Eighteen hundred and froze to death di Lycoris (/viewuser.php?uid=92433)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Blue Eyes and Blue Boxes ***
Capitolo 2: *** O Captain, my Captain! ***
Capitolo 3: *** The Year Without Summer ***
Capitolo 1 *** Blue Eyes and Blue Boxes ***
Eighteen hundred and froze to death
Titolo: Eighteen hundred and froze to death
Fandom: Supernatural/Doctor Who.
Pairing: Time Lord!Castiel/Companion!Dean.
Rating: Pg. Varierà? Non varierà? Chissà!
Beta: Nessuno.
Genere: Crossover.
Warning: AU, Crossover, Slash, OOC.
Summary: In
cui Dean viene travolto da un pazzo con gli occhi blu in una cabina blu
che vola –dannazione, vola!- e trascinato nel 1816, l’anno
senza estate. [CROSSOVER Supernatural/Doctor Who]
Note: Sono
recidiva, e si prospetta un’altra long. No, aspetta, metti
giù quel pomodoro marc… *splat*. Perché dovete
sapere che quando non ho un cavolino di Bruxelles da fare vado a
leggermi il Portale Catastrofi di Wikipedia.
DISCLAIMER: Non possiedo tutta questa bella gente, no, purtroppo no.
Blue Eyes and Blue Boxes
Dean Winchester non era un uomo ordinario.
Nessun uomo, donna, minerale o conifera avrebbe definito normale
qualcuno che nel bagagliaio della macchina tiene fucili a doppia canna
caricati a sale invece degli ombrelli, e va a cercare di propria
volontà tutto quell’insieme di cose -aberrazioni della
mente, incubi infantili- che vivono nel buio, e nel buio dovrebbero
restare.
Dean Winchester non aveva una vita ordinaria, ma quando una cabina
della polizia –esistevano cabine della polizia?!- atterrò
sfumacchiando come un petardo in piena notte e giusto in mezzo alla
stradina di campagna che stava percorrendo lo sfiorò il dubbio
di non aver ancora visto tutto.
Sterzò bruscamente a destra mandando fuoristrada l’Impala,
si sfregò gli occhi come un bambino assonnato e pensò che
forse –forse, eh- era il caso di smetterla con la birra a stomaco
vuoto alle tre di notte, soprattutto se era la sua bambina a subirne le conseguenze. Eccheccazzo, ci sarà stato un perché per cui si diceva di non bere in gravidanza, no?
Scese arrancando tra le zolle di terra e i ciuffi d’erba e
constatò che c’era effettivamente una cabina blu elettrico
parcheggiata con precisione millimetrica in mezzo al sentiero sterrato.
Una cabina. Volante. Blu. Che casualmente gli era piombata tra capo e collo e si era parcheggiata in mezzo alla sua fottutissima stradina.
Agguantò una pistola dal cruscotto e si avvicinò cauto al
coso, guardando il fumo diradarsi lentamente. Si accostò a
quella che supponeva essere la porta e poggiò un orecchio sul
legno. E immaginava che avrebbe sentito molte cose interessanti, se
solo la porta non si fosse spalancata assestandogli un colpo poderoso
alla mascella e spedendolo a terra, con allegato un tizio accartocciato
in un trench beige che gli rovinò addosso producendo un suono
molto poco rassicurante da qualche parte intorno alle sue costole.
Il tizio si tirò su come un pupazzo a molla spazzolando con i
palmi delle mani l’impermeabile, per poi girarsi su se stesso e
mettersi ad abbracciare e sussurrare con aria molto seria una serie di
scuse alla cabina.
E Dean non ci vide più. Afferrò il tipo per una spalla e
lo girò in modo da guardarlo in faccia, puntandogli la
Peacemaker sotto il mento.
Si trovò davanti un uomo sulla trentina, dall’aspetto per
nulla pericoloso, vestito come un esattore delle tasse uscito da una
centrifuga, con degli assurdi occhi dello stesso blu della sua cabina
–occhi antichi, fu il suo primo pensiero- e che, invece di
preoccuparsi della pistola che gli minacciava la gola, inclinò
la testa arruffata come un gatto perplesso.
Poi il suo viso si illuminò di consapevolezza e si aprì
in un sorriso, lo scostò in tutta tranquillità e gli si
avvicinò tanto che i loro nasi si toccavano, fissandolo con
quegli occhi allucinanti come se avesse pagine e pagine scritte nel
verde dell’iride.
Dean si immobilizzò e trattenne il respiro, chiedendosi
freneticamente se, quando Dio aveva distribuito il concetto di spazio
personale ai suoi figli, il tipo fosse chiuso in bagno. Non di certo a pettinarsi, gli venne spontaneo pensare quando i suoi capelli corvini gli sfiorarono le tempie.
Venne riscosso dalle sue elucubrazioni da una voce roca e profonda che
gli sembrava assurdo sentire uscire dalla bocca dell’uomo che gli
stava di fronte, ma ancora più assurdo fu quello che
sentì pronunciare da quella stessa voce.
-Dean Winchester, tu sei l’uomo che fa per me!
Dopo di che, con una forza sorprendente, il matto gli strinse un polso
e lo tirò dentro la cabina blu, lasciandolo travolto e basito
subito davanti la porta chiusa.
Dean fece per protestare indignato quando si accorse che –dettaglio assolutamente trascurabile- non era in una cabina. A meno che le cabine non fossero più grandi all’interno.
-Gesù Cristo!
-No, sono il Dottore. Piacere di conoscerti, Dean Winchester.
Dean si voltò di scatto, trovando il tipo appoggiato
tranquillamente con i fianchi e le braccia tese all’indietro a
quella che sembrava la console di un sommergibile russo, con qualcosa
che ricordava l’Enterprise e un accenno della cucina disastrata
di Bobby.
Una colonna di vetro si alzava dal centro della serie di pannelli
disposti in circolo fino al soffitto che si stringeva come una pagoda
indiana, le pareti disseminate di porte erano di un colore indefinibile
tra l’arancio e il ruggine, e una serie di ticchettii inquietanti
venivano da sotto il pavimento coperto di grate.
Dean giurò e spergiurò che non avrebbe più toccato
una goccia d’alcol. Se questi erano gli effetti, la cosa gli era
decisamente sfuggita di mano.
Si pizzicò un braccio.
AHIA.
Dean Winchester, benvenuto nel tuo mondo.
Alzò nuovamente la pistola all’altezza degli occhi
puntandola contro l’uomo, il cui sguardo si incupì come il
cielo estivo prima di un temporale.
Tirò fuori dalla tasca un diosolosapevacosa –una bacchetta
magica? Non si sarebbe stupito troppo- e la puntò a sua volta
contro la sua Peacemaker.
Si sentì un buffo ronzio, una luce blu uscì dal
trabiccolo e improvvisamente il calcio della pistola si fece
incandescente tra le mani del cacciatore, che la lasciò cadere
con un grido.
-Niente violenza, grazie. Sono allergico.
Per la seconda volta in meno di dieci minuti, Dean perse il santo dono della calma.
-Chi cazzo dovresti essere, hm? John Lennon in trench? Chi diavolo sei?
Cosa vuoi da me? Dove cazzo sono? E soprattutto, ti rendi conto di
quello che stavi per fare alla mia bambina?
Il pazzo inclinò la testa –ossanto Bon Scott, di nuovo- e lo guardò seriamente preoccupato.
-Hai figli?
-Sì. NO! La mia auto.
-Non ricordavo che avessero già inventato gli ibridi, chiedo perdono…come ti ho già detto, sono il Dottore.
-Il Dottore CHI?!
-Dottore e basta. Ho un lavoro per te.
Dean, ancora sotto shock, lo osservò chinare la testa con aria pensosa, la fronte corrugata nella riflessione.
-Certo però che se hai figli la cosa potrebbe non essere priva
di rischi, la nostalgia e il rimorso potrebbero compromettere il tuo
giudizio e le tue capacità, e non mi sembra il caso di…
La porta della cabina nel chiudersi fece un rumore secco come uno sparo.
Il Dottore si riscosse dal suo trip mentale e si affacciò in
tempo per vedere Dean che avanzava a lunghe falcate verso l’
auto, che per essere sua figlia
gli somigliava davvero poco. Forse nella curva della carrozzeria posteriore…
-Tu sei pazzo! Non voglio sapere che razza di creatura sei, solo sta’ lontano da me!
-Dean.
Il tono serio della sua voce costrinse il cacciatore a girarsi una
volta di più, fissando lo sguardo nelle iridi dell’altro,
trovandole sorprendentemente grandi e vicine.
Forse un po’ troppo vicine.
Oddio.
La bocca del pazzo si poggiò sulla sua, e i denti lasciarono un fottuto morso sul suo labbro inferiore.
Il cervello andò in cortocircuito. Oddio.
Si rese a malapena conto delle braccia che gli stringevano la vita e gli facevano attraversare di nuovo la porticina blu.
Che questa volta ebbe la premura di chiudere con uno schiocco di dita.
NdA: Ok, chi mi segue sa che questo è il secondo crossover whoviano che pubblico oggi.
Sì, sono impazzita. Mi hanno assegnato un Demon Pass per la JIB4. Sto morendo.
No, dai, ce le avevo quasi pronte
qui, sole solette e mi dispiaceva lasciarle lì, piccine. Adesso
qualcuno proverà ad uccidermi al suono di “Come?! Impieghi
mesi a scrivere tre pagine e non pensi al povero John Doe?”. No,
ecco, io voglio tanto bene a Johnny, ma nell’attesa che
l’ispirazione torni dal so viaggio alle Bahamas meglio portarsi
avanti, no?
CIANCIO ALLE BANDE: è un
crossover. Un crossover rinforzato perché ci ho infilato anche
un pizzichino di Ritorno a Futuro Parte III (la Colt Peacemaker
è la pistola che Marty usa durante il ballo e che ha imparato a
usare “ai videogiochi") Star Trek (dai, l’Enterprise ci
stava!) e gli AC/DC con il santissimo Bon Scott. Oh, e il "Gesù
Cristo" è un ovvio riferimento ai Ghostfacers xD
Niente, ci terrei a sapere cosa ne
pensate di questa cosina, tengo molto a lei, è la fusione delle
mie due serie preferite quindi…fatevi avanti, consigliate,
criticate, farete solo il bene di questa poverina che ha la sicurezza
di una gelatina di frutta al sole <3
Vi amo,
Lycoris.
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Capitolo 2 *** O Captain, my Captain! ***
O Captain, my Captain!
O Captain, my Captain!
Un rumore raschiante riempì le orecchie di Dean, come aria risucchiata in un tubo.
Strano paragone, davvero.
Non che potesse pretendere più di tanto, le sue poche sinapsi
rimaste intatte erano tutte occupate a processare l’idea
“oh, un uomo sconosciuto ti ha appena baciato alla francese e tu
hai le gambe che sembrano gelatina”.
Era una cosa da raccontare.
Tralasciando il fatto che, ehi, lui era Dean Winchester e non andava in
giro a baciare sconosciuti nei weekend, e tantomeno ne parlava.
Ed era di nuovo nella cabina blu. Davvero perfetto. Era stato rapito da un pazzo in una cabina blu che baciava alla francese.
No, non era la cabina che baciava alla francese, era il matto. Che oggettivamente non baciava nemmeno male.
Nel tempo che impiegò a formulare tutti questi pensieri
–deliri?- uno scossone fece tremare la cabina, facendo
incontrare il suo coccige con il pavimento.
Oggetti non meglio identificati iniziarono a rotolare per la stanza e
Dean fece appena in tempo ad aggrapparsi alla sottile balaustra
metallica.
Il Dottore girava intorno alla consolle tirando leve e premendo bottoni
colorati, si girò verso di lui e con un sorriso urlò
sopra il frastuono:«Scusa la turbolenza!»
Turbolenza, sempre meglio.
Turbolenza.
Stava volando?
Il sangue defluì istantaneamente dalla sua faccia, le ginocchia
già instabili lo fecero crollare a terra mentre solo le braccia
mantenevano la presa sul metallo, le scapole che premevano
dolorosamente conto il tubo.
L’uomo, sempre che di umano si trattasse, accorse accanto a lui e si sedette sui talloni.
«Dean? Dean Winchester!»
Lo scrollò violentemente per le spalle, i muscoli erano rigidi
come la pietra e le nocche erano sbiancate per la forza con cui le mani
erano attaccate alla balaustra.
Gli assestò uno schiaffo a mano aperta su una guancia, al quale Dean rispose istintivamente con un pugno.
«Ma sei fatto?! Ma che cazzo schiaffeggi così la gente?!»
«Chiedo venia, credevo avessi contratto la paralisi uraniana. Non
è che tenga particolarmente a vederti trasformato in granito
sbriciolato. L’unica soluzione era risvegliare le cellule
cerebrali prima che mutassero.»
Un taglio verticale gli attraversava le labbra dove il suo pugno le aveva lacerate.
Doveva far male.
Lui, infastidito dal sangue che gli era colato fino al mento ci passò il dorso della mano che si tinse di rosso.
Saggiò la ferita con la lingua, strizzando gli occhi come un bambino che assaggia un limone.
Forse avrebbe potuto sentirsi perfino un po’ in colpa. Solo un po’.
Bravo Dean. Coltiva la tua Sindrome di Stoccolma. Avanti così che vai bene.
Tanto per appesantirgli la coscienza, la sua voce interiore somigliava in maniera inquietante a quella di suo fratello.
Sammy sarebbe uscito di testa.
Già si immaginava la paternale “ecco cosa succede quando
cacciamo separati, quando imparerai a tenerti fuori da affari
più grossi di te” e via fino allo sfinimento, e lui
avrebbe urlato in risposta che tutta la loro vita era un circolo
infinito di impicciarsi in affari più grandi di loro.
Avrebbero tenuto il muso per un po’, e fatto pace con una birra e
una fetta di torta, come quando da bambini intrecciavano i mignoli
promettendo di non raccontare i misfatti dell’altro a papà.
Doveva tornare da lui, e in fretta anche.
L’altro era ancora seduto davanti a lui, con quella dannata testa di capelli da letto inclinata di lato.
Si tirò in piedi con un grugnito, rifiutando la mano che l’altro gli porgeva.
«Sto bene. Starei anche meglio se sapessi che diavolo sta succedendo.»
«Esci e giudica tu stesso» rispose quello con una faccia da schiaffi da primo premio.
Lo prendeva per il culo? L’aveva appena rapito e ora voleva farlo uscire?
E non dimentichiamo che aveva appena volato.
Era in una cabina volante più grande all’interno.
Si avvicinò cautamente alla porta, attendendo il manifestarsi di una qualche trappola.
Dean Winchester era avventato, non stupido.
Allungò un braccio verso la maniglia d’ottone…
Poi qualcuno bussò alla porta.
Tirò rapidamente indietro il
braccio come se il suono l’avesse scottato e si voltò
verso l’altro uomo che guardava l’entrata con espressione
sorpresa.
« Nessuno sa che sono qui, non è fisicamente e
temporalmente possibile che qualcuno in quest’anno sappia chi
sono. Non è possibile.»
Due colpi sordi si infransero di nuovo sulla superficie di legno, seguiti dalla voce di un uomo.
«Sono il lupo cattivo, aprimi cappuccetto in trench!»
Il Dottore si lanciò verso la porta, la spalancò e rimase
con le braccia spalancate come la grottesca imitazione di un crocifisso.
«Non mi inviti a entrare? Rischio di congelarmi le
estremità qui fuori, e mi servono. Se capisci cosa
intendo».
L’uomo non abbandonò la sua posa rigida rifiutando di far
scorgere a Dean, ancora accasciato sul pavimento, il proprietario di
quella voce ancora incorporea.
«Vuoi un abbraccio? Credevo di aver raggiunto la seconda base da un pezzo!»
C’era un ghigno implicito nel suono di quella voce che mandò un brivido giù per la schiena di Dean.
Ma dove cazzo mi sono andato a cacciare?
Il Dottore si spostò dall’uscio volgendo la schiena alla
corrente d’aria fredda che ancora entrava dalla porta spalancata
passandosi le mani tra i capelli
scuri, con l’espressione di un uomo che ha trovato un orso a
sonnecchiare sul parabrezza dell’auto. Dean si lasciò
sfuggire un sorriso leggero al paragone quantomeno bizzarro.
L’uomo apparve gradualmente come l’immagine di uno stivale
che colpiva il gradino di legno per far cadere a terra la poltiglia
attaccata sotto la suola, un ginocchio coperto da un pantalone di
taglio classico di stoffa blu navy e le falde di un cappotto del
medesimo colore.
Sulla soglia stava un uomo alto, con i capelli scuri. Sembrava uscito
da uno di quei film assolutamente angoscianti sulla seconda guerra
mondiale, le spalle larghe accentuate dall’imbottitura della
giacca e i piedi solidamente ancorati al terreno.
Un sorriso si aprì sul suo volto come un filo di perle che
spunti dall’orlo di un vestito, si avvicinò al Dottore con
tre rapide falcate.
«Mi sei mancato, Castiel»
Gli incorniciò il viso con le mani e le sue labbra avvolsero quelle dell’altro in un bacio lento.
Dean diede un colpo di tosse. La situazione aveva
dell’incredibile. E “incredibile” non era una parola
che usciva spesso dalla sua bocca.
Il tizio si voltò rapidamente e guardò a terra,
accorgendosi solo in quel momento del terzo incomodo nella stanza.
Navicella. Quel che diavolo era.
«Non mi avevi detto di avere già compagnia. Poco male, mi piace condividere.»
La figura del Dottore si parò di fronte a quella del cacciatore.
«Non è come pensi. È Dean Winchester, il cacciatore. Lui può aiutarci.»
Il viso dell’uomo si aprì in un altro sorriso.
«Piacere Dean Winchester. Sono il Capitano Jack Harkness, al tuo
servizio. E la mia era una proposta seria, anche se hai l’aria
del tipo possessivo.»
Dean si lasciò sfuggire un sospiro a metà tra lo stanco e il frustrato.
«Ancora non so in cosa devo aiutarvi. Ho capito che vi serve un
cacciatore ma sarebbe anche il cazzo di momento giusto per dirmi che
cazzo devo
fare, magari.»
L’espressone del capitano si indurì, la mascella
contratta gettava ombre sul suo viso, facendolo sembrare molto
più vecchio.
«Esci e giudica tu stesso.»
Il maggiore dei Winchester camminò spedito verso la porta ancora
aperta della cabina, deciso a mettere la parola “fine” a
tutta quella situazione assurda.
Il freddo e il vento tagliente gli morsero le guance.
Un sole rosso incendiava il cielo, tingendolo di colori che mai in vita
sua aveva visto in un tramonto. Le nuvole andavano dal porpora al color
ruggine, passando per un giallo acceso e quasi malato che feriva gli
occhi.
Il Dottore –o Castiel?- lo affiancò, uno sguardo grave ad
intristirgli gli occhi blu che avevano preso riflessi innaturali sotto
la luce di quel sole che non dava il minimo calore, che non portava
conforto alle membra già intirizzite dal gelo.
«Come mai nevica, se c’è il sole?» chiese Dean con sincero stupore.
L’altro si voltò lentamente verso di lui.
«Questa non è neve, Dean Winchester. È cenere.»
NdA:
Zan zan.
Vi devo delle scuse. Sono quasi tre
mesi che non aggiorno assolutamente nulla. E non è “colpa
dell’estate”, perché non ho combinato assolutamente
un cavolo, se escludiamo le due settimane di borsa di studio che mi
hanno dato a Dublino per studiare giornalismo, ma vabbè.
Detta proprio terra terra
m’è presa malissimo, sono andata in depressione, delusione
generale rispetto alla ma vita miseranda, scarsa fiducia nelle mie
capacità di “scrittrice” e via dicendo.
Il mio problema principale, dal
quale mi riservo di mettervi in guardia per il futuro, è che io
non reputo di saper scrivere. Saper scrivere immagino che preveda una
qualche sorta di pianificazione di quel che finirà sul foglio,
sia esso elettronico o di cara vecchia cellulosa. Scrivo perché
mi piace, scrivo per sbrogliare quel gomitolo di lana mohair che sono
le mie idee bislacche riguardo a qualunque cosa mi piaccia.
Che poi a voi piaccia quello che
scrivo è un’altra cosa che non smette di stupirmi e
sconvolgermi, e per cui non smetterò mai di ringraziarvi. Ognuno
di voi per me ha un’importanza che nemmeno immaginate.
Quindi grazie, scusa e ti amo, chiunque tu sia.
Caso mai vi venisse voglia di
scrivere qualcosa, una recensione, un consiglio, un ma và a
morì ammazzata io sono qui che aspetto fiduciosa.
Un bacio,
Lycoris.
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Capitolo 3 *** The Year Without Summer ***
the year without summer
The year without summer
Dean tese una mano e guardò
un batuffolo bianco sporco posarsi sul suo palmo troppo calloso per
avvertirne il peso quasi inesistente. Si sbriciolò lasciando un
baffo di polvere grigia che il vento disperse.
L’aria che gli entrava nei polmoni faceva male, il freddo
penetrava le falde della giacca e tagliava la carne come una lama
d’argento. Sentì la pelle ritirarsi, i peli rizzarsi nel
tentativo disperato di trattenere il calore che piano piano abbandonava
il suo corpo. Il fiato condensava in nuvolette di vapore prima di
seguire i fiocchi nel loro viaggio etereo. Una folata gli sferzò
il viso e lui si girò per asciugare gli occhi che feriti dal
freddo e dalla luce avevano iniziato a lacrimare.
La mano del Dottore si poggiò sulla sua schiena e lo sospinse
nuovamente all’interno della cabina blu, dove l’altro uomo
gli lanciò un’occhiata di sottecchi. Jack si scostò
dalla parete contro la quale aveva poggiato la schiena e leggendo la
sua domanda inespressa stirò le labbra in un sorriso stanco ed
iniziò a parlare.
«Siamo nell’anno 1816. È il 4 luglio, emisfero
boreale. Gli americani dovrebbero festeggiare l’Indipendenza, e
invece muoiono di fame.»
Dean guardò interrogativo il Dottore.
«Lo chiamano “l’anno senza estate”. Quella che
vedi è cenere vulcanica. Non ha mai smesso di cadere
dall’aprile dell’anno scorso, quando il vulcano
Tambora è esploso portandosi via mezzo arcipelago, in Indonesia.
La cenere impedisce al sole di scaldare il pianeta. In capo alla fine
dell’anno saranno morte sessantamila persone.»
Fu interrotto dalla risata fredda di Dean.
«Mi avete rapito per impedire ad un vulcano di eruttare? Avete
sbagliato uomo, ragazzi. Cercate il vostro supereroe in qualche fumetto
Marvel e riportatemi a casa.»
Aveva appena iniziato ad avvicinarsi alla console –era un
meccanico, cazzo, un’astro-cosa non poteva essere troppo diversa
da una macchina- quando qualcosa lo afferrò per il collo della
giacca di pelle e gli diede uno strattone abbastanza forte da fargli
perdere l’equilibrio.
Si sentì trascinato e sballottato come un gattino disobbediente
afferrato per la collottola da mamma gatta, finché si
trovò con la schiena al muro e un alieno molto incazzato a due
centimetri scarsi dal naso.
«Non ho vissuto più di un millennio per farmi assoggettare
da un bambino, Dean Winchester. Concentra i due neuroni che non hai
ancora lasciato sul fondo di un bicchiere o tra le cosce di una puttana
per ascoltare. Questa cosa permetterà agli europei di
conquistare il west, a Turner e Munch di dipingere i loro tramonti
rossi e a Mary Shelley di scrivere Frankenstein. Non può, non
deve essere evitata. È un punto fermo nel tempo,
influenzerà la storia in maniere che nemmeno puoi immaginare.
Non ti ho trascinato qui per fermare l’eruzione, ma per farla
accadere.»
Mentre parlava i suoi occhi erano accesi di una luce febbrile, quasi folle.
Quest’uomo ha più di mille anni.
«Non ho ancora capito a cosa ti servo.»
E ti sarei grato se mi schiodassi dalla parete, magari.
«Demoni, Dean Winchester. Direttamente dall’inferno. Hanno
trovato il modo di imbrigliare l’energia esplosiva del vulcano e
convogliarla da qualche parte. Non si sa dove, non si sa a che scopo.
Per questo ho bisogno di te. Ho bisogno di un cacciatore.»
Abbassò lo sguardo e lasciò la presa, facendo scivolare Dean lungo la parete.
Il cacciatore sciolse le spalle rigide.
«Non va vagamente contro il tuo credo, il massacro di creature
soprannaturali? Non che abbia delle remore a freddare qualche mostro,
ma sei uno di loro, o sbaglio? Tutto quel tuo sproloquiare sulla
violenza e poi mi chiedi di fare una strage? Sei un ipocrita, Cas.»
«Sono un soldato, o almeno lo ero, e so che in guerra sono
necessari dei sacrifici. Forse dovresti smettere di considerare
un’aberrazione tutto ciò che è diverso da te. Non
siete soli, i demoni sono solo la punta dell’iceberg, e la tua
razza dovrà scenderci a patti molto presto.»
Dean si passò una mano sul volto.
«Ricapitolando: i demoni stanno risucchiando l’energia che
dovrebbe far esplodere il vulcano con l’aspirapolvere dei
Teletubbies, la stessa energia che farà saltare in aria mezza
Indonesia e ucciderà sessantamila persone. Tu vuoi che li fermi.
Vuoi che impedisca al vulcano di fare il grande botto e che condanni
tutta quella gente ad una morte atroce.»
«Moriranno ben più di sessantamila persone. Il tessuto
stesso dell’universo si sta disintegrando mentre parliamo. Il
futuro può essere piegato, Dean, e ora è duttile come
metallo bollente. E non mi piace affatto la piega che sta
prendendo.»
Per la prima volta da quando quella conversazione era iniziata il Dottore abbassò gli occhi.
«Non credevo che la situazione fosse così grave, non ho
più il controllo sulla tua linea temporale. Non posso riportarti
al tuo tempo, Dean. Stai plasmando il tuo destino, e quello
dell’intero universo. Un uomo non dovrebbe avere un tale potere,
e la colpa è mia che ho deciso di coinvolgerti. Mi
dispiace.»
Dean scivolò a sedere per terra, le ginocchia strette al petto
come quando da bambino i tuoni scuotevano le finestre della sua casa in
Kansas e lui si tirava il lenzuolo sulla testa. Una torcia di plastica
rossa gli faceva compagnia mentre l’aria che gli usciva dal naso
scaldava lo spazio angusto e soffocante. Gli bastava pensare
“è fuori, non mi succede nulla, sono al sicuro come il
fratellino nuovo nella pancia della mamma”.
Ora suo fratello non esisteva più. Cancellato dal tempo come un disegno fatto col gesso in un giorno di pioggia.
Respirò pesantemente, le tempie che pulsavano forte contro le ginocchia strette, non riusciva nemmeno a piangere.
Non doveva piangere, sarebbe riuscito a sistemare tutto, come aveva
fatto nel resto della sua vita incasinata. Avrebbe raccolto i resti di
ciò che altri avevano rotto, si sarebbe tagliato con i cocci, ma
che importava?
Era il suo lavoro, farsi carico dei casini altrui.
Si tirò su dopo quella che gli sembrò un eternità,
o forse un secondo, e tirò un ultimo respiro profondo.
Si girò verso il Dottore e Jack, si stampò un sorriso in faccia.
«Andiamo a prendere a calci qualche culo demoniaco.»
Jack sorrise, smagliante come la pubblicità di un dentifricio.
Castiel sorrise a sua volta, con un’ombra negli occhi che gli
strinse la gola e gli ricordò quanto fosse piccolo, e giovane, e
ingenuo a credere di poter nascondere qualcosa a un essere sotto i cui
occhi erano sfilate centinaia di generazioni.
Il Dottore si avvicinò ai comandi di quello che scoprì
chiamarsi T.A.R.D.I.S. (ormai aveva smesso di farsi domande). Toccava
le leve con il rispetto di un figlio per la madre anziana, di un padre
per una figlia e con la sensualità di un amante.
La cabina diede uno scossone che mandò Dean a sbattere contro i
suoi compagni di viaggio e il suo cuore a bussare ai timpani.
Non si sarebbe mai abituato.
Non che avesse intenzione di abituarsi.
Atterrarono con lo stesso suono cavernoso e Dean uscì quasi di
corsa, ansioso di sentire la terra sotto i piedi e sordo agli
avvertimenti degli altri.
Una ventata d’aria appiccicosa gli investì il corpo, unita
ad un odore come di uova marce che aveva imparato a conoscere con la
stessa familiarità di quello del suo shampoo.
Il terreno brullo e scuro crocchiava sotto le suole delle sue scarpe,
le minuscole bolle d’aria intrappolate nella roccia che cedevano
sotto il suo peso e trasformavano la pietra in polvere.
Da un’apertura poco lontana usciva un pennacchio di fumo scuro.
Si girò versò i due che avevano appena varcato la soglia
della cabina, Castiel guardava con astio le mani di Jack che caricavano
una pistola sottile di metallo lucido.
«Zolfo e fumo. Devono quasi sentirsi a casa.» osservò con palpabile sarcasmo.
Il Dottore li guidò lungo un passaggio contorto e molto
relativamente sicuro fino a una parete di basalto liscia come n foglio
di carta e alta come un palazzo. Tirò fuori il coso che ronza
–“cacciavite sonico” gli sussurrò Jack con un
sorriso di condiscendenza che non gli piacque affatto- e lo
puntò contro la parete che contro ogni previsione iniziò
a scorrere liberando una pioggia di detriti e accogliendoli con un
soffio d’aria rovente e una zaffata mefitica.
Il budello di roccia si avvolgeva in tornanti infiniti e tanto stretti
che i gomiti di Dean si graffiarono in più punti. Il trench di
Castiel si impigliava continuamente nelle sporgenze che costellavano le
pareti, ed era ormai completamente lacerato ai bordi quando si decise a
toglierlo ripiegandolo con riguardo su un avambraccio. Sembrava quasi
nudo, più fragile con solo la camicia bianca a coprirgli le
spalle solide e la schiena, l’unica cosa che Dean riusciva a
scorgere nella luce fioca. Quando anche quel lieve chiarore proveniente
dall’esterno comparve il Dottore iniziò ad avanzare
tastando le pareti e con una mano afferrò inaspettatamente la
mano di Dean, che inspirò seccamente al contatto estraneo.
Il silenzio era opprimente, il calore aumentava ad ogni passo e il
suono dei loro respiri, il fiato caldo di Jack che avanzava subito
dietro di lui, contribuivano a stringere i polmoni di Dean in una
stretta claustrofobica.
Una luce tremolante apparve alla fine del tunnel, passando dalle
dimensione di una stella lontana a quella di un faro il cui calore si
faceva ad ogni passo più soffocante, inzuppando di sudore i
vestiti ed i capelli dei tre.
Varcarono la soglia di una caverna alta come una cattedrale, con il
pavimento attraversato da crepe larghe come un braccio e attraversata
da quella che sembrava a tutti gli effetti lava incandescente. Il puzzo
di zolfo era quasi insostenibile.
Castiel si voltò con un sorriso sardonico che mal si sposava con il suo viso.
«Benvenuti all’Inferno.»
NdA:
Sì, ho anche il coraggio di scrivere la NdA. Mi scuso, al
solito, per i miei tempi da lumaca preistorica con l’artrite, ma
la povera testolina che partorisce questa fic è fonte per la
sottoscritta di incredibili fastidi quando si tratta di uscire da
Neverland e affrontare la Vita Vera.
Bene, li ho cacciati in un vulcano
in attività. Come ho accennato all’inizio della fic quando
mi annoio vado veramente a leggere il Portale Catastrofi di Wikipedia.
Ci tengo a precisare che le informazioni qui riportate sono accurate
nei limiti delle mie conoscenze di geologia, meteorologia e storia,
supportate da quasi due anni di ricerche e spulcia menti vari dentro e
fuori internet. Per quanto riguarda i riferimenti alla pittura di
Turner e Munch mi sono basata sulla ricerca della storica Carnen
Gonzalos de Andrès, che non viene universalmente riconosciuta ma
che nel mio piccolo ritengo possibile e affascinante da morire.
In caso foste interessati vi
rimando a qualche pagina che mi è stata utile nei miei
vaneggiamenti da fan di eventi storici oscuri e misconosciuti.
http://en.wikipedia.org/wiki/Year_Without_a_Summer
http://it.wikipedia.org/wiki/Anno_senza_estate
http://it.wikipedia.org/wiki/Minimo_di_Dalton
http://www.brogi.info/2010/04/il-vulcano-tambora-e-turner.html
Ringrazio tutti coloro che
leggono/preferiscono/seguono/ricordano, e tutti coloro che mi hanno
fatto l’enorme regalo di recensire. Scrivetemi quando e cosa
volete, significate tantissimo per me <3
Un bacio,
Lycoris
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