L'Orrore Continua nei più Svariati Modi, Sapevatelo

di Walpurgisnacht
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** E tu dove vai a ballare? Attorno a un fosso vuoto? (Mami Tomoe, Akira Ito) ***
Capitolo 2: *** Ficcatela dove penso io, la tua malnata parentesi (Homura Akemi) ***
Capitolo 3: *** Ci sono cose che non si possono comprare, per tutto il resto c'è la Puella Mastercard (Mitsuko Harada, Rika Otsu) ***
Capitolo 4: *** Sayaka Lecter preferisce il sangue di vergine al Chianti (Homura Akemi, Sayaka Miki) ***
Capitolo 5: *** Dialoghi al cimitero con gente che non ti risponde (Homura Akemi) ***



Capitolo 1
*** E tu dove vai a ballare? Attorno a un fosso vuoto? (Mami Tomoe, Akira Ito) ***


Titolo: E tu dove vai a ballare? Attorno a un fosso vuoto?
Personaggi: Mami Tomoe, Akira Ito.
Collocazione: seguito di Imperdonabile Peccatrice?, ambientata X giorni dopo la suddetta storia.
Generi: angst, introspettivo.
Traccia: Intorno a una fossa vuota, orfana. Scritta per la prima sfida della Staffetta in Piscina della Piscina di Prompt.


Questa ossessione finirà col farmi impazzire.
La mia vita ormai ruota attorno a una persona morta. Una persona che ho ucciso senza volerlo. Una persona che avrei preferito avere al mio fianco adesso, viva e possibilmente sorridente.
Kyōko Sakura, mi stai distruggendo dopo che io ho distrutto te.
Finisco di ammassare la terra che ho raccolto sradicando un po’ di piantine e mi asciugo il sudore. Oggi c’è un sole infernale.
Come se servisse la fatica fisica oltre a quella psicologica.
Poi tiro fuori dalla tasca della divisa scolastica il ridicolo torii shinmei che ho intagliato personalmente nelle ultime settimane. Un affarino che sta in una mano, quattro stecchini di legno in croce. Lo pongo con solennità alla cima dell’improvvisata tomba.
So di essere patetica, insulsa, persino svenevole. Lo so bene.
Il fosso vuoto. Rendiamoci conto, il fosso vuoto.
Eppure, per quanto sappia perfettamente che tutto ciò non ha alcun motivo reale per esistere e che dovrei smetterla di torturarmi in questo modo... no, non ci riesco. È come se cadessi in trance e la parte peggiore di me si installasse nel mio cervello, obbligandomi a fare e dire e pensare cose che so non essere vere, ma che nonostante questo non smettono di pesarmi addosso.
È complicato. Assurdo, stupido e complicato.
Immagino di essere l’unica quattordicenne sulla faccia della terra a essere in lutto per una coetanea che lei stessa ha ucciso, in lutto al punto di imbastire questa ridicolaggine.
Mentre sto ancora in ginocchio a rimirare il frutto del mio lavoro sento uno scalpiccio alla mia sinistra. Volto lo sguardo in quella direzione e ci vedo la signora Kagawa che mi osserva a metà fra l’incuriosito e lo scandalizzato.
“Signorina Tomoe... cosa sta facendo?” chiede gentilmente, anche se la sua mimica facciale tradisce tutt’altro che gentilezza.
Ma bene. Ci mancavano i vicini di casa a prendermi per sciroccata.
“Oh, questo” balbetto rialzandomi, rimestando alla ricerca di una risposta soddisfacente “ecco, vede... mi è morto il gatto da poco e ho... sì, ho pensato di seppellirlo qui in giardino”. Le dimensioni perlomeno sono dalla mia.
Che bugia penosa. E tutto il condominio sa che non ho animali domestici.
“Ma lei non ha animali domestici”. Ecco, come volevasi dimostrare.
“L’ho... l’ho preso di recente... era vecchio e mi hanno chiesto se volevo... ecco, sì... se volevo tenerlo per il suo ultimo periodo...”.
“Ah. Sarà” dice, molto poco convinta. Voglio sperare che non le venga mai l’idea di andare a controllare cosa c’è, o meglio non c’è, sotto quel cumulo di terriccio. Per fortuna se ne va quasi subito, evitando altre domande imbarazzanti.
Ma, come si suol dire, piove sempre sul bagnato: da dietro il cancello di ingresso spunta la figura di Akira Ito.
No, perfetto. Sul serio. Proprio chi avevo bisogno di vedere.
Entra con naturalezza, come se fosse casa sua. Le mani in tasca, il ciuffetto che gli copre parzialmente un occhio, lo sguardo annoiato.
“Come mi hai trovata?”. Inutile girare attorno alle domande che davvero mi premono.
Si indica con un dito mentre risponde “Credi di essere l’unica a saper rimediare un indirizzo qui a Mitakihara?” con l’aria più innocente del mondo.
La riconosco. La riconosco. È la stessa rabbia di quella sera, quando l’ho preso a pugni perché se lo meritava.
‘Sto tipo è oltremodo bizzarro. La prima volta che l’ho visto in vita mia mi ha fatto una pena indescrivibile, con quel suo sguardo da cucciolo ferito e l’agitazione montante non appena ho pronunciato il nome di Kyōko; non più di quindici minuti dopo volevo frantumargli tutte le ossa a sprangate perché era riuscito a tirarmi fuori dalla grazia dei kami.
“Cosa vuoi, Ito?”.
“Ehi, cos’è tutta questa aggressività? Volevo solo vedere come stavi. Io, nonostante quel che tu possa pensare di me, ti considero quasi un’amica e agli amici mi interesso”.
“Che onore essere tua amica, guarda. Vedi di svanire, la tua sola presenza mi irrita”.
“Allora temo che dovrai imparare a masticare un po’ di nervoso, cara mia. Ero solo passato a buttare un occhio ma vedo che ti sei data al giardinaggio”.
“Sì, beh. Non sono fatti tuoi”.
“Ah davvero? Com’è che una vocina nella mia testa continua a ripetermi che hai fatto quella piccola scultura in memoria di chisappiamonoi e questo, di riffa o di raffa, li rende almeno in parte fatti miei?”.
“Akira, taci”.
“Oh no, troppo facile. Affronta questa cosa invece di continuare ad affogarci dentro, Mami. Se continui così presto avremo due quattordicenni cad... cadenti” si corregge in corsa perché il signor Fujimoto gli passa dietro e sentire la parola cadavere non sarebbe piacevole per la mia vita in questo palazzo. Meno male che lui ha colto le ampie smorfie che gli ho fatto e ha capito cosa c’era che non andava.
Mi si avvicina e mi sussurra all’orecchio “Da questo momento ogni istanza della parola morte e derivati verrà sostituita da ballo, ok?”.
“Come la canzone Vieni a Ballare in Hokkaidō. Ok”.
Si gira verso il mio altarino improvvisato, lo squadra con disgusto e ci dà un calcio spandendo tutto il mio duro lavoro all’aria. Il torii finisce a testa in giù mezzo conficcato nel terreno.
Scusa? Cos’è che hai appena fatto, tu? Vuoi un’altra scarica di botte?
Guarda soddisfatto il proprio operato. Se non fosse che sono prevenuta nei suoi confronti e tendo a dipingere ogni suo atto e parola come spregevole potrei dire che sta godendo nel profondo.
“Mi dispiace Mami, ma a mali estremi estremi rimedi. Non mi piace particolarmente fare l’iconoclasta ma al momento questo ti serve, questo ti fa bene. E non costruire piccoli loculi vuoti per gente... che ha ballato di recente. Vuoi fare la stessa fine? Basta che me lo dica. Se ciò che vuoi è farti del male fino a ballare non hai che da dirmelo. Dimmelo adesso, chiaro e tondo, e sparirò dalla tua vita lasciandoti al destino che ti stai cercando”.
Ho appena capito cosa mi manda in bestia di costui: la sua capacità di saper colpire al cuore un problema e la sua totale mancanza di ricami, grechine e imbellettature. Sarebbe davvero uno psicologo potenzialmente eccellente ma fattualmente senza clienti, che li farebbe scappare tutti.
Eppure, mettendo per un secondo da parte l'immensa voglia che ho di spaccargli la faccia, non posso negare che percepisco come il suo goffo, maldestro e mal calibrato tentativo di aiutarmi sia sincero. A livello puramente inconscio capisco che lui tiene davvero al mio benessere e che il vedermi contorta in questa infinita spirale di autocommiserazione gli fa male.
E solo uno che non ha tornaconto personale, o al contrario un tornaconto personale fuori scala, si prende un simile rischio sapendo che posso spezzargli le dita una ad una e fargliele ingoiare molto lentamente.
Mi toccherà rispondergli, temo.
“N-No, non lo voglio”. Mi esce più strozzato di quanto volessi.
“E allora piantala di fustigarti con un gatto a nove code infuocato, santo dio. Basta Mami, basta! Basta con le fosse vuote! Basta con i è stata tutta colpa mia! Basta! La gente balla tutti i giorni, voi... ragazze speciali più della media. Mettici una pietra sopra e vai avanti anche per lei”.
Sospiro come se avessi la faccia sopra la ciminiera di una fabbrica. Ha ragione cavolo, ha pienamente ragione. Lascio cadere libere le prime lacrime.
Ehi. Chi mi ha sganciato due o tre chili per gamba?
“Io e te” ammicca con lo sguardo da marpione veterano “non abbiamo una camminata in sospeso? Recuperiamo? Magari possiamo bere qualcosa”. E mi offre il braccetto, un sorriso a ottocentododici denti che potrebbe tranquillamente sostituire tre o quattro pannelli solari.
Ricambio il sorriso e glielo prendo. Si merita una seconda possibilità. Ho dato seconde possibilità a persone molto peggiori di lui.
“Ehi!” arriva la voce del signor Fujimoto da dietro “guardate che anch'io conosco Vieni a Ballare in Hokkaidō”.

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Capitolo 2
*** Ficcatela dove penso io, la tua malnata parentesi (Homura Akemi) ***


Titolo: Ficcatela dove penso io, la tua malnata parentesi.
Personaggi: Homura Akemi.
Collocazione: più o meno contemporanea all'ultimo capitolo de L'Orrore?.
Generi: angst, introspettivo.
Traccia: La Felicità è un Intermezzo fra Due Tragedie, orfana. Scritta per la prima sfida della Staffetta in Piscina della Piscina di Prompt.


“E così Takashi Kuroda scoprì che la felicità è solo una parentesi fra due tragedie”.
Chiudo il volume con una smorfia di irritazione.
Ultima, stupida frase di uno stupido libro.
E 'sto ciarpame è in cima a tutte le classifiche di vendite? Stiam messi proprio bene, eh.
È piatto, senza mordente, vuoto. E finisce con una frase che vorrebbe suonare epica e invece sembra l'urletto di agonia di un pappagallo.
Perché? Perché è una balla, ecco perché.
A parte che ho sempre odiato le frasi fatte, ma davvero non ha alcun senso dir così.
La mia esperienza parla chiaro in merito.
Homura Akemi, settantadue anni qualche settimana fa. Senza ombra di dubbio alcuno la persona ancora vivente che ha visto il maggior numero di tragedie, orrori e pazzia nel corso della propria vita. Scomodando anche eventi importanti come la Guerra dell'Atlantico o la Rivolta delle Casacche Insanguinate.
Sfido chiunque... lo ripeto, chiunque, a essere stato testimone di cose peggiori di quelle a cui ho assistito con questi miei occhi.
Su che basi mi arrogo tale, poco invidiabile primato?
No guarda, nulla di serio. Solo quel famoso mese che ho rivissuto per circa una cinquantina di volte. Ero tanto giovane e tanto scapestrata all'epoca.
Rivissuto?, sento mormorare dalle retrovie. Ah già, dimenticavo: io sono, o per meglio dire ero, una guerriera magica. Ridete, ridete. Non c'è nulla di divertente.
In cambio della mia anima e della mia energia emozionale ho ottenuto la mirabolante capacità di manipolare il tempo. Per cosa? Per salvare la persona a me più cara dall'ingiusto destino che le era caduto addosso tipo valanga.
In quei cinquanta mesi, perché tanti sono stati per il mio orologio personale, ne ho viste di ogni colore, di ogni forma e di ogni religione.
Biondine decapitate e divorate da una strega, gli esseri che ci era stato detto di combattere.
Tizie dai capelli azzurri che perdevano completamente la bussola e cominciavano una scatenata caccia all'uomo, dove con questa frase si intende “uccidere in maniera truculenta chiunque avesse l'immensa sfortuna di passare ad almeno trecento metri di distanza”.
Compagne che finivano con l'ammazzarsi fra di loro per le più ridicole delle motivazioni.
Follia, raccapriccio e terrore come se piovessero.
Arti staccati. Atti di cannibalismo. L'abisso dipinto sui volti di quattordicenni che si erano condannate con le proprie mani.
Un quadretto delizioso, sì. Non chiedetemi come possa non essere precipitata nel pozzo nero dell'isteria a mia volta, la risposta è tuttora un mistero persino per me. Penso di essere solo stata fortunata, alla fine. Fortunata e determinata.
Sì, ma perché ripetevi il mese per rivedere nuove scene da film horror?
Perché fallivo nell'obiettivo che mi ero prefissata, cioè salvare questa mia carissima amica... e al tempo pensavo fosse anche qualcosa di più. Ora, con la vecchiaia e le rughe e l'arteriosclerosi, ho fatto chiarezza nei miei sentimenti e ho capito come davvero stanno le cose.
Vabbè, non è importante. E sono solo fatti miei.
L'ho vista morire in così tante occasioni... quarantanove, per la precisione. Ogni singola volta finiva male: rimaneva uccisa nel combattimento finale con Walpurgisnacht, strega la cui venuta significava devastazione nel raggio di chilometri, oppure diventava a sua volta la strega definitiva, molto peggiore. Eggià, bello scherzetto vero? Le Puellae Magi sono destinate a questo: morte o trasformazione in strega. Ho poi scoperto che tutto il potere che manifestava con la sua parte oscura era dovuto al mio intromettermi nel flusso temporale, perché così facendo ho finito con l'intrecciare attorno a lei il destino di ogni diversa realtà che visitavo.
La gioia.
Capirete da voi, pertanto, perché posso fregiarmi di quel titolo. A mani basse.
Ma adesso sei felice, no?
Lo sono. Alla fine di tutte le mie peripezie ci sono riuscita. Madoka Kaname, questo è il suo nome, è viva e vegeta e non intrallazzata con contratti capestro, buffi animaletti bastardi e il nostro mondo di budella e depressione. Siamo diventate due pensionate gobbe, miopi e tarde ma l'abbiamo fatto assieme, in tranquillità.
L'ho salvata. È accanto a me, figurativamente parlando, in totale pace dei sensi. Non porta massi sulle spalle, non deve preoccuparsi di combattere e uccidere e morire, non ha nessuno di questi fastidi. Può dedicarsi alle attività consone alla nostra età: le parole crociate, il giardinaggio e l'osservare i cantieri commentando acidamente l'incompetenza degli operai.
Io credo a quanto dice il libro. Preparati al peggio.
Tu sogni, mio immaginario amico. Sono sicura di aver penato abbastanza e che niente si frapporrà ulteriormente fra lei e me. Non succederà. Te lo garantisco.
E da dove ti viene tutta questa sicumera, cara la mia attempata nonnina?
Semplice. Al primo accenno di maretta sono psicologicamente pronta a ucciderla personalmente.
Che cosa? Tu sei malata a dire così, lo sai?
Tutt'altro. So che è una soluzione estrema, ma vedila così: abbiamo trascorso fianco a fianco gli ultimi sessant'anni, primavera più primavera meno. Siamo anziane e la nostre vite stanno volgendo alla loro naturale conclusione. E so, per esperienza diretta, cosa vuol dire lasciare Madoka Kaname esposta a un qualsiasi tipo di rischio. Sarebbe un atto di pietà, contorto e non esattamente sano ma inevitabile. Non sono neanche più nelle condizioni, fisiche e mentali, per affrontare quello che ho affrontato in gioventù. Il mondo sarebbe in sua balia, dovesse succedere il peggio. E lei sarebbe la prima a soffrirne. Le farei quasi un piacere.
Io mi dissocio. Non voglio saper nulla di tutto questo schifo da psicopatica.
Fai pure. Non mi serve il tuo supporto, né lo voglio. Ho sempre combattuto da sola e continuerò a farlo finché avrò fiato in corpo, anche se conto che non sarà necessario.
Homura Akemi è un lupo solitario, lo è sempre stata e lo rimarrà.

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Capitolo 3
*** Ci sono cose che non si possono comprare, per tutto il resto c'è la Puella Mastercard (Mitsuko Harada, Rika Otsu) ***


Titolo: Ci sono cose che non si possono comprare, per tutto il resto c'è la Puella Mastercard.
Personaggi: Mitsuko Harada, Rika Otsu.
Collocazione: precedente a Sukeban in Nero, nello specifico precedente al flashback in quella storia.
Generi: generale.
Traccia: "Insegnamelo", orfana. Scritta per la prima sfida della Staffetta in Piscina della Piscina di Prompt.


“Insegnamelo”.
“Cosa?”.
“Come fai a essere così spietata con delle colleghe”.
“Rika, non è una cosa che si può insegnare. Ti corre nel sangue, è seconda natura. Ce l'hai o non ce l'hai”.
“Cazzate, Harada. Tutto si può insegnare. Anche a essere inumani”.
“Ti assicuro di no, Otsu. Ti assicuro di no”.
“Sei una sparapalle, Harada. Vaffanculo”.
“In compenso ti posso insegnare un'altra cosa”.
“Sarebbe?”.
“Le conseguenze del farmi incazzare come una biscia come hai appena fatto. Rimani qui che ti massacro un pochetto”.
“Fatti sotto, scarto puzzolente”.

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Capitolo 4
*** Sayaka Lecter preferisce il sangue di vergine al Chianti (Homura Akemi, Sayaka Miki) ***


Titolo: Sayaka Lecter preferisce il sangue di vergine al Chianti.
Personaggi: Homura Akemi, Sayaka Miki in Lecter.
Collocazione: una delle ventordici linee temporale precedentemente vissute da Homura.
Generi: goreangst.
Traccia: Be the broken or the breaker/be the giver or the undertaker/unlock and open the doors/be the healer or the faker/the keys are in your hands/realize you are your own sole creator/of your own master plan (Gateways - Dimmu Borgir), orfana. Scritta per la quinta sfida della Staffetta in Piscina della Piscina di Prompt.


Corri Homura, corri. Forse fai ancora in tempo. Non so a far cosa, considerato il casino che è appena successo.
Sei alla... quante ripetizioni ci sono sul taccuino? Dovrebbero essere... trentuno? Trentadue? Circa una trentina, comunque. Di solito faccio il conteggio dopo aver riavvolto.
Dicevo, sono alla trentesima ripetizione e mai, mai, mai, mai una linea temporale era deviata a tal punto da diventare il peggior incubo immaginabile.
Perché mai, mai, mai, mai Sayaka Miki era impazzita in questo modo.
Sono appena uscita da casa di Mami Tomoe e mi sto dirigendo verso la chiesa sconsacrata dove una volta il padre di Kyōko Sakura officiava messa. Quindi, adesso come adesso, ho lasciato un cadavere per vederne probabilmente un altro.
Io ho sviluppato una notevole resistenza a certe scene e oramai solo un corpo morto non mi fa granché effetto. Ma quel che ho visto aperta la porta è stato veramente atroce.
Sono entrata chiamando la padrona di casa e sperando ingenuamente di trovarla ancora viva. Eppure avevo già assaggiato di cos’era capace quella ragazza dai capelli azzurri completamente privata dei freni inibitori. Avevo ancora sotto gli occhi le immagini dei cadaveri, la maggior parte dei quali senza testa, che coprivano la strada come un manto d’erba. Se un alieno fosse sbarcato a Mitakihara avrebbe potuto tranquillamente pensare che i terrestri usano dell’asfalto rosso per ammantare le loro vie.
C’è chi segue il sentiero di mattoncini gialli e chi segue la scia di corpi senza vita.
“Mami? Mami?” chiesi con una punta di timore. Era pur vero che lei non sarebbe stata per forza una vittima inerme, ma era altrettanto vero che Sayaka aveva già dimostrato che l’essere uscita di senno le aveva conferito una forza spropositata. Chiedere al palo della luce che ha piegato con un pugno per chiarimenti.
“A-A-A-Akemi-san...” fu la moribonda risposta che con fatica giunse alle mie orecchie.
Avanzai verso la fonte della voce, preparandomi mentalmente al peggio.
E giunsi impreparata.
Mami era distesa sul tavolino, a pancia in su. Inutile dire che c’era sangue ovunque e che il suo mobilio da centro commerciale di quarta categoria era da buttar via. Ma fin qui, considerato cosa avevo già visto, non era poi neanche troppo tragica tutto sommato.
Peccato non si fermasse lì.
Notai immediatamente un dettaglio apparentemente non importante: era a piedi scalzi. Qual è il problema di essere a piedi scalzi? Nessuno, se le tue dita sono integre. Le sue non lo erano. Gliele aveva scarnificate, dalla prima all’ultima. Per fortuna del mio stomaco non vi era traccia del materiale così grezzamente asportato.
In compenso vedere le ossa sporgenti mi costrinse a trattenere un conato di vomito.
“Mami!” urlai precipitandomi su di lei. Non che sperassi di poterla aiutare, era evidente che fosse spacciata. Oh già, perché la mia attenzione è stata attirata dal particolare delle dita, ma non avevo mancato di cogliere la gigantesca ferita a forma di X che solcava tutto il suo torace. Chiaro come il sole che non ne aveva per molto, ed anzi era già un mezzo miracolo che respirasse ancora.
“S-S-S-Sayaka... è a... and... data alla... vec... chia... chiesa...”. Cercai subito le sue mani per afferrarle e provare stupidamente a confortarla nei suoi ultimi momenti ma... porca vacca. Anche le dita delle mani.
Non ebbi la forza di prenderle fra le mie.
“Fer... fermala... Kyō... ko...” riuscì a balbettare, sempre più debole.
E, come in altre mille occasioni, mi trovai nella condizione di dover fungere da boia per una compagna che, fosse perché stava soffrendo troppo o fosse perché si stava per trasformare in strega, mi chiedeva silenziosamente di porre termine alla propria agonia.
Tirai fuori la Beretta dal mio scudo, gliela puntai alla testa, chiusi gli occhi, la salutai e BANG.
È stato meglio così, credetemi.
Ora sono qui, a correre come una matta verso quel luogo.
Ho già deciso: riavvolgerò. Madoka è viva e sta bene, ma stando così le cose è solo questione di tempo prima che Kyubey riesca a fregarla con le sue promesse da marinaio e la convinca a desiderare che tutto questo venga in qualche modo cancellato. Senza contare che, se non fermo Sayaka, quel viva e sta bene potrebbe presto trasformarsi in un morta in maniera raccapricciante.
E poi devo vedere. La mia parte più masochista sta spingendo come un treno, vuole che assista con i miei occhi. Vuole che mi si imprimi a fuoco lento cosa può voler dire il fallimento più completo. Vuole che sia realmente pronta per la prossima volta.
Mi ci vuole un po’ ma arrivo. Durante il tragitto ho contato circa quindici cadaveri.
Giungono rumori di lotta dall’interno. Potrei riuscire a salvare almeno Kyōko.
Entro.
Quelle due si stanno azzuffando dove una volta c’era il bancone delle cerimonie, ormai un rudere. E Sayaka mi appare sin da subito in netto vantaggio. Costringe Kyōko sulla difensiva tempestandola di fendenti e facendola indietreggiare sempre di più.
Poi, con un colpo degno di un branco di bufali imbizzarriti, la disarma e senza neanche darle il tempo di dire “ah” la trafigge alla gola. Dalla mia invidiabile posizione riesco a vedere benissimo la spada che esce dalla nuca.
...
Non ho parole per descrivere.
“Ecco la tua punizione, bastarda! Così ci penserai meglio, nella prossima vita, a venire e impormi il tuo inferno!” sbraita con voce demoniaca. L’altra risponde gorgogliando, il sangue che comincia a farle capolino dagli angoli della bocca.
Le si avventa addosso mentre quella sta cadendo e...
No, non ci voglio credere.
Le ficca le mani sugli occhi e comincia a spingere. Le dita affondano nella carne come se fosse burro fuso.
“Raaaaaaaaaaaaargh!”.
Uno strappo secco e Sayaka alza i suoi due nuovi trofei al cielo.
Questo è davvero troppo. Cado sulle ginocchia.
Devo aver fatto troppo rumore perché percepisco immediatamente il suo sguardo su di me.
“Oh, guarda chi è arrivato. Ansiosa di far parte del club meno esclusivo di Mitakihara?”.
Taci, maledetta assassina. Hai finito di farti la doccia nel sangue altrui.
WHIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIRL.
Divento l’unica persona sulla faccia della Terra in grado di muoversi.
Mi alzo. Mi avvicino a lei.
La guardo senza trattenere le lacrime.
Nonostante tutto mi dispiace. In quest’occasione Sayaka Miki ha scelto di essere colei che distrugge, non colei che viene distrutta. Ha scelto di essere il becchino e non il guaritore. Ha preso le chiavi a forma di teschio e ha aperto la porta degli orrori.
Tutto questo rende quanto mi accingo a fare solo più triste.
Le afferro la testa e compio il movimento per torcerle il collo oltre la sua naturale resistenza.
Sei la dodicesima Puella Magi che uccido da quando ho cominciato quest’odissea, Sayaka. Porto il ricordo di tutte voi dentro di me. Ogni vostra singola morte peserà per sempre sulla mia anima.
Senza neanche attendere che il tempo riparta riavvolgo.
Madoka, per la trentaduesima o trentatreesima volta sto per tornare da te.

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Capitolo 5
*** Dialoghi al cimitero con gente che non ti risponde (Homura Akemi) ***


Titolo: Dialoghi al cimitero con gente che non ti può rispondere.
Personaggi: Homura Akemi.
Collocazione: un punto nel tempo indefinito dopo la fine de L'Orrore?, pressapoco una trentina d'anni.
Generi: introspettivo.
Traccia: Some Things are Worth Getting your Heart Broken for, orfana. Scritta per la quinta sfida della Staffetta in Piscina della Piscina di Prompt.


Madoka poggia un fiore sulla tomba di Mami.
La osservo da lontano, un po’ in disparte. Non voglio infilarmi nel suo momento di commozione e ricordo.
“Ciao Mami-san. Come ti va? È un anno che sei mancata e qui non è successo nulla degno di nota...”.
Parlare a voce alta coi morti. Non l’ho mai fatto e onestamente dubito lo farò mai.
Se lo avessi fatto avrei perso il fiato, considerato l’elevato numero di cadaveri che ho stretto fra le braccia in gioventù.
Però... però...
“... i miei stanno bene, anche se ormai sono anziani. Tatsuya continua a frequentare Josuke nonostante l’opposizione in famiglia...”.
Le parole non hanno significato per me. Sono un brusio di sottofondo.
Però capisco perché lo fa.
All’essere umano piace mantenere un contatto con chi non c’è più. È una cosa naturale, del tutto comprensibile.
E poi mi rendo conto che ho sfidato, e vinto, il destino anche per questo.
Anche per vedere Madoka Kaname che straparla da sola di fronte al loculo della nostra senpai.
Ho bisogno di questi attimi particolari per rendermene pienamente conto.
Ormai è passato abbastanza tempo da farmelo considerare scontato.
Ma c’è stato un tempo in cui avrei ucciso, e l’ho fatto, per ottenerlo.
Ho vissuto alcune delle cose peggiori che un essere umano possa vedere.
E adesso posso dire di esserne felice.
Ne è valsa la pena.
Il mio cuore si tiene insieme per miracolo. In certi frangenti è andato a tanto così dal frantumarsi in mille pezzi.
Ma ho perseverato. E ho vinto.
“... beh Mami-san, direi che è tutto. Homura-chan, vuoi dirle qualcosa?”.
“No, a essere onesta no. Non mi piace rendermi ridicola”.
“Sei sempre la solita insensibile”.
“Mi conosci. Vogliamo andare, adesso? Hai finito?”.
“Sì, ho finito. Andiamo pure”.

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