Heaven or hell

di Rakyr il Solitario
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo: memorie di un menestrello errante ***
Capitolo 2: *** 1: Inferno ***
Capitolo 3: *** 2: Paradiso ***
Capitolo 4: *** 3: La Porta ***
Capitolo 5: *** 4: Parola d'onore ***
Capitolo 6: *** 5: Esilio ***
Capitolo 7: *** 6: Straniero ***
Capitolo 8: *** 7: Dovere ed ambizione ***



Capitolo 1
*** prologo: memorie di un menestrello errante ***


Prologo: Memorie di un menestrello errante

Un giovane ragazzo s'avvicinò ad una tenda color del fuoco, una tenda piccola, ma bella, appena al di fuori dalle mura della cittadella fortificata, ormai vuotate dalle sentinelle, che un tempo fiutavano il lontano spettro della guerra annidato negli altri popoli.
Era leggermente scostata da quelle impervie mura, come ad appropriarsi della protezione della roccia, ostentando comunque la sua indipendenza e la sua unicità, pochi entravano in quell'abitazione improvvisata,che reggeva anche le tempeste e le alluvioni.
I pochi che la visitarono, ne uscirono sempre più radiosi di prima, raccontando storie mai udite, di imprese e di eroi, e dicendo che quella era la enda di uno stregone, esperto della vita e della morte e dell'arte del canto.
Ne parlavano come di un saggio, anche se avevano ammesso di non averlo mai visto in viso, questa era la scommessa del giovane, voleva riuscire ad ammirare il suo volto, riuscendo dove altri avevano fallito
-Entra pure, giovane visitatore-
Non aveva fatto rumore nell'avvicinarsi e la sua ombra era proiettata nella direzione opposta alla tenda, le cui pareti erano troppo spesse perchè si potesse scorgere qualcosa attraverso di esse.
-Non essere titubante, io ti vedo anche se la tua ombra scompare lontano e i drappi mi coprono gli occhi-
Aveva capito quello che pensava, oppure lo sapeva e basta? Provò un'incredibile voglia di correre indietro, dai suoi amici, e amettere la sua codardia.
Tuttavia il suo orgoglio era così forte che gli fece stringere i pugni e lo costrinse a scostare la tenda, facendo un passo nella penombra all'interno.
-Ti aspettavo, mio giovane amico- una figura incappucciata immersa nell'ombra della capanna aveva parlato, illuminata soltanto da poche candele, le cui luci danzavano su di lui, creando fantasmi infernali o visioni paradisiache e giocando con i lembi del nero mantello e con le fattezze del suo volto.
-Accomodati, e sii il benvenuto in questa mia umilissima dimora solitaria- con voce pacata gli parlò, stendendo un braccio ed indicando con un dito robusto ed affusolato un seggio ornato da stoffe rosse.
-Avete detto di aspettarmi, signore...come facevate a sapere del mio arrivo?-
-Io vedo-
-Avete una sfera di cristallo, uno specchio...- la voce del ragazzo venne interrotta dalla contenuta risata di chi lo ospitava.
-Non capisci molto bene ciò che ti si dice, ragazzo...se vuoi potrei dirti il tuo passato guardandoti negli occhi!- così esclamò, intimorendo l'ospite, che si alzò avviandosi verso l'entrata, l'uomo fece un gesto vago con una mano, che sembrava dire "fa' pure", ma irrigidendo la mano alla fine, per poi lasciarla tornare su un libro che giaceva aperto sul suo grembo, il ragazzo avrebbe potuto dire di aver visto il candore dei denti del mago per un istante, come se avesse sorriso poi le dispettose fiammelle illuminarono nuovamente il cappuccio nero con decorazioni dorate ed argentee.
Un tuono turbò quella calma, il giovane spaventato guardò fuori, scostando i drappi. Il cielo lampeggiava furioso, illuminando le nere nuvole con esplosioni irose e funeste, mentre l'acqua flagellava la terra, copiosa, senza fermarsi nè concedere una breve tregua, improvvisamente un fulmine discese dal cielo, colpendo e carbonizzando una porzione di terreno vicina alla tenda. L'odore di azoto lo persuase che quello non era un sogno.
-Sembra tu non possa andartene ora, dunque siediti ed ascolta una storia che ho sentito in uno dei miei viaggi-
-Chi mi dice che non siete stato voi a provocare tutto questo?-
-Nessuno...ma non penso che tu possa fare qualcosa in merito anche se così fosse- gli sembrò di vedere un'altra volta il biancore dei denti di lui.
Acora una volta il ragazzo strinse i pugni, frustrato-Ma chi diavolo siete voi?-
-Un ramingo bardo che per uno scherzo del fato si è messo a studiare l'arcano.- sorrise accondiscente, guardando con i suoi occhi, nascosti nell'ombra, quelli del giovane, di un colore smeraldino venato di castano ed oro -Vedo nei tuoi occhi fiamme e cielo...-
-Che dite? Le uniche fiamme che ho mai visto sono quelle del camino ardente-
-Proprio come pensavo...- sussurrò -E che mi dici del fuoco che brucia la tua anima, lo spirito guerriero indomabile che ti spinge nelle sfide e nelle battaglie?-
L'ospite sgranò gli occhi, facendo un passo indietro -Ma voi..voi come...?-
-Sembra tu sia un po' duro d'orecchi, ho già detto che io vedo...-
-Voi siete...-
-Chiamatemi stregone, mago, impostore, fattucchiere, alchimista...chiamami come vuoi, la mia persona non muterà di certo davanti a quelle vuote parole, come la tua non cambia davanti ai tuoi numerosi epiteti...demone ti chiamano, nevvero? Solitario, pazzo...-
-Tacete!-
-E se non volessi?-
L'altro digrignò i denti, rendendosi conto della sua impotenza, detestava quella sensazione -Possiate essere dannato...-
-Chissà, magari lo sono di già- rise e si tolse il cappuccio, lisciandosi i lunghi capelli d'ebano, serici e sottili, nascondendo in quell'ordinato groviglio il proprio volto ed i suoi occhi -Ora siediti ed ascolta questa storia mentre aspetti che la tempesta si calmi-
Il giovane fremette d'ira, ma poi si acquietò, sopraffatto da quell'odiosa impotenza e si sedette nuovamente sul seggio coperto da drappi mentre lo stregone sfogliava l'antico libro ingiallito con le sue esperte dita, fermandosi, proseguendo, rincorrendo lettere e parole con il dito e percorrendo frasi con l'indice.
Infine si fermò, si schiarì la voce e cominciò a leggere con voce saggia e profonda -Questa storia dimenticata da tempo narra di un demone e di un angelo e di come si conobbero e si allearono.- si fermò a scrutare l'espressione del giovane...interessamento misto a stupore, come aveva immaginato.
-L'inferno, una landa desolata di lava e pietre arse dal fuoco eterno, il regno dei demoni....-

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Capitolo 2
*** 1: Inferno ***


1: Inferno

L'inferno, una landa desolata di lava e pietre arse dal fuoco eterno, il regno dei demoni, creature malvagie dalle varie forme, mutevoli come la terra da loro abitata, dove cunicoli creati a causa delle frequenti eruzioni si alternano a deserti ardenti e mortali, nel mezzo dei quali spuntano vulcani attivi e alte colonne di pietra vulcanica, che si allungano all'infinito per sostenere la volta colma di stalattiti appuntite come lance e più grandi di un uomo, a causa delle quali più di una volta un abitante di questa terra inospitale è morto, senza lasciare di sè abbastanza tracce per capire se si trattasse di incidente o di omicidio.
In fondo un omicidio così discreto e perfetto non poteva che essere premiato lì all'inferno.
Nessuno laggiù aveva la coscienza troppo pulita e l'assassinio efferato non era certo un tabù, la giustizia e la punizione era per chi non agiva con silenziosa abilià e letale precisione, di solito agendo in mezzo alla gente anzichè con la copertura della solitudine. Se il soggetto era forte si doveva persino sprecare una daga da piantargli nel collo o nella schiena.
In fondo i vulcani abbondavano e nessuo sarebbe mai più andato a cercarli in quel mondo dove l'amore e la compassione erano i veri tabù.
Poche città interrompevano il desolato paesaggio, ammassi di case e palazzi più o meno grandi, vie, stradine, negozi dai mercanti disonesti, ogni angolo di luce ne lasciava tre di ombra, dove più di una volta demoni poderosi sono svaniti senza lasciare traccia...non che qualcuno si fosse neppure sforzato di cercarne.
Spesso una morte significava un contendente in meno, quindi era accettata a braccia aperte.
Le case di pietra lavica erano squallide, senza finestre se non pochi buchi non più grandi di una mano e con porte possenti, impenetrabili, palazzi dalle forme inutili si allungavano come torri o stalagmiti, alcune rare erano modellate come un castello, anche se era un lusso e un capriccio che solo i mercanti più anziani e disonesti o le gilde più antiche, grandi e corrotte potevano permettersi.
Lì, in quelle spoglie città delle tenebre c'erano un numero elevatissimo di gilde di ogni natura, che, su compenso ovviamente, ed il più sostanzioso possibile, si occupavano di ogni genere di lavoro, lecito o meno.
Si partiva dalle scorte a demoni deboli o interplanari, creature di natura non specificata che viaggiavano per i piani degli elementi e dell'esistenza, alle richieste di omicidio, dal rapimento alla rapina. Gli scrupoli non esistono quando si gioca con la vita...le gilde più povere infatti erano costrette a mendicare e boseggiare, non che queste attività fruttassero molto, anzi, erano molto dispendiose e rischiose, ma era tutto ciò che avevano, oltre a missioni di infimo rango mal pagate.
Il pesce grande mangia il pesce piccolo si dice, no? Mai una frase del genere poteva esprimere meglio la vita dell'inferno. Quando una gilda povera riusciva ad ingrandirsi veniva sterminata da quelle più grandi per evitare contrasti futuri, magari prendendo sotto la propria ala i più promettenti dei membri, i più ambiziosi, che talvolta uccidevano il capo gilda, usurpandone il posto, e continuando il procedimento all'infinito. I più scaltri invece rimanevano delle seconde o nelle terze file, usando comunque i superiori come marionette e non curandosi degli stravolgimenti, questi demoni erano calcolatori e subdoli, senza pietà, ed uccidevano, con la dovuta discrezione s'intende, chi li ostacolava.
Pochi di queste creature morirono in battaglia, poichè a maggior pate di loro erano arcimaghi o stregoni dagli immensi poteri, che rimanevano comunque dietro ai cavalieri ed ai fanti, poco propensi a lasciare la pelle in un combattimento. Preferivano la fuga alla lotta e gli unici di loro che sono morti sono stati preceduti da tutta la loro gilda, oppure con un pugnale nella schiena in un vicoletto oscuro.
Razza previdente quella degli abitanti degli inferi.
Raramente si stringevano amicizie, a patto che il termine fosse conosciuto, tra i demoni, di solito erano solo alleanze di convenienza, che si scioglievano una volta diventate inutili per l'uno e per l'altro. In queste alleanze oltretutto si cercava di mantenere i propri segreti, evitando di dare informazioni preziose a quello che da un momento all'altro sarebbe potuto diventare un nemico, anche se certe volte si facevano trapelare informazioni false, in modo da deviare le ricerche.
Il segreto più grande di ogni demone era soprattutto il nome, che era tenuto in gran segreto e mai divulgato. Chiunque conoscesse il nome di un demone poteva controllarlo, per questo si usavano frequentemente soprannomi o nomi inventati.
Alcuni di queste creature avevano addirittura dimenticato il loro vero nome, ed è proprio intorno ad uno di questi, che tutti chiamavano Il Solitario, che si svolgono tutti gli eventi che si vanno a narrare...
Quel giorno era una comune giornata, gli era stata affidata una missione di sterminio, un lavoretto semplice, si trattava solo di massacrare un gruppo di demoni planari del fuoco, niente d'impegnativo o di impossibile per lui e per il suo compagno.
I due demoni si avviarono per la distesa cinerea, aggirando sapientemente fenditure e piccoli vulcani attivi.
Quello era il loro terreno, lo conoscevano come le loro tasche...
-Scaltro, stai attento- il primo, una creatura alta e possente, si voltò verso il secondo, più minuto, che giocherellava incurante con una daga lunga come il suo avambraccio, lanciandola e riprendendola al volo, prima dal manico, poi dal piatto della lama -Cerca di non far finire la tua daga in uno di questi anfratti, l'ultima volta sono dovuto andare a recuperarla-
-Scusami, Solitario, ma io non ho delle ali, a differenza di te- lo guardò sarcastico, mettendo però via l'arma, alla quale era affezionato perchè più di una volta gli aveva salvato la pelle grazie ai poteri magici che giacevano in essa, aspettando solo qualcuno abbastanza potente per usufruirne.
Il primo essere era un demone di origine draconica, come testimoniavano le ampie ali membranose, le scaglie spesse ed impenetrabili che ricoprivano la parte esterna di gambe e braccia e degli speroni ossei che sembravano elaborati e utili spallacci adorni di artigli e spine sulle spalle, dal capo spuntavano due corna ritorte, che terminavano dietro alla nuca, coperta da una selvaggia chioma d'ebano, che, assieme alla carnagione abbronzata faceva risaltare molto gli occhi verdi, intensi e profondi, ma gelidi come il suo cuore, il petto era coperto da una pesante corazza completa d'acciaio, intessuta con ogni sorta d'incantesimi protettivi, le gambe erano coperte da laceri calzoni, rinforzati all'interno e tenuti in vita da una cintura con molte piccole tasche dove riporre pergamene e pozioni di ogni natura.
Il secondo era più basso, anche se non molto, forse dieci centimetri scarsi in meno, e più magro, anche se non molto più esile, la sua razza era molto comune, demoni di origine semiumana, gli era quasi impossibile provocare rumori e si muoveva con agilità, forse apparteneva anche in parte alla razza degli aracnidi, poichè la sua pelle era molto scura e riusciva senza problemi ad arrampicarsi per muri e soffitti, addirittura camminandovi senza tener conto della gravità, era equipaggiato leggermente, un'armatura di cuoio borchiato che emanava leggeri bagliori, probabilmente potenziata con la magia, una cintura simile a quella del suo compagno, pantaloni ordinati e rinforzati con acciaio ed adamantite su ginocchia e cosce, i capelli erano di un castano scuro, come anche i suoi occhi.
Prese in mano i guanti che aveva riposto in una tasca e se li mise -Ehi, compagno, perchè non ti decidi a mettertene un paio anche tu, sai, potrebbero migliorare le tue abilità-
Il demone, sarcastico, mostrò le mani squamate che terminavano con artigli, anche se questi non erano abbastanza ingombranti da impedirgli di impugnare una spada -Lo sai da quando eravamo bambini che io non posso...- lo fissò e vide che rideva -Ti piace girare il coltello nella ferita, eh?-
-Dai, era solo per scherzare...-
-L'ultima volta che qualcuno l'ha fatto s'è ritrovato senza testa...- l'altro si rifece serio, mentre il primo pensava di ucciderlo davvero
-In questo modo però dovremo interrompere la nostra proficua alleanza...o per meglio chiamarla...come si diceva...ah si, amicizia-
Amicizia, già, una delle poche vere amicizie in quel regno di odio e profitto spietato, fin da bambini si erano aiutati a vicenda, nessuno dei due era stato mai estremamente ambizioso, cosa insolita per due demoni, sebbene giovani, e questa scarsa cupidigia non era cresciuta con gli anni e non impediva a loro di spartirsi il bottino delle missioni.
Siccome non erano stolti avevano capito che sopravvivere in due era molto più semplice e la loro modestia aveva semplificato le cose.
Però questo trattamento era solo tra loro, raramente uscivano in missione con altri compagni, ed ancora più raramente rientravano dalla missione con quei compagni vivi.
Erano morti valorosamente in battaglia, sempre la solita scusa, e nessuno sapeva quante volte quella scusa fosse veritiera nè per quanti di quei combattenti.
Ormai in duecento anni avevano raccimolato un bottino più che abbondante, e stavano seriamente pensando di mettersi in proprio.
Erano ancora immersi nei ricordi quando vennero cirondati dal loro bersaglio, un gruppo di planari del fuoco, erano circa una decina, non dubitarono nemmeno un istante che fosse semplicemente un'avanguardia -Un misero riscaldamento, non credi Solitario?- disse il più minuto, estraendo l'arco lungo composito permeato da un'aura azzurrina ed estrasse dallo zaino una faretra con alcune frecce coperte da un'energia gelida forte, mentre l'altro sfoderava le due spade lunghe, a doppio taglio e di fattura pregiatissima, che teneva legate ai fianchi, ambedue che crepitavano per la magia, un riflesso intenso e carminio sul piatto, che si intersecava, formando arabeschi dalle forme mutevoli ed imprevedibili.
Pronunciò sotto voce poche parole arcane e cantilenanti, in tono austero e passò l'indice ed il medio sul filo delle lame, che iniziarono a lasciare un alone di freddo, facendo formare piccole schegge di ghiaccio sul lucente metallo -Morditi la lingua una buona volta, Scaltro...- disse mettendosi schiena contro schiena con il suo amico.
I loro movimenti furono estremamente coordinati, l'arciere attaccava quei demoni che si tenevano fuori portata o che minacciavano le spalle dello spadaccino, sembravano legati da un legame impalpabile, facevano mosse sincronizzate e rapide, quasi sovrannaturali, e tutto il combattimento parve una danza spietata ed aggraziata.
L'ultimo planare morì pochi minuti dopo il primo.
I due compagni, per nulla stanchi, si rimisero in assetto di battaglia, pronti ad un altro eventuale assalto da parte da quelle creature fatte di magma e pietra lavica.
L'attesa fu lunga, ma il silenzio pervadeva la piana, interrotto solo dal crepitare delle fenditure incandescenti e dagli scoppi e dalle eruzioni dei vulcani, infine ebbero la certezza che quegli esseri non volevano un confronto diretto e che avevano quel minimo di cervello necessario per evitarlo.
Dovevano stanarli in qualche maniera, il migliore dei metodi era fingere di dar loro le spalle, facendo credere a quelle creature che non avevano percepito la loro presenza, si guardarono negli occhi e fecer un cenno col capo. Simultaneamente misero via le armi, anche se più che altro le nascosero sotto ai mantelli scuri per essere pronti a tornare attivi e pronti alla battaglia in un tempo relativamente breve.
Tuttavia sarebbe stato sufficiente a rendere nullo il loro vantaggio.
I demoni planari tuttavia non capirono l'inganno e si precipitarono fuori dal loro nascondiglio, venendo subito trafitti dalle rapide frecce dello Scaltro, che ne incoccava tre alla volta, senza che nessuna di esse mancasse un punto vitale di quelle creature infernali.
Quelli più vicini cercarono di colpirlo per fermarlo ed ucciderlo, ma le lame saettanti del Solitario li colpirono, spietate e letali, mozzando loro arti o fendendo il loro petto di fiamme e roccia lavica, facendo sì che cadessero divisi a metà, era quasi l'opera di un preciso macellaio.
Non c'era scampo per loro, e lo sapevano nonostante cercassero con mosse azzardate e disperate di colpirli, ottenendo sol una morte veloce e gelida.
Lo Stolto ghignava, il Solitario aveva un crudele luccichìo negli occhi.
Alle loro spalle uno di quegli esseri provò ad attingere dalle sue limitate capacità magiche dettate dalla sua natura di planare pronunciando un incantesimo che avrebbe generato e scagliato una palla di fuoco delle dimensioni di un uomo una volta compiuto.
Una lama gli si conficcò nel petto prima che riuscisse ad arrivare a metà formula e gli troncò le parole in gola.
Quando cadde a terra era già morto.
-Grazie amico...ti sei ricordato che solo tu sei immune al fuoco, eh?- rise lo Scaltro continuando ad attingere dalle varie faretre legate al suo corpo
-Taci e combatti una buona volta- l'altro non gli stava nemmeno prestando attenzione agli sproloqui dell'amico e continuava ad abbattere gli avverari con l'unica spada che gli era rimasta in mano, aiutandosi con gli artigli dell'altra mano, ora anch'essi ora permeati di gelo pungente, che avevano quasi la stessa affidabilità dell'arma.
-Sono tanti però forse potremmo persuadere il nostro datore che qualche moneta in più non guasterebbe- il demone venne totalmente ignorato -Uff...non c'è divertimento a parlare con te, sei sempre preso dalla battaglia...- la sua espressione era quella di un bambino a cui veniva somministrato un piatto che non gradiva, però non disse null'altro e continuò a combattere, questa volta riponendo l'arco ed estraendo la daga.
-Strano, hai smesso prima del solito...a che pensi?- chiese rilassato il Solitario uccidendo con una rotazione su se stesso i demoni che l'avevano circondato
-Hai mai pensato che il Diavolo ci possa voler morti?- chiese mentre saltava calciando la testa di una creatura davanti a lui e conficcado il pugnale nel petto di un'altra dietro di lui
-Non abbiamo mai fatto nulla per irritarlo- disse il primo decapitando due avversari in una volta e stringendo con la sinistra la testa di un altro finchè il cranio non s'infranse per la crescente pressione, ritrasse la mano artigliata pulendola su un cadavere mentre trapassava un essere con la spada che teneva nella mano destra -Al contrario gli siamo utili, ci sporchiamo noi le mani, non lui...-
-Non hai mai pensato che potremmo essergli scomodi?- una raffica di pugnali abbatté un folto gruppo di planari -In fondo tu hai le carte per rubargli il posto...-
Il Solitario grugnì continuando a mietere vittime tra le fila nemiche senza scomporsi -Morditi la lingua e completa il lavoro...ricordati che qi anche i muri hanno orecchie ed anche le rocce hanno bocca- in verità il pensiero di diventare Diavolo l'aveva sfiorato più volte...non nutriva poi tanto rispetto per quel dittatore che stava rendendol'inferno invivibile per tutte le gilde, tranne per la sua, di cui ora facevano parte.
Il Diavolo era il re degli inferi, e come tale dettava le regole di quell'inospitale terra di fuoco e pietra...era una carica ambita, anche se rischiosa.
Più una schiena è esposta più viene voglia di pugnalarla...
Tuttavia questo tiranno non perdonava ed il suo pugno di ferro nel governare, oltre che la sua forza indiscutibile, avevano disilluso molti arcidemoni sulle possibilità di governare sulle lande desolate, anche se rima che arrivassero a questa consapevolezza le rocce si erano bagnate infinite volte di sangue. Troppe volte.
Un grande essere di fiamme con quattro braccia cadde all'improvviso dalla volta di pietra, schiacciando parte dei suoi compagni con la sua non indifferente mole.
-Lo lascio a te- disse il ladro voltando la schiena al compagno, che lo acchiappò per il colletto con rapidità -Tu stai qua, altrimenti...- fece eloqentemente schioccare le dita acuminate -...chiaro?-
-Cristallino...- disse l'altro sorridendo istericamente, intimorito dalla minaccia del draconiano.
Il demone non stette ad aspettarli e con un pugno frantumò il terreno sotto di loro, il Solitario si umettò le labbra -Scaltro, prepara le pergamene del sigillo demoniaco...questo dovrebbe essere un pezzo raro...- un altro pugno fece tremare il terreno, sempre più vicino.
Il guerriero spiegò le ali e si librò sopra alla testa del demone, sfidandolo a raggiungerlo, l'altro sollevò un masso grande quanto un uomo e lo lanciò, mancando di poco il moro, che iniziò a recitare le parole di un incantesimo che avrebbe raffreddato i bollenti spiriti del colosso di lava e roccia.
Dalle mani partì un raggio fatto dell'essenza stessa del gelo, che raffreddò, rendendo pietra, i legamenti di magma fuso dell'essere, che così immobilizzato non riuscì a schivare i seguente fendente, che gli aprì uno squarcio nel petto -Scatro, ora!- l'altro teneva in mano una pergamena arrotolata e fermata da un sigillo in cera rossa, che inserì violentemente nella ferita, senza perderne la presa -Anima dannata, abitante infernale, trova la tua dimora in questa pergamena finchè il tuo padrone non si riterrà soddisfatto!- strappò il sigillo -Sigillo demoniaco dell'anima e dell'essenza!- il colosso si deformò, converendo nella pergamena, chiusa prontamente dal ladro con un legaccio di cuoio -Fatto- disse rimettendo il foglio arrotolato nella borsa da cintura.
-Torniamo, qui abbiamo finito...- disse pensieroso il Solitario contemplando quello che rimaneva dei planari, per poi recuperare la spada persa in duello e lasciare quel logo di morte e desolazione.

Grazie a Romance per la generosa recensione...spero che qualcun'altro possa apprezzare questa mia umile storia

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Capitolo 3
*** 2: Paradiso ***


2: Paradiso

Eterni prati verdeggianti bagnati dal sole e da tenui ruscelli si estendevano a perdita d'occhio tra le soffici masse delle nuvole perenni
Terre graziate dalla luce e dal calore del sole, dove non c’era traccia d’oscurità, solo puro candore e smeraldino splendore, con un cielo così celeste da risultare surreale, sorgenti di cristallo allietavano l’aria spazzata da gentili brezze fresche con la loro gorgogliante voce timida quando formavano piccole cascatelle.
Cascate più grandi vi erano e lasciavano che il vento trasportasse il loro possente ruggito mentre cadevano dai confini del mondo incantato, di quell’eden eterno, vivo e reale, ma leggendario ed etereo come i pensieri di un bardo.
Fiori di ogni specie ed alberi di ogni genere rendevano l’atmosfera pregna di un delicato, piacevole profumo, fine ma quasi palpabile.
Esseri dalla pelle vellutata ed immacolata camminano silenti, ali splendide rifulgenti di luce propria ne ornavano la schiena.
Esseri semidivini, dai poteri grandi e benigni che abitavano in case spaziose ed aperte.
Una società invidiabile e pulita, piena di ricchezza e di prosperità.
Così sarebbe parso a chiunque, vedendo i visi sorridenti di quegli angeli.
Tuttavia era un sorriso freddo, un sorriso che avevano sempre perché nessuno aveva mai insegnato loro come essere tristi, un sorriso enigmatico, pieno di controsensi.
Anche qui esisteva la corruzione…angeli cadevano nella brama di potere ed aiutavano i demoni, barattando informazioni per ricchezze e manufatti, per poi venire esiliati all’inferno come esili contenitori o, peggio, esiliati nel mondo di mezzo, il regno degli uomini, privati delle ali e di gran parte dei loro poteri.
Eppure in mezzo a quella bellezza tagliente come una lama glaciale esisteva un fuoco limpido, puro.
Una giovane donna si sarebbe detta, non troppo alta né troppo bassa, capelli biondo scuro le scendevano lungo il bianco vestito mentre gli occhi azzurro-verdi scrutavano tutto intorno vivacemente.
Si alzava in punta di piedi a tratti a staccare dai floridi rami succosi frutti dall’aspetto appetitoso, studiando la forma delle belle foglie e annusando l’essenza dei fiori e della linfa verde del legno.
-Sempre attiva come sempre, sembra la stanchezza non esista per te…- rise mentre salutava la figura di uomo che la scrutava da un ramo dell’albero sotto al quale stava passando.
Egli saltò giù ed insieme si avviarono verso una piccola casetta dalle pareti cerulee come il cielo sul cui si stagliava.
-Com’è andata la giornata ai Confini?- la ragazza parlava all’uomo, seduto su una comoda poltrona bianca, accanto alla quale aveva posato l’arco che prima portava a tracolla
-La situazione è stabile…sembra che il periodo di pace sia destinato a durare-
Sapevano ambedue che quella era una menzogna, una menzogna ripetuta così spesso da farla sembrare verità, una farsa che ormai iniziava ad incrinarsi, mostrando i tetri contorni della guerra.
Difficile non notare i volti contratti dei serafini che si allenavano furiosamente.
Difficile ignorare il costante trambusto di fabbri e maghi che creavano ed intessevano armi di ogni incantesimo sacro da loro conosciuto o dei novizi chierici e guaritori che venivano sbatacchiati di qua e di là perché imparassero i fondamenti della loro disciplina.
Difficile credere che l’estrema quiete dei confini non nascondesse un’ombra maligna pronta a scaraventare nel caos l’Eden.
Difficile non sentire i bisbigli frettolosi e preoccupati che correvano di bocca in bocca, come una sentenza di morte.
Impossibile non capire che la maschera di calma e pace degli angeli si stava rapidamente infrangendo in schegge che perforavano loro il cuore e dilaniavano l’anima.
-Ne sono contenta- un sorriso mesto, che non si riflesse negli occhi.
Un sorriso che sapeva d’inganno.
-E tu invece, che si dice in giro?- un altro inganno, un altro falso sorriso.
Lei sbuffò, abbassando il capo –Lo sai che cosa si dice, lo sappiamo tutti, ma nessuno vuole dirlo apertamente!- i capelli le coprivano il volto, tuttavia il ritmico movimento delle spalle rese chiaro che stesse piangendo –Sarà guerra agli Inferi, vero…?- la voce era singhiozzante.
Lui le sollevò il viso, abbracciandola, mentre lei nascondeva il viso nelle pieghe della sua vivace veste –Perché?- singhiozzò ancora.
-Perché sono malvagi, perché bramano il potere…- automatica, come da istruzione.
-E se…se non tutti fossero malvagi? Se qualcuno avesse un…cuore?- tremante il respiro, come i suoi pensieri.
Lui la guardò stupito –Ti rendi conto di cosa hai appena detto?-
-Si- determinazione, sicurezza.
La guardò, nel viso non c’era pentimento, non c’era vergogna –Forse è per questo che ti amo- dicendo così la baciò dolcemente, mentre lei ricambiava il gesto.
Tuttavia era un bacio triste, un bacio di chi sapeva che quella sarebbe l’ultima volta che avrebbe toccato le labbra dell’amata.
Tutto quel trambusto nascondeva solo paura, paura di non essere pronti a respingere l’armata nemica, paura di morire, paura della mano nera che silenziosamente strisciava verso il loro regno di cristallino splendore.
Uno splendore fragile come vetro soffiato…
Un rumore di nocche contro la porta –Sirane, stanno chiamando per l’adunata…-
L’angelo prese l’arco da terra e la faretra, stringendo al petto un ciondolo consacrato ed un tomo magico di piccole dimensioni e dalla copertina abbastanza consunta.
-Promettimi che tornerai- la voce della donna, dietro di lui, seria.
Lui si voltò, abbracciandola nuovamente, per poi avviarsi verso la porta –Sopravvivi…ti prego…-
L’arciere si fermò, scuotendo la testa, per poi uscire all’aperto e chiudere la porta dietro di sé.
La ragazza pianse tutte le sue lacrime, lacrime di disperazione per quella promessa impossibile, lacrime di dolore per il Paradiso stesso, che stava avviandosi verso la distruzione, lacrime amare e salate.
Ancora qualcuno bussò alla porta.
Lei si ricompose, asciugandosi il pianto dagli occhi chiari e cercando di indossare la maschera più sorridente che aveva.
Ancora una farsa…
-Lenie, l’ordine dei guaritori ti ha convocato- una voce, dal tono malinconico.
-Aspetta solo un momento, mi sciacquo il viso-
L’acqua fredda le tonificò il viso, cancellando le tracce del pianto sulle sue guance e rendendo i suoi occhi un po’ meno rossi e gonfi.
-Manon, eccomi- aprì timidamente la porta all’amica.
La persona al di fuori della porta era semisdraiata sul muretto antico davanti, con la schiena appoggiata ad uno dei due pilastri della volta che un tempo apparteneva ad un palazzo e le candide ali spiegate.
-Eccoti finalmente…- disse mettendosi in piedi e sbattendo un paio di volte le ali per sgranchirle
-Scusami…- arrossì, imbarazzata
-Macché, macchè- la donna la guardò dolcemente ed insieme veleggiarono nel vento verso l’imponente costruzione d’oro ed argento della basilica celeste, che tra le sue molteplici mansioni, come quella di preghiera e di luogo dove festeggiare diverse ricorrenze, aveva quella di ospitare concili e riunioni importanti.
Le due cherubine ripiegarono le quattro ali dietro alla schiena per entrare dal portone decorato e stupendo dell’edificio.
L’interno non era meno splendido, panche di legni chiari e pregiati erano poste in file ordinate, ed ogni tanto su alcune di esse era possibile scorgere alcuni angeli assorti nella recitazione di preghiere.
Le vetrate ed il rosone proiettavano fasci di luce colorata sul pavimento di marmo chiaro e sull’altare dorato, dietro al quale troneggiava una grossa croce di legno antico ed un affresco absidale.
Rimasero un istante inginocchiate a rimirare quelle fini lavorazioni, quelle vivaci luci, finché una luce, più viva e tangibile, si fece strada fino a loro –Seguitemi- nessun angelo si voltò a quella parola detta solo nella mente delle due donne.
Lentamente si diressero in una sala dell’ala destra dell’edificio, al centro della quale spiccava un robusto tavolo molto lungo attorno al quale erano disposti diversi seggi.
Seduti vi erano angeli anziani dalla lunga barba il cui candore era di tanto in tanto intervallato da qualche pelo grigio.
-Signorina Lenie, cherubino curatore di prima classe…- esordì una voce, per poi continuare –Signorina Manon, cherubino di supporto di prima classe-
Un uomo si alzò dal fondo dell’aula, tendendo la mano come ad invitarle a mettersi comode.
-Perché ci avete chiamato qui?- esordì irruenta Manon, sfiorando la cicatrice brunastra che gli partiva dalla guancia destra per arrivare fino alla base del collo –Forse per il sospetto silenzio dell’Abisso?-
-Signorina Manon, le chiediamo di portar pazienza e di usare un minimo di controllo- una voce pacata rispose.
Lei sbuffò e si mise pesantemente a sedere.
Inizialmente parlarono dei movimenti interni, della situazione ai Confini e della fragilità della calma cittadina, poi passarono alle richieste…
-Il consiglio voleva gentilmente chiedervi di prendere la sovrintendenza nell’addestramento dei novizi- non era una domanda, era un obbligo, e lo sapevano tutti.
Lenie fece un piccolo inchino e si volse verso la porta, ma venne fermata dalla mano dell’amica –E a che scopo dovremmo fare da maestre agli adepti noi, non avete abbastanza insegnanti?- la voce di Manon era adirata
-Gli scopi di quest’allenamento non vi riguardano…-
-Oh…credo fermamente il contrario, in fondo la coscienza di mandarli al massacro spetta a noi vero? Sono semplici pedine di una scacchiera per voi- l’accusa era grave e lo sguardo del cherubino traboccava di una furia insolita ad una creatura fragile ed eterea come un angelo.
-Come osi…- iniziò l’anziano, ma venne fermato da un cenno della mano della figura al capo del tavolo.
-Perdonate la scortesia dei vegliardi, sapete, nessuno di noi si è mai trovato in una situazione tanto grave…- la figura era l’unica ad indossare un mantello, il cui cappuccio teneva all’oscuro il viso.
Sul mento non vi era traccia di barba.
-L’Abisso tace, non è mai accaduto, ma il fatto non dà presagi positivi…il timore è nel cuore di tutti e la parola “guerra” viene fuggita come fosse peste- sospirò facendo un segno di diniego col capo, esprimendo dispiacere –Persino qui ci sono persone che non vogliono persuadersi della catastrofe che sta per abbattersi su di noi-
Un leggero colpo di tosse del cherubino riportò su lei l’attenzione generale –Perché la si nasconde allora? Che ognuno impugni un’arma, che le Virtù cantino i loro incantesimi sacri, che i cherubini sfoglino libri incantati, così come siamo tanto vale ucciderci a vicenda prima che arrivi il nemico-
Un tetro silenzio aleggiò nella stanza
-È vero, sarebbe un massacro per noi, ed ogni combattente che si allena rinforza i timori della folla…il caos generato dal panico non potrebbe che andare a favore dei demoni-
-E allora che cosa si potrebbe fare? Andare a farci infilzare ben bene? Per San Michele, ricacciamo lo sciame nell’alveare-
Tutti la fissarono –Vorrei che avessimo il tempo…- disse sconsolato l’incappucciato
-Non lo stiamo forse perdendo ora?- insinuò l’angelo.
L’uomo posò i gomiti sul legno, intrecciando le dita e posandoci sopra il mento –E sia…annunciate a tutti che la pace non sembra destinata a durare-
Gli anziani lo guardarono a bocca aperta, sbalorditi.
Manon uscì con un delicato inchino seguita da Lenie.
I consiglieri iniziarono a bisbigliare tra loro, ma la loro voce venne spezzata dall’ammantato –Iniziate a dare le direttive a qualsiasi angelo, qualunque sia il suo rango o la sua forma-
Il tono di voce non ammetteva repliche e gli occhi azzurri baluginarono di una luce viva sotto il cappuccio.

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Capitolo 4
*** 3: La Porta ***


3: La Porta

Lentamente due demoni si facevano largo in mezzo alla folla crudele degli inferi, spintonando di tanto in tanto gli stolti che non riconoscendoli rimanevano in mezzo alla strada.
Un demone topo tentò di rubare allo Scaltro, ma ottenne solo di ritrovarsi ambedue le mani mozzate da un preciso fendente.
Molto lentamente riuscirono a districarsi dal dedalo caotico di vie plumbee e corridoi cinerei, trovandosi finalmente innanzi ad un’imponente costruzione in risalto rispetto alle altre.
Era una magione modellata a stregua di castello umano, dalle forme tortuose ed attorcigliate.
Bastioni di ardesia risplendevano nell’infernale calore del magma fuso che era stato incanalato nelle vicinanze, vuoi per evitare di dover ricostruire l’edificio, vuoi per giustificare la scomparsa improvvisa e prematura di alcuni demoni della gilda.
Sui bastioni guardie scelte di stirpe non precisata scrutavano torvi il pesante ed invalicabile portale di adamantite rinforzata di incantesimi che proteggeva il quartier generale.
-Identificatevi- proferì una di esse, mentre le altre tendevano l’arco, le frecce già incoccate stillavano una sostanza verdognola che corrodeva leggermente la passeggiata.
-Siamo il Solitario e lo Scaltro- urlò il draconico, spiegando le ali membranose per confermare ciò che aveva detto.
La guardia lo fissò e con un misto di rispetto e timore aprì il portone.
Si sentì una risata soffocata da parte di una guardia per il comportamento del capitano, che loro lasciarono ad inveire contro di essa con una vasta gamma di insulti nelle più disparate lingue.
Nessuno dei due riuscì a trattenere una smorfia divertita.
Si affrettarono a coprire la distanza che li separava dalla struttura portante del luogo, la stanza del Diavolo.
Un paio di mercenari uscirono con un ghigno di disprezzo sul viso, inveendo poi contro la lentezza delle guardie nell’aprire il cancello principale.
Spalancarono le porte, procedendo a passo lento sul tappeto carminio bordato d’oro che copriva la dura roccia, per giungere infine davanti ad un sostegno sul quale ardeva un fuoco magico inestinguibile.
-Avete completato l’incarico?- una voce maligna e gutturale.
-Le pianure di lava sono meno popolate di elementari dal carattere focoso ora, mio Diavolo- rispose sarcastico lo Scaltro.
-Sono contento abbiate terminato in fretta la missione, volevo chiedervi di partire subito per un’altra-
-Subito? Che genere di lavoro è?- sapevano già che quella non era una domanda ma un obbligo vero e proprio.
-Dovrete sterminare un’avanguardia di angeli tropo presuntuosi- sporse il capo, rivelando le aguzze zanne che per lui erano denti ed il viso di un colorito azzurrino striato di nero e rosso –Sarete accompagnati da un centinaio di guerrieri, non dovreste aver troppi problemi-
Il Solitario sembrava in procinto di obbiettare, ma richiuse subito la bocca –Sissignore- sibilò a denti stretti.
-Bene…pensavo avrebbe occupato più tempo il convincervi…manca ancora qualche ora all’inizio della spedizione, spendetelo come meglio credete- fece per voltarsi ed entrare in una porta incavata nel muro, ma un colpo di tosse del drago lo fermò a metà del passo.
-Sire, non crede che questa nostra azione posa sancire il preludio ad una guerra tra i regni Celeste ed Infernale?-
-Ti fai troppi scrupoli, ragazzino…- varcò la soglia ghignando bieco.
Quel demone lo faceva davvero infuriare.

-Che facciamo?- la voce dello scaltro era a stento riconoscibile nell’eccessivo vocio che permeava le disconnesse strade.
-Non saprei…cerchiamo un acquirente per la pergamena?- domandò annoiato, ricevendo un cenno positivo dal pensieroso amico.
-Secondo me hai un po’ esagerato, in fondo gli angeli sono i nostri nemici naturali- sbottò poi.
-Perché?- la voce era tagliente e l’aracnide si trovò spiacevolmente spiazzato.
-Beh…ecco…-
-Non lo sai nemmeno tu, vero?- il tono era rassegnato.
-Ci è sempre stato detto così e non ci siamo mai fatti troppi problemi-
-E se questo nostro comportamento li causasse a loro?- afferrò distrattamente il polso di un ladruncolo, fratturandoglielo con una rapida torsione.
-Solitario, sei cambiato…però forse hai ragione…siamo sempre stati noi a muovere il primo passo verso la guerra…- guardò vacuo il piccoletto allontanarsi stringendo il legamento infranto, osservando poi come un possente demone delle fattezze di un toro gli fendeva a metà il cranio con un’accetta per averlo spintonato -…il nostro popolo è un popolo caotico, che prospera alle spalle degli altri e così è sempre stato…tuttavia sembra così normale ora…tutta questa violenza…- il toro si allontanò per un vialetto, da cui provenne un debole muggito ed uscì una creatura simile ad un lupo, strofinando una daga con un panno insanguinato e tenendo dietro alla schiena l’accetta del bestione -…ci stiamo uccidendo da soli, stiamo firmando la nostra condanna, e quel che è più orribile è che lo facciamo sorridendo- aveva un’aria mesta, ma allo stesso tempo irata.
-Vediamo se c’è qualcuno disposto a comprare la creatura- disse battendo una mano sulla pergamena sigillata.
Creatura, esattamente quello, quella di sigillare gli spiriti dei demoni sconfitti in pergamene era molto diffusa, tanto che venivano usati anche come famigli o come guardie personali.
Una piccola percentuale era semplicemente la collezione dei mercanti, mentre talvolta i guerrieri ricorrevano ad un “aiuto esterno” per ribaltare le sorti di una battaglia.
Tuttavia non erano molti quelli che se lo potevano permettere, infatti le pergamene ricevevano trattamenti lunghi e complessi prima di poter diventare adatte a quella funzione, ed ad alzarne il costo contribuivano anche le fatiche corse per trovare ed intrappolare una determinata entità.
Inoltre non sempre i demoni contenuti erano disposti a prendere ordini in maniera pacifica, e comunque non potevano trattenersi nel mondo materiale per troppo tempo senza che il loro padrone corresse determinati rischi, come la perdita di controllo o la scomparsa prematura dell’evocazione.
Rimanevano in ogni caso degli artefatti magici, e per continuare ad utilizzarli erano necessarie notevoli cure e una fornitura di raro inchiostro magico per rinnovare il contratto con il demone.
Contratto non sempre troppo sicuro, poiché più volte capitava che un servitore capisse la debolezza del padrone e lo uccidesse, riconquistando la libertà di muoversi a suo piacimento.
In quei casi la pergamena scompariva assieme al suo padrone, lasciando il demone libero dal sigillo.
Talvolta erano usati altri oggetti incantati anziché comuni pergamene, oggetti tra i quali figuravano bacchette magiche, verghe, spade ed anche oggetti comuni, come campanelli, piccoli bicchieri e cappelli.
Si ricorda anche che una stirpe avesse usato un mazzo di carte umane trattate con incantesimi che donassero a esse eterno splendore e durata illimitata, tuttavia le voci durarono poco, sorpassate da una scacchiera magica nella quale ad ogni pezzo corrispondeva una creatura diversa.
-Ehi, muoviti sputafuoco, se no ti lascio indietro- il demone sorrise e corse avanti, seguito dall’amico, annoiato dalle sue continue prese in giro derivanti dalle sue origini draconiche.
Un mercante dalle vesti sgargianti li affiancò –Ho sentito parlare di una creatura in vendita, e ditemi, cos’è?-
-Controlla tu stesso- disse lo Scaltro, aprendo la pergamena e mostrando un’immagine dai contorni estremamente delineati della creatura che avevano da poco imprigionato, sotto la quale erano vergate parole in un linguaggio magico antico come il loro mondo.
-Impressionante, e a quanto è in vendita?- l’espressione del collezionista si fece furba ed iniziò a fregare tra sé le mani
-Quanto sei disposto ad offrire?- la domanda spiazzò il demone, che ci rimuginò un attimo, Scaltro se la sapeva cavare addirittura troppo bene con quei mercanti.
Questa volta in particolare avevano trovato un collezionista incallito…non sarebbe stato troppo difficile estorcere uno sproposito per quella creatura che avevano sconfitto in così poco tempo.
Nei suoi occhi aveva visto uno scintillio bramoso, più che sufficiente per capire che era disposto a fare di tutto per averla.
Si appartarono momentaneamente in un angolo affollato della strada, con la folla che copriva troppo le loro voci perché il Solitario potesse sentire, ma riconobbe i gesti dell’innalzamento di posta e della impotente stizza del borghese, che infine però si limitò ad annuire., sganciando dalla cintura una pesante borsa dai contorni pieni e quasi granulosi.
-Oggi è andata ottimamente- sogghignò il ladro, mostrando la gonfia borsa straripante d’oro e una pergamena –Era così preso dalle trattative che non si è accorto della sostituzione-
-Certe volte penso seriamente che tu sia un totale bastardo- disse l’amico ridendo
-Macchè, macchè, troppo gentile…!- sorrise l’altro
Dopo una breve fermata al loro rifugio dove riposero il denaro racimolato raggiunsero l’austera forma di pietra della loro gilda.
Ignorarono la lentezza delle guardie…non aveva alcun senso arrabbiarsi per simili sottigliezze, e poi avevano tutto il tempo che volevano.
O che il Diavolo voleva conceder loro.
Entrarono in fretta dalle imponenti porte del castello, avviandosi di malagrazia fino alla stanza del trono, percorrendo in passi corti e riluttanti il tappeto pregiato che copriva la fredda pietra vulcanica e che, assieme ai bracieri ed al trono stesso, era l’unica cosa che impediva a chi vi entrasse di pensare di essere in un luogo nero ed indefinito.
-Ma bene, avete fatto in fretta- la voce del Diavolo echeggio sulle mura, mentre una figura allungava un braccio in segno di farsi avanti.
-Pare abbiate scelto di accettare, siete diligenti, ed è un gran pregio- sapevano tutti che quello non era stato un invito cortese, ma piuttosto una nemmeno troppo celata minaccia in caso di diniego, ma questa farsa sembrava compiacere il despota, quindi si limitarono ad agire da attori, improvvisando il ruolo dei servitori fedeli.
-Si, o Diavolo, abbiamo deciso di partecipare a questa missione, ce ne vuole illustrare i particolari?- con un’ombra di malizia lo Scaltro iniziò la recita.
Il Solitario conosceva quel bagliore, stava cercando di estorcergli informazioni, e nessuno era mai riuscito a depistarlo troppo a lungo.
-Voi ed una centinaia di demoni dovrete falciare le legioni angeliche.- lo disse calmo, come fosse un’affermazione perfettamente logica
Il Solitario si staccò dalla parete a cui era appoggiato, mentre per un istante l’espressione dell’amico mutava, per poi tornare con qualche difficoltà la maschera insondabile di quando fingeva.
Tutti sapevano la forza degli angeli, e mandare un pugno di demoni contro di loro era un suicidio.
Ma in fondo forse era ciò che desiderava, sapeva che i due non amavano essere accoppiati con altri, e men che meno essere in un gruppo tanto vasto.
Il Solitario optò per ammazzarli con perizia prima dello scontro…non sopportava che qualcuno cercasse di pugnalarlo durante la battaglia, né che si frapponesse tra lui ed il suo avversario.
I pochi che l’avevano fatto non erano morti in maniera troppo calma e veloce…
Inoltre loro non conoscevano la portata della legione che andavano ad affrontare, potevano solo sperare che fosse un’avanguardia di serafini novizi, magari seguiti da un misero seguito di guaritori o addirittura sprovvisti.
In caso contrario il Diavolo firmava la guerra a cui teneva tanto ed eliminava un possibile candidato al trono ma guarda che razza di cane pensò brevemente, per poi ritornare con l’attenzione allo Scaltro, il quale pareva non avere molto successo.
Dopo poco li congedò, facendo apparire innanzi a loro un portale che mostrava loro una porta colossale, di un metallo nero eterno e con scolpite in un pregevole altorilievo scene di una crudeltà smisurata.
Scene di vita quotidiana agli inferi…
-Buon viaggio verso la Porta degli Inferi-
Il Solitario poté sentire il peso quasi materiale di quello sguardo enigmatico, crudele e beffardo che lo scrutava.
Immaginò che sulle labbra della creatura vi fosse un sorriso malvagio.

Ringraziamenti:
bluemary: hai beccato nel segno quando parlavi di D&D, giocavo in una compagnia un po' scalcinata ma mi divertivo, in particolare quando descrivevo i vani tentativi di una squadra per colpire una creatura. (Faccio presente che dopo 10 tiri un mio amico non era riuscito a superare un piccolo buco nelle scale per cui sarebbe bastato un 9...alla fine ha fatto uno e, inciampando sull'ultimo gradino, è precipitato dalle scale e ci ha lasciato la pelle...-.-), spero di ricevere ancora tuoi pareri sull'andamento del racconto.
Romance: Amore, sei sempre troppo gentile...mi dispiace soltanto che ti sei appassionata a Manon, che sparirà per un po' di tempo dopo la piega degli eventi. Ma forse ho parlato troppo...eheh. Ti Amo!

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Capitolo 5
*** 4: Parola d'onore ***


4: Parola d’onore

-Seril, è arrivata una comunicazione dal Consiglio- un serafino bardato leggermente ed armato di arco si avvicinò al suo capitano, che teneva una mano distrattamente postata sul pomo della spada lunga che gli cingeva il fianco, mentre il suo sguardo si perdeva sull’orizzonte innanzi a lui, dove sorgeva quel portale sigillato chiamato anche Cancello del Paradiso.
-Parla- disse pacato, senza voltarsi a guardare il messaggero.
-E’ stato confermato lo stato di guerra- la voce gli tremava mentre riportava quel messaggio, come fosse stata una condanna a morte.
Scostando una ciocca bionda si chiese se non lo fosse davvero.
-Ehi- si voltò, notando il volto pallido e teso del suo subordinato –Vivremo, non temere- gli mise una mano sulla spalla e sorrise con tutte le sue forze.
Quello sorrise di rimando e si allontanò verso il poco distante accampamento, alla basa del basso colle da cui scrutava i silenziosi Confini.
Aveva passato tanto tempo a mentire che ora gli veniva bene in una maniera allarmante.
Tornò a guardare l’imponente struttura dorata del cancello, mesto e meditabondo.
L’aria nel cielo era statica, troppo immobile e nemmeno un suono interrompeva quella così opprimente sensazione di spietato silenzio.
Anche l’accampamento degli ottanta serafini taceva.
Udì dei passi dietro di sé, non gli pareva il passo di un soldato, ma nemmeno di un assassino, quindi ignorò il rumore.
Dietro alle sbarre auree gli parve qualcosa si fosse mosso.
-Amore, tutto bene?- una voce dolce, braccia che gli cingevano il petto.
Per un attimo si crogiolò nel tepore di quel contatto, tuttavia man mano che si affievoliva la sorpresa insorgeva la coscienza –Lenie, cosa diavolo ci fai qui!?- la fissò con paura, accorgendosi di aver usato un tono troppo duro.
-Perché sei arrabbiato…?- gli sfiorò una guancia con il palmo della mano, delicata, con un gesto di toccante intimità.
-Non capisci?! Sei in pericolo qui, rischi di morire nel peggiore dei modi!-
-E tu allora?-
Un lieve cigolio riportò l’attenzione dei due innamorati sulla struttura dorata.
Seril chiuse gli occhi alzando il palmo di una mano al cielo –Rubra lux, rifulge in caelo*!- una scintilla carminia si staccò dalla mano aperta, esplodendo in aria in un bagliore scarlatto.
Per alcuni istanti parve che il cielo fosse tinto di sangue.
Da lì a poco tutta la legione gli fu accanto, accompagnata da un gruppo di cherubini che praticavano incantesimi di supporto e guarigione.
In tutto erano poco più di cento, a conti fatti.
Il cigolio aumentò ed i chierici iniziarono a cantilenare benedizioni superiori o incantesimi di potenziamento intrisi di potere divino.
Il Cancello si spalancò con uno scatto secco, quasi scardinato.
Un numeroso gruppo eterogeneo di demoni ne sciamò nel terreno candido, avanzando indisciplinati, ringhiando contro il vicino e calpestando a morte quelli più piccoli che inciampavano e cadevano o semplicemente faticavano a tenere il ritmo di marcia.
Innanzi all’orda camminava composto un demone dall’aspetto distinto, di fianco al quale si era formata una sorta di buco, pareva che nessuno tranne un piccoletto dalla pelle scura volesse avvicinarglisi troppo.
D’un tratto alzò la mano squamata in un gesto imperioso, intimando alla mandria di fermarsi.
Lo ignorarono palesemente.
Con un rapido scatto sguainò le lame gemelle che portava ai fianchi e trafisse il petto alla prima creatura che trovò a tiro, un demone dall’aspetto di serpe, per poi decapitarla con un incrocio preciso delle armi.
Gli occhi del Solitario ardevano di fiamme decise e violente.
Se non venne notato da Seril per la notevole distanza e per il fatto che il condottiero draconico era voltato di schiena i demoni lo videro benissimo, arrestando il passo con effetto immediato ed indietreggiando di qualche tratto per evitare di capitargli a tiro.
-Chi è il prossimo a volere sfidarmi disobbedendomi?!- tuonò, udibile anche dalla distanza.
I demoni indietreggiarono ancora, mentre quello scuro di pelle persisteva a tenersi alla destra della creatura, osando addirittura a battergli una mano sulla spallo in modo scherzoso, facendogli scuotere la testa con tono rassegnato.
-Muovete un muscolo e vi massacro dal primo all’ultimo- sibilò agli insubordinati prima di allontanarsi.
-Lo farai comunque vero?- il sussurro dello Scaltro era a mala pena udibile, in più la sua arte ventriloqua era sconcertante ed impagabile.
Un ghigno sadico e crudele fu tutto ciò che ottenne dal compagno.
Tutto sommato una risposta estremamente eloquente ed esplicita da parte sua.
-Come può un solo individuo disporre di un potere tanto grande e di una crudeltà tanto vasta?- domandò all’aria Seril, qualche metro più in là, sconcertato dall’autorità delle creature che venivano a lui e dal loro modo di imporla.
-Salve, angelo- lo salutarono formalmente una volta che gli fu innanzi, ad armi rinfoderate, squadrandolo brevemente e valutando le sue armi e protezioni, per poi annuire, soddisfatti della buona fattura di tali artefatti.
-Cosa siete venuti a fare qui da soli a parlarci, credete che ci indurrete ad arrenderci? Giammai!- imprecò Seril, frastornato dal comportamento cordiale del demone.
-Sai, non chiedevamo di meglio…onestamente non ho mai combattuto contro un angelo e non vedo l’ora, spero che questo mio entusiasmo sia ben motivato…- sorrise il draconico come allegro, sollevando ulteriormente lo sconcerto del serafino, che lo fissava con occhi sgranati.
Non temevano di morire…nemmeno un po’…?!
Lo Scaltro colse lo sguardo atterrito del comandante -Vi state chiedendo perché non temiamo la morte? Beh, la risposta non è poi tanto complessa, dato che vivere all’Inferno comporta una quotidiana lotta contro l’anziano Mietitore Nero. Per molti di noi morire può anche significare non scomodarsi più di diffidare di tutti e rimanere perennemente all’erta, il che è un notevole fardello che viene a mancare…- sorrise sarcastico.
-Ma allora…- Lenie si schiarì la pura voce con un colpo di tosse –Perché siete venuti innanzi a noi da soli? Avremmo potuto uccidervi prima che arrivaste qui- Seril scrutò la sua amata, non aveva mai parlato così, e capiva che non le era facile.
-Questo non cambia che non lo abbiate fatto- sorrise il Solitario, sbuffando –E poi vi consiglierei di essere troppo sicuri di voi stessi….vivere ogni giorno a contatto con la morte insegna più di quanto ci si possa aspettare-
-Comunque, tornando al motivo…in effetti uno c’è…- lo Scaltro intervenne,posando una mano sulla spalla dell’amico, che cedette a lui il ruolo di mediatore ed oratore, rimanendo sempre attento –Volevamo solo chiedervi di…ehm…ritardare…il vostro assalto di…mh…non saprei…un’ora? Solitario?- rivolse uno sguardo interrogativo al compagno.
Il possente demone scosse la testa in cenno di diniego –Ne basta la metà Scaltro-
-Perché ce lo chiedete? Quali artifici avete in mente?!- sbottò irato un angelo.
Il Solitario levò lo sguardo su di lui, scoprendo i canini accentuati ed i denti acuminati in un ghigno che lo fece tacere all’istante –Credete che siamo dei vermi vero? Non mi sento di sfatare questo mito, poiché calza a pennello per il più di noi.- guardò tutti, come se in verità la cappa della sua autorità ricadesse in pesanti pieghe anche su di loro –Vi dirò solo una cosa…se combatto la cosa che odio più al mondo è che qualcuno si frapponga tra me e la mia preda o che qualcuno della mia stessa fazione tenti di piantarmi una daga nella schiena.-
-Noi cosa dovremmo fare allora?- intervenne Seril
-Quello che vi abbiamo detto, oltre al non interromperci in quello che faremo da qui a mezz’ora- si voltò, facendo ondeggiare la folta chioma corvina –Il nostro discorso termina qui- disse senza guardare indietro e facendo un cenno con un dito artigliato allo Scaltro, che gli si mise alla destra senza alcuna esitazione.
Insieme scesero il colle, fino all’ammasso caotico di creature d’origine infernale.
Si fermarono davanti, osservando le carcasse di alcuni demoni morti a causa di inutili dispute nate durante la loro assenza.
Un generale infernale comune avrebbe fatto finta di nulla, anzi avrebbe elogiato i suoi soldati.
Tuttavia quella per il Solitario era una perfetta scusa.
-Avevo detto di non muovere un muscolo o sbaglio?!- la frenetica ira era palpabile nella voce gracchiante del draconico.
I demoni si guardarono l’un l’altro, istupiditi –Pagherete il fio della vostra colpa!-
Con un ghigno malvagio estrasse le lame gemelle, che balenarono nel cielo indaco.
Seril fissava sgomento la scena da sopra al colle.
Aveva deciso di assecondare le due eccentriche creature, soprattutto perché non capiva quali fossero i loro scopi.
Tuttavia ora capiva, e dubitava che loro da soli avessero troppe possibilità contro quei due demoni.
Guardò gli artigli del primo squarciare il petto ad un demone, estraendone un cuore ancora pulsante e viscido di sangue.
Vide una salva di frecce scagliate dal secondo mietere creature ormai disperate e pronte a tutto.
Non era concepibile che esistesse qualcuno in grado di fronteggiare un numero così grande di avversari solo e con così grande disinvoltura.
Mentre lui pensava ciò i due combattenti danzavano il loro macabro balletto tra le schiere rapidamente decimate di quelli che erano loro commilitoni, legati quasi da un filo sottile, che si tendeva leggermente per avvertirli quando una delle estremità era in pericolo.
Per un attimo si pentì di aver dato loro ascolto.
Di sicuro se avessero attaccato contemporaneamente quei due si sarebbero trovati in una duplice morsa, e forse quell’impalpabile filo sarebbe stato sfaldato.
Tuttavia nulla è mai certo, e non si arrischiò a condurre un attacco in mezzo a quella carneficina.
Dopo venticinque minuti i due, con il fiato leggermente affannoso, si sedettero sul suolo intriso di sangue nero per riposare.
Dei trecento demoni che la accompagnavano tutto ciò che rimaneva erano i cadaveri smembrati e macilenti che giacevano sul terreno un tempo candido.
Gli angeli tremarono, cercando conforto nel loro prode generale.
Egli sorrise debolmente….a tutte le menzogne c’era un limite e sapeva che per gran parte di loro, forse addirittura per tutti, quel luogo sarebbe stata una tomba.
Estrasse la spada lunga e impugnò lo scudo circolare d’oro –Flamma, in gladio uri*!- la lama dell’arma, che iniziava in affilati archetti per terminare in una punta lanceolata, divampò infuocata, tracciando nell’aria una scia di calore.
Un chierico iniziò a sillabare un incantesimo d’offesa –Focum sanctum, hostes inflamma*!- probabilmente l’aveva appena appreso, perché il torrente di fiamme che discese dal nulla era limitato e colpì solo il draconico.
Per alcuni istanti la vampa lo nascose, rivelandolo infine con una smorfia seccata sul volto –Merda, mi si sono bruciati i pantaloni dove erano esposti- si passò una mano sulla corazza , mondandola della fuliggine che vi si era accumulata –Stolti…quello era fuoco? I planari di ieri erano più dotati- un bagliore rossiccio trapelò dalla bocca del demone, che spiegò le ali e si diresse con leggiadria verso gli angeli –Assaggiate le fiamme dell’Inferno!-
Inarcò il collo e lasciò che quel talento innato dei draghi scorresse in lui, vomitando un torrente infinito di fiamme che carbonizzarono il soffice suolo ed alcuni angeli.
Un nauseante odore di carne bruciata e piume iniziò a trapelare dalle armature contorte dei serafini.
In alcuni casi il proprietario, ancora vivo, soffriva pene atroci poiché il metallo fuso gli colava sul petto, bruciandogli la pelle e bucandola, per concedere infine la morte dopo atroci sofferenze.
I chierici si ingarbugliavano sulle parole degli incantesimi divini che avrebbero potuto salvarli, e quando riuscirono a pronunciarli tutto ciò che ottennero fu di prolungare la tremenda agonia.
-Seril…- Lenie lo guardò in viso.
Non ricordava di avergli visto la pelle tanto tesa sul volto, né quell’espressione di impotente terrore che iniziava a delinearsi negli occhi.
Anche il suo cuore fu inghiottito dal sordo terrore della morte.
Una daga saettò, sgozzando un chierico, per poi piantarsi, dopo un rapido volteggio circolare, nel cuore di un altro –Solitario, qui sono troppi, ma sono troppo noiosi…onestamente da questi fantomatici angeli mi aspettavo almeno qualcosina di più…- con un gesto distratto deviò un gladio che puntava alla sua gola, lanciando contemporaneamente con la mano libera un piccolo pugnale che colpì la gola dell’avversario con precisione millimetrica, tranciandogli la giugulare.
Morì in breve tempo, praticamente senza soffrire.
Intanto l’altro demone stava impegnando un intero accerchiamento in un gioco di parate e finte.
I serafini, man mano aumentando il numero, pensavano di essere al sicuro.
Tuttavia lo schieramento s’infranse in una pozza di sangue quando il guerriero mozzò la testa a due soldati che avevano avuto la sfortunata idea di abbassare troppo l’ampio scudo di metallo.
Lo Scaltro guardò spazientito i restanti avversari, sbuffando…si stava annoiando… - Etidnofsnart euqaitsoh etinev ihim sesne sitatirucsbo*!-
Lame di pura oscurità apparvero nell’aria limpida, permeandola di un alone nero-viola.
Ancora una volta le nuvole si tinsero di carminio.
Uno schiocco improvviso lo fece voltare –Tks…quel dannato del Solitario si è come al solito trovato l’avversario migliore…-
Lo scontro tra i due condottieri era iniziato.
Un altro schiocco.
Il draconico respinse l’arma avversaria, indietreggiando –Credo di aver trovato qualcuno degno di essere ucciso da me…qual è il tuo nome, guerriero?-
L’angelo lasciò cadere lo scudo sul cui spiccava una grande sfaldatura causata dalle armi incantate dell’avversario assieme alla spada lunga, estraendo i grande e largo spadone che portava in un fodero di cuoio chiaro ricoperto da numerose cinghie dietro alla schiena –Il mio nome? Seril, demone…ma anche tu sei un valido avversario, dimmi il tuo nome.-
-Io?- Partì alla carica, gli occhi carichi del fuoco della sfida, lasciando che le sue lame stridessero sull’acciaio dell’arma avversaria –Non ho bisogno di un nome!-
Seril indietreggiò, parando con perizia gli ingannevoli affondi e fendenti delle lame vorticanti.
Dunque non aveva un nome…gli mancava la parte più importante di una creatura, ciò che ogni creazione ha.
Lo odiava, era indubbio, ma ora quella furia era velata da una compassione profonda e sincera per una “persona” che aveva perso il suo vero io…o che non l’aveva mai ricevuto…
Una lama gli sfiorò la guancia, tracciandogli un graffio scarlatto da cui colarono poche gocce viscose e rosse.
-Touché- disse con grazia arretrando con un balzo e mettendosi in un assetto di battaglia differente.
Tuttavia l’assalto improvviso del serafino fece sì che le parti s’invertissero, costringendo il Solitario a retrocedere, mulinando le spade per difendersi, mentre il sorriso ironico scompariva dalle labbra, lasciando spazio ad un’espressione concentrata sebbene appassionata dal duello che stava svolgendosi.
Le lame s’incrociarono tantissime volte, lasciando che il metallico canto delle armi si levasse in quel nefasto giorno.
-Divina vis, surgi*!- la ragazza, che fino ad allora era rimasta in disparte, aveva urlato l’incantesimo.
Non vide nulla, quindi credette che fosse miseramente fallito.
Poi la spada lo colpì.
Pareva che lo spadone dell’angelo fosse diventato almeno dieci volte più grande da tanto violento fu l’impatto, infatti a poco valsero le spade con cui si era difeso, dato che per l’intensità del colpo venne scaraventato in aria.
Una fitta lo costrinse a portare lo sguardo sul braccio sinistro, dove una striscia rossa sorgeva dove la spada era riuscita ad infrangere le scaglie e a penetrare nella cane viva.
Seril vide il demone guardarsi stupito il braccio e ringraziò mentalmente Lenie, che con un tempismo tanto azzeccato gli aveva dato una forza tanto grande. Tuttavia i suoi occhi faticarono a credere alla figura che, a mezz’aria con le ali membranose spalancate, puntava verso lui.
Il Solitario si era ripreso in fretta, infatti più che dolente per lo squarcio era stupito del fatto che fosse riuscito a ferirlo. Aveva ricevuto ferite più gravi in tutti i suoi anni, ed era sicuro che quella non si sarebbe infettata, ma si sarebbe risanata in capo a poco.
Con le spade pronte colpì il filo dell’arma avversaria.
In condizioni normali non ci sarebbe riuscito, tanta era la forza infusa nell’angelo dall’incantesimo, ma la planata gli aveva dato la spinta necessaria a contrastare il fendente.
Lo stridio delle armi era ormai assordante quando decise di giocare il tutto per tutto.
Lasciò la presa sulla spada che impugnava con la sinistra e fece descrivere al braccio ferito ed ancora sanguinante un semicerchio innanzi agli occhi dell’avversario.
Seril non riusciva più a vedere bene a causa del sangue che quel demone gli aveva schizzato negli occhi e, per un attimo solo, la sua presa sull’arma si fece più insicura.
La disattenzione venne, come previsto e il Solitario, dopo essersi abbassato, vibrò il fendente che avrebbe sancito la sua vittoria o la sua morte.
Seril vide la spada muoversi, ma fu un istante troppo tardo. Sentì un dolore incandescente esplodergli sulla spalla destra e la lama cozzare contro l’armatura di un cadavere.
Strano…non gli sembrava di aver lasciato la spada.
Lenie fissava la scena con sgomento, cercando di trattenere le lacrime. Vide l’angelo cadere a terra, con il braccio destro amputato all’altezza della spalla e la sua mente intontita non riuscì a trovare le parole degli incantesimi sacri che le servivano.
Eppure li aveva studiati tante volte…
Il demone conficcò la lama che ancora stringeva in mano nella carne del braccio sinistro, tra l’osso ed il bicipite, inchiodandolo a terra.
-Mi dispiace, ma non avevo alcuna voglia di morire qui…- si chinò sulla creatura celeste –Sei un valoroso guerriero…sai, senza quel trucco non ti avrei sconfitto…- la sua espressione era di avvilimento, si stava rimproverando per il gesto scorretto?
-E’ rimorso quello che vedo nei tuoi occhi?- l’angelo tossì, sputando saliva e sangue.
Il demone non rispose, rimanendo con un’espressione quasi di scusa, addolorata.
-Sei stato anche tu un valido avversario, e ti chiedo due ultimi desideri, prima di esalare il mio ultimo respiro- la voce dell’angelo era affannosa, spezzata, così diversa da quella melodica e armoniosa di prima.
-Dimmi- il suo viso era perplesso, ma si sentiva in colpa per aver ucciso un così grande guerriero, quindi ingoiò l’orgoglio e gli rimase accanto.
-Dopo che avrò espresso il mio secondo desiderio prendi la spada con cui ti ho ferito e trafiggi con la sua punta il mio cuore; questo è il mio primo desiderio…- riprese fiato -…la mia seconda volontà è che permetti a Lenie di vivere, proteggendola se necessario.-
Solitario si alzò, andando mesto a raccogliere la pesante arma ed alzandola al di sopra del petto del nobile serafino –Non meriti di non avere un nome…come mia ultima volontà abbi questo nome…Serek Udrail-
La lama scese ed implacabile morse la corazza, la cotta, la pelle , la carne, le ossa ed il cuore, terminando la sua corsa sul soffice terreno.
Fece un cenno allo Scaltro, che guardò incuriosito la ragazza, per poi tornare al compagno –Solitario, e lei?-
-Lasciala vivere…- si rivolse verso l’amico –D’ora in poi mi chiamerò Serek Udrail, com’è stato volere di un valoroso combattente-
Il ladro guardò interrogativo a turno l’amico, la cherubina e la salma, per poi far spallucce scuotendo la testa, per allontanarsi assieme al compagno.
Serek si voltò solo una volta, ammirando la bellezza della giovane donna dai capelli dorati e dando l’ultimo saluto a chi lo aveva redento per sempre dalle tenebre dell’ignoto.
Se ne andò a passo leggero, pensando che invidiava il sorriso sulle labbra dell’angelo defunto.
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Rubra lux, rifulge in caelo: luce rossa, risplendi nel cielo
Flamma, in gladio uri: Fiamma, brucia nella spada
Focum sanctum, hostes inflamma: Fuoco sacro, incendia i nemici
Etidnofsnart euqaitsoh etinev ihim sesne sitatirucsbo: contrario di “Obscuritatis enses, mihi venite hostiaque transfondite”, che in latino significa “Lame d’oscurità, venite a me e trapassate i nemici”
Divina vis, surgi: Forza divina, sorgi

Ringraziamenti:
Romance: Ti è piaciuta Lenie in questo capitolo? Spero di sì, come spero non odi troppo il Solitario, in fondo lui è buono...forse un po' troppo in fondo però....Ti Amo!
Shirahime88: Spero
che questo capitolo abbia ulteriormente stimolato la tua curiosità...tra poco si concluderà la fase "introduttiva" del racconto, finalizzata a far conoscere meglio i personaggi, quindi spero non ti sia già annoiata^^

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Capitolo 6
*** 5: Esilio ***


5: Esilio

La corte del Diavolo pareva al Solitario molto più squallida di quanto avesse mai notato dopo la sua visita al Paradiso.
Si domandò come poteva esistere un simile ammasso di blocchi d’ardesia modellato in una maniera così caotica da risultare banale, così strana da sembrare spoglia ed indifferente.
Iniziò a desiderare che il tappeto rosso, i cui bordi iniziavano a sfilacciarsi e la cui porpora iniziava a venir meno, prendesse fuoco sotto i suoi piedi.
Dannazione pensò come diavolo ho fatto a non accorgermi che il mio mondo è un simile orrore…?
Il Diavolo si agitò sul seggio ornato di drappi viola, neri e smeraldo, come impaziente.
Presagio decisamente negativo se si contava che i suoi principali divertimenti erano condannare demoni alla morte o peggio…
-Ma bene, siete tornati in fretta vedo…anche se credo che siate un po’ meno di quelli che ho inviato- la voce pareva troppo rauca e grottesca paragonata alla voce dolce e melodica dell’angelo.
-Li abbiamo sottovalutati, signore, erano più forti di quanto ci aspettassimo e l’intera orda è stata sterminata dai piumati- disse piatto ed asciutto lo Scaltro, fissando il nero muro con espressione incolore.
-E per quanto riguarda i risultati bellici?- chiese di nuovo, con uno strano scintillio negli occhi di brace.
Fu allora che Serek capì.
Sapeva già tutto, li aveva inviati alla loro condanna.
D’un tratto scoppiò a ridere, una risata fredda, priva di sentimento, quasi isterica.
-Certo che il fato è proprio una carogna…- sorrise infine, gli occhi vitrei.
-Rapporto bellico- insistette il Diavolo
-Non fare troppo il fasullo, non ti si addice e non ti riesce nemmeno bene- lo guardò negli occhi, furioso, e percepì in quello sguardo offuscato da potere, brama e crudeltà una squisita paura –Mi hai mandato proprio per sbarazzarti di me vero?-
-Non tollero un linguaggio simile nei miei confronti- disse il possente demone, ancora un po’ scosso, ma con voce ferma.
-Dai, amico, non ti riferirai a quell’angelo che è fuggito?- chiese calmo lo Scaltro –Era un modo per lasciare alle legioni una testimonianza della potenza infernale-
-Non insistere amico, tanto non cambierà nulla- disse calmo il draconico, tendendo la mano all’altro –Grazie di tutto, è stato un onore conoscerti e passare questo tempo accanto a te-
Poi si rivolse al Diavolo –Lui non c’entra nulla, sono io ad aver sterminato l’intera orda e ad aver risparmiato la vita di una creatura del paradiso-
-Ammetti dunque la tua colpa?- chiese il tiranno, non riuscendo del tutto a mascherare il suo stupore per quell’atto così insolito.
-Avrebbe senso negare ora?- rise l’accusato –Se mi salvassi accusando il mio amico, preferisco la pena capitale-
-L’avrai, insolente, la avrai…- disse furente, schioccando le dita.
Delle creature ammantate di nero con arghi cappucci che ne coprivano il volto lo afferrarono.
Si era aspettato di vederlo strepitare e lottare.
Si era aspettato un motivo per ucciderlo con le sue mani.
Tuttavia non aveva previsto il gesto stizzoso del demone, che allontanò le mani dei carcerieri, seguendoli comunque pacato.
Tuttavia lo sguardo che gli rivolse era qualcosa di più freddo e tagliente del ghiaccio.
Entrarono in una stanza circolare, dalle pareti intarsiate con simboli arcani da cui sporgevano diversi neri balconcini, come dei pulpiti di nera roccia.
Lì presero posto i Neri Sacerdoti, preparando la pena che per i demoni trascendeva la morte.
L’esilio nel mondo di mezzo, il regno degli uomini.
Incatenato e spogliato delle costose armature Serek fu posto al centro della grande stella a cinque punte sul pavimento, intorno alla quale erano posti candelabri che ardevano di una silenziosa fiamma nera.
Tutta la superficie era intarsiata da complessi disegni esoterici di sigillo e protezione.
Iniziarono a salmodiare davanti agli occhi impotenti dello Scaltro.
-Sai, si sono recentemente liberati alcuni posti nella parte alta, che ne dici di essere un mio collaboratore?- il diavolo gli pose una mano sulla spalla mentre i sacerdoti prelevavano ogni genere di artefatto dal draconico.
Infine uno guardò curioso un mazzo di carte umane che al posto dell’asso di picche recava l’immagine di un drago nero.
Non percepiva nessuna ondulazione mistica, quindi rimise al suo posto l’oggetto, unica proprietà rimasta al Solitario, se si eccettuavano la sacca piena di tasche, ora miseramente vuote, intorno ai suoi fianchi, i pantaloni sfilacciati ed una camicia leggera.
-Accetto volentieri, mio Diavolo- l’espressione che finse non fu una delle sue migliori, ma fu sufficiente ad ingannarlo.
Quel tronfio tiranno non badava nemmeno agli strani gesti che stava tracciando nell’aria stantia della sala delle esecuzioni.
Non si accorse nemmeno dell’espressione trionfante dell’esiliato.
Lentamente Serek sentì che i suoi piedi si staccavano da terra, lasciandolo sospeso in un fascio di luce multicolore vorticante.
Sentì delle dolorose fitte in tutto il corpo, segno che i Sacerdoti avevano già iniziato la parte più importante dell’incantesimo: il sigillo dell’anima demoniaca.
Sentì lentamente le squame ritirarsi, le ali ridursi e rifugiarsi sotto la pelle delle scapole, gli artigli ridursi a unghie curate, le corna sulla sommità del suo capo regredire, svanendo senza lasciare traccia.
Tuttavia non era sua intenzione farsi schiacciare così facilmente.
Vide un Sacerdote avvicinarsi al Diavolo, e non poté trattenere un sorriso al vedere l’ira della creatura.
Probabilmente anche nove di quegli incantatori professionisti non potevano estirpare la sua radice demoniaca.
-Non riusciamo a togliergli tutto il potere!- udì confusamente la protesta di uno di essi.
-Sigillatelo allora, branco di idioti!- sbraitò il tiranno, preoccupato e irato allo stesso tempo.
-Ma…- ancora una protesta.
Con gioia udì un rumore di carne lacerata.
Che stupido pensò ora ne rimangono solo otto per sigillarmi…
-Non me ne frega un bel nulla dei ma, fate come vi dico se non volete morire qui e ora-
Tipico del Diavolo attuale farsi obbedire con la forza e la crudeltà.
Il velo d’arcobaleno si dissolse e sentì un bruciore dietro al collo, dove i capelli nascondevano la base della nuca.
-Addio Solitario- disse con un beota sorriso il regnante –Sai, quella espressione mi ricorda molto quella di tuo padre, prima che morisse per un mio tranello.-
-Tu, dannato bastardo!- sbraitò il draconico, furioso.
-Sai, è morto dolorosamente, ho continuato a farlo curare per una settimana…per continuarlo a torturare.- il possente demone sputò a terra –Quando mi sono stancato l’ho sgozzato, come il cane che era.-
Serek gli sputò in faccia, sul viso aveva l’espressione più spaventosa che potesse esistere. Le mascelle tese, a lebbra serrate, gli tendevano la pelle fino a far sembrare il viso una maschera d’odio e disprezzo.
Per un’attimo il Diavolo vacillò e mosse un passo indietro, terrorizzato, e sarebbe fuggito se non si fosse reso conto che non poteva nemmeno sfiorarlo.
Alle sue spalle lo Scaltro comunicava con quel codice gestuale di loro sola conoscenza.
-Ricordati, stupido tiranno- disse ansimante Serek –Io porrò fine al tuo regno di sangue e crudeltà-
Un portale si aprì sotto i suoi piedi e ne fu inghiottito.
Sapeva che il suo amico non l’aveva tradito, e che lo avrebbe aiutato dove possibile. Così gli aveva detto e non aveva ragioni per non fidarsi.
Nel piano di sopra la minaccia echeggiò ancora a lungo tra le cupe pareti e nella mente del dittatore.
Una minaccia che sapeva di profezia…

*****

-Che seccatura!- un giovane dai capelli ramati si deterse il sudore dal viso e fissò il cielo terso, dove solo poche nuvole vagavano placide, pecore senza pastore.
Lui si chiamava Marne, ed era rampollo di una famiglia di guerrieri, la stirpe dei Jihan.
E in quel momento si stava allenando.
O per meglio dire le stava prendendo per bene.
La verità è che la sua unica abilità era un’agilità quasi felina e dei riflessi superiori alla media.
Quando si trattava d’incrociare la spada con qualcuno l’unico suo modo per vincere era aguzzare l’ingegno o avere una fortuna incredibile nel beccarsi il novellino di turno.
Ed era anche per questo che il più delle volte finiva gambe all’aria o il suo avversario si stancava di stare al suo estenuante gioco di finte e di schivate che serviva a coprire la sua scarsa forza fisica.
Si tolse l’armatura di cuoio e sussultò urtando involontariamente un grosso livido che si era fatto poco sopra l’anca durante il precedente combattimento.
Aveva seriamente pensato più di una volta di chiedere al padre di smettere d’insistere a mandarlo lì, spendendo soldi per farlo picchiare da altri.
Sapeva tuttavia che suo padre non l’avrebbe mai accettato, immerso com’era nel desiderio di rendere suo figlio un degno successore, e forse avrebbe dato la sua nella porzione giornalieri di lividi ed ammaccature.
Era cosciente di essere sprecato per una vita da soldato o guerriero, semplicemente non ne aveva le capacità, come anche spesso dimostravano le occhiate perplesse seguite da sbuffi d’ironia e rassegnazione dei suoi mentori.
In fondo era di statura media, non troppo bello, ma comunque affascinante, come testimoniavano le guance delle diverse ragazze che lo fissavano ammirate.
Quel rossore era giustificato anche dagli espressivi occhi castani, caldi e vivaci.
Era magro, ed anche decisamente esile, infatti ogni tanto veniva paragonato ad un fuscello che si sta per spezzare dalla madre, la quale, dopo questo commento, gli dava una seconda porzione di cibo.
L’occhiata disperata del ragazzo era sempre prontamente ignorata ed era costretto ad ingoiare tutto, fino all’ultimo boccone.
Tuttavia il suo fisico non mostrava cambiamenti.
Aveva dita agili, come aveva dimostrato aprendo una serratura di cui non aveva la chiave con un piccolo coltellino ed un sottile filo di metallo.
Gli piaceva parecchio correre per i tetti, alla larga dalla folla, e fissare per interminabili istanti le variazioni cromatiche del cielo.
Un sordo botto ruppe il filo dei suoi pensieri.
Si guardò intorno, tra i suoi compagni d’allenamento, ma non trovò nulla fuori posto più del solito.
Nulla di ciò che era lì dentro avrebbe provocato un fragore simile.
E se fosse caduto il soffitto o un muro portante credo me ne sarei accorto si ritrovò a pensare sarcasticamente.
Evidentemente il suono veniva da fuori.
-Marne, intanto che non fai nulla, vai a vedere che diavolo è successo!- urlò amichevolmente un istruttore.
Era fermamente convinto che quel maestro fosse tanto contento di toglierselo di torno quanto lui lo era di andare in giro per un po’ liberamente.
Uscito notò un piccolo avvallamento prodotto da ciò che aveva prodotto lo schianto.
Si stupì nel vedere che era un uomo, e che fosse incolume.
Per fare un solco del genere doveva essere caduto da molto in alto e molto forte.
Lentamente l’essere umano si alzò sui gomiti e aprì gli occhi verdi, scrutandolo.
-E tu chi diavolo sei?- chiese con voce seccata.

RINGRAZIAMENTI:
Romance: come sempre presente e gentile. Ti Amo da morire mia dolce fidanzata, e grazie per i tuoi sempre apprezzati commenti!^^
Shirahime88: ti ringrazio per i complimenti, ma non credo di essere tanto bravo da incoraggiare alla lettura ^///^!
A tutti gli anonimi che leggono: questo vuole essere un invito, e non una costrizione...mi piacerebbe semplicemente pensare cosa ne pensate della storia, sia per quanto riguarda la scrittura che per quanto concerne i personaggi, è possibile che alcuni consigli vengano ascoltati^^
Cortesemente
Rakyr Celes

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Capitolo 7
*** 6: Straniero ***


6: Straniero
 
-Ehi! Ti ho chiesto chi diavolo sei!- ripeté scocciato l’ex demone, cercando ancora di abituarsi a quelle percezioni così diverse dalla sua normalità.
L’altro rimase a fissarlo con gli occhi castani e la bocca spalancati in un’espressione così stupita da sembrare stupida.
Serek sbuffò scocciato –Comincia a darmi fastidio che tu mi fissi come se fossi uno spettacolo da baraccone o fossi caduto dal cielo.-
-Beh…in effetti non mi sembra tu sia uno spettacolo da circo, ma in quanto al cadere dal cielo penso che sia successo sul serio…- commentò con viso perplesso il giovane.
-Cosa vorresti di…- sbatté più volte gli occhi, e fissò con un misto di stupore e timore le sue mani.
Non erano più coperte di squame!
Dietro al collo…tastò sotto la nuca, alla radice dei capelli.
Le dita trovarono e percorsero tremanti d’ira e spavento le forme lievemente in rilievo del tatuaggio che rappresentava la sua pena.
Era il marchio dell’esiliato, nero e dai bordi ondulati, seminascosto dai lunghi capelli neri che gli cadevano ordinatamente sulle spalle.
Chiuse lento gli occhi, espirando, quasi a disagio, mentre la realtà lo inghiottiva crudelmente. Gli ci volle un po’ di tempo per ricomporre i frammenti dispersi delle sue idee alla deriva.
Era evidente che quello non poteva essere il piano infernale, il suo mondo, né il ragazzo che continuava a fissarlo con evidente e, per la verità, un po’ eccessivo stupore rassomigliava l’aspetto caotico ed imprevedibile degli abitanti delle desolate lande infernali.
Un secondo sguardo lo convinse di aver la fortuna sufficiente per non essere stato sbattuto nel Paradiso, infatti l’ambiente era diverso e il ragazzo che stava innanzi a lui era privo delle caratteristiche ali piumate e la sua fisionomia pareva essere debole di molti piccoli difetti, ed il suo viso non era perfetto, nonostante si potesse definire fascinoso.
Infine la consunta corazza di cuoio slavata dal sudore e con cinghie smangiucchiate  e rappezzate poco si adattava alle dorate e sfavillanti armature angeliche.
Ciò lo convinse di essere comunque in uno dei piani portanti dell’esistenza, i Reami di Mezzo, un caotico assembramento di terra e acqua che dava vita a selve e montagne, canyon e scogliere, isole ed oceani, grotte e millenari percorsi sotterranei.
Si alzò piano sulle gambe, ancora un po’ malferme per la debilitazione a cui erano state sottoposte in un lasso di tempo tanto breve.
Quando riaprì gli occhi la realtà parve attirarlo in una spirale di colori sfocati e vorticanti, tanto che dovette far appello alla sua più alta concentrazione ed al suo equilibrio per non cadere indecorosamente a sedere sul duro terreno polveroso in quel girotondo di macchie slavate.
Pian piano il mondo riprese un assetto normale per Serek, che sentì i suoi piedi nudi più saldi sulla terra e, dopo essersi rassicurato al tocco del mazzo di carte magiche, allungò un tremulo tentennante passo.
Inizialmente sbandò un po’ a sinistra, incespicando, ma senza cadere, ed infine anche i suoi passi si fecero più sicuri.
-Ehi! Uomo del cielo, dove vai?- sentì una voce ed un sommesso scalpiccio dietro di sé.
Si fermò lentamente, rendendosi conto della validità dell’obiezione sollevata da quel ragazzo, ma scosse la teste e decise che avrebbe trovato un ripiego di qualche genere in un modo o nell’altro.
Era ancora immerso nei suoi pensieri quando una mano gli sfiorò una spalla, leggera, senza che lui fosse riuscito ad accorgersene.
Il riflesso gli venne spontaneo, istintivo e rapido, e Marne si lamentò del dolore, raggomitolato a terra su sé stesso.
L’aveva sorpreso, pensò il demone, non si era nemmeno accorto della sua vicinanza così imminente!
I suoi pensieri vennero interrotti da una voce tremula –Calmatevi, signore…!- protestò il giovane, rialzandosi traballante -…credo che…forse…forse potrei ospitarvi…-
-Dici sul serio? Hai per caso delle certezze che io non possa depredarti di tutti i tuoi averi ed andarmene lasciandoti a terra esanime, sgozzato come un cane?- vide lo spadaccino portare istintivamente la mano alla spada lunga che aveva al fianco.
In effetti quella particolare ipotesi aveva parecchio stuzzicato l’animo caotico dell’ex demone, ma gli bastò riportare lo sguardo sulla corazza di cuoio consunta ed immaginare il suo fetore per farlo desistere.
Era palese che non ne valeva la pena, non per quel pettorale, ma per la spada era diverso. Infatti quella pareva di buona fattura e ben bilanciata, nonostante fosse priva di fregi significanti.
Decise semplicemente di aspettare la reazione dell’apprendista.
-Mio padre è un glorioso guerriero, rinomato e richiesto anche da diversi lord della zona, ed io sarò il suo erede…- il ragazzo lo disse a testa bassa, troppo vergognoso per guardare quei profondi freddi occhi smeraldini.
Non vide dunque la luce emozionata che si accese sfavillante negli occhi di Serek, che svanì in fretta, lasciando dietro di sé soltanto un mezzo sorriso carico di puro cinismo –Figlio di un mercenario…bene, bene- le pupille nere lo scrutarono attentamente, valutandolo sotto ogni aspetto –Dunque devo dedurre che non sai cavartela poi male con la spada, a differenza di ciò che si direbbe a guadarti-
-Esatto! Io, come mio padre, sono davvero molto abile!- sorrise tronfio, gonfiando il petto, non presagendo le conseguenze che quell avventata spudorata menzogna avrebbe causato.
-Allora…- le labbra dello straniero si tesero in un ghigno spietato, scoprendo due file di denti bianchi e perfetti -…non ti dispiacerà di certo mostrarmi di che cosa sono capaci gli umani!- rise follemente e scattò contro il giovane a pugni chiusi.
Marne si chiese se quello, disarmato, fosse pazzo ad attaccare lui, con una spada, ma accantonò il pensiero e fece scivolare la lama fuori dal fodero, reso spavaldo dal certezza del vantaggio che quell acciaio affilato gli dava.
Tuttavia fu una certezza esile, che si infranse presto con gli attacchi del moro, cadenzati, incessanti, armoniosi. Non riuscì nemmeno ad attaccare quella figura saettante che lo colpiva.
I pochi fendenti che riuscì ad eseguire erano deboli, insicuri ed imprecisi e venivano continuamente deviati da rapidi e precisi colpi del demone, alcuni portati con il tallone, altri con il palmo, altri con il dorso delle mani.
Ben presto la spada volteggiò in aria, scintillando al sole pomeridiano, per poi conficcarsi a terra con un rumore di vetri graffiati.
Marne si ritirò di scatto, con una mano che stringeva il polso destro, che il moro aveva colpito con un rapido e poderoso calcio.
-Abile!? Come osi definirti abile quando sei a malapena capace di reggere in mano una spada!?- lo schernì irato il draconico.
Si volse verso la spada incastrata nel terreno e stava per afferrarla quando sentì un singolo passo.
Due linee parallele si aprirono sulla stoffa che copriva la schiena del demone, ed una più fine e lieve si aprì al di sotto della prima, rossa e luccicante.
In verità non era nulla di più d’un graffio leggero, poiché era riuscito a scostarsi appena in tempo per evitarlo, seppure non totalmente.
Tuttavia lo aveva preso ed il suo orgoglio menomato bruciava più di quella ferita.
Con un gesto deciso svincolò la spada dalla sua prigione di terra, saggiandola con un paio di rotazioni.
Per come gli era sembrato gli schemi di attacco di quel suo avversario ricalcavano quasi quelli dello Scaltro, nonostante risultassero più semplici e prevedibili.
Se fosse stato un demone, ragionò, la sua abilità sarebbe stata quasi pari a quella del suo amico!
Tuttavia il suo attuale avversario impugnava due daghe ricurve, nonostante il suo ambidestrismo fosse incompleto, come potevano ben dimostrare quei due squarci sul retro della camicia di stoffa.
Infatti la sinistra non era che una remora della destra e ne seguiva semplicemente i movimenti, non riuscendo nemmeno a cambiare l’angolazione del colpo.
Tuttavia la forza impressa nei fendenti era ben calibrata, anche nella mano secondaria, il che non era un’impresa da poco per qualcuno che poteva benissimo essere venti volte più giovane di lui.
Il ragazzo guardò stupito la macchia carminia sulla lama, sorridendo poi, compiaciuto dell’azione.
Un ladro. Un assassino. Un’ombra tra le ombre.
Con un sogghigno il solitario puntò la punta della spada contro il ragazzo –Ti ci è voluto un bel po’, ma ora ti sei svegliato finalmente!- sorrise nuovamente –Ora penso che mi divertirò sul serio!-
Con un urlo bellico Serek scattò, la spada tesa in un letale affondo…

Ringraziamenti:
Romance: per supportarmi sempre e comunque. Ti Amo da morire milady!
Shirahime88: ho ripreso a scrivere finalmente...sono un po' arrugginito però...cerca di perdonarmi
Illidan: Grazie dei commenti...sono curioso di sapere cosa farà il gruppo di Tassel...ehm, Legolas, quindi continua a scivere. Il perchè Seril ha chiesto la morte è l'orgoglio, voleva morire per la patria piuttosto che tornare con la consapevolezza di aver fallito...insomma un patriota. Riguardo agli angeli...quelli erano semplici reclute da quattro soldi...ma comunque vivendo come vivono rimangono comunque più inaadatti alla lotta delle loro antitesi.
Mamoru_Kurosawa: che dire, nakama, i tuoi capolavori mi affascinano, spero che i miei possano fare altrettanto. Cercherò di correggermi riguardo alla pesantezza letterale.

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Capitolo 8
*** 7: Dovere ed ambizione ***


7: Dovere ed ambizione
 
La lama corse dritta verso il petto del giovane, che solo all’ultimo istante si scansò.
La punta trapassò il cuoio consunto e la maglia di stoffa al di sotto, ma i riflessi del ragazzo erano stati abbastanza veloci da evitargli qualsiasi genere di ferita.
I due  pugnali intrappolarono la spada che aveva cercato di ucciderlo, ma il gesto fu impacciato e quella si mosse troppo velocemente.
Serek si allontanò di qualche passo, sorpreso e compiaciuto allo stesso tempo.
-Perché ti ostini ad usare la spada se sei così abile con il pugnale?!- chiese in un ringhio, vibrando un fendente che venne scansato in extremis dal biondo.
-Non ti riguarda!- urlò mordendosi un labbro per l’amarezza che aveva sollevato quella domanda.
Due fendenti verticali in salto costrinsero il demone alla difensiva.
Le daghe stridettero violentemente sull’acciaio dell’arma, costringendo il moro a sforzare i muscoli, lanciando l’avversario a qualche metro di distanza con un arco della spada.
Marne atterrò malamente, e nell’assicurarsi del buono stato dei pugnali vide la macchia.
Era sangue, ne era sicuro.
Aveva ferito quel guerriero, ci era davvero riuscito?
Sorrise felice al pensiero delle capacità che aveva affinato abbastanza da essergli utili in battaglia.
-Come osi distrarti, novellino?- chiese glaciale una voce dietro di lui.
Solo allora notò la lama che incideva il cuoio del pettorale, tenuta al contrario da una mano che spuntava da sopra alla sua spalla sinistra.
La lama si mosse.
Marne chiuse gli occhi. Non voleva morire, non ora, non così.
Sentì lo spostamento d’aria di due colpì e poi il vento rinfrescò il petto sudato.
Riaprì gli occhi e li sbattè più volte.
La spada era sparita dal suo petto e l’armatura giaceva a penzoloni dai suoi fianchi, la cinghie tagliate.
Si tirò un pizzicotto.
Nulla.
-Sei ancora vivo, non temere, se avessi voluto ucciderti non pensare che te la saresti cavata con qualcosa di veloce ed indolore.- la voce dello straniero, un po’ discostata.
Tastò la cintura.
-Se cerchi queste non preoccuparti, stavo soltanto dandoci un’occhiata, non uso armi così corte di solito.- due tonfi dietro di lui lo fecero girare.
Si chinò a riprendere le sue armi e le rimise nei foderi nascosti.
-Sai, ho un amico che ti assomiglia molto sia per come combatti che per come agisci- disse Serek in un sospiro –Ora io sono in una posizione molto delicata, ma lui scommetto che sta facendo di tutto per potermi aiutare a tornare alla mia terra-
-Sei stato cacciato? Quindi sei un esiliato…- chiese Marne, non capendo bene.
-Si…- sembrava che fosse successo qualcosa di spiacevole, qualcosa di così grande da riuscire a cambiare l’atteggiamento dell’ex demone.
-Non mi hai ancora detto il tuo nome però, straniero…- sorrise conciliante guardandolo negli occhi.
-Non…- si fermò un attimo, rovistando nei suoi pensieri -…mi chiamo Serek Udrail…-
-Non ci voleva molto, eh? Io mi chiamo Marne Jihan.- tese la mano fiducioso.
Serek la guardò per un po’, indeciso sul da farsi.
Quel ragazzo era una copia quasi perfetta dello Scaltro, stessa maniera di combattere, stessa disarmante amicizia.
Sembrava di vedere come sarebbe stato se non fossero nati all’inferno.
Ma quello era successo, e nessuno poteva cambiarlo.
Strinse vigorosamente la mano, usandola per tirarsi in piedi dal sasso su cui era seduto.
-Casa mia è di qui- disse subito, per stemperare l’atmosfera che si era fatta tanto pesante.
Lo straniero lo seguì senza discutere, armeggiando con i lacci della cintura e cercando di fissarsela al fianco.
Sembrava un bambino, alle prese con qualcosa di insolito ed estremamente assorto nella sua azione.
-Fatto- disse soddisfatto dopo aver legato i due lacci alla bell’e meglio.
Marne pensò seriamente che fosse buffo, una persona totalmente diversa da quella che aveva affrontato prima, più docile, quasi tranquilla, nonostante la fiamma della battaglia e, se è possibile, della crudeltà bruciassero senza sosta nelle sfaccettature dello smeraldo.
Non sapeva nulla della sua condanna, né il perché di quella né il rapporto con il suo amico a cui sembrava affidare senza rimpianti la sua salvezza.
Tuttavia i suoi pensieri vennero stravolti quando giunse in vista della sua casa.
Era una piccola casupola di legno, con finestre che non erano che aperture tra un tronco e l’altro e l’unico costrutto in pietra era rappresentato dal comignolo che sbucava dal tetto a spiovente, dove la vernice richiedeva una ritoccata in più punti.
Cosa avrebbe fatto suo padre? Di sicuro la spada se la sarebbe ripresa, ma come? Sperava di non assistere ad un duello tra suo padre e Serek, in fin dei conti, nonostante lo avesse quasi ucciso, iniziava a stargli simpatico.
Magari aveva fortuna e suo padre era fuori…ma no, meglio non illudersi…o forse era a dare una mano al taglialegna, ultimamente faceva anche quello…sì, no…chissà…
Con risoluzione instabile e passo debole posò la mano sul legno levigato della porta.
E spinse.
Tutte le sue illusioni furono sgretolate dalla brezza dispettosa.
Suo padre infatti non era fuori casa.
Era lì, davanti, vero…troppo vero.
E pareva furioso.
-Marne, razza di sfaticato incapace, perché diavolo te ne sei andato dall’allenamento?!- sbraitò il guerriero, per poi accorgersi della presenza dell’ospite –E chi cazzo è quel tizio che se ne sta imbambolato sulla porta?!-
Vi fu un attimo di silenzio imbarazzato.
Marne tentò di articolare una frase, ma tutto ciò che riuscì a produrre furono suoni incoerenti.
-Qualcuno ti ha mangiato la lingua, stupido demente?- riprese il padre.
-Scusate la mia audacia nell’intervenire, ma ero stato aggredito da un gruppo di banditi e se questo ragazzo non fosse venuto a soccorrermi ora sarei di sicuro cibo per vermi.- il viso di Serek era limpido mentre diceva quella menzogna, quasi come se mentire fosse diventato ormai qualcosa di automatico, normale, che non doveva neanche più essere tradito da rimorso o indecisione.
Marne si voltò verso l’ex demone, con espressione riconoscente, mentre il padre si passava una mano sulla barba ispida e tagliata alla buona, per poi sfiorare i ruvidi baffetti, patetica parodia di quelli di un barone.
-E chi saresti tu?!- il tono era aspro.
-Mi chiamo Serek Udrail, e sono uno straniero che è stato esiliato dalla sua patria.- rispose calmo il moro.
-Ma bene, un esiliato, che hai fatto, ammazzato qualcuno? Violato la figlia del re?- il capofamiglia Jihan si espresse con un’acida ironia.
-No, ho risparmiato una persona per rispettare una promessa fatta ad una creatura onorevole in punto di morte.- il volto dello spadaccino era impassibile.
-Sei bravo a combattere?- chiese il padre.
-Posso dire che me la cavo, anche se sembra sia un po’ peggiorato. Farmi colpire, benché di striscio, da dei banditi è di sicuro un grande smacco.- sorrise cortese, anche se nei suoi occhi ardeva una fiamma nascosta che solo Marne seppe individuare.
Era una smania di combattere, di affrontare avversari sempre più forti, tanto grande da metterlo in soggezione e fargli domandare se quell’essere fosse umano.
-Seguimi, se hai abbastanza palle per sfidarmi- ghignò malvagio il mercenario.
Con un sorriso quasi malvagio nascosto da un modesto inchino liberò il passo all’uomo, che lo precedette nello spiazzo davanti alla sua casa.
L’aria era calda, ed anche il vento leggero che spazzava con timide folate l’atmosfera non riusciva ad alleviare la calura.
Il mercenario si avvicinò a passo pesante ad un tronco tagliato, svellendone la pesante ascia che vi era infissa saldamente.
Serek estrasse la sua spada, gelido.
-Cosa? Credi di battermi con quello stuzzicadenti?! E come, facendomi il solletico?- rise sguaiato il padre di Marne.
Il moro sorrise –Vedremo- e si spinse alla carica.
-Idiota…- l’ascia cozzò contro la spada, ma il colosso non vide il calcio che seguì il colpo e lo colpì in pieno petto.
Spingendosi con il piede usato per il colpo, si spinse indietro –Allora?-
La risposta fu una risata maligna –Come mi aspettavo, sei solo spazzatura, di buona qualità, per carità, ma sempre spazzatura…non mi hai fatto nemmeno il solletico eppure mi hai fatto ridere.- con questo il gigante si avventò verso il demone con la possente ascia che lasciava un solco nel terreno.
Cercare di pararla era un suicidio, probabilmente avrebbe spezzato la spada.
Corse avanti, troppo vicino rispetto alla portata dell’arma del mercenario.
Non esitò ad allungare un pugno contro il torace dell’uomo.
In un movimento rapidissimo lo colpì con un buon colpo al mento, dall’altro al basso, durante il quale saltò.
Le mani del nemico tentarono di colpirlo, ma lui riuscì a divincolarsi a mezz’aria, afferrando ambedue gli ampi polsi con una presa salda, usando i soli muscoli delle braccia per sostenersi e colpendo in pieno viso con ambedue i piedi l’avversario.
I suoi muscoli, brucianti, non riuscivano a sorreggerlo oltre, e perse la presa, cadendo a terra malamente di schiena.
Gli fu subito addosso.
Un colpo lo raggiunse allo stomaco e sentì il sangue sulle labbra. Alcune costole scricchiolarono, macabre.
-Merda…- imprecò il giovane, tossendo sangue e saliva, privo di ogni forza.
La sua vista si faceva offuscata, ma poteva vedere che i suoi attacchi erano riusciti a fare qualcosa.
Certo, lo avevano a malapena scalfito, ma  ora era al livello di un umano comune, o poco più.
Con in aggiunta un bagaglio di conoscenze di uno spadaccino ultracentenario.
Per quanto riguardava le sue conoscenze magiche, quelle erano sigillate troppo bene in una lontana parte dalla sua anima, in attesa di essere liberate.
Il mondo divenne nero e perse i sensi.
-Ma guarda questo stronzo!- sbottò il padre di Marne –Per una volta, sciagurato, hai fatto qualcosa di buono- si voltò verso il figlio, che lo guardò stupito –Questo bastardo è troppo abile per essere così flaccido.- tastò i bicipiti dallo svenuto per poi increspare i suoi, scuotendo la testa.
-Portalo in casa, e fai in fretta, chiamerò il chierico per rimettergli insieme tutto ciò che gli ho spappolato.- fece per andarsene –D’ora in poi lui prenderà il tuo posto negli allenamenti, e tu ti allenerai con lui, se butto via soldi perché qualcuno vi dica come usare una spada, che almeno sia utile a qualcuno!-
Questo tizio non è normale pensò Marne Non solo non aveva paura di mio padre, ma addirittura lo ha sfidato ed è riuscito a fargli qualcosa. Se solo penso che può diventare ancora più potente ho paura. Si avvicinò all’ex-demone, mettendosi il suo corpo in spalla Chi diavolo sei Serek, ma soprattutto, cosa diavolo puoi diventare?!
Ancora tremante camminò verso la porta di casa.
 
*****
 
 
-Lenie Eril, di rapporto sulla missione di preservazione dei confini celesti.- il consiglio angelico era fremente d’impazienza.
Solo l’uomo con la barba sembrava trattenere a malapena le lacrime davanti all’espressione di glaciale odio dipinto negli occhi della cherubina.
Poi lei iniziò a parlare –La missione è stata un totale fallimento.- disse inespressiva.
La sala fu percorsa da forti vocii, campanelli di anziani discutevano, sbiancati in volto.
L’uomo con il cappuccio alzò una mano tanto rigida e tesa da tremare.
La stanza si azzittì improvvisamente.
-Dimmi, Lenie, cosa è successo?- la voce era una via di mezzo tra la voce di un padre in lutto per il suo figlio defunto e quella di un genitore che discute serio con il suo pargolo.
-I demoni erano cinque volte superiori ai nostri soldati, siamo stati soverchiati…io sono l’unica superstite, e fatico a capire perché.- brusii terrorizzati sibilavano inquieti, ma in mezzo a loro parlò l’uomo, zittendoli.
-Dunque era solo un fattore di svantaggio numerico?- chiesero gli anziani.
Un’amara risata senza speranza si levò dalla gla di Lenie
-Di quei demoni ne sono rimasti solo due.- un mormorio di soddisfazione si levò, timido –Gli altri sono tutti morti in pochi minuti prima che iniziasse la battaglia. Uccisi da quei due che hanno annientato totalmente la nostra unità. Anche il mio Seril…giace mutilato nei confini, trafitto a terra dalla sua stessa spada angelica.-
Non un alito di vento osò dire la sua, l’unico rumore era quello delle toghe che frusciavano sul liscio pavimento.
-Due…demoni…hanno distrutto…cento angeli? E’…è assurdo!- si lamentò un vecchio, con tono piagnucoloso.
-Lenie, conferma se dico bene, i due erano incolumi dopo la battaglia vero?- chiese l’incappucciato.
-E’ così, Signore, solo la spada di Seril è riuscita a ferire il demone squamato- rispose Lenie, digrignando i denti.
-Ma non è servito a nulla contro i suoi trucchetti sleali, sbaglio?- c’era amarezza nella voce, ma Lenie scattò.
Si trovò a stringere la stoffa grezza del mantello, tanto vicina al corpo che ne era coperto da sentirne il calore.
E lo stava scuotendo con veemenza.
-Come osi?!- urlarono gli anziani, ma l’uomo li zittì nuovamente, rigido, per poi abbracciare teneramente la schiena della singhiozzante fanciulla angelo.
-Va tutto bene, figliola…o meglio…proveremo a far sì che andrà tutto bene.- questo strappò una piccola risata alla donna, che ancora in lacrime si allontanò.
Quando alzò lo sguardo vide dei capelli castani un po’ arruffati, che incorniciavano con la barba un viso splendido e due occhi azzurri che piangevano.
Cadde in ginocchio dinnanzi a lui, in soggezione.
-Capisco come ti senti, figliola…- Lenie sentì una mano che gli accarezzava il capo, gentile.
Era piacevole.
-Vuoi la vendetta così tanto?- la domanda la colse del tutto impreparata, e si chiese come facesse ad aver capito.
Poi si rispose. Onniscienza.
-Si- la voce determinata, gli occhi duri ribollivano di forza.
-Non ho il diritto di toglierti questa possibilità.- sorrise brevemente, di un sorriso mesto –Ti proclamo Vendicatrice…-
-Vi ringrazio, mio Signore, possiate benedirmi.- un piccolo sorriso le tirò le labbra.
Si voltò ed iniziò ad avviarsi tra tutti i vecchi verso la porta.
-Probabilmente ora il demone draconico non si trova più nell’Inferno, ma è esiliato nel Mondo di Mezzo, il Diavolo che ora hanno gli Inferi di sicuro non potrà tollerare che un suo subordinato gli abbia disobbedito.-
-Grazie dell’informazione.- disse Lenie, ed uscì.
Lentamente l’uomo si rimise il cappuccio, sospirando.
-Rabbì, cosa accadrà?- chiese uno degli anziani.
-Non lo so….-neanche l’onniscienza e l’onniveggenza potevano prevedere cosa sarebbe potuto accadere….


RINGRAZIAMENTI:
Romance: Come al solito troppo gentile, grazie di continuare a prenderti cura di me. Ti Amo da morire!
Illidan: Caro nakama e (quasi) compaesano, spero che anche questo ti possa piacere. Sei contento che Marne non crepi? Per ora almeno...comunque non è di questo che voglio parlare. Le domande che mi hai fatto, tutte più che legittime, troveranno risposta solo più avanti (anche se credo di averti detto qualcosa in merito...beh...fai finta di nulla. E già che ci sei tira un calcio al baby Boromir da parte mia)
anil13: Grazie delle recensioni, sebbene un po' astiose nei miei confronti...spero continuerai a leggere e, chissà, magari questa storia potrebbe anche iniziare ad andarti a genio.

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