Eighteen hundred and froze to death

di Lycoris
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Blue Eyes and Blue Boxes ***
Capitolo 2: *** O Captain, my Captain! ***
Capitolo 3: *** The Year Without Summer ***



Capitolo 1
*** Blue Eyes and Blue Boxes ***


Eighteen hundred and froze to death Titolo: Eighteen hundred and froze to death
Fandom: Supernatural/Doctor Who.
Pairing: Time Lord!Castiel/Companion!Dean.
Rating: Pg. Varierà? Non varierà? Chissà!
Beta: Nessuno.
Genere: Crossover.
Warning: AU, Crossover, Slash, OOC.
Summary: In cui Dean viene travolto da un pazzo con gli occhi blu in una cabina blu che vola –dannazione, vola!- e trascinato nel 1816, l’anno senza estate. [CROSSOVER Supernatural/Doctor Who]
Note: Sono recidiva, e si prospetta un’altra long. No, aspetta, metti giù quel pomodoro marc… *splat*. Perché dovete sapere che quando non ho un cavolino di Bruxelles da fare vado a leggermi il Portale Catastrofi di Wikipedia.
DISCLAIMER: Non possiedo tutta questa bella gente, no, purtroppo no.


Blue Eyes and Blue Boxes


Dean Winchester non era un uomo ordinario.


Nessun uomo, donna, minerale o conifera avrebbe definito normale qualcuno che nel bagagliaio della macchina tiene fucili a doppia canna caricati a sale invece degli ombrelli, e va a cercare di propria volontà tutto quell’insieme di cose -aberrazioni della mente, incubi infantili- che vivono nel buio, e nel buio dovrebbero restare.


Dean Winchester non aveva una vita ordinaria, ma quando una cabina della polizia –esistevano cabine della polizia?!- atterrò sfumacchiando come un petardo in piena notte e giusto in mezzo alla stradina di campagna che stava percorrendo lo sfiorò il dubbio di non aver ancora visto tutto.


Sterzò bruscamente a destra mandando fuoristrada l’Impala, si sfregò gli occhi come un bambino assonnato e pensò che forse –forse, eh- era il caso di smetterla con la birra a stomaco vuoto alle tre di notte, soprattutto se era la sua bambina a subirne le conseguenze. Eccheccazzo, ci sarà stato un perché per cui si diceva di non bere in gravidanza, no?


Scese arrancando tra le zolle di terra e i ciuffi d’erba e constatò che c’era effettivamente una cabina blu elettrico parcheggiata con precisione millimetrica in mezzo al sentiero sterrato. Una cabina. Volante. Blu. Che casualmente gli era piombata tra capo e collo e si era parcheggiata in mezzo alla sua fottutissima stradina.


Agguantò una pistola dal cruscotto e si avvicinò cauto al coso, guardando il fumo diradarsi lentamente. Si accostò a quella che supponeva essere la porta e poggiò un orecchio sul legno. E immaginava che avrebbe sentito molte cose interessanti, se solo la porta non si fosse spalancata assestandogli un colpo poderoso alla mascella e spedendolo a terra, con allegato un tizio accartocciato in un trench beige che gli rovinò addosso producendo un suono molto poco rassicurante da qualche parte intorno alle sue costole.


Il tizio si tirò su come un pupazzo a molla spazzolando con i palmi delle mani l’impermeabile, per poi girarsi su se stesso e mettersi ad abbracciare e sussurrare con aria molto seria una serie di scuse alla cabina.


E Dean non ci vide più. Afferrò il tipo per una spalla e lo girò in modo da guardarlo in faccia, puntandogli la Peacemaker sotto il mento.


Si trovò davanti un uomo sulla trentina, dall’aspetto per nulla pericoloso, vestito come un esattore delle tasse uscito da una centrifuga, con degli assurdi occhi dello stesso blu della sua cabina –occhi antichi, fu il suo primo pensiero- e che, invece di preoccuparsi della pistola che gli minacciava la gola, inclinò la testa arruffata come un gatto perplesso.


Poi il suo viso si illuminò di consapevolezza e si aprì in un sorriso, lo scostò in tutta tranquillità e gli si avvicinò tanto che i loro nasi si toccavano, fissandolo con quegli occhi allucinanti come se avesse pagine e pagine scritte nel verde dell’iride.


Dean si immobilizzò e trattenne il respiro, chiedendosi freneticamente se, quando Dio aveva distribuito il concetto di spazio personale ai suoi figli, il tipo fosse chiuso in bagno. Non di certo a pettinarsi, gli venne spontaneo pensare quando i suoi capelli corvini gli sfiorarono le tempie.


Venne riscosso dalle sue elucubrazioni da una voce roca e profonda che gli sembrava assurdo sentire uscire dalla bocca dell’uomo che gli stava di fronte, ma ancora più assurdo fu quello che sentì pronunciare da quella stessa voce.


-Dean Winchester, tu sei l’uomo che fa per me!


Dopo di che, con una forza sorprendente, il matto gli strinse un polso e lo tirò dentro la cabina blu, lasciandolo travolto e basito subito davanti la porta chiusa.


Dean fece per protestare indignato  quando si accorse che –dettaglio assolutamente trascurabile- non era in una cabina. A meno che le cabine non fossero più grandi all’interno.


-Gesù Cristo!


-No, sono il Dottore. Piacere di conoscerti, Dean Winchester.


Dean si voltò di scatto, trovando il tipo appoggiato tranquillamente con i fianchi e le braccia tese all’indietro a quella che sembrava la console di un sommergibile russo, con qualcosa che ricordava l’Enterprise e un accenno della cucina disastrata di Bobby.


Una colonna di vetro si alzava dal centro della serie di pannelli disposti in circolo fino al soffitto che si stringeva come una pagoda indiana, le pareti disseminate di porte erano di un colore indefinibile tra l’arancio e il ruggine, e una serie di ticchettii inquietanti venivano da sotto il pavimento coperto di grate.


Dean giurò e spergiurò che non avrebbe più toccato una goccia d’alcol. Se questi erano gli effetti, la cosa gli era decisamente sfuggita di mano.

Si pizzicò un braccio.

AHIA.


Dean Winchester, benvenuto nel tuo mondo.



Alzò nuovamente la pistola all’altezza degli occhi puntandola contro l’uomo, il cui sguardo si incupì come il cielo estivo prima di un temporale.


Tirò fuori dalla tasca un diosolosapevacosa –una bacchetta magica? Non si sarebbe stupito troppo- e la puntò a sua volta contro la sua Peacemaker.

Si sentì un buffo ronzio, una luce blu uscì dal trabiccolo e improvvisamente il calcio della pistola si fece incandescente tra le mani del cacciatore, che la lasciò cadere con un grido.


-Niente violenza, grazie. Sono allergico.


Per la seconda volta in meno di dieci minuti, Dean perse il santo dono della calma.


-Chi cazzo dovresti essere, hm? John Lennon in trench? Chi diavolo sei? Cosa vuoi da me? Dove cazzo sono? E soprattutto, ti rendi conto di quello che stavi per fare alla mia bambina?


Il pazzo inclinò la testa –ossanto Bon Scott, di nuovo- e lo guardò seriamente preoccupato.


-Hai figli?


-Sì. NO! La mia auto.


-Non ricordavo che avessero già inventato gli ibridi, chiedo perdono…come ti ho già detto, sono il Dottore.


-Il Dottore CHI?!


-Dottore e basta. Ho un lavoro per te.


Dean, ancora sotto shock, lo osservò chinare la testa con aria pensosa, la fronte corrugata nella riflessione.


-Certo però che se hai figli la cosa potrebbe non essere priva di rischi, la nostalgia e il rimorso potrebbero compromettere il tuo giudizio e le tue capacità, e non mi sembra il caso di…


La porta della cabina nel chiudersi fece un rumore secco come uno sparo.


Il Dottore si riscosse dal suo trip mentale e si affacciò in tempo per vedere Dean che avanzava a lunghe falcate verso l’ auto, che per essere sua figlia
gli somigliava davvero poco. Forse nella curva della carrozzeria posteriore…


-Tu sei pazzo! Non voglio sapere che razza di creatura sei, solo sta’ lontano da me!


-Dean.



Il tono serio della sua voce costrinse il cacciatore a girarsi una volta di più, fissando lo sguardo nelle iridi dell’altro, trovandole sorprendentemente grandi e vicine.


Forse un po’ troppo vicine.


Oddio.


La bocca del pazzo si poggiò sulla sua, e i denti lasciarono un fottuto morso sul suo labbro inferiore.


Il cervello andò in cortocircuito. Oddio.


Si rese a malapena conto delle braccia che gli stringevano la vita e gli facevano attraversare di nuovo la porticina blu.


Che questa volta ebbe la premura di chiudere con uno schiocco di dita.



NdA: Ok, chi mi segue sa che questo è il secondo crossover whoviano che pubblico oggi.
Sì, sono impazzita. Mi hanno assegnato un Demon Pass per la JIB4. Sto morendo.
No, dai, ce le avevo quasi pronte qui, sole solette e mi dispiaceva lasciarle lì, piccine. Adesso qualcuno proverà ad uccidermi al suono di “Come?! Impieghi mesi a scrivere tre pagine e non pensi al povero John Doe?”. No, ecco, io voglio tanto bene a Johnny, ma nell’attesa che l’ispirazione torni dal so viaggio alle Bahamas meglio portarsi avanti, no?
CIANCIO ALLE BANDE: è un crossover. Un crossover rinforzato perché ci ho infilato anche un pizzichino di Ritorno a Futuro Parte III (la Colt Peacemaker è la pistola che Marty usa durante il ballo e che ha imparato a usare “ai videogiochi") Star Trek (dai, l’Enterprise ci stava!) e gli AC/DC con il santissimo Bon Scott. Oh, e il "Gesù Cristo" è un ovvio riferimento ai Ghostfacers xD
Niente, ci terrei a sapere cosa ne pensate di questa cosina, tengo molto a lei, è la fusione delle mie due serie preferite quindi…fatevi avanti, consigliate, criticate, farete solo il bene di questa poverina che ha la sicurezza di una gelatina di frutta al sole <3

Vi amo,

Lycoris.

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Capitolo 2
*** O Captain, my Captain! ***


O Captain, my Captain!
O Captain, my Captain!



Un rumore raschiante riempì le orecchie di Dean, come aria risucchiata in un tubo.


Strano paragone, davvero.


Non che potesse pretendere più di tanto, le sue poche sinapsi rimaste intatte erano tutte occupate a processare l’idea “oh, un uomo sconosciuto ti ha appena baciato alla francese e tu hai le gambe che sembrano gelatina”.


Era una cosa da raccontare.


Tralasciando il fatto che, ehi, lui era Dean Winchester e non andava in giro a baciare sconosciuti nei weekend, e tantomeno ne parlava.


Ed era di nuovo nella cabina blu. Davvero perfetto. Era stato rapito da un pazzo in una cabina blu che baciava alla francese.


No, non era la cabina che baciava alla francese, era il matto. Che oggettivamente non baciava nemmeno male.


Nel tempo che impiegò a formulare tutti questi pensieri –deliri?- uno scossone fece tremare la cabina, facendo  incontrare il suo coccige con il pavimento.


Oggetti non meglio identificati iniziarono a rotolare per la stanza e Dean fece appena in tempo ad aggrapparsi alla sottile balaustra metallica.


Il Dottore girava intorno alla consolle tirando leve e premendo bottoni colorati, si girò verso di lui e con un sorriso urlò sopra il frastuono:«Scusa la turbolenza!»


Turbolenza, sempre meglio.


Turbolenza.


Stava volando?


Il sangue defluì istantaneamente dalla sua faccia, le ginocchia già instabili lo fecero crollare a terra mentre solo le braccia mantenevano la presa sul metallo, le scapole che  premevano dolorosamente conto il tubo.


L’uomo, sempre che di umano si trattasse,  accorse accanto a lui e si sedette sui talloni.


«Dean? Dean Winchester!»


Lo scrollò violentemente per le spalle, i muscoli erano rigidi come la pietra e le nocche erano sbiancate per la forza con cui le mani erano attaccate alla balaustra.


Gli assestò uno schiaffo a mano aperta su una guancia, al quale Dean rispose istintivamente con un pugno.


«Ma sei fatto?! Ma che cazzo schiaffeggi così la gente?!»


«Chiedo venia, credevo avessi contratto la paralisi uraniana. Non è che tenga particolarmente a vederti trasformato in granito sbriciolato. L’unica soluzione era risvegliare le cellule cerebrali prima che mutassero.»


Un taglio verticale gli attraversava le labbra dove il suo pugno le aveva lacerate.


Doveva far male.


Lui, infastidito dal sangue che gli era colato fino al mento ci passò il dorso della mano che si tinse di rosso.


Saggiò la ferita con la lingua, strizzando gli occhi come un bambino che assaggia un limone.


Forse avrebbe potuto sentirsi perfino un po’ in colpa. Solo un po’.


Bravo Dean. Coltiva la tua Sindrome di Stoccolma. Avanti così che vai bene.


Tanto per appesantirgli la coscienza, la sua voce interiore somigliava in maniera inquietante a quella di suo fratello.


Sammy sarebbe uscito di testa.


Già si immaginava la paternale “ecco cosa succede quando cacciamo separati, quando imparerai a tenerti fuori da affari più grossi di te” e via fino allo sfinimento, e lui avrebbe urlato in risposta che tutta la loro vita era un circolo infinito di impicciarsi in affari più grandi di loro.


Avrebbero tenuto il muso per un po’, e fatto pace con una birra e una fetta di torta, come quando da bambini intrecciavano i mignoli promettendo di non raccontare i misfatti dell’altro a papà.


Doveva tornare da lui, e in fretta anche.


L’altro era ancora seduto davanti a lui, con quella dannata testa di capelli da letto inclinata di lato.


Si tirò in piedi con un grugnito, rifiutando la mano che l’altro gli porgeva.


«Sto bene. Starei anche meglio se sapessi che diavolo sta succedendo.»


«Esci e giudica tu stesso» rispose quello con una faccia da schiaffi da primo premio.


Lo prendeva per il culo? L’aveva appena rapito e ora voleva farlo uscire?


E non dimentichiamo che aveva appena volato.


Era in una cabina volante più grande all’interno.


Si avvicinò cautamente alla porta, attendendo il manifestarsi di una qualche trappola.


Dean Winchester era avventato, non stupido.


Allungò un braccio verso la maniglia d’ottone…



Poi qualcuno bussò alla porta.

Tirò rapidamente indietro il braccio come se il suono l’avesse scottato e si voltò verso l’altro uomo che guardava l’entrata con espressione sorpresa.

« Nessuno sa che sono qui, non è fisicamente e temporalmente possibile che qualcuno in quest’anno sappia chi sono. Non è possibile.»


Due colpi sordi si infransero di nuovo sulla superficie di legno, seguiti dalla voce di un uomo.


«Sono il lupo cattivo, aprimi cappuccetto in trench!»


Il Dottore si lanciò verso la porta, la spalancò e rimase con le braccia spalancate come la grottesca imitazione di un crocifisso.


«Non mi inviti a entrare? Rischio di congelarmi le estremità qui fuori, e mi servono. Se capisci cosa intendo».


L’uomo non abbandonò la sua posa rigida rifiutando di far scorgere a Dean, ancora accasciato sul pavimento, il proprietario di quella voce ancora incorporea.


«Vuoi un abbraccio? Credevo di aver raggiunto la seconda base da un pezzo!»


C’era un ghigno implicito nel suono di quella voce che mandò un brivido giù per la schiena di Dean.


Ma dove cazzo mi sono andato a cacciare?


Il Dottore si spostò dall’uscio volgendo la schiena alla corrente d’aria fredda che ancora entrava dalla porta spalancata passandosi le mani tra i capelli
scuri, con l’espressione di un uomo che ha trovato un orso a sonnecchiare sul parabrezza dell’auto. Dean si lasciò sfuggire un sorriso leggero al paragone quantomeno bizzarro.


L’uomo apparve gradualmente come l’immagine di uno stivale che colpiva il gradino di legno per far cadere a terra la poltiglia attaccata sotto la suola, un ginocchio coperto da un pantalone di taglio classico di stoffa blu navy e le falde di un cappotto del medesimo colore.


Sulla soglia stava un uomo alto, con i capelli scuri. Sembrava uscito da uno di quei film assolutamente angoscianti sulla seconda guerra mondiale, le spalle larghe accentuate dall’imbottitura della giacca e i piedi solidamente ancorati al terreno.


Un sorriso si aprì sul suo volto come un filo di perle che spunti dall’orlo di un vestito, si avvicinò al Dottore con tre rapide falcate.


«Mi sei mancato, Castiel»


 Gli incorniciò il viso con le mani e le sue labbra avvolsero quelle dell’altro in un bacio lento.


Dean diede un colpo di tosse. La situazione aveva dell’incredibile. E “incredibile” non era una parola che usciva spesso dalla sua bocca.


Il tizio si voltò rapidamente e guardò a terra, accorgendosi solo in quel momento del terzo incomodo nella stanza. Navicella. Quel che diavolo era.


«Non mi avevi detto di avere già compagnia. Poco male, mi piace condividere.»


La figura del Dottore si parò di fronte a quella del cacciatore.


«Non è come pensi. È Dean Winchester, il cacciatore. Lui può aiutarci.»


Il viso dell’uomo si aprì in un altro sorriso.


«Piacere Dean Winchester. Sono il Capitano Jack Harkness, al tuo servizio. E la mia era una proposta seria, anche se hai l’aria del tipo possessivo.»


Dean si lasciò sfuggire un sospiro a metà tra lo stanco e il frustrato.


«Ancora non so in cosa devo aiutarvi. Ho capito che vi serve un cacciatore ma sarebbe anche il cazzo di momento giusto per dirmi che cazzo devo
fare, magari.»


 L’espressone del capitano si indurì, la mascella contratta gettava ombre sul suo viso, facendolo sembrare molto più vecchio.


«Esci e giudica tu stesso.»


Il maggiore dei Winchester camminò spedito verso la porta ancora aperta della cabina, deciso a mettere la parola “fine” a tutta quella situazione assurda.


Il freddo e il vento tagliente gli morsero le guance.


Un sole rosso incendiava il cielo, tingendolo di colori che mai in vita sua aveva visto in un tramonto. Le nuvole andavano dal porpora al color ruggine, passando per un giallo acceso e quasi malato che feriva gli occhi.


Il Dottore –o Castiel?- lo affiancò, uno sguardo grave ad intristirgli gli occhi blu che avevano preso riflessi innaturali sotto la luce di quel sole che non dava il minimo calore, che non portava conforto alle membra già intirizzite dal gelo.


«Come mai nevica, se c’è il sole?» chiese Dean con sincero stupore.


L’altro si voltò lentamente verso di lui.


«Questa non è neve, Dean Winchester. È cenere.»





NdA:


Zan zan.

Vi devo delle scuse. Sono quasi tre mesi che non aggiorno assolutamente nulla. E non è “colpa dell’estate”, perché non ho combinato assolutamente un cavolo, se escludiamo le due settimane di borsa di studio che mi hanno dato a Dublino per studiare giornalismo, ma vabbè.
Detta proprio terra terra m’è presa malissimo, sono andata in depressione, delusione generale rispetto alla ma vita miseranda, scarsa fiducia nelle mie capacità di “scrittrice” e via dicendo.
Il mio problema principale, dal quale mi riservo di mettervi in guardia per il futuro, è che io non reputo di saper scrivere. Saper scrivere immagino che preveda una qualche sorta di pianificazione di quel che finirà sul foglio, sia esso elettronico o di cara vecchia cellulosa. Scrivo perché mi piace, scrivo per sbrogliare quel gomitolo di lana mohair che sono le mie idee bislacche riguardo a qualunque cosa mi piaccia.
Che poi a voi piaccia quello che scrivo è un’altra cosa che non smette di stupirmi e sconvolgermi, e per cui non smetterò mai di ringraziarvi. Ognuno di voi per me ha un’importanza che nemmeno immaginate.
Quindi grazie, scusa e ti amo, chiunque tu sia.
Caso mai vi venisse voglia di scrivere qualcosa, una recensione, un consiglio, un ma và a morì ammazzata io sono qui che aspetto fiduciosa.
Un bacio,
Lycoris.

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Capitolo 3
*** The Year Without Summer ***


the year without summer
The year without summer

Dean tese una mano e guardò un batuffolo bianco sporco posarsi sul suo palmo troppo calloso per avvertirne il peso quasi inesistente. Si sbriciolò lasciando un baffo di polvere grigia che il vento disperse.

L’aria che gli entrava nei polmoni faceva male, il freddo penetrava le falde della giacca e tagliava la carne come una lama d’argento. Sentì la pelle ritirarsi, i peli rizzarsi nel tentativo disperato di trattenere il calore che piano piano abbandonava il suo corpo. Il fiato condensava in nuvolette di vapore prima di seguire i fiocchi nel loro viaggio etereo. Una folata gli sferzò il viso e lui si girò per asciugare gli occhi che feriti dal freddo e dalla luce avevano iniziato a lacrimare.


La mano del Dottore si poggiò sulla sua schiena e lo sospinse nuovamente all’interno della cabina blu, dove l’altro uomo gli lanciò un’occhiata di sottecchi. Jack si scostò dalla parete contro la quale aveva poggiato la schiena e leggendo la sua domanda inespressa stirò le labbra in un sorriso stanco ed iniziò a parlare.


«Siamo nell’anno 1816. È il 4 luglio, emisfero boreale. Gli americani dovrebbero festeggiare l’Indipendenza, e invece muoiono di fame.»


Dean guardò interrogativo il Dottore.


«Lo chiamano “l’anno senza estate”. Quella che vedi è cenere vulcanica. Non ha mai smesso di cadere dall’aprile dell’anno scorso, quando il vulcano 
Tambora è esploso portandosi via mezzo arcipelago, in Indonesia. La cenere impedisce al sole di scaldare il pianeta. In capo alla fine dell’anno saranno morte sessantamila persone.»


Fu interrotto dalla risata fredda di Dean.


«Mi avete rapito per impedire ad un vulcano di eruttare? Avete sbagliato uomo, ragazzi. Cercate il vostro supereroe in qualche fumetto Marvel e riportatemi a casa.»


Aveva appena iniziato ad avvicinarsi alla console –era un meccanico, cazzo, un’astro-cosa non poteva essere troppo diversa da una macchina- quando qualcosa lo afferrò per il collo della giacca di pelle e gli diede uno strattone abbastanza forte da fargli perdere l’equilibrio.


Si sentì trascinato e sballottato come un gattino disobbediente afferrato per la collottola da mamma gatta, finché si trovò con la schiena al muro e un alieno molto incazzato a due centimetri scarsi dal naso.


«Non ho vissuto più di un millennio per farmi assoggettare da un bambino, Dean Winchester. Concentra i due neuroni che non hai ancora lasciato sul fondo di un bicchiere o tra le cosce di una puttana per ascoltare. Questa cosa permetterà agli europei di conquistare il west, a Turner e Munch di dipingere i loro tramonti rossi e a Mary Shelley di scrivere Frankenstein. Non può, non deve essere evitata. È un punto fermo nel tempo, influenzerà la storia in maniere che nemmeno puoi immaginare. Non ti ho trascinato qui per fermare l’eruzione, ma per farla accadere.»


Mentre parlava i suoi occhi erano accesi di una luce febbrile, quasi folle.


Quest’uomo ha più di mille anni.


«Non ho ancora capito a cosa ti servo.»


E ti sarei grato se mi schiodassi dalla parete, magari.


«Demoni, Dean Winchester. Direttamente dall’inferno. Hanno trovato il modo di imbrigliare l’energia esplosiva del vulcano e convogliarla da qualche parte. Non si sa dove, non si sa a che scopo. Per questo ho bisogno di te. Ho bisogno di un cacciatore.»


Abbassò lo sguardo e lasciò la presa, facendo scivolare Dean lungo la parete. 


Il cacciatore sciolse le spalle rigide.


«Non va vagamente contro il tuo credo, il massacro di creature soprannaturali? Non che abbia delle remore a freddare qualche mostro, ma sei uno di loro, o sbaglio? Tutto quel tuo sproloquiare sulla violenza e poi mi chiedi di fare una strage? Sei un ipocrita, Cas


«Sono un soldato, o almeno lo ero, e so che in guerra sono necessari dei sacrifici. Forse dovresti smettere di considerare un’aberrazione tutto ciò che è diverso da te. Non siete soli, i demoni sono solo la punta dell’iceberg, e la tua razza dovrà scenderci a patti molto presto.»


Dean si passò una mano sul volto.


«Ricapitolando: i demoni stanno risucchiando l’energia che dovrebbe far esplodere il vulcano con l’aspirapolvere dei Teletubbies, la stessa energia che farà saltare in aria mezza Indonesia e ucciderà sessantamila persone. Tu vuoi che li fermi. Vuoi che impedisca al vulcano di fare il grande botto e che condanni tutta quella gente ad una morte atroce.»


«Moriranno ben più di sessantamila persone. Il tessuto stesso dell’universo si sta disintegrando mentre parliamo. Il futuro può essere piegato, Dean, e ora è duttile come metallo bollente. E non mi piace affatto la piega che sta prendendo.»


Per la prima volta da quando quella conversazione era iniziata il Dottore abbassò gli occhi.


«Non credevo che la situazione fosse così grave, non ho più il controllo sulla tua linea temporale. Non posso riportarti al tuo tempo, Dean. Stai plasmando il tuo destino, e quello dell’intero universo. Un uomo non dovrebbe avere un tale potere, e la colpa è mia che ho deciso di coinvolgerti. Mi dispiace.»


Dean scivolò a sedere per terra, le ginocchia strette al petto come quando da bambino i tuoni scuotevano le finestre della sua casa in Kansas e lui si tirava il lenzuolo sulla testa. Una torcia di plastica rossa gli faceva compagnia mentre l’aria che gli usciva dal naso scaldava lo spazio angusto e soffocante. Gli bastava pensare “è fuori, non mi succede nulla, sono al sicuro come il fratellino nuovo nella pancia della mamma”.


Ora suo fratello non esisteva più. Cancellato dal tempo come un disegno fatto col gesso in un giorno di pioggia.


Respirò pesantemente, le tempie che pulsavano forte contro le ginocchia strette, non riusciva nemmeno a piangere.


Non doveva piangere, sarebbe riuscito a sistemare tutto, come aveva fatto nel resto della sua vita incasinata. Avrebbe raccolto i resti di ciò che altri avevano rotto, si sarebbe tagliato con i cocci, ma che importava? 


Era il suo lavoro, farsi carico dei casini altrui.


Si tirò su dopo quella che gli sembrò un eternità, o forse un secondo,  e tirò un ultimo respiro profondo. 


Si girò verso il Dottore e Jack, si stampò un sorriso in faccia.


«Andiamo a prendere a calci qualche culo demoniaco.»


Jack sorrise, smagliante come la pubblicità di un dentifricio. Castiel sorrise a sua volta, con un’ombra negli occhi che gli strinse la gola e gli ricordò quanto fosse piccolo, e giovane, e ingenuo a credere di poter nascondere qualcosa a un essere sotto i cui occhi erano sfilate centinaia di generazioni.


Il Dottore si avvicinò ai comandi di quello che scoprì chiamarsi T.A.R.D.I.S. (ormai aveva smesso di farsi domande). Toccava le leve con il rispetto di un figlio per la madre anziana, di un padre per una figlia e con  la sensualità di un amante.


La cabina diede uno scossone che mandò Dean a sbattere contro i suoi compagni di viaggio e il suo cuore a bussare ai timpani.


Non si sarebbe mai abituato.


Non che avesse intenzione di abituarsi.


Atterrarono con lo stesso suono cavernoso e Dean uscì quasi di corsa, ansioso di sentire la terra sotto i piedi e sordo agli avvertimenti degli altri.


Una ventata d’aria appiccicosa gli investì il corpo, unita ad un odore come di uova marce che aveva imparato a conoscere con la stessa familiarità di quello del suo shampoo.


Il terreno brullo e scuro crocchiava sotto le suole delle sue scarpe, le minuscole bolle d’aria intrappolate nella roccia che cedevano sotto il suo peso e trasformavano la pietra in polvere.


Da un’apertura poco lontana usciva un pennacchio di fumo scuro.


Si girò versò i due che avevano appena varcato la soglia della cabina, Castiel guardava con astio le mani di Jack che caricavano una pistola sottile di metallo lucido.


«Zolfo e fumo. Devono quasi sentirsi a casa.» osservò con palpabile sarcasmo.


Il Dottore li guidò lungo un passaggio contorto e molto relativamente sicuro fino a una parete di basalto liscia come n foglio di carta e alta come un palazzo. Tirò fuori il coso che ronza –“cacciavite sonico” gli sussurrò Jack con un sorriso di condiscendenza che non gli piacque affatto- e lo puntò contro la parete che contro ogni previsione iniziò a scorrere liberando una pioggia di detriti e accogliendoli con un soffio d’aria rovente e una zaffata mefitica.


Il budello di roccia si avvolgeva in tornanti infiniti e tanto stretti che i gomiti di Dean si graffiarono in più punti. Il trench di Castiel si impigliava continuamente nelle sporgenze che costellavano le pareti, ed era ormai completamente lacerato ai bordi quando si decise a toglierlo ripiegandolo con riguardo su un avambraccio. Sembrava quasi nudo, più fragile con solo la camicia bianca a coprirgli le spalle solide e la schiena, l’unica cosa che Dean riusciva a scorgere nella luce fioca. Quando anche quel lieve chiarore proveniente dall’esterno comparve il Dottore iniziò ad avanzare tastando le pareti e con una mano afferrò inaspettatamente la mano di Dean, che inspirò seccamente al contatto estraneo. 


Il silenzio era opprimente, il calore aumentava ad ogni passo e il suono dei loro respiri, il fiato caldo di Jack che avanzava subito dietro di lui, contribuivano a stringere i polmoni di Dean in una stretta claustrofobica.


Una luce tremolante apparve alla fine del tunnel, passando dalle dimensione di una stella lontana a quella di un faro il cui calore si faceva ad ogni passo più soffocante, inzuppando di sudore i vestiti ed i capelli dei tre.


Varcarono la soglia di una caverna alta come una cattedrale, con il pavimento attraversato da crepe larghe come un braccio e attraversata da quella che sembrava a tutti gli effetti lava incandescente. Il puzzo di zolfo era quasi insostenibile.


Castiel si voltò con un sorriso sardonico che mal si sposava con il suo viso.


«Benvenuti all’Inferno.» 



NdA: Sì, ho anche il coraggio di scrivere la NdA.  Mi scuso, al solito, per i miei tempi da lumaca preistorica con l’artrite, ma la povera testolina che partorisce questa fic è fonte per la sottoscritta di incredibili fastidi quando si tratta di uscire da Neverland e affrontare la Vita Vera.
Bene, li ho cacciati in un vulcano in attività. Come ho accennato all’inizio della fic quando mi annoio vado veramente a leggere il Portale Catastrofi di Wikipedia. Ci tengo a precisare che le informazioni qui riportate sono accurate nei limiti delle mie conoscenze di geologia, meteorologia e storia, supportate da quasi due anni di ricerche e spulcia menti vari dentro e fuori internet. Per quanto riguarda i riferimenti alla pittura di Turner e Munch mi sono basata sulla ricerca della storica Carnen Gonzalos de Andrès, che non viene universalmente riconosciuta ma che nel mio piccolo ritengo possibile e affascinante da morire. 
In caso foste interessati vi rimando a qualche pagina che mi è stata utile nei miei vaneggiamenti da fan di eventi storici oscuri e misconosciuti.
http://en.wikipedia.org/wiki/Year_Without_a_Summer
http://it.wikipedia.org/wiki/Anno_senza_estate
http://it.wikipedia.org/wiki/Minimo_di_Dalton
http://www.brogi.info/2010/04/il-vulcano-tambora-e-turner.html

Ringrazio tutti coloro che leggono/preferiscono/seguono/ricordano, e tutti coloro che mi hanno fatto l’enorme regalo di recensire. Scrivetemi quando e cosa volete, significate tantissimo per me <3
Un bacio,
Lycoris

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