Il Corriere di Camelot

di JackoSaint
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preludio ***
Capitolo 2: *** La sinfonia dei Pendragon - parte 1 ***
Capitolo 3: *** L'invenzione della psicoanalisi ***
Capitolo 4: *** La sinfonia dei Pendragon - parte 2 ***



Capitolo 1
*** Preludio ***


Il Corriere di Camelot - primo capitolo

IL CORRIERE DI CAMELOT

“Dichiaro ufficialmente riconosciuto su tutti i territori di Camelot tale sfizio personale; uno sfizio pungente, giocherellone, certo un po’ maleducato, ma pur sempre un gioco aperto a tutti.

Il Corriere di Camelot, lo chiamerò. Tant’è vero che dame e cavalieri saranno ben lieti di veder scritto il loro nome. A mo’ di pomposo corteo seguiranno pettegolezzi, dicerie, delicate prese in giro. Perché ammettiamolo, qui il potere porta il colore del rosso dei mantelli, del grigio delle spade e delle accese tinte delle vesti delle nobili signore; e non è mai esistito un potere di cui non ci si possa burlare, sottilmente e senza cattiveria.

 

Vi è un enorme e non ordinario lavoro nella distribuzione di tale marachella, signori miei. Fintantoché vogliate sentire storie sui giovincelli nostri salvatori di patria o sulle signore che brandiscono fascino a mo’ di spada e mistero a mo’ di scudo, ebbene, il Corriere di Camelot renderà più gaia la vostra giornata.

Un motivo in più per imparare a leggere o per essere istruiti in materia da chi ne sa di più.

Lasciate che le faccende domestiche si compiano da sole – o che non si compiano affatto – e sacrificate il vostro tempo per dedicare tutti voi stessi a qualche meritato sbuffo di risata.

Sentite un po’ qua! Gli occhi attenti e la mente sopraffina di Camelot hanno portato alla luce una verità obbrobriosa. Un qualcosa di inconfessabile.

Il nostro re ha messo su carne, si dice che persino i suoi destrieri si rifiutino di portarlo in groppa. Proprio ieri ho dialogato con uno di loro, il quale con un nitrito addolorato me ne ha dato conferma. Tentiamo in qualche modo di confortarle, povere bestie, se sul loro dorso debbono veramente sopportare i regali chili di troppo. I cavalli possono essere tanto onesti quanto i loro padroni. Nel caso di re Artù i loro ruoli potrebbero essere persino confusi!

E ancora: proprio vero che a corte vivono meglio i topi, i quali si riproducono più velocemente di Camelot stessa. Ne ho avuto conferma giusto qualche giorno fa – vi era una colonia, una colonia dico!, di questi simpatici roditori. Incomincio a pensare che stiano fondando un regno, che stiano cercando di soverchiare il potere.

I topi hanno un certo onore, così come i cavalli. A momenti potremmo ritrovarci sudditi di un sorcio, e ammetto che questo pensiero mi terrorizza: speriamo che i nostri valorosi quanto stimabili cavalieri siano in grado di respingere una così grave minaccia.

Queste due reali, realissime notizie sono solo un assaggio di ciò che porterò alla luce. Sarà come illuminare la vista a un cieco, ridare sorriso ai teschi delle carcasse e lucidare la ruggine.

Caro re, proprio un bell'inchino è rivolto a te!

Che tu sia cavallo o sorcio non vi è differenza

tanto confondibile è la vostra parvenza.

A Camelot manca giusto un po' di sorriso,

Sire, è solo un gioco, vi avviso!”

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Artù alzò lo sguardo sui suoi uomini. La mano che reggeva la pergamena tremava.

La Tavola Rotonda non era mai stata così ammutolita, più per paura che per semplice disciplina cavalleresca. Guai a lasciarsi scappare un commento di troppo. Guai.

«Chi è stato?» sibilò Artù. Le dita parevano voler strangolare ciò che ora stringevano così febbrilmente. «Chi?»

«Non abbiamo nomi, Sire» intervenne un composto Leon, e alle sue parole alcuni abbassarono il capo, chi trattenendo un sorrisetto divertito chi mordendosi le labbra. Un presentimento corse tra tutti i presenti: il presentimento che solo quel cavaliere potesse prendere così sul serio quella faccenda. «Mi è stato consegnato da un conoscente, il quale afferma di non saperne nulla.» 

«Nessun indiziato?»

«Nessun indiziato.»

«Leon, sarai a capo delle indagini.»

«Ai vostri ordini.»

Artù si guardò attorno. Pescò l’occhiata matura di Elyan, quella di Percival per nulla scossa da ilarità, quella invece abbassata di Galvano. Era pronto a scommettere che stesse ridendo sotto i baffi. Quanto a Mordred, lui era l’unico a guardarsi attorno come se la sua mente fosse persa in altri lidi.

«È una questione seria» incominciò allora, poggiando il Corriere sul tavolo. «Una questione seria che deve essere presto sconfitta. Non mi piace che ci si prenda gioco della corte. Della mia corte.»

«Permettetemi, Sire» si aggiunse Galvano, scostandosi con un agile movimento del capo i ciuffi che gli ricadevano sugli occhi. Il suo sorriso si fece tutto d’un tratto sbarazzino. «è un semplice gioco di un semplice qualcuno che ha dato vita ad una semplice ragazzata.»

Sorrisi a stento trattenuti corsero tra gli altri cavalieri.

Artù, invece, lo squadrò male. Malissimo. «Prego?»

«Lasciando da parte il lato... divertente di questa questione, Sire, un nostro intervento mi pare eccessivo.»

«Questo perché non sei tu ad essere paragonato ad un cavallo e non è tua la dimora in cui si dice che vivano meglio i topi.»

Lo sbuffo di risata che si lasciò scappare il cavaliere suggerì ad Artù che la cosa lo avrebbe divertito lo stesso. Si ficcò un dito nel cinturone evitando di rispondergli, mentre con la coda dell’occhio scopriva il sorrisetto a stento trattenuto di Percival. Con loro due, no, non si poteva ragionare. Alcune volte fantasticava sul perché la sorte avesse permesso che si conoscessero. «Elyan?»

«Sì, Sire?»

«Sarai il braccio destro di Leon. Mi pari abbastanza maturo da gestire il problema. Questo», e strinse nel pugno destro il Corriere, stracciandolo quanto bastava per renderlo illeggibile. «Voglio che sparisca dalla circolazione. Voglio i responsabili.»

«Incominceremo dalle locande» annunciò Leon esibendo il suo solito portamento da perfetto uomo di fiducia. «Vorrei che anche Mordred partecipasse alla ricerca del responsabile. Credo sia un ottimo modo per integrarlo nel nostro circolo.»

Mordred alzò gli occhi su di lui proprio quando Galvano tossicchiò, probabilmente per contenere un moto d’ilarità.

Artù annuì lentamente, piegando la testa su di una spalla. «Ottima idea. Mordred, Leon sarà il tuo supervisore.»

«Vi ringrazio per la possibilità concessami, Artù.»

«Dichiaro chiusa la riunione.» Artù soppesò uno alla volta gli sguardi dei suoi uomini, quasi a voler sviscerare i loro pensieri su quanto stava avvenendo. Poi, con uno scatto improvviso, si allontanò dalla Tavola Rotonda ed imboccò il primo corridoio.



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Hola! Grazie per aver letto questo primo capitolo! Siate clementi, non ho mai scritto qualcosa su Merlin :3
Credo pubblicherò settimanalmente, causa impegni scolastici e.e A presto, grazie ancora! :)

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Capitolo 2
*** La sinfonia dei Pendragon - parte 1 ***


La sinfonia dei Pendragon - parte 1




LA SINFONIA DEI PENDRAGON – PARTE 1

 

Quando si trattava di sguinzagliare il cagnolino più fedele, Artù non sbagliava mai. Affidare un’indagine così esilarante e bizzarra alla serietà di Leon era forse l’unica opzione e probabilmente anche il precedente re avrebbe scelto lui; e se c’era da seguire l’esempio paterno, il giovane sovrano di Camelot era in prima fila.

«Elyan» Leon gli batté la mano sulla spalla e lo invitò a seguirlo per gli ampi corridoi del palazzo. Gli altri cavalieri, tra una stretta di mano e l’altra, si erano già congedati. «Mi servirà il tuo aiuto. Sarà difficile stanare il colpevole.»

«I colpevoli» lo corresse l’altro con un sorriso gentile. «Non credo sia opera di un solo individuo. Ci sono troppe copie in circolazione.»

Leon annuì. Sembrava che la sua naturale compostezza non potesse venire turbata da nulla, nemmeno dalla sconcertante serietà con cui stavano trattando l’argomento. «Chiunque sia stato sarà portato immediatamente al cospetto del re.»

«Leon?»

«Sì?»

«Pensi che il re sia veramente infastidito da questa faccenda?»

Per un momento Leon parve indeciso, tanto che gli rifilò un’occhiata sospettosa. «Non darmi motivo di pensare che la cosa ti diverta. Galvano è già abbastanza.»

«Non intendevo questo» fu la risposta di Elyan. Rise leggermente, forse per il riferimento fatto all’altro cavaliere. «Troveremo chi è stato e faremo dormire notti tranquille al nostro re. Nessuno di noi vuole che la sua reputazione venga rovinata.»

«Qualcuno qui a Camelot non la pensa così.» Si fermò nel frullio del mantello rosso acceso. «Stasera incontriamoci nel piazzale. Assicurati che Mordred venga con te. Incominceremo subito.»

 

 

 

Incominceremo subito.

Aveva fatto bene a dirlo, perché nemmeno Sir Leon poteva immaginare quale epopea sarebbe incominciata da lì a poco. Quella sera Elyan e Mordred si limitarono a seguire le sue direttive. Lo stimato capo delle guardie non perdonava ritardi o assenze ingiustificate, motivo per cui i due si fecero trovare nel piazzale con largo anticipo.

Avevano così tappezzato le taverne più chiacchierate di Camelot e tra un’informazione e l’altra erano riusciti a costruire un quadro abbastanza chiaro della faccenda: stando a quanto i cittadini avevano rilasciato, praticamente tutti avevano letto e sghignazzato alle “sottili” prese in giro del Corriere.

«Questo» Mordred fece scivolare una copia del Corriere sotto allo sguardo dell’ennesimo oste, il quale si limitò ad una svelta alzata di spalle. «Ne sapete qualcosa?»

«Non mi sorprende che lo abbiate letto anche voi. Divertente, non trovate?» Gli assestò una potente pacca sulla spalla stendendo un ripugnante sorriso privo di denti; il sorriso di chi non è molto abituato ad alzare il gomito.  «Manca umorismo a corte, eh?»

Anche Leon e Elyan raggiunsero il bancone, seguiti da mille occhi accesi dall’alcol.

«Molesto. Inopportuno» commentò apatico Sir Leon, scivolando al fianco di Mordred. L’oste perse improvvisamente di baldanza. «Mi pare, signore, che voi apprezziate la satira gratuita rivolta al nostro re.»

«Non... proprio.» Lo sguardo dell’uomo ciondolò prima a destra e poi a sinistra, senza trovare una spiaggia a cui ancorarsi. «Non ne so nulla.»

«Nessuno sa nulla, che strano. Eppure tutti hanno letto, tutti hanno liberamente commentato.»

«Sono sicuro» si riallacciò l’oste, ora con più fermezza, «che non vi è cattiveria nel Corriere. È, diciamo, uno sfizio che qualcuno di buon cuore ha voluto condividere col resto del popolo.»

L’oste avrebbe preferito trovarsi da tutt’altra parte con tutt’altra compagnia. Mordred se ne stava zitto, proprio come un falco: i suoi occhi chiari balzavano dall’uomo al Corriere senza il benché minimo indizio di sentimento. Leon, invece, saldo nell’espressione, non aveva ancora mutato quel suo pungente tono accusatorio. L’unico che ispirava simpatia era Elyan, che si decise a prendere parola: «Non è stata una scelta molto meditata, allora. Il nostro re non ha apprezzato, così come i suoi cavalieri.»

«Credo che vi siano affari molto più importanti, signori. Il Corriere non potrà mai nuocere a nessuno e, come sta scritto, “non è mai esistito un potere di cui non ci si possa burlare, sottilmente e senza cattiveria”.» L’oste regalò a tutti e tre un bel sorriso bonario e con un gesto svagato della mano fece per congedarli. «Non è poi così grave, suvvia. E se proprio volete qualche indizio in più, come e perché chiedete a noi sempliciotti? Qui non tutti sanno scrivere, figuriamoci esprimere così chiaramente tutta questa satira gratuita!» Gettò un ultimo sguardo ai cavalieri, soffermandosi sull’occhiata ora illuminata di Leon, poi se ne tornò ai propri affari.

«L’istruzione» scappò subito a Elyan.

Mordred prese il Corriere e incominciò a sviscerarne le parole con quei suoi occhietti brillanti. «Il Corriere ha una buona grafia. Non sembra il prodotto di un semplice paesano.»

Leon li abbracciò con un solo sguardo, tacitamente, la bocca di poco schiusa. Annuì. «Un uomo istruito è un uomo ricco. Potrebbe far parte della corte.»

 

Pochi giorni ancora e un altro numero del Corriere avrebbe concretizzato il loro più profondo timore.

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“Un due tre

Incomincia il ballo dei re!

Ch’incomincia bene finisce bene, si suol dire. Eppure a me non pare cosa esatta, se s’incomincia a parlare di quella mangusta che ci ritroviamo come re. Anzi, non andiamo ad offendere questo nobile e meraviglioso animale!

Di nobile e meraviglioso Artù non ha proprio nulla, intendiamoci. Proprio qualche riga sopra stavo per intonarvi un fantastico inno, una celebrazione alla dinastia regnante di Camelot. Che se la meritino o meno, non sta a me deciderlo. Ritenetelo pure un giocoso alternarsi di parole senza nessuna ambizione personale.

Una filastrocca mi è stata cantata da un amico.

 

Un due tre

Incomincia il ballo dei re!

Se di Uther non avete ricordo

Forse è meglio, fidatevi che non mordo.

Egli nascondeva la sua vera natura

E quel pancino ben sazio, addirittura.

Si serviva di abiti ingombranti,

volutamente pesanti,

ma il sopraggiungere della vecchiaia

era lì sul suo volto, una venuta per niente gaia.

Occhi incavati come profondi burroni,

ci mancavano solo un paio di baffoni.

Orribile al solo pensiero,

inoltre non aveva nulla di battagliero!

 

Mentirei se dicessi di ricordare altro di tale filastrocca, posso solo affermare che quanto affermato non si discosta troppo dalla realtà. A nessun re farebbe piacere essere ricordato in questo modo, ma contro la parola del popolo si può fare ben poco: sarebbe come convincere il figlioletto Artù ad ammettere la sua incapacità, magari ignudo nella piazza principale della nostra amata cittadella; cosa che sfortunatamente accade solo nelle più intime fantasie di noi sudditi.
Se ciò dovesse davvero succedere, signori, s’incomincerebbe a capire che i gioielli regali si trovano solo nei portagioie di corte e non dove ci aspetteremmo di trovarli.

Ma questa è una storia di cui non so molto, per fortuna. Parlo solo per sentito dire, non voglio screditare fino a tal punto il nostro sovrano! Spogliare un re della sua mascolinità è cosa troppo abominevole, troppo malvagia.  

A proposito, miei amati lettori, ho disperso il poemetto sul nostro Artù! Pensavo di poterlo accostare a quello del padre, tanto per presentarvi un completo paragone – e una completa panoramica sulle tanti doti mancanti, non solo fisiche.

Non vi farò attendere a lungo.  

Regaliamo un sorriso a Camelot, è giusto ciò che manca per allietare il nostro viver quotidiano—  E detto da me, che nel vivere a corte non trovo diletto, è un aforisma senza difetto!”

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Urlo di Munch. Questo è l’unico esempio che noi contemporanei potremmo accostare al grido disumano che echeggiò dalla sala del trono, fece sbiancare le statue marmoree e i colorati arazzi, convinse i piccioni a migrare sotto altre tettoie.

Il risveglio a palazzo non era mai stato così raccapricciante.

«Che cos’è?» strepitò Artù, le tempie pulsanti più del solito. «Leon, che cos’è?»

«Credo sia il secondo numero del Cor-»

«L’hai letto? Dico, l’hai letto

Pure i capelli del fascinoso cavaliere parevano irrigiditi, lì sul capo dove solitamente davano vita a graziosi riccioli. «No, sire. Non sono riuscito a concludere la lettura.»

«È davvero...!»

«Esagerato.»

«Offensivo! I-io...»

«La mia coscienza non mi ha permesso di proseguire oltre la filastrocca.»

«Qui, ultima riga!» Artù inchiodò il Corriere sulla Tavola Rotonda coprendo, vuoi per caso vuoi per volere personale, i paragrafi sopra. «Si cita la corte! È qui a palazzo, ne sono sicuro!»

«Meglio non balzare a conclusioni troppo-»

«Affrettate? Forse non hai capito, Leon. Io voglio ardere vivo il colpevole. Sarò io stesso ad appiccare il fuoco.»

Il cavaliere pensò bene di non ribattere. Il rossore del volto di Artù risaltava più del colore del mantello e gli occhi erano iniettati di una spaventosa furia omicida. Meglio rimanere zitti.

«Va’ a chiamare Gaius. Ho bisogno di parlargli.»

«Avete un piano, sire?»

Artù non gli rispose. Gli tolse il Corriere da sotto gli occhi e si sedette con la velocità di uno schizofrenico. «Muoviti.»

Leon, seppur spiazzato da quella schiettezza inaspettata, accennò un lieve inchino del capo e marciò fuori dalla sala, pronto a eseguire l’ordine.


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Sono in ritardo, lo so xD Ci farete l'abitudine :'3
Grazie per aver letto, a presto!

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Capitolo 3
*** L'invenzione della psicoanalisi ***


L'invenzione della psicoanalisi - cap 3



L’INVENZIONE DELLA PSICOANALISI

 

Il veloce discorso tra Artù e Gaius si rilevò essere un’incresciosa violenza psicologica ai danni dell’anziano medico di corte.

«Leon e Elyan non possono aver sbagliato. E ora che anche tu hai letto, ora che anche tu hai assaporato queste parole...»

«Sire...»

«Non possiamo permettere che venga divulgato anche il poemetto sulla mia persona!» La fiammella che già tiepidamente tremava sul tavolo venne come scossa da un afflato di terrore.

«Vi sono molti uomini dotti a Camelot» si aggiunse un accorto Gaius. «Alcuni di loro non vivono nemmeno a corte, sarebbe troppo complicato indagare su una fetta così consistente di popolo.»

«Almeno gli ignoranti sono automaticamente esclusi» gracchiò il re, quasi si fosse preparato la risposta con largo anticipo; e un sovrano che riconosce l’alto tasso di analfabetismo del proprio regno non è certo stimabile. «Non voglio che la mia reputazione venga minacciata da un uomo di cui magari mi fido ciecamente. O meglio, detesto essere preso in giro in questo modo.» I palmi di Artù scivolarono sul ripiano legnoso e il suo sguardo riuscì a conficcarsi persino oltre le rughe dell’anziano. Nemmeno Horatio Caine avrebbe potuto imitare quell’occhiata imbevuta di terrificante serietà. «Ora ti darò un foglio piegato a metà. Vi troverai scritti i nomi di alcune persone.»

«Cosa dovrei fare, mio signore?»

«Dovrai interrogarle, sviscerarle in qualsiasi modo. Spiarle, se necessario. Questa è la mia lista nera. Sono i principali indiziati.» Il palmo destro si schiuse rivelando un innocente pezzo di carta. Solo la striminzita candela illuminava i loro volti. «Agirai a partire da adesso.»

«E se non dovessi arrivare ad una soluzione?»

«Tu ci arriverai, Gaius.» Gli occhi di Artù parevano scintillare di luce propria. «Ci vorrà discrezione, pazienza. Ma troveremo la soluzione.»

«Discrezione?»

«Nessuna di queste persone dovrà sospettare del nostro patto.»

Gaius si ritrasse un poco, stupito e disorientato. «Mi state chiedendo un’impresa quasi impossibile. Sicuramente qualcuno di loro incomincerà a sospettare.»

«Porrai le domande giuste, seguirai il tuo istinto, il tuo fiuto da segugio.» Evidentemente pensava di trovarsi davanti a una specie di Leon invecchiato.

«Non credo di riuscire a garantirvi nulla di certo, sire. Immagino che i nomi su questo foglio siano piuttosto rinomati.»

«Non importa. Vedi di non deludermi, Gaius.» Artù si alzò, abbandonando così il foglio alla timida luce della fiammella. «Ritornerai in questa stanza, da me, tra una settimana. A questa stessa ora.»

Al medico non restò che annuire profondamente col capo. «Certo, sire.»

«Puoi fare di questo stanzino il tuo luogo da meditazione. Bada che nessuno scopra la tua ubicazione.»

«State tranquillo.»

Artù Pendragon, fiero nel portamento, percorse a falcate la piccola stanza ed uscì.

 

 

Fu il silenzio a suggerire a Gaius quale metodo investigativo adottare. Nessuno aveva ancora inventato un nome per quel colpo di genio. Lui lo definì semplicemente psicoanalisi; e Sigmund Freud, centinaia di anni dopo, non sarebbe mai venuto a conoscenza di essere stato preceduto in quella straordinaria invenzione.

 

 

Se lo sconcerto nel leggere i nomi gli fece quasi cadere la mandibola, il pensiero che Artù potesse sospettare di gente simile rischiò di fargli sputare l’intera dentiera.

Il re stava lentamente imboccando la via della distruzione personale. Tutta quella storia stava avendo un risvolto negativo sulla sua psiche; ma del sovrano poteva occuparsene anche dopo.

Aveva impiegato due giorni a studiare quella fantastica invenzione, e solo al terzo albeggiare uscì dallo studiolo fresco come una fogliolina piena di rugiada. Non c’era fretta, non aveva perso assolutamente tempo. I giorni che gli rimanevano erano più che sufficienti.

Merlino lo accolse con molta allegria. «Gaius! Dove siete stato?»

«Sono stato molto impegnato con alcune ricerche...» bofonchiò distrattamente il medico, e già stava sgombrando il tavolo su cui poggiava sempre le pozioni. «Artù non ti ha detto nulla?»

Merlino gli si mise di fianco e tentò invano di incrociare il suo sguardo. «S...sì, mi ha accennato qualcosa...ma potevate farvi sentire, no?»

«Avevo bisogno della massima concentrazione.»

«Gaius, perché state spostando tutti i vostri preparati?»

L’anziano gli lancio un sorrisetto e, sistemata su un piccolo mobile l’ultima boccetta, si riavvicinò a lui. «Perché dovrai stenderti qui sopra, caro Merlino.» Con le mani lo picchiettò sulla schiena come per incitarlo ad ascoltare le sue parole.

«E-eh?»

«È di vitale importanza, Merlino. Vuoi aiutare un povero vecchio nelle sue ricerche?»

Merlino sbatté due o tre volte le ciglia. «Certo.»

«Allora non fare storie e fa’ come ti dico.»

Il giovane mago fece subito quanto ordinatogli. Il tavolo era proprio piccolo, tanto che braccia e gambe ballavano nel vuoto. «Posso sapere il soggetto dei vostri studi, Gaius?»

«Se venissi a saperlo non otterrei da te la partecipazione che mi serve. Meglio che tu ne sia all’oscuro.»

Merlino si ritrovò a fissare prima Gaius e poi il soffitto. Se ne restò zitto fino a quando il medico prese uno sgabello e si sedette di fianco a lui.

«Bene, Merlino. Comodo?»

«C’è di meglio.»

«Non ti lamentare. Mi farò presto costruire una sede più attrezzata.»

«Sede più...?»

«Sst!» lo ammonì l’altro in un sibilo. «Vedi? Stai già prendendo la concentrazione!»

Merlino si zittì. Percepiva quanto Gaius tenesse a quello che sembrava un esperimento.

«Ora ti farò una domanda molto semplice. Rispondi senza pensare, senza!» Il medico biascicò qualcosa tra sé e sé, poi parve rianimarsi. «Dimmi la prima parola che ti viene in mente.»

«La...prima...»

«In fretta, Merlino!»

«Rosso» si fece scappare allora il giovane. Fece ballonzolare gli occhi prima a destra, dove vi era Gaius, poi verso il soffitto. «Non so perché.»

«Bene. Tu non devi sapere nulla, infatti. Chiudi gli occhi.»

E lui li chiuse.

«Rosso...» sussurrò il medico di corte, scrutando il suo pupillo. «I mantelli sono rossi. Le giacche sono rosse. Gli arazzi sono rossi.»

«Già, è tutto così tremendamente rosso.»

«Non ti piace il rosso?»

«Ne vedo troppo ogni giorno.» Merlino sbuffò. «È come se il rosso mi circondasse: i cavalieri, la tappezzeria a palazzo, Artù...»

«Oh, Artù.»

«Tutto quello che lo circonda è rosso.»

«Sei in qualche modo stanco, frustrato da tutto questo rosso?»

«Compare anche nei miei sogni.»

«Chi, Artù?»

«Non confondiamo le due cose.» Merlino si lasciò scappare una leggera risata. «Il rosso, intendo.»

«Ma sembra che tu li faccia coincidere, in qualche modo.»

«Solo perché sono il suo servo. Non credo che qualcun altro potrebbe pensare la stessa cosa.»

«Quindi mi dicevi che il rosso è presente nei tuoi sogni» si riagganciò Gaius con un sorriso innaturale a schiacciargli le rughe. «La tua mente ripercorre sempre gli stessi pensieri. Gli stessi stimoli giornalieri...»

«Gaius...»

«Questo causa disagio. Questo causa fastidio

«…Gaius, ma cosa state dicendo?» Merlino si tirò a sedere e riuscì ad inquadrare l’espressione malsana dipinta sul volto del medico. «Siete sicuro di stare bene?»

«Voglio solo aiutarti a purificare la tua psiche, caro Merlino» tentò di tranquillizzarlo il medico, tornando a sorridere come sempre faceva. «So che fatichi a dormire la notte. Ti vedo sempre stanco, e Artù ti fa lavorare così tanto...»

«Non ditemi che vi siete assentato così tanto per trovare una soluzione a questo mio inesistente malessere.»

«È un malessere di cui mai nessuno è cosciente. Ci sono così tante persone da curare...» Gaius si alzò e a piccoli passetti andò a sedersi alla scrivania. «I misteri sono molti.»

«Da quanto vi interessate ai sogni?»

Il medico recuperò alcuni libri, li ficcò in una sacca e si rialzò. «Durante questa seduta ho scoperto quanto la tua mente sia disturbata. La cosa mi addolora» disse in tono grave, incamminandosi verso l’uscita.

«Come, scusate?» Merlino si precipitò da lui prima che potesse uscire. «Come fate a dirlo in questo modo? È uno scherzo, vero?» Si sorrise da solo, scuotendo il capo. «Sì, state scherzando, ve lo leggo ne...»

«Devo andare ad interrogare altri casi» lo freddò Gaius schiudendo la porta. «Se sarò fortunato riuscirò a curare in tempo la loro psiche. Eh, le sofferenze invisibili agli occhi dei molti sono tante! Fortunatamente io rientro in quella stretta cerchia di eletti che possono dialogare con l’inconscio delle persone. Ora scusami, Merlino.»

«Ma Gaius...!»

«Su su, spostati.» Il vecchio lo tirò da parte con la foga di una signora anziana che prende a borsate un ragazzino poco per bene e uscì, lasciandosi dietro il raggelante silenzio del giovane mago.

 

 

Gaius aveva ben dieci “pazienti” a cui far visita. Il suo pellegrinare di stanza in stanza lo aveva ormai convinto che quella non era una semplice missione, ma un dovere da portare a compimento in nome della scienza.

Vi era solo un’unica psiche che nemmeno un medico come lui avrebbe potuto districare: la psiche del creatore del Corriere, quella stessa psiche che incominciò a stilare la nuova uscita proprio quando l’anziano varcò la soglia del secondo nome sulla lista degli indiziati...

“C’era una volta un giovine condottiero che in testa aveva spighe di grano non ancora mature e una dolina malfatta a sostituire il naso...”


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Eccomi con il ritardo pronosticato xD
Spero di riuscire a stendere il poemetto del nostro prode Artù per settimana prossima :'3
Grazie a tutti! <3



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Capitolo 4
*** La sinfonia dei Pendragon - parte 2 ***


La sinfonia dei Pendragon - parte 2




LA SINFONIA DEI PENDRAGON – PARTE 2

 

“C’era una volta un giovine condottiero che in testa aveva spighe di grano non ancora mature e una dolina malfatta a sostituire il naso. Nonostante le sue nobilissime origini – e di certo non mi è permesso negarlo – nulla aveva di cavalleresco: il suo aspetto deformato, cortese solo ad una prima occhiata, atterriva persino il più malformato degli esseri viventi; che non avrebbe mai potuto desiderare d’essere al suo posto, aggiungo.

 

Peccava d’abominevole stupidità, davanti alla sua incompetenza morale e soprattutto fisica sbiancavano persino le candide stoffe della sua biancheria. E v’assicuro, non v’è posto peggiore in cui alloggiare sul suo corpo. Tessuti senza utilità, quelli, tant’è che non v’era nulla da nascondere o ricoprire. Nemmeno un barbaglio di mascolinità.

 

Ma nessuno sospettava. Nessuno sospettava chi avrebbe seduto sul trono già sufficientemente riscaldato dalle regali e flaccide membra del padre. Un figlio tanto coccolato, Artù, e viziato allo sfinimento a spese della nostra Camelot, ahimè, povera nelle fondamenta ma sfarzosa nel lusso dei pochi.

 

Torniamo dunque a narrare le discutibilissime gesta del nostro attuale re.

Fin da giovincello provò a destreggiarsi in passatempi tipici dell’essere maschile... troppo tipici, direi. Utensili inanimati come spade e balestre si prendevano solo gioco del piccolo Artù, che trovò conforto nella pratica della poesia, nel gozzovigliare senza misura e nel tormentare il vecchio e consumato padre nullafacente. Uno scansafatiche, lo chiameremmo noi semplici sudditi.

Quale madre vorrebbe avere un figlio del genere? Un figlio nato per essere condottiero ma dedito solo a distrazioni femminili! Eh, quanta melma si nasconde nelle fondamenta del palazzo reale!

 

Ma riallacciamoci al filo del racconto.

 

Uther, disperato, non riuscì mai a capire per quale ragione il suo seme diede alla luce un figlio così malandrino e poco propense ad impieghi cavallereschi. Diede sempre la colpa all’altro ramo – e da qui nacque la discordia tra lui e Agravaine de Bois – senza mai riconoscersi come unico colpevole della sventurata vicenda. Affidò perciò il figlio a una ristretta cerchia di uomini di fiducia, uomini che, a mio avviso, meriterebbero di salire al trono al posto di Artù.

Quando il principino fu abbastanza grande da incominciare a capire il mondo intorno a sé – e ce ne volle molto di tempo, ve l’assicuro – Uther lo affiancò al capitano delle guardie, il benvoluto Leon... il quale, naturalmente, piantò nella sua immatura coscienza il seme del dovere senza tanta pietà.

Dobbiamo a lui la maturazione, seppur ancora incompleta, del nostro re! Nulla Leon poté nell’aggiustare la sua estetica, ma grazie al suo indiscutibile fascino riuscì almeno a renderlo presentabile al popolo.

 

Da qui derivano le sue prime prodezze militari che possono essere considerate degne di un discreto cavaliere di Camelot. Perché la verità è un’altra, signori e signore! Chi mai ha guidato Artù al comando della nostra bandiera? L’esercito, naturalmente. Chi mai è riuscito a condurlo sulla buona strada? La sua stretta cerchia di soldati di fiducia, certo che sì.

 

Artù non ha alcun merito se non quello d’essersi lasciato guidare dagli uomini giusti.

 

Ricordiamo che il nostro re è piuttosto giovane. Agli occhi degli altri sovrani è solo un bambino spaventato, un comandante che deve ancora comprendere il vero motivo della sua esistenza, ammesso che ne abbia uno. E dobbiamo vivamente sperare che lo comprenda velocemente, se non vogliamo ritrovarci ad avere un altro tipico Pendragon al potere.

Da Pendragon deriva altro Pendragon. Non v’è una realtà più triste di questa, sappiate.

 

La mia è solo una timida preghiera, una debole speranza: non abbiamo certo un re intelligente, saggio e coscienzioso come ogni altro popolo, ma almeno ci riconosciamo sotto una stessa bandiera.”

 

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La fiammella tremò al suo ennesimo sospiro. Aveva raggiunto la stanzetta adibita ai suoi incontri privati con Gaius e con grande sorpresa trovo che il medico di corte era già lì.

Si sedette. «Gaius.»

«Mio signore.»

«Hai completato la lista degli indiziati? Tutti?»

«Sì, sire.»

«Allora?»

Gaius aveva l’aria più stanca del solito. Profonde occhiaie erano scavate nelle rughe e nulla in lui faceva presagire ad un buon responso. «Molte anime sono tormentate, non vi sono parole per descrivere quanta tristezza arieggi questo palazzo.»

Artù si ritrasse un poco. «Come, scusa?»

«Vi sono troppi indiziati, mio signore.»

«Ti ho dato una lista di dieci persone, dieci, e non sei riuscito a cavarne fuori nulla?»

«La mia psicoanalisi...»

«È passata una settimana!»

«...si è rivelata uno strumento troppo potente per suggerire qualche indizio in questa faccenda.»

«La tua psico-che?» Le narici di Artù si dilatarono mostruosamente per accogliere nei polmoni un sospiro terrificante. «Gaius, io devo sapere chi scrive il Corriere! Devo saperlo, così da poterlo fare a pezzettini!»

«Vi dirò, l’ideatore deve essere un uomo molto vicino a voi, Artù...»

«Bell’indizio, certo! Potresti essere anche tu, Gaius!»

«Un uomo disturbato, deluso dal vostro operato. Come da vostra richiesta ho interrogato le colonne portanti della vostra vita.» Il medico estrasse un piccolo quaderno e, con la punta della lingua a penzolargli tra le labbra, ricominciò a parlare: «Merlino non credo possa essere il colpevole. Che resti tra noi... è troppo stupido.»

«Confermo. Poi?»

«Sir Percival invece non ha nessun disturbo, credo sia troppo tenero di cuore.»

«E non credo sappia scrivere un qualcosa di simile. Giusto, Gaius.»

«Sir Galvano ha una mente troppo squilibrata. Povero ragazzo, avrà vissuto molte esperienze negative da giovincello. Non può essere lui, assolutamente no.»

«Nonostante la faccenda lo diverta molto» commentò un apatico Artù, e con un cenno sbrigativo della mano invitò Gaius a proseguire.

«Leon ha una mente molto equilibrata, è davvero un esempio eccellente di rettitudine. Ha un animo onesto.»

«Non avevo dubbi.» Il re stirò un sorrisetto dal retrogusto amaro. «E gli altri interrogati?»

«Tutto nella norma. Se accettate un consiglio, sire» si affrettò il medico richiudendo il piccolo quaderno, «non ci resta che aspettare una mossa falsa da parte dell’ideatore del Corriere. Scrive per farsi notare, è logico che a furia di esporsi troppo cadrà in qualche nostra trappola.»

Artù annuì. Non v’era nulla di sbagliato nell’attendere, in effetti. Quell’uomo si stava scavando la tomba da solo, ancora un altro passo e ci sarebbe inciampato dentro.

 

 

Il redattore del corriere intinse ancora la penna nel calamaio prima di calarla su un altro foglio. Avrebbe fatto centinai di copie, un’intera notte in bianco per preparare il grande evento.

 

“Diamo dunque avvio ad una grande occorrenza, signori!

Non distribuirò il poemetto di Artù a tutti voi, no, almeno  non subito.

Una grande caccia al tesoro incomincerà al tramonto di domani.

I partecipanti verranno decisi da me medesimo.

Lunga vita ai Pendragon! (si fa per dire, naturalmente)”


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Ed eccomi, anche se con molto ritardo!! Impegni, sempre impegni... dovete scusarmi xD
Pronti per la caccia al tesoro? :'3
Un grazie ancora a tutti voi, e buon Nataleeeee!! (anche se un poco in ritardo xD)



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