A Hard Day's Night

di MrBadCath
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I told you once before ‘goodbye’, but I came back again. ***
Capitolo 2: *** And when I ask you to be mine... ***
Capitolo 3: *** I never realized what a kiss could be ***
Capitolo 4: *** I wanna be your man ***
Capitolo 5: *** It's been a hard day's night... And I've been working like a dog ***



Capitolo 1
*** I told you once before ‘goodbye’, but I came back again. ***


A HARD DAY’S NIGHT

 

CAPITOLO 1: I told you once before ‘goodbye’, but I came back again.

 

Era una bella giornata. George, Ringo e John stavano facendo un’abbondante colazione in vista del lavoro che li attendeva. Il primo, al solito, si stava strafogando.

«George, cos’è quella roba che hai nel piatto?» domandò Ringo, disgustato.

«Una frittatina di verdure o qualcosa del genere...» rispose il chitarrista, con la bocca piena e della roba impigliata tra i denti.

«No, credo che la roba verde siano squame di lucertola» disse John, seriamente, facendo sbiancare il batterista e soprattutto creando un senso di nausea nel chitarrista.

George si alzò per andare a vuotare il suo piatto nel cestino e, avvicinandosi alla vetrina, fu notato e naturalmente riconosciuto da una fan, che si mise a gridare come una scimmia urlatrice. La conseguenza fu che in meno di mezzo secondo avevano una folla smisurata alle calcagna.

I ragazzi iniziarono a correre, ormai erano vicini alla stazione, quindi non avrebbero dovuto impiegare molto per seminare i fan. Poco prima di entrare, però, George, un chitarrista con un umorismo tutto suo e una smisurata passione per qualsivoglia cibo, fece un capitombolo: Ringo, il batterista dal naso prorompente, gli cadde letteralmente addosso, suscitando il riso incontrollato di John, bizzarro e per molti tratti incompreso, decisamente una figura divertente, che si voltò indietro più volte e ognuna ritornava a guardare avanti con un sorriso più largo in viso. Controllava di quanto avevano distanziato la massa informe, se i suoi compagni ci fossero ancora e si assicurava che avessero tutti gli arti. George non si guardava mai indietro: dopotutto, l’ultima occasione in cui l’aveva fatto era stata quella in cui era caduto.

Attraversarono la strada e rapidamente si infilarono nella stazione, dove passare inosservati tra i passanti era più semplice: nascosti in tre cabine telefoniche, fingevano di parlare. Da destra mentre  George fingeva con il sopracciglio convinto, Ringo cercava di dissimulare, seppur spaventato dalla massa informe e incontrollata, e John parlava alla cornetta con non-chalance, con il suo sorrisetto strambo. Quando la folla fu passata, Ringo diede il segnale e con noncuranza i tre si allontanarono.

Disgraziatamente l’allegro gruppetto venne rintracciato dopo poco, e questo costrinse i tre Beatles a ricominciare la loro fuga attraverso un tortuoso percorso che li portò prima a scavalcare muretti e transenne, poi a fare un breve ma intenso viaggio sul carrello dei giornali,

Intanto, mentre Norman li attendeva e si rovesciava addosso il latte, i nostri lettori si staranno chiedendo che cosa stesse facendo Paul, ma non saremo noi a dirvelo...

 

Amelia era una ragazza sveglia, solo un po’ incasinata, o meglio, disorganizzata. Per dire la verità, la parola giusta per descriverla è sfigata.

Quel giorno si era recata alla stazione del treno perché aveva un colloquio di lavoro fuori città, IL colloquio di lavoro, quello più importante della sua vita: aspirava ad essere una giornalista da sempre, non poteva fallire.

Aveva realizzato troppo tardi che aveva bisogno di alcune foto da allegare al suo curriculum vitae e si era ridotta a farle in una macchinetta automatica all’ultimo minuto.

Si sedette sullo sgabello scomodo e piuttosto sporco con una certa riluttanza: quel tubino nero era il suo miglior vestito. Impettita, si sistemò di fronte alla camera e sorrise elegantemente: tutto sommato, era piuttosto bella. Aveva i capelli lunghi e biondi, cotonati al punto giusto, e due smeraldi al posto degli occhi, finemente incastonati nel viso e incorniciati da un sobrio disegno di trucco nero e leggero. Si mise in posa e aspettò che la macchinetta scattasse la foto... e la iella ancora una volta colpì.

Tre ragazzi dall’aspetto simile si precipitarono all’interno della cabina e tirarono rapidamente le tende: trovarsi in uno spazio così intimo con non uno, ma ben tre giovani non era esattamente una cosa conveniente per una ragazza single della sua età. La macchinetta scattò tre foto e lei si guardò intorno. Aveva la sensazione di aver già visto altrove i bell’imbusti, ma quando se ne rese conto, la fortuna di aver appena incontrato tre dei Beatles, nella iella, le parve paradossale.

«Ops!» esclamò John, l’ultimo arrivato. Aveva un’aria mortificata, ma non si capiva se stesse solo recitando o se gli dispiacesse davvero.

«Scusa!» disse Ringo. Il suo naso di certo era entrato in qualcuna delle foto. Il batterista seguì John e uscì di scatto dalla tendina e fu a sua volta seguito da George, che porse i suoi saluti ad Amelia voltandosi (rischiando così di inciampare di nuovo, pervaso dall’aura di iella della ragazza). Il chitarrista la salutò con la sua buffa voce nasale, enfatizzando il tutto con un gesto della mano:

«Ciao!»

Amelia guardò i tre correre via, prima che una folla di fan inferocite creasse uno spostamento d’aria tale da spettinarla. Rimase attonita di fronte ad un sì rapido svolgersi di eventi e, mentre ancora cercava di distinguere cosa fosse successo, per mettere a fuoco un ricordo così importante, forse unico nel suo genere, la macchinetta stampò le fotografie.

Nella prima Amelia era venuta bene, peccato che la messa a fuoco fosse tutta sul soggetto alle sue spalle, un George Harrison con un occhio aperto e uno semichiuso e una bocca che metteva in risalto un pezzo di qualcosa (qualsiasi cosa) incastonato nel suo sorriso, e tutto l’ecosistema che questo comprendeva. Non era esattamente il tipo di foto che si poteva trovare sulla prima pagina di una copertina di qualche rivista. La seconda era venuta molto mossa: Amelia, spaventata, si era voltata di scatto, George non era riconoscibile, in compenso era comparso un movimentato Ringo che non si capiva bene se si stesse scaccolando o cosa... la terza era troppo luminosa per essere descritta e compresa dall’occhio umano. Nella quarta John Lennon stava addirittura sorridendo!

Piuttosto soddisfatta, la ragazza ripose le foto nella sua borsa ed estrasse il portafogli per cercare altri spiccioli... ma li aveva finiti.

 

Intanto i ragazzi continuarono a correre, ma furono intercettati. Cercarono di fare un ultimo sprint fino al treno.

«Cavolo, ma non è possibile!» esclamò Kate a bassa voce, mentre imboccava il corridoio che conduceva al vagone ristorante, giusto in tempo per salvarsi da un’unica, enorme, ondata di ragazzine urlanti e isteriche. Amelia non era stata altrettanto fortunata: una volta uscita dalla cabina, un po’ intontita per ciò che era appena successo, fu trascinata via dalla mandria urlante e incontrollata e riuscì a salire sul treno per miracolo, visto che quello che doveva prendere in origine era di sicuro già partito. I Beatles erano decisamente dei bravi musicisti, senza dubbio dei bei ragazzi, ma non aveva senso impazzire così, e…

«Oh, perdincibacco» sussurrò Kate, lasciando poi le labbra leggermente socchiuse, mentre i suoi pensieri prima si erano persi e poi erano stati catturati da qualcosa di grande, verde, lucente.

Gli occhi di Paul McCartney e i suoi si erano incrociati proprio mentre lui si staccava un pizzetto e un paio di baffi sintetici che in teoria avrebbero dovuto renderlo anonimo, ed entrambi gli rimasero in mano. Quel ragazzo aveva delle ciglia meravigliosamente lunghe, gli occhi grandi ed espressivi, sì, insomma, c’era un motivo concreto e provato per cui le sue fan avevano deciso di impazzire all’improvviso.

Nel mentre, lui si chiedeva chi fosse quella ragazza, assorto in quei pochi attimi di sguardo; suo nonno lo tirò via frettoloso, quasi invidioso, ma in realtà stava cercando di salvare il suo nipotino famoso da una nuova ondata di fan sovraeccitate.

Ma… Chi era quella ragazza?

Paul non ne aveva idea, era consapevole solo di quanto fosse pronto a fare la sua conoscenza.

«Paulie! Vieni qui!»

Come non detto.

 

 

 

Note delle Autrici:

Salve a tutti :)

è la prima volta che ci proponiamo in questa sezione con una collaborazione, ma entrambe siamo vecchie frequentatrici con progetti solisti :D

Il primo capitolo richiede sempre qualche spiegazione, si sa. Questa storia segue in primo luogo la trama del film ‘A Hard Day’s Night’, come si può intuire dallo stesso titolo, anche se abbiamo dovuto fare dei tagli, in primo luogo perché pensiamo che la maggior parte di voi lo abbia visto e si annoierebbe a rileggerselo tutto scritto, e poi naturalmente per questioni di spazio.

Vorremmo dedicare questo lavoro e quello che seguirà alla nostra supporter numero uno, una persona che ci ha supportate sin dall’inizio della nostra collaborazione e che non si è mai persa un capitolo. Non faremo nomi perché sappiamo che è una persona molto timida e riservata, quindi faremo i cognomi (?): Way, questo lavoro è dedicato a te <3 speriamo che Amelia non deluda le tue aspettative! :)

Desclaimers: I Beatles e le loro canzoni non ci appartengono. Il film neanche. Amelia e Kate sono Original Characters quindi sotto nostro copyright. Tutto questo non è mai successo. Tutto questo non è a scopo di lucro. No copyright infringement intended.  (il titolo è una citazione di “I’ll be back” – The Beatles)

Speriamo che la fan fiction sia di vostro gradimento e vi auguriamo una buona lettura. Commenti di ogni tipo (?) sono ben accetti :) Ci divertiremo ad allegare ai capitoli screen tratte dal film, ma per maggiori contenuti extra riguardo alla storia potete dare un’occhiata alla nostra pagina di Facebook QUI  :D

 

MrBadCath (M&S).

 

MrBadGuy would like to thank: Innanzitutto vorrei ringraziare Snafu per avermi regalato due dei giorni più belli della mia vita. Dopo più di un anno di collaborazione, posso dire di essere sempre stata soddisfatta di aver intrapreso questo cammino, da cui è nata una grande amicizia. Siamo diventate quel che siamo anche attraverso quel che ci avete scritto e consigliato.

Vi ringrazio di cuore e spero che le nostre FF siano una retribuzione equa per l'affetto che ci date.

MrB.

 

Snafu would like to thank: i suoi diti medi, il dentista di George Harrison, il servizio scadente di Trenitalia per aver offerto la possibilità alle due autrici di usufruire di due ore in più per scrivere questo lavoro, MrBadGuy per completarla in questo lavoro, il Rock n’ Roll.

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Capitolo 2
*** And when I ask you to be mine... ***


A HARD DAY’S NIGHT

 

CAPITOLO 2: And when I ask you to be mine...

 

«Hey Paulie, chi è quell’anziano signore?» domandò la strana figura di John Lennon, rivolta all’amico.

«Mio nonno» spiegò il bassista, congiungendo le mani sul proprio addome.

«Non è possibile, io ho visto tuo nonno e…»

«È l’altro. Tutti abbiamo diritto a due nonni, e questo per me è il secondo.»

L’anziano guardava i quattro amici, vestiti tutti uguali, con lo stesso taglio di capelli, come se fossero degli alieni, con l’espressione crucciata e gli angoli della bocca tendevano verso il basso.

«Che uomo pulito...»

«Ah, non farti ingannare, è un vero diavolo, ci costa un sacco in cause legali!»

«E come mai hai deciso di portarlo con te?» Lennon già si rattristava per aver perso il suo aiuto nel conquistare ragazze, ma era troppo distratto dal vagare con la mente sulle curve di qualche ragazza, certo, sempre rammaricato che il suo compagno non avrebbe avuto le sue stesse possibilità, perché troppo impegnato a…

«Devo badare a lui.»

«Io bado a me stesso!» furono le uniche proprie parole con cui l’anziano signore si presentò.

«È questo che mi preoccupa...» confessò il giovane McCartney sovrappensiero.

Shake passò giusto per controllare che i quattro divi di Liverpool fossero ancora vivi e vegeti dopo “La caccia ai Beatles” gioco di cui si doveva svolgere il secondo tempo alla stazione in cui sarebbero arrivati, dove si prevedeva un grande afflusso di fan e conseguentemente di polizia.

«Salve! Ce l’avete fatta allora?» esordì l’uomo alto con il capello. Aveva un’aria non particolarmente brillante, ma sembrava simpatico.

«No.» John lo guardò serio.

Lui neanche provò a rispondergli, perché il cantante si sarebbe impegnato a disobbedire, in ogni caso.

«Ciao a tutti!» Norman teneva in mano una ventiquattrore «Per una volta cerchiamo di comportarci come dei cittadini rispettabili, non fate nulla di cui potrei pentirmi, soprattutto s… Lennon, mi stai scoltando?»

No, effettivamente il ragazzo stava facendo tutt’altro: cercava di capire dopo quanto tempo l’effervescenza della Coca Cola creasse dipendenza e assuefazione. Ah, l’umorismo inglese!

«Sei un suino!» esclamò sfrontato «Lo è o non lo è, George?»

«Oh, sì, lo è!» confermò il chitarrista, che stava naturalmente mangiando.

Il manager sospirò e riprese a parlare:

«Io e Shake andiamo a prenderci un caffè...»

«Anche io voglio un caffè!» l’anziano si alzò.

«E va bene nonnino, vieni con noi!»

I Beatles ebbero di nuovo compagnia: a entrare nel loro scompartimento fu un signore alto e massiccio, con una bombetta calcata sul capo, che appena possibile cominciò a polemizzare sulla regolarità con cui viaggiava su quel treno, sui suoi diritti… Cose che i quattro non ascoltarono davvero.

«Io ho fatto la guerra per voi altri!» esclamò poi l’uomo, adirato.

«E le dispiace che l’abbiamo vinta?» lo prese in giro Ringo, sporgendosi leggermente in avanti, per alzarsi dal sedile, Paul fece lo stesso.

«Andiamo a prenderci un caffè e lasciamo solo il colonnello» il bassista si mise a posto i pantaloni scuri e stretti, poi si avviò con gli altri.

Appena si chiusero la porta a vetri alle spalle, John ebbe un colpo di genio, e, con un’espressione degna di chi ha una paralisi facciale, si affacciò di nuovo; George, Ringo e Paul gli andarono dietro, con un’abilità che appartiene solo a chi ha passato anni in compagnia di una sagoma come Lennon:

«Hey, Mister! Can we have our ball back?»

Il passeggero all’interno li squadrò scocciato, poi girò di nuovo gli occhi sul giornale, su cui era scritto a caratteri cubitali, «I Beat…»

«F@$%! Mister!» si sentì bussare al finestrino, e, quando si girò, quei quattro mostriciattoli erano lì, che correvano e urlavano.

«I Beatles vanno a…» il rumore fastidioso dei tacchetti sul pavimento distolse il lettore, di nuovo, e, quando si girò in direzione della fonte del rumore, si vide il tipo con il naso grosso che veniva tenuto in orizzontale dagli altri tre buffoni.

«Ehy, non fatemi cadere...» li avvertì Ringo.

«Che te ne frega, tanto con gli ospedali tu ci sei molto amico!» Paul e John si sorrisero.

«Ma no, perché dovremmo? Tutto sommato sei uno dei batteristi più…» George, che con le mani sorreggeva le spalle del suo amico, lasciò la presa all’improvviso.

Quella ragazza la conosceva: era quella a cui aveva probabilmente rovinato irreversibilmente la giornata, (in realtà, c’era riuscito meglio di quanto immaginasse). Le sorrise, alzando un angolo delle labbra, lei dal canto suo spalancò gli occhi, aggrottò le sopracciglia.

«Sono curioso di vedere come sono venute le foto, sai?» cercò di attaccare bottone il chitarrista, dopo aver spalancato in un solo colpo la porta, facendo tremare il vetro.

«Semplicemente… Semplicemente meravigliose» la biondina cercò di sembrare convincente, ma nel suo tono di voce c’era troppa insicurezza, scaturita dall’orrendo ricordo dei denti di George nella foto. Si mise a ridere sotto i baffi, come una psicopatica, da sola...

«Ah sì?! Io sto andando a bere qualcosa, ti va di venire?»

«No, guarda, ti ringrazio, per come sta andando la giornata, come minimo, mi verserei addosso qualunque cosa mi venga offerta...»

«D’accordo.» sorrise George.

“Quell’essere è ancora lì!” urlò mentalmente Amelia, alla vista delle verdure impigliate tra i denti del chitarrista.

«Non mi scapperai, abbiamo ancora fin troppo tempo da passare sullo stesso treno.»

 

Il vagone ristorante non era particolarmente affollato. Ad attirare l'attenzione dell'unico gruppetto di passeggeri, c’era una giovane ragazza seduta a mescolare un mazzo di carte con abilità e rapidità. Proprio mentre i ragazzi entravano allargò le braccia con aria teatrale e posò le mani sul tavolo per farsi forza ed alzarsi in piedi:

«E ora, signori e signore...» annunciò Kate «Volete per caso provare a vincere ciò che avete perso? Non sarà facile, ma vi darò una possibilità!» sorrise amabilmente «Guardate bene queste tre carte: quelle nere perdono, quella rossa vince. Solo uno di voi potrà provare. Allora, chi si fa avanti?”

«Posso scommettere me stesso, ma se dovessi perdere saresti costretta a tenere anche me!» McCartney senior rise marpione, strizzò un occhio. Nel frattempo Norman e Shake volevano sotterrarsi dalla vergogna… Ma perché nessuno li aveva avvertiti?

«Accetto solo cash, nonno» rise canzonatoria la ragazzina, e lui si girò dall’altra parte.

In quel momento i quattro Favolosi fecero il loro ingresso, tutt’altro che elegante, visto che stavano ridendo senza ritegno:

«Cos’è questo silenzio?»

«L’avrei detto anche io prima del vostro arrivo, Lennon» osservò Norman, nervoso, mentre tirava delle lunghe boccate da un sigaro.

Ringo si avvicinò e li guardò, sinceramente preoccupato:

«Che succede? Non vi ho mai visto nervosi...»

«Il nonno ci ha provato con la croupier.» spiegò Shake, additando la ragazza che intratteneva il pubblico.

Paul lanciò uno sguardo distratto al tavolo, prima di riconoscerla e rimanerne incantato.

C’era qualcosa di differente in quel ragazza che sedeva con le gambe incrociate sulla poltroncina del treno, da sola, occupando il posto che in teoria sarebbe dovuto essere per due persone.

Forse era per via dei capelli, che invece di essere cotonati, erano ordinati in una coda tirata; o magari per i semplici… Forse a far apparire la giovane differente dalle altre, erano le carte da gioco smozzicate e ormai spiegazzate che maneggiava con mirabile maestria.

«Qualcuno dei Signori qui presenti ha voglia di farsi avanti?» riprese, visto che con il gioco delle tre carte tutto il pubblico si era scoraggiato.

«Avanti in cosa?» domandò Lennon, guizzando i sopraccigli all’unisono.

«Mi sembra ovvio! Una partita a poker! Ovviamente dobbiamo giocare con una piccola posta, giusto per rendere il tutto un po’ più… Piccante!»

«La ragazzina sa come divertirsi, eh?» sussurrò John a Paul, che però sembrava perso in un altro universo.

Mentre la partita si svolgeva, la signorina sorrideva: i denti bianchi (e soprattutto senza una piantagione ben annaffiata), venivano incorniciati dalle labbra rosse; gli occhi, strategicamente allungati con una linea di eye-liner, seguivano ogni passaggio della giocata.

Paul decise che era il caso di fare la sua puntata: la posta in gioco era alta.

«Signorina, gradirebbe lasciar perdere questi bacucchi per unirsi a me in privato per una partitella amichevole a strip-poker?»

Kate sbatté le palpebre allibita, domandandosi se era quello il modo di abbordare una signorina. Sarà stato anche Paul McCartney, ma in fatto di corteggiamento era un cavernicolo.

«No. Le spiegherò le mie motivazioni, comunque. Primo: non mi piace vincere facile. Secondo: se vincessi non ne trarrei nessun profitto.» Tutto il vagone scoppiò a ridere, compresi gli altri tre Fab, che avrebbero voluto manifestare la sua solidarietà all’amico, ma che erano troppo divertiti per potersi trattenere. «Ad ogni modo, se qualcuno di voi volesse tentare la fortuna ancora, stasera sarò al Circolo Le Cirque. Siete tutti invitati a raggiungermi, basterà dire il mio nome all’ingresso... e io sono Kate.» la ragazza sorrise, abbagliando tutti, in particolare il bassista.

‘Kate...’

 

 

 

 

 

Note delle Autrici:

Ci terremo a ringraziare per il caloroso responso al primo capitolo e per i vostri commenti gentilissimi! Cercheremo di non deludervi!

Aggiorneremo probabilmente tutti i giovedì :)

Intanto vi auguriamo un buon principio di anno nuovo!

 

MrBadCath (M&S)

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Capitolo 3
*** I never realized what a kiss could be ***


A HARD DAY’S NIGHT

 

CAPITOLO 3: I never realized what a kiss could be

 

Per un nanosecondo parve che tutto stesse andando liscio, sul treno, ma improvvisamente Norman e Shake si resero conto che il nonno di Paul ci stava mettendo un po’ troppo a tornare dal bagno. Il primo subito capì che non avrebbe dovuto sottovalutare gli avvertimenti del bassista, quindi, con il suo fidato compare si mise alla ricerca dell’anziano combinaguai. A metà del treno incontrarono i ragazzi, che si stavano appartando per fumare, e Paul, all’udire la notizia della scomparsa del nonno, naturalmente andò su tutte le furie. Lui e John andarono avanti, Norman e Shake tornarono indietro e Ringo e George si fermarono giusto il tempo di fumare una sigaretta.

«Che hai?» domandò il chitarrista, mentre si avvicinava a lui.

«È il nonno... Non gli sto simpatico, è perché sono piccolo...» rispose seccato l’altro.

«Nah, tu soffri un complesso di inferiorità! Dai, raggiungiamo gli altri...»

Intanto Paul e John stavano perlustrando tutti i vagoni palmo a palmo e avevano anche trovato il tempo di intrattenersi con un gruppo di studentesse che erano impazzite con un paio di parole dette da Lennon... e poi il rubacuori era McCartney! Continuarono il loro giro di perlustrazione e John si imbatté in Amelia, la ragazza della cabina delle foto.

«Ehy, ma tu non sei quella che è attratta dalla piantagione tra i denti di George?»

Lei lo guardò sconvolta, ma non ebbe modo di ribattere, poiché Paul lo tirò via: stavano per arrivare in stazione e non avevano tempo da perdere.

Amelia non seppe cosa rispondere all’osservazione di John, per tanti motivi.

Comunque, siccome non riusciva a evitare per bene i quattro musicisti, decise che sarebbe andata a darsi una sistemata nel bagno del treno; entrò timorosa, quasi trattenendo il respiro.

Aprì l’acqua, che ovviamente era più che congelata, quando la porta si aprì di nuovo, facendo sì che la ragazza si buttasse l’acqua addosso per lo spavento.

«G… George, che ci fai qui? » chiese, chiamandolo per nome come fanno le fan, anche se in realtà non si erano praticamente mai conosciuti.

«No, che ci fai tu qui, è il bagno degli uomini, quello delle donne è nel vagone successivo»  la ragazza sperò si sprofondare.

«E… E comunque… Non si bussa?»  cercò di sviare la colpa, mentre si tamponava i vestiti con un fazzolettino di carta.

«Qui dentro c’è talmente poco spazio che in due non ci stiamo!»  si lamentò George, mettendosi in ordine la giacca.

«Si chiama bagno pubblico» commentò Amelia mentre cercava di non strusciare troppo contro il chitarrista, più gli stava vicino più cercava di capire cosa fosse quella cosa in tasca contro cui in quel momento strusciava.

«Staremo più vicini, allora» la minacciò lui, con quella selva fra gli incisivi.

La ragazza accennò un sorriso, cercando di distogliere lo sguardo da quell’ecosistema con una vita a sé.

«Ho qualcosa fra i denti?»  il chitarrista stava per girarsi verso lo specchio e lei si sentì morire solo pensando alla situazione che sarebbe nata. George che tentava di cavare quella verdura, lei che lo avrebbe fissato basita.

Gli prese il viso fra le mani, di colpo, e lo baciò, quasi con foga, stupendo addirittura se stessa.

Dopo quell’incontro disordinato e confuso fra le due lingue, la creatura verde traslocò dalla bocca di George a quella di Amelia, ma lei neanche se ne accorse.

Sgattaiolò fuori dal bagno senza dire nulla, colta dalla vergogna, senza immaginare cosa alloggiasse all’interno della sua cavità orale.

 

Mentre tutto questo accadeva, John e Paul continuavano a setacciare il treno. Si trovarono di fronte ad una cabina di alta classe.

«Dovremmo controllare anche qui?» chiese il bassista, indicandola.

«No, probabilmente ci sarà una coppietta in luna di miele, o qualche dirigente, o qualcosa del genere...»

«Non m’importa. Allargherò i miei orizzonti ...»

Paul bussò e aprì la porta. Il nonno era accomodato insieme ad una signora e stava mangiando.

«Congratulatevi con me, ragazzi! Mi sono fidanzato!»

 

Una volta arrivati a destinazione, ognuno prese la sua strada.

I Fab dovettero inventare un’altra delle loro escamotage per sfuggire dalla masnada di fan che si era accalcata al binario. Tutti gli altri passeggeri subirono ritardi a causa dell’intasamento che la folla aveva creato: Kate e Amelia, ad esempio, persero l’autobus. La prima fu costretta, a malincuore, a prendere un taxi, mentre la seconda si convinse che, visto come stava andando la giornata, onde evitare incidenti stradali mortali, sarebbe stato meglio andare a piedi. Anche quella si rivelò una pessima idea: l’auto dei Fab le passò a fianco e la inondò con il fango di una pozza.

«Perché a me?!» domandò isterica, attirando l’attenzione dei passanti. Quello era solo l’inizio, visto che una folla di persone stava inseguendo la vettura e lei ne rimase inevitabilmente travolta.

L’attenzione della bella Kate, al sicuro nel suo taxi, fu attirata da grida e schiamazzi. Si voltò per guardare dal lunotto posteriore che cosa stesse succedendo e mentre lo faceva incrociò la faccetta simpatica e morbida di Paul McCartney, seduto sul sedile posteriore di un’altra auto che stava superando la sua.

‘Cavolo!’ pensò, e si spalmò sui sedili per non farsi vedere.

 

I Fab, tra una peripezia e l’altra, riuscirono ad arrivare in albergo e rilassarsi giusto per qualche istante. George era ossessionato dall’idea di dover essere lui a dormire con Ringo, russatore di professione, mentre Paul e John se la spassavano. La discussione era andata avanti a lungo, e sembrava non essere in procinto di concludersi nell’immediato.

«Io non russo» protestò Ringo entrando nel salotto della suite, con George al suo seguito.

«E invece sì!» replicò il chitarrista.

«Maddai… Paul, tu credi che io russi?»

Il signorino chiamato in causa si girò lentamente mentre le dita esercitavano sempre meno pressione sui tasti del pianoforte:

«Con un trombone come naso, mi stupirei del contrario...»

«Paulie!» lo richiamò il nonno, con tono vagamente serio, o irritato «Non è corretto sottolineare la mastodontica grandezza del suo naso… Poverino… Pensa alla sua povera testolina che deve sorreggere quella proboscide!»

I quattro sospirarono rassegnati, mentre il soggetto della discussione si osservava allo specchio, toccandosi il viso e il naso, quando vide uno degli altri tre che si infilava la giacca dopo essersi alzato dalla poltrona,

«John che stai facendo?»

«Usciamo, dai!» esclamò ansioso di varcare la soglia, non solo per divertirsi, ma per creare un po’ di scompiglio nella mente di Norman: era una guerra di nervi.

 

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Capitolo 4
*** I wanna be your man ***


A HARD DAY’S NIGHT

 

CAPITOLO 4: I wanna be your man

I ragazzi se la stavano spassando allegramente in una sala da ballo: mentre Ringo si faceva riconoscere in pista, aizzato da Paul che gli lanciava strani ed equivoci segnali dai posti a sedere, George cercava di rimorchiare con discrezione. John stava discorrendo con alcune persone in modo apparentemente civile.

Tutto fu interrotto dall’apparizione di Norman: sembrava talmente arrabbiato da poter esplodere da un momento all’altro, e John ci pensò, ma non gli piacque l’idea di avere delle budella di suino spalmate sul suo meraviglioso completo.

«Su ragazzi, si torna a casa!» esclamò.

«Su, Norm, tranquillo, ci siamo fatti solo una passeggiata...» lo tranquillizzò il diplomatico Paul, mettendogli una mano sulla spalla.

«Andiamo, teoricamente saremmo noi uomini a dover comandare sui maiali» osservò Lennon, tirando per un braccio Ringo, ancora impegnato a dimenarsi in pista.

George, in tutto questo, era troppo impegnato a mangiare tartine con le verdure (ahahahah) per interagire con delle forme non commestibili, quindi passò praticamente inosservato mentre i suoi amici tornavano in hotel; solo successivamente si accorse che Norman lo stava cercando con lo sguardo, perciò sgattaiolò fuori, cercando di non dare nell’occhio.

Ci riuscì.

In un battito di ciglia era a farsi un giro nei dintorni, da solo, o meglio, in compagnia di una sigaretta. Sul marciapiede opposto un gruppo di ragazze ridacchiavano una vicino all’altra, scherzavano ad alta voce, e, distratte, non notarono George, che si ritenne fortunato perché non avrebbe saputo come affrontare cinque o sei ragazzine fuori di senno.

Poco dietro quelle signorine, ve n’era un’altra che camminava con il soprabito calcato sulle spalle, una borsa e la testa bassa. Aveva un comportamento, impacciato e anonimo. Per miracolo, dato il buio e la stanchezza per la giornata non ancora conclusa, il ragazzo la riconobbe e si avvicinò.

«Che ci fai qui fuori, sola soletta?» azzardò facendo un mezzo sorriso.

«Se è una battuta da rimorchio, non ha funzionato» lo rimbeccò Amelia, infastidita. Non aveva riconosciuto la voce nasale ed era già pronta a colpirlo con la borsetta nel caso si fosse trattato di un malintenzionato.

«No, seriamente» George si fece serio, quasi offeso «Non è normale stare a quest’ora della notte a gironzolare… Da sola!» in quel momento si rese conto che la sua… amica? Conoscente? Insomma, lei, gli avrebbe potuto fare la stessa domanda, così continuò a parlare per non darle l’occasione di controbattere «Vuoi venire in Hotel con me?»

«D’accordo...» rispose la ragazza, dopo averlo guardato stupita e poi indignata… del resto non aveva alcun posto in cui alloggiare. Il colloquio era andato malissimo ed essendo arrivata in ritardo aveva perso il treno per tornare a casa.

«Questa era una battuta da rimorchio: ha funzionato!» osservò ad alta voce Harrison.

«Giusto perché è meglio stare nel tuo letto che dividere la panchina con un barbone, eh… Che poi ho i miei dubbi…»

I due si avviarono verso l’alloggio, e, incredibile ma vero, entrarono in una fitta e interessante discussione sulle patate al forno e broccoli ripassati in padella.

«Eccoci qui...» George sorrise. I suoi occhi erano illuminati dalle luci poste sulla facciata principale dell’hotel.

«Wow…!» sussurrò lei, incantata da tale lucentezza ed eleganza, mentre affondava il naso freddo dentro la sciarpa di lana beige e stringeva nelle mani la borsa da viaggio. Seguì il suo amico all’interno dell’edificio, impacciata.

Dopo la porta girevole, si apriva sfarzosa e raffinata la hall: le poltroncine di raso rosso in stile rococò avevano ai loro piedi una moquette color pastello che donava alla stanza una luminosità piuttosto delicata.

Ovviamente, Amelia, ebbe l’occasione di studiare il tutto da più vicino, e poté constatare che sotto alle poltrone non vi era nemmeno un grammo di polvere; il suo amico chitarrista la guardò imbarazzato, mentre l’aiutava ad alzarsi dopo una rovinosa caduta.

«Ma dove sei con la testa, mentre cammini?» esclamò, anche se doveva trattarsi di una domanda «Ho quasi pensato che ti fossi fatta male!» quasi?

«No… Io sto bene» rispose la ragazza, rossa in viso, ma almeno le porte dell’ascensore si chiusero, lasciandoli soli.

Si guardarono, senza saper che dirsi, ma quel vuoto fu subito colmato dall’unione delle loro labbra.

La passione cresceva velocemente e nessuno dei due osava staccarsi dall’altro; Amelia sentiva le gambe sempre più molli, tant’è che sentì il bisogno di poggiare la schiena alla parete, tirando a sé George.

Din-Don.

Le porte si aprirono fin troppo celermente e i due si trovarono davanti a tutti: John fece un sorriso enigmatico e perverso, diede una gomitata a Paul per farlo girare. Questo, quando vide i piccioncini, li guardò allibito per poi seguire il suo amico in una risata fragorosa.

«Be’? Non avevate fretta di cercare il nonno?» Norman entrò nell’ascensore peccaminoso, tirandosi dietro Shake.

«Il nonno è sparito di nuovo?» domandò George, mentre aiutava Amelia ad uscire. «Vengo ad aiutarvi! Tu puoi restare in camera... insomma, fai ciò che vuoi...» disse, porgendo le chiavi alla ragazza.

«Ok, grazie.» rispose lei, afferrandole e sparendo nel corridoio.

Tutti si pressarono all’interno dell’abitacolo e si apprestarono ad uscire di nuovo.

«It’s so hot in here» sussurrò Lennon, che dovette soffocare una risata.

«Smettetela! Non siate invidiosi se ancora non avete trovato ancora qualcosa di vivo in cui infilare le vostre perverse lingue… o altro!»

«Vedrai, un giorno o l’altro sistemeremo un paio di belle ragazze, vero Paulie?»

«Già...» rispose lui, con le mani nelle tasche, distratto.

Ancora non sapeva cosa lo aspettava.

«Avete qualche idea su dove potrebbe essere andato il nonno?» chiese l’ultimo arrivato.

«Al casinò, da Kate.»

 

Al casinò si respirava un’atmosfera di ostentata tranquillità, fino a che non arrivarono i Fab. Il buttafuori cercò di fermarli, ma invano.

«Siete in lista? Questo è un club privato...» domandò.

«Ringo Starr + il suo nasone» rispose ironicamente John, entrando senza badare ad altri encomi.

«Siamo con Kate...» rispose Paul.

Entrarono e si divisero, quel posto era enorme. Gli occhi del bassista furono magneticamente attirati da qualcosa che non era il nonno. La bella croupier che l’aveva pubblicamente rifiutato sul treno se ne stava dietro un tavolo del blackjack a fare le sue mosse. I suoi fluenti capelli erano ora tutti raccolti perfettamente dietro la nuca con una spilletta elegante. Indossava una camicetta bianca che stringeva nei punti giusti e un farfallino, poi un paio di pantaloni neri molto aderenti. Non vide le scarpe, ma non era molto importante. Il bassista pensò che chiedere a lei sarebbe stato un buon modo per iniziare le indagini… o un approccio.

«Mi scusi,» domandò cortesemente «ha mica visto un signore anziano con un’aria sospetta?»

Kate, che normalmente non si sarebbe fatta problemi a rispondergli a tono, di nuovo, era sul posto di lavoro, e quindi fu costretta ad essere cordiale.

«Credo che lei si stia riferendo al nostro cliente, il Signor McCartney.» la ragazza, che stava finendo il suo turno, si alzò da dietro il tavolo e indicò l’anziano signore che veniva portato via dai suoi amici. John lanciò un’occhiata a Paul e gli fece l’occhiolino: aveva il via libera e la copertura per rimorchiare un po’ senza dover badare al nonno.

«Finito il turno?» chiese il bassista.

«Sì, adesso me ne torno a casa...» rispose lei, avviandosi verso i camerini dei dipendenti.

«Ma... non ti lasci offrire neanche qualcosa da bere?» tentò lui.

«No.» replicò, chiudendosi la porta alle spalle. L’uomo stava per perdere ogni speranza, quando la ragazza tornò indietro e aggiunse «Al massimo puoi venire da me e ti offro qualcosa da bere io, visto che sono stata scorbutica con te!»

 

Per la strada i due parlarono del più e del meno, del lavoro di lei, del perché i Fab fossero in città, del tempo, dell’ecosistema protetto nella bocca di George, di quanto fosse romantica la luna. La casa di Kate era leggermente fuori città: si trattava di un bilocale arredato in modo spartano e Paul subito si meravigliò che una ragazza tanto graziosa dovesse abitare in una sottospecie di tugurio. Quella bruttura fu subito spazzata via dall’immagine della ragazza che si scioglieva i capelli e si liberava della giacca per lanciarla, insieme alla borsetta, su una sedia della cucina. I suo capelli ondeggiarono in un movimento così sensuale che il bassista si sentì morire.

«Accomodati pure» lo esortò lei, mentre prendeva un paio di bicchieri da una mensola scassata. L’uomo cercò di sembrare il meno impacciato possibile: tutto quel nervosismo non era da lui. La ragazza riempì i bicchieri, li afferrò e si diresse nell’altra stanza, proprio mentre lui si stava sedendo. Paul prontamente si alzò e scattò al suo seguito.

Si guardava intorno con circospetto, terrorizzato all’idea che qualche strana creatura che albergava in quella dimora potesse nasconderglisi del colletto della camicia... si parlava di insetti, insetti di ogni tipo.

«Lo so che non è il massimo, ma non navighiamo tutti nell’oro come voi!» commentò Kate, preoccupata dagli sguardi che l’uomo si lanciava intorno.

«Stavo solo pensando a quando i tempi non erano facili neanche per noi...» replicò lui, arrampicandosi sugli specchi. «Non nasciamo tutti ricchi...»

Kate annuì, trangugiò una sorsata di liquore e si tolse le scarpe per gettarsi a corpo libero sul letto. Invitò l’uomo a raggiungerla non tanto per malizia quanto perché non c’erano molti altri posti in cui accomodarsi, in quella casa. La ragazza continuava a fissare il soffitto, mentre Paul era terrorizzato all’idea di notare qualche ragno che si calava giù per il lampadario, sempre che quella lampadina che si calava per un filo potesse essere chiamata lampadario. Kate lo guardò ancora una volta: quella sua paranoia lo divertiva da morire.

«Mi sembra che tu sia un po’ teso...» commentò, mentre lui si voltava lentamente verso di lei per posarle un bacio sulle labbra. Avventurò le dita tra i bottoni che chiudevano la camicia e sussurrò, prima di baciarla di nuovo:

«Aiutami ad allentare la tensione, allora...»

 

 

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Capitolo 5
*** It's been a hard day's night... And I've been working like a dog ***


A HARD DAY'S NIGHT


CAPITOLO 5: It's been a hard day's night... And I've been working like a dog.

«Dai, George!» Shake poggiò la mano sullo spigolo del muro, di fronte allo specchio in cui le due figure maschili si riflettevano.
I due avevano interrotto John durante un bagno di bellezza, mentre sputava fuori dalla bocca qualche frase incomprensibile in tedesco, immerso completamente nella schiuma, fino alla testa.
Stava giocando con un sottomarino.
«… Non essere ridicolo» Harrison tirò fuori schiuma da barba e lametta.
«Avevi detto che avrei potuto!»
«Un uomo della tua età che non è in grado di radersi!»
«Non è colpa mia se in famiglia usavamo solo rasoi elettrici... Fra l'altro con quella borsetta così femminile fra le mani, non criticherei molto».
George si girò e gli lanciò un'occhiata ironica:

«Me l'ha data la ragazza che dorme nel mio letto» ammiccò, come se fosse l'unico a concludere qualcosa.
«Così puoi portarti uno spazzolino dietro per disboscar...»
«Ma cos'è questa storia degli alberi e della verdura? Ditemelo!»
«Lasciamo perdere» il roadie annuì convinto, mentre guardava il chitarrista armeggiare con gli attrezzi da uomini.
Dopo che ebbe tolto la copertura di sicurezza alla lametta, il musicista prese la schiuma da barba e la spremette sullo specchio.

«Comunque, non farai pratica su di me!» con uno sguardo attento la posizionò in modo che la faccia di Shake fosse perfettamente allineata con la linea bianca e spumosa.
«Rule Britannia, Britannia rules the...» intanto Lennon dava al momento una colonna sonora patriottica e a tratti nevrotica, i due lo ignorarono: era perfettamente nella norma.
«Metti via quella lingua. È disgustosa così rosea e nuda... Dovesse sfuggirmi il rasoio...» suonò quasi come una minaccia, detta da George, Norman tirò dentro la propria lingua con un lamento.
«ATTACCO! ARREMBAGGIO! ACQUA! AIUTO!» esclamò ad alta voce John, mentre si contorceva all'interno della vasca, schizzando acqua, sapone e schiuma di qua e di là.
«Silurato di nuovo?» gli altri due si erano girati verso di lui dapprima con un'espressione apprensiva, che poi cambiò in un sorriso quasi accondiscendente.
Norman irruppe all'interno del bagno (che già era piuttosto sovraffollato) senza nemmeno bussare: 
«Andiamo, la macchina che vi deve portare in studio è qui!»
«Bussi sempre così forte quando entri?»
«Hey, dov'è John?»
«Nella vasca».
«Dai Lennon, esci da lì» ordinò il manager guardando la vasca stracolma, ma del suo collega non vi era nemmeno traccia, almeno in superficie, perciò la stappò, ma man mano che l'acqua defluiva e la porcellana veniva messa a nudo, c'erano sempre meno possibilità che il bagnante fosse lì.
«John! John!» Norman fece un'espressione disperata, a metà fra “Oh, cavolo, ho appena perso il datore di lavoro che mi avrebbe riempito di soldi” e il “Dio mio, passerò dei guai per questo?”, ma proprio mentre i pensieri peggiori lo assalivano, il Beatle apparì, entrando nella stanza.
«Cosa fai con quella barca? Avanti, la macchina sta aspettando!» lo rimproverò John aggrottando le sopracciglia, come se non fosse successo niente. 

«George!» il ragazzo si sentì chiamato, perciò si girò «Amelia, dimmi... Vado di fretta...»
«Volevo solo chiederti il permesso di fare una telefonata dalla tua camera per prenotare un altro Hotel» sussurrò lei, quasi intimidita.
«Non devi, puoi rimanere quanto vuoi» sorrise rassicurante il musicista, allungandosi per afferrarle una mano.
Le posò un bacio sulla fronte fin troppo dolcemente, poi scappò via.

La folla era impazzita, naturalmente, ma stavolta almeno c’era meno gente di quanta ce n’era alla stazione il giorno prima. In più, Paul era misteriosamente scomparso, quindi le sue fan, che erano il 69% del totale, lo stavano probabilmente inseguendo da qualche altra parte della città.
Una volta raggiunta la sala, i ragazzi cercarono di temporeggiare, sperando che Paul fosse nei dintorni, ma niente, così furono spinti da Norman nelle fauci dei giornalisti. Non appena entrarono tutti iniziarono ad avvicinarsi per scattare foto e per essere i primi a fare domande.
Visto che Paul non c’era, tutti si fiondarono su John e George. All’inizio alcuni avevano pensato che anche Ringo potesse essere interessante, visto che John aveva dichiarato di aver notato il suo naso solo di recente, ma poi il batterista li aveva messi tutti in fuga con delle battute orribili. Il colmo fu  quando una giornalista gli chiese:
«Come vorresti che si vestissero le tue ragazze?»
Lui rispose con una fragorosa risata, che non presagiva niente di nuovo:
«... eheheheheh!»
Aveva riso talmente forte che l’aveva spettinata.
John se la stava cavando egregiamente, riuscendo a mettere in difficoltà chiunque:
«Dimmi, come avete trovato l’America?» aveva chiesto uno sventurato che non sapeva a cosa andava incontro.
Lennon riuscì a rimanere serio per una frazione di secondo, rispondendo:
«Svoltando a sinistra della Groenlandia.»
Poi scoppiò a ridere.
Allora fu il turno di una signora mora, non esattamente giovanissima, che tentò con una domanda personale:
«Hai degli hobby?»
John non aspettava altro. Afferrò il suo blocchetto e la penna e scrisse a lettere chiare, in uno stampatello preciso la parola TITS stando bene attento allo spelling e al pallino sulla I.
George invece puntava sul fascino del serio, che aveva già stregato la povera Amelia. Visto che aveva capito che anche la verdura nei denti aveva il suo perché, aveva deciso che era il caso di conservarla, sebbene nessuno sapesse come avesse fatto a procurarsela, visto che non era riuscito a toccare cibo. Stava deperendo praticamente a vista d’occhio. Il chitarrista era parecchio turbato da quei giornalisti da quattro soldi che facevano domande assurde del tipo:
«Il successo ha cambiato la tua vita?»
‘Certo che mi ha cambiato la vita, razza di...!!!!!!’
«Come chiamate quel taglio di capelli che avete?»
‘Ma secondo te ha un nome proprio?!?!’
«Arthur.».

«Vieni qui, sembri stressato» Kate tirò Paul per il colletto, avvicinandolo a sé, proprio dentro il bagno delle donne, che in realtà era deserto.
«Non è proprio rilassante essere tartassato di domande senza poter mangiare qualcosa» spiegò lui, poggiando i palmi delle mani sul marmo del lavandino, stringendo la ragazza fra sé e il mobile.
«Com’è che dici tu? Aiutami ad allentare la tensione?» sussurrò lei nel suo orecchio, mentre gli massaggiava le spalle e sfiorava le labbra contro il collo liscio del bassista, si mise a sedere sul mobile del bagno, arpionando le gambe ai suoi fianchi.
«E se dovesse entrare qualcuno?»
«Ho chiuso a chiave…»

«Scusate il ritardo» esordì McCartney, camminando davanti a Kate.
«Ma certo, tanto noi siamo tutti qui a grattarci le p...» John fece un sorriso sardonico, mentre imbracciava la sua fedele chitarra, seguito a ruota da George.
«Credo che mi farò da parte» accennò un sorriso Kate, spostandosi dietro le quinte.
Ringo stava mettendo a punto gli ultimi particolari per suonare al meglio la propria batteria, quando un fonico fece tentennare un piatto.
«Giù le mani» lo minacciò, guardandolo in cagnesco.
«Era solo una suonatina!» si giustificò l'altro, che aveva al collo un paio enorme di cuffie.
«Respiraci sopra e sono in sciopero» specificò il batterista, regolando l'altezza del charleston.
«Ci tiene molto alla sua batteria, ha un ruolo importante nella sua leggenda» spiegò George allo sconsolato tecnico del suono, che si allontanò silenziosamente.
«Che succede?» Paul alzò gli occhi verdi e grandi dal suo quattro corde, 
«Fa ancora il muso.»
«Ah! Ci penso io!» John sorrise e attaccò con If I fell, insomma, una ballata d'amore e promesse, suonata all'improvviso. Come avrebbe potuto non tirare su di morale Ringo?!
Durante la performance, furono montati, attorno ai Fab, una serie di amplificatori che sarebbero serviti successivamente. George, che indietreggiava senza pensare a che cosa avesse dietro, ne distrusse uno con un'enorme nonchalance. Si guardò intorno, cercando lo sguardo dei suoi amici, che però erano presi a suonare. Quindi, con disinvoltura, fece finta di niente.
Non appena il momento si mostrò opportuno e la canzone terminata, tutti fuggirono.
Si catapultarono fuori dall’uscita di sicurezza e finalmente poterono respirare libertà. Non che fino a quel momento non l’avessero fatto, ma l’etichetta poteva essere parecchio fastidiosa per dei tipi come loro.
Corsero a perdifiato giù per la tromba delle scale: Ringo apriva la fila, cercando di essere quando più svelto poteva, seguito da George, John, Paul e Kate. Arrivarono incolumi al piano terra, sul retro, che dava su uno spiazzo verde riempito in cui erano stati accatastati vecchi oggetti di scena. Il chitarrista si rallegrò del fatto che Amelia non fosse lì: se ci fosse stata, di certo non avrebbe perso l’occasione per inciampare e cadere, naturalmente.
Seguirono balli e giochi di gruppo sempre costellati da una sottile ironia. Ci furono momenti di indimenticabile divertimento, fino a che una voce tuonò alle loro spalle:

«Suppongo che vi rendiate conto che questa è proprietà privata!»
  

 

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