Poker di Cavalieri di Shari Deschain (/viewuser.php?uid=24910)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In Memoriam ***
Capitolo 2: *** Nomen Est Omen ***
Capitolo 3: *** Ius In Bello ***
Capitolo 4: *** Omnia Vincit Amor ***
Capitolo 1 *** In Memoriam ***
Pairing/Characters: Katherine/OC
Rating: PG
Warnings: Angst
Word
Count: 688
(fdp)
Disclaimer: Magari
fossero roba mia. Li tratterei meglio dei loro veri possessori e_e
N/A: Scritta
per la Staffetta
in Piscina @ piscinadiprompt,
prompt “Que
quelqu’un me pardonne d’encore vouloir y croire
{trad. Che qualcuno mi perdoni di volerci ancora credere }
[Où ça mène quand on
s’aime– Le Roi Soleil OST]” e per 500themes_ita,
prompt #15.
Ultima volta.
─ Questa
raccolta è strettamente legata a Poker
di Dame non tanto per il contenuto, quanto per la forma. Lo
schema e i temi dei capitoli sono gli stessi, e non a caso, ma proprio
perché mi andava di analizzarli con la stessa chiave di
lettura e vedere cosa ne usciva fuori.
In Memoriam
Casa è
un concetto che si sforza di dimenticare da secoli, ormai. E il
più delle volte, se non ci pensa troppo, ci riesce anche.
Poi però ci sono delle notti ─ notti particolarmente buie, o
fredde, o soltanto solitarie ─, in cui è troppo stanca,
troppo infreddolita o troppo sola per lasciarsi ingannare dalle proprie
illusioni.
Allora
cerca di riempire il buio con il sangue, o con l'alcool, o meglio
ancora con il sesso. Non sempre tutto ciò le migliora
l'umore, dato che la mattina dopo, di solito, si sveglia con un gran
mal di testa e un cadavere nudo ai piedi del letto.
Ma
le notti non sono nemmeno la parte peggiore, perché le notti
non hanno colori, tingono di nero il mondo, nascondono.
La
parte peggiore sono le belle giornate, luminose e calde, piene di vita,
di risate, di famiglie rumorose e di innamorati che vanno in giro mano
nella mano senza che lei possa squarciare loro la gola.
La
spaventano la rabbia e la voglia di violenza che le bruciano nel petto
di fronte all'idillio altrui, ma più di tutto a spaventarla
è la nostalgia, il modo in cui a volte, contro la sua
volontà, gli occhi iniziano ad inumidirsi di ricordi, mentre
nomi che non ha pronunciato per centinaia di anni le si fermano in
gola, come un nodo, senza mai riuscire a superare la soglia delle sue
labbra.
Più
di tutto ha paura di se stessa.
I
cimiteri antichi sono terra di nessuno. Gli stessi morti sono tanti
nessuno, sistemati uno accanto all'altro in file quasi ordinate.
Lapidi
vecchie, consumate dal vento e dalle piogge, croci di legno senza nomi
e senza fiori. Memorie perdute di cui nessuno sente la mancanza,
perché nessuno è così vecchio da
poterle ricordare davvero. A parte lei, ovviamente.
Lei
non può smettere di ricordare.
Non
ci torna mai volentieri in quella parte del mondo.
Era
stata ben contenta, innumerevoli decenni prima, di mettere un oceano
tra lei e quella terra, e ancora adesso, ai suoi occhi, nessun'altra
bellezza dell'America può superare l'enorme pregio di
trovarsi dall'altra parte dell'emisfero rispetto all'Europa.
Ma
a volte, che le piaccia o meno, i ricordi vincono.
A
volte bisogna tornare a casa.
Non
avrebbe potuto salvarlo nemmeno se lo avesse voluto, si dice spesso,
ovviamente mentendo. Di solito è brava a mentire a se
stessa, ma a quella bugia in particolare è molto
più facile credere quando non si trova di fronte a quella
lapide anonima, in piedi sulla bara di quello che è stato, a
tutti gli effetti, il suo primo amore.
E
dio, quanto l'aveva amato, pensa con una punta di amareggiato sarcasmo,
sistemando una rosa rossa sul terreno erboso.
Anche
lui l'aveva amata, certo. Almeno fino a quando lei non era rimasta
incinta. Poi la paura aveva preso il posto dell'amore, e dalla
prospettiva dei loro sedici anni, l'idea di un
“finché morte non vi separi” doveva
essergli sembrata una condanna a morte.
Bastardo.
Ma
era stato meglio così. Non sarebbe mai stata una brava
moglie, anche se forse non le sarebbe dispiaciuto troppo provare ad
essere una brava madre.
Possibilità
perdute, possibilità negate.
Un
tempo si interrogava spesso su quelle possibilità. Ora le
danno quasi il voltastomaco.
Il
sole del pomeriggio le riscalda il volto mentre lei si sforza di capire
perché mai dovrebbe fingere un lutto che non ha mai provato
davvero.
Per
qualche strano motivo, però, non è mai nemmeno
riuscita ad odiarlo fino in fondo, così come non
è mai riuscita ad odiare i suoi genitori, che pure le
avevano strappato sua figlia dalle braccia.
Strano
dolore, a ripensarci adesso. Alieno e familiare al tempo stesso,
proprio come quello che prova ogni volta che torna a questa casa piena
di morti e di ricordi di una vita che non le appartiene più.
Non
che lei la rimpianga. Niente affatto.
Katherine
raddrizza la schiena e si riavvia i capelli, poi si dirige verso
l'uscita del cimitero ancheggiando appena sui tacchi a spillo. Sorride
civettuola all'autista del taxi che la sta aspettando per portarla
all'aeroporto di Sofia, sollevata all'idea che tra poche ore la
Bulgaria sarà lontana migliaia di chilometri da lei.
Non
ci tornerà mai più, promette ancora.
Questa
volta, però, non fa neanche finta di credersi.
*
N/A: Del
padre della bambina di Katherine non si sa nulla di certo, se non che
era assente al momento del parto (e probabilmente anche dopo, o avrebbe
fatto qualcosa riguardo alla figlia). Personalmente penso che le
ipotesi più probabili siano due: o era morto o l'aveva
rinnegata. Ho preferito questa seconda opzione perché
è quella che meglio giustifica il comportamento dei genitori
di Katherine, ma è solo una teoria tra mille teorie, dato
che la sua vera storia non ce l'hanno mai raccontata per intero *pouts*
|
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Capitolo 2 *** Nomen Est Omen ***
Pairing/Characters: Katherine/Damon
Rating: PG13
Warnings: Lime;
Word
Count: 777
(fdp)
Disclaimer: Magari
fossero roba mia. Li tratterei meglio dei loro veri possessori e_e
N/A: Scritta
per la Staffetta
in Piscina @ piscinadiprompt,
prompt “The
Vampire Diaries, Damon/Katherine, "Touch my mouth and hold my tongue/
I'll never be your chosen one/ I'll be home safely tucked away/ Well,
you can't tempt me if I don't see the day" (Mumford & Sons -
Broken Crown)” e per 500themes_ita,
prompt #283.
L'alba della notte.
─
Scritta anche per la Maritombola @ maridichallenge,
prompt #32.
Bianco/Nero e per la zodiaco!challenge @ fiumidiparole.
─
Parte 3 di 4 della raccolta “Poker di Cavalieri”.
Nomen Est Omen
Un
cinguettio solitario, così leggero da farne sembrare il
proprietario quasi vergognoso della propria audacia, annuncia loro che
anche quella notte sta finendo.
Katherine
è già sveglia (o meglio, ancora sveglia,
dato che non ha dormito affatto), ma non ha assolutamente voglia di
muoversi. Giace con la testa posata sul petto del ragazzo al suo fianco
e, con l'orecchio premuto proprio sopra il suo cuore, ascolta rapita il
suo quieto ma incessante battito.
Nel
grigio dell'alba le lenzuola che li coprono appena non hanno colore, e
anche le macchie di sangue sono solo ombre un po' più scure.
Damon
dorme e sorride nel sonno, come se non potesse desiderare nient'altro
che essere lì, in quel letto, con il corpo nudo di Katherine
premuto contro il suo, e con nessun'altra sensazione addosso se non
quella delle carezze calde delle loro mani intrecciate e dei boccoli di
lei che gli solleticano le spalle. Sorride come se fosse disposto a
rinunciare alla sua vita, tutta quanta, per vivere solo di questi pochi
minuti grigi, che non sono né giorno né notte, e
che pure rappresentano tutto il loro regno.
Katherine
sa che per lui è davvero così.
E
per la prima volta, senza sapere se per il piacere o per la paura,
rabbrividisce nel suo abbraccio.
Un
altro giorno, un'altra alba, ma stesso letto e stesse lenzuola incolori.
Fuori
è ancora buio. La pioggia ticchetta tetra contro il vetro,
ed intanto il cielo scuro viene squarciato da lunghi fulmini bianchi,
così luminosi da lasciarle macchie di luce negli occhi,
quando infine si decide a distogliere lo sguardo dalla finestra e a
sbattere le palpebre.
Bianco
e nero fuori, grigio dentro.
Katherine
non sa cos'è peggio.
Damon
è sveglio questa volta, e le accarezza i capelli con mano
distratta, mentre con l'altra si porta alle labbra una sigaretta
raffazzonata con mani ancora troppo impacciate dal sonno per fare un
buon lavoro.
Soffia
volute di fumo contro il soffitto e non dice nulla, limitandosi a
passarle in silenzio la sigaretta quando lei alza una mano per
chiederla.
Il
tabacco ha un sapore dolce e forte allo stesso tempo, proprio come quel
ti amo che lei gli legge negli occhi ogni volta che lui la guarda.
Ancora non è riuscita a capire se quella fierezza la
spaventi o la ecciti. Entrambe, probabilmente.
Come
al solito.
Katherine
inspira, trattiene il fumo nei polmoni fino a sentirsi pizzicare la
gola, e poi lo soffia via, mascherando un sospiro.
Stefan
ha iniziato a guardarla quasi allo
stesso modo.
È
passato del tempo dall'ultima volta che ha contemplato l'alba da quel
letto.
La
sensazione è sempre la stessa: un contrasto così
netto che Katherine davvero non riesce a capire come possa essere
l'unica a vederlo. Se anche lui se ne rendesse conto, la cosa non la
disturberebbe più di tanto. Ma lui vede entrambi o solo in
bianco o solo in nero. Non capisce che sono di due colori diversi, e
che a legarli c'è solo il grigio.
«Damon,
oh, Damon», sussurra contro la sua guancia, scandendo
lentamente ogni lettera, come per accarezzare il suono di quel nome
sulla sua lingua.
«Mh?»,
replica il ragazzo, mentre si china per baciarle il collo.
«Niente»,
sorride Katherine, accarezzandogli i riccioli scuri.
«Riflettevo sul fatto che è davvero uno strano
nome, tutto qui».
Damon
non ribatte ─ forse lo pensa anche lui ─ e continua a baciarla. Le sue
mani le stringono i fianchi con così tanta forza che le dita
le affondano nella carne, lasciandole macchie bianche sulla pelle, come
marchi.
«Démon»,
sussurra ancora Katherine, questa volta con un perfetto accento
francese.
Il
ragazzo rialza infine il volto, guardandola interrogativo.
«In
Francia direbbero che non è un buon nome per una
persona», spiega Katherine. «Direbbero che
è praticamente una condanna alla dannazione»,
aggiunge con un sorriso.
«Vecchia,
superstiziosa Europa», ride Damon a sua volta.
«Dopo che mi avrai trasformato potremmo andarci insieme. Ci
divertiremo da morire».
Le
labbra di Katherine prendono una piega amara. Lei dovrà
andarsene ben presto, questo sì, ma i due Salvatore? Non ha
ancora un piano preciso su di loro. Non fa mai piani che riguardino
anche gli altri.
«Forse,
amore mio», risponde. «Forse».
È
una delle poche volte in cui mente e si sente in colpa nel farlo.
L'alba
è lontana ed è lontano anche il letto dal quale la
guarderà rischiarare il suo nuovo rifugio.
Nel
buio del sottobosco ci sono due fratelli. Entrambi hanno un buco nel
petto, all'altezza del cuore, ed entrambi giacciono ai suoi piedi.
Katherine
bacia solo uno di loro. Solo ad uno promette di tornare.
Sull'altro
non vuole nemmeno posare gli occhi. Non ci riesce.
Vorrebbe
dirgli che le dispiace, ma sarebbe una bugia.
In
fondo il nero sceglie sempre bianco, si dice. E il grigio non fa altro
che riempire il vuoto che va dall'uno all'altro.
|
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Capitolo 3 *** Ius In Bello ***
Pairing/Characters: Katherine/Elijah
Rating: PG
Warnings: Missing
Moment 3x04.
Word
Count: 673
(fdp)
Disclaimer: Magari
fossero roba mia. Li tratterei meglio dei loro veri possessori e_e
N/A: Scritta
per la Staffetta
in Piscina @ piscinadiprompt,
prompt “But
love is not a victory march / It's a cold and it's a broken hallelujah
(Ma l'amore non è una marcia trionfante / È un
freddo e distrutto alleluia) - Hallelujah, Jeff Buckley” e
per 500themes_ita,
prompt #471.
Gli ultimi rimpianti.
Ius In Bello
Ci
sono rimpianti con cui alla fine si scende a patti, convincendosi che
in fondo non erano poi così importanti, che magari sarebbe
finita male in ogni caso, che la dolce tortura del dubbio è
sicuramente meglio della ben più aspra certezza del dolore.
Poi
ci sono rimpianti che rimangono rimpianti per tutta la vita,
perché nel profondo si sa che quella cosa non fatta, quella
parola non detta, quel bacio non dato, avrebbero potuto davvero
cambiarla, una vita. Anche più di una magari.
In
fin dei conti la storia insegna che la maggior parte dei crimini
vengono compiuti per una carezza di donna, piuttosto che per
l'avidità di un uomo.
E
le lotte fratricide non fanno eccezione.
Anzi.
Quando
era ancora umana, Katerina aveva già sufficiente malizia da
accorgersi dei sentimenti degli uomini per lei, ma ancora non ne aveva
abbastanza per saperli sfruttare.
La
Katherine di adesso non può fare a meno di rimproverarglielo.
L'ingenuità
altrui ha ancora un che di dolce, ai suoi occhi, ma non riesce in alcun
modo a perdonare la propria. Passata o presente.
(Perché
un futuro, in questo senso, non è contemplato).
Elijah
era stato forse il suo primo errore, ma non ci aveva impiegato molto a
correggerlo.
Non
aveva capito i suoi sentimenti fino al momento in cui le sue mani le
avevano circondato il viso, e le labbra di lui si erano posate sulle
sue in quello che poi avrebbe ricordato come uno dei baci
più delicati mai ricevuti in tutta la sua esistenza.
La
sua sorpresa non era passata inosservata.
«Non
spaventatevi, Katerina», aveva detto con un sorriso.
«Non vi sto chiedendo nulla. Non vi chiederò mai
nulla. Volevo solo baciarvi almeno una volta prima che...»
«Prima
che sia vostro fratello a farlo?», aveva chiesto lei, per
nulla spaventata.
Lo
sguardo di lui si era intristito.
«Sì.
Prima che mio fratello faccia la sua mossa», era stata la sua
mezza bugia.
Un
solo gesto, un solo sguardo, una sola frase, ma era stato abbastanza da
metterla in allarme. Abbastanza da permetterle, più tardi,
di capire. E di scappare.
Abbastanza
da permetterle di morire per salvarsi la vita.
«Che
ne è stato di Elijah?», domanda a bruciapelo,
mentre aiuta Stefan a sollevare il corpo della strega morta e a riporlo
nel cofano di una delle auto parcheggiate fuori dal pub.
Il
vampiro le scocca un'occhiata sorpresa.
«Perché
ti interessa?»
Katherine
si stringe nelle spalle, ostentando noncuranza.
«Aveva
giurato di uccidere Klaus, non è così?
Perché non l'ha fatto?»
Stefan
impiega qualche secondo a rispondere, e alla fine lo fa senza molta
voglia, come se pensarci gli creasse un fastidio quasi fisico.
Probabilmente è davvero così.
«Perché
Klaus aveva il resto della sua famiglia. E perché
è comunque suo fratello, suppongo», dice infine, e
il suo tono amaro non sfugge all'orecchio attento di Katherine.
Se
solo sapessi quanto questa
storia tende a ripetersi,
pensa lei.
Ma
non è il momento dei ricordi questo.
«Forse
cambierà idea. Potrei rintracciarlo e...»
«Klaus
è arrivato prima», la interrompe seccamente
Stefan. «Ora Elijah è in una delle bare che si
porta dietro, con un pugnale conficcato a fondo nel petto».
Katherine
si ferma accanto alla portiera di quell'auto non sua e per un attimo si
rende conto di non riuscire ad elaborare quella frase.
È
morto,
pensa soltanto, pur sapendo che non è propriamente vero.
È
comunque vero abbastanza.
È
morto.
Se
avesse ricambiato il suo amore allora, forse sarebbe stato tutto
diverso. O forse no.
I
legami familiari sono un qualcosa che con il tempo ha imparato a non
sottovalutare mai, a prescindere dalle circostanze.
Eppure
per anni, durante la sua disperata fuga, una parte di lei aveva
continuato a sussurrarle che se si fosse rivolta ad Elijah lui
l'avrebbe protetta. O che comunque avrebbe trovato un modo per
salvarla, se proprio non avesse voluto andare contro il proprio
fratello.
E
mentre Stefan le racconta della pozione che era destinata a lei,
Katherine sente di aver voglia di gridare.
Invece
sorride e ricorda a se stessa di essere comunque viva e al sicuro, e
tutto senza l'aiuto di nessuno. Nemmeno quello di Elijah.
E
la feroce soddisfazione di essergli sopravvissuta riesce ad attenuare,
per qualche momento, anche il suo rimpianto.
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Capitolo 4 *** Omnia Vincit Amor ***
Pairing/Characters: Katherine/Stefan
Rating: PG13
Warnings: Violenza;
Future!fic;
Word
Count: 1282
(fdp)
Disclaimer: Magari
fossero roba mia. Li tratterei meglio dei loro veri possessori e_e
N/A: Scritta
per la Staffetta
in Piscina @ piscinadiprompt,
prompt “"I
am done with my graceless heart/ So tonight I'm gonna cut it out and
then restart" (Shake it out - Florence + The Machine)” e per 500themes_ita,
prompt #382.
Il tradimento arriva in profondità.
Omnia vincit amor
(et
nos cedamus amori)
Lo
segue nel vicolo male illuminato, facendo bene attenzione a girare al
largo dalla poca luce dei lampioni rotti. Il ticchettio dei tacchi
sull'asfalto viene sopraffatto dal martellare liquido e pesante della
pioggia di fine novembre, e il suo respiro è così
lieve che la figura che la precede non potrebbe mai udirlo.
Ha
voglia di baciarlo. Di accarezzarlo. Di scoparlo e di farsi scopare
lì sul marciapiede, sotto la pioggia battente e l'occhio
vigile dei gatti randagi.
Ha
voglia di fargli del male. Di piantargli le zanne nel collo e dilaniare
la carne fino a lasciare solo un casino rosso e senza forma. Di
rompergli tutte le ossa del corpo, una alla volta, godendosi ogni
schiocco.
Non
sa quale delle due cose farà. Magari le farà
entrambe, anche se non sa in che ordine.
Intanto
continua a seguirlo nel buio, senza mai perderlo di vista, senza mai
lasciarlo andare. Come un incubo ricorrente. O come un primo amore.
Ci
ha messo mesi per rintracciarlo.
Mesi
e giorni e ore. Sempre a darsi della stupida, sempre a dirsi che stava
vivendo di illusioni, che le voci che aveva sentito erano stupidaggini,
che avrebbe finito per spezzarsi il cuore una seconda volta.
Poi
questo bar. Questa notte. E lui.
Nessuno
sbaglio.
E
quando sono rabbia e amore a darsi battaglia, più forte
è il secondo e più è probabile che sia
la prima a vincere.
Quando
infine si accorge di lei, è troppo tardi perché
riesca a difendersi.
Un
calcio lo raggiunge nello stomaco, mentre le sue mani lo colpiscono al
petto in una serie di pugni che gli spezzano ben più di un
paio di costole.
Stefan
alza una mano per difendersi, ma tutto ciò che ottiene
è spingerla via per qualche secondo. Katherine reagisce
calciandolo all'altezza dello sterno e Stefan cade all'indietro
sull'asfalto.
Lei
gli è subito sopra e continua a colpirlo con rabbia ma senza
metodo, cercando solo di fare quanto più danno possibile.
Quando infine il sangue inizia a colarle dalle mani, quell'attacco di
furia cieca si placa per qualche secondo, e Stefan ne approfitta per
disarcionarla e invertire le loro posizioni.
Ora
è lei a trovarsi con la schiena schiacciata contro il
terreno e metà del corpo affondata nel fango di una
pozzanghera poco opportuna.
Stefan
la tiene stretta per il collo con una mano e per una spalla con
l'altra, e la sovrasta come una torre scura e minacciosa. Gocce di
sangue gli scivolano dalle guance graffiate e vanno a cadere sul volto
di lei, come lacrime rosse. L'unica emozione leggibile in quegli occhi
verdi è un'indicibile stanchezza.
La
pioggia si rovescia su di loro con gelida cattiveria, e i loro respiri
si condensano e si fondono insieme nell'aria sempre più
fredda della notte.
«Credevo
fossi morto», sussurra Katherine, decidendosi a spezzare quel
silenzio irreale. «Sono stata al tuo funerale. Ho visto la
tua tomba», la sua voce si fa sempre più forte, la
rabbia riaffiora nuovamente. «Credevo fossi morto. Credevo
di averti lasciato morire di nuovo»,
urla.
E
ora sta piangendo davvero. Forte, senza ritegno, senza vergogna.
Stefan
allenta la presa, le passa una mano intorno alla vita e l'aiuta a
sedersi. Poi la stringe tra le braccia come se la loro vita dipendesse
da questo.
«Era
l'unico modo», le spiega più tardi, davanti ad una
tazza di tè corretto.
Sono
nell'appartamento di Stefan, seduti davanti al camino, ed entrambi sono
avvolti in morbide coperte dall'orrida fantasia floreale.
I
loro vestiti bagnati giacciono in un angolo del pavimento, in un
informe mucchio grigio.
Una
delle scarpe di Katherine è andata persa durante la rissa, e
l'altra ha il tacco rotto. Erano un modello italiano, un'edizione
limitata e molto costosa, e le dispiace parecchio di averle perdute, ma
si impone di non pensarci. Non è la cosa più
importante, in questo momento.
Si
riavvia i capelli ancora umidi e prende un altro sorso di tè
bollente.
«Sei
uno stronzo.»
Stefan
sorride.
«Sì.
Ma era comunque l'unico modo.»
Katherine
aggrotta la fronte e lo guarda truce da sotto le ciglia.
«Elena
non se lo meritava», si costringe a dire tra i denti.
«Che
le facessi credere di essere morto?», chiede Stefan.
«No.
La cura. Non se la meritava. Non dopo tutto quello che ti ha fatto
passare», risponde Katherine, arrabbiata. «Avresti
dovuto tenerla per te oppure...»
«Per
te?», suggerisce Stefan.
«Per
Damon», replica lei. «Io non rinuncerei a quello
che sono per nulla al mondo».
Alla
menzione di suo fratello gli occhi di Stefan si distolgono dai suoi, e
il vampiro china la testa. Katherine sgrana appena gli occhi.
«Lo
sa? Almeno a Damon... almeno a lui devi averlo detto. Non
puoi...»
«Elena
è diventata un vampiro a causa mia. E tutto quello che
è venuto dopo... meritava quella cura, Katherine. Lei
meritava una seconda occasione. Io e mio fratello no. Nessuno dei
due»
«Stronzate»,
taglia corto Katherine. «E non mi hai risposto. Damon sa che
sei vivo?»
«No»,
risponde Stefan, gli occhi sempre fissi sul pavimento.
Katherine
sospira.
«Lo
odi ancora?»
Stefan
scuote la testa.
«Non
è questo il punto»
La
pioggia continua a battere contro i vetri della finestra, il calore del
camino non riesce a riscaldare davvero nessuno dei due.
Katherine
si domanda come siano arrivati a questo punto e quanto in
profondità dev'essere arrivato quel tradimento per averli
spezzati in quel modo.
«Certo
che lo odi. Lo odi abbastanza da lasciargli portare il lutto per suo
fratello», risponde per lui. E c'è dolcezza nella
sua voce.
Stefan
alza il volto e incontra di nuovo il suo sguardo.
«Davvero
sei andata al mio funerale?», domanda con un sorriso stanco.
C'era
andata davvero. E Damon aveva dovuto trattenerla dall'uccidere Elena
lì dove si trovava, con il suo vestitino nero, le sue
lacrime, e il suo cuore che batteva ad un ritmo così umano.
In
quel momento non sapeva se la feriva di più il fatto che
Stefan fosse morto o che fosse morto per lei. Per
darle un'occasione che nessuno di loro, prima, aveva mai avuto.
L'aveva
odiata. E aveva odiato Stefan.
Più
tardi, mentre facevano l'amore, aveva pianto tra le braccia di Damon.
Non aveva mai pianto di fronte a qualcun altro da secoli, e anche se
dopo si era infuriata con se stessa per quella debolezza, in quel
momento la sensazione l'aveva fatta stare bene.
Il
giorno dopo avevano lasciato Mystic Falls insieme, diretti in due
direzioni diverse, con la stessa croce nera incisa sul cuore.
Non
si erano più visti e, da quanto ne sapeva lei, nessuno dei
due era tornato indietro.
«Glielo
dirò», mormora Stefan. «Prima o poi
glielo dirò. Ma non ora»
«Magari
tra una cinquantina d'anni, quando Elena sarà
morta», insinua Katherine.
Stefan
alza un sopracciglio e forse si chiede se Damon le abbia raccontato del
patto che avevano stretto prima della trasformazione di Elena.
(Cosa
che Damon aveva effettivamente fatto, e proprio durante quell'ultima
notte passata insieme. Katherine aveva risposto che erano due cretini e
Damon aveva annuito sorridendo).
«Sei
uno stronzo», ripete Katherine.
«Sì»,
conferma di nuovo Stefan. «Mi dispiace».
Katherine
allunga una mano e gli sfiora la guancia in una carezza leggera.
«Non
è solo a me che devi le tue scuse», mormora.
«Ma
le devo anche a te,
non è vero?»
Katherine
annuisce e inizia ad accarezzargli le labbra con la punta delle dita,
ma la mano di Stefan si chiude sulla sua.
«Sono
stanco di vivere una storia che continua a ripetersi,
Katherine», dice, e ogni sua parola vibra di quella
stanchezza di cui già sono intrisi i suoi occhi.
«Hai
già spezzato quel circolo, Stefan. E lo sai. Questa volta
sarà diverso. Te lo prometto».
Forse
Stefan non si fida di lei ─ non ancora, probabilmente mai
più ─ ma non sempre la fiducia è necessaria.
A
volte si tenta perché non si ha più niente da
perdere, perché dopotutto un tentativo fallito è
pur sempre meglio di un rimpianto, e perché quello che
è andato male una volta forse può riuscire meglio
la seconda.
E
anche perché un bacio rimane sempre uno dei modi migliori
per iniziare qualcosa.
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