Il Corriere di Camelot di JackoSaint (/viewuser.php?uid=98151)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preludio ***
Capitolo 2: *** La sinfonia dei Pendragon - parte 1 ***
Capitolo 3: *** L'invenzione della psicoanalisi ***
Capitolo 4: *** La sinfonia dei Pendragon - parte 2 ***
Capitolo 1 *** Preludio ***
Il Corriere di Camelot - primo capitolo
IL CORRIERE DI CAMELOT
“Dichiaro
ufficialmente riconosciuto su tutti i territori di Camelot tale sfizio
personale; uno sfizio pungente, giocherellone, certo un po’ maleducato, ma pur
sempre un gioco aperto a tutti.
Il Corriere di
Camelot, lo chiamerò. Tant’è vero che dame e cavalieri saranno ben lieti di
veder scritto il loro nome. A mo’ di pomposo corteo seguiranno pettegolezzi,
dicerie, delicate prese in giro. Perché ammettiamolo, qui il potere porta il
colore del rosso dei mantelli, del grigio delle spade e delle accese tinte
delle vesti delle nobili signore; e non è mai esistito un potere di cui non ci
si possa burlare, sottilmente e senza cattiveria.
Vi è un enorme
e non ordinario lavoro nella distribuzione di tale marachella, signori miei.
Fintantoché vogliate sentire storie sui giovincelli nostri salvatori di patria
o sulle signore che brandiscono fascino a mo’ di spada e mistero a mo’ di
scudo, ebbene, il Corriere di Camelot renderà più gaia la vostra giornata.
Un motivo in
più per imparare a leggere o per essere istruiti in materia da chi ne sa di
più.
Lasciate che le
faccende domestiche si compiano da sole – o che non si compiano affatto – e
sacrificate il vostro tempo per dedicare tutti voi stessi a qualche meritato
sbuffo di risata.
Sentite un po’ qua!
Gli occhi attenti e la mente sopraffina di Camelot hanno portato alla luce una
verità obbrobriosa. Un qualcosa di inconfessabile.
Il nostro re ha
messo su carne, si dice che persino i suoi destrieri si rifiutino di portarlo
in groppa. Proprio ieri ho dialogato con uno di loro, il quale con un nitrito
addolorato me ne ha dato conferma. Tentiamo in qualche modo di confortarle,
povere bestie, se sul loro dorso debbono veramente sopportare i regali chili di
troppo. I cavalli possono essere tanto onesti quanto i loro padroni. Nel caso
di re Artù i loro ruoli potrebbero essere persino confusi!
E ancora:
proprio vero che a corte vivono meglio i topi, i quali si riproducono più
velocemente di Camelot stessa. Ne ho avuto conferma giusto qualche giorno fa –
vi era una colonia, una colonia dico!, di questi simpatici roditori. Incomincio a
pensare che stiano fondando un regno, che stiano cercando di soverchiare il
potere.
I topi hanno un
certo onore, così come i cavalli. A momenti potremmo ritrovarci sudditi di un sorcio,
e ammetto che questo pensiero mi terrorizza: speriamo che i nostri valorosi
quanto stimabili cavalieri siano in grado di respingere una così grave
minaccia.
Queste due
reali, realissime notizie sono solo un assaggio di ciò che porterò alla luce.
Sarà come illuminare la vista a un cieco, ridare sorriso ai teschi delle
carcasse e lucidare la ruggine.
Caro re,
proprio un bell'inchino è rivolto a te!
Che tu sia
cavallo o sorcio non vi è differenza
tanto
confondibile è la vostra parvenza.
A Camelot manca
giusto un po' di sorriso,
Sire, è solo un gioco, vi
avviso!”
________________________________________________________________________
Artù alzò lo sguardo
sui suoi uomini. La mano che reggeva la pergamena tremava.
La Tavola Rotonda non
era mai stata così ammutolita, più per paura che per semplice disciplina
cavalleresca. Guai a lasciarsi scappare un commento di troppo. Guai.
«Chi è stato?» sibilò
Artù. Le dita parevano voler strangolare ciò che ora stringevano così
febbrilmente. «Chi?»
«Non abbiamo nomi,
Sire» intervenne un composto Leon, e alle sue parole alcuni abbassarono il
capo, chi trattenendo un sorrisetto divertito chi mordendosi le labbra. Un presentimento
corse tra tutti i presenti: il presentimento che solo quel cavaliere potesse
prendere così sul serio quella faccenda. «Mi è stato consegnato da un conoscente, il quale
afferma di non saperne nulla.»
«Nessun indiziato?»
«Nessun indiziato.»
«Leon, sarai a capo
delle indagini.»
«Ai vostri ordini.»
Artù si guardò
attorno. Pescò l’occhiata matura di Elyan, quella di Percival per nulla scossa
da ilarità, quella invece abbassata di Galvano. Era pronto a scommettere che
stesse ridendo sotto i baffi. Quanto a Mordred, lui era l’unico a guardarsi
attorno come se la sua mente fosse persa in altri lidi.
«È una questione
seria» incominciò allora, poggiando il Corriere sul tavolo. «Una questione
seria che deve essere presto sconfitta. Non mi piace che ci si prenda gioco
della corte. Della mia corte.»
«Permettetemi, Sire»
si aggiunse Galvano, scostandosi con un agile movimento del capo i ciuffi che
gli ricadevano sugli occhi. Il suo sorriso si fece tutto d’un tratto
sbarazzino. «è un semplice gioco
di un semplice qualcuno che ha dato vita ad una semplice ragazzata.»
Sorrisi a stento
trattenuti corsero tra gli altri cavalieri.
Artù, invece, lo
squadrò male. Malissimo. «Prego?»
«Lasciando da parte
il lato... divertente di questa questione, Sire, un nostro intervento mi pare eccessivo.»
«Questo perché non
sei tu ad essere paragonato ad un cavallo e non è tua la dimora in cui si dice
che vivano meglio i topi.»
Lo sbuffo di risata
che si lasciò scappare il cavaliere suggerì ad Artù che la cosa lo avrebbe
divertito lo stesso. Si ficcò un dito nel cinturone evitando di rispondergli,
mentre con la coda dell’occhio scopriva il sorrisetto a stento trattenuto di
Percival. Con loro due, no, non si poteva ragionare. Alcune volte fantasticava
sul perché la sorte avesse permesso che si conoscessero. «Elyan?»
«Sì, Sire?»
«Sarai il braccio
destro di Leon. Mi pari abbastanza maturo da gestire il problema. Questo», e
strinse nel pugno destro il Corriere, stracciandolo quanto bastava per renderlo
illeggibile. «Voglio che sparisca dalla circolazione. Voglio i responsabili.»
«Incominceremo dalle
locande» annunciò Leon esibendo il suo solito portamento da perfetto uomo di
fiducia. «Vorrei che anche Mordred partecipasse alla ricerca del responsabile.
Credo sia un ottimo modo per integrarlo nel nostro circolo.»
Mordred alzò gli
occhi su di lui proprio quando Galvano tossicchiò, probabilmente per contenere
un moto d’ilarità.
Artù annuì
lentamente, piegando la testa su di una spalla. «Ottima idea. Mordred, Leon
sarà il tuo supervisore.»
«Vi ringrazio per la
possibilità concessami, Artù.»
«Dichiaro chiusa la
riunione.» Artù soppesò uno alla volta gli sguardi dei suoi uomini, quasi a
voler sviscerare i loro pensieri su quanto stava avvenendo. Poi, con uno scatto
improvviso, si allontanò dalla Tavola Rotonda ed imboccò il primo corridoio.
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Hola! Grazie per aver letto questo primo capitolo! Siate clementi, non ho mai scritto qualcosa su Merlin :3
Credo pubblicherò settimanalmente, causa impegni scolastici e.e A presto, grazie ancora! :)
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Capitolo 2 *** La sinfonia dei Pendragon - parte 1 ***
La sinfonia dei Pendragon - parte 1
LA
SINFONIA DEI PENDRAGON – PARTE 1
Quando si trattava di
sguinzagliare il cagnolino più fedele, Artù non sbagliava mai. Affidare
un’indagine così esilarante e bizzarra alla serietà di Leon era forse l’unica
opzione e probabilmente anche il precedente re avrebbe scelto lui; e se c’era
da seguire l’esempio paterno, il giovane sovrano di Camelot era in prima fila.
«Elyan» Leon gli
batté la mano sulla spalla e lo invitò a seguirlo per gli ampi corridoi del
palazzo. Gli altri cavalieri, tra una stretta di mano e l’altra, si erano già
congedati. «Mi servirà il tuo aiuto. Sarà difficile stanare il colpevole.»
«I colpevoli» lo
corresse l’altro con un sorriso gentile. «Non credo sia opera di un solo
individuo. Ci sono troppe copie in circolazione.»
Leon annuì. Sembrava
che la sua naturale compostezza non potesse venire turbata da nulla, nemmeno
dalla sconcertante serietà con cui stavano trattando l’argomento. «Chiunque sia
stato sarà portato immediatamente al cospetto del re.»
«Leon?»
«Sì?»
«Pensi che il re sia
veramente infastidito da questa faccenda?»
Per un momento Leon
parve indeciso, tanto che gli rifilò un’occhiata sospettosa. «Non darmi motivo
di pensare che la cosa ti diverta. Galvano è già abbastanza.»
«Non intendevo
questo» fu la risposta di Elyan. Rise leggermente, forse per il riferimento
fatto all’altro cavaliere. «Troveremo chi è stato e faremo dormire notti
tranquille al nostro re. Nessuno di noi vuole che la sua reputazione venga
rovinata.»
«Qualcuno qui a
Camelot non la pensa così.» Si fermò nel frullio del mantello rosso acceso.
«Stasera incontriamoci nel piazzale. Assicurati che Mordred venga con te.
Incominceremo subito.»
Incominceremo
subito.
Aveva fatto bene a
dirlo, perché nemmeno Sir Leon poteva immaginare quale epopea sarebbe
incominciata da lì a poco. Quella sera Elyan e Mordred si limitarono a seguire
le sue direttive. Lo stimato capo delle guardie non perdonava ritardi o assenze
ingiustificate, motivo per cui i due si fecero trovare nel piazzale con largo
anticipo.
Avevano così
tappezzato le taverne più chiacchierate di Camelot e tra un’informazione e
l’altra erano riusciti a costruire un quadro abbastanza chiaro della faccenda:
stando a quanto i cittadini avevano rilasciato, praticamente tutti avevano
letto e sghignazzato alle “sottili” prese in giro del Corriere.
«Questo» Mordred fece
scivolare una copia del Corriere sotto allo sguardo dell’ennesimo oste, il quale si
limitò ad una svelta alzata di spalle. «Ne sapete qualcosa?»
«Non
mi sorprende che
lo abbiate letto anche voi. Divertente, non trovate?» Gli
assestò una potente
pacca sulla spalla stendendo un ripugnante sorriso privo di denti; il
sorriso di chi non è molto abituato ad alzare il gomito.
«Manca
umorismo a corte, eh?»
Anche Leon e Elyan
raggiunsero il bancone, seguiti da mille occhi accesi dall’alcol.
«Molesto.
Inopportuno» commentò apatico Sir Leon, scivolando al fianco di Mordred. L’oste
perse improvvisamente di baldanza. «Mi pare, signore, che voi apprezziate la
satira gratuita rivolta al nostro re.»
«Non... proprio.» Lo
sguardo dell’uomo ciondolò prima a destra e poi a sinistra, senza trovare una
spiaggia a cui ancorarsi. «Non ne so nulla.»
«Nessuno sa nulla,
che strano. Eppure tutti hanno letto, tutti hanno liberamente commentato.»
«Sono sicuro» si
riallacciò l’oste, ora con più fermezza, «che non vi è cattiveria nel Corriere.
È, diciamo, uno sfizio che qualcuno di buon cuore ha voluto condividere col
resto del popolo.»
L’oste avrebbe
preferito trovarsi da tutt’altra parte con tutt’altra compagnia. Mordred se ne
stava zitto, proprio come un falco: i suoi occhi chiari balzavano dall’uomo al
Corriere senza il benché minimo indizio di sentimento. Leon, invece, saldo
nell’espressione, non aveva ancora mutato quel suo pungente tono accusatorio.
L’unico che ispirava simpatia era Elyan, che si decise a prendere parola: «Non
è stata una scelta molto meditata, allora. Il nostro re non ha apprezzato, così
come i suoi cavalieri.»
«Credo che vi siano affari molto più
importanti, signori. Il Corriere non potrà mai nuocere a nessuno e, come sta
scritto, “non è mai esistito un potere di
cui non ci si possa burlare, sottilmente e senza cattiveria”.» L’oste regalò a
tutti e tre un bel sorriso bonario e con un gesto svagato della mano fece per
congedarli. «Non è poi così grave, suvvia. E se proprio volete qualche indizio
in più, come e perché chiedete a noi sempliciotti? Qui non tutti sanno scrivere,
figuriamoci esprimere così chiaramente tutta questa satira gratuita!» Gettò un
ultimo sguardo ai cavalieri, soffermandosi sull’occhiata ora illuminata di
Leon, poi se ne tornò ai propri affari.
«L’istruzione» scappò subito a Elyan.
Mordred prese il Corriere e incominciò a sviscerarne le parole con quei
suoi occhietti brillanti. «Il Corriere ha una buona grafia. Non sembra il
prodotto di un semplice paesano.»
Leon li abbracciò con un solo sguardo, tacitamente, la bocca di poco
schiusa. Annuì. «Un uomo istruito è un uomo ricco. Potrebbe far parte della
corte.»
Pochi giorni ancora e un altro numero del Corriere avrebbe concretizzato
il loro più profondo timore.
__________________________________________________________________
“Un
due tre
Incomincia
il ballo dei re!
Ch’incomincia
bene finisce bene, si suol dire. Eppure a me non pare cosa esatta, se s’incomincia
a parlare di quella mangusta che ci ritroviamo come re. Anzi, non andiamo ad
offendere questo nobile e meraviglioso animale!
Di
nobile e meraviglioso Artù non ha proprio nulla, intendiamoci. Proprio qualche
riga sopra stavo per intonarvi un fantastico inno, una celebrazione alla
dinastia regnante di Camelot. Che se la meritino o meno, non sta a me
deciderlo. Ritenetelo pure un giocoso alternarsi di parole senza nessuna
ambizione personale.
Una
filastrocca mi è stata cantata da un amico.
Un
due tre
Incomincia
il ballo dei re!
Se
di Uther non avete ricordo
Forse
è meglio, fidatevi che non mordo.
Egli
nascondeva la sua vera natura
E
quel pancino ben sazio, addirittura.
Si
serviva di abiti ingombranti,
volutamente
pesanti,
ma
il sopraggiungere della vecchiaia
era
lì sul suo volto, una venuta per niente gaia.
Occhi
incavati come profondi burroni,
ci
mancavano solo un paio di baffoni.
Orribile
al solo pensiero,
inoltre
non aveva nulla di battagliero!
Mentirei
se dicessi di ricordare altro di tale filastrocca, posso solo affermare che
quanto affermato non si discosta troppo dalla realtà. A nessun re farebbe
piacere essere ricordato in questo modo, ma contro la parola del popolo si può
fare ben poco: sarebbe come convincere il figlioletto Artù ad ammettere la sua
incapacità, magari ignudo nella piazza principale della nostra amata
cittadella; cosa che sfortunatamente accade solo nelle più intime fantasie di
noi sudditi.
Se ciò dovesse davvero succedere, signori, s’incomincerebbe a capire che i
gioielli regali si trovano solo nei portagioie di corte e non dove ci
aspetteremmo di trovarli.
Ma
questa è una storia di cui non so molto, per fortuna. Parlo solo per
sentito dire, non voglio screditare fino a tal punto il nostro sovrano!
Spogliare un re della sua mascolinità è cosa troppo abominevole, troppo
malvagia.
A
proposito, miei amati lettori, ho disperso il poemetto sul nostro Artù! Pensavo
di poterlo accostare a quello del padre, tanto per presentarvi un completo
paragone – e una completa panoramica sulle tanti doti mancanti, non solo
fisiche.
Non
vi farò attendere a lungo.
Regaliamo
un sorriso a Camelot, è giusto ciò che manca per allietare il nostro viver
quotidiano— E detto da me, che nel
vivere a corte non trovo diletto, è un aforisma senza difetto!”
__________________________________________________________________
Urlo di Munch. Questo
è l’unico esempio che noi contemporanei potremmo accostare al grido disumano che echeggiò
dalla sala del trono, fece sbiancare le statue marmoree e i colorati arazzi,
convinse i piccioni a migrare sotto altre tettoie.
Il risveglio a
palazzo non era mai stato così raccapricciante.
«Che cos’è?» strepitò Artù, le tempie pulsanti più del solito.
«Leon, che cos’è?»
«Credo sia il secondo
numero del Cor-»
«L’hai letto? Dico, l’hai letto?»
Pure i capelli del
fascinoso cavaliere parevano irrigiditi, lì sul capo dove solitamente davano
vita a graziosi riccioli. «No, sire. Non sono riuscito a concludere la
lettura.»
«È davvero...!»
«Esagerato.»
«Offensivo! I-io...»
«La mia coscienza non
mi ha permesso di proseguire oltre la filastrocca.»
«Qui, ultima riga!»
Artù inchiodò il Corriere sulla Tavola Rotonda coprendo, vuoi per caso vuoi per
volere personale, i paragrafi sopra. «Si cita la corte! È qui a palazzo, ne
sono sicuro!»
«Meglio non balzare a
conclusioni troppo-»
«Affrettate? Forse
non hai capito, Leon. Io voglio ardere vivo il colpevole. Sarò io stesso ad
appiccare il fuoco.»
Il cavaliere pensò
bene di non ribattere. Il rossore del volto di Artù risaltava più del colore
del mantello e gli occhi erano iniettati di una spaventosa furia omicida.
Meglio rimanere zitti.
«Va’ a chiamare
Gaius. Ho bisogno di parlargli.»
«Avete un piano,
sire?»
Artù non gli rispose.
Gli tolse il Corriere da sotto gli occhi e si sedette con la velocità di uno
schizofrenico. «Muoviti.»
Leon, seppur
spiazzato da quella schiettezza inaspettata, accennò un lieve inchino del capo
e marciò fuori dalla sala, pronto a eseguire l’ordine.
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Sono in ritardo, lo so xD Ci farete l'abitudine :'3
Grazie per aver letto, a presto!
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Capitolo 3 *** L'invenzione della psicoanalisi ***
L'invenzione della psicoanalisi - cap 3
L’INVENZIONE
DELLA PSICOANALISI
Il veloce discorso
tra Artù e Gaius si rilevò essere un’incresciosa violenza psicologica ai danni
dell’anziano medico di corte.
«Leon e Elyan non
possono aver sbagliato. E ora che anche tu hai letto, ora che anche tu hai assaporato queste parole...»
«Sire...»
«Non possiamo
permettere che venga divulgato anche il poemetto sulla mia persona!» La
fiammella che già tiepidamente tremava sul tavolo venne come scossa da un
afflato di terrore.
«Vi sono molti uomini
dotti a Camelot» si aggiunse un accorto Gaius. «Alcuni di loro non vivono
nemmeno a corte, sarebbe troppo complicato indagare su una fetta così
consistente di popolo.»
«Almeno gli ignoranti
sono automaticamente esclusi» gracchiò il re, quasi si fosse preparato la
risposta con largo anticipo; e un sovrano che riconosce l’alto tasso di
analfabetismo del proprio regno non è certo stimabile. «Non voglio che la mia
reputazione venga minacciata da un uomo di cui magari mi fido ciecamente. O
meglio, detesto essere preso in giro in questo modo.» I palmi di Artù
scivolarono sul ripiano legnoso e il suo sguardo riuscì a conficcarsi persino
oltre le rughe dell’anziano. Nemmeno Horatio Caine avrebbe potuto imitare quell’occhiata
imbevuta di terrificante serietà. «Ora ti darò un foglio piegato a metà. Vi
troverai scritti i nomi di alcune persone.»
«Cosa dovrei fare,
mio signore?»
«Dovrai interrogarle,
sviscerarle in qualsiasi modo. Spiarle, se necessario. Questa è la mia lista
nera. Sono i principali indiziati.» Il palmo destro si schiuse rivelando un
innocente pezzo di carta. Solo la striminzita candela illuminava i loro volti.
«Agirai a partire da adesso.»
«E se non dovessi
arrivare ad una soluzione?»
«Tu ci arriverai,
Gaius.» Gli occhi di Artù parevano scintillare di luce propria. «Ci vorrà
discrezione, pazienza. Ma troveremo la soluzione.»
«Discrezione?»
«Nessuna di queste
persone dovrà sospettare del nostro patto.»
Gaius si ritrasse un
poco, stupito e disorientato. «Mi state chiedendo un’impresa quasi impossibile.
Sicuramente qualcuno di loro incomincerà a sospettare.»
«Porrai le domande giuste,
seguirai il tuo istinto, il tuo fiuto da segugio.» Evidentemente pensava di
trovarsi davanti a una specie di Leon invecchiato.
«Non credo di
riuscire a garantirvi nulla di certo, sire. Immagino che i nomi su questo
foglio siano piuttosto rinomati.»
«Non importa. Vedi di
non deludermi, Gaius.» Artù si alzò, abbandonando così il foglio alla timida
luce della fiammella. «Ritornerai in questa stanza, da me, tra una settimana. A
questa stessa ora.»
Al medico non restò
che annuire profondamente col capo. «Certo, sire.»
«Puoi fare di questo
stanzino il tuo luogo da meditazione. Bada che nessuno scopra la tua
ubicazione.»
«State tranquillo.»
Artù Pendragon, fiero
nel portamento, percorse a falcate la piccola stanza ed uscì.
Fu il silenzio a
suggerire a Gaius quale metodo investigativo adottare. Nessuno aveva ancora
inventato un nome per quel colpo di genio. Lui lo definì semplicemente psicoanalisi;
e Sigmund Freud, centinaia di anni dopo, non sarebbe mai venuto a conoscenza di
essere stato preceduto in quella straordinaria invenzione.
Se lo sconcerto nel
leggere i nomi gli fece quasi cadere la mandibola, il pensiero che Artù potesse
sospettare di gente simile rischiò di fargli sputare l’intera dentiera.
Il re stava
lentamente imboccando la via della distruzione personale. Tutta quella storia
stava avendo un risvolto negativo sulla sua psiche; ma del sovrano poteva
occuparsene anche dopo.
Aveva impiegato due
giorni a studiare quella fantastica invenzione, e solo al terzo albeggiare uscì
dallo studiolo fresco come una fogliolina piena di rugiada. Non c’era fretta,
non aveva perso assolutamente tempo. I giorni che gli rimanevano erano più che
sufficienti.
Merlino lo accolse
con molta allegria. «Gaius! Dove siete stato?»
«Sono stato molto
impegnato con alcune ricerche...» bofonchiò distrattamente il medico, e già
stava sgombrando il tavolo su cui poggiava sempre le pozioni. «Artù non ti ha
detto nulla?»
Merlino gli si mise
di fianco e tentò invano di incrociare il suo sguardo. «S...sì, mi ha accennato
qualcosa...ma potevate farvi sentire, no?»
«Avevo bisogno della
massima concentrazione.»
«Gaius, perché state
spostando tutti i vostri preparati?»
L’anziano gli lancio
un sorrisetto e, sistemata su un piccolo mobile l’ultima boccetta, si
riavvicinò a lui. «Perché dovrai stenderti qui sopra, caro Merlino.» Con le
mani lo picchiettò sulla schiena come per incitarlo ad ascoltare le sue parole.
«E-eh?»
«È di vitale
importanza, Merlino. Vuoi aiutare un povero vecchio nelle sue ricerche?»
Merlino sbatté due o
tre volte le ciglia. «Certo.»
«Allora non fare
storie e fa’ come ti dico.»
Il giovane mago fece
subito quanto ordinatogli. Il tavolo era proprio piccolo, tanto che braccia e
gambe ballavano nel vuoto. «Posso sapere il soggetto dei vostri studi, Gaius?»
«Se venissi a saperlo
non otterrei da te la partecipazione che mi serve. Meglio che tu ne sia all’oscuro.»
Merlino si ritrovò a
fissare prima Gaius e poi il soffitto. Se ne restò zitto fino a quando il
medico prese uno sgabello e si sedette di fianco a lui.
«Bene, Merlino.
Comodo?»
«C’è di meglio.»
«Non ti lamentare. Mi
farò presto costruire una sede più attrezzata.»
«Sede più...?»
«Sst!» lo ammonì l’altro
in un sibilo. «Vedi? Stai già prendendo la concentrazione!»
Merlino si zittì.
Percepiva quanto Gaius tenesse a quello che sembrava un esperimento.
«Ora ti farò una
domanda molto semplice. Rispondi senza pensare, senza!» Il medico biascicò qualcosa tra sé e sé, poi parve
rianimarsi. «Dimmi la prima parola che ti viene in mente.»
«La...prima...»
«In fretta, Merlino!»
«Rosso» si fece
scappare allora il giovane. Fece ballonzolare gli occhi prima a destra, dove vi
era Gaius, poi verso il soffitto. «Non so perché.»
«Bene. Tu non devi
sapere nulla, infatti. Chiudi gli occhi.»
E lui li chiuse.
«Rosso...» sussurrò
il medico di corte, scrutando il suo pupillo. «I mantelli sono rossi. Le
giacche sono rosse. Gli arazzi sono rossi.»
«Già, è tutto così
tremendamente rosso.»
«Non ti piace il
rosso?»
«Ne vedo troppo ogni
giorno.» Merlino sbuffò. «È come se il rosso mi circondasse: i cavalieri, la
tappezzeria a palazzo, Artù...»
«Oh, Artù.»
«Tutto quello che lo
circonda è rosso.»
«Sei in qualche modo
stanco, frustrato da tutto questo
rosso?»
«Compare anche nei
miei sogni.»
«Chi, Artù?»
«Non confondiamo le
due cose.» Merlino si lasciò scappare una leggera risata. «Il rosso, intendo.»
«Ma sembra che tu li
faccia coincidere, in qualche modo.»
«Solo perché sono il
suo servo. Non credo che qualcun altro potrebbe pensare la stessa cosa.»
«Quindi mi dicevi che
il rosso è presente nei tuoi sogni» si riagganciò Gaius con un sorriso
innaturale a schiacciargli le rughe. «La tua mente ripercorre sempre gli stessi
pensieri. Gli stessi stimoli giornalieri...»
«Gaius...»
«Questo causa
disagio. Questo causa fastidio.»
«…Gaius, ma cosa
state dicendo?» Merlino si tirò a sedere e riuscì ad inquadrare l’espressione
malsana dipinta sul volto del medico. «Siete sicuro di stare bene?»
«Voglio solo aiutarti
a purificare la tua psiche, caro Merlino» tentò di tranquillizzarlo il medico,
tornando a sorridere come sempre faceva. «So che fatichi a dormire la notte. Ti
vedo sempre stanco, e Artù ti fa lavorare così tanto...»
«Non ditemi che vi
siete assentato così tanto per trovare una soluzione a questo mio inesistente
malessere.»
«È un malessere di
cui mai nessuno è cosciente. Ci sono così tante persone da curare...» Gaius si
alzò e a piccoli passetti andò a sedersi alla scrivania. «I misteri sono
molti.»
«Da quanto vi
interessate ai sogni?»
Il medico recuperò
alcuni libri, li ficcò in una sacca e si rialzò. «Durante questa seduta ho
scoperto quanto la tua mente sia disturbata. La cosa mi addolora» disse in tono
grave, incamminandosi verso l’uscita.
«Come, scusate?»
Merlino si precipitò da lui prima che potesse uscire. «Come fate a dirlo in
questo modo? È uno scherzo, vero?» Si sorrise da solo, scuotendo il capo. «Sì,
state scherzando, ve lo leggo ne...»
«Devo andare ad
interrogare altri casi» lo freddò Gaius schiudendo la porta. «Se sarò fortunato
riuscirò a curare in tempo la loro psiche. Eh, le sofferenze invisibili agli
occhi dei molti sono tante! Fortunatamente io rientro in quella stretta cerchia
di eletti che possono dialogare con l’inconscio delle persone. Ora scusami,
Merlino.»
«Ma Gaius...!»
«Su su, spostati.» Il
vecchio lo tirò da parte con la foga di una signora anziana che prende a borsate
un ragazzino poco per bene e uscì, lasciandosi dietro il raggelante silenzio
del giovane mago.
Gaius aveva ben dieci
“pazienti” a cui far visita. Il suo pellegrinare di stanza in stanza lo aveva
ormai convinto che quella non era una semplice missione, ma un dovere da
portare a compimento in nome della scienza.
Vi era solo un’unica
psiche che nemmeno un medico come lui avrebbe potuto districare: la psiche del
creatore del Corriere, quella stessa psiche che incominciò a stilare la nuova
uscita proprio quando l’anziano varcò la soglia del secondo nome sulla lista
degli indiziati...
“C’era
una volta un giovine condottiero che in testa aveva spighe di grano non ancora
mature e una dolina malfatta a sostituire il naso...”
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Eccomi con il ritardo pronosticato xD
Spero di riuscire a stendere il poemetto del nostro prode Artù per settimana prossima :'3
Grazie a tutti! <3
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Capitolo 4 *** La sinfonia dei Pendragon - parte 2 ***
La sinfonia dei Pendragon - parte 2
LA
SINFONIA DEI PENDRAGON – PARTE 2
“C’era
una volta un giovine condottiero che in testa aveva spighe di grano non ancora
mature e una dolina malfatta a sostituire il naso. Nonostante le sue
nobilissime origini – e di certo non mi è permesso negarlo – nulla aveva di
cavalleresco: il suo aspetto deformato, cortese solo ad una prima occhiata,
atterriva persino il più malformato degli esseri viventi; che non avrebbe mai
potuto desiderare d’essere al suo posto, aggiungo.
Peccava
d’abominevole stupidità, davanti alla sua incompetenza morale e soprattutto
fisica sbiancavano persino le candide stoffe della sua biancheria. E v’assicuro,
non v’è posto peggiore in cui alloggiare sul suo corpo. Tessuti senza utilità,
quelli, tant’è che non v’era nulla da nascondere o ricoprire. Nemmeno un
barbaglio di mascolinità.
Ma
nessuno sospettava. Nessuno sospettava chi avrebbe seduto sul trono già
sufficientemente riscaldato dalle regali e flaccide membra del padre. Un figlio
tanto coccolato, Artù, e viziato allo sfinimento a spese della nostra Camelot,
ahimè, povera nelle fondamenta ma sfarzosa nel lusso dei pochi.
Torniamo
dunque a narrare le discutibilissime gesta del nostro attuale re.
Fin
da giovincello provò a destreggiarsi in passatempi tipici dell’essere maschile...
troppo tipici, direi. Utensili inanimati come spade e balestre si prendevano
solo gioco del piccolo Artù, che trovò conforto nella pratica della poesia, nel
gozzovigliare senza misura e nel tormentare il vecchio e consumato padre
nullafacente. Uno scansafatiche, lo chiameremmo noi semplici sudditi.
Quale
madre vorrebbe avere un figlio del genere? Un figlio nato per essere
condottiero ma dedito solo a distrazioni femminili! Eh, quanta melma si
nasconde nelle fondamenta del palazzo reale!
Ma
riallacciamoci al filo del racconto.
Uther,
disperato, non riuscì mai a capire per quale ragione il suo seme diede alla
luce un figlio così malandrino e poco propense ad impieghi cavallereschi. Diede
sempre la colpa all’altro ramo – e da qui nacque la discordia tra lui e Agravaine
de Bois – senza mai riconoscersi come unico colpevole della sventurata vicenda.
Affidò perciò il figlio a una ristretta cerchia di uomini di fiducia, uomini
che, a mio avviso, meriterebbero di salire al trono al posto di Artù.
Quando
il principino fu abbastanza grande da incominciare a capire il mondo intorno a
sé – e ce ne volle molto di tempo, ve l’assicuro – Uther lo affiancò al
capitano delle guardie, il benvoluto Leon... il quale, naturalmente, piantò
nella sua immatura coscienza il seme del dovere senza tanta pietà.
Dobbiamo
a lui la maturazione, seppur ancora incompleta, del nostro re! Nulla Leon poté
nell’aggiustare la sua estetica, ma grazie al suo indiscutibile fascino riuscì almeno
a renderlo presentabile al popolo.
Da
qui derivano le sue prime prodezze militari che possono essere considerate
degne di un discreto cavaliere di Camelot. Perché la verità è un’altra, signori
e signore! Chi mai ha guidato Artù al comando della nostra bandiera? L’esercito,
naturalmente. Chi mai è riuscito a condurlo sulla buona strada? La sua stretta
cerchia di soldati di fiducia, certo che sì.
Artù
non ha alcun merito se non quello d’essersi lasciato guidare dagli uomini
giusti.
Ricordiamo
che il nostro re è piuttosto giovane. Agli occhi degli altri sovrani è solo un
bambino spaventato, un comandante che deve ancora comprendere il vero motivo della
sua esistenza, ammesso che ne abbia uno. E dobbiamo vivamente sperare che lo
comprenda velocemente, se non vogliamo ritrovarci ad avere un altro tipico
Pendragon al potere.
Da
Pendragon deriva altro Pendragon. Non v’è una realtà più triste di questa,
sappiate.
La
mia è solo una timida preghiera, una debole speranza: non abbiamo certo un re
intelligente, saggio e coscienzioso come ogni altro popolo, ma almeno ci
riconosciamo sotto una stessa bandiera.”
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La fiammella tremò al
suo ennesimo sospiro. Aveva raggiunto la stanzetta adibita ai suoi incontri
privati con Gaius e con grande sorpresa trovo che il medico di corte era già
lì.
Si sedette. «Gaius.»
«Mio signore.»
«Hai completato la
lista degli indiziati? Tutti?»
«Sì, sire.»
«Allora?»
Gaius aveva l’aria
più stanca del solito. Profonde occhiaie erano scavate nelle rughe e nulla in
lui faceva presagire ad un buon responso. «Molte anime sono tormentate, non vi
sono parole per descrivere quanta tristezza arieggi questo palazzo.»
Artù si ritrasse un
poco. «Come, scusa?»
«Vi sono troppi
indiziati, mio signore.»
«Ti ho dato una lista
di dieci persone, dieci, e non sei
riuscito a cavarne fuori nulla?»
«La mia
psicoanalisi...»
«È passata una
settimana!»
«...si è rivelata uno
strumento troppo potente per suggerire qualche indizio in questa faccenda.»
«La tua psico-che?»
Le narici di Artù si dilatarono mostruosamente per accogliere nei polmoni un
sospiro terrificante. «Gaius, io devo sapere chi scrive il Corriere! Devo
saperlo, così da poterlo fare a pezzettini!»
«Vi dirò, l’ideatore
deve essere un uomo molto vicino a voi, Artù...»
«Bell’indizio, certo!
Potresti essere anche tu, Gaius!»
«Un uomo disturbato,
deluso dal vostro operato. Come da vostra richiesta ho interrogato le colonne
portanti della vostra vita.» Il medico estrasse un piccolo quaderno e, con la
punta della lingua a penzolargli tra le labbra, ricominciò a parlare: «Merlino
non credo possa essere il colpevole. Che resti tra noi... è troppo stupido.»
«Confermo. Poi?»
«Sir Percival invece
non ha nessun disturbo, credo sia troppo tenero di cuore.»
«E non credo sappia
scrivere un qualcosa di simile. Giusto, Gaius.»
«Sir Galvano ha una
mente troppo squilibrata. Povero ragazzo, avrà vissuto molte esperienze
negative da giovincello. Non può essere lui, assolutamente no.»
«Nonostante la
faccenda lo diverta molto» commentò un apatico Artù, e con un cenno sbrigativo
della mano invitò Gaius a proseguire.
«Leon ha una mente
molto equilibrata, è davvero un esempio eccellente di rettitudine. Ha un animo onesto.»
«Non avevo dubbi.» Il
re stirò un sorrisetto dal retrogusto amaro. «E gli altri interrogati?»
«Tutto nella norma.
Se accettate un consiglio, sire» si affrettò il medico richiudendo il piccolo
quaderno, «non ci resta che aspettare una mossa falsa da parte dell’ideatore
del Corriere. Scrive per farsi notare, è logico che a furia di esporsi troppo
cadrà in qualche nostra trappola.»
Artù annuì. Non v’era
nulla di sbagliato nell’attendere, in effetti. Quell’uomo si stava scavando la
tomba da solo, ancora un altro passo e ci sarebbe inciampato dentro.
Il redattore del
corriere intinse ancora la penna nel calamaio prima di calarla su un altro
foglio. Avrebbe fatto centinai di copie, un’intera notte in bianco per
preparare il grande evento.
“Diamo
dunque avvio ad una grande occorrenza, signori!
Non
distribuirò il poemetto di Artù a tutti voi, no, almeno non subito.
Una
grande caccia al tesoro incomincerà al tramonto di domani.
I
partecipanti verranno decisi da me medesimo.
Lunga
vita ai Pendragon! (si fa per dire, naturalmente)”
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Ed eccomi, anche se con molto ritardo!! Impegni, sempre impegni... dovete scusarmi xD
Pronti per la caccia al tesoro? :'3
Un grazie ancora a tutti voi, e buon Nataleeeee!! (anche se un poco in ritardo xD)
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