E se di Twilight non fosse stato scritto un libro?

di Rain_bow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sono Lola, e iniziò così la mia storia ***
Capitolo 2: *** Il mio normalissimo primo giorno di scuola ***
Capitolo 3: *** Lo strano tipo senza maglietta ***
Capitolo 4: *** Strane leggende ***
Capitolo 5: *** La mia -quasi- fine ***
Capitolo 6: *** Nuove consapevolezze ***
Capitolo 7: *** Il tempo che non sa passare ***
Capitolo 8: *** Dolore ***
Capitolo 9: *** Sembra impossibile, ma non tutto si può comprendere. ***
Capitolo 10: *** Ritorno a Forks ***
Capitolo 11: *** Le leggende non sono altro che verità ***



Capitolo 1
*** Sono Lola, e iniziò così la mia storia ***


Stavo sognando. Lo capivo da come le figure si muovevano con determinata lentezza sbalzati da scosse veloci, nella scena io ero ancora piccola, non sapevo se era una scena davvero esistita, ma quel luogo mi era familiare: era la vecchia casa in cui vivevamo prima dell'inizio delle mie disgrazie, prima che mia madre morisse, prima che mio padre si ammalasse e io dovessi prendermi carico anche della sua vita. Eravamo davanti al camino ed ero tra le braccia di mio padre, mi teneva stretta per non farmi cadere e mi alzava in aria, in modo che il mio viso fosse illuminato e riscaldato dalle fiamme del camino. Sentivo le risa mie e dei miei genitori come un eco lontano. Ero felice e cercavo di agguantare con le mie manine paffute i capelli di mia madre, che si affacciava dalle spalle di mio padre. Poi accadde qualcosa di strano, e ci fu un silenzio incredibile. Qualcosa afferrò mia madre che iniziò a dibattersi, ma era troppo tardi ed ella sparì come se non fosse mai esistita. Sentivo il mio corpo farsi più pesante, e l'energia di mio padre abbandonarlo, lo guardai per un attimo, mentre mi diceva "Addio figliola, sii felice" e le sue forze lo abbandonarono. Come se quella scena mi avesse buttato giù da un precipizio mi svegliai di soprassalto, avevo un senso di vertigine che mi avvolgeva lo stomaco. Mi guardai intorno, il mio vicino mi guardò con aria critica. Mi trovavo in aereo, ma se i miei calcoli erano giusti presto saremmo atterrati. Mi stiracchiai un po' dopo le tante ore seduta e poi sorrisi al mio vicino che continuava a fissarmi. "Finalmente sveglia signorina" mi disse in americano. Fortunatamente io la lingua la sapevo perfettamente e non feci fatica a comprenderlo. "E' colpa sua signore, mi annoiava" gli dissi. Tanto era la verità e non avevo problemi a dirglielo in faccia, tanto era uno sconosciuto qualunque che non avrei mai più rivisto. Sogghignò. E per un attimo ebbi quasi paura. "Audace la ragazza" lo sentii sussurrare a bassa voce in un perfetto italiano che un po' mi sorprese.
Lo fissai per un po' per fargli capire che lo avevo sentito, e forse lo sorpresi perchè per scusarsi mi porse la mano, aveva un guanto di pelle nera ma lo tolse per cortesia. La sua mano era talmente bianca da sembrare trasparente, un po' come le foglie della cipolla. L'afferrai, pensando a quell'uomo tanto distinto con la pelle da cipolla. Ma d'un tratto la mia testa si fece vuota e mi sentii quasi confusa come se i miei pensieri si fossero per un attimo interrotti e al loro posto una voce più imponente mi gridasse "Perchè?" l'uomo ritrasse la mano e si rinfilò svelto il guanto. Nei suoi occhi neri vidi brillare un lampo di follia, le sue labbra fini e esanimi sussultarono incurvandosi in un sorriso spaventoso. Per fortuna non mi trovavo da sola con quell'uomo che un po' mi metteva paura, stavo quasi per mettermi ad urlare.
"Signore l'aereo sta atterrando, se mi vuole seguire" sentii una voce da bambina parlare alle mie spalle. L'uomo la osservò per un attimo, incerto se arrabbiarsi o incuriosirsi per chissà che cosa. Poi si alzò e accarezzò la ragazza dalla pelle diafana come la sua e gli occhi scuri come i suoi, anche se i loro lineamenti erano totalmente diversi. Le baciò la fronte e portò le sue labbra vicino all'orecchio della ragazza, non poteva avere più di sedici anni, la mia età.
Mi voltai verso il finestrino per non vedere la scena, era troppo disgustosa.
Poi sentii qualcosa dentro di me avvolgermi in un abbraccio freddo, qualcosa che partiva dalla bocca dello stomaco e mi causava una fitta alla testa. Chiusi gli occhi forte, ogni tanto mi venivano quelle fitte di dolore che duravano poi pochi istanti, niente di preoccupante mi avevano sempre assicurato i dottori.
Poi sentii un tonfo, mi voltai e vidi la ragazza dai capelli biondi caduta a terra, il suo viso aveva un espressione straziante, del genere che non mi sarei mai aspettata di trovare in un volto così impassibile. Mi lanciò un occhiata di puro odio. Poi vidi l'uomo che la abbracciava e intanto mi osservava con aria avida. "Si" lo sentii sussurrare. La sua faccia mi disgustò talmente tanto che mi costrinse a voltarmi. Non li sentii andare via, ma quando poi scesi dall'aereo non vidi le loro tracce.

Ad aspettarmi c'era Keyne, mio zio. Era un bell'uomo sulla quarantina, dai ricci castani che ora stavano diventando brizzolati, era invecchiato dall'ultima volta che lo avevo visto, cinque anni prima. Quando mi vide mi sorrise, e intorno ai suoi occhi si formano delle piccole rughe.
Corsi ad abbracciarlo, nonostante l'ingombranti bagagli che racchiudevano tutta la mia vita.
"Zio!" gli urlai contro. Un po' per accertarmi che fosse davvero lui, un po' per farmi riconoscere.
"Lola!" mi gridò contro lui con il mio stesso tono. Poi prese i bagagli e ci avviammo verso la macchina. Adoravo la sua vecchia Ford, anche se l'avevo vista solo in foto pensavo di riuscire a conoscerla, stavo per aprire lo sportello quando invece Keyne attirò la mia attenzione.
"Ehy ladra di auto! La mia è questa" e indicò l'incubo della mia vita, un auto della polizia corredata di luci e tutto il resto.
"Perchè?" chiesi disperata, non mi piaceva di certo viaggiare come un ladro catturato da un poliziotto.
"Spetta al capo della polizia" Disse semplicemente montando in macchina.
Io aprii il mio sportello e mi sedetti sul sedile anteriore. "Perchè ce l'hai tu quindi?" brontolai mentre metteva in moto.
"Un paio di anni fa ho avuto la promozione" Disse canterellando.
Forse ero troppo lunatica, e il mio umore cambiava troppo velocemente, ma il pensiero che fino a quando non avrei preso la patente sarei dovuta andare in giro con quell'auto mi fece arrabbiare e evitai per tutto il viaggio di parlare a Keyne, anche se alla fine lui non aveva proprio punte colpe.
Si era trasferito da ormai una decina di anni a Forks, dopo la scomparsa di sua figlia e la fuga di sua moglie e aveva continuato la sua carriera nella nuova cittadina, luogo in cui era scomparsa mia madre durante una visita a Keyne e da allora lui non si dava pace sulle due misteriose scomparse che gli avevano rovinato la sua vita. Keyne mi piaceva, ma sapevo quanto la sua vita era triste, e non volevo che la sua tristezza mi contagiasse; lui era l'unico parente che avevo che potesse ospitarmi dopo la morte di entrambi i miei genitori e speravo che durante il mio soggiorno a Forks sarei riuscita a farlo tornare l'uomo spensierato di un tempo.
Finalmente arrivammo a casa, il viaggio era stato piuttosto lungo, considerato l'assoluto silenzio dentro la vettura. Parcheggiò l'auto nel vialino di casa e mi aiutò a portare i bagagli in camera mia.
Anche dopo la scomparsa di sua figlia, anche nella casa nuova aveva deciso di lasciarle una stanza se avesse mai deciso di tornare, ma a distanza ormai di sette anni era chiaro che sua figlia non sarebbe più ricomparsa e aveva deciso di lasciare la camera a me.
Appena varcai la soglia capii che quella era una stanza stupenda, le pareti erano blu, da un lato erano coperte da un muro bianco, l'ingresso per la cabina armadio, e nella parete opposta, lungo il lato più lungo si trovava il letto a una piazza e mezzo, la stanza era al secondo piano e la finestra era invasa di una tenue luce nonostante il cielo grigio, sotto alla quale si trovava una scrivania con un computer di ultima generazione.
"Considera questa stanza il mio regalo di benvenuto" mi disse Keyne.
"Il migliore di sempre" dissi, per fargli capire che il cattivo umore che ci aveva accompagnato per tutto il viaggio era finalmente scomparso.
"Magnifica" dissi ed entrai e mi misi a sedere sul letto.
Keyne continuava a stare sulla porta, impacciato.
Così presi il portafoto che si trovava sul comodino, e guardai la foto. Era una ragazza, forse aveva la mia età ma sembrava ancora una bambina. Assomigliava molto a mio zio, avevano gli stessi occhi profondi, e lo stesso taglio della mandibola, che le conferiva un aria furba. Poi però aveva i capelli scuri e lisci, che le nascondevano le orecchie e il collo candido. Finiva così la foto, con una matassa di capelli ordinati. Sembrava guardarti dritta negli occhi e anche se timida manteneva lo sguardo dritto a sè, sicura.
"Era lei?" chiesi con tono solenne, era chiaro a chi mi riferivo, a sua figlia.
"Si" disse "era bellissima".
"Ti assomiglia" gli dissi ed era vero.
"Mi assomigliava" concluse, e poi chiuse la porta alle sue spalle.
Rimasi per un attimo immobile, per assorbire quelle parole. Infine mio zio si era arreso, aveva perso la sua battaglia, anche lui ormai era convinto che sua figlia era morta, come mia madre.
Poi riposi la foto al suo posto e mi affacciai dalle scale.
"Keyne" chiamai. E lui apparve subito, al piano inferiore.
"Sì?"
"Non ti arrendere" capì ciò che volevo dire, non doveva mai abbandonare la speranza di  trovarle, o trovare chi aveva la colpa della loro scomparsa..
"Mai" e poi sparì dalla mia vista.

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Capitolo 2
*** Il mio normalissimo primo giorno di scuola ***


Sentii la radio trillare vicino al mio orecchio. Quella notte non avevo dormito bene, sapevo che quel giorno sarebbe stato importante per la mia vita a Forks, non potevo permettermi di fare alcun passo falso e così mi ero assillata tutta la notte pensando a cosa sarebbe andato storto, e avevo concluso che tutto dipendeva da me. Ed eccomi lì, ad alzarmi con poche ore di sonno alle spalle.
"Lola alzati" sentii gridare dal piano di sotto Keyne. 
Aprii gli occhi, la stanza era in penombra, la luce alla finestra era talmente tenue che sembrava notte; dovevo abituarmi a quel tempo così burrascoso.
Mi alzai e sbadigliai, poi andai in bagno e mi detti una sistemata. Ero praticamente pronta, ma l'aria umida che aleggiava a Forks, rendeva i miei capelli lisci una massa di nodi informi. Decisi di fare una coda, poi mi guardai per un attimo. In qualche modo anche io assomigliavo alla figlia di Keyne, mia cugina, avevo le stesse labbra carnose e lo stesso taglio della mascella, ma le somiglianze finivano lì. Avevo i capelli bruni, rossi al sole, proprio come i miei occhi color nocciola che divenivano nelle giornate serene color vinaccia.
Scesi le scale e trovai Keyne sulla porta ad aspettarmi.
"Non vorrai far tardi proprio il tuo primo giorno eh?!" mi sgridò.
Gli sorrisi, e acciuffando al volo lo zaino mi recai verso l'auto della polizia ormai rassegnata alla mia prima figuraccia davanti a tutta la scuola.
"Dove pensi di andare Lola? Non penserai che io ti faccia andare in giro su quell'auto come un ladro" e così dicendo aprì il garage. Ed eccola, la mia auto, un vecchio modello Ford nero e lucido. Sorrisi a mio zio, che mi aveva capito da subito.
"Prendi la patente e l'auto diventerà tua" disse.
Non parlammo molto durante il breve tragitto, io continuavo a guardare fuori dal finestrino, con il cuore a mille.
"Buona fortuna" mi disse prima che scendessi.
Lo salutai e andai verso l'edificio. Non c'era ancora nessuno nei paraggi, solo qualche auto parcheggiata. Sapevo che quella scuola aveva poche centinaia di studenti e non mi aspettavo di trovare in giro molte persone.
Mi recai verso un edificio dipinto di verde, dovetti completare molti moduli e persi molto tempo perchè la segretaria era nuova e non sapeva bene come svolgere il suo lavoro e quando finalmente uscii si era fatto tardi.
Fuori pioveva, e io nella fretta mi ero dimenticata anche l'ombrello, fantastico.
Così mi trovavo come una stupida fuori dall'edificio, riparata da un piccolo tettuccio a pensare come fare quando un ragazzo mi venne in contro sorridente.
"Ehy ciao!" mi disse, mostrando una serie di denti perfetti. 
Ricambiai il saluto, e non aspettai a chiedergli se mi poteva dare un passaggio sotto il suo ombrello.
"Oh certo! I passaggi sono la mia specialità" disse lui, sempre ridente.
"Ho forse beccato un giocatore di qualche sport allora?" dissi pensando al doppio senso della parola passaggio.
"Intelligente eh Lola?" mi schernì.
Rimasi un attimo sorpresa, come una stupida, mentre lui continuava a camminare sotto il suo ombrello. 
"Tu come fai a sapere il mio nome?" gli gridai contro infastidita. Non mi piaceva che la gente parlasse di me alle mie spalle.
"Qui lo sanno tutti chi sei, dall'ultima volta che è arrivata una nuova ragazza straniera in città sono passati otto anni!"
"Magnifico" dissi a denti stretti, riparandomi di nuovo sotto il suo ombrello.
"Vorrei sapere il tuo di nome, allora"
"Io sono Alexander" disse "e questa è l'aula della tua prima lezione", accennò un gesto verso la prima porta.
"Tu.. come fai a saperlo?" ero meravigliata da quello strano tipo.
"Perchè frequentiamo gli stessi corsi" disse chiudendo l'ombrello pieghevole, e poi sistemandosi i capelli castani in disordine, poi mi fisso per un attimo con i suoi occhi verdi,  e non ce la feci a non sorridere. 
"Se ti sfai quella coda, sei più carina" disse prima di entrare in classe, e lasciandomi lì come una stupida.
Così in fretta, senza un motivo preciso seguii il suo consiglio e lasciai ricadere i capelli in disordine sulle spalle, fino alla vita, dopo un lungo sospiro entrai in classe.
Venti paia di occhi mi fissarono, ma io dovevo concentrarmi su altre cose, del tipo respirare normalmente, camminare senza inciampare, e saper misurare le parole quando mi ritrovai di fronte al mio insegnante.
"Salve Lola, sono il professor Hunt, insegnante di letteratura, se vuoi accomodarti" e mi invitò a sedermi all'ultimo banco, evitando così imbarazzanti presentazioni.
Mi ritrovai così al banco vicino ad Alexander, e dall'altra parte un ragazzo con gli occhiali e la felpa.
Devo ammettere che non seguii molto la lezione, il signor Hunt stava parlando di un libro che già avevo letto -La fattoria degli animali-, e Alexander e il mio vicino di banco erano più divertenti da ascoltare rispetto al professore.
"Hai deciso di seguire il mio consiglio allora?" bisbigliò Alexander.
"Stranamente sì, di solito non do retta agli sconosiuti, caro Alexander" Un brivido mi avvolse per un attimo, ricordandomi allora dello strano tipo/cipolla che avevo conosciuto in aereo
"Non chiamarlo Alexander, altrimenti si arrabbia" disse sottovoce il ragazzo con gli occhiali e lo fissai per la prima volta.
"Non ci credo" scherzai. Così alzò un po' la manica della sua felpa e mi mostrò un livido.
Rimasi per un attimo impaurita, quel tipo era davvero violento?
Lo sentii ridere. "Non ci crederai vero?" disse Alexander.
Rimasi un attimo confusa.
Poi anche il tizio con gli occhiali iniziò a ridere. "Ok, questo me lo sono fatto cadendo dalle scale"
"Voi siete pazzi" bisbigliai.
"Comunque io sono Joshua, piacere Lola"
Poi il signor Hunt ci richiamò all'attenzione, parlando dell'intento di Orwell di denunciare i sistemi totalitari.
Così finì la prima ora, e mi diressi verso l'aula di spagnolo, al mio fianco c'era Alexander che parlava con il ragazzo con gli occhiali.
Fui la prima ad entrare in classe, il professore mi fece un breve interrogatorio per verificare il mio livello di spagnolo, alla fine si complimentò con me.
Si presentò come Professor Thomson e mi indicò dove sedermi.
Questa volta non ebbi molta fortuna, vicino a me si sedettero due ragazze, nessuno che conoscessi, naturalmente.
Una era un po' cicciottella e aveva l'apparecchio, niente in contrario, ma indossava un ridicolo vestito rosa shokking e stivali neri. Mi voltai dall'altra parte e sorrisi tra me e me del suo abbigliamento. L'altra ragazza mi sorrise. "Ti ci dovrai abituare" mi sussurrò.
Cercai di seguire il più possibile la lezione, ma l'ora era lunga e finii per parlare con la ragazza alla mia destra, che invece sembrava avere un buon gusto per la moda. Si chiamava Madison, e anche lei come il resto delle persone sapeva il mio nome.
Quando mi voltai indietro per vedere l'orario, mi accorsi che dietro di me c'era il ragazzo con gli occhiali. Gli sorrisi. "Non mi salutare tu" Lo accusai.
Mi guardò con aria interrogatica e mi domandai per un attimo se non avessi davvero sbagliato persona.
"Ci conoscimo?" chiese.
"Ma dai Joshua, sono Lola, parlavamo all'ora prima" Iniziavo a nutrire seri dubbi sull'identità di quel ragazzo.
Poi mi accorsi che non indossava la felpa, ma una camicia di jeans e una maglietta bianca.
Mi voltai arrossendo.
"Merda" dissi in italiano.
Madison mi guardò. "Hai confuso i due gemelli, Joshua e Isaac?"
"E così iniziano a precipitare figuracce" Dissi alzando gli occhi al cielo.
Sentii Madison ridere, e anche Isaac, il gemello, che finalmente aveva capito la situazione. Gli lanciai un'occhiataccia, ma alla fine non riuscii a trattenermi e iniziai anche io a ridere..
Il povero Professor Thomson, continuò a guardarci male, ma prima che ci potesse sgridare suonò la fine della lezione.
Così passarono le altre ore. Con Alexander, Isaac e Joshua e Madison vicino. Sembravano tutti conoscersi come vecchi amici, ma qualcosa mi faceva credere che ero stata io a farli nuovamente unire dopo chissà quanto tempo.
Finalmente arrivò l'ora di mensa, e oltre ai miei nuovi amici, si aggregò un'altra ragazza, Alyssa, con i capelli ricci che sembravano molle.
Era un'allegra compagnia tutti scherzavano e ridevano, e l'aria era talmente leggera che mi sentii come se fossi a casa, le preoccupazioni della mattina erano inutili.
L'argomento principale era la sorella di Isaac e Joshua, che stava per sposarsi con un certo Ben. Le nozze però non si tenevano a Forks, i due si erano trasferiti chissà dove e i gemelli se ne sarebbero andati per un po', però il tutto sarebbe successo l'estate prossima e l'argomento stava diventando noioso.
Alla fine mi sentii scuotere per un braccio. "Ehy, Miss Annoiata, ti va di andare a fare una girata prima che rinizino le lezioni?"
Accettai felice di sgranchirmi le gambe, del resto non mi ero ancora ripresa dal cambio orario rispetto all'Italia. Era passato solo un giorno e mezzo.
Finalmente aveva smesso di piovere, e un timido sole stava spuntando tra le nuvole burrascose.
"Vedi? Il tuo arrivo fa perfino spuntare il sole" Scherzò.
"Certo ALEX" 
Alzò i suoi incredibili occhi verdi al cielo.
"Puoi chiamarmi anche Alexander, ma solo perchè sei tu" ridacchiò.
Ci fu una pausa imbarazzante, del resto eravamo due sconosciuti.
"So che non è un bel periodo per te. Sai mio padre conosce tuo zio e gli ha raccontato del motivo per cui tu sei dovuta venire qui. Mi dispiace" Mi lasciò per un attimo sorpresa, non sapevo come reagire, uno sconosciuto che già sembra conoscere tutto di te è un po' inquietante.
"Stava male da tempo, ed è meglio così." Ecco, uno stupido sconosciuto, mi aveva fatto diventare triste.
"Io.. Mi dispiace"mi sentivo le lacrime agli occhi.
"Allora, visto che io non so niente di te" gli dissi per cambiare argomento "Siete sempre stati così tanto amici voi cinque?"
La domanda lo lasciò per un attimo senza parole. "Sai, noi eravamo grandi amici, ma poi una serie di circostanze ci ha divisi, forse sei stata davvero tu a farci riavvicinare" mi guardò da sotto il ciuffo di capelli ribelli. 
"Menomale, allora rientriamo sennò facciamo tardi a lezione" 
E in più proprio in quel momento suonò la campanella.
Così finì quella giornata a scuola, e quando tornai, il resto del pomeriggio e della sera passarono talmente veloci che non mi accorsi neanche dove finirono tutte quelle ore che avevo trascorso. E furono così tutti i giorni di quella settimana, la routine aveva velocemente preso il suo posto. E mi piaceva così, con nuovi amici che amavano divertirsi a cui mi piaceva rivelarmi a poco a poco. Già dal giorno dopo non ero più -Lola, quella nuova- ma -Lola- e basta.
Il fine settimana si stava avvicinando, e iniziavo a preoccuparmi di cosa avrei fatto durante quei giorni in cui non c'era la scuola a legarmi ai miei nuovi amici. Mi creava un vuoto allo stomaco che mi piaceva. Significava che la mia vita era finalmente normale, senza grandi preoccupazioni in agguato, e anche quel problema si risolse quando i gemelli mi invitarono nella loro casa per conoscere la loro sorella che portava il vestito di sposa a Forks, e per chiedere al padre, ministro Luterano di poterla sposare. Il che mi fece capire che stavo entrando lentamente ad essere un punto fermo nelle vite dei miei amici, sorridevo a quell'idea perchè anche loro erano necessari per me, proprio come ormai lo era mio zio. Avevo solo loro.

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Capitolo 3
*** Lo strano tipo senza maglietta ***


Mi trovavo in quell'imbarazzante situazione da circa una mezz'ora. Ero seduta con il resto della famiglia Weber, madre, padre e gemelli. Ad aspettare che la figlia prediletta uscisse con l'abito da sposa. Era un bel momento. Del genere che tutti i rancori riservati per una vita l'uno contro l'altro si disintegrano per poter godere appieno delle felicità e della leggerezza di certe esperienze. Il signor Weber, non era mai stato così espansivo come in quel momento, abbracciava Isaac, il figlio più vicino a se' e teneva l'altra mano dolcemente intrecciata alla moglie. Quella era stata tutta una sorpresa. Angela, la sorella dei miei due nuovi amici, aveva organizzato con i fratelli la sua visita a sorpresa per rivelare la sua decisione di creare un legame ancor più forte con il suo Ben, ragazzo con il quale stava da circa otto anni, per quel che io avevo capito. C'era quell'aria di beatitudine, che si respira raramente nella vita quotidiana, l'unica nota dolente in quel quadretto familiare era che io non c'entravo niente.
Mi trovavo in una di quelle poche ma vere situazioni di imbarazzo dalle quali ci si domanda cose del tipo: perchè sono qui? Ero alla disperata ricerca di una scusa, una qualunque per uscire da lì.
Fortunatamente Isaac, intimidito da quell'abbraccio paterno così poco gradito guardandosi intorno notò la mia espressione. Sembrava un po' dispiaciuto, o forse era solo imbarazzato. Si alzò e mi venne in contro. "Vuoi uscire un po' con me?" Chiese guardandomi dritto negli occhi, come per farmi capire che c'era dell'altro dietro al normale significato di quelle parole. "Certo" risposi. E congedandoci dalla famiglia Weber uscimmo. "Mi dispiace tantissimo Lola, io non sapevo che sarebbe andata a finire così questa faccenda. Insomma che Angela si sposasse credevo fosse ovvio, invece ha colto tutti di sorpresa e mi sembravi in più là dentro. Se vuoi posso trovare io una scusa se vuoi andartene." Quelle parole mi travolsero, e non riuscii a trattenere un sorriso. Perfetto, avevo trovato il modo di evadere da quella prigione coccolosa. Stampai un bacio sulla sua guancia. "Mi salvi Isaac, fa' i migliori auguri ad Angela" Per il poco che avevamo parlato mi era sembrata simpatica. Isaac rimase per un attimo imbarazzato, e mi chiesi se forse non avevo fatto male a baciarlo, se forse avesse capito male. Ma non volevo farmi tante preoccupazioni, così lo salutai e mi allontanai da quella casa.
Sentii la porta sbattere e mi fermai. Che sciocca, Keyne era in servizio e non poteva venirmi a prendere prima dell'orario in cui ci eravamo accordati e ora mi ritrovavo fuori da quella casa, con un cielo temporalesco sopra la testa. Non mi restava che recarmi a casa a piedi, una bella camminata insomma. Così m'incamminai, arrabbiata con me stessa per la mia impulsività.
Mi trovavo forse a metà strada, vicino al bosco e iniziavo ad avere freddo e fame. Forse quello che vidi era solo un'allucinazione. Ma c'era un ragazzo, dalla pelle mulatta con solo un paio di pantaloncini corti e delle scarpe da ginnastica che camminava tranquillamente, come se il fatto che non indossasse neanche una stupida maglietta fosse normale. Ma dico, forse solo perchè aveva un bel fisico doveva andare a giro mezzo nudo?
Mi avvicinai a lui, un po' perchè dovevo passare da lì per forza un po' per guardarlo da vicino. Mi stava fissando con i suoi occhi scuri, quasi neri, e si passò una mano fra i capelli. Lo fulminai con lo sguardo e affrettai il passo. Lo sentii ridacchiare mentre gli passavo accanto e non riuscii a trattenermi.
"Cos'hai tu da ridere?" dissi mentre mi voltavo verso di lui.
Mi guardò sorpreso, non si aspettava che avessi il coraggio di dirgli qualcosa solo perchè era uno sconosciuto?
"Dovresti vedere la tua faccia." rispose insolente.
La sua voce ricordava quella di un ragazzino, molto più giovane del corpo in cui era intrappolato. Chissà quanti anni aveva.
"Non sono io la stupida che cammina mezza nuda per la strada d'inverno" sorrisi tra me, lo avevo appena insultato. Poteva avere vent'anni,forse qualcuno di più.
"E' il caldo bambolina" disse ridendo. Il mio cervello andò in tilt.
"Come osi chiamarmi in quel modo, io ti denuncio" gli gridai contro, mentre ricordavo chi in passato mi chiamasse così.
"Ehi ehi.. non esageriamo. Non volevo offenderti" iniziava ad essere allarmato. Incredibile come le persone si spaventano quando si mettono di mezzo vie legali.
"Insomma, quando un adulto chiama così una ragazza che passa per la strada come si dovrebbe reagire?" Ormai dovevo continuare quella farsa, anche se mi stavo pentendo di aver detto che volevo denunciarlo.
"Adulto?" ora sembrava sorridere.
Cavolo, ma aveva almeno cinque anni più di me, altrimenti come lo avrei dovuto chiamare?
"Scommetto di essere più giovane di te"
"Come no" dissi ridendo.
"Piacere, qui hai un sedicenne che ha talmente tanto caldo da camminare senza maglietta" disse tendendomi la mano.
Rimasi scioccata. Sedici anni? Impossibile. "Sì come no."
"Vorresti dire che sembro vecchio?" chiese falsamente offeso.
"No. Solamente troppo alto" dissi per giustificarmi. Mi sentivo veramente sciocca.
"Devo ammettere che hai appena fatto una figuraccia" disse lui ridendo.
Mi incantai. Quel ragazzo non sorrideva solo con la bocca, me ne resi conto solo allora. Lui sorrideva anche con gli occhi, sembravano illuminarsi e farsi ancora più scuri, come due vortici infiniti. "Potresti spiegarmi perchè vai a giro senza maglia? Per rimorchiare ragazze?" azzardai.
"Forse non mi hai capito, ma io ho veramente troppo caldo" sembrava davvero serio.
"Eppure non ti ho mai visto a scuola" dissi, non era una faccia familiare.
"Vado a scuola a La Push, nella riserva vicino al mare." spiegò.
Forse era vero, infondo. Perchè avrebbe dovuto mentire sull'età? "Non ho ancora capito con chi ho il piacere di parlare"
"Lola" e gli porsi la mano. "Tu?"
"Logan" La sua presa era incredibilmente forte, e a suo confronto la mia pelle era davvero troppo bianca, ma non era quello a preoccuparmi. La sua mano, era caldissima; anzi, ora che gli ero vicina, il suo intero corpo sembrava emanare calore.
"Tu hai la febbre" Si allontanò d'un passo, lasciando la presa.
"Ho semplicemente caldo, almeno ora ci credi, no?" Iniziò a schizzettare. Ormai avevo imparato che a Forks poca pioggia ora serve solo a preannunciare tanta pioggia dopo.
"Io devo andare" Dissi.
"Anche io, spero di rivederci. Presto" Poi scomparì dentro il bosco e mi chiesi dove abitava per dover percorrere quella via.
Logan. Mi piaceva quel nome, e mi sembrava un tipo apposto.

Quella sera decisi di fare una sorpresa a Keyne, e preparai un pasto stile italiano: pasta al pomodoro. Quando finalmente ero arrivata a casa, completamente zuppa, dopo essermi cambiata mi ero messa subito ai fornelli.
Sentii sbattere la porta di casa mentre scolavo gli spaghetti. Tempismo perfetto, caro zio. "Che profumino" senti urlare dal salotto.
Ad un tratto mi bloccai, di là non c'erano solo i suoi passi. Doveva esserci anche qualcun altro. Perchè non mi aveva avvertita che avremmo avuto ospiti? Così mi recai in salotto, solo dopo aver messo altra acqua a bollire. "Ehy Lola!" disse allegramente Keyne. Lo salutai, poi osservai i nostri ospiti. Uno era un uomo più vecchio di mio zio, con i capelli ricci brizzolati, forse un tempo neri e gli occhi scuri; accanto a lui sedeva una donna con i capelli corti, dalla carnagione che ricordava tanto quella di Logan, forse anche lei proveniva da La Push, il luogo da cui veniva anche lui. Mio zio, notando che li stavo osservando decise di presentarci. "Loro sono Sue e Charlie, il mio predecessore come capo della polizia." Gli porsi la mano, "piacere Lola."
L'uomo mi guardò a lungo, con un'aria triste. "Sai." disse rivolgendosi a Keyne. "Mi ricorda tanto la mia bambina"
Ma nella sua voce c'era un tono di malinconia e tristezza, forse sua figlia era morta, immaginai. Mi scossi da quel pensiero e mi rivolsi a Keyne, perchè non aspettavo altro che il suo rientro per chiedergli una cosa.
"Tu sai chi è un certo Logan, di La Push?"
La donna sorrise, e accarezzò l'uomo sul viso con uno sguardo pieno d'amore. La sentii sussurrare nell'orecchio di Charlie. "Anche a me ricorda tanto tua figlia sai?"
Mio zio non aveva sentito, ed evitai di rispondere. Chissà che voleva dire, ma se era vero che sua figlia era morta non era di certo un buon segno quell'osservazione.
"Certo che so chi è, dovresti saperlo anche tu" disse Keyne, scuotendomi dai miei pensieri. Continuai a guardarlo con aria interrogativa finchè non continuò.
"Suo padre è Hunter, un vecchio amico di tua madre" Non mi era nuovo quel nome, sapevo che mia madre, quando ancora viveva negli Stati Uniti, aveva uno strano amico indiano.
Si creò un imbarazzante silenzio, in cui Sue continuava a guardarmi pensierosa.
"Bhè che aspettiamo a mangiare?" dissi alzandomi, non la sopportavo più quella donna.

Quella notte non riuscii a dormire molto.
Ebbi un incubo, e fu orrendo perchè sapevo che quello era un mio ricordo che da sempre avevo cercato di rimuovere dalla mia mente.
Ero piccola, avevo forse quattro anni, era notte, ma dentro al mio lettino proprio non riuscivo a dormire.
Così aprii la porta di camera, ma subito mi bloccai. Dal piano di sotto sentivo delle voci. Erano i miei genitori.
Mia madre stava piangendo. "Basta io non ce la faccio più" sussurrò, cercando di non alzare la voce.
"Tu non ce la fai più? Questo dovrei dirlo io! Addio" poi sentii sbattere la porta.
Il pianto di mia madre sembrava non smettere mai, ora ero tornata a letto, ma anche nel buio più assoluto della stanza non riuscivo ad addormentarmi. Non volevo piangere, ma le lacrime uscivano amare e silenziose senza poterle controllare.
Avevo gli occhi spalancati e cercavo di distinguere figure familiari in quella stanza, ma non potevo.
Il buio me lo impediva, e mi sembrava che mi venisse a dosso, impedendomi di respirare.
Finchè la scena cambiò.
Ora era giorno, e da quella notte dovevano essere passate qualche settimane.
Ero in piedi e stringevo la mano di mia madre: lei era serena e bellissima, la vedevo sorridere e non riuscivo a non sentirmi felice.
"Lola" la sua voce sembrava portata dal vento, come un canto lontano "Lui è Tom, il tuo nuovo papà" il tono era sempre lo stesso, ma ora invece di suonare dolce, come prima, mi sembrava insostenibile. Mi parse di sprofondare dentro un abisso, e per un periodo troppo lungo non riuscii a respirare. Non riuscivo a piangere, o strillare o arrabbiarmi ero semplicemente pietrificata in uno sguardo di terrore.
"Ehy ciao bambolina" disse facendosi avanti il mostruoso Tom.





Spero che vi sia piaciuto questo capitolo, il problema è che le cose si scoprono lentamente in questi capitoli e non posso velocizzare questa evoluzione, andando più avanti arriveranno molti personaggi che noi già conosciamo, e saranno molto più importanti di quelli fin ora citati. Già in questi tre capitoli ho inserito personaggi di Twilight, di cui non ho ancora rivelato il nome. Spero solo che vi possa interessare la lettura e che continuiate a commentare. Mi piace ascoltare i vostri pareri per potermi migliorare, e modificare la trama a seconda di ciò che pensiate debba succedere in questo e nei prossimi capitoli. Fatemi sapere

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Capitolo 4
*** Strane leggende ***


La mattina dopo fu un incubo. Era la mia prima domenica a Forks e tutti i miei amici erano spariti, Alyssa e Madison erano andate ad una specie di campeggio, i gemelli erano partiti per le nozze della sorella e non volevo passare del tempo sola con Alexander.
Se solo avessi trovato Logan... non lo conoscevo affatto, però quel tizio aveva un certo effetto su di me, mi sentivo attratta da lui, ma non solo per la sua bellezza o per il suo fisico, c'era qualcosa di più antico che ci univa. 
Così decisi di andare a fare un giro da me, verso il mare di La Push, con un bel po' di fortuna avrei potuto trovare davvero Logan.
Mi preparai e poi chiamai mio zio, che aveva deciso di uscire a pesca insieme a Charlie. Mi feci dare delle indicazioni per sapere all'incirca dove abitava Logan.
Il tempo era come sempre grigio, ma se avrei avuto un po' di fortuna non si sarebbe messo a piovere prima dell'arrivo del pomeriggio.
Così con la vecchia bicicletta scassata di Keyne mi avviai verso il mare. Dovevo assolutamente prendere la patente.
Dopo circa mezz'ora di pedalate, raggiunsi finalmente la riserva. C'era un grosso cartello di legno che dava il benvenuto ai visitatori. Mi trovavo lungo una strada in discesa, costeggiata da entrambi i lati da una grande foresta di alberi a foglie larghe. Non mi sentivo al sicuro in quel posto, mi sembrava quasi di essere osservata. Presto il paesaggio cambiò, e alla mia destra gli alberi si diradarono mostrando in lontanza un mare scuro e tempestoso.
Decisi di passare da una via laterale, che secondo le indicazioni di mio zio portava ad un piccolo parco e un negozio di souvenit. 
Hunter, il padre di Logan, era il proprietario del negozio e forse anche suo figlio lavorava lì.
Iniziai a scorgere in lontananza la piccola costruzione in legno, più mi avvicinavo più il mio sorriso si faceva grande e iniziavo a pensare con quale scusa avrei avvicinato Logan, decisi che avrei improvvisato, l'importante in quel momento era trovarlo.
Quando ormai mancavano pochi metri il mio sorriso si spense. Il negozio era chiuso. Che stupida, naturalmente di domenica mattina non potevo aspettarmi di trovarlo veramente aperto.
Mi guardai intorno, non c'era niente e nessuno.
Ripresi la bicicletta e mi diressi verso il mare.
Camminai per un po' lungo la spiaggia di sassolini, poi mi misi a sedere sopra uno scheletro bianco di un vecchio tronco, iniziava a fare davvero freddo e mi strinsi nel mio giaccone.
Ascoltavo le onde che terminavano la loro corsa e si infrangevano sulla battigia, erano così rilassanti, che non sentii alcun rumore di passi.
"Cosa ci fai tu qui?" Impossibile che fosse davvero lui. Eppure, quegli occhi talmente scuri, nascosti dalle folte sopracciglia erano fin troppo familiari.
"Finalmente sei arrivato" dissi disincantandomi.
Mi guardò a lungo con aria confusa. Mi sembrò quasi di vedere gli ingranaggi del suo cervello che si sforzavano di ricordare quando mai ci eravamo dati appuntamento.
Non riuscii dal trattenermi dal ridere.
"Ok, stavo scherzando. E' che volevo muovermi da casa mia, e ho ricordato La Push, con un po' di fortuna avrei anche potuto trovarti" spiegai. Quelle parole suonavano un po' come una scusa, del resto io lo stavo davvero cercando.
"Allora hai avuto molta fortuna" disse, mentre si sedeva vicino a me.
Ci fu un silenzio imbarazzante. Stavo cercando un argomento per continuare a parlargli.
"Proprio non ti piace indossare magliette, eh?" avevo notato solo ora che ancora una volta era a dorso nudo.
Si avvicinò ancora più a me e mi abbracciò. Cercai di ritrarmi, ma poi capii il suo gesto. Sembrava una piccola stufa, tanto era caldo, solo allora mi accorsi di quanto freddo avevo patito finchè non mi aveva abbracciato.
"Non so come sia possibile, tu bruci" gli dissi.
Lui sospirò e guardò il mare, con aria pensierosa. Non lo avevo ancora notato, ma i suoi capelli, non erano corti, come avevo creduto. Erano legati in un piccolo codino alla base del collo.
"Sai, me ne sto preoccupando anche io" disse triste.
"Sarà la mia presenza a farti questo effetto" azzardai, per alleggerire la situazione.
Ci riuscii, perchè mi sorrise. "Non credo proprio, anche quando non ci sei mi succede lo stesso" 
Stava continuando a tenermi il braccio intorno alla vita. Non mi era mai piaciuto particolarmente mostrare segni d'affetto con baci e abbracci, se non in situazioni occasionali, ma con lui era così naturale, che non mi sentivo affatto in imbarazzo, anzi, mi piaceva, e mi rannicchiai addosso al suo corpo.
Mi guardò a lungo.  "Sembra impossibile che è solo da ieri che ci conosciamo" disse confuso.
"A me sembra di conoscerti da sempre" dissi. Era stupido ammettere una cosa del genere, soprattutto ad uno sconosciuto.
"A me piacerebbe conoscerti meglio" ammise lui a bassa voce.
Non so cosa scattò in me, non so cosa accadde di eccezionale, ma sentii il bisogno di confidarmi con lui. 
Così rivelai a quel mezzo sconosciuto tutta la mia storia, come mai avevo fatto con nessun altro.
Gli raccontai delle ragioni che mi avevano spinto a Forks, della misteriosa sparizione di mia madre, della mia infanzia e di alcuni divertenti aneddoti che mi passarono per la testa.
Mi guardò sorpreso, mentre gli sputavo tutto d'un fiato ciò che mi passava per la testa, e quando finalmente mi zittii fu lui a parlare.
"Ora tocca a me," disse. Così mi raccontò anche lui della sua storia.
Era nato e cresciuto nella riserva, come i suoi discendenti, ed aveva trascorso la sua vita serenamente, finchè da poche settimane aveva iniziato a soffrire il caldo, niente di preoccupante, insomma, ma ciò che lo faceva arrabbiare erano i suoi genitori, che sembravano non interessarsene, o almeno non molto. Tutto ciò lo rendeva ancora più arrabbiato, e spesso si sentiva scoppiare.
Quando anche lui terminò il suo racconto gli sorrisi. "Non pensavo di poter trovare un amico, a Forks" 
Ricambiò il sorriso. 
Passammo il resto della mattinata a parlare di noi, gli dissi anche che pure i nostri genitori erano amici. Lui mi parlò dei suoi amici di La Push, e io dei miei di Forks.
Le parole scorrevano, sovrapponendosi tanto volevamo raccontarci l'un l'altro. Non avevo mai avuto un vero amico maschio, e credevo che quello che avevo appena trovato era fantastico.
Ad un tratto mi scappò una parola di troppo. "E io che pensavo che gli i nativi americani andassero in giro con piume in testa, armati d'arco e frecce"
Mi guardò con aria offesa, e temetti davvero di perderlo per quella stupida frase. Invece cominciò a ridere.
"Non ho ancora visto nessuno armato d'arco e frecce o con piume in testa, ma ti posso dire che qui ci sono gli anziani che raccontano le leggende sui nostri antenati, e certe volte sono davvero inquietanti"
Lo guardai incuriosita, dal suo tono di voce era chiaro che quelle leggende non gli andavano tanto a genio.
"Racconta" gli ordinai.
Mi fece segno di no con la testa.
"Ora sono curiosa, racconta" continuai.
Non bastò ripeterlo una volta sola, ma decine e decine di volte, finchè non si arrese.
"Ok, ma solo una breve" si arrese.
Applaudii come una bambina. "Perfetto" dissi esultante.
"Allora.." non sapeva cosa dire, "C'era una volta.." 
Lo guardai offesa. "Non voglio una favola, voglio una leggenda" puntualizzai.
Alzò gli occhi al cielo, e sbuffò.
"Sai, si dice che in queste zone un tempo abitavano dei mostri" disse misterioso.
"Certo come no.." Mo padre, fin da quando ero piccola mi aveva insegnato a diffidare da chi invece credeva nel sovrannaturale, e la parte razionale di me aveva preso il sopravvento.
"Questa è una leggenda" puntualizzò arrabbiato.
"Scusa" mugugnai. "Prometto di starmente zitta, però tu continua" 
Fece un respiro. Poi riprese. "Allora, questi mostri erano chiamati in molte maniere differenti, la nostra tribù li chiamava i freddi" disse questa parola abbassando la voce, forse per farmi paura.
Lo guardai dritto negli occhi. "Quindi posso stare certa che tu non sei un mostro, sei talmente caldo!"
Non riusciva a stare serio. "Ma sai già il resto della storia?" chiese.
"Certo che no!"
Ora ero davvero incuriosita. " Sai, perchè le leggende dicono che proprio i discendenti dei fondatori della mia tribù riuscivano a scacciare questi mostri"
"E come?" chiesi confusa, perchè prima si era messo a ridere?
"Sciogliendoli" disse scherzando. Capii che non avrebbe approfondito di più l'argomento, così feci un ultimo tentativo.
"Perchè non ne ho mai visto uno di questi mostri?" chiesi scettica.
"Forse perchè si nascondono fra di noi, nessuno può riconoscerli in tempo, loro ti uccidono, prima ancora di accorgerti chi sono veramente"
Stavo quasi per avere paura. "Chi sono allora?"
Fece una lunga pausa, per aumentare la mia curiosità. "Spesso vengono chiamati.." altro silenzio. "Vampiri"
Lo guardai per molto tempo, alla ricerca di un suo cedimento, del momento in cui sarebbe scoppiato a ridere gridando -scherzo, scherzo!- Invece quella che perse il controllo fui io.
"Tu sei matto!" dissi quando mi ripresi.
"Ehi!" urlò offeso, "Non ho detto che ci credo, io!"
Così iniziammo a ridere insieme finchè sentimmo i nostri stomaci brontolare. Doveva essere passato parecchio tempo da quando ero partita da casa mia.
A malincuore dovetti congedarmi da Logan, lui promise di passare a trovarmi a Forks presto.
La strada per casa fu molto più faticosa da percorrere, ora avevo una lunga salita ad aspettarmi. Impiegai molto più tempo del dovuto per raggiungere casa. La fame mi stava togliendo le forze.
Quando arrivai però, scoprii che mio zio non era ancora tornato, e mi sentii un po' delusa, proprio non mi andava di starmene da sola in casa.
Così approfittai del fatto che non fosse ancora piovuto e che non era ancora arrivato il buio per fare una piccola girata a piedi.
Decisi di percorrere una stradina poco trafficata che mi aveva indicato Keyne, portava nel sottobosco, vicino ad una serie di case con giardino.
Sin da piccola, avevo sempre amato il bosco. Quell'aria così magica e quel silenzio innaturale, lo rendeva un luogo perfetto per pensare.
Dentro la mia testa sentivo una grande confusione, volevo capire cosa provassi davvero per Logan. Anche se ero sempre stata una persona solare e amichevole, non mi ero mai spinta dal volere così intensamente conoscere un ragazzo, come invece mi era successo con lui. 
Nel bosco c'era un piccolo sentiero, decisi di percorrerlo finchè non fui esausta e mi sedetti su una roccia. Ero troppo stanca per proseguire, e temevo di perdermi a causa della notte incombente.
Incrociai le gambe, e appoggiai i gomiti sulle ginocchia, con le mani sotto il mento. Sbuffai.
Perchè mi interessava così tanto Logan? Neanche sapevo qual'era il suo cognome e già pretendevo di conoscerlo.
Passai molti minuti nel silenzio più assoluto, credevo di essere arrivata ad una conclusione: Logan mi ricordava mio padre, avevano lo stesso modo di sorridere con gli occhi, oltre che con la bocca, forse era per quello che con lui non mi sentivo a disagio, perchè infondo mio padre mi mancava davvero.
Stavo quasi per alzarmi e tornare indietro, quando ebbi una brutta impressione. Mi sentivo osservata, sentivo quasi formicolarmi la schiena, dove immaginavo puntati degli occhi sconosciuti.
Mi voltai di scatto, ma non vidi niente.
Scossi le spalle. Forse era stata una mia impressione.
"Chi c'è là?" urlai per tranquillizzarmi. Non sentii alcuna risposta.
Mi misi in piedi, e mi guardai di nuovo in torno, quasi certa di trovare un paio d'occhi a fissarmi. Forse stavo diventando matta, eppure..
Ad un tratto sentii qualcosa, anzii, a dir la verità non sentiii niente, e fu quello a preoccuparmi davvero. Anche se mi trovavo nel silenzio del bosco, sentivo comunque gli uccellini cinguettare e gli animaletti strisciare tra il fogliame, solo quando tutti i rumori si interruppero mi accorsi di tutti i suoni a cui ero esposta fino a quel momento.
E fu talmente terrificante scoprire quella verità che mi convinsi che là c'era davvero qualcuno. Ad un tratto mi venne in mente la storia che Logan mi aveva raccontato sui mostri. Chi altro era così terrificante da far zittire un bosco intero?
"C'è qualcuno?" Urlai, racimolando tutto il mio coraggio.
Il silenzio divenne se possibile ancora più inquietante.
"Ehy piccolina ci sono qui io" sentii dire come un sussurro. 
Mi voltai in tutte le direzione, ma non riuscivo a vedere nessuno in giro. 
Cercai di mantenere la calma, ed analizzai quella voce. Non sembrava malvagia, e di certo non era tono di un adulto malvagio, ma che ne sapevo io? Sembrava la voce di un giovane uomo, era ferma e modulata, ma riuscì lo stesso a mettermi i brividi, perchè seppur mi poteva essere sembrata innocente, compresi presto che era fredda e spietata.
"Chi c'è?" Urlai. Mentre una paura primordiale mi assaliva. La paura di chi sa che è debole per riuscire ad affrontare il nemico.
"Eccomi" sentii dire dalla stessa voce così sicura di sè. Mi voltai, e seppur nella penombra lo vidi.







Nota dell'autore: allora.. spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e non vi sia sembrato noioso o troppo lento. Ho inserito due personaggi fondamentali per questa storia. Uno è sicuramente Logan, il ragazzo della riserva da cui Lola si sente attrattà.. e l'altro chi è? 
Lo approfondiremo nel prossimo capitolo. Ricordatevi però che questa Lola, nonostante si trovi spesso in situazioni simili a quelle di Twilight, non è affatto Bella, e davanti agli ostacoli non reagisce affatto come lei.
Ditemi pure se vi è piaciuto o no, accetto anche critiche negative naturalmente.
Ora non voglio più annoiarvi, al prossimo capitolo

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Capitolo 5
*** La mia -quasi- fine ***


Molto probabilmente era un ragazzo della mia età, ma la sua pelle era talmente chiara che mi tornò in mente l'uomo sull'aereo. Non riuscivo a comprendere di che colore avesse i capelli, tanto era il buio, ma nascondevano gli occhi. Fece un passo, con gesti lenti a testa bassa. Aveva indosso dei pantaloni scuri, dove nascondeva una mano in tasca, e un giacchetto lungo, non indossava nessuna maglia, così potevo osservare gli addominali marmorei perfettamente scolpiti. Feci un passo in dietro. C'era qualcosa che mi faceva paura, forse la voce, forse il fatto che si trovava da solo in un bosco con un abbigliamento così poco consono, forse erano gli occhi.
Sin da quando ero piccola, giudicavo le persone dagli occhi, dalla loro grandezza, dalla loro profondità, dal loro colore. Ma nascosti com'erano tra i capelli non potevo vederli.
Feci un altro passo indietro, ora ero almeno ad un metro dalla roccia su cui ero seduta. 
Sentivo il cuore martellarmi nel petto, talmente tanto da farmi male.
Il tizio alzò lentamente la testa, con una strana angolatura obliqua, ora riuscivo a distinguere i contorni del suo viso, il naso diritto e la bocca larga, le labbra sottili. Ma gli occhi.. li teneva chiusi, ed era impossibile capire la loro forma nonostante ora non fossero coperti dai capelli.
Alzò il viso al cielo. Poi ci fu silenzio.
Mi domandai cosa volesse fare, se volesse saltarmi addosso, o se volesse picchiarmi. Invece restava fermo.
Poi fece l'ultima cosa che mi sarei mai aspettata. Annusò l'aria.
Il modo stesso in cui lo fece era inquietante, anche da lontano riuscivo a vedere il fremito di piacere che lo percorreva, le labbra curvarsi in un ghigno.
Non azzardavo a parlare, temevo che potesse accorgersi di me.
Tentai un altro passo. 
Avvenne qualcosa, talmente veloce, che non potei esserne del tutto sicura finchè non me lo trovai davanti. D'un tratto aveva percorso la decina di metri che ci separava, e ora aveva la faccia a pochi centimetri della mia. Mi sentii scombussolata, era come se i miei occhi non avessero visto il ragazzo spostarsi verso di me. Semplicemente prima era in un posto e l'attimo dopo in un altro. Forse quello era un incubo.
Poi, aprì gli occhi. Okay, quello era sicuramente un incubo.
Nella mia breve vita, avevo visto forme e colori d'occhi d'ogni tipo, mi piaceva osservare le persone attraverso quello che ritenevo lo specchio dell'anima, ma quelli non erano occhi, ricordavano solo due macchie di sangue scuro. Pozze di morte, che mostravano soltanto un mio futuro orrendo, come carneficina di quel pazzo.
Ero paralizzata dal terrore, la mia espressione lo fece sorridere. Mostrò i denti, sembravano brillare, candidi come la sua pelle.
Forse, se fossimo stati in un altro contesto, avrei anche potuto giudicare quello un ragazzo anche carino, se non avessi visto gli occhi.
Probabilmente era un'allucinazione. Conclusi. Forse la mia intera vita era un enorme e a tratti orrenda allucinazione, oppure un sogno. Forse mi sarei svegliata ancora piccola tra le braccia dei miei genitori. 
Ma non potevo illudermi.
"Chi sei?" mormorai piano, temendo la risposta.
"Vedi.." no, a dir la verità non lo vedevo più, ora era sparito dalla mia vista. "La domanda giusta è," mi voltai, e lo trovai seduto su un ramo alto di un albero. Tanta era la paura, che non mi chiesi come avesse fatto. "che cosa sono" lo aveva detto sussurrando, ed ora che era di nuovo sparito, la sua voce sembrava portata dal vento.
Mi guardai alle spalle, sobbalzai, mi stava talmente vicino che se avesse fatto un movimento sbagliato lo avrei toccato. Per un attimo, mi domandai che consistenza potesse avere la sua pelle, tanto era stravagante.
Ebbi un fremito. Impossibile, che sapessi davvero la risposta. "Tu.." non riuscivo a continuare, la parola mi moriva in bocca.
"Si." mi incitò lui, strusciando la sillaba.
"Un mostro" erano quelle le parole che avrei voluto dire, ma avevo davvero paura di dirlo, così interdetta com'ero lo mimai con le labbra, sicura che non mi avesse vista, dato che ero parzialmente voltata.
Me lo ritrovai davanti, gli occhi enormi, di quel colore squallido, impossibile, a pochi centimetri dai miei. 
Sentii qualcosa di freddo sfiorarmi il mento. Mi stava accarezzando, con la mano avvolta in un guanto nero, ma la glaciale temperatura del suo arto riuscivo a sentirlo tramite quel distante contatto.
"No" alitò nel mio orecchio. Sentii un brivido percorrermi la schiena. "Sono molto meglio" disse continuando a sussurrare.
Ricordai allora la storia di Logan; non so come riuscii a pensare a quelle stupide leggende, ma quel contatto col guanto ghiacciato mi aveva schiarito la mente.
"Freddo" dissi, imitando il suo tono di voce e chiudendo gli occhi, per interrompere il contatto inquietante con i suoi.
Se avesse capito ciò che volevo dire, ero davvero in pericolo.
Lo sentii trattenere un risolino eccitato che mi fece di nuovo spalancare gli occhi.
Il problema fu invece che non me lo trovai più davanti. Nonostante mi girai più volte non lo vidi da nessuna parte.
Sentivo il mio corpo gridare al mio cervello di scappare, ma sapevo che appena ci avrei provato, per me sarebbe giunta la fine, tutto ciò che potevo fare era continuare a parlare, perchè come prima sentivo la sua presenza incombere su di me.
Mi sforzai di pensare a qualcosa da dire, il tempo poteva essere mio alleato, in quella battaglia già persa.
"Dove sei?" ora stavo gridando.
"Sono dove tu mi vuoi" e me lo trovai di fianco, con gli occhi magnetici che catturavano il mio sguardo, sembrava un pazzo.
"Vattene" tentai. Sapevo che non se ne sarebbe mai andato davvero.
"Oh no.. " sembrava quasi ferito dalle mie parole. Abbasso per un attimo gli occhi, e riuscii per un attimo ad osservarlo senza provare ribrezzo per quel rosso innaturale. "Io voglio.." non terminò la frase, ma era talmente ovvia che la conclusi io per lui.
"Vuoi farmi del male?" ero stupida, ma ormai avevo capito che le parole non mi avrebbero salvata.
"Fare del male," ora lo vidi seduto, a imitare la mia posizione con le gambe incrociate. "pensiero stravagante, troppo positivo" continuava a guardarmi, con le mani a sostenere il mento. "cara, io voglio ucciderti" quelle parole mi colpirono dritte in petto, e fu un dolore fisico, sentii il cuore perdere un battito. 
"No.." il mio tono era supplichevole, ma del resto, lo stavo davvero supplicando.
"Uscire nel bosco, di notte.." aveva un aria contrariata "non va bene, ragazzina", ora stava camminando lentamente avanti e indietro davanti al masso, incredibile che non riuscissi a scorgere i suoi movimenti veloci.
"Ti prego" sentii le lacrime rigarmi la faccia, e le gambe tremare incontrollabili.
Si bloccò e mi guardò di nuovo. Mi stava studiando.
"Mi ricordi una persona" disse sogghignando.
"Allora salvami" lo stavo supplicando, sapevo che tutto era inutile, ma dovevo pur tentare. Sentii le gambe cedere, e rimasi inginocchiata a terra, con le braccia lungo i fianchi.
"Dimmi qual'è il tuo nome" disse. Non sapevo perchè stava temporaneeggiando. Ma lo assecondai.
"Lola, mi chiamo Lola"
"Quanti anni hai?" chiese.
"Ho diciassette anni" risposi come ad un suo ordine.
Lo sentii ripetere il mio nome tra le sue labbra, e sembrava quasi macabra e orribile quella parola pronunciata con la sua voce tranquilla e inadatta alla situazione.
Dai pochi film che avevo visto, sapevo che l'assassino era sempre preso da una frenesia nell'uccidere la propria vittima, invece lui sembrava godere di quegli attimi.
Il mio tatto, fu più veloce dei miei occhi. Non era passato nemmeno un secondo, che mi sentii le sue mani sulle mie guance, poi lo vidi, i suoi occhi sembravano più luminosi, orrendi ma più umani, ricordavano quasi i miei quando erano esposti al sole, mi fissava attentamente, corrugando la fronte semi-nascosta dai capelli che avevano assunto una tonalità rossiccia.
"Cosa vuoi fare?" sentii quelle parole sfuggirmi di bocca, e nello stesso istanti mi arrabbiai con me stessa. Io non volevo sapere la risposta.
Non mi rispose, ma continuava a mantenere la stessa posizione.
Sembrava frustrato, alla fine si allontanò da me, questa volta lentamente, e potei osservare i suoi movimenti fluidi.
Sembrava quasi impaurito, una domanda muta gli stava passando sopra la sua faccia. Il problema era che io non riuscivo proprio a capirla.
"Ti prego" ripetei con nuova forza, forse per il suo cambiamento d'umore. Riuscii ad alzarmi di nuovo in piedi
"Tu sei morta.." disse a bassa voce, non riuscii a trattenermi da un pianto isterico e rumoroso. Ormai tutto era finito. "Se proverai a dire a qualcuno di me" sentii quelle parole sussurrate nel mio orecchio, eppure lui non c'era. Era di nuovo sparito.
"Fuggi!" sentii la sua voce perdere il controllo, ma ormai doveva essere lontano, perchè i rumori del bosco erano di nuovo tornati ad aleggiare nell'aria.
Ero salva, non sapevo come o perchè ma lo ero.
Non aspettai che l'idea della mia salvezza mi travolgesse, che già stavo correndo a perdifiato verso casa.


Quando uscii dal bosco, era buio, e doveva esserlo già da un pezzo, perchè la luna e le stelle brillavano nel firmamento. Solo quando mi sentii al sicuro, tra le villette con giardino decisi di voltarmi. 
Mi sembrò di notare due occhi rossi osservarmi. Rabbrividii e mi voltai.
Impossibile. Mi dissi





NOTE: Spero che questo capitolo vi sia piaciuto più dei precedenti, sapete questo capitolo ho cercato in tutti i modi di impegnarmi, e rendere le reazioni di entrambi il più logiche possibili. Spero che non sia un fiasco totale, e che mi scriviate i vostri pensieri. Grazie :)

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Capitolo 6
*** Nuove consapevolezze ***


Tirai fuori dalla tasca le chiavi, le mani mi tremavano e rendevano i miei movimenti ancora più confusi. Stavo piangendo, non riuscivo a controllare le lacrime, e mi sentivo a pezzi. Riuscivo quasi a sentire un macigno nel petto, che mi attirava giù nelle tenebre, ma ero viva, e questo mi dava la forza di continuare a correre a perdifiato.
Vidi la macchina della polizia parcheggiata nel vialetto, ancor prima che riuscissi a centrare la toppa per inserire le chiavi mi trovai di fronte mio zio. Anzi, non era lui, era il capo della polizia, ancora in uniforme nonostante la tarda ora e un'aria severa stampata in volto. 
Quando mi vide piangere, però tornò ad essere Keyne, abbracciandomi mi accompagnò in casa.
Sapeva che non era da me, un comportamento del genere, di solito ero sorridente e riuscivo sempre a controllare le emozioni.
"Lola" disse dolcemente. Quella parola mi scatenò un attacco di pianto isterico. Ricordavo come quel pazzo l'aveva pronunciata più e più volte rimuginando chissà cosa.
Mi abbracciò più stretto. "Dimmi cos'è successo" il suo non era un ordine, voleva solo farmi sentire meglio.
Cercai di tranquillizzarmi. Cosa avrei potuto dirgli? Un mostro -nel vero senso della parola- aveva cercato di uccidermi, finchè non ha deciso di farmi scappare. Certo come no. 
"Io.."  rimasi un po' in silenzio, cercando le parole giuste. Ma non esistevano, era impossibile spiegarglielo. Io stessa non riuscivo a comprendere ciò che era successo, come potevo riuscire a raccontarlo a qualcun'altro?
Mi asciugai le ultime lacrime dalla faccia, poi lo guardai dritto negli occhi. "Ho litigato con un mio amico" era la prima scusa che mi fosse venuta in mente; suonava ridicola perfino alle mie orecchie, ma non sapevo cos'altro dire. Keyne mi guardò dubbioso. 
"Dimmi cosa ti è successo" sembrava arrabbiato.
Gli ripetei ancora una volta la mia scusa, questa volta cercai di convincermi io stessa che quelle parole potessero essere vere.
"Ero andata a trovare Logan, alla fine abbiamo avuto una discussione" spiegai, sperando che non verificasse ciò che gli avevo detto.
Mi guardava accigliato.
"Fino a quest'ora? Ti rendi conto che saresti dovuta rientrare ore fa?" si stava veramente arrabbiando. "Ti rendi conto che stavo per chiamare una pattuglia per venirti a cercare per tutta Forks?" aveva alzato la voce e ora stava urlando.
"Mi dispiace" abbassai gli occhi, non sopportavo di dovergli mentire, ma cos'altro avrei dovuto fare? "ma ero disperata e ho passato molto tempo sulla spiaggia dopo la nostra discussione e quando ormai era tardi ho preso la bicicletta per tornare a casa, ma ero stanca e ho impiegato molto tempo" in fin dei conti, la mia scusa era probabile, percorrere la lunga salita che collegava la riseva a Forks era molto faticoso.
"Non farlo mai più" sbraitò.
Non lo avevo mai visto così arrabbiato, riusciva sempre a mantenere la calma in ogni situazione.
Feci cenno di sì con la testa, poi mi recai verso la mia stanza.
Nella casa c'era quel silenzio innaturale che si può senti riecheggiare nell'aria dopo un litigio, era insopportabile, ma mio zio rimanè nel suo mutismo anche quando vide che non avrei cenato.

Quella notte proprio non riuscivo a dormire, continuavo a guardare la finestra, sicura che da un momento all'altro sarebbe arrivato quel mostro ad uccidermi. Perchè del resto mi aveva salvata, e non riuscivo proprio a capirne il motivo.
Sentivo la testa scoppiare, tutto ad un tratto, mi sentivo un'estranea in quel mondo, com'era possibile che esistessero creature così simili a noi, seppur così imprevedibilmente veloci e letali. Chissà se davvero, come aveva detto Logan, si nascondevano tra di noi, aspettando solo il momento giusto per uccidere. Quello assomigliava ad un ragazzo, ma niente era umano in lui, aveva  la freddezza spietata di un assassino. Era apparsa solo per un attimo in lui una luce di umanità, che era subito scomparsa. Freddo, lo avevo chiamato, e così si era presentato, quello era un freddo, come venivano chiamati nelle vecchie leggende di La Push. Chissà se qualcuno sapeva davvero che quelle storie erano reali, chissà come poteva vivere quel qualcuno sapendo che tali assassini vivevano incontrollati. 
Di freddi non avevo mai sentito parlare, ora sapevo solo che erano veloci, chissà quante doti da cacciatori avevano, però di vampiri sapevo qualcosa, non molto.
Mia madre era una grande fan di Bram Stoker, e spesso mi leggeva Dracula prima di addormentarmi. Solo che con quelle raccapriccianti storie non riuscivo a prendere sonno, e me ne stavo a rimuginare per tutta la notte, immaginandomi un mondo dove vampiri come Dracula esistevano davvero, ed ora, ero piombata in quel mondo, estraneo alla mia realtà, mi sentivo opprimere, segregata nel mondo sbagliato. 
Eppure mio padre mi aveva insegnato sin da piccola a non credere al sovrannaturale, mi aveva insegnato a diffidare da chi invece ci credeva, ma nel mondo in cui ora mi trovavo chissà quante creature incredibili potevano esistere. Ormai della presenza di freddi ne ero certa, forse streghe, fate, lupi mannari e orchi e troll. Oppure stavo semplicemente diventando pazza?
Quanto avrei voluto che i miei genitori ci fossero stati, quanto avrei desiderato raccontare a mio padre che la sua razionalità era sbagliata e a mia madre che le sue storie preferite non erano altro che realtà. 
Ma non c'erano e dovevo tenere tutto per me.
Con quei cupi pensieri stavo passando le ore, divisa tra curiosità e paura, voglia di scoprire e temendo la verità, fin quando sentii un rumore vicino a me.
Subito guardai la finestra, aspettandomi di trovare quegli occhi orrendamente innaturali a guardarmi, invece fu la porta ad aprirsi.
Avevo gli occhi spalancati, e mio zio si accorse subito che ero sveglia. Non fece una parola e si sedette sul mio letto.
Evidentemente anche lui non riusciva a dormire, chissà cosa gli passava per la mente.
Si sistemò i pantaloni della tuta che indossava come pigiama e fece un profondo respiro.
Alla fine ruppe il silenzio. "Sai Lola," aveva un tono solenne, come se mi stesse per rivelare un grande segreto della vita. "questa sera, ho temuto davvero di averti persa"
Lo guardai, in cerca di un sorriso. Invece continuava ad essere serio, come se credesse davvero che non sarei tornata solo perchè avevo ritardato poche ore.
"Io ero stanca" continuai con la mia farsa.
Scosse la testa. "Non voglio sapere le tue scuse, ma sappi che poteva succederti di tutto" certo che lo sapevo, mi era successa esattamente la cosa meno probabile di sempre, incontrare un freddo, ebbi un brivido appena pensai a quella parola. "Dovevi avvertirmi" il suo tono era duro.
"Avevo il telefono scarico" dissi a bassa voce, vergognandomi della mia bugia.
Si alzò in piedi, con il volto adirato. "Capisci che poteva accaderti qualcosa di molto peggiore che un semplice litigio con un ragazzo?" stava praticamente urlando.
Non sapevo cosa dire. "Mi dispiace" dissi a bassa voce, temendo che sbraitasse di nuovo.
"Non posso sopportarlo un'altra volta" sentii la sua voce inclinarsi. 
Lo guardai con'aria interrogativa. Ma lui riusciva a stento a non piangere.
"Ho deciso di crescerti io, dopo la morte di tuo padre" trattenni il respiro, eccolo, il discorso che tanto temevo. Ma con lui non volevo parlare dei miei genitori. "Non volevo che rimanessi sola" continuò. "Sai, tua madre spesso mi parlava di te" accennò un sorriso "Mi raccontava di quanto fossi solare, di come riuscivi sempre a trovare il buono in ogni persona" quelle parole mi ferirono, come potevo riuscire a trovare il buono in ogni persona se la persona che avevo davanti era un mostro o un assassino? Evidentemente quella sera io avevo fallito.
"Non volevo abbandonarti, soprattutto sapendo che io ero il responsabile della sua fuga" lo guardai incredula, sapevo che stava parlando della mamma, ma non mi aveva mai detto una cosa del genere, sapevo solo che lei era semplicemente sparita.
"Sai," continuò "quando tua madre mi venne a trovare, poco dopo che mia figlia era sparita, quando anche mia moglie era fuggita, ebbimo una discussione" vidi una lacrima rigargli il volto. Non lo avevo mai visto piangere. "Lei, decise di tornarsene a casa, era arrabbiata con me, io la lasciai andare." tirò su con il naso. "Se l'avessi trattenuta, non sarebbe mai sparita da quell'auto" Ebbi un brivido. Avevo origliato una volta mio padre parlare con un suo vecchio amico della misteriosa sparizione di mia madre. Era stata ritrovata la sua auto ancora in moto, ma lei era sparita nel nulla. Come se non fosse mai esistita, e mio zio, per tutti quegli anni se ne era sentito il responsabile. "Non è colpa tua" provai a consolarlo.
"Ah no?" disse alzando di nuovo la voce. "Come vuoi spiegare allora, che tutte le persone a cui voglio bene spariscono?!" era furibondo.
Sentii un nuovo brivido percorrermi la schiena. Avevo capito perchè si era così arrabbiato per il mio ritardo, avevo capito cos'era che lo faceva davvero arrabbiare. Mia madre, sua figlia, erano sparite, sua moglie fuggita, e gli ero rimasta solo io, dopo quello che aveva dovuto sopportare era scontato che temesse il peggio.
"Zio, tu non hai colpa" ripetei, questa volta convinta di ciò che dicevo.
Mi abbracciò stretto.
Poi prese la foto dal comodino.
Osservai mia cugina. "Mi manca sai?" disse Keyne.
"Lo so" risposi, non sapendo che altro dire.
"Averti qui, mi ricorda lei, vi assomigliate, eppure era così diversa" disse malinconico.
Lo abbracciai più stretto, non ero brava in quelle situazioni.
"Sbrigati a prendere la patente, e non avrai più scuse per arrivare tardi" cambiò argomento talmente velocemente che per un attimo mi disorientò.
"Va bene, zio" 
Poi si alzò e si avviò verso la porta.
"Ora guarda di dormire" finalmente si era calmato, e la sua voce era di nuovo controllata.
Stava quasi per andarsene quando lo richiamai.
"Ehy zio, anche a me manca Bree" 
Sorrise, poi chiuse la porta dolcemente.






Allora, non so se siete riusciti o meno a leggere fino alla fine questo capitolo. Devo ammettere che non succede niente di emozionante, ma Lola si sta rendendo conto del mondo in cui vive, e penso sia un capitolo fondamentale sia per i lettori che per lei. Spero che aver rivelato chi è la figlia di Keyne, vi abbia messo un po' di curiosità addosso, e spero che vi interesserà vedere come la storia si evolverà.
Comqunque se volete passare sotto a commentare mi fareste un piacere, vorrei tanto sapere se vi è piaciuto questo capitolo, ma soprattutto come vi aspettate che si modificheranno le cose, dopo che Lola ha scoperto la verità dei freddi.
Ora smetto di annoiarvi, alla prossima :)

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Capitolo 7
*** Il tempo che non sa passare ***


A volte il tempo sembra non passare mai, accade quando si è dominati dalla noia o divorati dal desiderio del trascorrere. Il tempo invece sembra fuggire quando si vuole il contrario, quando lo si vuole invece come amico o un lento alleato. Ma come passa il tempo per chi teme? Per chi ha paura che scorra troppo veloce ma al tempo stesso ha paura del presente? 

Lola sicuramente sapeva cosa voleva dire temere, non il tempo, ma qualcosa di ancora più orribile, un nemico peggiore che poteva disintegrarlo, il tempo. 

Nei giorni seguenti all'incontro si era immaginata molte teorie, forse quel mostro era riuscito a piegare il tempo, non sapeva come altro spiegare la velocità dei suoi movimenti e dei suoi cambiamenti. Non era certamente arrivata ad una spiegazione logica o razionale, ma aveva concluso che qualcunque cosa fosse quel mostro era riuscito a raggiungere la chiave del tempo e a combattere e a vincere il naturale svolgimento della vita e del suo ciclo. Non riusciva ad immaginarsi che quell'essere potesse nascere, crescere, vivere e poi morire. Era arrivata ad una conclusione, quel mostro era congelato, non solo letteralmente, ma era bloccato in uno stato di perfezione, in una parte eterna del ciclo della vita, quell'essere viveva semplicemente, senza poter muoversi alla tappa successiva del ciclo naturale. Questa era una certezza, che la faceva pensare profondamente a come questa consapevolezza del mondo potesse modificare l'equilibrio perfetto della vita. 

Anche Lola, da ormai qualche giorno sembrava essersi congelata, non capiva se il tempo scorresse davvero, lo shock iniziale era solamente peggiorato mentre in lei si insinuava quella nuova violenta consapevolezza. Ora sapeva che esisteva qualcosa di talmente forte e violento da non poter essere in alcun modo controllato.

Keyne, aveva cercato di smuoverla, inizialmente non si era reso conto del profondo shock che aveva subito, ma giorno dopo giorno, vedendo l'immobilità innaturale di Lola sotto le coperte del suo letto aveva iniziato a preoccuparsi sul serio. Dal canto suo, non capiva come fosse possibile che quella bambina non riuscisse a riprendersi da una litigata con un ragazzo che conosceva da così poco tempo. Anche lui sembrava essere arrivato ad una conclusione: Lola gli aveva mentito, cioè non gli aveva detto tutta la verità. Per giorni aveva cercato di trovare una soluzione, sino a quando questa non gli si era presentata sotto il naso.

Il pomeriggio prima, durante l'orario di lavoro alla polizia era arrivata una donna in lacrime. Non la conosceva, ma aveva dedotto che fosse un'abitante della riserva. Oltre alla pelle color miele e i lunghi capelli scuri aveva accanto a se' un uomo che ricordava vagamente. Hunter non era cambiato molto dall'ultima volta che lo aveva visto. I capelli ispidi e leggermente ondulati che teneva legati come il figlio ora erano sciolti e poco curati, la barba era troppo lunga e con quell'aspetto così trasandato sembrava ancora più vecchio. Ma Keyne, sapeva riconoscere l'anima delle persone e aveva visto dentro quell'uomo ciò che lo avevo avvicinato alla sorella. La sua bontà, la sua generosità nell'aiutare il prossimo erano stati presto riscontrati anche in quella copia più vecchia di Hunter. La donna era arrivata in lacrime al suo negozio. La conosceva come frequentatrice della spiaggia, con lei aveva scambiato solo semplici conversazioni di routine ma non aveva fatto un passo in dietro e subito si era precipitato ad aiutarla. Il figlio poco più che adolescente era sparito all'improvviso, aveva raccontato la donna davanti al Capo della Polizia, che ora ascoltava con calma cogliendo le parole tra lacrime e singhiozzi. Il ragazzo tendeva da un po' di tempo a scomparire di casa, questo lo aveva notato la madre, ma tornava sempre dopo poche ore, prima che la donna potesse davvero iniziare a preoccuparsi ma ormai era un giorno intero che non si ripresentava a casa.

Keyne non era riuscito a ricavare molto altro dalla donna e aveva chiesto ad un suo collega psicologo di riaccompagnarla a casa per tranquillizzarla e semmai ricavare qualche dettaglio in più. Così, dopo essere rimasto in silenzio con Hunter per qualche minuto, l'idea gli era arrivata in un lampo.

Per lui Lola era come una seconda figlia, le voleva bene, e ciò che più gli stava a cuore era farla tornare al suo normale stato di tranquillità così decise di organizzare un incontro tra Lola e Logan il nocciolo dello scoinvolgimento della nipote.

"So che tuo figlio è un bravo ragazzo, ma non sopporto più di vedere Lola così.." non sapeva che parola usare.

"Ti capisco" aveva detto l'uomo con tono solenne, tenendo le mani incrociata come in preghiera. "Ma non credo che sia stato mio figlio a farle del male" 

"E' questo che voglio capire" aveva replicato Keyne, non nascondendo il dolore che in quei giorni lo attanagliava.

Poi Hunter si era alzato, pronto a congedarsi. Keyne non lo aveva fermato, ma l'indiano dopo aver aperto la porta dell'ufficio, senza girarsi, si era bloccato.

"Keyne" disse "ogni dannato giorno mi manca sempre di più tua sorella, volevo che tu lo sapessi. Non l'ho dimenticata. Non lo farò"

Poi chiuse la porta, lasciando il Capo della Polizia a fissare lo spettro della tunica dell'uomo che svolazzava dietro la porta.

Da otto anni, fino a quel momento non era riuscito a perdonare quell'uomo. Se sua sorella era scomparsa non poteva appropriarsi dell'intera colpa ed aveva finito per colpevolizzare Hunter, il soggetto del litigio tra i due fratelli.

 

Lola se ne stava nascosta sotto le coperte, alternando momenti di immobilità assoluta a tremori e lamenti.

Ora la casa era nel silenzio più assoluto, sembrava quasi disabitata. Invece Keyne, al piano di sotto, sorseggiava il suo caffè bollente. Fissando il vuoto e riflettendo nel suo silenzio.

Finalmente il campanello suonò, e Keyne corse ad aprire e Lola dilatò gli occhi dallo spavento cercando di capire chi fosse l'ospite. Si chiese per un attimo se Keyne l'avesse presa per pazza e l'ospite fosse uno psicologo. Poi però arrivò ad una conclusione più spaventosa e per non piangere iniziò a mordere il cuscino.

 

Nella penombra della notte non si riusciva bene a riconoscere la figura che aveva appena suonato al campanello di casa Tanner. La porta si aprì pochi secondi dopo. Il volto stanco e triste di Keyne apparve sulla porta.

Gli occhi si fecero appena un po' più luminosi quando finalmente si rese conto che era arrivato.

"Ehi, ciao Logan" lo salutò come se fosse un vecchio amico.

Il ragazzo abbassò leggermente gli occhiali scuri che teneva nonostante fosse notte. 

"Tu devi essere Keyne" disse con la sua voce tranquilla.

Keyne lo fece accomodare in soggiorno. Aveva riflettuto a lungo su come procedere, fino a quando era arrivato alla decisione che gli era sembrata più giusta. Prima avrebbe parlato con il ragazzo per sapere la sua versione dei fatti poi, solamente se le risposte lo avessero soddisfatto allora lo avrebbe fatto parlare con Lola.

"Ne vuoi?" chiese offrendogli una tazza di caffè.

"No grazie, non mi piace". Finalmente si decise a togliersi gli occhiali che posò sui folti capelli.

"Ti aspettavo più tardi" disse Keyne continuando a sorseggiare il suo caffè mentre non mollava i suoi occhi da quelli scuri e profondi come vortici del ragazzo.

"Sai Lola mi sta a cuore voglio subito sapere cos'è successo" disse passandosi una mano tra i capelli.

Keyne era perplesso. Non capiva come fosse possibile che i due avvessero stabilito un legame così profondo in un solo giorno.

"Voglio sapere esattamente cosa è successo il giorno in cui vi siete visti a La Push" disse deciso.

"Cosa sai?" chiese allarmato.

"Che avete litigato." rispose Keyne.

Il ragazzo sorrise, e continuò a fissare il Capo della Polizia con il suo sguardo furbo e nero. Avvicinò il volto a quello dell'uomo e gli sussurrò all'orecchio.

"Io non so niente, e questa cosa mi distrugge. E' per questo che sono venuto qua"

Lasciò da solo Keyne e si diresse silenzioso e rapido verso le scale. 


 
NOTE DELL'AUTORE:
Allora, questa storia avevo iniziata a pubblicarla un bel po' di tempo fa. Ma mi ero bloccata a causa del mio tempo che era davvero pochissimo e poi avevo davvero paura di deludere chi leggeva il racconto. Poi però una persona bravissima che ho incontrato su questo sito ha pubblicato una storia, la sua prima storia e ho ritrovato la voglia di scrivere e nuove idee e nuove forze. 
Devo ringraziare il Bianconiglio e lo Stregatto che hanno avvicinato Alice nel paese delle Meraviglie e mi hanno fatto conoscere una bravissima scrittrice che mi ha ri dato la voglia di conoscere nuove su questo sito. (?) 
-Ok questa frase non ha senso, ma spero che il mio ringraziamento strampalato arrivi alla destinataria. Per la prima volta ti dico grazie per questi mesi delle nostre discussioni.

Per il resto. Forse leggendo questo capitolo vi verrà voglia di leggere anche quelli precedenti e se vi è piaciuto oppure se non vi è piaciuto lasciate una critica. Insomma ditemi voi quali sono le vostre impressioni riguardo a questa storia che capitolo dopo capitolo si addentra sempre di più nel mondo di Twilight. Ora smetto di annoiarvi :) 

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Capitolo 8
*** Dolore ***


NOTA DELL'AUTORE:
Se qualcuno legge questo capitolo, vorrei subito preannunciare una cosa.
A dir la verità non sono troppo convinta di come si sta svolgendo la situazione della storia, mi sembra un po' troppo dolorosa e credo che questo capitolo non sia proprio il massimo. 
Lasciatemi un commento e ditemi che ne pensate, se devo cancellarlo e riscriverlo o continuare per questa strada non so che fare.
 
 
 
Il silenzio è amico di chi lo abita, per gli altri è un'eterna tortura.
C'è chi si ciba di quegli attimi di silenzio della vita, chi invece preferisce vivere l'attimo, chi se ne ciba di ogni singolo attimo presente e chi invece si ciba di vita.
In casa Tanner, quella sera vi erano tre presenze. Una non la si poteva definire umana, una non la si poteva definire del tutto viva dato che con la sua tazza ancora fumante di caffè fissava un punto vuoto nella sua mente. 
In casa Tanner, quella sera vi erano tre presenze, due delle quali si cibavano di vita. Se ne cibavano come di una droga, che viene assunta per scopi curativi che per puro piacere. 
In casa Tanner, quella sera, una persona si cibava di vita come i malati di cure; Lola aveva capito ormai da tempo che vivere era il miglior rimedio di ogni male, si cibava di ogni attimo passato che era riuscita a colmare con un ricordo.
Ma nella stessa casa, c'era chi della vita ne abusava. Colui che aveva piegato la natura stessa e il normale svolgersi degli eventi tramando un semplice ma letale patto con il male. Chi prendeva possesso delle vite altrui, per continuare un'esistenza impossibile nell'equilibrio del mondo.
Ma Lola, quel momento non lo poteva definire vita, nonostante sapeva che se ne sarebbe sempre ricordata. Quello per lei era il poco tempo che le mancava alla morte. Ormai lo aveva capito e non riusciva più a trattenere il lamento che si sentiva salire dal petto. Il cuore le batteva all'impazzata, ma i muscoli le sembravano immobilizzati. 
Il silenzio è amico di chi lo abita, ma a Lola sembrava un'eterna tortura.
L'amico del silenzio, colui che oltre a piegare la vita al suo volere era riuscito a comandare il suono saliva con studiata lentezza le scale. Era ormai da qualche tempo che assaporava quel momento, e finalmente era giunto.
Aveva dovuto aspettare, e per una volta il tempo non era stato suo alleato. Ma era stato paziente ed ora era finalmente stato ricompensato.
Giunse finalmente alla porta, si bloccò per un istante. Assaporò l'aria e quell'odore dolciastro che gli fece bruciare la gola. Sorrise tra sè: quel fuoco presto si sarebbe spento.
Lola serrò gli occhi, qualcosa nel suo cuore le diceva che l'ora tanto temuta era giunta. Non pensava al futuro, non pensava affatto. Voleva solo fuggire lontana dal suo corpo, ma si sentiva intrappolata e stava impazzendo. Ma un qualunque sono che potesse arrivare come conferma alle sue paure non arrivò e si decise ad aprire gli occhi.
 
Il tempo ricompensa i pazienti. 
Ed ora il compenso era stato davvero meritato. La ragazza aveva un sapore davvero buono, non che facesse tanta differenza, per lui il cibo era sempre cibo, ma doveva ammettere che l'idea di possedere in qualche modo quella ragazza lo affascinava. 
Era davvero felice, ma dopo tutto quel tempo voleva assaporare il bel momento per un bel po' prima di assaporare il suo desiderio. Voleva godersi la vincita prima di assaporare la vittoria, così procedette con calma.
"Tu devi essere Lola" disse sospirando, come se lo dispiaceva.
La ragazza non rispose. Teneva gli occhi sbarrati immobile nella sua espressione di orrore.
"Oh.." si chiuse la porta alle spalle, e iniziò ad esplorare la cameretta, con movimenti estremamente lenti. "Chi tace, acconsente. Così si dice dalle mie parti, e quindi devo dedurre che sei tu" sorrise leggermente, quel tanto che bastava perchè fosse sicuro di mostrare i denti.
"Mi sembra di parlar da me" disse triste, voleva che la sua preda partecipasse al suo gioco. "Sai non mi piace fare monologhi, quindi..." si avvicinò all'orecchio della ragazza ancor prima che l'idea lo avesse sfiorato. "parla" le sussurrò piano. Annusò ancora l'aria. Da quella posizione, avrebbe impiegato neanche un sessantesimo di secondo ad affondare i denti nel collo della ragazza. Ma voleva divertirsi ancora un po'.
Ma la ragazza continuava a starsene zitta, e lui si stava stancando di ascoltare solo i battiti impazziti del suo cuore.
"Parla!" ordinò di nuovo, questa volta alzando la voce e facendola sussultare.
Ma lei continuava a starsene zitta, e la sua pazienza era al limite.
Il bruciore alla gola gli annebbiava il cervello, non sarebbe riuscito a controllarsi ancora a lungo, era da molto che non si cibava e il dolore gli ricordava di dover far in fretta. Per lui era una lotta tra dolore e piacere, ma a vincere fu il suo impeto di dolore. Con uno scatto repentino prese la ragazza per il collo, la fece volare fino al muro, vicino alla finestra, dove la tenne sollevata a qualche centimetro da terra.
La ragazza cercò furiosamente di liberarsi, iniziò a muovere e sbattere contro lo spigolo della scrivania. Non sapeva molto di difesa, anche se sapeva che sarebbe stato vano tentò un calcio al cavallo del mostro. Non capì bene cosa accadde, ma dalla spinta della sua mossa urtò contro il computer spento. Ora aveva il collo libero, ed era distesa sulla scrivania. Respirava a fatica e non riusciva a tossire. Era appena stata gettata come una penna su un banco.
"Parla e se ne avrò voglia potrai vivere qualche secondo di più" disse il mostro, che ora l'aveva afferrata per la mascella e l'aveva gettata a terra. Sentì la fitta di dolore alla testa prima di capire cosa fosse successo. Aveva sbattuto nello spigolo del letto.
Cercò di gridare, ma dalla gola le uscì un suono strozzato e tossì.
Il mostro si era accovacciato su di lei ed ora la afferrava di nuovo per la mascella.
"Dimmi cosa è successo" le stava urlando contro il mostro, a pochi centimetri dal suo viso.
"Io non so niente" finalmente dopo giorni aveva parlato e quell'enorme sforzo le fece capire dell'intensità del suo desiderio di rimanere stretta alla vita.
"Che cosa gli hai fatto?" gridò ancora, stringendo nuovamente le mani attorno al suo collo.
Non riusciva a respirare, si sentiva morire ogni parole in gola. Il mostro allentò la presa perchè potesse replicare. "Non so di cosa parli"
Fece un mezzo sorrisetto, si avvicinò alla sua faccia e le strinse i capelli. Con un gesto fluido la scaraventò addossò alla parete bianca che si ruppe e la fece cadere oltre il muro.
"Mio fratello, gli hai tolto il potere. Lui mi serve" 
La ragazza continuava a non capire, ma ora nella sua mente annebbiata dal dolore iniziarono ad affiorare due occhi rossi e innaturali che la fissavano.
"Non so di cosa parli" 
Ma forse stava iniziando a capire l'impensabile, non esisteva solo una creatura ma ne esistevano molte di più. Una di quelle la stava per uccidere, ma prima aveva bisogno di un'informazione. Informazione che non aveva, ma che doveva fingere di possedere per continuare a vivere ancora un po'.
"Tu non lo sai, sei un umana, ma sei la causa. E io le cause adoro eliminarle." si guardò intorno, distratto per un attimo da qualcosa di impercettibile.
Non riuscì a trattenere le lacrime che le rigarono il viso, ora coperto da sottili sgraffi. "No non lo so, ma non ho colpe, non ho fatto niente, lasciami stare" stava cercando di implorarlo ma sapeva che era impossibile.
Si avvicinò in un attimo ai suoi occhi. "Oh.. tanta fragile perfezione umana. Lo capisco." ora sembrava davvero dispiaciuto, un dispiacere falso malamente nascosto dall'ardore degli occhi impazienti.
 
Tutto accadde in pochi secondi. Sentì un dolore fortissimo alla gamba, tentò di urlare ma non ci riuscì. Aspettava un ultimo colpo, forse peggiore di quello che l'avea sbattuta nuovamente verso il muro. Invece il dolore rimaneva concentrato alla sola gamba riempito da un suono di guerra. Davanti a sè, quasi impercettibili due figure si muovevano a una velocità impossibile, si contorcevano e sembravano scoppiare. Una macchia marrone ed una più scura, nera. Poi, una delle due ebbe la meglio e gettò i due corpi contro la finestra che si infranse. I corpi caddero dal secondo piano, troppo lontani dalla visuale di Lola.
Il dolore alla testa e alla gamba sembrava peggiorare, solo l'adrenalina le dava la forza di rimanere attiva. Non poteva permettersi di svenire, altrimenti sarebbe stata la fine, questo era certo.
Era lì che pensava incessantemente un modo per fuggire dalla casa, ma tutto sembrava irraggiungibile. Poi un'altra certezza la colpì profondamente. Anche suo zio era in casa, lui come stava?
Cercò di alzarsi, per mettersi a sedere, ma le forze le mancaronò e ripiombò giù, ancora più vicina alla via che l'avrebbe portata al buio.
"Non devo cedere" si disse, e riuscì a strisciare con i gomiti, muovendo per quanto riuscisse la gamba dolorante
Il rumore di lotta che aveva sentito fino a poco prima sembrava sparito, ma non poteva sperare che non tornasse il mostro. In quel momento non poteva neanche sperare che la macchia marrone fosse davvero un salvatore se non un'altra minaccia.
Riuscì a raggiungere la porta. Poi però dovette arrendersi e tentò di urlare. 
"Sono qui!" e nel silenzio, mentre aspettava una qualunque risposta sentì lo squillante scampanellio della porta.
Non sapeva chi potesse essere, ma era abbastanza sicura che non fosse arrivato ancora un altro mostro. 
"Aiuto! Sono qua, venite ad aiutarmi!" continuò a gridare.
Il campanello continuò a suonare per qualche minuto, poi smise e dopo un tempo che sembrò infinito ci fu un botto assordante.
Lola urlò ancora, e dei passi rumorosi preannunciarono che il suo salvatore stava salendo le scale.

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Capitolo 9
*** Sembra impossibile, ma non tutto si può comprendere. ***


NOTA DELL'AUTORE:
Spero che questo capitolo vi piaccia.
Questo, vi prometto, è l'ultimo capitolo prima dello sconvolgimento degli eventi.
Aspetto solo che mi dite cosa ne pensate e le vostre critiche.


Il dolore fa dimenticare la logica degli eventi, in punto di morte c'è chi giura d'aver visto qualcosa di impossibile, un angelo forse o una persona morta. Ebbene, colui che lo afferma non mente, crede solo in una verità sbagliata e corrotta dal dolore.
Così, nel mezzo del dolore, non sapevo se credere a ciò che vedevo davanti a me.
Eppure l'immagine sembrava così nitida da sembrare reale. O ero pazza o stavo per impazzire del tutto.
Perchè di fronte a me, c'era lui, non uno sconosciuto qualunque, ma Lui.
Nell'agonia del momento, non riuscivo a trovar logica al mio pensiero. Quel ragazzo era davvero bello. Più bello del dolore che stavo provando.
Anche questa volta aveva indosso i pantaloni lunghi e scuri, indossava solo quelli, senza maglie o scarpe.
Nella sua immobilità sembrava a suo agio con sè stesso. Apparve all'improvviso, semplicemente prima non c'era e poi era apparso.
Ma ora che lo avevo davanti agli occhi si muoveva con gesti studiatamente lenti. 
Mi stava guardando con i suoi occhi mostruosi dall'alto verso il basso. Mi si accucciò vicino e avvicinò una mano al mio viso.
Ebbi come un flah, ricordandomi di quando ero in aereo e desideravo toccare la pelle dello strano tipo cipolla. L'uomo dalla pelle marmorea, accompagnato da quella ragazzina dal colorito cadaverico. Sussultai. Forse esistevano più mostri di quanti me ne potessi immaginare, forse ne avevo trovati a centinaia durante la mia vita, ma i miei occhi erano troppo appannati dall'illusione per potermene rendere conto. 
Ma loro non mi avevano fatto del male, e i loro occhi non erano così mostruosi. Forse non tutti erano veramente mostri, forse alcuni sapevano provare pietà e sapevano piegare la loro natura per assecondare la vita.
Mi riscossi improvvisamente dal buio che circondava i miei pensieri. Lui mi stava toccando delicatamente, ma non era quello che mi aveva fatto sussultare. La sua pelle era ghiacciata e lasciò una scia di brividi dietro di sè.
Forse se ne rese conto, perchè allontanò la mano bianca, ora macchiata da una punta del mio sangue. Avvicinò il dito alla bocca e cancellò la macchia rossa. 
Rabbrividii ancora da quel gesto innaturale come i suoi occhi.
Poi mi sentii sollevare, e come era già successo, dei miei sensi la vista fu l'ultima a comprendere. Mi sentii sollevare da terra, circondata dal ghiaccio del suo torace. Quando mi resi conto del momento fulmineo provai un senso di vertigine. Cosa voleva farmi?
Prima che potessi solo pensarlo, sentii il vento sulla mia faccia e intorno a me macchie indistinte di vegetazione. Eravamo fuori e stavamo volando in mezzo al bosco. I suoi piedi sbattevano in terra senza rumore a malapena visibili.
Stavo piangendo, sapevo che la mia fine era vicina ma prima mi aspettava ancora una lunga tortura. Non c'era altra ragione per cui mi allontanasse da casa mia prima di uccidermi.
"Cosa vuoi farmi?" sussurrai. Non volevo sapere la risposta, la temevo ma desideravo avere almeno una certezza in quella notte.
"Il tempo ricompensa tutti, perfino gli impazienti" sentii quelle parole volare nel tempo e mi ci aggrappai sperando che il tempo potesse ricompensare perfino me.
Il viaggio sembrava interminabile, forse perchè il vento che mi colpiva la faccia che inizialmente mi rinfrescava le ferite ora mi faceva piangere dal dolore che mi causava e poi c'era quell'enorme punto interrogativo che era diventata la mia vita. Cosa dovevo sperare dal mio futuro? Che mi torturasse o che mi uccidesse subito? Odiavo ogni possibilità, volevo non essere niente, o essere polvere ed essere poi portata via dal vento che invece si prendeva gioco di me e mi feriva ancora più nel profondo.
Finalmente la corsa finì, mi sentii sollevata nonostante sapevo cosa mi aspettasse dal futuro.
Mi guardai attorno. Eravamo finiti in un enorme radura circolare. L'erba era bassa e scorreva un lungo braccio d'acqua in mezzo al prato. 
Forse di giorno sarebbe stato anche un bel posto, invece ora mi sembrava il luogo perfetto per un omicidio, il mio.
Lui mi posò a terra e si allontanò da me ad una velocità innaturale. Scomparì dalla mia vista per pochi secondi.
Cercai di muovermi e guardarmi attorno, mi sentivo osservata e avevo una gran voglia di rifugiarmi in me per scappare da tutto, ma non potevo dovevo stare vigile.
"Vattene mostro!" tentai. Ormai il mio destino era giunto e niente avrebbe potuto cambiare ciò che era stato scritto. Ero giunta all'ultimo capitolo e volevo che la mia fine fosse coinvolgente, non volevo passare gli ultimi attimi da codarda.
Lui mi apparì all'improvviso davanti agli occhi. Riuscii a non apparire sorpresa, neanche il mio cuore accelerò i battiti, ero calma e pronta.
Mi prese la testa con delicatezza tra le mani e come aveva già fatto una volta, iniziò a fissarmi intensamente.
Da quella distanza potevo osservare bene i suoi occhi mostruosi. Dopottutto non erano così diversi dai miei. La forma almeno era semplice e comune, e poi il colore era limpido. Mi immaginai per un attimo quel volto, se invece avesse avuto degli occhi chiari. Dopotutto era attraente.
I capelli scuri, forse bruni, erano spettinati dalla corsa ma apparte questo il mostro non sembrava affaticato. Sembrava tranquillo, solo concetrato.
I miei pensieri furono interrotti da una forte fitta alla testa, a bruciare non erano le mie ferite, ma qualcosa di più profondo, la mia anima.
"Smettila!" urlai, sperando che cessasse quella tortura
Sorprendentemente il dolore sparì, lasciandomi svuotata.
"Perchè fai questo?" gli chiesi quando mi ripresi.
Lui continuò a fissarmi, con la fronte aggrottata e la bocca schiusa. 
Chiuse per un attimo gli occhi e riuscii a vedere in lui quel suo lato di umanità.
"Io non.." stava dicendo. Tenendo ancora gli occhi chiusi.
Ma d'improvviso si zittì e voltò lo sguardo verso destra. Mi guardò per un'ultima volta, con la voce che tremava mi disse solo. "Devo andare" 
Non potevo crederci davvero, ma sparì.
Qualcosa mi diceva che non sarebbe tornato. 
In quel momento allora mi sentii sprofondare nell'oscurità, tutto era finito o chissà cosa stava per accadere. La mia vita era così incerta ora che mi sentii mancare. L'ultima cosa che vidi furono due occhi scuri nell'oscurità.
 
 
Quando tornai in me, sentii la testa dolorante. Continuai a tenere gli occhi chiusi, cullata dagli altri sensi e nascosta in parte dal dolore.
Il mio corpo sembrava andare in fiamme, ma non osavo muovermi avevo paura che si accorgessero di me. Sentivo un odore invitante come di un dolce appena sfornato mischiato a legna da tagliare, era un odore familiare che mi tranquillizzava, forse ero tornata a casa mia. La mia vera casa. Dove me ne stavo felice in mezzo alla campagna e alle colline toscane, nella mia casa isolata tra due colli a poca distanza dalle mura della vera e propria città. Quell'odore mi ricordava tanto il dolce che faceva mia madre nei giorni estivi, quando mi chiamava felice per farmi rincasare per la merenda e con tono affettuoso mi diceva: "Amore mio, guarda che ti ho fatto" e come un mago faceva apparire da sotto il tovagliolo la fetta soffice. Quel pensiero mi rattristò. Mi mancava la mia vecchia vita, quella senza dolore. Insieme ai miei genitori nella mia casetta isolata poco fuori le mura di Volterra.
Nel silenzio i miei orecchi si fecero più acuti. Riuscivo a sentire dei sussurri che dovevano provenire da un punto indefinito fuori dalla stanza.
"Si riprenderà?" chiedeva una voce che ormai mi era familiare.
"Certo" a parlare doveva essere una donna. Il tono lo ricordavo vagamente.
"Chi pensi sia stato?" chiedeva di nuovo la voce, ora preoccupata.
"Oh.." quel tono era inconfondibile, ma non lo riuscivo ad associare a nessuna persona. "Penso che gia sai che non è stato qualcuno. E' stato qualcosa" Disse l'ultima parola con puro disgusto.
"Io credo che.." aveva iniziato in replica il ragazzo.
"Si, ormai è inevitabilmente chiaro. Quella è la strada giusta" aveva concluso la donna.
Poi c'era stato quell'attimo di silenzio. 
Cercai di aprire gli occhi, ma sentii di nuovo il forte dolore che mi avvolgeva la testa. Vidi nella semioscurità il volto di quella donna.
I lineamenti decisi e scuri, i capelli d'argento. Ma la mia memoria era segregata in un angolo della mia mente lacerata di dolore, irraggiungibile.
"Riposa Lola" mi aveva detto e così io ero tornata nel mio mondo pieno di pace.
 
 
Mi sentivo mancare il fiato, a dir la verità non ricordavo come respirare. Così aprii la bocca ed espirai l'aria che mi circondava. Mi sentii strozzare, ma poi riuscii ad aspirare con il naso e nel giro di poco riuscii a calmarmi.
Nel momento di terrore, senza pensarci avevo aperto gli occhi, ed ora per la prima volta mi guardai intorno.
La stanza era di legno, proprio come mi ero immaginata a sentire quell'odore di legno. Le finestre erano abbassate e intorno a me era buio, nonostante fuori doveva essere ancora giorno, perchè le tapparelle non riuscivano a bloccare del tutto la luce che rischiarava la stanza.
Mi trovavo su un letto, in mezzo alla stanza, coperta da uno spesso piumone. La stanza era semplice e poco arredata. L'unico oggetto degno di nota era un grande acchiappasogni appeso al muro di fronte a me. Era scuro come la parete e i suoi tratti, nella luce soffusa, sembravano mischiarsi al buio. 
Intorno a me regnava il silenzio, in quell'ambiente il suono sembrava impenetrabile, ma all'improvviso sentii un rumore sinistro, come di passi silenziosi che però nel silenzio rimbombavano.
Poi un respiro profondo, vicino a me, forse non nella stessa stanza ma al di là della porta.
"Ciao, perdonami se ti disturbo" disse la voce, fuori dalla mia stanza. Non stavano parlando con me, quindi me ne stetti in silenzio.
"dovete tornare, è urgente" nessuno aveva risposto al saluto, e la voce aveva continuato a parlare, supposi che stava parlando al telefono. Perchè prima di rispondere attese qualche secondo.
"Si" silenzio. Ci fu una pausa più lunga.
"Va bene, mi informerò, ma è importante, non voglio che qualcuno si faccia male" la sua voce era ferma e piena di autorità.
"Si, sento gli altri anche se sono piccoli." quella frase non la compresi, ma io stavo ascoltando solo metà della conversazione ed era chiaro che non potevo capire ogni passaggio.
Di certo, però l'ultimo passaggio lo capii appieno.
"Si, vi aspetto e conto su di voi. Grazie Jake"
Era ovvio, qualcuno, di nome Jake stava arrivando.
 
 
 

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Capitolo 10
*** Ritorno a Forks ***


NOTA DELL'AUTORE:
Allora, ciao ragazzi, spero che vi piaccia questo nuovo capitolo. Se volete potete lasciare un commento in fondo alla pagina per dirmi cosa ne pensate, se vi piace o meno. Fatemi sapere :)

L'aria sembrava danzare attorno a me, il vento mi accarezzava il viso e il sole rischiarava la via.
Stavo bene. Sotto di me il Suo pelo morbido e caldo mi solleticava le gambe, cullandomi e facendomi stare ancora meglio.
Ormai erano trascorse due ore dalla nostra partenza.
La Chiamata era arrivata all'alba.
Io ero sveglia già da un bel po', stavo giocando a scacchi insieme a papà. 
Non ero mai riuscita a batterlo e insieme a mamma cercavamo di trovare la mossa vincente. 
"Muovi la torre" mi suggeriva.
Io e papà ci eravamo messi a ridere. 
"Non la puoi muovere se ha davanti la pedina, vedi?" le avevo poi spiegato pazientemente.
A quel punto anche lei si era messa a ridere e mi aveva abbracciata forte.
Era proprio un bel momento e papà ci guardava con occhi liquidi di gioia.
Quasi sobbalzammo quando il telefono squillò.
Lo sguardò di papà si fece subito serio; di solito se qualcuno ci voleva ci faceva visita, non chiamava. 
Prima che qualcuno si fosse alzato entrò rumorosamente Jake nella stanza.
"Vado io!" aveva detto.
Poi aveva preso al volo la cornetta.
"Ciao, perdonami se ti disturbo" stava dicendo una voce femminile e vagamente familiare.
"Ciao Sue, dimmi" la voce di Jake era gentile.
Certo, Sue, mi ricordavo di lei. Era la mia nonna acquisita, cioè il padre di mia mamma alla fine si era risposato con lei. 
Io le volevo bene e quel che più mi piaceva di lei era che non dovevo nasconderle niente. 
Rammentavo della mia infanzia ogni sua carezza, ed i bambini di solito non si ricordano della loro infanzia, ma io, come spesso mi dicevano, ero speciale. Ogni volta che me lo sentivo dire non potevo fare a meno di avvampare e sorridere.
Non avevo mai capito se quell'essere speciale mi piacesse oppure no; sapevo solo che il modo unico in cui mi faceva sentire Jake quando me lo diceva era speciale. Ogni volta il suo viso irradiava luce e faceva risplendere perfino la mia pelle.
Nonna Sue la ricordavo nonostante non ci vedessimo ormai da troppo tempo. Lei, come ogni altra cosa di Forks mi piaceva.
Solo che eravamo stati costretti ad andarcene: la gente aveva iniziato a chiedersi come fosse possibile che io crescessi a quella velocità. E non ha tutti evidentemente piace che io sia così diversa dalla massa.
Insomma, la mia infanzia come la mia adolescenza era stata breve, ma talmente intensa che ricordavo perfettamente ogni singolo giorno. Nonostante fosse durata solo sette anni, io mi vedevo già adulta e questo non mi pesava affatto, era la mia natura.
Mi riscossi improvvisamente dai miei pensieri. Avevo continuato ad ascoltare la telefonata.
"dovete tornare, è urgente" aveva detto preoccupata Sue.
Non l'avevo mai sentita parlare con quel tono.
Jake aggrottò la fronte, gli occhi nella penombra dalle folte sopracciglia. 
"Ne sono arrivati alcuni?" chiese.
"Si" 
"Ok, sapevo che questo momento sarebbe arrivato". Lo guardai con la fronte aggrottata. Non me ne aveva mai parlato di questo timore.
Poi aveva continuato. "Cerca di capire quanti sono, quante vittime hanno fatto, parla con qualcuno che ne sa qualcosa, informa il branco."
Aveva assunto quel tono che me lo faceva apparire così distante da me, nonostante tutto. Il tono di chi sa cosa fa, che sa che deve combattere per guadagnare il rispetto. Il tono di chi sa di avere il compito di dare ordini.
"Va bene, mi informerò, ma è importante, non voglio che qualcuno si faccia male" 
"Arriveremo il prima possibile, tu intanto senti il branco. Sue fallo è importante."
"Si, sento gli altri anche se sono piccoli." 
"OK, noi arriveremo presto."
"Si, vi aspetto e conto su di voi. Grazie Jake" rispose.
Aveva riagganciato e aveva lanciato un'occhiata verso papà. 
"Dobbiamo muoverci" aveva risposto papà ad un pensiero silenzioso.
Mi avvicinai in fretta a Jake. Non mi piaceva vederlo così preoccupato. Gli sfiorai una guancia.
Non voglio che tu te ne vada, non avevo parlato io. Era il mio potere a parlare. Riuscivo a comunicare in un modo speciale, soprattutto con Jake. Bastava un'immagine e lui capiva.
Accarezzò la mia mano, ancora sul suo viso. "Non sopporto che tu sia lontana da me," era davvero triste. "ma dobbiamo partire. Forks è in pericolo"
Stavo quasi per mettermi a piangere. Non ero mai stata lontana da Jake per più di qualche ora. Non ci sarei mai riuscita.
"Forks in pericolo?" mamma si era alzata di scatto e aveva guardato allarmata prima Jake poi papà.
"Sì, probabilmente un clan di vampiri che si è soffermato per troppo tempo a Forks. Altrimenti non so spiegare il tono allarmato di Sue, non è da lei." aveva spiegato papà.
Forks era in pericolo, e Jake stava per andare là. Mi passò per la testa l'immagine di lui in un bosco, ferito ad una zampa. 
Senza volerlo trasmisi l'immagine a Jake. Lui mi strinse a sè. 
"Non preoccuparti Nessie, non c'è pericolo"
Lo abbracciai più forte. Non sopportavo neanche vederlo ferito, non potevo sopportare l'ignoto.
Poi però ebbi un'illumiazione, un'idea talmente ovvia che mi misi a ridacchiare. Anche io sarei andata con loro.
"Devo venire anche io se Forks è indifesa" si era offerta mamma, facendo un passo avanti. Dando così voce ai miei pensieri.
Papà stava già scuotendo il capo, spostando lo sguardo da mamma a me.
"No, non se ne parla. Tu e Ness starete qua" il suo tono era deciso.
Mi voltai verso di lui, davvero pensava che noi non li avremmo seguiti?
"Noi veniamo" avevo replicato.
Mamma mi osservò un attimo ma anche lei scosse la testa. "Ed, verrò io, Alice sarà felice di pensare a Nessie"
Mi ero sentita tradita. Ma alla fine papà si era dovuto arrendere a mamma ed entrambi avevano ceduto a portarmi.
Non volevo separarmi da nessuno di loro.
Così, nei pochi minuti che erano seguiti, papà aveva avvertito il resto della famiglia.
Rose e Emmett si trovavano in Europa per l'ennesima luna di miele. 
Alice e Jaspel se ne stavano in una casa a poche centinaia di metri dalla nostra e quando li avvertimmo furono felici di tornare a Forks.
Così andammo a cercare nonno e nonna che trovammo già pronti alla partenza, fuori da casa nostra.
Ci eravamo messi in marcia subito.
Io, avevo preferito stare con Jake. Volevo stargli vicina. Così ero salita in groppa al Mio lupo ed eravamo partiti.
 
Mi riscossi all'improvviso.
"Fermiamoci!" ci aveva detto nonno.
Ci trovavamo in uno spiazzo circolare, in mezzo al bosco vicino Forks. Ricordavo bene quella radura, era stato il nostro campo di Battaglia anni fa, quando i Volturi erano arrivati a Forks.
"Probabilmente ci fermeremo qua per un po'" aveva iniziato Carlisle. "quindi dovremo reintegrarci qua, per non destare sospetti." 
"Io ho ancora dei contatti all'ospedale, mi accetteranno di nuovo. Diremo che siamo tornati perchè Forks ci mancava."
"E' così" disse la mamma con un mezzo sorriso.
Carlisle le sorrise a sua volta. 
"Sicuramente la gente si ricorderà di noi, e non capirà come sia possibile che non siamo invecchiati" aveva continuato incrociando le braccia.
Tutti nella mia famiglia non dimostravano più di una ventina d'anni, quello era il motivo principale del nostro continuo spostarci.
"Io forse ho una mezza idea" aveva detto Alice sorridente. I suoi occhi d'ambra trasmettevano sprazzi di felicità.
"Scordatelo" disse papà.
"Non fate così ragazzi, dai Alice dicci" aveva detto nonna incoraggiandola.
"Carlisle e Esme, io e Jaspel, Bella e Edward, dobbiamo mostrarci più vecchi. Insomma sono passati sette anni, dovremmo avere venticinque anni e Esme e Carlisle almeno dieci di più." aveva iniziato.
"Potremmo truccare un po' di rughe, credo che riusciremo a sembrare più vecchi, io posso aiutarvi."
"Scordatelo" aveva detto di nuovo papà. Questa volta anche mamma sembrava piuttosto contrariata.
"Buona idea" aveva invece detto Carlisle.
"Ci sto" disse Esme.
Io accennai un sorriso.
Il Mio lupo non fece alcun gesto, lui sembrava più grande della sua età, non aveva problemi e poi la gente di Forks non lo conosceva bene e alla riserva non c'erano questi problemi.
Jaspel sospirò, di certo non poteva opporsi alla carica di Alice.
"Bene, non ci resta altro da fare che tornare." aveva concluso Carlisle. 
Jake si era voltato verso papà e lo aveva guardato intensamente.
"Ok, a dopo" aveva risposto. 
Con il muso peloso mi accarezzò dolcemente il fianco poi sparì dal bosco.
"Anche lui deve amministrare i suoi affari, deve parlare con l'alfa" aveva tradotto papà.
 
Nel giro di qualche secondo, eravamo arrivati davanti a casa Swan.
Il nonno ormai da cinque anni si era trasferito a La Push, vicino al mare, nella vecchia casa dei Clearwater. 
Carlisle però era andato all'ospedale. Ed Esme era tornata alla vecchia casa, per sistemare un po' le cose.
Così eravamo solo mamma, papà ed io.
Sospirammo, impazienti. Mamma suonò il campanello.
Dopo pochi secondi aprì un uomo. 
Un uomo felice, con gli occhi scuri e i capelli brizzolati. 
"Papà" disse mamma, avvicinandosi a lui e abbracciandolo goffamente.
Anche io andai ad abbracciare il nonno. 
Quando ci staccammo papà gli porse formalmente la mano.
Sapevo che tra loro non era corso buon sangue, e parlare di sangue alla mia famiglia non era mai una buona idea. Ma il nonno sembrava felice di vedere anche lui.
"Accomodatevi" aveva detto poi spostandosi dalla porta e facendoci entrare.
Ci accomodammo in un piccolo divano. Nonno dalla poltrona davanti a noi mi studiava con aria preoccupata. 
"Come sei cresciuta" aveva detto tristemente.
"Eh sì" aveva risposto la mamma al posto mio.
"Raccontatemi un po', Sue non mi vuol dire niente. Ma quanto pensate di restare?" aveva detto accomodandosi sulla poltrona.
Così mamma gli aveva spiegato in breve le nostre intenzioni.
Papà invece sembrava distratto, continuava a lanciare occhiate dietro di sè.
Gli toccai una mano, cos'hai? gli trasmisi la sua immagine pensierosa. Non che ci fosse bisogno di parlare con lui in quel modo, ma così attirai la sua attenzione.
"C'è qualcuno che non è Sue nell'altra stanza" mi aveva sussurrato all'orecchio. Nonno non si accorse del nostro scambio di battute perchè papà lo aveva detto a bassa voce, e mamma si era girata solo per un attimo.
Ora che papà me lo aveva fatto notare, avvertivo vicino a me un battito cardiaco lievemente accelerato.
Nonno e mamma continuavano a parlare, da così tanto non si vedevano, ma alla fine non avevano molto da dire.
Sapevo da sempre, che con il nonno di certe cose non potevamo discutere e questo ci aveva sempre diviso in qualche modo. Eppure gli volevamo lo stesso un sacco di bene, era solo il più fragile.
Sentimmo aprire la porta. 
"Oh eccola" aveva detto il nonno aprendosi in un sorriso.
Sue era entrata, aveva in mano delle buste della spesa e indossava un vestito lungo e scuro come la sua carnagione.
"Sono felice che siete già arrivati" sembrava molto preoccupata, ma ci sorrise lo stesso, poi si rivolse al nonno.
"Caro, puoi mettere a posto queste buste? Sono così stanca.. almeno ho il tempo di spiegare il motivo per cui la nostra camera degli ospiti è già occupata" 
Nonno le sorrise, sussurrò tra sè qualcosa tipo: "tutto così Top Secret", poi si era spostato rumorosamente in cucina.
Sue sembrava la stessa dei miei ricordi. Aveva ancora i capelli corti e somigliava tanto a Leah.
"Come sta mia figlia?" aveva chiesto per prima cosa.
Leah, era venuta insieme a noi, quando avevamo deciso di andarcene.
Voleva essere libera, ma allo stesso tempo era destinata ad avere un branco. Così il Mio Jake le aveva proposto di venire con noi sapendo quanto a Leah non piacesse stare nel branco di Sam. Lei non si era mai avvicinata molto a me, mi lanciava continuamente occhiatacce. Con il passare del tempo, man mano che il mio rapporto con Jake era cambiato, l'avevo scoperta a guardarmi in modo più interessato.
Jake non mi aveva mai spiegato cosa lei pensasse di me ma diceva che lei non mi odiava.
Un po' a dir la verità mi dispiaceva per la sua fine. Segregata in un branco che un branco non era. Dentro ad un corpo che odiava. 
Ma poi tutto era cambiato. 
Per qualche giorno, ci eravamo stabiliti nella foresta pluviale, a trovare certi nostri amici.
Jake era venuto con noi perchè voleva starmi vicino e Leah che si era rifiutata aveva fatto visita ad un villaggio vicino.
Là aveva incontrato Ian, un ragazzo dalla carnagione scura come la sua e dagli occhi chiari. Da quel momento era scattato qualcosa, l'imprinting era chiamato. Un amore, un colpo di fulmine ancora più forte dell'amore carnale. Lo stesso legame che univa me a Jake, qualcosa di così intenso che finisci di essere un felice succube.
Il nostro periodo dalle Amazzoni si era prolungato. Leah non voleva lasciare Ian, ma non poteva staccarsi così tanto dal suo alfa. Finchè un giorno, la rabbia l'aveva investita e lei era riuscita a non trasformarsi. 
L'imprinting le aveva dato l'energia necessaria che le occorreva per non diventare ciò che lei odiava.
Così era rimasta là, a vivere il suo lieto fine.
Sue lo sapeva, ed era felice per sua figlia. 
Leah ogni tanto ci veniva a far visita con Ian. Aveva stretto un bel rapporto incredibilmente anche con le Amazzoni, ed un giorno era arrivata con un sorriso splendente, Amazzoni al seguito, e un bel pancione coccolato dall'amorevole Ian.
Quando le finimmo di raccontare le ultime novità sul piccolo Harry, papà chiese più informazioni sull'ospite.
Sue si fece subito seria, ed asciugò le lacrime del precedente racconto.
"Non sappiamo molto" iniziò, "ma il branco è riuscita a salvarla dall'attacco di un vampiro. La ragazza dorme ancora ma preferirei sapere cosa lei sa, e se il segreto di tutti noi è al sicuro" 
"Posso parlarle io" si offrì papà.
"Sì, sarà utile sapere ciò che pensa." confermò Sue. "Aspettiamo che si risvegli, poi potremmo raccontare tutto a quella povera ragazza." disse triste.
"Non preoccuparti, Sue, si risolverà tutto" fu mamma a parlare.
Sue aveva di nuovo gli occhi lucidi. 
"Sai Bella, quella ragazza mi ricorda tanto te."
Papà sorrise. "La stessa strana amicizia con un lupo appena trasformato" poi si incupì, "peccato che non sia allo stesso modo amica di vampiri".
Il silenzio si dilatò nella stanza, fin quando sentimmo dei movimenti nella stanza degli ospiti.
"Si è svegliata, confermò papà" si alzò e si diresse lentamente verso la stanza.
"Nessie, vuoi venire?" chiese voltandosi.
Sorrisi, "Si papà ne sarei felice" corsi da lui.
Papà lanciò un occhiata a mamma. Appariva molto concentrata, me la immaginai mentre spostava il suo scudo per far leggere a suo marito i suoi pensieri. Entrambi annuirono.
Percorremmo a velocità umana il piccolo corridoio. Papà mise la mano sul pomello della porta.
"Sei pronta?" mi sussurrò.
Feci segno di sì con la testa.
La porta si aprì lentamente, rivelando una ragazza seduta sul letto.

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Capitolo 11
*** Le leggende non sono altro che verità ***


I miei occhi si stavano lentamente abituando alla penombra. Mi girava un po' la testa dato che mi ero alzata in fretta.
La stanza era immersa in un silenzio che mi avvolgeva e mi premeva sulle orecchie. Davanti a me, ritrovai la forma dell'acchiappasogni. Ma c'era qualcosa che non mi tornava, qualcosa di fuori posto in quella stanza. Girai la testa verso destra, dove la luce filtrava con maggiore violenza, ma là tutto era nello stesso ordine. Quando voltai la testa a destra al mio cuore mancò un battito.
Due figure appena accennate se ne stavano alte e immobili a confondersi con il buio. Il mio primo istinto fu quelle di urlare, ma riuscii a trattenermi. Insomma, non potevano essere i due mostri che avevano cercato di uccidermi.
Non avrebbe avuto senso: se davvero volevano uccidermi perchè avrebbero dovuto aspettare così tanto? E poi la notte era il momento migliore per compiere omicidi.
Ora che guardavo meglio, notai che erano un ragazzo ed una ragazza e i loro occhi non lanciavano fiamme oscure.
La figura sulla sinistra, quella più slanciata mi si avvicinò lentamente. 
"Ciao Lola." il suo tono era così circospetto e la voce tanto dolce.
"Chi siete?" chiesi leggermente allarmata.
"Io sono Edward," iniziò lui con lo stesso tono. "lei invece è mia figlia" disse indicando l'altra figura che fece un passo avanti.
"Io sono Renesmee, ma puoi chiamarmi Nessie" si presentò lei.
Edward continuava a fissarmi, più il suo sguardo diventava intenso più sentivo crescere un dolore lacerante alla testa. 
Persi ogni mio pensiero, persi me stessa.
Riuscii a ritrovarmi soltanto quando mi accorsi che ero ancora lì a fissare nel silenzio della stanza Edward che si era voltato verso la figlia e la guardava negli occhi come prima aveva fatto con me. Sembravano comunicare ma le loro labbra erano immobili.
Edward si riscosse e poi si girò verso di me. 
"So che hai subito un forte shock, per ora ti lascerò nelle mani di mia figlia, con lei sarai al sicuro" disse prima di sparire dietro la porta.
Così rimanemmo io e Renesmee, che potevo chiamare Nessie.
Ci guardammo per un po', anzi era lei a guardare me, perchè io nella penombra non riuscivo a distinguere molto di lei.
Mi rivolse un sorriso e poi si diresse verso la finestra. 
"Qua bisogna far passare un po' di luce, è così triste il buio!" disse allegramente.
La stanza si illuminò all'istante. Per un attimo rimasi accecato dal bagliore.
Quando mi ripresi la osservai per la prima volta. Era davvero bella, anzi era molto di più, era radiosa. Come il sole, che acceca coloro che sono abituati a vedere il buio, anche lei accecava.
Il suo corpo era un perfetto equilibrio di chiari scuri, era snella e alta e riusciva a mantenersi immobile. 
Come se rimanesse avvolta dai suoi pensieri, ed il suo corpo, l'unica finestra che la collegava al mondo esterno si immobilizzasse, attraversato da fatti di maggiore rilevanza.
Continuava a sorridermi, non solo con la bocca, ma anche con gli occhi di un inconfondibile color cioccolato. Si riprese da chissà quale pensiero e si ravvivò i ricci che rimbalzarono come molle fino alla vita. Ora che il sole la illuminava, i capelli assumevano migliaia sfumature rossastre.
"Lola," mi si avvicinò e si mise a sedere sul mio letto "so cosa hai passato, voglio aiutarti" disse posando una mano sulla mia spalla.
Scossi la testa quasi ridendo. "No, tu non lo sai" replicai decisa. Nessuno poteva saperlo cosa avevo passato.
"Posso capirti," continuava lei.
"No" ripetei alzando la voce e allontanandomi da lei.
"Io.." sembrava indecisa su cosa dire, o su quanto rivelare. "sono molto più vicina a quel genere di cose di quanto tu possa pensare" disse fissandomi negli occhi.
Io continuavo a scuotere la testa, mentre lei avvicinava una mano alla mia guancia.
In testa, come in un film continuavo a ripensare alla stessa immagine. 
La mano fredda del mostro, che mi lanciava verso il letto. Lui che poi si avvicinava a me con gli occhi neri languidi.
"No tu non puoi capire" continuavo a dire io.
"Guarda" mi disse Renesmee.
La continuai a guardare negli occhi, il suo volto sembrava profondamente concentrata. 
Mi fissava dritta negli occhi, con la fronte aggrottata. La sua espressione si stava facendo sempre più preoccupata.
Stavo appunto per chiederle cosa c'è? quando lei fece un balzo lontano da me.
Spostando la mano dalla guancia.
Non riuscii a non cacciare un urlo.
Il suo balzo, come con gli altri mostri, erano semplicemente non avvenuti. Prima era lì, che mi consolava con quell'aria concentrata, e l'attimo dopo si trovava in piedi, dietro al letto a fissarmi smarrita.
Io mi raggomitolai con le ginocchia al petto e le mani sopra la testa.
Non potevo credere che anche quella ragazza tanto dolce potesse essere uno di quei mostri assassini.
"Vai via mostro!" le urlai contro.
Sbirciai intorno a me, ma nella stanza c'ero solo io.
Allora era vero, lei non era umana.
Mi alzai in piedi di scatto. Cosa potevo fare?  urlare finchè qualcuno non sarebbe corso a salvarmi? Ma chi poteva aiutarmi? Il mondo sembrava riempirsi dopo ogni attimo che passava di creature impossibili. Ebbi poi un fremito. Possibile che anche l'altra figura non fosse umana? Aveva detto di essere il padre della ragazza, la cosa non aveva una logica, ma terrorizzata com'era non ci avevo pensato. Quel ragazzo non aveva neanche venti anni, era impossibile che avesse una figlia che dimostrava poi la sua stessa età.
Chissà cosa intendeva, dicendo "mia figlia".
Ora che ci pensavo, la sua mano era fredda, non sgradevole come quella del mostro, ma era fredda.
Ma gli occhi? I due mostri che avevo incontrato avevano gli occhi neri e vuoti o mostruosamente rossi. 
Lei invece li aveva di un vivace e caloroso color cioccolata, unico nel suo genere ma umano indiscutibilmente.
Nel silenzio della stanza, sentivo quasi la mia testa che ronzava cercando di capire la verità.
Mi trovavo immobile davanti al letto, incerta sul da farsi e insicura sulla verità.
Sentii la porta cigolare ed aprirsi lentamente. Apparì Edward.
Si muoveva con gesti studiatamente lenti. Era innaturale, e qualcosa mi fece credere che stava fingendo per nascondere quella verità così scomodamente orrenda.
"Lola" la sua voce sembrava di velluto, tanto morbida ma inframezzato da cadenza basse e gravi. "voglio parlare con te, so cos'è che tu sai. Ma non sai tutta la verità." la sua sincerità mi sorprese.
Forse lui come Nessie sapevano qualcosa in più di me, ma certo, dopotutto anche loro erano dei mostri. Anche se non riuscivo a spiegarmi come fosse possibile.
Si mosse leggermente, ma non si avvicinò a me. Faceva passi lenti, per non farmi spaventare, i palmi alzati verso di me si muoveva verso una sedia che si trovava davanti al muro dell'acchiappasogni.
Si ravvivò i capelli ramati che mantennero il loro fascino d'ordine disordinato e si sedette.
Io non osavo parlare, mi sentivo un mix di emozioni contrastanti.
Ero terrorizzata da quel ragazzo, da quella che aveva definito sua figlia. Ancora più impaurita dagli altri mostri che avevano tentato di uccidermi. Disgustata dal mondo che non era il posto che mi immaginavo fosse. Immobilizzata da Edward che se avesse voluto con un solo balso avrebbe potuto uccidermi. Eppure, lui era lì, che si muoveva lentamente e mi guardava con circospezione, come se fosse lui a dover avere paura di me. Ero ancora viva, nonostante ne avesse incontrati altri due di mostri. Ero intimidita da quelle due bellezze così eteree e irraggiungibili.
Ora che lo notavo, i suoi capelli erano delle stessa tonalità di quelli di Nessie e avevano la stessa eleganza di quell'ordine casuale e genuino. Forse le stesse labbra. Potevano essere fratelli. Anche se le loro caratteristiche comuni si fermavano qua; gli occhi di Renesmee erano tutt'altra cosa. Quelli di Edward ricordavano più una certa pietra di cui non ricordavo il nome.
Edward mi stava studiando, come io stavo studiando lui. Poi sospirò e iniziò a parlare.
"Non so quanto tu sai, non so neanche come fai a saperlo. Non molti umani scoprono questa verità. Personalmente sei il secondo caso di tutta la mia vita. E.." sorrise. "la mia vita come puoi immaginare non rispecchia il mio aspetto"
Lo guardai confusa.
"E' così difficile parlare con te" sospirò "quindi tu non sai molto"
Mi sentii ferita. Dopotutto ero io che avevo rischiato la vita. "So che siete dei freddi" 
Ridacchiò. "In molti modi ci hanno chiamato, e quel termine so precisamente da quale leggenda viene usato. Quindi tu hai parlato con qualcuno della Riserva?"
"Come fai a saperlo?"
Non mi rispose.
"Vuoi farmi del male?" gli chiesi intimorita.
Mi guardò sorpreso. "No!" esclamò indignato.
"Non tutti siamo uguali. Io come la mia famiglia non siamo mostri"
Avrei voluto rispondergli, avrei voluto dirgli che loro facevano paura. Il mondo intero mi faceva paura.
Quel ragazzo così bello, lo sapevo, era così letale per me.
Mi raccontò molto dei vampiri. Che cosa significassero gli occhi cangianti, il motivo per cui non si mostravano al sole. La loro letalità consisteva in una velocità, in una forza sovrumana. Dei sensi troppo sviluppati e spesso anche in poteri extra, come se tutte quelle qualità non bastassero. Poi si era interrotto bruscamente e aveva iniziato a parlare della sua famiglia.
Loro non uccidevano. Vivevano come gli umani. Erano solo migliori sotto molti punti di vista.
Mi spiegò che il suo clan era in qualche modo speciale, perchè lui e sua moglie avevano una figlia. Una cosa impossibile per una coppia di vampiri, ma al limite della possibilità per una coppia vampiro-umana.
La cosa mi aveva un po' disgustata, ma quel vampiro non era un assassino, lo sapevo. Così poi si era spiegato anche l'assenza di differenza di età tra padre e figlia.
Tutto questo mi aveva fatto venire i brividi, ma ora che lui si era zittito sentivo il bisogno di ricevere più informazioni. Sapevo che non mi aveva detto qualcosa e mille domande mi balevano in testa.
"Dimmi qualcosa in più sui vostri poteri supplementari." decisi di fargli questa domanda per prima.
Mi studiò a lungo "Alcuni di noi, erano persone speciali finchè erano umane. Così quelle qualità si sono amplificate una volta divenuti immortali." spiegò.
"Tu hai qualche potere?" chiesi curiosa.
Era molto serio, quasi arrabbiato. "Sì, da umano ero una persona molto attenta a ciò che pensavano gli altri. Non so come spiegarti, era una parte di me. Ed ora.." sospirò "riesco a leggere nelle menti altrui".
Lo guardai esterrefatta. Impossibile. 
Quel ragazzo riusciva a leggere ciò che pensavo? In qualche modo quindi non ero lo stesso al sicuro.
"Tu sai cosa sto pensando?" chiesi arrabbiata. Non mi piaceva quell'idea.
"Ci sono eccezioni" spiegò. "Nella mia vita ne ho trovata solo una di eccezione ed è divenuta mia moglie."
Lo guardai perplessa, non capivo cosa c'entrasse.
"Stai leggendo i miei pensieri?" chiesi allarmata.
"Non funziona proprio così, la mia mente è sempre piena delle voci altrui che parlano in continuazione. Occorre molta concentrazione per separare una voce dalle altre"
Non mi aveva ancora risposto, girava in torno alla verità ma non la rivelava.
"Dimmelo" lo scongiurai.
"Quando trovo la tua voce, non sento i tuoi pensieri." disse frustrato.
"Quindi non riesci a sentirmi affatto?" ne ero molto felice.
"No, reagisci come uno specchio. Semplicemente se mi concentro su di te, mi trovo davanti tutti gli altri pensieri che sento, riesco anche a sentire i miei pensieri come se non mi appartenessero."
Lo guardai confusa. Com'era possibile?
"Tu prima ci hai provato ad ascoltare ciò che pensavo, vero?" domandai.
Annuì. "Te ne sei accorta?"
"Non proprio," spiegai. "Ho sentito un forte caos in testa, ed ho smarrito i miei pensieri. E' stato orribile" ammisi.
Ognuno rimase concentrato nei propri pensieri, nel silenzio della stanza. Finchè sentii la porta aprirsi di nuovo.
Apparì il viso rugoso e incorniciato da capelli d'argento di Sue.
Mi ricordavo di lei, era venuta a casa di mio zio, insieme al vecchio Capo della Polizia.
Quella donna che mi aveva associato alla figlia di Charlie.
Mi sorrise incerta, poi entrò nella stanza.
"Ciao Lola, ti ricordi di me?" la sua voce pareva apparire ad un'altra epoca, così antica e misteriosa.
Annuii. "Grazie, mi hai salvato"
"Non devi ringraziare me" 
La guardai con aria interrogativa, ma lei cambiò discorso.
"Immagino tu voglia sapere come sta tuo zio"
Ma come? Mio zio non doveva essere in casa quando mi avevano aggredita, doveva essere in servizio.
"Tranquilla, lui non ha niente. E' stato ritrovato da Logan in casa con aria assente. Ma dopo qualche minuto si è ripreso. Ora è stato portato all'ospedale solo per dei controlli" continuò.
La guardavo in stato di shock. Non pensavo proprio che anche mio zio ci potesse andar di mezzo nei miei casini.
"Abbiamo preferito portarti qui e non all'ospedale perchè non eravamo sicuri che ti avesse morso. I dottori non ti avrebbero saputo guarire altrimenti" 
Continuavo a starmene zitta.
"Incredibile sei sopravvissuta ad un attacco, non è da tutti" disse accennando un nuovo sorriso.
"Due, sono stati in due." dissi semplicemente.
Entrambi furono molto colpiti, ma non dissero altro.
Un rumore poi mi fece quasi sobbalzare, era una porta sbattuta e poi una serie di passi altrettanto fragorosi.
La porta si spalancò di nuovo.
"Lola!" urlò Logan, "ho saputo che ti sei svegliata. Come stai?"
Non riuscii a trattenere un sorriso.
Sue lanciò un'occhiata al nuovo arrivato, ma poi sia lei che Edward lasciarono la stanza salutandomi.
Logan, come sempre non aveva ne' maglia ne' scarpe. Solo un paio di bermuda marroncini.
I capelli erano sciolti e arruffati ed era molto preoccupato.
"Ora sto bene"
"Ero così tanto in pensiero" disse.
Sentii il mio battito accelerare.
"Tu sai chi mi ha salvato?" chiesi senza tanti giri di parole. Degli altri non potevo fidarmi di fare una tale domanda.
E poi volevo davvero sapere chi avesse la forza di contrastare o far paura a dei vampiri, forse altri vampiri? Edward? Ma io non lo avevo visto.
Mi guardò triste.
"No.." abbassò la testa "sono stati i miei amici"
Non mi piaceva vederlo triste.
"Non importa, dimmi un po' te sai come sta mio zio?"
Si fece di nuovo spensierato e mi iniziò a raccontare di tutto, oltre che alle condizioni di mio zio.
Restammo così tanto a parlare, che non mi accorsi del tempo che passava. Il sole si faceva sempre più alto e pallido, nascosto da nuove nubi temporalesche.
D'un tratto entrò Sue con un piatto pieno di cibo e un cipiglio arrabbiato in fronte.
"Tu" e indicò Logan "dovresti andartene, c'è chi deve riposare" disse guardandomi.
Logan si congedò e dopo il pasto iniziai a sentirmi così stanca e insonnolita che presto mi abbandonai alle braccia calde del sonno.
 
"Io non..." diceva guardandomi con i suoi occhi così mostruosi.
Cosa voleva dirmi? Se avesse voluto davvero uccidermi sapevo che ne avrebbe avuto il tempo. Invece mi fissava con quell'aria frustrata.
Il suo volto iniziò a trasformarsi.
I capelli si facevano sempre più disordinati e divennero bruni. Gli occhi rimasero della stessa limpidezza, ma il colore cambiò in oro, anzi, in ambra.
La mascella si allargò e il naso si fece più lungo.
Davanti ai miei occhi c'era Edward, ora più lontano da me, mezzo nascosto dalla penombra di una stanza che non c'era. Dietro di sè c'era Renesmee, sua figlia.
Entrambi avevano la stessa aria frustrata. 
"Io non.. " continuavano a dire. "non voglio farti del male" disse Edward. Ma non era la sua voce. Era la voce del mostro dagli occhi di sangue.
Poi apparve vicino a me Renesmee con il viso concentrato e la mano sulla mia guancia. 
"Guarda" diceva.
E davanti a me appariva di nuovo il mostro, gli occhi rossi fissi su di me.
"Io non volevo farti male. Voglio solo capire"
Disse, poi si volatilizzò. E le figure divennero ombre e il bosco in cui mi trovavo si fece nero.
Aprii gli occhi di scatto. Mi trovavo ancora in quella casa che profumava di legna. Ero al sicuro.

 
NOTA DELL'AUTORE:
Devo ammettere che questo capitolo è stato un po' complicato da scrivere.
Ci sono cose che forse si possono capire, o che possono risultare assolutamente fuori luogo.
Nei prossimi capitoli verrano spiegate queste scene inspiegabili fino ad arrivare all'ultima verità.
Ditemi cosa ve ne pare, vi bastano pochi minuti e potreste aiutarmi a capire cosa volete dal continuo della storia. :)

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