es
así...
-
Por qué ella es aquí,
compañero,
altrimenti non so dove saresti andato a parare.
-
Se parlate inglese, forse riesco a capirci qualcosa, John... - Richie
era esasperato, ed è dir poco, ma non perché non
capiva: aveva capito fin troppo e non gli piaceva per nulla.
Fu
un problema che Declan dovette affrontare a suo tempo. Se John aveva
ormai dato la sua benedizione, Richie era un osso duro. Il nocciolo
non era tanto riconquistare la sua stima - perché non aveva
davvero qualcosa da farsi perdonare, non stava affatto commettendo un
errore - ma convincerlo di avere le migliori intenzioni per il
futuro.
Tutto
questo perché le avevo risposto che nooo, non ero geloso,
non
me ne importava niente:
Mio
piccolo Seamus,
mi
scrivi che stai bene, che l'Italia è la tua dimensione, e
non
posso che rallegrarmene con te. Il dolce tormento di vivere con Deke
è rinfrescato dal sapere te felice e al sicuro; se poi mi
confermerai che, almeno laggiù, ti sia saputo tenere lontano
dalla politica, mi rasserenerei totalmente.
Deke
dovrà subire un'ulteriore operazione tra pochi mesi. Si dice
che questo potrà allungargli la vita di altri quattro,
cinque
anni, oppure... non farmi dire altro. Proprio adesso, non merita
altro che vivere la primavera che soffia su C. e sul suo cuore.
Qui
c'è un angelo, uno spirito buono, un elfo che sembra uscito
dai libri che gli leggevo da bambino: una ragazza. La tua Laura
Bradley, che ha salvato Deke dall'inferno, che l'ama come io amavo
suo padre. E che, penso, ha voluto bene a te come io ne volevo a tuo
padre. Non credo si possa chiamare destino, mi aggrapperei piuttosto
a Goethe quando parla di affinità elettive. Mi ricorda tanto
com'ero io da giovane! Credevo che dare amore fosse l'unico scopo per
cui vivere, e lo crederei ancora se Ernst non mi fosse stato
strappato via... Dio mio, sono quasi quarant'anni! Eppure ancora,
come se fosse ieri, le immagini delle nostre ultime ore insieme
lampeggiano davanti ai miei occhi ogni notte senza lasciarmi dormire.
La vita si ripete, ci ripresenta un copione che, sai già,
reciterai alla perfezione, se non vuoi finire in manicomio.
C'è
sempre una seconda occasione, che a volte è mille volte
migliore della prima e altre volte è una minestra insipida,
ma
sempre meglio di niente. Allora sarò sincera: diciamo che
un'occasione, con lei, tu l'hai già avuta. Spero che non
cercherai di rivederla, quando tornerai in Inghilterra, anche
perché
lei non sa assolutamente, e non saprà certo da me, che tu e
Deke siete fratelli, e tanto meno Deke deve venire a conoscenza dei
vostri rapporti a S.
Ti
sembro crudele? Credi che non ti voglio bene perché non sei
figlio di Ernst? Ma sei mio figlio, Seamus. Sei una parte di me. Se
ti ho dato questo nome che odi tanto, è stato per ricordare
a
tuo padre che non mi avrebbe mai trasformata nella sua geisha: e che
avrei fatto di tutto per crescerti a modo mio. Ma in me non c'era
odio; la sentivo una sfida leale tra due persone adulte che si
stimolavano e attraevano a vicenda. Una schermaglia dei sensi, per
dirla con Shakespeare. Solo quando ho percepito la profonda gelosia
di Yasu nei confronti di Deke, ho compreso quant'era meschino. E
ancora non lo disprezzo e sono grata a Dio di aver fatto una parte di
strada con lui, perché su quella strada sei nato tu.
Un
abbraccio, tesoro,
mamma
Com'era
ovvio la madre di Laura non reagì affatto bene alla notizia
del fidanzamento. Immaginava che a S. ci fossimo rimessi insieme,
sperava che non tornasse, soprattutto dopo che Declan aveva
cominciato a chiedere di lei. Che Laura prendesse una cotta per un
uomo di quarantasei anni, era una tragedia, che se ne innamorasse,
peggio ancora; che l'uomo in questione fosse ora un invalido a vita,
una catastrofe - ma che il famigerato volesse incastrarla, era una
violenza inaudita, più di quella che i neonazi gli avevano
inflitto! Quasi se l'era meritata, il vecchione, con le sue idee! A
queste parole, Laura riprese le valigie appena disfatte,
recuperò
le sue cose e cominciò a vivere la sua vita, la sua storia,
non più come una ragazzina disturbata, ma come una donna
vera... a dare tutto ciò che aveva all'uomo per cui era
nata.
Come milioni di donne prima di lei. Com'è scritto nel codice
genetico. Come raccontano pagine e pagine di libri antichi e moderni.
Entrava nell'età della ragione con tutto il corpo ancora
intriso della follia della giovinezza. Luccicava nei suoi capelli di
un azzurro ora scolorito, splendeva nei suoi occhi in spicchi di luna
verde, ed era questa luce tutta speciale che avrebbe incastrato Deke.
Andava incontro alla vita, ma anche alla morte, perché pare
retorico, ma ogni nostro passo ci avvicina alla fine, e
perché,
per quanto sia bella la terra che attraversiamo, più ancora
sarà profondo il baratro oltre le colline. Era lo stesso
brivido che l'aveva pervasa quando, quattordicenne, divorava sotto le
coperte edizioni economiche di Poe e Leroux e Maupassant, o mentre,
quell'inverno, giocava a carte con Dot fino a notte inoltrata,
ascoltando il White Album e le Murder Ballads di Cave: ma questa
volta era la sua canzone, sua e di Declan, l'uomo che aveva scelto
nell'attimo stesso in cui le aveva detto "je suis marxiste,
tendance Groucho" e la primavera si affacciava timida al suo
arrivo a C. Una canzone che andrebbe ascoltata con cautela,
ricordandosi che verso la fine c'è quel nastro rovesciato e
Lennon dirà che Paul è morto, ci manca, ci
manca...
Dei
giorni oziosi dopo l'operazione rimangono tanti fogli scritti fitto
fitto. I medici gli avevano proibito di parlare per un mese. Per sua
scelta, si fece silenziosa anche lei, seppure questo le costasse
molto.
"Che
tipo è tuo fratello?"
"Cos'è,
vuoi farmi ingelosire?"
"Insomma!
E' che potrei conoscerlo, ho abitato tutta la vita a S... Potrebbe
persino essere un mio compagno del liceo"
"Con
cui magari hai flirtato per tutti e tre gli anni... grazie, non
voglio saperlo"
"Al
liceo non ho mai flirtato con nessun compagno di scuola. Semmai mi
prendevano in giro perché studiavo troppo"
"Lui
non ha mai studiato troppo, per quanto ne so. Ma ha una vera passione
per l'Italia e ora frequenta l'università a Milano. Pare che
laggiù chi non ha voglia di lavorare possa rimanere a scuola
finché non si sposa, e lui ne ha approfittato"
"Mio
nonno è italiano. Te l'avevo mai detto?"
"Sono
tante le cose che non so di te, ma che importa? So quello che conta"
"Che
ti amo?"
"Che
mi ami, anche se non riesco a capacitarmene. Mi sembra un miracolo"
"Ne
stanno capitando parecchi"
"Già.
Sto quasi pensando di rinnegare il mio spirito laico. Un giorno
potrei farlo. Dopotutto, un secolo fa stavo per diventare rabbino"
"Un
rabbino comunista! Che buffo! Però tua madre è
cattolica, no?"
"La
religione della mamma è la crema antirughe"
"Sei
spietato. Mi piaci... Ma dimmi solo come si chiama, tuo fratello"
"E
si innamorò non appena lesse il suo nome... rischio? Si
chiama
Seamus. La mamma è molto tradizionalista, in queste cose.
Così
quando ci presentiamo la gente sente odore di trifoglio e ci
controlla le orecchie"
"Non
saprei neanche pronunciarlo"
"Lascia
perdere. Non lo devi mica chiamare"
"Declan
ha un suono così dolce. Quando Richie mi ha parlato di te la
prima volta, mi aspettavo proprio un folletto vestito di verde. Un
folletto molto carino, però" (seguiva schizzo a penna)
"Da
piccolo mi chiamavano Deke. Un po' troppo americano, vero? Quando me
ne sono reso conto, ho proibito a chiunque di usare quel nomignolo.
Ma esageravo"
"Si
dà il caso che lo trovi delizioso, e ti chiamerò
così
anch'io, brutto... fondamentalista!"
"Coerente,
tesoro, soltanto coerente... ma lo sai che una volta di politica non
volevo sentirne parlare? Ed eccomi martire per il materialismo
storico. Mio padre non sarebbe stato per niente fiero di me. Mi
affascinava l'idea di non avere patria in quanto proletario... nel
mio caso, poi, calzava a pennello: non saprei dire se sono irlandese,
tedesco, ebreo, inglese, e se sono inglese ci sarebbe da decidere se
basarsi sulla residenza che ho qui o sul dialetto in cui bestemmio"
"College
di Blackpool, previsti stage full-immersion in moli prestigiosi.
Inserimento in azienda con tutor capo-scaricatore. Contributi europei
di frustate garantite, sbobba e branda incluse"
"Laura,
perché io? Perché non Drew..."
Non
credeva. Non concepiva ancora come potesse amare lui, lui e non
qualcun altro.
Deke
ora ricordava la prima estate senza suo padre.
Il
Merseyside gli andava a genio. Il porto e quell'odore di sale
putrido. Scendere alla spiaggia gremita di turisti, con indosso solo
uno slip, a piedi nudi, mentre i sassi aguzzi ti tormentano e hai
fretta di arrivare perché l'acqua ti chiama... e nuotare,
andare al largo e tornare con la marea, che lo deponeva sulla sabbia
e si ritirava come una coperta portata via dal vento. Il sole lo
asciugava, arrossandogli la pelle delicata. Guardava il cielo sopra
di lui, e si dimenticava di tutta la gente che aveva intorno, fissava
il niente azzurro pensando all'Irlanda e ai cuginetti e alla nonna,
ma più di tutto pensava a suo padre, rimpiangeva il suo viso
pieno di pace e la sua risata gentile. Finché qualcuno
cominciava a chiedersi se quel ragazzino obeso sdraiato sulla sabbia
umida con gli occhi fissi al cielo stesse bene, e gli dava una
bonaria scrollata che disturbava irrimediabilmente i suoi ricordi.
Ma
finché c'erano i turisti, e finché non
cominciò
la scuola, per Deke fu un periodo tranquillo. Fu a settembre, quando
la spiaggia si spopolò e solo i giovani autoctoni rimasero
per
gli ultimi bagni e gli ultimi giochi, allora sì, che fu
notato, da quegli stessi ragazzi che lo prendevano in giro nella
scuola appena iniziata, perché era grasso e aveva i capelli
rossi e aveva un accento strano (ma si sentivano loro?), e ora
sapevano anche che giocava da solo come i matti, venite, boys,
facciamogli vedere...
Sputi.
Sassate.
-
La prof ci ha detto che tuo padre è morto. Lo hai ammazzato
tu
cadendogli sopra?
-
Ma sei un cattolico del cazzo? Sei uno sporco cattolico del cazzo?
-
Io sono ebreo! - sbottava Deke in lacrime, consapevole di quanto
sembrasse ancora più ridicolo quando piangeva, ma non
potendone fare a meno - Mio padre l'ha schiacciato una macchina in
fabbrica per colpa dei padroni di merda, è chiaro?
Non
fu chiaro mai. Almeno finché non finì le medie,
sputi e
ancora sputi e altri sassi e altre parole che facevano male,
giù
giù...
-
Voglio andare alla chiesa di papà.
Martha,
neovedova e aiuto-segretaria in una piccola azienda che si sarebbe
ingrandita fino ad aprire la nuova sede a Londra (dove sarebbe stata
trasferita nell'82 come vice capo contabile e dove avrebbe conosciuto
un certo Yasuhiro Takezawa), ma soprattutto una madre e una donna
sola e spaesata, non poteva, ogni volta che notava in Deke una
somiglianza con il padre, non considerarla una benedizione.
Accettò
dunque di buon grado la scelta dell'ebraismo - anche perché,
di quei tempi e da quelle parti, era più facile essere ebrei
che cattolici) e gli preparava il panino al formaggio invece che al
prosciutto, sopportò gli scarponi da operaio in estate e si
adattò ai suoi silenzi, ed era una benedizione anche questa
perché era un figlio tranquillo ed educato e tanto
intelligente... Che fosse grasso, era un problema, certo, ma sua
sorella Trisha era tale e quale, all'età di Deke, e verso i
quindici anni era dimagrita in modo sorprendente. Era comunque
un'altra epoca. Si entrava negli anni settanta e c'erano decine di
dolci e snackerie assortite che qualsiasi ragazzino poteva comprare
per pochi penny, e se non glieli davi se li guadagnava con le
bottiglie vuote che trovava al porto la mattina presto. Forse la sua
era rabbia, una rabbia incontrollata che non poteva o non voleva
sfogare in altro modo, una smania di mangiare il mondo o,
più
realisticamente, un vuoto da colmare.
Che
dirgli?
"E
tu, perché sei nato con i capelli rossi? E perché
noi
siamo al sud dell'Inghilterra, al nord dell'equatore, sulla Via
Lattea? Perché io sono una ragazza, perché tu sei
un
uomo?"
"Anche
Drew è un uomo. Sa disegnare bene..."
"Specie
sui muri. Non mi piace proprio. Ha gli occhi da pesce bollito e si
mette nei guai troppo spesso. Tanto ci pensa Ned"
"Non
si porta la bombola in giro..."
"Si
porta la bomboletta! Allarme vittimismo. Urge trattamento intensivo"
"Mi
arrendo, piccola. Bandiera bianca"
"Bandiera
rossa! Hasta siempre, compañero
Kaufmann. Yo te quiero
mucho".
Changing
the grey
changing
the blue
scarlet
for me
and
scarlet for you
(G.
Pitney)
Mio
caro Seamus,
la
tua mamma è così fiera di te. Sapevo che da tempo
eri
diventato un uomo, ma quello che mi scrivi mi riempie di gioia e mi
fa ben sperare per il futuro di tutti noi. Perché un uomo
è
chi sa al tempo giusto accogliere l'amore tra le sue braccia, ma
anche rinunciarvi se se ne presenta la necessità. E in
questo
caso, vero amore non era, se sei felice come dici: e se mi hai tenuto
nascosto che non è proprio così, caro, le cose
sono
andate troppo avanti perché tu ti possa permettere di
cambiare
idea. Giorno dopo giorno sono sempre più sicura che Laura
non
prova per Deke una passione di ragazzina insoddisfatta o una sorta di
compassione o che altro... Seamus, lei lo adora, e se ti è
sembrato di cattivo gusto il paragone che ho fatto l'altra volta,
ecco mi dispiace, ma ne sono sempre più convinta: tra di
loro
c'è la stessa magia che provai io alla sua età.
Deke
sembra stare molto meglio. Per ora. Sabato scorso siamo stati al
matrimonio di quel suo compagno di partito che conosci anche tu, John
Farrell, e anche se non c'è stata nessuna cerimonia,
insomma,
niente chiesa - da vere teste rosse - loro due hanno fatto da
testimoni ed erano così eccitati da sembrare loro gli sposi,
e
a questo punto non ci sarebbe niente di strano se entro l'anno
decidessero di imitarli. Ma, caro, non te ne sto parlando per farti
star male, vorrei che tu capissi, è che se accadesse lui
vorrà
invitarti ma sarebbe fuori discussione... troverai una scusa
plausibile, allora? Saprai sacrificarti ancora una volta? Continuerai
a essere il mio piccolo grande uomo? Grazie, tesoro.
Ti
voglio bene,
la
tua mamma
Questa
lettera fu la prima di una serie, tutte identiche, tranne che per un
dettaglio: la supposizione era diventata un progetto più che
concreto. Lei inconsciamente, lui più lucidamente, sapevano
di
non avere tempo, che quel momento non sarebbe mai più
tornato,
e accorrevano verso quella luce tiepida fingendo di non vedere le
gelide terre che si estendevano al di là di essa. Avrebbero
potuto aggirare la luce, cominciare a coprirsi per affrontare quel
freddo che li avrebbe attanagliati di lì a poco, ma no, non
sarebbe stato lo stesso.
Furono
due stupide firme, un pezzo di carta, un quarto d'ora davanti al
sindaco di C.
Fu
una piccola rivoluzione.
Vestita
in blu, le punte dei capelli ormai scolorite,
Laura
Bradley, nata il 20 giugno 1981 a S.
divenne
ciò che da mesi e mesi desiderava:
Laura
Kaufmann.
Mentre
andavano al ristorante, Laura disse fra altre cose a suo marito, con
impeto:
-Non
morire mai.
E
mio fratello, trasformato in un attore di musical, intonò
serio serio:
-
Non chiederlo più.
Laura
scoppiò a piangere. Realizzava allora che quel giorno
sarebbe
dovuto essere una piccola rappresentazione di eternità,
mentre
la vita era tutt'altro che eterna, era uno scherzo, un flash, un
siparietto.
-
Scusa-scusa, shh, amore. Ok? Ok?
Lei
cercò di sorridere.
John,
che non guidava certo con le orecchie, fermò l'auto di colpo
preoccupando non poco Auburn e improvvisò una scenata
fingendo
un'indignazione da CCC.
-
Cosa devo sentire? Quel coglione demagogo di Webber? L'inno alla
moglie di un dittatore? Nella mia macchina?
-
Ti ricordo che Stalin non ci fece fare una gran bella figura.
-
Lo zio Joe sapeva quel che faceva! Il potere ti prende la mano...
è
un altro discorso. La...
-
La pjatiletka
e paparapà... uffa, John! E' un'opera musicale, e appartiene
a
tutti, no? Io mi sono stufato della tua ortodossia a tutti i costi.
Nemmeno Marx era marxista, lo sai?
-
Ma la volete piantare? - si fece sentire Auburn. - Buttate tutto in
politica, voi! Che c'entra questa volta?
-
Quel verso che ha cantato era di Evita, non l'hai
sentito?
-
E allora? Oltretutto a me il film con Banderas era piaciuto, ed
è
un'opera critica, mica un'apologia. Poi lui è un gran bel
ragazzo.
-
Ouh!
-
Tu sei ancora convinto che l'arte sia soltanto un mezzo politico.
-
Oseresti dire che non lo è?
-
Lasciati andare, un pochino, solo oggi! Ecco perché le
persone
inorridiscono quando sentono parlare di noi. Ma stiamo qui a
discutere? Rimetti in moto e sbrighiamoci!
Ragazzi,
non stiamo parlando di eroi invincibili. Declan era un essere umano,
come tutti si sentiva impotente di fronte alla morte e alla
sofferenza. Aveva dovuto rinunciare a parte della sua indipendenza,
al lavoro, alla prospettiva di una vecchiaia serena. Più di
tutto gli mancava il lavoro. Si direbbe: non è che il suo
fosse un mestiere esaltante. Ma a lui piaceva ugualmente, era la
dimensione che aveva scelto dopo aver lasciato gli studi religiosi:
aveva frequentato la scuola professionale ed era stato assunto dalla
famigerata ditta di servizi tecnici di cui parlai all'inizio.
Vent'anni di quella vita tranquilla, mentre la mamma si costruiva una
nuova famiglia a S. e i suoi idoli jazz venivano a suonare in
città
e con i compagni si protestava contro il nucleare. C'erano le donne,
naturalmente, quella Dottie che fumava anche a letto ma aveva delle
gambe strepitose (e ci era uscito per tre anni buoni senza riuscire a
lasciarla, finché lei non aveva trovato un altro), e
Charlene,
con cui era stato lì lì per andare a convivere,
ma era
una tory convinta e finivano sempre con il litigare per quel motivo.
E poi Chloe. Non è che ne fosse innamorato, ma andavano
quasi
sempre d'accordo. All'inizio. Avevano davvero tante cose in comune,
ed era così piacevole, dopo le riunioni, attardarsi in un
bar
pregustando il dopo-caffé. Però mai, in tutto il
tempo
della loro relazione, gli passò per la mente di chiederle di
sposarlo. E se avesse avuto ancora voglia (ma non ne aveva) di
scavare più a fondo, nemmeno lei l'avrebbe voluto.
Perché
il vero amore - ma anche la vera amicizia, se è per questo -
si fortifica nelle avversità. Chloe, così pronta
a
mostrarsi gelosa ad ogni occasione, l'aveva cancellato dal cuore dopo
i fatti di ottobre. Quando gli altri compagni della commissione
ambiente le avevano chiesto una spiegazione del suo comportamento
(non è per entrare nella tua vita privata, ma...) lei aveva
dato le dimissioni. Ora, può essere che la reazione di Chloe
fosse in qualche modo parallela a quella di Laura? Che tenesse
davvero a Deke, ma che anche lei in quel momento non se la fosse
sentita di affrontare una tale sfida? Tutto è possibile,
già.
Non sarò io a giudicarla. Ma tenete presente due o tre cose:
Chloe non era lì quella sera. Non aveva vissuto quei momenti
orribili. Se avrebbe reagito in maniera differente da Laura o meno,
sta nel limbo delle ipotesi, ma non c'era. In secondo luogo, allora
Laura aveva 22 anni, e Chloe 48: ciò che dovrebbe chiamarsi
una donna responsabile. Poi, lei aveva ben letto i giornali e
discusso il caso in federazione. Non era una questione di sapere - ma
di volere. Non volle, e la questione è chiusa.
Dov'ero
rimasto, a parte questa divagazione? Ah. Non si era certo illuso di
vivere a lungo, solo perché si sentiva meglio, e non avrebbe
fatto nulla per illudere la donna che amava. A costo di farla
piangere il giorno del loro matrimonio. Tanto, finché erano
insieme, quelle lacrime lui avrebbe potuto asciugarle.
Al
ristorante John non parlò per niente di politica, ma
consegnò
agli sposi, davanti a tutti, il regalo di nozze suo e di Auburn: le
chiavi del negozio di Devon Square. - Non è possibile -
disse
a Deke con le lacrime agli occhi - che tu debba rinunciare alla tua
dignità. Io non so proprio che farmene... e andiamo,
ragazzi,
vi verrà in mente qualcosa, no?
Lui
non capiva. - Dobbiamo riaprire il negozio di tua zia?
Laura
strabuzzò gli occhi e quasi si strozzò con la sua
fetta
di torta.
-
Ne riparliamo in altra sede, va bene? Però porca miseria,
Farrell, non so che dire!
Il
tizio del karaoke, Keith, che aveva lasciato cantare successi della
Houston ad una stonatissima Julie per tre quarti d'ora, cominciava a
dar segni di disperazione e si aggrappò al microfono:
-
Tocca agli sposi dare spettacolo! Sul palco i piccioncini,
coraggio...
Deke
si sentì smarrito. Poteva davvero cantare? Era passato
abbastanza tempo? Forse bastava non sforzarsi troppo... Incredibile,
non gli era mai piaciuto esibirsi da bambino. Perché era
grasso e goffo e aveva un'intonazione petulante. Adesso invece era
una sfida che voleva vivere fino in fondo. Sorrise, sistemò
una sedia vuota sotto il palco e prese Laura per mano. La fece
sedere, poi disse due parole a Keith... e gli uscì una voce
un
po' incerta, roca, ma intrisa di commozione, che inseguiva le note di
Yes sir, that's my baby.
La
ristrutturazione del locale occupava tutto il loro tempo. Era
già
aprile, avevano pagato due mesi di spese praticamente a vuoto, e
volevano aprire quanto prima. Pete si era assicurato l'appalto
gratuito della tinteggiatura, Drew quello dei murales che avrebbero
coperto le pareti e reso quasi inutile il lavoro di Pete (dallo
sguardo penetrante di Guevara nella sala da ballo alla silhouette di
Helene Wiegel
sul muro di fronte all'entrata, in modo tale da spaventare ogni
potenziale cliente), e Deke si improvvisò direttore
F&B
(anche se l'unico cibo per cui avevano la licenza erano i salatini).
Tutto ciò che le era permesso fare era contattare i
complessi
musicali e procurare i CD per l'intrattenimento pomeridiano.
Ovviamente solo tramite telefono, fax e Internet: Deke era sicuro che
una passeggiata al mercatino l'avrebbe uccisa... i ruoli si erano
invertiti, e invece di farla sentire oppressa, questa situazione la
divertiva molto.
Mise
un annuncio dei più classici su un giornale specializzato
per
cercare un barman. Il giorno stesso della pubblicazione si
presentarono una ventina di professionisti, dai trenta ai
cinquant'anni, che spedì a casa con un bel sorriso,
dopodiché
studiò un taglio diverso per l'inserzione, e la
portò
ad un settimanale giovanile. Aspettarono una settimana, e stavano per
disperare, ma non appena sentì la sua voce al telefono,
seppe
che Swann era il loro uomo.
Swann,
al secolo Ewan Julius Bates, aveva all'incirca l'età di
Laura,
dreadlocks biondi, una laurea in filosofia e un'autentica, profonda
passione per il jazz. Aveva lavorato part-time in vari circoli
privati, possedeva una buona manualità e autonomia, ma
ciò
che li spinse ad assumerlo senza pensarci troppo su fu un particolare
non trascurabile: era palesemente, simpaticamente gay. Qualunque
esemplare maschile sensibile al fascino muliebre avrebbe suscitato la
tremenda gelosia di Declan (questo era un lato del carattere di suo
marito che apprezzavo oltremodo. Sebbene mi fosse grata per aver
organizzato il suo rientro stellare, ora non avrebbe tollerato che il
suo uomo rinunciasse a lei: pretendeva che lottasse). Oltre a non
doversi più preoccupare di quel lato della gestione del
locale, aveva trovato un prezioso confidente.
Erano
giorni divertenti, nel loro cantiere musicale, anche se i preventivi
di prestazione dei musicisti e i cumuli di fatture facevano aumentare
la sua nausea regolamentare. Spesso dormivano sul retro, attrezzato
con un divano letto e una libreria: sullo scaffale di Laura
troneggiava l'opera omnia di Daniel Pennac, a nascondere I ragazzi
della 22a strada e Cose preziose.
Era
tutto così cristallino. Tutto era futuro.
Un
pomeriggio, Deke era appena rientrato da un'estenuante coda alla
Camera di Commercio per le ultime scartoffie, quando arrivò
John, ed era di nuovo come nella sua lunga parentesi da single, come
l'avevo conosciuto io, con la camicia stropicciata e la barba lunga.
Capirono, prima che potesse aprire bocca, che dopotutto avrebbero
dovuto rimandare l'apertura del club. Non sembrava dire "sono
venuto a darvi una notizia", ma "spiegatemi voi che sta
succedendo, perché io non capisco". Auburn si era
ammalata, e lui era perso, distrutto, disperato. Fuori
sembrò
farsi buio. Stava per mettersi a piovere, e le loro ombre erano
sempre meno nette, mentre l'angoscia si faceva tangibile.
Non
si vedevano da Natale, il che era grave, e non si sentivano da due
mesi, e questo era peggio. Si vergognava tanto. E anche Declan.
Avevano dimenticato tutti quanti, creando una nuvola rosa intorno a
loro, quasi che l'amore li proteggesse dal dolore e dal tempo. Lo
sguardo di John li riportava alla realtà, nel modo
più
sconvolgente possibile.
-
Non avrei mai creduto che Kaufmann... cioè, che Declan
potesse
trovare una donna capace di amarlo tanto. Pensavo che sarebbe
invecchiato solo, e lo pensavo anche di me, prima di incontrare John.
Ora so che non invecchierò più di
così, però
non sarò mai più sola. E questo è
più di
quanto mi fossi aspettata. Ho avuto una seconda occasione, non me la
sono lasciata sfuggire, anche se avevo un matrimonio tremendo alle
spalle e i miei figli non mi hanno mai perdonato di essermi rifatta
una vita. Per John è lo stesso... e tu sei stata la seconda
occasione di Declan. Tu, Laura, non ti sei mai accorta di come il
destino sia buono con noi?
Il
Cielo sapeva se Laura non aveva intenzione di stendere un bilancio in
quel momento, in quella stanza d'ospedale, se non provava tutta
questa gratitudine verso il destino, ma sì, ammetteva che
per
quanto la riguardava era felice.
-
Vivere un amore dopo i quarant'anni è come lavorare per la
pubblica amministrazione. Ci sono tante prove da superare, ma deve
succedere qualcosa di veramente grave perché la storia
finisca. Però fai attenzione lo stesso - alla routine, alle
distrazioni, ai rimpianti... ciò che conta non è
quanto
vi amiate adesso: è necessario innamorarsi ogni giorno.
Faceva
sempre più caldo.
Lei
e Declan avevano deciso di non scoprire il sesso del bambino, almeno
non subito; sarebbe stata una sorpresa bellissima in ogni caso. Ma
cambiarono idea quando John li informò che Auburn voleva
ricamare un bavaglino: era al termine del sesto mese, così
andarono a fare la seconda ecografia.
-
Come lo chiamate? - chiese il medico, in tono anche troppo
prosastico.
-
Lo? E' un lui? - Declan era diventato tutto rosso. Da come la
guardava, ebbe paura che volesse far l'amore lì, in quel
momento, sul lettino dello studio. Più tardi le
confessò
che non si era sbagliata.
-
Deke, ti spiace se non gli mettiamo Vladimir e neanche Iosif?
-
Che dici! Io detesto Stalin... non farmi passare da
anti-democratico...
-
Mi piacerebbe Stephen. E' abbastanza irlandese senza risultare
incomprensibile. E poi - non so come puoi prenderla... pensavo -
-
Stop... mi sembra perfetto così. Il secondo nome
è
utile per casi tipo John Balthazar Smith, ma con un cognome come il
mio...
-
Come il nostro - rettificò Laura.
I
suoi occhi gridavano amore. Si affrettarono a tornare a casa, con la
gioia nel cuore, con la passione in corpo, e si abbandonarono a
entrambe.
Quella
sera Deke trovò in tasca un bigliettino azzurro, con su
scritto:
Stavo
dicendo:
Stephen
Ernst Kaufmann.
Martha
è d'accordo...
Ti
amo, Laura
E
io ti adoro - disse ad alta voce. Laura fingeva di dormire, ma il suo
cuore gridava - sono felice -
Un
soffio leggero... e attese.
Ancora
un soffio... e ancora...
-
Auby cara? Compagna Laughton? Ho comprato il filo azzurro. Oh,
signora del New Worker...
PUOI
CHIAMARLA COME VUOI, NON SERVIRÀ A NIENTE.
John,
incàzzati. Esci di qui, e spacca qualche cosa. Ma non
restare
a guardarla... sei un uomo, merda, lo sai come funziona la vita, lo
dicevano anche Karl e Friedrich.
Però...
però lei... cioè, sfuggire a quell'attentato per
morire
di qualcosa di più subdolo e impalpabile - ne valeva la
pena?
Uno per uno, noi irriducibili del circolo di C. ci spegneremo
così,
e non resterà nessuno a ricordare come ci siamo incontrati
Richie ed io vent'anni fa. E come abbiamo inaugurato la sede con il
numero minimo di iscritti. E Ned che sognava di aprire il centro di
assistenza fiscale, Declan con ancora gli ultimi rimasugli di
religione in quella sua testa rossa, e Auburn... irraggiungibile come
può esserlo una compagna più grande e sposata.
Aspettare che i suoi figli crescessero, che lei prendesse la
decisione di separarsi da suo marito. Sperare di vedere il suo
sguardo cambiare e voltarsi nella mia direzione. E quando è
successo, quando finalmente l'ho avuta... erano cambiate
così
tante cose... ma non i miei sentimenti. Mai.
Devo
vivere... non è vero? Mi tocca. Non so che cosa sia peggio,
davvero non so più di cosa abbia senso aver paura.
Si
chiamerà Stevie.
Arriva
un'altra generazione.
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Capitolo 7 *** He is still here, after all... ***
La
lampada dalla luce forte sulla scrivania, la porta aperta della mia
camera, il profumo dei biscotti della mamma. Il mio quaderno di
giapponese... un me stesso di dieci anni all'ombra del Financial
Times di mio padre, i cui occhi sottili si alzano talvolta
dall'angolo di una pagina, per correggere un ideogramma storpiato:
-
Così è solo una "o", Shin, cos'è
questo sgorbio, hai dimenticato un pezzo per strada? Se vuoi scrivere
"grande", che poi lo vedi tutti i giorni nei cartoni
animati, guarda... - Le sue dita perfette tracciano la versione
armoniosa di quei miei goffi tentativi. E insieme alla sua lingua mi
insegnava la sua verità,
(tu
non hai un fratello)
mi
comunicava la sua gelosia degna di un siciliano - ma davvero, in
Italia non conobbi mai un uomo tanto ossessionato...
(non
hai un fratello perché tua madre non può aver
avuto un
altro uomo)
Però,
nella mia mente di bambino, non credevo certo che Declan non
esistesse; lo assimilavo piuttosto ai personaggi buffi della TV:
buffi e noiosi. A Milano, anni e anni dopo, scoprii un presentatore
di talk-show che me lo ricordava molto.
E in quel momento capii una cosa: che nessuno è ora come lo
ricordi. Le immagini degli altri che conserviamo in testa sono
profondamente diverse dal viso che ci troveremo di fronte quando li
rincontreremo.
Se
li rincontreremo.
Stephen
si avvicinava ai tre anni, con l'energia di uno Scorpioncino
cresciuto tra gente adulta e buona musica. Aveva i capelli
biondissimi come Laura, ma ricci, e gli occhi chiari di Deke.
Iniziò
l'asilo prestissimo, si dimostrò sveglio e socievole con gli
altri bambini, ma il suo vero divertimento era stare con Swann. Il
locale era diventato un'istituzione, a dispetto delle gufate del
sindaco e dei filo-discotecari di C., e ospitava, due volte l'anno,
il festival jazz della contea. Gli eventi principali si svolgevano
all'aperto - lo Swinging dava su Devon Square - ma i solisti si
esibivano nella sala arancione. Due sere alla settimana Lance, il
ragazzo di Swann, dava lezioni di ballo.
Una
domenica, dopo pranzo, Martha era scesa dalla vicina e Laura stava
lavando i piatti con la radio accesa. In soggiorno, sul divano,
Stevie sfogliava un libro illustrato e Deke leggeva il New Worker. Ad
un tratto si alzò, visibilmente affaticato, stropicciando il
giornale che cadde sul pavimento. Stevie staccò gli occhi
dalle figure del libro, voltandosi a guardare suo padre: questi, con
un certo sforzo, gli fece cenno di tacere ed uscì dalla
stanza. Per la prima volta nella sua ancor breve esistenza Stevie
conobbe la paura. Era una vera e propria scelta, quella che si
trovava davanti: restare zitto e buono come gli era stato ordinato,
andare dalla mamma a dirle... a dirle cosa? Che papà
è
andato in bagno? Sbirciò la porta della cucina, poi
saltò
giù e seguì Deke in corridoio. La porta del bagno
gli
sbatté in faccia.
-
Declan? Va tutto bene?
Dì
la verità, signor Kaufmann, non te l'aspettavi? Credevi che
il
destino avesse cambiato idea, lo credevi davvero? Pensavi di averla
passata liscia, eh no, bello, comincia pure a dire addio - paga i
debiti e chiudi le persiane.
Si
guardò allo specchio. Il viso era chiazzato di rosso. Era
stata una crisi passeggera? Un'irritazione di qualche fottuta mucosa
bronchiale? Ricordò che a due anni io avevo cominciato a
soffrire di una forma asmatica: nient'altro che allergia a due o tre
tipi di frutta.
Balle.
Il
tempo era scaduto. Cominciava il conto alla rovescia.
Ora
apro la porta, lascio entrare Laura, la guardo negli occhi e le
dico... che cosa? Quello che le fa più paura in assoluto. Io
non posso! Non voglio vederla piangere, è orribile!
Perché?
In
quei brevi minuti il desiderio di Dio gli riattraversò la
mente. Era stata colpa delle sue idee se...
Era
stato anche grazie ad esse che aveva conosciuto lei. No, non c'era
stato niente di sbagliato, solo che adesso veniva la parte
più
difficile.
Non
si trattava di rimandare la sofferenza, questo era impossibile:
l'unica via era sostituirla con un altro dolore. Certo, poteva
risultare addirittura peggiore, ma non credeva di avere alternative.
Dal
Diario di Laura Bradley Kaufmann, estate 2008:
"Ma
mi ami? Ma sei caduta così in basso?" mi dice sempre
più
spesso. E non è più l'insicurezza, la disistima
di sé
che sento in queste parole... mi pare ODIO... mi sembra che tutto
intorno a me si oscuri e la nostra strada si divida... ma dove
andremo, allora? E' possibile che mi abbia mentito per tutto questo
tempo? Ha finto anche con Stevie? La sua indifferenza mi travolge, mi
spaventa.
[...]
Non
prova un minimo di vergogna a parlare di me ad alta voce con i
clienti dello Swinging. Ieri sera scherzava con Swann a proposito di
uno stock di bottiglie di rum "che poteva pagare semmai in
natura, aveva giusto qualcosa da rottamare". Qualcuno direbbe,
l'hai detto tu, scherzava soltanto: ma in quel momento nessuno,
nemmeno Swann, ha percepito la cattiveria con cui l'ha detto, a parte
me.
[...]
Mi
si potrebbe tacciare di paranoia... se non fosse che Drew si
è
accorto benissimo di quello che sta accadendo! Dunque saremmo in due
ad essere impazziti? No, è che Deke è cambiato,
mi
odia, lo so! Cerca di litigare ad ogni occasione, ma non è
nemmeno questa la cosa più terribile, è che si
sta
allontanando anche da Stevie: anche con lui è diventato
freddo, e per quanto nostro figlio cerchi il suo affetto, lui la
butta a ridere o lo prende in giro.
[...]
Declan,
perché non mi parli? Chi può spiegarmi che cosa
succede
al mio uomo? Come può essere cambiato tutto da un giorno
all'altro? Ci si può alzare un mattino e decidere "non ti
amo più"? Può essere, a questo punto
può
anche darsi. Ma che non voglia più bene a Stevie?
[...]
Mi
chiedo se quest'uomo sia lo stesso di cui mi sono innamorata quella
sera in sezione, l'uomo che ho scelto fra mille e che ancora
sceglierei ogni giorno, senza esitare. Cosa lo turba? Qualche mese fa
non avrei avuto alcuna soggezione a domandarglielo - ma ora - ora! E'
davvero un estraneo... ultimamente, poi, ha preso l'abitudine di
dormire al locale. Mi ha ripudiata, temo. Il suo cuore ha abbandonato
questa famiglia che sembrava renderlo felice, ma che a questo punto
non gli basta più. Gli hai chiesto tu di sposarti, mi ripeto
spesso.
Declan
continuava la sua farsa. Quando era costretto a restare a casa, la
notte, credeva di impazzire. Sentiva il desiderio di accarezzarle le
labbra, di posarvi un bacio leggero e poi svegliarla... e dirle
tutto. Ma quando a volte lei apriva gli occhi, e sarebbe stato
così
semplice rompere il muro, si faceva forza e si voltava dall'altra
parte, mostrandosi irritato all'ennesimo grado, brontolando che non
riusciva a dormire in quel letto - nascondendo le lacrime che
altrimenti le avrebbero parlato d'amore.
Ormai
la gestione del club era tutta sulle spalle di Swann. Il giovane era
disorientato dal comportamento di Declan, che era sempre stato un
datore di lavoro quanto mai gentile e scherzoso, e che ora si
dimostrava un socio scorbutico e per nulla collaborativo.
Rinunciò
al teatro, alle conferenze, alle vacanze... per fortuna di musica
poteva averne quanta ne voleva.
Gli
dispiaceva per Laura, che lo pregava (oh quante volte!) di dirle
quello che sapeva: se c'era un'altra donna, o qualcuno che
"preoccupasse" Deke - si riferiva evidentemente a qualche
forma di racket o ad un usuraio o cose così - ma Swann non
solo non riusciva a immaginare che cosa fosse successo a Declan, ma
non ci dormiva la notte, proprio come lei! Con la notevole differenza
che... Swann non era innamorato di lui.
"Gli
dà fastidio se lo chiamo per nome. Credevo, e credo ancora,
di
non poter vivere senza di lui; ma adesso mi è proprio
impossibile restare... soprattutto perché capisco che non mi
sopporta più. E anche per Stevie. Sta respirando troppo
veleno.
[...]
“Mi
sono vista di nuovo con Drew, gli ho chiesto di passare al locale per
cercare di capire cosa frulla in testa a Deke. Ma che mi aspettavo?
Gli ho solo procurato un dispiacere. Lui l'ha accusato di aver fatto
un pessimo lavoro (ma se tre anni fa l'aveva ringraziato con le
lacrime agli occhi!), ha tirato in ballo vecchie divergenze, il tutto
con un sorriso crudele - penso che fosse lo stesso che ho imparato a
conoscere così bene in queste settimane - e stordendolo a
colpi di Martini. Drew ha concluso il suo reportage con una parola
che prima o poi avrei sentito: lascialo. E so che Richie mi direbbe e
farebbe di peggio, perciò non voglio che venga a sapere
nulla.
Sarebbe capace di... oh, ma che cosa significa? Declan vuole farsi
odiare da tutti? Eppure con i fornitori e con quelli dell'orchestra
non si comporta così. Ce l'ha solo con chi gli vuole bene."
John
non credette mai alla messinscena di Deke. Chiese, indagò,
stuzzicò, senza risultato: e la conclusione che
poté
trarne fu che non era una questione di sentimenti. Se Declan aveva
smesso di amare qualcuno, questi era se stesso, ed era un problema
che nessuno poteva risolvere al posto suo. Perché
altrimenti,
lui gliel'avrebbe detto, ne sono sicuro. Sarebbe passato da casa sua,
lo sguardo circospetto quasi si aspettasse che la moglie sbucasse
fuori da qualche porta - e si sarebbe versato da bere:
-
Ma non hai dodici ripiani colmi di questa robaccia, al locale?
-
Sì, ma sul lavoro non alzo mai il gomito.
E
gli avrebbe raccontato di come si fosse pentito d'aver sposato una
bambina viziata, spendacciona e sporca.
Ma
non era successo nulla di simile - non sarebbe mai potuto accadere.
Fatto sta che lei se n'era andata, era stata costretta a sloggiare
con Stevie, non prima di essersi sfogata come è prassi in
ogni
separazione
TU
MI PAGHI GLI ALIMENTI FINO A CHE NOSTRO FIGLIO NON FINISCE
L'UNIVERSITÀ!
-
Figurati, se è secchione come sua madre gli daranno tre
borse
di studio già alle elementari!
(amore
piccolo amore mio se sapessi che non ci sarò nemmeno al suo
prossimo compleanno)
John
non gli credette mai, dicevo, ma lo stesso aveva finto così
bene. Gli ebrei, e anche gli irlandesi, come i napoletani e i greci,
hanno il tocco dell'artista, hanno spiccate doti istrioniche, un
talento speciale per il trasformismo, ed eventualmente eccellono
nella carriera diplomatica. E se un irlandese può essere
spesso timido, ed esprimerà il suo genio interiore
diversamente, con la musica ad esempio, chi ha anche una sola goccia
di sangue d'Israele non può fare a meno di essere brillante
in
ogni situazione.
Così
Declan aveva allestito l'ultimo atto della sua tragedia familiare,
come palcoscenico le mura di casa, come protagonisti inconsapevoli le
persone da lui più amate, regista di un Truman Show crudele
-
e non pensate che questa grande Menzogna, questo nascondere le
sofferenze, pronunciando parole dure contro la sua stessa carne, che
fremeva dal desiderio d'accarezzare e proteggere,
non
pensate che tutto questo abbia accelerato la sua fine?
What
was that you were looking for
that
took your life that night?
They
said they found my high school ring
clutched
in your fingers tight.
(M.
Dinning)
Il
sipario si era già abbassato. Gli attori erano
già
ognuno nel suo camerino a togliersi il trucco - o ad applicarsi
quello di tutti i giorni.
Che
faceva Laura?
Stava
a casa della madre mentre lei era fuori a cena con il suo Gabe e
aveva messo a letto Stevie. Non si faceva più domande.
L'indomani aveva appuntamento con un avvocato.
E
Deke?
Beh,
a Deke non piaceva affatto quello che vedeva allo specchio.
Altro
che compiacersi per l'ottima esibizione! Provava solo un gran
ribrezzo. Lasciò il teatro dall'uscita di servizio, e
uscì
allo scoperto. Al freddo. Alla pioggia. Alla verità che
è
amore.
Suonò
al campanello di sotto. Laura pensò che la madre fosse
rientrata in anticipo perché aveva litigato con Gabe, ed era
preparata al massimo ad una camomilla in famiglia. Non aveva motivi
per sperare in lui.
Ma
sentì che i passi sulle scale non erano femminili, e tanto
meno quel respiro affannato. Non sperava, e tuttavia era vero. Era
venuto a cercarla. Era vicino a lei. Li separava solo una porta
sottile.
(e
quando ti disse che era tutta un'abitudine)
Ma
è qui per me.
(che
il matrimonio è un'istituzione assurda che è una
dannata sovrastruttura)
Devo
ascoltarlo.
(che
sei stata tu a chiederlo che ti doveva un favore piccola illusa)
-
Laura. Amore. - Le bastarono queste due parole a dimenticare tutte le
altre.
-
Sono venuto a riprendermi l'anello della scuola.
-
Spostiamoci dalle rotaie allora.
E
sì, lei tolse il chiavistello, girò la maniglia e
un
treno li travolse. Perché era di nuovo tutto come quella
mattina alla stazione. Era ancora meglio, ché non c'era
neanche John a rompere le scatole.
-
Laura. Cara, cara perdonami...
Lo
guardò alla luce del pianerottolo ed ebbe un brivido. - Ma
ti
sei inzuppato! Vieni dentro, per carità! Pazzo, sei pazzo ad
uscire così. - Prese un asciugamano, gli strofinò
i
capelli, poi gli sbottonò la camicia.
-
Senza di te era uno schifo. - Lei gli toccò la fronte. - Se
ti
viene la febbre cosa faccio? Eh? - Gli sfregava il petto, la schiena,
le braccia che ora non riuscivano a stare ferme e la stringevano. -
Oh Deke! Tu devi dirmelo perché volevi farmi impazzire!
In
camera da letto trovò un maglione di Gabe. Verde, ma era
meglio di niente. Declan non smetteva un attimo di baciarle le
labbra, il collo, i seni. Si tuffava tra i fiori di un prato in
primavera. Non faceva più freddo, perché lei era
calda,
era bella, e i tuoni erano fuochi artificiali, se non guardavi e non
avevi paura.
-
Mettitelo.
-
Ma non sento freddo. Sento te...
-
Voglio tornare a casa, amore, andiamo?
(mi
vuoi ancora davvero?)
-
A casa? Adesso? - il suo sorriso esplose. - Oh Laura! Tu sei la mia
gioia. Puoi davvero scusarmi di tutto? Io non posso spiegarti, forse
non potrò mai.
-
Andiamo.
-
Andiamo.
Mentre
uscivano, la luce dell'ascensore si accese e Laura capì che
la
madre stava salendo. - Prendiamo le scale - disse - l'ultima cosa che
desidero è che ti veda qui stasera.
Aveva
smesso di piovere. Tranne che sotto i cornicioni.
-
Hai ragione a vergognarti di me. Di sicuro lei non mi
perdonerà
mai.
Laura
cascò dalle nuvole. - Declan... non capisci? Non mi importa
niente cosa pensa di te... ma non sopporto come ti guarda. Non lo
sopporto, okay? - Lui annuì. Era felice. Non si era
aspettato
che lei lo amasse ancora, ma che dopo tutta la Grande Menzogna fosse
rimasta intatta anche tutta la stima che aveva di lui, era
incredibile.
Era
così forte la gioia di averla vicino. Tutti i suoi propositi
si erano dissolti con l'ultimo sprazzo di sole di quella lunga
giornata. Era stato tutta la mattina al telefono con il manager del
musicista che avrebbe suonato l'indomani allo Swinging, si era
dimenticato di pranzare salvo poi mandare giù un panino a
metà
pomeriggio. Come al solito non si sentiva affatto bene.
E
non era affatto più tranquillo. Non ci sarebbe stata mai la
certezza che, solo perché lui si era così
bruscamente
allontanato, lei non avrebbe sofferto dopo. Stava solo costruendo
intorno ad entrambi una prigione che non faceva trapelare le
verità
difficili ma nemmeno quelle che dobbiamo conoscere per andare avanti.
La
verità è che lui stava morendo.
La
verità è che lui amava Laura e Stevie.
E
nella notte, per fortuna, fece crollare le mura di quella prigione,
fece cadere le assi del palcoscenico su cui aveva recitato per mesi,
e consumò le ultime energie - questa volta non è
una
metafora né un'iperbole - provando a vivere, in poche ore,
tutto ciò che si era perso per colpa di un orgoglio assurdo.
E
stringendo la sua donna tra le braccia, baciandola in ogni centimetro
del corpo, gli scoppiava nella mente il pezzo di Cole che aveva
cantato
(sussurrato)
al
microfono durante il pranzo di nozze:
Yes
sir that's my baby
no
sir don't mean maybe
yes
sir that's my baby now.
That's
my baby again.
Aiutami,
Laura, non voglio andarmene adesso. Voglio accompagnare Stevie il suo
primo giorno di scuola, voglio festeggiare i nostri dieci anni di
matrimonio, voglio fare l'amore con te come stanotte, tutte le notti.
Voglio vederti addosso quel vestito che hai comprato ai saldi
dell'anno scorso, e voglio conoscere tuo padre anche se dici che
è
uno stronzo. Lo so che è chiedere troppo, il sogno non
poteva
durare così tanto... ma non voglio morire ugualmente. Tutto
questo dicevano i suoi occhi, e non capiva perché questi
desideri non potessero essere esauditi. Abbiamo chiesto troppo,
sì,
forse è così, ma ora non posso accettare di
perdere
tutto.
Non
posso accettare di perdere Deke.
Doveva
chiedere aiuto, lo sapeva, ma non riusciva a staccare gli occhi dai
suoi. Era sicura che, se si fosse allontanata, se avesse lasciato
quella stanza, lui sarebbe morto. Ma non sarebbe sopravvissuto solo
perché lei era lì a dirgli che l'amava, non
è
l'amore a fare miracoli, sono i respiratori e gli stimolatori
cardiaci e le flebo. Qualche volta.
Fu
uno sforzo tremendo, ma riuscì ad alzarsi e uscire dalla
stanza.
'istinto
bussò alla porta di mia madre, poi l'aprì senza
aspettare risposta. Lei lesse la disperazione e l'angoscia sul suo
viso, ma non sembrò allarmarsi: parve a Laura più
forte
in lei la sorpresa di vederla di nuovo a casa. Senza alcuna fretta,
indossò la vestaglia. Sembrava tanto più
vecchia... e
sembrava anche qualcos'altro, ma Laura non capiva, voleva solo che si
sbrigasse, che andasse da Deke mentre lei chiamava un'ambulanza, e se
avesse compreso, se... se si fosse fermata a guardarla meglio sotto
la luce, non l'avrebbe mai lasciata sola con suo figlio.
Mentre
si precipitava sul telefono, inciampò in un pezzo delle
costruzioni di Stevie. Era a piedi nudi, e il dolore fu lancinante.
Perse l'equilibrio e tentò di aggrapparsi a qualcosa, a
qualsiasi cosa... e in un terribile errore si trovò a terra,
con in mano la cornetta. Doveva essere una scena buffa, ma fu
orribile. La portò all'orecchio, mentre si rialzava e
valutava
il misfatto. Il resto del telefono, tenuto in sospeso dal filo a
spirale alla cornetta, era finito nel ripiano di sotto, insieme alle
pagine gialle e alle cartine delle autostrade. Non sentiva nulla. Il
cavo si era staccato dalla spina; penzolava dietro il mobiletto come
una coda o una stella filante.
Corse
in soggiorno, mentre il piede continuava a pulsarle di dolore, e si
guardò attorno cercando la borsetta: era sul divano, mezzo
nascosta dall'impermeabile ancora umido.
Cominciò
a frugarvi dentro, mentre l'ansia prendeva il sopravvento, mentre le
lacrime le offuscavano la vista e sentiva le mani gelide perdere
sensibilità. Con uno scatto di nervi rovesciò la
borsa
tenendola per il fondo, e tutto il contenuto si sparpagliò
tra
i cuscini: chiavi, fazzoletti (Dio sapeva se ne aveva consumati, in
quei giorni), caramelle, il portafogli e, finalmente, il cellulare.
Tenerlo in mano le sembrò come afferrare la maniglia di un
portone per uscire da una casa in fiamme (sic). Sarebbe andato tutto
bene.
Ma
mentre aspettava di mettersi in comunicazione con i soccorsi,
sentì
- no, più che altro non sentì - di nuovo, come
nella
cornetta del telefono, un silenzio impressionante. Di nuovo
cominciò
ad agitarsi. - Martha! - chiamò, ma lei non rispose.
Andò
in camera, e vide.
Swann
andò ad aprire il locale, mise su la musica,
sistemò i
salatini, e aspettò.
Aspettò.
Solo
quando si accorse che, sebbene ci fossero 5 CD differenti nello
stereo, aveva già sentito elencare dalla Vaughan le sue cose
preferite una mezza dozzina di volte, diede un'occhiata all'orologio
e gli venne un discreto dubbio. Anzi, due.
Il
primo era che Laura fosse tornata a casa ed era meglio non chiamare
per non disturbare i piccioncini, chiudere tutto e...
Il
secondo era che lui, Swann, non si fosse ricordato che era giorno di
chiusura.
Ma
no, era sabato, quella sera si sarebbe esibito un pianista francese.
Il quale sarebbe arrivato in treno da Londra, poi bisognava
accompagnarlo all'albergo, aspettare che si sistemasse, poi fargli
prendere confidenza con quel pianoforte, e un milione di altre cose.
Perciò si accinse a telefonare ai signori K.
-
Che cazzo significa disattivato? - si chiese quando la voce
registrata gli comunicò che niente, se voleva parlare con i
padroni doveva andare a trovarli a casa. Provò con il
cellulare di Laura, anche se non era affatto sicuro che fosse in
città o che le importasse più niente della serata
musicale, se è per questo. Squillava, ma non rispondeva
nessuno. E anche se la preoccupazione non era un sentimento che
avrebbe mai potuto sfiorare la testolina rasta di Ewan Bates, non
trattenne però la sua curiosità.
Della
pioggia della sera prima restava solo qualche macchia scura
sull'asfalto, quando parcheggiò la sua Renault impolverata
davanti al 14 di Whitham Road. Mentre scendeva dall'auto
notò
una figura accoccolata sulla soglia dell'androne, che riconobbe
quando fu più vicino. Non trattenne un brivido. Aveva la
testa
appoggiata al portoncino socchiuso, le gambe premute contro il corpo
e sembrava guardarsi le mani, gli occhi fissi e trasparenti.
-
Signora Mohin?
Allungò
una mano.
-
E' stato meglio anche per lei.
-
C-cosa? - balbettò Swann.
-
Ancora? Per quanto doveva stare così male? Ancora, e ancora?
Io volevo chiudere gli occhi e sapere che i miei figli non avevano
bisogno di niente. Io volevo morire prima di loro... perché
è
così che va in tutto il mondo, vero? Non c'è
scritto da
nessuna parte che obbliga una madre a vedere quello che stavo
vedendo. Suo padre è stato due mesi in ospedale prima di
andarsene. Ma è stato un incidente... mi manca, mi manca
ancora Ernst, ma non è stata colpa di nessuno... e invece
ora
sono anni. Anni, e andava sempre peggio...
Swann
ascoltava, rapito dalla follia di quelle parole, ma forse
più
dalla loro ragionevolezza. Qualsiasi cosa abbia fatto, mi sembra
lucida, pensò, e un istante dopo: è solo
perché
lei è oltre la pazzia. Sentì il rumore di uno
sportello, dei passi e un frusciare di plastica, e si voltò:
una donna, che probabilmente abitava nella palazzina, stava
rientrando con la spesa e un borsone blu.
-
Martha! Mio Dio, che cosa succede? - fece quella, accorrendo.
Swann
ne approfittò per scivolare nell'androne. Fu allora che
sentì
quelle grida terribili. Era una voce che da tempo non ha più
nulla a cui attingere per continuare a riempire l'aria di dolore, che
normalmente non esce dalla gola di un essere umano, a meno che questi
non abbia visto l'inferno. Da quanto sta piangendo così? si
chiese, senza alcun dubbio su chi stesse piangendo.
Si è consumata ieri
mattina verso le nove in un tranquillo appartamento di Witham Road la
tragedia familiare che ha come protagonisti Martha Mohin, pensionata
ultrasettantenne, e il figlio Declan Kaufmann, 51 anni, gestore del
club 'Swinging Years'. Secondo una prima ricostruzione, basata sulle
testimonianze raccolte finora, l'uomo era in preda ad una crisi
respiratoria acuta, di cui soffriva in seguito alle ferite riportate
nell'attentato alla sede locale del NCP in cui era stato coinvolto
nell'ottobre del 2003. La madre avrebbe deciso di porre fine alle sue
sofferenze soffocandolo con un cuscino. E' ancora in corso la perizia
psichiatrica che dovrà stabilire se la donna sia imputabile
di omicidio. La moglie della vittima, Laura Bradley, è
tuttora ricoverata in stato di choc all'ospedale di C. "Non nego che la
signora Mohin fosse da tempo in ansia per la salute di suo figlio"
racconta Ewan Bates, dipendente dello 'Swinging Years' "ma immaginare
un gesto simile non era possibile. Eutanasia? Se è
così, non è stata richiesta. Se c'era una persona
che amasse la vita, quello era il signor K." Declan Kaufmann lascia
anche il figlio Stephen di tre anni e il fratello Seamus, oltre ad
amici e conoscenti di cui si fa portavoce il signor John Farrell e che
lo ricordano "con l'affetto riservato agli uomini onesti, generosi, che
non rinnegano i propri ideali nemmeno davanti alla violenza e
all'intolleranza".
Erano
al POC. Gli squarci nelle vetrine semioscurate lasciavano passare una
luce che non era di questo mondo. I sigilli della polizia scoloriti
giacevano sulla soglia.
Declan
indossava una maglietta e un paio di jeans chiari, il che gli dava
un'aria giovanile che non gli aveva mai visto. E' così che
si vestono gli angeli? pensava. Allora, quanti ne avrò
incontrati finora per strada? Il suo volto aveva perso l'ombra
sofferente e minacciosa degli ultimi mesi. Però non era
nemmeno la vecchia espressione da eterno single socialmente impegnato.
C'era amore, di una tinta meno abbagliante, finalmente e troppo tardi.
Tra
i calcinacci anneriti trovarono ciò che cercavano. Lei
distolse lo sguardo. Era quella macchina da scrivere, ormai una massa
informe di metallo, ma ancora con tutta la capacità di
uccidere nascosta in ogni fessura. Di uccidere lentamente, lasciandoti
il tempo di sposarti, avere un figlio, aprire un jazz club, sognare,
illuderti di avere ancora tempo per guardare il mondo, amarlo e
lasciarsi amare. Guardando verso la porta, la luce era insopportabile,
e aveva paura che lui scomparisse, perciò tornò a
voltarsi. Declan le prese la mano: abbiamo dimenticato, le disse con
una voce serena. Abbiamo portato rancore ad uno spostamento d'aria...
ma non sono le macchine da scrivere a fare del male, né le
bombe, né le pistole: sono gli uomini. Sono stati tre
ragazzini con le scarpe firmate e in testa idee macabre riciclate dai
libri di storia e adattate ai loro cervelli viziati e rimpiccioliti da
pasticche velenose. Perché se incolpiamo un pezzo di
metallo, ok, ero stato io ad appoggiarla là sopra a prendere
polvere, quando Auburn aveva portato il computer. Ero stato io anche a
rimandare quando Pete Jessup si era offerto di puntellare gli scaffali.
Quanto ai vetri anti-sfondamento, è un discorso che si
può estendere a tutti noi. Bastavano poche sterline, il
fratello di Richie non si sarebbe certo fatto pagare la manodopera. Ma
come non è stata colpa nostra, non lo è stata
né delle cose, né del destino. Per nostra fortuna
e sfortuna la nostra indole ci porta ad avere fiducia nella natura
umana... Certo, è sbagliato cercare un capro espiatorio per
ogni nostro errore, ma dare a noi stessi la colpa per le azioni
deliberate degli altri è puro masochismo.
Dovremmo
ricostruire qui? chiese. Non lo domandare a me, rispose Declan, e le
sue mani le accarezzavano il viso come fresche farfalle. Potete andare
avanti così o addirittura mollare tutto. Per me non cambia
niente, la politica di questo mondo non mi riguarda più.
Non... provò a replicare, ma lui la portò nella
luce accecante, fissandola con un'espressione arrabbiata che non
conosceva. Non? Dirmi così? Non farmi ricordare? Non
smuovere il dolore, taci la verità, non parlare, non fare,
nascondimi dalle responsabilità, sono fragile, sono piccola,
non voglio sentire! Basta, Laura! Basta scappare! Cosa ti aspetti dalle
persone, che siano perfetti, che siano immortali? Avrei dovuto
ucciderti perché tu non corressi il rischio di perdermi? Sei
così infantile da farmi pentire di avere sprecato i miei
ultimi anni con te!
Gli
occhi le facevano male, le sue parole le facevano male, e pensava: se
questo è l'addio che ho rimpianto -
Ti
sbagli, amore, l'addio che volevi è questo,
sussurrò abbracciandola, la voce di nuovo tranquilla.
Declan...
mio amato Declan... che cos'è la morte di fronte al
disprezzo, al disamore? Luce, verità, non vi temo, non
più!
Ma
almeno, che io ti segua!
Un
suo cenno, e stupidamente si volta. Fuori è tutto
così vuoto, così bianco -
John
Farrell. Il Proletario Consapevole.
Laura
Bradley Kaufmann. No, Laura Kaufmann e basta, la Piccola
Compagna, Colei Che Ama.
Questi
due personaggi camminano l'uno a fianco dell'altra, sul lungo
palcoscenico di Shoreview Lane, da Yardbird Square alle case popolari
vicino alla statale. Poche foglie a terra. Il vento leggero. John porta
i soliti mocassini, i calzini bicolori, i pantaloni rimboccati, lo
spolverino bordeaux tenuto aperto. Laura veste ancora il suo dolore
immenso.
Entrambi
conoscono l'impotenza di vedersi strappato ciò che nella
vita avevano di più speciale - di più necessario.
Dietro
ad una curva della strada ci incontriamo.
And
driving down the road I get the feeling
that
I should have been home yesterday.
(J.
Denver)
I
miei zii, a Dublino, si sono indignati, e così la
comunità ebraica di Blackpool, ma la cerimonia è
stata assolutamente laica. Niente croci e niente stelle di Davide,
nessun prete e nessun rabbino. Bandiere, quelle sì: ma di
questi tempi sono il simbolo di una religione come tante. D'altronde il
circolo di C. è chiuso da molto tempo, e anche se il caro
estinto si è fatto a suo tempo un culo così per
il Partito, per loro nessuno è insostituibile.
No.
Eh,
no.
I
compagni di Londra saranno anche disorganizzati, cinici, e ad ogni
congresso dicono la stessa minestra, e il New Worker conclude ogni
notizia con le stesse formulette, lo so. Ma tutto questo era la nostra
forza, quando ci preoccupava vedere il mondo stringersi in una morsa
attorno a noi: ora ci annoia perché con gli occhi pieni di
lacrime quello stesso mondo ci appare troppo grande... ed ha mille
strade che non ci interessa più prendere, e mille boschi
fatati che non vogliamo più attraversare.
Ma
la verità è che il tizio della commissione
ambiente, quello che Auburn non voleva mai sentir parlare, aveva una
profonda stima di Deke. E Ned Rowley. E Travis, Johnson, Crewe, erano
decine, o meglio una persona sola, a cantare l'Internazionale mentre
gli occhi si arrossano, le labbra tremano, mentre Laura tenta di
sfuggire alla mia stretta e imitare Ashley Wilkes in Rossella,
e Stevie scoppia a piangere in braccio alla moglie di Richie. "Non so
perché piango, zio, è una bella canzone...".
Un'altra
verità è che molti di loro non hanno ben compreso
la relazione tra l'attentato al circolo e il gesto di mia madre. Vorrei
vergognarmi dicendo che non è stata lei a uccidere Deke, che
sono stati quelli dell'NF cinque anni fa, che questi cinque anni sono
stati un regalo del destino... e anche un po' mio. Però non
mi vergogno per niente, perché lei è mia madre!
Forse è pazza, forse è confusa, ma non
sarò io a giudicarla, né oggi né mai.
Dov'ero io, mentre giorno dopo giorno vedeva la sofferenza rinnovarsi?
La
mamma è stata condannata a quindici anni di manicomio
criminale. Non tanto per il gesto in sé, no, per quello
c'erano fior di avvocati e di medici legali pronti a spergiurare che si
era trattato di un raptus, che l'imputata non era in grado di intendere
eccetera... che non era perseguibile. Sennonché l'imputata,
la signora Martha Mohin Kaufmann (non aveva mai sposato mio padre), ad
ogni interrogatorio rispondeva con tale fermezza, con tale
lucidità, che l'accusa riuscì a convincere il
giudice che la debolezza mentale aveva solo facilitato una decisione
che la forza del suo cuore aveva già preso.
A
trentaquattro anni, posso dire con onestà di averla
perdonata. E' per ciò che di conseguenza ha vissuto Laura,
che non posso dimenticare: è perché a volte la
sento così distante da temere che voglia raggiungerlo ora,
domani - lo stesso troppo presto...
Mi
ricordano che dovrei sentirmi il numero due. Non è del tutto
così. In fondo, ora, su questa Terra c'è solo un
uomo che lei possa amare, e quell'uomo sono io, ne sono sicuro. Laura
me lo dice tante e tante volte. Se non fossi certo che sia la
verità, non riuscirei a sopportarlo.
Laura
ama.
Laura
sa cucinare, sa costruire un sito web, parla perfettamente l'italiano,
conosce la differenza tra uno shojo manga
(quelli che legge lei) e uno shonen ai
(quelli che legge Swann), ma più di tutto - si direbbe la
sua vera professione - Laura sa amare.
Alla
vecchia sezione il sindacato ha aperto uno sportello per le
dichiarazioni dei redditi e le consulenze fiscali. Quando Ned Rowley
è andato in pensione, si è reso disponibile per
il progetto e la cosa è andata in porto. Il partito
è in ottimi rapporti con il sindacato, perciò non
ha posto obiezioni, anzi pare che abbia contribuito alla
ristrutturazione, dal momento che se mai accetteranno di entrare in
Parlamento, avranno bisogno di una base operativa fuori Londra. Tutto
sommato, Pete si sbagliava riguardo ai danni dell'edificio. O forse era
proprio solo una scusa di John per buttare alle ortiche utopie e tutto.
Lo
Swinging Years invece è rimasto chiuso solo per sei mesi,
dopodichè Swann e Lance hanno rilevato il locale. Non
è cambiato niente, a parte una stampa di Paul Klee che ha
sostituito la silhouette della Wiegel che
spaventava davvero un po' troppo i clienti. Stevie passerebbe tutto il
santo giorno là dentro, e non escludo che abbia fatto fuga
da scuola varie volte per ingozzarsi di salatini e tracannare succo di
fragola mentre il complesso fa le prove per la serata. E non
è che Swann me lo verrebbe mai a dire. Non conto molto in
famiglia.
Perché
sapete, ci siamo sposati, Laura e io. Abbiamo avuto una bambina, che ho
chiamato Aimée: non è solo un nome, è
una promessa e una certezza. Nessuno dovrà dire che
è stata amata di meno solo perché ha avuto la
fortuna di avere un padre. Sì, pare che sia questa la moda,
pare che sia questa la prassi: chi ha una famiglia normale
diventerà sicuramente una persona brillante ed equilibrata,
non ha bisogno di cure particolari, basta innaffiarlo e lasciare che il
sole faccia il resto,
(insegnargli
qualche ideogramma per decodificare il mondo dove vivrà)
basta
fargli credere di avere le chiavi del mondo e le spalle forti
(continuerai
a essere il mio piccolo grande uomo ti sacrificherai ancora?)
ecco,
io non farò mai questo sbaglio. Non darò mai a
mia figlia una responsabilità maggiore di quella che in quel
momento può affrontare. Non prenderò nulla per
scontato.
Ha
gli occhi dal taglio orientale, ma i capelli castano chiaro; so di non
essere imparziale, ma per me è bellissima. Abbiamo fatto
credere che fosse nata prematura, e so che è una bastardata;
penso che John non ci sia cascato affatto. Sembra sempre che lui sappia
tutto, a volte prima che una cosa accada. Anche se non ha nulla a che
fare con la famiglia di Laura, lo considero il mio vero suocero. Mi fa
soggezione, non c'è scampo. E va bene, compagno Farrell,
Aimée è stata concepita la notte prima del
processo. E allora, John? Ancora sento che mi disapprovi. Eppure,
stanne sicuro, che quella notte non l'ho violentata. Non puoi da una
parte sventolare la nostra bandiera e combattere a parole le
superstizioni e la morale religiosa - e poi venire da me ad accusarmi
di essere incestuoso, di aver approfittato di una persona vulnerabile.
Avresti voluto farmi arrestare, non è vero? E' un po' troppo
tardi. Io non faccio credere che vada tutto bene. O che sia tutto
facile. Solo non voglio sentir dire a nessuno, né a John,
né alla signora Bradley, che mia moglie non ha una sua
volontà.
Piuttosto,
ditelo di me.
Ho
trovato lavoro come educatore presso una struttura privata. Buffo, no?
Giorno dopo giorno, il mio compito principale è educare me
stesso.
Io
non sono niente.
Sto
disinfettando i tessuti attorno ad un organo asportato.
E,
troppo spesso, sbaglio.
Laura
mi ha impedito di adottare legalmente Stephen. Ci tenevo, è
naturale, ma quando gliel'ho proposto ho rischiato di mettere
seriamente in discussione il nostro rapporto. Credevo che, pensavo che,
ma con lei non devo credere, non devo pensare, me ne ero dimenticato.
Persino lui, Stevie, che aveva otto anni, per un po' ha evitato di
parlarmi... poi un giorno è sceso in garage mentre gli
gonfiavo le ruote della bici e mi ha detto in lacrime: - Ti voglio
bene, Shin, ma lo capisci che io un padre ce l'ho?
Scusami,
piccolo, perdonami, Laura,
non
devo pensare,
non
devo credere,
e in
ogni mio pensiero, in ogni mia azione,
non
posso prescindere da Declan.
Lui
è vivo più che mai. E anche questa è finita! Grazie a chi ha letto questo mini-romanzo, e a chi lo farà. Ma soprattutto grazie alle persone che, senza saperlo, mi hanno ispirato la storia:
Mario (Deke), Tiziana (Auburn), Sandro (Drew), Carlotta (Dot), Graziella (Chloe). Shin non esiste ed è un peccato... perciò è inutile chiedervi di presentarvelo!
always yours, SakiJune |
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