Fantastic Girls e la maledizione del Titano

di ValeryJackson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alex ***
Capitolo 2: *** Emma ***
Capitolo 3: *** Bella ***
Capitolo 4: *** Bella salva una mucca ... o quasi! ***
Capitolo 5: *** Maria è un pò lunatica ***
Capitolo 6: *** Il campo è davvero deserto ***
Capitolo 7: *** Una visita inaspettata ***
Capitolo 8: *** Un'amica stecchita fa visita al fiume ***
Capitolo 9: *** L'albero della concordia ***
Capitolo 10: *** Una lezione un po' faticosa ***
Capitolo 11: *** Maria da un avvertimento ***
Capitolo 12: *** Alex sorprende tutti ***
Capitolo 13: *** I leoni prendono vita ***
Capitolo 14: *** Bianca confessa ***
Capitolo 15: *** Le ragazze danno una brutta notizia ***
Capitolo 16: *** Emma dà ragione ad Alex ***
Capitolo 17: *** Bella fa una corsetta ***
Capitolo 18: *** Il tiro al bersaglio ***
Capitolo 19: *** Chirone è sospettoso ***
Capitolo 20: *** Finalmente la verità ***
Capitolo 21: *** Un aiuto non guasta mai ***
Capitolo 22: *** Il sapore del sapere ***
Capitolo 23: *** Ti va di ballare? ***
Capitolo 24: *** La nuova canzone ***
Capitolo 25: *** Una nuova arrivata ***
Capitolo 26: *** Un tavolo per due ***
Capitolo 27: *** A lezione di pattinaggio ***
Capitolo 28: *** Qualcosa da ricordare ***
Capitolo 29: *** Bella mossa, Testa d'Alghe! ***
Capitolo 30: *** Nessuno puo' capire ***
Capitolo 31: *** Un cucciolo al campo ***
Capitolo 32: *** Alla ricerca dell'alloro ***
Capitolo 33: *** La missione ***
Capitolo 34: *** Una serata ... diversa ***
Capitolo 35: *** Una promessa pericolosa ***
Capitolo 36: *** Gli ultimi saluti ***
Capitolo 37: *** Bella impara ad allevare zombi ***
Capitolo 38: *** Come distruggere un Museo Aereospaziale ***
Capitolo 39: *** Un attacco spiazzante ***



Capitolo 1
*** Alex ***


[Salve, sono ValeryJackson, e vi ringrazio tanto per aver cliccato la mia storia, perchè significa che può sembrarvi interessante. I primi tre capitoli li dedicherò completamente alla presentazione (in prima persona) dei miei tre personaggi, Alex, Emma e Bella. BUONA LETTURA! ;) P.S SAREI FELICE DI SAPERE COSA NE PENSATE, QUINDI ... COMMENTATEEE!]


Ciao. Sono Alex Chadwich. Questa registrazione iniziale serve per raccontarvi un po’ di noi, altrimenti dubito ci capiate qualcosa. Dunque, comincio io, dato che sono la più importante. [È inutile che predichi tanto Emma, sai che è così.]
Comunque.
Sono nata in una piccola cittadina de New Mexico. Abitavo in una casetta accogliente con mia madre e mio padre. Lei era un’archeologa, lui arruolato nei marines. Ma non era questo che li aveva fatti innamorare. Anche se apparentemente erano diversi, condividevano entrambi una grandissima passione: la musica. Ed è così che sono cresciuta, a ritmo di blues and rock’n’roll. A 5 anni ho cominciato a strimpellare la chitarra, e poco dopo a cantare ( e devo ammettere davvero bene!) Ma non è questo l’importante. All’età di otto anni persi mia madre in un’incidente stradale. Non so esattamente come sia andata, papà non ha mai voluto raccontarmelo. So solo che fu uno schok tremendo per tutta la famiglia, per mio padre, ma soprattutto per i nonni. Fra loro e mio padre ci fu un acceso dibattito per la mia custodia. Loro, infatti, lo ritenevano incapace di occuparsi di una bambina di otto anni. A me dicevano che era per via del suo lavoro, ma io sapevo che non gli era mai piaciuto. Per un anno andai a vivere con loro, vedendo mio padre solo due giorni l’anno, uno in estate e uno in inverno. Poi le cose cambiarono. Mio nonno entrò in possesso del testamento di mia madre (non ho idea del perché lo avesse già scritto), nel quale dava, testualmente, l’affido di sua figlia al marito. In tribunale non obbiettarono, e così tornai a vivere con mio padre. Ero contenta. Stare con i nonni non mi piaceva affatto, il nonno era troppo severo e apprensivo. So che lo faceva solo per il mio bene, ma il mio carattere ribelle ne risentiva.
Comunque mio padre decise di trasferirsi da un’altra parte, così facemmo le valigie e ce ne andammo a Los Angeles. Non male. Il clima era fantastico e le spiagge bellissime. Ricordo ancora benissimo la nostra casa lì e il cielo pieno di stelle che si vedeva dalla veranda sull’oceano. Papà mi raccontava storie incredibili sulle costellazioni. Poi ogni sera, prima di andare a dormire, mi accoccolavo sul divano e cercavo la sua attenzione. Eravamo diventati una cosa sola. Alex e papà contro tutti. Ci siamo sempre supportati e ci volevamo bene. Purtroppo, però, quella favola durò poco.
Ben presto papà volle trasferirsi di nuovo, stavolta a Londra. Non volle dirmi perché. Non ricordo molto, ricordo solo che odiavo quella città. Lì non riuscii a farmi degli amici, a parte Liz e Jodie, e la mia vita non era per niente facile. Se commettevo un errore o incontravo persone che non mi piacevano dovevo restare lì, punto e basta. Mio padre se ne andava spesso in missione e io restavo da sola, a vedermela con il mondo. Non gli do colpe per questo, in fondo è il suo lavoro, e lui lo faceva per me, ma era frustrante. Non sapevo cosa rispondere a domande semplici tipo: “Dove sono i tuoi genitori?” o “La tua famiglia che cosa fa?” e nemmeno “Di dove sei?” senza rendere nota la stranezza della mia situazione.
Ero sempre quella diversa. La meticcia, l’americana che non era americana. Quella con la madre morta e il padre assente. Quella che combinava guai in classe e non riusciva a concentrarsi sulle lezione. Dopo un po’ impari che confonderti con gli altri semplicemente non funziona. Se la gente continua ad additarti, allora tanto vale dargli qualcosa da guardare. Strisce rosse tra i capelli? Perché no! Gli anfibi con l’uniforme della scuola? Ma certo. Il preside dice: “Dovrò chiamare i tuoi genitori, signorinella”. E io rispondo: “ Buona fortuna”.
Gli altri non sanno un bel niente della mia vita.
Ma ora basta così. Un giorno, mentre “studiavo” matematica, udii bussare. Mio padre entrò furibondo e corse al piano di sopra. Poco dopo ne uscì con un enorme borsone che traboccava di roba.
- Alex- mi disse – Dobbiamo andare.- Io ero senza parole. Mi alzai per protestare ma mio padre mi lanciò un borsone al volo.
- Ora- ribadì. Così non fiatai. Andai di sopra e riempii il borsone con le cose che ritenevo essenziali. Avevo mille domande per la testa, ma ero frenata dall’atteggiamento di mio padre. Non l’avevo mai visto così. Addirittura in macchina mi sembrò quasi di averlo sentito piangere. Andammo all’aeroporto e prendemmo il primo volo per New York.
Tutto questo successe circa un anno fa. Quasi due. Papà non mi disse mai il perché di quel cambiamento improvviso, ed io non ebbi mai il coraggio di aprire l’argomento. Comunque, fu proprio in questa città che conobbi Emma e Bella. Ricordo ancora la prima volta che ci siamo incontrate. Per colpa mia Bella si era ritrovata su uno scafo. L’aiutai e ce ne andammo fiere sotto gli occhi di Justin. Non sopportavo quel ragazzo, ma poi, non chiedetemi come, me ne innamorai. Ora ormai è storia chiusa, ma non mi va di parlarne. Poco dopo raggiungemmo Emma-Miss-So-Tutto-Io-Gilbert, le offrimmo un passaggio e, purtroppo, la portammo con noi in un giro in mare aperto. [Ahi! Era il mio piede quello!]
Non avevamo previsto che lo scafo si sarebbe fermato, proprio in mare aperto. Eravamo letteralmente nel nulla. Il posto più vicino era l’isola Mako. Un’isola sperduta che incuteva terrore. Così iniziammo a remare. Non potevamo immaginare che quello sarebbe stato l’errore (o secondo me la fortuna) più grande della nostra vita. Apparentemente lì non c’era nessuno, ma l’isola era in ottime condizioni, e sembrava che fosse stata da poco abitata. Ci inoltrammo in quel luogo sinistro, in cerca di qualcuno che ci aiutasse, ma non trovammo nessuno. Poi, ad un tratto, Bella cadde in una specie di pozzo. Io ed Emma cercammo di aiutarla, ma finimmo dentro anche noi. Fu un’emozione indescrivibile. Alla fine di quel pozzo, nel cuore del vulcano spento che dominava l’isola, c’era una piscina. Non la battezzammo “la piscina naturale”, poiché l’acqua, apparentemente clorofita, sembrava provenire dalle rocce circostanti.
Sarei rimasta lì volentieri ad ammirare quello spettacolo, ma Emma iniziò a rompere, dicendo che era pericoloso restare e che stava facendo buio. Alzai gli occhi al cielo. Il buco del vulcano era proprio sopra di noi e mi accorsi che improvvisamente era scesa la sera. Strano, dato che quando siamo cadute nel pozzo il sole era ancora alto. Quanto tempo eravamo rimaste lì? A me erano sembrati solo pochi secondi. Non feci in tempo a rispondermi che Bella, nuotatrice provetta, si immerse in acqua e andò giù. Risalì poco dopo, annunciandoci che a venti secondi di distanza c’era un’uscita. Saremmo dovute passare sott’acqua. Io ed Emma entrammo in acqua e in quel momento accadde qualcosa di strano. Dalla piscina iniziarono ad uscire numerose bollicine, che si libravano in aria e andavano verso l’alto.
Tutte e tre alzammo gli occhi. La luna piena riempiva perfettamente il buco del vulcano, e sembrava attirare a se l’acqua. Ad un tratto ci fu un lampo nel cielo. Tutta l’isola si scosse, ma noi no. Sembravamo quasi in trance. Una luce fortissima piombò si di noi, e in quell’attimo non capii più niente. Guardai il mio corpo e mi sembro di prender fuoco.
Lì per lì pensai fosse impossibile, ma non lo era affatto. La luce se ne andò e noi piombammo a peso morto in acqua. Non so casa successe dopo, ricordo solo di aver perso i sensi, e che la mattina dopo mi ritrovai inspiegabilmente nel mio letto a New York. Ero stordita e non capivo più niente. Ad un certo punto pensai che fosse stato tutto un sogno, ma dovetti ricredermi.
Ero cambiata, anzi, il mio DNA era cambiato. Quell’esplosione aveva scatenato qualcosa di magico in me, qualcosa che mi avrebbe permesso di fare grandi cose. Scoprii ben presto di poter coprire il mio corpo di fiamme senza rimanere ustionata, fino a raggiungere il calore di una nova che può raggiungere i 6000 °C di media, toccando i 500.000 °C come estremo, e lanciare fiammate. Riuscivo anche a volare e ad assorbire qualsiasi quantità di calore, creare oggetti di fuoco (da proiettili sferici fino a doppioni di me per trarre in inganno i nemici), far evaporare qualsiasi quantità d’acqua, muovermi ad una velocità quasi soprannaturale e leggere nel pensiero ( ma questa è un’altra storia).
Era una scoperta fantastica. Inutile dirvi che quella notizia mi cambiò letteralmente la vita. Grazie a queste mie capacità incontrai Maria, che per me diventò come una seconda madre.
Fu lei a spiegarmi l’esistenza della magia, a condurmi per la prima volta al Campo Mezzosangue, ad istruirmi e ad insegnarmi le migliori tecniche di combattimento. Ci spiegò anche l’esistenza di tre ciondoli magici, appartenuti circa cent’anni fa a tre eroine molto potenti. Quello con una pietra rossa, simbolo di fuoco e ribellione, che era stato venduto ad una gioielleria, acquistato da Charlotte (mia eterna nemica) e recuperato da Justin, fu dato a me. Quello col la pietra verde, simbolo di saggezza e di freschezza, è stato trovato nella Lorelei (una vecchia barca) mentre affondava, fu regalato ad Emma, mentre quello con la pietra blu, simbolo dell’ acqua e della tranquillità, è stato rinvenuto da Bella sul fondo della piscina naturale. Quei ciondoli sono molto preziosi per noi. Sono leggermente diversi tra loro e, se messi insieme, uno vicino all'altro, sono in grado di simulare un plenilunio molto potente. Non ce ne separiamo mai, e sono molto utili per rafforzare la nostra forza e i nostri poteri. Cosi, con queste basi, diventai ben presto una paladina della giustizia, una specie di supereroe, ma come ogni supereroe, la mia identità rimase ed è tutt’ora segreta. Anche le mie due amiche avevano guadagnato dei poteri, ed insieme formammo il trio delle Fantastic Girls.
Questo ci legò profondamente, in un pattò di fedeltà, complicità, lealtà e amicizia. Sono pochi quelli che sanno la nostra vera identità, e a noi va bene così. Loro diventarono le mie compagne di avventura, quelle su cui potevo sempre contare, quelle che mi offrivano sempre il loro aiuto ed una spalla su cui piangere. Capii ben presto che erano indispensabili nella mia vita. Sarei persa senza di loro.
[Si, Emma. Neanch’io riesco a credere di averlo detto].
Sono le mie migliori amiche, e non riuscirei a sopportare l’dea di perderle. Sono troppo importanti, e lo saranno (odio dire questa parola) per sempre

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Capitolo 2
*** Emma ***


Basta. Ora lo prendo io il microfono, tu non sai raccontare.
Salve.
Sono Emma. Come questa sottospecie di ominide che è la mia amica vi ha già raccontato, [È inutile che fai le smorfie Alex, sembri una scimmia], quella sera cambiò letteralmente la nostra vita.
Ci tengo a precisare che il fascio di luce che vi ha descritto lei prima era una nube di raggi cosmici, e che non sembrava stesse prendendo fuoco, stava davvero prendendo fuoco. Ma questo non ci interessa.
Parliamo di me. Sono sempre stata una bambina prodigio, dotata di un grandissimo talento per le materie scientifiche. Tranquilla, prudente, responsabile e competitiva, pretendo sempre il meglio, da me stessa e dagli altri, sono ossessionata dalla precisione e ciò mi porta spesso ad essere in contrasto con Alex. Ho un fratello, Eliot, di dodici anni e una famiglia fantastica, anche se i miei genitori sono spesso assenti. Mio padre è avvocato, mia madre medico, e io sono cresciuta in un’ambiente abbastanza “intellettuale”. Prima di andare a letto mio padre, invece della solita favola che è raccontata a ogni bambino normale, mi leggeva le leggi della Costituzione, cosicché all’età di nove anni le conoscevo già tutte a memoria. Mia madre, invece, mi leggeva spesso dei libri di medicina e, invece di essere portata al parco giochi per giocare all’aria aperta, venivo trascinata negli ospedali e nelle sale operatorie per “imparare il mestiere”. I miei speravano che un giorno avessi continuato la tradizione, praticando uno dei loro due lavori. Per un po’ lo credevo anch’io, ma poi capii che non era così, che non era quello che volevo. Inizialmente il problema era spiegarlo a loro, ma poi il lavoro aumentò, i soldi pure, e diminuì il tempo per me. Non so se era un male o un bene. È pur vero che così ero meno sotto pressione, ma a volte mi mancava un figura autoritaria che mi dicesse cosa fare, o che almeno mi desse un conforto o un consiglio. Invece no, dovevo cavarmela da sola, senza chiedere nulla a nessuno. I miei non riuscivano a starmi dietro, erano assenti. Non venivano alle mie recite di fine anno e neanche ai colloqui a scuola. Non avevano tempo e ben presto dovetti accudire anche mio fratello. Mi sono sempre chiesta perché abbiano fatto un altro figlio. Insomma, avevano già problemi ad accudirne uno, figuriamoci due! È per questo che dovevo pensare io a Elliot.
Ero io ad andare ai colloqui con i genitori. Ero io a firmare gli avvisi e ad andare alle suo partite di calcio. Ero io ad aiutarlo con i compiti e a preparargli da mangiare. Ma non sempre era facile. Il ruolo di sorella maggiore mi pesava più del dovuto.
Non so se lui capisse i miei sforzi, in fondo ha solo dodici anni. Io e mio fratello abbiamo un rapporto un po’ particolare. Più che una sorella sembro una mamma. Lui è calmo e gentile, e siamo molto legati, ma è difficile capire cosa gli passi per la testa. Non abbiamo grandi manifestazioni d’affetto, e spesso litighiamo. Penso che ora lui capisca di più come stanno le cose, e che inizii a ribellarsi alla costante mancanza dei miei. Io gli voglio bene e non gli do colpe, ma a volte vorrei un po’ di comprensione.
Prima dell’arrivo di Alex, Bella era la mia unica, vera amica. Non che fossi un’asociale, ma preferivo starmene da sola, in santa pace. Capirete che shock sia stato, poi, veder cambiare la mia vita per sempre.
Lì, in quella piscina naturale, quel giorno, accadde tutto con una naturalezza. Ero inspiegabilmente attirata verso quella nube di raggi cosmici. Appena questa ci raggiunse iniziai a sentirmi floscia e debole. Le mie gambe erano di gelatina e non sentivo più un muscolo, nessun dolore. Iniziai a deformarmi fino a cadere in acqua, sfinita. Iniziai a sentirmi strana già dalla mattina, appena sveglia, ma non mi resi conto di quello che era accaduto finché non lo constatai di persona. Grazie al denaro ricavato dalla vendita, a malincuore, di alcuni miei prestigiosi brevetti e da qualche soldo preso in prestino dai risparmi dei miei [Alex, smettila! Io non sono una ladra! Glie li avrei ridati…] creai per noi una sorta di base ipertecnologica. Fu lì, grazie al mio genio scientifico, che varia in tutti i campi, dalla biologia alla meccanica, passando per la chimica, la fisica e l'astronomia [Alex, fai silenzio. Sai che è così!], scoprii di essere capace di modellare e allungare il mio corpo a piacimento come fosse di gomma, di conseguenza volendo potevo anche assumere la fisionomia di chiunque. Oltre ad allungarmi o a venir compressa, ero in grado di resistere a diversi attacchi di tipo fisico, come respingere i proiettili o sopportare colpi dalla forza sovrumana. Imparai poi a trasformare l’acqua in ghiaccio, a creare neve e grandine e a gestire il miei super sensi, che a volte mi causavano diversi problemi (sopratutto il super udito).
Non sapevo se per me fosse un bene o un male. Tutta la mia vita sarebbe cambiata, certo, ma in meglio o in peggio?
Come avrete ben capito, a risolvere tutti i nostri problemi e a rispondere a tutte le nostre domande arrivò Maria. Ci fu molto utile e si comportò con noi proprio come si comporta una vera mamma. Ci insegnò tutto quello che sappiamo e ci rese dei supereroi perfetti (o quasi). È strano da dire, ma io, Bella e Alex diventammo più che amiche, più che sorelle. Ci univa qualcosa di speciale, qualcosa di diverso, qualcosa di magico.
Non mi ero mai sentita così bene con qualcuno. Loro mi hanno insegnato che è bello avere compagnia, mi hanno fatto provare l’emozione di condividere un segreto, mi hanno insegnato il vero significato di amicizia. [No Bella, non è una lacrima].

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Capitolo 3
*** Bella ***


Ok. Ora tocca a me.
Mi chiamo Isabella Hartley. Per gli amici Bella. Sono nata a New York, e vivo in una casa normale, con una famiglia normale.
O almeno è quello che credevo.
I miei genitori si sono sposati giovanissimi, e pochi anni dopo hanno avuto me. Ero sempre stata la "cocca" di casa, finche non arrivò mia sorella, Ginger, a stravolgermi la vita. Ha solo dodici anni, ma è dispettosa e infantile, adora attirare le attenzioni dei ragazzi mettendoli in competizione per lei e apparire più grande della sua età. Ficca sempre il naso nelle mie cose, suscitando la mia ira. Una volta ha persino letto il mio diario e scoperto il mio segreto. Pensa di essere più matura di me, ma non si accorge di essere ancora una bambina. Quando litigavamo era mia madre a ristabilire la pace tra noi.
Sapeva sempre cosa dire e quando dirlo.
Era fantastica.
Bastava che mi guardasse con quei suoi occhioni marroni per farmi calmare. La sua voce era sempre calma e pacata e riusciva a tranquillizzarmi come non mai.
Le cose sono cambiate molto da quando se ne andata. I miei hanno divorziato circa un anno fa. Mia madre si è trasferita in Canada, ma noi siamo rimaste a New York, dato che frequentavamo la scuola qui. Mio padre ci prova, non dico di no, ma non ci riesce. Tenta di fare il Mammo, ma occupare entrambi i ruoli non è facile, soprattutto quando entrambe sappiamo che la mamma ci ha abbandonate. Apprezzo però lo sforzo. Da tre mesi a questa parte mio padre ha conosciuto una persona. Si chiama Samantha Roberts, e fa parte della Commissione Parchi Nazionali. Era venuta a sbrigare alcune formalità per la licenza commerciale di pesca richiesta da mio padre. Ginger la fece cadere in acqua, lei si arrabbiò e se ne andò. Mio padre si scusò, costringendo anche Ginger a farlo (scena impagabile!) e poi le offrì una cena per ripagare. Lei ovviamente accettò, e fu durante quella cena che scattò la scintilla. Sam (come la chiamo io) fa parte della nostra famiglia ormai da tre mesi. È una brava persona, gentile e simpatica, ma Ginger non la sopporta. Sono sicura che sia uno dei suoi soliti capricci, ma a volte la capisco. Non è facile accettare una nuova “mamma” nella tua vita, soprattutto quando hai dodici anni e speri ancora che i tuoi tornino insieme. A me Sam non dispiace, e sono contenta se mio padre è felice.
Concludiamo il discorso famiglia e iniziamo quello amici. Inutile dire che le mie amiche per eccellenza sono Alex ed Emma, ma c’è un’altra persona molto importante. E questa persona è Zane.
Zane ed io ci conosciamo dall’età di cinque anni. Abbiamo frequentato tutte le scuole insieme e per un periodo siamo stati anche vicini di casa. È un bravo scienziato ed un ottimo disegnatore, ed è stato lui il primo a scoprire e custodire il nostro segreto. È gentile e generoso e ha tre fratelli e una sorella maggiori e una sorella minore. Gli piacciono gli hamburger. Il suo passatempo preferito è nuotare. Ed è anche per questo che è il mio migliore amico. Insieme facciamo lunghe gare di apnea, immersioni e qualunque altra cosa si possa fare in acqua. Mi piace tantissimo stare con lui. [Smettetela di fare quelle facce, sembrate delle oche.]
Comunque, stavo dicendo, mi piace tanto stare con lui. È un buon amico e un ottimo ascoltatore. E poi gli voglio bene.
Sapete, mi sono accorta che non vi ho ancora parlato di me. Abbiamo detto che sono nata a New York e che i miei sono separati. Bene. Sono sempre stata una ragazza riservata; sensibile, insicura, paurosa e impacciata quando si ritrova in situazioni imbarazzanti. Ero una campionessa di nuoto. Dico ero, perché dopo la mia trasformazione dovetti rinunciare a molte cose. Ma ci arriveremo con calma.
Colleziono pesci tropicali e vendo gelati al parco marino. Odio pescare e sono allergica al lattosio. Sono una ragazza socievole e, non per vantarmi, piaccio a tutti. Odio le liti e sono sempre io a fermare Alex ed Emma un minuto prima che si scannino. Sono un bersaglio facile per i bulli, ecco perché, quando Justin mi ha chiesto di salire sul suo gommone per aiutarlo mi sono fatta ingannare, e lui mi ha spinto in acqua. Per fortuna c’era Alex nei paraggi, che con la sua candela (rubata!) mi ha aiutato a rimetterlo in moto e ad avventurarci in mare aperto.
Pessima idea!
Fu li che ci perdemmo e che fummo costrette ad andare sull’isola Mako, inconsapevoli della magia che abitava quel posto. Nella piscina naturale, all’interno del vulcano, mi sembrava tutto un’illusione. Guardavo quell’acqua e non riuscivo a capire da dove provenisse, e perché non fosse salata. Fui io la prima ad entrarci per cercare una via d’uscita. Era innaturalmente calda, come fosse un bagno termale. Cercai di non pensarci troppo, presi un bel respiro e mi immersi. La sensazione era piacevole e stranamente familiare. Mi sentivo bene e avrei voluto restare lì a tempo indeterminato; stavo quasi per farlo, ma poi mi ricordai di non avere molto tempo prima di finire il fiato e che dovevo cercare un’uscita. Finalmente la trovai. Era a circa venti secondi sott’acqua e portava direttamente al mare aperto. Tornai indietro e diedi la notizia alle ragazze. Loro, con riluttanza, si immersero e fu allora che successe. Dalla piscina iniziarono ad uscire numerose bollicine. Alzai lo sguardo e notai la luna piena, grande e luminosa, che dominava il cielo. Mi domandai quanto tempo fosse passato da quando eravamo finite lì dentro, ma non feci in tempo a darmi una risposta, perché una luce fortissima piombò su di noi e ci investì. Mi sembrò di essere morta.
Era una sensazione stranissima.
Hai presente quello che si prova quando dopo dieci giri della morte sulle montagne russe ti senti lo stomaco vuoto e inesistente? Ora moltiplicalo per tre.
Non raggiunge ciò che sentivo. Era come se tutto il mio corpo fosse diventato inconsistente, quasi inesistente. Fu quando guardai le mie mani che mi venne un tuffo al cuore, perché le mie mani non c’erano! Erano invisibili! Pian piano anche il resto del mio carpo iniziò a sparire, a tratti prendendo la consistenza dell’acqua. Guardai le mie amiche. Accanto a me Alex sembrava una torcia. Il suo corpo era in fiamme e sembrava essersi alzata di qualche centimetro. Accanto ad Alex, invece, Emma sembrava una massa informe. Intorno a noi una luce fortissima mi bruciava gli occhi. Poi si spense ed io svenni. Il mattino dopo mi ritrovai a casa mia, senza capire niente.
Non sapevo cosa fosse successo, se era successo!
Provai a credere che fosse stato tutto frutto della mia immaginazione, ma quando lo raccontai ad Emma dalla sua faccia capii che non era così. Il mio DNA, infatti, durante l’esplosione, era davvero mutato. Riuscivo a fare cose impossibili, come render il mio corpo invisibile o creare capi di forza. Ma non era tutto. Ben presto imparai a manipolare l’acqua liquida, modellandola come volevo e a trasformarla in gelatina, per poi cristallizzarla. Ma la cosa più straordinaria era un’altra. Non so bene come definirla, perché fu sia un bene che un male. Entrando in acqua (o semplicemente entrandoci in contatto in qualunque modo) le mie gambe spariscono, il mio corpo si tramuta momentaneamente in una marea di bollicine, i miei vestiti e i mei gioielli svaniscono, i miei capelli si sciolgono, ed io mi tramuto in una bellissima sirena, che riesce a nuotare sott’acqua e a parlare con i pesci. La sensazione è strana, ma bellissima. Il problema è che a causa di questo potere dovetti abbandonare il nuoto, senza poter dare spiegazioni a nessuno.
È stato terribile! Ma alla fine ho imparato a conviverci, ed ora posso nuotare sott’acqua per ore ed ore.
Comunque in questa nuova avventura non ero sola, oltre le mie amiche e Zane, corse in nostro aiuto anche Maria, una donna tanto saggia quanto scaltra, che ci ha aiutato e ci ha addestrato rendendoci le macchine da guerra che siamo oggi. Grazie a questa avventura sono più determinata e testarda. Non ho paura di niente e ora è difficile che qualcuno mi metta i piedi in testa. Non temo il confronto con qualcuno di più forte e sono pronta a tutto pur di combattere il male.
Con Alex ed Emma siamo un trio affiatato, legate da una grande amicizia ma anche da un grande segreto, lottiamo contro il male e siamo come i “tre moschettieri”. Tutte per una, una per tutte! E spero che questo non cambierà mai.

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Capitolo 4
*** Bella salva una mucca ... o quasi! ***


[Salve Gente! Scusate per i capitoli precedenti! So che erano un pò noiosi, ma erano l'unico modo per farvi capire al meglio la storia e per farvi conoscere questi personaggi frutto della mia fantasia. Spero comunque che vi piacciano. Da ora pubblicherò solo capitoli della serie, senza più interruzioni. Ed ecco a voi il 1° capitolo!! :D]

Era una mattina d’inverno. L’ aria era fredda e in spiaggia non c’era quasi nessuno. Bella era seduta in riva al mare: abbastanza vicina da poter sentire l’odore di salsedine ma abbastanza lontana da riuscire a non bagnarsi i piedi. Chiuse gli occhi e tirò un respiro profondo. Riusciva a sentire il silenzio intorno a se. Ad un certo punto si alzò, corse verso il mare e si tuffò. Prima che se ne potesse rendere conto le era spuntata la coda da sirena e stava respirando sott’acqua. Si immerse un altro po’, dove il mare era profondo e scuro. Non si vedeva nulla, a parte qualche alga e qualche scoglio. Si immerge ancora, stavolta era davvero in basso. Non si vedeva nulla. Decise di restare lì. Credeva davvero di essere sola, quando, ad un tratto sentì una richiesta d’aiuto di qualcuno dal profondo degli abissi. Lei si girò a guardare. Tre ippocampi le stavano correndo incontro.
- Aiuto! Aiuto!
- Cos’e successo?- chiese Bella.
- È lì! È intrappolato!
Bella non perse tempo a fare domande. Sapeva che quando un’ ippocampo era agitato non sapeva far altro che agitarsi di più. - Ok … Andiamo- e si fece condurre fino ad uno scoglio dove era inabissata una vecchia nave. Doveva essere lì sotto da parecchio tempo, perché stava cadendo a pezzi. – Non vi preoccupate. È solo una nave. Non può farvi niente!
- A noi no, ma a lui si!- Bella si chinò a guardare, non sapeva di cosa stessero parlando gli ippocampi, e a quella profondità non si vedeva niente.
- Ragazzi- disse- lì sotto non c’è niente! Andiamocene- Stava quasi per farlo quando udì un leggero MUUU!
- Sbaglio o era una mucca?!- disse Bella voltandosi a guardare in basso.
- Aiutala! Ti prego aiutala!
Lei era incredula; più per curiosità che per altro scese a guardare. Quando arrivò non poteva credere ai suoi occhi. Quella che aveva sentito era davvero una mucca. Ma no! Non era proprio una mucca. Era un serpente. Un serpente-mucca! Era impigliato in una rete da pesca. Una di quella usata da alcuni pescherecci di zona. Suo padre era pescatore, conosceva il tipo di rete e lo odiava. Era già terribile che alcune volte imprigionassero focene e delfini, ma altre volte rimanevano incastrati lì anche animali mitologici. Bella non riusciva a vederlo con chiarezza, ma riusciva a percepire il movimento delle acque e sapeva che quell’animale si stava divincolando. MUUU! – Tranquilla, ti libero io! Anche se non ho idea di come fare- disse. Si avvicinò un po’ di più al serpente-mucca. Prese in mano un coltello che probabilmente faceva parte dell’argenteria della nave oppure era di qualche pescatore che distrattamente lo aveva fatto cadere in mare. Si avvicinò all’animale per liberarlo, ma appena quest’ultimo lo vide si spaventò e iniziò a divincolarsi ancora di più.
- No! No!- Bella buttò via il coltello. – Non preoccuparti! Non voglio farti del male! Visto?! Niente coltello!- Agitò la mano vuota davanti al serpente-mucca mentre con l’altra le accarezzava il muso.
- Su, calmati Bessi- Non aveva idea del perché la chiamasse Bessi , forse perché con quel musetto da mucca era il primo nome che le venisse in mente. – Su calmati, non aver paura, adesso ti libero- MUUU! Così, cercando di usare il tono più calmo possibile, iniziò a slacciare i nodi della rete da pesca. Una volta liberato, il serpente-mucca sfrecciò via come un fulmine e si dissolse nel buio. Bella trasse un sospiro quasi di sollievo e iniziò a risalire in superficie.
- Grazie! Grazie!- gridarono gli ippocampi.
- Non c’è di che- sussurrò, quasi certa che gli ippocampi non l’avessero sentita.

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Capitolo 5
*** Maria è un pò lunatica ***


DRIIING! La campanella della scuola era suonata. Bella si affrettava ad arrivare in tempo. Ci aveva messo un po’ per liberare quell’animale dalla rete da pesca e non si era resa conto che si fosse fatto tardi. Ad aspettarla fuori dalla scuola c’era Alex . Aveva una maglietta a maniche corte nonostante la neve. Lei non soffriva mai il freddo, grazie ai suoi poteri.
- Dove sei stata?
Bella aveva ancora il fiatone. -Sono andata a farmi una nuotata.
- Lo immaginavo. Noi siamo passate a casa tua. Tuo padre ci ha detto che eri venuta tu da noi.
- E voi cosa gli avete detto?
- Che allora ti avremmo incontrato lungo la strada
- Bene! Dov’è Emma?
- Ci sta aspettando con Zane e Percy Fuori dall’aula Emma le stava aspettando ansiosa. Aveva le braccia incrociate e batteva il piede sul pavimento nervosa. – Brutto segno!- sussurrò Alex.
- Ma dove eri finita?- disse Emma con tono furioso rivolta a Bella.- La lezione è già cominciata!
- Scusa! Volevo solo farmi una nuotatina … - Bella era rossa di vergogna. Non si sa perché ma quando Emma le urlava contro Bella stava sempre in silenzio, sempre . Non aveva lo stesso coraggio di rispenderle che aveva Alex.
- Beh?! Perché le urli così? È forse proibito nuotare?!- urlò Alex – Coraggio, entriamo in classe! La lezione sarà già cominciata … non che mi interessi più di tanto …
E invece doveva interessarle. La lezione che si stava svolgendo era quella tenuta da Maria ( la donna che le aiuta ad allenarsi con i loro poteri. Inizialmente era entrata nella scuola in incognito per poterle sorvegliare; ma poi ha scoperto che le piaceva insegnare e così è rimasta). Appena entrarono in classe Maria le fulminò con lo sguardo. – Siete in ritardo signorine!
- Ci scusi … - a Bella tremava la voce – non succederà più!
- Me lo auguro! Su, mettetevi a sedere!- “Facciamo i conti dopo” aveva pensato Maria mentre segnava sul registro le presenze. Alex inarcò un sopracciglio. Solo lei era riuscito a sentirlo, visto che il suo potere le permette di leggere nel pensiero. Si sedette e iniziò a seguire la lezione … per i primi 5 minuti. Poi il suo cervello andò da tutt’altra parte. Iniziò a pensare a Silver Surfer, a come poteva distruggerlo, al modo perfetto per prepararsi dei popcorn con i suoi poteri … insomma, pensava a tutto tranne che alla lezione. Molte volte addirittura leggeva i pensieri dei suoi compagni per passare il tempo. Ma non era l’unica. Anche Percy era distratto. Pensava a tutt’altro. Solitamente aveva le cuffie, stavolta invece si limitava a fissare fuori dalla finestra. Se l’insegnante se ne fosse accorto e avrebbe sparato una domanda sull’argomento sarebbero stati guai. Lui non leggeva nel pensiero! Percy però era un semidio. Era figlio di Poseidone. Era dislessico visto che il suo cervello era impostato sul greco antico, e aveva il deficit dell’attenzione per via dei suoi riflessi da combattimento. Maria lo sapeva, e evitava di farli fare brutte figure chiedendogli magari di recitare un verso di Dante o di Shekspere. Ma quel giorno Maria era di cattivo umore.
- Ragazzi!- Sbatte la mano sulla cattedra furiosa - Posso avere la vostra attenzione?!- si girò verso Percy - Signor Jackson!
Zane diede un calcio sotto la sedia di Percy. Lui si scosse e diede attenzione alla professoressa.
- Stai seguendo la mia lezione?- Percy era sbigottito, ma con voce tremolante rispose un leggero si.
- Bene! Allora perché non mi dici il significato del verso dantesco che ho scritto alla lavagna?!
Emma e Alex si lanciarono uno sguardo preoccupato ma anche sconvolto. Maria sapeva della dislessia di Percy; come aveva potuto chiedergli una cosa simile? Maria ribatté - Allora?
Percy fece un tentativo. Fissò la lavagna. Le lettere iniziarono a roteare, formando parole sansa senso. Gli girava la testa. Non servivano i super poteri di Alex per capire che era in difficoltà. Era sul punto di dire un “non lo so” e di fare la figura del perfetto idiota quando una fiamma si innalzò nel giardino che sporgeva dalla finestra. Tutti i ragazzi si alzarono a guardare. Tutti tranne Alex, Bella, Emma e Percy. Quando a quest’ultimo arrivò un bigliettino con su scritta la risposta alla domanda della professoressa scritta in greco antico fu subito chiaro tutto. Alex aveva provocato l’incendio. Percy si affrettò ad aprire il bigliettino e leggerlo. Poi Bella attivò gli irrigatori e spense il fuoco. Tutti i ragazzi tornarono a sedere. A quel punto Percy, con tono sicuro, diede la risposta alla professoressa, che rimase sbigottita.
- OK Jackson, ben fatto- Sulla faccia di Maria era tornato il solito sorriso dolce di sempre, come se non fosse successo niente. Percy si girò e fece un cenno alle ragazze. “Grazie” disse mimandolo con le labbra. Ad un tratto suonò il campanello che segnò la fine della lezione. Tutta la classe uscì fuori di corsa. Maria stava sistemando le sue cose.
- Cosa ti è saltato in mente?- era la voce di Alex, che era rimasta in fondo all’aula.
- Non capisco di cosa tu stia parlando.- rispose Maria con tono stupito. Alex alzò gli occhi al cielo
- Lo sai che Percy è dislessico! Lo sai bene! Perché gli hai fatto quella domanda assurda? Che cosa volevi fare? Fargli fare la figura dell’imbecille? Ci riesce già benissimo da solo!
Maria sgranò gli occhi – Ma di che cosa stai parlando Alex?! Non avrei mai pensato di fare una cosa simile!
- Ah no?! “Perché non mi dici il significato del verso dantesco che ho scritto alla lavagna?”- disse Alex imitando in modo stridulo la voce di Maria.
- Beh te lo sarai immaginato! Ti giuro! Io non l’avrei mai fatto! Alex la guardò negli occhi. Stava dicendo la verità. Nessuno riusciva a mentirle. Inarcò un sopracciglio, poi disse
- Sai, credo che tu debba farti un bel bagno caldo … sei un po’ lunatica oggi … - così si avviò verso la porta. Una volta sul ciglio si girò a riguardare Maria, che però si comportava come se non avesse mai parlato con lei proprio 5 secondi fa. Alex era ancora un po’ stranita da quella conversazione, ma si avviò per il corridoio, dove c’erano i suoi amici.

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Capitolo 6
*** Il campo è davvero deserto ***


Erano saliti in macchina. La neve iniziava a cadere, anche se non era molta. Maria era alla guida. Al suo fianco c’era Emma, presa nel raccontare tutto ciò che era successo a Maria. Dietro sedevano Percy, Bella e Zane. Alex li avrebbe raggiunti lì correndo. Maria stava seguendo con interesse la storia di Emma, che non mancava un particolare, e cercava di ricordarsi l’accaduto. Ai posti di dietro invece non c’era questo gran parlare. Percy era ancora un po’ irrequieto per la litigata con Alex. Litigavano spesso, si, ma quella era stata proprio pesante. Zane guardava fuori dal finestrino. Continuava a pensare a come fosse il campo. Lui non c’era mai stato. Gli umani non potevano entrarci, salvo che il preside del campo, il preside Crubs, non li avesse accettati. Riusciva ad immaginarselo solo attraverso i racconti delle sue amiche. Bella sedeva in mezzo. Non parlava. Non aveva molti argomenti. L’unica cosa che le passava per la testa in quel momento era che cosa fosse successo al campo. Ci pensava e ci ripensava. Poi ad un tratto decise di pensare ad altro. Pensò alla sua nuotata di quella mattina. Chissà che fine aveva fatto Bessi. Non aveva mai visto una creatura simile prima d’ora. Quante cose nasconde il mare. Ad un certo punto ci fu una frenata brusca. I ragazzi sbalzarono.
- Che è successo?- domandò Zane
- Siamo arrivati- rispose Maria. Scesero tutti dalla macchina. L’albero di Talia, l’albero magico che proteggeva il campo, era cosperso di neve.
- Sembra un pino di Natale- osservò Percy. Iniziarono a salire in cima alla collina. Zane era irrequieto. Non vedeva l’ora di vedere il campo, ma aveva anche paura di ciò che avrebbe potuto trovare. Insomma, se non fanno entrare gli umani ci sarà un motivo.
- Zane- chiese Bella preoccupata – Stai bene? Sembri un po’ … nervoso.
- Nono! Sto bene! Non ti preoccupare!
Bella glie lo leggeva negli occhi che non era vero. – Senti … - gli disse – non sei costretto a farlo se non vuoi … - Zane fece cenno di no con la testa. Bella avrebbe giurato che in quel momento stesse per vomitare.
- Nono!- disse lui – ce la faccio! Ce la faccio!- Cercò di mostrarsi più coraggioso di quanto non lo fosse. Bella accennò un si con la testa. Continuarono a salire. L’albero appariva sempre più grande. In lontananza si scorgeva un piccolo bagliore dorato. Era il Vello d’Oro. I ragazzi lo avevano recuperato l’estate prima nel Mare dei Mostri. Quel vello aiutava l’albero di Talia a restare in vita. Salirono in cima. Alex era già lì che li aspettava. Guardava fisso l’albero e sospirava. Sembrava immersa nei suoi pensieri e dava l’aria di una che se la disturbavi ti carbonizzava; nel caso di Alex nel vero senso della parola. Tutt’intorno a lei c’era un cerchio in cui la neve si era sciolta. Doveva avere proprio la temperatura alta!
- Alex!- chiamò Emma. Alex si girò un po’ seccata mi rispose al richiamo.
- Ehi! Era quasi ora che arrivaste! Qui si gela! Muoviamoci!-. si vedeva che non sapeva cosa stesse dicendo. Tutti sapevano che Alex non soffriva il freddo. Figuriamoci se poteva gelare! I ragazzi la raggiunsero. Appena arrivati in cima scorsero subito il campo. L’unica cosa che si vedeva era la casa grande.
- Davvero?!- domandò Zane sconvolto – Tutto qui? È questo il famosissimo campo che tutti lodate? Quella casetta?
- Si- rispose Percy.
- Ma state scherzando?!- In effetti visto da fuori il campo sembrava una semplice casetta di campagna che sporgeva sul lago.
- È coperta dalla Foschia sciocco!- lo rimproverò Emma. – È ovvio che non è tutto qui!-. Si avviarono verso “la casetta”. Fra gli alberi c’erano due grosse colonne che sorreggevano la scritta “Campo Mezzosangue”. Era scritta sia in inglese che in greco, in modo che anche i semidei potessero leggerla, nonostante siano dislessici.
- Ecco, guarda Zane!- Emma indicò le due colonne. Sembravano poste lì senza senso dato che dopo non si vedeva altro. - Quella è l’entrata per il campo. Una volta varcata la soglia la Foschia sparisce e mostra realmente com’è fatto.
- Ok … quindi mi basta sorpassare quelle colonne per eliminare la Foschia?
- Ehm … non esattamente.
Alex e Percy sorpassarono rapidamente le colonne. Anche Maria fu libera di passare. Bella esitò ma poi passo anche lei. Lo facevano con così tanta naturalezza che Zane non si sarebbe mai immaginato che quando sarebbe passato lui … SBAM!
- Ahia!- Zane cadde con il sedere per terra e i ragazzi si lasciarono scappare una risatina.
- Ah già!- disse Emma in tono quasi lo avesse fatto apposta – avevo dimenticato di dirti che i morali non possono entrare direttamente come noi. Devi aspettare qui. Il professor Crubs deve darci l’autorizzazione a farti entrare. Mi dispiace!
Zane fece una faccia sbigottita. Tutta quella strada, tutta quell’ansia, e doveva pure aspettare? Guardò Bella disperato sperando che gli dicesse che era uno scherzo e che quello che lo aveva bloccato era un suo solito campo di forza, ma Bella gli sillabò un semplice “Mi dispiace”. Zane si rassegnò. Si sedette a terra e vide i suoi amici che scomparivano nel bosco.
Il campo era cosparso di neve, ed era bellissimo. Solitamente la neve non entrava, come la pioggia. I confini magici del campo creavano una specie di barriera che impediva alle precipitazioni di entrare, e quindi di rovinare gli addestramenti. A meno che il professor Crubs non lo volesse. Evidentemente vedere un po’ di neve ogni tanto faceva bene anche a lui. I ragazzi si guardarono intorno. Non c’era un’anima viva. Le uniche persone che c’erano erano : Selena Martinez, semidea, figlia di Afrodite. Harper Maison, supereroe, aveva il potere della super forza, era brava in combattimento, ma la sua stazza non le permetteva di muoversi con agilità. E poi c’erano i fratelli Stoll, Larry e Adams, semidei entrambi, figli di Ermes.
Selena vide subito i nuovi arrivati – Ehi! Ragazzi! Che bello che siate venuti!- Corse svelta verso di loro.
Selena era molto snella e agile aveva la pelle rosea, gli occhi azzurri e i capelli di un biondo quasi dorato. Ma quella volta non spiccavano molto : gli aveva raccolti in una lunga treccia e pendevano sulla spalla destra. In testa aveva un paraorecchie per proteggersi dal freddo. Indossava un giubbino rosa, anche se somigliava di più a un kiwei estivo. Sembrava poco caldo; avrebbe potuto mettersi comodamente un piumino ma Selena non avrebbe mai rinunciato al fatto di essere alla moda. Dietro di lei li stava raggiungendo anche Harper. Era vestita in modo più rozzo rispetto a Selena : indossava un giubbino rosso simile a quelli dei militari. Portava i guanti di lana e i suoi capelli, ricci e rossi, erano schiacciati da un cappello degli Yankee.
- Come state? Come mai siete qui?- domandò Harper tra un abbraccio e l’altro.
- Ci hanno detto di venire!- rispose Emma.
- Perché c’è qualche problema?- domandò Selena.
- Veramente speravamo ce lo diceste voi!- ribatté Percy. Le due ragazze si guardarono con aria sorpresa e poi scossero la testa.
- No, qui tutto ok- I ragazzi non ci credevano. Davvero Atena aveva detto loro una bugia? Si avviarono verso la casa grande che era stata addobbata a festa per le vacanze di Natale. Bussarono alla porta ed entrarono. L’aria era riscaldata dal fuoco che bruciava nel camino. Accanto ad esso sedeva un uomo sulla sedia a rotelle. Era Chirone. Stava nella penombra e il fuoco gli illuminava solo una parte del viso. Sembrava davvero vecchio. Cioè, era vecchio, aveva più di tremila anni, ma di solito non li dimostrava, di solito appariva più giovane, un’ uomo sulla quarantina diciamo, ma stavolta sembrava proprio anziano. Fissava il fuoco. Maria cercò di attirare la sua attenzione e si sgranchì la voce. L’uomo si girò lentamente.
- Siete arrivati! Finalmente!- disse –Come state? Vi vedo in forma!
- Già- rispose Maria imbarazzata – Peccato che noi non riusciamo a vedere te!
Chirone allora si spostò verso la luce e si sporse in avanti. – Allora?- chiese – Come mi trovate?
Maria sorrise – Molto bene direi … - ridacchiò – Ciao Chirone! Fatti abbracciare … - Gli andò incontro e lo strinse in un abbraccio. Poi lui si rivolse ai quattro ragazzi che erano rimasti sulla soglia della porta.
- Ragazzi!- esultò – Voi non mi salutate?
- Ciao Chirone … - dissero all’unisono con malavoglia.
- Ok … ho capito … non vi va di salutare- disse Chirone. –Bah! Vabbè! Sarà meglio che mi sgranchisca le gambe … - Appoggiò le mani su entrambi i braccioli della sua sedia a rotelle fece forza sulle braccia per sollevarsi. Poi iniziò ad alzarsi e pian piano le sue gambe uscirono dalla scatola che era dietro la sedia. Gambe, per dire zoccoli. Già, zoccoli. Chirone era un centauro e la sua sedia a rotelle in realtà era una sedia magica che lo aiutava a nascondere il suo didietro equino e a mimetizzarsi nel mondo normale.
- Aah! Ci voleva proprio!- disse Chirone scrollandosi le gambe. – Beh … credo che voi vogliate parlare con il preside Crubs direttamente. Venite, è di sopra- Tutti lo seguirono. Salirono le scale ed entrarono in una stanza apparentemente buia, ma quando aprirono la porta una luce molto forte li accecò.
- Ok … - li avvisò Chirone – chiudete gli occhi e correte molto veloce. Alex, vuoi andare prima tu?
- Oh no … - fece Alex – Stavolta io non corro- Sfilò dalla tasca un paio di occhiali da sole e li indossò. Gli altri chiusero gli occhi e corsero dentro la luce. Alex tirò un sospiro di soddisfazione ed entrò camminando tranquillamente nella luce.

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Capitolo 7
*** Una visita inaspettata ***


- Davvero?!
- Già
- Ma come ha potuto … come ha fatto …
- Zane!! Fai troppe domande!
- Scusa … - Zane era un tipo curioso, ma Alex non sopportava tutte quelle domande, o meglio, non sopportava tutte quelle domande su un argomento che non sapeva.
- Forse Emma lo sa … - disse Zane poco convinto. Emma era la più intelligente del gruppo, ma i ragazzi dubitavano che sapesse che cosa fosse preso a Maria. Zane e Alex si avviarono verso il giardino dove c’erano anche Bella, Emma e Percy. Nell’aria un leggero profumo di erba bruciata e bagnata. Alex tiro un grosso sospiro e odorò l’aria che ricopriva il giardino della scuola. Sembrava odore di pollo arrosto bruciato troppo nel forno e poi gettato in una palude melmosa. BELAH! Ogni ragazzo che passava di là aveva una leggera sensazione di nausea. Nel prato c’era un grosso cerchio deforme e nero. Era l’erba bruciata ed era da lì che proveniva la puzza. I cinque amici si fermarono ad osservare
- Wow … - commentò Bella.
- Però … - aggiunse Emma.
- Forte!- disse Alex con entusiasmo. I ragazzi si girarono a guardarla con aria di disapprovazione, Percy inarcò un sopracciglio; Bella fece un debole sorriso e scosse la testa. Alex si girò sentendosi osservata. - Che c’è? Era un bell’incendio! Sono … - guardò le altre - … Siamo state brave!- in quel momento sperò di non essere rossa come si sentiva.
Poi Percy aggiunse - Beh! Su questo ha ragione! Siete state geniali! Mi avete salvato … ancora- in quel momento forse che Percy arrossì più di Alex. Ci fu un minuto di imbarazzante silenzio. Poi Zane disse
- Andiamo a pranzo?- i ragazzi annuirono all’unisono e si avviarono verso la sala mensa. Percy e Bella furono i primi ad entrare. Presero entrambi un vassoio e si misero a fare la fila. Lui le stava davanti.
- Alloraa … a che profondità sei arrivata stamattina?- disse Percy con un tono di sfida.
Bella si voltò a guardarlo, ci pensò un po’ su, poi rispose - Bah … non lo so … 80, 90 …
- Però! Hai battuto il tuo record!
- Se è per questo lo avevo già battuto il mese scorso!
- Certo! Bella lo fissò e iniziò a studiarlo -
Perché?... tu a che profondità arrivi?- P
ercy la guardò, quel gioco lo divertiva. - Non lo so, non ho mai contato la profondità. Quando mi immergo, mi immergo e basta … ma sicuramente più di te!
- Scommettiamo?- i due ragazzi si guardarono e iniziarono a ridere. Bella non si arrabbiava quasi mai con nessuno, ma quando la mettono davanti a una sfida è la prima ad accettare!
Dal lato opposto della sala Alex, Zane e Emma stavano facendo un’altra fila per il pranzo. Alex era davanti. La cuoca le verso una strana pappetta nel vassoio. CUOP!
- Bleah! Che schifo! Poi tocco a Emma. CUOP! -
Non posso credere che ci diano da mangiare questo schifo! Poi a Zane. CUOP! -
Già … dovremmo scrivere una petizione o fare una protesta Alex gli rispose
- Certoo! Cosi si che migliorano le cose. Fidati è meglio di no! Nella mia vecchia scuola abbiamo fatto una cosa del genere una volta. Per obbiettare contro una specie di “carne misteriosa” che servivano alla mensa …
- E poi?
- … e, e poi hanno cambiato la “carne misteriosa” … con la “pappa misteriosa”
- Quindi non ha funzionato?
- Sinceramente? Rimpiansi quella carne per tutto l’anno scolastico.
L’entusiasmo di Zane si smorzò subito -Capito … - riuscì a borbottare. Nel vassoio di Alex versarono un’altra poltiglia strana e acquosa.
- Ma che cos’è?
- Polpettone … - rispose la cuoca.
Emma lo fissò inorridita – La prossima volta mi porto il pranzo da casa …
Le file scorrevano e pian piano si arrivava ad un punto dove le due file si congiungevano. I ragazzi erano assorti ognuno nei propri discorsi che quasi non si accorgevano nemmeno di ciò che le cuoche mettevano loro nel vassoio. Le file stavano per finire. Alex era presa da ciò che le avevano messo nel piatto. Percy stava ancora discutendo con Bella sulla profondità e non guardava davanti a se. Le file finirono e … SBAM! Percy finì contro Alex e le versò il suo vassoio addosso. Tutti rimasero senza parole tranne Percy che ripeteva –Scusa! Scusa!- Alex era furiosa. Avrebbe voluto dirgliene quattro ma poi si accorse che Percy aveva preso una Diet Coke che le si era rovesciata addosso. Senza pensarci troppo uso la sua supervelocità e si catapultò in bagno. In men che non si dica fu ricoperta da una schiuma bianca e candida. Era talmente tanta che la fece cadere a terra. Alex atterrò di pancia. Si voltò verso i suoi piedi, allungò il braccio e inarcò le dita della mano fino a chiuderla in un pugno. Pian piano la Diet Coke iniziò ad evaporare e la schiuma scomparve. Alex si rialzò in piedi e si diresse a passo svelto nella sala mensa, dove era rimasto Percy, per dirgliene quattro.
- LA PROSSIMA VOLTA GUARDA DOVE CAMMINI!
- BEH! NEANCHE TU ERI MOLTO ATTENTA Mi PARE! SEI SUPER VELOCE O SBAGLIO? POTEVI BENISSIMO EVITARE IL VASSOIO!
- OH! QUINDI ADESSO È COLPA MIA?!
- Ragazzi! Per favore … - Bella odiava le liti tra amici; non sopportava la gente urlare. I litiganti la guardarono, poi si fissarono e sbuffarono all’unisono.
- Ok … - sbottò Alex. – Ma non finisce qui!- disse in tono minaccioso rivolta a Percy.
- CREDI CHE IO ABBIA PAURA Di TE?!- rispose lui in tono di sfida.
Lei si girò a guardarlo con aria di sfida. Nei suoi occhi sfrecciavano lampi e fiamme. Era il segno che Alex si stava alterando. La sua pressione salì e diventò rossa in viso, ma stavolta non per la vergogna, per la rabbia. Stava per folgorare Percy con un fulmine quando Emma intervenne.
- Ok … ora basta!- si mise in mezzo ai due e allungando le braccia li sposto a 2 metri di distanza. Alex riprese colore. Era diventata quasi bordeaux. Nessuno sapeva perché, ma quando litigava con Percy si agitava ancora di più. Sarà il fatto che lui era l’unico ( o quasi ) che le dava filo da torcere oppure infondo lei si vergognava un po’ a mostrare questo suo lato “feroce”. Ad affievolire l’atmosfera comparve Maria. Si era cambiata d’abito. Indossava un tailleur nero gessato con dei bottoni dorati, aveva delle piccole scarpe nere luccicanti. Portava alcuni bracciali dorati e una collana con una pietra verde incastonata nel mezzo. Aveva i capelli raccolti in una treccia che pendeva sulla spalla destra. All’orecchio sinistro spuntava un piccolo punto luce. - Maria?- disse Zane incredulo. La donna lo fissò con occhi stretti. Abbassò gli occhiali fino alla punta del naso e iniziò a studiare il ragazzo. Solo allora si intravidero meglio gli occhi. Erano diversi. Avevano diverse sfumature di grigio, erano intelligenti e pieni di sapienza.
- Tu non sei Maria!- disse Alex.
- No, no infatti.
- Allora chi sei? La donna si sfilò definitivamente gli occhiali. I suoi occhi erano profondi, ma non trasmettevano alcuna emozione. Era difficile capire cosa provasse. Aveva una postura dritta e fiera. Sembrava che nessuno potesse metterle i piedi in testa.
- Io sono Atena – disse – Dea della sapienza. Sono qui per parlare con voi.
I ragazzi rimasero sbigottiti. Una vera dea era scesa sulla terra, si era impossessata di un altro corpo, aveva fatto tutta quella strada solo per parlare con loro? Ci fu un silenzio imbarazzante. Poi Zane si fece scappare un leggero WOW!
- Sono qui per comunicarvi una cosa – continuò la dea – ci sono stati alcuni impicci al campo mezzosangue. Il cosiddetto campo è rimasto privo di guerrieri per via del seguente inverno. - E cosa vuole da noi? - Beh la dea della caccia, Artemide, è sparita. Pensiamo sia stata rapita dall’esercito di Crono. Non abbiamo idea di dove sia. Al campo ci siete stati raccomandati voi tre ragazze, e anche tu, figlio di Poseidone.
- Chi ci ha raccomandato?- chiese Percy.
- Un giovane satiro, Grover Underwood, ha parlato di voi, e anche Chirone ha messo una buona parola.
I ragazzi ci pensarono un po’ su. Erano ancora sbalorditi dalla visita. - Tutto ciò che vi chiedo ragazzi e di tornare al campo magico. Lì vi diranno cosa fare.
- Io vi aspetto qui?- disse Zane
- Tu giovane mortale non avresti proprio dovuto assistere a questa conversazione. Ma … dato che ci sei … va anche tu … magari potresti imparare qualcosa … adesso vi saluto eroi. Ho un compito urgente da sbrigare sull’Olimpo.- i ragazzi distolsero lo sguardo. Sapevano che quando un dio prende la sua forma normale se lo si guarda si viene carbonizzati. Quando si rigirarono c’era Maria, un po’ stordita.
- Ehi, che è successo? Perché mi gira la testa?
- Vieni- disse Emma – te lo racconto mentre andiamo al campo.

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Capitolo 8
*** Un'amica stecchita fa visita al fiume ***


BOOM!
La porta si chiuse dietro le loro spalle. Tutti avevano ancora gli occhi chiusi. Alex invece si stava sfilando gli occhiali. La forte luce era finita e si ritrovarono in una apparente normale stanza. Sui muri c’erano degli scaffali traboccanti di oggetti magici. Davanti a loro c’era una lunga scrivania. Dietro di essa era seduto un uomo anziano. Aveva una lunga barba, increspata via via dal tempo ma pur sempre bianca. Indossava una lunga veste scura con le maniche larghe. Sembrava non lavarsi da giorni, perché nell’aria c’era un leggero tanfo. A confronto Chirone sembrava un ragazzino. Lui si che dimostrava davvero l’età che aveva! Anche se nessuno sapesse il numero preciso. L’anziano era intento a leggere un libro di magia quando alzò lo sguardo.
- Eroi! – enunciò – Aspettavo con ansia la vostra visita. Prego, sedetevi
Bella andò per farlo ma poi notò uno scarafaggio zampettare sulla sedia.
- Nono, grazie. Stiamo in piedi- disse facendo un sorriso forzato.
- Professor Crubs- iniziò Emma – Ci hanno riferito che ci stava cercando. Sappiamo che la dea Artemide è stata rapita.
- Davvero?- disse lui con tono sorpreso – Chi ve lo ha riferito? Questo non c’era nella lettera …
- Quale lettera?
- La lettera che vi ho mandato. È per questo che siete venuti qui …
Emma scosse la testa. - Lettera? No, a noi non è arrivata nessuna lettera. È stata la dea Atena a dirci di raggiungere il campo. Ha detto che qui ci avreste detto cosa fare. Credo si riferisse al fatto di salvare Artemide …
Il professor Crubs non batte ciglio. C’era il dubbio che la sua mente gli si fosse bloccata a : “È stata la dea Atena”. In effetti era raro che un dio andasse di persona da un eroe. Di solito non si fa mai vedere, era proibito. Forse era per quel motivo che aveva usato il corpo di Maria per parlare con loro. Forse era in incognito. Il professor Crubs si girò verso Chirone
- Perché non è arrivata la lettera?- chiese. Chirone gli rispose con un sospiro.
- Beh, avevo assegnato il compito ai fratelli Stoll. Saranno anche figli di Ermes ma come messaggeri sono negati. Chissà a quale poverino avranno spedito quella lettera!- Ci fu un minuto di silenzio, poi Percy parlò
- Allora? Cosa dobbiamo fare? Dobbiamo salvare Artemide?- Il professor Crubs lo guardò. Scosse la testa come se si fosse appena ripreso da un blackout.
- Ah giusto!- disse – Voi non sapete ancora nulla. Nono, non è quello il motivo per cui vi ho chiamati. Cioè, si anche per quello, ma ne riparleremo dopo. Ora voglio che voi facciate una cosa- Cacciò dal libro di magia una foto di due ragazzi. Tutti si sporsero a guardare. – Vedete, questi sono dei semidei. Almeno è questo ciò che ci ha riferito il satiro Grover. Dice di non esserne ancora certo, visto che non hanno ancora mai manifestato i loro poteri. Non abbiamo idea di chi siano. Sappiamo solo che lei si chiama Bianca e che lui si chiama Nico. Hanno rispettivamente 15 e 10 anni. Forse sono fratelli, forse no. In questo momento si trovano qui- cacciò un’altra foto dal libro. Stavolta era di un hotel di lusso. - È il Hollywood Big Hotel. Ma non preoccupatevi, non si trova a Hollywood. Non siete costretti a riandarci.- I ragazzi lo fissarono. È vero, erano già stati ad Hollywood quando erano scesi negli inferi, ma ci sarebbero tornati ben volentieri, soprattutto per andare in un lussuoso Hotel. – Non abbiamo idea di cosa ci facciano lì. Ma voglio che li raggiungiate e che li scortiate al campo. Tutto chiaro?-
- Quando andiamo? Ora?- chiese Bella.
- No domani- rispose Chirone.
- Già, il vecchio centauro ha ragione, andrete lì in incognito. Domani in questo Hotel ci sarà un ballo. Procuratevi dei vestiti eleganti per mimetizzarvi nella massa. Ma teneteli d’occhio. E poi, non potete andare ora. Non prima della Caccia alla Bandiera
- Ma, professor Crubs, crede sia il caso di …
Crubs lo interruppe. – Certo che è il caso!
- Ma professore … - obbiettò Bella – Come faremo. In questo campo ci saranno si e no 10 persone!- Crubs non rispose. Chirone tirò un sospiro. Aveva un brutto presentimento. Crubs fece un gesto con la mano e indicò la porta. Era il segno che se ne dovevano andare. Uscirono dalla porta, stavolta senza dover chiudere gli occhi, visto che la luce rifletteva al contrario, ma dovevano evitare di girarsi. BOOM!
- Avete notato com’era nervoso Chirone quando Crubs ha detto della Caccia alla Bandiera?- chiese Emma.
- Già … - rispose Percy – forse perché non ci sono abbastanza ragazzi
Maria scosse la testa – No, non è per quello. Quando si tratta di Caccia alla Bandiera Chirone non si tira mai indietro. È la sua attività preferita! Ameno che …
- A meno che?- chiesero i ragazzi curiosi.
- A meno che non si lotti contro le Cacciatrici. Chirone le odia! Ma non credo che vengano con questo tempo, o almeno lo spero … per voi
- Chissà,- disse Alex – Zane dovrebbe assistere, potrebbe piacergli- Bella annuì. Poi ad un tratto …
- Zane!!!- gridarono i ragazzi.
Bella trasalì – Oddio! È rimasto fuori! Al freddo! Abbiamo scordato di avvertire Crubs! Poverino! Io rientro!!- Corse subito dentro la porta, strinse gli occhi e sorpasso la luce di corsa. gli altri si guardarono, in colpa. Avevano dimenticato Zane fuori, nella neve. Sarà morto di freddo. Stavano per rientrare anche loro quando Maria disse
- Credo che facciate meglio ad andarvi a preparare per la Caccia alla Bandiera. Credo che stavolta sia più dura del previsto-. I tre ragazzi seguirono il suo consiglio e si andarono a preparare.

Erano undici in tutto. I ragazzi del campo. C’era Selena, Harper e i fratelli Stoll. Poi c’era Thomas Bleckerfood, figlio di Efesto. Anna, una ragazza che aveva i superpoteri da forse prima che esistesse il campo, visto che tutti se la ricordano sempre lì. Forse aveva pure aiutato a costruirlo. E poi c’era un ragazzino nuovo, era lì da tre mesetti circa; era un mago, questo era sicuro, perché aveva sempre con se uno strano pezzo di legno che in realtà era una bacchetta. E poi c’erano loro quattro. Alex, Bella, Emma e Percy. Quest’ultimo si stava infilando l’armatura insieme agli altri ‘figli di’. Le ragazze si stavano preparando diversamente, indossando le loro tute per supereroi. Erano tutti nervosi: Selena continuava a ripetere
- Gli faccio vedere io se l’amore non è importante. A quelle lì! Se ne pentiranno di averci sfidato!- Harper borbottava qualcosa contro di loro. Evidentemente c’era stata una forte litigata tra i ragazzi del campo e la Cacciatrici, perché ognuno diceva qualcosa contro di loro. Chi in greco antico, chi in perfetto inglese! Bella era turbata da tutto quell’odio. Non le piaceva vedere la gente litigare. Si trovava accanto ad Alex, che ancora non rivolgeva la parola a Percy. Emma gli andò vicino
- Ragazze, se queste Cacciatrici sono così forti bisognerà attuare un piano d’attacco ben definito. Alex, tu prenderai la bandiera. Noi tutti ti copriremo le spalle. Percy lo mettiamo in difesa mentre Thomas … - Alex alzò le mani per fermarla
- Hei, hei, frena! Frena!... sono rimasta ad “attacco”!- Emma alzò gli occhi al cielo. Fece avvicinare tutti gli altri ragazzi e spiegò bene il suo piano. Poi suonò il corno. Era il segno che si cominciava. Chirone salì su una piattaforma. Si sgranchì la voce
- Bene … - cominciò – Questa è una partita di caccia alla bandiera. da un lato ci sono i ragazzi del Campo mezzosangue.- e fece cenno verso di loro con la mano – Dall’altro … ci sono le Cacciatrici- fece di nuovo cenno con la mano verso il bosco vuoto. Lo fece con un’espressione di malavoglia sulla faccia. Doveva proprio odiarle. Inizialmente non si vide nulla. Poi uscirono. Erano dodici ragazze, tutte bellissime. Avevano la pelle argentea e i capelli ramati intrecciati con dei fili color bronzo. Indossavano dei vestiti simili a quelli dei pellerossa. Però azzurri. Erano scalze e avevano degli archi in mano. L’età media di quelle ragazze sembrava essere 13 anni, perché davano l’impressione di essere più piccole, magari di quello che erano. Una di loro si fece avanti. Aveva un’andatura fiera e camminava a testa alta. Sembrava essere la più grande
- Questa è la nostra squadra – disse -Vedremo cosa riuscirete a fare stavolta- Chirone fece prima un verso di scherno, poi una faccia nauseata, come se ciò che stesse facendo gli costava molto. Iniziò a spiegare le regole. Disse che l’ala Nord del campo era dei mezzosangue. L’ala Sud delle Cacciatrici. Poi iniziò il conto alla rovescia. Si misero tutti in postazione. Percy, Bleckerfood, il maghetto e i fratelli Stoll andarono a difendere la loro bandiera. Selena, Harper, Bella, Alex e Emma si sparpagliarono nel bosco. La voce di Chirone rimbombò nel bosco. “ Pronti, partenza … Via!”. Tutti iniziarono a correre. Alex sfrutto la sua super velocità per correre a prendere la bandiera. Ma le Cacciatrici tutto erano, tranne che sciocche. Avevano capito benissimo che Alex sarebbe corsa a prendere la bandiera. Infatti, la ragazza si trovò circondata da 5 di loro. Altre tre invece, braccavano Bella, Emma e le altre. L’unica che non si vedeva era la ragazza più grande, scelta probabilmente per recuperare la bandiera. Percy si arrampicò su un albero e vide la scena. Alex era circondata e non riusciva a liberarsi, e lo stesso Emma e Bella. Guardò in basso. La situazione era piatta. Le Cacciatrici erano così impegnate a fermare le altre che si erano dimenticate il vero obbiettivo. Guardò il lontananza e vide la bandiera della squadra avversaria. La situazione era piatta anche li. Nessuno attaccava. La bandiera era sorvegliata da una sola cacciatrice, che sembrava anche annoiarsi. Era la volta buona! Percy scese dall’albero e sguainò Vortice, la sua spada.
- Ragazzi,- disse ai suoi compagni – io vado a prendere la bandiera, ce la fate a … - Non fece in tempo a finire la frase che Bleckerfood gli disse
- Vai! Qui ci pensiamo noi- Percy annuì e si avviò verso l’ala Sud del campo. Iniziò a correre come un pazzo, cercando di evitare le altre cacciatrici, che erano impegnate con Alex. Arrivò lì, sotto il masso che reggeva la bandiera. Aveva il fiato grosso. Si avvicinò furtivamente e scalò il masso. La cacciatrice che era di guardia stava menando qualche freccia nel bosco, a caso. Percy allora strinse forte il manico della sua spada e fece un taglio netto. L’asta della bandiera si ruppe e gli cadde in mano. Perfetto. Riprese a correre verso Nord, convinto di avere la vittoria in tasca. La cacciatrice però si era accorta che la barriera mancava e diede l’allarme: “L’hanno presa! L’hanno presa!” gridava. Percy la sentí e cominciò a correre ancora più forte. Quando ad un tratto vide Alex. Si era liberata delle cacciatrici e stava correndo dal lato opposto.
- Ma che stai facendo?!- sbraitò Alex.
- Sto vincendo!- le rispose Percy. Non si aspettava invece che … PUNF! Un’enorme nube tossica si sparse per il bosco. Alex iniziò a tossire. Percy annusò l’aria e gli stava venendo da vomitare, ma continuò a correre. Quando inciampò. Cadde per terra e la bandiera gli volò dalle mani. Sentì un grido alle sue spalle. Si girò. Alex era appesa a testa in giù in una trappola. Percy non perse tempo. Era quasi arrivato al fiume. Se lo superava e portava la bandiera nel suo territorio avevano vinto. Riprese la bandiera e continuò a correre come un pazzo. Poi in lontananza vide il fiume. Continuò a correre. Ce l’aveva quasi fatta quando udì un “ NO!” dall’altra parte. Era Bleckerfood. La Cacciatrice più grande aveva preso la bandiera. fece un salto e oltrepassò il fiume. Stop! La sfida era finita e le Cacciatrici esultarono. Chirone risalì sulla piattaforma
- Le Cacciatrici hanno vinto … - disse - … per la sessantaduesima volta- si levò un boato di risatine e schiamazzi. I mezzosangue si buttarono per terra. Emma e Bella si aggrapparono a un albero. Percy si piegò in avanti. Avevano tutti il fiatone.
- CHE TI È SALTATO IN MENTE SI PUÒ SAPERE?!- Percy chiuse gli occhi e pensò “O no!”. Si girò e vide Alex che gli si avvicinava furiosa. Puzzava di uova marce per via della nube tossica. Gli si avvicinò
- CHE PENSAVI DÌ FARE?!- urlò. Percy divenne altrettanto furioso.
- HO PRESO LA BANDIERA!! VEDI?!- disse, sventolandogliela in faccia. – HO VISTO UN’OCCASIONE E L’HO COLTA!
- SBAGLIO O TOCCAVA A ME?!- ribatté Alex.
- ERI BRACCATA DA 5 CACCIATRICI! NON CE L’AVRESTI MAI FATTA!
- GIÀ … PERCHÈ TU CE L’HAI FATTA! MA DAI … - disse Alex.
- INTANTO L’HO PRESA A DIFFERENZA TUA! ERI TU QUELLA A TESTA IN GIÙ!- ribatté lui.
- AH! QUINDI ADESSO È COLA MIA?!- urlò Alex.
- NON HO DETTO QUESTO!
- ARGH!- Lei gli diede uno spintone. Una scarica elettrica uscì dalla mano della ragazza e fece finire Percy in acqua. Alcuni ragazzi rimasero a bocca aperta, un paio di Cacciatrici soffocarono una risatina.
- Alex!- la rimproverò Emma.
- Scusa … - borbottò lei impallidendo – non volevo … - Percy si alzò. La rabbia gli rombava nelle orecchie. Un’onda proruppe dal ruscello e si schiantò sulla faccia di Alex, inzuppandola dalla testa ai piedi. Lui si rialzò.
- Già – ringhiò – Non volevo nemmeno io- Alex aveva il fiato grosso. Era talmente furiosa che la schiuma sul suo corpo non fece in tempo ad uscire, perché tutta l’acqua era già evaporata.
- Vuoi una lezione, Testa d’ Alghe?- disse Alex. Nei suoi occhi stavano bollendo fiamme e fulmini. La sua faccia era sul bordeaux.
- Accomodati, Faccia di Pigna!- sbraitò lui e sguainò Vortice, la sua penna sfera, che se utilizzata si trasformava in una spada di bronzo celeste di un metro. La sollevò, ma prima che potesse anche solo provare a difendersi, Alex serrò i pugni e un fulmine cadde giù dal cielo, si abbatté sulla lancia di Percy come su un parafulmini e rimbalzò sul suo petto. Ricadde a terra. C’era odore di bruciato nell’aria.
- Ragazzi!- urlò Bella – Adesso basta!- Percy si rialzò subito e si concentrò sul ruscello. Centinaia da litri di acqua si levarono in una spirale, formando una gelida ed enorme cascata a forma di imbuto. Alex si preparò all’attacco infuocandosi completamente le braccia.
- Percy!- supplicò Emma. Percy stava per scagliarla contro Alex quando scorse qualcosa nel bosco. In un colpo solo, perse la rabbia e la concentrazione. L’acqua tornò sul suo letto. Alex rimase così sorpresa che spense le sue fiamme e si voltò a vedere cosa stesse guardando. Qualcuno … qualcosa si stava avvicinando. Era avvolta in una leggera nebbiolina verde e si avvicinava a passo lento. Chirone, Crubs e Maria accorsero subito, intenti a fermare la rissa. Con loro era venuto anche Zane, che era entrato e aveva assistito al gioco. Quando furono lì anche loro rimasero sbalorditi.
- È impossibile – esclamò Crubs con tono nervoso. – Lui … lei non è mai uscita dalla sua soffitta. Mai- Eppure la mummia si stava avvicinando. Nessuno capì chi fosse finché non fu proprio vicino.
- L’Oracolo!- bisbigliò Emma. Bella sussultò. Nessuno osò muoversi. La voce dell’Oracolo rimbombò nella testa di Alex, ma a quanto pare potevano sentirla tutti, perché molti si tapparono le orecchie. L’Oracolo si avvicino a Alex, che indietreggiò per la puzza di morto. L’Oracolo spalancò la bocca; una nebbiolina verde si riversò fuori. Si videro delle immagini sfocate: c’erano otto ragazzi di cui non si distinguevano i volti, c’era una montagna, c’era una figura che poteva sembrare un pesce e poi c’era una ragazzina, che sembrava sui dodici anni. Somigliava molto alle Cacciatrici, poi si capì perché; era Artemide, dea della caccia, ma era incatenata. L’Oracolo parlò:

Tre nuove reclute importanti al campo arriveranno. E tutti loro essenziali saranno.
Nove andranno a Ovest dalla dea in catene. E tutti loro lotteranno per il bene
Uno perirà dove mai pioggia cade. Uno si perderà dove nessuno crede.
Due rotta per forza cambieranno. Ed uno verrà ucciso da un genitore tiranno.
La maledizione del Titano uno dovrà perire. E una lacrima di potere una vita potrà salvare.
Il flagello dell’Olimpo la strada vi saprà mostrare. Il campo finalmente potrà trionfare.

Davanti agli occhi di tutti la nebbia verde si riavvolse e la mummia svanì. Alex tossì per la puzza di cadavere. Erano rimasti sbalorditi tutti. Maria aveva portato le mani alla bocca. Il professor Crubs continuava a scuotere la testa e a muovere nervosamente le mani, come per auto convincersi che non era successo davvero. Le Cacciatrici bisbigliavano qualcosa riguardo Artemide. Alex si girò. Guardò prima Percy, poi Emma, poi Bella, e infine Zane, che però era ancora confuso. Del resto tutti erano confusi. Chi erano questi nove? Che cos’era questo flagello dell’Olimpo? Ma soprattutto, chi morirà per mano di un genitore? Insomma, quale genitore era così cattivo da uccidere un figlio?

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Capitolo 9
*** L'albero della concordia ***


[Salve! Vi rubo dieci secondi per dirvi di leggere attentamente questo capitolo, perchè è molto importante; è infatti un momento di riconciliazione (non vi dico fra chi xD) e la scoperta di sentimenti nuovi e inaspettati per un personaggio. Buona lettura! E grazie ancora per aver cliccato la mia storia. COMMENTATE! :*]

Quella sera nessuno riusciva a calmarsi. Erano tutti irrequieti per la profezia dell’Oracolo. Così decisero di riunirsi a tavolo e di discuterne. Erano presenti tutte e tre le ragazze, Percy, Harper, Bleckerfood e i fratelli Stoll, Anna e Selena. Il maghetto non era presente. Era ancora troppo piccolo e non volevano traumatizzarlo. C’era anche una rappresentante delle Cacciatrici
- Andiamo noi!- urlava Pahobe, la Cacciatrice più grande. - È la nostra dea! Dobbiamo farlo noi! Partiranno nove Cacciatrici!
- NO!- la interruppe Chirone. – So cosa vuoi dire ma l’Oracolo ha detto esplicitamente: ”il campo finalmente potrà trionfare”. Quindi credo voglia dire che devono partire nove ragazzi del Campo Mezzosangue!
- NO!! Io mi oppongo!
Chirone stava per ribattere quando Crubs alzò una mano per zittirlo. - Chirone, per favore, non puoi metterti a litigare con una quattordicenne!
- Non è una quattordicenne! Avrà almeno duemila anni!!
- Ehi! Non li ho ancora compiuti!!- Molti sussultarono. Pahobe dimostrava solo quattordici anni, sembrava più piccola di molti di loro eppure aveva appena ammesso di avere quasi duemila anni!
- Pahobe ha ragione, è la loro dea e dovrebbero farlo loro. Ma … anche Chirone non ha tutti i torti. Forse è più probabile che quella parte della profezia non si rivolga alla dea Artemide, ma è meglio non rischiare. Le Cacciatrici non si muovono dal campo- Pahobe sbuffò e si mise a sedere. Incrociò le braccia come in forma di protesta ma non osò dire una parola. Crubs agitava nervosamente le mani. Qualcosa lo turbava.
- Va tutto bene professore?- gli chiese Maria.
- Si … cioè, si ma no. Sono un po’ preoccupato. L’Oracolo non usciva dalla sua soffitta da più di duemila anni! Deve essere una cosa troppo importante per spingerlo … spingerla a tanto. E poi la profezia parla chiaro: ci sarà una sparizione, un cambio di rotta e … - si fermò in tempo prima di pronunciare la parola “morte”. Bella guardò Alex nervosamente. Crubs non aveva tutti i torti dopotutto. Alex si alzò in piedi e batté le mani sul tavolo
- Se non vi dispiace, vorrei propormi io per questa missione
- No!- gridò Maria e balzò in piedi. Tutti la fissarono; lei si guardò intorno imbarazzata – Cioè … volevo dire … non puoi, non potete, avete già un’altra missione!
Emma la guardò storta. Se ne erano completamente dimenticate. Ma Crubs aveva detto di mantenere il segreto. Come mai lo aveva detto davanti a tutti? E, infatti, ecco che arrivò la domanda che si voleva evitare
- Che missione?- chiese Selena. Alex, Bella e Emma si guardarono nervosamente. Poi fissarono Maria con un’espressione di domanda.
- Latte- rispose Crubs – voglio mandarle a prendere del latte di … di … di centauro!
- Ehi!- esclamò Chirone offeso.
- Beh … qualcuno dovrà pure andarci- disse Emma, ansiosa di cambiare discorso.
- Già, ma ne riparleremo un’altra volta. Ora andate a casa e riposatevi- Disse Crubs cupo. Tutti si alzarono e uscirono.
- Ehi!- disse Crubs alle ragazze mentre stavano uscendo – Vi aspetto domani, per parlare della vostra impresa. Devo dirvi due cosette- Loro annuirono e uscirono dalla sala.

Percy era ancora al campo. Non riusciva a dormire e stava facendo una passeggiata nel bosco. Vide l’albero di Talia. Il Vello d’Oro risplendeva come non mai. Era bellissimo e sembrava un faro nella notte. Si fermò ad ammirarlo da lontano, quando a un certo punto scorse una figura in lontananza. Si avvicinò di più e, pensando che fosse un intruso, sguainò Vortice. Si nascose dietro un cespuglio e osservò il nemico. Solo allora lo riconobbe. Era Alex, non se ne era ancora andata. Richiuse la sua spada, che si trasformò di nuovo in una penna e se la infilò in tasca. Uscì dal suo nascondiglio e si avviò verso di lei. Poi si fermò, era a quasi tre metri da lei; il cuore gli martellava in petto. Era immobile davanti all’albero e lo fissava estasiata. La luce del vello le illuminava il viso in maniera perfetta e un leggero venticello le scostava i capelli. Percy si girò alla sua destra e strappò un mazzetto di fiori da terra. Le andò vicino. Lei non disse una parola. Non si girò neanche a guardarlo. Fissava l’albero, assorta, e sembrava avere l’aria di chi stava per piangere.
- Ehi!- disse Percy. Lei non rispose. Percy guardò il mazzetto di fiori e poi glie lo porse. Lei si girò e gli diede un’occhiata.
- Mi dispiace- disse lui – Sia per il lago sia per la mensa- In quel momento Percy pensò che lei non gli avesse rivolto la parola, ma invece abbassò lo sguardo e sorrise.
Prese il mazzetto di fiori e disse – Grazie. Dispiace anche a me- Percy era contento e la sua bocca si allargò in un sorriso. Alex riprese a guardare l’albero.
- È un bel albero!- esclamo lui.
- Già- rispose lei con fatica. Tirò un sospiro e poi disse – Mi ricorda molte cose belle
- Tipo?- disse Percy, ma poi si pentì subito di averlo chiesto.
Alex sbuffò, poi disse con fatica – Mia madre. Mi ricorda mia madre. Sai, dove vivevo prima, davanti casa mia, c’era un grosso pino, simile a questo. Ogni anno quando nevicava io e mia madre lo addobbavamo come un albero di Natale; era bellissimo. Su quest’albero c’era una piccola casetta di legno. Allora io e lei salivamo, e stavamo lì a berci una cioccolata calda e a osservare la neve che cadeva. E poi aspettavamo ansiose che mio padre ci venisse a chiamare, per dirci di scendere, perché era pronta la cena di Natale, e perché stavano arrivando i nonni, e poi ci urlava sempre di stare attente perché potevamo farci male- sorrise. – Era apprensivo, ma mi piaceva quando lo diceva- Alex soffocò una lacrima.
- Ti manca molto non è vero?- disse Percy. Lei non rispose, ma annuì. Percy non ebbe il coraggio di farle altre domande. Alex infatti aveva gli occhi lucidi. Si vedeva che si sforzava di non piangere.
- Stai bene?- chiese lui. Anche se la risposta era scontata, era ovvio che non stava bene.
- Certo!- rispose lei – Perché non dovrei?- si sforzò di sorridere ma non ci riuscì.
Ci fu un momento di imbarazzante silenzio poi Percy disse – Sai qual è il tuo problema?- Alex lo guardò e inarcò un sopracciglio. Poi vide la serietà nei suoi occhi e scosse la testa.
- Tu soffri, ma poi pretendi non si veda. Sai, a volte piangere fa bene
Alex sorrise e tirò su col naso. – Io detesto piangere, è una cosa che non sopporto- riuscì a dire.
- Perché?- chiese lui. Lei lo guardò
- Per due motivi. Primo: piangere fa gli occhi gonfi e il naso rosso, e io non lo faccio in pubblico. Secondo: perché se piangi per una persona che non c’è più, significa davvero che l’hai persa per sempre. Significa che ti sei rassegnato a non sentire più quella dolce voce che ogni notte ti faceva addormentare; che ti sei rassegnato a non bere ancora quella cioccolata che solo lei sapeva fare, così buona; che ti sei rassegnato a non vedere di nuovo quello splendido sorriso che ti faceva sentire al sicuro, protetto. Significa che ti sei rassegnato a non vedere la persona che più amavi al mondo. E accettare il fatto che lei non tornerà più da te … beh ecco, io … non ce la faccio- disse Alex con il cuore in gola. Abbassò lo sguardo e guardò il mazzetto di fiori che aveva in mano, quello che le aveva dato Percy. Lo strinse forte e guardò lui, che la stava fissando. Voleva fare qualcosa per aiutarla, ma Alex aveva un carattere molto permaloso, soprattutto quando era triste. Poi lei fece una cosa strana. Gli si buttò fra le braccia, si strinse forte a lui e scoppiò a piangere. Percy arrossì. Alex era molto calda per via dei suoi poteri, talmente calda che la neve intorno a loro si sciolse. Lui era rimasto immobile, poi sentì Alex piangere e se la strinse al petto, per consolarla. Lei si appoggiò sul suo petto, poco al di sotto del mento. I suoi capelli profumavano di limone, erano setosi e catturarono tutta l’attenzione del ragazzo. Glieli sfiorò in una carezza, mentre lei continuava a sfogarsi con lui in un pianto. Un pianto per sua madre; un pianto che si portava dentro da troppi anni e che aveva sempre cercato di soffocare; un pianto che finora solo Percy era riuscito a far scoppiare.
Così rimasero lì, entrambi, abbracciati, in una valanga di lacrime e neve, davanti l’albero di Talia, l’albero che aveva scatenato le emozioni di Alex, l’albero che aveva spinto Percy a provare compassione per lei, l’albero che aveva riportato la pace e l’amicizia tra i due.

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Capitolo 10
*** Una lezione un po' faticosa ***


Bella stava camminando per il campo con Emma.
- Credo che dovremmo tornare a casa- disse Emma. Bella non rispose, era immersa nei suoi pensieri.
- Oh! Bella! Hai sentito cosa ho detto?- Le mosse un braccio e Lei scosse la testa come se si fosse appena svegliata. Guardò L'amica
 - Eh?
 Emma alzò gli occhi al cielo – Ho detto che dovremmo tornare a casa. I ragazzi stanno già andando a dormire e sta facendo buio- La bionda annuì.
- C’è qualcosa che non va?- le chiese l’amica.
 - Nono, sto bene, stavo solo pensando alla profezia
Emma si incupì e abbassò lo sguardo. – Credi che sia grave?- chiese.
Scosse la testa – Non lo so … non ho idea di cosa voglia dire … e poi ci sono alcuni passaggi che … - rabbrividì.
- Non preoccuparti, non credo che riguardi noi- disse sforzandosi di sorridere. Poi Bella annuì e abbassò lo sguardo, a quel punto Emma sussurrò – o almeno … lo spero- Poi notò di nuovo la preoccupazione sul volto dell’amica.
 - Dai, non ti preoccupare, andiamo a casa- le disse dandole dei colpetti sulla spalla. Si avviò nel bosco, verso il confine delle barriere magiche, lasciando li Bella da sola. Lei tirò un sospiro e si avviò verso i confini, quando udì un rumore provenire dall’arena. Così andò a controllare chi fosse che si stava allenando a quell’ora. Quando fu lì rimase sorpresa; era Zane. Aveva preso una spada dalle fucine di Bleckerfood e stava facendo a pezzetti un fantoccio. Si muoveva con tanta agilità, come se lo facesse da una vita. Menava affondi in tutte le parti di quel povero manichino ed era molto bravo. Bella si rese invisibile e gli si avvicinò in silenzio, non voleva disturbarlo. Quando lui finì lei gli si materializzò davanti.
- Ehi!- gli disse. Zane indietreggiò per lo spavento e inciampò in uno scudo, che lo fece finire con il sedere a terra.
- Scusa!- gli disse lei mentre lo aiutava a rialzarsi – Non volevo disturbarti
- Non ti preoccupare- le rispose il ragazzo, che nel frattempo si massaggiava la parte dolorante. – Tu non disturbi mai
Bella abbassò lo sguardo imbarazzata. – Sei bravo- disse indicando la spada. – Dove hai imparato?
- Oh! Beh, si- balbettò imbarazzato – Ho imparato a scuola di scherma
La biondina ci pensò un po’ su – Ah si! Mi ricordo! Ci andavi quando avevi dodici anni- Zane annuì. –Eri bravo … perché hai smesso?
- Bo non lo so, volevo cambiare sport, e poi mi sono ritrovato a fare nuoto.
Bella sorrise debolmente.
- Stai bene?- le chiese.
Stava per rispondere di si, che era tutto perfetto, ma poi lo guardò negli occhi e non ce la fece a mentirgli – No … sono un po’ preoccupata … - ammise.
- Per la profezia?- si ricordò. Lei annuì. – Non devi stare così male, non sempre è ciò che sembra, me lo hai detto tu!
- Già ma stavolta sembra una cosa seria … non lo so … io … non ho idea di cosa pensare!
Il biondo stette in silenzio, non sapeva cosa rispondere.
Lei capì il disagio dell’amico, così sospirò e disse – Beh! Credo che dobbiamo andare, tra un po’ passeranno le arpie e voglio evitare di farmi sbranare!
Zane annuì – Già hai ragione dovremmo … aspetta un attimo … Cosa?!
La ragazza sorrise, lo tirò per un braccio e lo portò fuori dal campo.
 
La mattina dopo erano tutti molto nervosi. Quella sera dovevano andare all’ Hollywood Big Hotel per cercare Bianca e Nico, due giovani ragazzi che erano sospettati di essere semidei.
- Che cosa gli diremo se inizieranno a farci domande?- continuava a chiedere Bella nervosa.
- Gli diremo la verità- rispose Emma, che si sforzava di avere un tono tranquillo. – Hanno il diritto di sapere.
- E se poi non ci credono? E se vengono sbranati prima che noi arriviamo lì?
- Bella adesso basta!- gridò Alex, stanca di sentire tutte quelle paranoie – Adesso chiederemo al Professor Crubs!
Bella stette in silenzio. Entrarono nel campo e si avviarono verso la Casa Grande. Salirono le scale ed entrarono nella stanza di Crubs. Lui era seduto dietro la sua scrivania. Accanto a lui c’era Chirone, che si sforzava di sorridere. Seduta su una sedia c’era Maria. Aveva un’aria seria, si sforzava di avere una postura dritta per fare bella figura. Le ragazze chiusero la porta.
- Prego, fatevi avanti- disse Crubs fissando a terra. Le ragazze si guardarono nervose. Lui alzò lo sguardo – Coraggio, non avete paura! Non mordo mica!- fece un gesto con la mano incitandole. Le ragazze guardarono Maria. Lei fece un cenno con la testa e pensò “Andate coraggio”, ma solo Alex lo aveva sentito. Così deglutì e si fece avanti per prima. Le altre dietro di lei.
- Bene- esclamò Crubs con tono serio – Stasera è importante, lo sapete vero?- le ragazze annuirono, poi lui continuò – Si tratta di portare altri due mezzosangue al campo, non dovete fallire!- Le ragazze trattennero il fiato. Chirone si allargò in una risata, che contagiò anche Maria.
- Dai Crubs! Non le spaventare! Non è la prima volta che un ragazzo del campo porti qui un altro mezzosangue!- Le ragazze si rilassarono. – È comunque importante- le ricordò Maria – non dovrete mai perdere di vista l’obbiettivo. Mi raccomando. Concentrate.
Annuirono.
- Vorrei fare una domanda- disse Bella.
- NO!- urlarono insieme Le altre due, alzando le mani per zittirla.
- Le domande le faccio io!- disse Alex – Chi verrà con noi oltre Percy?
Crubs aggrottò le sopracciglia, tutti gli altri la guardarono.
– Che c’è?- disse Alex con tono di difesa – Ho sentito che vuole far venire qualcun altro!- disse rivolta a Crubs.
Crubs sospirò – Si, infatti, ci stavo arrivando … - disse guardandola con tono di rimprovero. – Avevo intenzione di far venire con voi anche il vostro amico.
- Zane?!- le ragazze erano sorprese. Infondo Zane non era un mezzosangue, come mai avrebbe dovuto partecipare a una missione del genere? Crubs continuò scocciato
- Si … il vostro amico mortale … Zane … è davvero un’abile spadaccino. Ieri sera l’ho visto mentre tirava di scherma con un’arma del campo e mi sembra che possa esservi utile una mano in più.
Bella abbassò lo sguardo imbarazzata.
- Ma … - disse Emma - … Perché deve venire lui e non uno del campo? Insomma, ha molta meno esperienza di tutti, e poi se incontriamo un mostro che fa? Potrebbero sbranarlo!
- Dimentichi che lui è un mortale- gli rammentò Crubs – Non può essere attaccato dal bronzo celeste, né può essere sbranato dai mostri, oddio … quasi mai … ecco perché a voi servono il Nettare e l’ Ambrosia e agli umani no, loro non ne hanno bisogno.
- Si ma non è abbastanza allenato!
- A questo ci penserà Quintus
Le ragazze si guardarono incuriosite.
– Chi … chi è Quintus?- chiese Bella con un filo di voce. In quel momento si spalancò la porta. Un uomo entrò nella stanza. Era un po’ alto, aveva i capelli brizzolati, un taglio da militare, la pelle era abbronzata. Indossava un’armatura. Nella mano teneva stretta una spada di bronzo, ma la faceva volteggiare in aria come se fosse una piuma. Allargò le braccia in segno di benvenuto.
- Io sono Quintus!- disse – Sono il nuovo insegnante di scherma del campo! Do una mano a Chirone in questi tempi difficili!
- Tempi difficili? Nuovo insegnante? Ma da quando?- chiese Bella sorpresa.
Chirone si allargò in un sorrisetto imbarazzato – Beh … Questo è un periodo un po’ difficile per il campo; e poi sto diventando vecchio … avrò bisogno anch’io di un aiuto no?
Alex inarcò un sopracciglio. Chirone non si era mai fatto problemi sulla sua età … e ora si preoccupava di un aiuto? Doveva esserci qualcos’altro, ma non investigò.
- Beh … Quintus è davvero un’abile spadaccino, sarà capace di addestrare Zane in un giorno!
Le ragazze lo squadrarono con sospetto.
- Ok … - disse la mora, ancora dubbiosa – Allora lo lasciamo nelle sue mani
- Lo tratti bene- disse Bella. Poi si accorse di ció che aveva appena detto e imbarazzata disse – Insomma, per lui è tutto nuovo, non vogliamo traumatizzarlo no?- Si guardò intorno cercando con lo sguardo l’aiuto delle ragazze. Quintus sorrise.
- Noi andremo- disse Alex, capendo il disagio dell’amica. Bella la guardò “grazie” pensò. “Non c’è di che” le bisbigliò Alex nell’orecchio. Le ragazze uscirono lasciando quei quattro a discutere.
Si avviarono tutte e tre nell’arena. Avevano sciolto la neve, quindi ci si poteva allenare. Ma c’era ancora una sottile lastra di ghiaccio che ricopriva il pavimento. Tutti i ragazzi del campo erano lì. Si stavano allenando. Le ragazze scorsero i volti di tutti. Sembravano davvero stanchi, come se stessero lottando da ore. Alex cercò con lo sguardo,provando a intravedere Percy. Poi lo vide. Si stava infilando l’armatura. Doveva essere appena arrivato. Gli corse incontro lasciando li Emma e Bella da sole. Le due ragazze si guardarono e decisero di andarsi a preparare.
 - Ehi!- disse Alex. Percy sobbalzò. Lei era così veloce che a volte non si sentiva arrivare.
- EHI!- si sforzò di sorridere dopo lo spavento. – Alex! Come stai?
Abbassó lo sguardo imbarazzata. – Sto meglio. Grazie. Il pianto di ieri … beh … si, ecco … mi ha fatto bene.
Percy la guardò, sapeva che per lei era difficile ammettere di aver pianto. Era già un passo avanti! – Ne sono contento- disse sorridendo. Ci fu un secondo di silenzio.
- Allora … - continuò lui - … Ti alleni?
La ragazza guardò l’arena dubbiosa – Non lo so … - disse arricciando il naso – Sono tutti così … stanchi. È da molto che si allenano?
Lui fece spallucce – Non so. Sono arrivato ora.
Alex guardò prima Percy. Poi l’arena. Poi di nuovo Percy. – E va bene- disse – Lottiamo.
- Che c’è? Hai paura? Sta tranquilla … ci andrò alla leggera.
Lo guardò con aria di sfida. – Non serve- disse – Tanto di batto comunque!
Afferrò una spada e si avviò verso l’arena. Percy la seguì. Sguainò Vortice. I due ragazzi si guardarono. Si scambiarono un sorriso e iniziarono a combattere. Lo facevano con così tanta naturalezza. Dopo un po’ però accadde qualcosa di insolito.
Si stavano affaticando, troppo!
Le loro spade iniziarono a pesare,erano come piombo che cadeva sulle loro braccia. Le gocce di sudore gli ricadevano sul viso. Le loro ossa bruciarono, come fiamme roventi. Anche Alex iniziava a sentire caldo. Provarono a fermarsi ma … non ci riuscirono. Il loro corpo continuava a combattere contro la loro volontà.
- Ma che succede?- chiese, spaventata.
- Non lo so! Non riesco a fermarmi!- disse Percy. Lui menò un fendente con un affondo, avrebbe potuto ucciderla, se lei non l’avesse parata.
- Ma che fai?!- disse arrabbiata.
- Non lo so … io … non sono stato io!
Alex buttò un colpo sulla lama di Percy e lo colpì sul viso. Lui però lo schivò in tempo – EHI!- gridò.
- Scusa … io non, io non- non capiva cosa succedesse. Nessuno dei due aveva più il controllo del proprio corpo, delle proprie azioni.
- Ragazzi fermatevi!- gridò Emma. Lei e Bella corsero verso di loro. Si erano appena infilate le armature e non avevano ancora iniziato a combattere.
- Così vi farete male!- esclamò Bella preoccupata.
- Emma! Aiuto non riusciamo a fermarci! Che facciamo?- la supplicò La mora.
Emma ci rifletté su. Poi si guardò in torno. Notò che tutti i ragazzi erano nelle stesse condizioni. Nessuno riusciva a smettere di combattere. Erano tutti come posseduti. Continuò a pensare. Il suo cervello andava a tremila giri. In quel momento stava elaborando tanti di quei dati, come un computer, che neanche Alex sarebbe stata capace di capirci qualcosa. “I ragazzi combattevano. Non si fermavano. Erano stanchi. Nessuno vinceva … ecco! Nessuno vinceva! Senza un vincitore la partita non finiva!”.
- Ci SONO!- urlò.
- Bene!- disse Alex che nel frattempo schivava gli attacchi involontari di Percy. – Che cosa?
- Qualcuno di voi deve vincere- concluse Emma – solo così la partita finirà. Con un vincitore!
Alex e Percy si guardarono. Era rischioso, ma se era l’unico modo. Alex menò un fendente, ma Percy lo schivò e attaccò con un affondo, che però lei parò. Era tutto un miscuglio di attacchi, parate, attacchi, parate, tanto che era facile perdersi qualche passaggio. Ad un tratto Percy colpì alto. Alex lo evitò e aspettò che lui abbassasse la lama per poi girarle attorno con la sua spada. Vortice gli stava per scivolare di mano. Percy tentò un ultimo attaccò ma Alex gli girò attorno e quando lui si voltò si trovò la spada di lei puntata alla gola. Un momento di silenzio. I respiri affaticati dei ragazzi riecheggiavano nell’aria. Il cuore di entrambi gli martellava in petto. Percy aprì la mano, fece cadere la spada. Alex si sentì le mani più leggere. Lui alzò le sue in segno di resa. Lei chiuse gli occhi. Tutti tirarono un sospiro di sollievo. Era finita. Alex e Percy stavano per svenire ma Emma e Bella li presero in tempo.
- Figlio di Poseidone!- disse una voce proveniente dal bosco. Da dietro gli alberi apparve Quintus. Aveva un sorriso soddisfatto sul volto. –Ma come?- continuò – Ti sei fatto battere da una ragazza?
- Le spade erano manomesse!- obbiettò Percy.
Emma pensò – Forse c’era qualche incantesimo …
Quintus alzò la mano per fermarla. L’altra la teneva poggiata sulla sua spada. – Sono stato io- ammise.
- COSA?!- il tono dei ragazzi fece sorridere Quintus.
- Sono stato io- ribatté – Ho manomesso io le spade.
- Ma … ma … ma come ha fatto?- chiese Emma stupita.
- Beh ...- Quintus fece spallucce – Le fodere delle spade possono contenere molta polverina sapete?
Percy si scosse. Era ancora stordito. Guardò Vortice. – Come ha fatto a manomettere anche la mia spada? L’ho tenuta sempre con me!- chiese.
- Beh … diciamo che quando dormi hai il sonno leggermente pesante.
- Si è infiltrato in camera mia- chiese indignato.
- Bof! Io non direi infiltrato … direi più … autoinvitato, ecco.
Alex riprese fiato. Deglutì sfinita. Aveva la gola secca. – Ma … Perché l’ha fatto?- chiese.
Quintus sorrise. – Per insegnarvi.
- Cosa?- chiese Bella.
Quintus la guardò. – Andiamo … cosa avete imparato oggi?
I ragazzi si guardarono. –Io ho imparato a non usare più le spade o armi simili- disse Emma.
- Io ho imparato che basta un po’ di polvere magica per far litigare due persone- Continuó Bella.
- Io ho imparato a dormire con l’antifurto di notte- esclamò Percy.
- Io invece ho capito che basta una spada puntata alla gola per disarmare un ragazzo- concluse Alex.
Quintus alzò gli occhi al cielo. Li squadrò uno per uno e puntando il dito in ordine disse –No. No. No. E … beh si può darsi. Ma no! Non è questo che volevo insegnarvi!
- Perché- obbiettò Alex – Questa era una lezione?
- Ciò che volevo farvi capire è di non arrendervi mai! La partita non è mai finita, se prima non c’è un vincitore!
I ragazzi si guardarono. In un certo senso, aveva ragione. Aveva usato un modo non molto simpatico per farlo capire ma … aveva ragione. Quintus li squadrò. Notò che  Alex e Percy avevano ancora il fiato grosso.
- Andate a riposarvi- disse – ve lo siete meritato.
Loro non ci pensarono due secondi di più. Gettarono le spade a terra e si andarono a sedere sugli spalti dell’arena. Si sdraiarono subito esausti. Bella si sedette accanto a loro. Emma invece rimase in piedi, ripensando a quello strano signore, quello strano maestro, che aveva dei metodi tutti suoi. Un po’ bruschi magari, però era molto saggio. Molto più di quello che sembrasse.

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Capitolo 11
*** Maria da un avvertimento ***


Era tardo pomeriggio. Maria stava camminando per il campo con le braccia incrociate. Aveva l’aria di una pensierosa, ma in realtà la sua mente era tutt’altro. Stava camminando e cercava di contemplare l’aria fresca, anzi gelida, proveniente dal bosco. Si fermò davanti all’arena. Zane si stava allenando duramente da parecchie ore. Era molto bravo. Quintus lo stava attaccando con molta agilità e lui, in un modo o nell’altro, le stava parando tutte. Sul suo viso cadevano gocce di sudore. Il volto di Quintus invece era totalmente asciutto. Si muoveva con così tanta naturalezza che Maria dubitava stesse faticando più di tanto. Fece un sorriso. Poi guardò l’orologio. Erano le sei. Le ragazze tra poco sarebbero dovute andare al Hollywood Big Hotel per la loro missione. Chissà se erano pronte. Sapeva che erano andate a casa di Emma a prepararsi. Maria diede un ultimo sguardo agli allenamenti di Zane e sperò che si ricordò della missione a cui Crubs aveva voluto partecipasse. Si avviò verso la strada, prese la macchina e si avviò verso la casa della ragazza.
- Te lo puoi scordare! Io non lo metto!- Alex si ribellava in tutti i modi.
- Ma dai … è carino!- le continuava a ripetere Bella.
- No! Io odio il tulle! Scordatelo!-.
Bella alzò gli occhi al cielo e sbuffò. – Fai come vuoi … - si rassegnò.
Emma stava sfogliando alcuni libri di anatomia. Sembrava totalmente assente, fissava un punto indefinito sul libro e allo stesso momento era turbata. Alex le andò vicino e le diede dei colpetti sulla spalla – Ehi!- esclamò – Sei con noi?! Ricordi? Camera tua, ballo, vestito …
Emma scosse la testa – Io … si, si ci sono. Stavo solo leggendo un po’.
- Beh, dovresti pensare a ben altro ora!- gridò Bella, che si era rinchiusa in bagno.
- Tipo?- le domandò Emma.
- Tipo che vestito indosserai!- le rispose Bella -Andiamo a un ballo ricordi?
 Emma sembrò cadere dalle nuvole. – Ah già, è vero. Cosa ci mettiamo?
- Io di certo non mi vestirò come una bomboniera!- ribatté Alex a voce alta per farsi sentire anche da Bella, che voleva farle indossare un abito da sera molto, troppo elegante. Bella nel bagno sbuffò. In quel momento alla porta della camera bussò qualcuno.
- Avanti!- disse Emma. Maria entrò dalla porta
- Ciao ragazze. Come va?- chiese.
- Bene- rispose Emma – Chi ti ha fatto entrare?
- Eliot. Lo lascerete qui da solo?
- No, tra un po’ verrà la babysitter.
Maria annuì e si sedette sul letto – Dov’è Bella?- domandò.
- Eccomi qui!- Bella uscì dal bagno con i capelli perfettamente in ordine.
- Bene- disse Maria – perché vi devo parlare.
Le ragazze si sedettero preoccupate e ascoltarono ciò che Maria aveva da dirgli. – Dunque- cominciò lei – credo che voi sappiate bene in cosa consiste la vostra missione, ma ve lo dirò comunque. Dovete trovare e portare al campo due possibili semidei. Dico possibili perché non ne siamo sicuri. È stato Grover a mandarci il segnale. Ma dice di non esserne convinto. Comunque. So che Chirone vi ha detto che è una missione molto facile ma io voglio  comunque raccomandarvi : state attente. Non so perché ma credo che questa missione sia un po’ pericolosa. Non chiedetemi il motivo perché non lo so neanche io. So solo che dovete tenere gli occhi aperti. Sono due semidei in un colpo solo, e forse quel posto pullulerà di mostri. Quindi tenetevi pronte a qualsiasi evenienza ok? Non si sa mai.
 Ci fu un minuto di silenzio, poi Emma disse – A proposito di questo, io …  
Il telefono di Bella squillò. – Pronto?... Cosa?... Davvero?... neanche una?... Siete sicuri?... ok, ci penso io … ciao- riattaccò. – Era Zane – disse – dice che non hanno cravatte. Voi ne avete qualcuna?
- Si- rispose Emma – forse io ne ho alcune di mio padre- Così Emma si avviò a prendere le cravatte. Maria si alzò e se ne andò, lasciando le ragazze a prepararsi.

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Capitolo 12
*** Alex sorprende tutti ***


Era sera. Argo, il centiocchi autista del campo, stava portando i ragazzi all’Hollywood Big Hotel con una grande macchina gialla, molto simile a un taxi extra large. Percy aveva in spalla uno zainetto con dentro i vestiti per i ragazzi. Zane era seduto accanto a lui, e stava muovendo nervosamente le gambe. Bella sedeva accanto a Alex e aveva anche lei uno zaino con i vestiti per le ragazze. Emma sedeva dietro di loro, e guardava fuori dal finestrino. Poi il pullmino frenò bruscamente e i ragazzi sbalzarono in avanti.
- Ehi!- gridò Alex – Argo attento!
Argo si girò imbarazzato – Voi scusare me! Argo aver frenato troppo bruscamente. Noi essere arrivati!
 - Grazie del passaggio- gli disse Percy – ora puoi andare.
I ragazzi scesero dalla macchina e Argo ripartì a tutta birra. A quel punto si voltarono. Rimasero tutti a bocca aperta. Dietro di loro si innalzava un grosso palazzo. Era di mattone chiaro, contornato da decorazioni d’oro. Ai piedi di una scalinata c’erano due leoni di bronzo. Le porte erano di vetro e emanavano una grande luce. C’era un lieve sottofondo di musica per balli da sala. Era pieno zeppo di finestre, che però erano spente, il che poteva significare solo due cose : 1- L’hotel era vuoto (cosa molto improbabile). 2- La gente era tutta al ballo. I ragazzi guardarono in cima alle scale. C’era Grover che li stava aspettando. Lui li vide e li salutò con un gesto della mano. Poi trottò verso di loro. ( esatto, trottò, perché Grover era un satiro, vale a dire che aveva il busto da uomo e le gambe da capra).
- Ragazzi!- esclamò – Che bello rivedervi!- Indossava un abito nero e luccicante, la camicia bianca e una cravatta rossa per dare un punto di luce. Aveva un cappello in testa in stile Michael Jackson, per coprire le corna, che erano cresciute un po’. Ai piedi portava le scarpe finte che indossava per poter sembrare umano. Di solito usava le stampelle per spiegare il motivo per cui zoppicasse, ma stavolta non le aveva. Allargò le braccia in segno di saluto. E corse ad abbracciare i suoi amici – Come state?- domandò.
- Bene- rispose Alex – E tu? Vedo che non porti più le stampelle!
Grover si gonfiò il petto soddisfatto – Già- disse con tono fiero. Poi guardò meglio i suoi amici, notò che c’era anche Zane, ma non osò chiedere il perché per non fare brutta figura. Vide che nessuno aveva un vestito elegante. – E voi pensate di “confondervi tra la folla” vestiti così?
I ragazzi si guardarono. Non si erano accorti di come erano vestiti. – Ehm … - disse Emma imbarazzata – Dove ci cambiamo?
Grover si accarezzò il mento pensieroso. – Laggiù- indicò un vecchio bar dall’altra parte della strada. Tutti si avviarono senza obbiettare, anche perché non avevano molto tempo.
 
Entrarono nel bar e si diressero verso gli spogliatoi dei camerieri. Le ragazze si precipitarono dentro.
- Ah ragazzi!- disse Bella prima di entrare anche lei – vi ho portato le cravatte- le cacciò dallo zaino e le porse a loro – Spero che voi abbiate delle camicie.
- Quelle le ho io!- disse Zane alzando la mano.
- Bene- disse Bella – ci vediamo dopo- Ed entrò nello spogliatoio anche lei. I ragazzi iniziarono a vestirsi. Zane indossava un completo lucido grigio ghiaccio. Sotto aveva una camicia bianca e una cravatta grigia. Percy invece aveva un vestito blu notte con una camicia bianca e una cravatta blu. I due si guardarono allo specchio e si aggiustarono le cravatte.
- Però - disse Zane – stiamo bene!- Percy annuì soddisfatto.
- Perché guardate me!- esclamò Grover – Sembro proprio Michael Jackson! Sono proprio …  
- Grover!- lo interruppe Percy. Grover abbassò lo sguardo e continuò a vantarsi da solo. Percy infilò la mano nella tasca per controllare che Vortice ci fosse. Poi guardò Zane
- Ehi amico!- gli disse – Ma, in caso di mostri, tu come farai a difenderti?- Zane tirò su la manica della giacca e mostrò un braccialetto di bronzo. Premette una pietra che vi era incastonata e ad un tratto una spada di bronzo celeste lunga un metro gli comparve in mano. La pietra che aveva premuto prima ora era incastonata nel manico della spada. Percy rimase stupito.
- Si chiama Scintilla- disse Zane – me l’ha regalata Quintus.
Premette  di nuovo la pietra e la spada torno ad essere un semplice braccialetto. TOC! TOC! Le ragazze bussarono da dentro – Possiamo uscire?- domandò Emma.
- Si!- risposero i ragazzi all’unisono. La prima a uscire fu proprio Emma. Indossava un vestito lungo fino ai piedi, un po’ attillato. Era verde corallo, molto semplice, ma era mono spalla. Le spalle erano scoperte. Sul petto le ricadeva le sua collana magica con uno smeraldo verde incastonato. Aveva i capelli sciolti e un filo di trucco. I ragazzi pensavano fosse un’estranea. Grover si lasciò scappare un belato; aveva sempre avuto un debole per Emma, ma sapeva che con lei non c’era storia. Poi uscì Bella. Indossava un abito blu mare, anche a lei lungo fino ai piedi, e non aveva bretelle. Davanti c’era un piccolo ricamo argentato. La gonna aveva delle piccole balze diagonali. I suoi capelli erano sciolti, ma raccolti con un fermaglio azzurro a forma di farfalla. La sua collana magica era blu come il vestito e sembrava fatta apposta. Aveva un braccialetto argentato ed era un po’ truccata. Zane sgranò gli occhi. Le si avvicinò e le disse
 - Stai benissimo- poi guardò Emma – cioè, state benissimo.
Bella arrossì – Grazie, anche Alex è … -  si guardò in torno ma Alex non era ancora uscita. – ALEX! Sbrigati!
- NO!- urlò Alex di rimando dal camerino. – Non mi va di uscire!
 Bella mise le mani sui fianchi – Guarda che stai benissimo, fidati!
- Ma non mi sento a mio agio!
 - Andiamo Alex, sei bellissima!- le disse Emma.
Alex sbuffò – Ok, esco, ma promettetemi che questa è l’ultima volta che vi faccio scegliere un vestito!
Emma e Bella sorrisero. La porta si aprì e Alex uscì. Indossava un abito nero e bianco. Anche il suo era lungo fino ai piedi. Non aveva ne maniche ne bretelle, era scollato come quello di Bella. La parte superiore era tutta nera. Era un po’ stretto in vita. La gonna aveva tre balze bianche, ognuna delle quali aveva un bordo nero. La sua collana magica le ricadeva sul petto e luccicava di un rosso fuoco. I suoi capelli erano sciolti e un po’ mossi. Aveva dei guanti di pizzo senza dita. Era leggermente truccata. I ragazzi rimasero a bocca aperta. Non sembrava lei.
- Bellissima!- esclamò Grover sorridendo. Percy era rimasto stupito, con gli occhi sgranati. Zane gli diede una gomitata sul braccio che lo fece svegliare.
- Ciao Alex - riuscì a dire un po’ rauco. Alex sorrise imbarazzata e abbassò lo sguardo.
- Bene! Andiamo!- spronò Emma. Dal camerino uscirono prima i ragazzi e poi le ragazze, per evitare di dare nell’occhio. Attraversarono la strada, salirono le scale ed entrarono nell’ Hotel. L’atrio era vuoto. Si sentiva una leggera musica provenire dalla sala.
- Di qua!- disse Grover. Stavano per dirigersi nella sala quando il concierge li chiamò.
- Qual è la vostra stanza?- chiese.
- Come prego?- disse Emma.
 - Qual è la vostra stanza. Vi serve un pass per entrare al party. Dovete darmi il numero della vostra stanza.
I ragazzi guardarono Grover. Lui era l’unico a risiedere lì. Si avvicinarono al bancone. Grover disse il numero della sua stanza. Il concierge controllò sul suo computer. Muoveva le mani molto velocemente sulla tastiera. Troppo velocemente per un essere umano. Trovò la stanza di Grover.
- Mi dispiace- disse – La seguente stanza riporta un solo ospite. Può entrare uno solo di voi- I ragazzi si allontanarono dal bancone.
- Vado io!- disse Emma.
- No! È troppo pericoloso! Vado io!- ribatté Percy.
- Ragazzi, vado io- disse Grover.
- Ragazzi!- urlò Alex per fermarli – Aspettate!- Si allontano dagli amici e si riavvicinò al bancone.
- Senta … ci sono stanze che riportano cinque persone vero?- domandò.
Il concierge controllò. Iniziò a leggere in silenzio i numeri delle stanze, aspettando che Alex ne dicesse una. “ 318,323,340…”. – Si- rispose.
- Beh- disse Alex – La nostra è la 340.
- Si, ok potete entrare- Passò i due pass ad Alex che li prese e li mostrò fiera ai suoi amici.
- Come hai fatto?- domandò Zane.
Alex fece spallucce, poi sorrise e spiegò. – Immaginavo ci fossero stanze con cinque persone. Questo posto è enorme, e la gente arriva da tutto il mondo. Se era un bravo concierge avrebbe controllato. Ma è troppo furbo, non mi avrebbe mai detto quali erano le stanze. Sarebbe stato troppo facile, e troppo sciocco da parte sua. Mi è bastato usare i miei poteri. A volte leggere nel pensiero è utile!-. Porse i pass a Emma.
- Cavolo- disse Grover – devo ricordarmi di non pensare troppo in sua presenza- Alex sorrise. Emma passo il pass della sua camera a Grover.
- Andiamo- incitò – Entrerai prima tu da solo per non destare sospetti. Poi entriamo noi.
Tutti concordarono. Grover prese il pass e si avviò verso la sala. Mostrò il suo pass ai buttafuori e cercò di sembrare più rilassato possibile, nonostante fosse molto nervoso. I buttafuori controllarono il pass e lo fecero passare. Una volta che Grover fu entrato gli altri fecero lo stesso.

Angolo Scrittrice
Salve! Vi rubo dieci secondi solo perchè credo di non aver descritto così come si deve i vestiti delle ragazze; quindi, eccovi le foto di come li immagino:
Alex
file:///E:/Nuova%20cartella%20%282%29/abiti-da-sera-lunghi-principeschi-neri.jpg
Bella
file:///E:/Nuova%20cartella%20%282%29/A1502_prom_dress_evening_dress.jpg
Emma
file:///E:/Nuova%20cartella%20%282%29/fluo-monospalla-verde-smeraldo-lungo-abito-da-sera-elegante.jpg

Allora? Vi piacciono? :D
Un bacio!
ValeryJackson

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Capitolo 13
*** I leoni prendono vita ***


La location era una sala da ballo. Era enorme. Le pareti erano dipinte di bianco e avevano qualche graffito dorato, forme astratte che non si distinguevano. Dal soffitto pendeva un lampadario bellissimo, era dorato, con dei pendenti che sembravano cristalli. Emanava una luce fortissima ma molto sobria, per dare un’atmosfera soft. Si udiva una dolce melodia, musica da ballo. Molte coppie si erano buttate in pista, alcune erano anche brave. Il restante dei partecipanti era seduto in poltrone sparse per la sala oppure era completamente assolto in forbite discussioni. Si vedeva che era gente molto ricca e acculturata. In quell’ambito i ragazzi si sentirono un po’ a disagio. Loro non erano né ricchi né tanto acculturati come quella gente. In fondo alla sala c’era un enorme tavolo pieno di mille prelibatezze. Grover si leccò i baffi. Si stava avviando verso quell’immenso buffet quando Bella lo tirò per un braccio.
- NO! Tu ci servi qui!- lo rimproverò.
- Nemmeno un assaggino?- disse lui con un filo di speranza. Ma Bella scosse la testa e lui si rassegnò.
- Chi sono?- chiese Emma.
- Chi?- domandò Grover.
Emma alzò gli occhi al cielo – Pronto?- disse un po’ scocciata – I due mezzosangue. Sono qui o no?
Grover tornò lucido e abbandonò il pensiero del buffet. – Ah si!- esclamò – Sono quelli laggiù.
Indicò due ragazzi seduti su una piccola scalinata. Erano un ragazzino sui dodici anni e una ragazza sulla quindicina. Il ragazzino aveva i capelli neri e un po’ lunghi, gli occhi chiarissimi, quasi bianchi, come diamanti, la pelle un po’ chiara. La ragazza anche aveva i capelli scuri, castano chiaro, lisci e lucenti, i suoi occhi erano dello stesso colore del ghiaccio, ma brillavano come fossero illuminati dalla luce del sole, anche se spenti. Eccoli lì. Erano Nico e Bianca. Lui era intento a giocare con alcune carte. Le mischiava e le rimischiava, poi ne scopriva una e la guardava, e così via. Era un ragazzino un po’ esile e bassino. Indossava un piccolo smoking nero e una camicia bianca con una cravatta nera, ma il nodo era un po’ allentato, evidentemente gli stava stretta. La ragazza invece non faceva granché, aveva un volto annoiato. Guardava giocare il fratello e ogni tanto si sforzava di sorridere e di sembrare interessata a quel gioco di carte. Aveva i capelli castani raccolti in una cipolla, però una ciocca di capelli le ricadeva fastidiosamente sugli occhi azzurri. La sua pelle era olivastra, molto più colorita di quella del ragazzino. Indossava un abito rosso senza bretelle con gonna a palloncino. Le arrivava sul ginocchio. Portava dei sandali rossi intrecciati fino a metà polpaccio.
- Non mi sembrano dei mezzosangue- commentò Bella -Sono così … così …
- Apatici?- le suggerì Alex.
- Sei sicuro che siano mezzosangue?- chiese Percy.
- Sii!- confermò Grover – Ne sono sicuro, me lo sento.
Emma li scrutò con sospetto – Bene- disse – Teniamoli d’occhio- Si sistemarono al lato opposto dei due fratelli e li tennero d’occhio per un po’. C’era uno strano uomo che gli ronzava intorno. Indossava un abito bianco, lindo e pulito. Aveva i capelli grigi, tagliati come quelli dei militari. Era un tantino esile ma dava l’aria di uno che sapeva il fatto suo. Aveva un occhio di un colore e uno di un altro. Il sinistro era marrone, quasi nero, torvo e cattivo. Il destro invece era grigio, sembrava quasi di vetro. Ai ragazzi non piaceva quel tizio. Era sospetto, troppo sospetto. Una musica soave iniziò e più della metà della gente andò in pista. Erano così tanti che i ragazzi non vedevano più né Bianca né Nico.
- Come facciamo? C’è troppa gente a ballare!- chiese Bella.
Emma osservò la situazione, poi le venne un’idea – Balliamo anche noi. Così li osserveremo meglio- Afferrò il bracciò di Grover, che si lasciò sfuggire un belato, e lo trascinò in pista. Iniziarono a danzare, con Grover che le pestava i piedi ogni dieci secondi, per via della difficoltà di danzare con i piedi finti. Emma soffriva, ma non si lamentava.
Zane porse la mano a Bella – Andiamo?- chiese.
Bella gli prese la mano e insieme si buttarono sulla pista da ballo. Alex e Percy erano rimasti da soli.
- Ragazzi! Ballate anche voi! Dai!- ordinò Emma. Percy guardò con un certo nervosismo prima Alex, poi le altre ragazze nella sala.
- Allora?- fece Alex.
- Ehm, a chi pensi dovrei chiederlo?
Alex gli tirò una gomitata nello stomaco – A me, Testa d’Alghe!
- Oh. Oh, giusto- disse Percy imbarazzato.
Lo sguardo di Alex si addolcì – Non preoccuparti, non mordo- lo tranquillizzò. Lui sorrise e insieme si diressero verso la pista da ballo. Il ragazzo cinse con un braccio la vita della ragazza e le prese la mano.
- Sai ballare?- chiese Alex.
- No!- ammise lui, inizió ad abbozzare qualche passo, lentamente, poi le fece fare un giro su se stessa per poi farla tornare nella stessa posizione; Alex rimase sorpresa
- E non sapevi ballare?
- Sto improvvisando!- disse Percy, ricordando qualche film che aveva visto in tv. Alex rise e continuò a seguire i suoi passi.
- Dovremmo proporre a Chirone un corso di ballo.
- Forse!- disse Percy che ormai aveva preso il ritmo e ballava abbastanza bene. -Sei bellissima, stasera, comunque!- disse poi.
Alex arrossì – Grazie, anche tu non stai niente male-. I due continuarono a volteggiare, cercando di scorgere i due fratelli. Lo stesso facevano anche gli altri.
- Così … - iniziò Percy – Come stai? Ti senti meglio?-. Alex lo guardò. Non gli serviva leggergli nel pensiero per capire a cosa si riferisse. Abbassò lo sguardo
- Si … - disse debolmente. – Avevi ragione.
Percy sorrise – Ne sono contento. Lui la fece volteggiare di nuovo su se stessa e poi la fece tornare a se.
- Percy,- disse Alex. - dovrei dirti una cosa … -. Si bloccò. – Sono spariti.
- Cosa?-. Percy seguì la direzione dello sguardo di lei. Le gradinate. I due mezzosangue, Bianca e Nico, non c’erano più. Un altro ad essere sparito era quell’uomo losco di prima. Alex si guardò intorno, cercando i suoi amici
- Dobbiamo avvertire gli altri- disse, e si addentrò nella folla di danzatori. Percy stava per seguirla ma un gruppetto di ragazze che voleva ballare con lui gli sbarrò la strada. Riuscì ad aggirarle ma, una volta libero, Alex non c’era più. Voleva mettersi a cercare quando gli sembrò di vedere con la coda dell’occhio l’abito grigio dell’uomo misterioso. Si girò di scatto. Era proprio lui, e stava trascinando per un braccio Bianca e Nico fuori dall’hotel. Percy non ci pensò due volte e decise di seguirli. Erano giunti fuori. L’uomo e i due ragazzi si erano fermati sotto alle scale. Percy si nascose e cercò di capire cosa quell’uomo avesse in mente. Ma non sentiva niente. Era proprio vero che a volte leggere nel pensiero poteva tornare utile. Ma lui non poteva farlo. Così decise di passare direttamente all’attacco. Estrasse Vortice dalla sua tasca e la sguainò. Piombò in fondo alle scale ma … l’uomo era sparito. C’erano solo i due mezzosangue. Bianca era stupita e spaventata allo stesso tempo. Guardava terrorizzata la spada di Percy. Lui la nascose dietro la schiena imbarazzato.
- Ehm, ciao, sono Percy - tese la mano per stringergliela, ma lei rimase immobile. Nei suoi occhi c’era il terrore puro. Indicò con un dito tremolante dietro di lui. Percy si voltò. Un uomo, anzi, l’uomo, uscì dalla penombra. Aveva un’espressione minacciosa in viso. – Nascondetevi!- disse Percy ai due fratelli, e indicò con un cenno le statue di bronzo dei leoni. Bianca non se lo fece ripetere due volte. Prese Nico per il braccio e lo trascinò dietro la statua. Percy guardò l’uomo. – Chi è lei?- chiese. L’uomo fece un ghigno. Aveva un’enorme cicatrice che gli attraversava la guancia che prima non avevano notato.
- Mi chiamo Thorn. Ma tu puoi chiamarmi dottor Thorn - Dottor Thorn. Già il nome era inquietante.
- Che cosa vuole da questi ragazzi?- chiese di nuovo Percy, sforzandosi di sembrare coraggioso. Il dottor Thorn si avvicino, ma Percy indietreggiò e alzò la spada in segno di difesa. Thorn si bloccò.
- Mi servono. Devo portarli con me.
- Dove?- domandò di nuovo lui.
- Dal mio padrone. Ci saranno davvero utili.
Percy lo squadrò, poi capì – Lei lavora per Crono non è vero? Lavora per Luke!
Thorn si innervosì. I suoi occhi pullulavano di rabbia. – No!- sbraitò – Io non lavoro per quel ragazzino!- Era evidente che sapeva di chi stessero parlando. Forse Luke non gli stava molto simpatico, perché si percepiva un filo di invidia nella sua voce quando parlava di lui. Thorn guardò la statua di bronzo dietro il quale si erano nascosti Bianca e Nico, poi guardò di nuovo Percy. Annusò l’aria
- Ah!- disse – Il figlio di Poseidone! Sarà un piacere distruggerti!- Ad un tratto, dietro la sua schiena, comparve una grossa coda simile a quella di uno scorpione. Percy alzò la spada.
Thorn rise -  Davvero credi di sconfiggermi con quella piccola spada? Ah! Sei proprio un pivello!- alzò la coda. L’aculeo all’estremità si aprì. – Addio!- disse Thorn, e sferrò un aculeo veloce come un proiettile. Percy alzò le braccia per difendersi, quando … BUUM! L’aculeo esplose in un’enorme nube viola, come se qualcuno lo avesse incenerito. Percy si guardò intorno.
- Percy!- gridò Alex. Aveva incendiato lei l’aculeo. Il dottor Thorn era furioso
- Insulsa ragazzina! Distruggerò entrambi!- Aprì di nuovo l’aculeo.
- Attento!- gridò Alex. Si buttò addosso a Percy e riuscì a scansarlo appena in tempo per evitare il proiettile. I due finirono a terra. Percy era un po’ frastornato.
- Alex, che ci fai qui? Cioè … come sapevi dov’ero? Cioè … grazie!
Alex lo guardò furiosa – Dl NIENTE! POSSO SAPERE CHE TI È SALTATO IN MENTE? Ml SONO GIRATA ED ERI SPARITO!- Percy era imbarazzato e non rispose.
- Dove sono i due mezzosangue?- chiese Alex.
- Dietro il leone- rispose Percy, indicando con un cenno la statua – Quest’uomo … il dottor Thorn, vuole portarli via. Credo faccia parte dell’esercito di Crono. E credo anche che non abbia un ottimo rapporto con Luke!
- Grandioso!- commentò Alex – Come lo battiamo?- Percy guardò Alex da capo a piedi sorpreso
- Ehm … -disse - vorrei farti notare che siamo solo in due, e uno di noi indossa un abito da sera, non credo siamo nelle condizioni perfette per combattere contro un mostro spara proiettili … - Alex alzò le sopracciglia e lo guardò seccata
- Ehm … scusami caro … dimentichi che una donna ha sempre un piano B!- Si afferrò le balze della gonna e con uno strappo deciso sfilò via due balze. La gonna era più corta ora e le arrivava sul ginocchio. Era larga ed era molto comoda per combattere. Alex guardò Percy con un tono soddisfatto. Percy era sorpreso, avevano pensato proprio a tutto. Thorn si sgranchì la voce. Si sentì un CRAK! I ragazzi tornarono all’erta.
- Se almeno sapessimo che cos’è!- borbottò Alex.
Percy si studiò intorno.  – Di qua!- disse. Perse il braccio di Alex e la trascinò dietro un albero.
- Che vuoi fare?- chiese Alex – Credi davvero di riuscire a nasconderti dietro un albero?
Percy la guardò – Non può colpirci nello stesso istante. Se andiamo in due direzioni diverse lui attaccherà solo uno di noi, mentre l’altro lo colpirà alle spalle. Dovrebbe funzionare, credo …
Alex lo studiò con sospetto – Non funzionerà- disse.
- Perché no?
- Perché … è troppo svelto. Anche se uno di noi lo colpirà alle spalle, l’altro resterà comunque ferito, e non abbiamo né nettare né ambrosia-. La convinzione di Percy si spense. Alex aveva ragione.
- Quindi che facciamo sapientona?
Alex si affacciò da dietro l’ albero per guardare dove si trovasse Thorn, ma appena lo fece un aculeo le sfiorò velocissimo il viso. Lei urlò e tornò al suo posto.
- Esco io- disse.
- Cosa? Stai scherzando? Non te lo permetto!- disse Percy.
- È l’unico modo! Io sono super veloce, posso riuscire ad evitare qualche proiettile!
Si stava alzando, ma Percy la tirò per un braccio e la rimise a sedere
- Andiamo entrambi- le disse. Lei non obbiettò. Uscirono all’unisono dal loro nascondiglio ma … Thorn era sparito. Loro si guardarono intorno ma non videro nulla. Se n'era andato. Ma Bianca e Nico erano ancora lì.
Bianca era terrorizzata, Nico invece sembrava non comprendere il pericolo. Percy abbassò la spada. Bianca sgranò gli occhi e serrò i pugni. Purtroppo Alex comprese troppo tardi il suo messaggio.
- Giù!- gridò e spinse Percy a terra. Un proiettile sfiorò le loro braccia. Il dottor Thorn piombò alle loro spalle e preparò gli aculei. Percy menò qualche fendente con la spada e Alex qualche palla di fuoco, ma lui le evitò tutte con grande agilità. Erano spacciati. Menò un aculeo e … POOM! Rimbalzò contro un campo di forza. I ragazzi si girarono. I loro amici erano andati a salvarli.
Thorn era frustrato. Piombarono tutti in fondo alle scale. Bella e Emma sfilarono anche loro un pezzo d’abito come Alex e le loro gonne diventarono più comode. Zane sguainò Scintilla e Grover tirò fuori il suo flauto. Alex e Percy li raggiunsero e si misero in posizione d’attacco.
Il dottor Thorn si arrabbiò ancora di più e iniziò a prendere la sua reale forma: aveva ancora il volto umano, ma il corpo di un leone gigantesco e la coda coriacea, che scagliava aculei in ogni direzione.
- Che cos’è?- chiese Bella a Emma.
- Una manticora, attenzione, gli aculei sono velenosi.
- Bene. E come la battiamo?- chiese Alex.
- Io … ci sto lavorando.
- Però ce l’hai un piano, vero?- le disse Percy.
Emma si guardò intorno. C’erano solo loro. Nessun testimone, nessun aiuto. L’unica cosa che potevano fare era attaccare. E lo avrebbero fatto se … . Si sentì un rumore metallico e arrugginito. I due leoni di bronzo presero vita, lasciando scoperti Bianca e Nico, e si buttarono addosso alla manticora. Le zanne del primo leone colpirono il mostro al corpo, quelle del secondo alla coda. La manticora era spacciata. Prima di dissolversi come fanno tutti i mostri mugugnò
- Non credete di avermi fermato così facilmente. Vi prenderò, e allora sarà la vostra … - poi si dissolse.
I due leoni si rimisero alle loro postazioni e tornarono immobili e inanimati. I ragazzi erano rimasti basiti. Era successo tutto così in fretta, come avevano fatto quei cosi ad animarsi? Zane era il più stupito. Continuava a balbettare – Ma come ha … E cosa era … Come ha fatto a …
Bella lo guardò come per giustificarsi – Ben venuto nel mondo magico! – disse stringendosi fra le spalle. Zane rimase a bocca aperta e non disse una parola.
- Chi li ha animati?-  chiese Percy a Emma.
Lei li studiò un po’. Nemmeno la sapientona del grupo sapeva darsi una risposta. – Non lo so- ammise – Molto probabilmente …
- Ragazzi!- interruppe Grover, e indicò con un cenno Bianca e Nico, che erano rimasti immobili e senza parlare. I ragazzi si guardarono preoccupati. Cosa gli avrebbero raccontato? Alex si avvicinò un po’.
-Ciao!- disse, e allungò la mano per stringergliela. Bianca indietreggiò e coprì Nico come per proteggerlo
- Chi … Chi siete voi?- balbettò.
Alex ritirò la mano e salutò – Sono Alex – disse, poi si girò verso i suoi amici – E loro sono Grover, Percy, Emma, Bella e Zane.
 Bianca li squadrò uno ad uno, poi guardò Alex con sospetto. Non voleva fidarsi. Poi guardò il fratello. Lui non sembrava spaventato.
- Bianca! – disse – E … e lui è Nico!- I ragazzi erano più sollevati. Era già un passo avanti.
- Che vi ha detto quell’uomo? Chi era? Lo conoscevate?- chiese Alex. Bianca impallidì. Come se avesse sempre temuto quell’uomo, il dottor Thorn.
Nico sembrava molto tranquillo  – Era una manticora, vero?- chiese. Emma lo guardò sorpresa. Era strano che un bambino  di dodici anni sapesse certe cose.
- È bellissimo il modo in cui quei leoni hanno ucciso quella cosa! Aveva molti punti di difesa, e invece … Ma è cattiva?
- Nico!- lo rimproverò Bianca – Faccio io le domande!
Guardò i ragazzi e prese un bel respiro – Chi era quel … Come avete fatto … Chi lo ha … - si fermò, la sua voce tremava.
Nico la guardò – Forse era meglio che facevo io le domande … - disse. Lei lo fulminò con lo sguardo. Era davvero spaventata e confusa, glie lo si leggeva in faccia.
Prese un altro respiro e chiese – Chi siete?- I ragazzi si guardarono, preoccupati.
- Se può consolarti- disse Zane – Io sono l’unico diverso al momento.
Emma lo guardò con tono di rimprovero; non era il momento di scherzare. Poi guardò Bianca
- Senti, - cominciò – So che è difficile da credere, ma … dovete fidarvi di noi. Quello che vi stiamo per dire è molto importante. Riguarda i vostri genitori … - Bianca si irrigidì . Lanciò un’occhiata nervosa al fratello, che stava ancora guardando i leoni sbigottito e eccitato.
- I nostri genitori sono morti … - disse Bianca - … Siamo orfani.  C’è un fondo in banca che ci paga gli studi e l’affitto dell’albergo ma … - Esitò. Aveva intuito dalle facce dei ragazzi che non le credevano.
- Che c’è?- domandò – Sto dicendo la verità.
- Bianca … - disse Bella avvicinandosi a lei. Stavolta Bianca non indietreggiò; era segno che stava iniziando a fidarsi un po’ di più. - … Voi … non siete esattamente … normali.
Bianca fece una faccia offesa – Solo perché siamo orfani e non abbiamo idea di chi siano i nostri genitori non vuol dire che non siamo “normali”!- ribattè.
- Nono! Non hai capito!- si affrettò a dire Bella – Volevo dire che … Beh … ecco … insomma.
- SIETE MEZZOSANGUE!- urlò Alex con tono scocciato. Era stufa di tirarla tanto a lungo.
- Bel tocco … - scherzò Grover.
- Che vuol dire?- chiese Bianca.
- Vuol dire … - disse Emma alzando la mano come per zittire Alex e evitare di farle fare altri danni - … che uno dei tuoi genitori era mortale. L’altro era un olimpo-.
- Un … atleta olimpico?
- No – rispose Percy – Uno degli dei.
- Forte!- esclamò Nico.
- No!- la voce di Bianca tremò – Non è per niente forte!
Nico iniziò a saltellare come se avesse bisogno di andare in bagno – Zeus ce li ha davvero i fulmini da seicento punti di danno? Vince davvero punti in più se …
- Nico, piantala!- Bianca si portò le mani sulla faccia – Questo non è il tuo stupido Mitomagia, va bene? Gli dei non esistono!
- Bianca … - disse Percy, che sapeva esattamente cosa Bianca stesse provando, dato che ci era passato anche lui – Lo so che è difficile da credere ma … è tutto vero. Gli dei sono ancora in circolazione. Sono immortali e, a volte, hanno dei figli con dei mortali e … nasciamo noi.
Bianca lo guardò. Aveva uno sguardo spaventato e confuso, come quando ti danno così tante notizie insieme che non riesci a gestire bene le emozioni. Era spaventata per via dell’accaduto con la manticora. Era arrabbiata, perché aveva appena scoperto che uno dei suoi genitori era ancora vivo e non si era mai degnato di dirle un “ciao”. Era confusa, perché si fidava di quei ragazzi, ma dicevano cose senza senso. Alex le mise una mano sulla spalla. Aveva letto i suoi pensieri e cercava di capirla
- Senti … - le disse con un tono dolce - … Devi venire con noi. Qui la vostra vita non è sicura. Quello che avete visto ora, la manticora, è solo l’inizio. In giro ci sono molti altri mostri come quello. Tu e Nico avete bisogno di un addestramento per sopravvivere. Dovete seguirci al campo.
- Campo?- ripeté lei - Quale campo?
- Il campo mezzosangue.- le disse Bella - Troverete molta gente lì, come voi … come noi.
Zane si sgranchì la voce per farsi notare e farsi dire un “tranne quel coraggioso mortale” ecc. ma invece nessuno gli diede retta.
- Ma … - Bianca non sembrava ancora convinta – Aspetta un attimo. Questo spiega tutto – rabbrividì – Nico, ricordi l’estate scorsa, quei tizi che hanno provato ad aggredirci in quel vicolo a Washington?
- Già … - Nico annuì – Oppure come l’autista sull’autobus- aggiunse – Quello con le corna d’ariete. Te l’avevo detto che era reale!
- Ecco perché vi controllavo!- disse Grover.
- Grover?- Nico lo fissò – Sei un semidio?-.
- Beh, no … sono un satiro-. Si sfilò le scarpe finte e mostrò gli zoccoli caprini. Bianca stava per svenire.
- Grover, rimettiti le scarpe – lo rimproverò Zane – La stai spaventando.
- Ehi!- ribattè lui – Ho gli zoccoli puliti!
- Rimettile!- gli ripeté Emma. Grover sbuffò e si rimise le scarpe finte.
- Ora venite con noi- disse Bella – Capirete tutto quando lo vedrete.
Bianca afferrò la mano di Nico, in segno di protezione. Non era ancora convinta che quei ragazzi le stessero dicendo la verità, ma, dopo tutto, gli stessi ragazzi avevano salvato la vita a lei e a Nico, quindi cattivi non dovevano essere.
- Dobbiamo chiamare Argo- puntualizzò Zane. Bella lo guardò sorpresa.
- Bravo!- gli disse – Stai imparando in fretta!-.
Zane si gonfiò un po’ il petto- Sono noto per il mio apprendimento veloce.
Bella annuì soddisfatta. Chiamarono Argo. Lo aspettarono per un po’ davanti all’ hotel. Bianca non spiccicò una parola per tutto il tempo. Nico invece aveva “rapito” Zane e Grover e gli stava insegnando quel gioco con le carte che gli piaceva tanto. Parlava di punti, di armature, e di un sacco di altra roba da fanatici. Zane e Grover sembravano non capire niente, ma continuavano ad annuire e a mostrarsi interessati. Percy, Bella, Emma e Alex erano seduti sulle scale . Guardavano Bianca preoccupati.
- Come facciamo con lei? - chiese Percy - È molto fragile.
Emma la squadrò - È solo un po’ stordita. Ha sempre badato da sola a suo fratello. Deve averne passate tante-
Alex studiò Bianca con sospetto - Non sono fratelli.
- Come lo sai?- le domandò Bella.
- Non lo so. Non … non si somigliano per niente. E poi lei è … protettiva. Troppo per i miei gusti.
- Che cosa vuoi che faccia? Che lo faccia sbranare dai leoni?- disse Percy. Alex si girò verso di lui e gli fece una smorfia.
- Ragazzi … - disse Bella con tono stanco - … Basta.
- Bella ha ragione- concordò Emma – Ora pensiamo a scortarli al campo.

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Capitolo 14
*** Bianca confessa ***


Dopo una mezz’oretta arrivò Argo. Stavolta era arrivato con un pullmino, sempre giallo. Sembrava uno di quelli scuolabus che ti scortano a scuola. Alla sola vista a Bella le si accese la lampadina.
- Ragazzi- disse – Tra una settimana iniziano le vacanze di Natale- Emma ci pensò un po’ su
- Si … si è vero!- Poi si girò verso Alex. Aveva una faccia cupa, strana, dato che quando non si andava a scuola lei era la più contenta di tutte
- Che c’è?- le chiese Emma – Non sei contenta?- Alex si sforzò di sorridere
- Si - disse con un filo di voce. Argo aprì gli sportelli dell’autobus e fece cenno di entrare. Salì prima Percy, poi Grover e poi Zane, che era ancora tormentato da Nico e da quel suo Mitomagia. Andò per salire Bianca. Scrutò un po’ l’interno. Sembrava abbastanza normale. Poi buttò un occhio sull’autista. Rimase senza fiato. Era pieno di occhi, dovunque! Argo sorrise imbarazzato, ma senza mostrare i denti, pieni di occhi anche quelli. Si infilò un berretto da baseball, nel tentativo di coprire la maggior parte degli occhi che aveva sul viso. Lei era rimasta immobile. Emma le se avvicinò e le diede dei colpetti sulla schiena
- Già ... – sussurrò a Bianca – La prima volta che l’ho visto sono rimasta scioccata anch’io … ma non preoccuparti, non morde - Le sorrise. Bianca la guardò e annuì. Buttò un ultimo  sguardo sull’autista centiocchi e poi corse a sedere in fondo al pullmino. Le ragazze salirono e si misero tutti a sedere. Argo chiuse le porte del pullmino e partì alla volta del campo. Percy era seduto accanto ad Alex e non spiccicavano una parola. Lei guardava fuori dal finestrino pensierosa, Percy le sedeva accanto imbarazzato. Alex sembrava essere in uno di quei momenti da “se mi disturbi ti disintegro”, aveva un’espressione non triste come quando pensava alla mamma ma preoccupata. Percy si fece forza, tirò un sospiro e parlò
- Allora … come va?- Alex si girò lentamente a guardarlo
- Che significa come va?
Lui la studiò - Beh, ecco … mi sembri … pensierosa …
Lei sospirò - Sto bene!- disse.
- Sei sicura?- chiese di nuovo il mragazzo. Lei si voltò a guardare di nuovo fuori dal finestrino
- Si- disse – Sono solo … sciocchi pensieri- Percy annuì. Non disse niente. Sapeva che c’era qualcosa che non andava, ma non voleva infierire ancora di più.
- Comunque … - disse per cambiare discorso - … Grazie … ancora- La mora si rivoltò verso di lui, la sua espressione era un po’ più serena.
- Di cosa?- chiese.
- Di tutto- rispose Percy – Mi hai salvato anche stavolta … Grazie- Alex sorrise. Era contenta di sentirsi dire così.
- Che cosa faresti senza di me?!- disse sorridendo e dandoli una leggera gomitata sul braccio. Percy rispose al sorriso contento. La sua missione era compiuta : Alex era di nuovo su di morale. Lei lo guardò negli occhi e poi appoggiò la testa sulla sua spalla. Il ragazzo arrossì, ma sperò di non darlo tanto a vedere.
- Grazie a te- gli disse lei.
Dietro di loro erano seduti Bella e Zane. Quest’ultimo stava maneggiando con Scintilla.
- Sei stato molto coraggioso oggi- gli disse Bella. Lui sorrise lusingato.
- Grazie, ma … non ho fatto niente di che.
- Scherzi? Quale umano avrebbe preso lezioni di scherma dal più pazzo spadaccino del mondo, avrebbe accettato un’impresa adatta solo ai mezzosangue, si sarebbe intrufolato in un party, avrebbe lottato contro una manticora solo con una spada … e tutto in un solo giorno?!
Zane ci pensò su. - Già … effettivamente hai ragione, sono stato molto … in gamba per essere un semplice mortale-
Lei lo guardò con occhi dolci - Ma tu non sei un semplice mortale … tu sei il mio migliore amico! E con quello che hai fatto oggi ti meriti un bel … Bravo!
Zane era soddisfatto. Era tutto il giorno che aspettava un riconoscimento da parte di qualcuno.
- Grazie- disse. Bella sorrise e distolse lo sguardo. Un brivido le corse sulla schiena e rabbrividì.
- Hai freddo?- chiese Zane. Lei annuì
- Un po’- ammise.
- Oh ... aspetta- si sfilò la giacca bianca e glie la mise sulle spalle – Tieni questa- le disse. Lei si strinse tra le spalle.
- Grazie- mormorò, arrossendo. Più in dietro erano seduti Nico e Grover. Nico si era finalmente addormentato sulle gambe del satiro. Anche lui era crollato sullo schienale del sedile. In fondo al pullman sedeva Bianca. Era da sola e guardava fuori dal finestrino. Emma le si avvicinò. Le si sedette accanto e sospirò. Bianca sembro non sentirla, allora lei sospirò ancora più forte. Stavolta la mora la sentì. Si girò a guardarla. Non aveva più un volto spaventato, stavolta il suo volto era pensieroso, preoccupato.
- Come va?- chiese Emma, anche se già sapeva la risposta. Bianca la guardò con occhi spenti.
- Devo rispondere sinceramente?- La bionda scosse la testa, non voleva turbare quella povera ragazza più di quanto non lo fosse già. Ci furono cinque minuti di totale silenzio. Dopo un po’ Bianca parlò.
- Il fatto è che … - Sembrava essere sul punto di parlare, ma si bloccò. Emma raddrizzò la schiena
- Parla- le disse. Bianca la guardò, fece un grosso respiro e parlò
- Vedi, è successo tutto così in fretta … insomma, mostri, dei, spade, poteri … non ci sto capendo più niente.
Emma non parlò. Ci era passata anche lei, e ci passava ogni giorno; sapeva esattamente come poteva sentirsi.
- … è che … - continuò Bianca, aveva un viso triste, come se stesse per crollare in un lungo pianto - … Siamo sempre stati solo io e Nico, nessun altro, solo noi due.
- Beh, è normale. Siete fratelli, no?- chiese Emma. Bianca storse il labbro
- No … no, noi non siamo fratelli. Ho incontrato Nico quando eravamo all’orfanotrofio. Mi sono sempre presa cura di lui. Crede che io sia sua sorella, e a me piace che lo pensi. Me ne sono sempre occupata come una vera sorella maggiore farebbe, io sono l’unica persona che ha al mondo … e lui è la mia.
Bianca soffocò un singhiozzo. Emma non sapeva cosa dire, quella storia era davvero triste. Alex aveva ragione ancora una volta, quei due non erano fratelli. Come lei l’avesse capito non si sa. Bianca appoggiò la testa al finestrino. Le scese una lacrima. Emma le appoggiò una mano sulla spalla per consolarla. Poi buttò un occhio fuori dal finestrino. Stavano attraversando le coste di Long Island. Tra poco sarebbero arrivati al campo.

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Capitolo 15
*** Le ragazze danno una brutta notizia ***


L’autobus frenò. I ragazzi scesero e Argo svanì nella buia strada.
- Dove va?- chiese Nico.
Bella si girò verso la strada - Oh! Va solo a parcheggiare l’auto. Dai, andiamo- mise una mano dietro la schiena del ragazzino e lo invitò a salire la collina. Insieme si avviarono verso il campo. Gli altri fecero per imitarli. Arrivarono in cima alla collina, dove c’era il portale magico che ti faceva accedere al campo.
- Non è possibile- disse Bianca, era rimasta imbambolata davanti alle due colonne. Percy le si avvicinò.
- Che succede?- Bianca guardò prima la scritta sorretta dalle due colonne, poi Percy, poi di nuovo la scritta.
- Io … io, sono dislessica, come … come è possibile che riesca a leggere quella scritta?- balbettò. Percy sorrise.
- Già, lo so. Tutti i semidei sono dislessici, anche io lo sono. Il tuo cervello è impostato sul greco antico. È uno degli svantaggi di essere figlio di un dio- Bianca lo guardò stranita
- C’è un vantaggio in questa cosa?- Il moro rise rise.
- Diciamo solo che ci sono i pro e i contro-
La ragazza annuì incerta e varcò i due archi. Il campo era ancora innevato. Alcuni ragazzi stavano giocando a palle di neve, altri a hockey, altri erano rinchiusi in casa per il troppo freddo. I ragazzi non persero tempo a fare le presentazioni e si diressero verso la Casa Grande, dove li stavano aspettando Maria, Chirone e il professor Crubs. Entrarono dentro. Tutti e tre erano seduti intorno a un tavolino ed erano nel bel mezzo di una partita di carte. Chirone era seduto sulla sedia a rotelle. Crubs alzò lo sguardo.
- Oh! Bene, bene! Siete arrivati! Ormai non ci speravo più …
- Ehm … abbiamo avuto degli inconvenienti- giustificò Emma. Crubs posò le carte, attento a non farle vedere a nessuno. Si alzò in piedi e studiò Bianca e Nico.
- Voi due siete i nostri due nuovi arrivi. Bianca e Nico … qual è il vostro cognome?
Bianca ci pensò su. - Di Angelo!- rispose – Siamo Bianca e Nico Di Angelo.
Emma la guardò stupita, sul pullman le aveva confessato che non erano davvero fratelli, e ora avevano lo stesso cognome. In realtà Bianca aveva detto il primo cognome che gli era venuto in mente, cioè il cognome dell’unica famiglia che li aveva adottati e poi abbandonati.
- … Di Angelo- ripeté Crubs – Siete fratelli?- Bianca guardò Nico a disagio. Avrebbe voluto rispondere di no, ma Nico era convinto del contrario. Aveva già scoperto troppe cose scioccanti, non voleva traumatizzarlo ulteriormente.
- In un certo senso- rispose. Crubs annuì, capendo il disagio. Aveva un sesto senso per capire le bugie, e sapeva la verità.
- Venite- disse – Vorrei parlarvi da soli.
I due “ fratelli” lo seguirono nella sua stanza. La porta si chiuse con un tonfo. Anche Chirone abbassò le sue carte e si voltò a guardare Percy.
- Ha chiamato tua madre- gli disse. Percy ebbe un sussulto. – Voleva sapere come stavi. Dovresti richiamarla-
Il ragazzo si tastò le tasche - Non ho il telefono.
Chirone prese una dracma, un’antica moneta greca, e glie la lanciò. Lui la afferrò.
- Se ti sbrighi riesci ancora a chiamarla- gli disse, e gli fece cenno col capo di andare verso il lago, dove una leggera nebbiolina stava quasi svanendo. Percy si affrettò a correre.
- Dov’è Zane?- chiese poi Maria. Le ragazze si guardarono intorno, non si erano nemmeno accorte che Zane era rimasto indietro.
- Vado io- disse Grover, e si diresse fuori, verso l’ingresso del campo. Nella stanza rimasero solo le ragazze con Maria e Chirone. Quest’ultimo fece un gesto con la mano e invitò a sedere le ragazze, che non ci pensarono due volte.
- Allora … - disse Maria poggiando il suo mazzetto di carte – Che cosa è successo … veramente?- Le guardò una per una. Emma si appoggiò allo schienale della sedia
- Abbiamo combattuto contro una manticora- disse. Chirone si girò di scatto.
- Una manticora hai detto?
- Si- rispose Emma – O almeno credo che lo fosse- Chirone e Maria si scambiarono un occhiata nervosa.
- E dov’è adesso?- chiese Maria. Le ragazze fecero spallucce.
- Dei leoni di bronzo l’hanno attaccata- disse Bella - È morta.
Maria sembrava ancora più nervosa. Continuava a mischiare le carte che aveva davanti, senza una logica precisa.
- C’è qualcosa che non va?- chiese Alex. Chirone abbassò lo sguardo, ora diventato cupo. Emma scrutò entrambi.
- Non dovrebbe essere qui, vero?
Chirone annuì – In realtà dovrebbe essere proprio estinta,- disse – il fatto che sia tornata è allarmante.
- Credete che centri qualcosa Silver Surfer?- domandò Bella. Maria fece un ghigno.
- Lui centra sempre, mia cara.
Bella si ammutolì, sentirlo dire non era proprio una bella notizia. Alex scosse la testa e abbassò lo sguardo
- Non solo lui- disse. Maria inarcò un sopracciglio
- Che vuoi dire?
La ragazza fece un respiro profondo. – Credo che alche Luke sia coinvolto in questa storia.E
mma la guardò torva; solitamente quando Alex prevedeva una cosa, aveva sempre ragione, era come un altro potere.
- Come fai a saperlo?- le domandò. Alex scosse la testa.
- Non chiedetemi il perché. Lo so e basta!- disse. Chirone prese un grande respiro
- Luke ha fatto fin troppi sbagli. Non mi sorprende che sia immischiato. Quanto a Silver Surfer, voglio dirvi di non abbassare mai la guardia. Non riusciamo ancora a capire fin dove può arrivare- fece una pausa – La manticora … beh, quello è un altro problema! È molto pericolosa! In teoria non dovrebbe più esistere da almeno tremila anni, qualcuno deve averla fatta rinvenire.
Le ragazze si scambiarono uno sguardo.
- Purtroppo c’è anche un altro problema – aggiunse Maria.
- E cioè?- domandò Emma. La donna sembrò a disagio
- Può darsi che questa manticora si un’alleata dell’esercito di Crono.
Un brivido gelido corse sopra la schiena delle tre ragazze. Crono, il perfido re dei Titani, l’essere più orribile e cattivo della terra, un milione di volte più temibile di Silver Surfer. Alcune voci dicevano che lui stesse risorgendo, ma nessuno ne aveva le prove certe. Anche se, l’estate prima, le tre avevano visto la sua bara d’ oro sulla nave fantasma di Luke, il quale gli aveva detto contenesse i pezzi del perfido Titano. Solo al ricordo si immobilizzarono. In quel momento Crubs uscì dalla sua stanza con Bianca e Nico. I due ragazzi indossavano una maglia del campo mezzosangue sopra i loro abiti eleganti. La maglia era arancione, con sopra la scritta in greco antico, che stava a significare che loro due erano dei semidei.
- Bene – disse Crubs – Dato che non avete un rifugio dove andare resterete a dormire qui al campo, nella casa di Ermes. Chirone vi accompagnerà.
Chirone si alzò dalla sua sedia a rotelle e mostrò le sue zampe di cavallo. Bianca e Nico sobbalzarono.
- Scusate- disse Chirone imbarazzato – Vi ho spaventato?
Bianca lo studiò attentamente. - Nàa! Abbiamo visto così tante cose oggi che questa è la più normale.
Lui sorrise e fece cenno ai due di seguirlo.
- Voi andate a casa- disse Crubs alle ragazze – Per oggi avete fatto abbastanza.
Le ragazze guardarono l’orologio. Era fatto tardi. Salutarono Maria e Crubs e si diressero fuori dal campo.
 
Arrivata a casa Alex era sfinita. Si levò il vestito elegante e lo buttò a terra. Si mise un paio di bermuda e una maglietta degli Yeenkees.
- Papà!- chiamò. Nessuno rispose. – Sei già arrivato?
Di nuovo nessuna risposta. Alex fece un grosso respiro. Corse di sopra e entrò di scatto nella stanza del padre. Lui non c’era. Lei si rattristò. Si sedette sul letto del padre e accarezzò il cuscino.
- Mi manchi- disse, e soffocò una lacrima. In quel momento si ricordò di quello che gli aveva detto Percy: “ A volte  piangere fa bene”. Così posò la testa sul cuscino e fece cadere una lacrima. Poi un’altra. Poi un’altra ancora, finche non scesero tutte insieme in un pianto che neanche lei riusciva a frenare.
 
Emma entrò in casa sua. Ormai era tardi e i suoi stavano già dormendo. Posò i suoi vestiti accanto al muro e si diresse in cucina per prendere un bicchiere d’acqua. Quella sera era molto turbata. Aveva fatto un brutto sogno, che l’aveva scossa un po’. Prese il bicchiere, lo riempì, vi infilò dentro una cannuccia, per evitare di bagnarsi le labbra, e si diresse verso il soggiorno. Sul divano c’era Eliot, il suo fratellino, che stava dormendo. Emma sorrise tra se e se. Lo coprì e gli baciò la fronte. Bevve la sua acqua, recuperò i vestiti e andò in camera sua per cambiarsi, dato che indossava ancora l’abito verde. Stava per entrare in camera quando da dietro le sue spalle sentì una voce.
- È l’ora di tornare?
Si girò e vide la mamma. Emma prese un respiro profondo
- Scusa … c’è stato … un imprevisto.
- Lo vedo- disse la mamma con tono di rimprovero, fissandole l’abito verde che aveva ancora addosso.
- Non è come credi- si giustificò Emma, prima che la madre cominciasse a farsi strane idee. Quella annuì poco convinta, poi disse
- Senti … devo dirti una cosa.
La bionda la guardò spaventata. - È successo qualcosa?
La donna scosse la testa. – Dunque, noi … io e tuo padre domani partiremo, abbiamo un’importante conferenza. Non staremo via molto, solo due settimane. Torneremo in tempo per Natale.
Emma ci pensò su. Non era un caso che i suoi genitori partissero. Erano due personaggi molto importanti e dovevano svolgere il loro lavoro.
- Elliot ha detto che andrà a stare da un amico che abita lì vicino. Tu cosa farai? Verrai con noi? So che non è un’ottima offerta, ma è una conferenza molto importante. Non possiamo rifiutare.
Il volto della ragazza fu attraversato da un'ombra cupa, pensando a ciò che l’aspettava.
- Ma, tuttavia … - continuò la mamma - … Oramai sei grande abbastanza per stare due settimane da sola, e potresti restare a casa …
Il broncio sul volto di Emma si tramutò in un sorriso.
- Grazie!- disse, e corse ad abbracciare la mamma.
- Ok – disse la madre – Se proprio lo vuoi resterai … MA … a patto che tu mi dica perché indossi questo vestito elegante!
Emma si guardò, si era scordata di indossare ancora l’abito.
- Te lo spiegherò domani mattina, ora sono stanca - temporeggiò, non sapendo come spiegare il parchè evitando mostri, magia e superpoteri. La madre annuì. Emma le diede la buonanotte ed entrò in camera sua. Si cambiò e si mise a dormire.
 

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Capitolo 16
*** Emma dà ragione ad Alex ***


Bella si stava agitando nel letto. Stava facendo un brutto sogno. Si svegliò di scatto. Il cuore le batteva fortissimo. Sudava freddo e la sua gola era secca, le labbra screpolate. Scese dal letto e aprì le finestre: era mattina. Scese a fare colazione. Suo padre e sua sorella erano già in cucina.
- Buongiorno!- le disse il padre con un sorriso sgargiante sul volto.
Quel sorriso tranquillizzò Bella – Buongiorno – rispose, e si diresse verso la dispensa. Prese due biscotti e ne mangio uno.
- Dormito bene stanotte?
Bella ripensò all'orribile sogno fatto, a come sembrava reale, se potesse essere reale. Guardò il padre.
- Si – disse, si sforzò di sorridere. Poi si affrettò ad andarsene, per evitare che l'uomo le facesse altre domande. Afferrò altri due biscotti e li mangiò di corsa mentre saliva le scale. Si fece una doccia, e ci mise un po’ per asciugarsi e far sparire la coda da sirena. Si vestì, afferrò due libri, salutò i familiari e corse a prendere la sua bicicletta. Montò sulla bici e si diresse verso la scuola. Quel giorno non sarebbe stato faticoso, dato che era l’ultimo, prima delle vacanze di Natale.
Arrivò davanti scuola, dove c’erano Percy, Zane e Emma ad aspettarla. Posò la bici e si diresse verso gli amici.
- Dov’è Alex?- chiese guardandosi intorno. Emma fece spallucce.
- Eccola!- gridò Zane indicando di fronte a se. 
La ragazza stava camminando con molta tranquillità. Aveva le cuffie nelle orecchie e lo sguardo puntato a terra. Quando alzò gli occhi notò che tutti i suoi amici la stavano aspettando. Usò la sua super velocità. Percy se la ritrovò di fronte e sbalzò indietro per lo spavento.
- Ciao!- salutò la mora.
- Perché ci hai messo tanto?- domandò Emma.
La ragazza si sfilò le cuffiette dalle orecchie - Come scusa? Non ho sentito …
La bionda alzò gli occhi al cielo – Lascia stare … - borbottò.
- Beh?! Entriamo o no?- disse Alex, e si avviò dentro la scuola, seguita da gli altri.

La campanella suonò, come segno che erano terminate le lezioni. Percy ed Emma stavano uscendo dall’aula di storia. Bella, Alex e  Zane avevano appena finito la lezione di chimica. Si incontrarono per il corridoio.
- Finalmente è finita! Ora si riposa!- esclamò Zane, stiracchiandosi.
Emma sorrise e scosse la  testa – Non montarti troppo la testa, sono solo le vacanze di Natale.
- Mamma come sei pessimista! Ha ragione Alex, riposati- la rimproverò Bella.
- Io adoro il Natale! Voi come lo festeggerete??- domandò il biondino.
- Non lo so … - rispose Percy – credo che festeggerò con mia madre …
Emma fece spallucce – Io festeggerò con la mia famiglia come ogni anno.
Bella ci pensò un po’ su – Beh, forse anch’io festeggerò con la mia famiglia- Poi guardò Zane – Tu Zane?
Lui ci pensò – Molto probabilmente anch’io …
Percy guardò Alex che non aveva fiatato – E tu Alex?
La ragazza abbassò lo sguardo imbarazzata e fece spallucce. Percy pensò ci fosse qualcosa che non andasse e stava per chiederle cosa quando si sentì una voce chiamare
- Ragazzi!
Era Maria, che stava arrivando dal fondo del corridoio. Quando arrivò da loro aveva il fiato grosso e respirava a fatica – Non ho più la resistenza di una volta- disse con sarcasmo.
- È successo qualcosa?- domandò Bella.
Maria respirava ancora a fatica – Beh … si, cioè no, ma si … cioè non è grave ma si è successo qualcosa che però …
- MARIA! – la interruppe Alex – Arriva al sodo!
La donna prese una bel respiro e parlò – Non è successo niente di grave, tranquille, ma Chirone ha detto che oggi ci sarà “Il tiro al bersaglio”.
- Davvero?- dissero all’unisono le tre ragazze.
- Cos’è il tiro al Bersaglio?- domandò Zane. Bella lo guardò.
- È una gara al bersaglio, appunto. Viene lanciato in aria un palloncino magico contenete uno scoppio. Tutte le nuove reclute del campo devono sfidarsi per colpire questo bersaglio usando i loro poteri.
- Solitamente serve ai ragazzi nuovi a scoprire i propri poteri, me nel caso dei semidei può anche servire per scoprire quale sia il loro genitore divino- intervenne Emma.
Il biondo annuì e guardò il suo amico. - Anche tu l'hai fatto?
Percy gonfiò il petto. - No, non ce nè stato bisogno!
- Sono curiosa di sapere se ci saranno nuovi componenti di case importanti- fece Emma.
Il moro ci pensò – Ti riferisci a Bianca e Nico?
La bionda annuì.
- Non credo comunque che facciano partecipare Nico, è ancora troppo piccolo- disse Maria.
- Già … - disse Alex – Tanto basterà lo faccia Bianca, se sono fratelli …
Marcò la parola “fratelli” in un modo snervante e guardò Emma, quasi aspettasse che l’amica dicesse ciò che lei aveva capito dall’inizio. Emma si agitò sul posto e cercò di evitare lo sguardo dell’amica. Ma non funzionò
- E va bene!- sbottò – Ok … non sono fratelli, non biologici almeno. Non sono neanche parenti!
Tutti rimasero sbigottiti, tranne Alex, che esultò.
- Ma come … - Bella non riusciva a parlare per la sorpresa.
- Te lo spiego mentre andiamo al campo- disse Emma scocciata.
- Aspetta – disse Maria – Ma allora venite al campo?
- Certo!- risposero tutte all’unisono.

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Capitolo 17
*** Bella fa una corsetta ***


I ragazzi si erano avviati verso il campo. Bella andava in bici. Emma e Percy prendevano un taxi. Alex sarebbe andata a piedi. Si sarebbero incontrati tutti lì. Zane aveva deciso di non andare. Maria invece doveva correggere i compiti dei suoi alunni, quindi li avrebbe raggiunti più tardi.
Bella stava andando con molta calma. Era arrivata lungo le coste del Long Island e stava ammirando il paesaggio. La strada era bianca, perché coperta dalla neve. C’era un lieve venticello invernale che le sfiorava il viso. Era piacevole.
Respirò l’aria a pieni polmoni. Per un attimo si dimenticò di tutto. Poi, in quel momento di pace e tranquillità, senza alcun motivo le rivenne in mente la piccola Bessie, il serpente-mucca che aveva salvato da morte certa qualche giorno prima. Chissà come stava. Chissà dov’era. A rompere quella quiete ci pensò il suo telefono.
Si sentì vibrare la gamba. Prese il telefono. Alex la stava chiamando. Rispose.
- Pronto?
- Dove sei?-le urlò l’amica a telefono.
Bella si trovò un attimo disarmata. Si guardò intorno in cerca di una risposta. All’improvviso le venne un lampo di genio. Si era totalmente dimenticata di dover andare al campo.
- Sto … sto arrivando – disse, e riattaccò il cellulare.
Iniziò a pedalare più forte e a guardarsi intorno smarrita. Poi ad un tratto vide un piccolo sentiero e lo imboccò. Doveva arrivare al Campo entro mezz'ora o sarebbe diventata uno spiedino di sirena.
 
Alex batteva nervosamente il piede a terra. - Ma dov'è? - chiedeva ansiosa.
Emma alzò gli occhi al cielo. -La smetti?- la rimproverò - Sta arrivando!
Alex sbuffò - Detesto quando le persone fanno ritardo!
- Ma se tu sei sempre in ritardo!- le ricordò Emma.
Alex la guardò incattivita. - Un conto è quando io aspetto gli altri, un conto è quando sono gli altri ad aspettare me!
Percy si tastò la tasca. Voleva controllare di avere con se la sua amata Vortice, nel caso avesse dovuto fermare una rissa fra le due ragazze. Fortunatamente a impedire un' accesa discussione ci pensò Bella. Correva come una pazza su quella bicicletta; nessuno capiva a che velocità andasse.
Appena arrivò la ragazza non si sentiva più le gambe. Scese dalla bicicletta e la gettò via. Col fiato grosso si buttò a terra e iniziò a riprendere fiato.
- Sono qui ... - mormorò. I ragazzi le si avvicinarono.
- Finalmente!- disse Alex.
Bella avrebbe voluto replicare ma non aveva ne il fiato ne la voglia di farlo.
Emma guardò l'orologio. - Muoviamoci!- disse - La gara inizierà fra pochi minuti!
Lei e Alex si precipitarono verso il portale magico ed entrarono nel Campo. Bella cercò di rialzarsi invano.
- Ti sei fatta una bella corsetta è?
La ragazza guardò in alto. A parlare era stato Percy, che le stava tendendo la mano. Lei gli afferrò il braccio e lui la tirò su.
- Muoviamoci,- disse Bella ancora senza fiato - non ho corso come una pazza per poi perdermi la gara!
Il ragazzo si lasciò scappare un sorriso e insieme i due ragazzi si diressero verso l'entrata del Campo.

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Capitolo 18
*** Il tiro al bersaglio ***


Il Campo era cambiato. Ora tutta la neve era sciolta per via della gara. Tutti i ragazzi si trovavano nell’Arena, tranne qualcuno della casa di Afrodite, che era sempre in ritardo per essere sempre al top (non si sa mai avessero dovuto accogliere qualche nuovo fratello). I ragazzi seguirono la casa della dea dell’amore e si diressero verso l’Arena.
Lì c’era Crubs, affiancato da Chirone, che spiegava le regole del gioco. In prima fila, tesi come non mai, i ragazzi che dovevano affrontare la prova. Fra loro c'era anche Bianca, ma mancava Nico. Ad un tratto Crubs fece un cenno con la mano e tutti si diressero verso il bosco, il luogo dove si sarebbe svolta la gara.
Erano tutti tesi. C’è chi parlava da solo. Chi si mangiava le unghie. Chi si aggiustava l’armatura. C’era addirittura chi agitava le mani nel tentativo di scoprire in anticipo i propri poteri, ma invano. Emma si diresse verso Bianca.
- Ehi! Come va?
Bianca aveva il viso pallido per l’ansia. - Va … va … diciamo solo che per il momento va!- si sforzò di sorridere ma non ci riuscì.
Emma le poggiò una mano sulla spalla. - Non devi avere paura. È del tutto normale avere un po’ d’ansia, ma non devi preoccuparti.
Bianca scosse il capo. - Tu non capisci - disse balbettando un po’ - questa … questa sfida è molto importante per me! Se  … se riuscissi a vincere magari saprei chi è uno dei miei genitori. È un’occasione per sapere qualcosa sulla mia famiglia! Sul mio passato!
Beh, non aveva tutti i torti, e a questo Emma non aveva pensato. Le sorrise.
- Ce la farai, vedrai!- e le diede dei colpetti di incoraggiamento sulla spalla.
Chirone fischiò a rapporto tutti, era il segno che la gara stesse iniziando. Tutti si radunarono intorno a lui, che si sgranchì la voce ed iniziò a parlare
- Bene, ragazzi. Arrivati a questo punto mi trovate impreparato. Sapete com’è importante questa gara, per voi e anche per noi. Posso solo dirvi di impegnarvi al massimo e di concentrarvi più che potete. Non è facile scoprire i propri poteri. A volte avviene per caso, a volte è fortemente voluto, ma l’importante è che voi ci crediate fino alla fine. Mi raccomando e in bocca al lupo!
Face un gesto con la mano ed alcuni ragazzi librarono in aria un palloncino, apparentemente innocuo, ma difficilissimo da prendere. – In posizione!- urlò di nuovo Chirone. Bianca si mise sulla sua postazione. Lanciò  uno sguardo terrorizzato ai suoi amici, che le fecero cenno col pollice in su.
- Pronti …
Guardò Nico, che era seduto su un tronco vicino ai ragazzi della casa di Ermes, dato che non partecipava alla gara perché troppo pericolosa per lui, così piccolo. Il fratello la salutò con la mano e le mimò qualcosa con le labbra che Bianca tradusse come “Buona fortuna”.
- Partenza …
La ragazza fece un lungo sospiro e chiuse gli occhi. Pensò di dare il meglio di se. Pensò di non voler deludere Nico, ne i suoi amici. Pensò di mettercela tutta per scoprire qualcosa sui suoi genitori.
Il corno suonò. La gara era iniziata. Una decina di ragazzi sfrecciarono verso il bosco, ognuno in direzioni diverse. Bianca era determinata. Correva a più non posso, cercando di intravedere nel cielo il bersaglio da colpire.
Purtroppo il palloncino era a tratti invisibile ed era quasi impossibile prenderlo. Sfrecciò in avanti, cercando un luogo aperto dove guardare il cielo. Non aveva idea di come avrebbe preso il palloncino ma sapeva che ce l’avrebbe messa tutta per farlo. Ad un tratto scivolò sopra qualcosa di melmoso e atterrò con il sedere per terra. Un po’ stordita si diede un colpetto sulla testa per tornare in se. Davanti a lei una pozzanghera di melma si solidificò e diventò un ragazzo.
- Forte!-  esultò quest’ultimo fiero di aver scoperto i suoi poteri. Aveva i capelli ricci e crespi, con una tonalità che andava dal marrone arbusto al rosso terra. La sua faccia era magra e un po’ sporca; era pieno di lentiggini e aveva gli occhi neri lucidi per l’emozione.
Bianca si rialzò in piedi e scansò con una gomitata il ragazzo presa dall’emozione. Davanti a lei c’era ciò che cercava: uno spazio aperto privo di lunghi alberi. Si precipitò lì e alzò gli occhi al cielo. Aspettava di vedere il palloncino spuntare nel cielo da un momento all’altro, e, infatti, il palloncino sbucò proprio lì, davanti ai suoi occhi.
Ma come prenderlo ora?
Bianca non aveva armi con se per la regolarità del gioco. Come avrebbe dovuto scoppiare il palloncino?
Sapeva che da un momento all’altro quello sarebbe sparito e lei avrebbe dovuto correre di nuovo. Si guardò in torno in cerca di un appiglio. Trovò un ramo. Ci salì su e inizio a ripetere:
- Ce la posso fare, ce la posso fare, ce la posso fare.
Si buttò giù dal ramo sperando di librarsi in volo ma invece si trovò con la faccia spiaccicata per terra. Si rialzò a fatica. Il palloncino era quasi fuori prospettiva, era impossibile prenderlo. Per la frustrazione Bianca mise le mani dietro la nuca. Era angosciata, triste e delusa da se stessa. Aveva la vittoria così vicina e non riusciva a fare niente per colpire quell’insulso palloncino. La rabbia la stava mangiando viva. In quel momento congiunse le mani e sentì uno strappo allo stomaco. Riportò le mani in avanti e rimase a bocca aperta. Le sue mani brillavano di una luce intensa, bellissima, forte come il sole. Allargò le mani. Non sapeva perché lo fece ma in qualche modo sentiva fosse la cosa giusta.
E infatti, fra le sue mani spuntò un arco e una freccia fatti di luce, che brillavano di energia pura.
Bianca riguardò in su, verso il palloncino. Era molto lontano. Aveva solo una possibilità, colpire il bersaglio con la freccia che aveva fra le mani. Tirò l’arco al massimo, lo portò ad altezza faccia. Appoggiò la mano destra sulla guancia, mentre la sinistra era protesa in avanti per reggere l’arco e puntò al palloncino. Lo mirò e scagliò la freccia.
BUUUM!!
Ci fu un’esplosione enorme. Il palloncino scoppiò e nel cielo si formò una scritta di luce: “The winner is Bianca Di Angelo!”.
Molti da fuori esultarono, compresi Percy, Alex, Bella ed Emma, e ovviamente Nico. Bianca non poteva crederci. Aveva vinto. Non sapeva nemmeno come avesse fatto, ma aveva vinto. Quello era il suo potere, ed ora non vedeva l’ora di sapere cosa fosse.

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Capitolo 19
*** Chirone è sospettoso ***


I ragazzi che stavano guardando la partita erano tutti in visibilio. Aspettavano con ansia che i concorrenti uscissero dal bosco per complimentarsi con Bianca e per consolare gli altri. Poi uscirono.
Il primo fu August. Il ragazzo aveva scoperto i suoi poteri liquefacendosi, facendo scivolare Bianca. Aveva l’aria abbastanza soddisfatta. Poi uscirono due ragazze, belle come il sole. Erano gemelle e avevano entrambe i capelli biondo miele, un fisico snello e gli occhi azzurri. Il viso era un po’ sporco di terriccio, ma ciò non le rendeva meno attraenti. Potevano sembrare benissimo figlie di Afrodite, e forse lo erano. Dopo di loro uscirono altri due ragazzi e infine Bianca.
Quest’ultima aveva un viso pallido e sconvolto, quasi come se fosse rimasta traumatizzata da ciò che aveva fatto e visto. Il primo a correrle in contro fu Nico. Il ragazzino la strinse in un abbraccio con le lacrime agli occhi, continuando a ripeterle – Hai vinto! Hai vinto!
Bianca strinse il fratello emozionata. Subito dopo la raggiunsero Emma, Bella e Alex per complimentarsi e infine Percy.
Nei due minuti che seguirono Bianca fu circondata da ragazzi, tutti ad accerchiarla per farle i complimenti. L’entusiasmo, però, fu smorzato da Chirone.
- Ragazzina! Vieni qui!
Lo disse con un tono così serio che tutti i ragazzi smisero di parlare e aprirono un varco per far uscire Bianca dal cerchio. Lei si sentì le gambe di gelatina. Deglutì e si avvicinò a Chirone. Lui le mise una mano sulla spalla.
- Sai che era vietato usare armi vero?
- Ma io non ho usato nessun’arma!
- Mi sembra di aver visto una freccia, o sbaglio?
Bianca si sentì la gola secca. – M - ma … ma … io … - non sapeva cosa dire. Era completamente a corto di idee. Come avrebbe spiegato a tutti quanti che l’arco le era spuntato fra le mani come per magia? L’avrebbero di sicuro presa per una pazza.
Chirone le diede un colpetto sulla spalla per consolarla. - Su via, non preoccuparti. Anche se hai barato lo hai fatto bene. Forse so chi è il tuo genitore divino sai? Nessuno tira così bene d’arco. Presentati all’arena di tiro con l’arco fra un’ora. Ok? Ho in mente una cosina per te.
Bianca fece cenno di si con la testa. Fissava un punto indefinito e non parlava. Dentro di se lei sapeva di aver ragione. Sapeva di non aver barato e sapeva di non essere pazza. Il problema è che gli altri non lo sapevano. Chirone le diede alcuni colpetti sulla spalla che la fecero tornare alla realtà. Scosse il capo per riprandersi.
- Ci sarò- sibilò a fatica.
 
In meno di venti minuti il bosco era vuoto. Tutti erano accorsi nell’arena di tiro con l’arco per assistere alla prova di Bianca. La gara di tiro al bersaglio era stata considerata nulla, dato che non c’era un vincitore. Alex e Bella stavano camminando per i boschi nell’attesa.
- Che bella l’aria fresca della natura!- disse Bella e fece un respiro a pieni polmoni.
Alex si guardò un po’ in giro – A me piace più l’aria di città- esclamò.
La bionda la guardò storta – Perché sei così poco … sentimentale?! Insomma, è così bello respirare l’aria della natura! Prova!
La mora la fissò stranita, ma quando la vide l'espressione seria che aveva in volto capì che diceva sul serio. Così guardò davanti a se. Di fronte a lei c’era solo il bosco, qualche albero, qualche tronco spezzato e un po’ di terriccio. Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo.
L’aria fresca le entrò i polmoni. Nonostante il campo fosse protetto da una barriera magica che impediva alla neve di entrare, il gelido vento invernale non sentiva scuse, e perforava l’aria come uno spillo. Alex si sentiva bene; era rilassante espirare quell’aria pulita. È come se ora fosse in pace con se stessa, se tutta la sua rabbia si fosse acquietata , come se il nodo che porta sempre in gola che le veniva perché non voleva piangere si fosse sciolto e l’avesse abbandonata per un momento. Riaprì gli occhi. Bella era lì che la guardava in attesa di una risposta. Lei arricciò il naso e scosse la testa.
- Niente- disse.
Bella alzò le mani e poi lae fece cadere contro la gamba con uno schiaffo.
- Ci rinuncio- disse sconcertata. E continuò a camminare. Alex sorrise. L'amica aveva ragione sul fatto dell’aria fresca e pulita, ma non glie lo avrebbe mai detto.

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Capitolo 20
*** Finalmente la verità ***


I ragazzi erano tutti lì, nell’arena di tiro con l’arco. Tutti lì per vedere cosa Chirone aveva in mente per Bianca.
Quando Emma entrò la maggior parte era seduta sugli spalti. Il resto sedeva sulle gradinate. Le arpie del campo portavano piatti di cibo agli spettatori per smorzare il tempo. Avevano vassoi carichi di frutta, dolci e salatini. I ragazzi vi si buttarono sopra, affamati.
La ragazza sporse il capo per cercare Bianca. Indossava una tuta rossa e argentata, tipica del campo. Era seduta accanto a Nico, e gli accarezzava i capelli, quasi volesse tranquillizzarlo di qualcosa.
Più indietro sedevano Percy e Grover, entrambi con un tramezzino fra le mani. L’attesa aveva messo appetito anche a loro.
Emma tornò con gli occhi su Bianca, che ora stava abbracciando Nico accarezzandogli i capelli, come farebbe una vera mamma. A quella scena la bionda si commosse. Era bellissimo vedere come quei due ragazzi, pur non essendo veri fratelli, si volessero un bene dell’anima. Ad un tratto qualcuno le toccò la spalla. Si girò di scatto e vide Bella che osservava la stessa scena.
- Come sono dolci- commentò. Emma tornò con gli occhi su Bianca e Nico.
- Già – disse. - Vorrei abbracciare anche io mio fratello così.

voleva molto bene a suo fratello ,Eliot. Aveva solo dodici anni, ma era molto più sensibile e maturo dei ragazzi della sua età. Non lo abbracciava spesso, perché lo considerava scontato. Ma davanti a una scena del genere, le rammaricava molto non averlo mai fatto.
Bella sospirò. - Io invece vorrei che mia sorella Ginger mi volesse bene come Nico ne vuole a Bianca.
Bella e Ginger, infatti, non facevano altro che litigare tutto il giorno. Anche lei aveva dodici anni, ma era più scaltra e furba di Eliot. Emma si lasciò scappare un sorriso e insieme le due ragazze andarono a sedersi accanto a Alex.
Chirone era in disparte con il capogruppo della casa di Apollo Michael View. Dai loro volti sembrava parlassero di una cosa seria.
Alex ebbe un sussulto quando riuscì a leggere il labiale di Michael View “Sono sicuro che non ce la farà”. Decise di capirci meglio così si concentrò sul pensiero del ragazzo e capì. Stava parlando di Bianca. Secondo lui non ce l’avrebbe fatta. Ma a fare cosa? A superare la prova di tiro con l’arco? A fare cosa?
Purtroppo non fece in tempo a scoprirlo che Chirone congedò la conversazione con un gesto della mano e si avviò verso il centro dell’arena.
Di spettatori ce n’erano molti, per quanto “molti” potevano essere i pochi ragazzi che erano rimasti al campo quell’inverno, qualche ninfa d’acqua che popolava il laghetto del campo e alcune ninfe dei boschi che vivevano lì. 
Chirone era nel bel mezzo dell’arena e aspettava il silenzio. Quando si rese conto che da solo questo non sarebbe mai arrivato portò la mano destra chiusa a pugno vicino alla bocca e si sgranchì la gola così forte che la sua voce rimbombò per tutto il campo, tant’è che il silenzio piombò all’istante e molti si preoccuparono per le corde vocali del vecchio centauro.
- Bene … - cominciò. - … Sono contento di vedervi tutti qui. Questo è un momento molto importante per la nostra nuova arrivata Bianca … - si voltò un attimo a guardarla, poi tornò ad osservare il pubblico. Stava iniziando ad agitarsi sugli zoccoli, come fa quando è nervoso o quando sta per dire qualcosa di importante.
- … Dopo l’ultima performance della nostra amica, ho iniziato ad avere qualche dubbio. Pensavo che lei avesse barato, dato che aveva utilizzato un'arma, la quale le era stata severamente vietata.
Ora era Bianca ad agitarsi sul posto sentendosi osservata.
- Ciò nonostante … - continuò il centauro - … devo riconoscere la grande abilità con cui ha utilizzato quell’arco, quindi … ho pensato di farle provare qualche tiro.
Nell’arena si levò un forte mormorio di disaccordo e di stupore. Chirone batté con forza uno zoccolo sul pavimento e restaurò il silenzio. Poi invitò Bianca al centro dell’arena.
- Scegliti un arco- le mormorò e dopo averle dato un colpetto di incoraggiamento sulla spalla andò a sedersi. Lui aveva un posto d’onore, occupato anche da Crubs, qualche ninfa, due cacciatrici e, stranamente, Michael View e i ragazzi restanti della casa di Apollo. Cosa ci facevano loro lì era un mistero, ma ora nessuno ci pensava, perché tutta l’attenzione era incentrata su Bianca. Lei era giusto al centro dell’arena, immobile, quasi imbalsamata, proprio come quando aveva scoperto la vera natura dei ragazzi.
Guardava fisso il pubblico senza muovere un arto quando qualcuno da sopra gli sparti le urlò
- Ti vuoi muovere? Non abbiamo tutto il giorno noi!
Una risatina generale si levò dall’arena e Bianca, urtata, iniziò a scrutare il pubblico nel lato da dove era venuta la voce. Giù di lì notò un tavolino con sopra alcune armi e si ricordò le parole di Chirone: “Scegliti un arco”. Si avviò con passo deciso verso quelle armi.
Il tavolino era coperto da una tovaglia bianca ornata con decorazioni di fiori dorati. Sopra vi erano tre archi. Quello a destra era molto semplice: di legno, ricamato con alcune incisioni, con una corda robusta e ben salda. Quello a sinistra era molto più complesso: era di un azzurro lucente, ornato con delle piccole onde di un blu più intenso; la corda era sottile e morbida, ma non dava l’idea di essere molto resistente; quell’arco era sicuramente per qualcuno che era certo di fare centro al primo colpo.
Quello che però colpì Bianca era quello di mezzo: argenteo, molto semplice, senza ricami ma con entrambe le estremità piegate in delle bellissime spirali; la corda era sottile, ma ben salda e soprattutto già incordata. La ragazza lo prense senza pensarci.
Affianco al tavolo c'era una faretra, contenente, però, solo tre frecce. Appena le vide non poteva crederci. “Solo tre” pensò, “Ho solo tre colpi”. L’ansia iniziò a pervaderla. Avere solo tre colpi significava avere solo tre possibilità. Quindi non poteva sbagliare.
Si mise la faretra in spalla e si diresse di nuovo verso il centro dell’arena.
Davanti a lei eruppero tre manichini umani che di solito i ragazzi usano per fare pratica. Si posizionò e scelse il suo primo obbiettivo.
Già mentre tendeva l’arco capì che c’era qualcosa che non andava.
La corda era più tesa di quanto se l’era immaginata, e le frecce erano più rigide.
Mancò il manichino di una spanna e perse anche quel po’ d’attenzione che era riuscita ad ottenere. Per un attimo si sentì umiliata, poi tirò un respiro profondo e passò al manichino successivo. Rintoccò un’altra freccia e si mise in posizione.
Sarebbe stato un tiro perfetto se la freccia non avesse sfiorato la testa del manichino e non fosse caduta a terra. Ora ne mancava solo uno. La frustrazione era tanta. Aveva già sprecato due possibilità, questa era l’ultima occasione per dimostrare ciò che valeva, e soprattutto per non fare la figura della stupida.
Perse in mano la sua ultima freccia. Si scrollò dalla testa ai piedi e la incoccò. Si mise in posizione di lancio e fissò a lungo in suo bersaglio. Doveva scegliere dove colpire. Non doveva essere un colpo semplice, come una gamba, o sul fianco. No, sarebbe stato scontato. Così, scelse la parte più complicata.
Iniziò a osservare quel punto preciso, quasi con fare ossessivo. Tirò un respiro profondo e lanciò la freccia, che infilzò il manichino dritto nel cuore.
Era soddisfatta. Era un tiro eccellente. Si girò verso il pubblico.
Qualcuno annuiva in segno di approvazione, qualcuno la guardava sorpreso e ammirato, ma la maggior parte di loro aveva lo sguardo fisso sul buffet che era appena arrivato. Soprattutto nella tribuna d’onore, dove le persone osservavano tutte il maiale arrosto che è appena giunto. All’improvviso Bianca si sentì furiosa per il fatto che, con la sua vita in gioco, non abbiano avuto nemmeno la decenza di darle un’occhiata. Che un maiale morto le abbia rubato la scena.
Il cuore le martellava nel petto e si sentì bruciare la faccia.
Senza pensare gettò a terra l’arco e la faretra vuota e portò entrambe le mani dietro la schiena. L’effetto fu immediato. Un forte bagliore le si formò fra le mani e quando le riportò davanti e le allargò in mano aveva un bellissimo arco, lucente, luminoso come il sole, dorato, con una freccia fluorescente già incoccata.
Non ci ragionò molto quando decise di scagliare quella freccia contro la tribuna d’onore. Sentì grida spaventate e vide la gente che si scansava di scatto, rischiando di cadere. La freccia infilzò la mela in bocca al maiale e la inchiodò alla parete.
Lentamente il bagliore verde uscì dalla freccia e si disperde sulla mela, che prese fuoco. Tutti la fissarono, increduli.
L’arco luminoso le scomparve dalle mani.
- Grazie per la vostra considerazione- disse.
Fece un piccolo inchino e si avviò direttamente verso l’uscita dell’arena. Senza essere congedata e senza accorgersi del piccolo uomo luminoso con in mano una bilancia che brillava sulla sua testa.

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Capitolo 21
*** Un aiuto non guasta mai ***


Emma cercò dietro l’ennesimo ammasso di rocce prima di arrendersi. Ormai cercavano Bianca da circa un’ora senza risultati ed era tempo di tronare a casa.
Raggiunse Bella sotto l’albero di Talia.
- Niente?- chiese all’amica.
- Niente - rispose Bella un po’ affranta.
- Ma dove può essersi cacciata?!- disse Emma.
L'amica fece spallucce. - Non ne ho idea – disse. Poi ci pensò un po’ su - Ma è stato davvero divertente quello che ha fatto!- e non riuscì a trattenere una risata.
Emma in un primo momento la guardò seria, poi ci pensò e iniziò a ridere anche lei.
- Si … si, è stato molto divertente- ammise. - Hai visto che faccia ha fatto Crubs?
- Ahah! Si! Sembrava gli stesse per venire un infarto … ma la faccia più buffa è stata quella di Michael View!
- Si, è vero! È anche caduto con il sedere nel punch!
Le due ragazze iniziarono a ridere insieme, con le lacrime agli occhi, di tutto ciò che era accaduto. Di come Bianca si fosse congedata, della faccia attonita dei presenti e di cose simili, quando ad un tratto Emma si ricordò che stavano cercando la ragazza.
- Ma dove si sarà cacciata?!- chiese ancora, un po’ frustrata.
Bella fece spallucce. - Non lo so … ma non credo che sia in pericolo … a meno che … - si fermò, ma ormai Emma aveva capito cosa volesse dire.
- A meno che non sia uscita dal campo- concluse.
La bionda annuì. Le due amiche rimasero per qualche minuto in silenzio, cercando di ragionare su dove fosse l’amica.
- Beh, Alex non è ancora tornata, molto probabilmente sarà con lei- disse Bella.
Emma annuì non molto convinta. Poi l'amica guardò l’orologio. Erano quasi le 15:00.
- Guarda- disse mostrando l’orologio all’amica. - Sono quasi le tre! È ora che torniamo a casa.
Emma prese il polso di Bella e si avvicinò l’orologio davanti agli occhi incredula.
- Le tre?! Come le tre?!- lasciò il polso dell’amica. - Oh no!- esclamò portandosi una mano sulla fronte – I miei genitori partono oggi per andare ad una conferenza! Cavolo, non li ho nemmeno salutati!
Si sedette ai piedi dell’albero, mise i gomiti sulle ginocchia e la testa fra le mani e iniziò a borbottare qualcosa di incomprensibile, quasi si fosse dimenticata che Bella era lì.
- Beh, magari non sono ancora partiti … - tentò di dire Bella.
- No! Sono sicura che sono già partiti!- insisté lei.
- Come fai ad esserne certa? Magari c’è stato un contrattempo e …
- Anche se ancora non partissero, comunque non arriverei in tempo. Non posso aspettare un taxi, ci metterebbe troppo tempo, e a piedi ce ne metterei ancora di più. Non ho la super velocità di Alex!
- Beh, a piedi no, ma … puoi usare quella.
Emma alzò lo sguardo e guardò nella direzione che Bella indicava. Lì, a pochi metri da loro c’era una bicicletta, la bicicletta dell'amica.
- Davvero?- chiese – Posso usarla?
- Certo che puoi.
- Ma … ma tu poi come farai a tornare a casa?
Bella ci pensò un po’ su. – Ooh! Non preoccuparti!- disse infine – Mio padre non va da nessuna parte!
La bionda si alzò in piedi contenta, abbracciò l’amica e corse a prendere la bicicletta. In men che non si dica vi era già salita e adesso sfrecciava sull’ asfalto sbrecciolato che era il sentiero di Long Island, con il vento invernale che le sferzava sul viso.
Bella rimase lì, a guardare l’amica correre via, finché non fu fuori visuale, poi si avvicinò alla costa, guardò l’acqua cristallina risplendere sotto i suoi occhi.
Un lieve vento le scosse i capelli. Contemplò un’ultima volta lo spettacolo di luci che sembrava l’acqua, poi vi ci si buttò.
Questa era gelida, ma sopportabile. Continuò a nuotare verso il fondo, senza mai guardare indietro. Non le serviva. Capiva benissimo quando le sue belle gambe sparivano, e al loro posto spuntava una coda da sirena.

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Capitolo 22
*** Il sapore del sapere ***


Bianca era furiosa. Si era nascosta dove era sicura che nessuno l’avrebbe mai cercata. Nel posto secondo lei più impensabile.
Nell’armadio della casa di Ermes.
Aveva buttato fuori tutto ciò che c’era li dentro e vi si era accucciata, con le gambe strette fra le braccia al petto e la testa in mezzo alle ginocchia.
Non sapeva se quella era la cosa giusta da fare. Probabilmente no. Probabilmente avrebbe dovuto affrontare gli altri e scontare la sua ovvia punizione. Ma ora la rabbia era troppa per pensare o per ragionare.
Come avevano osato trattarla così. Davvero a nessuno importava niente? Lei era meno importante di un maiale arrosto?
Oh, ma ora no. Glie l’aveva fatta vedere a quel maiale chi è che comanda. Ora quell’animale non ha più la sua succosa mela. Perché lei l’aveva bruciata. Eccome se l’aveva bruciata.
L’aveva bruciata. Con una freccia. Quella freccia ha centrato in pieno la mela. E anche il manichino. E anche il bersaglio durante la gara.
Era stata brava. Aveva fatto centro tre volte durante quella giornata. Tre. Come le frecce in quella faretra. Aveva solo tre possibilità. E le sono bastate per fare centro. Tre. Quel numero continuava a girarle per la testa. Chissà se centrava qualcosa.
Lei era una semidea. Chissà chi era il suo genitore divino.
Dopo quella sua performance avrebbe dovuto saperlo. O non bastava. Insomma, era stata brava. Eccome se era stata brava.
Forse non era servito essere bravi? Forse il suo genitore divino non voleva riconoscerla? O forse l'aveva fatto ma lei non se n'era accorta? Come facevi ad accorgertene?  Cosa c’era di diverso? Doveva sentirsi diversa in qualche modo? Possibile che la sua rabbia fosse così forte che non le aveva neanche dato il tempo di scoprire quello che aspettava di sapere da una vita?
I suoi pensieri furono interrotti da un cigolio. Alzò gli occhi e vide un fascio di luce. Quello che vide dopo la lasciò attonita.
Nico era in piedi davanti all’armadio e la fissava. Aveva la faccia un po’ sporca e una manica della maglietta strappata. Evidentemente mentre cercava la sorella era caduto da qualche parte. Bianca si sentì in colpa.
Nico la guardava con i suoi grandi occhi e lei si sentì perforare da quello sguardo color ghiaccio.
- Posso sedermi?- chiese.
Bianca annuì e il fratello si accucciò nell’armadio di fronte a lei e chiuse la porta. Ora erano quasi completamente al buio.
- Ti stanno cercando tutti lì fuori sai?- disse Nico alla sorella. - Ormai sei diventata l’idolo del campo. Da quello che ho sentito nessuno aveva mai osato sfidare così quei tizi.
Bianca deglutì. Quello che aveva fatto doveva avere gravi conseguenze.
- … A parte Alex. Sai, quella ragazza è una vera ribelle- continuò Nico. - Ora etichetteranno anche te così. Bianca Di Angelo, l’arciera che ti fa cadere nel punch.
Iniziarono a ridere entrambi e a Bianca venne un tuffo al cuore. Ora i ruoli erano invertiti. In quel momento era Nico l’adulto. Colui che capiva i problemi, colui che infondeva coraggio e che dava consigli, colui che quando ti vedeva triste riusciva a strapparti un sorriso. Da quando avevano scoperto la verità Nico era diventato l’adulto che si occupava di entrambi, e Bianca la ragazzina irrequieta che mena frecce a destra e a manca se la fate arrabbiare. Questo fece smuovere Bianca e le fece capire che era il momento di riprendere in mano le redini. Non poteva lasciar fare Nico tutto da solo. Finora non aveva capito di quanto lui avesse bisogno di lei. Fino a quel momento aveva pensato solo a se stessa, senza tenere in considerazione che anche per Nico era un momento difficile. Anche la sua vita era stata scombussolata dalla notizia di essere un semidio. Ma lui stava affrontando tutto questo da solo.
Ma adesso basta. Le cose dovevano cambiare.
Bianca prese un respiro profondo. Solo dopo essersi calmata si accorse di sentire un leggero bruciore sull’avanbraccio. Se lo sfregò ripetutamente, poi decise di non pensarci più e tornò a concentrarsi sul fratello.
- Cosa ti è successo?- chiese.
Nico si toccò il viso, poi fece scivolare la mano verso la manica strappata.
- Sono caduto- disse.
Lei non era convinta. - Dove sei caduto, Nico?- insisté.
Nico non rispose. La ragazza diede un pugno alla porta dell’armadio per far entrare un pò di luce e guardare il fratello negli occhi.
Lui distolse lo sguardo da quello della sorella e cercò di nascondersi nella penombra. Ma ormai era troppo tardi, perché Bianca lo aveva già visto. Una piccola macchia violacea sul mento.
- Oh cavolo!- esclamò. - Nico! Quello è un livido?! È un livido?!
Il ragazzino continuò a non guardare la sorella negli occhi e a nascondersi dalla penombra.
- Non è niente – disse poco convinto.
- Niente?!- trillò la sorella. - Nico chi te lo ha fatto?!
- Nessuno … sono … sono solo caduto.
- Quello non è un livido che ci si fa cadendo. Nico non mentirmi, chi è stato?
Lui non aveva alcuna intenzione di dirglielo. - Perché non andiamo un po’ fuori. Oggi è una bella giornata!- esclamo e, furtivo, uscì dall’armadio e si diresse verso la porta.
Ma Bianca fu più veloce di lui, uscì anche lei dall’armadio, lo afferrò per un braccio e lo fece voltare per guardarlo in faccia. Era peggio di quanto pensasse. Un grosso livido violaceo, quasi nero, sostava sul mento del fratello. Vi appoggiò delicatamente una mano sopra e iniziò a studiarlo.
- Oh mamma- disse, infine. - Nico! Ma è terribile! Ti fa male?
Lui abbassò lo sguardo, imbarazzato. - Un po’- ammise.
Bianca cercò di dire qualcosa nel modo più calmo possibile, ma il tremolio della sua voce tradì la sua rabbia. - Nico, devi dirmi chi è stato. Così lo sistemo e …
- No!- la interruppe. – No! No! No!
- Come sarebbe a dire no?-  chiese, incredula. Lui la fissò intensamente.
- No! Non voglio che tu faccia niente!
Bianca non poteva credere alle sue orecchie. - Ma, perché? Nessuno può menare il mio fratellino e poi pensare di passarla liscia!
- No! Questa è una cosa che devo risolvere da solo!
- Da solo? Dico, ma ti sei visto? Come pensi di poterla risolvere da solo?!
- Beh, devo iniziare a pensarlo invece! Tu non sarai sempre accanto a me per proteggermi! Arriverà il giorno in cui mi abbandonerai, per degli amici, per una missione, o per un ragazzo, chi può dirlo? e io dovrò vedermela da solo. Non diventerò lo zimbello del campo. Quello che prima si fa menare e poi chiama la sorella per farsi difendere! Perché tu non sarai sempre li a difendermi! Io lo so che tu non sarai sempre lì! Lo so!- tirò su col naso.
Iniziava ad avere la vista annebbiata, segno evidente che stava per piangere. Abbassò gli occhi e si concentrò sulle scarpe della sorella per evitare di far scendere le lacrime. - Lo so … - continuò a ripetere.
Bianca per tutto il tempo non aveva fiatato. Suo fratello pensava davvero quelle cose? Era davvero una sorella così orribile? In quel momento aveva perso tutta la sensibilità del suo corpo. Era come se un lungo e affilato coltello le avesse appena trafitto il cuore. Continuava a fissare un punto indefinito davanti a se mentre le parole di Nico le rimbombavano in modo agghiacciante nella testa. Solo poco dopo si accorse di stringere ancora il braccio del fratello. Lo lasciò lentamente andare e si schiarì la mente. Non riusciva a elaborare una risposta adeguata. Avrebbe voluto dirgli che non era vero. Avrebbe voluto smentire tutti i suoi pensieri bui e dirgli che lei per lui ci sarebbe sempre stata e che non l’avrebbe lasciato mai.
Ma, purtroppo, non poteva.
Non poteva perché, riflettendoci, quello che Nico aveva appena detto era in parte vero. Non poteva promettere qualcosa di cui non era certa. Anche se … una cosa c’era. Una cosa di cui era sicura al 110% e che non sarebbe cambiata mai. Si chinò all’altezza del fratello per poterlo guardare negli occhi. Lui aveva tentato in tutti i modi di fermare le lacrime, ma con scarsi risultati, dato che aveva la vista appannata e gli occhi gonfi, pronti a scoppiare. Bianca gli poggiò le mani sulle spalle.
- Nico … - iniziò.
- Non mi va di parlarne – la interruppe lui.
- No, invece mi ascolti! È vero, non posso prometterti di esserti sempre accanto. Non posso prometterti neanche di proteggerti dai bulli o cose del genere. Ma una cosa posso prometterti. E, credimi, su questa cosa puoi metterci la mano sul fuoco. Io ti amerò sempre. Tu sarai sempre il mio piccolo e dolce fratellino. Quello a cui dare abbracci e carezze, e anche sberle se fa il cattivo. Tu sarai sempre, inevitabilmente, il mio fratellino a cui io voglio un bene dell’anima. Chiaro?
Nico annuì, e senza volerlo una lacrima gli rigò la guancia.
- Coraggio, vieni qui- disse Bianca tirandolo fra le sue braccia. Questo non fece resistenza, appoggiò la testa sul petto della sorella e la strinse forte. Lei lo strinse a sua volta.
Ormai le lacrime rigavano il viso di Nico, che ogni tanto tirava su col naso. Bianca invece era impassibile. Il suo sguardo era cupo e la sua mente piena di pensieri. Lo stringeva forte a se, convinta a non lasciarlo più. Non si accorse di piangere finché non sentì una gocciolina salata all’estremità della bocca. Decise di sciogliere l’abbraccio prima di scoppiare in lacrime.
- Dai … - disse al fratello. Si bloccò un attimo, tirò su col naso e poi propose - Andiamo fuori.
Lo prese per mano e entrambi si diressero alla porta.
Fuori l’aria era fresca e il bosco era circondato da una nebbiolina. A quella visione un brivido percorse la schiena di Bianca.
Si guardò intorno, in cerca di qualcuno che conoscesse e che le dicesse cosa fare. Ma non vide nessuno. Non conosceva niente di quel campo e non sapeva dove andare. Non sapeva neanche dove si trovassero. Quando era scappata in quell’armadio non aveva neanche badato a vedere dove stava andando. Correva senza una meta e senza guardarsi intorno. Per un attimo fu percorsa da un senso di panico. Avrebbe voluto chiedere a Nico di riportarla indietro, ma poi non le sembrò una così grande idea.
Doveva dimostrare di essere lei l’adulta della situazione. Doveva prendersi cura di lui. Perciò eliminò quell’opzione dalla testa.
Stava per mettersi a girare a zonzo quando, nella nebbia, riconobbe una sagoma familiare. Riconobbe il luogo dove l’avevano portata il primo giorno o, come la chiamavano i suoi amici, la Casa Grande.
Decise di incamminarsi in quella direzione, usando quella casa come bussola.
- Eccola qui, la figlia di Apollo!
Bianca si bloccò di colpo. Quella voce veniva dalle sue spalle. Si girò lentamente per vedere chi stesse parlando. Davanti a se si ritrovò una ragazza. Aveva i capelli mossi di un biondo miele e gli occhi arcigni neri come le ombre che dominavano la foresta. Non era grassa, ma era un po’ robusta. Indossava una giacca di pelle nera aperta con sotto una maglietta bianca su cui era stampata una scritta in greco antico che Bianca tradusse come “Campo Mezzosangue”. Anche i jeans neri erano di pelle e i suoi stivali, di un marrone scuro, erano pieni di borchie. Al polso portava un braccialetto d’oro e di bronzo, con dei ciondoli, che raffiguravano o dei semplici cerchi o delle teste di toro. Lo agitava con molta naturalezza, producendo un lieve tintinnio.
Appena la vide Nico iniziò a stringere la mano della sorella così forte da sembrare una morsa d’acciaio. Lei se ne accorse e capì che qualcosa non andava.
- Come mi hai chiamato, scusa?- disse, cercando di assumere il tono più sicuro che poteva.
- Oh, andiamo! Non fare la finta tonta, hai capito benissimo come ti ho chiamato- ribatté la ragazza con tono provocatorio. Bianca si strinse nelle spalle e scosse la testa.
- Chi sei?- chiese.
- Sei davvero brava a tirare d’arco sai?- disse la ragazza, senza tener conto di ciò che le aveva appena chiesto. - Ma al mondo non ci sono abbastanza frecce per abbattere il nemico … avrai sempre bisogno di una spada, sempre che tu sappia usarne una.
La ragazza rise di gusto e Bianca iniziò a infastidirsi. Si agitò sul posto.
- Ti ho chiesto chi sei!- disse in tono autoritario. La ragazza smise di ridere e la guardò con tono di sfida.
- Sono Clarisse La Rue – iniziò a dire con tono quasi strafottente. - Figlia di Ares, il dio della guerra. Sono la più brava nella lotta, ragazzina. Non ti conviene sfidarmi.
Clarisse si avvicinò di più a Bianca e questa si accorse che era almeno dieci centimetri più alta di lei. Deglutì a fatica e cercò di gonfiarsi il petto
- Io non ho paura di te, Clarisse- disse con convinzione. Clarisse rise divertita
- Tu magari per il momento no, ma il tuo fratellino pare di si – affermò indicando Nico. Poi passo il dito sul volto di Bianca, indicando proprio il punto dove Nico aveva quel grosso livido. - E presto ne avrai anche tu!- disse quasi in un sussurro minaccioso.
Bianca capì al volo quello che stava succedendo. Era stata Clarisse a menare il suo fratellino, e adesso stava minacciando di fare la stessa cosa con lei. Stava per rispondere in modo tagliente quando dai boschi si udì una voce.
- Lasciali stare, Clarisse.
Tutti e tre i ragazzi si girarono in direzione della voce e dalla nebbia videro spuntare Alex, con le braccia incrociate sotto il seno e fare convinto.
- Oh oh!- esclamò Clarisse. - Abbiamo anche l’avvocato difensore qui?
Alex si avvicinò lentamente ai tre ragazzi. - Cosa fai? Ora te la prendi con i nuovi arrivati?
- Oh, ma io non me la stavo prendendo con loro. Stavamo solo … parlando. Giusto?- disse Clarisse in modo sarcastico. Né Bianca né Nico fiatarono.
- Forse non mi hai sentito bene- continuò Alex. – Ti ho detto L-A-S-C-I-A-L-I-S-T-A-R-E!
- Perché? Sennò che fai?- rispose Clarisse.
Alex la guardò con i suoi occhi penetranti. Aveva un fare sicuro e si capiva che Clarisse non le faceva la benché minima paura. D’altronde, lei era la più spavalda del gruppo.
- Quello che ti ho già fatto una volta- rispose, senza distogliere gli occhi da Clarisse. Quest’ultima sostenne per un po’ il suo sguardo cercando una risposta tagliente. Ma non la trovò.
- Per questa volta hai vinto tu, Chadwich!- disse infine. Poi si girò di scatto verso i due fratelli – E con voi non finisce qui.
Girò sui tacchi e scomparve nella nebbia. Alex sorrise compiaciuta.
- Che ti è saltato in mente?!- le urlò Bianca poco dopo. La mora si girò per guardare la ragazza, sorpresa.
- Scusami?- disse, indignata. – Ti ho appena salvato la vita!
- Potevo cavarmela benissimo da sola!
- Ah! Ho visto infatti come te la stavi cavando! Senza di me adesso sareste un tutt’uno con il pavimento!
- Ora crederanno che non sappiamo proteggerci da soli. Che abbiamo sempre bisogno di altri! Diventeremo lo zimbello del campo!
- Lo siete già- esclamò Alex.
A quelle parole Bianca si pietrificò. Come sarebbe a dire “Lo siete già”? perché ? non sarà per colpa …
- Si!- rispose Alex come se le avesse letto nel pensiero, cosa che in realtà aveva fatto. - Si! È per colpa della tua sclerata nell’arena. Adesso tutti ti credono la ragazza iperattiva che non riesce a controllarsi. È proprio per questo che Clarisse vi ha preso come una “preda facile”, ed è anche per difenderti da queste voci che Nico si è preso quel grosso pugno sul mento da Clarisse.
Bianca si irrigidì. Non sapeva cosa dire. Provò a rispondere in maniera sensata a quella accusa, ma non c’era una maniera sensata.
Aprì la bocca per parlare ma le parole le si fermarono in gola. Sentiva come una morsa nello stomaco. Una morsa dovuta al dolore. Poi al senso di colpa. Poi ancora al fastidio. E, infine, alla rabbia. Rabbia, perché se ora lei e Nico erano lo zimbello del campo era solo e unicamente per colpa sua. Rabbia, perché quella rude ragazza aveva osato menare il suo fratellino. Rabbia, rabbia e solo rabbia. Ce l’aveva col mondo. Ce l’aveva con tutti quegli sciocchi ragazzi che perdevano il loro tempo a prenderla in giro. Ce l’aveva con se stessa. Si girò di scatto verso di Nico.
- È vero quello che dice?- chiese con tono severo.
Lui abbassò gli occhi.
Gli strinse una mano e con l’altra lo afferrò violentemente per il mento e lo costrinse a guardarla. Nico gemette per il dolore e cercò di divincolarsi da quella presa mortale in cui era bloccata la sua mano.
- Nico?! È vero?!- insisté.
Questa volta Nico annuì. Bianca lo guardò per qualche secondo negli occhi lucidi per le prossime lacrime, prima di accorgersi di tener premuta la mano proprio contro il livido del ragazzo. Lasciò andare la presa del mento e allentò quella sulla mano. Non aveva idea se quelle lacrime fossero causate dal fatto di dover ammettere una verità così truce alla sorella o semplicemente dalla sua stretta sul mento. In tal caso non voleva saperlo.
Distolse gli occhi dal fratello e fissò il punto in cui Clarisse se ne era andata. In quel momento sentì i suoi muscoli ribollire di odio. Ma non tanto verso Clarisse, quanto più verso Alex.
- Comunque non ci servivi!- sbraitò verso la ragazza.
- Scusami?- rispose Alex presa alla sprovvista.
- Non avevamo bisogno del tuo aiuto! Ti ho detto che potevo benissimo risolverla da sola.
Alex aveva un’ espressione indignata in volto. – Oh beh, scusami … per averti salvato la vita. La prossima volta ci penserò due volte!
- Avevo la situazione sotto controllo!
- Oh! Si, ho visto! ma va ...
- Io non ho paura di lei!
- E lei non ha certo paura di te! Ma ha paura di me. Ascolta. Clarisse è una delle migliori lottatrici del campo. Porta un record di 57 vittorie consecutive in battaglia. È figlia del dio della guerra. Mi spieghi che speranza aveva contro di lei una … come te?
Alex stava iniziando a innervosirsi.
- Che intendi dire con “come te”?- chiese Bianca, sull’orlo di una crisi isterica.
- Una così … instabile. Ok, tu hai perso i genitori. Che poi non è proprio un’affermazione corretta dato che uno dei due e immortale ma … hai sempre vissuto in un orfanotrofio, senza mai conoscere la verità, senza mai sapere chi sei. Credi che non sappia come ci si sente? A sentirsi fuori luogo, perché tutto ciò che ti circonda non fa parte della tua vera persona. E poi tu dovevi anche badare a Nico!-
Fece un sospiro, poi continuò. - Lo so che scoprire la verità cosi, da un giorno all’altro, ti ha destabilizzato. A tutti è successo qui dentro. È giusto che tu ti senta … diversa. Ma non è così. E presto lo scoprirai. Io ti capisco e so cosa provi. Ci sono passata anch’io. Ci siamo passati tutti!-
Rimase per un po’ in silenzio, in attesa di una risposta, ma tutto ciò che ottenne fu:
- Non voglio la tua comprensione.
Bianca era sotto shock. Sembrava che Alex avesse sbirciato nel suo cuore e le avesse fatto notare cose che lei aveva represso da anni, che aveva cercato di dimenticare o che, addirittura, non sapeva neanche lei. Non capiva perché era stata così fredda con lei. D’altronde, ragionandoci su, non aveva alcuna speranza contro Clarisse. L' avrebbe di sicuro fatta a fettine e poi avrebbe continuato a maltrattare suo fratello. Alex annuì rassegnata.
- Ti dico solo una cosa- disse con voce bassa e calma. – Siete stati fortunati ad aver ottenuto la mia protezione. È qualcosa di molto raro.
Detto questo si allontanò dai ragazzi e si diresse verso la nebbia, come se già sapesse che quella era la sola e unica uscita.
- Aspetta!- le gridò Bianca. Alex si girò lentamente a guardarla. Lei lasciò la mano di Nico e fece un passo verso la mora, che alzò le sopracciglia per chiedere cosa fosse successo.
Bianca fece un respiro profondo.
- Prima, quando Clarisse mi ha chiamata “figlia di Apollo” … cosa … cosa voleva dire?
Alex inarcò un sopracciglio stupita.
- Davvero non te ne sei accorta?- chiese.
Bianca scosse la testa e Alex fece un passo verso di lei.
- Prima, dopo che hai lanciato quella freccia infuocata contro i Favoriti, ti è spuntato un simbolo sulla testa. Non servivano parole per capirlo. Era l’uomo con la bilancia, simbolo della casa di Apollo.
Bianca aggrottò la fronte. Non ricordava quel particolare, e non aveva idea di che importanza avesse. Alex sbuffò per la frustrazione.
- Tu sei figlia di Apollo!- disse in modo incalzante. - Dio del sole, della musica, della poesia e della medicina!
Bianca rimase di sasso. Suo padre era Apollo. Dio del sole e di tutte quelle altre cose che ora non ricordava, dato che la sua mente era rimasta ad Apollo. Apollo. Le faceva strano pensare che ora aveva un padre. Anche se forse non l’avrebbe mai incontrato. In quel momento si chiese se lo avrebbe mai visto. Però c’era. Era vivo, anzi, era immorale. Era un dio! Possibile che non si sia accorta di quel simbolo? Possibile che la sua rabbia fosse così forte da averle fatto dimenticare il vero motivo per cui era li? e cioè quello che aspettava di sapere da tutta una vita! Non riusciva a darsi pace. Non riusciva a crederci. Guardò Alex in cerca di risposte. Di conferme. Di prove! Alex capì al volo.
- Guarda il braccio- le disse.
Bianca alzò la manica della divisa e ciò che vide la sbalordì. Un uomo stilizzato con in mano una bilancia era impresso sul suo avanbraccio. Come un tatuaggio. Non poteva credere ai suoi occhi. Questo spigava tutto, anche il bruciore che prima aveva sentito. Alex girò sui tacchi e senza dire più una parola se ne andò, lasciando li i due fratelli: Nico a contemplare e Bianca a riordinare tutte le scioccanti notizie del giorno.

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Capitolo 23
*** Ti va di ballare? ***


Bella continuava a nuotare sul fondo del mare. Ogni tanto alzava la sabbia sotto di lei solo per il gusto di sentirsela sfrecciare in faccia. Era come essere avvolti da una nube. Una nube magica e misteriosa.
Non c’erano molti pesci, ma quelli che c’erano erano bellissimi. Uno la colpì particolarmente. Era giallo e arancione, con una grande striscia argentata sul dorso. Rimase estasiata da quello spettacolo. Sarebbe rimasta li per ore a contemplarlo se questo non fosse scappato con un guizzo.
Per un attimo temette di essere stata lei a spaventarlo, ma poi si accorse del vero problema. Una grossa ombra scura si stava avviando verso di lei.
Bella iniziò a correre all’impazzata. Ma quella cosa era più veloce di lei e ben presto la raggiunse. Continuò a nuotare con tutte le sue forze, quando, ad un tratto, non si ritrovò in un vicolo cieco, contro uno soglio forse, ma non aveva importanza.
Pensò di aggirarlo, ma quell’essere era troppo veloce e l’avrebbe raggiunta. Così si rese invisibile e continuò a nuotare, ma quel coso sembrava averlo capito e continuava a seguirla. In preda al panico gli scagliò contro un campo di forza, ma non lo spostò neanche di un centimetro e comunque, sott’acqua, i campi di forza non avevano lo stesso effetto.
Ormai era in trappola.
Si ritrovò con le spalle contro quel grosso ammasso di roccia che le bloccava la strada. Vide quell’essere avvicinarsi sempre di più. Non aveva idea di che cosa fosse, ma di una cosa era sicura: non era un animale.
Strinse forte gli occhi, portò le braccia a coprirle il viso e aspettò. Si aspettava un attacco a sorpresa, oppure un feroce morso da denti aguzzi, invece ebbe solo una carezza sul braccio. Aprì gli occhi e davanti a se vide l’esserino più strano e dolce allo stesso  tempo.
- Bessi!- esclamò entusiasta.
Il serpente-mucca iniziò a girare su se stesso alzando una marea di bollicine. Bella rise divertita e gli accarezzò il capo. Era morbido e peloso. Bessie muggì e picchietto con il muso sul viso della ragazza. Lei rise a sua volta.
- Come sei arrivato qui? Mi hai seguito forse?- chiese, anche se si rendeva conto di parlare da sola, dato che sapeva che quello non poteva risponderle se non con un muggito. Bessi, però, continuava a gironzolare intorno a lei divertito.
- Vuoi giocare, eh? Ok.
Bella riandò sul fondo e prese una conchiglia.
- La prendi? La prendi?- disse. Bessi si agitava divertita. – E allora prendila!- e con un campo di forza mandò la conchiglia il più lontano possibile. Il serpente-mucca si precipitò subito a prenderlo.
Bella sorrise. Era proprio come un cane, un cane strano e un po’ diverso. Si guardò intorno nella speranza di capire dove si trovasse, ma sott’acqua era impossibile capirlo. Riemerse e si guardò intorno.
Il grosso ammasso di roccia che le aveva impedito la fuga prima non era altro che l’isola Mako.
Si meravigliò di essere andata così lontano da casa in così poco tempo. Riprese fiato, s’immerse di nuovo e si avviò verso l’entrata subacquea per accedere alla piscina naturale.
 
Alex continuava a camminare. Voleva andarsene da li. Quel posto aveva troppa angoscia e tensione dentro per poterci restare anche solo un secondo di più. Si stava dirigendo verso l’uscita del campo, quando, nella nebbia, intravide un’ombra. Si guardò intorno e si nascose dietro un albero. Non riusciva a vedere bene. Vedeva solo una sagoma indistinta che sostava sotto l’albero di Talia. Non si muoveva e sembrava non stesse facendo nulla di male. Stava lì. Immobile. E questo insospettiva Alex.
Cercò di capire chi era.
Sembrava stesse aspettando qualcuno. Alex si sporse un po’ più in fuori per vedere se ci fosse qualcun altro. Niente. Non riusciva a capire chi fosse. Non riusciva a capire se fosse un buono o un cattivo. Non sapeva se doveva attaccare o no. E questo la mandava in bestia. Decise di fare la cosa più ovvia: leggergli nel pensiero. Così facendo non le ci volle molto per capire di chi si trattasse:
“Chissà se passerà da questa parte. No, deve per forza farlo. Credo”.
Era la voce di Percy. Alex si tranquillizzò, prese un bel respiro e uscì dal suo nascondiglio. Si avviò verso di lui. Man mano che si avvicinava riusciva a distinguere i suoi lineamenti. E man mano che si avvicinava iniziava a innervosirsi. Ma non ce n’era motivo.
“È solo Percy”
, pensò tra se e se. Quando era arrivata lui non si era accorta di lei.
- Aspetti qualcuno?- chiese Alex.
Percy si girò di scatto e appena la vide fece un sorriso imbarazzato. – Ehm … ecco, io … - poi si interruppe e respirò pensando a come rispondere. - No … nessuno in particolare – rispose.
Alex annuì. Sapeva che non era vero, ma non voleva dirgli di avergli letto nel pensiero.
- Allora … cosa ci fai qui?
Il ragazzo alzò lo sguardo verso il pino poi lo riabbassò verso La mora.
- Niente- rispose.
- Bene, sono contenta- disse lei. Poi si irrigidì.
Sono contenta?” pensò “Ma cosa mi è saltato in mente?! Ora penserà che sono una cretina … “.
Ci fu un minuto di imbarazzante silenzio. Poi Percy si decise a parlare.
- Sai, avevi ragione. Quest’ albero riporta alla mente tante cose belle.
Alex ricordò immediatamente a cosa si riferisse. Pensò a quel giorno e diede la stessa risposta che lui le aveva dato. Semplice e concisa.
- È un bell’albero.
Lui sorrise. Ricordava benissimo quel momento. Molto bene. Troppo bene. Lo ricordava con una tale chiarezza, ma non capiva perché. C’era qualcosa, in quel momento, che aveva scatenato un’emozione in lui. Qualcosa di strano e di molto forte. E non poteva smettere di pensarci. Si chiedeva continuamente se Alex avesse provato la stessa cosa, ma era imbarazzante da chiedere. La guardò un secondo. Era bellissima.
- Ti va un gelato?- le chiese. Lei ci pensò su.
- Si, perché no- rispose. Lui le sorrise e lei ricambiò.
 
Bella era appena entrata nella piscina naturale. Rimase per un po’ immersa totalmente in quell’acqua, limpida e molto più calda del mare in cui finora aveva nuotato. Lo sbalzo di temperatura la lasciò un attimo senza fiato. Poi si riprese e riemerse.
Appena mise il capo fuori dall’acqua qualcosa la colpì. Lì, seduto di spalle ai bordi della piscina naturale, c’era qualcuno. Senza neanche avere il tempo di pensarci Bella si rese invisibile. Si avvicinò un po’ di più a quella persona. Aveva i muscoli irrigiditi e pronti a scattare per qualsiasi evenienza. Si avvicinò ancora. Solo quando fu abbastanza vicina poté rilassarsi. In quel momento si diede della stupida e respirò a fondo.
Di cosa aveva paura? Nessuno poteva accedere alla piscina naturale. Nessuno ne sapeva l’esistenza. Solo lei, Maria e i suoi migliori amici. Tornò visibile.
- Zane!- gridò.
Il ragazzo sobbalzò per lo spavento e si girò di scatto. Quando riconobbe Bella si rilassò. Era seduto ai margini della piscina, sotto la luce chiara del sole. Il suo corpo e i bsuoi capelli erano imperlati da gocce di rugiada e indossava il costume bagnato.
- Ehi!- rispose.
- Che ci fai qui?
Zane fece spallucce. – Mi rilasso.
- Ti rilassi? Qui? Perché?
- Non lo so … questo posto mi infonde una certa calma.
- Beh, se volevi riposare un po’ potevi anche andare a letto.
Zane scosse la testa. – Non è lo stesso- disse con un tono profondo e misterioso.
Bella era confusa. Certo, per lei quel posto aveva un significato particolare. E lei sapeva perché quel posto le infondeva tanta sicurezza. Quello è il posto dove aveva ricevuto i suoi poteri. Era il posto dove era diventata più forte e più coraggiosa, e dove aveva scoperto la magia. Per lei, Alex ed Emma quello era il loro piccolo rifugio. L’unico posto dove andare per sentirsi al sicuro e per sentirsi … normali. Ma per Zane … perché per lui era così importante? Come mai a lui infondeva tanta calma quel posto? Non riusciva a spiegarselo.
- Sai … - disse lui rompendo il silenzio che si era creato – Oggi mi sono allenato con Quintus.
Bella rimase sbalordita. – Davvero? Continui ad allenartici?
Il ragazzo annuì.
- Ma … perché?
- Non so … l’ultima volta che ci siamo visti ha detto che avevo talento e che se mi allenavo potevo diventare un ottimo spadaccino. Questa mattina sono venuto davanti al campo, sperando di trovarvi, ma invece ho trovato lui. Mi ha fatto entrare e mi ha proposto di allenarmi. È davvero un uomo simpatico. Mi ha fatto allenare duramente e mi ha dato appuntamento anche per domani …
- E ci andrai?
- Credo di si … insomma, mi diverto con lui, e credo che si interessi più a me di quanto abbia fatto mio padre in tutti questi anni.
La ragazza lo sapeva. Zane era l’ultimo di cinque figli e non aveva mai molte attenzioni da parte del padre. Lui era un grande imprenditore e a casa non c’era quasi mai. Essendo l’ultimo, doveva sempre confrontarsi con le imprese e le vittorie dei fratelli più grandi, che già andavano al college, o che addirittura già lavoravano. Non si era mai sentito molto amato dai genitori.
- Dici che ho detto una cattiveria?- domandò, dopo averci pensato.
Bella sorrise e scosse la testa. - No, se è quello che pensi davvero.
Zane non rispose e tornò a guardare un punto indefinito davanti a se.
- Sai … - disse con un tono basso, quasi un sussurro. - Credo che senza di voi non sarei niente. Siete le uniche persone che mi fanno vivere la giornata con un sorriso. Siete i miei migliori amici … - Si girò a guardare Bella - Soprattutto tu. Sono stato fortunato ad averti incontrato dieci anni fa.
La biondina sorrise. Era leggermente imbarazzata da quella confessione, ma anche lusingata.
- Idem- disse, e i due ragazzi si sorrisero.
- Ti va una nuotata?- propose lui.
- Si, ma ti avverto …  sono molto più veloce di te.
- Questo e da vedere.
Zane si buttò in acqua, Bella si immerse e insieme iniziarono a nuotare.
 
Alex e Percy stavano camminando insieme lungo la stradina. Avevano pensato di camminare accanto al mare, in modo da sentire meno l’inverno. Poco lontano da loro iniziava a scorgersi il “Juice Net Cafè”, il locale dove lavorava sia Emma come cameriera che Alex come cantante dal vivo e che aveva molti clienti.
Entrambi avevano un gelato in mano e camminavano parlando del più e del meno.
- Cosi … - fece Percy – Alla fine avete trovato Bianca?
- Si, cioè … l’ha trovata Nico. E come se già sapesse dove fosse andata la sorella- commentò con un sorriso.
- Già … quei due sono troppo forti! È bello vedere un fratello e una sorella così uniti.
- Anche se non sono realmente fratello e sorella.
- Ma è come se lo fossero.
Alex annuì. - È stato divertente quello che ha fatto Bianca contro i favoriti.
- Già … credo che ora non sarà ben accetta nella casa di Apollo … dopo quello che ha fatto a Michael View.
Alex rise. - È caduto nel punch come un cretino!
I due ragazzi iniziarono a ridere di gusto. In quel momento, entrambi stavano veramente bene. Fecero qualche altro passo senza parlare poi Percy ruppe il silenzio.
- Alex … - cominciò.
- Si?- disse lei, e diede una leccata al gelato. In mano a lei non durava molto, e se non la mangiava molto velocemente rischiava di sciogliersi.
- Ripensi mai alla profezia?
Alex si bloccò di colpo. Smise di mangiare il gelato e irrigidì tutti i muscoli, ma continuò a camminare. Non rispose. Quella domanda la turbava.
- Perché, vedi … - continuò Percy - … da … da quando l’Oracolo ha fatto quella profezia … beh, ecco … io … ho iniziato a fare strani sogni. Sogni … che non avevo mai fatto prima. Sogni, così reali se non so se chiamarli sogni o … visioni.
Alex non rispose di nuovo. Aveva il corpo sempre più irrigidito e stavolta aveva la mano sinistra stretta a pugno, mentre la destra reggeva il gelato, che aveva iniziato a colargli un po’ in mano. Sapeva cosa voleva dire Percy. Molte volte, anzi, la maggior parte delle volte, quando un mezzo sangue faceva un sogno, in realtà si tratta di un visione. Non sempre era così. Ci sono anche delle volte in cui si facevano dei sogni normali. Ma questo è raro, perché il resto delle volte sono visioni, e nel 90% dei casi sono inquietanti.
- Anche a te è successo?- la domanda di Percy tolse Alex dal suo attuale stato di trance.
Ci pensò su. Anche stavolta avrebbe preferito non rispondere. Tutto questo la turbava molto. Guardò la sua mano sinistra. Stava stringendo così forte che aveva le nocche bianche. Aprì la mano e distese le dita. Sul palmo c’erano i segni delle sue unghie. Fece un respiro profondo. Poi scosse la testa.
- No- disse. - No, a me non succede. Diciamo che da quando ho sentito la profezia non ho avuto molto tempo per dormire.
Ci fu un minuto di silenzio imbarazzante. Alex guardò davanti a se. Il “Juice Net Cafè” si stava piano piano avvicinando.
- È terribile, Alex. Io … io ho paura di chi possano essere quei nove ragazzi.
Alex lo guardò. Sul volto di Percy si leggevano l’insicurezza e il terrore di chi non sa cosa gli stia per succedere. Lei sapeva benissimo come si sentiva. Anche lei aveva paura per quei nove ragazzi. Insomma, la profezia predice destini orribili. Per come stavano le cose tre persone dovevano morire, due persone dovevano, molto probabilmente passare dalla parte del nemico e l’Olimpo doveva essere forse distrutto dal “Flagello dell’Olimpo”.
Cavolo, cinque persone in meno. E poi chi erano quei tre che dovevano morire. Chi doveva perire dove mai pioggia cade? Chi passerà dal lato oscuro e tradirà i suoi amici? E chi aveva un genitore tanto terribile da uccidere il proprio figlio?
Purtroppo, Alex non lo sapeva.
Ma di una cosa a malincuore era sicura. Colui che doveva morire per mano di un genitore era un semidio. Perché era quasi impossibile che un genitore umano uccida un figlio. E perché gli dei dell’Olimpo sono instabili. Sperava solo che quel semidio non fosse …
- Ok! Basta!- disse Alex, mettendo fine a quei brutti pensieri che aleggiavano nella sua mente.
- Cosa c’è?- chiese Percy, preoccupato.
- Basta! Non voglio più parlare della profezia, né del campo, né del mondo magico! In questo momento siamo due ragazzi normali, che fanno una passeggiata normale e che mangiano un gelato normalmente- disse Alex enfatizzando le parole “normali”.
Percy ci pensò un po’ su, poi sorrise.
- Ok- disse.
- Bene!- e sorrise.
- Mi piacciono molto i tuoi jeans.
- Grazie. E a me piace la tua maglietta.
- Grazie. Sei gentile. Anche se con quei capelli sembri appena uscita da un manicomio- disse lui, stuzzicandola.
- Cosa?- fece lei fingendo di essere offesa. Alzò la mano destra e avvicinò il suo gelato alla faccia del ragazzo. Una grossa striscia di gelato al cioccolato si estendeva lungo tutta la sua guancia. Percy la guardò, stupito.
- Non sono una signora- si giustificò lei, e continuò a mangiare il suo gelato.
- Ah- disse lui con un sorriso beffardo. Avvicinò il suo gelato al viso di Alex. Una grossa chiazza di gelato alla fragola le ricoprì il naso.
- E io non sono un gentiluomo- fece, sorridendo divertito.
- Ah, si?
Alex lasciò una striscia sul naso di Percy. Lui rispose facendogliene una sul mento. Lei sulla fronte. Lui sulla guancia. Si stavano divertendo un mondo. Ridevano, immersi in una lotta, sporcandosi a vicenda. Ad un tratto i loro gelati si scontrarono e caddero a terra. I due ragazzi li fissarono ammutoliti. Poi si guardarono. Erano tutti sporchi di gelato. Iniziarono a ridere.
- Guarda che disastro!- disse Alex tra una risata e l’altra.
- Già- rise Percy.
Alex allungò la mano verso i gelati e iniziò a inarcare le dita fino a chiuderle in un pugno. I gelati presero fuoco. Poi distese di nuovo le dita e il fuoco si spense.
Percy si girò e continuò a camminare lungo la stradina. Il “Juice Net Cafè” era a 30 metri da loro. Alex andò per fare lo stesso, ma quando il suo sguardo andò verso il bar si irrigidì di colpo e si fermò.
- Oh, no- disse, e bloccò Percy tirandolo per un braccio.
Il moro tornò indietro. - Che succede?- chiese.
Alex era immobile. Continuava a guardare davanti a se. Due grandi occhi verdi li stavano fissando con una certa curiosità. Conosceva bene quegli occhi. Erano gli occhi che aveva visto quasi tutti i giorni. Che l’avevano consolata. Che l’avevano fatta innamorare, e che poi le avevano spezzato il cuore.
Percy provò a guardare nella stessa direzone. Vedendo il volto sconvolto della ragazza si aspettava un mostro o qualcosa del genere. Lei sospirò.
- C’è Justin- disse a fatica.
Percy si irrigidì. Justin era il suo ex ragazzo. Ogni volta che Alex lo vedeva si innervosiva e cambiava strada. Quel ragazzo era arrogante, ricco, meschino. Pensava solo a se stesso ed era antipatico con tutti. Eppure un tempo a lei piaceva. E quando lui l’ha tradita, spezzandole il cuore, lei è stata malissimo. Perciò Percy non lo sopportava. Mai sopportato.
- Che ti prende?- chiese, anche se conosceva già la risposta.
La mora si girò e si mise di fronte a lui per guardarlo.
- Noi non andremo li- disse, con convinzione.
- Perché?
Alex si voltò di nuovo a guardare Justin, che ora li stava fissando attento e indispettito. Poi tornò a guardare Percy.
- Perché noi andiamo al mare- gli disse.
Sorrise, lo prese per mano e lo trascino versò la spiaggia. Lui era sconvolto e non ebbe neanche il tempo di focalizzare tutto. Le mani di Alex erano calde e piacevoli. Arrossì e insieme i due ragazzi scesero in spiaggia.
 
Bella e Zane nuotavano ormai da un pezzo. Ogni tanto lui era costretto a riemergere per respirare, ma la sua resistenza sott’acqua era sempre buona. Quando erano piccoli andavano ai corsi di nuoto insieme. Entrambi amavano l’acqua. Erano capaci di stare lì all’infinito, per vedere chi dei due resisteva di più, oppure semplicemente per guardare il fondo.
Erano inseparabili. Poi però cambiò tutto.
Quando Bella ricevette i suoi poteri per loro stare insieme in acqua diventava sempre più raro. Lei non poteva mostrarsi in pubblico con la coda da sirena, quindi molte volte si limitava semplicemente a guardare a bordo vasca.
A volte le mancavano quei momenti. Quei momenti di normalità. Quei momenti di divertimento. Quei momenti che solo loro due potevano capire. Ora era uno di quei momenti. Loro, sott’acqua, a guardare il fondale marino. Era come ai vecchi tempi.
Beh, forse Bella aveva una coda in più, e forse ora non c’è più tanto lo sfizio di vedere chi resistesse di più sott’acqua. Però c'erano loro due, e niente e nessuno poteva rovinare quel magico momento. Bella andò sul fondo e raccolse una conchiglia. La prese e la portò a Zane. Lui riemerse e la osservò. Bella lo seguì.
Quello era un altro dei loro hobby. Raccogliere conchiglie. Più di Zane che di Bella, ma per lei era una buona scusa per immergersi. Zane guardò la conchiglia attentamente. Aveva un sorriso stampato in faccia.
- È bellissima!- esclamò.
- È tua se vuoi.
Zane le diede un bacio sulla guancia.
- Grazie- sorrise. Bella arrossì.
- Forza, cerchiamone altre- e i due ragazzi si immersero di nuovo.
 
Alex e Percy erano seduti sulla spiaggia. Beh, in realtà, Percy era sdraiato supino, appoggiato sui gomiti, e Alex era seduta acconto a lui, con le gambe incrociate. Si erano ripuliti dalle chiazze di gelato. Entrambi scrutavano il mare. In cielo era un po’ nuvoloso, ma si riusciva a scorgere il sole.
Il mare era di un verde cristallino.
Non si capiva se lo fosse perché d’inverno, con la mancanza di sole, con la neve e con l’attuale presenza delle nuvole prendesse quella tonalità o se lo fosse solo perché era sporco. Alex sperò fosse per la prima. Ci fu un altro minuto di silenzio.
- Perché ti sei irrigidita tanto quando hai visto Justin?- chiese Percy.
Alex avrebbe voluto tanto non rispondere a quella domanda, ma non aveva scelta.
- Beh, io … non lo so perché, l’ho fatto e basta … non so spiegarlo.
Quella non era la risposta che lui voleva sentire. Deglutì a fatica.
- Ti piace ancora?- chiese, facendola sembrare più un'affermazione che una domanda. Stavolta sperò la risposta non arrivasse mai.
La ragazza fece un minuto di silenzio. Il minuto più straziante dalla sua vita. Poi scosse la testa e gli rispose, con un sorriso appena accennato, come se quella domanda l’avesse già sentita e le facesse ridere.
- No, non mi piace più.
Percy si rilassò. Si accorse che stava trattenendo il fiato. Si sentì inspiegabilmente felice. Lei continuò a parlare della sua storia con Justin e del perché non gli piacesse più, ma Percy non la ascoltava, si limitava a osservarla.
Era ancora bellissima. Indossava una camicetta bianca con un gilet di jeans sopra. Portava un jeans strappato con le scarpe da ginnastica sotto. Alle mani aveva un paio di guanti di lana senza dita tutti colorati. I suoi occhi marroni erano pieni di gioia e di spensieratezza, e, ogni tanto, a Percy sembra di scorgervi un leggero luccichio. Aveva i capelli raccolti in una coda, e mentre parlava, qualche ciocca di capelli le ricadeva sul viso.
Percy aveva una gran voglia di allungare la mano e rimettere a posto, dietro l’orecchio, i capelli che si erano sciolti, ma non lo fece.
Sarebbe sembrato strano.
Non riusciva a capire cosa gli succedesse. Solo a guardarla si sentiva avvampare. Non gli era mai successo prima d’ora. Aveva le mani sudate.
Calmati” pensò tra se e se. “È solo Alex”.
Lei sorrise e si girò a guardarlo. Quando notò che lui la sta fissando porta una mano al viso.
- Che c’è? Ho qualcosa sul viso?
Lui uscì dal suo stato di trans. - No, no … il tuo viso è … perfetto- disse. Poi si bloccò di colpo, ma ormai era troppo tardi. Aveva fatto la figura dell’idiota. Diversamente da quanto si aspettasse, Alex abbassò lo sguardo imbarazzata e sorrise.
- Beh, grazie- disse.
Percy strinse gli occhi più forte che poté per uscire da quella catalessi in cui era entrato. Fece un sospiro profondo e cercò di scacciare dalla mente il ricordo della figuraccia che aveva appena fatto. Poi riaprì gli occhi.
- Vieni- disse ad Alex.
- Vieni dove?
- Con me- Percy si alzò e protese la mano verso la ragazza. - Voglio portarti in un posto.
Alex lo scrutò dubbiosa, poi afferrò la sua mano e si fece tirare su. Non fece nessuna domanda quando Percy iniziò a trascinarla via.
 
Bianca correva a perdifiato. Dopo aver lasciato Nico con Chirone doveva assolutamente trovarlo. Nico non c’entrava. Doveva farlo da sola. Correva per il campo, sfiorandosi ogni tanto il grosso tatuaggio che le era spuntato sul braccio, per ricordare a se stessa che era tutto vero. Correva, e mano a mano contava le case davanti cui passava. La 12° a destra, le avevano detto. “8 …”  doveva farlo. “9 …” aveva perso la pazienza. “10 …” c’era quasi. “11…” voleva tornare indietro e far finta di niente.“12”. Eccola.
Aprì la porta con un tonfo. In fondo alla casa c’era proprio chi sperava di incontrare. Il ragazzo indossava un paio di bermuda cachi e una canotta bianca. era circa cinque centimetri più alto di lei, i capelli di un castano chiaro. Dimostrava circa diciassette anni. In braccio aveva uno scatolo di cartone, che doveva pesare tanto. Il corpo, notevolmente scolpito, era imperlato di sudore. Era evidente che non poteva parlare.
Non appena sentì la porta aprirsi si girò di scatto, pronto ad attaccare. Riflessi da combattimento, così li chiamavano al campo.
Bianca aveva il fiatone, e si piegò poggiando le mani sulle ginocchia per riprendere fiato. Dopo un minuto alzò lo sguardo per vedere il ragazzo in faccia.
- Michael View … giusto?
Il ragazzo annuì scrutandola. Si ricordava di lei. Si ricordava benissimo di lei. - Che cosa ti serve?- disse infastidito e girandosi dall’altra parte. Bianca respirò un altro po’, poi si tirò su. Osservò Michael mentre posizionava lo scatolone sull’armadio e aspettò che si girasse verso di lei per avere la sua attenzione. Aspettò in silenzio.
- Allora?- disse Michael, stavolta innervosito.
Bianca non rispose, si limitò a guardarlo negli occhi. Erano azzurri e grandi, proprio come i suoi. Alzò lentamente la manica della maglietta e scoprì il braccio.
- Che cos’è questo? Che significa?
Michael guardò il braccio della ragazza e notò il simbolo che vi aveva inciso. Accennò un sorriso e fece uno sbuffo. - Quello?- disse indicando il tatuaggio. Bianca annuì. Michael sorrise e scosse la testa.
- È un uomo con in mano una bilancia.
La ragazza spostò il peso da una gamba a un’altra.
- Questo lo vedo- disse scocciata. – Ma che cosa significa?
Il ragazzo stette in silenzio e la fissò un secondo. Vide il nervosismo nei suoi occhi. Vide l’odio, il dolore, lo stupore e la felicità aleggiare intorno a lei. E tutto solo guardandola. Gli faceva tenerezza.
- È il simbolo di Apollo- disse. Girò il braccio e lo mostrò a Bianca. - Ce l’ hanno tutti i figli di Apollo. Ogni semidio ne ha uno, che varia a seconda del genitore divino che si ha. Il nostro è questo..
Bianca si irrigidì. Fissò prima il suo braccio, poi quello di Michael, poi di nuovo il suo, poi quello di Michael, poi ancora il suo. Il simboli erano uguali, anzi, identici. Era come guardare lo stesso braccio.
“Il nostro è questo” aveva detto Michael. Nostro. Quella era l’unica parola che non voleva sentire, perché non sapeva se le faceva piacere o la infastidiva quella situazione. Aveva gli occhi stralunati dalla sorpresa. Si lasciò cadere di peso sul letto.
- Non posso crederci- disse, parlando tra se e se a voce alta. Mise la testa fra le mani. - Allora è tutto vero.
Michael la scrutò per un intero minuto. Bianca era sconvolta dalla notizia. Continuava a tenere la testa stretta fra le mani. Quando vide un lacrima rigarle la guancia, si sciolse. Si sedette accanto a lei e le mise un braccio sulle spalle.
- Su … non è niente- disse stringendola al petto e accarezzandole le braccia. - Ci siamo passati tutti. È normale avere paura. Non saresti normale se non ne avessi. So che adesso può essere uno schock . Magari puoi anche credere che sia la cosa più brutta del mondo. Col tempo capirai che avere dei fratelli, degli amici e delle persone che ti vogliono bene è la cosa più bella. Siamo come una grande famiglia. Ed è una cosa meravigliosa. Non sarai da sola ad affrontare tutto questo. Noi ti saremo accanto.
Bianca si irrigidì di colpo. Si fece cullare dalle braccia di Michael e ripensò a ciò che aveva appena detto. Inspirò lentamente l’aria, poi la espirò con altrettanta lentezza. Stare fra le braccia del ragazzo la consolava e la tranquillizzava. Ora si sentiva meglio. Deglutì.
- Quanti siamo?- chiese.
Lui aggrottò le sopracciglia. – Quanti siamo chi?
- Noi figli di Apollo. Quanti fratelli siamo in tutto?
Michael ci pensò un po’ su. - Diciassette.
Bianca sciolse l’abbraccio e lo guardò incredula.
- Diciassette?!
- Già … Diciassette … con te diciotto.
La ragazza fece un secondo di silenzio metabolizzando la risposta. Diciotto ragazzi. Diciotto fratelli. Lei che non aveva mai avuto parenti né famiglia ( a parte Nico), ora aveva diciassette fratelli e sorelle. Non poté evitare di farsi spuntare un sorriso sulla faccia.
- Però- esclamò.
Michael sorrise a sua volta. Aveva un sorriso chiaro, intenso, pulito. Era come se quando sorridesse tutta la stanza si illuminasse di un bagliore intenso. Era un sorriso bellissimo, che infondeva sicurezza e coraggio, ma che, agli occhi dei nemici, metteva a disagio per la troppa bellezza.
- E non è tutto- disse. – Siamo diciotto solo qui, a Long Island. Sparsi per tutto il mondo ci sono altri campi per mezzosangue e altri figli di Apollo. Saremo in tutto una settantina, forse quasi ottanta. E poi ora è inverno. In estate cominceranno ad arrivare altri semidei, tra cui ci saranno sicuro altri nostri fratelli.
Bianca strabuzzò gli occhi e si ammutolì. Michael fece un sorriso imbarazzato.
- Scusa- disse. – Forse ti ho spaventato?
Bianca lo guardò un attimo seria, poi le sue labbra si allargarono in un grosso sorriso.
- Wow- si lasciò sfuggire.
Michael iniziò a ridere e lei lo seguì a ruota libera. Ora era soddisfatta. Contenta. Ancora un po’ insicura e stralunata, ma sicuramente contenta. Aveva trovato un nuovo fratello. Un fratello maggiore, che la proteggeva, che la consolava, ma soprattutto che non aveva paura di dirle la verità. Non poteva far altro che esserne contenta. Finalmente aveva un famiglia. Una vera famiglia. E nessuno poteva levargliela.
- Senti, Michael … - iniziò. Lui alzò lo sguardo e la guardò negli occhi. - Mi dispiace di averti fatto cadere nel punch.
La fissò in silenzio. Poi distolse lo sguardo pensando a ciò che era successo.
- Non importa- disse sorridendo. - E a me dispiace di non aver creduto in te.
Bianca fece una faccia incuriosita.
- Questa mi mancava- disse. - Quand’è che tu non hai creduto in me?
- Quando dovevi sostenere la prova di tiro con l’arco. Non pensavo che tu potessi farcela. Invece ce l’hai fatta. Sei stata davvero brava. Ti avevo sottovalutato.
Bianca annuì. - Credo che siamo partiti col piede sbagliato.
- Lo credo anch’io.
- Ti va se ricominciamo da zero?
- Ok.- Michael allungò la mano verso Bianca. - Piacere, Michael View. Diciassette anni. Figlio di Apollo.
Bianca gli strinse la mano. - Piacere, Bianca Di Angelo. Quindici anni. Figlia di Apollo.
- Oh! Ma guarda! Ma allora siamo fratelli?
- Credo proprio di si!
I due ragazzi risero.
- Bene- disse Michael alzandosi dal letto. – Dato che sei mia sorella, devi assolutamente insegnarmi a fare quella cosa fichissima con l’arco di luce. È troppo forte!
Bianca sorrise. - Ok-
- Ok!
Le porse una mano e aiutò Bianca ad alzarsi. – Ma prima … - lui andò verso un tavolo in fondo alla stanza pieno di scatoloni. Ne prese uno, tornò verso Bianca. A tre metri da lei glie lo lanciò. Bianca lo prese a fatica, colta alla sprovvista, rischiando di farlo cadere. - … Mi aiuti con questi.
Michael si avvicinò di nuovo agli scatoloni e ne prese un altro. Bianca lo guardò incuriosita, pensando che scherzasse, ma lui le fece cenno di seguirlo con la testa e si avviò. Lo seguì e iniziò ad aiutarlo a portare quei cosi incredibilmente pesanti. Chissà cosa contenevano? Armi? Vestiti? Archi? Pezzi di metallo? A Bianca sembrava contenessero del piombo. Si chiedeva come facesse Michael a sollevarli con tanta facilità. Anni di allenamento. Mesi e mesi trascorsi a lottare con spade e a fare tiro con l’arco. O era semplicemente il fatto che avesse una corporatura più robusta della sua? Mah. Chi lo sa. 
 
- Continua a tenere gli occhi chiusi, mi raccomando.
- Non ti preoccupare.
Percy stava trasportando per mano Alex ormai da dieci minuti. Lei non aveva idea di dove stessero andando. Lui non le aveva permesso di guardare e le aveva ordinato di chiudere gli occhi. Ogni tanto cercava di sbirciare, ma lui la scopriva sempre e così si era arresa e aveva deciso di godersi la sorpresa.
- Siamo arrivati?- chiese, curiosa.
- Quasi- temporeggiò lui.
La trasportò per altri dieci minuti, indicandole dove svoltare e avvertendola di pozze, fossi e cose varie. In quel momento lui era i suoi occhi. Svoltarono un’ultima volta a sinistra. Poi si bloccarono.
- Che è successo? Perché ci fermiamo? Siamo arrivati?
Percy fece un secondo di silenzio. - Si, siamo arrivati. Ma dobbiamo salire le scale.
- Posso aprire gli occhi?
- No!
- E come credi che io possa salire le scale a occhi chiusi?
Il ragazzo fece un’altra pausa e pensò sul da farsi. Poi lasciò la mano di Alex e si posizionò dietro di lei.
- Ehi! Percy! Dove vai?
Lui si avvicinò di più. Lei riesciva a sentire il suo respiro sul collo.
- Sono qui- le disse. Poi le prese entrambe le mani. - Ti guido io.
Alex si sentì avvampare. Arrossì e sperò con tutto il cuore di non essere rossa tanto quanto si sentiva. Il suo cuore prese un battito.
Deglutì e lentamente annuì in segno di assenso. Percy avvicinò la sua bocca al suo orecchio e iniziò a darle indicazioni, facendole salire i gradini. Lei cercò di ascoltare solo lui per evitare di distrarsi, ma ad un tratto qualcosa attirò la sua attenzione.
Un profumo.
Era strano, acro e dolce allo stesso tempo. Sembrava quasi profumo di fiori. E sembrava anche molto vicino.
Ma era impossibile. Era pieno inverno e non c'erano fiori.
Mentre ragionava su quel fatto mise male un piede e cadde all’indietro.
Aprì di scatto gli occhi, in una frazione di secondo, per vedere cosa succedesse e capì di essere scivolata.
Scorse una ringhiera di metallo e capì di trovarsi su una scala antincendio. Strizzò di nuovo le palpebre e aspettò di cadere, ma qualcosa la sorresse.
Era Percy, che l’aveva presa al volo e ora la stringeva fra le sue braccia. Alex era così assorta dai suoi pensieri da essersi totalmente dimenticata di essere con Percy, e anche che lui la tenesse per mano
- Tutto ok?- chiese.
Alex annuì.
- Non preoccuparti di cadere. Ci sono qua io.
Lei si rimise in piedi e si fece condurre da Percy, cercando di concentrarsi solo sulla sua voce.
- Eccoci- esclamò lui venti scalini dopo. - Siamo arrivati.
Alex salì l’ultimo gradino. - Posso aprire gli occhi ora?
- No. Aspetta- disse lui. Le lasciò le mani e glie le mise davanti agli occhi.
- Cosa fai?- chiese Alex.
- Deve essere una sorpresa- rispose Percy, e le fece fare qualche passo in avanti. Lei non aveva voluto dirgli di aver visto che salivano su una scala antincendio.
Annusò l’aria. L’odore di prima si sentiva ancora, ma stavolta era più intenso. È come se ora avesse un fiore sotto il naso. Percy si bloccò definitivamente.
- Ecco- disse. – Ora puoi aprirli.
Levò le mani dagli occhi di Alex e lei non ci pensò due volte ad aprirli.
Quando lo fece rimase esterrefatta. Davanti a lei si estendevano milioni di fiori, che sbocciavano o già sbocciati, e che illuminavano l’aria col loro profumo. Di tutti i tipi, di tutte le forme, di tutti i colori. Questo spiegava il forte odore di prima. Percy l’aveva portata in una serra.
- Wow- riuscì a sillabare senza fiato.
- È la mia serra personale. Questi fiori li curo io- disse lui, orgoglioso.
Alex lo guardò incuriosita. - Non sapevo ti dessi al giardinaggio- disse in tono scherzoso. Lui alzò le spalle.
- Sono pieno di risorse.
Poi il silenzio.
Alex continuava a fissare lo spettacolo di fiori davanti a se. Era una serra enorme, che occupava almeno tutto il tetto di un palazzo. Era ampia, i fiori sparsi un po’ ovunque e c’era molto spazio per camminare.
Se ci si affaccia si riusciva a vedere tutta la città. Di notte doveva essere uno spettacolo. Percy doveva esserne proprio soddisfatto.
- Questo è il mio posto speciale- iniziò lui. - Quando sono triste o sovrappensiero, o quando ho voglia di stare da solo, mi rifugio qui, curo le piante e mi siedo a pensare. Questo è un posto mio e di nessun altro - fece un respiro profondo. - Sei la prima persona che porto qui.
Alex si girò a guardarlo. Il suoi occhi fissavano un punto indefinito. Erano verdi, ed era impressionante quanto somigliassero alla tonalità che aveva il mare fino a pochi minuti prima.
Dicono sempre che i figli di Poseidone hanno gli occhi come il mare. Alex non aveva mai capito cosa intendessero dire, ma ora lo sapeva. Era straordinario.
Lui si girò a guardarla e lei gli sorrise.
- Grazie per l’onore, allora. Qui è bellissimo.
Lui risponse al sorriso.
- Beh, non hai ancora visto tutto- rispose lui, poi guardò l’orologio. - Sono quasi le quattro- annunciò, - e il meglio dovrebbe arrivare fra … tre … due  … uno- nel momento esatto in cui finì di parlare una musica si diffuse nell’aria. Era una melodia dolce e piacevole e si sentiva chiaramente.
- Wow- esclamò lei. – Da dove viene?
Lui le fece cenno col capo di seguirlo.
- Dall’aria condizionata- disse.
Alex aggrottò la fronte. – Dall’aria condizionata?
Lui si fermò e indica un buco nel pavimento.
- Questo buco funge da condizionatore. Sotto di noi c’è una stanza in cui una banda prova spesso delle canzoni. La musica passa attraverso i condizionatori e arriva qui. È fortissimo, è come se avessi una radio.
Alex sorrise e cercò di capire che musica fosse. La riconobbe quasi subito.
- Oh!- esclamò - Adoro questa canzone!- e iniziò a volteggiare su se stessa a ritmo di valzer. Percy la guardò con un sorriso. Lei si bloccò e si girò verso di lui.
- Ti va di ballare?- chiese.
Percy si portò un dito al petto e si guardò indietro, come per vedere se ci fosse qualcun altro.
- Dici a me?
- Certo che dico a te, Testa d’Alghe. E a chi altro sennò? Ci siamo solo noi due.
Percy scosse la testa. – No, grazie. Io non ballo.
- Come sarebbe a dire che non balli?
- Non sono capace.
Inarcò un sopracciglio. - Non sei …? … non sei capace? Davvero? E come lo chiami quello che hai fatto all’ Hollywood Big Hotel?
- No … io lì … non facevo su serio.
- Però eri bravo.
Percy scrollò le spalle. Alex lo guardò.
- Bene- disse. – Allora è il momento di imparare.
Fece un passo avanti, gli porse una mano e iniziò a cantare, una voce soave e piacevole.

Prendi la mia mano,

Lui glie la prense e sorrise.

respira

Lui fece un respiro.

stringimi forte e fa un passo.

Lui la strinse a se e cercò di fare un passo avanti, controllando i suoi piedi. Lei gli alzò il mento con una mano.

mantieni i tuoi occhi fissi sui miei
e lascia che la musica sia la tua guida.

Si sorrisero e iniziarono a volteggiare in mezzo a i fiori, continuando a cantare la canzone intonata dalla banda.
 

Mi prometterai, adesso mi prometterai
che non dimenticherai mai?
Continueremo a ballare, continueremo a
ballare, qualsiasi cosa verrà dopo.
 
È come afferrare la luce,
la possibilità di trovare qualcuno come te
la possibilità di uno su un milione.
Le possibilità di provare quel che proviamo noi
e con ogni passo che facciamo assieme
continuiamo a migliorare.


Quindi posso avere questo ballo?
Posso avere questo ballo?
Posso avere questo ballo?

E nessuno può dividerci
nemmeno un migliaio di miglia possono separarci
perché il mio cuore, perché il mio cuore
è ovunque tu sia.
 
È come afferrare la luce,
la possibilità di trovare qualcuno come te,
la possibilità di uno su un milione,
Le possibilità di provare quel che proviamo noi
e con ogni passo che facciamo assieme
continuiamo a migliorare.


Quindi posso avere questo ballo?
Posso avere questo ballo?
Posso avere questo ballo?
 
Oh nessuna montagna è troppo alta.
Nessun oceano è troppo profondo.
Perché assieme o no, il nostro ballo non si fermerà

Volteggiavano, cantando e sorridendo. Ballavano passando in mezzo a i fiori e guardandosi negli occhi.
Lui la prese e la fece girare. Poi le fece fare un cachet. La prense sui fianchi e la alzò. Lei si muoveva con grazia ed eleganza. Lui stava pian piano imparando e riusciva a starle dietro. Poi iniziò a piovere. Appena una goccia cade sul viso di Percy, Alex si paralizzò terrorizzata. Doveva coprirsi prima di bagnarsi e di essere coperta lei stessa dalla schiuma. Provò ad allontanarsi ma Percy la riportò a se. Una goccia cadde sulla mano di Alex. Lei stizzò le palpebre e aspettò di essere ricoperta dalla schiuma. Ma non successe. Si guardò la mano e la goccia non c’era più. Altre gocce le cadevano sulla mano e su tutto il corpo ma non succedeva niente. La sua pelle era impermeabile.
Guardò Percy sconvolta e lui le sorrise facendole l’occhiolino. Era chiaro, Percy la stava proteggendo dalla pioggia usando i suoi poteri.
Alex non potè fare a meno di sorridere e continuare a danzare.

Lascia che piova, lascia che diluvi.
Quel che abbiamo fa valere la pena di lottare.
Sai che io ci credo, che siamo
fatti apposta per stare assieme.
 
È come afferrare la luce,
la possibilità di trovare qualcuno come te
la possibilità di uno su un milione.
Le possibilità di provare quel che proviamo noi
e con ogni passo che facciamo assieme
continuiamo a migliorare.

Quindi posso avere questo ballo?
Posso avere questo ballo?
Posso avere questo ballo?
Posso avere questo ballo?
Posso avere questo ballo?

Fecero un ultimo volteggio guardandosi negli occhi. Poi si fermano.
Alex aveva le mani sul collo di Percy. Percy aveva le mani sui fianchi di Alex. Avevano un po’ di fiatone, ma entrambi sorridevano contenti e divertiti.
Si guardarono ancora negli occhi. Gli occhi di Percy avevano leggermente cambiato tonalità. Erano sempre verdi, ma un verde più scuro, più intenso, che aveva un effetto quasi magnetico su Alex. Quelli di Alex, invece, erano grandi e dello stesso colore del cioccolato fondente. Percy riusciva a intravedere un leggero luccichio, che era irresistibile.
Non riusciva a smettere dal guardarli, come se fosse in uno stato di trance.
Sentì la presa sul suo collo farsi più salda e anche lui strinse di più la vita della ragazza. Si guardarono un’ultima volta prima di avvicinarsi lentamente.
Erano a cinque centimetri di distanza, poi quattro, poi tre, poi due, poi uno. Poi si sentì uno squillo di telefono.
I due ragazzi si guardarono. Lo squillo si ripetè. Era la canzone “No Ordinary Girl”, quella cantata dal gruppo di Alex.
Lei scosse leggermente la testa ed uscì da quello stato di trance improvviso. Abbassò lo sguardo e cercò il telefono tastandosi le tasche. In quel momento Percy strizzò le palpebre e cercò di tornare in se.
“È Alex, amico!” si ripetè “Che ti è saltato in mente?”.
Alex trovò il telefono e rispose.
- Pronto?
Percy non sentiva ciò che si diceva dall’altra parte.
- Oh, ciao papà. Si. Si. Ovvio che si. Davvero? Quando? Adesso? Beh, ecco …- Alex lanciò un’occhiata furtiva a Percy e sembrò pensasse un po’. - Si, arrivo. Aspettami, mi raccomando. Un bacio. Ciao.
Riattaccò il telefono. Percy le lanciò un’occhiata interrogativa.
- Era mio padre- disse Alex agitando il telefono.
- L’avevo capito … devi andare?
- Si, mio padre …. – fece una piccola pausa. - … Ha trovato i biglietti per vedere i Sacks. Sai com’è … non posso  perdermeli.
Percy annuì torvo. No, non sapeva com’era. Una ragazza non si interessava mai così tanto ad una partita di football. Non si interessava mai ad uno sport in generale. Era strano che Alex lo facesse. Doveva esserci qualcos’altro sotto, ma se lei non aveva voluto dirglielo ci sarà stato un motivo, e lui non aveva il coraggio di chiederglielo.
Avrebbe tanto voluto avere il potere di leggere il pensiero. Lui non ce l’aveva, ma Alex si, e avrebbe potuto sentire ciò che pensava in quel momento. Meglio non pensare a niente.
- È meglio che vada- disse Alex, prendendo le mani di Percy, che erano rimaste tutto il tempo posate sui suoi fianchi.
Lui arrossì per l’imbarazzo, non se n’era neanche accorto. Si guardarono un’ultima volta. Lei gli diede un bacetto sulla guancia.
- Sono stata bene con te oggi- gli sussurrò.
Percy si sentì avvampare. Lei lasciò le sue mani e una valanga di pioggia le si menò addosso. Si diresse a tutta velocità verso la fine del palazzetto, poi si buttò giù. Dopo pochi secondi risalì avvolta dalle fiamme e volò via.
Percy la seguì con lo sguardo finché non sparì dalla sua visuale.
- Sono stato bene anch’io- sussurrò poi.
Una valanga di pioggia lo sovrastò. Non si era accorto di aver smesso di usare i suoi poteri. Si girò, dando le spalle alla serra, e corse a ripararsi anche lui.


Anglo Scrittrice.
Salve. Innanzi tutto vi ringrazio. Se ora state leggendo questo commento vuol dire che siete arrivati fino alla fine, e che quindi avete continuato a leggerlo. Mi scuso iin anticipo per lo schifo di questo capitolo. So che è un pò bruttino, ma è un passo molto importante della storia. La canzone a cui mi sono ispirata è "Can i have this dance", quella cantata da Troy e Gabriella in High School Musical. L'ho tradotta in italiano è mi è sembrata perfetta per loro due. Personalmente, io li adoro, e spero che col tempo comincerete a farlo anche voi. le parti scritte in rosa sono quelle cantate da lei, quelle in blu da lui, le verdi da entrambi.
Comunque, grazie ancora per aver letto questo capitolo, nonostante la mia (a volte) noiosa fantasia.
Non posso crederci! Un capitolo così importante e l'ho Rovintato! *piange*
Continuate a leggere, vi giuro che mi riscatterò.
Aspetto vostri commenti.
Baci.
ValeryJackson ;D

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Capitolo 24
*** La nuova canzone ***


Alex richiuse il computer. Era passata quasi un’ora da quando aveva lasciato Percy nella serra  e si era precipitata a casa. Ma aveva dovuto farlo. Suo padre l’aspettava, non poteva rinunciare a sentirlo. Come avrebbe potuto? Con quale coraggio?
Chiuse la finestra della video-chat e abbassò con un scatto lo schermo. Si appoggiò allo schienale della sedia e continuò a fissare per un po’ il muro pieno di foto di fronte a se. Suo padre aveva pensato di appenderle la.
Da quando si erano trasferiti a New York, anzi, da quando era morta la madre, lui non se n’era mai voluto separare. Diceva sempre che avere con se una foto della moglie era come averla accanto. Alex non osava obbiettare. Lei odiava le foto. La rattristava vedere la mamma in una foto, bella e sorridente, e pensare che non ci fosse più.
La maggior parte della parete, infatti, era piena di foto della mamma con Alex piccola in braccio. Poi c’era una foto di Alex sulle spalle del papà e una mentre il papà la prende da sotto le gambe, se la corica in spalla e la fa girare. Poi c’è una foto della madre davanti alla loro vecchia casa nel New Mexico, la foto del matrimonio dei suo genitori e una foto di Alex con in braccio un cagnolino di cui non ricorda molto. Era bianco e peloso, con gli occhi neri e troppo grandi rispetto al corpicino esile. Forse aveva più peli che carne addosso. Sapeva solo che era della madre e che era morto una settimana dopo il funerale.
Alex strizzò le palpebre e agitò leggermente la testa, cercando di scacciare dai suoi pensieri quel giorno. Aveva provato troppo dolore per potersene ricordare. In qualche modo doveva distrarsi. Forse poteva chiamare un’amica.
Guardò l’orologio. Erano le 19:30.
Emma aveva ancora il turno al bar fino alle 20:00. Bella di sicuro stava già cenando.
Poi si accorse di avere fame anche lei. Si alzò e andò verso il frigo. Lo aprì. Dentro c’era solo un petto di pollo, ma non le andava di cuocerlo, una bottiglia di latte e un piatto di plastica con sopra la carta stagnola. Lo prese e ci levò la carta.
Sotto c’era un pezzo di pizza ai peperoni mezzo ammuffito. Era sicura che ce l'avesse messo il padre. Lui non buttava mai niente.
Rimise la carta stagnola, aprì il cestino e con una smorfia di disgusto buttò definitivamente quel pezzo di pizza.
- Meglio ordinare una pizza- si disse.
Prese il telefono e digitò il numero. Mentre aspettava che qualcuno rispondesse chiuse con un colpo d’anca il frigo.
- Pronto?, Squizi Pizza. Buonasera. Posso esservi d’aiuto?
- Si, salve, vorrei ordinare una pizza d’asporto.
- Come la vuole, signorina?
- Con i funghi, grazie.
- Benissimo. Tra poco manderemo un facchino per portargliela. Può darmi l’indirizzo?
Alex fece una breve pausa. – La casa che sporge sul lago- disse, infine.
- Ah, si. La conosco.
- Bene.
- Arrivederci e buona serata
- Grazie.
Riattaccò. Dopo cinque secondi il telefono squillò di nuovo. Rispose.
- Pronto?- Silenzio. – Pronto?- insistette lei.
- Pronto. Alex, sono Percy.
Alex si sentì avvampare. - Ciao Percy.
- Ciao, scusami l’orario. Stavi mangiando?
- No, figurati. Ho appena finito di ordinare una pizza.
- Ah, ok. Chiamavo solo per chiederti una cosa
- Che cosa?
Percy fece di nuovo silenzio. Alex sentì, però, i suoi pensieri: “Perché l’ho chiamata?” si stava dicendo “Sono un cretino. Non accetterà mai!”.
- Percy!- fece di nuovo Alex. – Ci sei?
- Ehm … si si, ci sono.
- Beh? Cosa volevi chiedermi?
Percy deglutì. - Ecco, io … volevo sapere se domani ti andava di uscire di nuovo con me. Così, sai, come amici.
Alex non poté fare a meno di trattenere un sorriso. – Ok.
- Davvero?
- Certo! Perché no? Come amici, giusto?
Percy sembrava al settimo cielo. - Si, infatti. Allora … passo a prenderti alle 18:00?
- Ehm … - Alex si guardò intorno smarrita. – Ok …
- Bene a domani, allora.
- A domani.
- Buonanotte.
- Buonanotte.
Riattaccò. Si sentiva inspiegabilmente felice e aveva ancora un sorriso ebete sul volto.
Posò il telefono sul tavolo e mentre aspettava l’arrivo della pizza si sdraiò sul divano sgranocchiando un pacchetto di patatine trovato nella dispensa e accese la tv. Mentre continuava a cambiare canale qualcosa attirò la sua attenzione.
- Sono sconcertanti gli indizi che si hanno a riguardo. Nessuno riesce a spiegarsi questo stranissimo fenomeno. Gli scienziati non sanno come giudicare una cosa del genere. A quanto si dice in giro, le strane nubi che circondano misteriosamente quella montagna, e solo quella montagna, a Boston sembra che non siano un fenomeno naturale … nessuno sa spiegarselo … sembrerebbe quasi … 
DINDON!

Il campanello suonò. Alex si alzò dal divano e andò ad aprire la porta. Era rimasta un po’ turbata da quella notizia e sarebbe rimasta volentieri ad ascoltarla. Era ovvio che qualcosa non quadrava. Mise una mano sulla maniglia.
- Chi è?- chiese.
- Pizza a domicilio!
- Pizza?- Alex sembrò cadere dalle nuvole. Aprì la porta.
Un ragazzo bassino, con i capelli rossi e ricci e gli occhi verdi, pieno di lentiggini sostava sulla sua porta. Indossava una maglia e un cappellino con il logo di “Squizi Pizza” e aveva una cartone in mano.
- Lei ha ordinato una pizza con i funghi, giusto?
- Ehm … si, si giusto.
Il telefono iniziò improvvisamente a squillare.
- Bene! Questa e sua. Sono $7,50.
Alex si tastò le tasche e trovò dieci dollari. Il telefono continuava a squillare e lei aveva fretta di rispondere.
- Ecco, tenga- disse porgendo i soldi al fattorino.
- Si, grazie. Aspetti- lui prese un borsellino pieno di spiccioli dalla tasca. Un altro squillo.
- No, no. Tenga il resto- disse Alex agitando la mano con fare frettoloso. Afferrò al volo la pizza dalle mani del giovane e richiuse la porta. Sentì solo la voce del fattorino che diceva un sonoro “Grazie!”.
Un altro squillo ancora. Alex lanciò la pizza sul tavolo che atterrò con un tonfo e si precipitò a rispondere.
- Pronto?
- Ehi, sei viva!- disse Zane dall’altra parte della cornetta.
- Oh, ciao Zane. Per tua informazione stavo pagando la pizza.
- Ok ok, non ti ho chiamato per questo.
- Perché allora?
- Oggi ho sentito Mark …
- Il proprietario del “Juice Net Cafè”?
- Si, meglio noto come il nostro capo e colui che ci paga
- Si, si, chiamalo un po' com ti pare …- la mora congedò la cosa con un gesto - allora?
- Beh, dice di voler attirare non solo gente giovane, ma anche persone più mature …
- E … ?
- Vuole che facciamo qualche musica più … soft.
- Soft?
- Si, esatto.
- Ma noi non facciamo musica soft!
- Beh, dovremmo farla se non vogliamo perdere il posto!
- NO! MI RIFIUTO!
- Senti, Alex. lo so che questo genere non ti piace, ma non possiamo rischiare di perdere il posto tutti quanti per colpa di un tuo capriccio. Guarda, ho già iniziato a comporre una melodia e devo dire che non è affatto male. Perché non provi a sentirla?
- E come?
- Entra in video-chat così te la faccio ascoltare.
- Ok.
Alex riattaccò il telefono, prese un pezzo di pizza, aprì il computer e accese la video-chat. In cinque secondi il viso di Zane apparve sullo schermo.
- Alex?
- Si, sono qui.
Il viso di Zane si avvicinò di più alla webcam con un' espressione interrogativa.
- È una pizza coi funghi quella?
Alex annuì e ne addentò un pezzo.
- Vabbè. Questo è il pezzo. Senti se ti piace.
Alex si appoggiò allo schienale della sedia, pronta a smorzare ogni entusiasmo di Zane, sicura che non le piacesse. Il ragazzo fece partire la musica, e, invece di snobbarla, Alex si mise in ascolto. Era una musica dolce e piacevole, ma abbastanza ritmata. Non era rock, ma non era nemmeno una di quelle canzoni “taglia vene” che si sentivano in giro. Le piaceva moltissimo.
- Zane, ma è bellissima!- esclamò appena finita la base.
- Davvero? Ti piace?
- Certo!
- Fantastico! Credi di riuscire a scriverci un testo?
Arricciò il naso. - Beh, ci posso provare. Inviamela per e-mail, ok?
- Ok. Ci penso subito.
Zane iniziò a digitare velocemente qualcosa sulla tastiera. Alex addentò di nuovo la pizza.
- Hai sentito il telegiornale prima?- chiese Alex. Il ragazzo corrugò la fronte e continuò a scrivere.
- No- rispose. – Perché?
Avrebbe voluto dirglielo. Dirgli che quel servizio l’aveva insospettita, che le sembrava una situazione molto strana, che non si sentiva al sicuro. Sospirò.
- Così – mentì invece. – Tanto per parlare.
- Ok.
Zane scrisse ancora qualcos’altro, poi con molta foga pigiò l’ultimo tasto. – Fatto!- esclamò.
Dopo pochi secondi arrivò un e- mail sul computer della ragazza.
- Si, è arrivata.
- Bene, io vado ora. Mi raccomando, tienimi aggiornato, ok?
- Ok … buonanotte Zane.
- Notte!
La video-chat si spense. Il viso di Zane sparì dallo schermo e lasciò spazio alla foto di Alex, Bella ed Emma scattata il giorno del loro primo allenamento, che Alex teneva come screen server.
Alex finì il pezzo di pizza. Si alzò, ne prese un altro e poi prese un foglio e una penna. Si sedette al tavolo e avviò la base di Zane. Doveva farsi venire qualcosa in mente per il testo della canzone. Mentre ci pensava notò che la tv era ancora accesa. Ora mandava in onda un programma musicale, dove i ragazzi ballavano e cantavano.
Ballavano e cantavano.
Proprio come lei e Percy quel pomeriggio. Chissà se lo avrebbero fatto anche domani. Si era sentita così bene con lui. Era come se tutti i suoi problemi fossero svaniti. Si sentiva libera e leggera come una piuma, come non si sentiva mai, neanche quando volava.
Iniziò a ripensare al suo volto e al modo in cui sorrideva. Al suo viso sporco di gelato e alla sua risata spontanea. Al profumo di salsedine che emanava la sua pelle e ai suoi occhi, come il mare, quel giorno di un verde acceso, domani magari di un azzurro vivo. Lui la faceva sentire speciale, la faceva sentire viva. Si sbalordì quando si rese conto di non vedere l’ora di rivederlo il giorno dopo.
Senza che se ne accorgesse iniziò a scrivere sul suo foglio di carta parole dolci, belle e sincere, ma allo stesso tempo giuste, e non troppo smielate.
Passò tutta la sera a lavorare sulla canzone, mangiando pizza e ogni tanto dando uno sguardo alla tv. Il suo cuore batteva forte e lei non sapeva spiegarselo. O forse si, ma non voleva ammetterlo.

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Capitolo 25
*** Una nuova arrivata ***


L’immagine appariva sfocata. Non sapeva dove si trovava. Non aveva idea di che cosa dovesse fare. Non voleva sapere cosa l’aspettava. Tutto intorno a lei era nero e buio. Strizzò gli occhi più volte cercando di abituare la sua vista a quell’oscurità, ma niente. Il buio più totale.
Iniziò a correre senza un determinata meta. Così, perché non sapeva che cosa fare. Ad un tratto in lontananza vide una luce. Iniziò a correre verso quel leggero bagliore. Correva più veloce che poteva, concentrandosi così tanto nel raggiungere quella luce da non accorgersi che intorno a se iniziarono a formarsi degli alberi. Poi un bosco. Poi in lontananza una macchia marrone indistinta. Poi di nuovo il bosco.
In lontananza altre macchie marroni perfettamente allineate. Sembravano case. Era al campo.
Si fermò un attimo a respirare. Si guardò in torno sconcertata, cercando di scrutare l’orizzonte. Era difficile, dato che non distingueva nulla.
Era come se avesse un velo davanti agli occhi che le annebbiava la vista.
Due figure, poco distanti da lei, parlavano animatamente. Strizzò gli occhi per tentare di vedere meglio, ma non riusciva a capire chi fossero. Si avvicinò un po’ e ora li vedeva meglio. Uno era alto e magro. Troppo magro. La sua pelle era bianca e quando si muoveva produceva un suono atroce, di ossa che scricchiolano. Probabilmente era uno scheletro, o un fantasma. Indossava un lungo cappotto nero e un cappello a cilindro del secolo scorso. L’altro era molto più basso, indossava dei vestiti molto comuni e aveva tutta l’aria di essere un bambino. Il volto era sfigurato, coperto da un enorme chiazza viola che non ne faceva distinguere né occhi né bocca, né tanto meno i lineamenti. Lei aguzzò l’orecchio per sentire di cosa parlassero.
- Devi venire con noi!- diceva in tono pacato lo scheletro, rivolto al ragazzo.
- No!- sbraitò quello. – Io non ho intenzione di lasciare questo posto!
- Ma devi. È per il tuo bene e di tutti quelli che ti stanno in torno. Tu non sei come loro, lo vuoi capire? Tu sei diverso. Qui non hai una casa, qui non hai futuro! Tu sei il figlio del dio degli inferi, e il tuo posto è lì, insieme a tuo padre!
A quelle parole lei si sentì mancare le gambe. Aveva detto proprio “figlio del dio degli inferi”? Chi era? Di chi si trattava?
Il bambino iniziò a tremare irritato. Serrò i pugni e con tutto il fiato che aveva in gola urlò. – Vai via!
Uno squarcio si aprì nel terreno rivelando un burrone. Lo scheletro vi cadde dentro e immediatamente lo squarcio si richiuse. Il bambino, visibilmente sconvolto, si guardò in torno sperando che nessuno l’avesse visto. Una volta confermato girò sui tacchi e se ne andò, correndo più veloce che poteva.
Avrebbe voluto seguirlo, avrebbe voluto scoprire chi fosse. Stava per farlo quando si sentì mancare l’aria. Le gambe erano piegate, il busto sporto in avanti. Strinse gli occhi per il troppo dolore. Tutto divenne di nuovo scuro.
Emma si svegliò di soprassalto, in bocca un sapore metallico.
Aveva la fronte imperlata di sudore e il fiato corto. Si guardò intorno smarrita. Era stato solo un sogno, uno strano, orribile sogno.
Scese dal letto e si precipitò a prendere il telefono.

Il telefono di Bella squillò a tutto volume. Lei si svegliò e, con gli occhi ancora chiusi e la bocca impastata da sonno, rispose.
- Pronto?
Per Emma fu un sollievo sentire la voce dell’amica. Sospirò. - Bella, ciao, sono Emma.
Bella si alzò su un gomito e controllò la sveglia. - Emma!- disse affranta – Che c’è? Sono le sette del mattino. Ed è domenica!
- Scusa, è che avevo bisogno di sentire una voce familiare.
- Ti … ti senti bene?
Emma fece un grosso sospiro. – Ora si, grazie. È stato solo … solo un brutto sogno.
Bella aggrottò le sopracciglia preoccupata. - Sogno?- chiese, insospettita dalle parole dell’amica.
Lei stette un po’ in silenzio. La domanda di Bella, infatti, non faceva una grinza. Tutti sanno che il 90% delle volte in cui un mezzosangue fa un sogno, questo corrisponde a realtà. Non sempre è così, ma non bisogna mai sottovalutare l’idea di aver avuto una premonizione.
- Sogno!- confermò, cercando di avere il tono più sicuro possibile.
- Ok- disse Bella, ancora non completamente convinta. Sbadigliò, ancora assonnata.
- Comunque scusa l’orario.
Bella sbadigliò ancora. – Non importa.
- Beh, giacché sei sveglia … ti va di fare un giro?
- M-mh.
- Questo sarebbe un si o un “ se proprio devo”?
Bella rise. - È un si.
- Bene. ci vediamo a Central Park tra mezz’ora. Chiamo anche Alex.
L'amica storse il naso. – Non credo ti convenga.
- Perché?-
- Dunque, vediamo. Alex. Domenica. Mattina. Sette. Alex …
- Naa …  si sveglierà, vedrai.
- Già. Ma quando arriverà a Central Park con i capelli arruffati e le mani coperte di fiamme, dirò che è stata una tua idea.
Emma rise. – Sono così fortunata ad avere un’amica come te- disse in tono sarcastico.
- Lo so. Ci vediamo dopo. Ciao.
- Ciao-  Riattaccò e si rese conto che dopo quella chiacchierata le era passata tutta l’ansia mattutina.
Con un movimento rapido delle dita digitò il numero di Alex e aspettò. Dopo circa dieci squilli e molti minuti la ragazza rispose.
- Pronto!- sbraitò, visibilmente urtata.
- Ehm … Alex, sono Emma. Senti io e Bella stavamo per andare a fare un giro a Central Park. Sei dei nostri?
La mora cercò di mantenere il tono più calmo possibile, ma le era difficile. - Emma … Mi hai svegliato, di domenica, alle sette del mattino, solo per chiedermi di uscire?!
La bionda ci pensò un po’ su. – Si, esattamente.
La mora fece un grido di frustrazione.
- Tanto orami sei sveglia, no?- continuò l’amica.
Alex sbuffò. – Ok- disse – ma ci metterò del tempo.
Emma rise. – Va bene. A dopo.
- Ciao!- rispose secca Alex, riattaccandole il telefono in faccia.
Lei odiava svegliarsi presto la mattina, ma odiava di più essere svegliata dagli altri. Non capiva perché, se stava dormendo, doveva essere svegliata. Era una cosa senza senso. E fastidiosa.
Si accorse che quella notte aveva dormito sul divano, la televisione ancora accesa, uno scatolone di pizza vuoto sul tavolo e diversi fogli accartocciati per terra.
Si precipitò al piano di sopra, prese la biancheria e i vestiti che voleva indossare e andò in bagno. Fece una smorfia davanti alla sua immagine riflessa nello specchio. Aveva i capelli tutti arruffati e delle occhiaie enormi. Si lavò con cura, si vestì, si pettinò e poi si truccò.
Una volta fatto scese di sotto e diede una ripulita. Iniziò buttando il cartone della pizza e spegnendo la tv. Poi mise i bicchieri sporchi nella lavastoviglie e raccattò le palline di carta.
Mestre le buttava si accorse del computer ancora acceso. Si avvicinò per spegnerlo e vide che le era arrivato un messaggio.
Lo aprì e per un attimo il suo cuore perse un battito.
Era di Percy e diceva così:
Questa notte non sono riuscito a dormire. Non so perché. Forse l’insonnia, o forse perché non vedevo l’ora che arrivasse oggi. Ti sorprenderò, vedrai, e ti dimostrerò che non sono una Testa d’Alghe. Percy.”
Alex sorrise, contentissima. Spense il computer e quasi si dimenticò di prendere un cappotto prima di uscire. Non perché ne avesse bisogno, ma per non destare sospetti nella gente che vedeva una ragazza, in pieno inverno, con la neve, girare a maniche corte per Central Park.
Lo afferrò e si avviò a piedi verso l’appuntamento. Avrebbe potuto usare benissimo la sua super velocità, ma aveva giurato ad Emma che ci avrebbe messo del tempo, e così se la prese comoda.
Guardandosi intorno, mentre camminava, le sembrò di vedere per la prima volta il mondo a colori.
 
Le ragazze erano lì da quasi mezz’ora quando Alex arrivò.
- Oh, finalmente!- sbuffò Bella vedendo arrivare l’amica.
La mora le salutò con un cenno del capo. - Allora? Perché l’urgenza di questa uscita?
Da dietro Bella le indicò Emma con il capo. Lei si girò a guardarla. Senza che dicesse una parola l’amica capì.
- Bè? Che c‘è? Volevo soltanto fare un giro, tutto qui.
Alex inarcò un sopracciglio. - E tu volevi fare questo giro alle sette di mattina?
La bionda scrollò le spalle. - Ho bisogno di un orario per vedere le mie amiche?
- Oh andiamo Emma!- disse Bella spazientita – Siamo le tue migliori amiche, dici cosa è successo!
- Già- continuò Alex. – Non costringermi a leggerti nella mente, ho ancora sonno.
Emma guardò prima l’una, poi l’altra amica. Sbuffò e si lasciò cadere sulla prima panchina. - Va bene- disse dopo un lungo silenzio. – Questa notte ho fatto un sogno. Un sogno molto brutto.
Le ragazze si incuriosirono e si sedettero accanto a lei.
- Sei sicura si tratti di una sogno?- domandò Bella.
Emma alzò le spalle. Non ne era sicura. Certo, era accaduto in circostanze così ovvie da far sembrare il tutto un semplice frutto della sua immaginazione, ma era stato così reale. Lei era stata davvero lì, aveva visto davvero quelle persone, seppur sfocate, e aveva avvertito davvero la tensione del bambino. E poi quella crepa. Si è aperta nel nulla ed era sparita con altrettanta facilità e rapidità. E poi c’era il fatto dei mezzosangue.
Quando erano ancora alle prime armi Maria disse loro una cosa di vitale importanza. Di non sottovalutare mai i sogni. Perché quelli di un mezzosangue non sono quasi mai dei sogni. Ma sono premonizioni. Sono come una televisione accesa sul futuro, ma non sempre questo futuro è bello.
- Credo di si- disse la bionda poco convinta. Era visibilmente spaventata. – O almeno lo spero.
- E di cosa parlava esattamente?- chiese Alex senza il minimo tatto.
- Alex!- la rimproverò Bella.
- Che c’è?- chiese lei con fare innocente. – Volevo solo sapere.
- No, lei ha ragione- la assecondò Emma. – Avete il diritto di sapere.
- Ma insomma, è una cosa tanto grave?
Emma sospirò. In effetti non era una cosa gravissima, ma incuteva abbastanza paura. – Beh, ecco, io … io credo di si- balbettò. - Insomma, ho visto un ragazzo. Un bambino, parlare con un morto.
- Che cosa?- dissero all’unisono le due ragazze, visibilmente sconcertate.
Emma annuì. - Non so cosa fosse esattamente. Se un fantasma o uno scheletro, ma so per certo che non era vivo. Parlava con il bambino dicendogli che doveva seguirlo, ma quello si rifiutava. Poi ha aperto uno squarcio nel terreno e il morto vi è finito dentro. Sembrava così spaventato. Beh, non lo biasimo, lo sarei anch’io se scoprissi di essere …
- … Figlio del dio degli inferi- concluse Alex.
Emma annuì, gli occhi quasi lucidi. Deglutì a fatica e poi continuò.
- Magari mi sbaglio, magari era solo un sogno. Ma io so quello che ho visto. E se non fosse un sogno? Se fosse vero? Avremmo il figlio di Ade alle costole.
- Sei riuscita a vederlo in faccia?
- No, la visione era sfocata.
- E come sai che ci sta alle costole?- chiese Bella, confusa.
Emma scrollò le spalle. - Beh, non mi sembra difficile. Insomma i figli di Ade non hanno una casa al campo mezzosangue e per questo ce l’hanno col resto del mondo. E poi sappiamo tutti che noi e il dio degli inferi non siamo in buoni rapporti.
- Beh, ci credo, dopo quello che gli abbiamo combinato l’ultima volta … - rammentò Bella.
Emma in quel momento zittì. Aveva davvero paura di quel ragazzino, chiunque esso fosse. Aveva paura dello scontro. Aveva paura di non farcela. Ma soprattutto aveva paura di perdere le persone che aveva di più care al mondo.
Bella ed Alex lo capirono e strinsero l’amica in un abbraccio.
- Ehi- la confortò Alex. - Non devi preoccuparti. Ci siamo noi con te. Ci saremo sempre.
- Siamo le tue migliori amiche- continuò Bella, con un sorriso. - Siamo le Fantastic Girls. Insieme abbiamo sconfitto i mostri più impensabili e i nemici più terribili. Abbiamo condiviso tutto, comprese le emozioni. Abbiamo superato ogni difficoltà …
- … E supereremo anche questa- concluse la mora. – Insieme.
- Insieme- concordò la bionda.
Sul viso di Emma si disegnò un sorriso. - Non so cosa farei senza di voi ragazza. Siete le amiche migliori del mondo.
- Lo sappiamo!- si vantò Alex, fingendo di togliersi la polvere dalle spalle. Le altre due iniziano a ridere. Si guardarono un attimo, poi Emma ruppe di nuovo il silenzio.
- Vi voglio bene, amiche mie!
Le altre due sorrisero. – Ve ne voglio anch’io- confermò Bella.
- Anch’io- disse Alex, e si strinsero affettuosamente in un abbraccio. Non un abbraccio come tutti gli altri. Un abbraccio vero e sincero. Un abbraccio caratterizzato dal calore emanato da Alex, dalla malleabilità che presenta il corpo di Emma e dalla semi-visibilità di Bella. Un abbraccio tra persone sovraumane. Un abbraccio tra Fantastic Girls.
 
Al campo mezzosangue l’attività era frenetica. Iniziavano ad arrivare più ragazzi e bisognava sgomberare il luogo dalla neve.
Ragazzi, bambini e adulti si muovevano avanti e indietro con pale e secchielli, togliendo la neve e divertendosi in numerose battaglie.
Solo Bianca si era isolata dal resto del mondo. Era seduta su un masso, nei pressi dell’Arena, e continuava a fissare il vuoto. Non riusciva a smettere di pensare a quello che era successo il giorno prima.
Aveva trovato un nemico. Aveva trovato un fratello. Aveva trovato un padre. E aveva trovato degli amici.
Lei non aveva mai avuto degli amici. Era sempre stata sola, a vedersela contro tutto e tutti e disposta a fare qualunque cosa pur di proteggere suo fratello. Si alzò la manica del maglione e controllò. L’omino stilizzato era ancora lì. Il marchio di Apollo. Non era stato un sogno. Lo sfiorò delicatamente con la punta delle dita. Era in rilievo. Fino ad ora non se n’era accorta. Percorse tutta la sagoma, continuando a fissare il vuoto. Finalmente ora tutto aveva un senso. Finalmente c’era una risposta a tutte le sue domande.
E allora perché aveva paura? Perché aveva il timore di domandare, di chiedere qualcosa di più, qualcosa che l’avrebbe aiutata a capire? I suoi pensieri furono bruscamente interrotti.
- Sai, se continui a fissarla non si scioglierà da sola.
Bianca si girò di scatto. Due grandi occhi, ora blu, la fissavano guizzanti. Le si avvicinò. - A meno che tu non ti chiami Alex Chadwich. In quel caso c’è la possibilità che succeda.
Bianca accennò un sorriso e Percy le si sedette di fronte. - Tutto ok?- le domandò.
Lei annuì, un po’ incerta. – Stavo solo … riflettendo.
- Ok. Posso sapere su cosa o non sono affari miei?
La mora sorrise e alzò lo sguardo. Era incredibile come quel ragazzo riuscisse a metterla di buon umore solo guardandola.
Non lo aveva mai ringraziato abbastanza per aver salvato lei e suo fratello dalle grinfie di quel mostro l’altra sera. Adesso era lì, aspettando una risposta, senza forzarla, senza insistere. Perché a lui non interessava sapere tutti i fatti suoi, a lui interessava solo vederla sorridere.
- Va bene- disse in fine lei.
Fece un sospiro e prese coraggio. Lo guardò negli occhi, quei suoi grandi occhi blu scuro, e le parole iniziarono ad uscirle senza che se ne accorgesse, senza che le controllasse.
- Stavo pensando a tutto. Tutto quello che è successo. Ho scoperto di avere un padre- disse mostrando il braccio - Ho scoperto di avere un fratello. Tanti fratelli!- si avvicinò un po’ di più al viso di lui. - Eppure ho paura. Ho paura di sbagliare. Ho paura che tutto questo possa un giorno finire. Ho paura di svegliarmi domani e ritrovarmi nel letto di quell’albergo, Nico affianco e nessun altro- fece una breve pausa. - Ho paura di sapere. Di chiedere informazioni. Perché potrebbe non essere come me l’aspetto, come l’ho sempre immaginato. Potrebbe essere una completa delusione.
Si fermò. Guardò ancora Percy negli occhi, che fino ad allora non aveva detto niente. L’aveva fatta sfogare, e lei gli era grata. Ora si sentiva meglio. Si allontanò dal suo viso e per un attimo rimasero in silenzio. Poi lui rise divertito.
- Che c’è? Ti faccio tanto ridere?- disse, quasi indignata.
Lui scosse la testa. – No, mi fai tenerezza.
Lei inarcò un sopracciglio, non capendo. Lui alzò la manica della sua giacca. Lei sgranò gli occhi. Un grosso tridente stilizzato si ergeva sul suo braccio, come un tatuaggio.
- Vedi questo?- Lei annuì. - Questo è un tridente, il simbolo di Poseidone. La prima volta che l’ho visto anch’io sono rimasto scioccato. Non ricordavo di essermi fatto un tatuaggio!
Lei rise. - All’inizio è difficile- continuò lui – lo so, ci sono passato. Ci siamo passati tutti. Non riesci ad assemblare una domanda, non riesci a pensare lucidamente. L’unica cosa che ti viene in mente da chiedere è: “È tutto vero?”. Ti sembra assurdo, quasi surreale. All’improvviso non ti fidi più di nessuno, e credi di aver sempre vissuto nella menzogna. Sono arrivato qui circa un anno fa. Prima non ero nessuno. Ero solo il ragazzo dislessico e iperattivo senza un padre che non riusciva a seguire le lezioni. Non avevo amici a parte Grover e mia madre, per proteggermi, era fidanzata con un uomo brutto e puzzolente, che io non sopportavo, e che non sopportava nemmeno lei. All’inizio non capivo perché lo facesse, poi invece ebbe un senso. Tutto ha avuto un senso. Anche io avevo paura. Paura di chiedere, di sapere, di essere deluso. Ma poi ho reagito e sai una cosa? Non potrei aver avuto di meglio. Ora ho una bella casa. Ho tanti amici. Ho due genitori bellissimi e ho una vita per niente noiosa. Quindi, di cosa posso lamentarmi?
Si fermò un attimo e guardò la ragazza, che fino ad ora aveva solo ascoltato, senza intervenire.
- Qui ci sentiamo a casa- continuò. - Qui ci sentiamo normali. E stiamo bene- Adesso finì. Non sapeva più cosa dire.
Lei rimase per un po’ in silenzio, contemplando tutto ciò che lui le aveva appena detto. Poi lo guardò dritto negli occhi e gli sorrise.
- Grazie Percy- disse, riconoscente.
Lui sorrise a sua volta, di quei sorrisi che ti lasciano senza fiato, gli occhi blu, gentili. Era la prima volta che Bianca lo osservava attentamente. Indossava una giacca di pelle marrone e un paio di jeans scuri. La sciarpa, blu come i suoi occhi, gli avvolgeva il collo ed era abbinata alle scarpe. I lineamenti del suo viso erano davvero perfetti, senza un difetto. Il sorriso bianco e bellissimo.
Quanto è bello questo ragazzo? pensò Bianca, tra se e se. Lui si alzò e si scrollo la neve di dosso.
- Ci conviene metterci a lavoro, se non vogliamo che Chirone ci uccida.
Insieme risero e lui le porse una mano. Lei la prese e si alzò. Raccolse paletta e secchiello da terra e sospirò. La pacchia era finita.
Si chinò e iniziò a raccogliere un po’ di neve. Percy si allontanò un po’ e fece lo stesso.
- Se vuoi … - disse ad un tratto lui. Lei lo guardò speranzosa e lui si passò una mano tra i capelli imbarazzato. - Più tardi posso darti qualche lezione gratuita di fioretto. Sei imbattibile con l’arco, ma per essere una vera guerriera devi saper tirare di spada.
Lei annuì, sorridente. – Ne sarei felice.
Percy ricambiò il sorriso e riprese il suo lavoro.
Continuarono a togliere la neve in un caldo silenzio.
 
Le ragazze camminavano ormai da ben dieci minuti per Central Park. Questo, però, era stranamente vuoto. Fino ad ora avevano incontrato solo una coppia di piccioncini e l’uomo che vendeva i gelati.
- Quell’uomo non si riposa mai?- aveva commentato Alex passandogli davanti.
Un leggero venticello tagliava l’aria. Il parco, coperto di neve, era cupo e solitario.
Ad Emma questa cosa non piaceva. Lei, più delle altre, aveva sviluppato i suoi sensi dopo la mutazione.
I suoi erano super sensi, e in un certo senso era uno dei suoi poteri.
Beh, in quel momento i suoi super sensi le dicevano che qualcosa non andava. C’era silenzio. Troppo.
Ad un tratto il vento cambiò forma, diventando più pesante e freddo e facendo scorrere un brivido lungo la schiena delle ragazze.
Tutte e tre si fermarono. Iniziarono a guardarsi in torno con sospetto. Non serviva avere i super sensi per capire che qualcosa non andava. Già. Bastava essere un mezzosangue per capire che nell’aria c’era odore di mostri.
- Avete sentito?- chiese Emma ad un tratto.
- Sentito cosa?- domandò Bella sorpresa.
Loro non lo avevano sentito. Lo aveva sentito solo lei. Un grido spaventato, frustrato, segno che qualcuno era un pericolo. Emma tese l’orecchio e ascoltò meglio. Un grido agghiacciante, pieno di terrore, le perforò i timpani. Strinse gli occhi e si tappò le orecchie, piegandosi in due per il dolore.
Bella ed Alex si guardarono in torno. Stavolta lo avevano sentito anche loro, seppur più lontano.
- Da dove arrivava?- chiese Alex confusa.
Emma si raddrizzò e puntò lo sguardo davanti a se, più determinata che mai. - Proveniva da lì. Presto, andiamo!- gridò e iniziò a correre.
Le ragazze la seguirono. Dovevano salvare quella persona, chiunque essa fosse. D’altronde quello era il loro compito.
Continuarono a correre finché non arrivarono davanti all’ Harleem Meer. Lì lo spettacolo fu sconvolgente.
Un enorme e orribile mostro fuoriusciva furioso dal lago. Aveva le sembianze di una donna, con braccia possenti e piene di graffi e pezzi di armatura dell’antica Grecia. Unghie lunghe e taglienti. Due enormi ali squamose si ergevano dalla sua schiena. Ma la parte peggiore era quella inferiore. Ad un certo punto il busto si interrompeva e iniziava un enorme coda da serpente!
Piena di squame, si divincolava nell’acqua. Mostrò i denti, affilati come quelli di un vampiro e pronti ad attaccare. Due occhi indemoniati guardavano in direzione di una ragazza. Questa era spaventata e faticava a restare in piedi. Qualunque cosa avesse fatto, comunque, guardando l’aspetto sanguinante del mostro, le aveva dato del filo da torcere.
- Presto nasconditi!- le ordinò Alex. Il mostro stava per attaccare quando, distratto dalla voce della mora, si fermò e guardò verso loro.
La ragazza, spaventata, non si fece ripetere due volte il comando e, approfittando del momento di distrazione del mostro, corse a nascondersi dietro un albero. Il mostro, frustrato, si scagliò verso le tre amiche.
- Via!- urlò Emma e tutte e tre corsero ai ripari giusto in tempo. Il mostro infatti aveva serrato le zanne ma si ritrovò solo l’aria in bocca.
Le tre corsero dietro un muretto, il fiato corto.
- Che cos’è?- chiese Bella spaventata.
Emma riprese fiato. - È un Echidna.
La mora alzò un sopracciglio. – Ehm, traduzione?
La bionda alzò gli occhi al cielo esasperata. – La tua conoscenza del sapere mi sorprende ogni volta. Echidna è un mostro della mitologia Greca, figlia di Ceto e Forco. È la moglie di Tifone e madre di alcune delle creature più terrificanti, come Ortro, il cane di Gerione, l’Idra o la Chimera. E poi ancora il Leone di Nemea e la Sfinge.
- Fantastico!- commentò Alex.
- Ma non dovrebbe trovarsi nel Peloponneso? O in qualche altra zona della Grecia antica almeno?- domandò Bella.
- Beh, teoricamente si. Anche se sappiamo che, spostandosi gli dei, si spostano anche tutti i mostri. Ma questo non spiega la sua presenza qui.
Alex si guardò alle spalle, scrutando il mostro. - Beh, non mi sembra molto sveglia, comunque. Come la battiamo?
Emma aggrottò la fronte, segno che il suo cervello stava lavorando a pieno regime. - Dunque … secondo la mitologia greca ad ucciderla fu Argo.
- Argo? Il nostro Argo?- domandò un’ Alex scioccata.
- Si, il nostro Argo. Lui la pugnalò alle spalle … mentre dormiva!- sul volto di Emma sembrò accendersi una lampadina.
- Sento odore di piano … - disse la mora con un sorrisetto malizioso.
- Ok. Ecco cosa faremo. Alla base del collo si trova normalmente un nervo, il nervo vago, che, se stimolato attraverso una compressione, provoca uno svenimento a causa del suo effetto sul cuore. Se riusciamo a rintracciarlo potremmo farla addormentare e ucciderla più facilmente.
- Sei sicura che funzioni?
- No, non sono sicura che sui mostri abbia lo stesso effetto.
- Beh, se non si addormenta che le succede?
- Il nervo, se colpito abbastanza forte, causa il rilassamento di tutti i muscoli che ci tengono in piedi.
- Come fa il nervo sotto il polso che ti fa aprire la mano se viene schiacciato?- chiese Bella, che fino ad allora aveva ascoltato.
- Si, esatto. La metteremo comunque in una situazione in cui è difficile reagire. Credo.
Alex sospirò. - Bene, mi piace la tua convinzione- disse con sarcasmo.
- … Io colpirò il nervo- continuò la bionda – dato che so esattamente dove si trova. Bella, a te il compito di distruggerla.
La ragazza deglutì spaventata ma annuì. – Alex, ci serve un diversivo. Pensi di farcela?
La mora le face l’occhiolino. - Lascia fare a me- e si lanciò fuori dal nascondiglio. Corse in direzione del mostro e, pian piano iniziò a prendere fuoco.
I suoi vestiti scomparvero e al loro posto apparve la sua tuta viola da combattimento. Iniziò a sollevarsi da terra, finché non iniziò volando definitivamente sulla testa dell’Echidna. Il mostro, infastidito da quella luce di calore, iniziò a uggiolare, menando schiaffi in aria tentando di colpirla. Ma Alex era più veloce, e con rapide mosse le volava intorno facendola impazzire.
A quel punto entrò in azione Emma. Uscì dal nascondiglio e iniziò a correre verso il lago. Il vento gelido le sferzava il volto e lei faceva fatica a tenere gli occhi aperti. Li chiuse in due fessure e non si fermò. Era quasi arrivata all’estremità del lago quando protese una mano davanti a se. L’acqua iniziò a solidificarsi, creando una specie  di rampa di ghiaccio.
Lei prese la rincorsa e vi scivolò sopra. Poi saltò più in alto che poteva usando la sua malleabilità. Si aggrappò al dorso del mostro e vi salì in groppa. Strinse i denti e con fatica iniziò a scalare sulla sua schiena, usando le squame come appoggio.
Finalmente arrivò in cima. Iniziò a tastarle la fine del collo.
Dov’è? Dov’è? continuava a chiedersi in preda all’agitazione. La pelle del vostro era viscida e molliccia, decisamente diversa da quella umana. Alex continuava a volare in torno alla testa di Echidna, facendola infuriare.
Questa fece uno scatto e per poco non la prese.
Emma perse l’equilibrio e traballò su quella schiena. Ma si rimise in piedi. E poi lo vide, il punto esatto dove colpire. Ma serviva un colpo potente.
Si guardò in torno cercando un’alternativa. Non c’era niente di utile a parte gli alberi, qualche masso, le fontanelle per gli uccelli, due panchine e … l’acqua! Si, ecco come fare.
Si concentrò su un punto preciso nel lago. Questo iniziò ad indurirsi, diventando uno spesso e appuntito pezzo di ghiaccio. Perfetto.
Cadde, però, in acqua e affondò con un sonoro PONF!
Emma si concentrò di nuovo su di lui. Tentò di sollevarlo con la telecinesi, ma niente. Lo aveva fatto troppo pesante.
Oh, andiamo!” imprecò scrollandosi le mani. Ritentò. Stavolta andò bene.
Il pezzo di ghiaccio si sollevò dall’acqua e con calma si catapultò nella sua mano. Lei lo afferrò con entrambe e con tutta la forza che riusciva ad accumulare in quel momento affondò il ghiaccio nel collo del mostro.
Un urlo agghiacciante tagliò il muro del suono. Tutte si coprirono le orecchie
- Bella! Adesso!- urlò la bionda prima di buttarsi giù da quella viscida groppa e atterrando nell’erba.
Bella deglutì e corse verso il lago.
Il mostro stava svenendo, perdendo l’espressione indemoniata dalla faccia e sostituendola con una beata. Era sul punto di cadere a peso morto nell’acqua, quando Bella lo fermò a mezz’aria, usando un campo di forza.
Lo formò tutto il torno a lui. Poi lo strinse, ancora, e ancora, e ancora. Finchè il mostro non smise di respirare.
Ma non bastava. Echidna era forte e Bella si stava indebolendo.
Alex vide in difficoltà la sua amica e corse ad aiutarla. Doveva pensare, e alla svelta. Poi le venne un’idea.
- Bella!- urlò. – Supernova!
Bastò quella semplice parola e la bionda capì. Entrambe sapevano che era rischioso, ma entrambe sapevano che avrebbe funzionato.
Allargò un po’ il campo di forza, quel tanto che bastava per farvici entrare Alex.
La mora entrò, iniziando a volteggiare intorno al mostro. Solo che stavolta non era per distrarlo, ma per incenerirlo!
Pian piano aumentava di velocità, aumentava di calore. 100°. 150°. 200°. 250°. 300°! Non si fermava.
Il mostro iniziava a sentire il caldo. Bella si sforzava di contenere quell’enorme fiamma. Un passo falso e avrebbero incenerito l’America.
500°. 600°. 800°. 1000°. Alex si sforzava di tenere il passo. Le girava la testa. 1500°. 2000°.
Il mostro iniziò a esibirsi in una macabra danza di convulsioni. Gli occhi spalancati. Poi si immobilizzò e con lentezza iniziò a sgretolarsi, sostituendosi con una polvere verde. Alex rallentò ed uscì dal campo di forza.
Atterrò a terra, piegandosi su un ginocchio. Strinse forte gli occhi, la testa che le girava vertiginosamente. La scosse, cercando di riprendersi. Bella aspettò che la fiamma si dissolvesse, poi sciolse il campo di forza.
Del sangue le usciva dal naso. Roteò gli occhi e svenne. Emma la prese giusto in tempo.
Aveva usato tutte le sue forze. Avevano usato tutte le loro forze. Erano esauste, ma ce l’avevano fatta. Echidna era morta, per ora.
Le ragazze si guardarono negli occhi. Alex sorrise vittoriosa. Si alzò in piedi, quando sentì un fruscio dietro un albero.
Tutte e tre si voltarono.
La ragazza che era stata attaccata dall’Echidna era rimasta lì e aveva visto tutto. Bella si alzò in piedi, aiutata da Emma. Le due bionde si guardarono allarmate. Emma le si avvicinò lentamente.
- Ciao- disse, tendendo la mano per stringergliela.
Ma quella arretrò spaventata. Ora la vedevano meglio.
Aveva un viso angelico. I capelli biondi, corti sopra le spalle, erano sfumati da delle ciocche verdi, blu e rosse. Gli occhi, di un verde scuro, erano terrorizzati. Aveva un corpo esile, ma molto allenato. Indossava degli abiti strani. Anzi, indossava diversi abiti. Aveva due magliette, una bianca e una blu, una sopra l’altra. Degli scaldamuscoli rosa, azzurri, gialli e neri le riscaldavano le braccia. Aveva un pantalone rosa a zampa di elefante, leggermente strappato in qualche punto. Una felpa legata in vita. Delle Converse dorate e brillantate, da cui spuntavano delle insolite calze azzurre con una strana fantasia. Aveva più o meno 15 anni, il viso sporco, le mani scheggiate e sanguinanti.
Si mise in posizione di difesa.
- Statemi lontano!- urlò, digrignando i denti.
Emma ritirò la mano, a disagio. – Senti, non so cosa hai visto, ma non è quello che credi.
- Oh, so benissimo cosa ho visto- disse lei convinta, annuendo con veemenza. Indicò la bionda. - Tu ti sei allungata di circa due metri e sei saltata sopra quell’orribile mostro, e l’hai colpito alla schiena con un enorme pezzo di ghiaccio creato da te!
Puntò Bella. - Tu, hai bloccato quel coso a mezz’aria e lo hai stretto in una specie di corda invisibile!
Ora puntò la mora. - E tu! Tu … tu hai preso fuoco, cavolo! E hai volato! Volato!- Aveva il fiato grosso e faceva grandi respiri.
Le ragazze si guardarono.
Lei aveva visto attraverso la foschia. Emma deglutì rumorosamente. La guardò di nuovo e fece per avvicinarsi. - Senti, lascia che ti spieghiamo …
- INDIETRO!- urlò quella, e tese le mani. Un’enorme raffica di vento travolse le ragazze, trascinandole per diversi metri.
Poi, la raffica si interruppe, tanto velocemente come era iniziata. Tutte e tre guardarono allibite la biondina. Questa aveva gli occhi lampeggianti, arrabbiati.
Tese le mani verso il terreno. Pian piano tre enormi e robusti rampicanti sbucarono dal terreno, avvolgendo le ragazze. Questi continuarono a crescere, sollevandole da terra.
- Ma che cosa … ?- urlò Alex. Non riusciva a pensare lucidamente, ma era chiaro. Quella non era una normale ragazza. Quella era una mezzosangue.
Decisa ad affrontarla in un faccia a faccia Alex prese fuoco, bruciando i rampicanti intorno a se e atterrando a terra con grande stile. La ragazza indietreggiò, sorpresa. La mora alzò le mani in segno di resa.
- Tranquilla- la rassicurò – Non voglio farti del male.
Quella sembrò inarcare un sopracciglio incredula, ma poi si rilassò.
- Come hai … fatto?- chiese la mora.
La biondina alzò le spalle. – Fatto cosa? Non ho fatto niente di speciale.
Alex guardò lei, poi i rampicanti che avvolgevano le sue amiche, poi di nuovo lei. – E questo lo chiami niente?
Quella scrollò le spalle. - Ormai si. Lo faccio da così tanto tempo che non mi sforzo neanche più.
La mora corrugò le sopracciglia, incuriosita. - Chi sei tu?- chiese molto lentamente.
La ragazza raddrizzò la schiena e gonfiò il petto. - Sono Zoe Brooks, e ho anch’io dei superpoteri.


Angolo scrittrice.
Salve! Innanzi tutto vi rangrazio per aver continuato a leggere la mia storia, ma soprattutto per aver finito il capitolo.
Ora, finalmente, i personaggi importanti ci sono tutti! Ricordatevi di questa ragazza, perchè vi riserverà delle sorprese!
Vi rubo dieci secondi solo per mostrarvi la foto di come ho immaginato i personaggi più importanti, così vi fate un'idea. ;)
Dall'alto a sinistra:
Alex; Emma; Bella; Percy; Grover; Zoe; Nico; Zane; Bianca.
Al prossimo capitolo ;)
ValeryJackson
p.s. Scusate, ma la qualità della foto è un pò scarsa ;)
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Capitolo 26
*** Un tavolo per due ***


Dopo quella notizia le ragazze erano rimasto alquanto scioccate.
Dopo aver liberato Emma e Bella da quella trappola di rampicanti si erano avviate tutte e quattro verso il campo. Avevano preso l’autobus ed ora camminavano a piedi. Il clima era freddo e dei piccoli e candidi fiocchi di neve stavano iniziando a cadere, macchiando i loro capelli di bianco.
Zoe aveva iniziato a raccontare loro la sua storia, senza essere interrotta un attimo:
- Dunque, vengo da Seattle, e la mia vita non mai è stata tutta rosa e fiori- aveva iniziato. – Mia madre e mio padre erano due professori. Facevano un lavoro umile, ma erano molto più intelligenti di quanto volessero far credere. Ricordo ancora che quando ero piccola mia madre, per farmi addormentare, mi raccontava tutto quello che c’era da sapere sulle costellazioni. Sapeva ogni scienza riguardante. Il suo sogno era quello di fare l’astronoma. Mio padre era un grande inventore. Riusciva a creare qualunque cosa semplicemente con una matita ed una graffetta. Era eccezionale. Ho sempre pensato che un giorno sarei diventata come loro. Finché non morirono- fece una breve pausa.
- Avevo cinque anni quando è successo. Ricordo ancora quel giorno. Eravamo tutti e tre in macchina. Stavamo andando al cinema, credo, questo non lo so. So solo che ero così felice. Poi una macchina uscì di strada e si scontrò con la nostra. I miei morirono sul colpo. Io invece, protetta nel seggiolone dietro, mi ferii gravemente. Non ricordo molto ciò che è successo dopo, solo immagini sfocate. Il volto di mia mamma, la macchina in fumo, i corpi inermi dei miei, tanto sangue e due mani che mi tiravano fuori, poi il vuoto. Sono rimasta in coma per cinque giorni prima di riprendermi. Al mio risveglio mi dissero che i miei erano morti. Ero distrutta. Immaginate una bambina di cinque anni, che non ha mai visto il mondo, che non sa nulla, che ha ancora bisogno di affetto e di protezione, rimasta orfana, così, in una frazione di secondo.
Quando mi dimisero dall’ospedale non parlavo più con nessuno, ero impassibile. Mi portarono in un convento di suore, dove accoglievano gli orfani. Il posto più brutto del mondo! Lì non c’era libertà, non c’era creatività. Indossavamo tutti gli stessi abiti e dovevamo fare tutti le stesso cose.
Io litigavo con chiunque. Non sopportavo nessuno e non avevo degli amici. Quelli più grandi di me volevano comandare sui più piccoli, ma io ero l’unica che si opponeva, e, ovviamente, nessuno voleva essere amico della ribelle, nessuno voleva finire nei guai. Così ero sola, in un posto dove non volevo stare, con persone che non sopportavo, orfana delle persone che avevo di più caro al mondo.
Mi sentivo come in una palla di vetro, che ogni giorno si stringeva sempre di più togliendomi pian piano l’aria.
Sono rimasta lì dentro per tre anni, e ci sarei anche rimasta se, un giorno, non fosse accaduto.
Avevo otto anni e con l’orfanotrofio eravamo andati in gita in Irlanda. Lo scopo delle suore era quello di farci visitare le chiese più importanti, ma io mi annoiavo. Così, quando tutti erano distratti, mi sono allontanata dal gruppo e sono scappata. Continuai a camminare senza meta finché non mi ritrovai vicino al mare. L’aria era calda e umida, piacevole.
C’era questo posto … bellissimo, ma non so come descriverlo. Aveva qualcosa di magico, sembrava un regno a se, come se fosse distaccato dal resto del mondo.
Arrivai fino all’oceano, ai piedi della scogliera. Mi sentivo attirata, come … come se stessi cercando qualcosa, solo che non sapevo cosa. C’era una grotta. Mi sentivo così al sicuro lì dentro, come se fosse casa mia. Entrai in acqua e poi … successe qualcosa di magico.
Poco dopo tornai dai miei compagni, ma nessuno si era accorto della mia assenza. Tornai a Seattle come se non fosse successo niente. E in fondo è quello che ho creduto. Fino a quando non ho scoperto i miei poteri.
- Aspetta- la interruppe Emma. – Hai i tuoi poteri da quando avevi otto anni?
- Si, te l’ho detto. Mi trovavo in Irlanda, sono andata in spiaggia e ho trovato una caverna tra le rocce, sono entrata nella piscina e … - guardò le altre ragazze, che la fissavano sbigottite, poi protese il braccio in avanti e fece una specie di tre con le dita. Davanti a loro, in mezzo alla neve, sbucò una piantina di un verde intenso, come se fosse primavera.
- Wow!- esclamò Bella, che si avvicinò alla piantina.
- Fammi capire- disse Alex. – Quando io andavo ancora in bicicletta con le rotelle, tu avevi già i tuoi poteri?
- Si, perché voi quando vi siete trasformate?
Le ragazze si guardarono, nessuna rispose. Alex fece uno sbuffo. – Bof, da anni ormai. Siamo così da anni.
Le altre annuirono con veemenza. Zoe le guardò una a una, non credendo a ciò che le era stato detto. Poi sopirò.
- Comunque, - disse. – Dopo aver scoperto i miei poteri decisi che era il momento giusto per scappare. Iniziai ad allenarmi a più non posso e poi, il giorno del mio compleanno, con una tresca perfetta, scappai. In quel momento nessuno se ne accorse, anche se sarei dovuta essere la protagonista …
- E dove andasti?- domandò Bella.
- Beh, un po’ qua, un po’ la. Vivevo di piccoli lavoretti e ho cambiato città un paio di volte. Sapete la voglia è tanta ma … avevo solo otto anni, ed erano pochi quelli che volevano prendersi questa responsabilità. Così iniziai a camminare, facendo tappa in alcune città dell’America, e adesso sono qui … - fece una pausa. Non sapeva cos’altro dire.
Alex improvvisò un piccolo colpo di tosse. – Quindi … tu fai crescere le piante?
Zoe la guardò torva. – No. Riesco a far nascere dei rampicanti ovunque, anche nel cemento, qualunque tipo di arbusto a mia scelta, anche un melo. Posso anche creare un forte vento che può arrivare fino ai 200 km/h.
Alex liquidò la cosa con una mano. – Chiamala come ti pare …
Zoe squadrò le ragazze una ad una. – Posso sapere dove mi state portando?- chiese.
Emma le sorrise. – Ti portiamo al campo mezzosangue.
La biondina inarcò un sopracciglio ed Emma rise. – È un posto fantastico per gente come noi. Ti piacerà, vedrai.
Zoe si bloccò. Le tre ragazze si girarono a guardarla. – Perché dovrei fidarmi di voi?- disse.
- Perché ti abbiamo salvato la vita- rispose Alex gelida. – Se non fosse per noi ora saresti una poltiglia informe nel corpo di quel mostro.
Le due ragazze si guardarono, senza dire una parola. Nei loro occhi c’era tono di sfida, e non serviva un discorso per capire che non si sarebbero mai sopportate. Alex guardò le sue amiche. – Io vado al campo- disse, girò sui tacchi e se ne andò.
Bella ed Emma fecero per avviarsi, ma notarono che Zoe non le avrebbe seguite. – Non vieni?- le chiese Bella.
Zoe le guardò un attimo. In effetti quelle ragazze le avevano salvato la vita, ed erano state gentili con lei fin dall’inizio. Fino ad ora non avevano fatto niente che l’avrebbe fatta sospettare della loro fiducia.
La ragazza fece un rumoroso sospiro, roteò gli occhi e seguì le ragazze fino al campo.

Il campo era completamente pulito. I ragazzi erano riusciti a rimuovere quasi completamente la neve, lasciando spazio a la verde erbetta che spuntava dal suolo. Zoe si guardò in torno stupita. Non aveva mai visto un posto così. Capì di trovarsi sulla costa settentrionale di Long Island, perché la valle risaliva fino al mare, che scintillava a circa un chilometro di distanza. E quanto a ciò che si trovava nel mezzo, non riusciva a capacitarsi di quello che vedeva. Il passaggio era punteggiato a edifici dell’antica Grecia (un ampio padiglione a cielo aperto, un anfiteatro, un’arena circolare) solo che erano tutti nuovi di zecca, con le colonne di marmo immacolato che luccicavano al sole. Il un campetto poco lontano alcuni satiri e pochi ragazzi giocavano a pallavolo. Delle canoe scivolavano sulla superficie di un laghetto, mentre dei ragazzini si rincorrevano intorno a un gruppo di capanne annidate nel bosco. Alcuni cavalcavano lungo un sentiero boscoso e, almeno che non avesse le allucinazioni, alcuni cavalli avevano le ali. Altri si esercitavano con l’arco in un poligono di tiro; tra di loro c’era anche Bianca, che si allenava insieme a suo fratello Michael. Davanti a loro, in fondo al portico, Grover suonava il flauto. Le ragazze lo salutarono con un cenno della mano e lui gli trottò incontro.
- Sbaglio o ci sono più ragazzi?- domandò Alex quando il satiro l’ebbe raggiunte.
- No, non sbagli. Stanno iniziando ad arrivare molti ragazzi, la maggior parte nuovi. Non so perché, ma in inverno c’è un incremento delle entrate.
Alex roteò gli occhi. Le dava molto fastidio quando Grover usava i paroloni non conoscendone neanche il significato, ma solo per fare scena.
Bella indicò la ragazza dietro di loro. – Grover, lei è Zoe. Anche lei è una mezzosangue. Sai se qui c’è un posto per lei?
Il satiro si sporse un po’ per guardare la biondina, che lo stava ancora squadrando, terrorizzata alla vista degli zoccoli. Si lasciò sfuggire un belato. – B- beh … posso provare a chiedere.
Emma annuì e si girò. – Zoe, lui è Grover, un nostro amico. Puoi fidarti di lui. Ti porterà alla casa Grande.
Lui si avvicinò e, grattandosi la nuca imbarazzato, si presentò porgendole la mano. Lei all’inizio fu un po’ titubante, ma poi si sciolse e glie la strinse. – Allora … - fece il satiro. – Zoe, giusto?- Lei annuì. - È un bel nome.
- Perché hai gli zoccoli?- si affrettò a chiedere. Lui sorrise.
- Te lo spiego mentre andiamo.
I due ragazzi si avviarono, mentre Grover raccontava a Zoe, con scarso interesse di lei, l’origine della sua stirpe.
Le tre amiche li guardarono camminare e poi lentamente sfumare nel bosco. Bella fece un grosso respiro e si rilassò, sciogliendo i muscoli.
- Cavolo!- esclamò – Oggi è stata una giornataccia.
Le altre due annuirono. Emma stava ancora ripensando a quanto successo con Echidna, Alex sembrava avere la testa da un’altra parte.
- Ohi!- insisté la bionda – Ragazze, ci siete?
Emma scosse la testa e sembrò tornare in se. Non voleva mostrare alle amiche la sua paura. – Ehm … si, si- balbettò.
Alex non rispose. L’amica le scosse un braccio. – Terra chiama Alex! ma dove hai la testa?
La mora la guardò senza capire, poi cambiò discorso. – Sapete che ore sono?- chiese.
Emma cacciò fuori il telefonino e controllò. – Quasi le cinque- rispose.
Alex sgranò gli occhi e sembrò cadere dalle nuvole. – Cosa?! Ma è tardissimo! Devo andare!
Stava per correre via quando Bella l’afferrò per un braccio e la riportò indietro. – Tardi per cosa?- domandò, inarcando un sopracciglio.
Alex avvampò e puntò lo sguardo per terra, a disagio. – Io … ecco … io ho … un impegno- balbettò.
- Un impegno, eh? Sicura che non sia un appuntamento?- domando la bionda, maliziosa.
Ora la mora era visibilmente rossa in faccia. Le due bionde si guardarono, senza capire.
- Alex, guarda che non c’è niente di male se esci con un ragazzo … - la rassicurò Emma.
Alex le guardò. – Beh … si, può darsi che io abbia un appuntamento.
Bella si lasciò sfuggire un gridolino di felicità. – Davvero? E chi è? Come si chiama? È carino?
Alex cercò di liberarsi dalla presa. – Ok, basta. Io devo andare!
- Oh, andiamo! Dicci almeno chi è!
La mora guardò prima l’una, poi l’altra. Borbottò qualcosa di incomprensibile e le altre, non capendo, si avvicinarono un po’ di più. Lei sbuffò esasperata. – Con Percy!- sbraitò – Devo uscire con Percy!
Le due amiche si guardarono maliziose. – Cosa sono quelle facce? Usciamo solo come amici!- si affrettò a dire lei.
- Si certo, come no. E poi magari vi date anche il bacino della buona notte- fece Emma sarcasticamente.
Alex la guardò torva. Le avrebbe risposto se Bella non si fosse intromessa.
- Cosa indosserai?
Le ragazza ci pensò un po’ su, poi scrollò le spalle. – I miei soliti abiti.
- Cosa?!- fecero in coro le altre due. – Stai scherzando vero?
- No, perché?
Alzarono gli occhi al cielo.
- Qui urge un aiuto!- fece Bella. 
- Un grosso aiuto- la corresse Emma.
- Io non ho bisogno del vostro aiuto!
- Oh si invece!- le due ragazze la presero sotto braccio.
- Vedrai- le assicurò Bella – Ti renderemo così bella che Percy non crederà ai suoi occhi!
Le bionde risero e, mentre Alex sbuffava, la trascinarono a casa, pronte per un restauro completo.
 
Percy entrò in casa quasi completamente sporco di neve. Rimase sull’uscio per togliersi giubbotto, sciarpa e cappello, poi andò in cucina.
Lì la madre guardava fuori dalla finestra. Tamburellava le dita sul davanzale, un po’ nervosa. Si era messa in tiro per un colloquio di lavoro. Indossava il suo migliore completo blu e le le scarpe con i tacchi. Appena vide entrare il figlio fece un grosso sorriso.
- Percy!- esclamò. Gli andò incontro e gli piazzò un bacio sulla guancia. – Come stai?
Lui annuì e andò ad aprire il frigo per prendersi una Coca Cola. – Tu invece? Sembri nervosa.
Sally sospirò – Benone.
- Non avevi un colloquio?
- Si, ma ho preferito aspettare che tornassi. Così, per essere più sicura.
Lui annuì di nuovo. Essere la mamma di un mezzosangue non era facile, e lo sapeva. Stare a casa, aspettando che tuo figlio torni, se torna. Non sai mai cosa gli sia successo. Se è in ritardo per un contrattempo o perché è stato divorato da un mostro. Sally era davvero un donna paziente.
- Beh- fece il figlio. – Allora buona fortuna.
La madre annuì. – Grazie. Anche a te con il tuo appuntamento …
- Non è un appuntamento- protestò. - È solo Alex, mamma. Ma figurati …
- Viene qui apposta per te.
- Beh, si.
- Andate a cena fuori.
- Si.
- E poi a fare un giro.
- M-mh.
- Voi due soli …
- Mamma!
Lei alzò le mani in segno di resa, ma lui vide benissimo che si stava sforzando di non sorridere. – Sarà meglio che vada, caro. Ci vediamo stasera.
Stava quasi per andarsene quando Percy la chiamò. – Ah, mamma!- lei si voltò. Si grattò la nuca imbarazzato. – Mi stavo chiedendo se … potessi prestarmi la macchina.
Lei strabuzzò gli occhi. – Perseus Jackson! Tu non puoi guidarla!
- Ho il foglio rosa.
- Si, ma ti serve la supervisione di un adulto!
- Oh, andiamo. Non posso portare fuori Alex in metropolitana!
La donna restò in silenzio, guardandolo severamente, le braccia incrociate sotto il seno. Lui allora fece gli occhi dolci, da cane bastonato. A quel punto lei si sciolse. – Va bene- disse. – Prenderò io la metropolitana.
- Grazie!- esultò il ragazzo ed andò ad abbracciarla. La mamma si sforzò di essere seria, ma nella sua espressione si intravedeva un tono divertito.
- Si ma fai attenzione!- lo ammonì. Lui annuì. A quel punto Sally sorrise. – Quindi ammetti che è un appuntamento?
Lui alzò gli occhi al cielo, pensando. Poi le baciò la fronte. – Può darsi
Lei annuì, contenta. Prese il cappotto e usci di casa, lasciando Percy solo a prepararsi.
 
Alex prese un giubbino di pelle al volo ed uscì di casa.
Bella ed Emma erano rimaste lì fino a pochi minuti prima, consigliandola su cosa mettere. Alla fine l’avevano “costretta” ad indossare una maglia bianca con maniche a pipistrello e un ampio disegno di un cuore nero frontale; la maglia le lasciava una spalla scoperta, per cui sotto vi mise una canotta nera. Poi un jeans nero attillato ad effetto pelle, comodo e leggero, e delle scarpe col tacco nere e lucide.
Anche se aveva fatto molte storie per indossarli, alla fin fine le piacevano.
Le ragazze l’avevano anche truccata e le avevano reso i capelli lievemente gonfi. Si sentiva bellissima. Era bellissima.
Percorse la strada con calma, sapendo di essere in lieve anticipo. Di solito agli appuntamenti si faceva sempre desiderare, arrivando addirittura con mezz’ora di ritardo. Quella volta, invece, non vedeva l’ora di andare e di trascorrere una bellissima serata con Percy, quel ragazzo dai capelli scuri e gli occhi chiari, indecifrabili, ora blu, ora verdi, ora trasparenti.
Quel ragazzo che la faceva stare bene e che le faceva dimenticare, anche solo per un momento, tutto ciò che di brutto le passava per la testa. Si erano dati appuntamento al “Juice Net Café”, dopo che Alex lo aveva supplicato di non andare a prenderla a casa. Non voleva che scoprisse la sua situazione.
Quando arrivò lui ancora non c’era, così rimase lì ad aspettarlo, quando una voce da dietro la salutò.
- Ehi!
Alex si voltò di scatto, allarmata. Due occhi verdi la guardavano guizzanti.
- Come stai?- le chiese Justin sfoderando il suo sorriso migliore.
Alex deglutì in preda all’agitazione, la gola secca. Annuì, abbassando lo sguardo.
- Sei bellissima!- esclamò di nuovo lui.
- Che cosa vuoi Justin?- lo ammonì lei, visibilmente scocciata. Lui scrollò le spalle.
- Niente, volevo solo salutarti.
- Bene, ora l’hai fatto. Ci si vede in giro, eh?- Fece per andarsene ma lui le prese un braccio e la trattenne.
- No, aspetta. Non andare. Io … io volevo parlarti- cercò di fare la faccia da ‘cane bastonato’ meglio che poteva, ma lei non lo stava guardando in faccia. – Non hai risposto alla mia domanda. Come stai?
Lei alzò lo sguardo. – Bene, ma non grazie a te!
Lui fece scivolare la mano lungo il suo braccio, fino a stringerle la mano – Perché sei sempre così brusca con me?
- Perché non dovrei esserlo?
Lui sospirò. – Sei bellissima.
- L’hai già detto- disse in tono sbrigativo.
- Beh, ma è la verità. A cosa dobbiamo tanto splendore?
Alex alzò gli occhi al cielo, esasperata. – Justin, te lo ripeto. Che cosa vuoi?!
Il ragazzo abbassò lo sguardo. – Ok, senti- disse, in un tono meno dolce, più serio. – Da quando ci siamo lasciati non dormo più. Sto male e penso a te continuamente. Ho persino smesso di mangiare! Mi manchi tanto, e vorrei ricominciare tutto da capo …
Alex stavolta sostenne il suo sguardo – Perché dovrei crederti?- domandò, con tono freddo e privo di pietà.
- Perché è la verità! Tu leggi nel pensiero, giusto? Bene, allora sai che non sto mentendo. Sono serio, cavolo. Vedilo se non ci credi!
È vero, poteva farlo, ma non lo fece. Non le interessava quello che quel ragazzo provava per lei. Non le interessava che fosse pentito e che l’amasse ancora. Non le interessava più niente di lui. Scosse la testa.
- Non mi interessa. Perché per me non è lo stesso- Cercò di divincolarsi dalla sua presa ma lui strinse di più.
- Non puoi negarlo, Alex!- esclamò. – Non puoi negare quello che c’è stato tra noi! Non puoi negare quello che c’è ancora!
- Tra di noi non c’è niente!- fece lei, seria.
- Come fai a non sentirlo? Come fai a non accorgerti di quello che senti per me!
Lei sorrise amaramente. – Ho smesso di sentire delle cose per te molto tempo fa. Ho anestetizzato i miei sentimenti talmente a lungo che avevo davvero il desiderio di provare qualcosa e non ci riuscivo. E sai perché? Perché dovunque andassi, qualsiasi cosa mi inventassi, gira e rigira era sempre con te che mi ritrovavo a fare i conti. E questo mi faceva impazzire. Ora, finalmente, provo di nuovo qualcosa, ma questo qualcosa non è per te. È facile piangersi addosso, Justin. Ma ormai non serve più.
Lui irrigidì la mascella. - È per Percy vero? Sei innamorata di lui- non era una domanda.
Alex rimase in silenzio. Avrebbe voluto dirgli di no, avrebbe voluto dirgli che per lei era solo un amico, che per lui non provava niente. Ma sapeva che avrebbe mentito. Aprì la bocca per replicare quando, improvvisamente, un braccio le cinse le spalle.
- Ciao piccola!- esclamò Percy. Le stampò un bacio sulla guancia – Sei bellissima stasera!
Fece finta di aver appena visto il ragazzo, che stringeva ancora la mano di Alex. Lei la ritirò subito. – Ehi Justin!- disse sfoderando un sorriso. – Come va?- allungò la mano per stringergliela. Justin guardò prima Percy, poi Alex. Lei alzò le sopracciglia, con fare ovvio. Lui sorrise amaramente e, con riluttanza, strinse la mano del moro. 
- Bene- finse. Alex fu colpita da quell’atteggiamento così pacato, ma non lo diede a vedere.
- Beh- sospirò Justin, infilando le mani nelle tasche del giubbino. – Sarà meglio che vada- Poi guardò Alex.
- Ci si vede- disse, salutando i ragazzi con un cenno del capo. Percy fece un finto sorriso e lo saluto strafottente con la mano.
Quando Justin ebbe raggiunto i suoi amici, Alex guardò il ragazzo, che le stava ancora cingendo il collo con un braccio, inarcando un sopracciglio. – Ciao piccola?- domandò, divertita.
Lui tolse immediatamente il braccio e abbassò lo sguardo, arrossendo. – Si, beh, volevo darti una mano- disse indicando il ricco con un cenno. Quest’ultimo li stava fissando, indispettito.
Alex sorrise, riconoscente. – Ti consiglio di non dirlo più con nessuna ragazza. Fa troppo ‘tipo tosto’, e non ti si addice per niente.
Lui la guardò, inarcando un sopracciglio. – Mi stai dando del pappamolle?
Lei gli diede un pugno amichevole sul braccio. – No, Testa d’Alghe! Ti stavo dando del bravo ragazzo.
Lui arrossì, sperando di non darlo a vedere. – Beh, in questo caso … grazie.
Lei gli diede un bacio sulla guancia. – No, grazie a te.
Ok, affermativo. Ora era rosso come un peperone. Lei si guardò intorno – Allora?- domandò. – Ordiniamo una pizza?
Lui scosse la testa. – Scherzi? Ho una sorpresa per te!
Lei lo guardò, incuriosita. – Di che sorpresa si tratta?
Lui sorrise maliziosamente – Se te lo dicessi non sarebbe più una sorpresa, no? E non provare a leggermi nel pensiero, perché farò in modo di pensare ad altro- annunciò facendole l’occhiolino.
La mora sorrise. – Comunque dicevo sul serio prima, sai?- fece lui.
Lei aggrottò la fronte. – Su cosa?
Percy si grattò la nuca, imbarazzato. – Sei davvero bellissima stasera.
Lei arrossì e lo guardò. Anche Percy non era niente male. Indossava una camicia azzurra bella che stirata, un paio di jeans e le Converse blu, ma c’era un certo fascino in più in lui quella sera. – Anche tu- ammise la mora.
Poi, superato il momento di imbarazzo, si accertò che Justin stesse guardando e prese sotto braccio il ragazzo.
- Allora? Questa sorpresa?- disse sorridente.
Lui, rimasto senza parole, la accompagnò fuori e si sforzò di non apparire rosso difronte a quella bellissima ragazza.
 
Percy cercava di guidare con prudenza nella macchina della madre. Aveva le dita serrate sul volante, tanto da far diventare le nocche bianche. Era nervoso, ma non sapeva il perché.
Alex, seduta al posto del passeggero guardava affascinata fuori dal finestrino la neve cadere. Era sicuramente una fredda giornata invernale, ma lei, da quando aveva i suoi poteri, ormai non sentiva più il freddo, non sentiva più gli sbalzi di temperatura. Il suo corpo era perennemente caldo. E quella neve, bianca e candida, le sembrava solamente una massa di zucchero filato.
Attraversarono la 15th Sts. e si fermarono alla 9th Avenue. Percy parcheggiò e, una volta sceso, aprì la portiera di Alex e le porse la mano. Lei sorrise, divertita da tanta galanteria. Poi, resasi conto del posto insolito dove si trovavano si guardò in torno, smarrita.
- Che ci facciamo qui?- domandò.
- Vieni- rispose semplicemente lui, prendendola per mano e trascinandola dall’altra parte della strada. Si fermò davanti ad un edificio. Alex alzò lo sguardo. Un’enorme insegna di metallo, ora illuminata da una luce arancione, si ergeva grande e imponente. In diverse lingue era scritto lo stesso, identico nome.
- Buddakan!- esclamò Alex entusiasta. Poi guardò Percy con sospetto. – Non avrai mica … ?
Lui sorrise, e prima di farle finire la frase la portò verso l’ingresso. Lì un uomo basso e paffutello accoglieva gli ospiti, prendendo le presenze. Percy gli si avvicinò. – Salve- disse.
L’uomo non alzò lo sguardo dalla sua lista. – Abbiamo prenotato- continuò il ragazzo. Stavolta quello lo guardò di sottecchi, squadrandolo da capo a piedi. 
- Nome?- chiese, disinteressato.
- Jackson.
Lui controllò sulla sua lista, facendo scorrere le sue dita grassottelle fino alla J. Quando lo trovò sembrò molto sorpreso. Guardò con un sopracciglio inarcato i due ragazzi davanti a se, poi annuì. – Tavolo per due- annunciò. – Prego, seguitemi.
Li scortò dentro, facendoli passare in mezzo alla sala. Alex strabuzzò gli occhi. Quel ristorante, grande ed infinito, era bello da morire. L’atmosfera surreale di quel posto combinava la serenità dell’Asia con la stravaganza del XVI secolo di Parigi. Le pareti erano di un oro vivo ed acceso proprio come il pavimento di legno. I tavoli, lunghi anche 24 posti, erano decorati con posate d’argento e tovaglioli bianco panna, ed addobbati con delle candele profumate, che davano un effetto ancora più soft all’intera stanza. Si ergeva su due piani, pieni di persone raffinate che mangiavano e ridevano.
L’uomo grassottello li fece entrare in una stanza. Era molto più rustica, ma comunque magnifica. Le pareti erano in mogano, esattamente come i tavoli ed il pavimento. Le sedie decorate con una fantasia zebrata. C’erano solo posti doppi, la maggior parte occupati da coppiette. Li fece accomodare ad un tavolo vicino la parete e, dopo avergli augurato freddamente buona serata, se ne andò , lasciandoli soli.
Si sedettero uno di fronte a l’altro. Alex continuava a guardarsi intorno. Dall’altra parte della stanza c’era un lunghissimo bancone di legno, dove sedevano le persone andate da sole e dove i camerieri facevano uscire alcune tra le più prelibate pietanze. La ragazza guardò estasiata Percy, che era in attesa di una risposta che non arrivava.
- Allora?- chiese, teso.
Lei sorrise apertamente. – Tu sei pazzo!- esclamò.
Finalmente si rilassò e si guardò intorno, contemplando l’ambiente. – Sono contento che ti piaccia.
- Scherzi? È uno dei ristoranti più belli che o abbia mai visto. Non avrei mai pensato che ci sarei entrata!
Lui la guardò, meravigliato. Adorava quella ragazza. Gli piaceva il suo modo di fare, gli piaceva la sua sincerità. Gli piaceva quando si guardava intorno meravigliata, estasiata, proprio come fa una bambina quando entra per la prima volta in un parco divertimenti. Lei si accorse che lui la fissava e sorrise.
- Che c’è?- chiese. Lui alzò le spalle, sorridente.
- Sei bella quando ridi- disse. Lei si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, abbassando lo sguardo imbarazzata. Stava per rispondere grazie quando una voce li affiancò.
- Salve, volete ordinare?- chiese un cameriere alto e snello. Lei prese velocemente il menù e iniziò a sfogliarlo. Anche lui, dopo essersi passato una mano fra i capelli in imbarazzo, fece lo stesso. Alex lo guardò di sottecchi, sorridendo al suo imbarazzo. Poi chiuse di scatto il menù.
- Un pollo con gamberi e funghi- ordinò. Il cameriere prese nota sul suo taccuino. Poi fissò Percy.
- E per lei signore?- Il ragazzo guardò prima lui, poi Alex, poi di nuovo il cameriere. Doveva decidere in fretta, non voleva farlo aspettare, né tantomeno fare la figura dell’indeciso davanti ad Alex. guardò il menù e lesse la prima cosa che vi trovò scritta.
- Calamari alla “Gong pao”.
Il cameriere inarcò un sopracciglio. – N’è sicuro?
Percy sembrò offeso. – Certo!
Il cameriere annuì e segnò anche quello sul suo taccuino. – Molto bene. Un pollo con gamberi e funghi e dei Calamari alla “Gong pao”. Arriveranno in un attimo- e scattò in cucina.
I due ragazzi si guardarono, senza dire una parola. C’era un evidente imbarazzo nell’aria, causato dal silenzio che si spezzò non appena il cameriere tornò con i due piatti. Porse il pollo di fronte a lei e i calamari di fronte a lui, augurò buon appetito e se ne andò.
Percy guardò il suo piatto. Aveva un bell’aspetto. Prese una forchetta e lo assaggiò. Alex lo guardò in attesa.
- Com’è?- chiese.
Lui aggrottò le sopracciglia e ingoiò – Buono. Piccante. Forse un po’ freddo.
La ragazza sorrise. – Aspetta, ci penso io- disse. Si guardò intorno e, assicuratasi che nessuno la osservasse, inarcò le dita della mano fino a chiuderla in un pugno. I calamari iniziarono a riscaldarsi fino a sprigionare un denso e saporito fumo.
Lui annuì. – Comodo- commentò.
In quel momento tornò il cameriere. – Allora signori, come sono i vostri piatti?
Entrambi risposero con un “molto buoni”. Il cameriere si girò a guardare Percy. – E i suoi calamari?
Il ragazzo annuì. – Davvero ottimi!
Sul viso dell’uomo si disegnò un ampio sorriso. – Mi fa piacere. Sa, la maggior parte delle volte la gente non li ordina, perché troppo piccanti. Ma noi abbiamo un segreto. Li lasciamo freddi, perché se riscaldati rischiano di diventare piccantissimi e immangiabili.
Ma ormai era troppo tardi, perché Percy aveva già preso un altro boccone. La bocca iniziò a riscaldarsi e la sua lingua andò in fiamme. Strabuzzò gli occhi. Alex si mise una mano davanti alla bocca per non ridere. Lui avrebbe voluti sputare il boccone ma, accortosi della presenza del cameriere non lo fece.
- Signore, si sente bene?- chiese l’uomo, appoggiandoli una mano sulla spalla.
Percy non riusciva a parlare. Accennò un sorriso e fece segno di si con la mano. Il cameriere guardò stupito Alex, che si stava ancora sforzando di non ridere. 
- Prego, può andare- disse lei, cercando di avere un tono serio.
Lui li guardò un’ultima volta, incuriosito, poi se ne andò. In quel momento Percy non ce la fece più. Prese un tovagliolo e vi sputò dentro la poltiglia informe che era diventato quel calamaro. Poi prese un bicchiere d’acqua e lo sgolò fino all’ultima goccia.
- Piccante- boccheggiò.
Alex ora non tratteneva più il suo divertimento. Iniziò a ridere a più non posso, con le lacrime agli occhi, facendo girare alcuni dei presenti. Percy si pulì la bocca. – Lo trovi divertente?
Lei annuì con veemenza. – Eccome!- rispose tra una risata e l’altra. – Dovevi vedere la tua faccia! Eri rosso come un peperone e pensavi “Acqua! Acqua!”. E poi dovevi sentire i suoi pensieri! Era sconvolto. Non capiva cosa stesse succedendo!- continuò a ridere.
Percy la fissò, assumendo un’espressione pensierosa. – A volte vorrei sapere cosa pensi tu, invece.
Alex smise di ridere. Guardò il ragazzo negli occhi, che ora erano verdi come due smeraldi. Poi abbassò lo sguardo sulle sue mani, che giocavano con il lembo del tovagliolo. L’espressione seria e triste. Lui si grattò la nuca. 
- Mi dispiace- disse. – Io … non volevo …
Lei scosse la testa. – No. Non preoccuparti. È che … non ho mai pensato di esternare i miei pensieri a qualcuno.
Ora Percy si sentiva un mostro. Iniziò a roteare la forchetta fra le dita, nervoso. Poi Alex sospirò e iniziò a parlare:
- Negli ultimi anni ho sempre superato le prove più difficili e imparato a brancolare nel buio con gli occhiali scuri. Temevo il freddo della solitudine. Temevo l’abbandono. A volte l’unico modo per ritrovare la forza era sedermi al tavolo di una pizzeria e consolarmi col profumo di origano, acciughe e pomodoro, oppure mettermi lì, davanti ad una tela bianca, e disegnare, anche cose senza senso.
Alzò lo sguardo. Percy non la stava guardando. Sorrise. – Ma ora, invece, tutto è cambiato. Sento di potercela fare. Sono riuscita ad accendere piccole luci e grandi fori. So di poter scegliere la mia strada, seguendo illuminazioni interiori ed usando energie alternative. Ora, finalmente, ho il mio riscatto. Sono felice.
Si interruppe. Percy aveva alzato lo sguardo, sorridente, e la fissava come solo lui sapeva fare. Lei guardò il suo piatto, poi lo spinse al centro del tavolo.
- Tieni. Mangia questo. Quei cosi sono disgustosi.
- E tu?- chiese, titubante.
Lei scrollò le spalle. – Lo mangiamo insieme, che domande! Anch’io ho fame, sai?
Lui sorrise e guardò il piatto. Il pollo aveva un aspetto delizioso. Presero entrambi una forchetta e, presi da una fame improvvisa, iniziarono a mangiarlo, non lasciando nel piatto neanche un fungo.
 
Pagarono e uscirono dal ristorante, salutando il grasso concierge che ancora li guardava disgustato. Salirono in macchina ed andarono dritti all’entrata del porto sul fiume Hudson, sulla rocciosa Liberty Island. Sopra le loro teste una donna di 93 metri con un’armatura guardava New York. La fiaccola che aveva in mano un faro nella notte.
- La Statua della Libertà di notte è ancora più bella- commentò Alex, affascinata. Percy annuì, anche se della Statua non glie ne importava niente. Lui preferiva ammirare Alex.
- Ti va di fare un giro a Central Park?- le chiese.
Lei lo guardò e gli sorrise. – Ma certo!- disse annuendo.
Così iniziarono a camminare e, parlando del più e del meno, non si accorsero neanche di camminare per le strade del grande parco, di notte totalmente illuminato dai lampioni, reso candido dalla presenza della neve.
Alex mise un braccio sotto quello di Percy. Lui all’iniziò sembrò imbarazzato, ma poi si rilassò, facendola sembrare la cosa più normale del mondo. E infatti lo era. Quello che stava nascendo fra di loro era una cosa così vera, così pura, così bella, che nessuno dei due ragazzi voleva farne a meno. Quindi, mentre camminavano sorridendosi l’un l’altra, Alex non si rese neanche conto che quello era il posto orribile dove fino a poche ore prima aveva combattuto con l’Echidna. Anzi, le sembrava il posto più bello del mondo. A vederli camminare insieme chiunque avrebbe pensato che stessero insieme, e a loro non dava fastidio.
Una goccia scese lungo la guancia di Percy. Lui guardò in alto.
- Che c’è?- domandò Alex.
- Credo stia per piovere.
- Oh no!- fece lei visibilmente dispiaciuta. – Hai l’ombrello, per caso?
Lui si portò una mano alla testa. – Oh, si. Ma è rimasto in macchina!
Fantastico. La macchina era a circa un’ora da lì. Si sarebbero di sicuro bagnati.
- E quindi che … perché ti stai levando il giubbotto?- disse, guardando il ragazzo.
- Ti va una corsetta sotto la pioggia? A me per niente!
- Ma prenderai freddo così!- si preoccupò.
- Starò bene!- le sorrise e, dopo averle cinto le spalle con il braccio, coprì le teste di entrambi con la sua giacca, che grazie ai suoi poteri divenne un perfetto impermeabile. Risero insieme, correndo sotto la pioggia, attenti a non finire nelle pozzanghere, osservandosi l’un l’altra, di sottecchi, per raggiungere la macchina, mentre la pioggia cominciava a scendere sprezzante.
 
Arrivarono sotto casa di Alex. Percy aprì l’ombrello e fece scendere la ragazza, per poi accompagnarla davanti la porta. Arrivati lì lo richiuse. Sarebbero stati inghiottiti dal buio se non fosse stato per le lanterne appese nella veranda, che cambiavano totalmente atmosfera.
- Fortuna che non è andata via la luce- esclamò Alex prendendo le chiavi. Prima di aprire, però, si girò a guardare Percy. – Sono stata benissimo stasera.
Lui sorrise. – Anch’io.
Annuì – Beh, ci vediamo.
- Ci vediamo- E fece per darle un bacio sulla guancia, ma inciampò in una lastra di legno rialzata. Lei si girò di scatto e si ritrovarono in uno di quei momenti perfetti da film, quando le mani si toccano e sai che i protagonisti stanno per baciarsi. Solo che quella volta non si trattava di mani, ma delle sue braccia, che per attrito l’avvolsero, spingendola verso il suo petto. Le loro labbra ad un soffio. I loro sguardi incatenati. Gli occhi di lui, diventati azzurri come il cielo, e gli occhi di lei, dello stesso colore del cioccolato fondente, tanto scuri da non riuscire quasi a distinguerne la pupilla.
- Se ci vedesse tuo padre, mi ucciderebbe!- sussurrò, senza lasciarla andare.
- In questo momento ti importa davvero di mio padre?- e gli sorrise.
E se in teoria, Percy avrebbe dovuto allontanarsi e tornare in macchina, in pratica era tutta un’altra cosa, perché la ragazza dagli occhi scuri aveva il sorriso più bello che avesse mai visto. – Probabilmente no- rispose, la gola secca, le parole che gli uscivano a fatica.
Lei lo accarezzò in volto. – Va tutto bene?- gli domandò. – Sembra che tu abbia visto un fantasma.
Lui annuì. – Si. Sto benissimo- balbettò, incerto.
Lei sorrise e, passandogli dolcemente una mano tra i capelli, si avvicinò al suo orecchio. – Sei pallido. Ti faccio quest’effetto?- gli sussurrò, prima di lasciarli un dolce bacio sulla guancia, sciogliere l’abbraccio e rientrare in casa.



Angolo Scrittrice.
Salve gente! Ed ecco finalmente il capitolo tanto atteso! L'appuntamento tra questi due sciocchi, che si piacciono da morire ma che non hanno neanche il coraggio di darsi un bacio. Beh, che dire, Percy è proprio cotto! Ormai lo abbiamo persoo! *ride* e ha sorpreso Alex alla grande, portandola in uno dei ristoranti più costosi di New York, il Buddakan. Non so se lo conoscete, così vi lascio una foto, per farvene avere un'idea.
Io amo questo ristorante, è bellissimo.
Commentate mi raccomando, aspetto ansiosa un vostro responso!
baci baci
ValeryJackson :)

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Capitolo 27
*** A lezione di pattinaggio ***


Esistono mattine in cui si darebbe qualsiasi cosa per poter restare a letto, protetta dalle candide lenzuola, e magari dormire tutto il giorno.
Già, un letto. Era tanto tempo che Zoe non ne aveva uno. Negli ultimi anni aveva sempre dormito negli hotel, a volte anche per strada. Ma un letto tutto suo, dove potersi sdraiare quando si è stanchi. Dove poter buttare la testa quando si vuole piangere. Dove dormire.
Le mancava quella sensazione. Aveva quasi dimenticato come fosse svegliarsi la mattina e non doversi preoccupare di alzarsi e fare i bagagli, poiché dopo di te arriverà qualcun altro ad occupare quel posto.
Quel letto era suo, e voleva goderselo fino alla fine.
A svegliarla fu una voce caprina.
- Sveglia bella addormentata!- disse Grover strattonandola dolcemente. Zoe mugugnò qualcosa di incomprensibile e il satiro rise. - È ora di alzarsi- continuò.
Zoe cacciò la faccia da sotto le coperte. – Va via!- urlò.
- Ma devi alzarti!
In quel momento Zoe sgranò gli occhi. – Che diavolo ci fai tu in camera mia?- sbraitò mettendosi seduta sul letto.
- Sono venuto a svegliarti, dato che è mezzogiorno e non hai ancora fatto il giro del campo.
- Giro del campo?- domandò lei, stropicciandosi gli occhi.
Grover annuì. – Si, e io sarò la tua guida personale!- annunciò, gonfiando il petto.
Lei inarcò un sopracciglio. – Tu? Non potevano affidarmi direttamente ad un idiota? Devo anche sopportare i tuoi versi caprini?
Lui mise in broncio. – Non sono un idiota- replicò, facendo un labbruccio da cucciolo.
A quell’espressione Zoe rise di cuore.
Grover la guardò. – Ti faccio tanto ridere?- La bionda annuì con veemenza. – Bene, allora addio giro del campo!- la minacciò lui, alzandosi dal letto.
- No, no. Aspetta!- disse lei, tirandolo per un braccio. – Mi va di fare il giro!
Lui sorrise. – Bene- disse usando un tono sarcasticamente gentile. – Allora si prega la signoria vostra di vestirsi e pettinarsi. Il vostro umile schiavo vi aspetta qui fuori.
Lei sorrise, il sorriso più bello che Grover avesse mai visto. – Grazie capra!- esclamò, lasciandogli il braccio.
- Satiro! Sono un satiro!- borbottò lui, gesticolando con le braccia, mentre si avviava alla porta.
Zoe si guardò in torno. – Aspetta! Dove sono i vestiti?
Grover le indicò una sedia con un cennò. – Lì ce ne sono alcuni puliti. Poi te ne daremo altri.
La bionda li guardò, disgustata. – Intendo i miei di vestiti- disse, sottolineando la parola "miei".
Lui fece spallucce. – Credo nell’armadio, vedi tu. Ma ti consiglio di non metterli. Erano sudici e sporchi.
Incrociò le braccia sotto il seno. – A me piacevano.
Il satiro sorrise. – Ti aspetto fuori- e chiuse definitivamente la porta.
Zoe si alzò, abbandonando il caldo bozzolo che si era creata con le coperte. Dopo essersi rinfrescata il viso andò a controllare quelli che dovevano essere i suoi nuovi vestiti. C’erano una semplice maglietta arancione con su scritto “Campo Mezzosangue” e un paio di jeans attillati, troppo per i suoi guasti! Doveva averglieli prestati qualche figlia di Afrodite. Anche le scarpe erano nuove. Dorate e sbrilluccicanti, completamente pulite. Simili alle sue.
Anzi no! Erano le sue.
Aprì l’armadio e controllò. I suoi vestiti erano lì, completamente in ordine, lindi e pinti.
Zoe prese la sua maglietta. Non la ricordava così bianca. Da quand’era che non la lavava?
Forse Grover aveva ragione. Forse erano davvero sudici e sporchi.
La rimise nell’armadio, prese i suoi nuovi vestiti e li indossò. La maglietta era comoda e molto carina. I pantaloni, sebbene attillati, non le dispiacquero. Al contrario! Le facevano un fisico snello e slanciato, valorizzando la flessuosità delle sue gambe.
Infilò le scarpe. Poi si guardò allo specchio.
Mentre si pettinava continuava a fissarsi, incredula. Ripulita e rivestita sembrava tutta un’altra persona. Aveva il viso tondeggiante, le guance scavate da delle fossette. Le sopracciglia, spesse e scure, le valorizzavano i grandi occhi verdi.
Non ricordava molto del giorno prima, solo che quando le figlie di Afrodite l’avevano vista le si erano accalcate intorno, facendole ceretta, manicure e pulizia dl viso, e guadagnandosi le sue imprecazioni.
Non sapeva perché le aveva lasciate fare. Forse perché non ne aveva mai fatta una, e non aveva idea di quanto facesse male, o forse perché non aveva mai avuto delle amiche che si preoccupassero per lei, a tal punto da occuparsi del suo aspetto.
Anzi, non aveva mai avuto delle amiche.
Si tirò indietro i capelli con un cerchietto, lasciando la fronte scoperta.
Stava per uscire quando iniziò a sfregarsi le mani. Aveva freddo. Si guardò intorno, alla ricerca di un cappotto, ma non c’era.
Possibile che avevano pensato a lavarle i vestiti e non a procurarle un giubbino?
Aprì l’armadio e afferrò al volo i suoi scaldamuscoli e la felpa. Li indossò e si avviò alla porta. Poi si bloccò di colpo.
Si girò lentamente e iniziò a guardare la stanza intorno a se. Non sapeva esattamente perché lo faceva. Forse era solo un modo per non scordare la sua nuova, prima, vera stanza. Era strana, ma voleva ricordarla così.
C’erano in tutto dodici letti, più della metà occupati da altri ragazzi. Il suo era vicino alla finestra. Accanto al suo letto c’era un armadio, e accanto a quello tre scrivanie, tutte riempite di cianfrusaglie, compiti, fogli e armi. Le pareti erano bianche, ma non si vedevano molto, perché su ogni letto vi erano appese foto, poster e cartoline, in base alla persona che vi dormiva. Il suo era l’unico vuoto. Avrebbe voluto metterci qualcosa, ma non sapeva cosa. Lei non aveva bei ricordi da fotografare. Non aveva mai ricevuto delle cartoline. Non aveva un idolo.
In quel momento si sentì un vuoto nello stomaco. La sua infanzia era davvero così tremenda? Possibile che non aveva neanche un bel ricordo? Beh, in realtà un l’aveva, ma non aveva foto per ricordarlo.
Cacciò da sotto la maglietta una catenina d’oro. Vi era appeso un uccello, con le ali spiegate, in volo. Quella collana era molto, troppo importante per lei, ed era il suo unico ricordo. La fissò per un attimo e una lacrima silenziosa le rigò la guancia. Se la asciugò con il palmo della mano, poi corse fuori, dove Grover la stava aspettando già da un po’.

Alex continuava a camminare.
Stava attraversando il campo sovrappensiero, a volte spintonando i ragazzi che le intralciavano la strada.
Continuava a guardare un punto indeterminato davanti a se. Poi si fermò. Un vento gelido le scosse i capelli, facendole salire un brivido lungo la schiena.
Si voltò nella direzione da cui proveniva e, inarcando un sopracciglio, andò a controllare. Camminò, finche non si ritrovò in cima ad una piccola montagnella.
Come era arrivata fin lassù? Per quanto tempo aveva camminato? Non ne aveva idea.
Guardò di sotto. Da lì si vedeva tutto il campo. Zoe stava creando una piccola bufera nell’arena, con Grover accanto che batteva i denti infreddolito. Il vento proveniva da lei. Nell'arena di tiro con l’arco Bianca si allenava, sovrappensiero, senza accorgersi che Michael la stava fissava. Alcune ragazze ridevano e scherzavano vicino ai campi di fragole.
Guardò in direzione del lago, sperando di trovarvi qualcosa, o meglio, qualcuno in particolare. Ma, al posto del lago, vide un’enorme massa di ghiaccio. Sulla sponda, Emma aveva le mani protese in avanti.
Aggrottò la fronte. Che stava combinando?
Fece qualche passo indietro e poi, con un salto da maestra, si buttò giù. Mentre precipitava pensò una sola cosa. “Fiamma”.
Il suo corpo fu invaso dalle fiamme e lei si ritrovò a volteggiare in aria.
Raggiunse Emma.
La ragazza, completamente concentrata, non si accorse neanche dell’arrivo dell’amica. Alex si sgranchì rumorosamente la voce. Emma perse la concentrazione e una piccola crepa si formò sul ghiaccio. Si girò a guardarla torva.
- Che c’è?- sbraitò.
Alex inarcò un sopracciglio. – Che stai facendo?
La bionda sbuffò spazientita. – Quintus mi ha ordinato di gelare il lago. Ha parlato di ghiaccio, spade e pattini …
- Pattini?
Emma annuì e indicò con un cenno un grosso sacco alle sue spalle. Alex vi si avvicinò, mentre lei tornava alla sua lastra di ghiaccio.
Aprì il sacco. All’interno vi erano tantissimi pattini, usati per il pattinaggio sul ghiaccio. Inarcò un sopracciglio. – Ha intenzione di farci fare pattinaggio? Sul ghiaccio?
La bionda alzò le spalle. – Così sembra. I suoi metodi sono strani, ma alla fine c’è sempre una morale dietro.
La mora sbuffò sarcasticamente, ricordando il difficile allenamento avuto qualche giorno prima. Richiuse il sacco e si avvicinò all’amica. Non disse una parola, scrutando il pezzo di ghiaccio che lentamente prendeva forma. Passò qualche minuto in silenzio.
- Reggerà?- chiese poi, guardando l’amica.
Questa aggrotto le sopracciglia. – Beh, ecco, io credo che … 
- Ragazze!- una voce squillante risuonò alle loro spalle. Nico correva a tutta birra lungo la discesa che portava al fiume. Fra le mani aveva un foglio, che sventolava impaziente. – Ragazze!
La discesa cominciò a farsi più ripida, e di conseguenza più scivolosa. 
- Nico, no! Fermati!- urlò Emma, ma ormai era troppo tardi.
Nico inciampò nella candida neve e iniziò una lunga e tortuosa scivolata verso il fiume. Tentò di frenare, impennando i piedi, ma non ci riuscì. Iniziava a prendere velocità. Arrivò alla sponda e scivolò, arrivando al centro del blocco di ghiaccio. Era sdraiato supino. Tremava.
- Vi. Prego. Ditemi. Che. È. Sicuro- balbettò, in preda al panico.
Emma lo fissò un attimo sbalordita, poi scoppiò a ridere. – Alzati, imbranato! È sicuro al 100%!
Nico si alzò lentamente sulle ginocchia, poi in piedi, cercando di non perdere l’equilibrio. – 100%, hai detto?
La bionda arricciò il naso. – Diciamo 99 …
Il ragazzo deglutì rumorosamente. Provò a trascinare i piedi per tornare a riva, ma rischiò di cadere. Alex sorrise.
- Prendi questi!- gridò, lanciandogli un paio di pattini, che lui prese al volo. Li fissò, poi inarcò un sopracciglio. Guardò titubante le ragazze.
- Dovrei indossare questi?
- M-mh!
- Ma … m-ma … ma sono rosa!
Alex fece spallucce. – Beh, scegli, o metti i pattini rosa, o resti lì.
Le alternative non erano molte. Infilò i pattini e scivolò maldestramente verso la riva. Quando la raggiunse si buttò a pancia in giù nella neve, ansimante.
- Io. Odio. L’inverno- balbettò, facendo ridere le due. Emma lo prese per un braccio e lo aiutò a rialzarsi.
- Ci stavi cercando?
Lui annuì, ingoiando quel po’ di saliva che gli era rimasta. – Sono arrivati altri ragazzi al campo. Cercavo Chirone.
La bionda inarcò un sopracciglio. – E non potevi andare direttamente alla Casa Grande.
Lui si grattò la nuca, imbarazzato. – Beh, ecco, io … ci stavo andando, ma … mi … sono … perso.
Emma sorrise. – Dai, ti ci porto io. Così ne approfitto per dire a Quintus che il lago è pronto.
Fece per andarsene, poi si voltò verso l’amica. – Tu vieni?
La mora scosse la testa. Lei annuì. – Ok. A dopo- mise una mano sulla spalla di Nico e lo accompagnò alla Casa Grande.
Alex scrutò ancora un po’ il ghiaccio, poi le venne un’idea.
Aprì il sacco e prese un paio di pattini. Li indossò e si lanciò sulla lastra di ghiaccio. Quella, inspiegabilmente, resse il suo peso.
Iniziò a volteggiare come solo una professionista sa fare, facendo una spirale ,un “Toe-loop”, un “Rittiberg”, un “Lutz”. Poi fece una trottola bassa e ripartì, eseguendo un “Axel” perfetto.
Si fece i complimenti da sola, eseguendo inchini a persone inesistenti, finché non sentì davvero battere delle mani.
Si guardò intorno. Dietro di lei, appoggiato ad un albero, Percy la guardava ammirato.
- Però- esclamò. – Sei davvero brava.
Lei arrossì. Si portò una ciocca dietro i capelli. – Beh, grazie.
Lui avanzò e per un attimo lei si sentì avvampare. I suoi occhi erano di un blu profondo. Lui sorrise strafottente e scosse la testa. – C’è qualcosa che non sai fare?
Scrollò le spalle, non curante. – Non so sbagliare …
Percy rise e anche lei si lasciò sfuggire un sorriso. – Tu sai pattinare?- gli chiese poi.
Lui scosse la testa. – Non ho mai provato ad imparare.
Lei lo scrutò un attimo, come in attesa di una risposta. – Beh?- fece dopo un minuto di silenzio.
Lui aggrottò la fronte. – Che c’è?
Alex alzò le sopracciglia. – Prendi un paio di pattini e vieni qui!- disse con fare ovvio.
Lui guardò il grande sacco. – Ti ho appena detto che non sono capace!
- Hai anche detto che non sapevi ballare. Se dovessi dar retta a tutte le cavolate che dici ora non saremmo qui!
Lui la guardò, stupito. Capì che diceva sul serio. – Non so neanche stare in equilibrio.
Lei scrollò le spalle. – Ti insegno io, Testa d’Alghe.
Lui sorrise. Prese i pattini incerto, li infilò e tentò di raggiungere barcollante Alex al centro della pista.
Quando arrivò accanto alla ragazza perse momentaneamente l’equilibrio. Sarebbe caduto con la faccia sul ghiaccio se Alex, con i suoi riflessi, non lo avesse retto prendendolo per le spalle. Lui si aggrappò a lei e la guardò negli occhi. Ci fu un secondo di silenzio, poi lei sorrise, l’aria che le usciva dalla bocca si condensò.
- Sta tranquillo, ti reggo io.
Lui inarcò un sopracciglio. – Tu sei ancora sicura di questa cosa?
Rise. – Certo!
- Ok … - tentò di raddrizzare la schiena. – Ma se cadiamo non è colpa mia.
Lei gli prese le mani e si posizionò davanti a lui. - È facile. Basta solo che tu mi segua.
- Ma non so farlo.
Lei gli si avvicinò ancora di più. Ora lui riusciva a sentire il suo respiro caldo sul volto. Restò a guardarla negli occhi, in silenzio, quel silenzio che fu lei ad interrompere.
- Vieni avanti- gli disse.
Lui obbedì, alzando un piede per fare un passo, ma perse quasi l’equilibrio. Lei lo sorresse.
- Non alzare i piedi. Trascinali.
Lui annuì e iniziò a trascinare i piedi sul ghiaccio. Alex era davanti a lui, conducendolo pattinando di spalle, senza lasciare le mani del ragazzo.
Percy sorrise. Andava bene. Continuava a strisciare i piedi. E se all’inizio i passi erano incerti e barcollanti, poi divennero un po’ più sicuri, e lui li eseguiva con più facilità.
- Visto!- esclamò Alex sorridendo. – Stai pattinando!
- Già- confermò lui. Poi si fermò. Tirò Alex a se e le fece fare un giro su se stessa, per poi ritrovarsela di nuovo davanti. – Ora ti porto io, però- le disse.
Lei sorrise e annuì.
I ruoli si invertirono. Ora era Percy a pattinare all’indietro e Alex a seguirlo, fidandosi di lui.
Ma faceva male. Perché, dopo qualche passo, Percy inciampò nella rialzatura della lastra di ghiaccio che Emma aveva causato all'arrivo dell'amica. Perse l’equilibrio e atterrò con la schiena a terra, trascinando con se anche Alex, ancora stretta alle sue mani, che gli cadde addosso.
Atterrarono entrambi con un sonoro PONF!
Percy aprì gli occhi e rimase paralizzato, perché gli occhi scuri della ragazza lo fissavano a cinque centimetri di distanza, i loro nasi si sfioravano, i respiri che si scontravano.
Alex rise. – Non ti facevo così imbranato Jackson! È la seconda volta che inciampi in mia presenza!
Percy sorrise debolmente. – Ti sei mai chiesta il perché? Forse è colpa tua.
Si bloccò di colpo, rendendosi conto di ciò che aveva appena detto. Ma ormai era troppo tardi, perché la ragazza aveva già smesso di ridere e ora lo guardava intensamente negli occhi.
Con quegli occhi. Quegli occhi che lo facevano impazzire. Quegli occhi che lo facevano star male. Quegli occhi che gli facevano venire la tremarella e che lo facevano balbettare. Quegli occhi che lui amava tanto.
Alex sorrise, con uno dei suoi sorrisi migliori.
Bella mossa, Chadwich” pensò Percy, ammirandolo. O almeno, quello che tentò di pensare Percy, mentre cercava di ricordare come si respirasse.
Ora il viso di Alex era più vicino, le loro labbra ad un soffio.
Lui voleva quel bacio. Lui desiderava da matti quel bacio.
E lo avrebbe ottenuto, se in lontananza non avessero sentito una voce, squillante e peperina.
- Che bello, Quintus! Davvero ci farai pattinare?- trillò Selena, con voce sognante.
Alex distolse lo sguardo e, svegliatasi da quello strato di trans, si tirò su. Percy strinse gli occhi, avvilito, e quando gli riaprì notò la mano di lei protesa per aiutarlo.
Lui la prese e si tirò su.
Guardarono entrambi verso la collina. Un gruppo di ragazzi li stava raggiungendo, guidati da Quintus. Erano molti di più di quelli che si immaginavano.
Circa una trentina, tra semidei e supereroi. Fra di loro, anche Emma e Nico. Selena era tutta impegnata in una conversazione con un ragazzo. Alex non lo riconobbe subito, ma appena si avvicinò un po’ di più non poté fare a meno di sorridere, perché la Figlia della Dea dell’Amore parlava, niente poco di meno che con Bleckerfood, il figlio di Efesto. Lui le parlava, agitando nervosamente le mani e gonfiando il petto, lei sorrideva, angelica. Bleckerfood aveva una cotta per Selena da circa tre anni, ormai, ma non aveva avuto mai il coraggio di confessarglielo. E se in teoria, in quanto figlia di Afrodite, lei avrebbe dovuto capirlo, in pratica era come tutte le altre ragazze, timida e impacciata.
Quei due si piacevano davvero. Allora perché non stanno insieme? si chiese Alex. Ma poi si accorse che lei era l’ultima persona a poterli giudicare.
Si avvicinò alla sponda e raggiunse Emma.
La bionda fissava ora lei, ora Percy, ora di nuovo lei. Inarcò un sopracciglio. – Tutto ok?
La mora non rispose. Lanciò un’occhiata furtiva a Percy, incrociando per un attimo il suo sguardo. Sorrise e si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
- Non potrebbe andare meglio- rispose.
Emma sorrise, maliziosa, capendo al volo la situazione. Afferrò un paio di pattini e raggiunse l’amica sulla lastra di ghiaccio, pronta per un’altra insolita lezione.



Angolo Scrittrice.
Salve Genteee!!! So cosa state pensando: "Che pizza questa! Non fa altro che lasciare commenti sotto ogni capitolo!" xDxDxD
Non preoccupatevi, non ci metterò molto.
Volevo solo dirvi una cosa, che non centra niente. Cioè centra ma non c'entra. Cioè ... ARGH!!! :@
Vabbè, vado dritta al punto. Oggi alla radio ho sentito la canzone di Giorgia ed Eros Ramazzotti, "Inevitabile", e mi è sembrata perfetta per Alex e Percy!!
Che ne pensate? ;D
Forse prima o poi mi farò un video su di loro, tutto per me, perchè mi ispirano troppoo!
Forse ve lo farò vedere, ma non so se si può fare. Cioé, forse si può fare, ma io non credo. Cioè... ARGHHH!!
Ma sono diventata dislessica oggi?! O.o Come Percy, ahah!
Ok, basta. Mi faccio noia da sola. Che deprekcions!! Sigh...
Vabbè, vi aspetto al prossimo capitolo. Commentate mi raccomandoooooooooo!!!!!!!
bacioni ;D
ValeryJackson

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Capitolo 28
*** Qualcosa da ricordare ***


Tese l’arco. Lo lasciò. Una freccia partì. Colpì il centro del bersaglio.
Bianca sorrise soddisfatta. Era la quindicesima che lanciava, quella mattina, e tutte avevano colpito brillantemente il bersaglio, proprio nel punto in cui voleva lei.
Quel nuovo passatempo le piaceva molto. Aveva scoperto di avere un vero talento come arciera. Ovviamente, come tutti i figli di Apollo. Non aveva mai pensato di farlo. Di tirare con l’arco, intendo. Aveva sempre avuto dei buoni riflessi, certo, ma non aveva mai sperimentato la sua mira eccezionale.
Solo tre giorni prima non era nessuno, e ora invece era la Figlia di Apollo. La sua vita era stata sconvolta, completamente. Non dormiva più nella casa di Ermes.
Quella casa brulicava di persone, perché era lì che tutti i semidei senza un genitore venivano scortati, in attesa di sapere. Erano così tanti che era stata costretta a dormire insieme a Nico, in un sacco a pelo posizionato fra il muro e John Storm, un ragazzo tanto grasso quanto puzzolente, che la notte russava rumorosamente. Era un vero inferno.
Ora, invece, dormiva nella casa di Apollo, insieme a tutti i suoi nuovi fratelli. Le dispiaceva un po’ il fatto che Nico non avesse potuto andare con lei. Se lo immaginava, ora, con il naso schiacciato contro il muro, in modo anche masochista, pur di non sentire il tanfo enorme che predominava in quella casa. Se così si poteva difinire.
Guardò le frecce che le erano rimaste. Solo due.
Ne prese una, tese l’arco, e puntò verso un altro bersaglio. La freccia lo colpì in pieno centro.
Dietro di lei due mani applaudirono. Si voltò di scatto, pronta ad attaccare.
Michael alzò le mani in segno di resa. – Ehi, calma sorellina, vengo in pace.
Bianca lo fulminò con lo sguardo. Doveva imparare meglio a controllare la sua iperattività. – Ciao- borbottò, con riluttanza. – Che vuoi?
Lui scrollò le spalle. – Niente- rispose. – Volevo solo vedere come stava la mia sorella preferita.
Bianca inarcò un sopracciglio, ma non rispose. Da quando era la sua sorella preferita? Quel ragazzo aveva il carattere strafottente degno di un figlio di Apollo.
Lui si avvicinò un po’ di più. – Posso?- chiese a Bianca, indicando l’arco con un cenno.
In quel momento si accorse di stringere forte l’arma, tanto da avere le nocche bianche. Allentò la presa e respirò a fondo, cercando di calmarsi. Passò l’arco al fratello.
- A cosa stavi pensando?- domandò lui, cogliendola alla sprovvista.
Lei fece un’espressione sorpresa. – Cosa?
- Cos’è che ti turba?
Lei scrollò le spalle. – Niente- disse.
Lui la guardò, alzando un sopracciglio. – Niente? Eri così immersa nei tuoi pensieri che non ti sei neanche accorta che ti fissavo da più di dieci minuti.
Bianca lo guardò, sconvolta. – Come prego? Tu mi fissavi? Sai, se non fossi mio fratello inizierei a pensare male …
Lui fece un sorriso strafottente. Poi prese l’ultima freccia, tese l’arco e la lanciò. Questa andò a colpire il centro esatto di un bersaglio. Sorrise soddisfatto, poi tornò a guardare la sorella.
- Non vuoi dirmelo, vero?
Lei scrollò le spalle. – Non era niente di importante- disse, cercando di sembrare non curante.
Lui annuì, poco convinto. Poi tornò a guardare il bersaglio che aveva appena colpito. – Bel tiro, vero? Sono proprio un maestro … - si vantò, gonfiando il petto.
Bianca lo fissò di sottecchi. Egocentrismo di Apollo. Fatto √. Quel ragazzo le aveva tutte.
Poi si innervosì, così, di colpo. Anche lei era stata brava, aveva lanciato quindici frecce di fila senza sbagliarne una, e quel ragazzo si reputava il migliore, addirittura un maestro? No, era troppo.
Sentì un insolito formicolio alle mani. Strinse forte le dita in un pugno, poi le distese, poi le richiuse, poi le distese ancora. Poi non ce la fece più.
Spintonò il fratello e si posizionò al suo posto, con grande sorpresa di lui. Congiunse le mani dietro la testa e sentì un familiare strappo allo stomaco. Riportò le mani in avanti e non si sorprese quando vide che queste brillavano di una luce intensa, bellissima e forte come il sole. Le allargò e le spuntarono una arco ed una freccia fra le mani, che brillavano di luce propria. Tese l’arco e prese la mira. Poi lasciò la freccia con uno scatto improvviso, fulmineo.
Questa volteggiò per aria e si scagliò con una tale velocità che era difficile vederla, spezzando in due la freccia di Michael e incastrandosi nel legno che sorreggeva il bersaglio.
Abbassò l’arco, che le scomparve fra le mani, sorpresa, ammirando la sua impresa. Era stata davvero lei a farlo, a lanciare quella freccia? Non capì cosa le fosse saltato in testa, un impulso improvviso e incontrollabile.
Si girò a guardare il fratello, trionfante. Chi era la maestra adesso?
Michael fissava quella freccia esterrefatto, come se fosse una ninfa che usciva dall’acqua. Si girò lentamente verso Bianca, sorridendo. – Ben fatto sorella! Mi piace il tuo tono di superiorità, la tua convinzione. Degna di una figlia di Apollo!
Bianca lo guardò, sorpresa. Non sapeva casa rispondere.
Era davvero così che la vedevano? Simile a tutti gli altri figli del dio del sole? Ma, d’altronde, era di Michael che stavano parlando, e Bianca, in questi tre giorni che lo conosceva, aveva capito che doveva ascoltare una parola su tre che il ragazzo diceva. 
- Devi insegnarmi a fare quella cosa con l’arco di luce! È fichissima!!
- Io … io … - Bianca non riusciva a dire niente, e continuava a balbettare come una stupida.
Fu un battito di mani a interrompere la loro conversazione.
Entrambi si girarono. Accanto a loro c’erano un Grover, impegnato a battere le mani con veemenza e a complimentarsi con Bianca, e una ragazza, con la bocca spalancata (per via di ciò che aveva appena visto) che lasciava intravedere una gomma rosa mezza masticata
- Brava! Brava!- continuò a ripetere Grover. – Sei stata grande, Bianca!
La ragazza arrossì, giocherellando con la punta della treccia che aveva ai capelli. – Grazie- disse in un sussurro, ancora un po’ scossa.
Grover mise una mano dietro la schiena della biondina che aveva affianco, spingendola avanti delicatamente.
- Lei è Zoe, Zoe Nightshade, e da oggi è un membro effettivo del campo!- presentò. – Chiudi la bocca, cara. È maleducazione- scherzò poi, posandole una mano sotto il mento e tirandoglielo su.
Zoe si scosse all’improvviso. – Non toccarmi- disse, spingendo bruscamente via la mano del satiro dalla sua faccia. Poi guardò i due ragazzi.
- Voi avete … come avete … e tu hai … - balbettò, indicando con il dito tremante ora i due fratelli, ora la freccia scagliata da Bianca, ora quest’ultima.
- Loro sono figli del dio Apollo- disse Grover. - È normale che sappiano tirare d’arco.
Michael si avvicinò alla ragazza, tendendo la mano per stringergliela. – Ciao. Io sono Michael- disse, sfoderando il suo sorriso, il più splendido e bianco che Zoe avesse mai visto. Non che ne avesse visti molti.
Gli strinse la mano, sciogliendosi davanti a quegli occhi azzurri e vivi.
Sguardo seduttivo di Apollo. Fatto √, pensò Bianca, mentre si avvicinava al fratello. – E io sono Bianca- disse con un po’ troppo entusiasmo, appoggiandosi con il braccio sulla spalla di lui.
Nessuno di loro, intanto, si accorse che la freccia appena scagliata da Bianca stava bruciando, incenerendo completamente il bersaglio, e poi sparendo nel nulla insieme alle fiamme, con la stessa velocità con cui quelle erano arrivate.
- Vuoi provare?- chiese Michael alla sua nuova amica.
Lei annuì debolmente.
Lui corse subito a prendere una freccia da uno dei tanti bersagli, mentre lei prendeva incerta l’arco.
- Non l’ho mai fatto- disse, stringendolo forte.
Lui tornò, con un sorriso stampato in faccia. – Imparerai, è facile. Prendi la freccia, tendi l’arco e mira il centro del bersaglio.
La faceva facile, lui. Zoe seguì tutte le indicazioni alla lettera e, dopo aver incoccato la freccia, cercò di prendere la mira meglio che poteva. La lasciò andare, e quella sfiorò a malapena i bersaglio.
Zoe sbuffò, frustrata. Probabilmente un elefante ubriaco avrebbe tirato meglio.
Michael rise e corse a riprendere la freccia. Zoe lo guardò tornare, in uno stato di trance.
Lui le si mise accanto. – Fa attenzione. È tutta questione di tempismo.
Le porse di nuovo la freccia e aspettò. Lei incoccò la incoccò di nuovo e fece per prendere la mira.
In pochi secondi Michael le fu accanto. Appoggiò la mano sulla sua, che stava tendendo la corda, provocandole un fremito, che lei non diede a vedere. Il viso accanto al suo, mentre controllava la mira. Corresse di pochissimo l’arco.
- Bene- le sussurrò all’orecchio. – Lascia andare la freccia … ORA!
Lei obbedì. La freccia si infilò nel bersaglio, mancando di poco il centro.
Lei sorrise soddisfatta.
- Visto?- fece lui. – Tempismo! Se non ti avessi corretto avresti sbagliato di nuovo!- e rise alla sua battuta.
Zoe lo guardò, torva. In dieci secondi quel ragazzo era riuscito a perdere tutto il fascino che aveva, diventando un tipo egocentrico e iperconvinto. Uno di quei ragazzi che sono belli e sanno di esserlo. Uno di quei ragazzi che Zoe non sopportava.
Grover tossì rumorosamente. Troppo rumorosamente. – Ragazzi!- esclamò. – Io e Zoe dovremmo finire di fare il giro del campo. E anche in fretta, altrimenti perderai la tua prima lezione con Quintus.
Michael face finta di pensarci su. – Ah, si! Ora ricordo!- disse, come illuminato improvvisamente da un lampo di genio. – Quintus ci aveva detto di raggiungerlo al lago!
Si voltò a guardare Zoe, sorridendo in modo angelico. – Ti ci porto io- disse, afferrandole la mano e trascinandola con se, sotto gli occhi allibiti di Grover.
Bianca si avvicinò al satiro, dandogli un’amichevole pacca sulla spalla. – Non preoccuparti- disse, con tono consolatorio. – Lui è troppo … Figlio di Apollo per piacere ad una come lei.
Grover si girò lentamente a guardarla, cercando di riprendersi dallo shock. – Che … che vuoi dire?
Bianca alzò gli occhi al cielo. – Che non devi preoccuparti! Hai ancora qualche speranza con lei!
Grover scosse la testa, indignato. – A me non interessa Zoe!
Lei roteò gli occhi. – Si, certo! E io sono Michelle Obama! Ma per favore!- poi lo guardò da capo a piedi. – Però, secondo me, dovresti coprire quegli zoccoli. Sono così … - non finì la frase, ma fece una smorfia, storcendo il naso.
- Ti ho detto che a me non interessa Zoe!- insistette lui, cercando di convincere più se stesso che la ragazza.
Bianca alzò le spalle. – Fai come vuoi- disse, per poi avviarsi anche lei verso il lago.
Grover sbuffò. Poi pensò un attimo a ciò che l’amica gli aveva appena detto. Ebbe un sussulto. – Aspetta un attimo! Come sono i miei zoccoli? Cos’hanno che non va?
Si guardò in torno, cercando il viso della mora, che non trovò. – Bianca!- la chiamò, allarmato, trottandole freneticamente dietro.
 
Zoe era distesa su suo letto, la sua immancabile gomma da masticare in bocca.
Tutti i suoi compagni di stanza dormivano, ma lei no. Lei non ci riusciva. Era sdraiata supina, con un braccio sotto il capo a mo’ di cuscino e l’altro appoggiato con non curanza sulla pancia. Guardava il soffitto, per quanto si riuscisse a guardare nel buio che dominava la stanza.
Ripensava alla serata appena trascorsa.
Quella sera, in cui erano stati tutti intorno al falò.
Centauri, ninfe, supereroi, maghi e semidei. Tutti lì a godersi una cena a base di salsicce e marshmallows. Proprio come in un campo normale. Solo che quello non era un campo normale.
Dopo la pessima figura fatta sul ghiaccio e dopo aver snobbato più volte le avance dei ragazzi, Zoe era esausta. Non aveva idea di cosa ci trovassero in lei. Non era una bellezza mozzafiato. Certo, era carina, e si difendeva abbastanza bene, ma non era una di quelle ragazze per cui girarsi a guardare. Eppure, quel pomeriggio, tutti i ragazzi si erano accalcati intorno a lei, o per proporle aiuto sui pattini, o per farle dei complimenti, o semplicemente per darle il benvenuto.
Forse era una cosa normale, pensò Zoe, o forse quelli erano tutti i ragazzi che erano già stati scartati dalle ragazze del campo. I disperati, insomma.
Comunque, quella sera si era fatta convincere da Bianca ad andare al falò. Le piaceva quella ragazza. Aveva avuto modo di parlare con lei quel pomeriggio, e aveva capito che avevano molte cose in comune. Anche lei era da poco al campo, ma sembrava già che ci stesse da una vita. Si muoveva con tanta scioltezza fra i suoi compagni, che Zoe credeva fosse l' da una vita.
Il resto dei ragazzi erano simpatici. Non ne aveva trovato uno particolarmente antipatico, o addirittura da evitare (tranne i figli di Ares, ovviamente, sotto consiglio di Grover).
all’inizio lei era un po’ restia a parlare. Era seduta lì, vicino al fuoco, schiacciata fra le spalle di Bella e Michael. Quel ragazzo non l’aveva mollata un attimo, ma con lei non attaccava, lei era un osso duro.
Era stata una serata noiosa, finche Alex non aveva fatto una proposta.
- Oh, ma che noia!- aveva sbuffato. – Perché non cantiamo qualcosa?
Tra i ragazzi si era alzato un mormorio di assenso. Michael si era alzato di colpo, dando un leggero spintone involontario alla spalla di Zoe, cosa che l’aveva parecchio infastidita.
- Ci penso io!- aveva esclamato il ragazzo che, prendendo per mano Bianca e trascinandola via, si era diretto verso la casa di Apollo.
Più tardi, li videro tornare, lui con in mano una chitarra. Con una mossa alla “Charlie Chaplin” era saltato sopra una panchina, aveva messo un piede sullo schienale e l’aveva spinto giù, saltando dalla panca e continuando a camminare, come se fosse una cosa normalissima.
I due fratelli erano tornati ai loro posti e lui si era messo ad accordare la chitarra. Poi aveva alzato lo sguardo. – Conoscete tutti “Everything” di Michael Boubble?- chiese.
Tutti gli altri avevano annuito. 
- Molto bene- aveva mormorato lui, poi si era voltato verso la sorella. – Inizi tu a cantare?
Lei sembrava terrorizzata. Si era guardata furtivamente intorno prima di sussurrare al ragazzo. – Io non so cantare.
A quel punto Michael era scoppiato in una risata divertita. – Questo è impossibile! Apollo è il dio della musica. Tutti i figli di Apollo sanno cantare.
Gli altri non se ne accorsero, ma Zoe aveva notato che Bianca aveva appena deglutito, a disagio.
Michael tornò a concentrarsi sulla sua chitarra, iniziando a strimpellare una canzone, prima in un modo amatoriale, poi come un vero maestro. A quel punto aveva iniziato a cantare, guardando Bianca in attesa. Lei aveva fatto un bel respiro e titubante aveva cominciato a cantare, sorprendendosi della sua soave voce.
A quel punto gli altri li avevano seguiti. Prima Alex, poi le figlie di Afrodite, poi il resto dei ragazzi, finché tutto il campo non si dilettava in un coro sfrenato.
Cantavano tutti.
C’è chi era intonato e arrivava a cantare anche le note più alte, chi invece era stonato e si limitava a cantare il ritornello e a battere le mani a tempo.
Tutti cantavano. Tranne Zoe. Lei non sapeva farlo. Si limitava ad osservare.
Bella se n’era accorta e le aveva dato una leggera gomitata sul braccio. – Ehi! Perché non canti?- le aveva chiesto fra una nota e l’altra.
Lei aveva scrollato le spalle. – Non so farlo.
Bella le aveva sorriso. – Ma qui non serve che tu sappia cantare. Nessuno qui sa cantare benissimo. Lo facciamo solo per divertimento- e poi aveva ripreso il ritornello.
Zoe non aveva risposto. Aveva si aperto la bocca per replicare, ma senza farne uscire un suono.
Si era guardata intorno. Era proprio vero, sia il fatto che nessuno sapeva cantare, sia il fatto che tutti si stavano divertendo. Aveva guardato Michael, che suonava la chitarra con entusiasmo, cantando a squarciagola.
L’aveva guardata, e le aveva sorriso.
A quel punto Zoe aveva preso un bel respiro e aveva iniziato ad intonare il ritornello, prima in un leggero sussurro, poi a voce più alta. Non era brava, e lo sapeva, ma si stava divertendo come non faceva da anni, come forse non aveva mai fatto.
Aveva iniziato anche a battere le mani a tempo e ad oscillare la testa senza una logica precisa, con un sorriso enorme stampato sul volto.
Ed anche lì, ora, sul suo letto, quel ritornello le rimbombava nella testa.

And in this crazy life,
and through these crazy times
It's you, it's you, You make me sing.
You're every line,
you're every word,
you're everything.

Senza accorgersene aveva iniziato a cantarla, e Jhonatan Knox, il suo vicino di letto, si era girato dall’altra parte, producendo un mugugno incomprensibile.
Zoe sorrise, tornò a guardare il soffitto e continuò a cantarla in silenzio, nella sua testa. Voleva ricordarsela quella canzone. Voleva ricordarsi di quella sera. Anche se, un altro modo c’era.
Si mise freneticamente a sedere e, nel buio, aprì il cassetto. La cercò a tastoni, anche se era abbastanza facile trovarla, dato che il comodino era vuoto. Eccola.
La tirò fuori. Non vedeva niente. Si alzò e in punta di piedi attraversò la stanza, fino ad arrivare alle tre scrivanie. Lì cercò tastoni una torcia, in mezzo a tutte le altre cianfrusaglie, e quando la trovò tornò sul suo letto e vi si sedette con le gambe incrociate. Accese la torcia e l’ammirò.
Una foto, che Bella aveva scattato quella sera. Aveva insistito molto per farla.
Aveva girato la fotocamera ed era andata ad intuito, posizionandola meglio che poteva. In primo piano in basso a destra, infatti, c’era il suo viso, sorridente e gentile, che guardava dritto l’obbiettivo.
In basso a sinistra, invece, Alex si era buttata sulla schiena di Percy, stringendogli le braccia al collo. Lui, all’inizio, colto di sorpresa, stava per cadere, ma poi l’aveva presa meglio e la sorreggeva cavalcioni. Entrambi sorridevano, anzi, Alex rideva divertita.
Quei ragazzi erano davvero carini insieme, pensò Zoe, tutta la serata non hanno fatto altro che guardarsi di sottecchi.
Sin dal primo momento, lei ed Alex avevano instaurato un rapporto di rivalità, punzecchiandosi a vicenda. Zoe quella brunetta non la sopportava proprio, forse perché era troppo strafottente, o forse perché, in fondo, loro due erano troppo simili.
Dietro, sullo sfondo, c’era Emma, che allontanava Grover con una manata in faccia, che era andato lì per abbracciarla. Il tutto sotto gli occhi divertiti di Michael, che rideva tenendosi la pancia, con le lacrime agli occhi. Quel ragazzo era davvero un schianto, e Zoe ne era rimasta affascinata fin da subito, ma aveva un carattere che non le piaceva per niente, e per questo aveva quasi perso tutto il suo fascino. Quasi!
Accanto a loro Bianca stringeva forte a se Nico, cingendogli le braccia al collo. Entrambi sorridevano e Bianca faceva l’occhiolino. Quei due si volevano un bene dell’anima, anche se lei le aveva confessato che non era davvero suo fratello.
Al centro della foto, seduta su un tronco, con un braccio poggiato sulle ginocchia e l’altro penzoloni sulle gambe, con il mento posato sulla mano e lo sguardo rivolto in su, esasperata, c’era lei. C’era Zoe.
Quella foto le piaceva da impazzire, e appena l’aveva vista se n’era subito innamorata, tant’è che Bella glie l’aveva regalata.
- Prendila- le aveva detto. – Io posso farmene un’altra.
Così lei l’aveva presa, senza esitare due volte, sussurrando un lieve grazie. Era strana quella parola, o, almeno, lo era detta da lei. Diciamo semplicemente che non rientrava affatto nel suo vocabolario. Mai rientrata.
Zoe ammirò ancora quella foto. Era la prima volta che ne aveva una fra le mani, la prima volta che aveva qualcosa con cui ricordarsi un avvenimento. Era la prima volta che aveva un ricordo.
Si alzò dal letto e, senza preoccuparsi di fare silenzio, andò verso la scrivania e cercò tastoni una punessa. Dopo averla trovata (e aver imprecato per essersi punta) tornò verso il suo letto e vi salì, mettendosi in ginocchio, il viso rivolto verso il muro. Non ci pensò due volte, scelse un punto e vi attaccò la foto con la punessa.
Poi si allontanò e la guardò. Ora il suo muro non era più vuoto. Ora anche lei aveva qualcosa da attaccarvici, qualcosa da mettervi.
Perché ora, finalmente, anche lei aveva un ricordo.
E fu con questo pensiero stupendo, che si addormentò, con un sorriso felice sul volto, senza preoccuparsi di sputare la gomma, pronta per un sonno senza sogni.

Angolo Scrittrice.
Salve gente! Grazie per essere ancora qui! Mi scuso per il ritardo con cui ho postato il capitolo, ma, un po' per gli impegni scolastici, un po' per il fatidico 'blocco dello scrittore', non ho avuto molto tempo.
Spero vi sia piaciuto! Finalmente anche Zoe inizia ad integrarsi con il gruppo, a sentirsi a casa.
Vi aspetto al prossimo capitolo!
Mi raccomando, COMMENTATE!! ;D
Bacioni
ValeryJackson

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Capitolo 29
*** Bella mossa, Testa d'Alghe! ***


Bianca sedeva in riva al lago, a farle compagnia solo un arco, qualche freccia, un blocco per gli appunti, una Coca e una mela.
Quella mattina non aveva voglia di vedere nessuno. Si era alzata con un diavolo per capello.
Michael l’aveva buttata giù dal letto. Letteralmente! Era saltato come una furia urlando – Sveglia!- e lei, per lo spavento, era caduta dall’altra parte. Lui, ovviamente, aveva iniziato a ridere come un matto, contagiando anche tutti gli altri Figli di Apollo. Bianca aveva ancora la bocca impastata per il sonno e non era riuscita a replicare. Si era limitata a fulminarlo con lo sguardo.
Si era vestita in fretta e furia ed era andata a fare colazione nella mensa del campo. C’erano molti più ragazzi di quanto si aspettasse. Il giorno prima ne erano arrivati parecchi, e ora quasi tutti i tavoli erano pieni. Soprattutto quello di Ermes.
Il suo sguardo si era posato subito su Nico. Era uno dei più piccoli del campo, e non era molto considerato dagli altri. Alcuni non sapevano neanche ci fosse. Era seduto sul bordo della panca, con mezza chiappa fuori, quando il ragazzo alla sua sinistra non gli aveva dato uno spintone, facendolo cadere per terra con un lamento di dolore. Era ancora indolenzito dopo la lezione di pattinaggio del giorno prima. Era caduto molte volte, la maggior parte nel peggiore dei modi.
Bianca si maledisse in silenzio per non essergli stata vicino in questi giorni, almeno non come avrebbe dovuto. Era una pessima sorella.
Si alzò di scatto, perdendo la comoda posizione che aveva assunto su un tronco lì vicino. Era troppo agitata per restare seduta, troppo nervosa.
Perse lo sguardo nel vuoto, contemplando l’acqua diafana del lago. Sulle sue sponde un grande salice si ergeva imponente, facendo ricadere i suoi rami a riva. Lei gli si avvicinò, con non curanza. Fissò il tronco e lo accarezzo delicatamente, quasi avesse paura di farlo sgretolare.
- È bello non è vero?- disse una voce alle sue spalle.
Lei sorrise, avrebbe riconosciuto quella voce tra mille. – Devi smetterla di piombarmi alle spalle così- disse, girandosi lentamente.
Davanti a lei Percy sorrideva divertito. – Scusa ... che fai?
Lei alzò le spalle. – Non lo so. Mi rilasso, credo.
- Quell’albero è delle Figlie di Demetra- disse, indicando la pianta con un cenno. – Cioè, non è proprio loro, ma se ne prendono cura come se lo fosse. Dicono che è sacro alla dea.
Bianca annuì, assente. - È molto bello- disse. Non le interessava molto la storia di quell’albero, non le interessava niente e in quel momento.
Percy le si avvicinò. Si mise accanto a lei e accarezzò il tronco. – C’è qualcosa che ti turba?- le chiese.
Lei roteò gli occhi, esasperata. – Oh, ma insomma! Come fate a capire quando sono giù di morale? È così evidente?
Percy fece un mezzo sorriso e scrollò le spalle. – Diciamo che sei una ragazza molto … trasparente.
- Trasparente- ripeté Bianca. Si rimise a fissare il vuoto, la sua mente attraversata da mille pensieri.
- Allora?- chiese di nuovo lui dopo un po’.
Lei si voltò a guardarlo negli occhi. Non erano più blu, come qualche giorno prima. Anzi, non erano di nessun colore. Erano trasparenti, quasi inesistenti, proprio come l’acqua del lago. Era davvero difficile definirne l’iride. Lo squadrò in volto. Aveva ancora quel mezzo sorriso stampato sulla faccia, quella faccia dolce, da bravo ragazzo. Fece un bel respiro.
- Pensavo a Nico. Credo … credo di non essergli stata vicino come avrei dovuto in questi giorni. Avrei dovuto supportarlo. Tutto questo è nuovo anche per lui. E invece ho pensato solo a me stessa.
Percy annuì lentamente, ma rimase in silenzio. Sembrava pensasse alla risposta giusta da dare. Rimasero un po’ in silenzio, un silenzio freddo e snervante. Percy sospirò.
- Nico ti ama comunque- le disse. – Nel bene e nel male.
Lei lo guardò. Aveva ragione. Sperava avesse ragione. Quel ragazzo riusciva sempre a dire la cosa giusta, a farla stare meglio.
- Per me è lo stesso- disse, senza accorgersi che una lacrima solitaria le stava rigando la guancia.
Percy glie la asciugò con il polpastrello del pollice, sorridendole e provocandole un fremito. – Lo so- le sussurrò. Poi si sporse di lato e parve notare l’arco. Tornò a guardarla. – Ti va se ci alleniamo?
Lei sorrise e annuì. – Ok- Tirò su col naso e si voltò verso la sua arma. – Devo solo incordare l’arco.
Percy annuì e lei gli diede le spalle, mentre lui si avvicinava al lago. Lei prese l’arco e iniziò ad incordarlo. Poi si sentì toccare la spalla. Lentamente, si girò e si trovò davanti ad uno sguardo enigmatico. Il viso di Percy era a meno di 5 cm dal suo. Quest'ultimo fece apparire sulle sue labbra un magnifico sorriso che destabilizzò la mora. Infatti, non si aspettava ciò che lui stava per farle. Le mise davanti al viso la mano chiusa, la aprì e soffiò. Bianca vide arrivare su di lei una massa informe d’acqua, che la fece quasi soffocare. Colta di sorpresa, non ebbe il tempo di difendersi. Fu scossa da un brivido al contatto con l’acqua gelida, sul suo volto un’espressione sorpresa, sconvolta.
Percy iniziò a ridere, tenendosi la pancia con le mani. – Ahah! Dovresti vedere la tua faccia!- continuava a ripetere.
Bianca osservò furiosa ridere quel ragazzo. Doveva pagarla per ciò che le aveva fatto. Si meritava una lezione.
Senza pensarci due volte prese la sua Coca e lanciò il contenuto addosso a lui, che, non aspettandoselo, fu colto alla sprovvista e fu bagnato dalla testa ai piedi.
- Ah!- urlò Bianca, soddisfatta. Poi, notando la faccia sconvolta del ragazzo, iniziò a ridere come una matta.
Percy inarcò un sopracciglio. – Lo trovi così divertente?
Bianca annuì con veemenza, al ché il ragazzo fece una faccia indignata. – Ah! È così?- disse, pizzicandole un fianco. Bianca sobbalzò. Lui se ne accorse e sorrise maliziosamente. Continuò a pizzicarla, sotto le suppliche di lei, che continuava a ridere, indietreggiando per scappare. Non si accorse neanche di avvicinarsi sempre di più al lago.
Bianca protese le mani in avanti, come per allontanare il ragazzo, così lui le afferrò i polsi e continuò a spingerla scherzosamente.
Si divertivano entrambi. Lui sorrideva malizioso, lei rideva come una pazza, continuando ad indietreggiare.
Non si rese neanche conto di essere sulla sponda del lago, quando perse l’equilibrio, scivolò e cadde in acqua, trascinando con se Percy, che le teneva ancora i polsi.
Entrambi salirono a galla, bagnati fradici. Si guardarono e scoppiarono in una sonora risata.
L’acqua gli arrivava ai fianchi e loro continuavano a schizzarsela addosso, come fanno due bambini quando vanno al mare.
Poco distante da loro, nascosta dietro un albero, Alex li guardava, impietrita. Un groppo le salì in gola e iniziò a sentire la bocca secca. Strinse forte i pugni e deglutì a fatica. Avrebbe volentieri lanciato qualche fiamma, magari incenerendo l’albero …
No, ma che sto dicendo? si disse, scrollando la testa.
Indietreggiò, continuando a fissarli. Cosa le stava succedendo? Era forse … gelosa? No, non poteva essere gelosa. Non di Bianca. Non di Percy.
Si voltò definitivamente e se ne andò, a passo svelto. Senza voltarsi neanche una volta. Senza un’idea su dove andare. Senza accorgersi di Clarisse che la fissava con un ghigno malizioso sul volto.
 
- Salta! Para! Schiva! Affonda!
Zane continuava a menare fendenti.
- Schiva! Affonda! Guardati le spalle!
Zane si girò e con uno scatto fulmineo decapitò il fantoccio che gli stava andando incontro. Poi si rivoltò, ma stavolta un altro fantoccio lo urtò, facendolo barcollare.
- Controlla l’equilibrio!
La voce arrivava ovattata ma chiara. Scrollò la testa e affondò la lama della spada nello stomaco del terzo manichino. La tirò fuori con uno strappo, facendolo cadere a terra. Sorrise compiaciuto.
- Ben fatto, ragazzo- gli disse Quintus, dandogli una pacca sulla spalla e guardando il manichino a terra. Zane fece un ghigno soddisfatto e si piegò in due, con le mani sulle ginocchia per riprendere fiato.
Quintus continuava a guardare il fantoccio con occhio critico.
- Stai migliorando, molto bene. Davvero molto bene … - disse, con un volto inespressivo.
Zane lo guardò di sottecchi, ma la luce del sole lo accecò. Scrollò la testa e raddrizzò la schiena, facendo grossi respiri con il naso. – Grazie- mormorò.
Quintus annuì e si allontanò, sovrappensiero. Zane spostò velocemente lo sguardo da lui, al fantoccio, a lui, e poi di nuovo al fantoccio. Se l’era cavata, si.
- Ragazzo!- lo chiamò ad un tratto Quintus. Si sentì il suono di una lama e Zane fece appena in tempo ad alzare lo sguardo che la lama gli sfiorò il mento. Spostò tutto il suo peso sulla schiena e cadde con il sedere a terra.
Si massaggiò la parte dolorante, guardando Quintus in cagnesco. – Ma cosa fa?!- sbraitò. 
- L’equilibrio- fece quello, serio. – Devi mantenere l’equilibrio.
Zane aggrottò la fronte, arrabbiato. – Avrebbe potuto tranciarmi la testa!
L’uomo sembrò non fare caso all’ultima affermazione e continuò la sua teoria. – Devi essere sempre pronto. Non abbassare mai la guardia. I mostri sono dietro l’angolo, sentono la tua paura.
Zane si issò in piedi, barcollando un po’. Si massaggiò la spalla, nel tentativo di mantenere una posizione eretta. – Sono un umano- disse, cercando di mantenere la calma. – I mostri non sentono il mio odore.
L’uomo fece un ghigno, che poteva sembrare un sorriso. Scosse la testa. – I mostri non fanno distinzioni. Sei un umano, si, e per questo sei avvantaggiato. Ma qui sei circondato da semidei,- disse, allargando le mani per indicare il campo in cui si trovavano. - il tuo odore si confonderebbe con quello di tutti gli altri.
Zane respirava con la bocca, la fronte ancora aggrottata in una smorfia di rabbia. Si stava innervosendo, doveva stare calmo. – Ma qui siamo protetti dal campo di forza. Nessun estraneo entra, nessun estraneo esce.
Quintus lo guardò, sul suo viso era ancora dipinto il ghigno/sorriso di prima. Si avvicinò al ragazzo, finché non furono spalla contro spalla. Quintus si fermò a guardare una nuvola informe in cielo. – Guarda- disse, indicando con un cenno del capo nella sua direzione.
Il ragazzo sollevò lo sguardo. Quella nuvola si muoveva molto lentamente, cambiando forma. Era molto noiosa, e non capiva perché questo fatto avrebbe dovuto meritare un commento, ma disse: - Sembra un coniglio.
- No, accanto alla nuvola. Lo si … - socchiuse gli occhi. – Lo si vede appena.
Zane guardò in quella direzione, perplesso. Poi lo vide. Un quadrato di spazio di una quindicina di centimetri di lato, accanto alla nuvola, sembrava quasi vibrare. Era come se l’aria si increspasse in minuscole onde appena visibili, distorcendo i bordi informi della nuvola e quelli inesistenti del cielo.
- Che cos’è?- chiese, concentrandosi.
- Il punto debole- rispose vagamente Quintus.
Zane si girò a guardarlo. – E cioè?
- Tutti i campi di forza hanno un punto come quello. Come nelle armature, solo che dovrebbe essere invisibile.
- E come mai noi lo vediamo?
Quintus sorrise. – Lo vedono tutti, ragazzo. Anche i mostri. Ma non sono abbastanza svegli per capire come usarlo.
Zane ci ragionò su, gli ingranaggi del suo cervello camminavano al massimo della velocità. Cercava di dare un senso a tutte le informazioni accumulate, poi capì.
- Se viene colpito, il campo di forza sparisce?
- No- disse l’uomo, scuotendo la testa. – Esplode.
Zane deglutì. Buono a sapersi.
- E con lui- continuò Quintus. – Tutto il campo. Tutti noi- Gli diede una pacca consolatoria sulla spalla. – Ma non preoccuparti. Non lo conosce nessuno.
- E lei come fa a conoscerlo?
Zane si pentì quasi subito di quella domanda, perché sentì il corpo dell’uomo irrigidirsi, la mascella contrarsi. Guardava un punto indefinito davanti a se, il volto inespressivo. – Esperienza- mormorò, senza lasciar trapelare nessuna emozione. Poi si allontanò dal ragazzo. Lui lo guardò mentre si andava a posizionare al centro dell’arena. Estrasse la spada.
- Ora- disse con tono serio. – Lavoriamo sull’equilibrio.
Zane rilassò tutti i muscoli, esausto. Roteò gli occhi, ma raccolse la sua spada e si mise in posizione, pronto a seguire i comandi del suo strano istruttore.
 
- Sei sicura?
- Si, certo!
- Ma io non voglio farlo!
- No, tu devi farlo.
- E se poi mi respinge?
- Non lo farà.
- Mi spieghi di nuovo perché devo farlo?
Clarisse alzò gli occhi al cielo, esasperata. Era la quarta volta che gli lo chiedeva.
Possibile che le figlie di Afrodite sono così tonte?, pensò tra se e se.
Tornò a guardare la ragazza che aveva davanti, che ora la scrutava con occhio critico. Si chiamava Elle, ed era figlia di Afrodite. Aveva circa sedici anni, la pelle rosea, i capelli ricci, di un rosso innaturale, gli occhi viola. Una classica bella ragazza, una classica figlia della dea dell’Amore.
Clarisse la guardò torva. – Perché sennò ti taglio i capelli nel sonno- disse, con tono brusco.
La rossa sgranò gli occhi e si portò le mani alla testa, spaventata. – Ok … Lo farò- disse, titubante.
Clarisse sorrise, soddisfatta. – Hai capito quello che devi fare?
Elle annuì. – Bene- continuò Clarisse. – Dovrebbe essere nella Casa Grande. Vai lì e tienilo impegnato, ma mi raccomando, non agire finché non vedi aprire la porta.
- E come sappiamo che in quel momento entrerà proprio lei?
La figlia di Ares sorrise, maliziosa. – A questo ci penso io. Tu fai solo ciò che ti ho detto.
La ragazza la guardò un po’, poi annuì in segno di assenso. – Dovresti pettinarti i capelli ogni tanto- le disse, prima di voltarsi e dirigersi verso la Casa Grande.
Clarisse sbatté un piede a terra. Le avrebbe volentieri dato una lezione, ma non poteva. Quella ragazza le serviva, se voleva mettere a punto il suo piano.
 
Alex passeggiava, nel tentativo di calmarsi. Cosa le era preso poco fa? Era come se nel suo cervello si fosse attivato un meccanismo che le offuscava la ragione e permetteva ai suoi occhi di vedere solo fiamme, fiamme intorno a quella ragazza. Non riusciva a controllare l’impulso irrefrenabile di saltarle addosso, di dare uno schiaffo a lui e di mandare al diavolo tutti quanti. Ma … perché?
Camminava a testa bassa, gli occhi fissi sul sentiero. Non voleva vedere nessuno. Le braccia incrociate sotto il seno.
Sentì una voce squillante chiamarla da lontano. O meglio, ad Alex sembrava lontanissima, ma in realtà era a pochi metri da lei.
Alzò lentamente lo sguardo. Selena sventolava una mano, tentando di attirare la sua attenzione.
- Alex!- disse, poi le fece cenno con il braccio di raggiungerla.
La mora non ne aveva la benché minima intenzione. Non era il momento per il gossip e i consigli di bellezza. Ma doveva distrarsi in qualche modo, quindi abbozzò un falso sorriso e, con riluttanza, si avviò verso la casa di Afrodite.
- Ciao!- trillò Selena, nel momento in cui fu abbastanza vicina. – Come stai?
Alex annuì, cercando di frenare l’impulso di andarsene. Tutta quella felicità la infastidiva. Come faceva quella ragazza ad avere sempre il sorriso stampato sul volto?
Prima o poi le verrà una paralisi, pensò.
- Allora … - fece la bionda, sistemando una ghirlanda natalizia sulla porta della casa. – Hai visto Percy oggi?
Alex inarcò un sopracciglio. – No- mentì. - Perché?
Selena alzò le spalle. – Così … - disse, lasciando in sospeso l’argomento. Poi, quando Alex meno se l’aspettava, la pietrificò con un’altra domanda. – Quando hai intenzione di dirgli che ti piace?
Alex si irrigidì di colpo, strabuzzando gli occhi. – Come hai …
- Oh, per favore- la interruppe lei. – Sono la figlia di Afrodite. Io sento l’amore nell’aria.
Questo spiegava molte cose. Ecco perché era sempre così esageratamente, disgustosamente felice.
- A me … a me non piace Percy- balbettò, cercando di difendersi.
Selena inarcò un sopracciglio, scettica. – A no? E allora io non sono bionda naturale! … Su via! Non ci crede nessuno!- e iniziò a ridere divertita.
Alex si sentì avvampare e dovette sperare con tutta se stessa di non apparire rossa come in realtà si sentiva. Selena la guardò.
- Non devi preoccuparti - le disse, con tono dolce. – Non lo dirò a nessuno- Poi parve pensarci un po’ su. – Anche se … tu e lui, sulla carta, siete la coppia perfetta.
Alex sbuffò, sorridendo amaramente. – Già- mormorò. – Peccato che la vita non funzioni sulla carta.
In quel momento un forte vento invase il campo, provocando un insolito e familiare scampanellio.
Oh, no, pensò Alex, ci mancava solo questa.
Si girò di scatto e si ritrovò Clarisse a pochi centimetri dalla faccia. – Ciao, fiammetta- le disse, stuzzicandola.
Alex raddrizzò la schiena, raggiungendola in altezza. – Preferisco Ragazza in Fiamme, grazie- disse, con lo stesso tono.
Clarisse la guardò torva e Alex si fece i complimenti mentalmente. Sorrise, trionfante.
Clarisse si voltò a guardare Selena, la quale aveva assistito a tutta la scena senza battere ciglio.
- Come va?- le chiese, con un tono stranamente amichevole.
Selena era l’unica, e sottolineo l’unica, con cui Clarisse non attaccava briga. L’unica che le stesse simpatica, ecco. Anzi, l’unica a cui Clarisse stesse simpatica.
La bionda sorrise. – Molto bene, grazie. A te?
Quella passò lo sguardo da lei ad Alex, poi di nuovo a lei. – Non c’è male- rispose, scrollando le spalle. – Sono passata solo a salutare- poi guardò definitivamente Alex. – E a dirti che Percy ti sta cercando.
Alex si irrigidì, prendendo una tonalità tendente al porpora. – Che … che cosa vuole?- chiese, balbettando un po’.
Clarisse alzò le spalle, infastidita. – E io che ne so? Non sono mica il suo messaggero! Mi ha chiesto solo di dirti che ti aspettava alla Casa Grande.
Clarisse che fa un favore a Percy? Questa si che è strana. Se ne sarebbe accorta anche Alex, se il suo cervello non si fosse bloccato all’istante. Che fare?
Guardò Selena, in cerca di aiuto, ma lei, ovviamente, le stava facendo cenno si andare, negli occhi un luccichio elettrizzato.
Alex rimase un po’ lì, in silenzio. Poi si voltò e, con tutta la calma che riusciva ad imporsi, si avviò verso la Casa Grande. Senza lasciar trapelare l’emozione, sperando che le ragazze non sentissero quanto forte batteva il suo cuore.
 
Percy stava riordinando delle carte sul tavolo. Certo, per quanto il suo concetto di ordine fosse azzeccato.
Era lì per parlare con Chirone, ma lui era impegnato a far fare il giro del campo ai ragazzi nuovi, così aveva deciso di aspettarlo.
Era passato circa un quarto d’ora.
Sentì bussare alla porta. Lasciò immediatamente andare le carte, che si sparsero sul tavolo, e raddrizzò la schiena. La porta si aprì con un cigolio ed Elle entrò nella stanza.
Percy si rilassò all’instante. Era un po’ deluso che non fosse il centauro, ma si sforzò comunque di sorridere alla ragazza.
- Ciao Elle- la salutò, con un cenno del capo.
Lei si portò una ciocca dietro l’orecchio. – Ciao Percy- disse, con una voce suadente, che Percy non aveva mai sentito.
Il ragazzo si girò e ricominciò a riordinare le carte.
- Cosa fai?- chiese lei, avvicinandosi al tavolo.
- Aspetto Chirone. Tu, invece? Hai bisogno di qualcosa?
La ragazza scrollò le spalle, avvicinandosi ancora di più. – In realtà … - disse, mettendogli una mano sulla spalla. – Avevo voglia di vedere te.
Percy deglutì e si girò a guardarla. Erano solo cinque i centimetri che lo separavano dagli occhi viola di lei. Riusciva a sentire il suo fiato sul volto. Sapeva di menta.
Sorrise debolmente, imbarazzato, e mise in pila le carte. – Ti serve aiuto?- chiese.
Lei scosse la testa. – Non proprio- Si mise a guardarlo negli occhi. – Ti hanno mai detto che hai degli occhi bellissimi?
Lui aprì la bocca per replicare, ma non ne uscì suono. Che intenzioni aveva? A malapena lo salutava quando lo incontrava.
- Grazie- mormorò, non sapendo esattamente cos’altro dire. Forse c’era qualcosa, ma lui non lo sapeva.
In quel momento si sentì un leggero cigolio.
Elle prese con entrambe le mani la faccia di Percy e se l’avvicinò, baciandolo, con grande sorpresa di lui.
Si staccarono. Lui la guardò, scioccato. Nei suoi occhi c’era un luccichio di malinconia. Proprio quando sai di aver commesso un reato, ma sai anche che non avevi altra scelta.
Percy aggrottò la fronte, non capendo, poi ricordò il cigolio che aveva sentito poco prima e si girò verso la porta.
Lì, sull’uscio, Alex li guardava senza parole.
- Alex … - cominciò lui, cercando una spiegazione ragionevole.
- No- lo interruppe Alex, alzando una mano. – Scusate, io … non volevo disturbare.
Si voltò e uscì dalla casa a passo svelto. Percy guardò con sguardo truce Elle, prima di lanciarsi all’inseguimento della ragazza.
Alex camminava in modo molto rapido, i pugni serrati, la braccia strette contro i fianchi, un nodo fermo in gola.
- Alex!- la chiamò Percy. La voce arrivava lontana, ma abbastanza chiara. Lei non si fermò e continuò a camminare. – Alex! Alex, ti prego, fermati!- gridò lui. No, non aveva nessuna intenzione di fermarsi. Non voleva ascoltarlo. – Alex, fermati, non è come pensi!
- A no?- sbraitò lei, sorpresa di riuscire a cacciare la voce. – E come sarebbe, allora? Sentiamo!
- Alex- Lei continuava a camminare e Percy faticava a starle dietro. – Non è come sembra! È stata lei a baciarmi, io non volevo.
- Davvero? Perché non mi sembravi così riluttante quando lei ti metteva la lingua in bocca!
Lui aggrottò la fronte. – Ma quale lingua? È stato un semplice bacio a stampo!
- Ah! – urlò lei, voltandosi e puntandogli un dito contro. – Allora ammetti che è stato un bacio!
Percy alzò gli occhi al cielo. – Alex, io … 
- Risparmiami Percy!- gridò, girandosi e continuando a camminare.
Lui riprese a seguirla. Stava iniziando a spazientirsi. – Oh, andiamo! È stata lei a baciarmi! Non io. Non puoi dargliene una colpa, vai dicendo a tutti che siamo solo amici!
- Perché cosa dovrei dirgli?- domandò lei, confusa e irritata.
- Perché cosa vorresti dirgli?
Alex si voltò di colpo. Gli si avvicinò e lo fronteggiò, non facendo neanche caso ai cinque centimetri in più di lui. – Basta con tutti questi giri di parole, Percy! Sono inutili!- riprese a camminare, velocemente. – Vi auguro di essere felici insieme!
Ora basta. Aveva superato il limite. Aveva perso la pazienza. Si fermò di colpo, gridando con tutta la voce che aveva in gola, per assicurarsi che lei lo sentisse. – Si può sapere perché te la prendi tanto?- domandò, furioso. – Noi due non stiamo neanche insieme!
Alex si fermò di colpo. No, pensò, non può averlo detto.
E invece l’aveva detto.
Si girò lentamente e lo guardò negli occhi. In quell’istante, Percy si pentì di aver aperto bocca. Lei sorrise amaramente.
- Sai che c’è?- disse. – Hai ragione. Tu … tu non mi devi nessuna spiegazione. Perché noi non stiamo insieme- lo guardò un attimo, la vista appannata per le prossime lacrime. Ma lei non avrebbe permesso che uscissero. Si maledisse mentalmente per il tremolio della sua voce. – E a quanto pare non ci staremo mai- concluse, con un tono freddo e inespressivo, che fece raggelare il sangue di Percy.
Alex si girò di scatto e riprese a camminare.
- Alex! Aspetta!- cominciò lui, iniziando a rincorrerla, ma lei sfruttò la sua super velocità e corse via, lontano da quel ragazzo, lasciandolo solo.
Percy guardò senza parole davanti a se, dove un attimo prima c’era Alex.
Non poteva averlo fatto, non poteva aver rovinato tutto.
Tirò un calcio ad un albero lì vicino, frustrato, poi si sedette a peso morto su un tronco mozzo, la testa fra le mani.
Lo aveva fatto, aveva rovinato tutto.
Rimase lì, a sbollire la rabbia, finché non sentì in bocca il sapore salato di una lacrima silenziosa che gli solcava la guancia.

Angolo Scrittrice.
Salve ragazzi! E buon Natalee!! :D
Innanzi tutto, ringrazio tutti voi per aver letto questo capitolo, anzi, per aver letto la mia storia. Siete bellissimi!
Percy e Alex hanno di nuovo litigato, per colpa di quella hjeuwbuf* di Elle. Riuscirà lei a perdonarlo, a fidarsi ancora di lui? Boh!
Leggere per scoprirlo!
Vi rubo dieci secondi solo per farvi gli auguri di Natale e di Buon Anno! E mi raccomando, abbuffatevi di panettoni! Approfittatene! xDxD
Comunque, volevo anche mostrarvi dei disegni fatti da me.
Vi avverto, non sono un granché. Questo stile di disegno si chiama Chibo. E ogni storia ha il suo chibo. Ora, io mi sono chiesta: Perchè anche la mia non può averne alcuni?
E così eccomi qua, a mostrarvi i miei disegni.
Mi scuso in anticipo per la mia scarsità artistica e per la qualità dell'immagine. Spero comunque che vi piacciano.
COMMENTATE!!
Da sinistra: Bella, Alex, Emma, Percy, Zoe, Bianca, Grover, Zane e Nico.
P.s. Non so se si nota, ma: Emma ha un braccio attorcigliato intorno al corpo, sia Percy che Bianca hanno il segno del loro genitore divino sul braccio, Bella ha la mano mezza disegnata, sia le Fantastic Girls che Zoe hanno le rispettive collane (così ve ne fate anche un'idea)
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Bacioni e buon Natale da ValeryJackson! <3

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Capitolo 30
*** Nessuno puo' capire ***


Bella tornò a galla, sovrappensiero.
Era nella piscina naturale, intorno a lei il silenzio. Stesa supina, cercò di rilassarsi. A volte era l’unico modo per farlo. Chiuse gli occhi, concentrandosi sul silenzio, sull’affanno del suo respiro, sul fruscio dell’acqua, sul battito del suo cuore.
Li sentiva, li sentiva tutti, ma sentiva anche un rumore estraneo.
Si girò di scatto, provocando un live spostamento dell’acqua della piscina naturale. Si guardò intorno, poi si rese invisibile.
Una risata riecheggiò fra le pareti del vulcano spento. Una risata amara, divertita, ma per niente minacciosa.
- Sai, se volevi tendere un agguato, non ci sei riuscita- disse una voce a lei familiare.
Bella si rilassò, tornando visibile. Chiuse gli occhi in una fessura.
La sentiva, ma non la vedeva. Dov’era?
Poi la vide. Nascosta nell’ombra la figura snella della sua amica si confondeva con l’oscurità.
Bella le si avvicinò, sorridendo. – Ehi! Che ci fai qui?
Alex uscì dalla penombra, mostrando il suo volto. Aveva gli occhi un po’ gonfi e il naso rosso. Sorrideva, ma il suo sorriso era spento. Bella inclinò la testa di lato, non capendo. 
- Non lo so- rispose la mora, alzando le spalle. – Pensavo fosse il posto giusto per rilassarsi, per pensare. Tu?
Bella annuì. – Idem.
Ci fu un momento di silenzio, nel quale nessuna delle due proferiva parola, non avendo idea di cosa dire. Alex aveva lo sguardo fisso nel vuoto, inespressivo, a tratti triste, il sorriso sul suo volto andò piano piano scemando.
Bella non era una veggente. Non leggeva nel pensiero, non sapeva cosa fosse successo, ma capiva benissimo che qualcosa non andava, perché il volto della mora, solitamente illuminato da una luce naturale, spensierata, ora era spento, la fronte corrugata in una smorfia di dolore. Si fece più vicina.
- Alex? - domandò. – Va tutto bene?
La mora non disse niente, poi lentamente annuì. – Si … credo, credo di si … 
- Credi o ne sei sicura?
Qui Alex non rispose. Ci fu un altro minuto di una silenzio imbarazzante, al ché Bella fu certa che ci fosse qualcosa che non andava.
- Alex, che cos’è successo?
La ragazza abbassò lo sguardo e scrollò la testa. No, non voleva dirlo. Non le andava di parlare. Ma, infondo, che alternative aveva? Bella era la sua migliore amica, perché non dirle che si sentiva amareggiata, che si sentiva triste, che avrebbe volentieri incenerito tutto il mondo, che voleva e aveva bisogno di conforto, di supporto. Fece un respiro profondo. – Ho … ho appena visto Percy baciare Elle.
- Cosa?!- la risposta di Bella fu fulminea e incalzante, e il suo eco si diffuse per tutta la grotta. – Percy? Con la figlia di Afrodite?
- Già- fece lei, amaramente.
- Ne sei proprio sicura?
- Si, certo che ne sono sicura. Li ho visti. Li ho visti con questi occhi!
Bella non disse altro, perché percepì il leggero tremolio che dominava la voce di Alex. Non poteva credere a quello che aveva appena sentito. Non se l’aspettava. Non da Percy, almeno. Guardò l’amica. Sembrava parecchio scossa. La guardò, piena di preoccupazione.
- E tu?- chiese, dolcemente. – Tu come stai?
Alex fece uno sbuffo, sorridendo amaramente. Per un momento sembrò non volesse rispondere, poi si fece forza. – Come sto … - ripeté. – Eh, come sto? Sto come sta una ragazza normale che vede il ragazzo che le piace baciare un’altra. Sto … sto normale. Normale senza il Nor.
Fece un singhiozzo e si maledisse mentalmente per la sua fragilità.
A bella non serviva altro, aveva afferrato il concetto. – Alex … - disse, e fece per posarle una mano sulla spalla, ma poi si accorse di non poterlo fare, perché era troppo lontana, ed era ancora in acqua. Guardò l’amica. – Ti dispiace?- disse, indicando con un cenno la sua coda di sirena. Alex sorrise e, inarcando le dita della mano, asciugò rapidamente Bella, che si affrettò ad uscire dall’acqua nello stesso istante. Una volta asciutta e ottenute le sue gambe umane, la bionda si avvicinò all’amica. Le si sedette accanto e le strinse forte una mano.
- Alex- cominciò, il tono più rassicurante che riusciva ad avere. – Sono sicura che non è come pensi. C’è sicuramente una spiegazione più che logica a tutto questo. Percy non farebbe mai una cosa del genere.
Alex scrollò la testa, furiosa. – No! No, basta! Bella, smettila di dire certe cose! È così, è capace eccome di fare una cosa del genere! È un ragazzo! È proprio come tutti gli altri!
Bella scosse lievemente la testa. – No, non dire così. Percy è un bravo ragazzo, e ti vuole bene.
Le mora rise, una risata amara e triste. Poi guardò la bionda negli occhi. – Ma come fai?- chiese. – Come fai a credere che tutti siano buoni?
Bella si strinse nelle spalle. – Ma è così. Al mondo esistono solo persone buone. Quelle cattive sono solamente … sole.
Alex scosse la testa. – No, no, no!- urlò. – Bella, svegliati! Vuoi capire che al mondo nessuno è buono? Tutti hanno un lato cattivo dentro. Tutti provano odio, rancore, solitudine!
- Non dire così.
Alex sorrise, guardandola. – Oh, Bella. Sei così ingenua. Ma devi svegliarti. Devi aprire gli occhi, perché sennò il mondo che hai intorno ti sommergerà. Le persone di cui ti fidi si prenderanno gioco di te, approfitteranno della tua bontà. E alla fine, sarà troppo tardi per scappare.
Si alzò di scatto, facendo sobbalzare l’amica. Poi prese fuoco e si levó in volo, uscendo dal buco del vulcano.
Bella rimase lì a contemplare il vuoto, spaesata.
Davvero era questo quello che pensavano di lei? Davvero la vedevano troppo buona, troppo ingenua?
Si alzò di scatto, furiosa, e si butto in acqua, aspettando la sua trasformazione.
Già, ingenua. È questo che credevano. Nessuno aveva mai pensato che forse per lei quello era solo un modo per sfuggire all’acidità della realtà.


Angolo Scrittrice.
Salve gente! Mi scuso in anticipo per questo capitolo. Fa un po' schifo, come d'altronde tutti gli altri. E anche il titolo lascia un po' a desiderare. Ma vabbè, ormai il danno è fatto xDxD
Vi rubo dieci secondi solo per dirvi che ho iniziato a scrivere una nuova storia, e vorrei tanto sapere cosa ne pensate. Quindi, perchè non ci fate un salto? ;D Aspetterò ansiosa i vostri commenti.
E mi raccomando, se vi piace, commentate anche questa.
Bacioni
ValeryJackson
P.s. Guardate che cos'ho!!! E' l'abbozzo di una locandina per la mia storia. L'ho fatta io, quandi fa un po' schifo, ma spero comunque che vi piaccia! <3

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Capitolo 31
*** Un cucciolo al campo ***


La mattina seguente il campo era davvero frenetico.
Emma se ne accorse e, mentre lo attraversava, salutò alcuni dei suoi amici. Sul vialetto della Casa Grande, Larry e Adams Stoll stavano mettendo in moto (senza la chiave) il SUV del campo. Selena la salutò con la mano passando in volo sul suo pegaso. Harper e Clarisse erano intente in una lotto fra spade. Cercò le sue amiche con lo sguardo ma non le vide da nessuna parte. Ipotizzò che fossero nell’arena per un qualche tipo di allenamento, così vi andò.
Entrò nell’anfiteatro e per poco non le venne un colpo. Al centro dell’arena, di spalle, c’era il più grosso segugio infernale che avesse mai visto.
Beh, non che ne avesse visti molti. Solo uno, l’estate prima, quando aveva ‘accompagnato’ Percy negli Inferi. Quello che avevano incontrato lì era molto grosso, ma quel segugio superava di gran lunga un carro armato.
Non aveva idea di come fosse riuscito ad oltrepassare i confini magici del campo. Sembrava proprio a suo agio, accovacciato sulla pancia, e ringhiava con soddisfazione, staccando a morsi la testa di uno dei fantocci d’addestramento.
Non l’aveva ancora notata, ma Emma sapeva che bastava facesse un minimo rumore perché percepisse la sua presenza. Non c’era tempo di chiamare aiuto. Si guardò intorno, smarrita. A circa due metri da lei le spade usate per l’addestramento luccicavano alla fioca luce del sole. Non doveva fare altro che prenderne una. Allungò il braccio, lentamente, senza muoversi di un passo, gli occhi puntati sul segugio. Ne afferrò una e ritirò di scatto il braccio, facendolo tornare normale.
Si mise in posizione d’attacco e focalizzo la sua attenzione sul nemico, i nervi tesi al massimo.
- Aaahhh!!- Partì all’attacco. Stava per abbattere la lama sull’enorme groppa del mostro quando una spada sbucò all’improvviso e parò il colpo.
CLANG!
Il segugio drizzò le orecchie. – BAU!
Emma balzò all’indietro e istintivamente attaccò lo spadaccino, ma quello parò anche quel colpo senza problemi.
- Ehi!- esclamò. – Tregua!
Solo allora Emma riconobbe la voce. Alzò lo sguardo sul suo avversario, infuriata. – Ma Quintus!- gridò. – Quello è un segugio infernale!
- BAU!- il latrato fece tremare l’arena.
- No- ribadì l’uomo, rifoderando la spada. – Questo è il mio segugio infernale.
Emma lo guardò, inarcando un sopracciglio. “Quest’uomo è pazzo”, pensò. Lui rise, divertito.
- È innocua- disse. - È la Signora O’Leary.
Emma strizzò gli occhi. – La Signora O’Leary?
Sentendo il suo nome, il segugio abbaiò di nuovo. La ragazza notò che non era arrabbiata. Era festosa. Accostò il muso al manichino fradicio e mezzo masticato e lo spintonò verso l’uomo. 
- Brava, cucciola!- esclamò lui. Afferrò il manichino per il collettò dell’armatura e lo lanciò di peso verso gli spogliatoi. – Prendi il greco! Prendi il greco!
La Signora O’Leary balzò dietro alla preda e atterrò sul fantoccio, appiattendo l’armatura. Poi si mise a masticare l’elmo.
Quintus sorrise, ed Emma si accorse di aver rilassato tutti i muscoli.
- Come ma lei ha …?
- Un segugio infernale da compagnia?
La ragazza annuì e lui rise. – Beh, è una storia lunga, con diversi giocattoli giganti da masticare e parecchi momenti in cui l’ho scampata bella. Ma comunque è una brava cucciola. Non farebbe del male ad una mosca.
Emma lo guardò, squadrandolo. Quell’uomo era davvero strano. Avrebbe avuto da ridire sulla sua ultima affermazione, se alla sua sinistra, in lontananza, non si fosse udito un forte BUMP.
Sei casse di legno grandi quanto tavolini da picnic erano impilate poco lontano, e tremavano. La Signora O’Leary piegò la testa di lato e le raggiunse al trotto.
- Buona, cucciola!- esclamò Quintus. – Non sono per te!- La distrasse con uno scudo/frisbee di bronzo.
Le casse continuavano a battere e a tremare. C’erano delle parole stampate sui lati, a caratteri molto piccoli, ed Emma ci mise un po’ per leggerle.
RANCH TRE G
FRAGILE
ALTO
Sulla base, in lettere più piccole: APRIRE CON PRUDENZA. IL RANCH TRE G DECLINA OGNI RESPONSABILITA’ PER EVENTUALI DANNI ALLA PROPRIETA’, MUTILAZINI O MORTI STRAZIANTI E DOLOROSE.
Emma si ritrovò a deglutire. – Cosa … cosa c’è nelle casse?- chiese.
- Una piccola sorpresa- rispose Quintu. – Un’attività di addestramento alternativa. Ti piacerà.
La ragazza lo guardò, terrorizzata. I metodi di quell’uomo erano così strambi da farle intuire che in quelle casse non c’era qualche dolce cavallo per una lezione di equitazione.
- Sono … mostri?
Quintus la guardò, il viso indecifrabile, un sorrisetto storto. – Tu sei troppo curiosa, ragazzina- le disse, al che lei irrigidì la schiena. – E questo mi piace. La curiosità è l’unico modo per arrivare alla verità. Ma non ti dirò lo stesso cosa contengono quelle casse. Una sorpresa è sempre una sorpresa. Ora va. Ho fatto riunire i ragazzi. Darò l’annuncio quando ci saranno tutti.
Emma annuì, titubante. – Ok- disse, andando via, anche se la parte delle “morti strazianti e dolorose” non la convinceva molto.
 
Erano tutti ai margini del bosco.
Quintus aveva fatto indossare tute ai supereroi e armature ai semidei, come per prepararli per la Caccia alla Bandiera.
Emma e Alex si erano già preparate, e ora osservavano gli altri con aria assente.
- Ma che cosa ha intenzione di fare?- chiese la mora, intenta a guardare Clarisse e Selena indossare l’occorrente.
Emma scosse la testa, aggrottando la fronte.  – Non ne ho idea- disse. – Ma so per certo che tutto ciò non promette nulla di buono.
Ad un tratto una vocina squillante dietro di loro le fece sobbalzare. – Ehi, ragazze!- trillò Bella, saltando sulla schiena delle amiche.
Emma e Alex fecero una smorfia frustrata, scrollandosela di dosso.
- Bella!- la richiamò la mora. – Che c’è?
Bella si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, gli occhi lucidi per l’emozione. – Mi ha chiamato Zane! Ha detto di aver appena visto un volantino appeso sui muri della città. Stasera, al Madison Square Garden, ci sarà una cena di beneficenza, con alcuni tra i più ricchi imprenditori del mondo!
- E allora?- disse Emma, inarcando un sopracciglio. Non capiva, ma la mora sembrava aver appreso il concetto.
- Oh, mamma! Stai scherzando, vero?- chiese Alex, scuotendo la bionda per le spalle.
Bella scosse con veemenza la testa. – No, no. È tutto vero!- Le due amiche si presero per le mani e iniziarono a gridare, saltando e facendo girare alcuni dei presenti.
- Ragazze!- urlò Emma, coprendosi le orecchie con le mani. – Posso sapere perché questo dovrebbe interessarci?
Le ragazze smisero di gridare e la guardarono strabuzzando gli occhi. Emma scosse la testa. Continuava a non capire.
- Beh, a questa festa ci saranno alcuni tra i più ricchi imprenditori del mondo- spiegò Bella.
- E allora?
Alex sbuffò, alzando gli occhi al cielo. – E allora sarà un evento importante! Pieno di vestiti eleganti, cibo gratis e cose sbrilluccicanti che qualcuno di loro comprerà.
Emma annuì, facendosi scappare un leggero “aaah”. Poi guardò le due amiche. – Ma noi non siamo state invitate.
- Oh, per favore!- disse Alex, roteando gli occhi. – Quando mai ci è servito un invito?
Emma sbarrò gli occhi, incrociando le braccia sotto il seno. – Vorreste imbucarvi?
- Beh, no- fece Bella, arrossendo e portandosi una ciocca biondo miele dietro l’orecchio. – Vorremmo, come dire … autoinvitarci.
- Ma questo è illegale!- continuò lei.
- È illegale anche comprare una collana da un milione di dollari solo per fare dispetto ad un’amica, ma nessuno gli dice niente- si difese Alex.
- Non è la stessa cosa- disse Emma, guardandola in modo torvo. La mora roteò gli occhi, sbuffando. Stava per ribattere, quando un rumore attirò la sua attenzione. Era Quintus, che si sgranchiva rumorosamente la voce per attirare l’attenzione dei presenti. Quando l’ebbe guadagnata sorrise, compiaciuto.
- Bene- disse, battendo le mani. – Venite qui intorno a me.
Tutti si avvicinarono ed Alex riuscì a sentire la voce di Emma dirle in tono minaccioso un “Non finisce qui” prima di dare all’uomo tutta la sua attenzione.
- Sarete divisi in coppie … - annunciò Quintus. Quando tutti cominciarono a parlare, cercando di afferrare i propri amici lui gridò: - … che sono state già decise.
- NOOOO!- fu il lamento generale.
- Lo scopo della gara è semplice: recuperare gli allori senza morire. La corona è chiusa in un sacchetto di seta legato alla schiena di uno dei mostri che è stato liberato per il campo. Ci sono sei mostri in totale. Tutti hanno un sacchetto di seta, ma soltanto in uno c’è la corona d’alloro. Voi dovrete trovarla prima della altre squadre. E, naturalmente … dovete uccidere il mostro per riuscirci, e restare vivi.
Tutti cominciarono a mormorare, eccitati. Il compito sembrava piuttosto facile.
Ehi, che c’è? Non era la prima volta che uccidevano dei mostri. Si addestravano apposta.
- Ora annuncerò le coppie- continuò Quintus. – Non voglio sentire discussioni. Non ci saranno né scambi, né lamenti- Tirò fuori un grosso rotolo di pergamena e cominciò a leggere i nomi.
- Selena Martinez e Thomas Bleckerfood-annunciò. I due ragazzi si misero vicini, sorridendosi. Sembravano molto felici.
- Clarisse la Rue e Michael View- I due si guardarono. Il caos e l’ordine. La voglia di vivere e la voglia di guerra. Due tecniche di combattimento opposte e combinate. Un osso duro da sconfiggere.
- Bella Hartley e Zoe Brooks- Bella si voltò sorridente, cercando l’amica, che le giunse alle spalle con lo stesso sorriso e le mise un braccio intorno al collo, amichevolmente.
- Emma Gilbert e Bianca Di Angelo- Emma annuì, soddisfatta. Bianca era un’ottima compagna, e almeno le stava simpatica. Le si avvicinò e le fece l’occhiolino, complice.
Quintus continuò a snocciolare nomi dopo nomi, creando delle coppie fortissime, oppure delle coppie davvero assurde, non sempre avvicinandosi alla volontà dei ragazzi. 
- Ehm, dunque, vediamo un po’. Ah, si. Percy Jackson e Alex Chadwich!
- COSA?!- I ragazzi urlarono all’unisono, facendosi largo tra la folla.
- Sta scherzando vero?- chiese Percy, scioccato.
- Larry e Adams Stoll- continuò Quintus, ignorando l’ultima domanda.
- Senta!- sbraitò Alex, arrabbiata. – Io non ho intenzione di fare coppia con questo qui!- disse, indicando il ragazzo.
- Questo qui ha un nome!- fece lui.
- Che a nessuno interessa!
- Harper Maison e Nico di Angelo!
- Oh, ma insomma! Mi sta ascoltando?- urlò la mora.
Quntus la guardò di sottecchi, senza alzare la testa dal foglio. – Mi sembrava di aver specificato che non ci sarebbero stati scambi.
- Si, ma questa cosa non è ammissibile!- urlò Percy.
Quintus tornò con gli occhi sul foglio. - Elle Raiton e Connor Smith!
Al solo sentire quel nome, i muscoli di Alex si contrassero, facendola arrabbiare ancora di più. – Lei deve cambiare le coppie!
- Non ci saranno cambiamenti!
- Ma … - cominciò lei.
- Sch!- la zittì l’uomo con un gesto della mano.
- Ma … - provo Percy, ma anche lui fu zittito allo stesso modo. Quintus si sistemò nell’armatura che indossava.
- Le coppie resteranno le seguenti. Se la cosa non vi sta bene, mi toccherà darvi in pasto ai leoni. Sono stato chiaro?!
- Chiaro- borbottò Percy, con riluttanza.
- Io opterei per i leoni- fece Alex, con sarcasmo.
- Credi per caso che io abbia voglia di fare coppia con te?- sbraitò lui, visibilmente irritato.
- A nessuno interessa di cosa tu abbia voglia!- ribatté lei, a denti stretti.
- Sei proprio insopportabile!
- Testa d’Alghe!
- Faccia di pigna!
- Argh!- gridò Alex, frustrata, dandogli nervosamente le spalle. Percy non fu da meno. Entrambi si allontanarono, confondendosi tra la folla.
Quei ragazzi non si sopportavano. Non potevano neanche vedersi. Eppure, ora dovevano collaborare, se volevano restare in vita.

Angolo Scrittrice:
Ehi, ehi, ehi! Salve gente! Sono sempre io, e sono qui per augurarvi Buon Anno! Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Come augurio di buon anno, mi aspetto un commento! ;D
No, sul serio, sarei felice se commentiate! Commenti belli o brutti, tutti sono ammessi :D
Un bacione! ci vediamo l'anno prossimo ;)
ValeryJackson

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Capitolo 32
*** Alla ricerca dell'alloro ***


Bianca ed Emma camminavano nel bosco, fianco a fianco.
Era ancora giorno, quando si erano inoltrate, ma a causa dell’ombra degli alberi sembrava mezzanotte. Faceva anche freddo e, nonostante l’armatura fosse abbastanza imbottita, Bianca tremava.
Emma la guardò preoccupata. – Stai bene?
- S .. si- balbettò lei, stringendo i denti. – Ho … ho solo un po’ f … fred .. do.
Emma annuì, continuando a camminare. L’aria era davvero fredda, e lei aveva tutti i muscoli tesi, le orecchie pronte ad avvertire ogni minimo rumore, il corpo pronto a scattare. Quando Bianca le fece la sua domanda dovette impegnarsi molto per sentirla.
- P … p … perché Alex e Percy litigano tanto?
Emma sorrise, scrollando la testa. – Beh, è una lunga storia.
- Tanto ora ab … b … biamo tempo.
Emma si fermò, di scatto. Si voltò e guardò Bianca negli occhi azzurri.
Si, sapeva perché litigavano. Alex glie lo aveva confidato la sera prima. È che non sapeva se era la cosa giusta da fare, se Bianca era la persona giusta a cui dirlo.
Bianca la guardava, piena di aspettative. Aveva gli occhi in attesa, e Emma vi vedeva chiaramente una montagna di curiosità.
La curiosità è l’unico modo per arrivare alla verità”, le aveva detto Quintus. Anche se non glie l’avrebbe detto lei, la ragazza lo avrebbe scoperto comunque.
Prese un bel respiro.
- Alex ha visto Percy baciare Elle Raiton.
- Elle Raiton?- urlò Bianca. – La Figlia di Afrodite?
- Schh!- la zittì Emma portandosi un dito alla bocca e guardandosi intorno. – Abbassa la voce!
- Ops- disse Bianca, arrossendo. – Ne sei proprio sicura?- chiese, stavolta in un sussurro.
Emma annuì. – Purtroppo si. Alex li ha 'colti in fragrante'.
Bianca annuì, cupa. Improvvisamente trovava molto interessante il terreno sotto di lei. – E … e Percy che ha detto?
- Ha provato a smentire, ovviamente- rispose la bionda, scrollando le spalle.
Ripresero a camminare, in silenzio. Dopo un po’ Bianca disse: - Certo che da lui proprio non me l’aspettavo.
Emma sorrise amaramente. - È un ragazzo, Bianca. E si comporta come tale.
Bianca scosse il capo, contraria. – Si ma Percy è diverso. Lui non va con la prima che capita.
Emma la guardò, inarcando un sopracciglio. – Che c’è? Non ti sarai mica innamorata anche tu di lui?
Bianca si sentì avvampare e raddrizzò la schiena. – No, certo che no- disse, scuotendo il capo. – Dico solo che mi è sembrato più … più bravo.
Emma rise. – Ma guardati! Sei rossa come un peperone.
Bianca si sorprese a battere un piede a terra come una bambina, i pugni stretti lungo i fianchi. – Non è vero!- urlò.
Emma la guardò con un mezzo sorriso, scuotendo il capo. – Bianca, è normale che ti piaccia qualcuno. Percy ha il classico 'fascino dell’eroe da romanzo romantico', ed è normale che tu ne sia rimasta affascinata. Lui è molto gentile, e ti ha fatto sentire subito a tuo agio. Ma fossi in te lo lascerei perdere. Sai, non per dire qualcosa, ma mentre per te questa è una semplice cotta di passaggio, potresti ritrovarti in un mare di guai- Sorrise al suo pensiero. – E poi Alex ti incenerirebbe!
Bianca si irrigidì. Emma aveva ragione. Si, a lei piaceva un po’ Percy, ma era logico che ad Alex piaceva molto di più. Valeva davvero la pena mettersi contro quella ragazza? Non aveva mai avuto delle vere amiche, e ora che ne aveva trovate alcune le avrebbe perse? per un ragazzo? Ovvio che no.
Annuì, afferrando il concetto. Emma si voltò e continuò a camminare, seguita dalla mora, che aveva ripreso a tremare e che ora faticava a tenere il passo.
 
Nel buio della foresta era quasi impossibile restare vicini.
Per Alex e Percy, poi, lo era ancora di più.
Alex continuava a camminare davanti, impettita, con un Percy riluttante al seguito. Avevano trovato delle tracce quasi subito: segni del passaggio di qualcosa munito di zampe, molte zampe. Cominciarono a seguire quella pista.
Saltarono un ruscello e udirono dei rametti che si spezzavano nelle vicinanze. Si accucciarono dietro a un masso, ma erano solo i fratelli Stoll che avanzavano e inciampavano, imprecando in mezzo al bosco.
Saranno anche stati figli del Dio dei Ladri, ma erano furtivi come una coppia di bufali.
Quando si furono allontanati, uscirono dal nascondiglio e si addentrarono ancora di più nella zona occidentale del bosco.
Alex continuava a camminare avanti, non tenendo conto dell’affanno e delle proteste di Percy.
- Potresti rallentare?- sbraitò lui, ad un certo punto.
- No!- urlò lei. – Sei tu che dovresti accelerare, Testa d’Alghe!
Percy sbuffò, esausto. – Sei proprio una Testa Calda!- gridò, in modo che lei lo sentisse. – In tutti i sensi!
Alex si fermò di colpo, permettendo così al ragazzo di raggiungerla. Aggrottò la fronte e sembrò pensare alla risposta adatta da dare. Ma, inspiegabilmente, non sapeva cosa dire. Aveva finito le risorse.
Si girò lentamente a guardarlo. Lui aveva il respiro affannoso, a la guardava con la stessa serietà e freddezza con cui lei stessa si accorse di guardarlo. Il loro era uno sguardo spento, distaccato, privo della ben ché minima emozione.
Alex sorrise di traverso e annuì. – Touchet, Testa d’alghe- disse, dandogli dei leggeri schiaffetti sulla guancia. Poi allargò ancora di più il suo sorriso, a tal punto da provocarsi delle false ‘zampe di gallina’ alle estremità degli occhi. – Touchet.
Poi gli diede le spalle e continuò a camminare, stavolta più veloce. Percy faceva sempre più fatica a seguirla. - Alex!- urlò, arrabbiato. – Alex, fermati!
Ma lei niente, non si fermava. Non aveva nessuna intenzione di farlo. Percy scrollò la testa e cercò di riprendersi. Doveva fare qualcosa, non potevano continuare a camminare così.
Già, qualcosa. Ma cosa? L’unica cosa che gli venne in mente di fare era forse la più stupida, ma forse anche la più efficace.
Iniziò a correre più veloce che poteva, come quando un corridore si impegna per fare il rush finale. A perdifiato, oltre il suo solito limite.
Una volta raggiunta la ragazza la afferrò per un braccio e la tirò a se, facendola voltare e ritrovandosela di fronte.
Alex rimase alquanto sorpresa da quell’atteggiamento. Come aveva osato strattonarla così? Chi era lui per trattarla in quel modo?
Lo guardò, torva. Aveva l’aria stanca, il fiato grosso. La fronte era imperlata da un leggero strato di sudore, eppure lui si sforzava di mantenere una posizione eretta, rispettabile.
- Senti- le disse, con il tono più fermo che riusciva ad avere. – Credo che …- prese un bel respiro, prima di continuare. – Ti propongo una tregua. Proviamo … proviamo a mettere il rancore da parte, per una volta, e a collaborare come una vera squadra. Una squadra che lotta per la propria sopravvivenza. Ci stai?
Alex restò in silenzio. Alzò lo sguardo e puntò gli occhi nei suoi. Erano azzurri, proprio come se li ricordava. Proprio come li aveva visti l’ultima volta in cui era stata davvero felice con lui. Proprio come quelli che la facevano impazzire.
Ma adesso no. Lei lo odiava. Lo odiava con tutta se stessa. Lui l’aveva ingannata, aveva giocato con i suoi sentimenti.
Le aveva fatto credere di provare qualcosa per lei. Che tra loro due poteva nascere un sentimento, o che forse c’era già. L’aveva consolata, l’aveva abbracciata. L’aveva fatta ridere, l’aveva fatta sorridere. L’aveva fatta sentire una principessa e le aveva fatto provare delle sensazioni che lei ormai credeva perdute. Le aveva fatto girare la testa e le aveva fatto battere il cuore.
Lui era il suo nuovo inizio, il punto da cui lei voleva ricominciare. Ricominciare a fidarsi di qualcuno, ricominciare a desiderare gli abbracci di una persona. Ricominciare ad amare un ragazzo.
Ci credeva, ci sperava davvero. Lui era diventato il suo migliore amico, il suo consulente, la persona di cui non poteva fare a meno.
Lui forse l’aveva capito e l’aveva sfruttata. Aveva giocato con lei proprio come si gioca con una bambola di pezza. La usi un po’, poi, quando vedi che non ti piace più, passi ad un’altra.
Aveva baciato, aveva baciato un’altra ragazza sotto i suoi occhi. Ed Alex lo odiava per questo. Non era giusto. Non era giusto, perché quel bacio era suo.
È questo che aveva fatto. Aveva giocato con lei. Ma non si era reso conto delle conseguenze di giocare con il fuoco.
Alex si sentì avvampare e la sua temperatura iniziò a salire.
Lo odiava. Lo odiava davvero tanto.
Percy sentì la sua mano scottare. La sua pelle bruciava e il dolore era davvero lancinante, ma lui non mollò. Sapeva perfettamente che quello era un modo della ragazza per sfuggire dalla realtà. Per risolvere i suoi, i loro problemi, usufruendo dei suoi poteri. Strinse i denti e la sua presa sul suo braccio si fece più salda.
Alex continuò a guardarlo negli occhi.
Lo odiava. Lo odiava davvero tanto.
E allora perché se lo odiava tanto aveva uno strano morso allo stomaco? Perché le sue gambe sembravano di gelatina e il suo cuore sembrava aver preso non uno, ma cinque battiti?
Inizialmente aveva attribuito questi sentimenti alla rabbia, la rabbia che portava dentro. Ma ora, così vicina a lui, con la sua mano che sfiorava la sua pelle, si rendeva conto che non era così.
Perché?, si chiese, Perché non riusciva ad odiare quel ragazzo così come avrebbe voluto? Perché si lasciava sempre sopraffare dalla sua bellezza e incantare da quegli occhi del colore del mare? Perché aveva una voglia irrefrenabile di stringergli le braccia al collo e dargli un bacio? Perché in quel momento avrebbe tanto voluto dirgli che lo amava?
Lei non lo amava, lei lo odiava. Punto.
Questa era la pura verità.
Eppure, pensandoci, quello che aveva detto non era del tutto errato. Dovevano provare a fare squadra, se volevano uscire vivi da quella situazione.
- Allora?- chiese lui, impaziente. Ormai era da un po’ che Alex stava in silenzio.
Lei lo guardò ancora un po’. – Hai l’armatura storta- fu il suo unico commento. Poi si divincolò dalla sua presa e, dopo avergli riallacciato le bretelle, riprese a camminare, stavolta più lentamente.
Percy sorrise, compiaciuto. – Questo è un ‘ok’?- chiese, raggiungendola.
- Questo è un ‘tieni a portata di mano la spada’, Testa d’Alghe- rispose lei.
Lui annuì. – Lo prendo come un si- mormorò.
Continuarono a camminare per un po’, in silenzio, un silenzio che fu Percy a rompere.
- Sai, sono felice che tu abbia accettato un compromesso. Così potremo collaborare meglio- disse, tanto per dire qualcosa.
Alex lo guardò di sottecchi, poi sospirò. – Beh, se questa cosa l’avessimo fatta qualche giorno fa, non avremmo avuto tanti problemi.
Lui la guardò, gli occhi pieni di rammarico. Si passò una mano fra i capelli. – Alex, riguardo a quello che è successo con Elle, io …
Un ramo si spezzò nel bosco. Le foglie secche frusciarono. Qualcosa di grosso si stava muovendo in mezzo agli alberi, proprio oltre le rocce.
- Questi non sono i fratelli Stoll- bisbigliò Alex.
Percy sguainò la sua spada.
 
Raggiunsero il Pugno di Zeus, un grosso mucchio di massi al centro del bosco occidentale. Era un punto di riferimento naturale dove i ragazzi del campo si incontravano spesso nelle spedizioni di caccia, ma adesso non c’era nessuno in circolazione.
- Laggiù- bisbigliò Alex.
- No, aspetta- replicò Percy. – Dietro di noi.
Era strano. Dei rumori sospetti sembravano provenire da più direzioni diverse. Stavano girando attorno ai massi, le spade sguainate e i nervi attenti, pronti a scattare, quando udirono un fruscio alle loro spalle.
Entrambi si voltarono. Un insetto ambrato, luccicante, stava sbucando dal bosco: era lungo più di tre metri e aveva due tenaglie aguzze, una coda corazzata e un pungiglione grande quando la spada di Percy.
Uno scorpione.
Legato alla schiena aveva un sacchetto di seta rosso.
- Uno di noi lo prende alle spalle- propose Alex, mentre la creatura gli zampettava incontro – e gli mozza la coda, mentre l’altro lo distrae davanti.
- A distrarlo ci penso io- rispose Percy. – Tu hai la super velocità.
- Prova a creare un diversivo con l’acqua.
- Riesci ad incenerire la coda?
Lei annuì. Avevano combattuto insieme così tante volte che ormai conoscevano molto bene le reciproche mosse. Potevano farcela senza problemi.
Ma quando gli altri due scorpioni sbucarono dal bosco, le loro certezze scemarono.
- Tre?- esclamò Alex. – Non è possibile! Con tutto il bosco a disposizione, metà dei mostri viene proprio da noi?
Percy deglutì. Uno, potevano farcela. Due, con un po’ di fortuna. Tre? Ne dubitava.
- Ci arrampichiamo?- propose.
- Non c’è tempo- replicò la ragazza.
Aveva ragione. Gli scorpioni li stavano già circondando. Erano così vicino che i ragazzi riuscivano a vedere la schiuma che avevano alla bocca pregustando un pasto gustoso a base di mezzosangue.
- Attenta!- Percy schivò un pungiglione con il piatto della lama. Alex tentò con una palla di fuoco, ma lo scorpione la evitò per un soffio. Percy, allora, provò un affondo con Vortice, ma lo scorpione arretrò, fuori dalla sua portata.
Iniziarono a spostarsi di lato, lungo i massi, e quelle bestiacce li seguirono. Alex menò un’altra palla di fuoco, ma attaccare era troppo pericoloso. Se miravano al corpo, la coda scattava verso il basso. Se miravano alla coda, le tenaglie cercavano di afferrarli ai fianchi. Non potevano fare altro che difendersi, e non avrebbero retto a lungo.
Percy fece un altro passo laterale e ad un tratto sentì il vuoto alle sue spalle. C’era una fessura fra due dei massi più grandi, qualcosa a cui era passato davanti un milione di volte ma …
- Qui dentro- disse.
Alex menò una lingua di fuoco contro uno scorpione e poi si voltò a guardarlo come se fosse pazzo. – Lì dentro? È troppo stretto.
- Ti copro io. Vai!
Alex si chinò dietro di lui e cominciò ad infilarsi fra i massi. Poi gridò e lo afferrò per le bretelle dell’armatura.
All’improvviso caddero in una voragine che un attimo prima non c’era. Videro gli scorpioni sopra di loro, il cielo violetto della sera e gli alberi, poi il varco si chiuse come l’obbiettivo di una macchina fotografica e si ritrovarono nel buio più totale.
Il loro respiro riecheggiava contro la pietra. L’aria era umida e fredda. Erano seduti su un pavimento irregolare che sembrava fatto di mattoni.
Percy sollevò Vortice. Il debole bagliore della lama riusciva a illuminare il volto spaventato di Alex e le pareti di pietra ricoperte di muschio.
- Dove siamo?- chiese lei, con voce tremante. Percy vi scorse un filo di terrore.
- Al sicuro dagli scorpioni- rispose, cercando di sembrare calmo. Ma era terrorizzato. Quello che era successo era impossibile. Era come se la terra si fosse spalancata e li avesse inghiottiti.
Percy sollevò di nuovo la spada a mo’ di torcia, ma non serviva a molto. Il buio era più forte.
La mano di Alex scivolò nella sua. Era calda, ma sembrava essere attraversata da degli spasmi di freddo, o forse erano di paura. In altre circostanze Percy si sarebbe sentito in imbarazzo, ma in quel momento, nel buio più totale, era felice di sapere dove fosse. Era praticamente l’unica cosa di cui fosse sicuro.
La strinse ancora di più e lei fece lo stesso, imprigionandolo in una morsa d’acciaio.
Alex aveva lo sguardo terrorizzato. Percy le illuminò il volto e rimase turbato. Non l’aveva mai vista in quello stato, e ora era ancora più sicuro che quelli spasmi della sua mano erano spasmi di terrore.
- Non si vede nulla- cercò di dire, ma la sua voce suonò meno ferma di quanto sperasse.
Alex ci mise un po’ per focalizzare la situazione e rendersi finalmente conto di ciò che doveva fare. Alzò una mano e questa prese fuoco, illuminando lo spazio intorno a loro.
Lei sembrò rilassarli e allentò la presa sulla mano del ragazzo. Sembrava più calma.
- È una stanza lunga- mormorò lui.
Lei strinse di nuovo la sua mano. – Non è una stanza. È un corridoio.
Aveva ragione lei. Il buio sembrava … più vuoto di fronte a loro. C’era una brezza calda, come nelle gallerie della metropolitana, solo che l’aria sembrava più stantia e in qualche modo più pericolosa.
Lui fece per incamminarsi, ma lei lo fermò. – Non ti muovere. Dobbiamo trovare l’uscita.
- Ok- disse. - È proprio qua so …
Guardò in su e si rese conto che non riusciva a vedere il punto da cui erano caduti. Il soffitto era di pietra massiccia. Il corridoio sembrava continuare all’infinito in entrambe le direzioni.
- Due passi indietro- gli ordinò.
Si mossero all’unisono, come su un campo minato.
- Ok- continuò. – Aiutami ad esaminare le pareti.
- Perché?
- L’ho visto fare in un film- rispose, come se la cosa avesse senso.
- Ah, ok. E cosa dovremmo trovare, esattamente?
- Una specie di mattonella rialzata o qualcosa del genere. Un fessura, magari. Un pulsante.
- Ok.
Iniziarono ad osservare le pareti, più ossessivamente di quanto avessero mai fatto.
- Eccola!- esclamò Alex, sollevata. Poggiò la mano sul muro e premette contro una minuscola fessura. Poi spettò. Per un attimo non successe niente, poi, però la fessura iniziò ad emanare una lieve luce azzurra. Poi comparve un simbolo: ∆. Poteva sembrare un semplice triangolo, ma Percy sapeva che quella era la lettera delta in greco antico.
Il soffitto si aprì e i ragazzi rividero il cielo notturno e le stelle.
Era molto più buio di quanto avrebbe potuto essere. Alcuni appigli di metallo comparvero sulla parete, diretti verso l’alto. Si udirono delle persone gridare i loro nomi.
- Percy! Alex!- la voce di Bella era la più forte di tutte, ma non era la sola.
I due si guardarono, nervosi. Poi cominciarono ad arrampicarsi.
 
Avanzarono fra le rocce e si imbatterono in Clarisse e in un gruppetto di altri ragazzi con le torce. Tra loro, c’era anche Emma.
- Dove siete stati?- li aggredì quest’ultima. – Vi cerchiamo da un’eternità!
- Ma se siamo stati via solo qualche minuto- protestò Alex.
Chirone arrivò al trotto, seguito da Maria e Bella.
- Percy! Alex!- esclamò la bionda, correndogli incontro e abbracciandoli. – State bene?
- Si- rispose il ragazzo. – Siamo caduti in una fossa.
Gli altri lo guardarono scettici, poi si voltarono verso Alex.
- Sul serio!- insistette lui. – Avevamo tre scorpioni alle calcagna, così siamo scappati e ci siamo nascosti fra le rocce. Ma siamo stati via solo un minuto.
- È quasi un’ora che siete dispersi- rispose Chirone. – La partita è finita.
Alex inarcò un sopracciglio. Un’ora? come poteva essere passata un’ora? Erano stati li dentro pochi minuti.
Avrebbe voluto chiederlo, ma l’unica domanda che le uscì fuori fu: - Ah. E chi ha vinto?
Clarisse e Michael indossavano la corona d’alloro, ma non si stavano vantando neanche un po’ per la vittoria, il che non era da loro.
- Una fossa?- chiese Clarisse, sospettosa.
Percy si girò esasperato verso Alex, che fino ad allora non aveva detto niente per rafforzare la sua teoria. Se quella era una teoria. In realtà non lo sapeva neanche lui.
La guardò ancora, ma la ragazza non parlò. Era impegnata ad osservare Maria e Chirone.
- Che genere di fossa?- chiese la donna.
Percy aprì la bocca per parlare, ma stavolta Alex lo precedette. – Era … strana. Non era una vera e propria fossa. Siamo caduti in un buco, ma poi questo si è richiuso e ci ha lasciato … - deglutì a fatica. - … ci ha lasciato al buio.
Il ragazzo la guardò, inarcando un sopracciglio, ma non la interruppe. 
- Abbiamo provato ad illuminare quella grotta- continuò lei. – Ma l’unica cosa che siamo riusciti a vedere sono state le pietre. Pietre ovunque. Non era una grotta, era una stanza. O forse addirittura un corridoio.
Qui si fermò, perché aveva notato gli occhi terrorizzati di quei due. Chirone si stava agitando sugli zoccoli, la fronte aggrottata, come se stesse pensando. Maria, invece, contorceva convulsamente le mani, gli occhi fissi nel vuoto. 
- Maria?- chiamò la mora. – Va … va tutto bene?
Maria non rispose, e si voltò verso Chirone con aria preoccupata. – Lo hanno trovato, vero?- chiese.
Il centauro sembrò annuire, cupo. – Credo di si.
- Aspettate- esclamò Emma. – Che cosa hanno trovato?
Nessuno dei due rispose. Qualcuno degli altri ragazzi cominciò a fare domande, confuso quanto i due ragazzi, ma Chirone zittì tutti alzando la mano. – Questo non è né il momento né il luogo adatto.- Scrutò i massi come se si fosse appena accorto quanto fossero pericolosi. – Tornate tutti nelle capanne a riposare. È stata una bella partita, ma il coprifuoco è già passato.
Ci furono un sacco di borbottii e lamentele, però gli altri si allontanarono, parlottando e lanciando occhiate sospettose ai due ragazzi.
- Aspettate un secondo- replicò Percy. – Che cosa abbiamo trovato?
Maria lo guardò, gli occhi cupi per la preoccupazione. – Questo vale anche per voi, ragazze- disse, rivolgendosi alle tre amiche. – Tornate a casa.
- Maria ma noi … - iniziò Emma, ma la donna la zittì, alzando la mano. Poi guardò il centauro, si scambiarono uno sguardo di intesa e se ne andarono.
Emma aggrottò la fronte, segno evidente che stava raggruppando e catalogando le informazioni assimilate. Bella, invece, guardava i due ragazzi con un sopracciglio inarcato. – Allora … - disse. – Cosa è successo fra voi due lì dentro?
Sia Alex che Percy si sentirono avvampare. Si guardarono.
Nessuno dei due aveva voglia di parlare di ciò che era successo in quella grotta, tanto meno Alex. Aveva ancora gli occhi spaventati, e anche se nessuno se ne rendeva conto, Percy lo aveva capito, perché ormai aveva imparato benissimo a scrutare quegli occhi.
Aggrottò la fronte, non capendo il motivo di tanta preoccupazione. Nella fossa si era comportata in modo strano.
Alex Chadwich, la ragazza che non ha paura di niente, in quel momento era terrorizzata.
Certo, anche lui aveva avuto un po’ di paura, ma quella della ragazza, stranamente, aveva iniziato a scemare quando aveva fatto luce con il fuoco.
Ma perché?
Alex distolse lo sguardo, e Percy si annotò mentalmente di chiederle cosa le fosse successo.
- Credo sia meglio andare- disse la mora, tossicchiando senza averne davvero bisogno e avviandosi a testa bassa verso l’uscita del campo.
Bella la guardò andarsene, poi si voltò verso il ragazzo. – Ma che le è successo?- chiese.
Percy la guardò. Non sapeva esattamente cosa le fosse successo. O meglio, l’aveva intuito, ma non aveva capito il perché di quell’atteggiamento. E se Alex fosse stata lì, di sicuro non lo avrebbe detto. E se non lo avrebbe fatto lei, non capiva perché doveva farlo lui. Decise di non dire niente, almeno fin quando anche lui non ci avesse capito qualcosa.
- Beh, lei … è rimasta incuriosita da quel posto – mentì, passandosi una mano fra i capelli. – Sai com’è Alex … la curiosità è una sua dote naturale. Credo che voglia rielaborare le informazioni.
Bella lo guardò un po’, un sopracciglio inarcato, scettica. Poi si voltò nella direzione da cui se n’era andata l’amica. – Già … - disse. – Alex è fatta così.
Percy sospirò, sollevato che l’avesse creduto. La bionda si avvicinò alla sua amica, che aveva smesso di pensare ed era rimasta in silenzio.
- Andiamo?- le disse.
Emma annuì. Tutte e due salutarono Percy e si avviarono verso l’uscita del campo.
Percy sospirò e si guardò intorno. Era rimasto solo.
Quell’esperienza aveva scioccato molto anche lui. Voleva sapere la verità, voleva sapere che cosa avevano trovato, ma ora, la sua preoccupazione più grande, era sapere che cosa fosse successo ad Alex.
Un grido agghiacciate squarciò l’aria, e Percy sapeva benissimo che cosa significava. Iniziò a correre a perdifiato verso la sua capanna, mille pensieri per la testa, la spada stretta in mano, intento a non farsi vedere ( e divorare) dalle arpie del campo.


Angolo Scrittrice.
Salve Gente. Spero che il capitolo vi sia piaciuto. :)
Sinceramente non ho nulla di importante da dirvi, ma ormai mi sono abituata a scrivere qualcosa nel mio angolo scrittrice xDxD
Vabbè, dato che non ho niente da dire, credo di dover ringraziare tutti voi. Tutti quelli che fino ad ora hanno commentato ( in particolare Lily97 ;D (ciao Lily!) *saluta*), tutti quelli che hanno messo la storia fra le preferite, fra le seguite, ma anche fra quelle da ricordare, e poi tutti quelli ce hanno continuato a leggerla, e che ancora non si annoiano leggendola ;)
Vi ringrazio, siete bellissimi.
Mi raccomando, continuate a leggere e/o commentare.
Ciao ciao
ValeryJackson <3

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Capitolo 33
*** La missione ***


Emma varcò in tutta fretta le porte del campo.
Quella mattina, Maria le aveva chiamate, dicendo che dovevano affrettarsi ad andare al campo e che era urgente.
Lei in quel momento si trovava sull’autobus, dall’altra parte della città. Per arrivare lì era dovuta scendere alla prima fermata che aveva trovato, poi correre per trovarne un’altra, prendere il pullman, scendere di nuovo e prendere la metropolitana. Poi farsi scortare da un taxi, e infine farsi lasciare a metà strada per poi percorrerla a piedi e non destare sospetti.
Ora, mentre si dirigeva a perdifiato verso la Casa Grande, pensò che forse essersi fatta lasciare a metà strada, in mezzo al nulla dal taxi, non era stata un’idea geniale.
Si fermò a pochi centimetri dalla porta, giusto un secondo prima di finirci con il naso contro. Chiuse gli occhi e riprese fiato. Poi entrò con passo deciso.
Tutti si voltarono a guardarla. Erano seduti intorno a un tavolo, e la fissavano. Crubs, Chirone e Maria erano seduti a capo tavolo, proprio di fronte a Pahobe, il Capo delle Cacciatrici, che la fissava in modo torvo, scrollando la testa, e un’altra cacciatrice.
Accanto a Maria, Alex. Poi Bella. Emma fece scorrere lo sguardo su tutti gli altri. C’erano due rappresentanti per ogni casa, tra cui Clarisse e un suo fratello per la casa di Ares, i fratelli Stoll per la casa di Ermes, Selena ed Elle per la casa di Afrodite, Bleckerfood e un suo fratello per la casa di Efesto, un ragazzo e una ragazza per la casa di Atena, due ragazze per la casa di Demetra e, infine, Bianca e Michael per la casa di Apollo.
Accanto a loro, anche Zoe, Grover, Percy e qualche altro ragazzo. Emma si chiese cosa ci facesse anche Zoe lì, ma poi, rendendosi conto degli sguardi torvi che tutti i presenti le stavano lanciando, decise di non farlo.
Si appuntò mentalmente di chiederglielo, poi andò a sedersi fra Bella ed Alex. – Scusate- disse, rivolta a tutti ma guardando solo Maria. – Ho fatto un po’ di ritardo.
La donna annuì ma non disse niente. Aveva gli occhi vuoti e spenti, privi di ogni sentimento o espressione. Questo fece aggrottare le sopracciglia alla bionda, ma non fece in tempo a fare domande alla sua amica che Crubs si sgranchì la voce.
- Bene- disse, facendo scorrere lo sguardo su tutti i presenti. – Vi abbiamo fatto venire qui per un motivo ben preciso.
- Che spero dirai entro la fine della giornata!- lo interruppe Pahobe, visibilmente scocciata, mentre batteva freneticamente il piede a terra.
Chirone la guardò torva. – Ci sta arrivando- disse, con un tono serio.
- Spero ci arrivi presto.
- È un argomento molto delicato. Se tu non gli dessi fretta, magari …
- Basta voi due- li interruppe Crubs, serio e distaccato. La sua voce suonava vacua e inesistente, priva di ogni emozione, come se stessero ascoltando un giradischi con troppi graffi. L’anziano fissava tutti e non fissava nessuno. Faceva scorrere lentamente gli occhi sui presenti, senza però davvero guardarne uno con attenzione. Fece un bel respiro. – Vi ho fatto venire qui … per parlarvi della profezia.
In quel momento, venti corpi si irrigidirono, quaranta orecchie si misero in ascolto, venti cuori si fermarono.
Crubs continuò, più cupo di prima. – So che questo argomento vi sconvolge molto, ma tanto, prima o poi, si dovrà comunque trattare.- Fece una lunga pausa, poi continuò. – Ne abbiamo discusso molto in questi giorni, e siamo giunti ad una conclusione. La dea Artemide non è più tornata. È stata rapita, proprio come speravo non accadesse. Purtroppo, è stata rapita proprio una settimana prima del Solstizio d’inverno. Tutti noi sappiamo che ogni anno, gli dei si riuniscono, in quella data, sul monte Olimpo, per dei motivi che non ci è dato sapere. A quest’appello devono essere presenti tutti, Ade compreso. Se qualcuno dovesse mancare … beh, succederebbe un cataclisma. Il punto è questo. Se la dea Artemide non si presenta sul monte Olimpo entro quella data, il potere degli dei si farà sentire, ma di certo non in modo positivo. E, dato che la dea Artemide è stata rapita, noi, beh, dovremmo …- guardò di nuovo tutti, stavolta concentrandosi sui loro sguardi impauriti. - … dovremmo organizzare una spedizione.
Un silenzio inquietante piombò nella stanza, nella quale rimbombavano le tristi e oscure parole della profezia.
Crubs tossicchiò, prima di continuare. – Sappiamo tutti, adesso, che la profezia riguarda la missione, in particolare i ragazzi che la compiranno. Quindi, proprio per questo motivo, è stato deciso che sarete voi, se volete, a proporvi volontari. Nessun obbligo, nessuna costrizione, nessun ripensamento.
Tutti si guardarono, in silenzio. Fra loro, c’erano i ragazzi che avrebbero partecipato alla missione e, come previsto nella profezia, che non sarebbero tornati sani e salvi a casa.
Pahobe si alzò, sbattendo un pugno sul tavolo. – Io mi offro volontaria!- urlò.
Crubs scosse impercettibilmente la testa. – Non se ne parla- disse.
- Cosa?! Voi non potete impedirmelo! È la mia dea! Io devo aiutarla!
- Ho promesso alla divina Artemide che vi avrei protetto, quando siete venute qui- la interruppe lui, con tono freddo. – Finché lei non sarebbe tornata. Abbiamo già affrontato questo discorso. Tu, lei e nessuna di voi altre metterà un piede fuori da questo campo. È chiaro?!
I due si fissarono, in un silenzio sovrannaturale, poi Pahobe sbuffò e, facendo roteare gli occhi, tornò a sedersi. Zoe la fissò per un po’, poi, decisa, si alzò in piedi.
- Vado io al suo posto!- disse.
Tra i presenti si levò un brusio incredulo. – Cosa?- urlò Pahobe, alzandosi di nuovo. – Tu non puoi andare! Perché dovresti farlo?
- Sappiamo entrambe perché dovrei farlo- rispose lei, a denti stretti.
- Le Cacciatrici non hanno bisogno del tuo ausilio, Zoe!
- Aiuto- brontolò Zoe. – Non hanno bisogno di aiuto. Nessuno dice più ausilio da almeno trecento anni, Pahobe. Aggiornati.
Pahobe esitò, come se si sforzasse di formare la parola nel modo corretto. - A-i-u-t-o. Non hanno bisogno del tuo a-i-u-t-o.
Zoe alzò gli occhi al cielo. – Lascia perdere.
Tutti le fissarono, senza capire. Quelle ragazze avevano appena bisticciato, chiamandosi per nome, nonostante nessuno le avesse presentate. Come se si conoscessero da tempo.
Le due si guardarono, per un minuto che sembrò infinito, poi Pahobe, con riluttanza, tornò a sedersi.
- Bene- disse Crubs, privo di emozione. – A quanto pare abbiamo un volontario. Qualcun altro?
Zoe annuì, decisa, poi fece scorrere lo sguardo su gli altri ragazzi. Nessuno alzò la mano. Le stava per venire un groppo alla gola, quando Grover si alzò in piedi. 
- Io!- esclamò. – Qualunque cosa per aiutare Artemide.
Zoe si ritrovò a tirare un sospiro di sollievo.
- Giammai, satiro!- disse Pahobe, storcendo il naso. – Non sei nemmeno un mezzosangue.
- Ma fa parte del campo- obbiettò Zoe. – Ed è dotato dei sensi di un satiro, oltre che della magia dei boschi.
- Sei già capace di suonare la melodia del cacciatore, Grover?- chiese Pahobe.
- Certo!
Lei esitò. I ragazzi non sapevano cosa fosse la melodia del cacciatore, ma per lei doveva essere una buona cosa. – E  va bene- acconsentì.
- Chi altro?- domandò Crubs.
Percy fissò Grover, titubante. Non poteva permettere che il suo amico partisse, non senza di lui. – Voglio venire anch’io- disse, alzandosi. Un altro brusio si levò nella stanza.
- Percy?- chiese Grover. – Ma, perché?
Lui gli sorrise, malinconico. – Non penserai mica che ti lasci andare da solo?- rispose, fissando il tavolo cupo.
No. No, non può essere!
Nel cuore di Alex iniziarono a viaggiare mille emozioni. Rabbia, tristezza, incredulità, rabbia. Era come se un cavallo impazzito le stesse ballando sul petto, lasciandola senza fiato. La gola le divenne secca e la sua bocca perse la salivazione.
No …
Si alzò di scatto, così velocemente che andò a sbattere contro il tavolo. Sentendosi osservata abbassò lo sguardo e si scansò con un dito una ciocca di capelli dalla guancia, che le era andata a finire in bocca. Si sgranchì lievemente la voce. – Vado anch’io.
- Cosa?- Maria si alzò di scatto, facendo girare i presenti. – No! Perché?
- Perché … - Alex alzò lo sguardo, facendo scorrere gli occhi sui presenti e impiantandoli in quelli di Percy, che la fissava con un sopracciglio alzato, l’aria un po’ preoccupata. Poi li riabbassò di nuovo. – Io … - balbettò ancora, non sapendo cosa dire. Sentendosi osservata, sbuffò. – Oh, insomma!- disse. – Deve esserci per forza un motivo specifico? Vado io. Punto. Qualcuno ha qualcosa da ridire?- Appoggiò le mani chiuse a pugno sul tavolo, facendo leva sulle nocche e alzando la testa, guardandosi intorno e sfidando chiunque a contestarla. Ovviamente, nessuno parlò.
- Molto bene … - mormorò Crubs. – Siamo a quota quattro.
- Woh! Aspettate!- urlò Emma alzandosi in piedi. Bella fece lo stesso. – Se va lei andiamo anche noi.
- Mi sembra ovvio- le fece eco la bionda.
Alex si voltò a guardarle, sorridendogli riconoscente.
Maria guardava freneticamente prima l’una, poi l’altra. Non poteva credere alle sue orecchie. Sapeva che quelle ragazze erano coraggiose, e a volte impulsive, ma non si sarebbe mai aspettata che si sarebbero offerte per una missione suicida. Ma, d’altronde, quello era un caso disperato.
Si passò le mani sul volto, sfregandoselo e facendo uno sbuffo di frustrazione. Poi congiunse le mani davanti la bocca e alzò lo sguardo. – Qualcun altro?- chiese al posto di Crubs, intenta a non pensarci e a cambiare discorso. Nessuno fiatò. Tutti si guardavano dall’alto in basso, ognuno scrutava il compagno che aveva affianco, sperando che si fosse alzato da un momento all’altro, offrendosi volontario. Ma nessuno mosse un muscolo.
Chirone, che fino ad allora era rimasto in religioso silenzio, guardò attentamente il volto di tutti. – Nessuno?- chiese, sorpreso. Poi fermò gli occhi su uno a caso. La Figlia di Afrodite. – Selena?
Selena arrossì. – No. Non faccio nessun favore alle Cacciatrici. Non guardate me!
- Una figlia di Afrodite che non vuole essere guardata- la schernì Pahobe. – Che cosa direbbe tua madre?
Selena fece per alzarsi, ma venne bloccata da i fratelli Stoll, che la tirarono giù a sedere.
- Basta voi due- le rimproverò il centauro. Poi posò l’occhio sugli altri. – Qualcuno?- Nessuno parlò. – Nessun volontario?
In quel momento, colta da un impulso improvviso, Bianca si alzò timidamente.
- Bianca?!- disse Emma, scioccata. – Ma che fai? Siediti!
Lei la guardò negli occhi, ma non rispose. Nelle sue iridi azzurre si potevano leggere benissimo disperazione, angoscia, vendetta, e tanta, tanta paura, che la bionda non si scordò di notare.
- Vado anch’io- disse, sforzandosi di avere una voce ferma e tranquilla.
Chirone inarcò un sopracciglio. – Ne sei sicura?
Lei lo guardò, titubante, poi annuì. Il centauro la guardò con occhi tristi, ma non disse oltre. Si limitò ad annuire.
- Altri?- chiese Crubs.
Michael, accanto a Bianca, faceva guizzare freneticamente gli occhi dalla sorella, a Chirone, ad Emma, che lo guardava, disperata. Fece per alzarsi ma Bianca gli mise una mano sulla spalla e lo rimise bruscamente a sedere. Lui non capì. La guardò sconcertato, e lei scosse impercettibilmente la testa, facendogli segno e pregandolo con gli occhi di non alzarsi. Il suo istinto di amico gli imponeva di alzarsi e offrirsi volontario accanto alla sorella, ma il suo istinto di fratello, che in quei giorni si era molto acuito verso di lei, gli diceva che Bianca aveva un buon motivo per impedirglielo, un motivo che lui voleva ascoltare. Non tentò più di alzarsi.
Sulla stanza rimpiombò un silenzio pesante. Nessuno si alzò più.
Crubs sospirò, amareggiato. Se lo era aspettato. – Bene- disse, ponendo fine al silenzio. – E così abbiamo tutti i ragazzi che ci servono.
Alex inarcò un sopracciglio. – Ehm … scusate- disse, alzando una mano e guardandosi intorno, contando coloro che si erano alzati. – Non avrò la sufficienza in matematica, ma ... qui mi sembra che siamo solo sette.
Crubs annuì, cupo. – Esattamente.
- Ma la profezia ne diceva nove- ricordò Emma.
L’anziano sospirò. – Non posso imporre a nessuno di fare ciò che non hanno voglia di fare. Se voi siete gli unici che si sono offerti volontari, allora saranno solo sette, i ragazzi che lasceranno questo campo. E poi, chissà, magari sarete anche più fortunati.
Nessuno ebbe il coraggio di andare oltre.
- Partirete domani, all’alba- affermò Crubs, prima di alzarsi e di dichiarare chiusa l’udienza.
Mano a mano i ragazzi cominciarono ad uscire, fino a lasciare la stanza vuota.
All’alba. Avevano solo dodici ore per prepararsi alla cosa. Poi, sarebbe scoppiato il caos.
 
Le ragazze uscirono dalla Casa Grande con passo pesante.
Nessuna aveva il coraggio di parlare, ne di ragionare su quello che le aspettava. Nessuna aveva la voglia e il tempo di farlo.
Mentre camminavano, l’una accanto all’altra, sentirono una voce provenire alle loro spalle.
- Alex!- gridò un ragazzo, a loro molto famigliare.
La ragazza strinse gli occhi. No. Non è il momento.
Continuò a camminare mentre Emma e Bella la guardavano, preoccupate.
- Alex!- chiamò di nuovo.
Una mano le afferrò il braccio da dietro e la costrinse a girarsi, costringendola a guardarlo.
Lei abbasso subito lo sguardo. Lui le alzò il volto con una mano ma lei lo riabbassò di nuovo. Non voleva guardarlo. A quel punto Percy si arrese.
- Ti devo parlare- le disse.
Alex cercò una scusa plausibile per evitare di farlo, ma si accorse che le sue due amiche se n’erano andate, lascandola la da sola con lui. Si sgranchì la voce, senza averne davvero bisogno. – Che vuoi?- chiese, impuntando gli occhi a terra.
Lui la guardò, triste. Odiava quell’atteggiamento. Sospirò. - Di quello che è successo ieri.
Alex aggrottò la fronte e stavolta alzò lo sguardo. – Perché, che cosa è successo ieri?
Percy la fissò un attimo, in un primo momento pensò che scherzasse, ma poi si accorse che lei non aveva davvero idea di cosa stesse parlando. – Nella caverna- disse lentamente, in modo incalzante.
Lei non rispose, ma Percy si accorse che aveva irrigidito la schiena. – Non capisco di cosa tu voglia parlare. Io ne se quanto te sull’argomento.
- Non sulla caverna. Di ciò che è successo a te, nella caverna.
Stavolta Alex era davvero tesa. Abbassò di nuovo lo sguardo e tentò di divincolarsi dalla presa, ma Percy la tenne forte. – Mi fai male- gli disse, anche se non era vero. Voleva un modo per liberarsi ed andarsene.  
- Rispondimi- continuò lui, risoluto. – Mi devi delle spiegazioni.
Alex inarcò un sopracciglio e lo guardò negli occhi. – E sentiamo. Perché io ti dovrei delle spiegazioni?- chiese, assottigliando gli occhi, con finta curiosità.
- Beh, perché … ti sei comportata in modo strano là dentro. Volevo sapere cosa ti fosse successo, tutto qua.
Lei sorrise amaramente. – Questi non sono affari che ti riguardano.
Fece per andarsene, ma lui la trattenne. – Lasciami stare!- gridò, guardandolo in faccia. – Senti, fammi un favore. Stammi alla larga! Non guardarmi. Non parlarmi. Non- si divincolò dalla sua presa, con successo. - … toccarmi. Non seguirmi. Non pensarmi. Non fare finta che ti preoccupi per me. Non tentare di fare l’amico. Non … non avvicinarti!- Lo guardò in silenzio, le braccia strette lungo i fianchi. Lui aveva la mascella irrigidita e la guardava con degli occhi, verdi come lo smeraldo, in cui guizzavano contemporaneamente tristezza, odio, stupore e rancore. La guardava con degli occhi, verdi come lo smeraldo, che le avrebbero sicuramente fatto perdere il controllo, in altre circostanze, ma non in quella. Lo guardò un’ultima volta. – Lasciami in pace- disse, fredda, prima di voltarsi ed andarsene, lasciandolo lì da solo.
Camminò a passo svelto per un paio di metri, poi rallentò.
Non si rese contò del perché lo fece finché non sentì un grosso cratere che le si stava aprendo nel petto.
L’ha lasciata. Ha lasciato davvero che se ne andasse, senza fare niente.
Rallentò, per il semplice motivo di dargli il tempo di raggiungerla, credendo (o forse sperando) che lui la seguisse, che da un momento all’altro l’afferrasse per un braccio e la costringesse a guardarlo, scrutandola con quegli occhi verdi che le facevano tremare le gambe e che non riusciva mai, mai a guardare con il disprezzo che avrebbe voluto.
Forse sperando che la chiamasse, che la prendesse fra le braccia e che le chiedesse scusa, che le accarezzasse i capelli e che le dicesse che gli dispiaceva da morire, che lui amava solo lei.
Forse sperando di sentire ancora quell’inconfondibile profumo di salsedine invaderle le narici, scatenando in lei qualcosa di magico e fantastico.
Forse sperando di vedere ancora quegli occhi, e di sentire ancora il suo tocco leggero ma presente sulla pelle, provocandole un brivido di desiderio in tutto il corpo.
Forse. Lei ci sperava. Ma non accadde nulla di tutto questo. Lui la lasciò camminare, senza fermarla, e quando una lacrima silenziosa le solcò il viso, lei si rese conto di aver detto tutto l’opposto di ciò che pensava e si sorprese a sperare che lui non seguisse mai il suo consiglio, perché non voleva affatto che quel ragazzo la lasciasse in pace. 

Angolo Scrittrice.
Hola, niños! Como estas? Todo bien? Yo soy mucho contenta =D
Ahahah! Ok, basta con lo spagnolo, mi bastano già le verifiche a sorpresa che facciamo a scuola. xDxD
Allora? Piaciuto il capitolo? Finalmente partono per questa benedettissima missione. Finalmente, inizia la vera storia, e tutto comincia ad avere un senso. Tenete gli occhi aperti, d'ora in poi, perchè non mancheranno le sorprese e i colpi di scena. (O almeno, spero di non farvele mancare xDxD)
Spero che vi sia piaciuto. Un grazie enorme a tutti quelli che l'hanno letto. Mi raccomando, Commentate. Ne sarei davvero felicissima.

Un beso. :*
La vostra ValeryJackson

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Capitolo 34
*** Una serata ... diversa ***


- No, no, e poi no!
- Dai Emma! Ti divertirai.
- Questa cosa è scorretta, lo sapete?
Erano davanti al Madison Square Garden da, ormai, circa un quarto d’ora, e Emma ancora non si decideva ad entrare.
- Che c’è di tanto sbagliato?- chiese Alex, roteando gli occhi, esasperata.
- Ehm … Forse imbucarsi in un’asta di beneficenza dei più ricchi imprenditori di sempre senza invito?- fece la bionda, con fare ovvio.
Alex sbuffò. Fece un cenno a Bella, che fin ad ora aveva ascoltato la conversazione senza parlare. L’amica annuì ed entrambe afferrarono Emma per le braccia.
- Andiamo!- le disse Alex.
- No!- replicò lei, divincolandosi dalla presa e guardando le amiche in modo torvo.
Alex la fissò allo stesso modo, spazientita, stavolta. – Senti, ti abbiamo portata qui per farti divertire un po’, per fare una cosa simpatica tutte insieme. Andiamo, pensaci. Da quand’è che non ci divertiamo davvero? Tutte e tre, insieme. Le Fantastic Girls tutte unite?- Guardò la bionda, in attesa. Non aveva replicato subito, e questo era un buon segno, perché significava che stava valutando l’ipotesi di dar ragione all’amica. 
- Ci divertiamo …- mormorò Bella, grattandosi distrattamente un braccio e abbassando lo sguardo. In fondo, l’idea era stata sua, e si sentiva davvero amareggiata del fatto che Emma non l’appoggiasse.
Emma arricciò il naso. – E … che succede se ci scoprono?
A quel punto, Alex si lasciò scappare un sorriso rilassato. Guardò l’amica. – Potrai dire ‘te l’avevo detto‘-  rispose con un’alzata di spalle.
La bionda guardò prima l’una, poi l’altra. Sbuffò e alzò gli occhi al cielo. – Oh … ok!- fece.
Le altre due si lasciarono scappare un gridolino e le buttarono le braccia al collo, al ché lei sorrise.
- Ma come facciamo ad entrare?- chiese.
Alex la guardò in tono malizioso. – A questo ci penso io. Voi dovete solo fare esattamente quello che vi dico.
 
Si avvicinò lentamente al buttafuori di turno. Era un uomo grosso e ben piazzato, che poteva incutere terrore a chiunque. A chiunque, ma non a lei. Lei non era chiunque.
Aspettò che aprisse la porta ad alcuni invitati, e non poté fare a meno di notare i gioielli preziosi che tutti portavano al collo e alle dita.
Osservò attentamente la scena. La porta restava sempre aperta, e il buttafuori non si schiodava minimamente dalla sua postazione.
Si fermò a circa un metro da lui e si sgranchì la voce, senza averne davvero bisogno. Lui non la degnò di uno sguardo, continuando a guardare un punto indefinito davanti a se. Irritata, si sgranchì la voce più forte. Stavolta lui si girò a guardarla.
- Salve- disse, portandosi una ciocca scura dietro l’orecchio.
L’uomo la guardò dall’alto in basso. – Posso aiutarla?
Lei assunse una posizione eretta. – Si, dovrei entrare.
Lui iniziò a guardare la lista degli invitati, senza leggere un nome davvero. – Com’è il nome?
- Rottingam- mentì. – Signorina, Sara Rottingam- Era quasi sicura di aver detto il nome giusto, perché l’uomo alzò le sopracciglia, impressionato.
- Si, eccola qui. Signorina Rottingam. Lei è qui con suo padre.
Lei annuì. – Esattamente.
Improvvisamente, sul volto serio del buttafuori spuntò un sorriso cordiale e socievole. – Benvenuta, signorina Rottingam- disse, in modo gentile. – Posso chiederle l’invito?
Alex impersonò una faccia sconvolta, da vera maestra, mentre frugava nella borsetta con aria disperata.
- Oh! No, no, no!- urlò. – Non ce l’ho- concluse affranta, con aria teatrale.
L’uomo fece una smorfia. – Mi spiace, signorina, ma senza invito non posse farla entrare.
Alex sembrò indignata. – Oh, ci deve essere un errore! Io sono invitata! C’è scritto anche sulla lista!
L’uomo scosse il capo. – Sono desolato.
Con la stessa faccia indignata, Alex gli fece cenno di andare verso di lei. L’uomo inarcò un sopracciglio.
- Che c’è?- chiese lei, scorbutica. – Crede sia facile camminare con questi tacchi?
L’uomo sembrò pensarci un po’ su, poi, con riluttanza, si avvicinò alla ragazza. 
- Controlli meglio- disse lei.
- Ho già controllato. Il suo nome è nella lista, ma senza invito non posso farla entrare.
- No, idiota! Controlla se è già arrivato mio padre!
L’uomo fece scorrere lo sguardo lungo la sua lista, in cerca del nome del padre della signorina Rottingam.
Alex, a quel punto, si sporse leggermente di lato, guardando oltre le spalle dell’uomo, appena in tempo per scorgere Bella materializzarsi dall’altra parte della sala. Fece un sorriso compiaciuto.
- No, mi spiace. Suo padre non è arrivato- disse l’uomo, alzando lo sguardo.
Alex si ricompose e riassunse la stessa espressione severa. – Controlli meglio- disse.
- Ho già controllato due volte!
- Beh, ricontrolli!
- Signorina, io non ho tempo da perdere qui- fece lui, scocciato. Continuò a parlare, facendo rimproveri, ma Alex non ne ascoltò neanche uno, dato che era troppo impegnata a guardare Emma, che si apprestava a scendere dal parapetto su cui si era nascosta per entrare dalla porta.
- Arrivederci!- concluse l’uomo, e, dopo aver fatto un inchino di riverenza, fece per voltarsi e tornare alla sua posizione.
No! No, era troppo presto! Emma era a metà strada, l’avrebbe di sicuro vista. Doveva fare qualcosa. Doveva prendere tempo.
Fece la prima cosa che le venne in mente.
- Aahh!!- mugugnò, accasciandosi a terra. L’uomo accorse subito, sorreggendola per le braccia. – Che dolore!- continuò lei.
- Signorina, si sente bene?
Lei buttò l’occhio oltre le spalle dell’uomo. Emma, che era rimasta immobile per la tensione, continuava a scendere dal parapetto.
- No- fece lei, fingendo una smorfia di dolore. – Credo di essermi storta una caviglia.
- Una caviglia? Come ha fatto a storcersi la caviglia? Ne è sicura?
- È Storta, Frank! È, STORTA!- rispose, a denti stretti. L’uomo sembrò confuso, uno, perché la ragazza affermava di essersi storta la caviglia nonostante fosse rimasta ferma, due, perché lo aveva chiamato per nome, nonostante quello non fosse il suo vero nome.
Lei approfittò di quel momento di confusione per guardare di nuovo alle sue spalle. Emma era scesa, e stava varcando la porta, raggiungendo l’amica e facendole il segno dell’ok.
Lui aggrottò la fronte. – Devo chiamarle un dottore?
Alex lo guardò. – No- disse, sorridendo e rimettendosi in piedi. – No, sto molto meglio, ora. Grazie infinite, Frank.- Girò sui tacchi, lo salutò con un cenno e se ne andò.
L’uomo rimase alquanto scioccato. Quella ragazza era davvero strana.
Sospirò e tornò alla sua posizione da buttafuori. Mentre si guardava intorno, in cerca di qualche possibile ospite, un luccichio accanto ai suoi piedi attirò la sua attenzione. Abbassò lo sguardo. Un penny da 50cent brillava sotto la fioca luce dei lampioni. Lui fece un ghigno, si guardò intorno, assicurandosi che non lo vedesse nessuno, e si chinò a raccogliere la monetina.
Era la volta buona.
Alex approfittò di quel momento di distrazione per superarlo di corsa, ovviamente usufruendo della sua super velocità.
Una folata di vento scompigliò i capelli dell’uomo, che si guardò intorno perplesso, non capendo.
Quando ebbe raggiunto le sue amiche, Alex rise.
- Un’interpretazione da Oscar!- si complimentò Emma.
- Bella trovata, quella del penny- disse, invece, Bella.
- Grazie- rispose la mora sorridendo. – Lo so.- Si guardò alle spalle. – Andiamo, prima che si accorga che lo abbiamo fregato.
Tutte e tre risero e si diressero dentro, verso la sala dove si teneva il ricevimento.
 
La stanza era addobbata davvero bene. Bene, si, ma in modo noiosissimo.
Dei semplice festoni dorati ricoprivano la parete, rendendola antica. Le persone erano tutte serie e impegnate in qualche “conversazione colta”, solo per far vedere che i soldi, in qualche modo, li spendevano anche per studiare, come se fosse vero.
Nell’aria, una musica jazz intonata da una band dava un sottofondo rilassante, e quella, di sicuro, era la cosa più movimentata della serata.
Dei lunghi tavoli da buffet si alternavano, lungo la parete, a delle bancarelle, che vendevano oggetti preziosi e, molto probabilmente, costosissimi.
Una in particolare attirò l’attenzione di Emma, e la spinse a dirigersi verso di essa. Le due amiche la seguirono a ruota.
La bancarella era eretta su un semplice tavolo di legno, con sopra una tovaglia blu ricamata con delle stelline dorate. Su di esso, molti oggettini preziosi brillavano alla luce della stanza. Per la maggior parte, erano gioielli, tra cui orecchini, collane e bracciali.
Gli occhi delle ragazze si illuminarono immediatamente, di fronte a tanti diamanti.
- Vi interessa qualcosa, ragazze?- chiese una voce stridula davanti a loro. Emma alzò lo sguardo. La proprietaria della bancarella era seduta su uno sgabello, e le stava fissando con un sorriso gentile.
Era una vecchina molto arzilla, dallo sguardo attento, vestita in modo molto sobrio, poco adatto ad un convegno del genere. Aveva circa ottanta anni, ma le rughe sul suo volto tradivano molto la sua età, dandogliene circa novanta, e forse più. In testa aveva legato un fazzoletto, da cui si scorgevano i lunghi capelli grigi. Ma la cosa che impressionò di più Emma furono gli occhi. Erano azzurri, e, nonostante le borse, brillavano di una luce propria.
La ragazza sorrise cordialmente. – No, grazie. Stiamo solo guardando.
La vecchina annuì, pensierosa, e, dopo qualche minuto di silenzio, si chinò sullo sgabello e cominciò a cercare qualcosa sotto al tavolo.
Quando rialzò il capo, i suoi occhi si illuminarono. – Tieni- disse, con tono gentile. – Prendete questo.
Allungò le braccia e porse alle ragazze tre gioielli. I loro occhi si illuminarono.
- Cosa sono?- chiese Bella, con aria sognante.
- Sono gioielli- rispose quella, poi li distribuì. – Uno a te. Uno a te. E uno a te.
Ognuna osservò il proprio.
A Bella, l’anziana aveva porso un bracciale. Era azzurro e splendente, piatto e largo circa cinque centimetri. Su di esso, erano incastrate migliaia di conchiglie, che le davano l’impressione che fosse stato appena pescato dal mare.
Ad Alex, invece, la donna aveva porso un altro bracciale, ma stavolta più elaborato. In realtà, si trattava di un piccolo anello, rosso come il fuoco, collegato a un braccialetto da una catenella sottile, al centro della quale c’era un castone vuoto.
Emma, al contrario delle sue amiche, era un po’ delusa dal suo dono. Era un semplice fermacapelli verde a stecco e, nonostante fosse contornato da piccole pietruzze dello stesso colore, era davvero inutile.
- Noi … - balbettò, incerta. – Non abbiamo soldi per pagarli- disse e fece per porgerglielo.
La vecchina scosse la testa. – Prendeteli. Sono un regalo.
- Un regalo che non possiamo accettare.
Alex le tirò una forte gomitata contro il fianco, guardandola in modo torvo. La bionda ricambiò lo sguardo. A quel punto, fu Bella a parlare.
- Grazie- disse.
L’anziana sorrise. – Non c’è di che. E mi raccomando- disse, guardando intensamente tutte e tre e assumendo improvvisamente un’espressione seria. – Teneteli sempre con voi. Sono dei porta fortuna, e vi saranno molto utili nel momento del bisogno- marcò quella parola come se fosse essenziale. – Ricordate. Nulla accade per caso. L’universo fa il suo corso, e fa accadere tutto per un motivo ben preciso. Non dubitate del fato, è lui che ci ha condotto fino a qui.
Emma aggrottò al fronte. Quelle parole erano molto sagge, e anche veritiere, ma perché dirle? Perché dirle a delle ragazzine?
Ci stava pensando, ma una voce forte e imponente tuonò per tutta la sala.
- Voi!- gridò il buttafuori, con il fiato grosso. Accanto a lui, la vera Signorina Rottingam e suo padre le guardavano con disprezzo. – Prendetele! Si sono imbucate!
- Oh, no! Scappiamo!- urlò Alex, dando degli schiaffetti di incoraggiamento sulle braccia delle amiche. Tutte e tre iniziarono a correre verso l’uscita, rincorse da quell’uomo, ed Emma ebbe pochi secondi per lanciare un ultimo sguardo a quella strana signora, prima di lanciarsi in una corsa scatenata.
La gente si scansava, indignata, per far passare le ragazze, che si facevano largo tra la folla a mo’ di gomitate.
Erano sempre più vicine alla porta, quando l’impensabile gli si presentò davanti. Un tavolo, lungo, anzi lunghissimo, pieno zeppo di roba da mangiare, gli ostruiva la strada. Non c’era tempo di aggirarlo.
Fecero quello che solo una persona abituata ad agire al momento potrebbe fare.
Bella iniziò a correre più veloce, oltre l’estremo. Aspettò di essere abbastanza vicina al tavolo, poi prese delle balze della sua gonna, troppo lunga, si inginocchiò e, grazie alla spinta datagli dalla corsa, riuscì a sgommarvici sotto, fino a raggiungere l’altra parte.
La stessa cosa fece più o meno Emma. Prese anche lei una rincorsa e poi, quando fu abbastanza vicina al tavolo, saltò. Grazie alla sua agilità, e anche ai suoi poteri, riuscì ad arrivare dall’altro lato del tavolo, atterrando in piedi e rialzandosi con una capriola.
Alex, invece, mentre correva afferrò al volo una delle tante sedie che c’erano in mezzo alla sala, la più piccola, non ché la più leggera. Quando fu vicina al tavolo, vi sbatté la sedia sopra e saltò. Grazie alla spinta, atterrò in piedi sul suo sedile. Con un piede contro lo schienale, la spinse giù, saltando dall’altra parte.
Compiaciute del loro lavoro, continuarono a correre, e guadagnarono molto terreno mentre il buttafuori camminava carponi sotto il tavolo per arrivare dall’altra parte.
Trovarono la porta e con un calcio la aprirono, precipitandosi fuori e riprendendo a correre a perdifiato.
Quando il buttafuori raggiunse la porta, loro erano già lontane, ma non abbastanza per non sentire le imprecazioni che quell’uomo gli menava contro.
Quando furono completamente sicure di essere abbastanza lontane, si fermarono, tutte e tre esauste.
Si piegarono in avanti, poggiando le mani sulle ginocchia e facendo grandi respiri con la bocca, la fronte aggrottata.
- Te … te … - balbettò Emma, ma le mancava il fiato.
Alex alzò una mano per fermarla. – Risparmiami- le disse, poi raddrizzò la schiena. – Non sono più abituata a correre come una persona normale.
Anche Emma raddrizzò la schiena e la guardò storta. – Te l’avevo detto.
La mora alzò gli occhi al cielo, ma non replicò. L’avevano scampata davvero bella.
Si guardò il polso, dove vi teneva il gioiello regalatogli dalla vecchia.
- Beh- disse, con un sospiro. – Per lo meno ci abbiamo guadagnato qualcosa di carino.
Anche Bella osservò il suo bracciale e, dopo aver riottenuto la posizione eretta, sorrise. – Già, sono proprio belli.
Emma guardò il suo. Quello stecco era tanto bello quanto inutile. Lei non portava mai dei fermagli fra i capelli. Insomma, quella vecchia sembrava li avesse dati secondo uno schema. Ad Alex quello rosso e luccicante, particolare, insolito, dello stesso colore delle fiamme che le avvolgevano solitamente il corpo. A Bella quello azzurro, semplice, pulito, cosparso di conchiglie di tutti i tipi, come quelle che osservava e ammirava durante le sue immersioni subacquee con la coda da sirena.
E a lei? Uno stecco. Un fermacapelli verde. Un oggetto assolutamente inutile, che non c’entrava niente con lei, che non le apparteneva. Almeno era verde, il suo colore preferito. Sospirò.
Bella se ne accorse e le mise gentilmente una mano sulla spalla. - È proprio bello- le disse, con il suo solito sorriso gentile. Emma la guardò negli occhi e le sorrise, riconoscente.
- Si … È carino- disse, poi aggrottò immediatamente la fronte. – Certo che quella signora era davvero strana.
- Era pazza- commentò Alex, con uno sbuffo. – Insomma, avete sentito cosa ha detto? “Vi saranno molto utili nel momento del bisogno”. “Nulla accade per caso”. “Non dubitate del fato”- disse, imitando la voce roca dell’anziana in modo abbastanza buffo. Bella rise.
Ci fu un momento di silenzio, poi, pian piano, sul volto di Alex iniziò a formarsi un sorriso divertito. – Però dai, è stato divertente- disse, ripensando alla loro corsa sfrenata e alla faccia di quell’uomo mentre si rendeva conto di averle perse.
Le altre due si guardarono. Emma aveva il volto serio e contratto. Guardava l’amica con disappunto, ma vedeva benissimo che Bella si sforzava di non ridere.
- Già- disse appunto la bionda, non trattenendo più la sua risata. - È stato esilarante il modo in cui ci siamo imbucate, quell’uomo non si è accorto di niente!
Anche Alex rise. – E la faccia di quei due quando hanno capito che ci eravamo spaccate per loro?
Le due amiche risero. Emma le guardò per un po’, poi, involontariamente, si lasciò scappare un risolino. Alex inarcò un sopracciglio e la guardò, prima di puntarle un dito contro e sorridere, maliziosa. – Ah-ah! Allora ti sei divertita anche tu?!
Emma la guardò. Cercò di trattenere una risata, ma non ce la fece, e scoppiò a ridere incessantemente. – Oh, si!- esclamò. – Avete visto le facce degli ospiti quando siamo saltate sul quel tavolo? Non capivano la situazione. Erano … inebetiti! Ah ah!
Tutte e tre iniziarono a ridere, insieme. È  vero. Si erano davvero divertite a quella festa. Avevano vissuto un’esperienza davvero simpatica, trascorrendo una serata piena di adrenalina e stranezze. Ma non come quelle che le attanagliavano da quando avevano i loro poteri. No, come quelle che chiunque può fare. Qualunque ragazzo può imbucarsi ad una festa, può scappare e poi può mettersi a ridere in mezzo alla strada ripensando a quanto successo. Chiunque avrebbe potuto fare quelle cose (a parte superare in quel modo quel tavolo, ovvio!).
Quella, era stata una serata normale, come ormai non ne vivevano da tempo.
Quando smisero di ridere, Alex si guardò intorno, smarrita. Sospirò. – Beh- disse. – Io ho fame. A chi va un Hot Dog?
- A me!- disse Bella alzando la mano.
- A me!- fece Emma, ripetendo lo stesso gesto.
- Bene, allora andiamo, socie- esclamò la mora, prendendo sotto braccio tutte e due.
Prima di incamminarsi verso il venditore più vicino, Emma guardò un’ultima volta il suo fermacapelli. Quella vecchia era strana, vero, però l’aveva incuriosita, e qualcosa, dentro di lei, la spingeva a credere che avesse detto la verità. Sospirò, alzò le spalle, poi raccolse tutti i capelli in uno chignon e li fermò con lo stecco.
Sorridente, si incamminò insieme alle amiche, tutte e tre con lo stomaco gorgogliante, pronte a fermare il primo carretto degli Hot Dog che passava.


Angolo Scrittrice.
Salve! Mi scuso per l'enorme ritardo! Dovete perdonarmi, solo che ultimante è riniziata la scuola, e il mio cervello deve ancora riabituarsi a svegliarsi la mattina presto e a restare cinque ora fermo allo stesso banco, ad osservare la nuca di quello che hai davanti, pensando solo una cosa. Che noia!!
Vebbè, spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto. Mi raccomando, commentate! :D
ValeryJackson <3
P.s. non so quanto tempo ci metterò per bubblicare gli altri capitoli. Come ho detto, il mo cervello in questo momento è al macello! Atrofizzato! Morto! Dopato! xDxD
Non me ne volete. Cercherò di fare il prima possibile ;)
Baci :*

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Capitolo 35
*** Una promessa pericolosa ***


Bella varcò i confini del campo, con aria spenta.
Erano quasi le sette, e suo padre e sua sorella si stavano di sicuro chiedendo che fine avesse fatto.
Con un sospirò si passò una mano fra i capelli, pensierosa. Voleva andarsene da lì. Voleva non pensare a niente per tutta la notte, non pensare alla missione fino al giorno dopo. Ma, purtroppo, per quanto lei si sforzasse, non ci riusciva.
Cercò di concentrarsi su qualche altro particolare che la circondava, provando a non pensare a nulla, con scarso risultato. Finché il suo sguardo non fu attirato da qualcosa. Una sagoma, seduta sotto l’albero di Talia. Istintivamente fece ciò che le sembrava giusto. Si rese invisibile e, in punta di piedi, vi si avvicinò, pronta all’attacco. Quando fu abbastanza vicina, però, tirò un sospiro di sollievo, riconoscendo il suo amico Zane.
Tornò visibile e gli si parò davanti. – Ehi!- lo salutò.
Lui alzò lo sguardo, disorientato, e Bella si accorse che indossava le cuffiette dell’IPod. Se le tolse non appena vide l’amica. – Ciao, Bella.
Lei inarcò un sopracciglio. – Che ci fai qui?- chiese, sedendosi accanto a lui.
Zane scrollò le spalle. – I miei sono partiti per un viaggio di lavoro. Staranno via per qualche giorno, e casa mia è un inferno. Volevo un posto tranquillo dove ascoltare musica in santa pace.
Bella annuì. – E non credi si stiano chiedendo che fine hai fatto.
Zane sorrise amaramente, provocando uno sbuffo. – Io credo che non si siano neanche resi conto della mia assenza. Sai come sono fatti i miei fratelli.
- A Marina mancherai di sicuro.
Lui annuì mestamente, pensando a cosa stesse facendo in quel momento la sorella più piccola. Poi guardò Bella, con sospetto. – E tu, invece? Che ci fai ancora qui a quest’ora?
Bella si guardò le mani, in difficoltà. – Ecco, io … - balbettò, alzandosi in piedi.
Zane inarcò un sopracciglio e la imitò. – Bella?- chiese. – Ti senti bene?
Bella sospirò, e di fronte a quegli occhi azzurri, suo malgrado, non riuscì a mentire, perché ormai sapevano tirarle fuori la verità da ben dieci anni, e forse più. – Io … devo dirti una cosa, Zane.
Lui aggrottò la fronte, preoccupato. - È successo qualcosa?
- Si, cioè, no. Non è ancora successa, ma potrebbe accadere. Questo ancora non lo so.
- Bella, mi stai spaventando. Che succede?
Bella lo guardò, con le lacrime agli occhi. Che senso aveva mentire? Avrebbe potuto non rivederlo mai più, avrebbe potuto perderlo per sempre, lo avrebbe fatto di sicuro soffrire. E lei non voleva farlo soffrire. – Domani mattina parto per la missione, Zane- disse, con il tono più fermo che riuscì ad avere, maledicendosi mentalmente per il tremitio della sua voce.
Zane sgranò gli occhi, preoccupato. – Cosa?! Bella, no! Tu … tu non puoi …
Lei alzò una mano per fermarlo. Chiuse gli occhi, per evitare di guardarlo negli occhi e di scorgervi tristezza e preoccupazione. – Zane, ti prego. Non … non rendere le cose più difficili di quanto non siano. Ho scelto io di partecipare alla missione.
- Ma … perché?
- Perché … - si fermò. In realtà non sapeva neanche lei il perché. Perché voleva aiutare la dea Artemide? Mmh… forse, non proprio. Perché avrebbe seguito in capo al mondo le sue amiche, pur di aiutarle? Indubbiamente, ma …
Prese un bel respiro e lo guardò negli occhi, che le scrutavano il viso con tristezza, cercando il minimo accenno per credere che quello fosse tutto uno scherzo. Bella vide la sua vista appannarsi, e, con una mano delicata, gli accarezzò il viso. – Zane … - sussurrò. – Questo potrebbe essere un addio, come potrebbe essere un arrivederci. Non dubitare di me, ti prego. Sono fatta per questo. Mi sono addestrata mesi per imparare a superare momenti difficili e a compiere missioni. Forse posso farcela … 
- Perché usi il dubitativo?
Altra carezza, ma stavolta senza parole. Ci fu uno scambio di sguardi, prima che lei gli baciò delicatamente la guancia e lo abbracciò forte, affondando il viso nell’incavo del collo di lui. Le lacrime, stavolta, non riuscì a reprimerle, e le scorsero calde e silenziose lungo il viso. Zane se le sentì cadere sul collo. Per un momento rimase immobile, a fissare il vuoto.
No, non poteva accettare che Bella partisse così. Non poteva rassegnarsi a perderla per sempre. Lui non voleva perderla.
Quando sentì la voce di lei arrivare come un sussurro al suo orecchio ovattato per lo schock in un dolce – Ti voglio bene, Zane- lui non ce la fece più, e la strinse in un abbraccio con tutta la sua forza.
Quando si staccarono, Bella aveva gli occhi gonfi per il pianto. Lo guardò negli occhi, e volle dirgli qualcosa, ma non sapeva cosa, non sapendo scegliere tra addio e arrivederci. Si limitò a guardarlo, e poi, reprimendo un’altra lacrima, a correre via e a buttarsi in acqua, aspettando che si formasse la sua coda di sirena per scappare via.
Zane la seguì con lo sguardo, mentre si tuffava. Come avrebbe fatto? Come avrebbe fatto senza di lei? Non dubitava delle fantastiche doti di guerriera di Bella, ma Quintus gli aveva insegnato che a volte non bastava. Chi gli dava la certezza che non l’avrebbe persa? Lui non voleva perderla, lui non aveva nessuna intenzione di perderla.
E fu con questa convinzione che, mentre si asciugava con rabbia una lacrima che gli stava solcando la guancia, cominciò a battere forte i pugni sul confine magico del campo, intento ad entrare. Sapeva esattamente cosa doveva fare.
 
- Lei non può permettere una cosa del genere!
- Non sono io che decido.
- Ma lei è ancora troppo inesperta!
Chirone diede momentaneamente le spalle alla ragazza, sospirando. – Abbiamo chiesto a voi chi aveva intenzione di partire, e lei si è offerta volontaria. So che tieni molto a Bianca, Emma, ma se lei ha deciso di partire, non sarò io a fermarla.
- Ma è troppo pericoloso!
Un altro sospiro da parte del centauro. – Bianca è una ragazza forte- disse, con tono inespressivo, guardando un punto indefinito davanti a se. – Sa benissimo come difendersi, ed è di sicuro più speciale degli altri figli di Apollo.- Ci fu un secondo di silenzio. – Quell’arco di luce non lo vedevo da settant’anni … - mormorò, più a se stesso che alla ragazza. Poi, finalmente, si voltò a guardarla. – Perché non provi ad avere fiducia in lei? Sa quello che fa.
Lei scrollò la testa. – Io non credo.
Il centauro sorrise, dandole una leggera pacca sulla spalla. – Va a dormire, Emma. Domani sarà una giornata impegnativa.
Poi se ne andò, con il ticchettio degli zoccolo sul marmo ghiacciato che rimbombava come un martello pneumatico nel super udito di Emma. Lei aggrottò la fronte in una smorfia di fastidio e dolore, ma non disse niente. Aveva così tante cose a cui pensare, che lo scalpitio degli zoccoli del vecchio Chirone era l’ultimo dei suoi pensieri.
Mentre seguiva Chirone per obbiettare la partenza di Bianca, Emma non si era neanche accorta di dove stesse andando. Ora, rendendosi conto di trovarsi nel padiglione della mensa, si lasciò cadere di peso su una delle panche, con uno sbuffo, poggiando le braccia sul tavolo e affondandoci il viso, mentre si torturava i biondi capelli per la frustrazione. Quando, ad un tratto, il rumore di un ramo che si rompeva attirò la sua attenzione. Alzò lo sguardo, studiando l’ambiente in cui si trovava con sospetto. Era quasi mezzanotte. Chi poteva essere ancora sveglio a quell’ora?
Guardandosi intorno, vide una sagoma: un ragazzino, rannicchiato dietro una di quelle colonne greche che davano sul lago, come se si nascondesse.
Emma non ci mise molto a riconoscerlo. Era Nico. Ma che ci faceva lì?
Esitò. L’ultima cosa che voleva e farsi assillare da Nico con qualche stupida spiegazione sul suo Mitomagia. Ma c’era qualcosa che non andava. Si capiva dal modo in cui era accovacciato.
Alla fine, la curiosità vinse su di lei. Si alzò e, lentamente, cercando di fare il minimo rumore, gli si avvicinò. Per poco non rovinò tutto. Stava salendo le scale che portavano alla colonna alle spalle di Nico, che non si era accorto della sua presenza. Era nascosto, e sbirciava dall’altra parte, verso il lago, concentratissimo.
Era a un paio di metri da lui e stava per dire: “Ehi, che stai facendo?” ad alta voce, quando si accorse che era impegnato in un appostamento alla Grover. Stava spiando due ragazzi.
Si sentivano delle voci, che Emma non mancò di riconoscere, grazie al suo udito. Erano Michael e Bianca.
Guardò Nico con sospetto, poi si arrampicò su un’altra colonna, attorcigliandovisi intorno. I due ragazzi stavano parlando, ma Emma non perse tempo ad ascoltare cosa si dicessero. Sul malgrado, sentì solo le parole “Attenta”, “Pericolosa” e “Missione”. E poi ancora “Proteggilo” e “Bene”. Raggruppando quelle parole riuscì a farsi un’idea del discorso, e si concentrò su Nico, mentre i due fratelli si abbracciavano.
Poi, a un certo punto, vide i due ragazzi allontanarsi verso la Casa Grande. Nico si tolse subito di mezzo.
Emma cercò di salire un po’ più su, ma, ad un tratto, il suo telefono vibrò, producendo un rumore sordo contro la parete. Bianca si bloccò, socchiudendo gli occhi. Accostò la mano all’arco che solo in quel momento era visibile, ma Michael la prese per mano. – Forza, andiamo. Prima che ci vedano- disse, trascinandola via.
Emma tirò un sospiro di sollievo. Cacciò il cellulare dalla tasca e vide il messaggio. Era di sua madre. “SIAMO APPENA ATTERRATI. QUI TUTTO OK. L’ALBERGO E’ BELLISSIMO. COME VA LI?”
Fece un mezzo sorriso ma rimise il telefono in tasca, dicendo fra se e se che le avrebbe risposto dopo. Ora aveva cose ben più importanti da fare.
Emma sapeva cosa stava pensando Nico. Lui trasse un respiro profondo, e stava per correre dietro alla sorella, quando la ragazza, con un balzo, gli si parò davanti, dicendo: - Dove credi di andare?
Lui per poco non scivolò sui gradini gelati per lo spavento. – E tu da dove salti fuori?
- Sono stata qui tutto il tempo. Là sopra- rispose, indicando con un cenno la colonna.
Nico alzò lo sguardo e sillabò la parola “Lassù”. – Wow! Forte.
- Come facevi a sapere che Michael e tua sorella erano qui?
Arrossì. – Li ho sentiti passare vicino alla casa di Ermes. Io non … non dormo molto nel campo.
Lei annuì, comprensiva, immaginando il ragazzino mentre combatte con il tanfo di quella casa. – Lo immagino.
Lui si grattò la nuca, imbarazzato. – Così … ho sentito i passi, e poi i bisbigli- continuò. – E sì, insomma … li ho seguiti.
- E ora stai pensando di seguire tua sorella nell’impresa- intuì.
- E tu come fai a saperlo?
- Perché se fosse mia sorella, probabilmente penserei la stessa cosa. Ma non puoi.
Le lanciò uno sguardo di sfida. – Perché sono troppo piccolo?
- Perché non te lo permetteranno. Ti prenderanno e ti rispediranno qui. Perché Bianca ti ucciderebbe. E … si, perché sei troppo piccolo. Ti ricordi la Manticora? Ci saranno parecchie altre creature come quella. Più pericolose.
Nico scrollò le spalle. Pestò un po’ i piedi, a disagio, poi, con uno sbuffo, andò a sedersi sotto la colonna. - È che io … io non posso lasciare che lei parta così.
Emma lo guardò un attimo, prima di sedersi di fronte a lui. Lui si fissò intensamente le mani. - È l’unica persona che io abbia al mondo- continuò. – Non posso perderla.
- Bianca è una ragazza in gamba. Se la caverà.
- Non capisco perché l’ha fatto … - esclamò lui, con la testa fra le mani. – Tu … tu, ad esempio. Tu perché l’hai fatto?
Lei lo guardò, poi sospirò. – Non so dirtelo neanche io … - disse, distogliendo lo sguardo. – Forse perché è la cosa giusta da fare.
Nico alzò lo sguardo, puntando i suoi occhi color ghiaccio in quelli della ragazza, che sentì una stretta allo stomaco. – Come fai?- chiese.
- Come fai cosa?
- Come fai a non avere paura?
Emma rimase un attimo in silenzio. Sorrise amaramente, provocando uno sbuffo e guardando da un’altra parte. – Ognuno gestisce la paura a modo proprio. Solo perché non si vede, non significa che uno non ne abbia- rispose, sincera.
Anche lui distorse lo sguardo. – Io ho paura.
Emma aggrottò la fronte. – Di cosa?
Nico la guardò negli occhi, leggermente appannati. – Di perdere mia sorella.
La bionda sentì un grosso groppo in gola, e una smorfia di tristezza le si dipinse sul volto. – Non la perderai. Qualunque cosa succeda, lei … lei ti vorrà sempre bene. Sarà sempre qui- disse, indicandosi il cuore.
Lui scosse la testa. – Io non voglio che lei stia solo nel mio cuore. Io la voglio accanto a me. Voglio che mi abbracci quando sono triste e che mi sgridi quando combino qualcosa, nel modo divertente in cui solo lei sa fare. Per questo voglio seguirla. Per assicurarmi che non le succeda niente.
Emma scosse con veemenza la testa. – Non puoi.
- Io no … - ammise lui, con amarezza. Poi, un’idea gli attraversò la mente, disegnando sul suo volto l’espressione di chi ha appena avuto un lampo di genio. – Ma tu si!- esclamò, guardando la ragazza, con gli occhi glaciali che brillavano.
- Come, scusa?
- Tu sai lottare! Tu puoi proteggerla!
- Nico, non so se posso …
- Si che puoi! Tu sei brava. Tieni d’occhio mia sorella! Ti prego- implorò.
- Nico …
- Tanto progettavi già di farlo, no?
Avrebbe voluto negare. Ma lui la guardò negli occhi e, non sapeva il perché, non riuscì a mentirgli.
- Si- ammise. – Ma se lei lo scopre si infurierà come una bestia.
- Non ti tradirò- la rassicurò lui. – So come è fatta. Ma tu devi promettermi di proteggere mia sorella.
- Io … è una promessa grossa, Nico, per un viaggio come questo. E poi ci sono anche gli altri. Alex, Bella, Percy ...
- Prometti- insistette.
Quando lo guardò, le si strinse il cuore. Si, ora sapeva perché non riusciva a mentirgli, perché aveva un senso di protezione nei suoi confronti. Perché le ricordava Elliot, suo fratello. Lui e Nico avevano la stessa età, la stessa corporatura, li stessi occhi … non riusciva a guardare quel ragazzino senza pensare a lui. Ed era per questo che si sentiva in dovere di aiutarlo.
- Farò del mio meglio- disse con un sospiro. – Questo te lo prometto.
- Croce sul cuore?- chiese lui. Per un attimo, Emma lo guardò, aggrottando la fronte senza capire, poi, quando Nico incrociò due dita e se le portò nel posto dove si trovava il suo cuoricino, facendovi una piccola x, Emma non poté fare a meno di sorridere. Conosceva quel gioco. Lei ed Elliot lo facevano quando erano bambini.
Ed è per questo che, intenerita più che mai, incrociò l’indice e il medio e se li portò sulla parte sinistra del petto, disegnandovi una croce. – Croce sul cuore.
Nico sorrise, contento. La abbracciò forte, dicendole una miriade di “Grazie” ripetutamente, senza riprendere fiato.
Emma rise, e, quando lui si staccò, gli passo una mano fra i capelli e gli disse di andare a dormire. – E mi raccomando. Non dire agli altri che ti trovavi qui.
- Mi inventerò qualcosa- rispose lui, facendo un sorriso furbo. – Sono bravo ad inventarmi storie- le fece l’occhiolino e si dileguò giù per gli scalini, scomparendo nella notte.
Emma lo seguì con lo sguardo finché non lo perse di vista, quando, improvvisamente, sul suo volto si dipinse un’espressione tra la tristezza e l’amarezza. Come avrebbe fatto? Come avrebbe mantenuto la promessa? Come avrebbe evitato a Bianca il suo destino, qualunque esso sia? Si mise la testa fra le mani, frustrata. Aveva fatto una sciocchezza, se lo sentiva. Era amareggiata, ma la possibilità di deludere quel bambino… si, quella sarebbe stata di sicuro peggiore, e più dolorosa.
Fece un respiro profondo e prese il telefono dalla tasca dei pantaloni, controllando l’orario. Era quasi l’una. Aveva solo poche ore per dormire, ma chi dormiva? I pensieri che le attraversavano la mente erano troppi per permetterle di chiudere occhio, o di rilassarsi.
Si avviò verso il campo, quando si ricordò del messaggio dei genitori. La cosa giusta da fare sarebbe stata scrivere loro un: TUTTO BENE. Ma avrebbe mentito. No, non andava tutto bene, e la possibilità che andasse anche peggio le provocò un brivido lungo la schiena.
Tra poche ore sarebbe partita per la missione.
Tra poche ore sarebbe cambiato tutto.
Tra poche ore, si sarebbe scelto il suo destino.

Angolo Scrittrice.
Hello ... How are you? I? Yes, so far so good.
Scusate, la vena lunguistica si sta impossessando di me. Qualche giorno fa sono venuti a trovarmi i miei parenti, direttamente dall'America. Loro non sapevano una parola d'italiano, e io non ho fatto che parlare inglese tutta la serata xS E' stato divertente, si, ma un po' faticoso ...
Adoro le lingue, e proprio ora mi sto rendendo conto di quanto siano importanti ...
Vabbè, evitando ciò che penso, che penso non vi interessi più di tanto, volevo solo dirvi una cosa.
So che vi rompe molto, e che vi rompo anche io, ma mi farebbe davvero piacere se lasciaste un commentino. Sapete, ci tengo molto a questa storia, ma ultimamente mi ritrovo a un punto morto ... :S
Io la scrivo ben volentieri, ma vorrei sapere se ne vale la pena, se a voi piace, perchè altrimenti continuerò a scriverla solo per me ...
Che ne pensate? Vi piace? Continua a piacervi? Continuo? Un commentino ...
Mi accontento di poco, bello, brutto o neutro che sia. Vi prego, ve ne sarei molto grata.
One huge kiss
La vostra ValeryJackson


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Capitolo 36
*** Gli ultimi saluti ***


Quando sorse il sole, i ragazzi erano già sulla Collina del Campo Mezzosangue.
Erano tutti lì, immobili, e nessuno riusciva a far trapelare le proprie emozioni, nessuno riusciva a guardare in faccia il proprio compagno.
Maria e Chirone erano andati a salutarli, offrendosi di dargli le indicazioni più precise possibile per svolgere al meglio la missione.
- Bene, ragazzi- cominciò Chirone, sgranchendosi la voce a disagio. – Partirete fra pochi minuti, diretti a ovest, come detto dalla profezia. La dea Artemide è in pericolo, e il vostro compito è quello di salvarla. Non sappiamo esattamente dove si trova, quindi sta a voi scoprirlo …
- Ma come faremo?- lo interruppe Zoe.
Lui sospirò, scrollando la testa. – Non lo so … ma se avremo notizie non mancheremo di darvele- rispose, cercando di avere un tono rassicurante. Ma non ci riuscì. Tossì, anche se non ne aveva davvero bisogno. – Argo si è gentilmente offerto di farvi usare il suo veicolo, che abbiamo pensato di trasformare in un furgone … C’è qualcuno che si offre di guidare?
- Lo faccio io!- esclamò Percy, alzando la mano. Tutti lo guardarono scettici, alzando un sopracciglio. Lui si guardò intorno e alzò le sopracciglia con fare teatrale. – Che c’è?- disse, rivolto a tutti e a nessuno. – Sono un bravo guidatore! E poi sono l’unico qui in mezzo ad avere il foglio rosa.
Tutti avrebbero voluto replicare, ma nessuno parlò, e Chirone prese quel silenzio come un cenno di assenso. Annuì. – Molto bene- esclamò, sfregandosi le mani. – Non so cos’altro aggiungere … Avete preso tutto l’occorrente?
Tutti annuirono, silenziosi. Chirone li guardò ad uno ad uno, scrutando i loro volti, e un nodo insopportabile gli si formò alla bocca dello stomaco. Lo stava facendo? Stava davvero mandando quei ragazzi in una missione più grande di loro, senza dire niente? Senza incoraggiarli? Si sentì un vero schifo e il suo sguardo si addolcì immediatamente. Mise una mano sulla spalla di Bianca, che era al suo fianco, e sospirò. – Oh, ragazzi. So a cosa state pensando, ma non fate quelle facce! Questa è una missione molto difficile, e la profezia non è dalla vostra parte, ma alla fine siete destinati a trionfare. Voi potete trionfare!- squadrò il viso di tutti, con attenzione. – Siete i ragazzi migliori del campo. I guerrieri più bravi che io abbia mai visto, e so che ce la farete. Non dubitate mai delle vostre capacità, ok? Perché solo nel momento in cui crederete di non farcela, non ce la farete davvero- fece un altro sospiro. – Seguite sempre il vostro istinto. Siete stati allenati per questo, e so che non mi deluderete. Avete la tecnica e delle buone basi, ma il modo migliore per vincere una battaglia, è quello di non pensare, di agire e basta. L’impulsività per alcuni può essere un difetto, per noi è semplicemente un modo di restare in vita.
Tutti annuirono, abbozzando un sorriso alle parole del centauro. – Grazie Chirone- mormorò Emma, alzando lo sguardo. Lui sorrise e le annuì. 
- Ho qui qualcosa per voi- continuò lui, e si voltò verso Maria, che fino ad allora non aveva spiccicato una parole, che gli passò quattro zainetti. – In questi zaini c’è quello che vi serve- spiegò. – Ci sono soldi, dracme, qualcosa da mangiare, sacchi a pelo e dei vestiti di ricambio. Spero vi bastino.- Li porse ai ragazzi, che gli presero borbottando qualche grazie sincero.
Lui annuì un’ultima volta, prima di allontanarsi per mettersi in disparte, e lasciarli soli.
Istintivamente, Emma, Bella e Alex si avvicinarono a Maria, che le accolse con gli occhi lucidi. Mise una mano sulla spalla della mora e le guardò ad una ad una, gli occhi chiusi in due fessure per impedire alle lacrime di scendere.
- Oh, ragazze- disse con voce flebile, incrinata dalla tristezza. Non riuscì a dire altro, che una lacrima le solcò il volto.
Alex cercò di sorridere, per rassicurarla, ma la verità è che non riusciva a rassicurare neanche se stessa. Le accarezzò delicatamente i capelli.
Maria inspirò profondamente, alzando gli occhi al cielo per tentare di reprimere le lacrime e per evitare di guardarle. – Ok, statemi a sentire- disse, con la voce più ferma e sicura che riuscì ad avere. – Io credo in voi. So che è una missione difficile, e tutto quanto, ma io so che potete farcela. Vi ho addestrato mesi e mesi, per questo. Siete allenate a combattere mostri e a risolvere ogni tipo di problema. Non dimenticatelo.- Spostò lo sguardo su Alex, che la guardava, attenta. – Alex- fece. – Tu hai il fuoco dentro. Sei forte, e lo sai. Non tentennare mai, e usa la tua fiamma sempre, qualunque cosa accada. Sempre! E quando c’è un pericolo devi correre più veloce che puoi.
- Più veloce che posso?- chiese lei, emozionata.
- Più veloce che puoi- ripeté la donna, con un sorriso. – Non lasciare mai indietro le tue amiche, però. Sei la Ragazza in Fiamme. Dimostra loro cosa sei in grado di fare.
La mora annuì e la donna spostò lo sguardo su Bella. – Bella- disse. – Non avere paura di usare l’invisibilità. Anche se può sembrare scontato, è la tua arma contro i malvagi. Quando vi troverete in difficoltà, voglio che crei il campo di forza più grande che riesci a fare. Supera i tuoi limiti.
- Come?- fece la binda, stranita. – Ma … come faccio? Io …  non ne sono capace.
- Bella, non devi dire così! Tu puoi farlo, e io credo in te. Non pensare mai, mai di non riuscire a fare una cosa. Se lo vuoi davvero, puoi creare ogni cosa.
Bella annuì, cupa, ripensando alle parole della donna, che le accarezzò leggermente il braccio con fare protettivo. La guardò, abbozzando un sorriso forzato, e si impose di guardare l’altra ragazza e di parlare, prima di scoppiare in lacrime. La osservò negli occhi azzurri.
- E … Emma-. Le si avvicinò un po’ di più. – Prova a pensare un po’ di meno. Prova a non ragionare con questa- disse, poggiandole una mano sulla fronte. – E prova a farti guidare da questa- continuò, spostando la mano sul suo ventre. La ragazza aggrottò le sopracciglia, senza capire, e la donna sorrise. – Sai, a volte pensare troppo non sempre porta a dei buoni risultati. Tu hai un grande ingegno, e un’intelligenza da fare invidia a chiunque, ma ti manca la sfacciataggine di tentare. Non seguire la ragione, segui l’istinto. Ti troverai molto meglio.
Emma storse il naso, continuando a guardarla negli occhi. Segui l’istinto? Che cavolo di consiglio era? Alle altre Maria aveva dato suggerimenti importanti, dicendogli come usare al meglio i loro poteri o pure spronandole ad usarli anche nei momenti più impensabili. E a lei? Una stupida frase sentita migliaia di volte che ormai aveva perso tutto il suo effetto. Perché? Forse non la credeva in grado di agire d’impulso? O forse la riteneva già troppo brava ad usare i suoi poteri, che non le serviva un consiglio?
Emma cercò di fossilizzarsi sulla seconda opzione, anche se, in cuor suo, sapeva che non era quello il motivo.
Maria tornò a guardarle tutte, con un sorriso dolce sulle labbra. Singhiozzò. – Oh- esclamò. – Le mie ragazze!- Allargò le braccia e le tre amiche vi si buttarono a capofitto, affondando il viso nei morbidi capelli della donna, che ormai non fermava più le lacrime. – Voi siete speciali- disse, fra un singhiozzo e l’altro. – Non dimenticatelo mai!
Quando si staccarono, Maria aveva gli occhi gonfi e rossi per il pianto. Tirò su col naso e se lo asciugò con la manica della maglietta.
Non riuscirono a dirsi più niente, e rimasero lì ad abbracciarsi, contando i secondi che le separavano dalla partenza.
Nel frattempo, Bianca si contorceva le mani, a disagio. Non era nemmeno riuscita a salutare suo fratello. Era appena l’alba, e non aveva voglia di svegliarlo. Le sarebbe mancato così tanto … Ma in fondo, aveva scelto lei di partire. Non per un motivo in particolare, in realtà. Non lo aveva fatto per salvare la dea Artemide e per diventare l’eroina del campo. Si, anche. Ma la verità era che l’aveva fatto per se. Voleva dimostrare a se stessa di potercela fare, di essere in grado di superare i suoi limiti, da sola. Quando si era offerta volontaria non aveva pensato a nessuno. Non aveva pensato a Chirone. Non aveva pensato a Michael. Non aveva pensato a Nico. Aveva pensato solo ed esclusivamente a se stessa, e si era sentita bene per questo. Il suo cervello non era stato offuscato più da mille pensieri, e quella sera, guardandosi allo specchio, era finalmente riuscita a vedere, dopo tanti anni, il suo riflesso, senza essere interrotto dai visi di qualcun altro.
Ma ora, su quella collina, il pensiero di non poter mai più rivedere Nico le provocò una fitta allo stomaco, che non riusciva a farsi passare. Come avrebbe fatto a lasciarlo così? Solo, contro tutti? Chi lo avrebbe protetto?
Una voce flebile alle sue spalle la dissolse dai suoi pensieri, costringendola a voltarsi. Qualcuno la stava chiamando, e anche a squarciagola. Credeva di aver riconosciuto quella voce, ma no, con poteva essere lui.
- Bianca! Bianca!- Nico le correva incontro, con le braccia allargate e il fiato grosso. Bianca non ci pensò due volte. Lasciò cadere di peso lo zaino e l'arco che portava in spalla per terra e gli corse incontro, tendendo le braccia.
Non appena gli fu vicino si inginocchiò, permettendogli di lanciarsi fra le sue braccia e affondare il viso nell’incavo del suo collo.
- Oh, Bianca! Bianca!- Nico continuava a ripetere il nome della sorella, stringendola a se e singhiozzando. Lei lo strinse a se, concentrandosi sul suo respiro e su nient’altro. Voleva vivere quel momento, voleva ricordarselo così. Gli poggiò una mano sulla nuca, con fare protettivo, mentre con l’altra gli avvolgeva la vita. Lo sentiva piangere, e questo le fece stringere il cuore. Non doveva piangere anche lei. Doveva dimostrarsi forte, far capire al fratello che lei era forte.
Si staccò dall’abbracciò e lo guardò con gli occhi azzurri nei suoi color ghiaccio. Rabbrividì, vedendoli lucidi.
- Nico … - disse, cercando di avere un tono sicuro e rassicurante. – Voglio che tu sia forte, ok?- lui abbassò lo sguardo e lei gli alzò il volto con una mano, costringendolo a guardarla. – No, ascoltami. Non farti mettere i piedi in testa da nessuno, chiaro? Per nessun motivo! Sei un ragazzino fantastico, e gli altri non mancheranno di notarlo, aggredendoti nel vano tentativo di spegnere la tua luce. Beh, tu non dargli questa soddisfazione. Mai! Si sempre te stesso, e difenditi se necessario. Ti do il permesso di picchiarli.
- Davvero?- chiese lui, sorpreso.
- Davvero- confermò lei, chiudendo gli occhi e annuendo, decisa. Tornò a guardarlo e gli passò dolcemente una mano fra i capelli. – Ti voglio bene, Nico- disse, con dolcezza. – Non dubitarne mai. E non dimenticarlo.
Lui annuì debolmente, e si asciugò una lacrima non la manica della maglietta.
In quel momento, una voce provenne dall’interno del campo, facendosi sempre più vicina. – Bianca! Bianca!
La ragazza alzò lo sguardo, e scorse Michael che le correva incontro, sventolando una mano per farsi notare. Bianca si alzò da terra e gli corse incontro, buttandogli le braccia al collo.
Il ragazzo la bracciò, ansimando per la corsa. – Spero di non essere arrivato in ritardo- disse, prima di accorgersi che la sorella, fra le sue braccia, si sforzava di non piangere, reprimendo dei singhiozzi.
- Prenditi cura di lui! Non farlo morire di fame!- gli disse, tutto d’un fiato.
Lui annuì e la strinse un po’ di più. – Lo tratterò come se fosse mio fratello.
Lei si staccò dall’abbraccio, guardandolo con occhi lucidi, da cui però non fuoriusciva neanche una lacrima. – Grazie- mormorò, sforzandosi di sorridere.
Conosceva da poco quel ragazzo, eppure in lui c’era qualcosa, un sentimento, che la faceva sentire al sicuro, protetta. Lui l’aveva difesa sin dai primi giorni. Si era occupato di lei, non l’aveva mai lasciata sola. Era stato un fratello maggiore fantastico, il fratello maggiore che lei non aveva mai avuto, ma che aveva sempre desiderato. E non avrebbe potuto lasciare Nico in mani migliori.
In quel momento, Quintus varcò le barriere del campo e li raggiunse.
Avrebbe voluto dargli qualche consiglio utile per il combattimento, e stava per farlo, quando vide con la coda dell’occhio un luccichio che attirò la sua attenzione. Si voltò in quella direzione, e constatò che quel luccichio veniva da Emma, o meglio, dal suo capo.
Aggrottò la fronte e vi si avvicinò, sospettoso. La ragazza aveva i capelli raccolti in un piccolo chignon, tenuto con un fermacapelli verde. Quintus lo osservò.
- Dove hai preso quello?- chiese, avvicinandosi alla ragazza e indicando con un cenno il fermaglio.
Emma seguì il suo sguardo, e si portò una mano ai capelli, per controllare a cosa si riferisse. Quando si accorse che l’unica cosa che c’era sulla sua testa era il fermacapelli, fece un mezzo sorriso.
- È un fermaglio.
L’uomo alzò gli occhi al cielo. – Questo lo vedo. Ti ho chiesto dove l’hai preso.
- Me lo ha regalato una signora. Questo, e altri due bracciali ad Alex e Bella- ci pensò un po’ su. – Era davvero una signora strana … - mormorò, fra se e se. Non aveva idea del perché se lo fosse messo. Forse per sperare che davvero portasse fortuna? Forse perché era carino ed era l’unico modo per usarlo? O forse perché le parole di quella vecchia l’avevano davvero messa in soggezione, spingendola a credere che quei gioielli davvero servissero a qualcosa, oltre che alla bellezza?
Quintus spostò lo sguardo sui polsi della altre due ragazze, e si soffermò ad osservare i braccialetti, pensieroso.
Emma se ne accorse e seguì la direzione dei suoi occhi. Quando vide i braccialetti ai polsi delle amiche, sussultò. Anche loro avevano pensato di indossarli. Quindi non era l’unica. Ma perché tutte e tre se li erano messi? A cosa gli servivano per una missione del genere? Non riusciva a spiegarselo.
- Sono molto belli … - commentò l’uomo, alla sua destra, riportandola alla realtà. Emma scosse il capo e si sforzò di rispondere.
- Si … tanto belli quanto inutili.
Quintus la guardò, serio, poi abbozzò un sorriso. – Non sottovalutare mai le cose piccole. A volte sono le più essenziali.
La bionda aggrottò la fronte, non capendo. - Come può essere essenziale un fermacapelli?
Lui allargò il suo sorriso e scrollò le spalle. - Non ti accorgi di quanto una cosa sia importante finché non ne hai davvero bisogno.
Emma lo guardò. Si, grande lezione di vita, ma no, quel fermacapelli non le sarebbe stato di nessun aiuto. ma ormai era tardi per tornare a casa.
Quintus le diede una pacca di incoraggiamento sulla spalla, e, dimenticatosi per un attimo cosa voleva dire, si limitò ad un – Buona fortuna-, al quale la ragazza rispose con un sorriso forzato e un cenno del capo, abbassando subito lo sguardo.
L’uomo se ne andò e lei raggiunse le sue amiche, che si stavano dirigendo verso il furgone rosso. Non era decisamente uno di quelli che non dava nell’occhio, ma di sicuro non si faceva notare.
Salirono tutti. Percy si mise al volante, e, mentre Chirone si dirigeva verso il campo tenendo una mano intorno alle spalle di una Maria in lacrime per consolarla, il furgone partì.
Rimasto solo sulla collina, Quintus si guardò intorno.
- Sono partiti?- chiese una voce dietro di lui.
Senza voltarsi annuì. – Si, ora puoi andare.
Zane lo raggiunse e gli si mise accanto, osservando la strada. In quel momento provò un’ondata di rimorso e si sentì anche piuttosto stupido. Come avrebbe fatto a stargli dietro? Correndo?
- Credo che tu abbia bisogno di questa- disse Quintus, porgendogli qualcosa. Zane la afferrò e solo poi si accorse di cosa si trattava. Era un braccialetto di bronzo con una pietra blu incastonata.
- Scintilla … - mormorò, contento.
Quintus annuì. – Ora è tua. Fanne buon uso.
Zane annuì e, mentre si infilava il braccialetto, tornò a guardare la strada.
Forse se fosse andato in bicicletta sarebbe riuscito a raggiungerli …
- A occhio e croce … - fece l’uomo, guardando anch’egli la strada. – Direi che hai bisogno di un cavallo per la fuga. Ti interessa?
Si udì un battito di un grande paio d’ali. Zane si voltò e vide un grande pegaso nero atterrare al suo fianco. Il cavallo si mise a brucare come se niente fosse qualche ciuffo d’erba che spuntava nel ghiaccio.
Zane sorrise. – Cavalcherò quel coso?
- Beh, se vuoi andare a piedi …
- Ma come so che mi ubbidirà?
Quintus fece un mezzo sorriso e si avvicinò al puledro, accarezzandogli il dorso. - È un cavallo molto intelligente. Si chiama Blackjack. È docile, non preoccuparti. Ho messo a punto un modo di comunicazione per voi.
- E sarebbe?
- Quando il cavallo nitrisce tre volte, significa che ha capito. Quando nitrisce due volte, significa che non ha capito. Quando nitrisce una volta … beh, quando nitrisce una volta ha solo fame.
Zane inarcò un sopracciglio. – E che succede se non gli do da mangiare? 
- Beh, il cavallo si ribella, tu cadi dalla sella e fai … Splach!- rispose, battendo le mani un’unica volta per dare l’idea dell’impatto.
Zane deglutì. – Ok …- disse, poco convinto. Non era sicuro che quel paino avrebbe funzionato, ma, d’altronde, che scelta aveva? I ragazzi erano già partiti da un po’, quindi la possibilità di raggiungerli a piedi era scemata.
Salì in sella e il cavallo nitrì un attimo, infastidito. Zane si tenne forte alle redini e aspettò che quello si calmasse, prima di ricominciare a respirare.
Quintus lo guardò con un sorriso. – Sei molto coraggioso, ragazzo. E anche molto in gamba. Fatti valere.
Zane lo ringraziò con lo sguardo, poi si chinò sul cavallo. – Sei pronto?
Il cavallo nitrì tre volte. – Bene- fece lui, raddrizzando la schiena. – Allora voliamo.
 
Il guaio di volare su un pegaso di giorno è che, se non si fa attenzione, si rischia di causare qualche serio incidente lungo l’autostrada di Long Island. Zane dovette perciò tenere Blackjack fra le nuvole, che per fortuna d’inverno erano piuttosto basse.
Sfrecciavano in alto, cercando di non perdere di vista il furgone rosso del Campo Mezzosangue. E se a terra faceva freddo, in aria si gelava, con la pioggia ghiacciata che gli pungeva la pelle.
Rimpianse un po’ di non essersi portato della biancheria termica, ma ormai tanto valeva non pensarci.
Persero il furgone due volte, ma Zane immaginava che sarebbero entrati a Manhattan, perciò non fu troppo difficile rintracciarli.
Il traffico era parecchio intenso a causa delle vacanze. Era mattino inoltrato quando arrivarono in città.
Zane atterrò con Blackjack in cima al Chrysler Building e osservò il furgone rosso del campo, pensando che avrebbe accostato alla stazione degli autobus, invece non si fermò.
- Ma dove stanno andando?- mormorò.
Il pegaso nitrì due volte.
Il furgone continuò a zigzagare nel traffico, diretto al Lincoln Tunnel.
- Beh- disse. – Seguiamoli.
 

Angolo Scrittrice
Salve genteeeee!!! :D
Come va?
Finalmente sono partiti per questa cavolo di missione! Beh, com'è? Certo che partono da neanche dieci minuti e Bella già si mette nei guai... Ah, questi mezzosangue! -.- xDxD
Comunque ... Vi ringrazio infinitamente, perché se ora state leggendo questo commento, significa che avete letto il capitolo fino alla fine, e che non l'avete trovato disgustoso? Scusate se é un po' lungo ... Spero solo di non avervi annoiato :)... è che non riuscivo mai a trovare un punto adatto dove finire, un punto che poi si addicesse ai miei canoni :S... davvero, che ve ne è sembrato? Bello? Brutto?
Commentate, mi raccomando, ve ne sarei infinitamente grata, davvero. Sembra stupido ma é importante :3. Fatemi sapere se devo continuare... Bello o brutto che sia,non é quello l'importante. Vorrei sapere la vostra opinione. :) grazie.
Ora scusate, ma è molto tardi e io devo andare a letto. Spero solo di non aver fatto errori nella correzione xDxD Grazie per avermi dedicato una piccola parte del vostro tempo :D Ci vediamo al prossimo capitolo, se ci sarà ;)

ένα τεράστιο φιλί!
La vostra ValeryJackson

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Capitolo 37
*** Bella impara ad allevare zombi ***


Percy continuò a guidare a manetta verso sud, ed erano già nel Maryland quando finalmente accostarono per una sosta.
- Grover, sei sicuro?- chiese Alex, scettica, addentando una ciambella.
- Beh … si, direi di si. Al novantanove per cento. Ok, diciamo all’ottantacinque.
- E puoi dirlo grazie a delle ghiande?- chiese Bianca, come se non riuscisse a crederci, mentre sorseggiava un cappuccino.
Grover fece un’espressione offesa. - È un incantesimo antichissimo e rispettabile, ottimo per rintracciare una pista. Sono sicuro che ha funzionato bene.
- Washington è a meno di cento chilometri- disse Bianca. – Io e Nico … - si accigliò. – Una volta abitavamo là. Che strano … l’avevo dimenticato.
- Questa storia non mi piace- intervenne Emma. – Dovremmo andare a ovest. La profezia lo dice chiaramente.
- Oh, vuol dire che tu saresti più brava a rintracciare una pista?- ringhiò Alex.
- Osi sfidare le mie abilità?
- Osi sfidare le mie abilità?- cinguettò Alex, scimmiottando la voce dell’amica.
Emma si accigliò, aprendo la bocca per rispondere, ma fu interrotta.
- Ehi, voi due- intervenne Grover, nervoso. – Dai, non ricominciate.
- Grover ha ragione- disse Bella. – Washington è la scelta migliore.
Emma non sembrava convinta, ma annuì con riluttanza. – E va bene. Andiamo.
Salirono tutti sul furgone e Percy mise in moto.
- Ci farai arrestare se continui a guidare tu- brontolò Alex.
- Forse- la fulminò Percy, guardandola dallo specchietto retrovisore. – Ma almeno non c’è il pericolo di far incendiare l’autostrada.
Alex gli fece una smorfia e lui partì, cercando di non farci caso. – Andiamo- borbottò, tornando a concentrarsi sulla strada.

Mentre Zane e Blackjack continuavano verso sud, seguendo il furgone, l’aria cominciava a farsi sempre più fredda, e il vento in faccia sempre più insopportabile.
Quando si avvinarono a Washington, il pegaso cominciò a rallentare, abbassandosi di quota. Era senza fiato.
- Tutto ok?- gli chiese Zane.
Il cavallo nitrì tre volte.
- Non mi sembra.- Si sentì in colpa, perché ormai lo cavalcava da mezza giornata, senza interruzioni, per tenere il passo del traffico autostradale. Anche per un cavallo volante non doveva essere facile.
Per fortuna, il furgone cominciò a rallentare. Attraversò il fiume Potomac ed entrò a Washington.
Zane cominciò a pensare alla contraerea, ai missili e a roba del genere. Non sapeva di preciso come funzionassero i sistemi di difesa e non sapeva nemmeno se i pegasi fossero rilevabili al radar, ma non voleva scoprirlo facendosi abbattere dall’esercito.
- Posami laggiù- ordinò a Blackjack. – Siamo abbastanza vicini.
Blackjack era così stanco che non si lamentò nemmeno. Puntò verso il monumento di George Washington e lo fece scendere sull’erba.
Zane si guardò intorno. Il furgone era poco lontano. Percy aveva parcheggiato vicino al marciapiede.
Guardò Blackjack. – Voglio che torni al campo. Riposati. Mangia. Io starò bene. ringrazia Quintus.
Lui sembrò piegare la testa scettico, come per chiedere “Sicuro?”. Zane annuì. – Hai già fatto abbastanza. Starò bene. E grazie mille.
Lui si avvicinò e strofinò il muso contro la sua faccia, al ché Zane rise. Stava per andarsene, quando il cavallo nitrì. Una volta soltanto. Zane si tastò le tasche. Non aveva niente, se non una piccola caramella alla mente. Decise di dargli quella e, mentre lui la mangiava dal suo palmo, gli accarezzò il muso. – Te la sei meritata.
Il cavallo nitrì tre volte, contento. Poi decollò, compì un doppio cerchio attorno all’obelisco e scomparve fra le nuvole.
Zane guardò verso il furgone. Stavano scendendo tutti. Grover indicò uno dei grandi edifici che costeggiavano il parco del Mall. Emma annuì, e si allontanarono insieme nel vento gelido.
Era il momento di seguirli.

- Non sono sicura … - disse Emma, storcendo il naso.
- Fidati di me!- insistette Grover. – Le ghiande non sbagliano mai.
La ragazza lo guardò, scettica. Poteva affidare la sua sorte a delle ghiande? – Forse è meglio che faciamo un giro di circospezione prima. Così, tanto per essere sicuri.
- Ci penso io!- esclamò Bella, alzando la mano.
- Sicura?
- Certo!- annuì con veemenza. – Voi avviatevi, io vi raggiungo dopo.
Emma sembrava ancora poco convinta, ma ormai aveva finito le scuse, e tutti la guardavano spazientiti. Alzò gli occhi al cielo, sbuffando. – Ok! Andiamo.
Grover esultò e, mentre loro seguivano il satiro, Bella andò dall’altra parte, scrutando l’ambiente circostante. Si guardò un po’ intorno, ma non c’era niente di insolito. Faceva freddo, fuori, e la gente non aveva voglia di uscire. Meglio così, pensò.
Si voltò di nuovo e fece per seguirli, ma poi si bloccò.
Poco lontano, lo sportello di una berlina si aprì. Un uomo con i capelli grigi molto corti, da militare, scese dall’auto. Indossava un paio di occhiali da sole scuri e un cappotto nero. Ora, uno forse a Washington deve aspettarsi di incontrare tizi del genere. Ma Bella si accorse di aver già visto quella macchina un paio di volte in autostrada, e le era sembrato che li seguisse.
Il tizio tirò fuori il cellulare e disse qualcosa. Poi si guardò attorno, come per assicurarsi che non ci fosse nessuno, e si incamminò lungo il Mall nella stessa direzione dei ragazzi.
La cosa peggiore, però, fu che quando si voltò verso Bella, lei riconobbe subito la sua faccia. Era il dottor Thorn, la manticora dell’Hollywood Big Hotel.
Senza pensare, si rese invisibile e lo seguì a distanza. Il cuore le martellava nel petto. Se lui era lì, significa che era tornato, e che, evidentemente, voleva vendetta. I suoi amici erano i grosso pericolo.
Thorn camminava a debita distanza dai suoi amici, attento a non farsi vedere.
Alla fine, Grover si fermò davanti a un grande edificio con su scritto:MUSEO AEREOSPAZIALE NAZIONALE.
Bella lo riconobbe. Lo Smithsonian.
Alex controllò l’ingresso. Era aperto, ma non c’erano molti visitatori. Faceva troppo freddo e le scuole erano chiuse per via delle vacanze di Natale. Si infilarono dentro.
Il dottor Thorn esitò. Bella si aspettava che fosse entrato nel museo, ma invece non lo fece. Si voltò e continuò a camminare lungò il Mall. In una frazione di secondo, decise di seguirlo. Non sapeva perché. Sarebbe dovuta correre dai suoi amici, avvertirli del pericolo, dirgli di scappare. Ma il suo istinto le diceva che c’era qualcosa che non andava. Qualcosa di più grosso della vendetta.
L’uomo attraversò la strada e salì le scale del Museo di Storia Naturale. C’era un grande cartello con su scritto: CHIUSO PER EVENTO PRIVATO, ma lui entrò lo stesso. Bella lo seguì e attraversò una sala enorme, piena di mastodonti e scheletri di dinosauri. Delle voci provenivano da una grande porta chiusa davanti a loro. Fuori stazionavano due sentinelle. Aprirono la porta per il dottor Thorn e Bella ebbe lo slancio giusto per entrare prima che la richiudessero.
Dentro, la scena era così terribile, che per poco non le sfuggì un’esclamazione, rischiando così di essere, molto probabilmente, ammazzata.
Si trovava in un’enorme stanza rotonda, con una balconata che girava intorno al secodno piano. Sopra c’erano almeno una decina di guardie mortali e due mostri, donne rettile con due tronchi di serpente al posto delle gambe.
Ma quella non era la parte peggiore. Quando lo vide, a Bella venne un tuffo al cuore, perché, proprio in piedi in mezzo alle due donne-serpente, c’era il suo vecchio amico Luke … e avrebbe giurato che la stesse guardando. Aveva un aspetto terrificante. Era pallidissimo e i suoi capelli biondi sembravano quasi grigi, come se fosse invecchiato di dieci anni. Aveva ancora la stessa luce di rabbia negli occhi, così come la cicatrice sulla guancia, ricordo di un incontro con un drago. Ma ora la cicatrice era orribilmente rossa, come se fosse stata riaperta di recente.
Accanto a lui, seduto nell’ombra, stava un altro uomo. Si vedevano solo le nocche delle mani, posate sui braccioli di una sedia, simile a un trono.
- Ebbene?- chiese l’uomo sulla sedia. La sua voce era profonda e forte, e a Bella si gelò il sangue nelle vene, mentre si accorgeva di aver cominciato a trattenere il fiato. Riempì la stanza nonostante non stesse gridando.
Il dottor Thorn si tolse gli occhiali scuri. I suoi occhi bicolore, marrone e azzurro, scintillarono d’eccitazione. Fece un rigido inchino, quindi parlò. – Sono qui, Generale.
- Questo lo so, sciocco!- tuonò l’uomo. – Ma dove?
- Nel museo dei missili.
- Il Museo Aereospaziale- lo corresse Luke con irritazione. La sua voce sembrava più roca, ma più imponente.
Il dottor Thorn lo fulminò con lo sguardo. – Come dice lei, signore.- Da come pronunciò l’ultima parola, sembrava che avrebbe preferito infilzare Luke con una delle sue spine, piuttosto che chiamarlo “Signore”.
- Quanti sono?- chiese il ragazzo.
Thorn fece finta di non sentire.
- Quanti sono?- domandò il Generale.
- Sette, Generale- rispose l’uomo. – Il satiro, Grover Underwood. Il figlio di Poseidone, Percy Jackson. E poi ci sono quelle tre ragazze, una mora e le altre due biondine, una un biondo più color miele, l’altra più un biondo platino …
- Alex … Bella … ed Emma- tradusse Luke, pronunciando i loro nomi con gran fatica, l’ultimo anche con una punta di rammarico e tristezza.
- E altre due ragazze. C’è né una bionda, con i capelli corti e colorati di verde e altri colori. E poi l’altra, quella dell’Hotel. Non ne sono sicuro, ma credo che sia la figlia di Apollo. Il suo odore è diventato più forte, ora.
- Interessante …- mormorò l’uomo, con la voce tipica di chi sta facendo un ghigno divertito.
- Lasci che li prenda io- propose Luke al Generale. – Abbiamo più che …
- Pazienza- replicò l’uomo. – Avranno già il loro da fare. Gli ho mandato un piccolo compagno di giochi per tenerli occupati.
- Ma …
- Non possiamo rischiare te, ragazzo mio.
- Si, ragazzo- concordò il dottor Thorn con un sorriso crudele. – Sei troppo fragile. Permetta che sia io a finirli, signore.
- No!- Il Generale si alzò dalla sua sedia e Bella ebbe modo di guardarlo per la prima volta.
Era alto e muscoloso, con la carnagione mulatta e i capelli scuri tirati indietro. Indossava un costoso completo marrone, come quei tizi di Wall Street, ma nessuno lo avrebbe mai preso per un broker. Aveva una faccia brutale, le spalle grosse e le mani capaci di spezzare in due l’asta di una bandiera. Gli occhi sembravano di pietra. Sembrava quasi di guardare una statua vivente. Era incredibile che riuscisse a muoversi.
- Mi hai già deluso una volta, Thorn- aggiunse.
- Ma, Generale …
- Niente scuse!
L’altro sussultò. Di fronte al Generale, Thorn sembrava quasi un pivellino che giocava a fare il militare. Non incuteva più lo stesso terrore dell’Hotel. Il Generale era roba seria. Un comandante nato. Non gli serviva l’uniforme.
- Dovrei gettarti negli abissi del Tartaro per la tua incompetenza- continuò il Generale. – Ti avevo mandato a prendere un figlio dei Tre Pezzi Grossi, e tu ti fai sconfiggere da dei ragazzini?
Bella sussultò. Che significava? Quindi non era andato lì per prendere Bianca e Nico? Erano lì … per Percy?
- Ma … - balbettò Thorn. – Lei mi aveva promesso vendetta! Un ruolo di comando tutto mio!
- Sono io il primo comandante di Crono- tuonò il Generale. – E scelgo i luogotenenti che mi portano dei risultati! È solo grazie a Luke se abbiamo salvato il nostro piano. Ora sparisci dalla mia vista, Thorn, finché non trovo qualche altro compito insulso da affidarti!
Il voltò di Thorn divenne viola di rabbia. Bella lo osservò, pensando che si fosse messo a sbavare dalla bocca e a scagliare aculei, ma si limitò ad inginocchiarsi goffamente e ad uscire dalla stanza.
Ma di che piano stavano parlando? Che avevano combinato?
- Ora, ragazzo mio- Il Generale si voltò verso Luke. – Ti dimostrerò come annienteremo quei ragazzini.
Luke deglutì, poi annuì. Il Generale puntò il dito su una guardia giù di sotto. – Hai i denti?
Il tizio si fece avanti, esitante, con un vaso di ceramica in mano. – Si, Generale.
- Piantali- ordinò.
Al centro della stanza c’era un grande cerchio di terra, probabilmente pensato per l’esposizione di un dinosauro fossile. Nervosa, Bella osservò la guardia che estraeva dei denti candidi e affilati dal vaso e li conficcava nel terreno.
L’uomo si allontanò dalla terra e si strofinò le mani. – Fatto, Generale.
- Ottimo! Innaffiali, e gli faremo annusare la preda.
La guardia raccolse un piccolo annaffiatoio di latta con delle margherite dipinte sopra e versò sul terriccio il contenuto, e cioè un denso liquido rosso, tipo punch hawaiano.
Il terreno cominciò a ribollire.
- Presto, Luke- disse il Generale – ti mostrerò dei soldati che faranno sembrare insignificante l’esercito della tua barchetta.
Luke strinse i pugni. – Ho passato un anno ad addestrare le mie truppe! Quando la Principessa Andromeda arriverà sul monte, saranno le migliori …
- Ah!- esclamò il Generale. – Non nego che le tue truppe saranno un’ottima guardia per il nostro sovrano, Crono. E tu, naturalmente, avrai la tua parte … - Luke sembrò diventare ancora più pallido a quelle parole. - … ma sotto il mio comando, le forze di Crono aumenteranno di cento volte. Saremo inarrestabile. Invincibili. Ammira le mie straordinarie macchine assassine!
Il terreno eruppe e Bella si scostò, innervosita.
In ogni singolo punto in cui era stato piantato un dente, c’era una creatura che cercava di sbucare dalla terra.
La prima disse qualcosa come: - Miao?
Era un gattino. Un cucciolo arancione, tigrato. Poi ne comparve un altro, finché non furono una decina, che si rotolavano e giocavano a terra.
Tutti li fissarono, increduli. Luke sorrise. Il Generale tuonò: - Cos’è questo? Dei teneri gattini? Dove hai trovato quei denti?
La guardia che li aveva portati si fece piccola piccola dalla paura. – Alla mostra, signore. Come aveva detto lei. La tigre dai denti a sciabola …
- No, idiota! Avevo detto il tirannosauro! Raccogli queste … infernali palle di pelo e portale fuori. E non farmi più vedere la tua faccia.
La guardia, terrorizzata, lasciò cadere l’innaffiatoio, raccolse i gattini e corse via dalla stanza.
- Tu!- il Generale indicò un’altra guardia. – Portami i denti giusti. ORA!
Quella corse subito fuori per eseguire gli ordini.
- Imbecilli- mormorò il Generale.
Luke sorrise, compiaciuto dal fallimento della sua presentazione.
Un minuto dopo, la guardia si precipitò dentro con le mani piene di grandi denti aguzzi.
- Ottimo- approvò il Generale. Scavalcò la ringhiera della balconata e saltò giù, un volo di sei metri.
Nel punto in cui atterrò, il pavimento di marmo si incrinò sotto le sue scarpe di cuoio. Si alzò con una smorfia di dolore e si strofinò le spalle. – Maledetto torcicollo.- Si rassettò il completo di seta, quindi gli tolse i denti dalle mani. – Faccio io.
Ne sollevò uno e sorrise. – Denti di dinosauro … - mormorò, soddisfattò.
Li piantò a terra, dodici in tutto. Poi raccolse l’annaffiatoio. Cosparse il terreno di liquido rosso, gettò via il contenitore e spalancò le braccia. – Sorgete!
La terra tremò. Una mano scheletrica spuntò dal terreno, ghermendo l’aria. Il Generale si sfilò un impacco dalla tasca, lo aprì e vi estrasse qualcosa. Una ciocca bionda. – Quando i miei guerrieri avranno colto l’odore di questa ciocca di capelli, non daranno tregua a colei a cui appartiene- disse il Generale. – Niente può fermarli. Nessuna arma nota ai mezzosangue. Ridurranno quei poppanti a brandelli!
Bella si accorse che Luke guardava quella ciocca bionda con degli occhi pieni di rimpianto. L’aveva riconosciuta. Era una ciocca di Emma. Ma come avevano fatto loro ad averla? Glie l’aveva forse data lui?
In quello stesso istante, gli scheletri eruppero dal terreno. Erano dodici in tutto, uno per ogni dente piantato dal Generale. Non somigliavano per niente a quelli che si vedevano ad Halloween o nei film dell’orrore. Sotto i loro stessi occhi, misero su carne e si trasformarono in uomini, e non uomini come tutti gli altri: erano vestiti con abiti moderni, ma avevano la pelle grigia e opaca e gli occhi gialli. Se non li guardavi troppo attentamente, potevi quasi credere che fossero umani, ma in realtà la carne era trasparente e si vedevano le ossa scintillare, come ai raggi X.
Bella ebbe l’impressione che uno di loro la guardò, soppesandola con freddezza, e capì che neanche la sua invisibilità l’avrebbe ingannato.
Il Generale salì su una scalinata, osservando le sue creature dall’alto. Poi lasciò cadere la ciocca di capelli, che fluttuò giù, verso quei cosi. Una volta arrivata a destinazione, i guerrieri avrebbero dato la caccia ad Emma, e di conseguenza a tutti loro. Fino alla morte.
Agì senza pensare. Corse e saltò con tutte le sue forze, tuffandosi in mezzo ai guerrieri e afferrando la ciocca a mezz’aria.
- Che succede?- tuonò il Generale.
Atterrò ai piedi di un guerriero-scheletro, che sibilò.
- Un intruso!- ringhiò l’uomo. – Avvolto nelle tenebre. Sbarrate le porte!
- È Bella Hartley! La ragazza invisibile!- gridò Luke. – Deve essere lei.
Bella si slanciò verso l’uscita, ma udì il rumore di qualcosa che si strappava, e si rese conto che un guerriero scheletro si era preso un pezzo della sua manica. Quando si voltò, vide che si portava la stoffa al naso e annusava l’odore, per poi passarlo ai suoi compari.
Avrebbe voluto gridare, ma non poteva. Poteva solo correre. Fece appena in tempo a infilarsi dentro la porta, che le guardie la sbatterono alle sue spalle.
Poi scappò

Angolo scrittrice
Ciaoo!
Ho deciso di divedere il capitolo precedente in due parti, perchè mi sembrava troppo lungo!
Mi raccomando, se vi è piaciuto, commentate! ;D
Un bacio!
ValeryJackosn

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Capitolo 38
*** Come distruggere un Museo Aereospaziale ***


Attraversò il Mall alla velocità della luce, senza mai osare guardarsi alle spalle.
Correva a perdifiato, ai limiti dell’estremo, quando andò a sbattere contro qualcosa, o meglio, qualcuno. Atterrarono a terra entrambi, e lei gli cadde sopra. Per l’improvviso spavento si deconcentrò e tornò visibile, ma quando aprì gli occhi, rimase senza fiato. – Zane!- urlò.
Lui le sorrise, imbarazzato. Il loro visi erano a pochi centimetri di distanza. – Ehm … ciao.
Bella si alzò, furibonda. – Cosa ci fai tu qui?- sbraitò, confusa. Non riusciva a crederci. Senza aspettare risposta, si voltò finalmente indietro, per vedere se qualcuno la seguisse. Senza nemmeno osservare bene, spintonò Zane. – Presto, corri!
Lo spintonò per un po’, finché lui non capì e cominciò a correre da solo.
Si precipitarono nel Museo Aereospaziale. La parte principale del museo era un’unica sala enorme con astronavi e aeroplani appesi al soffitto. C’erano tre livelli di balconi tutt’intorno, per permettere di ammirare da varie altezza gli oggetti in mostra.
Zane se lo ricordava bene. Lì, c’era già stato con la sua famiglia.
Non c’era molta gente, solo qualche famigliola e un paio di gruppetti di ragazzi, probabilmente in gita o solo lì per perdere tempo.
Bella avrebbe voluto gridare a tutti di andarsene, ma avrebbe ottenuto soltanto di farsi arrestare. Doveva trovare gli altri. Da un minuto all’altro quei maledetti scheletri avrebbero invaso il museo, e non si sarebbero accontentati di un giretto con l’audioguida.
Cominciò a correre su per le scale dell’ultimo balcone, seguita da Zane. Mentre il ragazzo scattava in avanti per farsi dare delle spiegazioni, si scontrò con Alex, letteralmente. Le finì contro, spedendola dentro una capsula di Apollo.
Grover strillò per la sorpresa.
Prima che Zane potesse ritrovare l’equilibrio, Bianca aveva incoccato una freccia, puntandola al suo petto. L’arco era quello che si era portata dal campo, e le frecce erano pronte all’uso dietro la schiena.
Quando Bianca lo riconobbe, inarcò un sopracciglio, ma non abbassò l’arma. – Tu? Che ci fai qui?
- Zane!- esclamò Grover. – Grazie al cielo!
Tutti lo fulminarono con lo sguardo, e lui arrossì. – Cioè, ehm … caspita. Non dovresti essere qui!
- Luke!- esclamò Bella, cercando di riprendere fiato. - È qui.
Il corpo di Emma si irrigidì subito, e la rabbia che aveva negli occhi dopo aver scoperto dell’arrivo dell’amico svanì all’istante. Si portò una mano ai capelli, giocherellando con il suo fermacapelli. – Dove?
Bella spiegò loro ciò che aveva appena visto e sentito il più rapidamente possibile, tanto che i ragazzi persero alcuni passaggi.
- Aspetta, aspetta- la interruppe Alex, agitando le mani. – Chi è ora questo Generale?
- Non lo so! Ti dico solo che è pericoloso! Dobbiamo andarcene!
- Non capisco- disse Grover. – Stiamo seguendo la pista di Artemide. Ero piuttosto sicuro che portasse in questo posto. C’è l’odore di un mostro potente …  Ma non abbiamo trovato ancora niente.
- Beh, ma loro troveranno noi, se non ce ne andiamo!- sbraitò Bella.
- Chi ci troverà?- chiese Zoe, aggrottando le sopracciglia.
- Gli scheletri.
- Scheletri?- l’urlo di Percy rimbombò sulle pareti. – Quanti sono?
- Dodici.
Zane, che era rimasto in ascolto, picchietto il dito sulla punta della freccia di Bianca. – Ehm … potresti togliermi questa dalla faccia?
La ragazza lo guardò. – Ma tu che ci fai qui?
- Sono qui per aiutarvi.
- Non ci serve io tuo aiuto, Zane- lo rimproverò Alex.
- Beh, non se muoio prima- confermò lui, fissando la punta dell’arma che aveva puntata contro. Bianca alzò gli occhi al cielo e, con riluttanza, ripose l’arco.
- Io credo sia meglio andare- propose Zoe.
- Buona idea- concordò il biondo.
- Non stavamo includendo te, Zane- specificò Emma. – Tu non fai parte dell’impresa.
- Ehi, ormai ci sono dentro tanto quanto voi!
- Si, ma tu …
- Ragazzi!- li interruppe Bella. – Vi dico che non c’è tempo! Se non ce ne andiamo subito …
Un ruggito, così forte che sembrò avessero acceso il motore di un’astronave, risuonò nella stanza, tanto che si bloccarono tutti.
Bella chiuse gli occhi. Oh, no.
Ai loro piedi, alcuni degli adulti strillarono. La voce di un bambino piccolo squittì, deliziata: - Micio!
Qualcosa di enorme balzò sulla rampa. Era delle dimensioni di un pick-up, con gli artigli d’argento e la pelliccia d’oro, scintillante.
- Il leone Nemeo- soffiò Emma. – Non vi muovete.
L’animale ruggì talmente forte da fare ai presenti la riga ai capelli. Le sue fauci luccicavano come acciaio.
- Sparpagliatevi al mio segnale- ordinò di nuovo la bionda. – Cerchiamo di distrarlo.
- Fino a quando?- chiese Percy.
- Finché non troviamo un modo per fermarlo. Ora!
Sia Percy che Zane sguainarono le loro spade, e Grover suonò un ritmo acutissimo con il suo flauto a canne.
Le ragazze si misero in posizione d’attacco, mentre Bianca si arrampicava sulla capsula di Apollo. Stava bersagliando il leone con le frecce, ma quelle si infrangevano invano sulla pelliccia metallica. Il mostro colpì la capsula con la grossa zampa, e fece scivolare giù la ragazza.
Grover suonò un orribile motivetto e l’animale si voltò verso di lui, ma Zoe si parò davanti a lui e alzò un muro di arbusti spinosi, al ché quello arretrò.
- Indietro!- esclamò lei.
Il leone ringhiò e sferrò gli artigli nell’aria, cercando di abbattere gli arbusti, invano.
Per un attimo, Zoe pensò di averlo in pugno. Ma poi vide che il mostro si accucciava. Aveva visto troppe risse tra gatti nella sua vita, e sapeva che il mostro stava per balzare.
- Ehi!- gridò Percy in quel momento. Non sapeva cosa gli fosse passato per la testa, ma lo attaccò. In realtà voleva solo che si allontanasse dai suoi amici. Sferrò un fendente con Vortice, ben piazzato sul fianco, che avrebbe dovuto ridurre il mostro a brandelli. Ma la lama si limitò a cozzare contro la sua pelliccia, sollevando un’esplosione di scintille così forte da sfuggirgli di mano.
Il mostro si girò di scatto e lo colpì con una zampa, facendolo sbattere con un tonfo contro il muro. A Percy sembrò che le sue costole si fossero incrinate, e gli mancò il fiato per l’impatto cruento.
Il leone soffiò e si avvicinò minaccioso al ragazzo.
- Percy!- urlò Alex. Li raggiunse di corsa e si mise fra i due, alzando un muro di fuoco. Il leone indietreggiò, impaurito, ma continuò a ruggire.
Alex si rese conto che sarebbe riuscita a tenerlo a bada per un po’, ma non a fermarlo definitivamente.
Spinse altre lingue di fuoco contro di lui, il necessario per farlo allontanare. Poi si chinò verso Percy e lo aiutò ad alzarsi, mettendosi il suo braccio intorno alle spalle. Il ragazzo si massaggiava le costole.
Alex si guardò intorno e lo trascinò verso la ringhiera.
Superata la paura delle fiamme, il leone si riavvicinò.
- Sei pronto?- chiese la ragazza.
Lui aggrottò la fronte. – Per fare cosa?
Il leone si avvicinò di più. – Per saltare!- urlò lei.
La belva balzò verso di loro, una mezza tonnellata di mostro, e loro saltarono la ringhiera. Atterrarono sull’ala di un vecchio aeroplano argentato, che si inclinò in avanti e per poco non li riversò a terra, tre piani più in basso.
Una freccia fischiò vicino alla loro testa. Il leone balzò sull’aereo e le corde che reggevano il velivolo cominciarono a cigolare.
Cercò di colpirli con una zampata, e Alex urlò a Percy di lasciarsi cadere sull’apparecchio successivo, una stranissima astronave con eliche, come un elicottero. Il ragazzo obbedì.
Guardarono in su, e videro l’animale che ruggiva. Dentro, le fauci, la gola e la lingua erano rosa.
Da sotto, anche gli altri riuscirono a vederlo.
In quel momento a Zane venne un lampo di genio. La bocca, pensò. La pelliccia era invulnerabile, ma se fossero riusciti a colpirlo nella bocca … l’unico problema era che il mostro si muoveva troppo in fretta. Fra gli artigli e le zanne, non potevano avvicinarsi senza finire a pezzettini.
- Bianca!- gridò il ragazzo. – Mira alla bocca!
Il mostro si tuffò. Una freccia gli passò accanto senza neanche sfiorarlo. Alex e Percy abbandonarono l’astronave e si lasciarono cadere giù. In cima ad un enorme modellino della Terra esposto al pianterreno. Scivolarono lungo la Russia e balzarono dall’Equatore.
Il leone Nemeo ringhiò e si mise in equilibrio sull’astronave, ma pesava troppo. Una delle corde si spezzò. Mentre la navicella precipitava, ondeggiando come un pendolo, il mostro saltò sul Polo Nord.
- Grover!- gridò Emma. – Sgombra la zona!
C’erano gruppi di ragazzini urlanti che correvano dappertutto. Grover cercò di spingerli via dal mostro, mentre l’altra corda si spezzava e l’astronave si schiantava a terra.
Emma saltò dal secondo piano e atterrò di fronte ai due ragazzi, dall’altra parte del pianeta. Il leone li scrutò attentamente, come per stabilire chi uccidere prima. Poi si scagliò contro Alex e Percy, ma Bella si parò davanti a loro, giusto in tempo per creare un campo di forza, contro cui il leone Nemeo sbatté, ruggendo per la rabbia e la frustrazione.
Bianca era sopra di loro, con l’arco teso, ma continuava a spostarsi per trovare l’angolatura giusta.
- La traiettoria non è libera!- gridò. – Cercate di fargli aprire di più la bocca!
Il leone ringhiò in cima alla terra.
Zane si guardò attorno, con frenesia. Che opzioni c’erano? Gli serviva … il negozio di souvenir!
Aveva un vago ricordo della gita che aveva fatto lì con la sua famiglia, da piccolo. Qualcosa che si era fatto comprare dalla mamma, ma di cui poi si era pentito. Se vendevano ancora quella roba …
- Ragazzi- disse. – Tenetelo occupato!
Tutti annuirono, cupi, e il leone, con un ruggito, saltò contro Emma, che rotolò via appena in tempo, prima di essere divorata.
Zane cominciò a correre verso il negozio. Si precipitò dentro, rovesciando pile di magliette e saltando sopra i tavoli pieni di pianeti fosforescenti e liquame spaziale. La commessa non protestò. Era troppo occupata a nascondersi dietro il bancone.
Ed eccoli! Sulla parete in fondo. Degli scintillanti pacchetti argentati. Ce n’erano degli scaffali pieni.
Ne afferrò più che poteva e corse fuori dal negozio con le braccia piene.
I ragazzi stavano ancora sommergendo il mostro di attacchi, ma senza risultato. Il leone sembrava sapere benissimo di non dover aprire troppo la bocca. Quando tentava di azzannare uno di loro, agitava sempre gli artigli. Teneva persino gli occhi socchiusi in due fessure.
- Zane!- chiamò Emma. – Qualunque cosa tu abbia intenzione di fare …
La belva ruggì e la colpì come un giocattolino, scaraventandola contro un missile Titan. Emma batté la testa sul metallo e scivolò sul pavimento.
- Ehi!- gridò Zane al leone. Era troppo lontano, così decise di correre il rischio. Usò Scintilla come un coltello e la scagliò. Come aveva immaginato, gli rimbalzò su un fianco, senza provocargli alcun graffio. Ma bastò ad attirare la sua attenzione. Si voltò verso di lui e ringhiò.
C’era un solo modo per arrivare abbastanza vicino. Si lanciò alla carica, e, mentre l’animale stava per intercettarlo, gli servì una bella porzione di cibo spaziale nelle fauci, una bella fetta di parfait alla fragola liofilizzato e avvolto nel cellophane.
Il leone sgranò gli occhi e cominciò ad avere dei conati di vomito, come un gatto quando tenta di sputare una palla di pelo.
In fondo, Zane non poteva biasimarlo. Il cibo degli astronauti aveva fatto lo stesso effetto anche a lui, quando lo aveva assaggiato da piccolo. Quella roba era semplicemente disgustosa.
- Bianca!- gridò. – Stai pronta!
Alle loro spalle, si sentiva la gente che strillava. Grover aveva suonato l’allarme antincendio e un fastidiosissimo beep rimbombava contro i muri, accompagnato da un lampeggiamento di luci rosse.
Zane si scostò dal leone, che era riuscito a inghiottire il pacchetto di cibo spaziale e che ora gli stava scoccando un’occhiata di puro odio.
- È l’ora della merenda!- urlò.
Il mostro fece l’errore di rispondere con un ruggito, al ché Zane gli lanciò un gelato biscotto in gola. Per fortuna, nonostante il baseball non fosse il suo sport, aveva una buona mira, e prima che il mostro smettesse di avere i conati di vomito, gli lanciò in bocca altri due gusti di gelato e una porzione abbondante di spaghetti liofilizzati.
Il mostro aveva gli occhi fuori dalle orbite. Spalancò la bocca e si sollevò sulle zampe posteriori, cercando di liberarsi del ragazzo.
- Ora!- strillò quest’ultimo.
Bianca prese la mira. Non poteva sbagliare. Aveva poco tempo prima che il mostro si riprendesse e cominciasse ad attaccare. Era il suo momento di dimostrare quanto valeva come tiratrice.
Focalizzò il bersaglio, rimuovendo ogni singolo particolare intorno. Riusciva a vedere una sola cosa. La sua bocca rosa.
Si portò l’arco all’altezza del viso. Incoccò una freccia, poi lasciò.
La freccia trafisse le fauci dell’animale all’istante. Prima una, poi due, quattro, sei.
Il leone si dimenò furiosamente, si voltò e cadde all’indietro. E lì rimase, immobile.
L’allarme risuonava acuto per tutto il museo. La gente si affollava alle uscite. Le guardie di sicurezza correvano a destra e a manca, senza avere la minima idea di quello che stava succedendo.
Grover e Zoe si inginocchiarono accanto ad Emma e l’aiutarono a rialzarsi. Bianca saltò giù dal balcone e atterrò accanto a Zane.
Lo guardò, cauta. – Una strategia … interessante.
- Ehi, ha funzionato.
Non replicò.
La belva cominciò a sciogliersi, come ogni tanto capitava ai mostri morti, finché a terra non rimase altro che la sua pelliccia scintillante, e anche quella sembrò ridursi ad una normale pelliccia di leone.
- Prendila- disse un’Emma dolorante a Zane, indicando la pelliccia con un cenno.
La guardò. – Cosa, quella? Cosa dovrei farci? Non è una specie di … violazione dei diritti degli animali o cose del genere?
- Non conosci la leggenda? Quella pelliccia è indistruttibile. Ti proteggerà proprio come proteggeva il corpo del leone.
Zane inarcò un sopracciglio e la squadrò con circospezione. – E perché dovrei prenderla io?
- Perché sei stato tu a ucciderlo.
- In realtà l’ha ucciso Bianca- replicò.
Bianca scosse la testa, con un sorriso. – Io credo che sia stato il gelato a farlo. Prendila. Ti spetta di diritto.
Zane la sollevò. Era sorprendentemente leggera, liscia e soffice. Non sembrava affatto in grado di fermare una lama. Sotto gli occhi di tutti, la pelle cambiò, trasformandosi un cappotto corto, di un bel colore marrone/dorato.
- Non è esattamente il mio stile, ma …- mormorò il biondo.
- Ragazzi!- urlò Alex. – Dobbiamo andarcene di qui!
Indicò verso le pareti di vetro del museo. Un gruppo di uomini stava attraversando il prato. Erano gli uomini grigi.
Bella li riconobbe all’istante. Erano troppo lontani per scorgere i loro occhi, ma sentiva i loro sguardi addosso.
- Andate voi- disse. - È me che cercano. Li distrarrò.
- Non se ne parla- ribatté Percy, afferrandola per un braccio. – Forza, corriamo!
Si precipitarono a perdifiato fuori dal museo, diretti al furgone. Ma, una volta arrivati lì, quello non c’era più.
- Dov’è il furgone?- sbraitò Alex.
Percy si guardò intorno, sconvolto. Era più che sicuro di averlo lasciato lì. Ma dov’era? Poi un pensiero li balenò nella testa. Le chiavi …
Le aveva lasciate nel furgone, per un’eventuale fuga improvvisata, nel tentativo di evitare di perdere tempo a cercarle. Si strofinò il viso con le mani. – Devono averlo rubato- disse, affranto.
- Cosa?- urlò Alex, scioccata.
- Presto, ragazzi, non c’è tempo- urlò Bianca. – Laggiù, nel parcheggio!
- Così ci faremo scoprire- protestò Emma.
- Fidati di me.
Corsero verso il parcheggio e poi seguirono Bianca giù per delle scale.
- È un ingresso della metro- gli spiegò. – Andiamo a sud. Ad Alexandria.
- Qualunque cosa, purché ce ne andiamo di qui- approvò Zoe.
Comprarono i biglietti e superarono i tornelli, controllando che non li seguisse nessuno. Pochi minuti dopo erano a bordo di un treno diretto a sud e si allontanavano da Washington, sani e salvi.
Quando il vagone emerse in superficie, notarono che non c’era nessuno che li stesse seguendo.
Grover liberò un sospiro. – Sei stata grande a pensare alla metropolitana!
Bianca ne fu contenta. – Oh, beh. Avevo visto la stazione con Nico, quando siamo passati qui l’estate scorsa. Ricordo che mi aveva stupito molto, perché non c’era quando noi abitavamo a Washington.
Emma aggrottò la fronte. – Dici che è nuova? A me sembra molto vecchia.
- Sarà- rispose Bianca. – Ma vi assicuro che non c’era quando vivevamo qui da piccoli.
Ora, Emma non si era mai interessata molto a ciò che succedeva a Washington, ma non capiva come l’intera rete metropolitana della capitale potesse avere meno di quindici anni. Probabilmente anche gli altri stavano pensando la stessa cosa, perché sembravano piuttosto perplessi. La bionda si sporse per vedere fuori. I muri erano ricoperti da graffiti, molti dei quali scoloriti. Possibile che tutto questo non ci fosse quindici anni fa? Mah …
Quando arrivarono ad Alexandria, scesero, confondendosi fra la folla. Non appena il luogo si fu liberato, Bella si avvicinò a Zane e gli assestò uno schiaffo in piena faccia, costringendolo a voltarsi.
- Mi spieghi che diavolo ci fai qua?- urlò, furiosa.
Zane si massaggiò la parte dolorante e si strinse nelle spalle. – Volevo solo dare una mano.
- Non ci serve il tuo aiuto, Zane! Qui è troppo pericoloso! Torna a casa!
- Non posso.
- E perché mai?
Zane si guardò intorno, accorgendosi che i loro amici li stavano fissando. No, non lo avrebbe detto davanti a tutti gli altri.
Guardò Bella, che capì al volo e che gli indicò, con un dito, di allontanarsi.
Zane obbedì e, una volta che furono abbastanza lontani, la guardò. Lei lo fissava spazientita, in attesa di risposte.
Prese un bel respiro. – Perché volevo proteggerti- ammise.
Bella aggrottò la fronte. – Da cosa?
- Da tutto questo.- Allargò le braccia.
Bella distolse lo sguardo, sorpresa; poi strizzò gli occhi e si mise la testa fra le mani. – No, no, no. Zane! Tutto questo è troppo pericoloso.
- Non mi interessa- affermò lui, deciso.
- Torna a casa, ti prego- gli disse, guardandolo con occhi imploranti.
Lui tentennò un po’. – Non posso.
- E perché?
Ci fu un secondo di silenzio, prima che Zane rispose. Prese un bel respiro. – Perché non sopporterei l’idea di lascarti qui.
Si guardarono, in silenzio.
Bella lo squadrò in volto, cercando un minimo accenno che potesse farle credere che il suo amico stesse scherzando. Non trovandolo, si rassegnò all’evidenza. Sospirò. – Come hai fatto a venire qui?
- Mi ha aiutato Quintus. Mi ha fatto cavalcare un pegaso fin qui.
- E ti ha dato quella?
Zane non capì di cosa stesse parlando, finché non osservò il suo polso. Lì, nella sua forma di bracciale, Scintilla luccicava in tutto il suo splendore. Era tornata. Era tornata da lui. Proprio come faceva la spada di Percy. Zane abbozzò un mezzo sorriso e annuì.
Bella chiuse gli occhi e sembrò meditare un attimo. – Se ti chiedessi di non venire, tu mi ascolteresti?
Zane la guardò. – Probabilmente no.
- Bene. Allora non possiamo scappare all’evidenza.
Lui inarcò un sopracciglio. – Quale evidenza?
Bella lo guardò negli occhi azzurri, con i suoi, blu, pieni di tristezza. Sapeva che era pericoloso e tutto il resto, ma, in cuor suo, sapeva anche che era la cosa giusta. Che lei, ormai, non poteva cambiare le cose. Sospirò. – Tu sei l’ottavo membro della missione, Zane. Fai parte della squadra.
Zane la guardò, sorpreso. Abbozzò quello che doveva sembrare un sorriso, ma, inspiegabilmente, non riusciva ad essere felice. Perché mai? In fondo era quello che voleva: partecipare alla missione, avere l’opportunità di proteggere Bella. Eppure, la gioia stava lentamente scemando dentro di lui, lasciando spazio alla tristezza.
Annuì, mestamente. Fece per andarsene, ma Bella lo trattenne, posandogli una mano sul petto. I loro occhi azzurri si incontrarono un’altra volta. – Solo …- balbettò lei, incerta. – Cerca di stare attento.
Distolse lo sguardo e tornò dai suoi compagni, seguita dal ragazzo, che ora aveva la certezza di non essere per niente contento di quella situazione.
Quando raggiunsero i loro amici, Percy ed Alex stavano litigando.
- Non posso credere che tu abbia lasciato le chiavi nel furgone!- stava gridando lei.
- Beh, ero pronto a qualsiasi evenienza!
- E non hai pensato che forse avrebbero potuto rubarlo?! Che stupido!
- Comunque non avremmo potuto più usarlo! Se sapevano dov’eravamo, probabilmente conoscevano già il furgone.
- Non provare a rigirare la frittata!- fece Alex, incrociando le braccia sotto il seno.
Percy fece roteare gli occhi e sbuffò. – Oh, rilassati! Testa Calda …
Alex si girò di scatto, fulminandolo con lo sguardo. – Non provare mai più a chiamarmi Testa Calda!- sbraitò, avvicinandosi minacciosa e puntandogli un dito contro.
Percy sorrise, strafottente. – Come vuoi … Testa Calda- affermò, in tono di sfida.
Si guardarono con odio, pronti ad incenerirsi l’un l’altro, senza accorgersi che le distanze tra loro si stavano accorciando pericolosamente.
- Se adesso si baciano, vomito- commentò Zoe, con una smorfia di disgusto.
I due si guardarono un attimo, rendendosi conto solo in quel momento dei presenti.
Alex si allontanò, schifata. – Cosa?! No!
- Che schifo!- aggiunse Percy. I due si fulminarono reciprocamente con lo sguardo, per poi darsi le spalle.
Emma sbuffò. – Sentite, non possiamo sopportare in continuazione i vostri litigi! Noi ora usciamo sopra, per vedere se possiamo rimediare un passaggio. Voi, intanto, restate qui e cercate di trovare un accordo, ok?
Non aspettò risposta. Si avviò direttamente per le scale che portavano fuori dal tunnel della metropolitana, seguita dagli altri.
Percy e Alex si davano ancora le spalle. Nessuno aveva ne il coraggio né tanto meno la voglia di voltarsi a guardare l’altro.
Fu Percy il primo a parlare, con tono stanco. – Senti Alex, io credo che dovremmo … 
- Tu sei un idiota. Su questo non c’è alcun dubbio- lo interruppe lei, brusca. Quella ragazza aveva tutta l’intenzione di litigare. Ma Percy era stanco.
- Posso sapere qual è il tuo problema? Perché ce l’hai tanto con me? Cosa ti ho fatto?
- Cosa mi hai fatto? Hai anche il coraggio di chiedermi cosa mi hai fatto?- urlò lei, voltandosi e fronteggiandolo, senza neanche fare caso ai cinque centimetri in più di lui. Rise con sarcasmo, provocando uno sbuffo. – Roba da non credere- commentò.
Lui aggrottò la fronte, arrabbiato. – Tu non sai nemmeno cosa è successo? Hai anche il coraggio di metterti a giudicare?
- Tu sei un caso perso, Percy! Non hai … non hai niente di diverso da tutti gli altri ragazzi!- gli diede le spalle e fece un gridolino di frustrazione, avviandosi verso le scale. – Sapevo che non era una buona idea partecipare alla missione!
Percy le corse incontro, allargando le braccia. – E allora perché l’hai fatto?- domandò, con rabbia ma anche con un pizzico di sfida.
Alex fece un altro grido di frustrazione. Aveva già cominciato a salire le scale, e si fermò a metà rampa, voltandosi di scatto a guardarlo. – Oh! Per te! Cretino!- gli urlò in faccia.
Si guardarono, per un istante. Un istante in cui Percy sentì il mondo crollargli addosso.
Un altro treno della metropolitana arrivò, aprendo le sue porte e facendo scendere i passeggeri, che si mossero provocando un gran caos, salendo la scaletta.
Alex era ferma lì, a metà strada, quando una spallata la riportò in se. Poi un’altra. Era ferma mentre un mucchio di gente le andava incontro. Guardò Percy, con un’espressione fra la rabbia e il rammarico. – L’ho fatto solo per te- mormorò. Poi si voltò e seguì la gente su per le scale.
- Alex!- L’urlo di Percy arrivò forte, ma vano. Tentò di salire sulle scale per raggiungerla, facendosi largo tra la folla a gomitate, ma lei, ormai, aveva già raggiunto i suoi amici.
Quando fu fuori, Zane e Grover gli andarono incontro. Percy stava per correre dalla ragazza, ma la mano di Zane sul suo petto lo costrinse a fermarsi.
- Amico?- chiese il biondino. – Ma che è successo?
Percy fissò Alex, che si stava sforzando di non guardarlo. In quel momento sentì un grande senso di colpa ammontare dentro di se, viaggiare nel suo petto.
Si mise la testa fra le mani, triste, per poi passarsi le dita fra i capelli e sospirare. – Ho combinato un bel casino.
 
- Dove dobbiamo andare, ora?- chiese Bianca ad Emma, che stava cercando di fare mente locale.
- Non lo so- ammise la bionda. – Qualche idea?
- Pittsburgh- mormorò Zoe.
- Come?- domandò Emma, aggrottando la fronte.
- Pittsburgh- ripeté quella. - È lì che dobbiamo andare.
- Perché a Pittsburgh?- fece Bella.
- Perché ci sono già stata lì. Pittsburgh è una zona sciistica. Noi abbiamo bisogno di una macchina, o per lo meno di un passaggio. Lì affittano macchine anti neve per gli sciatori, tutte a basso prezzo. Poi, in questo periodo, i negozi saranno sicuramente tutti aperti e ben forniti, per via dei numerosi turisti che festeggiano lì le vacanze di Natale. Non sarà difficile trovare qualcosa.
Emma annuì, convinta. – Bene. E come ci arriviamo?
Zoe si guardò intorno, pensando. Poi, il suo sguardo si fermò su qualcosa. – Con quello- disse, indicandola con un sorriso.
I ragazzi seguirono il suo sguardo. Stava puntando il dito contro un grosso pullmino blu, uno di quelli che si usano per fare delle visite guidate, o semplicemente per spostarsi fuori città.
Senza esitazione, la ragazza vi si avviò, seguita dagli altri. Si mise in fila dietro a due anziani che stavano timbrando il biglietto. Salì i due scalini.
- Salve- disse, rivolta al conducente.
Quello rispose con lo stesso saluto. – Andate a Pittsburgh?
L’uomo sembrò pensarci un attimo. Aveva un volto gentile, e portava la visiera del suo cappellino alta, così da poter intravedere i suoi occhi grigi. – No, mi dispiace- rispose, veramente affranto.
Sul volto di Zoe dovette leggersi il vero sconforto, perché, mentre si voltava per scendere dal pullman, il conducente la fermò. – Però … - disse, ragionandoci su. – Facciamo sosta in un paesino sciistico lì vicino. Volendo potreste scendere lì e poi prendere un altro pullman per Pittsburgh. Noi, purtroppo, facciamo un’altra strada.
Zoe lo guardò, speranzosa. Poi chiese il consenso con lo sguardo ai suoi compagni. Potevano rifiutare, ma, d’altronde, che altra scelta avevano?
La ragazza sorrise al conducente. – Beh, ok. Otto biglietti.
Pagò, e, dopo averlo ringraziato, i ragazzi si posizionarono in fondo al pullmino. L’autista chiuse le porte e si avviò per quella che era la loro prossima destinazione.
Una località sciistica. Vicino Pittsburgh.


Angolo Scrittrice.
Salve ...
So cosa molti di voi stanno pensando. Ehi! Ma questo è il capitolo di prima!
Eh, già... è propio quello. Il fatto è che mi sembrava un pò troppo lungo, così ho deciso di accorciarlo... per renderlo anche meno noioso...
Che ne pensate? Che ve ne pare come primo mostro da sconfiggere in questa nuova avventura? xDxD Ahah! Non male, direi. Ma. d'altronde, che storia sarebbe, senza coplicazioni? xDxD
Comunque, grazie infinite per averla letta. Per me significa molto. Vi pregherei di lasciare un commentino. Non per qualcosa, solo per sapere se devo continuare o meno. Quindi. se volete il seguito, commentate. Bello, brutto o neutro che sia, non mi importa ;)
Ripeto, non continuo altrimenti. Per postare l'altro capitolo, vorrei almeno uno o due commenti, se non di più. Non per qualcosa, ma altrimenti è inutile continuare.
Grazie :D
P.s. Ah! Un'altra cosa! Sto andando in paranoia. Perchè? Per via del titolo? secondo voi è carino? O va cambiato? Non lo so... non è infantile? Non voglio che si pensi che la mia storia sia stupida, almeno non prima di aver letto qualche capitolo.
Help me!! :O
Grazie comunque
एक चुंबन
La vostra ValeryJackson

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Capitolo 39
*** Un attacco spiazzante ***


Il pullman frenò molto lentamente, distogliendo dai pensieri i ragazzi.
Si erano seduti verso il fondo, attenti a non parlare con nessuno, a tal punto da non essersi scambiati una parola neanche fra loro, trascorrendo il viaggio nel silenzio più totale.
Aspettarono che tutti fossero usciti, prima di alzarsi, recuperare i pochi zaini che non erano rimasti nel furgoncino e che erano stati  accuratamente poggiati accanto ai sedili e scendere dal bus, salutando il conducente, che ricambiò con un cenno.
Una volta scesi, iniziarono a guardarsi intorno, scrutando il luogo mentre le porte alle loro spalle si chiudevano.
Emma cominciò ad osservare con occhio critico. In poco tempo, la piazza intorno a loro si era svuotata, lasciandoli soli in un cumulo di neve.
- Dove si va?- chiese, senza distogliere lo sguardo.
Zoe fece scivolare gli occhi sui negozi che li circondavano, pieni di gente e di sciatori. Scrollò le spalle. – Aspettiamo che arrivi il pullman- disse, con noncuranza.
- Quale pullman?- domandò allora Bianca, corrugando la fronte.
- Non lo so… ci sarà pure un pullman per Pittsburgh, no?
Nessuno rispose.
Alex osservò la ragazza, mentre li scrutava uno per uno in volto in cerca di una risposta o una conferma. In quel momento capì una cosa: Zoe ne sapeva meno di tutti loro. Si era affidata all’istinto, e non glie ne faceva una colpa per questo. Lei lo faceva continuamente, era il suo modo di affrontare il mondo. Solo che stavolta non dovevano semplicemente affrontare il mondo, ma la sorte. E quanto ancora potevano affidarsi all’intuito di una ragazza venuta da chissà dove?
Stava per rispondere con un “Se lo dici tu”, quando una strana sensazione si impossessò di lei.
Iniziò a girarle la testa, e le venne immediatamente un forte senso di nausea, seguita da dei piccoli crampi. Perse momentaneamente l’equilibrio, barcollando sul posto accanto a Percy, che era al suo fianco.
Stava per cadere a terra, quando il ragazzo la sorresse. Lei cercò di guardare un punto fisso davanti a se, nel vano tentativo di farsi passare il mal di testa. Faceva grandi respiri, concentrandosi sulla loro regolarità e sul battito del suo cuore. A complicare le cose, però, c’erano le braccia del moro, che la avvolgevano strette, impedendole una respirazione normale.
- Alex, stai bene?- le chiese lui, preoccupato.
Alex tentò a fatica di rimettersi in piedi, evitando in ogni modo di guardarlo negli occhi. – Si …- mormorò, incerta. Si divincolò dalla sua presa e deglutì. – Si, ho avuto solo un po’ … un po’ di vertigini- affermò.
Percy la guardò, senza capire, preoccupato. Alex raddrizzò la schiena e assunse un tono freddo e calmo, come se non fosse successo niente. Al ché il ragazzo aggrottò la fronte, ma non le fece domande.
Alex sospirò. Fortunatamente, nessuno, a parte lui, aveva assistito alla scena.
Tentò di concentrarsi, facendo a pugni con il suo mal di testa. Pian piano, si accorse che i crampi erano spariti, e che quella brutta sensazione di nausea non c’era più.
Che cosa le era successo? Si era sentita male così, all’improvviso. Ma perché? Erano state davvero le vertigini, come aveva raccontato a Percy? Si, può darsi. E allora perché aveva lo strano presentimento che stesse per succedere qualcosa di grave, qualcosa di brutto?
I suoi pensieri furono bruscamente interrotti da Percy, che la stava scuotendo per un braccio.
Lei lo fulminò con lo sguardo, non capendo, finché non si accorse dei suoi amici, che si stavano dirigendo verso i margini della zona sciistica, dove erano sicuri che non ci fosse nessuno, per poter parlare tranquillamente.
Avrebbe dovuto dirglielo? Forse no. Forse erano davvero state solo le vertigini. O almeno, così tentò di convincersi mentre li seguiva, titubante.
 
Erano ai margini della zona sciistica, intenti in una discussione, quando udirono alcuni rami spezzarsi dietro di loro.
Si voltarono di scatto e fu in quel momento che comparvero i primi due guerrieri scheletro. Sbucarono dai bianchi alberi che li circondavano. Indossavano ancora la mimetica, e con i loro occhi gialli e la loro pelle grigia li scrutavano in modo inquietante. Estrassero dei machete
Percy non perse tempo, sguainando Vortice mentre Zane attivava il suo braccialetto.
Le spade si spalancarono, ma i guerrieri non batterono ciglio. Continuarono a fissarli con i loro occhi gialli e luccicanti. Non indietreggiarono neanche alla vista del bronzo celeste, anzi, continuarono ad avanzare, lentamente.
Bianca tese l’arco, pronta ad incoccare una freccia nel momento del bisogno.
Zoe tese tutti i muscoli. Si accorse di non essersi resa conto, al museo, di quanto fossero inquietanti. Deglutì.
Emma spostava rapidamente gli occhi dall’uno all’altro, pensando alla prossima mossa da fare. Digrignò i denti. – Scappiamo!- ordinò. Tutti si voltarono, pronti a fuggire, ma altri due scheletri uscirono dagli alberi, sbarrandogli la strada. Stavolta, però, erano muniti di spade.
I ragazzi si bloccarono, squadrandoli. Altri quattro li raggiunsero, posizionandosi a coppie su entrambi i lati. Poco dopo, altri quattro fecero lo stesso, e li accerchiarono.
I ragazzi si diedero le spalle.
- Ehm … Emma?- chiamò Alex, al suo fianco, pronta ad ascoltare ogni eventuale suggerimento.
Emma non rispose subito, valutando le probabilità. – Sono dodici- affermò. – Noi siamo otto. Possiamo provare a batterli.
Alex aggrottò la fronte, concentrandosi sul luccichio delle armi dei suoi avversari. – Oppure?
Emma sospirò, facendo uno scatto con la testa. – Oppure moriamo.
La mora annuì, afferrando il concetto. – Vada per la battaglia- mormorò. Poi lanciò una lingua di fuoco contro il primo gruppo di mostri.
Quelli indietreggiarono un po’, e, dopo aver superato lo shock, ripresero ad avanzare minacciosi verso di lei.
Emma tentò di usare la telecinesi per disarmare alcuni di loro, ma erano così forti, che ogni suo tentativo risultava vano e troppo dispendioso di energie. Così decise di passare all’attacco, manipolando la neve che li circondava in modo da provare a bloccarli.
Bella si rese immediatamente invisibile, per poi correre verso il primo e investirlo con un campo di forza, che lo scaraventò contro un albero. Quello sbatté con forza, ma, dopo aver scrollato un po’ la testa, si rimise in piedi a fatica. Altri due si voltarono verso di lei, e Bella raggelò. Potevano vederla. Per quanto potesse rendersi invisibile all’occhio umano, loro potevano vederla. Sentivano il suo odore. Lo percepivano.
Quello stava per avventarsi contro di lei, quando una lama dorata lo squarciò in due. Le ossa si disfecero, crollando sull’asfalto innevato.
Bella guardò stupita alle spalle del mostro, tornando visibile. Vi trovò uno Zane più che soddisfatto, che ammirava la sua vittima impugnando Scintilla con fin troppa forza, tanto da fargli avere le nocche bianche. Guardò l’amica, tentando di sorridere per nascondere il suo ghigno di ribrezzo.
Nello stesso istante, le ossa del mostro cominciarono subito a ricomporsi, così in fretta che Zane fece appena in tempo a scansarsi, prima di essere colpito.
Quello digrignò i denti, e prese di mira i due ragazzi, che tentavano in tutti i modi di difendersi.
Non c’era possibilità di batterli. Non perché erano più forti. Ma perché erano immortali!
Bianca incoccò una freccia e punto all’occhio del primo, poi al cuore, poi allo stomaco. Le frecce lo attraversarono, provocandogli dei buchi così profondi che avrebbero spezzato una vita in tre secondi. Ma quello, dopo essere caduto a terra per l’impatto, si rialzò senza tanti problemi, e esibì la sua scimitarra.
Stava per attaccare la ragazza, quando un grosso arbusto lo bloccò, imprigionandolo in un enorme serpente verde.
Zoe le fu subito affianco, sorridendo soddisfatta. Un altro gli si avvicinò, ma le ragazze lo fermarono, cercando di combatterlo.
Anche Percy e Grover facevano lo stesso, nonostante il satiro non avesse altro che il suo flauto e un piccolo coltellino svizzero che aveva barattato sul pullman con la sua scorta di patatine alla Paprika.
In un attimo, non si capiva più niente. Era tutto un miscuglio di colpi, parate, colpi, parate, colpi, colpi, parate. Ovviamente quelli ad attaccare erano principalmente gli zombie, mentre i ragazzi non potevano fare altro che difendersi.
Per le ragazze, però, diventava sempre più difficile. Loro non avevano armi, ed era complicato difendersi contro una scimitarra a mani nude.
Arrivavano colpi su colpi, e loro continuavano ad indietreggiare.
Senza rendersene conto, Alex, Bella ed Emma si ritrovarono l’una contro la schiena dell’altra. Intorno a loro, ad accerchiarle, quattro temibili zombie. Uno di loro estrasse un coltello.
Alex deglutì, facendo scorrere lo sguardo dall’uno all’altro. – Ragazze, che facciamo?- chiese, preoccupata.
Emma cercò di ragionare in fretta. Avevano provato a combattere, ma si era resa conto che non serviva a niente. Qualunque cosa, qualunque graffio uno gli procurasse, quei mostri si ricomponevano con altrettanta velocità, rendendone la sconfitta impossibile.
Scosse la testa, ormai affranta. – Non lo so …- ammise.
- Cosa?!- l’urlo di Alex rimbombò fra gli alberi. – Emma, ti prego! Sei tu il genio della situazione. Non è il momento di non sapere qualcosa!
La bionda irrigidì la mascella, infuriata. – Ti dico che non lo so, Alex! Noi …- Non finì la frase, che uno scheletro fece un balzo in avanti. Istintivamente, afferrò la prima cosa che le venne in mano, per provare a farlo indietreggiare e a difendersi. Purtroppo, quella cosa non era altro che il suo fermacapelli verde, che, seppur appuntito, non avrebbe di certo risolto la situazione. Una chioma di capelli biondo platino le ricadde sul viso, mentre lei lo scrollava con movimenti rapidi per impedire che quelli le ostruissero la visuale. – Noi non abbiamo armi- concluse, stavolta un po’ irritata dalla situazione. Continuava a puntare quel fermacapelli contro il mostro, sentendosi davvero stupida. Perché? Perché non avevano pensato a portarsi armi dal campo? Sbuffò, delusa. – Vorrei che questo coso fosse una spada …- mormorò.
In quel preciso istante, la sua mano si illuminò. No, non la sua mano. Le pietre verde smeraldo incastonate nel fermaglio cominciarono a brillare, a brillare di un verde immenso. Emma sgranò gli occhi, quando sentì quella cosa sotto il suo palmo diventare più grande. La luce si intensificò, tanto che lei fu costretta a coprirsi gli occhi con un braccio, per non essere accecata. Quando gli riaprì, si sentì mancare il fiato.
Sotto di lei, stretta con forza nella sua mano, una spada di bronzo celeste brillava come non mai. Luccicava, di un verde debole, quasi come l’acqua. Sul manico, le stesse pietre e la stessa fantasia del fermacapelli decoravano quell’arma.
Tentò di ragionare. Ora era tutto chiaro. L’anziana. Il suo messaggio. Il volto aggrottato di Quintus quando l’ha visto e l’inspiegabile sensazione di dover indossare quel gioiello, seppur lo ritenesse inutile.
Quello non era un normale fermacapelli. Quella era un’arma. Un’arma magica!
- Ragazze!- urlò. Non aggiunse altro, che le due amiche si voltarono, rimanendo a bocca aperta. – I Gioielli- continuò la bionda. – I Gioielli sono delle spade!
Alex e Bella guardarono i propri, ma non successe niente. Fissarono Emma senza capire. – Concentratevi!- insistette quella.
E così fecero, lei lo sapeva. Perché quando il bracciale di Alex cominciò ad illuminarsi di un rosso fuoco, e al suo posto vi apparve una spada del medesimo colore, allora capì di non avere torto.
La stessa cosa accadde a Bella, che però, al posto della spada, ottenne un arco, blu e incastonato con varie conchiglie. Al suo interno, già una freccia incoccata.
Si guardarono, per un attimo scioccate, poi sorrisero, trionfanti. Ora si, che la guerra era aperta!
Senza pensarci, Emma si buttò sul primo mostro, disarmandolo dal suo coltello e facendo un affondo, che non lo uccise, ma che fu abbastanza efficace da farlo piegare in due. Nel momento in cui lo fece, poi, lei gli tirò un calcio sulla schiena, facendolo affondare nella neve.
Poco distante, Percy e Grover stavano ancora lottando contro tre scheletri. Grover fu messo facilmente a tappeto, così si nascose dietro l’amico, che ancora riusciva a difendersi.
Percy tentò un affondo, che però gli uscì male, e rischiò quasi di essere tranciato in due, se non fosse stato per la spada di Alex, che deviò il colpo. La ragazza spinse via il mostro con un calcio, facendolo urlare dalla frustrazione.
Percy aggrottò la fronte. – E la spada?
- Regalo di un’anziana- si limitò a dire lei.
Non ebbero il tempo di dirsi altro, che gli altri due gli zombarono addosso.
Lì accanto, Bianca e Zoe cercavano di rallentare gli altri cinque. Non era facile, soprattutto considerando che le uniche cose che avevano a loro disposizione erano un arco e alcune piante. Non ce l’avrebbero mai fatta. Non se Zoe continuava a intrappolarli in degli arbusti che poi loro spezzavano. Non se Bianca continuava a lanciare invano frecce nei loro ventri morti. Non così. Ma forse con del fuoco …
Si guardò intorno, cercando con foga Alex con lo sguardo, ma vide che era impegnata in una lotta contro altri tre di quei cosi. Non aveva avuto la sua stessa idea, o forse si, ma non aveva funzionato. Poco importava, in quel momento. Senza pensarci, buttò l’arco a terra.
- Ma che fai?!- le urlò Zoe, aggrottando la fronte con rabbia.
Lei non l’ascoltò, e tentò di rilassarsi. Doveva calmarsi, se voleva essere sicura di riuscirci. Lentamente, si portò le mani sopra la testa, e poi dietro la schiena. Doveva concentrarsi. Si concentrò. Congiunse le mani e aspettò. Non ci mise tanto. Una morsa allo stomaco la costrinse ad aprire gli occhi. Portò le mani davanti al viso e le allargò, come se dovesse tendere un arco. Che fu proprio ciò che le apparve in mano. Un arco. Un arco fatto di luce. Con una freccia già incoccata.
Sotto gli occhi stupiti di Zoe, prese la mira. Non doveva sbagliare. Non poteva sbagliare. E non lo fece.
La freccia si conficcò nel petto del primo scheletro, che esplose, avvolto da delle fiamme verdi, riducendosi in un mucchietto di cenere. Lei sorrise, soddisfatta. Ce l’aveva fatta.
Gli altri scheletri indietreggiarono, impauriti.
Avevano paura. Di lei.
Un rumore sordo si udì alle loro spalle. La battaglia si fermò di colpo, e tutti si voltarono, avvolti nel silenzio. Il tonfo si ripeté. Gli scheletri, senza troppe cerimonie, cominciarono ad allontanarsi lentamente, per poi girarsi e cominciare a correre, spaventati. Non mancarono, però, di guardare in modo arcigno i ragazzi.
Bella inarcò un sopracciglio. – Se ne sono davvero … andati?
Emma si abbassò, raccogliendo il pugnale di cui poco prima aveva privato un mostro, che ora giaceva fra la neve. Lo osservò, e ripensò ai loro volti, ai quegli ultimi sguardi. – No …- mormorò. – Questo non è affatto un addio.- Fissò un attimo in silenzio il pugnale che aveva in mano, prima di avvicinarsi a Zoe e porgerglielo. Quest’ultima aggrottò la fronte.
- Prendilo- insistette la bionda.
- Perché io?- domando Zoe, non capendo.
Emma alzò le spalle. – Noi abbiamo già le nostre armi. Questo è molto più utile a te di quanto lo possa essere a noi.
Quella non era ancora pienamente convinta, ma poi, con titubanza, afferrò l’arma. Se la rigirò fra le mani, pensando per un attimo a cosa avrebbe potuto fare con quella. Non aveva mai avuto un’arma. Aveva sempre lottato unicamente con le proprie forze, con le proprie mani. Non aveva mai maneggiato una di quelle. Guardò Emma, con un sorriso contento stampato in volto. – Grazie- disse, riconoscente.
La bionda ricambiò il sorriso.
Si erano tutti riuniti in un angolo, quasi per metabolizzare l’idea di ciò che era appena accaduto. Tutti tranne Percy, che si era appartato in un angolo, seduto accanto a un albero, immerso nei suoi pensieri.
Alex lo notò e, seppur con un po’ di riluttanza, si costrinse ad andargli vicino, staccandosi dal gruppo.
Quando lo raggiunse, gli si piazzò di fronte, in attesa.
Dopo qualche secondo lo sguardo perso nel vuoto del ragazzo si alzò, percorrendo il corpo della ragazza per poi soffermarsi sul suo viso. Cercò di incrociare i suoi occhi, ma quella li teneva distanti, fissi su un punto indefinito, mentre si sforzava di non guardarlo.
Percy rise amaramente.
Alex lo fisso e inarcò un sopracciglio. – Che cos’hai da ridere?- chiese, scocciata.
Percy scollò la testa. – Che ci fai qui, Alex?- chiese. Quella non rispose, continuando a fissarlo, non capendo. Quando lui alzo gli occhi per vedere la sua espressione, lei tornò subito a guardare un punto imprecisato. Non voleva guardarlo. Non voleva incrociare i suoi occhi.
Percy sorrise, provocando uno sbuffo, nonostante non trovasse affatto divertente la cosa. – Insomma, guardaci- sbottò, alzandosi. Si posizionò di fronte a lei e le squadrò il viso, con tristezza. – Non riusciamo nemmeno a guardarci negli occhi.
Alex non rispose, trovando improvvisamente interessante la neve sotto i suoi piedi.
Percy capì. Non solo non voleva parlargli. Non voleva guardarlo negli occhi. Anzi no, non che non volesse. È come se avesse paura. Ma paura di cosa? Forse del fatto che se l’avesse guardato si sarebbero riaperte vecchie ferite che stava tentando di ricucire? O forse perché temeva che se avesse incrociato un’altra volta quello sguardo dello stesso colore del mare, non sarebbe più riuscita a mentire al suo cuore?
Percy le prese il viso fra le mani, costringendola a guardarlo. In quel momento, Alex sentì crollarle le ginocchia.
- Che ci è successo?- chiese, amareggiato.
Era triste. Era triste davvero. Alex lo capì. Non le servì leggergli nel pensiero. A lei bastava guardarlo. Glie lo leggeva negli occhi, quegli occhi, ora azzurri come un cielo d’estate, che le piacevano tanto.
Ma no, doveva resistere. Lei non provava niente per quel ragazzo. Non più almeno.
Si sforzò di distogliere di nuovo lo sguardo, fissando gli alberi.
Fu molto più difficile di quanto avesse immaginato, tanto che, per farsi forza, assottigliò gli occhi in due fessure, sperando di scorgere un particolare nel paesaggio che attirasse la sua attenzione più di quanto facesse lui.
Tossicchiò, nonostante non ne avesse per niente bisogno. - È successo quello che doveva succedere- rispose, in tono gelido. Poi tornò a guardarlo in volto, fissandogli le sopracciglia. – E forse è meglio così.
Questa frase non la pensava davvero. Non riuscì a credere nemmeno di essere stata lei a pronunciarla. Ma ormai era tardi per rimangiarsi tutto.
Percy si fissò le scarpe, affranto. Era davvero finita così? Per una sciocca incomprensione?
- Credo sia meglio che andiamo- fece lei, per cambiare discorso. – Credo che gli altri stiano …
BOOM!
Un’esplosione enorme rimbombò alle loro spalle, facendo tramare il terreno. Alex perse l’equilibrio, cadendo addosso a Percy, che la sorresse.
Si voltò, fulminea, e sgranò gli occhi, perché quello che vide le tolse il fiato.
La neve esplose attorno ai ragazzi, avvolgendoli tutti in un campo di forza creato da delle barriere ghiacciate.
Tutti loro cercavano di romperle, invano, scagliando calci e pugni, usando le loro armi. Urlavano così forte, che sembrava quasi credessero che le loro grida avrebbero potuto salvarli.
Istintivamente e senza pensarci, Alex e Percy sguainarono le loro spade, mettendosi uno contro la schiena dell’altro, allerta. Sapevano che qualcosa non quadrava. Glielo dicevano i loro sensi da mezzosangue.
Alex iniziò a guardarsi intorno, squadrando il territorio in cerca di un nemico da squartare, ma non c’era nessuno.
Tutto era immacolato, e nell’aria regnava il silenzio.
Ma com’era possibile?
Alex spostò lo sguardo fra gli alberi, invano. Non c’era davvero nessuno. Poi, per puro caso, abbassò gli occhi, e qualcosa attirò la sua attenzione.
In un angolo, della neve incavata stonava con il resto della quiete.
La ragazza aggrottò la fronte, incuriosita.
Pian piano, altri punti nella neve si incavavano, così, senza apparente motivo.
Le incavature si avvicinavano sempre di più.
Alex sgranò gli occhi, capendo. Non erano incavature normali. Quelle erano impronte! Ed erano sempre più vicine.
Quando se ne rese conto, l’ultima era a meno di un metro da lei. – Giù!- urlò, con tutto il fiato che aveva in gola. Sia lei che Percy si abbassarono, mentre una spada tranciava l’aria sopra le loro teste e si incastrava nel tronco di un albero. Si sentì un grido di frustrazione.
I ragazzi rotolarono a terra, nella gelida neve bianca, poi si rialzarono, puntando le spade alla cieca.
Davanti a loro, il possessore della spada tornò visibile.
Era un incrocio fra un camionista e un gorilla. Le braccia possenti, rigate qua e là da alcune cicatrici, facevano pan dan con il grosso petto da piccione che si ritrovava. Negli arti le vene pulsavano freneticamente, e il suo volto era contratto in una smorfia di rabbia. Apparentemente sembrava un umano normale, ma i numerosi peli sul corpo e il volto asimmetrico che si ritrovava portavano da tutt’altra parte.
Con forza, estrasse la spada dal tronco, guardandoli in modo arcigno.
I due ragazzi deglutirono, terrorizzati. Il mostro ruggì, con voce stridula e agghiacciante. Immediatamente, e altri tre, simili a lui in tutto e per tutto, uscirono dai boschi. Erano circondati, non c’era dubbio.
Gli uomini/gorilla li accerchiarono, brandendo delle armi lunghe più di un metro e mezzo. A confronto, le loro sembravano del semplici coltelli da cucina.
Il primo di loro colpì, puntando ad Alex. Lei riuscì a deviare il colpo, e, con molta agilità, a spostare l’arma in tempo per farla scorrere lungo il corpo di quello, ferendogli l’addome. Lui, però, non parve accorgersene, e dopo qualche tentennamento, tornò all’attacco, più agguerrito che mai.
Gli altri tre lo seguirono a ruota.
I ragazzi riuscirono a parare la maggior parte dei colpi, deviando quegli altri, ma ogni volta che erano loro a colpire, non infliggevano alcun danno, come se li stessero semplicemente prendendo a schiaffi, e nulla di più.
Un uomo attaccò Alex, menando un fendente ben piazzato. Ma era lento per via della sua stazza, e Alex lo deviò con facilità, girandogli attorno. Quello cercò di menare un altro fendente, stavolta alla cieca però, e per lei fu più facile deviarlo, fargli cadere l’arma e trafiggerlo alla schiena con un affondo.
Il mostro cadde carponi a terra, ansimante, con gli occhi sgranati e dei rivoli cremisi che gli colavano lungo la schiena. Alex lo guardò, stupefatta, mentre quello tentava invano di alzarsi, premendo sulle ginocchia. Era la loro stazza il problema. Per quanto forti, erano incapaci anche di alzarsi da terra.
I suoi pensieri furono interrotti dal grido di Percy, che tagliò l’aria come uno spillo. - Alex!
Fece appena in tempo a voltarsi, che vide il suo amico pararsi davanti a lei, assorbendo un colpo si scimitarra all’addome. Percy si piegò in due, sgranando gli occhi e restando senza fiato, mentre rivoli di sangue gli colavano dalla ferita, tingendogli la mano di rosso.
- No!- gridò Alex, lasciando cadere la sua spada. Fece per corrergli incontro, ma fu bloccata da due di loro, che la strinsero con forza all’altezza del torace e dell’addome, impedendogli qualunque tipo di movimento.
L’uomo nel quale lei prima aveva affondato la sua spada era finalmente riuscito ad alzarsi, e, ancora ansimane, afferrò insieme all’altro il ragazzo, prendendolo per entrambe le braccia.
Percy si reggeva la ferita con mano tremante, la faccia contorta, e solo in quel momento, guardandola, Alex si rese conto di quanto davvero fosse profonda. Un groppo le si fermò in gola, mentre tentò di liberarsi dalla presa di quei due, dimenando le gambe.
Una risata gelida riecheggiò nell’aria, freddando il tempo. Tutti si fermarono, in attesa.
Dagli alberi, con un ghigno canino, uscì un altro uomo. Era simile a tutti gli altri, ma, a differenza loro, lui riusciva a mantenere una posizione più che eretta, e aveva il corpo più pulito, anche se ugualmente grosso e possente. Inoltre, il suo viso era attraversato da un enorme cicatrice, che, tagliando in due il sopracciglio, si allungava fino alla punta del mento, dividendogli la guancia in due parti quasi uguali.
Quando fu finalmente totalmente esposto alla debole luce del sole invernale, furono visibili le numerose armi che aveva appese alla cintura, pronte e lucidate per qualsiasi occasione.
Squadrò Alex, con un sorriso malefico sul volto, poi si avvicinò lentamente a Percy, osservando la situazione. Rise, portandosi accanto a lui.
- Oh… Ma che gesto eroico, mio caro- disse, in tono divertito. La sua voce era gelida e agghiacciante, raschiante.
Gli afferrò il polso sinistro e gli alzò la mano. Poi estrasse un piccolo coltellino dalla sua cintura e gli conficcò la lama nel palmo. Percy urlò di dolore. La bile gli risalì dalla gola fino in fondo alla bocca, e le sue dita presero a guizzare incontrollabilmente. Una gronda di sangue gli colò lungo il braccio.
- Percy!- urlò Alex, gli occhi pieni di lacrime. Tentò di divincolarsi, ma invano. – Lasciatelo stare!
L’uomo rise, senza pietà. Si avvicinò all’orecchio del ragazzo. – Se non mi sbaglio, piacete parecchio a questa sfacciata. Peccato che debba finire così. Potrai portarti questo ricordo nella tomba.
Il ragazzo lo guardò con disprezzo, ma poi fu costretto a strizzare gli occhi per il dolore, perché l’uomo esplorò ulteriormente la ferita nel suo palmo tremante con la punta del coltello. La lama affilata venne a contatto con un nervo nudo.
Le labbra atteggiate a un sorriso, affondò il pugnale nel tendine, quasi recidendolo. Percy si sentì soffocare e si accasciò sulle ginocchia. L’uomo rise.
Alex non poteva sopportare ancora quella scena. Improvvisamente si sentì avvampare, i denti digrignati per il disprezzo, gli arti e la voce tremanti per l’adrenalina. – Vi. Ho. Detto. Di. Lasciarlo… Stare!!- urlò. E proprio in quel momento avvertì una sensazione inebriante, come se un vento forte e caldo la stesse sferzando. In un attimo il sangue le salì alla testa, le guance le si accesero di calore e la sua pelle si coprì di un sudore bollente, che evaporava all’istante. Sentì un ronzio intorno a se e poi… Fiamme lunghe quasi mezzo metro saettavano da ogni poro della sua pelle. Non si era mai sentita così prima d’ora. Aveva preso fuoco moltissime volte, ma mai così intensamente, mai con così tanta rabbia,
Gli uomini che la tenevano stretta si allontanarono all’istante e si buttarono a terra, nella neve, nel tentativo di spegnere le fiamme che circondavano i loro corpi  massicci. Gli altri due uomini lasciarono cadere Percy a terra, lanciandosi contro di lei, ma Alex li evitò facilmente, e li avvolse in una lingua di fuoco, facendoli attraversare da degli spasmi fra la paura e il terrore, che formavano una sorta di danza macabra.
L’uomo che aveva affondato il coltello, ora si era allontanato, e il corpo inerme di Percy giaceva a terra.
A quella vista, il sangue di Alex gelò, e si sentì mancare il fiato. Pian piano le fiamme intorno a lei scemarono, fino a sparire.
- Percy!- urlò, e fece per corrergli incontro, quando sentì una forte fitta allo stomaco. Avvertiva qualcosa di insolito, come una presenza. Qualcuno era lì. Un mostro, magari.
Tentò di rievocare il fuoco. Ma invece di sentire il calore invaderla, si sentì sbattere a terra e schiacciare sulla neve da una forza invisibile. Cercò di contrastarla, ma riuscì a malapena a sollevare la testa.
E poi lo vide.
Una nube perlacea, di forma vagamente umana, era a pochi metri da lei, e si stava avvicinando. Al suo interno guizzavano impazziti lampi d’argento.
- Vattene!- riuscì a mormorare Alex. – Chi sei?
“Non ha importanza chi sono io. Tu arrenditi e dimmi dov’è”.
La voce di quel mostro non aveva alcun suono. Le rimbombava direttamente nel cervello.
- C… C… Che cosa? Di che cosa stai parlando?- ringhiò Alex, provò di nuovo a evocare le fiamme, ma non ci riuscì.
“Dimmi dov’è!”ripeté quello, che ormai le era davanti. Non le diede tempo di rispondere. In un attimo le fu addosso e la circondò.
Alex sgranò gli occhi. Le sembrava di essere dentro la nube. Lampi d’argento, luminosi e caldi, saettavano ovunque intorno a lei.
Capì di non poter fare niente contro quel mostro. La cosa peggiore era che in quello strano stato di trance provava sensazioni tutt’altro che spiacevoli. Era intontita, ma la nuvola perlacea la stava cullando e i lampi la scaldavano.
Dimmi dov’è e sarai libera!”
La voce che le rimbombava in testa adesso era suadente. Quel mostro cercava di entrarle nella testa per scoprire dov’era. Ma che cosa, poi? Di che stava parlando? Perché lei avrebbe dovuto sapere dove fosse?
Poi, in un attimo, un’immagine le balenò nella mente. Vide il mare, il mare più cristallino. In mezzo a quel mare, forte e imponente, si ergeva un vulcano, un vulcano che ormai lei conosceva molto bene. era l’isola Mako.
“Così voi la chiamate isola Mako”rimbombò di nuovo la sua voce. “Dimmi dov’è!”
Ora era tutto chiaro! Quel mostro voleva sapere dell’isola Mako. Voleva sapere dove fosse. Voleva andarci.
Nella sua mente, Alex vide il percorso aereo che intraprendeva sempre, il percorso per arrivare all’isola Mako.
A quell’immagine rabbrividì e la paura la fece reagire. Non doveva pensare a quello! A tutto ma non a quello! Avrebbe protetto la sua isola con i denti.
Ma più cercava di allontanarla, più quell’immagine si ripresentava. Allora si concentrò sull’unica cosa che riusciva a scacciare ogni altro pensiero dalla sua mente. Sua madre. Sua madre che le cantava la sua personale canzone della buonanotte. La canzone che aveva scritto apposta per lei. La canzone che la rendeva incredibilmente felice. Cominciò a cantarla.
L’isola!” riecheggiò la voce del mostro.
Cantò più intensamente, e le note le fecero riaffiorare alla memoria momenti felici della sua infanzia.
Erano in un campo, e la madre faceva finta di inseguirla.
Era il suo primo giorno di scuola, e il padre la salutava dicendole: - Ciao, studentessa!
Erano tutti e tre insieme sul suo divano e guardavano il suo film preferito per la milionesima volta.
Alex visualizzò mille baci della buonanotte della mamma. Mille abbracci del papà, che la coccolava, mormorando: - La mia bimba.- La torta del suo terzo compleanno. Suo padre che le suonava una canzone mentre la madre cantava. Il gioco del “Tutti insieme”, quando lei, la madre e il padre si riunivano in un solo, fortissimo abbraccio, che riusciva a scaldarle il cuore anche in quel frangente.
Rendendosi conto che il mostro vedeva i suoi pensieri, ebbe un brivido di disgusto. C’era qualcosa di orribile nel condividere quei momenti con un nemico, ma Alex non sapeva in che altro modo difendersi.
Le venne in mente il volto della mamma, che le sorrideva, con quel sorriso dolcissimo che la faceva sentire amata.
Dov’è l’isola Mako?” le chiese dolcemente la madre.
L’immagine dell’isola le balenò di nuovo nella mente. Un altro brivido, di vergogna stavolta, l’attraversò. Sua madre non le avrebbe mai fatto una domanda del genere. Era un lurido trucco del mostro. Stava usando i suoi ricordi contro di lei.
Per un attimo, Alex si sentì disperata, poi capì che quello che era successo era un buon segno. Se il suo aggressore aveva dovuto ricorrere a un simile espediente, significava che non aveva trovato quello che voleva.
Cantò più forte, e riuscì a richiamare il ricordo delle mani di sua madre strette a pugno.
- Indovina dov’è il tuo regalo, Alexandra- disse la voce di sua mamma. Un vero ricordo.
Alex indicò la sua mano destra e la vide aprirsi e mostrare un piccolo ciondolo a forma di nota musicale. Ce l’aveva ancora, non l’aveva mai perso di vista. L’immagine del ciondolo sparì e Alex non riuscì a vedere più nulla. La sua volontà era sempre più debole. Il mostro stava riuscendo a sovrastarla.
Alexandra, dimmi dov’è!” rimbombò di nuovo la sua orribile voce.
Il mostro le aveva strappato il suo nome. Il suo intero nome! Alex provò di nuovo ad evocare le fiamme. Fu come se non avessero mai fatto parte di lei. Si sentì completamente impotente, senza più niente che la legasse al mondo. Fu travolta da quella sensazione di vuoto che si prova sull’altalena, quando si perde il contatto con la forza di gravità. Solo che il quel caso non si trattava di istanti. Per Alex diventò il suo stato stabile. L’unica cosa che la teneva ancorata al mondo erano le parole della ninna nanna di sua madre. Ma le sembravano sempre più lontane. Vide un’ultima volta il viso della madre, e pensò che presto l’avrebbe raggiunta.
BOOM!
La spada di Zane si schiantò un’ultima volta contro il campo di forza, distruggendolo. L’impatto fu così forte da farlo barcollare e poi cadere a terra.
Le ragazze non persero tempo.
Emma si concentrò sul corpo di Alex, usando la sua telecinesi mentre Zoe, con il vento più forte che riuscì a creare, tentava di scacciare il mostro. Quello, dopo un po’ di resistenza, cedette, facendosi trascinare lontano dal vento e poi dissolvendosi in esso.
Bella ed Emma si precipitarono di corsa verso il corpo inerme di Alex, prendendola fra le braccia.
Quella provò ad aprire gli occhi, ma non aveva più le forze. Le ultime cose che vide furono il volto di Bella rigato di lacrime, il corpo di Emma attraversato dai singhiozzi, e il corpo inerme di Percy, che giaceva a terra su un enorme tappeto di neve rossa.
Poi, il buio.

Angolo Scrittrice
Ta-Da-Da-Daaa!!! *Musichetta di suspance*... O.o
Saalvee!! Sono sempre io, e vi sto sempre rompendo le balle xDxD
No, scherzi apparte, sono riuscita a postare il nuovo capitolo, e spero di non aver fatto male. Com'è stato? Vi è piaciuto? No? Fatemi sapere, diamine! Sono in ansiaa! :O
Sul serio, ci ho messo molto per scrivere questo capitolo, e vi invito vivamente a commentare. Non chiedo per forza un commento lungo, o uno positivo. Mi basta un "Ciao, mi è piaciuto", o "Brava", o anche un "Che schifo" ... Qualunque cosaa!
Vi pregoo :'(

Altrimenti non so se continuare. Vorrei davvero sentire la vostra opinione, anche per capire se vi interessa o se vi annoia... Cose così.
C'é ancora tanto da sapere... Cosa succederà al povero Percy? E ad Alex? E la missione come procederà?
Onestamente, non so se questo realmente vi interessi, quindi fatemi sapere se continuare o meno, anche perché mi dispiacerebbe lasciare questa storia incompleta, ma se non la legge nessuno...
So che vi annoio, e che magari alla maggior parte di voi non interessa nemmeno, ma per me é importante... Ci tengo molto, a questa storia, e mi dispiace molto se non piace... Quindi, ho deciso che pubblicherò il prossimo capitolo solo dopo uno o due commenti... ;D Quindi datevi da fare xDxD
Non per qualcosa, solo per sapere se vale la pena continuare o se non interessa a nessuno.

Scusate anche se è un po' lungo... diciamo che la sintesi non è proprio il mio forte :O
Musu a erraldoia! :D
Alla prossima .... se ci sarà...
La vostra ValeryJackson

P.s. Intanto, nell'attesa, per gli interessati vi lascio delle gifs dei miei personaggi ;D In ordine: Alex, Emma, Bella, Percy, Zane, Grover, Zoe, Bianca e Nico. Un bacio :*
P.p.s. Mi scuso, ma non ho trovato quella di Zane, quindi ci dobbiamo accontentare della foto :S Sorryy!!



Alex Chadwich

Emma Gilbert

Bella Hartley

Percy Jackson

Zane Bennet

Grover Underwood

Zoe Brooks

Bianca Di Angelo

Nico Di Angelo

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