Eros e Thanatos

di Charlotte McGonagall
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitlo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitlo 1 ***


NdA: Io uso sempre i nomi inglesi, spero non sia un problema.
Per quanto riguarda Minerva, non mi sono voluta rifare a Pottermore, come penso sarà evidente.
La fic avrebbe dovuto partecipare a questo contest, ma a causa della mia lentezza ciò non è stato possibile.

EROS E THANATOS

Capitolo 1

Mi hai lasciato senza parole
come una primavera
e questo è un raggio di luce
e un pensiero che si riempie di te

L'attimo in cui il sole
diventa dorato
e il cuore si fa leggero
come l'aria prima che il vento
ci porti via...

[Elisa ~ Ti vorrei sollevare]

Minerva si premette un fazzoletto sulla bocca e vi soffocò svariati colpi di tosse. Sentì gli sguardi preoccupati dei suoi colleghi su di lei. Da quando era tornata dal San Mungo, sembravano tutti eccessivamente apprensivi.
"Tutto bene?", chiese Pomona.
Minerva annuì.
"Potrei visitarti dopo la riunione," suggerì Poppy.
"Non sarà necessario, grazie," rispose l'insegnante. "Domani ho comunque la visita di controllo al San Mungo. Inoltre," aggiunse, "non è nulla di grave, ne sono certa".
"Magari potresti comunque prendere una pozione per calmare quella tosse," propose l'infermiera. "Sarei felice di portartene un po'".
"Grazie, Poppy, molto gentile da parte tua," disse Minerva, controllando le pergamene aperte davanti a sé. "Abbiamo altri argomenti all'ordine del giorno?".
"No," rispose Albus. "Possiamo aggiornare la riunione al 20 agosto, per discutere gli orari una volta che avrò - si spera - trovato qualcuno per la cattedra di Difesa Contro le Arti Oscure. Buone vacanze a tutti".

I professori indugiarono qualche minuto nella sala insegnanti per parlare dei loro progetti per l'estate.

Sybil Trelawney stava cercando di coinvolgere il professor Snape in una conversazione, ma - dati gli scarsi risultati - si diresse da Dumbledore, protestando con veemenza per la scelta di dividere la cattedra di Divinazione tra lei e Firenze.
Minerva le lanciò un'occhiata di disapprovazione, prima di tornare a concentrarsi sulla voce di Pomona, eccitatissima alla prospettiva del viaggio alle Galapagos per il quale sarebbe partita il giorno successivo.
"Immaginate la quantità di piante rare che ospita quell'habitat incontaminato...", stava dicendo l'erbologa con un luccichio negli occhi.

Minerva sorrise, sperando che nessuno notasse che si stava reggendo con la mano allo schienale di una sedia. Si era decisamente pentita di aver lasciato il bastone in camera, ma non l'avrebbe mai ammesso.
"Ci vediamo domani mattina a colazione, allora?", chiese Pomona.
"Certo, anch'io dovrò svegliarmi presto per andare a Londra," rispose Minerva.

In quel momento, Albus - congedata finalmente Sybil - la raggiunse.

Dumbledore era una delle poche persone ad avere il potere di farla sorridere, anche senza motivo, nonché forse la sola in grado di rabbonirla nei suoi momenti di rabbia. Albus Dumbledore era stato per lei prima un padre e un maestro, per poi diventare l'unico uomo che avesse mai amato davvero.
Adorava la sua voce pacata e calma - persino nei momenti di pericolo - oltre al suo modo unico di gesticolare mentre parlava e congiungere le dita mentre ascoltava; amava i suoi occhi azzurri e brillanti, la genialità eccentrica e l'ironia pungente e sottile: tutto in lui l'aveva catturata, persino il naso adunco e l'indole sfuggente.

Lui le sorrise.
"Posso accompagnarti fino alla tua stanza? Non avevo ancora avuto l'opportunità di discutere con te l'ottimo articolo che hai pubblicato su Trasfigurazione Oggi".
"Oh, certo," disse lei, prendendo il braccio che lui le porgeva, chiedendosi se lui avesse intuito che era troppo debole per camminare da sola ma non volesse ferire il suo orgoglio, camuffando quel gesto in una manifestazione di galanteria.

Albus aveva sempre avuto il dono di capire le persone, di guardare dentro di loro, comprendere i loro bisogni o le loro debolezze. A volte, questa sua capacità la metteva a disagio: si sentiva vulnerabile di fronte a lui, come una tartaruga privata del suo carapace. Non era mai stata abile nel "leggere" gli altri, interpretare le loro emozioni, mostrare empatia, se non in rare occasioni.
Non era per freddezza o disinteresse: semplicemente, i rapporti sociali per lei erano sempre stati un mistero ed era per questo che aveva solo pochi amici intimi.
Forse chiudersi in se stessa l'aveva allontanata dal mondo, fingersi insensibile ai propri sentimenti l'aveva resa suo malgrado estranea anche a quelli altrui.

Sospirò; le era occorso l'esercizio di una vita, un lento perfezionamento, per costruirsi la propria corazza, per proteggersi dal mondo. Eppure, più si nascondeva, più si sentiva vulnerabile, esposta al giudizio altrui, nuda.
Fin da bambina, aveva temuto che le persone potessero comprendere le sue emozioni e i suoi pensieri. Aveva conosciuto presto la crudeltà del mondo, i ricatti affettivi, l'astuzia e gli scherni dei malevoli e sapeva che penetrare qualcuno fino alle profondità dell'anima significa avere potere su di lui, tenerlo in pugno.
Si sentiva come quei pesci negli acquari - li aveva visti una volta, a Londra, in uno zoo Babbano - che possono essere visti da tutti senza vedere a loro volta, ai quali giunge solo l'eco confusa di mani che premono contro il vetro.

Era per questo che non aveva mai rivelato ad Albus i propri sentimenti?
Sì, senza dubbio: se vi era una persona che avrebbe avuto il potere di ferirla, di governare la sua esistenza, era proprio lui.
Se solo non fosse stato così dannatamente difficile capire i suoi pensieri, se solo l'avesse ricambiata...

Albus camminava lentamente, mentre conversavano, e Minerva teneva il ritmo del suo passo.
Lui non accennò mai a ritirare il braccio, anzi, quando Minerva dovette fermarsi, oppressa da un nuovo accesso di tosse, la cinse col braccio libero per sorreggerla. I suoi occhi azzurri indugiarono su di lei: era pallida e molto magra, ancora convalescente in seguito ai quattro Schiantesimi ricevuti.

Minerva aveva sempre goduto di ottima salute - le occasioni nelle quali l'aveva vista malata in tanti anni di collaborazione avrebbero potuto essere enumerate sulle dita di una mano - e vederla indebolita lo rattristava e lo indignava.
Soprattutto, lo disgustava la consapevolezza che né Dolores Umbridge né nessun'altro sarebbe stato incriminato per quel gesto ignobile.

"Tutto bene?", chiese, appena lei ebbe ripreso fiato.
Era preoccupato: ormai erano passate circa due settimane dall'attacco, possibile che non fosse ancora guarita completamente?
"Sì, grazie," disse lei, schiarendosi la voce, "ho solo bisogno della pozione di Poppy".

Giunsero di fronte alla stanza di Minerva.
"Grazie mille, Albus," disse lei, sulla porta, "a domani mattina, allora".
"Veramente, domani dovrò partire molto presto, non credo che scenderò a colazione".
Lei lo scrutò per un attimo, quasi aspettando una spiegazione che non venne. "Capisco," disse.
"Forse tornerò in serata, se ho fortuna," precisò lui. "E tu? Tornerai qui o resterai a Londra?".
"A Londra, probabilmente," rispose, "anche se dovrò tornare nei prossimi giorni per prendere alcune cose".
"Allora, buonanotte e buon viaggio, Minerva".
"Anche a te," concluse lei, chiudendo la porta.

*

Albus scivolò sotto le coperte, un senso di ansia che gli premeva sul cuore.
L'indomani sarebbe andato a cercare un Horcrux nella vecchia baracca dei Gaunt e ora - ad aggiungersi al numero già non quantificabile dei suoi fardelli - si era aggiunta la preoccupazione per Minerva.

Già, Minerva...

Ricordava bene i suoi anni da studentessa: era una ragazzina matura e brillante, avida di sapere e desiderosa di compiacere i suoi insegnanti.
Aveva una particolare predilezione per lui e la sua materia: aveva una cotta per lui, in effetti.
All'epoca non aveva dato particolare peso alla cosa, si era limitato ad assecondare il desiderio e le inclinazioni della giovane: l'aveva presa sotto la sua protezione. Nel corso degli anni, aveva modellato quella giovane mente piena di potenzialità e aveva fatto di lei una delle migliori streghe della sua generazione.

Lei era stata il suo orgoglio più grande: ricordava ancora la gioia provata nell'accompagnarla al Ministero per l'inserimento nel registro degli Animagi, la soddisfazione con la quale l'aveva presentata ai suoi conoscenti.

Senza che potesse controllarlo, col tempo, quella ragazzina era entrata prepotentemente nella sua vita.
Quella piccola adulta era tornata a Hogwarts come una donna forte e fragile al tempo stesso, testarda e orgogliosa, ma più brillante e acuta che mai.
Non era cambiata molto, dopotutto.

Se ne era innamorato, infine, senza nemmeno capire come né quando; la tenacia dell'amore di Minerva aveva vinto la sua resistenza. Eppure, non lo avrebbe amato se avesse conosciuto il suo passato; era questa consapevolezza ad averlo tenuto lontano da lei per anni.

Come avrebbe potuto dirle che aveva amato Gellert?
Non avrebbe potuto... Non dopo quello che era successo...

NdA2:
Ebbene, cosa sarà successo?

So che in questo capitolo non succede praticamente nulla, ma ho ritenuto le riflessioni necessarie per chiarire i successivi sviluppi della vicenda.
Per chi se lo stesse chiedendo, Albus in questa storia è bisessuale, come si dovrebbe evincere anche dal capitolo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


NdA: Ed ecco, finalmente il capitolo 2!
Mi scuso per la lunga attesa e spero solo che ne sia valsa la pena.
Sono molto emozionata perché per la prima volta due OC che abitano la mia mente da molto tempo fanno la loro comparsa in una mia fanfiction!
Questo capitolo si focalizza principalmente su Albus e Minerva, ma vi prometto un po' di Severus/Sibilla per il prossimo capitolo! *Ode le grida di orrore di Severabarty in lontananza*
Ricordo che uso i nomi inglesi dei pg, nel caso dopo tutti questi mesi vi foste dimenticati.
Alcune delle mie "recensetrici" vedranno anche realizzarsi alcune loro previsioni...

Un ringraziamento speciale va alla mia fantastica beta MaryLouise, alle sette persone che hanno recensito, alle 2 che hanno inserito la storia nelle preferite e alle 10 che la seguono.

Capitolo 2

Ricordi quando hai detto che per vivere
occorre non guardare indietro mai?
I ricordi sono pesi
che per sempre trascinerai...
[Malika Ayane ~ Briciole]

Agosto 1944

"Alastor, no! Non se ne parla, è troppo giovane".
"Deve essere giovane, Albus," ribatté l'Auror, "altrimenti come potrebbe infiltrarsi a Durmstrang?".
Albus sospirò.
Alastor proseguì: "Minerva se la caverà: è la migliore, nemmeno tra gli Auror avrei potuto trovare di meglio".

*

Albus si rigirava nel letto. Non avrebbe dovuto lasciarla andare. Alastor era un ottimo Auror e aveva ragione nel lodare l'abilità di Minerva, ma non la conosceva quanto Albus.
Lui sapeva che Minerva non era capace di mentire, non così bene da ingannare un professionista della menzogna come Gellert.

Inviarla a Durmstrang sotto falso nome, come studentessa del settimo anno, in cerca di informazioni su Grindelwald e sul modo in cui reclutava nuovi seguaci, era stata una follia. Non aveva nemmeno diciannove anni e non era stata addestrata come un'Auror. Era una grande strega, ma questo non l'avrebbe salvata.
Se solo avesse potuto tornare indietro...
Le sarebbe successo qualcosa, lo sentiva, e sarebbe stata colpa sua.

*

Gennaio 1945

"L'hanno scoperta, allora?", chiese Albus, trattenendo a stento la rabbia e il dolore.
"Sembrerebbe di sì," sospirò Alastor.

Albus gli voltò le spalle e rimase in silenzio, sentendosi il cuore stretto in una morsa, certo che, se avesse fissato Alastor negli occhi, avrebbe potuto incenerirlo con lo sguardo.

L'Auror mosse qualche passo verso il mago. "Tutto ci fa supporre che sia ancora viva," disse, quasi a voler consolare l'uomo davanti a lui, come se questo potesse ridimensionare la portata del loro errore.
"Vattene, Alastor," disse Albus seccamente, "ho bisogno di riflettere".

Rimasto solo nel suo ufficio, si prese la fronte tra le mani.
Come aveva potuto farle questo? Lei era la sua Minerva, la sua protetta, lei si fidava di lui, ne era responsabile; e lui aveva lasciato che intraprendesse la missione suicida di Alastor, invece di andare lui stesso a rischiare la vita.

Rabbrividì: sapeva fin troppo bene di cosa fosse capace Gellert Grindelwald.

Fawkes si appollaiò sulla scrivania accanto a lui e strofinò la testa e il dorso del becco contro il suo braccio.

*

Luglio 1996

Albus si alzò che era ancora notte inoltrata.
Si stropicciò gli occhi e la fronte; il sonno non gli aveva dato alcun riposo, ma solo una serie interminabile di immagini angosciose.

Avrebbe dovuto concentrarsi su Voldemort, invece era distratto: da Minerva, da Gellert, fantasmi del passato e del presente, riuniti come in tacito accordo, convenuti per cospirare alle sue spalle.

Si sarebbe mai liberato dei sensi di colpa? Ne dubitava.
Del resto, non meritava di meglio.

Nel suo ufficio, Fawkes dormiva beato sul suo trespolo.
Avrebbe potuto svegliarlo e Smaterializzarsi con lui, ma voleva camminare.
Uscì e si lasciò avvolgere dall'aria fredda e umida della notte.
Avanzò fino ai confini della scuola, senza riuscire a scrollarsi di dosso i pensieri funesti che lo accompagnavano, poi si Smaterializzò: destinazione Little Hangleton.

*

Gennaio 1945

Quando rinvenne, Minerva giaceva su un freddo pavimento - di pietra, forse di marmo, a giudicare dalla sensazione sul corpo - ma non aveva fretta di aprire gli occhi e scoprire dove si trovasse.
Si sentiva stordita e debole; aveva la gola secca, le ossa doloranti e una paura mai provata.
Tutto la terrorizzava: il silenzio di quel luogo quanto gli sporadici rumori, la luce che intravedeva attraverso le palpebre chiuse quanto le ombre che a tratti la smorzavano.

Aprì gli occhi, infine.
La stanza era quadrata, molto piccola e sprovvista di mobili, ad eccezione di una sedia, sulla quale sedeva un uomo, e di una lampada appesa al soffitto.

Questi, nel vederla riprendere coscienza, si alzò.
Era alto e aggraziato nei movimenti. I suoi capelli e la barba ben curata erano biondi, anche se appena venati di grigio.
Portava un abito color porpora ricamato in argento, sontuoso ed elegante, che gli conferiva l'aspetto di un ricco gentiluomo.
Era il volto a chiarire davvero chi egli fosse: era freddo, duro, come scolpito nella pietra, la linea della bocca rigida e impassibile, il naso dritto e la fronte appena corrugata. Gli occhi erano chiarissimi e glaciali, di un colore indefinibile, eccezionalmente penetranti e fieri.
Le pupille nere spiccavano in quel chiarore e la fissavano, trafiggendola, inchiodandola a terra, fissandola tra il pavento e il raggio di quello sguardo magnetico.

"Minerva McGonagall," disse, in tono falsamente cerimonioso, "benvenuta".
Lei trattenne il respiro: dunque sapeva - pensò - aveva scoperto la sua vera identità. "Alzati," le intimò.
Lei eseguì, riuscendo a reggersi in piedi solo grazie all'effetto dell'adrenalina prodotta dal terrore.
"Sai chi sono io?", le chiese.
"Gellert Grindelwald," rispose, cercando di nascondere il tremito nella voce.
Lui sorrise compiaciuto, continuando a fissarla. Minerva era terrorizzata da quegli occhi.

Lui si rigirava la bacchetta tra le dita, quasi con noncuranza.
Le si avvicinò, mentre lei era impietrita, incapace di muoversi, il viso del mago a pochi millimetri dal suo.
Le prese il mento tra il pollice e l'indice della mano sinistra, mentre con la destra le puntava la bacchetta contro il petto.
"Albus è caduto proprio in basso," sospirò Grindelwald, con un sorriso storto. "Addirittura, sperare di ingannarmi con una scolaretta...".

Minerva sentì la punta della bacchetta affondarle tra le costole.

"Crucio".

*

Minerva si divincolò tra le lenzuola che le avevano avvolto il corpo, serrandolo in una morsa.
Le mancava l'aria, si sentiva priva di forze.
Il cuore le batteva senza tregua in petto, stordendola, togliendole il fiato, ogni battito che rimbombava in tutto il corpo, riverberandosi fino alla punta delle dita.

I suoi incubi sembravano sempre più reali.
Si era illusa di aver cancellato dalla sua vita ogni ricordo dei mesi trascorsi a Nurmengard, di averli relegati in un angolo buio e inaccessibile del suo passato, insieme alle paure innominabili e alle parole che non aveva mai osato dire.
Eppure, tanto più era preoccupata o spaventata dalla guerra attuale, tanto più quella passata le tornava alla mente.
Nei suoi incubi, alla presenza incombente e minacciosa di Voldemort, si sovrapponeva quella di Grindelwald; ai volti dei membri dell'Ordine che aveva visto morire, si alternavano gli orrori ai quali aveva assistito a Nurmengard.

Fuori dalla finestra albeggiava e i raggi del primo sole, appena offuscati di nebbiolina, scivolavano sul davanzale e lambivano oggetti familiari, donando nitidezza ai contorni, definendo i colori e le distanze, restituendo le forme alla luce come i pensieri alla razionalità.

Si sedette sul letto, inspirando profondamente, indossò gli occhiali e si alzò.

*

Minerva entrò nel suo appartamento londinese e poggiò la borsa scozzese nell'ingresso.
Si guardò attorno e si diresse verso la propria camera da letto.
Stava per aprire la porta, quando una donna dai capelli grigi in vestaglia color glicine le corse incontro.
Si fermò a pochi centimetri da lei e le sorrise, squadrandola attentamente. "Che bello rivederti," disse.
"Ci siamo viste l'ultima volta al San Mungo due settimane fa, Margaret," ribatté Minerva.
Margaret sospirò e le due amiche si scambiarono un rapido abbraccio.

"Vederti qui e vederti in un letto d'ospedale è decisamente diverso," commentò una voce maschile dall'accento straniero alle loro spalle.
Minerva sorrise al nuovo venuto, un uomo sulla settantina, con un paio di occhiali da lettura in bilico sulla punta del naso e i capelli brizzolati.
L'uomo le posò una mano sulla spalla e proseguì: "È bello sapere che stai meglio, ora".
"Nic, dovresti sapere che occorre ben altro per fermarmi," disse Minerva, stringendogli brevemente la mano.

Era un privilegio avere due coinquilini come Nic e Margaret. Erano più di semplici amici, erano come fratelli per lei.
Era bello avere qualcuno con cui condividere lo spazio e il tempo, qualcuno da cui tornare, come fossero una vera famiglia: era un lusso - la famiglia - che non molti insegnanti di Hogwarts potevano dire di possedere.

Margaret era la sua migliore amica sin dall'infanzia e ancora adesso non era difficile veder riapparire - dietro alla donna dal viso segnato e dai capelli quasi bianchi - la bambina coi capelli rossi e le treccine che era stata in passato.
Persino ora che era diventata una scrittrice affermata e conosciuta in tutto il mondo magico, Minerva l'avrebbe sempre ricordata come la ragazzina di dieci anni che scappava dal collegio Babbano per comprare l'edizione tascabile dell'ultimo romanzo di Agatha Christie e poi la nascondeva nel doppio fondo del baule per non farsi scoprire.

L'avevano comprato insieme, quell'appartamento, molti anni prima, e - anche se ora Margaret girava il mondo e Minerva viveva quasi sempre a Hogwarts - vi ritornavano sempre, anche dopo che Margaret aveva sposato Nic. Del resto, era stato grazie a Minerva che i due si erano conosciuti.

Nic era davvero come un fratello per Minerva.
Pochi amici possono dire di aver condiviso un'esperienza simile alla loro.
Si erano sostenuti sempre nelle difficoltà. Erano in grado di comprendersi con uno sguardo ma anche diconfidarsi come Minerva non avrebbe potuto fare con nessuno. Nic sapeva metterla a suo agio, capiva quando aveva bisogno di parlare e quando di tacere, sapeva quando dare consigli e quando lasciare che le risposte arrivassero da sé.

Dopotutto, avevano attraversato insieme un abisso troppo profondo per non sorreggersi a vicenda, come sempre dovrebbero fare le creature affini nel dolore.

*

Gennaio 1945

Quando Minerva rinvenne, ancora dolorante a seguito della Maledizione Cruciatus, giaceva su un mucchio di stracci, circondata da visi sconosciuti e scheletrici, che parlavano un francese dai molteplici accenti.
Il loro tono era a tratti curioso, a tratti concitato, a tratti sospettoso.
Cercò di ricordare lo scarso francese che aveva imparato da bambina, ma le voci si sovrapponevano, confondendola, aumentando la sua sensazione di stordimento.

Fissava i volti pallidi dei prigionieri, le pareti di pietra scura, la luce fioca delle torce, tremando di freddo e di paura.

Quando qualcuno le strinse saldamente la mano fu come trarre un respiro profondo dopo una lunga apnea, essere riportati improvvisamente alla vita.
Quella mano le diceva che qualcuno sapeva come si stesse sentendo, che qualcuno era lì per lei.
Guardò quei lineamenti divenuti amici: era un giovane non più vecchio di venticinque anni, con capelli e occhi castani.
Lei ricambiò la stretta e lui increspò appena le labbra in un sorriso composto.

Urlò qualcosa agli altri, evidentemente intimando loro di tacere, dato l'improvviso silenzio che seguì.
A quel punto, si rivolse a Minerva, con lo stesso lieve accenno di sorriso.
"Inglese, vero?", domandò.
Lei annuì.
"Mi chiamo Niccolò, Niccolò Alighieri," disse lui, in un inglese dall'accento straniero. Spagnolo, forse? "Benvenuta nell'area dei prigionieri politici," aggiunse, in tono ironicamente cerimonioso.
"Io sono Minerva McGonagall".
Lui l'aiutò a sedersi.
"Grazie, ehm...".
"Puoi chiamarmi Nic, è molto più semplice".

Lei gli sorrise. Sì, era davvero tutto molto più semplice e non solo per il nome.
Avrebbe imparato, col tempo che Niccolò Alighieri era l'alleato più prezioso da avere a Nurmengard, non solo per la sua gentilezza, ma anche per la sua abilità nel padroneggiare le lingue straniere e la sua lunga esperienza come prigioniero.
Minerva avrebbe presto capito che essere l'unica inglese di Nurmengard - ambiente nel quale le poche basilari alleanze si stringevano preferibilmente tra connazionali - era un gravissimo svantaggio, che probabilmente, senza Nic, le sarebbe costato la vita.

Lui aveva avuto per lei quella compassione e quel rispetto che gli uomini giusti nutrono verso i deboli e gli sventurati ancor prima che verso loro stessi.

*

Luglio 1996

La giovane Guaritrice la fece accomodare nella stanza delle visite.
Minerva ricordava di averla avuta come studentessa pochi anni prima: Karen Willis, Tassorosso, ragazza promettente.
La fece spogliare e esaminò la ferita ormai cicatrizzata sul petto di Minerva.
Poi, iniziò a porle alcune domande riguardo il processo di guarigione, prendendo appunti su un rotolo di pergamena.
Sembrò stupita per un attimo quando la paziente menzionò la tosse e la debolezza della sera precedente, ma Minerva avrebbe potuto sbagliarsi; infatti, la giovane era china sulla scrivania e non poteva vederla in viso.

La Guaritrice la auscultò a lungo con uno stetoscopio, forse il solo strumento Babbano utilizzato anche in Guarigione, poi appuntò nuovamente qualcosa sulla sua pergamena e disse a Minerva di rivestirsi e aspettarla.

Poco dopo, ritornò accompagnata da Aaron Roberts, il Guaritore Responsabile che aveva curato Minerva durante il ricovero.
I due indugiarono un momento sulla porta, bisbigliando, poi l'uomo entrò e salutò la sua ex insegnante com aria gioviale.

"Mi dispiace doverla trattenere, ma la signorina Willis sembra avere qualche problema con i risultati dei suoi esami," disse. "Eh, questi studenti," concluse con aria complice, ridendo e prendendo lo stetoscopio.
Minerva increspò educatamente le labbra alla sua allusione, senza tuttavia trovarla divertente e, anzi, fortemente infastidita dall'atteggiamento di superiorità del guaritore verso la sua tirocinante. Aaron non era affatto cambiato dal tempo nel quale era stato suo alunno: la sua tracotanza persisteva con tenacia sconcertante.

L'uomo ricominciò ad esaminarla, illustrando pedestremente a Karen ogni sua mossa.
"È quello che ho fatto," rispondeva a tratti la giovane, senza scomporsi.
Quell'uomo è davvero fortunato ad avere per tirocinante una Tassorosso - pensò Minerva. - Io, al suo posto, non sarei stata così paziente.
Stava contemplando la possibilità di usare l'autorità che ancora esercitava sui suoi ex alunni per zittirlo, quando improvvisamente tacque. Rimase in silenzio per alcuni secondi, scrutando pensieroso una pergamena, per poi accostarsi a Karen e confrontare i propri appunti con l'esito della prima serie di esami.
Si scambiarono qualche parola, poi il Guaritore Roberts tornò a rivolgersi a Minerva, interrogandola sul malessere della sera precedente.
Minerva ripeté nuovamente il racconto, iniziando ad avvertire una sensazione di disagio, ma cercando di nascondere la propria preoccupazione.
Il Guaritore non commentò, limitandosi ad annuire a tratti. Era capace di rimanere in silenzio, dunque - si disse Minerva e quel pensiero avrebbe anche potuto arrecarle una certa soddisfazione in un momento meno grave.

Alla fine del resoconto, l'uomo bisbigliò qualcosa all'orecchio di Karen, che subito lasciò la stanza.
"Mi dispiace trattenerla nuovamente, ma vorrei consultare una specialista," disse in risposta allo sguardo interrogativo di Minerva.
Lei annuì, cercando di apparire profondamente interessata ai disegni anatomici appesi alla sua sinistra.

Percepiva il panico risalirle lentamente il petto e afferrarle la gola e, tuttavia, restava impassibile, fingendo di essere altrove, respirando lentamente, come se nulla stesse accadendo; e così fece, più tardi, nell'ufficio della Guaritrice Beatrix Brown, mentre la donna la invitava a sedersi, un'espressione indecifrabile dipinta in volto.

*

Albus si accasciò a terra, la vista annebbiata per il dolore alla mano.
Avrebbe assolutamente dovuto tornare indietro e chiedere aiuto, se solo fosse riuscito a raccogliere le forze per Smaterializzarsi.

"Fawkes," chiamò debolmente, mentre tremava e ansimava a terra, gli occhi chiusi, certo che sarebbe morto.
Poi le sentì: piume tiepide e soffici che gli sfioravano il viso. Fawkes, il suo fedele amico, era venuto ad aiutarlo.
Schiuse lentamente le palpebre e fissò gli occhi neri della fenice, che lo ricambiò con uno sguardo dolente.
Sentì le zampe dell'animale attorno all'avambraccio e, un momento dopo, era nel suo ufficio a Hogwarts.

L'odore di legno e pergamena, così familiare e così amato, gli diede forza e speranza e immediatamente cominciò a formulare un piano.

Fawkes era accanto al padrone, emettendo un fioco lamento, le lacrime che gocciolavano lentamente sulla mano del vecchio, arrecandogli sollievo e restituendogli forza sufficiente per parlare.

"Chiama... Severus...", mormorò con voce flebile, mentre cercava di alzarsi, aiutandosi col braccio sano.
Fawkes svanì in un bagliore infuocato, lasciandolo solo.

Albus sapeva cosa fare: con estrema fatica, si sfilò l'anello e lo gettò sul piano di legno scuro della scrivania.
Poi, appoggiandosi in parte a quest'ultimo e in parte alla libreria, incespicò fino al ripiano dove era posata la spada di Grifondoro.
Ne afferrò l'impugnatura con entrambe le mani, per quanto la ferita gli consentisse, e lanciò un'ultima occhiata alla pietra nera incastonata nel gioiello: che idiota era stato, che egoista! Aveva gettato al vento mesi di lavoro per il capriccio di un momento, nella vaga speranza di chiedere un perdono che non meritava.

Sentendo le forze venir meno, le gambe tremanti e la fronte imperlata di sudore, vibrò il colpo, mirando al centro della pietra, poi un'ombra scura gli attraversò la vista e si abbandonò contro la libreria dietro di sé, scivolando lentamente a terra, esausto.

Allora, vi è piaciuto questo capitolo? In entrambi i casi fatemi sapere.
Temo sia inferiore al primo, ma ce l'ho messa tutta. È in sostanza un capitolo di passaggio, ma spero di aver messo abbastanza carne al fuoco da ridestare l'attenzione.
Fatemi sapere se è tutto chiaro; secondo la mia beta lo era, ma al massimo chiedete!

@Sbarauau, non so se leggerai mai questo capitolo, ma posso dirti che avevi indovinato: Gellert è apparso con un ruolo più rilevante che nel capitolo precedente.
@Acquamarine, facevi bene a nutrire dubbi su quanto era successo con Gellert...

A presto ragazze, o almeno spero, considerando che questo è l'anno della maturità, quindi sarò molto presa.
Baci!

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