Heaven or hell di Rakyr il Solitario (/viewuser.php?uid=12729)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo: memorie di un menestrello errante ***
Capitolo 2: *** 1: Inferno ***
Capitolo 3: *** 2: Paradiso ***
Capitolo 4: *** 3: La Porta ***
Capitolo 5: *** 4: Parola d'onore ***
Capitolo 6: *** 5: Esilio ***
Capitolo 7: *** 6: Straniero ***
Capitolo 8: *** 7: Dovere ed ambizione ***
Capitolo 1 *** prologo: memorie di un menestrello errante ***
Prologo:
Memorie di un menestrello errante
Un giovane ragazzo s'avvicinò ad una tenda color del fuoco,
una tenda piccola, ma bella, appena al di fuori dalle mura della
cittadella
fortificata, ormai vuotate dalle sentinelle, che un tempo fiutavano il
lontano
spettro della guerra annidato negli altri popoli.
Era leggermente scostata da quelle impervie mura, come ad
appropriarsi della protezione della roccia, ostentando comunque la sua
indipendenza e la sua unicità, pochi entravano in
quell'abitazione
improvvisata,che reggeva anche le tempeste e le alluvioni.
I pochi che la visitarono, ne uscirono sempre più radiosi
di prima, raccontando storie mai udite, di imprese e di eroi, e dicendo
che
quella era la enda di uno stregone, esperto della vita e della morte e
dell'arte del canto.
Ne parlavano come di un saggio, anche se avevano ammesso
di non averlo mai visto in viso, questa era la scommessa del giovane,
voleva
riuscire ad ammirare il suo volto, riuscendo dove altri avevano fallito
-Entra pure, giovane visitatore-
Non aveva fatto rumore nell'avvicinarsi e la sua ombra era
proiettata nella direzione opposta alla tenda, le cui pareti erano
troppo
spesse perchè si potesse scorgere qualcosa attraverso di
esse.
-Non essere titubante, io ti vedo anche se la tua ombra
scompare lontano e i drappi mi coprono gli occhi-
Aveva capito quello che pensava, oppure lo sapeva e basta?
Provò un'incredibile voglia di correre indietro, dai suoi
amici, e amettere la
sua codardia.
Tuttavia il suo orgoglio era così forte che gli fece
stringere i pugni e lo costrinse a scostare la tenda, facendo un passo
nella
penombra all'interno.
-Ti aspettavo, mio giovane amico- una figura incappucciata
immersa nell'ombra della capanna aveva parlato, illuminata soltanto da
poche
candele, le cui luci danzavano su di lui, creando fantasmi infernali o
visioni
paradisiache e giocando con i lembi del nero mantello e con le fattezze
del suo
volto.
-Accomodati, e sii il benvenuto in questa mia umilissima
dimora solitaria- con voce pacata gli parlò, stendendo un
braccio ed indicando
con un dito robusto ed affusolato un seggio ornato da stoffe rosse.
-Avete detto di aspettarmi, signore...come facevate a
sapere del mio arrivo?-
-Io vedo-
-Avete una sfera di cristallo, uno specchio...- la voce
del ragazzo venne interrotta dalla contenuta risata di chi lo ospitava.
-Non capisci molto bene ciò che ti si dice, ragazzo...se
vuoi potrei dirti il tuo passato guardandoti negli occhi!-
così esclamò,
intimorendo l'ospite, che si alzò avviandosi verso
l'entrata, l'uomo fece un
gesto vago con una mano, che sembrava dire "fa' pure", ma irrigidendo
la mano alla fine, per poi lasciarla tornare su un libro che giaceva
aperto sul
suo grembo, il ragazzo avrebbe potuto dire di aver visto il candore dei
denti
del mago per un istante, come se avesse sorriso poi le dispettose
fiammelle
illuminarono nuovamente il cappuccio nero con decorazioni dorate ed
argentee.
Un tuono turbò quella calma, il giovane spaventato
guardò
fuori, scostando i drappi. Il cielo lampeggiava furioso, illuminando le
nere
nuvole con esplosioni irose e funeste, mentre l'acqua flagellava la
terra,
copiosa, senza fermarsi nè concedere una breve tregua,
improvvisamente un
fulmine discese dal cielo, colpendo e carbonizzando una porzione di
terreno
vicina alla tenda. L'odore di azoto lo persuase che quello non era un
sogno.
-Sembra tu non possa andartene ora, dunque siediti ed
ascolta una storia che ho sentito in uno dei miei viaggi-
-Chi mi dice che non siete stato voi a provocare tutto
questo?-
-Nessuno...ma non penso che tu possa fare qualcosa in
merito anche se così fosse- gli sembrò di vedere
un'altra volta il biancore dei
denti di lui.
Acora una volta il ragazzo strinse i pugni, frustrato-Ma
chi diavolo siete voi?-
-Un ramingo bardo che per uno scherzo del fato si è messo
a studiare l'arcano.- sorrise accondiscente, guardando con i suoi
occhi,
nascosti nell'ombra, quelli del giovane, di un colore smeraldino venato
di
castano ed oro -Vedo nei tuoi occhi fiamme e cielo...-
-Che dite? Le uniche fiamme che ho mai visto sono quelle
del camino ardente-
-Proprio come pensavo...- sussurrò -E che mi dici del
fuoco che brucia la tua anima, lo spirito guerriero indomabile che ti
spinge
nelle sfide e nelle battaglie?-
L'ospite sgranò gli occhi, facendo un passo indietro -Ma
voi..voi come...?-
-Sembra tu sia un po' duro d'orecchi, ho già detto che io
vedo...-
-Voi siete...-
-Chiamatemi stregone, mago, impostore, fattucchiere,
alchimista...chiamami come vuoi, la mia persona non muterà
di certo davanti a
quelle vuote parole, come la tua non cambia davanti ai tuoi numerosi
epiteti...demone ti chiamano, nevvero? Solitario, pazzo...-
-Tacete!-
-E se non volessi?-
L'altro digrignò i denti, rendendosi conto della sua
impotenza, detestava quella sensazione -Possiate essere dannato...-
-Chissà, magari lo sono di già- rise e si tolse
il
cappuccio, lisciandosi i lunghi capelli d'ebano, serici e sottili,
nascondendo
in quell'ordinato groviglio il proprio volto ed i suoi occhi -Ora
siediti ed
ascolta questa storia mentre aspetti che la tempesta si calmi-
Il giovane fremette d'ira, ma poi si acquietò, sopraffatto
da quell'odiosa impotenza e si sedette nuovamente sul seggio coperto da
drappi
mentre lo stregone sfogliava l'antico libro ingiallito con le sue
esperte dita,
fermandosi, proseguendo, rincorrendo lettere e parole con il dito e
percorrendo
frasi con l'indice.
Infine si fermò, si schiarì la voce e
cominciò a leggere
con voce saggia e profonda -Questa storia dimenticata da tempo narra di
un
demone e di un angelo e di come si conobbero e si allearono.- si
fermò a
scrutare l'espressione del giovane...interessamento misto a stupore,
come aveva
immaginato.
-L'inferno, una landa desolata di lava e pietre arse dal
fuoco eterno, il regno dei demoni....-
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Capitolo 2 *** 1: Inferno ***
1:
Inferno
L'inferno, una landa desolata di lava e pietre arse dal
fuoco eterno, il regno dei demoni, creature malvagie dalle varie forme,
mutevoli
come la terra da loro abitata, dove cunicoli creati a causa delle
frequenti
eruzioni si alternano a deserti ardenti e mortali, nel mezzo dei quali
spuntano
vulcani attivi e alte colonne di pietra vulcanica, che si allungano
all'infinito per sostenere la volta colma di stalattiti appuntite come
lance e
più grandi di un uomo, a causa delle quali più di
una volta un abitante di
questa terra inospitale è morto, senza lasciare di
sè abbastanza tracce per
capire se si trattasse di incidente o di omicidio.
In fondo un omicidio così discreto e perfetto non poteva
che essere premiato lì all'inferno.
Nessuno laggiù aveva la coscienza troppo pulita e
l'assassinio efferato non era certo un tabù, la giustizia e
la punizione era
per chi non agiva con silenziosa abilià e letale precisione,
di solito agendo
in mezzo alla gente anzichè con la copertura della
solitudine. Se il soggetto
era forte si doveva persino sprecare una daga da piantargli nel collo o
nella
schiena.
In fondo i vulcani abbondavano e nessuo sarebbe mai più
andato a cercarli in quel mondo dove l'amore e la compassione erano i
veri
tabù.
Poche città interrompevano il desolato paesaggio, ammassi
di case e palazzi più o meno grandi, vie, stradine, negozi
dai mercanti
disonesti, ogni angolo di luce ne lasciava tre di ombra, dove
più di una volta
demoni poderosi sono svaniti senza lasciare traccia...non che qualcuno
si fosse
neppure sforzato di cercarne.
Spesso una morte significava un contendente in meno,
quindi era accettata a braccia aperte.
Le case di pietra lavica erano squallide, senza finestre
se non pochi buchi non più grandi di una mano e con porte
possenti,
impenetrabili, palazzi dalle forme inutili si allungavano come torri o
stalagmiti, alcune rare erano modellate come un castello, anche se era
un lusso
e un capriccio che solo i mercanti più anziani e disonesti o
le gilde più
antiche, grandi e corrotte potevano permettersi.
Lì, in quelle spoglie città delle tenebre c'erano
un
numero elevatissimo di gilde di ogni natura, che, su compenso
ovviamente, ed il
più sostanzioso possibile, si occupavano di ogni genere di
lavoro, lecito o
meno.
Si partiva dalle scorte a demoni deboli o interplanari,
creature di natura non specificata che viaggiavano per i piani degli
elementi e
dell'esistenza, alle richieste di omicidio, dal rapimento alla rapina.
Gli scrupoli non
esistono quando si gioca con la
vita...le gilde più povere infatti erano costrette a
mendicare e boseggiare,
non che queste attività fruttassero molto, anzi, erano molto
dispendiose e
rischiose, ma era tutto ciò che avevano, oltre a missioni di
infimo rango mal
pagate.
Il pesce grande mangia il pesce piccolo si dice, no? Mai
una frase del genere poteva esprimere meglio la vita dell'inferno.
Quando una
gilda povera riusciva ad ingrandirsi veniva sterminata da quelle
più grandi per
evitare contrasti
futuri, magari
prendendo sotto la propria ala i più promettenti dei membri,
i più ambiziosi,
che talvolta uccidevano il capo gilda, usurpandone il posto, e
continuando il
procedimento all'infinito. I più scaltri invece rimanevano
delle seconde o
nelle terze file, usando comunque i superiori come marionette e non
curandosi
degli stravolgimenti, questi demoni erano calcolatori e subdoli, senza
pietà,
ed uccidevano, con la dovuta discrezione s'intende, chi li ostacolava.
Pochi di queste creature morirono in battaglia, poichè a
maggior pate di loro erano arcimaghi o stregoni dagli immensi poteri,
che
rimanevano comunque dietro ai cavalieri ed ai fanti, poco propensi a
lasciare
la pelle in un combattimento. Preferivano la fuga alla lotta e gli
unici di
loro che sono morti sono stati preceduti da tutta la loro gilda, oppure
con un
pugnale nella schiena in un vicoletto oscuro.
Razza previdente quella degli abitanti degli inferi.
Raramente si stringevano amicizie, a patto che il termine
fosse conosciuto, tra i demoni, di solito erano solo alleanze di
convenienza,
che si scioglievano una volta diventate inutili per l'uno e per
l'altro. In
queste alleanze oltretutto si cercava di mantenere i propri segreti,
evitando
di dare informazioni preziose a quello che da un momento all'altro
sarebbe
potuto diventare un nemico, anche se certe volte si facevano trapelare
informazioni false, in modo da deviare le ricerche.
Il segreto più grande di ogni demone era soprattutto il
nome, che era tenuto in gran segreto e mai divulgato. Chiunque
conoscesse il
nome di un demone poteva controllarlo, per questo si usavano
frequentemente
soprannomi o nomi inventati.
Alcuni di queste
creature avevano addirittura dimenticato il loro vero nome, ed
è proprio
intorno ad uno di questi, che tutti chiamavano Il Solitario, che si
svolgono
tutti gli eventi che si vanno a narrare...
Quel giorno era una
comune giornata, gli era stata affidata una missione di sterminio, un
lavoretto
semplice, si trattava solo di massacrare un gruppo di demoni planari
del fuoco,
niente d'impegnativo o di impossibile per lui e per il suo compagno.
I due demoni si
avviarono per la distesa cinerea, aggirando sapientemente fenditure e
piccoli
vulcani attivi.
Quello era il loro
terreno, lo conoscevano come le loro tasche...
-Scaltro, stai attento-
il primo, una creatura alta e possente, si voltò verso il
secondo, più minuto,
che giocherellava incurante con una daga lunga come il suo avambraccio,
lanciandola e riprendendola al volo, prima dal manico, poi dal piatto
della
lama -Cerca di non far finire la tua daga in uno di questi anfratti,
l'ultima
volta sono dovuto andare a recuperarla-
-Scusami, Solitario, ma
io non ho delle ali, a differenza di te- lo guardò
sarcastico, mettendo però
via l'arma, alla quale era affezionato perchè più
di una volta gli aveva
salvato la pelle grazie ai poteri magici che giacevano in essa,
aspettando solo
qualcuno abbastanza potente per usufruirne.
Il primo essere era un
demone di origine draconica, come testimoniavano le ampie ali
membranose, le
scaglie spesse ed impenetrabili che ricoprivano la parte esterna di
gambe e
braccia e degli speroni ossei che sembravano elaborati e utili
spallacci adorni
di artigli e spine sulle spalle, dal capo spuntavano due corna ritorte,
che
terminavano dietro alla nuca, coperta da una selvaggia chioma d'ebano,
che,
assieme alla carnagione abbronzata faceva risaltare molto gli occhi
verdi,
intensi e profondi, ma gelidi come il suo cuore, il petto era coperto
da una
pesante corazza completa d'acciaio, intessuta con ogni sorta
d'incantesimi
protettivi, le gambe erano coperte da laceri calzoni, rinforzati
all'interno e
tenuti in vita da una cintura con molte piccole tasche dove riporre
pergamene e
pozioni di ogni natura.
Il secondo era più
basso, anche se non molto, forse dieci centimetri scarsi in meno, e
più magro,
anche se non molto più esile, la sua razza era molto comune,
demoni di origine
semiumana, gli era quasi impossibile provocare rumori e si muoveva con
agilità,
forse apparteneva anche in parte alla razza degli aracnidi,
poichè la sua pelle
era molto scura e riusciva senza problemi ad arrampicarsi per muri e
soffitti,
addirittura camminandovi senza tener conto della gravità,
era equipaggiato
leggermente, un'armatura di cuoio borchiato che emanava leggeri
bagliori,
probabilmente potenziata con la magia, una cintura simile a quella del
suo
compagno, pantaloni ordinati e rinforzati con acciaio ed adamantite su
ginocchia e cosce, i capelli erano di un castano scuro, come anche i
suoi
occhi.
Prese in mano i guanti
che aveva riposto in una tasca e se li mise -Ehi, compagno,
perchè non ti
decidi a mettertene un paio anche tu, sai, potrebbero migliorare le tue
abilità-
Il demone, sarcastico,
mostrò le mani squamate che terminavano con artigli, anche
se questi non erano
abbastanza ingombranti da impedirgli di impugnare una spada -Lo sai da
quando
eravamo bambini che io non posso...- lo fissò e vide che
rideva -Ti piace
girare il coltello nella ferita, eh?-
-Dai, era solo per
scherzare...-
-L'ultima volta che
qualcuno l'ha fatto s'è ritrovato senza testa...- l'altro si
rifece serio,
mentre il primo pensava di ucciderlo davvero
-In questo modo però
dovremo interrompere la nostra proficua alleanza...o per meglio
chiamarla...come si diceva...ah si, amicizia-
Amicizia, già, una
delle poche vere amicizie in quel regno di odio e profitto spietato,
fin da
bambini si erano aiutati a vicenda, nessuno dei due era stato mai
estremamente
ambizioso, cosa insolita per due demoni, sebbene giovani, e questa
scarsa
cupidigia non era cresciuta con gli anni e non impediva a loro di
spartirsi il
bottino delle missioni.
Siccome non erano
stolti avevano capito che sopravvivere in due era molto più
semplice e la loro
modestia aveva semplificato le cose.
Però questo trattamento
era solo tra loro, raramente uscivano in missione con altri compagni,
ed ancora
più raramente rientravano dalla missione con quei compagni
vivi.
Erano morti
valorosamente in battaglia, sempre la solita scusa, e nessuno sapeva
quante
volte quella scusa fosse veritiera nè per quanti di quei
combattenti.
Ormai in duecento anni
avevano raccimolato un bottino più che abbondante, e stavano
seriamente
pensando di mettersi in proprio.
Erano ancora immersi
nei ricordi quando vennero cirondati dal loro bersaglio, un gruppo di
planari
del fuoco, erano circa una decina, non dubitarono nemmeno un istante
che fosse
semplicemente un'avanguardia -Un misero riscaldamento, non credi
Solitario?-
disse il più minuto, estraendo l'arco lungo composito
permeato da un'aura
azzurrina ed estrasse dallo zaino una faretra con alcune frecce coperte
da
un'energia gelida forte, mentre l'altro sfoderava le due spade lunghe,
a doppio
taglio e di fattura pregiatissima, che teneva legate ai fianchi,
ambedue che
crepitavano per la magia, un riflesso intenso e carminio sul piatto,
che si
intersecava, formando arabeschi dalle forme mutevoli ed imprevedibili.
Pronunciò sotto voce
poche parole arcane e cantilenanti, in tono austero e passò
l'indice ed il
medio sul filo delle lame, che iniziarono a lasciare un alone di
freddo,
facendo formare piccole schegge di ghiaccio sul lucente metallo
-Morditi la
lingua una buona volta, Scaltro...- disse mettendosi schiena contro
schiena con
il suo amico.
I loro movimenti furono
estremamente coordinati, l'arciere attaccava quei demoni che si
tenevano fuori
portata o che minacciavano le spalle dello spadaccino, sembravano
legati da un
legame impalpabile, facevano mosse sincronizzate e rapide, quasi
sovrannaturali, e tutto il combattimento parve una danza spietata ed
aggraziata.
L'ultimo planare morì
pochi minuti dopo il primo.
I due compagni, per
nulla stanchi, si rimisero in assetto di battaglia, pronti ad un altro
eventuale assalto da parte da quelle creature fatte di magma e pietra
lavica.
L'attesa fu lunga, ma
il silenzio pervadeva la piana, interrotto solo dal crepitare delle
fenditure
incandescenti e dagli scoppi e dalle eruzioni dei vulcani, infine
ebbero la
certezza che quegli esseri non volevano un confronto diretto e che
avevano quel
minimo di cervello necessario per evitarlo.
Dovevano stanarli in
qualche maniera, il migliore dei metodi era fingere di dar loro le
spalle,
facendo credere a quelle creature che non avevano percepito la loro
presenza,
si guardarono negli occhi e fecer un cenno col capo. Simultaneamente
misero via
le armi, anche se più che altro le nascosero sotto ai
mantelli scuri per essere
pronti a tornare attivi e pronti alla battaglia in un tempo
relativamente
breve.
Tuttavia sarebbe stato
sufficiente a rendere nullo il loro vantaggio.
I demoni planari
tuttavia non capirono l'inganno e si precipitarono fuori dal loro
nascondiglio,
venendo subito trafitti dalle rapide frecce dello Scaltro, che ne
incoccava tre
alla volta, senza che nessuna di esse mancasse un punto vitale di
quelle
creature infernali.
Quelli più vicini
cercarono di colpirlo per fermarlo ed ucciderlo, ma le lame saettanti
del
Solitario li colpirono, spietate e letali, mozzando loro arti o
fendendo il
loro petto di fiamme e roccia lavica, facendo sì che
cadessero divisi a metà,
era quasi l'opera di un preciso macellaio.
Non c'era scampo per
loro, e lo sapevano nonostante cercassero con mosse azzardate e
disperate di
colpirli, ottenendo sol una morte veloce e gelida.
Lo Stolto ghignava, il
Solitario aveva un crudele luccichìo negli occhi.
Alle loro spalle uno di
quegli esseri provò ad attingere dalle sue limitate
capacità magiche dettate
dalla sua natura di planare pronunciando un incantesimo che avrebbe
generato e
scagliato una palla di fuoco delle dimensioni di un uomo una volta
compiuto.
Una lama gli si
conficcò nel petto prima che riuscisse ad arrivare a
metà formula e gli troncò
le parole in gola.
Quando cadde a terra
era già morto.
-Grazie amico...ti sei
ricordato che solo tu sei immune al fuoco, eh?- rise lo Scaltro
continuando ad
attingere dalle varie faretre legate al suo corpo
-Taci e combatti una
buona volta- l'altro non gli stava nemmeno prestando attenzione agli
sproloqui
dell'amico e continuava ad abbattere gli avverari con l'unica spada che
gli era
rimasta in mano, aiutandosi con gli artigli dell'altra mano, ora
anch'essi ora
permeati di gelo pungente, che avevano quasi la stessa
affidabilità dell'arma.
-Sono tanti però forse
potremmo persuadere il nostro datore che qualche moneta in
più non guasterebbe-
il demone venne totalmente ignorato -Uff...non c'è
divertimento a parlare con
te, sei sempre preso dalla battaglia...- la sua espressione era quella
di un
bambino a cui veniva somministrato un piatto che non gradiva,
però non disse
null'altro e continuò a combattere, questa volta riponendo
l'arco ed estraendo
la daga.
-Strano, hai smesso
prima del solito...a che pensi?- chiese rilassato il Solitario
uccidendo con
una rotazione su se stesso i demoni che l'avevano circondato
-Hai mai pensato che il
Diavolo ci possa voler morti?- chiese mentre saltava calciando la testa
di una
creatura davanti a lui e conficcado il pugnale nel petto di un'altra
dietro di
lui
-Non abbiamo mai fatto
nulla per irritarlo- disse il primo decapitando due avversari in una
volta e
stringendo con la sinistra la testa di un altro finchè il
cranio non s'infranse
per la crescente pressione, ritrasse la mano artigliata pulendola su un
cadavere mentre trapassava un essere con la spada che teneva nella mano
destra
-Al contrario gli siamo utili, ci sporchiamo noi le mani, non lui...-
-Non hai mai pensato
che potremmo essergli scomodi?- una raffica di pugnali
abbatté un folto gruppo
di planari -In fondo tu hai le carte per rubargli il posto...-
Il Solitario grugnì
continuando a mietere vittime tra le fila nemiche senza scomporsi
-Morditi la
lingua e completa il lavoro...ricordati che qi anche i muri hanno
orecchie ed
anche le rocce hanno bocca- in verità il pensiero di
diventare Diavolo l'aveva
sfiorato più volte...non nutriva poi tanto rispetto per quel
dittatore che
stava rendendol'inferno invivibile per tutte le gilde, tranne per la
sua, di
cui ora facevano parte.
Il Diavolo era il re
degli inferi, e come tale dettava le regole di quell'inospitale terra
di fuoco
e pietra...era una carica ambita, anche se rischiosa.
Più una schiena è
esposta più viene voglia di pugnalarla...
Tuttavia questo tiranno
non perdonava ed il suo pugno di ferro nel governare, oltre che la sua
forza
indiscutibile, avevano disilluso molti arcidemoni sulle
possibilità di
governare sulle lande desolate, anche se rima che arrivassero a questa
consapevolezza le rocce si erano bagnate infinite volte di sangue.
Troppe
volte.
Un grande essere di
fiamme con quattro
braccia cadde
all'improvviso dalla volta di pietra, schiacciando parte dei suoi
compagni con
la sua non indifferente mole.
-Lo lascio a te- disse
il ladro voltando la schiena al compagno, che lo acchiappò
per il colletto con
rapidità -Tu stai qua, altrimenti...- fece eloqentemente
schioccare le dita
acuminate -...chiaro?-
-Cristallino...- disse
l'altro sorridendo istericamente, intimorito dalla minaccia del
draconiano.
Il demone non stette ad
aspettarli e con un pugno frantumò il terreno sotto di loro,
il Solitario si
umettò le labbra -Scaltro, prepara le pergamene del sigillo
demoniaco...questo
dovrebbe essere un pezzo raro...- un altro pugno fece tremare il
terreno,
sempre più vicino.
Il guerriero spiegò le
ali e si librò sopra alla testa del demone, sfidandolo a
raggiungerlo, l'altro
sollevò un masso grande quanto un uomo e lo
lanciò, mancando di poco il moro,
che iniziò a recitare le parole di un incantesimo che
avrebbe raffreddato i
bollenti spiriti del colosso di lava e roccia.
Dalle mani partì un
raggio fatto dell'essenza stessa del gelo, che raffreddò,
rendendo pietra, i
legamenti di magma fuso dell'essere, che così immobilizzato
non riuscì a
schivare i seguente fendente, che gli aprì uno squarcio nel
petto -Scatro,
ora!- l'altro teneva in mano una pergamena arrotolata e fermata da un
sigillo
in cera rossa, che inserì violentemente nella ferita, senza
perderne la presa
-Anima dannata, abitante infernale, trova la tua dimora in questa
pergamena
finchè il tuo padrone non si riterrà
soddisfatto!- strappò il sigillo -Sigillo
demoniaco dell'anima e dell'essenza!- il colosso si deformò,
converendo nella
pergamena, chiusa prontamente dal ladro con un legaccio di cuoio
-Fatto- disse
rimettendo il foglio arrotolato nella borsa da cintura.
-Torniamo, qui abbiamo
finito...- disse pensieroso il Solitario contemplando quello che
rimaneva dei
planari, per poi recuperare la spada persa in duello e lasciare quel
logo di
morte e desolazione.
Grazie
a Romance per la generosa recensione...spero che qualcun'altro possa
apprezzare questa mia umile storia
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Capitolo 3 *** 2: Paradiso ***
2: Paradiso
Eterni
prati verdeggianti bagnati dal sole e da tenui ruscelli si estendevano
a
perdita d'occhio tra le soffici masse delle nuvole perenni
Terre
graziate dalla luce e dal calore del sole, dove non c’era
traccia d’oscurità,
solo puro candore e smeraldino splendore, con un cielo così
celeste da
risultare surreale, sorgenti di cristallo allietavano l’aria
spazzata da
gentili brezze fresche con la loro gorgogliante voce timida quando
formavano
piccole cascatelle.
Cascate
più grandi vi erano e lasciavano che il vento trasportasse
il loro possente
ruggito mentre cadevano dai confini del mondo incantato, di
quell’eden eterno,
vivo e reale, ma leggendario ed etereo come i pensieri di un bardo.
Fiori di
ogni specie ed alberi di ogni genere rendevano l’atmosfera
pregna di un
delicato, piacevole profumo, fine ma quasi palpabile.
Esseri
dalla pelle vellutata ed immacolata camminano silenti, ali splendide
rifulgenti
di luce propria ne ornavano la schiena.
Esseri
semidivini, dai poteri grandi e benigni che abitavano in case spaziose
ed
aperte.
Una
società invidiabile e pulita, piena di ricchezza e di
prosperità.
Così
sarebbe parso a chiunque, vedendo i visi sorridenti di quegli angeli.
Tuttavia
era un sorriso freddo, un sorriso che avevano sempre perché
nessuno aveva mai
insegnato loro come essere tristi, un sorriso enigmatico, pieno di
controsensi.
Anche
qui esisteva la corruzione…angeli cadevano nella brama di
potere ed aiutavano i
demoni, barattando informazioni per ricchezze e manufatti, per poi
venire
esiliati all’inferno come esili contenitori o, peggio,
esiliati nel mondo di
mezzo, il regno degli uomini, privati delle ali e di gran parte dei
loro poteri.
Eppure
in mezzo a quella bellezza tagliente come una lama glaciale esisteva un
fuoco
limpido, puro.
Una
giovane donna si sarebbe detta, non troppo alta né troppo
bassa, capelli biondo
scuro le scendevano lungo il bianco vestito mentre gli occhi
azzurro-verdi
scrutavano tutto intorno vivacemente.
Si alzava
in punta di piedi a tratti a staccare dai floridi rami succosi frutti
dall’aspetto appetitoso, studiando la forma delle belle
foglie e annusando
l’essenza dei fiori e della linfa verde del legno.
-Sempre attiva
come sempre, sembra la stanchezza non esista per te…- rise
mentre salutava la
figura di uomo che la scrutava da un ramo dell’albero sotto
al quale stava
passando.
Egli
saltò giù ed insieme si avviarono verso una
piccola casetta dalle pareti
cerulee come il cielo sul cui si stagliava.
-Com’è
andata la giornata ai Confini?- la ragazza parlava all’uomo,
seduto su una
comoda poltrona bianca, accanto alla quale aveva posato
l’arco che prima
portava a tracolla
-La
situazione è stabile…sembra che il periodo di
pace sia destinato a durare-
Sapevano
ambedue che quella era una menzogna, una menzogna ripetuta
così spesso da farla
sembrare verità, una farsa che ormai iniziava ad incrinarsi,
mostrando i tetri
contorni della guerra.
Difficile
non notare i volti contratti dei serafini che si allenavano
furiosamente.
Difficile
ignorare il costante trambusto di fabbri e maghi che creavano ed
intessevano
armi di ogni incantesimo sacro da loro conosciuto o dei novizi chierici
e
guaritori che venivano sbatacchiati di qua e di là
perché imparassero i
fondamenti della loro disciplina.
Difficile
credere che l’estrema quiete dei confini non nascondesse
un’ombra maligna
pronta a scaraventare nel caos l’Eden.
Difficile
non sentire i bisbigli frettolosi e preoccupati che correvano di bocca
in
bocca, come una sentenza di morte.
Impossibile
non capire che la maschera di calma e pace degli angeli si stava
rapidamente
infrangendo in schegge che perforavano loro il cuore e dilaniavano
l’anima.
-Ne sono
contenta- un sorriso mesto, che non si riflesse negli occhi.
Un
sorriso che sapeva d’inganno.
-E tu
invece, che si dice in giro?- un altro inganno, un altro falso sorriso.
Lei
sbuffò, abbassando il capo –Lo sai che cosa si
dice, lo sappiamo tutti, ma
nessuno vuole dirlo apertamente!- i capelli le coprivano il volto,
tuttavia il
ritmico movimento delle spalle rese chiaro che stesse piangendo
–Sarà guerra
agli Inferi, vero…?- la voce era singhiozzante.
Lui le
sollevò il viso, abbracciandola, mentre lei nascondeva il
viso nelle pieghe
della sua vivace veste –Perché?-
singhiozzò ancora.
-Perché
sono malvagi, perché bramano il potere…-
automatica, come da istruzione.
-E se…se
non tutti fossero malvagi? Se qualcuno avesse un…cuore?-
tremante il respiro, come
i suoi pensieri.
Lui la
guardò stupito –Ti rendi conto di cosa hai appena
detto?-
-Si-
determinazione, sicurezza.
La
guardò, nel viso non c’era pentimento, non
c’era vergogna –Forse è per questo
che ti amo- dicendo così la baciò dolcemente,
mentre lei ricambiava il gesto.
Tuttavia
era un bacio triste, un bacio di chi sapeva che quella sarebbe
l’ultima volta
che avrebbe toccato le labbra dell’amata.
Tutto
quel trambusto nascondeva solo paura, paura di non essere pronti a
respingere
l’armata nemica, paura di morire, paura della mano nera che
silenziosamente
strisciava verso il loro regno di cristallino splendore.
Uno
splendore fragile come vetro soffiato…
Un
rumore di nocche contro la porta –Sirane, stanno chiamando
per l’adunata…-
L’angelo
prese l’arco da terra e la faretra, stringendo al petto un
ciondolo consacrato
ed un tomo magico di piccole dimensioni e dalla copertina abbastanza
consunta.
-Promettimi
che tornerai- la voce della donna, dietro di lui, seria.
Lui si
voltò, abbracciandola nuovamente, per poi avviarsi verso la
porta
–Sopravvivi…ti prego…-
L’arciere
si fermò, scuotendo la testa, per poi uscire
all’aperto e chiudere la porta
dietro di sé.
La
ragazza pianse tutte le sue lacrime, lacrime di disperazione per quella
promessa impossibile, lacrime di dolore per il Paradiso stesso, che
stava
avviandosi verso la distruzione, lacrime amare e salate.
Ancora
qualcuno bussò alla porta.
Lei si
ricompose, asciugandosi il pianto dagli occhi chiari e cercando di
indossare la
maschera più sorridente che aveva.
Ancora
una farsa…
-Lenie,
l’ordine dei guaritori ti ha convocato- una voce, dal tono
malinconico.
-Aspetta
solo un momento, mi sciacquo il viso-
L’acqua
fredda le tonificò il viso, cancellando le tracce del pianto
sulle sue guance e
rendendo i suoi occhi un po’ meno rossi e gonfi.
-Manon,
eccomi- aprì timidamente la porta all’amica.
La
persona al di fuori della porta era semisdraiata sul muretto antico
davanti,
con la schiena appoggiata ad uno dei due pilastri della volta che un
tempo
apparteneva ad un palazzo e le candide ali spiegate.
-Eccoti
finalmente…- disse mettendosi in piedi e sbattendo un paio
di volte le ali per
sgranchirle
-Scusami…-
arrossì, imbarazzata
-Macché,
macchè- la donna la guardò dolcemente ed insieme
veleggiarono nel vento verso
l’imponente costruzione d’oro ed argento della
basilica celeste, che tra le sue
molteplici mansioni, come quella di preghiera e di luogo dove
festeggiare
diverse ricorrenze, aveva quella di ospitare concili e riunioni
importanti.
Le due
cherubine ripiegarono le quattro ali dietro alla schiena per entrare
dal
portone decorato e stupendo dell’edificio.
L’interno
non era meno splendido, panche di legni chiari e pregiati erano poste
in file
ordinate, ed ogni tanto su alcune di esse era possibile scorgere alcuni
angeli
assorti nella recitazione di preghiere.
Le
vetrate ed il rosone proiettavano fasci di luce colorata sul pavimento
di marmo
chiaro e sull’altare dorato, dietro al quale troneggiava una
grossa croce di
legno antico ed un affresco absidale.
Rimasero
un istante inginocchiate a rimirare quelle fini lavorazioni, quelle
vivaci
luci, finché una luce, più viva e tangibile, si
fece strada fino a loro
–Seguitemi- nessun angelo si voltò a quella parola
detta solo nella mente delle
due donne.
Lentamente
si diressero in una sala dell’ala destra
dell’edificio, al centro della quale
spiccava un robusto tavolo molto lungo attorno al quale erano disposti
diversi
seggi.
Seduti
vi erano angeli anziani dalla lunga barba il cui candore era di tanto
in tanto
intervallato da qualche pelo grigio.
-Signorina
Lenie, cherubino curatore di prima classe…-
esordì una voce, per poi continuare
–Signorina Manon, cherubino di supporto di prima classe-
Un uomo
si alzò dal fondo dell’aula, tendendo la mano come
ad invitarle a mettersi comode.
-Perché
ci avete chiamato qui?- esordì irruenta Manon, sfiorando la
cicatrice brunastra
che gli partiva dalla guancia destra per arrivare fino alla base del
collo
–Forse per il sospetto silenzio dell’Abisso?-
-Signorina
Manon, le chiediamo di portar pazienza e di usare un minimo di
controllo- una voce
pacata rispose.
Lei
sbuffò e si mise pesantemente a sedere.
Inizialmente
parlarono dei movimenti interni, della situazione ai Confini e della
fragilità
della calma cittadina, poi passarono alle richieste…
-Il
consiglio voleva gentilmente chiedervi di prendere la sovrintendenza
nell’addestramento dei novizi- non era una domanda, era un
obbligo, e lo
sapevano tutti.
Lenie
fece un piccolo inchino e si volse verso la porta, ma venne fermata
dalla mano
dell’amica –E a che scopo dovremmo fare da maestre
agli adepti noi, non avete
abbastanza insegnanti?- la voce di Manon era adirata
-Gli
scopi di quest’allenamento non vi riguardano…-
-Oh…credo
fermamente il contrario, in fondo la coscienza di mandarli al massacro
spetta a
noi vero? Sono semplici pedine di una scacchiera per voi-
l’accusa era grave e
lo sguardo del cherubino traboccava di una furia insolita ad una
creatura
fragile ed eterea come un angelo.
-Come
osi…- iniziò l’anziano, ma venne
fermato da un cenno della mano della figura al
capo del tavolo.
-Perdonate
la scortesia dei vegliardi, sapete, nessuno di noi si è mai
trovato in una
situazione tanto grave…- la figura era l’unica ad
indossare un mantello, il cui
cappuccio teneva all’oscuro il viso.
Sul
mento non vi era traccia di barba.
-L’Abisso
tace, non è mai accaduto, ma il fatto non dà
presagi positivi…il timore è nel
cuore di tutti e la parola “guerra” viene fuggita
come fosse peste- sospirò
facendo un segno di diniego col capo, esprimendo dispiacere
–Persino qui ci
sono persone che non vogliono persuadersi della catastrofe che sta per
abbattersi su di noi-
Un
leggero colpo di tosse del cherubino riportò su lei
l’attenzione generale
–Perché la si nasconde allora? Che ognuno impugni
un’arma, che le Virtù cantino
i loro incantesimi sacri, che i cherubini sfoglino libri incantati,
così come
siamo tanto vale ucciderci a vicenda prima che arrivi il nemico-
Un tetro
silenzio aleggiò nella stanza
-È vero,
sarebbe un massacro per noi, ed ogni combattente che si allena rinforza
i
timori della folla…il caos generato dal panico non potrebbe
che andare a favore
dei demoni-
-E
allora che cosa si potrebbe fare? Andare a farci infilzare ben bene?
Per San
Michele, ricacciamo lo sciame nell’alveare-
Tutti la
fissarono –Vorrei che avessimo il tempo…- disse
sconsolato l’incappucciato
-Non lo
stiamo forse perdendo ora?- insinuò l’angelo.
L’uomo
posò i gomiti sul legno, intrecciando le dita e posandoci
sopra il mento –E
sia…annunciate a tutti che la pace non sembra destinata a
durare-
Gli
anziani lo guardarono a bocca aperta, sbalorditi.
Manon
uscì con un delicato inchino seguita da Lenie.
I
consiglieri iniziarono a bisbigliare tra loro, ma la loro voce venne
spezzata
dall’ammantato –Iniziate a dare le direttive a
qualsiasi angelo, qualunque sia
il suo rango o la sua forma-
Il tono
di voce non ammetteva repliche e gli occhi azzurri baluginarono di una
luce
viva sotto il cappuccio.
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Capitolo 4 *** 3: La Porta ***
3:
La Porta
Lentamente
due demoni si facevano largo in mezzo alla folla crudele degli inferi,
spintonando
di tanto in tanto gli stolti che non riconoscendoli rimanevano in mezzo
alla
strada.
Un
demone topo tentò di rubare allo Scaltro, ma ottenne solo di
ritrovarsi ambedue
le mani mozzate da un preciso fendente.
Molto
lentamente riuscirono a districarsi dal dedalo caotico di vie plumbee e
corridoi cinerei, trovandosi finalmente innanzi ad
un’imponente costruzione in
risalto rispetto alle altre.
Era una
magione modellata a stregua di castello umano, dalle forme tortuose ed
attorcigliate.
Bastioni
di ardesia risplendevano nell’infernale calore del magma fuso
che era stato
incanalato nelle vicinanze, vuoi per evitare di dover ricostruire
l’edificio,
vuoi per giustificare la scomparsa improvvisa e prematura di alcuni
demoni
della gilda.
Sui
bastioni guardie scelte di stirpe non precisata scrutavano torvi il
pesante ed
invalicabile portale di adamantite rinforzata di incantesimi che
proteggeva il
quartier generale.
-Identificatevi-
proferì una di esse, mentre le altre tendevano
l’arco, le frecce già incoccate
stillavano una sostanza verdognola che corrodeva leggermente la
passeggiata.
-Siamo
il Solitario e lo Scaltro- urlò il draconico, spiegando le
ali membranose per
confermare ciò che aveva detto.
La
guardia lo fissò e con un misto di rispetto e timore
aprì il portone.
Si
sentì
una risata soffocata da parte di una guardia per il comportamento del
capitano,
che loro lasciarono ad inveire contro di essa con una vasta gamma di
insulti
nelle più disparate lingue.
Nessuno
dei due riuscì a trattenere una smorfia divertita.
Si
affrettarono a coprire la distanza che li separava dalla struttura
portante del
luogo, la stanza del Diavolo.
Un paio
di mercenari uscirono con un ghigno di disprezzo sul viso, inveendo poi
contro
la lentezza delle guardie nell’aprire il cancello principale.
Spalancarono
le porte, procedendo a passo lento sul tappeto carminio bordato
d’oro che
copriva la dura roccia, per giungere infine davanti ad un sostegno sul
quale
ardeva un fuoco magico inestinguibile.
-Avete
completato l’incarico?- una voce maligna e gutturale.
-Le
pianure di lava sono meno popolate di elementari dal carattere focoso
ora, mio
Diavolo- rispose sarcastico lo Scaltro.
-Sono
contento abbiate terminato in fretta la missione, volevo chiedervi di
partire
subito per un’altra-
-Subito?
Che genere di lavoro è?- sapevano già che quella
non era una domanda ma un
obbligo vero e proprio.
-Dovrete
sterminare un’avanguardia di angeli tropo presuntuosi- sporse
il capo,
rivelando le aguzze zanne che per lui erano denti ed il viso di un
colorito
azzurrino striato di nero e rosso –Sarete accompagnati da un
centinaio di
guerrieri, non dovreste aver troppi problemi-
Il
Solitario sembrava in procinto di obbiettare, ma richiuse subito la
bocca
–Sissignore- sibilò a denti stretti.
-Bene…pensavo
avrebbe occupato più tempo il convincervi…manca
ancora qualche ora all’inizio
della spedizione, spendetelo come meglio credete- fece per voltarsi ed
entrare
in una porta incavata nel muro, ma un colpo di tosse del drago lo
fermò a metà
del passo.
-Sire,
non crede che questa nostra azione posa sancire il preludio ad una
guerra tra i
regni Celeste ed Infernale?-
-Ti fai
troppi scrupoli, ragazzino…- varcò la soglia
ghignando bieco.
Quel
demone lo faceva davvero infuriare.
-Che
facciamo?- la voce dello scaltro era a stento riconoscibile
nell’eccessivo
vocio che permeava le disconnesse strade.
-Non
saprei…cerchiamo un acquirente per la pergamena?-
domandò annoiato, ricevendo
un cenno positivo dal pensieroso amico.
-Secondo
me hai un po’ esagerato, in fondo gli angeli sono i nostri
nemici naturali-
sbottò poi.
-Perché?-
la voce era tagliente e l’aracnide si trovò
spiacevolmente spiazzato.
-Beh…ecco…-
-Non lo
sai nemmeno tu, vero?- il tono era rassegnato.
-Ci
è
sempre stato detto così e non ci siamo mai fatti troppi
problemi-
-E se
questo nostro comportamento li causasse a loro?- afferrò
distrattamente il
polso di un ladruncolo, fratturandoglielo con una rapida torsione.
-Solitario,
sei cambiato…però forse hai
ragione…siamo sempre stati noi a muovere il primo
passo verso la guerra…- guardò vacuo il
piccoletto allontanarsi stringendo il
legamento infranto, osservando poi come un possente demone delle
fattezze di un
toro gli fendeva a metà il cranio con un’accetta
per averlo spintonato -…il
nostro popolo è un popolo caotico, che prospera alle spalle
degli altri e così
è sempre stato…tuttavia sembra così
normale ora…tutta questa violenza…- il toro
si allontanò per un vialetto, da cui provenne un debole
muggito ed uscì una
creatura simile ad un lupo, strofinando una daga con un panno
insanguinato e
tenendo dietro alla schiena l’accetta del bestione
-…ci stiamo uccidendo da
soli, stiamo firmando la nostra condanna, e quel che è
più orribile è che lo
facciamo sorridendo- aveva un’aria mesta, ma allo stesso
tempo irata.
-Vediamo
se c’è qualcuno disposto a comprare la creatura-
disse battendo una mano sulla
pergamena sigillata.
Creatura,
esattamente quello, quella di sigillare gli spiriti dei demoni sconfitti
in pergamene era molto diffusa, tanto che
venivano usati anche come famigli o come guardie personali.
Una
piccola percentuale era semplicemente la collezione dei mercanti,
mentre
talvolta i guerrieri ricorrevano ad un “aiuto
esterno” per ribaltare le sorti
di una battaglia.
Tuttavia
non erano molti quelli che se lo potevano permettere, infatti le
pergamene
ricevevano trattamenti lunghi e complessi prima di poter diventare
adatte a
quella funzione, ed ad alzarne il costo contribuivano anche le fatiche
corse
per trovare ed intrappolare una determinata entità.
Inoltre
non sempre i demoni contenuti erano disposti a prendere ordini in
maniera
pacifica, e comunque non potevano trattenersi nel mondo materiale per
troppo
tempo senza che il loro padrone corresse determinati rischi, come la
perdita di
controllo o la scomparsa prematura dell’evocazione.
Rimanevano
in ogni caso degli artefatti magici, e per continuare ad utilizzarli
erano
necessarie notevoli cure e una fornitura di raro inchiostro magico per
rinnovare il contratto con il demone.
Contratto
non sempre troppo sicuro, poiché più volte
capitava che un servitore capisse la
debolezza del padrone e lo uccidesse, riconquistando la
libertà di muoversi a
suo piacimento.
In quei
casi la pergamena scompariva assieme al suo padrone, lasciando il
demone libero
dal sigillo.
Talvolta
erano usati altri oggetti incantati anziché comuni
pergamene, oggetti tra i
quali figuravano bacchette magiche, verghe, spade ed anche oggetti
comuni, come
campanelli, piccoli bicchieri e cappelli.
Si
ricorda anche che una stirpe avesse usato un mazzo di carte umane
trattate con
incantesimi che donassero a esse eterno splendore e durata illimitata,
tuttavia
le voci durarono poco, sorpassate da una scacchiera magica nella quale
ad ogni
pezzo corrispondeva una creatura diversa.
-Ehi,
muoviti sputafuoco, se no ti lascio indietro- il demone sorrise e corse
avanti,
seguito dall’amico, annoiato dalle sue continue prese in giro
derivanti dalle
sue origini draconiche.
Un
mercante dalle vesti sgargianti li affiancò –Ho
sentito parlare di una creatura
in vendita, e ditemi, cos’è?-
-Controlla
tu stesso- disse lo Scaltro, aprendo la pergamena e mostrando
un’immagine dai
contorni estremamente delineati della creatura che avevano da poco
imprigionato, sotto la quale erano vergate parole in un linguaggio
magico
antico come il loro mondo.
-Impressionante,
e a quanto è in vendita?- l’espressione del
collezionista si fece furba ed
iniziò a fregare tra sé le mani
-Quanto
sei disposto ad offrire?- la domanda spiazzò il demone, che
ci rimuginò un
attimo, Scaltro se la sapeva cavare addirittura troppo bene con quei
mercanti.
Questa
volta in particolare avevano trovato un collezionista
incallito…non sarebbe
stato troppo difficile estorcere uno sproposito per quella creatura che
avevano
sconfitto in così poco tempo.
Nei suoi
occhi aveva visto uno scintillio bramoso, più che
sufficiente per capire che
era disposto a fare di tutto per averla.
Si
appartarono momentaneamente in un angolo affollato della strada, con la
folla
che copriva troppo le loro voci perché il Solitario potesse
sentire, ma
riconobbe i gesti dell’innalzamento di posta e della
impotente stizza del
borghese, che infine però si limitò ad annuire.,
sganciando dalla cintura una
pesante borsa dai contorni pieni e quasi granulosi.
-Oggi
è
andata ottimamente- sogghignò il ladro, mostrando la gonfia
borsa straripante
d’oro e una pergamena –Era così preso
dalle trattative che non si è accorto
della sostituzione-
-Certe
volte penso seriamente che tu sia un totale bastardo- disse
l’amico ridendo
-Macchè,
macchè, troppo gentile…!- sorrise
l’altro
Dopo una
breve fermata al loro rifugio dove riposero il denaro racimolato
raggiunsero
l’austera forma di pietra della loro gilda.
Ignorarono
la lentezza delle guardie…non aveva alcun senso arrabbiarsi
per simili
sottigliezze, e poi avevano tutto il tempo che volevano.
O che il
Diavolo voleva conceder loro.
Entrarono
in fretta dalle imponenti porte del castello, avviandosi di malagrazia
fino alla
stanza del trono, percorrendo in passi corti e riluttanti il tappeto
pregiato
che copriva la fredda pietra vulcanica e che, assieme ai bracieri ed al
trono
stesso, era l’unica cosa che impediva a chi vi entrasse di
pensare di essere in
un luogo nero ed indefinito.
-Ma
bene, avete fatto in fretta- la voce del Diavolo echeggio sulle mura,
mentre
una figura allungava un braccio in segno di farsi avanti.
-Pare
abbiate scelto di accettare, siete diligenti, ed è un gran
pregio- sapevano
tutti che quello non era stato un invito cortese, ma piuttosto una
nemmeno
troppo celata minaccia in caso di diniego, ma questa farsa sembrava
compiacere
il despota, quindi si limitarono ad agire da attori, improvvisando il
ruolo dei
servitori fedeli.
-Si, o
Diavolo, abbiamo deciso di partecipare a questa missione, ce ne vuole
illustrare i particolari?- con un’ombra di malizia lo Scaltro
iniziò la recita.
Il
Solitario conosceva quel bagliore, stava cercando di estorcergli
informazioni,
e nessuno era mai riuscito a depistarlo troppo a lungo.
-Voi ed
una centinaia di demoni dovrete falciare le legioni angeliche.- lo
disse calmo,
come fosse un’affermazione perfettamente logica
Il
Solitario si staccò dalla parete a cui era appoggiato,
mentre per un istante
l’espressione dell’amico mutava, per poi tornare
con qualche difficoltà la
maschera insondabile di quando fingeva.
Tutti
sapevano la forza degli angeli, e mandare un pugno di demoni contro di
loro era
un suicidio.
Ma in
fondo forse era ciò che desiderava, sapeva che i due non
amavano essere
accoppiati con altri, e men che meno essere in un gruppo tanto vasto.
Il
Solitario optò per ammazzarli con perizia prima dello
scontro…non sopportava
che qualcuno cercasse di pugnalarlo durante la battaglia, né
che si frapponesse
tra lui ed il suo avversario.
I pochi
che l’avevano fatto non erano morti in maniera troppo calma e
veloce…
Inoltre
loro non conoscevano la portata della legione che andavano ad
affrontare,
potevano solo sperare che fosse un’avanguardia di serafini
novizi, magari
seguiti da un misero seguito di guaritori o addirittura sprovvisti.
In caso
contrario il Diavolo firmava la guerra a cui teneva tanto ed eliminava
un
possibile candidato al trono ma guarda che razza di
cane
pensò brevemente,
per poi ritornare con l’attenzione allo Scaltro, il quale
pareva non avere
molto successo.
Dopo
poco li congedò, facendo apparire innanzi a loro un portale
che mostrava loro
una porta colossale, di un metallo nero eterno e con scolpite in un
pregevole
altorilievo scene di una crudeltà smisurata.
Scene di
vita quotidiana agli inferi…
-Buon
viaggio verso la Porta degli Inferi-
Il
Solitario poté sentire il peso quasi materiale di quello
sguardo enigmatico,
crudele e beffardo che lo scrutava.
Immaginò
che sulle labbra della creatura vi fosse un sorriso malvagio.
Ringraziamenti:
bluemary: hai beccato nel segno
quando parlavi di D&D, giocavo in una compagnia un po'
scalcinata ma mi divertivo, in particolare quando descrivevo i vani
tentativi di una squadra per colpire una creatura. (Faccio presente che
dopo 10 tiri un mio amico non era riuscito a superare un piccolo buco
nelle scale per cui sarebbe bastato un 9...alla fine ha fatto uno e,
inciampando sull'ultimo gradino, è precipitato dalle scale e
ci ha lasciato la pelle...-.-), spero di ricevere ancora tuoi pareri
sull'andamento del racconto.
Romance: Amore, sei sempre
troppo gentile...mi dispiace soltanto che ti sei appassionata a Manon,
che sparirà per un po' di tempo dopo la piega degli eventi.
Ma forse ho parlato troppo...eheh. Ti Amo!
|
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Capitolo 5 *** 4: Parola d'onore ***
4:
Parola d’onore
-Seril,
è arrivata una
comunicazione dal Consiglio- un serafino bardato leggermente ed armato
di arco
si avvicinò al suo capitano, che teneva una mano
distrattamente postata sul
pomo della spada lunga che gli cingeva il fianco, mentre il suo sguardo
si
perdeva sull’orizzonte innanzi a lui, dove sorgeva quel
portale sigillato
chiamato anche Cancello del Paradiso.
-Parla- disse pacato,
senza voltarsi a guardare il messaggero.
-E’ stato confermato lo
stato di guerra- la voce gli tremava mentre riportava quel messaggio,
come
fosse stata una condanna a morte.
Scostando una ciocca
bionda si chiese se non lo fosse davvero.
-Ehi- si voltò, notando
il volto pallido e teso del suo subordinato –Vivremo, non
temere- gli mise una
mano sulla spalla e sorrise con tutte le sue forze.
Quello sorrise di
rimando e si allontanò verso il poco distante accampamento,
alla basa del basso
colle da cui scrutava i silenziosi Confini.
Aveva passato tanto
tempo a mentire che ora gli veniva bene in una maniera allarmante.
Tornò a guardare
l’imponente struttura dorata del cancello, mesto e
meditabondo.
L’aria nel cielo era
statica, troppo immobile e nemmeno un suono interrompeva quella
così opprimente
sensazione di spietato silenzio.
Anche l’accampamento
degli ottanta serafini taceva.
Udì dei passi dietro di
sé, non gli pareva il passo di un soldato, ma nemmeno di un
assassino, quindi
ignorò il rumore.
Dietro alle sbarre
auree gli parve qualcosa si fosse mosso.
-Amore, tutto bene?-
una voce dolce, braccia che gli cingevano il petto.
Per un attimo si
crogiolò nel tepore di quel contatto, tuttavia man mano che
si affievoliva la
sorpresa insorgeva la coscienza –Lenie, cosa diavolo ci fai
qui!?- la fissò con
paura, accorgendosi di aver usato un tono troppo duro.
-Perché sei
arrabbiato…?- gli sfiorò una guancia con il palmo
della mano, delicata, con un
gesto di toccante intimità.
-Non capisci?! Sei in
pericolo qui, rischi di morire nel peggiore dei modi!-
-E tu allora?-
Un lieve cigolio
riportò l’attenzione dei due innamorati sulla
struttura dorata.
Seril chiuse gli occhi
alzando il palmo di una mano al cielo –Rubra lux,
rifulge in caelo*!-
una scintilla carminia si staccò dalla mano aperta,
esplodendo in aria in un
bagliore scarlatto.
Per alcuni istanti
parve che il cielo fosse tinto di sangue.
Da lì a poco tutta la
legione gli fu accanto, accompagnata da un gruppo di cherubini che
praticavano
incantesimi di supporto e guarigione.
In tutto erano poco più
di cento, a conti fatti.
Il cigolio aumentò ed i
chierici iniziarono a cantilenare benedizioni superiori o incantesimi
di
potenziamento intrisi di potere divino.
Il Cancello si spalancò
con uno scatto secco, quasi scardinato.
Un numeroso gruppo
eterogeneo di demoni ne sciamò nel terreno candido,
avanzando indisciplinati,
ringhiando contro il vicino e calpestando a morte quelli più
piccoli che
inciampavano e cadevano o semplicemente faticavano a tenere il ritmo di
marcia.
Innanzi all’orda
camminava composto un demone dall’aspetto distinto, di fianco
al quale si era
formata una sorta di buco, pareva che nessuno tranne un piccoletto
dalla pelle
scura volesse avvicinarglisi troppo.
D’un tratto alzò la
mano squamata in un gesto imperioso, intimando alla mandria di fermarsi.
Lo ignorarono
palesemente.
Con un rapido scatto
sguainò le lame gemelle che portava ai fianchi e trafisse il
petto alla prima
creatura che trovò a tiro, un demone dall’aspetto
di serpe, per poi decapitarla
con un incrocio preciso delle armi.
Gli occhi del Solitario
ardevano di fiamme decise e violente.
Se non venne notato da
Seril per la notevole distanza e per il fatto che il condottiero
draconico era
voltato di schiena i demoni lo videro benissimo, arrestando il passo
con
effetto immediato ed indietreggiando di qualche tratto per evitare di
capitargli a tiro.
-Chi è il prossimo a
volere sfidarmi disobbedendomi?!- tuonò, udibile anche dalla
distanza.
I demoni
indietreggiarono ancora, mentre quello scuro di pelle persisteva a
tenersi alla
destra della creatura, osando addirittura a battergli una mano sulla
spallo in
modo scherzoso, facendogli scuotere la testa con tono rassegnato.
-Muovete un muscolo e vi
massacro dal primo all’ultimo- sibilò agli
insubordinati prima di allontanarsi.
-Lo farai comunque
vero?- il sussurro dello Scaltro era a mala pena udibile, in
più la sua arte
ventriloqua era sconcertante ed impagabile.
Un ghigno sadico e
crudele fu tutto ciò che ottenne dal compagno.
Tutto sommato una
risposta estremamente eloquente ed esplicita da parte sua.
-Come può un solo
individuo disporre di un potere tanto grande e di una
crudeltà tanto vasta?-
domandò all’aria Seril, qualche metro
più in là, sconcertato
dall’autorità
delle creature che venivano a lui e dal loro modo di imporla.
-Salve, angelo- lo
salutarono formalmente una volta che gli fu innanzi, ad armi
rinfoderate,
squadrandolo brevemente e valutando le sue armi e protezioni, per poi
annuire,
soddisfatti della buona fattura di tali artefatti.
-Cosa siete venuti a
fare qui da soli a parlarci, credete che ci indurrete ad arrenderci?
Giammai!-
imprecò Seril, frastornato dal comportamento cordiale del
demone.
-Sai, non chiedevamo di
meglio…onestamente non ho mai combattuto contro un angelo e
non vedo l’ora,
spero che questo mio entusiasmo sia ben motivato…- sorrise
il draconico come
allegro, sollevando ulteriormente lo sconcerto del serafino, che lo
fissava con
occhi sgranati.
Non temevano di morire…nemmeno
un po’…?!
Lo Scaltro colse lo
sguardo atterrito del comandante -Vi
state chiedendo perché non temiamo la morte? Beh, la
risposta non è poi tanto
complessa, dato che vivere all’Inferno comporta una
quotidiana lotta contro
l’anziano Mietitore Nero. Per molti di noi morire
può anche significare non
scomodarsi più di diffidare di tutti e rimanere perennemente
all’erta, il che è
un notevole fardello che viene a mancare…- sorrise
sarcastico.
-Ma allora…- Lenie si
schiarì la pura voce con un colpo di tosse
–Perché siete venuti innanzi a noi
da soli? Avremmo potuto uccidervi prima che arrivaste qui- Seril
scrutò la sua
amata, non aveva mai parlato così, e capiva che non le era
facile.
-Questo non cambia che
non lo abbiate fatto- sorrise il Solitario, sbuffando –E poi
vi consiglierei di
essere troppo sicuri di voi stessi….vivere ogni giorno a
contatto con la morte
insegna più di quanto ci si possa aspettare-
-Comunque, tornando al
motivo…in effetti uno c’è…-
lo Scaltro intervenne,posando una mano sulla spalla
dell’amico, che cedette a lui il ruolo di mediatore ed
oratore, rimanendo
sempre attento –Volevamo solo chiedervi
di…ehm…ritardare…il vostro assalto
di…mh…non saprei…un’ora?
Solitario?- rivolse uno sguardo interrogativo al
compagno.
Il possente demone scosse
la testa in cenno di diniego –Ne basta la metà
Scaltro-
-Perché ce lo chiedete?
Quali artifici avete in mente?!- sbottò irato un angelo.
Il Solitario levò lo
sguardo su di lui, scoprendo i canini accentuati ed i denti acuminati
in un
ghigno che lo fece tacere all’istante –Credete che
siamo dei vermi vero? Non mi
sento di sfatare questo mito, poiché calza a pennello per il
più di noi.-
guardò tutti, come se in verità la cappa della
sua autorità ricadesse in
pesanti pieghe anche su di loro –Vi dirò solo una
cosa…se combatto la cosa che
odio più al mondo è che qualcuno si frapponga tra
me e la mia preda o che
qualcuno della mia stessa fazione tenti di piantarmi una daga nella
schiena.-
-Noi cosa dovremmo fare
allora?- intervenne Seril
-Quello che vi abbiamo
detto, oltre al non interromperci in quello che faremo da qui a
mezz’ora- si
voltò, facendo ondeggiare la folta chioma corvina
–Il nostro discorso termina
qui- disse senza guardare indietro e facendo un cenno con un dito
artigliato
allo Scaltro, che gli si mise alla destra senza alcuna esitazione.
Insieme scesero il
colle, fino all’ammasso caotico di creature
d’origine infernale.
Si fermarono davanti,
osservando le carcasse di alcuni demoni morti a causa di inutili
dispute nate
durante la loro assenza.
Un generale infernale
comune avrebbe fatto finta di nulla, anzi avrebbe elogiato i suoi
soldati.
Tuttavia quella per il
Solitario era una perfetta scusa.
-Avevo detto di non
muovere un muscolo o sbaglio?!- la frenetica ira era palpabile nella
voce
gracchiante del draconico.
I demoni si guardarono
l’un l’altro, istupiditi –Pagherete il
fio della vostra colpa!-
Con un ghigno malvagio
estrasse le lame gemelle, che balenarono nel cielo indaco.
Seril fissava sgomento
la scena da sopra al colle.
Aveva deciso di
assecondare le due eccentriche creature, soprattutto perché
non capiva quali
fossero i loro scopi.
Tuttavia ora capiva, e
dubitava che loro da soli avessero troppe possibilità contro
quei due demoni.
Guardò gli artigli del
primo squarciare il petto ad un demone, estraendone un cuore ancora
pulsante e
viscido di sangue.
Vide una salva di
frecce scagliate dal secondo mietere creature ormai disperate e pronte
a tutto.
Non era concepibile che
esistesse qualcuno in grado di fronteggiare un numero così
grande di avversari
solo e con così grande disinvoltura.
Mentre lui pensava ciò
i due combattenti danzavano il loro macabro balletto tra le schiere
rapidamente
decimate di quelli che erano loro commilitoni, legati quasi da un filo
sottile,
che si tendeva leggermente per avvertirli quando una delle
estremità era in
pericolo.
Per un attimo si pentì
di aver dato loro ascolto.
Di sicuro se avessero
attaccato contemporaneamente quei due si sarebbero trovati in una
duplice
morsa, e forse quell’impalpabile filo sarebbe stato sfaldato.
Tuttavia nulla è mai
certo, e non si arrischiò a condurre un attacco in mezzo a
quella carneficina.
Dopo venticinque minuti
i due, con il fiato leggermente affannoso, si sedettero sul suolo
intriso di
sangue nero per riposare.
Dei trecento demoni che
la accompagnavano tutto ciò che rimaneva erano i cadaveri
smembrati e macilenti
che giacevano sul terreno un tempo candido.
Gli angeli tremarono,
cercando conforto nel loro prode generale.
Egli sorrise
debolmente….a tutte le menzogne c’era un limite e
sapeva che per gran parte di
loro, forse addirittura per tutti, quel luogo sarebbe stata una tomba.
Estrasse la spada lunga
e impugnò lo scudo circolare d’oro –Flamma,
in gladio uri*!- la lama
dell’arma, che iniziava in affilati archetti per terminare in
una punta
lanceolata, divampò infuocata, tracciando
nell’aria una scia di calore.
Un chierico iniziò a
sillabare un incantesimo d’offesa –Focum
sanctum, hostes inflamma*!-
probabilmente l’aveva appena appreso, perché il
torrente di fiamme che discese
dal nulla era limitato e colpì solo il draconico.
Per alcuni istanti la
vampa lo nascose, rivelandolo infine con una smorfia seccata sul volto
–Merda,
mi si sono bruciati i pantaloni dove erano esposti- si passò
una mano sulla
corazza , mondandola della fuliggine che vi si era accumulata
–Stolti…quello
era fuoco? I planari di ieri erano più dotati- un bagliore
rossiccio trapelò
dalla bocca del demone, che spiegò le ali e si diresse con
leggiadria verso gli
angeli –Assaggiate le fiamme dell’Inferno!-
Inarcò il collo e
lasciò che quel talento innato dei draghi scorresse in lui,
vomitando un
torrente infinito di fiamme che carbonizzarono il soffice suolo ed
alcuni
angeli.
Un nauseante odore di
carne bruciata e piume iniziò a trapelare dalle armature
contorte dei serafini.
In alcuni casi il
proprietario, ancora vivo, soffriva pene atroci poiché il
metallo fuso gli
colava sul petto, bruciandogli la pelle e bucandola, per concedere
infine la
morte dopo atroci sofferenze.
I chierici si
ingarbugliavano sulle parole degli incantesimi divini che avrebbero
potuto
salvarli, e quando riuscirono a pronunciarli tutto ciò che
ottennero fu di
prolungare la tremenda agonia.
-Seril…- Lenie lo
guardò in viso.
Non ricordava di
avergli visto la pelle tanto tesa sul volto, né
quell’espressione di impotente
terrore che iniziava a delinearsi negli occhi.
Anche il suo cuore fu
inghiottito dal sordo terrore della morte.
Una daga saettò,
sgozzando un chierico, per poi piantarsi, dopo un rapido volteggio
circolare,
nel cuore di un altro –Solitario, qui sono troppi, ma sono
troppo
noiosi…onestamente da questi fantomatici angeli mi aspettavo
almeno qualcosina
di più…- con un gesto distratto deviò
un gladio che puntava alla sua gola,
lanciando contemporaneamente con la mano libera un piccolo pugnale che
colpì la
gola dell’avversario con precisione millimetrica,
tranciandogli la giugulare.
Morì in breve tempo,
praticamente senza soffrire.
Intanto l’altro demone
stava impegnando un intero accerchiamento in un gioco di parate e finte.
I serafini, man mano
aumentando il numero, pensavano di essere al sicuro.
Tuttavia lo
schieramento s’infranse in una pozza di sangue quando il
guerriero mozzò la
testa a due soldati che avevano avuto la sfortunata idea di abbassare
troppo
l’ampio scudo di metallo.
Lo Scaltro guardò
spazientito i restanti avversari, sbuffando…si stava
annoiando… -
Etidnofsnart euqaitsoh etinev ihim sesne sitatirucsbo*!-
Lame di pura oscurità
apparvero nell’aria limpida, permeandola di un alone
nero-viola.
Ancora una volta le
nuvole si tinsero di carminio.
Uno schiocco improvviso
lo fece voltare –Tks…quel dannato del Solitario si
è come al solito trovato
l’avversario migliore…-
Lo scontro tra i due
condottieri era iniziato.
Un altro schiocco.
Il draconico respinse
l’arma avversaria, indietreggiando –Credo di aver
trovato qualcuno degno di
essere ucciso da me…qual è il tuo nome,
guerriero?-
L’angelo lasciò cadere
lo scudo sul cui spiccava una grande sfaldatura causata dalle armi
incantate
dell’avversario assieme alla spada lunga, estraendo i grande
e largo spadone
che portava in un fodero di cuoio chiaro ricoperto da numerose cinghie
dietro
alla schiena –Il mio nome? Seril, demone…ma anche
tu sei un valido avversario,
dimmi il tuo nome.-
-Io?- Partì alla
carica, gli occhi carichi del fuoco della sfida, lasciando che le sue
lame
stridessero sull’acciaio dell’arma avversaria
–Non ho bisogno di un nome!-
Seril indietreggiò,
parando con perizia gli ingannevoli affondi e fendenti delle lame
vorticanti.
Dunque non aveva un
nome…gli mancava la parte più importante di una
creatura, ciò che ogni
creazione ha.
Lo odiava, era
indubbio, ma ora quella furia era velata da una compassione profonda e
sincera
per una “persona” che aveva perso il suo vero
io…o che non l’aveva mai
ricevuto…
Una lama gli sfiorò la
guancia, tracciandogli un graffio scarlatto da cui colarono poche gocce
viscose
e rosse.
-Touché- disse con
grazia arretrando con un balzo e mettendosi in un assetto di battaglia
differente.
Tuttavia l’assalto
improvviso del serafino fece sì che le parti
s’invertissero, costringendo il
Solitario a retrocedere, mulinando le spade per difendersi, mentre il
sorriso
ironico scompariva dalle labbra, lasciando spazio ad
un’espressione concentrata
sebbene appassionata dal duello che stava svolgendosi.
Le lame s’incrociarono
tantissime volte, lasciando che il metallico canto delle armi si
levasse in
quel nefasto giorno.
-Divina vis,
surgi*!- la ragazza, che fino ad allora era rimasta in
disparte, aveva
urlato l’incantesimo.
Non vide nulla, quindi
credette che fosse miseramente fallito.
Poi la spada lo colpì.
Pareva che lo spadone
dell’angelo fosse diventato almeno dieci volte più
grande da tanto violento fu
l’impatto, infatti a poco valsero le spade con cui si era
difeso, dato che per
l’intensità del colpo venne scaraventato in aria.
Una fitta lo costrinse
a portare lo sguardo sul braccio sinistro, dove una striscia rossa
sorgeva dove
la spada era riuscita ad infrangere le scaglie e a penetrare nella cane
viva.
Seril vide il demone
guardarsi stupito il braccio e ringraziò mentalmente Lenie,
che con un tempismo
tanto azzeccato gli aveva dato una forza tanto grande. Tuttavia i suoi
occhi
faticarono a credere alla figura che, a mezz’aria con le ali
membranose
spalancate, puntava verso lui.
Il Solitario si era
ripreso in fretta, infatti più che dolente per lo squarcio
era stupito del
fatto che fosse riuscito a ferirlo. Aveva ricevuto ferite
più gravi in tutti i
suoi anni, ed era sicuro che quella non si sarebbe infettata, ma si
sarebbe
risanata in capo a poco.
Con le spade pronte
colpì il filo dell’arma avversaria.
In condizioni normali
non ci sarebbe riuscito, tanta era la forza infusa
nell’angelo dall’incantesimo,
ma la planata gli aveva dato la spinta necessaria a contrastare il
fendente.
Lo stridio delle armi
era ormai assordante quando decise di giocare il tutto per tutto.
Lasciò la presa sulla
spada che impugnava con la sinistra e fece descrivere al braccio ferito
ed
ancora sanguinante un semicerchio innanzi agli occhi
dell’avversario.
Seril non riusciva più
a vedere bene a causa del sangue che quel demone gli aveva schizzato
negli
occhi e, per un attimo solo, la sua presa sull’arma si fece
più insicura.
La disattenzione venne,
come previsto e il Solitario, dopo essersi abbassato, vibrò
il fendente che
avrebbe sancito la sua vittoria o la sua morte.
Seril vide la spada
muoversi, ma fu un istante troppo tardo. Sentì un dolore
incandescente
esplodergli sulla spalla destra e la lama cozzare contro
l’armatura di un
cadavere.
Strano…non gli sembrava
di aver lasciato la spada.
Lenie fissava la scena
con sgomento, cercando di trattenere le lacrime. Vide
l’angelo cadere a terra,
con il braccio destro amputato all’altezza della spalla e la
sua mente
intontita non riuscì a trovare le parole degli incantesimi
sacri che le
servivano.
Eppure li aveva
studiati tante volte…
Il demone conficcò la lama
che ancora stringeva in mano nella carne del braccio sinistro, tra
l’osso ed il
bicipite, inchiodandolo a terra.
-Mi dispiace, ma non
avevo alcuna voglia di morire qui…- si chinò
sulla creatura celeste –Sei un
valoroso guerriero…sai, senza quel trucco non ti avrei
sconfitto…- la sua
espressione era di avvilimento, si stava rimproverando per il gesto
scorretto?
-E’ rimorso quello che
vedo nei tuoi occhi?- l’angelo tossì, sputando
saliva e sangue.
Il demone non rispose,
rimanendo con un’espressione quasi di scusa, addolorata.
-Sei stato anche tu un
valido avversario, e ti chiedo due ultimi desideri, prima di esalare il
mio
ultimo respiro- la voce dell’angelo era affannosa, spezzata,
così diversa da
quella melodica e armoniosa di prima.
-Dimmi- il suo viso era
perplesso, ma si sentiva in colpa per aver ucciso un così
grande guerriero,
quindi ingoiò l’orgoglio e gli rimase accanto.
-Dopo che avrò espresso
il mio secondo desiderio prendi la spada con cui ti ho ferito e
trafiggi con la
sua punta il mio cuore; questo è il mio primo
desiderio…- riprese fiato -…la
mia seconda volontà è che permetti a Lenie di
vivere, proteggendola se
necessario.-
Solitario si alzò,
andando mesto a raccogliere la pesante arma ed alzandola al di sopra
del petto
del nobile serafino –Non meriti di non avere un
nome…come mia ultima volontà
abbi questo nome…Serek Udrail-
La lama scese ed
implacabile morse la corazza, la cotta, la pelle , la carne, le ossa ed
il
cuore, terminando la sua corsa sul soffice terreno.
Fece un cenno allo
Scaltro, che guardò incuriosito la ragazza, per poi tornare
al compagno
–Solitario, e lei?-
-Lasciala vivere…- si
rivolse verso l’amico –D’ora in poi mi
chiamerò Serek Udrail, com’è stato
volere di un valoroso combattente-
Il ladro guardò
interrogativo a turno l’amico, la cherubina e la salma, per
poi far spallucce
scuotendo la testa, per allontanarsi assieme al compagno.
Serek si voltò solo una
volta, ammirando la bellezza della giovane donna dai capelli dorati e
dando
l’ultimo saluto a chi lo aveva redento per sempre dalle
tenebre dell’ignoto.
Se ne andò a passo
leggero, pensando che invidiava il sorriso sulle labbra
dell’angelo defunto.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Rubra lux, rifulge
in caelo: luce rossa, risplendi nel cielo
Flamma, in gladio
uri: Fiamma, brucia nella spada
Focum sanctum,
hostes inflamma: Fuoco sacro, incendia i nemici
Etidnofsnart
euqaitsoh etinev ihim sesne sitatirucsbo: contrario di
“Obscuritatis
enses, mihi venite hostiaque transfondite”, che in
latino significa “Lame
d’oscurità, venite a me e trapassate i
nemici”
Divina vis, surgi: Forza
divina, sorgi
Ringraziamenti:
Romance:
Ti è piaciuta Lenie in questo capitolo? Spero di
sì, come spero non odi troppo il Solitario, in fondo lui
è buono...forse un po' troppo in fondo però....Ti
Amo!
Shirahime88:
Spero che questo
capitolo abbia ulteriormente stimolato la tua
curiosità...tra poco si concluderà la fase
"introduttiva" del racconto, finalizzata a far conoscere meglio i
personaggi, quindi spero non ti sia già annoiata^^
|
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Capitolo 6 *** 5: Esilio ***
5: Esilio
La corte del Diavolo
pareva al Solitario molto più squallida di quanto avesse mai
notato dopo la sua
visita al Paradiso.
Si domandò come poteva
esistere un simile ammasso di blocchi d’ardesia modellato in
una maniera così
caotica da risultare banale, così strana da sembrare spoglia
ed indifferente.
Iniziò a desiderare che
il tappeto rosso, i cui bordi iniziavano a sfilacciarsi e la cui
porpora
iniziava a venir meno, prendesse fuoco sotto i suoi piedi.
Dannazione pensò
come diavolo ho fatto a non accorgermi che il mio mondo
è un simile orrore…?
Il Diavolo si agitò sul
seggio ornato di drappi viola, neri e smeraldo, come impaziente.
Presagio decisamente
negativo se si contava che i suoi principali divertimenti erano
condannare
demoni alla morte o peggio…
-Ma bene, siete tornati
in fretta vedo…anche se credo che siate un po’
meno di quelli che ho inviato-
la voce pareva troppo rauca e grottesca paragonata alla voce dolce e
melodica
dell’angelo.
-Li abbiamo sottovalutati,
signore, erano più forti di quanto ci aspettassimo e
l’intera orda è stata
sterminata dai piumati- disse piatto ed asciutto lo Scaltro, fissando
il nero
muro con espressione incolore.
-E per quanto riguarda
i risultati bellici?- chiese di nuovo, con uno strano scintillio negli
occhi di
brace.
Fu allora che Serek
capì.
Sapeva già tutto, li
aveva inviati alla loro condanna.
D’un tratto scoppiò a
ridere, una risata fredda, priva di sentimento, quasi isterica.
-Certo che il fato è
proprio una carogna…- sorrise infine, gli occhi vitrei.
-Rapporto bellico-
insistette il Diavolo
-Non fare troppo il
fasullo, non ti si addice e non ti riesce nemmeno bene- lo
guardò negli occhi,
furioso, e percepì in quello sguardo offuscato da potere,
brama e crudeltà una
squisita paura –Mi hai mandato proprio per sbarazzarti di me
vero?-
-Non tollero un
linguaggio simile nei miei confronti- disse il possente demone, ancora
un po’
scosso, ma con voce ferma.
-Dai, amico, non ti
riferirai a quell’angelo che è fuggito?- chiese
calmo lo Scaltro –Era un modo
per lasciare alle legioni una testimonianza della potenza infernale-
-Non insistere amico,
tanto non cambierà nulla- disse calmo il draconico, tendendo
la mano all’altro
–Grazie di tutto, è stato un onore conoscerti e
passare questo tempo accanto a
te-
Poi si rivolse al
Diavolo –Lui non c’entra nulla, sono io ad aver
sterminato l’intera orda e ad
aver risparmiato la vita di una creatura del paradiso-
-Ammetti dunque la tua
colpa?- chiese il tiranno, non riuscendo del tutto a mascherare il suo
stupore
per quell’atto così insolito.
-Avrebbe senso negare
ora?- rise l’accusato –Se mi salvassi accusando il
mio amico, preferisco la
pena capitale-
-L’avrai, insolente, la
avrai…- disse furente, schioccando le dita.
Delle creature
ammantate di nero con arghi cappucci che ne coprivano il volto lo
afferrarono.
Si era aspettato di
vederlo strepitare e lottare.
Si era aspettato un
motivo per ucciderlo con le sue mani.
Tuttavia non aveva
previsto il gesto stizzoso del demone, che allontanò le mani
dei carcerieri,
seguendoli comunque pacato.
Tuttavia lo sguardo che
gli rivolse era qualcosa di più freddo e tagliente del
ghiaccio.
Entrarono in una stanza
circolare, dalle pareti intarsiate con simboli arcani da cui sporgevano
diversi
neri balconcini, come dei pulpiti di nera roccia.
Lì presero posto i Neri
Sacerdoti, preparando la pena che per i demoni trascendeva la morte.
L’esilio nel mondo di
mezzo, il regno degli uomini.
Incatenato e spogliato
delle costose armature Serek fu posto al centro della grande stella a
cinque
punte sul pavimento, intorno alla quale erano posti candelabri che
ardevano di
una silenziosa fiamma nera.
Tutta la superficie era
intarsiata da complessi disegni esoterici di
sigillo e protezione.
Iniziarono a salmodiare
davanti agli occhi impotenti dello Scaltro.
-Sai, si sono
recentemente liberati alcuni posti nella parte alta, che ne dici di
essere un
mio collaboratore?- il diavolo gli pose una mano sulla spalla mentre i
sacerdoti prelevavano ogni genere di artefatto dal draconico.
Infine uno guardò
curioso un mazzo di carte umane che al posto dell’asso di
picche recava
l’immagine di un drago nero.
Non percepiva nessuna
ondulazione mistica, quindi rimise al suo posto l’oggetto,
unica proprietà
rimasta al Solitario, se si eccettuavano la sacca piena di tasche, ora
miseramente vuote, intorno ai suoi fianchi, i pantaloni sfilacciati ed
una
camicia leggera.
-Accetto volentieri,
mio Diavolo- l’espressione che finse non fu una delle sue
migliori, ma fu
sufficiente ad ingannarlo.
Quel tronfio tiranno
non badava nemmeno agli strani gesti che stava tracciando
nell’aria stantia
della sala delle esecuzioni.
Non si accorse nemmeno
dell’espressione trionfante dell’esiliato.
Lentamente Serek sentì
che i suoi piedi si staccavano da terra, lasciandolo sospeso in un
fascio di
luce multicolore vorticante.
Sentì delle dolorose
fitte in tutto il corpo, segno che i Sacerdoti avevano già
iniziato la parte
più importante dell’incantesimo: il sigillo
dell’anima demoniaca.
Sentì lentamente le
squame ritirarsi, le ali ridursi e rifugiarsi sotto la pelle delle
scapole, gli
artigli ridursi a unghie curate, le corna sulla sommità del
suo capo regredire,
svanendo senza lasciare traccia.
Tuttavia non era sua
intenzione farsi schiacciare così facilmente.
Vide un Sacerdote
avvicinarsi al Diavolo, e non poté trattenere un sorriso al
vedere l’ira della
creatura.
Probabilmente anche
nove di quegli incantatori professionisti non potevano estirpare la sua
radice
demoniaca.
-Non riusciamo a
togliergli tutto il potere!- udì confusamente la protesta di
uno di essi.
-Sigillatelo allora,
branco di idioti!- sbraitò il tiranno, preoccupato e irato
allo stesso tempo.
-Ma…- ancora una
protesta.
Con gioia udì un rumore
di carne lacerata.
Che stupido
pensò ora ne rimangono solo otto per
sigillarmi…
-Non me ne frega un bel
nulla dei ma, fate come vi dico se non volete morire qui e ora-
Tipico del Diavolo
attuale farsi obbedire con la forza e la crudeltà.
Il velo d’arcobaleno si
dissolse e sentì un bruciore dietro al collo, dove i capelli
nascondevano la
base della nuca.
-Addio Solitario- disse
con un beota sorriso il regnante –Sai, quella espressione mi
ricorda molto
quella di tuo padre, prima che morisse per un mio tranello.-
-Tu, dannato bastardo!-
sbraitò il draconico, furioso.
-Sai, è morto
dolorosamente, ho continuato a farlo curare per una
settimana…per continuarlo a
torturare.- il possente demone sputò a terra
–Quando mi sono stancato l’ho sgozzato,
come il cane che era.-
Serek gli sputò in
faccia, sul viso aveva l’espressione più
spaventosa che potesse esistere. Le
mascelle tese, a lebbra serrate, gli tendevano la pelle fino a far
sembrare il
viso una maschera d’odio e disprezzo.
Per un’attimo il
Diavolo vacillò e mosse un passo indietro, terrorizzato, e
sarebbe fuggito se
non si fosse reso conto che non poteva nemmeno sfiorarlo.
Alle sue spalle lo
Scaltro comunicava con quel codice gestuale di loro sola conoscenza.
-Ricordati, stupido
tiranno- disse ansimante Serek –Io porrò fine al
tuo regno di sangue e
crudeltà-
Un portale si aprì
sotto i suoi piedi e ne fu inghiottito.
Sapeva che il suo amico
non l’aveva tradito, e che lo avrebbe aiutato dove possibile.
Così gli aveva
detto e non aveva ragioni per non fidarsi.
Nel piano di sopra la
minaccia echeggiò ancora a lungo tra le cupe pareti e nella
mente del
dittatore.
Una minaccia che sapeva
di profezia…
*****
-Che seccatura!- un
giovane dai capelli ramati si deterse il sudore dal viso e
fissò il cielo
terso, dove solo poche nuvole vagavano placide, pecore senza pastore.
Lui si chiamava Marne,
ed era rampollo di una famiglia di guerrieri, la stirpe dei Jihan.
E in quel momento si
stava allenando.
O per meglio dire le
stava prendendo per bene.
La verità è che la sua
unica abilità era un’agilità quasi
felina e dei riflessi superiori alla media.
Quando si trattava
d’incrociare la spada con qualcuno l’unico suo modo
per vincere era aguzzare
l’ingegno o avere una fortuna incredibile nel beccarsi il
novellino di turno.
Ed era anche per questo
che il più delle volte finiva gambe all’aria o il
suo avversario si stancava di
stare al suo estenuante gioco di finte e di schivate che serviva a
coprire la
sua scarsa forza fisica.
Si tolse l’armatura di
cuoio e sussultò urtando involontariamente un grosso livido
che si era fatto
poco sopra l’anca durante il precedente combattimento.
Aveva seriamente
pensato più di una volta di chiedere al padre di smettere
d’insistere a
mandarlo lì, spendendo soldi per farlo picchiare da altri.
Sapeva tuttavia che suo
padre non l’avrebbe mai accettato, immerso com’era
nel desiderio di rendere suo
figlio un degno successore, e forse avrebbe dato la sua nella porzione
giornalieri di lividi ed ammaccature.
Era cosciente di essere
sprecato per una vita da soldato o guerriero, semplicemente non ne
aveva le
capacità, come anche spesso dimostravano le occhiate
perplesse seguite da
sbuffi d’ironia e rassegnazione dei suoi mentori.
In fondo era di statura
media, non troppo bello, ma comunque affascinante, come testimoniavano
le
guance delle diverse ragazze che lo fissavano ammirate.
Quel rossore era
giustificato anche dagli espressivi occhi castani, caldi e vivaci.
Era magro, ed anche
decisamente esile, infatti ogni tanto veniva paragonato ad un fuscello
che si
sta per spezzare dalla madre, la quale, dopo questo commento, gli dava
una
seconda porzione di cibo.
L’occhiata disperata
del ragazzo era sempre prontamente ignorata ed era costretto ad
ingoiare tutto,
fino all’ultimo boccone.
Tuttavia il suo fisico
non mostrava cambiamenti.
Aveva dita agili, come
aveva dimostrato aprendo una serratura di cui non aveva la chiave con
un
piccolo coltellino ed un sottile filo di metallo.
Gli piaceva parecchio
correre per i tetti, alla larga dalla folla, e fissare per
interminabili
istanti le variazioni cromatiche del cielo.
Un sordo botto ruppe il
filo dei suoi pensieri.
Si guardò intorno, tra
i suoi compagni d’allenamento, ma non trovò nulla
fuori posto più del solito.
Nulla di ciò che era lì
dentro avrebbe provocato un fragore simile.
E se fosse caduto il
soffitto o un muro portante credo me ne sarei accorto si
ritrovò a pensare
sarcasticamente.
Evidentemente il suono
veniva da fuori.
-Marne, intanto che non
fai nulla, vai a vedere che diavolo è successo!-
urlò amichevolmente un
istruttore.
Era fermamente convinto
che quel maestro fosse tanto contento di toglierselo di torno quanto
lui lo era
di andare in giro per un po’ liberamente.
Uscito notò un piccolo
avvallamento prodotto da ciò che aveva prodotto lo schianto.
Si stupì nel vedere che
era un uomo, e che fosse incolume.
Per fare un solco del
genere doveva essere caduto da molto in alto e molto forte.
Lentamente l’essere
umano si alzò sui gomiti e aprì gli occhi verdi,
scrutandolo.
-E tu chi diavolo sei?-
chiese con voce seccata.
RINGRAZIAMENTI:
Romance:
come sempre presente e gentile. Ti Amo da morire mia dolce fidanzata, e
grazie per i tuoi sempre apprezzati commenti!^^
Shirahime88:
ti ringrazio per i complimenti, ma non credo di essere tanto bravo da
incoraggiare alla lettura ^///^!
A tutti gli anonimi che
leggono: questo vuole essere un invito, e non una
costrizione...mi piacerebbe semplicemente pensare cosa ne pensate della
storia, sia per quanto riguarda la scrittura che per quanto concerne i
personaggi, è possibile che alcuni consigli vengano
ascoltati^^
Cortesemente
Rakyr Celes
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Capitolo 7 *** 6: Straniero ***
6:
Straniero
-Ehi!
Ti ho chiesto chi diavolo sei!- ripeté scocciato
l’ex demone, cercando ancora
di abituarsi a quelle percezioni così diverse dalla sua
normalità.
L’altro
rimase a fissarlo con gli occhi castani e la bocca spalancati in
un’espressione
così stupita da sembrare stupida.
Serek
sbuffò scocciato –Comincia a darmi fastidio che tu
mi fissi come se fossi uno
spettacolo da baraccone o fossi caduto dal cielo.-
-Beh…in
effetti non mi sembra tu sia uno spettacolo da circo, ma in quanto al
cadere
dal cielo penso che sia successo sul serio…-
commentò con viso perplesso il
giovane.
-Cosa
vorresti di…- sbatté più volte gli
occhi, e fissò con un misto di stupore e
timore le sue mani.
Non
erano più coperte di squame!
Dietro
al collo…tastò sotto la nuca, alla radice dei
capelli.
Le
dita trovarono e percorsero tremanti d’ira e spavento le
forme lievemente in
rilievo del tatuaggio che rappresentava la sua pena.
Era
il marchio dell’esiliato, nero e dai bordi ondulati,
seminascosto dai lunghi
capelli neri che gli cadevano ordinatamente sulle spalle.
Chiuse
lento gli occhi, espirando, quasi a disagio, mentre la
realtà lo inghiottiva
crudelmente. Gli ci volle un po’ di tempo per ricomporre i
frammenti dispersi
delle sue idee alla deriva.
Era
evidente che quello non poteva essere il piano infernale, il suo mondo,
né il
ragazzo che continuava a fissarlo con evidente e, per la
verità, un po’
eccessivo stupore rassomigliava l’aspetto caotico ed
imprevedibile degli
abitanti delle desolate lande infernali.
Un
secondo sguardo lo convinse di aver la fortuna sufficiente per non
essere stato
sbattuto nel Paradiso, infatti l’ambiente era diverso e il
ragazzo che stava
innanzi a lui era privo delle caratteristiche ali piumate e la sua
fisionomia
pareva essere debole di molti piccoli difetti, ed il suo viso non era
perfetto,
nonostante si potesse definire fascinoso.
Infine
la consunta corazza di cuoio slavata dal sudore e con cinghie
smangiucchiate e
rappezzate poco si
adattava alle dorate e sfavillanti armature angeliche.
Ciò
lo convinse di essere comunque in uno dei piani portanti
dell’esistenza, i
Reami di Mezzo, un caotico assembramento di terra e acqua che dava vita
a selve
e montagne, canyon e scogliere, isole ed oceani, grotte e millenari
percorsi
sotterranei.
Si
alzò piano sulle gambe, ancora un po’ malferme per
la debilitazione a cui erano
state sottoposte in un lasso di tempo tanto breve.
Quando
riaprì gli occhi la realtà parve attirarlo in una
spirale di colori sfocati e
vorticanti, tanto che dovette far appello alla sua più alta
concentrazione ed
al suo equilibrio per non cadere indecorosamente a sedere sul duro
terreno
polveroso in quel girotondo di macchie slavate.
Pian
piano il mondo riprese un assetto normale per Serek, che
sentì i suoi piedi
nudi più saldi sulla terra e, dopo essersi rassicurato al
tocco del mazzo di
carte magiche, allungò un tremulo tentennante passo.
Inizialmente
sbandò un po’ a sinistra, incespicando, ma senza
cadere, ed infine anche i suoi
passi si fecero più sicuri.
-Ehi!
Uomo del cielo, dove vai?- sentì una voce ed un sommesso
scalpiccio dietro di
sé.
Si
fermò lentamente, rendendosi conto della validità
dell’obiezione sollevata da
quel ragazzo, ma scosse la teste e decise che avrebbe trovato un
ripiego di
qualche genere in un modo o nell’altro.
Era
ancora immerso nei suoi pensieri quando una mano gli sfiorò
una spalla,
leggera, senza che lui fosse riuscito ad accorgersene.
Il
riflesso gli venne spontaneo, istintivo e rapido, e Marne si
lamentò del
dolore, raggomitolato a terra su sé stesso.
L’aveva
sorpreso, pensò il demone, non si era nemmeno accorto della
sua vicinanza così
imminente!
I
suoi pensieri vennero interrotti da una voce tremula
–Calmatevi, signore…!-
protestò il giovane, rialzandosi traballante
-…credo che…forse…forse potrei
ospitarvi…-
-Dici
sul serio? Hai per caso delle certezze che io non possa depredarti di
tutti i
tuoi averi ed andarmene lasciandoti a terra esanime, sgozzato come un
cane?-
vide lo spadaccino portare istintivamente la mano alla spada lunga che
aveva al
fianco.
In
effetti quella particolare ipotesi aveva parecchio stuzzicato
l’animo caotico
dell’ex demone, ma gli bastò riportare lo sguardo
sulla corazza di cuoio
consunta ed immaginare il suo fetore per farlo desistere.
Era
palese che non ne valeva la pena, non per quel pettorale, ma per la
spada era
diverso. Infatti quella pareva di buona fattura e ben bilanciata,
nonostante
fosse priva di fregi significanti.
Decise
semplicemente di aspettare la reazione dell’apprendista.
-Mio
padre è un glorioso guerriero, rinomato e richiesto anche da
diversi lord della
zona, ed io sarò il suo erede…- il ragazzo lo
disse a testa bassa, troppo
vergognoso per guardare quei profondi freddi occhi smeraldini.
Non
vide dunque la luce emozionata che si accese sfavillante negli occhi di
Serek,
che svanì in fretta, lasciando dietro di sé
soltanto un mezzo sorriso carico di
puro cinismo –Figlio di un mercenario…bene, bene-
le pupille nere lo scrutarono
attentamente, valutandolo sotto ogni aspetto –Dunque devo
dedurre che non sai
cavartela poi male con la spada, a differenza di ciò che si
direbbe a guadarti-
-Esatto!
Io, come mio padre, sono davvero molto abile!- sorrise tronfio,
gonfiando il
petto, non presagendo le conseguenze che quell avventata spudorata
menzogna
avrebbe causato.
-Allora…-
le labbra dello straniero si tesero in un ghigno spietato, scoprendo
due file
di denti bianchi e perfetti -…non ti dispiacerà
di certo mostrarmi di che cosa
sono capaci gli umani!- rise follemente e scattò contro il
giovane a pugni
chiusi.
Marne
si chiese se quello, disarmato, fosse pazzo ad attaccare lui, con una
spada, ma
accantonò il pensiero e fece scivolare la lama fuori dal
fodero, reso spavaldo
dal certezza del vantaggio che quell acciaio affilato gli dava.
Tuttavia
fu una certezza esile, che si infranse presto con gli attacchi del
moro,
cadenzati, incessanti, armoniosi. Non riuscì nemmeno ad
attaccare quella figura
saettante che lo colpiva.
I
pochi fendenti che riuscì ad eseguire erano deboli, insicuri
ed imprecisi e
venivano continuamente deviati da rapidi e precisi colpi del demone,
alcuni
portati con il tallone, altri con il palmo, altri con il dorso delle
mani.
Ben
presto la spada volteggiò in aria, scintillando al sole
pomeridiano, per poi
conficcarsi a terra con un rumore di vetri graffiati.
Marne
si ritirò di scatto, con una mano che stringeva il polso
destro, che il moro
aveva colpito con un rapido e poderoso calcio.
-Abile!?
Come osi definirti abile quando sei a malapena capace di reggere in
mano una
spada!?- lo schernì irato il draconico.
Si
volse verso la spada incastrata nel terreno e stava per afferrarla
quando sentì
un singolo passo.
Due
linee parallele si aprirono sulla stoffa che copriva la schiena del
demone, ed
una più fine e lieve si aprì al di sotto della
prima, rossa e luccicante.
In
verità non era nulla di più d’un
graffio leggero, poiché era riuscito a
scostarsi appena in tempo per evitarlo, seppure non totalmente.
Tuttavia
lo aveva preso ed il suo orgoglio menomato bruciava più di
quella ferita.
Con
un gesto deciso svincolò la spada dalla sua prigione di
terra, saggiandola con
un paio di rotazioni.
Per
come gli era sembrato gli schemi di attacco di quel suo avversario
ricalcavano
quasi quelli dello Scaltro, nonostante risultassero più
semplici e prevedibili.
Se
fosse stato un demone, ragionò, la sua abilità
sarebbe stata quasi pari a
quella del suo amico!
Tuttavia
il suo attuale avversario impugnava due daghe ricurve, nonostante il
suo
ambidestrismo fosse incompleto, come potevano ben dimostrare quei due
squarci
sul retro della camicia di stoffa.
Infatti
la sinistra non era che una remora della destra e ne seguiva
semplicemente i
movimenti, non riuscendo nemmeno a cambiare l’angolazione del
colpo.
Tuttavia
la forza impressa nei fendenti era ben calibrata, anche nella mano
secondaria,
il che non era un’impresa da poco per qualcuno che poteva
benissimo essere
venti volte più giovane di lui.
Il
ragazzo guardò stupito la macchia carminia sulla lama,
sorridendo poi,
compiaciuto dell’azione.
Un
ladro. Un assassino. Un’ombra tra le ombre.
Con
un sogghigno il solitario puntò la punta della spada contro
il ragazzo –Ti ci è
voluto un bel po’, ma ora ti sei svegliato finalmente!-
sorrise nuovamente –Ora
penso che mi divertirò sul serio!-
Con
un urlo bellico Serek scattò, la spada tesa in un letale
affondo…
Ringraziamenti:
Romance:
per supportarmi sempre e comunque. Ti Amo da morire milady!
Shirahime88:
ho ripreso a scrivere finalmente...sono un po' arrugginito
però...cerca di perdonarmi
Illidan:
Grazie dei commenti...sono curioso di sapere cosa farà il
gruppo di Tassel...ehm, Legolas, quindi continua a scivere. Il
perchè Seril ha chiesto la morte è l'orgoglio,
voleva morire per la patria piuttosto che tornare con la consapevolezza
di aver fallito...insomma un patriota. Riguardo agli angeli...quelli
erano semplici reclute da quattro soldi...ma comunque vivendo come
vivono rimangono comunque più inaadatti alla lotta delle
loro antitesi.
Mamoru_Kurosawa:
che dire, nakama, i tuoi capolavori mi affascinano, spero che i miei
possano fare altrettanto. Cercherò di correggermi riguardo
alla pesantezza letterale.
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Capitolo 8 *** 7: Dovere ed ambizione ***
7:
Dovere ed
ambizione
La
lama corse dritta verso il petto del giovane, che solo
all’ultimo istante si
scansò.
La
punta trapassò il cuoio consunto e la maglia di stoffa al di
sotto, ma i
riflessi del ragazzo erano stati abbastanza veloci da evitargli
qualsiasi
genere di ferita.
I
due pugnali
intrappolarono la spada che
aveva cercato di ucciderlo, ma il gesto fu impacciato e quella si mosse
troppo
velocemente.
Serek
si allontanò di qualche passo, sorpreso e compiaciuto allo
stesso tempo.
-Perché
ti ostini ad usare la spada se sei così abile con il
pugnale?!- chiese in un
ringhio, vibrando un fendente che venne scansato in extremis dal biondo.
-Non
ti riguarda!- urlò mordendosi un labbro per
l’amarezza che aveva sollevato
quella domanda.
Due
fendenti verticali in salto costrinsero il demone alla difensiva.
Le
daghe stridettero violentemente sull’acciaio
dell’arma, costringendo il moro a
sforzare i muscoli, lanciando l’avversario a qualche metro di
distanza con un
arco della spada.
Marne
atterrò malamente, e nell’assicurarsi del buono
stato dei pugnali vide la macchia.
Era
sangue, ne era sicuro.
Aveva
ferito quel guerriero, ci era davvero riuscito?
Sorrise
felice al pensiero delle capacità che aveva affinato
abbastanza da essergli
utili in battaglia.
-Come
osi distrarti, novellino?- chiese glaciale una voce dietro di lui.
Solo
allora notò la lama che incideva il cuoio del pettorale,
tenuta al contrario da
una mano che spuntava da sopra alla sua spalla sinistra.
La
lama si mosse.
Marne
chiuse gli occhi. Non voleva morire, non ora, non così.
Sentì
lo spostamento d’aria di due colpì e poi il vento
rinfrescò il petto sudato.
Riaprì
gli occhi e li sbattè più volte.
La
spada era sparita dal suo petto e l’armatura giaceva a
penzoloni dai suoi
fianchi, la cinghie tagliate.
Si
tirò un pizzicotto.
Nulla.
-Sei
ancora vivo, non temere, se avessi voluto ucciderti non pensare che te
la
saresti cavata con qualcosa di veloce ed indolore.- la voce dello
straniero, un
po’ discostata.
Tastò
la cintura.
-Se
cerchi queste non preoccuparti, stavo soltanto dandoci
un’occhiata, non uso
armi così corte di solito.- due tonfi dietro di lui lo
fecero girare.
Si
chinò a riprendere le sue armi e le rimise nei foderi
nascosti.
-Sai,
ho un amico che ti assomiglia molto sia per come combatti che per come
agisci-
disse Serek in un sospiro –Ora io sono in una posizione molto
delicata, ma lui
scommetto che sta facendo di tutto per potermi aiutare a tornare alla
mia
terra-
-Sei
stato cacciato? Quindi sei un esiliato…- chiese Marne, non
capendo bene.
-Si…-
sembrava che fosse successo qualcosa di spiacevole, qualcosa di
così grande da
riuscire a cambiare l’atteggiamento dell’ex demone.
-Non
mi hai ancora detto il tuo nome però, straniero…-
sorrise conciliante
guardandolo negli occhi.
-Non…-
si fermò un attimo, rovistando nei suoi pensieri
-…mi chiamo Serek Udrail…-
-Non
ci voleva molto, eh? Io mi chiamo Marne Jihan.- tese la mano fiducioso.
Serek
la guardò per un po’, indeciso sul da farsi.
Quel
ragazzo era una copia quasi perfetta dello Scaltro, stessa maniera di
combattere, stessa disarmante amicizia.
Sembrava
di vedere come sarebbe stato se non fossero nati all’inferno.
Ma
quello era successo, e nessuno poteva cambiarlo.
Strinse
vigorosamente la mano, usandola per tirarsi in piedi dal sasso su cui
era
seduto.
-Casa
mia è di qui- disse subito, per stemperare
l’atmosfera che si era fatta tanto
pesante.
Lo
straniero lo seguì senza discutere, armeggiando con i lacci
della cintura e
cercando di fissarsela al fianco.
Sembrava
un bambino, alle prese con qualcosa di insolito ed estremamente assorto
nella
sua azione.
-Fatto-
disse soddisfatto dopo aver legato i due lacci alla bell’e
meglio.
Marne
pensò seriamente che fosse buffo, una persona totalmente
diversa da quella che
aveva affrontato prima, più docile, quasi tranquilla,
nonostante la fiamma
della battaglia e, se è possibile, della crudeltà
bruciassero senza sosta nelle
sfaccettature dello smeraldo.
Non
sapeva nulla della sua condanna, né il perché di
quella né il rapporto con il
suo amico a cui sembrava affidare senza rimpianti la sua salvezza.
Tuttavia
i suoi pensieri vennero stravolti quando giunse in vista della sua casa.
Era
una piccola casupola di legno, con finestre che non erano che aperture
tra un
tronco e l’altro e l’unico costrutto in pietra era
rappresentato dal comignolo
che sbucava dal tetto a spiovente, dove la vernice richiedeva una
ritoccata in
più punti.
Cosa
avrebbe fatto suo padre? Di sicuro la spada se la sarebbe ripresa, ma
come?
Sperava di non assistere ad un duello tra suo padre e Serek, in fin dei
conti,
nonostante lo avesse quasi ucciso, iniziava a stargli simpatico.
Magari
aveva fortuna e suo padre era fuori…ma no, meglio non
illudersi…o forse era a
dare una mano al taglialegna, ultimamente faceva anche
quello…sì,
no…chissà…
Con
risoluzione instabile e passo debole posò la mano sul legno
levigato della
porta.
E
spinse.
Tutte
le sue illusioni furono sgretolate dalla brezza dispettosa.
Suo
padre infatti non era fuori casa.
Era
lì, davanti, vero…troppo vero.
E
pareva furioso.
-Marne,
razza di sfaticato incapace, perché diavolo te ne sei andato
dall’allenamento?!-
sbraitò il guerriero, per poi accorgersi della presenza
dell’ospite –E chi
cazzo è quel tizio che se ne sta imbambolato sulla porta?!-
Vi
fu un attimo di silenzio imbarazzato.
Marne
tentò di articolare una frase, ma tutto ciò che
riuscì a produrre furono suoni
incoerenti.
-Qualcuno
ti ha mangiato la lingua, stupido demente?- riprese il padre.
-Scusate
la mia audacia nell’intervenire, ma ero stato aggredito da un
gruppo di banditi
e se questo ragazzo non fosse venuto a soccorrermi ora sarei di sicuro
cibo per
vermi.- il viso di Serek era limpido mentre diceva quella menzogna,
quasi come
se mentire fosse diventato ormai qualcosa di automatico, normale, che
non
doveva neanche più essere tradito da rimorso o indecisione.
Marne
si voltò verso l’ex demone, con espressione
riconoscente, mentre il padre si
passava una mano sulla barba ispida e tagliata alla buona, per poi
sfiorare i
ruvidi baffetti, patetica parodia di quelli di un barone.
-E
chi saresti tu?!- il tono era aspro.
-Mi
chiamo Serek Udrail, e sono uno straniero che è stato
esiliato dalla sua
patria.- rispose calmo il moro.
-Ma
bene, un esiliato, che hai fatto, ammazzato qualcuno? Violato la figlia
del
re?- il capofamiglia Jihan si espresse con un’acida ironia.
-No,
ho risparmiato una persona per rispettare una promessa fatta ad una
creatura
onorevole in punto di morte.- il volto dello spadaccino era impassibile.
-Sei
bravo a combattere?- chiese il padre.
-Posso
dire che me la cavo, anche se sembra sia un po’ peggiorato.
Farmi colpire, benché
di striscio, da dei banditi è di sicuro un grande smacco.-
sorrise cortese,
anche se nei suoi occhi ardeva una fiamma nascosta che solo Marne seppe
individuare.
Era
una smania di combattere, di affrontare avversari sempre più
forti, tanto
grande da metterlo in soggezione e fargli domandare se
quell’essere fosse
umano.
-Seguimi,
se hai abbastanza palle per sfidarmi- ghignò malvagio il
mercenario.
Con
un sorriso quasi malvagio nascosto da un modesto inchino
liberò il passo
all’uomo, che lo precedette nello spiazzo davanti alla sua
casa.
L’aria
era calda, ed anche il vento leggero che spazzava con timide folate
l’atmosfera
non riusciva ad alleviare la calura.
Il
mercenario si avvicinò a passo pesante ad un tronco
tagliato, svellendone la
pesante ascia che vi era infissa saldamente.
Serek
estrasse la sua spada, gelido.
-Cosa?
Credi di battermi con quello stuzzicadenti?! E come, facendomi il
solletico?-
rise sguaiato il padre di Marne.
Il
moro sorrise –Vedremo- e si spinse alla carica.
-Idiota…-
l’ascia cozzò contro la spada, ma il colosso non
vide il calcio che seguì il
colpo e lo colpì in pieno petto.
Spingendosi
con il piede usato per il colpo, si spinse indietro –Allora?-
La
risposta fu una risata maligna –Come mi aspettavo, sei solo
spazzatura, di
buona qualità, per carità, ma sempre
spazzatura…non mi hai fatto nemmeno il
solletico eppure mi hai fatto ridere.- con questo il gigante si
avventò verso
il demone con la possente ascia che lasciava un solco nel terreno.
Cercare
di pararla era un suicidio, probabilmente avrebbe spezzato la spada.
Corse
avanti, troppo vicino rispetto alla portata dell’arma del
mercenario.
Non
esitò ad allungare un pugno contro il torace
dell’uomo.
In
un movimento rapidissimo lo colpì con un buon colpo al
mento, dall’altro al
basso, durante il quale saltò.
Le
mani del nemico tentarono di colpirlo, ma lui riuscì a
divincolarsi a
mezz’aria, afferrando ambedue gli ampi polsi con una presa
salda, usando i soli
muscoli delle braccia per sostenersi e colpendo in pieno viso con
ambedue i piedi
l’avversario.
I
suoi muscoli, brucianti, non riuscivano a sorreggerlo oltre, e perse la
presa,
cadendo a terra malamente di schiena.
Gli
fu subito addosso.
Un
colpo lo raggiunse allo stomaco e sentì il sangue sulle
labbra. Alcune costole
scricchiolarono, macabre.
-Merda…-
imprecò il giovane, tossendo sangue e saliva, privo di ogni
forza.
La
sua vista si faceva offuscata, ma poteva vedere che i suoi attacchi
erano
riusciti a fare qualcosa.
Certo,
lo avevano a malapena scalfito, ma
ora
era al livello di un umano comune, o poco più.
Con
in aggiunta un bagaglio di conoscenze di uno spadaccino ultracentenario.
Per
quanto riguardava le sue conoscenze magiche, quelle erano sigillate
troppo bene
in una lontana parte dalla sua anima, in attesa di essere liberate.
Il
mondo divenne nero e perse i sensi.
-Ma
guarda questo stronzo!- sbottò il padre di Marne
–Per una volta, sciagurato,
hai fatto qualcosa di buono- si voltò verso il figlio, che
lo guardò stupito
–Questo bastardo è troppo abile per essere
così flaccido.- tastò i bicipiti
dallo svenuto per poi increspare i suoi, scuotendo la testa.
-Portalo
in casa, e fai in fretta, chiamerò il chierico per
rimettergli insieme tutto
ciò che gli ho spappolato.- fece per andarsene
–D’ora in poi lui prenderà il
tuo posto negli allenamenti, e tu ti allenerai con lui, se butto via
soldi
perché qualcuno vi dica come usare una spada, che almeno sia
utile a qualcuno!-
Questo
tizio non è normale pensò Marne
Non solo non aveva paura di mio padre,
ma addirittura lo ha sfidato ed è riuscito a fargli
qualcosa. Se solo penso che
può diventare ancora più potente ho paura. Si
avvicinò all’ex-demone,
mettendosi il suo corpo in spalla Chi diavolo sei Serek, ma
soprattutto,
cosa diavolo puoi diventare?!
Ancora
tremante camminò verso la porta di casa.
*****
-Lenie
Eril, di rapporto sulla missione di preservazione dei confini celesti.-
il
consiglio angelico era fremente d’impazienza.
Solo
l’uomo con la barba sembrava trattenere a malapena le lacrime
davanti
all’espressione di glaciale odio dipinto negli occhi della
cherubina.
Poi
lei iniziò a parlare –La missione è
stata un totale fallimento.- disse
inespressiva.
La
sala fu percorsa da forti vocii, campanelli di anziani discutevano,
sbiancati
in volto.
L’uomo
con il cappuccio alzò una mano tanto rigida e tesa da
tremare.
La
stanza si azzittì improvvisamente.
-Dimmi,
Lenie, cosa è successo?- la voce era una via di mezzo tra la
voce di un padre
in lutto per il suo figlio defunto e quella di un genitore che discute
serio
con il suo pargolo.
-I
demoni erano cinque volte superiori ai nostri soldati, siamo stati
soverchiati…io sono l’unica superstite, e fatico a
capire perché.- brusii
terrorizzati sibilavano inquieti, ma in mezzo a loro parlò
l’uomo, zittendoli.
-Dunque
era solo un fattore di svantaggio numerico?- chiesero gli anziani.
Un’amara
risata senza speranza si levò dalla gla di Lenie
-Di
quei demoni ne sono rimasti solo due.- un mormorio di soddisfazione si
levò,
timido –Gli altri sono tutti morti in pochi minuti prima che
iniziasse la
battaglia. Uccisi da quei due che hanno annientato totalmente la nostra
unità.
Anche il mio Seril…giace mutilato nei confini, trafitto a
terra dalla sua
stessa spada angelica.-
Non
un alito di vento osò dire la sua, l’unico rumore
era quello delle toghe che
frusciavano sul liscio pavimento.
-Due…demoni…hanno
distrutto…cento angeli? E’…è
assurdo!- si lamentò un vecchio, con tono
piagnucoloso.
-Lenie,
conferma se dico bene, i due erano incolumi dopo la battaglia vero?-
chiese
l’incappucciato.
-E’
così, Signore, solo la spada di Seril è riuscita
a ferire il demone squamato-
rispose Lenie, digrignando i denti.
-Ma
non è servito a nulla contro i suoi trucchetti sleali,
sbaglio?- c’era amarezza
nella voce, ma Lenie scattò.
Si
trovò a stringere la stoffa grezza del mantello, tanto
vicina al corpo che ne
era coperto da sentirne il calore.
E
lo stava scuotendo con veemenza.
-Come
osi?!- urlarono gli anziani, ma l’uomo li zittì
nuovamente, rigido, per poi
abbracciare teneramente la schiena della singhiozzante fanciulla angelo.
-Va
tutto bene, figliola…o meglio…proveremo a far
sì che andrà tutto bene.- questo
strappò una piccola risata alla donna, che ancora in lacrime
si allontanò.
Quando
alzò lo sguardo vide dei capelli castani un po’
arruffati, che incorniciavano
con la barba un viso splendido e due occhi azzurri che piangevano.
Cadde
in ginocchio dinnanzi a lui, in soggezione.
-Capisco
come ti senti, figliola…- Lenie sentì una mano
che gli accarezzava il capo,
gentile.
Era
piacevole.
-Vuoi
la vendetta così tanto?- la domanda la colse del tutto
impreparata, e si chiese
come facesse ad aver capito.
Poi
si rispose. Onniscienza.
-Si-
la voce determinata, gli occhi duri ribollivano di forza.
-Non
ho il diritto di toglierti questa possibilità.- sorrise
brevemente, di un
sorriso mesto –Ti proclamo Vendicatrice…-
-Vi
ringrazio, mio Signore, possiate benedirmi.- un piccolo sorriso le
tirò le
labbra.
Si
voltò ed iniziò ad avviarsi tra tutti i vecchi
verso la porta.
-Probabilmente
ora il demone draconico non si trova più
nell’Inferno, ma è esiliato nel Mondo
di Mezzo, il Diavolo che ora hanno gli Inferi di sicuro non
potrà tollerare che
un suo subordinato gli abbia disobbedito.-
-Grazie
dell’informazione.- disse Lenie, ed uscì.
Lentamente
l’uomo si rimise il cappuccio, sospirando.
-Rabbì,
cosa accadrà?- chiese uno degli anziani.
-Non
lo so….-neanche l’onniscienza e
l’onniveggenza potevano prevedere cosa sarebbe
potuto accadere….
RINGRAZIAMENTI:
Romance:
Come al solito troppo gentile, grazie di continuare a prenderti cura di
me. Ti Amo da morire!
Illidan:
Caro nakama e (quasi) compaesano, spero che anche questo ti possa
piacere. Sei contento che Marne non crepi? Per ora almeno...comunque
non è di questo che voglio parlare. Le domande che mi hai
fatto, tutte più che legittime, troveranno risposta solo
più avanti (anche se credo di averti detto qualcosa in
merito...beh...fai finta di nulla. E già che ci sei tira un
calcio al baby Boromir da parte mia)
anil13:
Grazie delle recensioni, sebbene un po' astiose nei miei
confronti...spero continuerai a leggere e, chissà, magari
questa storia potrebbe anche iniziare ad andarti a genio.
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