Black Rose

di Mistryss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ladro ***
Capitolo 2: *** Imbrogli ***
Capitolo 3: *** Via al furto! ***
Capitolo 4: *** Pessimi incontri ***
Capitolo 5: *** Giornate indaffarate ***
Capitolo 6: *** Piano B ***
Capitolo 7: *** Si va in scena ***
Capitolo 8: *** Piani per la festa ***
Capitolo 9: *** Il ballo ***
Capitolo 10: *** Una promessa invadente ***



Capitolo 1
*** Il ladro ***


Correva l'anno 1760 circa e fra i tetti di una città del paese di Arjanne, si aggirava una misteriosa figura nerovestita. Al suo inseguimento, le forze dell'ordine, che a differenza sua non correvano sui tetti, ma cercavano di prenderlo da sotto a colpi di fucile.

- Ahahahahah, cosa credete i fare da così lontano? Ormai dovreste saperlo che i vostri fucili non hanno effetto su di me; lo sapete che in qualche modo sbagliate tutti i colpi! - Disse correndo l'uomo in nero rivolto alla polizia che lo inseguiva.

- Fermati, dannato ladro!

All'improvviso, all'inseguimento dell'uomo in nero, apparì una ragazzina di tredici - quattordici anni circa, anche se, dato l'abbigliamento, poteva sembrare un ragazzo.

- Ancora tu, ragazzina?! Ma non ti stanchi mai d'inseguirmi?

- Per l'ennesima volta, mi chiamo Maria, non ragazzina! E no, finchè non sarò riuscita a fermarti e a consegnarti alla legge, non mi arrenderò!

- Ahahahah, sogna, sogna pure bella, perchè è ancora lontano il giorno in cui mi farò prendere da te! - Disse il ladro accellerando nella sua corsa.

Ma all'improvviso si arrestò quando arrivò in prossimità di un salto per lui troppo alto: era arrivato alla fine del tetto del palazzo su cui stava correndo, e gli altri erano troppo lontani per provare a saltare, perchè sbagliare sarebbe significato morire.

<< Ah! Sei con le spalle al muro, finalmente! >> Pensò trionfante la ragazzina quando notò che il suo obbiettivo era titubante.

<< Maledizione, che faccio ora? Se salto così, di sicuro finirei spappolato a terra, ma d'altro canto, se non salto verrò catturato e smascherato, e questo proprio non me lo posso permettere; soprattutto davanti a lei... >>

Questi e molti altri, erano i pensieri che tormentavano la mente dell'uomo.

 - Sei in trappola, arrenditi! - Gli intimò la ragazzina.

In tutta risposta, il ladro lanciò una veloce occhiata al baratro dietro di lui.

<< Non ho altra scelta, se voglio salvarmi devo sfruttare quel'invenzione. E' una follia, ma devo farlo! Per quei bambini, devo farlo! >>

Senza dire una singola parola, prese la rincorsa e si lanciò nel vuoto, lasciando di sasso sia la polizia che la ragazza.

- No!

La giovane cercò di prenderlo prima che cadesse, ma ormai era troppo tardi: si era buttato. All'improvviso però apparve davanti ai presenti messo supino, senza manco un graffio e senza toccare terra: volava.

- Ma cosa...

La ragazza osservò attentamente il suo avversario: si reggeva in volo grazie a delle aste attaccate a un telo (probabilmente il suo mantello visto che non lo aveva addosso), a cui era aggrappato, e sfruttava la potenza del vento di quella sera per non cadere.

- Ahahahah! Mi dispiace piccola Maria, ma pare che anche questa sera tu non ce l'abbia fatta! - Disse il ladro mentre volava via.

Maria arrivò fino al bordo del tetto, e osservò con rabbia la sua preda che fuggiva.

- Maledetto Black Rose, giuro che un giorno ti prenderò!!

 

Al chiarore lunare, il ladro arrestò finalmente il suo volo sopra il tetto di un vecchio edificio. Con poche abili mosse, penetrò dentro l'edificio passando da un lucernario scalcagnato, poi passò vicino a una porta scalcagnata e consumata dal tempo, e l'aprì: era una camera larga e molto semplice, sul pavimento erano buttati alla rinfusa pochi giocattoli, alcuni anche sotto la lunga fila di letti scricchiolanti dove giacevano addormentati molti bambini. Ancora un ultima occhiata a quei bambini, e poi si diresse verso il salone d'ingresso dell'orfanotrofio, dove posò a terra la sacca della refurtiva che a contatto con il pavimento, tintinnò.

- Sei di nuovo qui, eh? - Disse un'anziana suora, entrando nell'atrio.

- Ah, sorella Josephine, siete voi.

- Vieni sempre da noi a portarci i soldi, anche se noi non te lo abbiamo chiesto. Perchè lo fai?

Il ladro si voltò verso l'anziana suora, e le mostrò un grande sorriso.

- Perchè è qui che sono cresciuti due miei cari amici. Voglio che il luogo che ha permesso noi di incontrarci, offra questa possibilità a molti altri bambini e ragazzi, e se per fare in modo questo avvenga ci sarà bisogno di denaro, io ve lo porterò!

- Lo sai che l'orfanotrofio sarà abbattuto entro qualche mese, credi davvero di trovare tutti i soldi necessari per permettere invece di mantenerlo, quando anche la Chiesa ha subito rinunciato?

Il giovane prese le mani della donna e le strinse fra le sue.

- Fidatevi di me, ce la farò.

Detto questo, si diresse verso una finestra, e da quella passò in fretta e furia per scappare, senza però aver prima salutato i presenti. L'anziana donna si diresse alla finestra e vi si affacciò.

- Che tu sia benedetto, Black Rose! - Gridò la donna rivolta al ladro ormai lontano.

 

Dopo una lunga corsa, Black Rose arrivò davanti a un'imponente villa a tre piani. Con poche agili mosse, si issò lungo una rete di edera molto robusta, e raggiunse una finestra aperta al secondo piano, dalla quale entrò nella villa. Ma una volta dentro, non si diresse fuori dalla stanza in cui era entrato, bensì accese la luce, chiuse la finestra e si assicurò che fosse lo stesso anche per la porta. Dopodiché si levò il mantello e tolse da esso le aste che gli avevano permesso di volare, per poi riporle in uno scomparto segreto dell'armadio davanti a cui si era fermato, e dove aveva nel frattempo già posato il mantello e il suo cappello, facendo così ricadere sulle spalle i lunghi capelli biondo cenere, legati in una coda bassa che lasciava liberi solo i due ciuffi davanti leggermente mossi. Poi si sfilò la maschera nera che copriva la parte superiore del volto, e successivamente fu la volta degli abiti, anch'essi riposti nello stesso scomparto di prima.

Aveva appena messo via anche gli stivali, quando qualcuno bussò alla porta.

- Jean, sei sveglio? Posso entrare? - Chiese una voce femminile dall'altra parte della porta.

- Sì, entra pure, Maria.

Dalla porta, entrò la stessa ragazzina che poco prima inseguiva Black Rose. Il ragazzo la osservò un momento: i capelli, solitamente ben pettinati e puliti, erano tutti pieni di fango e sporcizia, e lo stesso valeva per gli abiti che indossava.

- Certo che sei proprio sporca stasera...ancora a dare la caccia a quel Black Rose? - Chiese lui con un sorrisetto divertito.

Lei non sospettava minimamente che lui fosse quel ladro, a cui dava così ostinatamente la caccia, e lui ovviamente non intendeva di certo dirglielo.

- Non è il caso di ridere Jean, quel maledetto ladro m'è scappato un'altra volta!

- Sai, non ho ancora capito perché ti ostini così tanto a dargli la caccia....

- Per il semplice fatto, che la polizia ha bisogno d'aiuto se non riesce a catturarlo da sola! E poi, direi che è anche il tipo di avversario che mi piace! Insomma, è un tipo che sfugge dalle grinfie piuttosto facilmente, e quella è una preda davvero succulenta per il mio spirito d'avventura! Poi, lui s'è accorto subito al primo scontro che a inseguirlo non era un ragazzo ma una ragazza, quindi direi che è un tipo sveglio...e la cosa mi piace! Inoltre, è sempre meglio dare la caccia a un ladro che passare il tempo spettegolando sui ragazzi o cercando qualcuno da sposare come fanno quelle noiose ochette che ci sono nella zona..

Jean guardò Maria con tenerezza. Era sempre una ragazzina molto esuberante nonostante fosse nata in una famiglia nobile, non aveva mai accettato davvero le restrizioni postele, perchè una ragazza, nè tantomeno accettato le regole del galateo e ora dimostrava questa sua risoluzione nel voler catturare Black Rose, era davvero incredibile.

- Fratellone, a che stai pensando? Ti vedo strano...

Jean si riprese di botto, era così immerso nei suoi pensieri che non aveva notato che intanto sua sorella era a pochi centimetri dalla sua faccia che lo osservava leggermente stupita.

- Ah! No, niente, niente di importante.

Data la vicinanza, il ragazzo potè notare alcune cose nella sorella che prima gli erano sfuggite: di norma, era sempre vitale, dinamica e in forma, ma quel giorno, anche se cercava di nasconderlo, ansimava, era pallida e sudata. Era ovvio che non stesse bene.

- Maria, sei piuttosto pallida e stai anche sudando...Stai bene?

La ragazzina gli lanciò un occhiataccia, evidentemente seccata che il fratello le avesse chiesto della sua salute.

- Sto benissimo! Non c'è bisogno che ti preoccupi...!

E dopo questa risposta scocciata, prese la porta e andò a letto senza dire più nulla. Jean la osservò allontanarsi, e lanciò un sospiro misto fra l'esasperato, il divertito e il preoccupato. Maria era cagionevole di salute da quando era piccola, per ciò facilmente si ammalava, anche se lei stessa si rifiutava di riposare o fare come le dicesse il medico, e non erano rare le volte in cui ancora mezza malata, se ne andava in giro in tutta tranquillità, facendo preoccupare tutti.

- Non cambierà mai...è talmente orgogliosa che non accetterebbe mai di farsi vedere che non sta bene...

 

Il mattino dopo, la vita trascorreva tranquilla, come se nulla fosse accaduto la sera precedente, e sia Jean che Maria facevano tranquillamente colazione nel salone dei ricevimenti come ogni mattina, seduti nel  lungo tavolo di mogano, quando il portone che introduceva alla stanza, si spalancò di colpo e fece il suo ingresso nella stanza un uomo sulla quarantina, dai capelli brizzolati e un'aria soddisfatta stampata in volto.

- Buon giorno, ragazzi. - Disse l'uomo rivolto  Jean e Maria.

- Buon giorno, padre. - Risposero in coro i due.

- Tra una settimana la contessa terrà una mostra per far vedere il suo ultimo acquisto: un diamante incastonato in un particolare ed elaborato supporto d'oro. Mi ha pregato vista la mia influenza, di aiutarla fino ad allora a tenere al sicuro il suo diamante, ma io ho molto altro lavoro di cui occuparmi, per cui vorrei che te ne occupassi tu al posto mio, Jean.

<<Un diamante, eh? L'obbiettivo ideale per il mio prossimo furto!>> Contate pure su di me, padre. - Rispose prontamente il ragazzo, attirato dall'idea del diamante.

- Bene, avviserò la contessa che prenderai il mio posto. Presentati da lei oggi pomeriggio, ti darà istruzioni lei su cosa fare.

- D'accordo.

E così fece il ragazzo quel pomeriggio. Arrivato al palazzo in cui viveva la contessa, venne ad aprirgli una donna grassoccia, che lo fece accomodare in un ampio salone con vari divanetti in legno e pelle rossiccia e alcuni mobili in legno nero. Jean aspettò quasi mezz'ora prima che la contessa si facesse viva. Era anche lei una donna grassoccia, portava i capelli castani e ricci raccolti in un'elegante crocchia che lasciava però scendere alcuni ciuffi riccioluti. Gli abiti erano molto sontuosi, e soprattutto, con un corpetto strettissimo, tanto che la contessa sembrava quasi più grassa di quello che in realtà era. Stranamente, non portava però quel neo che andava tanto in voga negli ultimi anni, nè la faccia enormemente incipriata. Evidentemente, come nella sua famiglia, queste cose doveva trovarle esagerate.

- Voi dovete essere il figlio del conte De la Rou, immagino. Vostro padre mi ha detto che vi ha addestrato personalmente nel combattimento, e che quindi siete molto bravo. Spero che non si sia sbagliato e che riusciate a fronteggiare qualsiasi ladro cerchi di rubare il mio prezioso diamante prima che venga esposto al pubblico.

Il giovane guardò leggermente dubbioso la contessa, incerto se parlare o no. Dopo qualche attimo di silenzio, Jean fece una domanda, che probabilmente avrebbe fatto chiunque al suo posto.

- Scusi, ma...non sarebbe il caso di chiedere alla polizia di sorvegliare la casa per evitare che qualcuno venga a rubare il diamante? Sì, forse bisognerebbe pagare, però...

- Questo è il punto mio caro ragazzo! Bisogna pagare! Non ho intenzione di sprecare il mio denaro per un gruppetto di gendarmi che probabilmente al posto di sorvegliare la casa, poltrirebbero in servizio!! No, preferisco affidarmi alla gente ricca e nobile come me, gente che si sa anche difendere e difendere ciò che è loro caro! Ma tornando al vostro compito, giovanotto... Il mio diamante è nascosto in una stanza segreta del mio palazzo, mentre verrà esposto al pubblico in questa stanza. - Disse la donna conducendo Jean in un'ampia stanza quadrata, spoglia e con due semplici finestre in legno che davano sulla strada.

- Il vostro compito sarà quello di sorvegliare il diamante sia nella camera segreta, che nella stanza in cui sarà esposto.

Il ragazzo cercò di memorizzare quanti più dettagli gli fosse possibile, non sapeva quando sarebbe potuto essere il momento migliore per rubare il diamante, per cui doveva prepararsi a tutto.

- Scusi, ma quando potrò vedere anche la stanza segreta di cui mi ha parlato?

- Oh, giusto, nella fretta di spiegarvi tutto, non mi sono ricordata di mostrarvela! Prego, da questa parte, giovanotto.

E così dicendo, la contessa lo condusse in un salottino, dove da una parete fece uscire una maniglia, che svelò un porta nascosta nel muro; la porta d'ingresso per la stanza segreta. Era una camera interna del palazzo, per cui era priva di qualsivoglia finestra e ciò rendeva l'aria molto pesante e chiusa. Rispetto alla stanza in cui sarebbe stata esposta la pietra, la camera segreta era ancora più spoglia: nell'altra c'era qualche tavolino agli angoli della stanza, in questa neanche quelli, c'era solo un piccolo tavolino su cui era custodito in una teca il diamante, effettivamente incastonato su un supporto dorato davvero vistoso. Non era chiaro a che cosa dovesse servire per l'esattezza dentro quel supporto, ma una cosa era certa: doveva valere davvero molto.

<< In pratica, pare che non ci sia alcun modo di entrare se non da quella porta... Eh, che lavoraccio che mi tocca! >>

Pensò Jean sconsolato all'idea di cercare un modo veloce e semplice di rubare l'oggetto.

- Vi lascio solo, ho alcune faccende da sbrigare. Se volete, potete controllare anche la stanza dell'esposizione, basta che non tocchiate nulla.

Il giovane ladro non se lo fece ripetere due volte; appena la donna uscì di casa, si mise a ispezionare ogni singolo angolo della casa in cerca di un qualche passaggio che gli permettesse di introdursi successivamente e rubare il gioiello, ma nulla.

 

Erano passati ormai tre giorni da quando aveva iniziato a lavorare a casa della contessa, e non era ancora riuscito a trovare un sistema per rubare il diamante, dato che a parte per brevi periodi di tempo, la contessa non lo lasciava mai solo. Era seccante fare la guardia a qualcosa che non poteva prendere. Stava facendo l'ennesimo controllo alla stanza dell'esposizione, quando seccato si appoggiò alla finestra, e per poco non la ruppe.

- Uah! Ma cosa...?

Jean guardò attentamente la finestra: mancavano alcune viti per tenerla ferma, per cui era instabile. Evidentemente non era una camera molto usata, per cui la padrona di casa non ci aveva fatto caso.

- Certo che sono poi stupido...come ho fatto a non notare che questa finestra era rotta? - Disse dandosi una leggera botta in fronte, come punizione per la mancanza.

Subitò pensò a come sfruttare la cosa: il giorno dell'esposizione, nella stanza segreta ci sarebbero state delle guardie, poichè alla fine la contessa aveva deciso sarebbero state presenti, per cui se ne sarebbe sbarazzato buttando giù la finestra della camera d'esposizione. Le guardie sarebbero accorse a controllare cosa fosse stato il rumore, e lui intanto sarebbe passato da un'altra finestra, si sarebbe introdotto nella camera segreta, e avrebbe rubato il diamante. Semplice. Il problema era solo attuare davvero il piano. Ma ora non aveva voglia di pensarci, gli bastava averne trovato uno; al resto ci avrebbe pensato poi.

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Capitolo 2
*** Imbrogli ***


Erano passati tre giorni da quando René aveva scoperto di Jean, e la vita aveva ripreso a trascorrere tranquilla. La febbre di Maria, data solo da un forte stress, era velocemente passata, mentre le ferite del giovane ladro stavano guarendo senza problemi, in fondo erano solo poco più che graffi.
Jean si stava tranquillamente rilassando nel cortile della villa, quando una voce lo chiamò.
- Hey, Jean!
Era Maria, che in abiti maschili, correva per raggiungere il fratello in giardino.
- Cosa c'è Maria? Com'è che sei di nuovo vestita da uomo?
La giovane raggiunse il ragazzo, e sfoggiò un sorrisetto per niente rassicurante.
- Jean, ti prego, continuiamo le lezioni di scherma!
- Cosa?! Ancora?!
- Sì, ti prego! Voglio riuscire ad arrivare al tuo livello e batterti!
- Sei proprio competitiva, eh? Va bene, iniziamo. - Disse Jean estraendo la spada - Allora...dov'eravamo rimasti l'ultima volta?
- Mi dovevi ancora insegnare le parate tanto per cominciare. Poi se non è chiedere troppo, vorrei anche imparare la finta...
- Una cosa alla volta! Allora, iniziamo con la parata. Dunque, come ben sai il concetto fondamentale della parata è quello di opporre il forte della propria lama, al debole della lama avversaria. La parate possono essere: di tasto, di ceduta e di sparizione di corpo. Le più importanti sono le otto di tasto di cui la prima, la quinta la sesta e l'ottava servono a parare non solo i colpi di punta, ma anche quelli di taglio. Le posizioni sono quelle che ti ho spiegato la scorsa volta, quindi non dovresti avere problemi. Ora, io ti attaccherò e tu dovrai metterti a parare nella prima posizione, d'accordo?
- Sì!
Maria entusiasta di ricominciare ad allenarsi, estrasse la sua spada, e quando vide il fratello venirle in contro per attaccare, subito si mise in posizione; ma si mosse troppo presto, e così la parata non ebbe effetto.
- Maria, ti sei messa in posa troppo presto! La parata dev'essere rapida e immediata, non puoi iniziare a pararti quando il tuo avversario è ancora lontano, perché in quel caso lui se ne accorge e cambia punto di attacco, rendendo così vana la tua parata! Avanti, riproviamo! - disse il ragazzo con tono di rimprovero.
I due riprovarono per alcune volte, e alla fine la giovane nobile riuscì a pararsi in tempo.
- Bene, ora passiamo alla quinta e alla sesta!
La ragazzina si mise in posizione, pronta a pararsi al momento giusto, ma quando il fratello iniziò ad attaccare, lei riuscì solo a pararsi nella sesta posizione.
- Ancora questo problema?! Concentrati! Riproviamo. - disse Jean rimettendosi in posizione.
Al terzo tentativo finalmente Maria riuscì a pararsi al momento giusto, ma per poco non colpì anche il fratello muovendo la spada.
Si allenarono per circa mezz'ora solo nelle parate, finché Maria, non iniziò a insistere per passare alla finta, il tipo di mossa da lei preferito.
- Ci tieni proprio a imparare tutto, eh? Va bene, va bene... Allora, la finta più comune è quella di Stoccata, la seconda è la Finta d'Imbroccata, poi c'è la Finta Doppia che può spiazzare l'avversario eludendone la difesa, ma può anche indurlo a ferirti. - spiegò con precisione il ragazzo.
Maria lo guardò con occhi sognanti, al solo sentire i nomi e le caratteristiche di quei movimenti per lei così forti.
- Mi faresti vedere per bene come si effettua una Finta Doppia? - chiese ancora con gli occhi che brillavano all'idea.
Jean sospirò un po' annoiato: possibile che fosse così dura insegnare scherma a qualcuno a cui interessa davvero?
- Va bene, va bene... allora....
Ma mentre stava per mettersi in posizione, sentì René chiamarlo.
- Padron Jean, signorina Maria! Mi dispiace dover interrompere il vostro allenamento di scherma - disse il servitore raggiungendo di corsa i due fratelli. - Ma vostro padre sta per arrivare, e non credo gli farebbe piacere vedere la propria figlia vestita da uomo mentre tira di scherma...
- Ah, accidenti, hai ragione René! Maria svelta, va' a lavarti e cambiarti, non deve sentire la puzza di sudore su di te, o potrebbe capire!
- Sì!
Immediatamente, la ragazzina sparì in casa, correndo su per le scale fino alla stanza da bagno, più veloce che poteva.
Poco dopo, la carrozza con a bordo monsieur De la Rou arrivò a destinazione, e l'uomo scese in tutta tranquillità, salutato all'ingresso del palazzo da tutta la servitù. Ma egli non era solo: infatti, poco dopo di lui dalla carrozza scese un altro uomo, vestito di tutto punto. Doveva trattarsi di qualcuno di importante.
- Ben tornato, padre. - disse Jean entrando dalla porta che dava sul giardino. - E buon giorno, monsieur...
- Parveau, sono il duca De Parveau - precisò l'uomo
- Piacere, duca De Parveau - disse Jean porgendogli la mano, che questi elegantemente strinse.
- Jean, hai idea di dove sia tua sorella? - chiese poi monsieur De la Rou.
- Sì, padre. E' al piano di sopra, si stava facendo il bagno perché voleva rilassarsi.
- Capisco, allora credo non sia il caso di andare apposta a presentarle l'ospite.
- Immagino di sì.
Il conte De la Rou seguito dal suo ospite si diresse verso una stanza il cui arredamento era composto da una scrivania di legno nero, una libreria antica e alcune poltrone rosse: si trattava dello studio.
- Jean, io e il duca dobbiamo sistemare alcune cose di lavoro. Quindi, che nessuno ci disturbi.
Detto questo, i due si chiusero dietro le due porte in legno massiccio che facevano da ingresso allo studio. Jean rimase un momento a guardare stupito la porta: non s'aspettava così tanta segretezza per un lavoro, ma se suo padre voleva così, un motivo doveva esserci, per cui decise di non porsi domande e se ne andò per i fatti suoi, anche se quel comportamento un po' lo insospettiva.
Un’oretta dopo, il giovane era nuovamente nei pressi dello studio del padre, e ripensando allo strano comportamento avuto prima quest’ultimo, si avvicinò alla porta dell’ufficio, e ne approfittò per origliare la discussione in corso fra suo padre e l'ospite:
- Spiegatemi un po', come avete fatto a ingannare quel poveraccio? - stava chiedendo il padre del ragazzo.
Quella frase catturò l'attenzione del giovane Jean, che si appiattì contro la porta per sentire meglio.
- Ah! E' stato molto ma molto facile, sapete? La gente dovrebbe imparare a fidarsi di meno... Dato che non sa quasi leggere, mi sono finto molto cortese, e mi sono offerto di leggergli personalmente il contratto. Peccato che gliel'abbia letto come LUI voleva sentirlo leggere, per cui c'è cascato come un pollo! Ora me lo dovrà dare gratuitamente, invece che a 10000 franchi come gli avevo detto! Mai fatto imbroglio più facile prima d'ora! - diceva sghignazzando monsieur De Parveau.
- Ma ditemi di più! Voglio sapere amico mio! Questo contadinello truffato, lo sa ora che gli toccherà sottostare completamente al contratto, e che quindi è stato imbrogliato?
- Beh, effettivamente sì. Più di una volta è venuto da me a supplicarmi di rinunciare al contratto, ma io non ci penso nemmeno! D'altronde, come potrei mai farmi sfuggire una preda così succulenta? Manco quel ladro là, quel Rosa Nera o come si chiama, potrebbe fare meglio di così! In confronto a me, il mago delle truffe, lui è solo un novellino!
- Allora, per quando è prevista la messa in atto del contratto, e di conseguenza la truffa?
- Vediamo...se ben ricordo, dovrebbe essere la prossima settimana.. – de Parveau ridacchiò appena. –Sarà un piacere toglierglielo dalle mani!
- Duca, siete davvero crudele! – affermò monsieur De la Rou ridendo.
Dall'altra parte della porta dello studio, Jean furioso strinse i pugni, e se ne andò: aveva sentito abbastanza e non intendeva indugiare lì oltre. Furioso come non mai salì le scale di legno che dal'atrio davano al piano superiore, diretto alla sua camera, quando lungo il corridoio incontrò l'amico e servitore René, che dopo una breve occhiata capì che qualcosa non andava, e decise di fermarlo.
- Padron Jean, che vi succede? Sembrate piuttosto adirato, posso saperne la causa? - chiese piuttosto preoccupato.
Il giovane nobile tremava dalla rabbia, faticava a trattenersi, ma ancora per un momento rimase calmo e si rivolse all'amico.
- Seguimi in camera mia, lì ti spiegherò tutto.
Il fedele servitore obbedì senza fiatare, sperando che poi l'amico gli avrebbe rivelato tutto.
Quando finalmente arrivarono nella stanza di Jean, quest'ultimo chiuse con molta attenzione la porta, controllando che nessuno lo potesse vedere e mettersi così a origliare. Poi finalmente si rivolse al suo fido confidente.
- Sono....sono stufo di questi nobili, di questa gente subdola, priva di scrupoli, che si arricchisce a discapito della povera gente che è felice di avere anche solo dieci franchi per potersi comprare un tozzo di pane e un po' di formaggio! Questi nobili, mio padre compreso, sono così sporchi, così...così marci, perché anche loro fanno parte del marciume di questa città, di questo paese corrotto e disperato! René, io non ce la faccio più di vivere accanto a gente simile, non ne posso più di vedere questi nobili che ridono e che scherzano sulle disgrazie altrui! - disse furioso tirando un pugno al muro.
- Padrone, scusate ma, non capisco che cosa sia successo esattamente...Parlate tanto di marciume, ma non capisco a cosa vi riferiate di preciso. – disse il servitore, piuttosto confuso.
- Hai ragione, scusa. Ho parlato dando solo voce alla mia rabbia, e non ti ho spiegato la situazione. Il fatto è, che ho sentito mio padre e il suo ospite, chiacchierare allegramente riguardo una truffa commessa da quest'ultimo a danno di un pover'uomo. Ho sentito...ho sentito che il duca si vuole appropriare gratuitamente di un determinato oggetto, che non hanno menzionato, quando aveva detto al suo legittimo proprietario che lo avrebbe pagato diecimila franchi! E il peggio non è la truffa, ma il fatto che questi ci rida sopra, e sia felice di truffarlo e non aspetti altro di vedere la faccia dell'uomo che ha truffato! Mi fa rabbia, ho una gran voglia di scappare da questo mondo sporco e corrotto! Ma anche il desiderio di fare qualcosa per queste persone che non sanno evitare i giochetti dei nobili..
- Se è questo che volete, perché non lasciate che ci pensi Black Rose? Per lui cosa volete che sia rubare un contratto? - disse René lanciando al padrone uno sguardo d'intesa.
Jean rimase in un primo momento perplesso dalla proposta inaspettatamente fattagli dal'amico, ma poi sfoderò un sorriso a trentadue denti pieno di gratitudine per l'idea, come al solito, René era l’unico su cui potesse fare affidamento riguardo questioni simili.
Quella stessa sera, il conte De la Rou comunicò alla famiglia che il duca si sarebbe trattenuto da loro un altro giorno per alcune faccende di lavoro, evidentemente si trattava della truffa. Nessuno ebbe obiezioni in proposito.
 
Il giorno dopo, il giovane nobile si avvicinò nuovamente alla porta dello studio per ascoltare nuovamente le conversazioni fra il padre e l'ospite, nella speranza di ottenere qualche informazione in più su dove stesse l'uomo truffato, e su chi fosse. Ed effettivamente, i due stavano nuovamente parlando della truffa.
- Ma effettivamente quanto dovrebbe valere quell'oggetto? - stava chiedendo monsieur De la Rou
-  Come minimo almeno centomila franchi, forse anche più.
- Sarei interessato a vederlo, sapete? Da come me lo avete descritto, quell'oggetto sembra piuttosto costoso...mi chiedo come uno di così basso rango lo possa avere con sè...
- Credo che in un lontano passato un qualche suo parente fosse di ricca famiglia, che poi è arrivata a impoverirsi fino al livello attuale. Anche perché la zona in cui abita fino a cent'anni fa era una zona borghese, ma poi con l'ultima guerra come ben sapete, quel posto si è ridotto a un mucchio di case mezze fatiscenti, o comunque senza più valore.
- Già... quale casa avete detto che è?
- Ah! E' impossibile non riconoscerla: è una casa a due piani su un azzurro spento, con delle strisce gialle vicino alla porta, e vari pezzi di vernice scrostati dalle pareti. Quel tizio è così squattrinato che non può fare altro che lasciare cadere in rovina quella casa!
- Ahah, direi che avete ragione duca! Oh, non ve l'ho chiesto: gradite qualche liquore da bere?
Il giovane si ritrasse facendo il più possibile attenzione a non attirare l'attenzione, ma nonostante ciò, riuscì ad andare a sbattere contro un vaso di bronzo messo vicino alla porta dello studio, facendolo così cadere e quindi notare che qualcuno ascoltava la conversazione fra i due nobiluomini.
<< È la seconda volta che ho questa sgradevole sensazione, come se qualcuno ci stesse spiando... E a quanto pare, avevo ragione, fino a poco fa eravamo spiati...ma da chi? >> si domandò monsieur De la Rou.
Istintivamente provò a guardare fuori dalla porta se poteva ancora scorgere qualcuno in atteggiamenti sospetti, ma ormai era troppo tardi, Jean s'era già allontanato.
 
Molti minuti dopo, il giovane nobile camminava a passo deciso lungo i sobborghi della città, in quella che era la zona popolare, piena di vecchie case in rovina e gente disperata che soffriva. L'atmosfera era grigia, cupa, soprattutto a causa del degrado che accompagnava lo sguardo il ragazzo lungo la strada e il tempo da pioggia. Nonostante fosse uscito di casa da solo una mezz'oretta, sperava di arrivare in fretta a destinazione, preoccupato che qualcuno potesse riconoscerlo e fra chiacchiere varie, facesse sapere in giro che si trovava nel quartiere popolare della città, cosa che un nobile non avrebbe mai dovuto fare.
Camminò a lungo, ma alla fine riuscì a raggiungere la casa. Era proprio come aveva sentito: vecchia, cadente e scolorita, oltre che decisamente più piccola di una attuale da nobile. Lentamente aprì il cancelletto che faceva da ingresso all'abitazione, messa in mezzo un piccolo praticello ingiallito in alcuni punti, e morto in altri, e si diresse al vero ingresso della casa: una vecchia porta di legno mezzo marcio. Lentamente bussò alla porta, sperando che il padrone di casa venisse in fretta ad aprire, e così fece: era un uomo pallido e smunto, dall'aria stanca e sciupata; il volto era scavato e scure occhiaie contornavano il suo viso. Evidentemente, da qualche tempo faceva le ore piccole, preso da chissà quale cosa.
- Desiderate? - chiese l'uomo che aveva aperto poco la porta, giusto quel tanto necessario per vedere chi fosse l'individuo.
- Salve, sono stato informato di una truffa che vogliono commettere a suo danno, e che però lei non è ancora riuscito a impedire. Me ne può parlare, per cortesia? Sono un gendarme, la vorrei aiutare.
- E perché non indossa la divisa? - domandò sospettoso l'uomo; ma il ragazzo aveva previsto una domanda simile, e aveva una risposta pronta.
- Molto semplicemente perché oggi non sarei in servizio, ma dato che passeggiando sono capitato da queste parti, ho deciso di venire a chiederle di questa truffa.
L'uomo pensò un momento alle parole del giovane, indeciso se credergli o no. Alla fine, parve convincersi, poiché permise a Jean di entrare in casa, aprendogli la porta.
L'interno della casa era ancora più scalcagnato che l'esterno: crepe nei muri, parti di pavimento distrutte che lasciavano scoperta la ruvida pietra, pareti ormai annerite dal tempo e con l'intonaco cadente. Il giovane si guardò intorno piuttosto stupito, poiché era per lui strano trovare una casa grande così mal ridotta.
- Prego, da questa parte. - disse l'uomo incamminandosi stancamente in una piccola stanza con un tavolo sgangherato, per poi con una candela accendere la luce in quella stanza.
- Allora, mi racconterete cos'è successo? Come è stata effettuata questa truffa, e che cosa vi vogliono portare via?
- Sì, vi dirò tutto. Spero che voi riferirete tutto ai vostri superiori e farete così mettere a morte questo individuo!
- Giustizia sarà fatta, si fidi.
- Bene. Tutto è cominciato circa un mese fa: in quel periodo ero praticamente senza soldi, e disperato. Un mio amico mi ha allora consigliato di rivolgermi al duca De Parveau, per contrattare con un intenditore il prezzo di un oggetto di grande valore, che appartiene alla mia famiglia da quattro generazioni: una collana d'oro con incastonato un piccolo zaffiro al centro. È la nostra ultima ricchezza; è stata salvata e conservata con molta fatica. Fino ad ora la mia famiglia è riuscita a cavarsela in un modo o nell'altro, e a sopravvivere nonostante la povertà. Ma ora sono rimasto l'ultimo e le persone che per anni ci hanno aiutate sono morte, mentre io mi sono ritrovato in rovina e l'unico modo per poter continuare a vivere era vendere la collana: dato che è di valore, il ricavato potrebbe bastarmi per quasi tutta la vita. Quando il mio amico mi ha parlato del duca, ho creduto che fosse la risposta ai miei problemi, visto che un nobile di certo capirebbe il valore esatto del gioiello. Così mi sono recato da costui, sperando che mi potesse davvero aiutare. Quando ho parlato del gioiello sono stato subito ricevuto, e s'è anche dimostrato molto gentile e ben disposto nei miei confronti... Dopo avergli mostrato la collana, mi ha detto che più o meno almeno diecimila franchi li valeva, così mi ha proposto di venderla a lui, e io come uno sciocco ho accettato. Ha voluto che la vendita avvenisse attraverso un contratto, e mi ha convinto a tornare da lui il giorno dopo, in modo che in presenza di un notaio potessimo stipulare un contratto regolare, e così è stato.
Jean, che fino a quel momento mentre ascoltava fingeva di prendere appunti, guardò per un momento piuttosto perplesso l'uomo.
- Scusi se glielo dico così, ma normalmente non servono contratti per acquisti di questo tipo, fra privati cittadini...
- Cosa?! Addirittura?! Io sono povero, non so né leggere né scrivere, non sono mai stato istruito, non sapevo nulla di tutto ciò. – spiegò affranto per poi sbuffare leggermente. - Grandioso, quindi sono stato doppiamente imbrogliato!
- Già... ma prego, continuate pure il racconto.
- D'accordo. Il duca mi ha dato una copia del contratto perché diceva che era la procedura da seguire, dato che la collana l'avrebbe comprata un’altra volta perché in quel momento non poteva. Alcuni giorni dopo ho mostrato il contratto al mio amico, che l'ha voluto leggere. A differenza mia lui non è analfabeta e ha voluto leggermi ad alta voce il contratto: secondo quel contratto, io cedevo al duca De Parveau la collana senza ricevere in cambio nessun pagamento! Ho provato più volte a convincerlo a cambiare idea, ma non mi ha mai voluto ascoltare e ora sono rovinato! - concluse disperato l'uomo.
- Capisco signore, ora che ho ricevuto la vostra testimonianza, potrò far arrestare quell'uomo. Ma prima vorrei che mi diceste dove abita, in modo da poterlo sorprendere alla fine senza dargli il tempo di scappare da qualche parte.
- Oh, certo: abita nel quartiere a sud, al palazzo numero cinque. Non potete sbagliarvi: è una casa di un leggero color pesca e un portone esageratamente decorato. Si vede proprio che ama mettersi in mostra quel farabutto!
- Già...ora scusate, devo andare. - tagliò corto il giovane.
- Certo, certo, prego.
Jean lentamente si alzò e con sguardo serio si diresse alla porta, pronto per poter lasciare quella buia casa.
<< Mi dispiace, ma non andrò davvero alla polizia. Se dicessi loro di ciò, il duca li pagherebbe per stare zitti....dovrò agire a modo mio. >> pensò più determinato che mai.
 
La sera chiuse la porta della sua camera a chiave ed indossò i panni di Black Rose. Uscì dalla finestra, si arrampicò sul tetto, e si diresse verso il palazzo del duca. Sfortunatamente proprio poche ore prima era rincasato, e rare volte lasciava la sua casa di sera, per cui se non entrava in quel momento, avrebbe avuto solo altri cinque/sei giorni per poter provare, quindi era meglio iniziare quel giorno stesso; almeno se si falliva una volta aveva ancora possibilità di tentare.
Velocemente dal tetto si avvicinò a una delle finestre da cui non proveniva alcuna luce, segno che non c'era nessuno lì dentro, e tirando fuori una stecca di ferro, riuscì ad aprirla e infilarsi dentro. Era ormai abituato a guardare in giro anche solo illuminato dalla luna, per cui riuscì a capire discretamente a cosa servisse quella stanza: c'era un caminetto e vari divanetti, doveva essere un salotto, poiché non presentava la minima scrivania o un posto dove poter tenere le carte. Dato che non era la stanza che gli interessava, velocemente sgattaiolò in quella affianco, trovando però solo una stanza per gli ospiti, e in quella accanto ancora, semplicemente il bagno. Scocciato il ragazzo continuò a girare per circa venti minuti per tutto il piano, finché, proprio quando stava per entrare in una delle ultime stanze, sentì una voce provenire dalle scale.
- Philip, voglio che il bagno sia caldo, capito? Caldo! Ma mi raccomando: non bollente. Mi trovi nel solito posto, chiamami quando sarà pronto.
Era il duca, che assieme a un servitore stava salendo al piano superiore. Velocemente Jean si nascose dentro una stanza che aveva già visitato, in modo da non rischiare di farsi scoprire, mentre il duca entrò in una di quelle che non era ancora riuscito ad aprire. Avrebbe voluto tornare alle porte restanti per scoprire quale era quella dello studio, ma presto ci fu un continuo via vai di servi, tutti occupati insieme a quello che era salito con il duca, a preparare il bagno per il loro signore, e le poche porte che era riuscito a raggiungere erano chiuse a chiave. Non poteva certo perdere tempo a scassinarle, serviva il passepartout, e quello poteva averlo solo il capo della servitù nelle sue stanze. Attese che il corridoio si liberasse, poi velocemente corse alle scale e da lì facendo attenzione che non arrivassero altri servi, scese fino al primo piano, dove evidentemente vi era il salone dei ricevimenti, le cucine e le stanze dei servitori. Sostanzialmente il pian terreno era in parte simile al secondo, ma anche piuttosto diverso: dal portone di ingresso ci si affacciava all'atrio della villa, simile a una piazza circolare tutta bianca, con alla sua destra e alla sua sinistra, due porte: una, quella destra, era in legno chiaro riccamente decorata e doveva portare probabilmente al salone per i ricevimenti e i balli, mentre quella a sinistra, era più semplice e fatta di semplice vetro con il contorno di legno; dato che poco prima aveva visto un giardino, quella doveva condurre lì. Dall'altra parte della stanza, si trovava la scala di pietra bianca da cui era sceso Jean, mentre a fianco a essa, un lungo corridoio buio, lungo il quale si affacciavano una numerosa serie di stanze, ordinate nello stesso modo che al piano superiore: quella era la zona della servitù. Cercando di essere il più silenzioso possibile, si addentrò nel corridoio, ispezionando di stanza in stanza alla ricerca di qualcosa che potesse indicare la camera che cercava. Trovò le cucine, la lavanderia, alcune camere da letto dei domestici, ma nessuna traccia della stanza del capo della servitù.
<< Maledizione, ma quante stanze ha questo piano?! Di questo passo non troverò mai! >>
Continuando a cercare, s'imbatté in una piccola stanza più spoglia delle altre, all'apparenza piuttosto insignificante e certo che fosse nuovamente la stanza sbagliata, fece per andarsene, ma mentre usciva dalla stanza, con la coda dell'occhio vide qualcosa luccicare sulla parete accanto a lui, così si volse e osservò meglio: era piena di piccoli ganci su cui erano appese varie chiavi, tutte con l'impugnatura uguale, o meglio, tutte tranne una, la cui forma era assai più semplice ma con una lama più elaborata che sembrava comprendere tutte le altre lame: era il passepartout. Felice per il colpo di fortuna, Jean velocemente prese la chiave, e si diresse alle scale, ma proprio quando aveva raggiunto le stanze al secondo piano che erano ancora chiuse, sentì le voci dei servi che tornavano alle loro stanze dopo aver finito di eseguire i compiti affidati loro dal capo. Avrebbe voluto aspettare che se ne tornassero al loro posto, ma erano in molti, per cui ci sarebbe voluto parecchio tempo, e come se non bastasse, dal primo piano ne stavano salendo altri che borbottavano fra di loro qualcosa sul fatto che avevano scordato al piano superiore un oggetto che se il duca avesse visto, avrebbe potuto sbatterli fuori dalla magione all'istante. Il giovane ladro si ritrovò così pressoché intrappolato da due lati, senza più possibilità di portare a compimento il lavoro iniziato. L'unica scelta per quella notte, era fuggire e tentare la volta successiva, e così, raggiungendo la finestra, nuovamente si arrampicò sul tetto della villa, per poi andarsene da quella casa. Ma di sfuggita riuscì a vedere un dettaglio che per la volta successiva gli sarebbe potuto tornare utile: il duca possedeva dei cavalli.
 
Il mattino seguente, Jean stava studiando in ogni modo un buon sistema per trascinare fuori di casa il duca quella notte, in modo che non potesse mettersi a dare improvvisi ordini ai suoi servi facendoli così vagare per la casa proprio quando lui non doveva farsi beccare. Fortunatamente quel giorno era Sabato, e il suo precettore veniva solo dal Lunedì al Venerdì, di conseguenza aveva tutto il tempo che voleva per pensare ogni cosa in dettaglio. Per prepararsi al meglio per quella sera, tracciò una mappa abbozzata della casa del duca, segnando con una croce tutte le stanze già visitate, in modo da non perdere tempo una volta arrivato a destinazione. La casa era grandicella, ma in sostanza piuttosto regolare, senza vari corridoi dove perdersi, stanze segrete o altro, per cui era anche facile muoversi al suo interno anche per chi non vi era mai stato prima. Ma il problema principale non era come muoversi nella casa, ma come attirare fuori il padrone in modo da lavorare indisturbato. Aveva sentito dire dal padre che il duca aveva la strana abitudine di andare a letto verso l'una di notte, e sapeva che possedeva dei cavalli; come poteva sfruttare queste informazioni a suo vantaggio? Il giovane pensò e pensò, finché alla fine non ebbe finalmente un'idea che riuscì a soddisfarlo, e sistemata quella, velocemente andò a prendere il necessario per sistemare il contratto quella sera.
 
Finalmente era arrivata la sera e mancava poco a mezzanotte quando Black Rose entrò in azione: con molta discrezione avvicinò un ragazzino povero che passava di lì, e sganciandogli un piccolo gruzzoletto di monete gli chiese di andare a bussare alla porta della villa del duca e chiedere molto insistentemente di lui. Il piccoletto abbagliato dal facile guadagno non fece alcuna domanda, ed eseguì ciò che gli era stato chiesto il più velocemente possibile, e quando il duca, dopo aver sentito il bambino chiedere al suo maggiordomo di lui, uscì finalmente di casa dicendo che aveva sempre un po' di tempo per tutti, poveri compresi, Jean senza perdere un minuto di più liberò i cavalli dalla stalla dove erano tenuti, per poi approfittare della distrazione del loro proprietario per introdursi velocemente in casa e chiudere monsieur De Parveau fuori.
Onde evitare che il padrone di casa tornasse troppo presto, il giovane ladro tirò fuori il passepartout e chiuse a chiave il portone, poi con la mini mappa tracciata quella mattina raggiunse il piano superiore della casa e da lì iniziò a ispezionare le poche stanze che gli mancavano dalla sera precedente. In tutto erano ancora sei quelle di cui ignorava la funzione, e tutte sullo stesso lato del piano. Controllando attentamente che non ci fossero servitori in circolazione, inserì la chiave nella toppa della prima ed entrò: la stanza era immersa nella penombra, la Luna quella sera emanava poca luce e delineava a malapena i contorni della stanza, ma anche così sforzando un po' gli occhi e aiutandosi con la luce di una candela, era possibile distinguere i contorni dei mobili che arredavano la stanza, rendendo così più facile capire che scopo avesse la stanza: era un salone, con un piccolo rialzo in un angolo, dove evidentemente ogni tanto veniva ospitata una piccola orchestra per l'intrattenimento, e sparse per la sala alcune poltroncine e divanetti. Era evidente che il contratto non fosse lì, per cui dopo aver nuovamente chiuso a chiave la porta entrò nella stanza accanto. Questa era di medie dimensioni, ma piuttosto ricca di decorazioni: statue di marmo, quadri con antenati, trofei di caccia e anche alcune spade antiche, ma ciò che più saltò all'occhio del ladro Black Rose, fu la scrivania con i bordi decorati d'oro, con tre cassetti verso l'interno. Ce l'aveva fatta, aveva trovato lo studio, ora non restava che prendere il contratto e copiarlo. Senza indugiare oltre, accese le candele nella stanza e chiuse la porta dello studio, in modo da non far filtrare la luce, poi tirò fuori da una tasca interna della casacca che indossava, un foglio per i contratti, una penna, del carbone, del pane e cercò fra i cassetti della scrivania il contratto. Nonostante l'apparenza, il duca non era molto ordinato, per cui nel primo cassetto trovò fogli di varie dimensioni, alcuni davvero mal ridotti, altri invece ancora nuovi, ma non quello che cercava; nel secondo la storia non era molto diversa, se non peggio: non solo teneva disordinatamente le carte, ma anche alcuni oggetti della vita di tutti i giorni: un orologio a cipolla, un astuccio per la penna, e molto altro, ma nemmeno lì trovò quel contratto. Andando per esclusione, il contratto doveva per forza essere nel terzo cassetto, ma così non fu invece: il cassetto era in ordine, e ci stavano dentro solo alcuni piccoli libri e una boccetta d'inchiostro.
<< Cosa?! Non è possibile che non sia neanche qua! L'unico posto dove potrebbe stare sono i cassetti, ma tutti e tre sono stati controllati, e in nessuno c'è! Maledizione... spero solo di non averlo visto, perché sennò sarà tutta fatica sprecata! >>
E pensando questo, subito si rimise a frugare fra i cassetti, finché scoprì che il contratto era nel primo, ma era stipato contro il lato più interno del cassetto, sepolto dietro un mucchio di altre carte e lettere. Velocemente lo stese sul tavolo, e sul retro passò il pezzo di carbone che aveva con sé, poi sopra ci posò il suo foglio facendolo combaciare perfettamente con l'altro, e infine con la penna ricalcò le lettere una a una in modo da copiare alla perfezione la calligrafia. Era un lavoro lungo e preciso, doveva mantenere la calma, perché ricalcare così alla perfezione le lettere era un impresa assai complicata. Ma non aveva ancora finito di ricalcarle tutte, che sentì dall'esterno della casa un rumore di zoccoli, così velocemente andò alla finestra e guardò giù: era il duca, che grazie all'aiuto di alcuni servi della zona a cui stava dettando ordini, stava riportando nella stalla i suoi cavalli; evidentemente piuttosto che perdere tempo a cercare di entrare in casa, aveva preferito far uscire i servi e recuperare i suoi animali. Forse per il fatto che Jean rimase fermo a guardare un attimo di troppo, ma il duca alzando lo sguardo verso la casa vide la luce del suo studio accesa con lui alla finestra, e così velocemente corse a dare l'allarme alla caserma di polizia lì vicino. Ora non c'era più tempo da perdere: se monsieur De Parveau lo aveva visto, ci sarebbe voluto poco prima che fosse lì con i gendarmi, e di conseguenza lui non avrebbe potuto completare il suo lavoro. Mantenendo la calma ma cercando di andare più veloce, il ladro ricominciò a ricalcare le lettere del contratto, e in pochi minuti finì. Ma aveva solo terminato una parte dell'opera: ora doveva riscrivere tutto il contratto sul nuovo foglio, e cancellare ogni traccia di ciò che aveva fatto prima, in modo che il proprietario non notasse nessun cambiamento, per poi infine sostituire il contratto originale con quello copiato. Tenendo sempre a mente tutto ciò che doveva fare, tolse il contratto originale da sopra il suo foglio: passando sopra le lettere con la penna, era rimasto sul foglio la copia del contratto tutta scritta a carbone, ora non restava che ripassare con l'inchiostro, e così fece. Come prima, era un lavoro lungo per cui ci voleva pazienza e sangue freddo, ma proprio quando aveva ormai copiato quasi la metà, sentì bussare violentemente alla porta: era un gendarme forzuto, che su richiesta del duca stava bussando con forza per farsi sentire dai servitori ancora in casa. Jean non capì esattamente che successe dopo, ma sentì lungo il corridoio uno scalpiccio di numerosi piedi, evidentemente la polizia era riuscita a entrare; ma ciò non lo fece perdere d'animo: senza perdere un attimo ricominciò a copiare il contratto, anche se ne modificò una cifra. Poco dopo però qualcuno cercò di aprire la porta usando la maniglia, ma quando s'accorse che non serviva a nulla, iniziò a prendere a spallate la porta, al fine di poterla sfondare per poi entrare ad arrestarlo. Fortunatamente il giovane nobile aveva appena terminato di scrivere tutto il contratto, ora non restava cancellare ogni traccia dall'originale e dalla copia, e per far questo, usò il pezzo di pane che s'era portato dietro con quello scopo. Ma i colpi alla porta erano sempre più pesanti e a ritmo serrato, non restava molto tempo prima che cedesse del tutto, ma lui ce la doveva fare prima di allora, o tutto il lavoro sarebbe stato vano. All'improvviso la porta cedette, e la polizia entrò velocemente nella stanza. Ma non c'era nessuno a parte loro lì dentro, la stanza era tutta in ordine, mentre la finestra era aperta: il ladro era riuscito a fuggire.
- Maledizione, se l'è svignata! Uomini, andate a controllare fuori! Fermate qualsiasi individuo sospetto! - urlava il comandante ai suoi sottoposti.
Ben presto tutti i gendarmi lasciarono la stanza, e da sotto la scrivania, Black Rose uscì come se nulla fosse successo, poi con molta attenzione andò alla finestra, e una volta assicuratosi che non fosse ancora arrivato nessuno per strada, uscì di lì e salì sul tetto. Una volta arrivato in cima, estrasse da una tasca il contratto originale, con ancora il retro sporco di carbone, e lo strappò in tanti piccoli pezzettini, che lasciò volare via nella leggera brezza di quella sera.
 
Alcuni giorni dopo, precisamente un Venerdì sera, il duca fu nuovamente invitato a casa della famiglia De la Rou, dove terminata la cena, si fermò assieme al conte suo amico nello studio a parlare nuovamente di chissà quale affare. Jean era troppo curioso di avere notizie del suo ultimo colpo, così si fermò vicino alla porta, e di nascosto ascoltò la conversazione fra i due uomini.
- Allora duca, com'è andata la vostra truffa? - stava chiedendo il padre di Jean.
- Non ne parliamo, non ne parliamo! Non so perché, ma sul contratto al posto che esserci scritto che mi avrebbe ceduto la collana senza ricevere alcun pagamento, c'era scritto che me l'avrebbe ceduto in cambio di centomila franchi!
- Quindi significa che ha contraffatto il contratto?
- No, è impossibile dato che lo tenevo a casa mia nel mio studio..
- E allora come può essere?
- Non ne ho idea...
L’uomo non parlò del ladro che aveva visto alla finestra qualche giorno prima: per lui era un dettaglio insignificante, perché mai un ladro avrebbe dovuto prendersi la briga di modificare una cifra, invece che tentare di rubare qualcosa nella villa?
- Comunque, immagino che in quel caso abbiate disdetto il contratto, vero?
- Avrei voluto, ma c'era il notaio che doveva solo testimoniare la consegna dell'oggetto e l'eventuale pagamento, per cui non potevo rinunciare al momento del pagamento, soprattutto perché ne sarebbe andata della mia reputazione..
- Capisco...quindi avete dovuto pagarlo.
- Esatto.
Jean soddisfatto si staccò dalla porta, e se ne andò in giardino. Aveva sentito abbastanza: finalmente il lavoro era andato a buon fine.

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Capitolo 3
*** Via al furto! ***


Nei giorni precedenti l'esposizione, Jean cercò di pianificare il furto nei minimi dettagli: la precisione era fondamentale. Per prima cosa, si dedicò a togliere le viti dalla finestra da cui sarebbe entrato. Non era un operazione che richiedeva molto tempo, per cui nel giro di un'oretta fece tutto tranquillamente, dato che la contessa era sempre via. La cosa fondamentale però, era capire se era in grado o meno di arrivare dal tetto del palazzo di fianco a quello della donna, evitando possibilmente di sfracellarsi al suolo, per poi calarsi dentro con una corda. Fortunatamente tutto andò come previsto, e il giorno dell'esposizione arrivò in fretta.

Quella mattina, Jean faceva come al solito colazione con la sorella, quando questa attirò la sua attenzione.

- Ehi, Jean, oggi è il giorno dell'esposizione del diamante, vero?

- Ehm...sì, perchè? - Chiese il giovane, leggermente sospettoso.

- Secondo te c'è la possibilità che Black Rose cerchi di rubare il diamante? - Domandò speranzosa la ragazzina.

- Verrà sicuramente.

Jean rispose senza pensarci, ma poi si rese conto di quello che aveva detto, e cosa sarebbe successo di conseguenza: Maria quella sera avrebbe nuovamente cercato di ostacolarlo. Era sul punto di correggere l'affermazione, quando capì che cambiare opinione ora, sarebbe stato molto sospetto; insomma, un modo come un altro per dire: "Sono io il ladro!".

- Ihihihih, allora stasera ci sarà da divertirsi! Giuro che stasera ti prenderò, maledetto ladro!- Fece Maria, con un piede sulla tavola e rivolta al nulla.

- Eh...<< Pare che dovrò di nuovo prepararmi a una bella corsa... >> - Pensò Jean piuttosto rassegnato guardando la sorella parlare trionfalmente a vanvera.

 

Finalmente arrivò la sera, e Black Rose poté entrare in azione. Facendo attenzione a non essere notato da nessuno, spalancò la finestra della su stanza, e uscì nella notte, saltando da un tetto all'altro per raggiungere infine la villa della contessa.

Intanto, Maria era già arrivata da tempo alla casa della donna, e stava ancora cercando di convincere la sicurezza a farla entrare.

- Vi dico che non m'interessa quel maledettissimo diamante!! Sono qui solo perché è probabile che Black Rose cercherà di rubare la pietra! - sbraitava seccata la giovane, cercando di convincere le guardie.

- Te lo ripeto, ragazzino: non puoi entrare, fila a casa! – insisteva piuttosto seccata una guardia, all'ingresso della casa.

Proprio in quel momento, Jean, nei panni di Black Rose, era arrivato davanti alla finestra che aveva sistemato per il furto, e studiava la situazione all'interno dell'abitazione: le guardie passavano anche nei corridoi, a differenza di quanto aveva detto la contessa. La cosa si faceva difficile, probabilmente avrebbe dovuto cambiare tattica. O forse no? Osservando attentamente la situazione, il giovane ladro notò che le guardie per un certo tempo, lasciavano scoperta la parte di corridoio in cui doveva entrare, per andare a controllare altrove, che nessuno passasse.

<< Ah! Pessima mossa, lasciare così il corridoio…sarà un giochetto da ragazzi per me entrare e rubare. Se tutto va liscio, in meno di 5 minuti avrò finito!! >> pensò con finta delusione.

Senza ulteriori indugi, Black Rose si spostò verso la stanza, si diede lo slancio, e con un calcio, fece cadere nel modo più rumoroso possibile la finestra della camera d'esposizione, dove fece cadere un foglio per far perdere tempo ai poliziotti.  Subito tutte le guardie di precipitarono a controllare cos'era successo, proprio come da programma, e nel frattempo lui, passò da una finestra che aveva precedentemente lasciato leggermente aperta, in modo da non doversi preoccupare di doverne aprire una, facendosi così notare.

<< Certo che quella donna è strana; prima dice che non vuole affidarsi alla polizia, e poi si fa riempire la casa di guardie! Bah! Tanto contro di me non c'è guardia che tenga... certo che però, una cosa che le manca è la fiducia nel prossimo... >> pensò Jean mentre correva verso la stanza segreta.

Per sua fortuna, non avevano chiuso la porta: si preannunciava un lavoretto facile facile. Senza troppi complimenti, entrò nella stanza. Il diamante era là, su un piedistallo in bella mostra, non restava che prenderlo, e così fece. Appena preso l'oggetto, lo mise in una tasca nel mantello all'altezza del petto, posò al suo posto un bocciolo di rosa nera, e cercò di tornare alla finestra da cui era entrato, ma all'improvviso, un urlo lo fece sobbalzare.

- Ehi, tu, fermo! - Gridò una guardia vedendolo.

<< Oh, merda...sono nei guai! >>

Immediatamente, sopraggiunsero altre guardie, che si gettarono all'inseguimento del ladro, cercando di prenderlo. Per sua sfortuna, Jean dovette deviare dalla sua meta, poiché le guardie ormai gli erano dietro, e dirigersi nel corridoio della zona sud del palazzo, piena di camere tutte comunicanti fra loro e niente in cui nascondersi per sfuggire agli inseguitori.

- Fermate quel ladro!- urlò uno di loro quando vide avvicinarsi altri colleghi.

Ma il ragazzo non era certo un tipo facile da prendere, e quando questi cercarono di bloccare il passaggio, lui accelerando la velocità, abbassò la testa e si lanciò contro lo stomaco di una delle guardie, facendola cadere, per poi superarla di corsa nella confusione generale. Ma nonostante la leggera confusione creatasi, gli furono presto nuovamente alle calcagna, pronti a sparargli, puntando i loro fucili, e dato l'ambiente stretto, per il giovane ladro sarebbe stata un'impresa pressoché impossibile riuscire in qualche modo a evitarli. Infatti, presto arrivarono a lui i primi spari: riuscì a schivarne per pura fortuna un paio riparandosi dietro una colonna, ma subito gli uomini si avvicinarono e continuarono a sparare, facendo in parte centro, poiché un proiettile lo colpì di striscio alla gamba sinistra. Il ladro ignorò il dolore e continuò la sua corsa, cercando di seminare gli inseguitori per poi farli cadere nella sua trappola. Presto però, un nuovo colpo lo raggiunse, questa volta al braccio destro. Non poteva più permettersi di continuare a scappare così, con il diamante. Presto, a forza di fare lo avrebbero colpito in pieno, catturato, e preso il diamante. Era ora di agire. Appena vide chiaramente gli avversari avvicinarsi, finse di cadere a causa di una delle ferite, e come aveva previsto, subito venne accerchiato. Immediatamente scattò la trappola: tirò fuori da una tasca segreta del mantello, alcune palline e senza indugio, le lanciò a terra, facendo subito alzare una foltissima nube di fumo, rendendo così impossibile per le guardie vedere qualcosa. Approfittando di ciò, il ragazzo passò fra gli uomini e corse via a tutto fiato, scavalcandone anche un paio, per raggiungere poi dopo un estenuante corsa, la finestra da cui era entrato, per poi finalmente uscire.

<< Ahahah! Che grande invenzione queste bombette fumogene!! Meno male che zio Louis è andato anche in Asia, sennò alla sua ultima visita, non avrei mai potuto scoprire questi meravigliosi affari, e riprodurli! Anche se mi dispiace che non siano potenti come le originali, nè tantomeno così resistenti... >> Pensò mentre saltava agilmente dal palazzo della contessa, a quello lì vicino.

In quello stesso istante, Maria stava ancora inutilmente tentando di entrare in casa, quando sentì qualcosa caderle in testa. La ragazza alzò gli occhi al cielo, e vide una figura nera saltare dalla casa al tetto di quella successiva. Non c'erano dubbi: era Black Rose. Senza dire una parola, corse in direzione dell'appiglio più vicino per potersi arrampicare sul tetto della casa a fianco e raggiungerlo.

<< Maledetto ladro, maledetto ladro, maledetto ladro!! Giuro che questa volta ti prenderò!! >> Pensò mentre correva sul tetto per raggiungere il suo avversario.

Finalmente riuscì a scorgerlo dritto davanti a lei, anche se molto più avanti. Facendo attenzione a non essere scoperta, si avvicinò il più possibile al ladro, cercando poi di sorprenderlo per saltargli addosso, ma all'ultimo si fermò.

<< No, non posso! Non sarebbe corretto prendere un avversario alle spalle! >> Si disse intenzionata a regolare i conti con l'avversario, nel modo più leale possibile.

- Ehi, Black Rose! - Lo chiamò infine Maria.

<< Maledizione, alla fine è davvero venuta... >> Pensò Jean sentendosi chiamare.

Senza perdere la calma, si voltò verso la sorella, ormai pronto a tutto.

- Che vuoi, ragazzina? Non ti sei ancora decisa a lasciarmi stare? – le domandò con un accento britannico, e una voce più profonda di quanto lo fosse quando non rubava.

- No! E ora in guardia ladro: ti sfido a duello! - Rispose Maria sfoderando la spada che aveva legato alla cintura.

- Va bene, ma quando ti batterò non metterti a frignare, ok? << Magari ne approfitterò per vedere se si ricorda le mie lezioni... >> Pensò il ragazzo, sfoderando a sua volta l'arma.

I due si misero in posizione di partenza, e dopo alcuni secondi, scattarono l'uno in contro all'altro, spade in pugno in una danza di lame. Maria schivava abbastanza agilmente i colpi inferti dall'avversario, cercando di mandare a segno più di un colpo, mentre Black Rose non solo faceva continui affondi, ma riusciva allo stesso tempo a parare i colpi della ragazzina, mettendola anche in difficoltà. Ma Maria non dava segno di volersi arrendere, e tentò di colpire l'avversario con un fendente, che questi schivò all'ultimo per poi bloccarle ogni mossa con una presa del ferro, ma lei riuscì a liberarsi, e provò a colpirlo con un affondo, che riuscì quasi a colpirlo.

<< Però...devo dire che le ho insegnato bene! >> Ragazzina, devo dire che combatti bene per essere una donna! - Dovette ammettere Jean, con fare quasi galante.

- Eheh, ho avuto un buon maestro...

- E potrei sapere chi sarebbe costui?

La giovane si portò l'indice medio alle labbra, e con un sorrisetto rispose:

- Désolé, c'est un secret!

- Non vuoi dirmelo, eh? Va be', fa niente. << Tanto lo so che il tuo maestro sono io! Nostro padre non insegnerebbe mai a una ragazza. >>

Lo scontro procedeva senza esclusione di colpi, la giovane Maria anche se con fatica, dimostrava una buona abilità nel maneggiare la spada, e riusciva a tenere testa, anche se a stento, a un avversario più preparato di lei. Ormai erano alcuni minuti che combattevano, ed entrambe iniziavano ad essere affaticati. Jean per il momento era in vantaggio, ma quando si apprestò a sferrare il suo colpo, all'improvviso, la sorella crollò a terra.

- Ehi ma che hai?!

Immediatamente, il giovane si precipitò verso la sfidante, che giaceva a terra priva di sensi, per cercare di farla rinvenire.

- Su...avanti, riprenditi! Maria...!

Ma nonostante le scosse, questa non rinveniva, ciò fece sorgere al ragazzo un dubbio. Velocemente si sfilò momentaneamente dal viso la maschera, e poggiò le sue mani sulla fronte sua e della sorella.

- << Maledizione, scotta! L'è salita già la febbre in poco tempo...>> Di questo passo... Devo portarla a casa, e in fretta!

E così, Jean si rinfilò la maschera e prese in spalle la sorella per poterla riportare a casa. Ma portare un malato a cavalcioni, correndo sui tetti non era di certo un impresa facile, soprattutto se anche feriti da delle armi da fuoco, e a causa di ciò, durante il tragitto all'improvviso il giovane ladro perse l'equilibrio, facendo cadere la ragazza, che dato lo stato di incoscienza, stava per cadere dal tetto. Fortunatamente, però, riuscì ad afferrarla in tempo con una mano, evitando così che si sfracellasse al suolo dopo un volo di 4-5 metri.

- Resisti, sorellina! - Disse lui a denti stretti mentre cercava di tirarla su.

Ma all'improvviso, sentì la mano della sorella scivolare via dalla sua, per tornare a rischiare di cadere dal tetto. Stava per afferrarla nuovamente anche con l'altra mano, quando notò che il diamante, stava uscendo dalla tasca in cui lo aveva messo, e si avvicinava anche lui pericolosamente al bordo dell'edificio. Se non lo avesse preso in tempo, sarebbe caduto anche lui.

<< Maledizione, che faccio ora? Maria sta per cadere, e con una sola mano non ce la faccio a tenerla, ma anche il diamante sta per cadere, e lasciare che accada sarebbe come vanificare tutti gli sforzi che ho fatto! Ma se prendo il diamante, Maria cadrà! Dannazione, non c'è un modo per salvare capra e cavoli?! >>

Ma non c'era tempo per pensarci, all'improvviso la presa sulla mano della ragazzina gli venne a meno, ma Jean immediatamente la riafferrò, stavolta con entrambe le mani, per tirarla su, lasciando così cadere il diamante giù dal palazzo, facendolo finire chissà dove.

- Eeeeh, Maria, Maria, guarda cosa mi fai fare... - Disse con finto tono di rimprovero, caricandosela nuovamente sulle spalle.

 

Presto arrivarono a casa. Fortunatamente, Monsieur De la Rou era anche quella sera via per lavoro, nessuno quindi avrebbe notato il ragazzo che come la volta precedente s'arrampicava per la rete di edera, stavolta con molta fatica dato il peso supplementare. Come sempre Jean entrò dalla finestra della sua stanza, ma questa volta, non si chiuse dentro: la priorità andava a Maria, per cui uscì in corridoio e fece per raggiungere la sua camera, quando all'improvviso le candele dietro di lui vennero accese da qualcuno.

- Allora, è come sospettavo: il famigerato ladro Black Rose siete voi, padron Jean. - Disse una voce alle spalle del ragazzo.

Si trattava di un ragazzo della sua stessa età, di media statura, dai lunghi capelli castani legati in una coda bassa come si usava sempre in quegli anni, che appoggiato al muro, a braccia conserte, osservava il giovane ladro.

- Mpf, come mi hai scoperto, René? - Domandò lui con un sorrisetto ironico, sfilandosi la maschera.

- Insomma, sono al vostro servizio da anni, capisco quando nascondete qualcosa! Inoltre, più di una volta ho trovato la sera tarda la vostra stanza vuota, e il giorno dopo sentito di un nuovo furto di Black Rose. Non sono così stupido da non collegare le cose, sa? Però, c'è una cosa che non capisco: perché?

Jean rimase in silenzio per alcuni istanti, cercando di decidere se parlarne o no a quello che lui considerava il suo migliore amico, anche se un servitore.

- Prima, aiutami a mettere a letto Maria, dato che sta di nuovo male, e dopo te ne parlerò. – gli disse indicando la sorella.

- Come desiderate - rispose il servitore facendo un leggero inchino.

I due misero a letto la giovane, con tutta la delicatezza possibile, poi chiamarono un medico per farla controllare, e infine andarono nella stanza di Jean a discutere.

- Dunque, tu vuoi sapere perchè rubo? - disse il giovane ladro, chiudendo la porta e iniziando a cambiarsi.

- Esattamente.

- La storia è lunghina...dunque, ti ricordi l'orfanotrofio dove siete cresciuti tu e Marianne, no? Beh, sta per essere abbattuto. E indovina da chi? Da mio padre. E' cominciato tutto una mattina di un paio di mesi fa. Ero uscito per andare a parlare con un collega di mio padre riguardo non ricordo più cosa, e in quel momento, passai vicino al tuo orfanotrofio. Lì sentii mio padre che con un tono duro, e quasi famelico, ordinava entro tre mesi lo sgombero dell'orfanotrofio, perché il terreno su cui giaceva, gli era stato appena venduto. La suora che si occupava dell'orfanotrofio, sorella Josephine, ha chiesto dove sarebbero andati allora, dato che quei bambini non avevano un posto dove andare. Mio padre con freddezza gli ha risposto: "non è affar mio, a me non interessa che cosa farete, mi interessa solo il terreno su cui giace questo edificio". Sorella Josephine lo ha supplicato di ripensarci, ma lui ha detto solo, che a meno che non gli venisse pagata una cifra più alta di quella per cui ha comprato il terreno, non avrebbe lasciato perdere. Ha detto che voleva essere buono, quindi ha allungato il tempo per lo sgombero a sei mesi. Immagino tu riesca a capire quello che ho provato...un forte senso di rabbia e impotenza nei confronti di quell'orfanotrofio, soprattutto vedendo in che stato sono ridotti quei bambini: magri, sciupati e alcuni anche malati, eppure più di così non riescono a fare, e ora, senza un posto dove vivere, probabilmente non sopravvivrebbero neanche! Tu, e Marianne, siete riusciti ad avere una vita felice nonostante il degrado di quel posto, anche per il fatto che vi abbiamo accolto da noi, anche se come servi. Io voglio che quei bambini possano crescere e vivere una vita altrettanto felice, per questo ho deciso di trovare io i soldi per l'orfanotrofio! Ma come ben sai, non posso avere accesso al denaro di famiglia, né posso solo sperare che mio padre cambi idea, quindi dovevo trovare un sistema per trovare soldi...in questa città è pieno di gente ricchissima, che può anche fare a meno di qualche gioiello...ed è così che sono diventato il ladro Black Rose.

- Padrone, voi siete troppo buono... - Disse René sorridendo e scuotendo la testa. - Ma, sapete almeno perché vostro padre vuole così tanto quel posto?

- Eccome! Il mese scorso, stavo controllando fra i suoi vari documenti che ci fosse un particolare modulo che mi aveva chiesto di dargli, e mentre frugavo, ho trovato per caso un vecchio diario, molto logorato, che stranamente era messo nel cassetto dei documenti di lavoro. Subito ho pensato che fosse un vecchio diario di quando era giovane, e quindi trovavo strano che l'avesse messo lì, così per avere la conferma ho letto il suo contenuto: non era di mio padre, ma del mio bisnonno. Era il suo diario nell'ultimo suo anno di vita, e fra le varie pagine, ne ho trovata una in cui raccontava di essere stato infettato dalla peste, che non gli rimaneva molto tempo e che aveva deciso di lasciare tutti i suoi beni alla chiesa, in modo che potessero garantirgli l'accesso in paradiso, e guarda un po', fra quelli che ha donato, c'era pure un terreno ricco di argento, e quel terreno era proprio dove ora sorge l'orfanotrofio. Capisco che un terreno ricco di argento sia una ghiotta occasione, ma non puoi solo per questo sbattere via tutti i bambini dell'orfanotrofio, e lasciarli in strada! Avrei capito se distrutto quell'orfanotrofio, avesse deciso di costruirne altrove uno migliore dove farli andare, ma non gliene importa! Soprattutto per questo voglio salvare l'orfanotrofio! Quei bambini non meritano di finire in strada!

- Come al solito, padrone, siete davvero impulsivo, mi stupisce solo che non abbiate sfidato vostro padre mettendo in gioco l'orfanotrofio...

- Suvvia, René, è vero che sono piuttosto impulsivo, ma non da arrivare a tal punto!

- Piuttosto, vorrei sapere un ultima cosa: ma da dove deriva il vostro nome d'arte? Da dove nasce il nome Black Rose? - Domandò curioso il giovane servo.

- Oh, quello...beh, il nome ha un motivo ben preciso: rose, è rosa, in britannico, e quale immagine è più indicata di una rosa, per un nobile? Black invece in britannico è nero, come qualcosa di sporco, e di certo fare il ladro non è una cosa pulita, una roba di tutto rispetto. Dopo un po' di colpi, la gente iniziava a riconoscermi, non potevo di certo restare a farmi chiamare: "Il ladro", o "quel ladro", e così, al colpo successivo, quando mi è stato chiesto il mio nome, io ho risposto: "Mi presento, il mio nome è Black Rose!". Da allora, a ogni furto lascio come firma una rosa nera. E così è “nato”, per così dire, questo nome. L’origine è britannica, quindi quando capita, mi rivolgo ai miei avversari con un accento palesemente britannico, così i sospetti si concentrano su chi è straniero. Ma ora dimmi, amico mio: hai intenzione di andare a raccontare tutto a mio padre e alla polizia, e farmi così arrestare?

- Oh, no, non potrei ma! Dovreste saperlo, sono il vostro fedele servitore e amico, in un caso come questo, non oserei mai tradirvi, potete contare su di me, non rivelerò a nessuno il vostro segreto! - Rispose prontamente René, in tono quasi solenne.

- Grazie, sei un vero amico. Ora scendiamo, il dottore per Maria non tarderà ad arrivare, immagino.

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Capitolo 4
*** Pessimi incontri ***


 

Era una Domenica mattina come tante altre in città, e Jean e Maria avevano approfittato della bella giornata per farsi una passeggiata per la strada.

- Maledizione, possibile che debba sempre uscire di casa con indosso 'sti fastidiosi vestiti?? - si lamentava Maria, vestita con un elegante vestito da dama, mentre si osservava disgustata. - Perchè non posso mettermi anche io un paio di pantaloni e una camicia come fai tu, Jean?!

- Hai una minima idea di che figuraccia faresti vestita da uomo? Non puoi presentarti in giro vestita in quel modo, alla gente non piace molto vedere donne vestite da uomo, quindi o ti prenderebbero per pazza, o ti riderebbero dietro ogni volta che ti vedono, e poi, finirebbe che ci andrebbe di mezzo anche il buon nome della nostra famiglia!

- Uff...ho capito, ho capito... - borbottò seccata la ragazzina.

I due proseguirono lungo il marciapiede con tanto di alberi sul ciglio, che si snodava seguendo preciso la direzione della strada, posto troppo pericoloso per dei pedoni, a causa della folle velocità delle carrozze. Le case erano tutte piuttosto chiare, e ognuna aveva un ingresso sempre riccamente decorato, e magari anche con una piccola scala che conduceva proprio davanti alla porta.

Tutto era nella norma, era solo una normale passeggiatina fuori d'altronde, finchè una voce non richiamò l'attenzione dei due fratelli.

- Mariiiiieeee!

Una ragazzina all'incirca dell'età di Maria, con i lunghi capelli castani acconciati in una sontuosa pettinatura, e un lungo vestito rosa scollato pieno di merletti, correva assieme a altre tre ragazze nella direzione dei due fratelli.

- Oh, no... - sussurrò Maria quando sentì quella voce squillante. - Jean, presto, nascondimi! - disse poi nascondendosi dietro il fratello e a un albero.

La ragazzina con il suo gruppetto si fermò davanti a Jean, sorridendo raggiante.

- Buon giorno Jean, vostra sorella non c'è? - domandò poi curiosa.

- Maria? Ah, sì, è qui dietro. - rispose lui scostandosi da davanti alla sorella minore che si ritrovò così scoperta.

- Eh?! Cosa?! Traditore! - urlò Maria al fratello, che intanto continuava a sghignazzare divertito.

- Oh, Marie! Cosa ci facevi lì dietro? E come stai? Era da qualche tempo che non ti vedevamo in giro! - disse la ragazza sorridendo allegramente.

- Per l'ennesima volta Josephine, mi chiamo Maria, non Marie! - rispose seccata Maria.

- Ma è vero che sei stata male? Ho saputo che hai avuto la febbre.. - chiese poi una seconda ragazza.

- Sì, Eloise, è vero...

- Era forse mal d'amore? - s'intromise con fare drammatico una terza.

Maria la guardò indecisa se prenderla a ceffoni o meno: possibile che ogni volta arrivassero a quel genere di discorsi? Alla fine trasse un profondo respiro e rispose.

- No Clarisse, non era mal d'amore...

- Ma non vuoi avere un ragazzo? - domandò una quarta

- Non ancora, Francine...

- Piuttosto Marie, hai saputo la novità? - domandò con occhi sognanti Clarisse

- No...non l'ho saputa... - rispose Maria, ormai rassegnata all'idea che almeno per quel giorno non l'avrebbero chiamata con il nome giusto.

- Si è appena trasferito qui in città un certo barone Lacroix con tutta la sua famiglia, e il figlio è così cariiiiinooo! - spiegò la ragazza seguita da sospiri sognanti da parte delle sue amiche.

La giovane nobile invece la guardò piuttosto disinteressata: non le erano mai interessati quel genere di discorsi, per cui trovava superfluo che continuassero a parlarne con lei. Ma perchè stare zitta, quando avrebbe potuto rompere facilmente quella disgustosa atmosfera mielosa e sognante?

- E con ciò? Perchè lo venite a raccontare a me? E soprattutto, perchè vi ostinate a venirmi sempre a cercare? Lo volete capire che io sto bene per conto mio?

Ebbe l'effetto desiderato: le quattro ragazze caddero dalle nuvole e dovettero tornare con i piedi per terra, shockkate dalla frase della ragazza.

- Ma come?! Vuoi dirmi che non t'interessa?? Pare che questo ragazzo sia già l'idolo di tutte le ragazze della città, non possiamo farcelo scappare, e neanche tu puoi! - ribattè quasi stizzita Francine.

- E io non credo che tu davvero non ci voglia... - disse invece Eloise - secondo me, in realtà non sai come dirlo, ma ci vuoi tanto bene! Solo che tu sei così abituata a stare in mezzo agli uomini, che non sai esprimerti come si deve. Per questo non ti vogliamo lasciare sola, ti faremmo solo soffrire, e tutto a causa del fatto che non ti sai esprimere!

Maria le osservò stupita annuire convinte e con decisione riguardo all'ultima frase. Allora le sue sensazioni erano fondate, non era lei che era tanto strana, erano loro che erano ottusamente stupide e oche! Dopo questo però, non sapeva più dove sbattere la testa: come farglielo capire a quelle teste dure che diceva sul serio? A volte pensava non ci fosse modo.

- Parliamo d'altro, che ne dite? - propose cercando di portare il discorso su un argomento serio.

- D'accordo, di cosa vuoi parlare? - accettò al volo Josephine.

- Vorrei sapere, che cosa ne pensate delle forze dell'ordine? Io trovo siano un vero branco di incompetenti, non sono capaci manco a fermare un ladro come Black Rose! Sono loro la giustizia, dovrebbero essere esemplari e cercare di portare a termine il loro lavoro al meglio, e invece si lasciano scappare i criminali, magari anche perchè in caso sia qualcuno di noi nobili, basta pagare per farli stare zitti!

Le altre ragazze la guardarono ammutolite: non sapevano cosa poter dire al riguardo, non se n'erano mai interessate molto di come lavoravano le forze dell'ordine.

- Beh...in effetti...

- Ora che ci penso, ricordo che una volta dei ladri ci hanno rubato un po' di argenteria, ma i gendarmi non sono mai riusciti a trovarli.. - ammise Francine.

- Invece a me è capitato che una volta un tizio mi seguiva sempre, ogni volta che uscivo di casa. Lo abbiamo detto ai gendarmi ma non hanno saputo fare nulla, è dovuto intervenire personalmente mio padre per mandarlo definitivamente via... - raccontò Clarisse.

- Visto? Anche voi avete le prove di quello che sostengo! Le forze dell'ordine sono buone a nulla! Anche se sono in tanti, sono un branco di incompetenti! Vi ricordate il caso della contessa? S'era affidata a non so quante guardie per il suo gioiello, e il ladro le ha sbaragliate tutte e s'è fregato il diamante! << L'ho dovuto inseguire sul tetto per fermarlo! Però non ricordo bene cosa sia successo...so che stavo duellando con lui, e poi mi sono ritrovata il mattino dopo nel mio letto con la febbre... >>

- E tu che faresti al posto loro, Marie? - fu la domanda di Eloise

- Ottima domanda! Mi pare ovvio! Fossi al posto loro inseguirei senza perdere tempo ogni criminale, e non mi fermerei finchè non fosse assicurato alla giustizia! E cercherei in ogni modo di dimostrare ai cittadini che possono fare affidamento su di me! A proposito del caso della contessa...Jean, la contessa ti ha spiegato perchè all'esposizione ha poi messo delle guardie, anche se diceva che non si fidava della polizia?

- Sì...ha detto qualcosa riguardo al fatto che non sapeva a chi altri rivolgersi, il marito sosteneva che affidarsi solo a un ragazzo non era prudente, e così ha chiamato le guardie. - rispose Jean, che aveva sempre assistito alla discussione stando però in disparte.

Le altre ragazze stettero un attimo a pensare a ciò che aveva detto Maria: non capitava loro molto spesso di fare discorsi del genere, anche perchè non erano particolarmente di loro interesse, però pur di farla rimanere con loro volevano provarci. Ma la cosa durò poco, infatti poco dopo una di loro stufò e tornò a parlare del figlio del barone, mentre Maria si arrese e con il fratello proseguì la passeggiata.

 

Quella sera nel salotto della villa De la Rou, la giovane non la smetteva di chiedersi se esisteva un qualche sistema per togliersi di torno quelle piattole di Josephine e amiche, ma proprio quando stava per trovare una soluzione, René entrò nella stanza.

- Signorina Maria - la chiamò - suo padre vorrebbe vederla. Aspetta voi e vostro fratello nel suo studio.

- Ho capito, grazie René.

 

Poco dopo Maria era davanti alla porta dello studio del padre. L'atteggiamento di quest'ultimo la metteva sempre in soggezione, anche perchè dava l'impressione di non essere mai molto interessato ad altro che il suo lavoro, ma non poteva certo bloccarsi davanti a lui per questo, quindi trasse un profondo respiro e bussò.

- Padre, mi avete chiamato? - domandò timidamente con quanta più naturalezza possibile.

- Sì, entra pure - fu la risposta sua da oltre la porta.

Lo studio era una stanza rettangolare di medie dimensioni. C'erano pochi mobili, ma tutti in legno pregiato e pieno di decorazioni. Un divanetto in pelle stava contro il muro a destra della porta, mentre gli angoli a sinistra erano occupati da statue in marmo di avi illustri, la parete destra era invece occupata completamente da una enorme libreria in ebano, piena di libri su vari argomenti. Infine al centro della stanza si trovava la scrivania in faggio dietro la quale si trovava monsieur de la Rou con le spalle rivolte alla finestra dietro di lui, mentre alla sua sinistra stava appeso l'enorme ritratto del padre, uomo che Maria non aveva mai conosciuto, ma che sapeva essere una persona severa, stando a ciò che le era stato raccontanto.

La giovane sì guardò intorno alla ricerca del fratello, che trovò appoggiato al muro vicino al divanetto mentre aspettava a braccia conserte.

Monsieur De la Rou fece segno ai due di avvicinarsi, e senza fiatare, entrambi eseguirono.

- Figli miei, vi ho convocati qui per un motivo preciso: Venerdì sera si terrà un ballo presso la villa del barone la Floeur. Sono state invitate molte famiglie, compresa la nostra. Io però ho importanti affari da sbrigare e non posso partecipare, quindi voglio che andiate voi in mia rappresentanza.

- D'accordo, padre. - rispose immediatamente Jean

- Cosa, un ballo?! - esclamò Maria più che mai sorpresa e abbattuta all'idea.

- Esatto, vuoi forse dirmi che non vuoi andarci? - chiese senza molti interesse il padre

- Beh, se è possibile...

- Scordatelo. Sei un membro dell'alta società, è tuo dovere partecipare a questi eventi. - fu la risposta secca e che, dal tono, non ammetteva repliche.

La ragazza trattene a stento un "uff" per la seccatura: se avesse osato rispondere così al padre temeva che quest'ultimo avrebbe avuto una pessima reazione.

- ...d'accordo...ho capito...

Detto questo, prese la porta e uscì, seguita dal fratello.

- Che ti è preso prima? Non è da te lasciarti scappare commenti così davanti a nostro padre! Cosa credevi di ottenere? Lo sai che tanto non te lo avrebbe permesso. - chiese Jean non appena ebbe chiuso alle sue spalle la porta.

- Lo so, è che l'incontro con quelle oche di Francine, Josephine, Eloise e Clarisse mi ha ridotto i nervi a pezzi, e quindi quando ho sentito del ballo....anche perchè ricordati che io odio ballare, non mi piacciono le feste, e aggiungici anche il fatto che con molta probabilità le troverò pure lì. Insomma, non ci ho più visto e il commento è stato quello che hai sentito tu stesso... Bah, non pensiamoci più, tanto non servirebbe a nulla: quel che è stato è stato. Spero solo davvero di non trovare anche loro al ballo, sennò potrei non rispondere più delle mie azioni.

- Lo spero per te.

 

E così il Venerdì sera arrivò e con esso anche la festa, da alcuni molto attesa, mentre da altri, fra cui Maria, per niente desiderata.

Quella sera indossava un abito color crema ancora più elegante di quello usato quella Domenica: pizzi e merletti ornavano ogni singolo punto del vestito, la scollatura era ampia e lasciava scoperta gran parte della schiena, la gonna era piena di balze ed era piuttosto ampia, talmente tanto che formava quasi un mezzo strascico. Lei si era opposta con tutta la sua forza all'idea di doversi far fare un indumento così vistoso, ma non c'era stato niente da fare e nonostante lo detestasse con tutta l'anima, era stata costretta a indossarlo pure quella volta. Infine i capelli erano acconciati leggermente diversi dal solito: i boccoli erano molto più voluminosi, e anzichè essere chiusi in una coda bassa con una pinza, erano legati in una coda alta tenuta ferma da un fiocco.

- Aaaargh! Odio queste maledettissime feste anche per questo: devo vestirmi sempre elegante! - si lamentava la giovane osservando ripugnata il suo vestito.

- Ma sù dai, divertiti! Le feste sono fatte per questo, no? E poi, nostro padre ha solo voluto che partecipassimo in sua rappresentanza, per cui ora che abbiamo fatto gli omaggi al padrone di casa, chi ci impedisce di spassarcela?

- Bah...

Il ballo si svolgeva in una enorme sala circolare, illuminata da un paio di grossi lampadari di cristallo e senza nemmeno un mobile che potesse mai dare fastidio durante le danze. L'orchestra era piuttosto ampia, ma rispetto alle dimensioni della stanza non occupavano molto spazio, e la loro musica dava il via a ogni danza.

Ad un tratto, un gruppo di sei o sette ragazze, si diresse proprio verso il punto esatto in cui Jean e Maria si trovavano.

- Ehi, gruppo di ammiratrici in arrivo - disse la ragazzina al fratello.

- Monsieur Jean - disse una di loro quando li ebbero raggiunti - la prego, vorrebbe ballare con me?

- E con me! - disse una seconda

- E me! - una terza

- Anche me!

Presto tutte le ragazze del gruppo stavano insistentemente chiedendo al giovane di concedere loro un ballo.

- Ehm...mi dispiace ragazze... - iniziò lui - ma, ecco, vedete....ehm...devo tenere d'occhio la mia sorellina! Se le succedesse qualcosa mio padre mi staccherebbe la testa, e quindi è meglio che faccio come lui vuole. Vorrei concedervi l'onore, ma se ballassi con voi poi perderei di vista lei. - disse stringendosi al fianco la sorella.

Le ragazze emisero dei sospiri di delusione, ma se ne andarono senza protestare. Quando se ne furono andate, Maria si rivolse al fratello.

- Com'è che sono la tua sorellina solo quando ti fa comodo?

- Ehm...

- Maria! - urlò all'improvviso una voce femminile, interrompendo il discorso fra i due fratelli.

Si trattava di una ragazzina all'incirca dell'età di Maria, dagli occhi marroni e i capelli castani cotonati e acconciati in modo elegante, con indosso un abito celeste tutto merlettato.

- Oh, Frédérique! - esclamò sorpresa Maria.

- Tu vai pure dalla tua amica! - disse sbrigativamente Jean contento di essersela cavata.

La sorella in tutta risposta gli lanciò un occhiataccia il cui messaggio era chiaro: "con te faccio i conti dopo", dopodichè, andò incontro all'amica.

- Che bella sorpresa, non mi immaginavo di trovarti qui! - disse la ragazzina.

- Infatti non volevo venire, ma mio padre mi ha costretta... - fu la risposta di Maria - Piuttosto... come va a te con quelle peppie di cui mi parli ogni tanto?

- Ah, ho trovato un modo per sistemare le cose! "Se non puoi batterli, unisciti a loro" dice il detto, e così ho fatto. Mi fingo loro amica e così mi lasciano stare.

- Io se lo facessi peggiorerei solo le cose: sono più appiccicose della resina, stare con loro vuol dire volersi male!

- Sono così fastidiose?

- Sì, lo sono! Non fanno altro che spettegolare su tutto e tutti: tizio ha fatto quello, l'altra ha i capelli orribili, oppure il figlio del barone è bellissimo, ecc..

In quel momento, l'amica vide un giovane sui quindici anni avvicinarsi a loro.

- Ehi, a proposito di bei ragazzi....ce n'è uno che sta venendo verso di noi!

Il giovane si fermò davanti alle due, guardò dritta negli occhi Maria e le porse la mano.

- Mademoiselle, volete concedermi l'onore di questo ballo? - le chiese galantemente.

- Ooooh, sta dicendo a te!! - quasi urlò estasiata Frédérique.

Maria ci pensò a lungo, alla fine anche se non troppo convinta, accettò.

- Vai! - le sussurrò l'amica.

I due si spostarono al centro della sala e insieme agli altri iniziarono a danzare elegantemente.

- Potreste almeno dirmi come vi chiamate? - chiese lei.

- Ma certo, il mio nome è François.

- E il vostro cognome?
- Preferirei non dirvelo. Ah, posso dirvi che siete davvero bella? E quel vestito vi sta d'incanto.

Maria lo fissò piuttosto infastidita: non sopportava tutti quegli esagerati complimenti, le davano l'impressione di essere falsi.

- Lecchino - disse lei fredda e pungente.

- Oh, ne deduco non siete un'amante dei complimenti.

- Esatto.

Il giovane François le sollevò con la mano il mento e sorrise maliziosamente.

- Interessante, mi piacciono le ragazze così...

Ballarono insieme per ancora alcuni minuti, poi Maria venne lasciata più o meno dove era partita. Jean le si avvicinò tranquillo ma senza mai staccare gli occhi di dosso al ragazzo che se n'era appena andato.

- Chi era quel tizio con cui hai ballato?

- Ah, non ne ho idea...

- Mariiieeeee! - urlò all'improvviso una voce squillante in mezzo alla folla.

Poco dopo, spuntarono all'orizzonte Josephine, Eloise, Francine e Clarisse, che velocemente circondarono Maria.

- Oooh, vedo che ti sei data da fare nonostante quello che hai detto Domenica! - disse Clarisse tutta emozionata

- Già, non me lo sarei mai aspettata da te! - fu il commento di Eloise

Maria però le guardò piuttosto confusa.

- Scusate, ma di che state parlando??

- Oh, non fare la finta tonta! Hai ballato con il figlio del barone Lacroix! - le fece notare Clarisse.

- Ah - fu la breve risposta di Maria, non molto interessata alla questione.

- Come "ah"?! Parla! Avanti, racconta! Che tipo è? - la esortò Francine

- Mah...è stato gentile, anche troppo. Mi faceva tutti dei complimenti sul vestito, su di me, e cose del genere. Mai visto ragazzo più stucchevole.

- Oooh, chissà come dev'essere stato bello ballare con lui.. -  mormorò con occhi sognanti Josephine.

- Se vuoi la prossima volta che me lo chiedono passo il testimone a te... - disse ironica Maria.

- Magari! - ripose prontamente lei che ci aveva creduto davvero.

- Non dicevo sul serio...- brontolò  Maria

- Ragazze! - esclamò all'improvviso Clarisse preoccupata. - Avete presente quell'assassino di cui ultimamente si parla?

- Chi, quello che uccide le giovani aristocratiche? - chiese Josephine.

- Esatto, lui! Ho appena sentito da alcune ragazze che ha colpito ancora!

- Oh, cielo! - esclamò Francine.

- Con questo tipaccio che gira per la città, ho paura a tornare a casa la sera!

- E perchè mai? Tanto sei in carrozza, no? - le fece notare Maria.

- Sì, ma non sempre, ogni tanto la sera esco a fare una passeggiata lungo il viale davanti alla villa, e quell'assassino potrebbe benissimo essere in agguato dietro l'angolo! Oooh, ho paura!

- Tsk! Se quel tipo osasse solo avvicinarsi a me, con un paio di calci e pugni lo disarmerei e lo fermerei! - disse Maria orgogliosamente.

- Bravaa! - dissero in coro le altre ragazze applaudendola.

- Maria, guarda che è pericoloso avere a che fare con un assassino. - le disse però Jean molto seriamente. - Ti faccio presente che non è un gioco.

- Guarda che lo so benissimo!

- Ragazze, secondo voi, l'assassino potrebbe essere quel ladro di cui si parla tanto negli ultimi mesi? Mi riferisco a quel Black Rose... - chiese pensierosa Clarisse.

A quelle parole, Jean strinse i pugni, mentre dentro di sè era già furioso: come osavano dare a lui dell'assassino?! Era un ladro sì, ma non un assassino, e non avrebbe mai alzato un dito su una ragazza!

- Assolutamente no. - disse all'improvviso Maria. – Black Rose non può essere l'assassino.

- E per quale ragione? - le domandò Clarisse sorpresa.

- Beh..

Maria rimase un momento indecisa: non poteva certo parlare loro del fatto che avesse avuto a che fare con quel ladro molte volte, ma non poteva certo lasciare che accusassero di essere un assassino, chi di certo non lo era! Alla fine alzò lo sguardo verso le sue coetanee e parlò.

- Per quel poco che so di Black Rose, è un ladro che cerca sempre di introdursi nelle case a tarda notte e passando nei punti meno sorvegliati. Stando a quello che dicono le guardie di solito, nessuno ci ha mai rimesso la vita con lui, nemmeno chi lo intralciava, al massimo si ritrovava con qualche osso rotto. A rigor di logica, per quale motivo dovrebbe assalire delle ragazze indifese? Per rubar loro qualche gioiello? Anche se fosse, è più probabile che cercherebbe di addormentarle o stordirle piuttosto che ucciderle, non vi pare?

- Effettivamente non hai tutti i torti... - ammise Clarisse.

- Scusate se vi interrompo ragazze, - s'intromise all'improvviso Jean. - ma per noi due è ora di congedarci. Vi auguro una buona notte!

E così dicendo, con la sorella tranquillamente si diresse verso l'uscita.

- Perchè pensi che Black Rose non centri in questa storia? - le chiese all'improvviso.

- L'ho detto prima, no?

- Quella era solo una mezza scusa per non dire alle ragazze che di notte gli dai la caccia. Mi credi così stupido da non accorgermene?

- Mpf, hai ragione... Il fatto è che l'ho affrontato tante volte ormai, si direbbe un tipo leale, e anche uno che non attacca a meno che non ci sia altra soluzione. Inoltre, più di una volta volendo mi avrebbe potuto uccidere, invece s'è semplicemente limitato a mettermi fuori gioco. Uno così non può assolutamente essere un assassino. E anche quello che ho detto alle altre me lo fa davvero pensare. Insomma, sarà un ladro, ma penso che sia una brava persona.

- Ho capito. << Incredibile, non pensavo che lei avesse una così buona opinione di Black Rose. Non mi aspettavo proprio che sarebbe stata lei a difendermi da quelle accuse... >>

Mentre i due si dirigevano verso l'uscita, in mezzo alla folla Maria notò il giovane François Lacroix, che non appena la vide, la fece un elegante inchino in segno di saluto, e la giovane nobile in tutta risposta girò frettolosamente la testa dall'altra parte scocciata.

<< Quel tipo non mi piace...spero proprio di non incontrarlo più! >> Pensò uscendo.

 

Ma un paio di giorni dopo alla residenza De la Rou, Maria ricevette una notizia per niente piacevole.

- A-andare a cena...dalla famiglia Lacroix?!?! - esclamò sbigottita.

Quasi disperata si lasciò andare lungo la sedia nella sala da pranzo.

Pochissimi minuti prima, finito il pranzo suo padre aveva annunciato che erano stati invitati a cena dalla famiglia Lacroix per Sabato, e in pochi secondi, per Maria fu come se il mondo le crollasse addosso. Aveva avuto una sola esperienza con il figlio del barone, e già non lo poteva più vedere! Ci mancava solo che ora dovesse anche andare a cena a casa sua...Ma d'altronde che poteva fare lei, rifiutare? Anche se lo avesse fatto suo padre le avrebbe imposto di andare, quindi non c'era via di scampo. L'unica cosa da fare era aspettare che arrivasse quel giorno, sperando che nel frattempo per qualche motivo la cena venisse disdetta.

 

Ma i giorni passarono in fretta, e la tanto sperata disdetta della cena non arrivò, così Maria dovette andare. Anche quella sera indossava un abito elegante, ma non la smetteva di cercare di sistemarselo in ogni modo.

<< Maledizione alle domestiche, m'hanno legato il bustino troppo stretto! Aaargh che tortura! >>

Quando suo padre bussò alla porta, il maggiordomo che aprì immediatamente li condusse nel salotto, dove il padrone di casa e la sua famiglia li stavano aspettando. Il barone era un uomo piuttosto alto, non troppo magro di circa quarant'anni. I capelli castani erano elegantemente pettinati all'indietro, mentre i baffoni, dello stesso colore, erano curati alla perfezione.

- Benvenuti nella mia umile dimora, cari ospiti! - disse monsieur Lacroix - Permettete che vi presenti i membri della mia famiglia: questo ragazzo alla mia destra è mio figlio François, - disse

- Piacere di conoscervi gentili ospiti. - disse il ragazzo, rivolgendosi a Jean e suo padre, per poi osservare Maria. - Oh, che sorpresa! Non credevo di rivedervi così presto dopo il ballo di Venerdì, mademoiselle. - continuò poi rivolto alla ragazza.

Dopo questo piccolo benvenuto da parte del figlio, il barone riprese:

- Mentre la donna alla mia sinistra invece è mia moglie Alphonsine.

- Piacere di conoscervi - disse la donna accennando un inchino.

- Il piacere è nostro, madame - rispose elegantemente monsieur De la Rou. - Ora, permettete a me di presentarvi i membri della mia famiglia: questo ragazzo è mio figlio Jean, il primogenito; mentre questa ragazza è mia figlia Maria, anche se mi pare di capire che vostro figlio la conosca già.

In quel momento, un servitore bussò leggermente alla porta per poi entrare.

- Perdonate l'intrusione, ma volevo avvisarvi che la cena è pronta. - annunciò.

- Oh, bene! Che ne dite? Vogliamo accomodarci a tavola? - disse il barone.

- Con piacere - fu la risposta dell'ospite.

La cena durò quasi due ore, talmente era ricca di pietanze di ogni genere da servire, e fu consumata tutta in rigoroso silenzio come l'etichetta richiedeva. Manco Maria, che di solito non amava rispettare questo tipo di regole mangiò in assoluto silenzio, probabilmente seccata di dover essere lì a cenare assieme a quel tipo che proprio non riusciva a sopportare. Al termine della cena, i sei tornarono nella sala di prima e si misero tranquillamente a chiacchierare del più e del meno: finanza, mode, fatti di cronaca e molto altro.

- Allora François, da quello che m'è parso di capire, tu e la signorina Maria vi conoscete già. Potrei sapere come vi siete conosciuti? - domandò ad un tratto monsieur Lacroix al figlio.

- Beh padre, ci siamo semplicemente incontrati al ballo di Venerdì sera. Mi è parsa disponibile, e così le ho chiesto di concedermi un ballo, e dopo quattro chiacchiere insieme, l'ho riportata dove l'avevo vista.

- Capisco.

- Come ti sembra mia figlia? - chiese curioso monsieur De la Rou, come se la diretta interessata non fosse neanche presente.

- Oh, beh, la trovo una ragazza particolarmente interessante. Vorrei poterla conoscere meglio, e uscirci insieme. Sempre, se a voi sta bene monsieur.

- Ma certo che mi sta bene. Anzi, perchè non organizziamo ora una vostra uscita? - propose entusiasta l'uomo.

- Mi farebbe un immenso piacere, monsieur!

- Ehm...scusate...ma la mia opinione non conta? - domandò Maria che già non sopportava che prendessero decisioni per lei, figurarsi poi delle uscite con un ragazzo che non sopportava.

- Maria, questa potrebbe essere la buona occasione per farti il ragazzo, se non il fidanzato, quindi non discutere con le mie decisioni! - spiegò velocemente suo padre, con un interesse che raramente mostrava. - Allora François....quando saresti disponibile?

- Beh, la settimana del quindici sono completamente libero, in ogni ora dato che il mio insegnante deve andare a un convegno.

- Splendido, mia figlia invece in settimana può nel pomeriggio a partire dalle tre emmezza, e tutta la sera fino alle dieci emmezza. In che ora quindi preferiresti che vi incontraste?

- Credo che la sera del sedici possa andare bene.

Maria lanciò a Jean uno sguardo di supplica, il cui significato era chiaro: "Aiutami, fa' qualcosa!". Ma in tutta risposta, lui si limitò ad alzare le spalle ridacchiando un po' divertito dalla situazione.

- Bene, allora è deciso! Vada per la sera del sedici! - commentò soddisfatto.

- Va bene se verrò a prendere sua figlia per le otto?

- Certamente.

<< Bene, la serata sta andando di male in peggio: prima mi tocca andare a cena da uno che mi sta sul culo, ora invece devo pure uscirci Martedì sedici! >>  pensava Maria abbattuta.

- Dai, guarda il lato positivo: almeno ora anche una tavola piatta come te s'è trovata il ragazzo! - le disse Jean sghignazzando.

La ragazzina avrebbe voluto prendere il vaso che era appoggiato sul tavolino davanti a lei, e tirarlo dietro al fratello, ma dato che non erano soli si limitò a rifilargli un pestone degno di questo nome sul piede.

- Deficiente! - gli disse mentre questi tratteneva un grido di dolore.

Fra una chiacchiera e l'altra, dopo un po' uscì lo stesso argomento che al ballo aveva fatto tanto preoccupare Josephine e le altre: l'assassino di ragazze nobili.

- Lo avete saputo, barone? Quell'assassino ha colpito ancora: altre tre ragazze sono state uccise! - disse il conte De la Rou

- Di nuovo? Non se ne può più! Siamo arrivati a quindici vittime! Ma le forze dell'ordine non hanno nemmeno un indizio su chi sia il colpevole? - domandò il barone.

- No, nessuna. Si sa solo che agisce di notte, che colpisce le giovani di famiglia nobile, e che le colpisce quando sono sole. - spiegò Jean.

- Non è una buona notizia....conte, voi che avete anche una figlia femmina, non avete paura a farla uscire?

- Sì, in parte sì, ma dato che ho con me anche mio figlio Jean, in parte mi sento più tranquillo perchè so che può vegliare su di lei, anche se so che Maria in fondo è in grado di badare a se stessa. Però vorrei che si facesse qualcosa per questo assassino!

- A me basterebbe che lo trovassero e che lo ghigliottinassero! Almeno avrei la soddisfazione di vedere morto colui che ha osato fare del male a delle innocenti ragazze. - disse furioso François.

- Giusto! Ben detto, figliolo! - lo incoraggiò il padre.

Il resto della serata trascorse piuttosto tranquillamente, con discorsi piuttosto simili a quelli dell'inizio, e senza mai qualche particolare interesse ad un determinato discorso. L'argomento dell'uscita fra Maria e François non venne più toccato, e Maria quasi pensò che se ne fossero dimenticati.

 

Ma una volta tornata a casa suo padre le disse che avrebbe informato tutti i servi per il giorno dell'uscita, in modo che la potessero sempre tenere sotto controllo per poterla fare arrivare all'appuntamento in perfetta forma. La giovane d'altro canto sperava comunque di riuscire a giocare i servitori: data la sua salute cagionevole, con un po' di fortuna, poteva fingersi malata, e così evitare l'appuntamento! O almeno così sperava: nei giorni a seguire, le vennero sempre servite pietanze particolarmente salutari, in modo che per lei fosse quasi impossibile ammalarsi in qualche modo prima che andasse all'appuntamento. Era tutto ben pianificato ormai, e per quanto lei provasse a dare sintomi di malessere, veniva tenuta in salute con brodi e altri cibi che prevenissero malattie di ogni genere. Alla fine, si dovette arrendere e sperare che il giorno stabilito arrivasse in fretta: via il dente, via il dolore.

 

Alla fine Martedì sedici arrivò, e Maria si sentì quasi sollevata. Non ne poteva più di quella roba quasi da malati, almeno una volta finita quest'uscita l'avrebbero fatta tornare al cibo solito.

Il giovane François suonò alla porta alle otto di sera precise, non un minuto di più, non uno di meno. Indossava una giacca blu scuro quasi nera con alcuni fiori ricamati lungo i polsini, e sotto un panciotto blu avio con la camicia bianca, abbinati a un paio di pantaloni neri, e infine una spada, in caso di brutti incontri. Maria dato che non ci teneva particolarmente a questa uscita, cercò di mettersi il vestito più comodo e meno elegante che aveva, usando come scusa che quello era il suo preferito e che voleva indossarlo in un occasione speciale come quella. Non rimasero in casa molto tempo: dopo un paio di chiacchiere con monsieur De la Rou sull'orario per riportare la figlia a casa, François prese per mano la ragazzina e con lei uscì.

Fuori ormai non c'era molta gente dato che si stava facendo sera, in giro c'erano quasi solo carrozze che portavano a passeggio o a casa i vari nobili del posto, solo loro passeggiavano tranquilli.

- Hey, posso farti una domanda? - chiese ad un tratto Maria.

- Dimmi pure.

- Si può sapere perchè ci tieni così tanto ad uscire con me?

- Perchè ti trovo interessante: le ragazze di solito cadono ai miei piedi, impazziscono per poter avere un ballo con me, o anche meno, altre invece mi vogliono solo per il mio titolo. Tu invece non dimostri il minimo interesse per me, anzi, ho anche l'impressione di non piacerti.

- Non è un'impressione: non mi piaci proprio!

- Ecco, appunto. Tu sei diversa però, a te non importa del mio titolo, nè della mia bellezza o altro, mi tratti con freddezza e mi dai del tu anche se non ci conosciamo! Per questo voglio conoscerti meglio, voglio capire perchè sei diversa.

- Sono diversa perchè io penso, zuccone!

Il giovane rise leggermente.

- È proprio questo che mi piace di te.

 

Nel frattempo, alla villa della famiglia De la Rou, Jean silenziosamente si apprestava ad indossare i panni di Black Rose, quando sentì qualcuno bussare alla porta.

- Padron Jean, sono René.

- Vieni, entra pure.

- Vi ho portato i vostri stivali lucidati. - disse entrando

- Perfetto, grazie, ne avevo proprio bisogno! - esclamò Jean per poi prenderli dalle mani del servitore e infilarseli.

- Oh, vedo che vi state preparando per uscire. - notò vedendo il proprio padrone con gli abiti da ladro.

- Sì, dato che Maria non c'è, voglio approfittarne per cercare di rubare qualcosa in tutta tranquillità.

- E con i gendarmi come la mettete?

- Oh, quelli sono dei rammolliti: hanno una pessima mira, e sono disordinati, capita spesso che s'inciampino fra di loro! A volte invece corrono davvero piano, li supero in un attimo e così mi tengo la refurtiva. Non ho nulla di cui preoccuparmi, con quelli!

- Capisco. Però vorrei che mi facesse il favore di prendere con sè oltre alla spada che già usa, una seconda.

- Uh? E per quale motivo?

- Vi sembrerà una cosa ridicola, ma ho un brutto presentimento, e penso che un'altra spada quindi vi possa servire.

 

Erano ormai le dieci di sera, e per strada lungo cui camminavano Maria e François, non passava nessuno. La luce era poca, in parte a causa delle nuvole che coprivano la Luna, in parte per via dei pochi lampioni presenti nella strada dato che era poco trafficata. L'aria iniziava a farsi umida, probabilmente più tardi si sarebbe messo a piovere.

- Sai, nonostante sia molto desiderato dalle ragazze, le ragazze che io desidero finiscono sempre per rifiutarmi.. - disse improvvisamente il giovane.

- Ah, allora non sono l'unica a cui non piaci!

- Sì, è vero... Ma sai, lo trovo triste.. Non amo essere respinto, soprattutto se ho faticato tanto per farmi notare dalla ragazza in questione. Eppure a volte mi rifiutano con tanta freddezza...non pensano ai miei sentimenti? Sembra proprio di no, sono egoiste, pensano solo a quello che piace a loro, mentre io vengo lasciato in disparte...

<< Perchè mi sta raccontando questo? Dove vuole arrivare? Ho un brutto presentimento... >>

- Odio essere rifiutato, non voglio essere rifiutato! Già mia madre mi rifiutò pochi anni dopo la mia nascita a causa di una malattia, ora non voglio più essere lasciato solo!

- Che stai dicendo? Il giorno della cena c'era anche lei!

- Oh, ma quella non è la mia vera madre..come il barone non è il mio vero padre. Io sono solo un trovatello che hanno raccolto dalla strada! E lo so già che anche loro prima o poi mi lasceranno solo...

Senza che la ragazza se ne accorgesse, i due si stavano addentrando in una zona piuttosto buia e sporca della città, ma incurante di questo, il giovane François continuò il suo discorso quasi delirante.

- Tutti mi lasciano solo...anche le ragazze che ho più desiderato! Ma perchè loro dovrebbero fare la bella vita, mentre io mi danno l'anima a causa loro? Non è giusto! Io non ho potuto averle, ma ora nessun'altro le avrà, nessuno! Per fortuna che il mio amico Jacque mi capisce...è merito suo se chi mi rifiuta la paga cara!

- Nessuno le potrà....avere? - mormorò Maria stupita, quando all'improvviso le sorse un terribile dubbio. - Vuoi dirmi che le hai...uccise?

- Certo che sì! Ora solo i vermi potranno stare con loro! Geniale vero?

- No...tu sei pazzo!

Maria lentamente arretrò cercando di allontanarsi il più possibile da quel pazzoide, finchè sentì di essere andata a sbattere contro qualcosa, così si voltò, e vide dietro di lei un ragazzo circa di diciassette anni, con tutta la faccia sporca e gli abiti poveri in alcuni punti strappati e in altri rammendati.

- Ah, ecco il mio amico Jacque! - esclamò allegro François. - Cara Maria, anche tu mi hai respinto, e quindi anche tu farai quella fine: la fine di Marianne, Caroline e delle altre tredici ragazze che hanno osato rifiutare il mio amore!

- Quindici ragazze uccise..? Ma allora sei tu quel pazzo assassino che va a uccidere le ragazze aristocratiche!

- Sì, sono io!! - esclamò con una luce folle e sadica negli occhi - Che vuoi fare, fermarmi?! Non puoi, perchè sei la nostra preda ora, e quindi morirai!

Velocemente il diciassettenne compagno del nobile la afferrò da dietro cercando di tenerla il più possibile ferma, nonostante lei non la smettesse di dimenarsi.

- Quelle parole che hai detto quella sera, quando hai detto che volevi vedere morto colui che aveva assassinato le ragazze, allora erano tutte bugie?! - gridò quasi furiosa la ragazza.

- Un perfetto esempio di recitazione, non credi?

- Tu....schifoso bastardo!

Furiosa assestò un pesante pestone al ragazzo dietro di lei, e approfittando della distrazione provocatagli riuscì a liberarsi dalla presa, per poi iniziare correre per sfuggire ai due assassini che intanto s'erano gettati al suo inseguimento. Una svolta a destra, un'altra, dritto, una svolta a sinistra, sempre più al buio, finchè all'ennesima svolta non si ritrovò in un vicolo cieco e con le spalle al muro. Non ebbe il tempo di uscire da lì che i suoi inseguitori la raggiunsero.

- Avanti, non fare storie e lasciati uccidere... - disse François sfoderando un pugnale.

- Tsk! << E ora che faccio? Maledizione, mi hanno tagliato ogni via di fuga! >>

I due fecero per avventarsi sulla giovane nobile, ma all'improvviso qualcuno lanciò contro di loro delle tegole, mancandoli di poco.

- Lo sapete che non è molto corretto avventarsi così, in due, su una ragazza? - disse loro una voce da un tetto accanto al vicolo.

I tre alzarono contemporaneamente lo sguardo in direzione della voce, e ciò che videro, era ciò che meno si aspettavano: una figura completamente in nero, stava appollaiata sul tetto lì accanto ad osservarli.

- B-Black Rose?! Cosa ci fai qui?! - esclamò sorpresa Maria.

- Mi pare ovvio, no?

Con un balzo il ladro saltò giù dal tetto, e atterrò davanti a lei.

- Vengo a tirarti fuori dai guai!

- Non mi serve il tuo aiuto!

- Tu dici? Loro sono in due, e armati, tu saresti da sola e disarmata, mi spieghi come li affronteresti?

- ... E va bene! D'accordo, dammi pure una mano...

- Ottimo. - concluse il ladro sfoderando la spada.

- Oh, e così questo è il famoso ladro Black Rose! - esclamò con arroganza il giovane François. - Cos'è, fai il gentiluomo ora?

- Una specie.

- Beh, non m'importa cosa tu sia, resta il fatto che questi non sono affari che ti riguardano, sparisci!

- E lasciarvi fare del male a questa mademoiselle? Mi dispiace ma non è nel mio stile.

- Ti rifiuti, quindi? Va bene, ma poi non scappare con la coda fra le gambe quando ti avremo sistemato! - disse estraendo anche lui la spada.

- Hey, Maria, dato che sai combattere anche tu con la spada, mentre io affronto questo tu pensa all'altro! - le consigliò senza prestare attenzione all'avversario.

- Eh?! E con che, scusa?! - domandò lei sorpresa.

- Con questa... - rispose il ladro mostrandole un'altra spada appena accanto al fodero di quella che aveva estratto. - Oppure hai paura di farti male o rovinarti il vestito? - aggiunse poi con fare provocatorio.

- Cosa?! Nient'affatto! Passami quella spada!

- Benissimo, al volo! - le disse senza nascondere un sorrisetto divertito mentre le lanciava l'arma.

- Non ignorarmi! - sibilò furioso François per poi gettarsi all'attacco del suo avversario che intanto era ancora voltato.

- Anche attaccare alla spalle è scorretto, sai? - commentò sarcastico Black Rose mentre schivava l'affondo.

- Dannazione! - borbottò fra se e sè il giovane.

Pochi istanti dopo, entrambi duellavano usando tutta la loro forza e senza darsi un attimo di tregua, a differenza di Maria che essendo rimasta incantata a guardarli, s'era quasi scordata del suo avversario.

- Una donna che combatte con la spada? Ma per favore! Cosa credi di farmi, ragazzina? - domandò sarcastico il complice di François.

Maria lo guardò seccata: come osava sottovalutarla solo perchè una ragazza?! Poi, con un sorriso maligno stampato in faccia rispose:

- Oh, adesso vedrai.

Senza aspettare oltre iniziò ad attaccare: affondo, imbroccata, parata, dritto sgualdembro, senza mai perdere un colpo. Contro il fratello spesso perdeva, ma il suo avversario a confronto era una nullità, un misero vermiciattolo, che lei avrebbe sconfitto.

Dal canto suo, il suo avversario era rimasto sconvolto: mai aveva incontrato una donna che sapesse combattere con la spada, e soprattutto, mai si sarebbe aspettato che una donna gli tenesse testa con tanta facilità! Però non poteva permettersi di essere battuto, tantomeno da una donna, che doveva essere preda sua e dell'amico François! Era incerto sulle mosse da eseguire, ma dopo essersi dato una scrollata veloce per riprendersi, partì anche lui all'attacco: parata, finta di stoccata, stoccata e affondo. Ma Maria rispondeva rapidamente: fendente, dritto tondo, affondo, parata, finchè non riuscì a dominare senza problemi il duello.

Nel frattempo Jean continuava a tenere testa senza problemi a François, che era sempre più irritato e ansioso di tornare all'omicidio, e non voleva perdere tempo nel duello, quindi prima finiva meglio era. Tentò con un imbroccata, che venne però fermata con un legamento seguito da una stoccata, a cui rispose con un fendente che venne però schivato, finchè ad un certo punto con una cavazione, Black Rose  fece volare via la spada al suo avversario e gli puntò la sua alla gola, nello stesso istante in cui Maria lo faceva con il suo avversario.

- Fine dei giochi. - dissero in coro i due.

Senza perdere ulteriore tempo, infilzarono con la spada la gamba destra o sinistra dei due farabutti, in modo da evitare loro di scappare via facilmente.

- Bene, e ora che si fa? - chiese poi Maria.

- Beh, tu va' a chiamare i gendarmi e di' loro che questi due hanno cercato di ammazzarti, io intanto sto qui e li tengo d'occhio in modo che non fuggano. Quando i gendarmi arriveranno, io me la svignerò. - spiegò il ladro.

- E tu credi che ti lascerei davvero andare via così facilmente, proprio ora che ti ho a tiro? - chiese scettica.

- Un po' ti conosco, non mi sembri il tipo di persona che approfitta di una situazione simile per sistemare i fatti suoi. Insomma: tu sei mal concia, io sono malconcio, che senso avrebbe duellare fra di noi per decidere chi l'ha vinta?

- Hai ragione... Va bene, vado. Ma come lo spiego ai gendarmi il fatto che 'sti due sono conciati così male?

- Boh, inventati magari che due gentiluomini li hanno affrontati, e che dovevano aspettare qua, ma quando torni con loro quei gentiluomini sono spariti.

- Che razza di scusa...ma meglio che niente...Uff...Allora vado. E in quanto a te, vedi di non farti rivedere troppo presto, ladro da strapazzo! - gli disse con tono di minaccia.

- Non contarci, mademoiselle dei miei stivali! - rispose lui con un sorrisetto di sfida.

Maria stanca si allontanò verso la stazione dei gendarmi più vicina possibile, lasciando così il ladro solo con i due assassini, e con i suoi pensieri.

<< Uff...per fortuna ho dato ascolto a René e ho preso una seconda spada con me, ma non posso fare a meno di domandarmi cosa sarebbe successo se non fossi arrivato in tempo...L'avrebbero uccisa? Oppure in qualche modo se la sarebbe cavata, e avrebbe anche pensato bene di vantarsene in giro? A volte Maria prende le cose tropo poco seriamente: per lei è come se fosse un gioco. Ma la vita non è un gioco, dovrà capirlo prima o poi. >>

 

Qualche giorno dopo, Jean e Maria davanti alla villa della famiglia Lacroix, osservavano i fattorini indaffarati a caricare sulle carrozze e sui carri, gli ultimi bagagli dei Lacroix.

- E così il barone se ne va, eh? - osservò Maria.

- Già, dopo che ha scoperto che il figlio è un assassino, non si è più fatto vedere in città...

- Ma che fine faranno il figlio del barone, e il suo complice?

- Mah, pare che il complice lo ghigliottineranno un giorno di questi. François invece, si vocifera che il padre lo abbia fatto rinchiudere in qualche collegio...o forse in monastero. Insomma, la pellaccia l'ha salva purtroppo.

- Il figlio in monastero e il padre invece si trasferisce...

- Evidentemente per lui sarà una vergogna tale, che preferisce andare a rifarsi la vita in un posto dove nessuno lo conosce, che mostrare ancora la sua faccia qui. - commentò duramente.

- Quanto veleno nelle tue parole... - notò la ragazza.

- Il fatto è che non sopporto queste persone codarde che invece che affrontare il giudizio degli altri, preferiscono fuggire lontano, per salvare l'apparenza e per sfuggire alle pesanti responsabilità che gravano su di loro.

- Non sopporti questo genere di persone, eppure ne siamo spesso circondati.

- Già.

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Capitolo 5
*** Giornate indaffarate ***


Era la mattina presto di un Lunedì d'estate, il vento sferzava il volto teso di Jean, mentre con passo pesante camminava per la città, portando con sé una borsa in pelle. Era uscito di casa pochi minuti prima con la scusa di volersi fare una passeggiata prima dell'arrivo del suo insegnante, ma in realtà il suo obiettivo era tutt'altro. Solo René sapeva dov'era veramente diretto, ma di certo non lo avrebbe spifferato in giro.

Il giovane emise un sospiro rassegnato. Non gli piaceva doversi affidare a quella persona, ma d'altronde non aveva altra scelta se voleva fare un po' di soldi, quindi niente ripensamenti, doveva continuare per la sua strada. La zona in cui si trovava era ancora un po' buia, perché le case sorgevano ai lati di una strada piena di alberi che crescevano proprio accanto alle case, e che crescendo avevano creato una specie di tetto di foglie che oscurava il cielo. Le abitazioni erano vecchie, alcune anche piuttosto disastrate, d'altronde si trovava in una delle zone povere della città.

Le strade nonostante fosse mattina presto erano già piene di gente: chi andava a fare il bucato, chi apriva il proprio negozietto, chi andava a lavorare, chi a vendere i giornali; solo i nobili facevano la vita comoda e iniziavano più tardi il loro lavoro. Sempre loro...i nobili, quelli che hanno tutte le fortune: proprietari di terre, vite agiate, ricchi da far schifo; mentre nella stessa città, a pochi metri di distanza, la povera gente che si spacca la schiena dalla mattina alla sera per poter avere dei soldi per poter vivere. Lui non aveva mai provato di persona questo tipo di vita, ma gli era capitato di avere a che fare anche se per breve tempo, con persone che davvero lavoravano quasi fino allo sfinimento solo per quattro soldi.

Continuando a camminare, passò lungo una parte di strada che fiancheggiava una delle piazze della città. Era piuttosto sporca quelle poche volte che l'aveva vista, ma ricordava che era spesso usata per un certo tipo di avvenimenti, anche se ora non ricordava cosa.

- Dai, muoviti, muoviti! - diceva un ragazzino ad un suo amico mentre attraversavano frettolosamente la strada in direzione della piazza.

Jean sorpreso dal'arrivo dei due ragazzini, si fermò un attimo per lasciarli passare, in modo da evitare il rischio di scontrarsi, poi riprese il suo cammino. Lungo la strada però molte altre persone si dirigevano piuttosto interessate verso quel punto, destando così la curiosità di Jean, che decise di seguire la folla. Quando finalmente raggiunse anche lui la piazza però, quello che vide gli fece passare la curiosità. Ora ricordava per che tipo di avvenimenti veniva usata:i ghigliottinamenti! Lentamente alcune autorità iniziarono a prendere posto sul patibolo, e poco dopo anche il condannato. A quella scena, Jean si sentì gelare il sangue: il condannato era una ragazzina! Il suo cuore per poco non mancò un battito a quella terribile scena, e dentro di sé si domandò quale terribile crimine doveva aver fatto quella ragazzina, per meritarsi una condanna a morte.

- Condannata Alphonsine Barret. - disse quello che probabilmente era il capo della polizia in quella zona. - Avanza sul palco - le intimò.

La giovane aveva si e no l'età di Maria. Indossava un semplice indumento di tela marroncino, neanche elaborato in qualche modo: era come se indossasse un sacco per le patate ma con le maniche; i suoi capelli invece erano neri, lunghi e piuttosto sporchi e crespi. Ma nonostante l'aspetto trasandato aveva lo stesso portamento fiero di Maria, e nonostante stesse per morire, non dimostrava la minima paura.

Uno degli uomini sul palco le fece poggiare la testa nell’incavo della ghigliottina, mentre il capo della polizia le si avvicinò.

- Alphonsine Barret, sei stata giudicata colpevole del reato di furto di cibo: hai qualcosa da dire al riguardo? - le chiese.

- Sì: - rispose lei a testa alta e con sguardo fiero. - non me ne pento, se potessi tornare indietro nel tempo lo rifarei ancora e ancora.

- Piccola svergognata.. - mormorò in rimando l'uomo.

In lontananza, una campana segnò lo scoccare dell'ora, e in quel momento colui che doveva essere il giudice, diede il segnale agli altri di lasciare andare la corda.

Jean inorridito non osò guardare quell'orribile scena, e si voltò sconvolto.

<< Non posso guardare, non riesco a guardare, non voglio guardare! E come potrei?! Al posto di quella ragazzina potrebbe benissimo esserci Maria! Stesso portamento, stessa fierezza, sono davvero simili, e stare a guardare mentre viene giustiziata, come fanno gli altri, sarebbe barbarico! >> pensò inorridito.

Non riusciva a stare in mezzo a quella folla urlante di gioia per quella morte, e rapidamente infatti si allontanò fino a raggiungere nuovamente la strada in cui camminava prima, per poi fermarsi di fronte al muro di una vecchia casa. Furioso come rare volte, batté molte volte i pugni contro la parete per potersi sfogare, mentre a fatica tratteneva la voglia di urlare dalla rabbia. Non riusciva a darsi pace: aveva assistito all'esecuzione di quella ragazzina, ma continuava a domandarsi se non ci fosse stato un qualche modo per poter evitare a quella poveretta una morte così orribile. Gli piangeva il cuore all'idea che ormai la legge fosse arrivata al punto di far giustiziare anche dei semplici ladri di cibo, soprattutto in un'età così giovane. Non era meglio rieducare a quell'età, invece di uccidere?

- Dannazione! Dannazione! - esclamò continuando a battere i pugni. << Se solo avessi potuto fare qualcosa per aiutarla... Maledizione! Invece di decapitare le ragazzine che rubano cibo, dovrebbero pensare a criminali peggiori! Perché invece di punire con la morte chiunque vada fuori dalla legge, non cercano di rieducare? Sono stufo di sentire di gente che viene decapitata...non è che ammazzando tutti i criminali, diminuisci il loro numero! Tanto c'è sempre qualcuno che commette crimini, il numero sarebbe sempre e comunque in aumento...Ovvio, chi ammazza dovrebbe giustamente essere ucciso a sua volta, ma uccidere chi ruba o che altro, non è giusto! >> Pensò arrabbiato.

Cercò di darsi una calmata: non poteva fare nulla contro queste cose, erano parte della società, per quanto non gli andasse giù. Fece un respiro profondo per poter riprendere il controllo, e in quel momento sentì un dolore alla mano destra, così le sue attenzioni si spostarono su di essa: le nocche e un fianco erano tutti tagliati e sanguinanti, per questo faceva male, solo che prima era così furioso che non aveva pensato al dolore. Istintivamente strinse la mano ferita nell'altra, senza trattenere una leggera smorfia di dolore. Non aveva nulla con cui medicarsi o fasciarsi, per cui era inutile pensarci troppo, per cui riprese la sua borsa, e di malavoglia continuò il tragitto.

Lungo il cammino, la strada si fece sempre più bella: i ruderi iniziarono a essere sostituiti da case normali, non particolarmente sfarzose, ma adatte alla gente media. Gli alberi non erano più così fitti, e se ne trovavano molto meno lungo i viali delle strade, che erano costellati di numerosi negozi e botteghe: sarti, gioiellerie, panetterie, e molto altro. Continuò fino in fondo alla strada, poi girò in una stradina a destra piuttosto stretta e senza illuminazione, che lo condusse infine ad una porta piuttosto semplice, con una piccola tettoia malandata poco sopra. All'apparenza sembrava una comunissima uscita sul retro, che poteva benissimo avere senso in un ristorante, o in un albergo, ma che per lo studio di un avvocato, era alquanto strana. Però Jean sapeva bene a cosa serviva quella porta: era un ingresso per i "clienti".

Si accertò che non stesse arrivando nessun'altro in quella via, dopodiché aprì la borsa ed estrasse tre oggetti, cioè un capello nero, un mantello dello stesso colore,  e una maschera che copriva solo la parte superiore del volto: erano parte dell'abito di Black Rose. In tutta fretta li indossò, dopodiché bussò tre volte di seguito, una poco dopo, e altre due successivamente, come si era sempre concordato di fare quando andava lì. Ad aprirgli venne un vecchio piuttosto rinsecchito dall'aria arcigna, che dopo averlo squadrato un momento, si voltò indietro da dove era entrato e urlò:

- Signore, avete un cliente!

In lontananza si udì un breve "fallo entrare", e in tutta risposta il vecchio in totale silenzio si mise accanto alla porta, facendo segno di entrare.

<< Tipo davvero chiacchierone, eh? >> pensò ironico.

Sapeva bene dove dirigersi: non era la prima volta che andava da quel tipo, ormai la strada la conosceva a memoria, come probabilmente tutti gli altri suoi "clienti". Da quell'ingresso sul retro, camminò lungo un corridoio piuttosto spoglio, senza alcuna porta o finestra, finché non vide arrivare una luce da una stanza sulla destra, e allora seppe di essere arrivato a destinazione. Prima di entrare sullo stipite della porta bussò esattamente come aveva fatto all'ingresso, in modo da attirare l'attenzione dell'uomo seduto alla scrivania.

- Ah, il signor Black Rose! - esclamò l'uomo con un tono quasi di scherno.

Eccolo lì: Alfred Dubois, l'usuraio. Era un uomo sulla cinquantina, i capelli castani brizzolati erano pettinati all'indietro in modo compatto, e i suoi occhi di un azzurro quasi grigio scrutavano sempre con aria famelica e maligna i suoi clienti da sopra gli occhiali da vista.

- Allora, sei venuto per altra roba presa durante i tuoi "lavori"? - gli chiese con l'espressione di chi non vedeva l'ora di racimolare tanti soldi.

- Esatto. - rispose freddamente, con voce profonda.

Detestava avere a che fare con quell'uomo, ma era uno dei pochi che sapeva farsi gli affari suoi, e aveva occhio per la roba di un certo valore. Con questo pensiero, velocemente aprì la borsa e ne rovesciò il contenuto sulla scrivania dell'usuraio, che osservò la refurtiva con aria soddisfatta.

- Quanta bella roba! - commentò l'uomo sghignazzando.

Il giovane di fronte a quella reazione strinse i pugni dalla rabbia e cercò di trattenersi dal desiderio di prenderlo a cazzotti. Odiava quel tipo: lavorava come avvocato, ma dietro quell'attività si celava quella di usuraio, cosa che Jean non poteva sopportare. Un avvocato era una persona che difendeva e seguiva la legge, il fatto che fosse anche un usuraio, che elargiva soldi in modi assolutamente contro la legge, era inammissibile!

Lo osservò mentre prendeva la refurtiva e la studiava con una lente per stabilirne il valore complessivo, e tutto senza mai togliersi quel ghigno soddisfatto dalla faccia. Una volta finita la valutazione inforcò nuovamente gli occhiali, posò sul tavolo lente e malloppo e alzò lo sguardo verso di lui.

- Bene, per tutto ti posso dare ottocento. - disse infine.

Quella cifra lasciò spiazzato il ragazzo.

<< Cosa?! Ma è una cifra bassissima! Stiamo scherzando, vero? >> pensò fra sé e sé.

Avrebbe voluto prenderlo e puntargli al collo la spada, ma decise di calmarsi e non farsi andare il sangue alla testa. Doveva restare impassibile, come era sempre stato in presenza di quell'uomo, non doveva lasciarsi andare: non doveva avere comportamenti che potessero rischiare di smascherarlo.

- Non prendermi in giro. Il prezzo è troppo basso, lo sai benissimo anche tu che come minimo tutto fa sui duemila. - disse poi con tono freddo e distaccato.

- Oh, non ti sfugge proprio niente, eh? E va bene, per tutto ti do' duemilacinquecento.

- Mi sembra giusto, accetto.

Velocemente monsieur Dubois prese tutto ciò che gli era stato dato, e dopo averlo affidato al servitore che aveva appena chiamato, si diresse nella stanza accanto per prendere la cifra pattuita. Jean non dovette attendere molto prima che ritornasse con i soldi, e una volta che l'uomo era tornato, velocemente il giovane ladro buttò i soldi nella borsa, che poi richiuse subito dirigendosi infine verso l'uscita.

- È sempre un piacere fare affari con voi. - gli disse all'ultimo l'usuraio continuando a sghignazzare.

Jean in tutta risposta si affrettò ad andarsene da quel posto vomitevole.

 

Una volta lasciatosi alle spalle l'incontro con l'usuraio, il suo primo pensiero fu rivolto alla lezione del giorno: non poteva arrivare in ritardo, che figura ci avrebbe fatto?! Conoscendo il suo precettore, se fosse arrivato in ritardo gli avrebbe fatto una ramanzina lunghissima e noiosissima, che lui non aveva la minima voglia di ascoltare, dato che aveva altro per la testa e perciò pensò che fosse meglio affrettarsi a rincasare. In quel momento una campana suonò le otto emmezza del mattino. La lezione iniziava alle nove in punto, gli restava solo mezz'ora per arrivare a casa! Senza perdere altro tempo, il giovane si mise a correre più veloce che poteva: era abituato a correre, nei panni di Black Rose aveva fatto corse in luoghi incredibili, però non gli era mai capitato di dover correre così veloce per la strada, dato che di solito per i suoi spostamenti usava la carrozza. Ma la carrozza era privata, non se ne trovavano certo in giro per la città di disponibili, quindi l'unica soluzione era quella di correre.

Correndo il tempo passava, e con il tempo, se ne andavano anche le case della città. Dal quartiere medio, dove si trovava lo studio dell'usuraio, passò a quello popolare, quello dove aveva assistito al ghigliottinamento, per poi arrivare infine a quello nobile, dove abitava. Ad un certo punto però dovette fermarsi a riprendere fiato: era sì abituato a lunghe corse, ma ogni tanto doveva pur riprendersi! Stanco si appoggiò a un lampione a bordo strada . Fu in quel momento che per caso ascoltò la conversazione di due servitori lì vicino.

- Hai sentito la novità? Pare che un nobile straniero, un certo Foster, farà trasferire dalla sua prima casa fino alla sua seconda casa qui molta roba di valore! - stava dicendo uno dei due.

- Cosa?! Davvero?! Ma è impazzito? Invece che sistemare la roba di valore in una seconda casa, dovrebbe metterla in cassaforte! - ribatté l'altro stupito.

- Il fatto è che vuole mettere la sua roba di valore in un caveau di quelli sorvegliati notte e giorno. Il problema è che quello che ha scelto è lontano, e non si fida a lasciar troppo tempo in giro i suoi oggetti di valore, quindi li mette temporaneamente nella sua seconda casa e li fa sorvegliare. Fa' conto che sono così tanti che fra lo scaricarli, farli controllare e ricaricarli, ci vorranno minimo due giorni.

A quel racconto, Jean drizzò le orecchie interessato: questo poteva essere l'obiettivo del suo prossimo furto. Doveva prestare la massima attenzione a ciò che quei due dicevano, perché potevano fornirgli informazioni interessanti.

- Ma non farebbe prima a caricarli su un treno merci? - domandò nuovamente il secondo uomo.

- Non sia mai! Quel tizio è un tirchio di prima categoria! Mio cugino, che è fra quelli che trasportano la sua roba, mi ha raccontato che secondo questo nobile, far caricare la sua roba su un treno merci costa troppo, e non può tenere d'occhio i suoi averi, quindi non si fida. Dice che preferisce far trasportare la sua roba con i carri, perché almeno può controllare con abbastanza sicurezza chi guida.

- Che tipo strano che è...

- Tutti i nobili sono strani, amico mio. Ma una cosa è certa: con l'arrivo di questo nobile in città, potrò guadagnarmi un po' di soldi finalmente!

- E perché mai?

- Perché quello ha bisogno di parecchia gente per portare a posto la sua roba, e mio cugino mi ha detto che anche se tirchio, da' varie mance a quelli che lo aiutano. Quindi, è probabile che più lo aiuti, più la mancia sarà grossa!

Dopo quello, Jean decise di aver sentito abbastanza, e velocemente tornò a casa, con la testa piena di pensieri riguardo tutto ciò che gli era accaduto quel giorno.

 

Mancavano cinque minuti alle nove quando arrivò all'abitazione, ancora piuttosto irritato per quella brutta giornata la cui unica nota positiva era che aveva trovato un nuovo obiettivo per i suoi furti.

Vedendolo entrare René capì subito che qualcosa non andava: lo conosceva da anni ormai, e rare volte lo aveva visto con un'espressione come quella che aveva al momento, inoltre le nocche e un fianco della mano destra erano pieni di tagli, e il ragazzo non poté fare a meno di domandarsi che avesse fatto il suo padrone per ridurle in quello stato.

- Padron Jean, va tutto bene? - gli chiese avvicinandosi preoccupato. - Avete una faccia...

A Jean in quel momento non andava per niente di parlare, per cui liquidò la domanda dell'amico e servitore in modo sbrigativo, dicendo che era tutto a posto e che era solo stanco per aver corso. Ma il servitore non era certo così cretino da cascare in una scusa così banale, per cui tentò di insistere per farsi spiegare cosa fosse successo.

- Padron Jean... - tentò di chiamarlo, ma in quel momento, una voce interruppe ciò che stava per dire.

- Monsieur De la Rou??

Era monsieur Durand, il precettore di Jean, venuto per la lezione quotidiana. Era un tipo deciso, che andava dritto al sodo, e senza troppi complimenti diceva le cose come stavano, e soprattutto, era un tipo piuttosto severo. Come età, non era molto vecchio, avrà avuto trent'anni. Portava i lunghi capelli neri legati in una coda bassa sempre molto curata, e indossava un paio di occhiali sottili, dietro i quali si vedevano chiaramente i suoi freddi occhi marroni. Lui era uno di quelli che danno molta, se non troppa, importanza alla classe sociale: non si sarebbe mai abbassato a dare neanche un singolo pezzo di pane a qualcuno che non era nobile, o comunque di un ceto per lo meno piuttosto benestante. La sua filosofia era: "lo studio permette di distinguerci dai rozzi incivili che infestano questo mondo e non si vogliono acculturare."

Sentendo che il suo precettore era arrivato, senza perdere troppo tempo il giovane Jean andò a prendere il materiale per la lezione e gli venne incontro senza manco lamentarsi, come di solito faceva. Monsieur Durand, non notò minimamente quel comportamento così tranquillo, e non ne voleva manco sapere il motivo, a lui bastava fare il suo lavoro, per cui insieme al giovane nobile andò nell'aula che usavano di solito, e lì iniziò la sua lezione.

La lezione proseguì piuttosto distrattamente per Jean: era sempre perso nei suoi pensieri, fra l'esecuzione, l'usuraio e le idee per il prossimo furto. "se solo avessi potuto salvarla...!" oppure "quel tizio...ogni volta che vado da lui mi viene su un nervoso..." erano alcuni dei pensieri che gli affollavano la testa. Di solito il suo livello di attenzione alla lezione era medio, ma quel giorno non stava manco ascoltando ciò che l'insegnante gli spiegava.

<< Vediamo... come posso riuscire a entrare nella casa di quel Foster, indisturbato? Non posso di certo passare da qualche passaggio nascosto, anche perché dubito ce ne siano, però non sono sicuro di riuscire ad entrarci da qualche finestra, perché mi pare che la distanza sia troppo grande per poter saltare o lanciarci qualcosa. Potrei arrivarci volando, devo solo capire come... >>

- De la Rou, prestate attenzione! - lo ammonì improvvisamente il precettore.

Jean dopo quel richiamo finse per qualche minuto di prestare attenzione, per poi tornare alle sue macchinazioni una volta certo che l'insegnate non lo controllasse più.

 

Le lezioni finirono a mezzogiorno circa, e di tutto quello che quel giorno era stato spiegato, Jean non aveva sentito neanche una parola perso com'era nei suoi pensieri. A tavola mangiò velocemente e in silenzio per poi rinchiudersi nel vecchio studio di suo padre, da qualche tempo suo. Era sua abitudine stare in quello studio quando voleva elaborare i piani per i suoi furti: era un posto tranquillo dove difficilmente poteva essere disturbato, dato che non c'era alcun motivo per cui i servi dovessero entrare in quella stanza, a meno che non li facesse chiamare lui. Certo di questo, dal doppio fondo di un cassetto tirò fuori uno strano disegno: rappresentava un oggetto di forma triangolare con una specie di manubrio sotto di esso. Il foglio era pieno di freccette e appunti al riguardo, che spiegavano a cosa servisse ogni singolo pezzo, e di cosa doveva essere fatto, nulla era stato lasciato a caso. Controllò velocemente che non mancassero annotazioni, dopodiché dall'armadio lì accanto tirò fuori l'occorrente per creare quello che era rappresentato sul foglio, e ancora con in testa ciò che era successo in quel giorno, si mise all'opera. Da quando era diventato il ladro Black Rose, gli capitava di doversi costruire strani marchingegni per i suoi furti. Era un lavoro a volte faticoso, ma in fondo dava soddisfazione.

Lavorava quasi da un'ora, quando sentì bussare alla porta della stanza. Erano tre colpi di seguito più uno poco dopo: era il segnale di riconoscimento di René.

- Vieni pure. - gli disse in risposta ai colpi. - Come mai sei qui? - gli chiese una volta che fu entrato.

- Sono venuto perché prima mi siete sembrato piuttosto strano. Va tutto bene? - fu la sua domanda un po' preoccupata.

- Eh? Certo! - mentì.

- Non mentite, non sono scemo da credere che sia tutto a posto, vi conosco da troppo tempo. Quando siete arrivato a casa avevate un'espressione che pochissime volte vi avevo visto avere, e anche le nocche della mano destra insanguinate. Si può sapere che avete combinato?

- Ma niente....

- Avanti, non fatemi insistere...

Jean sapeva bene cosa significava far insistere René, ed era una cosa che avrebbe volentieri evitato, per cui vuotò subito il sacco e gli raccontò di quello che era capitato: la decapitazione della ragazzina, l'incontro con quel bastardo dell'usuraio, e l'idea per il furto.

- Capisco... - disse René al termine del racconto. - Vedete che ha fatto bene a parlarne con me? - aggiunse poi notando che il volto del suo amico e padrone era diventato più rilassato.

- Devo ammettere che hai ragione...

- Dovreste imparare a fidarvi un po' più di me e parlarmi dei vostri problemi. Sono o non sono il vostro fedele servitore? - gli disse in tono leggermente ironico.

Jean a quella frase sorrise divertito.

- Beh, s'è per questo sei anche il mio migliore amico, quindi almeno in privato potresti anche darmi del tu, non ti pare? Insomma, è seccante sentire il proprio migliore amico che ti da' del "voi"!

- Non mi sembrerebbe giusto non darvi del "voi", siete pur sempre il mio padrone, no? Io sono un servitore e voi un nobile, siamo di due classi sociali diverse, darci a vicenda del "tu" significherebbe considerarci pari, cosa che non siamo.

Il giovane nobile a sentire il discorso dell'amico emise un lungo sospiro rassegnato, poi tornò alla questione .

- Non c'è verso di farti cambiare idea, eh? Magari avessi la possibilità come i re di concedere titoli nobiliari a mio piacimento, così almeno ti metterei al mio livello e la differenza di classe, e di conseguenza i problemi a essa legati, sparirebbero.

- Sarebbe bello, ma mi accontento anche di questo. Piuttosto, come avete intenzione di entrare nella villa di Foster prima del colpo?

- Beh, pensavo di farmi passare per uno di quei tanti che vogliono tenere d'occhio la casa e il resto per beccarsi poi la mancia quando lui arriverà.

- Capisco. Vi dispiace se vengo con voi?

A quella domanda, il giovane nobile guardò stupito l'amico, domandandosi se stava dicendo sul serio o no.

- No, va bene, ma perché? Non ti sei mai interessato ai miei lavori prima dei furti. - notò.

- Non c'è un motivo vero e proprio, semplicemente mi va. - rispose René scrollando le spalle.

Jean lo guardò con occhio critico.

- Bah. - concluse infine. - Piuttosto, vieni a darmi una mano ad assemblare questo, - disse indicando quello che stava costruendo. - dato che non hai niente da fare. - aggiunse poi.

- Veramente qualcosa da fare ce l'avrei.... - tentò di replicare il servitore.

- Dai, su, poche storie! To' - gli disse in risposta allungandogli un tubo. - prendi e vieni a darmi una mano!

René emise un lungo sospiro rassegnato, poi afferrò ciò che il suo padrone gli stava porgendo, e con lui iniziò a costruire lo strano oggetto.

 

Alcuni giorni dopo, erano circa le tre del pomeriggio quando Jean e René si presentarono davanti a villa Foster, pronti a mettere in atto il piano di sopralluogo elaborato in precedenza. All'ingresso della casa si trovava un tipo piuttosto corpulento, che guardava in modo truce chiunque si avvicinasse all'abitazione.

- Chi siete, cosa volete?! - ringhiò immediatamente quando vide Jean e René dirigersi in direzione sua e l'ingresso.

- Abbiamo saputo che cercate un po' di gente per tenere d'occhio la casa in vista dell'arrivo del suo proprietario, e noi siamo giusto giusto alla ricerca di un lavoro. - spiegò Jean. - Devo aggiungere altro?

- Non serve... - grugnì il risposta l'energumero per poi togliersi da davanti alla porta. - Entrate.

La villetta all'interno era piuttosto piccola: prima di entrare veramente dentro c'era una specie di piccola anticamera dove probabilmente gli ospiti aspettavano di venire annunciati al padrone di casa. Entrati dentro la casa invece ci si trovava davanti a una grossa sala a cui si affacciavano quattro porte: due a destra e due a sinistra.

- A destra ci sono la cucina e la dispensa, a sinistra la sala da pranzo e quella da ballo. - spiegò brevemente l'energumero.

Dalla parete accanto alla dispensa partiva una scalinata che conduceva al piano superiore dell'abitazione. Assieme al loro "accompagnatore" la imboccarono vedendo quindi il primo e ultimo piano della villa: c'era nuovamente una sala su cui s'affacciavano questa volta più stanze sui due lati e alle loro spalle, mentre di fronte a loro c'era solo una grande finestra con un balcone che dava su un piccolo giardino.

- Allora, monsieur Foster arriverà qui fra tre giorni, e per allora questa casa deve brillare, chiaro? I mobili dovete metterli tutti nel salone da ballo, ma per vostra fortuna sono pochi. - spiegò l'uomo.

I due giovani si guardano l'un l'altro perplessi: di cosa stava parlando quel tizio?!

- Scusate, ma...dobbiamo proprio farlo noi? - domandò Jean.

- Certo, e chi altri?!

- Ma scusate, non c'è la servitù per questo genere di compiti? - osservò René.

- Sì, ma i servi stanno tutti nella casa principale, nella patria di monsieur Foster, e non hanno di certo voglia di venire qui apposta per pulire tutto e tornarsene poi indietro.

- E quindi tocca a chi si offre di lavorare... - concluse Jean con un sospiro.

- Esatto. - confermò l'uomo con un sorrisetto soddisfatto, per poi dirigersi verso una stanza che si rivelò essere il ripostiglio e tirarne fuori due scope. - E ora, al lavoro! - esclamò lanciandole in direzione dei due amici che le presero al volo.

                                                            ***

Da pochi minuti l'energumero che li aveva accompagnati dentro se n'era andato lasciandoli al loro lavoro per tornare a fare la guardia fuori dalla villa, e i due così si trovavano ora da soli nel bel mezzo della sala a spazzare con le scope. René era abituato a pulire la casa e quant'altro, per cui spazzava senza troppe storie ma prestando anche attenzione ai dintorni: infondo era venuto lì per provare a dare una mano al suo padrone per una volta. Jean invece spazzava senza prestare attenzione a ciò che faceva: preferiva osservare e memorizzare ogni dettaglio della casa, di certo gli sarebbe stato molto più utile quello per il furto.

- Cavolo, nessuno aveva parlato di pulire la casa di quel tizio! - brontolò lasciando andare la scopa seccato.

- Beh, guardate il lato positivo padron Jean: desideravate che la differenza sociale fra noi due non ci fosse, e in effetti ora stiamo lavorando entrambi come comuni servitori!

- Sì, ma io volevo che fossi tu quello a salire di posizione sociale, non io a scendere!

I due in contemporanea sospirarono, dopodiché Jean cerco di cambiare discorso.

- Senti, ora che quel tizio se n'è andato fuori, che ne dici di metterci al lavoro? Mi serve il tuo aiuto per iniziare a sbloccare tutte le finestre della casa, costruirmi un'uscita d'emergenza in caso porte e finestre fossero bloccate e installare qualcosa che mi permetta di portare fuori la refurtiva.

Il giovane servitore annuì in silenzio, per poi seguire il suo padrone al piano superiore. Al primo piano c'erano in tutto otto stanze, ma le chiavi erano solo sette: ciò significava che in una stanza era vietato l'accesso, e che quindi una volta trovato il modo di aprirla si poteva rivelare un ottimo punto di partenza. Era un'occasione che Jean non poteva certo farsi sfuggire. Si voltò verso il servitore con il sorrisetto di chi ha chiaramente in mente qualcosa.

- René, le hai tu le chiavi, delle stanze, vero?

- Sì, certo.

- E hai anche preso la mia attrezzatura da scasso?

- Beh, sì....

- Ottimo, allora passami le chiavi.

Il giovane servitore senza troppi problemi passò il mazzo di chiavi al suo signore, che con passo spedito si diresse alla porta davanti a lui. Cercò fra le chiavi quale potesse essere quella per aprire la porta, e una volta trovata si diresse a quella accanto ripetendo lo stesso procedimento. Lo fece per altre quattro volte, finché al settimo tentativo notò che nessuna delle chiavi in suo possesso apriva quella porta: finalmente aveva trovato la stanza!

- Ho bisogno dell'attrezzatura. - disse velocemente all'amico senza voltarsi ma porgendo semplicemente indietro la mano, e quest'ultimo velocemente eseguì.

La serratura non era niente di particolare, ma per fare il lavoro in modo preciso gli ci volle circa un quarto d'ora: non si doveva notare che la porta era stata scassinata, sennò addio a tutto il lavoro! una volta terminata l'operazione di scasso spinse la porta, che si aprì cigolando rivelando così il contenuto della stanza: si trattava di uno studio di medie dimensioni, piuttosto pieno di polvere, ragnatele e carte geografiche. Era di forma rettangolare e piuttosto spoglio: sul lato sinistro della stanza si trovava una piccola libreria mezza vuota che era ormai diventato casa per gran parte dei ragni della stanza, all'esatto opposto invece c'era una piccola scrivania con un grosso cassetto principale sotto e quattro sopra in una specie di spessa "parete" di legno; situato al centro si trovava un tavolino probabilmente molto semplice, coperto da un grosso lenzuolo bianco che evidentemente serviva per evitare che prendesse polvere, nonostante tutto il resto ne fosse alla totale mercé. La mobilia era pressoché assente, e per tutto lo studio erano sparpagliate carte di ogni tipo: geografiche, topografiche, documenti, ecc.. alcune stipate in scatole altri buttate direttamente per terra.

Jean incuriosito esaminò l'esatto contenuto di alcuni fogli: sembravano l'unica cosa di un minimo valore che avrebbe potuto convincere il proprietario della dimora a mettere sottochiave quel luogo, ma erano piuttosto vecchi e tutt'ora privi di qualsivoglia valore. Alla fine decise di lasciar perdere la questione, perciò si diresse verso le finestre di fronte all'ingresso e dopo averle aperte ed avere esaminato l'esterno, fece cenno al fedele servitore di portare l'attrezzatura, e questi obbedì.

Dovettero montare parecchie rotelle per creare un piccolo sistema come quello della carrucola, in modo da permettere di trasportare refurtiva e magari ladro insieme, e per collegare tutto e essere sicuri che funzionasse ci volle circa un'ora emmezza, ma alla fine lo studio era stato sistemato. Velocemente passarono alla stanza accanto, in cui ci misero quasi la metà del tempo, dato che ora erano più sicuri delle mosse che facevano. Avevano quasi finito con la terza quando l'energumero li venne a chiamare.

- Hey, voi due, guardate che io qui devo chiudere, vedete di uscire in fretta se non volete che vi chiuda dentro!

Sentendo l'avvertimento lanciato loro, i due si affrettarono a completare il lavoro, per poi prendere le loro cose e andarsene.

Non ci misero molto a tornare a casa, e anche in caso contrario, in fondo nessuno li stava aspettando. In tutta tranquillità Jean valicò il grande portone della villa, ansioso di buttarsi nel letto a riposare per poi continuare con i progetti del furto una volta rilassatosi.

- Hey, si può sapere dove sei stato?! - chiese all'improvviso una voce.

Si trattava di Maria, che, in camicia da notte, lo stava guardando con aria di rimprovero dalla cima delle scalinate che portavano al piano superiore della casa.

- Maria, che ci fai alzata?! - replicò lui preoccupato.

Data la salute cagionevole della ragazza, capitava ogni tanto che si ammalasse e fosse costretta a letto per alcuni giorni, e in quei casi lui non sapendo quasi nulla di medicina, non poteva fare altro che preoccuparsi per la salute della sorella. Si affrontavano in duello quasi a ogni furto, ma era sempre attento a non farle troppo male: se le fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato!

- Oh, stai tranquillo, su... sto bene, mi sono svegliata che ero in perfetta forma, e così ho pensato di farmi un giro. - spiegò Maria con noncuranza giocherellando con una ciocca dei suoi capelli al momento liberi da ogni sorta di acconciatura.

- Guarda che è il dottore a decidere se ti puoi alzare o no, chi ti dice che non potresti avere una ricaduta da un momento all'altro?

Senza pensarci due volte salì le scale e raggiunse la sorella.

- Avanti, torna a letto! - le ordinò spingendola verso la sua stanza.

- Tsk! Quante storie che fai! Solo perché sono uscita!

Guardando quella scena, René, che era entrato in casa poco dopo Jean, sorrise divertito.

- Signorina Maria, le consiglio di ascoltare suo fratello. - le disse. - Se non se ne torna a letto, temo che suo fratello Jean non starebbe tranquillo e diventerebbe più ansioso di una madre apprensiva.

La sola idea di ciò, face accapponare la pelle alla ragazzina, che decise di dare retta al servitore.

- E va bene, e va bene, me ne torno in camera! Ma solo perché lo dici tu, René!

E così dicendo, se ne tornò a grandi passi nelle sue stanze, in cui si chiuse sbattendo la porta nel modo più rumoroso possibile. Dopo che la ragazza se n'era andata, Jean si rivolse all'amico.

- Ma perché ascolta te e non me? - domandò.

- Chissà....forse è innamorata di me! - scherzò il servitore.

- Non dire cose simili che mi fai paura....

I due amici si guardarono un attimo, dopodiché ci risero su e tornarono ognuno alle proprie questioni.

 

Il pomeriggio seguente tornarono di nuovo nella villa di Foster, determinati a finire il lavoro nelle stanze e passare possibilmente al piano inferiore. L'energumero stavolta li accolse a braccia aperte.

- Ben arrivati ragazzi, ieri avete fatto un eccellente lavoro nelle stanze! Ci avete messo un po', ma siete stati perfetti!

Jean guardò l'amico piuttosto confuso: ma di che parlava? Il giorno precedente si erano limitati a piazzare i sistemi di fuga nelle stanze in preparazione al furto.

- Ogni tanto mentre voi eravate occupato a montare da solo certe apparecchiature, io ne ho approfittato per portare al piano di sotto alcuni mobili e pulire le stanze. - gli spiegò sottovoce René.

<< Cavolo, René non finirà mai di stupirmi, è pure così rapido da pulire mentre io faccio altro! >> pensò stupito. - Oh, mi fa piacere che apprezziate il nostro lavoro! - rispose all'energumero dopo aver sentito la spiegazione dell'amico. - Ora se volete scusarci, torniamo a fare ciò per cui saremo pagati.

E così dicendo, i due entrarono nella villa.

 

I giorni lavorando alla villa passarono in fretta, e finalmente arrivò il giorno prima del furto. Erano circa le sei di sera quando monsieur De la Rou rincasò e convocò il figlio nel suo studio. Il giovane incuriosito da quell'improvvisa convocazione non obiettò e seguì il padre nello studio.

- Jean, ti ho convocato qui perché ho bisogno che tu mi faccia un favore. Come ben sai, io viaggio spesso per lavoro, e ho clienti quasi in tutto il paese per vari affari spesso in sospeso. E sai bene che probabilmente un giorno dovrai succedermi in questo lavoro, quando io non ce la farò più.

- Certamente, padre. - confermò Jean non capendo dove volesse arrivare il genitore.

- Bene, allora vado al sodo. Domani ho qui in città un cliente per un importante affare, ma ne ho anche un'altro sempre domani in un’altra città, e nessuno dei due è rimandabile.

- Capisco, suppongo che desideriate che mi occupi del cliente qui in città, giusto?

- Sbagliato. Voglio che tu vada a occuparti per conto mio dell'affare nell’altra città: Arnage.

Jean ebbe un tuffo al cuore: il giorno dopo sarebbero arrivate le cose di Foster alla villa! Non poteva allontanarsi dalla città, avrebbe avuto solo due giorni circa di tempo per commettere il furto, dopodiché il bersaglio sarebbe ripartito per il caveau!

- Capisco. E..potrei sapere quanto ci dovrebbe volere per concludere questo affare? Di solito sempre sapete quanto tempo vi dovrebbero prendere i vostri affari.

- Hai ragione. L'affare durerà all'incirca tre giorni.




Ok gente, eccomi qui con il 5° capitolo! Chiedo scusa a quei 4 gatti che seguono la storia se ci ho messo così tanto, il fatto è che avevo poche idee... =_='' E mi sorprendo anche di aver scritto così tanto! o.o Emmenomale che non avevo idee! XD Ok, tornando a essere seri.... Avviso già che non so quando pubblicherò il capitolo 6, perchè ho ancora meno idee di quelle che avevo riguardo a questo ^ ^''
Ma parlando ancora più seriamente, voglio dire una cosa: quasi nessuno commenta la mia storia, ma non per questo smetterò di pubblicarla! Una ragazza che commenta la mia storia mi ha convinta a continuare a pubblicare, e un'anime che ho seguito ultimamente (per chi fosse interessato, l'anime è Comic Party) mi ha spronata ancora di più! per cui, fino a quando ci sarà almeno una persona che attende i capitoli della mia storia, continuerò a pubblicare! E non me ne frega se magari a qualcuno potrebbe fare schifo, a me piace, e continuerò a scrivere, anche a costo di scrivere solo per me stessa!

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Capitolo 6
*** Piano B ***


Era passata ormai più di un ora da quando era salito, alle nove del mattino circa, sulla carrozza che lo avrebbe condotto alla città in cui si sarebbe svolto l’incontro d’affari. La cosa non lo entusiasmava molto, ma che altro avrebbe potuto fare oltre ad accettare? Non aveva motivi seri per poter chiedere di restare a casa, di conseguenza sarebbe stata una richiesta sospetta. Se poi quella stessa notte Black Rose avesse commesso un furto, sarebbe bastato fare due più due e il suo segreto sarebbe stato scoperto in men che non si dica.

Si accasciò sul sedile sospirando. Non aveva intenzione di rinunciare al furto per così poco, insomma, era riuscito a far caricare la sua ultima invenzione fra i bagagli, ora doveva riuscire a trovare il modo migliore per sfruttarla per raggiungere il suo obiettivo. Ma non sapeva ancora se quella creazione avrebbe funzionato o meno, e soprattutto gli sarebbe servito un punto alto da cui poter partire, ma che avrebbe fatto se non lo avesse trovato? Sentendo il nitrito di uno dei cavalli che trainavano la carrozza, si destò dai suoi pensieri e accantonò velocemente l’idea; ci avrebbe pensato a tempo debito, ora era meglio preoccuparsi dell’imminente arrivo in città.

Il viaggio fino a quel momento era stato piuttosto tranquillo, finché, poco dopo essere entrati in città, con un improvviso scossone la carrozza si arrestò e si inclinò in un angolo.

- Accidenti, ma che è successo?! – sentì esclamare Jean dal cocchiere.

Avvertì chiaramente il conducente scendere per controllare la situazione, e vari commenti seccati alla vista di quello che doveva essere il problema, più una serie di improperi vari.

- Signor Bernard, cosa succede? – gli domandò Jean scendendo dalla carrozza.

- Monsieur Jean, succede che abbiamo perso una ruota della carrozza! O meglio, s’è rotta! Evidentemente doveva essere già rovinata ma non me ne ero reso conto fino ad ora…

La ruota posteriore destra era rotta a metà; una parte di essa era ancora attaccata al resto della carrozza, mentre l’altra parte era gettata in mezzo alla strada.

- Crede di riuscire a ripararla? Avrei fretta di raggiungere la casa del conte Lefevre.

Monsieur Lefevre era il cliente dal quale sarebbe dovuto andare per concludere l’affare, nonché la persona che lo avrebbe ospitato nei seguenti tre giorni.

- Beh, ripararlo, in qualche modo posso ripararlo… ma non in tempi brevi, mi dispiace. – si scusò.

- Io però non posso aspettare... – borbottò il giovane nobile.

Diede un’occhiata ai bagagli sul tettuccio della carrozza, e alla strada davanti a sé. Se voleva arrivare in tempo decente alla casa, non gli restava che una cosa da fare.

<< A quanto pare non ho molta scelta: dovrò farmi tutta la strada a piedi… >> pensò rassegnato.

Si affrettò a andare a recuperare la valigia e la cassa con la sua invenzione – non poteva certo permettersi che il cocchiere la aprisse – e con il vento che gli scompigliava i capelli, estrasse dalla tasca della giacca una mappa che aprì per poi mettersi a consultarla cercando di capire dove dovesse andare per arrivare alla dimora di monsieur Lefevre, anche se a fatica dato che non prestava mai grande attenzione alle lezioni di geografia del suo precettore, che ogni tanto comprendevano lo studio e la lettura delle cartine. Una volta individuato più o meno il percorso da seguire, la rimise al suo posto.

- Cosa avete intenzione di fare? – gli domandò il signor Bernard vedendolo armeggiare con la cartina.

- Mi pare ovvio: raggiungerò la casa a piedi! Voi intanto aggiustate la ruota, e una volta sistemata raggiungetemi, non posso certo andare in giro per molto tempo senza carrozza!

- Ma… monsieur, a piedi è scomodo, non potete per lo meno staccare un cavallo ed andare avanti con quello? - domandò preoccupato per le intenzioni del giovane.

- No, un cavallo non reggerebbe il peso di ciò che tengo nella cassa, stramazzerebbe a terra, o comunque, non andremmo molto avanti.. tanto vale che me la faccia a piedi. - e con queste parole prese i bagagli e con questi si avviò.

Gli ci vollero circa tre quarti d’ora a piedi per arrivare a destinazione, fra il fermarsi a ricontrollare la cartina e il trascinarsi dietro la pesante cassa con la sua invenzione, soprattutto fra gli sguardi divertiti dei passanti: non era cosa da tutti i giorni vedere un nobile sgobbare per la strada come un facchino! Le risa, più di una volta gli fecero rimpiangere di non aver preso con sé il cavallo, ma ormai era tardi.

Arrivato davanti alla casa, controllò che l’indirizzo fosse giusto, e ancora con i bagagli in mano, si diresse alla porta per farsi annunciare. Ad aprirgli venne un anziano servitore, era alto non più di un metro e cinquanta, doveva avere circa sessant’anni.

- Il signore desidera..? – domandò guardandolo con sospetto: di certo Jean non era in un bello stato, data tutta la camminata che s’era fatto, e ciò evidentemente portava il vecchio servitore a pensare male.

- Dica al suo padrone che è arrivato Jean Jacques De la Rou, figlio del conte De la Rou. Sono qui per concludere un affare iniziato da mio padre con il suo padrone.

L’anziano servitore lo guardò di storto, era ancora sospettoso. Ma come dargli torto? Jean aveva già capito cosa stava passando per la testa di quell’uomo: normalmente un conte, un nobile, non si occupava di affari, non lavorava, al massimo era proprietario di qualche terreno che comprava e vendeva a quelli delle classi sociali inferiori, di certo non si occupava di affari con altri nobili. Ma suo padre era diverso. Era sì un conte, ma il padre aveva perso tutti i soldi, e così monsieur De la Rou s’era ritrovato a malapena con il titolo nobiliare e la casa che aveva ricevuto in eredità dal nonno, mentre il lusso era tutto da riconquistare. Per questo s’era dato al commercio, per poter riavere ciò che gli doveva spettare, e per poter dare ai figli un certo tenore di vita.

- Lasci stare le domande e faccia come le ho detto, vedrà che il suo padrone saprà comportarsi di conseguenza… - tagliò corto.

Il servo ancora poco convinto, fece come gli era stato detto, e sparì dalla soglia della porta chiudendola in faccia al giovane.

<< Grazie, molto gentile, eh! >>

Poco dopo, la porta si aprì nuovamente, e un altro servitore lo invitò cortesemente ad accomodarsi. La casa era grande e luminosa, la porta d’ingresso dava su una sala con un enorme lampadario di cristallo che pendeva dal soffitto. Sotto di esso un uomo di circa trent’anni, probabilmente il proprietario, sorrideva affabile a Jean.

- Vi do il benvenuto, voi dovete essere il figlio di monsieur De la Rou! Vostro padre mi aveva avvisato del vostro arrivo. Perdonate la scortesia del mio maggiordomo, sfortunatamente capita spesso che si presenti alla mia dimora gente che sostiene di conoscermi quando sono solo degli straccioni. Ma state tranquillo, sarà punito a dovere.

- No, no, per favore, lasciate perdere! – disse immediatamente Jean. – In fondo, ha solo fatto il suo lavoro.

- Beh, come volete. Piuttosto, a giudicare dallo stato in cui siete, dovete aver fatto un viaggio faticoso. Permettete che un mio servitore vi accompagni nella stanza in cui alloggerete in questi giorni.

- D’accordo, vi ringrazio. – disse per poi seguire il servitore verso un corridoio laterale, mentre un secondo uomo si occupava di trasportare la cassa e la valigia. Improvvisamente però si voltò verso il proprietario.

-  Ah, per favore, mandate qualcuno ad aiutare il mio cocchiere, quando siamo entrati in città la carrozza s’è rotta, e dato che ci sarebbe voluto un po’ troppo per riparare la ruota, io sono andato avanti da solo. - chiese ricordandosi del suo cocchiere.

-  Va bene, voi intanto seguite il mio maggiordomo. Se volete riposarvi, fate pure, quando vorrete parleremo d’affari.

Jean fece come gli era stato detto, e si diressero in uno stretto corridoio lungo cui si affacciavano due alte finestre che davano luce a tutto il percorso. La pavimentazione era coperta da mattonelle bianche, perfettamente lucide, segno che venivano sempre pulite a fondo, probabilmente ogni giorno; il soffitto era costellato da piccoli candelabri in oro, in modo che quando non fosse la luce solare a illuminare quel luogo, ci pensassero loro; le pareti invece erano ricoperte da carta da parati color panna, con alcuni decori a forma di rampicanti, di colore argentato. Avanzarono lungo esso per pochi istanti, finché non si fermarono di fronte a una stanza, evidentemente si trattava di quella di Jean.

- La vostra stanza, monsieur. – disse il maggiordomo, aprendola, mostrandone così l’interno.

Il giovane nobile tranquillamente ci entrò in modo da poterla osservare meglio. Non era particolarmente grande, ma di certo non era piccola: era tappezzata completamente di carta da parati dello stesso tipo di quella del corridoio, al centro della stanza invece, con la testa appoggiata al muro, si trovava un grosso letto circa 2x2 o quasi, con una lunga coperta rossa intessuta di fili dorati perfettamente appoggiata su esso, come un drappo, senza stropicciature o grinze, ma perfettamente liscia; dalla parte opposta al letto si trovava un armadio in noce perfettamente intagliato, le ante presentavano delle piccola incisioni che ricordavano delle foglie, mentre il decoro che si trovava come rifinitura sulla cima dell’armadio, aveva un motivo arabesco. In un angolo invece era situato un tavolino di forma circolare in mogano, con sopra un centrino bianco in pizzo e ovviamente accanto a esso una sedia dello stesso legno, con dei cuscinetti in velluto rosso cuciti sullo schienale e la parte per sedersi. Un’ampia finestra dava sulla città, situata più in basso rispetto alla villa, che si trovava su una collina, e illuminava perfettamente la stanza.

Jean si voltò verso il maggiordomo, che probabilmente attendeva un suo commento riguardo alla sistemazione.

- Oserei dire che è stupenda, ringrazi il suo padrone. – gli disse gentilmente sorridendo.

- Sarà fatto. – rispose l’uomo con un piccolo inchino, per poi allontanarsi dalla stanza, seguito dall’altro servitore, che aveva appena posato i bagagli nella stanza.

Il giovane, stanco, si lasciò cadere sul letto come morto, talmente era sfinito dalla sfacchinata: era un nobile, non un mulo da soma, non era di certo abituato a portare cose così pesanti! Incrociò le mani dietro la nuca, rimanendo disteso sul letto, e iniziò a riflettere sul da farsi: di tentare il furto quella stessa sera, non se ne parlava assolutamente, anche perché non poteva certo collaudare sul momento la sua invenzione, perciò volendo avrebbe potuto rilassarsi una volta sistemata la questione dell’affare, ma non poteva di certo battere la fiacca.

<< E se mi facessi un giro per la città, in modo da vedere se trovo qualcosa da poter sfruttare per il furto? >> si domandò, incerto sul da farsi.

Infondo, avrebbe potuto anche farlo la sera o la notte, le tenebre gli avrebbero permesso di non farsi vedere, il che sarebbe stato molto comodo. Ma ripensandoci su, in realtà neanche lui in effetti avrebbe potuto poi però vedere la città nel modo migliore. Forse era meglio prima ispezionare di giorno, e di notte occuparsi del collaudo dell’invenzione.

Con uno scatto si tirò su dal letto, e si cambiò i vestiti sporchi e sudati con altri puliti presi dalla valigia che nel frattempo disfava, dopodiché si diede una sistemata, e andò dal conte Lefevre, in modo da iniziare a parlare d’affari: prima avrebbero iniziato, e prima avrebbero finito, e quindi prima avrebbe potuto andare in città. Aveva un solo problema: il conte non gli aveva detto dove lo avrebbe potuto trovare, quindi che poteva fare? L’unica soluzione era chiedere a qualche servo dove egli si trovasse. La fortuna volle che ne trovò uno proprio verso l’ingresso, che gli spiegò dove trovare monsieur Lefevre.

- Lo può trovare nel suo studio, salga le scale a sinistra, e nel corridoio svolti a destra, lo studio del padrone è la seconda porta alla sua destra. – gli spiegò cortesemente il servo.

Jean ringraziò per le indicazioni, e si diresse nella direzione indicatagli, per poi arrivare dopo un paio di minuti allo studio dell’uomo. Arrivatoci davanti, alzò la mano destra, la chiuse a pugno, e bussò.

- Conte, posso entrare? Sono qui per l’affare. – spiegò bussando, e attendendo una risposta dal nobile.

Attese alcuni istanti, e finalmente sentì una risposta da parte dell’uomo: via libera. Immediatamente quindi aprì la porta della stanza, venendo così accolto a braccia aperte dal conte, anche lui pronto a sistemare almeno per quel giorno l’affare.

 

Era ormai il primo pomeriggio quando Jean, terminato per quel giorno ciò che riguardava l’affare, ovvero mettersi d’accordo su quali parti di terreno cedere o no, a che prezzo, e molte altre questioni, riuscì a fare quattro passi in città. Non voleva dare nell’occhio, per cui indossava solo la camicia e i pantaloni, come un qualunque altro cittadino. Aveva lasciato la casa di monsieur Lefevre con la scusa di fare quattro passi nei dintorni, ma in realtà appena si era accertato di non essere visto, si era tolto gli indumenti da nobile e s’era affrettato a raggiungere la città, da dove avrebbe probabilmente potuto individuare un qualche punto di lancio e collaudo per la sua invenzione. La città era piuttosto vivace e colorata, le case non avevano un aspetto tipico di quelle della nazione, erano più simili a quelle dell’Allemagna, con tetti piuttosto stretti, fatte completamente in legno con vari decori di quel materiale sulle facciate; si vedeva proprio che quella era una città strappata al paese confinante nella guerra passata. Camminò a lungo per quelle strade a lui sconosciute, notando che erano costellate di molti negozi: botteghe di artigiani, negozi di abiti, di spezie, e molto altro ancora. Non sembrava che ci fosse una classe povera, ma solo i nobili e un ceto medio che probabilmente si guadagnava da vivere con ciò che era esposto nei negozi che aveva incontrato fino a quel momento. Continuando a camminare, arrivò in una piazza di grosse dimensioni, sovrastata da un campanile piuttosto alto quanto vecchio e bizzarro, dato il posto. Né nell’Arjanne, né in Allemagna i campanili erano in uso, evidentemente chi aveva fatto costruire la città doveva aver viaggiato anche per il mondo. Quella torre campanaria non aveva alcun tipo di protezione nel luogo in cui stavano le campane, evidentemente il campanaro non si avvicinava mai al bordo, ma era comunque una cosa strana quanto utile: da quell’altezza, avrebbe potuto facilmente lanciarsi con la sua invenzione e probabilmente, arrivare nella sua città in poco tempo, dato che in linea d’aria, erano piuttosto vicine, e da quello che aveva constatato, dalla casa di monsieur Foster ci si sarebbe potuti lanciare, la zona stando alle mappe sarebbe dovuta essere sostanzialmente pianeggiante, per cui non avrebbe dovuto avere troppi problemi a fare il percorso a ritroso, ma dal’altezza della villa, era impossibile che raggiungesse di nuovo il campanile, quindi sarebbe dovuto atterrare prima o dopo. Osservò meglio il campanile: esso era privo di campane, evidentemente erano state rubate tempo addietro e mai più recuperate ne sostituite, e la cosa giocava a suo favore, perché le campane sarebbero state ingombranti se ci fossero state, ma in questo caso era molto più comodo. Facendo finta di nulla si avvicinò al campanile per cercarne l’ingresso, che trovò poco dopo, ma sfortunatamente era chiuso. Si guardò intorno, in modo da accertarsi che nessuno stesse facendo caso a lui, dato che un tizio che si aggira nei pressi del vecchio campanile in disuso, sarebbe stato non poco sospetto. Lì vicino c’era il mercato, dunque chi passava di lì puntava dritto ad esso, mentre a Jean non faceva caso, e ciò significava per lui che avrebbe potuto agire indisturbato. Si mise il più possibile vicino alla porta, con un po’ di forza riuscì a scardinarla facilmente e quindi a entrare nella costruzione. L’interno era ovviamente spoglio, si limitava a una scala a chiocciola che saliva fino alla cima, dove avrebbero dovuto esserci le campane. Decise di salirla per dare un’occhiatina dall’alto alla città, in modo da accertarsi che la sua idea fosse fattibile. La salita non fu particolarmente lunga, ma di certo non era facile, soprattutto su una scala a chiocciola, ma una volta arrivato in cima, il giovane poté godere della vista che c’era da quell’altezza: dal campanile, si riusciva a vedere tutta la città, ognuno di quei tetti a punta, con i loro balconcini e le finestrelle con i vasi di fiori, le strade e il fiume che ha visto passando in carrozza. Da quell’altezza, dato che la città non era molto lontana, non avrebbe dovuto avere difficoltà ad arrivare, ma questo lo avrebbe scoperto solo quella sera stessa, una volta preparatosi al collaudo. Osservò ancora per qualche istante l’interno del campanile, e una volta deciso che era soddisfatto, scese nuovamente e si avviò verso la villa, con fare noncurante per cercare di dare nell’occhio il meno possibile.

 

Calata la sera, o meglio la notte, il giovane nobile lasciò di nascosto la villa di Monsieur Lefevre calandosi dalla finestra, chiedendo ai servi di non disturbarlo poiché era molto stanco. Aveva lasciato la cassa con l’invenzione nelle scuderie, sepolta sotto un mucchio di paglia in un angolo. Fortunatamente a quell’ora non c’era nessuno che si occupasse dei cavalli, quindi non ebbe problemi a recuperare la sua creazione e a dirigersi verso il campanile, ed entrarci nello stesso modo di quel pomeriggio. Stavolta salire le scale con quella cosa ingombrante non fu per niente facile: l’invenzione di per sé era pesante, e trasportarla su per una scala a chiocciola, gradino per gradino, era un supplizio!

- Dove sono i servitori quando servono? - borbottò a denti stretti Jean mentre a fatica trasportava su la cassa.

Ci mise almeno un quarto d’ora abbondante a percorrere tutta la rampa, e arrivato in cima, non gli dispiaceva l’idea di lasciar perdere tutto e andarsene a dormire. Ma velocemente cercò di riprendersi e accantonare l’idea: era salito lassù apposta per collaudare la sua creazione, non poteva mollare ora! Prese un martello e come meglio riuscì, tolse i vari chiodi dalla cassa di legno, in modo da poterla aprire e usare la sua invenzione: si trattava di una specie di ala, simile a quella dei pipistrelli, formata da uno scheletro in legno cavo, e ricoperta da tela cerata, con alcuni fili necessari per aggiustare la direzione. Per farlo entrare nella cassa lo aveva dovuto smontare in due parti, ma non fu difficile rimetterlo insieme dato che le parti da unire erano a incastro e tenute poi insieme da delle viti. Velocemente quindi montò la sua creazione con curata attenzione per ogni minimo particolare, non poteva scordarsi nulla di nulla, non doveva omettere controlli su niente, perché già l’esperimento era pericoloso di suo, se poi l’avesse fatto con leggerezza, al minimo errore sarebbe potuto finire a terra, perdendo così con tutta probabilità la vita. Trasse un respiro profondo, dopodiché salì sulla sua invenzione, ci si aggrappò, e la spinse giù dal campanile. Per un momento gli sembrò di cadere, era certo che non ce l’avrebbe fatta, ma poi eccolo invece librarsi in volo come un uccello, o un pipistrello, data l’ora. Cercò subito di stabilizzarsi con le corde, in modo da riuscire a volare senza troppi problemi per raggiungere la sua città. Si aspettava un volo turbolento e rischioso, invece tutto sommato gestiva quell’invenzione con abbastanza tranquillità.

<< Chissà se l’uomo che l’aveva progettata all’inizio l’ha mai provata? >> si domandò mentre con le corde continuava a stabilizzare il volo.

L’idea per quell’invenzione non era sua, affatto, aveva trovato i progetti, anche se leggermente diversi, nello studio di un collezionista di oggetti antichi, durante un viaggio in Gialia. L’ideatore era un uomo di nome Da Vinci, pare che avesse pensato a molte altre cose, ma quella era l’unica che a Jean fosse interessata. Non voleva prenderla al collezionista, così lo aveva convinto a prestargliela per qualche tempo, per poi restituirla. Doveva avere un espressione di chi non stava mentendo, se quel tizio s’era veramente fidato. Ma non era quello il momento per rivangare vecchi ricordi, doveva fare attenzione solo al percorso, in modo da non incontrare ostacoli imprevisti. Ben presto sorvolò un torrente, probabilmente lo stesso che in carrozza aveva oltrepassato quella mattina, e dopodiché un vasto bosco, che doveva essere probabilmente la tenuta di caccia di qualche signorotto della zona. Non gli ci volle ancora molto, che riuscì a scorgere la sua città. Ora non restava che prepararsi ad atterrare quanto più prima possibile. Tirò ancora una volta le funi e cercò di seguire le correnti d’aria, arrivando così a scorgere anche la villa di monsieur Foster, che raggiunse in meno di cinque minuti, atterrando poi senza particolari problemi sul tetto. Scese dal suo mezzo e si guardò intorno: quella notte tutto taceva, dalla villa nessun segno di vita, evidentemente data l’ora erano tutti a dormire, e anche dalle case lì intorno non c’era molta attività, e le poche persone che passavano in strada, non avevano minimamente notato il suo arrivo. Sembrava la notte perfetta per i suoi piani. Osservò il circondario ancora una volta, dopodiché risalì sull’oggetto volante, e si lanciò giù dal tetto, tornando a volare come era accaduto prima, stavolta in direzione contraria. Il ritorno fu più complicato, siccome era partito da un’altezza minore, era più complicato cercare di salire, e mentre volava doveva anche cercare un punto d’atterraggio, dato che il campanile non era sicuramente raggiungibile. Il tempo impiegato a tornare fu più lungo che quello ad andare, si iniziava a intravedere la cittadina, il che significava che il tempo stringeva, ma di un posto dove atterrare, fino a quel momento non se n’era intravista nemmeno l’ombra. Non poteva certo atterrare nella piazza, perché sì, era grande abbastanza da farci stare quella macchina volante, ma lui aveva bisogno di un punto più spazioso, in caso non riuscisse perfettamente l’atterraggio, il problema era che un posto del genere in una città non era facile da trovare, se non impossibile. Ben presto sorvolò la città, a quel punto, se non avesse trovato un altro posto dove scendere, la piazza sarebbe stata la sua ultima spiaggia. Girò in tondo per alcuni minuti, quasi come un avvoltoio su una preda, e alla fine riuscì a scorgere lo spazio ideale per atterrare, non troppo distante dalla piazza: si trattava dei resti di un paio di case, ormai rase al suolo perché probabilmente troppo vecchie, e il terreno su cui giaceva era quasi del tutto sgombro, se non per alcune macerie delle due abitazioni, che probabilmente erano state abbattute da poco tempo. Le dimensioni erano più che sufficienti per il suo scopo, quindi non restava che arrivarci. Velocemente iniziò a scendere di quota, avvicinandosi sempre di più al terreno, finché finalmente atterrò, anche se a fatica: manovrare quel coso per atterrare non era facile! Una volta atterrato, smontò da quell’oggetto, e prese una profonda boccata d’aria, volare non era così facile, e in realtà gli metteva addosso una leggera fifa, perché in fondo, rischiava grosso ad ogni tentativo. Sentì in lontananza il rintocco delle campane di qualche paese lì vicino: erano le undici di sera, e lui era decollato dal campanile che erano passate da una decina di minuti le dieci, il che significava che fra andare e tornare, ci aveva impiegato circa cinquanta minuti, meno di quanto gli ci era voluto quella mattina par arrivare in carrozza.  Nonostante l’iniziale timore, il volo era andato a gonfie vele, il posto per decollare c’era, e quello per atterrare pure. Alla villa di monsieur Foster non aveva avvertito nessun movimento, e la notte era ancora giovane tutto sommato, e ciò gli fece balenare in mente un’idea. Prese quindi la sua invenzione, la smontò nuovamente in due, e si diresse nuovamente verso il campanile: quella sera avrebbe commesso il furto alla villa Foster, o almeno una parte di esso.

           Fine capitolo 6



Ok, ecco qui il capitolo 6, dopo 6 mesi ce l'ho fatta a scriverlo... come avevo annunciato nel 5, non avevo molte idee per questo, quindi ho faticato ancora di più a buttare giù qualcosa. -.-'' E per di più mi sa anche di noioso... chiedo profondamente scusa a quei pochi che leggono e a volte recensiscono se ci ho messo così tanto tempo, e anche per il prossimo capitolo temo dovrete aspettare tanto ^^'' Però chiedo per favore, che vi piaccia o non vi piaccia la storia, di farmi sapere che ne pensate, perfavore! T_T Anche perchè le critiche costruttive sono sempre ben accette. Ah, dimenticavo una cosa: in caso non si fosse capito, l'invenzione di Jean è il deltaplano, più o meno simile a quello di Leonardo Da Vinci. Non so se con i materiali che aveva in mente lui avrebbe voltato o meno, io ho immaginato di sì, e quindi eccolo qui nella storia.

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Capitolo 7
*** Si va in scena ***



Eccomi signore e signori! dopo ben sei mesi di attesa, sono tornata! In questi mesi sono stata in una fase quasi perenne di blocco, non riuscivo a scrivere niente di decente! D: Ma finalmente ecco qui il capitolo 7! Per lo meno il tempo di attesa si fa un po' perdonare dalla lunghezza ^^'' Nelle vacanze di natale vedrò di continuare a scrivere qualcosina, ma nonostante ciò non so quanto ci vorrà, ma vi chiedo di non smettere di seguire la storia solo perchè ritardo! Spero che possa piacervi ^^'' Ma come sempre, che vi piaccia o meno, vi SUPPLICO, vi SCONGIURO, ve lo chiedo IN GINOCCHIO, datemi il vostro parere su quanto ho scritto, recensite per favooooreeeeeee T_T Non sto scherzando, dico sul serio, ogni volta è un miracolo se recensisce una persona, e la cosa è davvero triste, cosa devo fare perchè recensiate?? Di questo passo se non avrò più dei pareri, penso che rinuncerò a scrivere, perchè vuol dire che è una storia che fa pena e non piace a nessuno....

http://www.efpfanfic.net/stories.php?action=editor  Salire lungo le scale interne del campanile portandosi sempre dietro la sua invenzione non era un’impresa facile, più di una volta a denti stretti imprecò per la faticaccia che stava facendo, in quel momento poteva ben comprendere le bestie da soma, ci mancava solo che avesse qualcuno dietro a frustarlo, e sarebbe stato al loro livello. Fra un borbottio di qua e uno sbuffo di là, finalmente poi raggiunse la cima del campanile, per la gioia delle sue ormai distrutte membra. Lì si sedette per qualche istante, per riprendersi un attimo dalla fatica, poi si rialzò, rimontò velocemente la sua creazione, e si diresse alla cassa dove era contenuta inizialmente quella macchina volante. Non c’era nulla che dovesse aggiungere, ma in quella cassa aveva nascosto una cosa, in caso il collaudo fosse andato bene e fosse stato possibile attuare il furto: gli abiti di Black Rose. Per prima cosa indossò i pantaloni neri, poi passò alla casacca, nera con i bordi color argento, e molto simile a quella degli ufficiali dell’esercito, come lo era stato suo padre, dopodiché allacciò il mantello e si mise il cappello in testa, nascondendoci dentro i lunghi capelli, e per ultima, ma non per importanza, anzi, indosso la maschera, anch’essa di colore nero, ma con vari decori argentati. Ora era pronto.
- E ora, si va in scena. - disse semplicemente per poi dirigersi verso l’oggetto che gli avrebbe permesso di mettere in atto il furto.
Strinse la presa sul manubrio, prese un gran respiro, prese la rincorsa, e si lanciò giù. Ogni volta sentire quella sensazione di vuoto appena lasciava la terra ferma, non era piacevole, per la seconda volta in poco più di un ora, temette si sfracellarsi al suolo, ma riuscì nuovamente a stabilizzarsi e a librarsi in volo nella notte stellata, mentre la Luna piena risplendeva. Non era facile volare con quell’oggetto, doveva sempre fare attenzione alle corde per stabilizzarsi, e nonostante fosse la seconda volta che volava, e quindi era già più facile muoversi nell’aria, non poteva distrarsi un attimo, oppure avrebbe perso il controllo e sarebbe precipitato al suolo. Occhio e croce stava volando a 60 metri di altezza, e sotto di sé come la volta precedente scorse campi, boscaglia e anche un torrente che scorreva impetuoso. Le sue acque dovevano essere gelide. Dopo poco scorse in lontananza la città, e iniziò nuovamente ad armeggiare con le corde per calare di quota, in modo da atterrare giusto sul tetto di casa Foster. Sfortunatamente finì in una corrente contraria, che rischiò di farlo volare lontano, ma, anche se a fatica, riuscì a riprendere il controllo, e ben presto si trovò in città. Sorvolò la sua villa e scorse anche quella di un cliente di suo padre, e finalmente arrivò alla villa del suo obiettivo, sul cui tetto atterrò silenziosamente, anche se faticò a fermarsi, tant’è che rischiò di cadere giù.
 
Nel frattempo, alla villa della famiglia De la Rou, Maria stava affacciata alla finestra della sua stanza, in camicia da notte e con i capelli sciolti, a guardare annoiata le stelle.
- Che palle, è tutto il giorno che sono sola a casa: Jean è fuori città per conto di nostro padre, che invece si tratterrà come ospite dal suo cliente fino a domani, René s’è preso un giorno libero insieme alla sua amica Marianne…- disse sbuffando. - Ma tutti oggi dovevano andarsene?! - sbottò poi contrariata, del tutto incurante dell’ora, e del fatto che la servitù stesse dormendo. Lei non aveva sonno, quindi non le importava molto di quello che gli altri invece facevano.
In quel momento, un’ombra passò a diversi metri sopra l’abitazione, oscurando le stelle che splendevano in cielo. Alzò lo sguardo e rimase per un attimo sbigottita a guardare quella strana figura allontanarsi, poi però si riprese, aguzzò la vista e la esaminò: era di forma triangolare, ricordava l’ala di un pipistrello. L’aveva già visto da qualche parte un oggetto simile, ma dove? L’illuminazione venne veloce come un fulmine a ciel sereno: un oggetto simile ma più piccolo lo usava Black Rose per planare via dopo i suoi furti! Il che significava che probabilmente anche quello era guidato dal ladro. Ma dove era diretto? Cercò di fare mente locale e pensare a cosa ci fosse nella direzione in cui era diretto.
<>pensò la ragazza, che finalmente aveva capito quale fosse l’obiettivo di quel maledetto ladro.
Un sorrisetto per niente rassicurante si dipinse sul suo volto mentre seguiva con lo sguardo il tragitto della nera figura: aveva trovato che cosa fare per quella notte.
 
Jean aveva finalmente raggiunto la casa del suo obiettivo, ora non restava che introdurvisi. Si guardò attorno per capire occhio e croce dove si potesse trovare se fosse stato dentro la villa. A giudicare dagli alberi che vedeva nella magione recintata, doveva essere un paio di stanze prima di quella che aveva scassinato qualche giorno prima con René, quindi spostandosi di qualche metro probabilmente avrebbe raggiunto la finestra giusta da cui introdursi. Senza perdere un attimo di tempo quindi avanzò verso nord, e dopo una quindicina di metri si fermò, contando che più o meno doveva essere arrivato, poi agganciò un rampino al bordo del tetto, e una volta assicuratosi che fosse ben fissato, si calò giù con cautela, dandosi poi una spinta per saltare verso la finestra che era di fianco a lui invece che davanti come era convinto che sarebbe stata. Con un calcio ben assestato la spalancò, e velocemente entrò all’interno. Era esattamente come l’avevano lasciata un paio di giorni prima: polverosa e disordinata. Lentamente aprì la porta, cercando di fare meno rumore possibile, e sgusciò fuori. I corridoi erano controllati da alcuni uomini, probabilmente alcuni che s’erano offerti per la sorveglianza, ma erano pochi e ormai erano addormentati, segno che evidentemente non gliene importava molto del loro compito, forse perché convinti che nessuno si sarebbe introdotto. A quella vista, sorrise.
<>pensò dirigendosi alla sua destra, verso le altre stanze dove con tutta probabilità erano contenuti gli oggetti di valore.
Ad aprire le porte non avrebbe avuto alcun problema: nel corso delle loro pulizie un giorno ne aveva approfittato per portarsi via il mazzo di chiavi per fare sulla loro base un passepartout, che gli avrebbe permesso di aprire ogni stanza senza troppi rumori che avrebbero potuto svegliare il proprietario.
Nella prima camera, una volta aperta non trovò nulla più di quanto non ci fosse la volta precedente, per averne conferma entrò silenziosamente per cercare se ci sia qualcosa che al primo impatto non avesse visto, ma controllando anche nei punti  più oscuri, e dentro ai mobili, non trovò nulla di nulla. Deluso uscì dalla stanza, e passò a quella successiva. La stanza in questione era abbastanza grande, come tutte quelle della villa era riccamente decorata, forse anche esageratamente, come ormai voleva la moda in quegli anni, con arabeschi floreali e ramificazioni in riccioli. Si trattava di una camera da letto di buone dimensioni, il letto a baldacchino era appoggiato lungo la parete, con un comodino a fianco e l’armadio dall’altra parte, accanto a un piccolo tavolo su cui era montato uno specchio. Se quella non era la stanza del padrone di casa, quella che invece gli apparteneva doveva essere ancora più sfarzosa. Si guardò attentamente intorno: a differenza del locale precedente, in questo erano stati inseriti nuovi oggetti, non di poco valore. Sul comò accanto al letto poggiavano due candelabri in oro, e lo specchio, aveva una cornice in argento, intarsiata come se fossero rami di un rampicante che si avvolgeva attorno alla cornice; in un angolo della stanza stava un vaso antico alto circa 50 centimetri, probabilmente di provenienza orientale. Sulla parete accanto alla finestra, era appeso un quadro di ottima fattura, la cornice era riccamente decorata con motivi floreali, e il dipinto ritraeva un uomo, forse monsieur Foster, oppure un antenato dello stesso. Stranamente erano pochi oggetti, e non avevano l’aria di essere stati lasciati lì come in un deposito, ma più come arredo. Che il proprietario avesse deciso di andare a vivere stabilmente in quella casa? Forse. Ma non era il momento di preoccuparsene. Lentamente si avvicinò alla finestra e con cautela la aprì, non doveva fare il minimo rumore, non sapeva in che stanza dormisse Foster né se avesse il sonno leggero o meno, ma nell’eventualità, doveva fare estremamente attenzione. Fra la finestra e il tetto grazie a René aveva installato un sistema di carrucole che avrebbero portato via le parti della refurtiva. Ogni due metri circa un sacco pendeva dalla carrucola, in modo da poter caricare grandi quantità di oggetti. Tirò lentamente la corda, fino a farne arrivare uno di fronte alla finestra, e dunque si voltò per andare a prendere i candelabri poggiati sul comò, che senza troppe cerimonie infilò nel sacco, per poi togliere la cornice allo specchio, in modo da avere meno peso possibile da portare tutto in una volta, e metterla insieme ai due candelabri. Tornò a prendere anche il vaso, che con cautela mise insieme al resto della refurtiva, poi fece scorrere la carrucola fino al fono del muro esterno, e lì svoltò l’angolo, per arrivare al cortile interno della magione, dove la fune della carrucola scendeva fermandosi poi grazie a un paletto conficcato nel terreno, e lasciava cadere all’impatto la refurtiva in un cespuglio. Per sua fortuna non c’erano motivi per cui chi aveva dato una mano a pulire la casa, come avevano fatto anche lui e René, andasse anche nel cortile interno, lì non c’era nulla di utile, e quindi per lui era il posto perfetto dove far finire la carrucola. Seguì con lo sguardo il percorso della refurtiva, e una volta accertatosi con i suoi stessi occhi che tutto stesse andando come previsto si occupò di ciò che non aveva ancora preso. Prima di tutto staccò il quadro dalla parete, e con minuziosa attenzione tolse il dipinto dalla cornice - forse avrebbe fatto meglio a tagliare via la tela, ma la sua istruzione da nobile riguardo l’arte lo aveva fermato - e questa la mise in un nuovo sacco, poi infilò ancora altri oggetti, prevalentemente decorativi anche se di valore e fece partire anche quel sacco. Si guardò intorno, aveva ormai preso tutto quello che gli conveniva prendere, non restava che cambiare stanza. Velocemente prese la porta, non lasciò la sua tipica firma, ovvero la rosa nera, quella l’avrebbe messa solo una volta portato a termine tutto il colpo, altrimenti avrebbero aumentato la sicurezza e dunque sarebbe stato molto più complicato passare inosservati e introdursi.
Nella stanza successiva non trovò nuovamente nulla di importante, era un piccolo studio, forse da usare in caso di emergenza, perché pareva alquanto trascurato, le pareti erano piuttosto spoglie e una piccola libreria ospitava pochi volumi, lasciando invece molto spazio ai ragni per costruirsi dei comodi nidi. Ma a parte le ragnatele e un po’ di polvere lì non c’era nulla, non aveva motivo di trattenersi in quel posto, doveva sbrigarsi e cercare il luogo in cui erano tenuti gli oggetti di valore trasportati in quei giorni. Stava dunque per uscire, quando udì un rumore di passi in avvicinamento. Immediatamente richiuse la porta e ci accostò l’orecchio in modo da ascoltare ogni suono. I passi erano irregolari, un po’ strusciati, segno che probabilmente chi stava camminando aveva sonno. Non sapeva quindi se quei passi appartenessero a Foster oppure a qualcuno dei volontari, che magari s’era svegliato, ma a giudicare dal tonfo sul pavimento di legno, chi stava percorrendo il corridoio non era certo piccolo e leggero. Lo sentì sbadigliare sonoramente mentre i passi si facevano via via più vicini. Se non voleva farsi scoprire non doveva fare il minimo rumore, solo così probabilmente l’uomo non si sarebbe accorto della sua presenza. I passi però si arrestarono ancora prima di arrivare di fronte alla stanza in cui era il giovane, anche se non troppo lontani.
- E qui perché è aperto?! - sentì dire da una possente voce maschile con tono un po’ preoccupato.
Immediatamente capì che cosa era aperto: la porta della stanza precedente! Nella fretta di uscire aveva scordato non solo di chiuderla a chiave, ma addirittura di chiuderla normalmente! Quale terribile leggerezza aveva commesso! Come aveva potuto commettere un errore così grossolano? Nemmeno agli inizi del suo operato era mai stato così poco cauto. Non riusciva a capacitarsene. Ma non era il momento di lamentarsi delle proprie azioni, doveva andarsene, e in fretta! Sentì dei passi veloci e pesanti nella stanza, seguiti poco dopo da una forte imprecazione: aveva scoperto che degli oggetti erano stati trafugati. L’uomo uscì dalla camera, battendo i piedi per terra, e correndo a colpire le porte prima di quella della stanza lasciata aperta.
- Al ladro, al ladro! Un ladro è riuscito a entrare nella villa! - lo sentì urlare, cercando evidentemente di fare più rumore possibile per svegliare anche gli altri uomini presenti nella magione.
Ora che quello s’era allontanato, era il momento buono per fuggire. Ben presto sul piano sarebbero arrivati anche altri uomini, richiamati dalle urla di quello che si era appena allontanato, quindi sarebbe finito in trappola, quindi doveva sbrigarsi. Velocemente sgusciò fuori dalla stanza in cui s’era nascosto senza nemmeno preoccuparsi di richiuderla, tanto ormai avevano scoperto che era entrato, quelle precauzioni quindi sarebbero state inutili, e in tutta fretta, ma facendo attenzione che non arrivasse nessuno, si diresse verso lo studio da cui era entrato. Fortunatamente la distanza non era troppa, e nella corsa non incontrò nessuno, forse avrebbe fatto in tempo ad andarsene. Arrivò in fretta e furia allo studio, la finestra da cui era entrato era ancora spalancata, quindi non gli restava altro che affacciarsi, prendere bene la mira, e lanciare il rampino. Non era un impresa facile, era piuttosto vicino al tetto, se avesse lanciato con troppa forza probabilmente non si sarebbe agganciato, ma sarebbe rimbalzato e l’avrebbe colpito, invece se avesse tirato troppo piano c’era il rischio di mancare la presa, e perdere dunque tempo prezioso. Quindi non era facile calcolare la distanza e la forza giusta, infatti al primo tentativo mancò totalmente il tetto, ma al secondo il rampino si agganciò perfettamente, permettendogli dunque di issarsi fino sul tetto, dove si trovava l’oggetto volante con cui era arrivato partendo dall’altra città. Ma lì sopra, una voce conosciuta attirò immediatamente la sua attenzione.
- Ah, eccoti qui, maledetto!
A circa tre metri da dove era salito Black Rose, si trovava Maria, che a quanto pare come al solito era intenzionata a fermarlo. Lo osservava decisa, la mano destra sull’elsa della spada, pronta a scattare in avanti per affrontarlo per l’ennesima volta. In pochi istanti la ragazzina sfoderò l’arma, che punto davanti a sé in direzione del ladro.
- Questa volta non ti lascerò scappare! Quindi avanti, fatti sotto! - esclamò partendo decisa verso il giovane.
Peccato che lui non avesse per niente voglia di scontrarsi anche quella sera contro la sorella, aveva fretta di tornarsene alla villa di Lefevre, per pianificare in modo più accurato la seconda parte del piano, e soprattutto di farsi trovare nella sua stanza il prima possibile, sarebbe stato un bel problema se qualcuno per qualche motivo fosse entrato e avesse scoperto la camera vuota. Sbuffò leggermente annoiato e si diresse anche lui velocemente contro l’altra, sembrava stesse per sfoderare la spada ed affrontarla, ma all’ultimo istante scartò di lato e continuò la sua corsa.
- Spiacente ragazzina, questa sera non ho voglia di giocare con te! - le disse ironico, raggiungendo la sua creazione.
Maria certo non si aspettava che l’avversario la evitasse all’ultimo, quindi interdetta per qualche istante guardò il ladro fuggire, per poi improvvisamente riprendersi e furiosa lanciarsi al suo inseguimento.
- Giocare?! Brutto bastardo, come osi?! - esclamò furiosa.
Lo aveva quasi raggiunto, quando il giovane si lanciò giù dal tetto della villa, per poi planare e volare via nella notte come se nulla fosse, e lei si ritrovò a pochi istanti dal cadere giù dal tetto, per non essersi fermata in tempo. La ragazza digrignò i denti dalla rabbia, e strinse i pugni: le era scappato un'altra volta!
Jean volando via si voltò indietro, ad osservare la sorella. Vide che rischiava di cadere dal tetto, e dato che si era appena lanciato, virando probabilmente sarebbe riuscito ad afferrarla al volo, ma fortunatamente non ce ne fu bisogno e proseguì quindi per la sua strada. Certo però che Maria aveva un bel caratterino… quando si metteva in testa una cosa non c’era verso di fermarla, voleva andare avanti finché non era soddisfatta, ne era la dimostrazione tutta la questione riguardo a Black Rose: l’aveva seguito addirittura fino sul tetto della villa! Chissà come c’era arrivata, poi fin là sopra. Ma oltre che di lei, non riusciva a capacitarsi di sé stesso: come aveva potuto lasciare aperta una porta, commettere un errore così grossolano, e farsi quindi scoprire? Era ridicolo, quella piccola svista gli era quasi costata la cattura! Scosse la testa irritato, se si perdeva in queste cose si sarebbe distratto e avrebbe perso il controllo della sua macchina volante, per poi sfracellarsi al suolo, cosa che non sarebbe stata affatto piacevole.
Alla fine il ritorno fu tranquillo, data l’ora tarda né nella sua città e nemmeno in quella vicina qualcuno lo notò. Atterrò come nel precedente tentativo fra i resti delle case demolite. Non fu semplice manovrare quell’oggetto nel modo corretto ma ce la fece. Tirò un sospiro quando finalmente mise i piedi a terra: per quel suo errore grossolano era riuscito ad arraffare ben poche cose rispetto ai suoi piani, quindi se voleva davvero portare a termine l’opera non gli restava che tornare il giorno dopo. Si sfilò il cappello, la maschera e il mantello e li ripose in una sacca che aveva nascosto nel mantello prima di partire, e invece ne estrasse un oggetto per togliere le viti da quella specie di ala gigante che era la sua invenzione. La richiuse accuratamente, in modo che diventasse il più possibile compatta, dopodiché la sollevò e facendo attenzione a non essere notato, la sollevò e la portò fino al carro che aveva lasciato vicino al campanile, e con quello tornò alla villa di monsieur Lefevre. Prima di partire aveva coperto di stoffa gli zoccoli del cavallo, in modo che facessero il minor rumore possibile. Insomma, era notte fonda, un giovane che girovaga per la città su un carro, avrebbe attirato l’attenzione, e sarebbe stato proprio ciò che lui avrebbe voluto evitare.
Non ci impiegò molto a tornare alla villa, dove cercò di rimettere ogni cosa esattamente come prima della sua partenza, per poi usare la stessa corda con cui si era calato dalla finestra della sua stanza, per ritornarci e andare a letto. Doveva prepararsi, anche la sera dopo sarebbe entrato in azione!
 
Il giorno successivo, Maria si stava dirigendo verso la villa di monsieur Foster, in modo da potersi accertare con i propri occhi dell’operato del ladro. Per passare il più inosservata possibile aveva nuovamente indossato abiti maschili e, anche se con non poco fastidio, s’era un po’ sporcata il volto, in modo da dare l’impressione di un ragazzino, o una ragazzina, se l’avessero notata, del quartiere povero, che se ne andava a curiosare in giro. Per sua fortuna il padre era uscito presto di casa quella mattina, e ai servi sapeva sfuggire senza grandi problemi, per cui una volta calatasi dalla finestra della sua stanza s’era subito precipitata in strada. Correndo non era troppo distante l’abitazione del nobile straniero, si trattava di cinque - dieci minuti, e quindi non ci mise molto tempo a raggiungerla. Una volta a destinazione vide però che non avrebbe potuto agire indisturbata come sperava, poiché dei gendarmi dall’aria abbastanza forzuta facevano la guardia già dall’ingresso, rendendo così la dimora inaccessibile se non dall’alto. E se già l’ingresso era sorvegliato, con tutta probabilità anche l’interno lo era, forse anche più che l’esterno. La giovane sospirò, seccata.
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Lasciò quindi perdere l’ingresso principale, e si allontanò lungo la strada. Non se ne stava andando, no, assolutamente. Costeggiò la cancellata che delimitava la proprietà di monsieur Foster, e lo vide. Oltre l’inferriata si trovava un albero di grosse dimensioni. Il tronco era piuttosto largo, e i rami spessi a sufficienza da reggere il peso di una persona. Non perse tempo, sapeva già come fare: si arrampicò sulla cancellata e scese nel cortile dell’abitazione, poi si diresse verso la pianta e con molta attenzione, infilando le mani e in piedi in ogni possibile rientranza e sporgenza sul tronco, lo scalò faticosamente, fino a raggiungere una finestra di cui la sera prima aveva rotto il vetro con una gomitata, e passando su un ramo robusto la aprì ed entrò nella villa. Voleva vedere con i suoi occhi quanto il ladro aveva fatto. La voce che fosse entrato qualcuno nella magione s’era sparsa in fretta, ma nessuno aveva nominato Black Rose, perché? Forse non aveva lasciato la sua firma, ma la cosa era strana, voleva capire perché. C’era sotto qualcosa, ne era certa. In assoluto silenzio incominciò ad esplorare la casa. Voleva raggiungere il punto in cui era avvenuto il furto, studiarlo e comprendere. Ma non era certo un impresa facile, quel luogo pullulava di uomini dall’aria piuttosto forzuta che passeggiavano nervosamente fra i corridoi, probabilmente reduci da una lavata di capo da parte di Foster. Doveva nascondersi in ogni anfratto che riusciva a trovare ogni volta che uno di loro si avvicinava, per poi proseguire correndo e fermarsi nuovamente al passaggio di un altro uomo. Era faticoso, le sembrava quasi di essere un ladro,  riusciva quasi capire la fatica che doveva a volte fare Black Rose per compiere i suoi furti. La maggior parte delle stanze erano chiuse, lo vedeva chiaramente, ma non riusciva a capire se fosse in una di quelle che era avvenuto il furto, o meno, nessuno si comportava in modo particolare in presenza di una delle stanze. Ma infondo, cosa si aspettava? Che fosse scritto a caratteri cubitali? “Siamo stati derubati qui”, sì, come no. Avanzò ancora, finché qualcosa non attirò la sua attenzione. Si nascose dietro un muro, e dunque osservò ciò che stava accadendo. Alcuni gendarmi erano fermi a parlare con il padrone di casa sulla soglia di una porta. Che fosse quello il luogo da cui Black Rose era fuggito e aveva compiuto il suo furto? Probabilmente. Li vide allontanarsi, era il momento giusto per uscire allo scoperto. La porta fortunatamente non era stata chiusa a chiave, quindi entrò senza alcun problema di sorta. All’interno si trovava una stanza da letto piuttosto sfarzosa, come era di usanza in quegli anni. Non poteva essere quella di Foster, poiché non conteneva oggetti strettamente personali, ma era chiaro che era lì che Black Rose aveva colpito, siccome quel luogo le pareva fin troppo spoglio per essere una camera da letto così decorata. Iniziò a controllare con attenzione ogni dettaglio di quel posto. Vide che non c’era niente che potesse illuminare di notte le stanza, ma ciò non significava niente: avrebbe potuto non esserci anche prima; passò accanto a una parete, su cui era stato appoggiato uno specchio, senza cornice. Quello era chiaro che fosse opera del ladro della rosa nera. Controllò se c’erano segni, ombre lasciate dal tempo attorno al punto in cui stava un determinato oggetto, ma pareva che fossero tutti stati inseriti di recente. Sul muro accanto alla finestra però, vide un chiodo piegato malamente, forse quello era il segno un altro degli oggetti mancanti all’appello, forse un quadro. Sospirò, delusa. Aveva setacciato la stanza, ma non riusciva a scorgere tracce sicure del passaggio del suo nemico, in poche parole, un buco nell’acqua. Si allontanò seccata, quando sentì la voce di Foster, e si nascose nuovamente. Era sempre con i gendarmi, gli stavano chiedendo qualcosa.
- Allora, ricapitoliamo. Potete dirci che cosa è stato trafugato? - disse un agente.
- Sono pochi oggetti: due candelabri d’oro, un quadro, un vaso antico orientale e infine la cornice d’oro di uno specchio. - fu la risposta del nobile.
Quelle informazioni per Maria erano molto utili ed interessanti, finalmente era riuscita a sapere che cosa avesse trafugato il ladro, era quello il motivo principale per cui s’era introdotta nella villa. Però, qualcosa non quadrava, era troppa poca la refurtiva.
<>
Facendo attenzione a non essere scoperta, si allontanò nella direzione da cui era venuta, ma non riusciva a togliersi dalla testa ciò che riguardava il furto. Voleva capire, le pareva troppo semplice che avesse preso quattro cose in croce, e se ne fosse andato senza manco farsi notare. Non era nel suo stile.
<>mentre ci rimuginava, improvvisamente si arrestò.
- Il che significa che sicuramente ritornerà! - concluse, a voce alta.
Sentì i passi di qualcuno in avvicinamento, e si nascose di nuovo, continuando a rimuginare sulla faccenda. Se fosse tornato, certo non avrebbe atteso ancora a lungo a mostrarsi, normalmente agiva al calar della notte, e quindi era chiaro che con tutta probabilità quella notte stessa. L’uomo si allontanò, e lei uscì allo scoperto, per poi dirigersi verso la finestra da cui era entrata e tornarsene sui suoi passi. Se Black Rose fosse davvero apparso, lei non se lo sarebbe lasciato sfuggire di certo, anzi, lo avrebbe aspettato e affrontato.
 
E così fu, la notte seguente a quella in cui era stato compiuto il primo colpo, Black Rose si ripresentò volando nuovamente su quello strano marchingegno da lui costruito.
Il ritorno alla villa di monsieur Lefevre la volta precedente non era stato un problema, a quell’ora la servitù dormiva, e il padrone di casa anche se fosse stato sveglio non aveva alcun motivo per andare a disturbare il suo ospite addirittura in camera sua. Durane la giornata poi Jean aveva avuto occasione di organizzare meglio il colpo, anche se s’era spesso dovuto occupare degli affari, aveva avuto anche numerose pause in cui s’era concentrato sul suo obiettivo. E così quella notte stessa era nuovamente sgattaiolato via per poi dal campanile della città prendere il volo verso la villa Foster. Non poté atterrare sul tetto come la volta prima, questa volta avrebbe dato nell’occhio visto che ora anche l’esterno dell’abitazione era sorvegliato, dunque dovette scendere più lontano, sul tetto di una vecchia villa abbandonata, e poi scendere da esso normalmente.
<> pensò osservando tutto quanto, nascosto dall’angolo di un'altra abitazione lì vicino. <>concluse, con un sorrisetto ironico stampato in volto. Gli piacevano le sfide, rendevano tutto più interessante.
In assoluto silenzio prese dunque a muoversi verso la villa. Gli uomini erano molti, ma in gran parte sul fronte della casa, per cui non fu difficile sgusciare senza essere visti verso il retro, verso l’ala che ospitava le stanze della servitù. Scavalcò la cancellata con agilità, e si diresse verso una delle finestre del pian terreno. Nei giorni precedenti, quando s’era infiltrato nell’abitazione, aveva potuto appurare che era una stanza assolutamente inutilizzata, ed era stato dunque un gioco da ragazzi modificarne la finestra in funzione del colpo.
<>pensò mentre la apriva ed entrava dentro.
Il locale in cui si trovava era praticamente spoglio, aveva solamente un paio di dispense che a giudicare da com’erano ridotte, dovevano essere vuote. Evidentemente quella stanza doveva fungere da magazzino per le provviste, ma dato che il padrone di casa per quanto ne sapeva, si sarebbe fermato a mala pena due giorni, non sarebbe valsa la pena di riempirlo. Si diresse velocemente verso la porta e cautamente la aprì, sbucando nella sala principale da cui si accedeva attraverso l’anticamera posta all’ingresso. Tutta la sala era illuminata dalle lampade, tant’è che egli riusciva ad orientarsi più chiaramente. Ma la soddisfazione di aver velocemente compreso come fare svanì velocemente.
-Hey, tu!
Una voce maschile, rude, lo richiamò: era chiaro che fosse uno degli uomini assoldati per controllare la casa, e lui era stato visto. L’uomo estrasse immediatamente la spada e gli corse incontro, pronto ad attaccarlo, e al giovane non restò che estrarre la sua, e prepararsi allo scontro. E dire che sperava di riuscire a introdursi senza essere notato! Ma evidentemente le cose non dovevano andare così. Quando il suo avversario si avvicinò, Jean poté chiaramente notare la divisa che indossava: altro che uno assoldato da monsieur Foster per controllare la casa, quello era un gendarme! Se già prima voleva perdere meno tempo possibile, ora per lui era quasi un obbligo sistemarlo in fretta. L’uomo attaccò con un affondo al fianco, ma il giovane nobile evitò all’ultimo il colpo, e ricambiò con un dritto sgualembro, colpo che descrive un mezz'arco portato da destra verso sinistra in diagonale e che tende a colpire la spalla sinistra dell’avversario se posti di fronte a lui; questi cercò di parare il colpo frapponendo la sua lama a quella del ladro in una battuta, ma non riuscì a scansare completamente il colpo e si ferì al volto e al braccio. Jean passò quindi a una finta di stoccata, che riuscì temporaneamente a distrarre l’uomo e gli permise di arrivargli abbastanza vicino da colpirlo al collo da dietro, mettendolo fuori gioco. Rinfoderò dunque la sua arma, e trascinò via il membro delle forze dell’ordine. Non poteva mica lasciarlo lì in mezzo alla sala, avrebbe immediatamente attirato l’attenzione se qualcuno fosse entrato. Lo appoggiò grossolanamente a un muro dietro una tenda, non aveva tempo da perdere a sistemarlo bene, e dunque prese a correre verso la scala che lo avrebbe portato al piano successivo, dove si trovava il meglio. Ma aveva a mala pena fatto il secondo gradino, quando avvertì un potente fischio alle sue spalle, e dunque si voltò: era una guardia. Lo vide corrergli incontro, anche lui sfoderò la spada, nella speranza di poterlo contrastare. Il ragazzo in tutta risposta sbuffò.
- Ma possibile che stasera ce ne sia sempre una? Ho appena steso l’altro!
Controvoglia estrasse nuovamente la sua arma e andò incontro al nuovo avversario. Questi cercò di colpirlo tramite un fendente, che il giovane parò con la lama e respinse per poi rispondere con un roverso sgualembro, che l’altro schivò indietreggiando, dopodiché attaccò con un dritto sgualembro. Jean cercò di evitare il colpo parandosi con la sua spada, ma non fu abbastanza rapido, e quindi quella del nemico riuscì a ferirlo alla spalla. Soppresse un grido di dolore che si trasformò quindi in un gemito, ma subito riprese il controllo della situazione e riprese lo scontro. Il suo avversario se la cavava bene, ma era chiaro che a lungo andare sarebbe stato lui a prevalere, infondo combatteva da quando era neanche un ragazzino. Rapidamente fece una finta d’imbroccata rivolta verso la destra dell’avversario, che quindi abbassò la guardia. Ci volle un attimo: passò la sua arma sotto quella dell’altro, e con un gesto secco e rapido gliela fece cadere di mano, lasciandolo così disarmato. Stava per dargli il colpo di grazia, per così dire, in modo da renderlo inoffensivo, ma l’altro improvvisamente estrasse un coltello, con cui prontamente cercò di tornare alla carica per fermarlo, ma il giovane ladro riuscì a schivare gli attacchi, per lo più irregolari e facili da rendere inefficaci.
- No no no, così non ci siamo, questo è barare! - gli disse ironico.
Evitò al pelo un altro colpo, dopodiché lo afferrò per il braccio sinistro, quello in cui stringeva la lama, e gli sferrò un poderoso cazzotto nello stomaco, che fu sufficiente per metterlo al tappeto. Si affrettò a spostare anche il secondo uomo contro il muro, per poi correre verso la scalinata il più velocemente possibile. Non era ancora salito, che sentì delle voci in lontananza:
- Da dove veniva?
- Da qui! Da qui! Sono certo di avere sentito provenire da qui il fischio!
Si nascose in tutta fretta dietro una tenda della finestra lì vicino, così come prima aveva nascosto i due uomini storditi, e attese che passassero. Li sentì bofonchiare che non c’era nessuno, che evidentemente doveva esserci stato uno sbaglio, e dunque allontanarsi verso un'altra stanza. Tirò un sospiro di sollievo mentre tornava allo scoperto: non aveva minimamente voglia di combattere di nuovo. Salì velocemente le scale e arrivò al piano superiore. Anche lì era tutto illuminato, esattamente come al piano di sotto. Guardandosi attorno non vide nessuno oltre a lui nei paraggi, ma era meglio fare attenzione, andando avanti avrebbe potuto incontrare altri uomini di guardia. Le stanze alla sua destra le aveva già controllate in gran parte la sera prima, quindi non gli restava che l’ala sinistra del piano. Dalla tasca della giacca estrasse il passepartout, e con quello in mano si avviò verso le stanze al momento per lui ancora inesplorate. Entrò nella prima che incrociò lungo il suo cammino, si trattava di una stanza totalmente vuota, non c’era alcun soprammobile particolare, decorazioni o altro, era quasi totalmente spoglia, il letto era di semplice fattura, niente di confrontabile a quello della stanza da lui svaligiata la volta precedente. Per scrupolo volle entrare a controllare se ci fosse comunque qualcosa di valore, ma setacciò in lungo e in largo il posto e non trovò niente. Passò in quella successiva, e di nuovo non trovò niente, e così fu per quella successiva e quella dopo ancora. Entrò in molte stanze, ma sembrava che l’unica arredata fosse quella camera da letto. Ma non poteva mica esserci solo quella poca roba, dove diamine avevano messo tutto il resto? Proseguì ancora, quando ecco che vide venire verso di lui un altro uomo, e come le volte precedenti, non c’era modo di evitarlo.
- Al ladro, al ladro! - esclamò l’uomo, per poi sfoderare la sua spada.
Peccato che Jean non avesse la benché minima voglia di affrontare un altro scontro. Quindi? Che fare? L’opzione possibile era solo una. Senza perdere tempo corse incontro al suo avversario, senza nemmeno sfoderare l’arma; l’altro non appena gli fu abbastanza vicino cercò di colpirlo, ma ancora prima che potesse attaccare, il ladro improvvisamente si abbassò, gli fece una specie di sgambetto per farlo cadere, e si spostò di lato per poi colpire l’avversario con un colpo ben assestato in modo da stordirlo e metterlo fuori gioco.
- Ogni tanto bisogna anche giocare un po’ sporco per cavarsela… - borbottò osservando quanto aveva fatto.
Ma non era il momento di perdere tempo, sentì delle voci di altri uomini che arrivavano dall’ala ovest e quando si voltò dal’altro lato, ne scorse alcuni anche da quella est. In pratica, stavano per tagliargli ogni via di fuga. E quindi? Come se la sarebbe potuta cavare? Doveva pensare a qualcosa, e in fretta, o lo avrebbero catturato, e allora sarebbero stati guai. Buttarsi a testa bassa su di loro avrebbe significato solamente una rapida cattura, e cercare di farsi largo a colpi di spada era una pessima idea, erano più numerosi, lo avrebbero sopraffatto. Improvvisamente, ebbe un lampo di genio. L’idea era folle, ma forse poteva funzionare, e infondo, non aveva molte alternative.
<>pensò per poi prepararsi all’azione.
Corse verso il gruppo di sinistra facendo appello a tutta la forza che aveva nei muscoli delle gambe, saltò sulla rientranza di una finestra nella parete di destra, si aggrappò a una lampada, e li usò come trampolino di lancio, da cui saltò sulle spalle di una guardia accanto a lui per poi mettersi a correre sulle teste e le spalle delle altre, che si voltavano nel tentativo di prenderlo, o per lo meno di farlo cadere, ma finendo solo loro a terra ogni volta, mentre il ladro se la svignava. Ad un tratto, qualcuno riuscì ad afferrarlo per un piede e farlo cadere, ed egli dunque si dovette per forza fare largo fra le guardie, per sua fortuna ormai poche, per poi riprendere a correre il più veloce possibile per non farsi prendere. Riuscì a seminarle di qualche metro, e girato l’angolo vide la porta di un’altra stanza, dentro cui velocemente entrò grazie al passepartout. Richiuse la porta giusto in tempo per sentire le guardie correre nel corridoio cercandolo, e non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo: per ora l’aveva scampata. Decise dunque di rimettersi al lavoro. Guardandosi intorno vide che anche quella stanza era palesemente vuota, niente di importante, perciò facendo attenzione, prese la porta e tornò nel corridoio. Era rischioso, se fossero tornati indietro tanto presto sarebbe ricominciato tutto, ma non poteva passare da nessun’altra parte, fuori non c’era spazio sufficiente per camminare. Proseguì lungo l’andito per qualche metro, e arrivò dunque alla stanza successiva. Questa volta aveva fatto centro. Quel luogo sembrava molto più simile a un deposito che a una camera: gli oggetti erano lasciati in terra, ordinati, ma era chiaro che erano lì solo per una questione temporanea. C’era un vaso simile a quello rubato il giorno precedente, numerosi quadri di ottima fattura, alcuni anche di artisti famosi, riconobbe alcune firme grazie alla luce lunare che illuminava la stanza, e altri invece provenivano dall’oriente. Su un mobile era posato un piccolo scrigno, lo aprì e vide vari gioielli: anelli, orecchini, collane di perle, fermagli, oggetti evidentemente appartenenti alla moglie del proprietario; e in un altro c’erano numerose monete e medaglie. Questa sì che era pesca grossa! Estrasse dal mantello alcuni sacchi come quelli usati la sera precedente, e pian piano iniziò a riempirli di quanto riusciva a farci stare. I gioielli e le monete per primi, poi mise alcune statuette, di porcellana, marmo o d’oro, e agganciò il sacco fuori dalla finestra esattamente come nel colpo precedente; in un secondo sacco invece mise molti quadri di quelli presenti, alcuni staccandoli dalla cornice, di altri invece prendeva solo quella perché d’oro o argento, ma nel complesso erano molte cose, ne avrebbe ricavato parecchio dalla vendita.
 
Nel frattempo, Maria era appena entrata nella villa dalla finestra da cui s’era introdotta quella mattina. Non farsi beccare con tutte quelle guardie che c’erano non era stata un’impresa facile: non era un ladro, però non era autorizzata ad entrare nella casa di un nobile, soprattutto di notte con il rischio che qualcuno entrasse di nuovo per svaligiare l’abitazione; quindi se l’avessero vista sarebbe probabilmente stata presa per un delinquente e arrestata, e quello era un tipo di esperienza che ci teneva a non fare.
Non appena poggiò i piedi a terra, si guardò attorno, si aspettava di vedere qualcuno, almeno un paio di uomini, a tenere sotto controllo l’abitazione, eppure i corridoi erano vuoti. Nessuno che controllasse il posto, la cosa era fin troppo facile… che Black Rose fosse riuscito a stenderli tutti? No, impossibile, d’accordo che sapeva combattere bene, ma non a tal punto. Decise di avanzare con cautela e circospezione, nessuno sapeva cosa poteva accadere. Si trovava nell’ala est, ala di cui Black Rose pare si fosse occupato già la volta precedente, forse per quello non c’era nessuno, può darsi che partissero dal presupposto che non sarebbe nuovamente passato da lì. Con la mano poggiata sull’elsa della spada avanzò attenta guardando costantemente che non arrivasse qualcuno, che fossero i gendarmi o direttamente gli uomini assoldati dal padrone di casa.
<>pensava nel frattempo.
Lei era un tipo di ragazza molto fedele alle leggi, non poteva sopportare che qualcuno non le rispettasse, che se ne facesse beffe. Normalmente ci pensavano le forze dell’ordine a rimettere a posto la situazione, eppure c’era sempre qualcuno che riusciva a sfuggire loro, e questo non lo poteva sopportare. Spesso quando sentiva dei furfanti che erano riusciti a scappare a qualcosa, una grande rabbia la invadeva, e un fastidioso senso di impotenza si faceva strada in lei: non poteva fare niente, era solo una ragazzina di famiglia nobile come molte altre, forse solo un po’ più consapevole di ciò che accadeva. Ma Black Rose era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso: non solo era un furfante in più, cosa già di per sé intollerabile, ma riusciva sempre a sfuggire ai gendarmi, che venivano ogni volta praticamente ridicolizzati. Fu in quel momento che decise che doveva fare qualcosa, fermare almeno lui. E da allora era diventata una questione personale, il ladro della rosa nera era diventato simbolo per lei di tutti i criminali che la facevano puntualmente franca, non poteva permettersi di lasciarlo scappare.
Avanzò lungo gran parte dell’androne senza incontrare anima viva, questo pareva rafforzare la sua teoria secondo cui non era possibile che il ladro li avesse stesi tutti, dato che non trovava neanche un uomo che fosse steso a terra o dove altro. Il che implicava che probabilmente avevano lasciato in gran parte la loro postazione per qualche motivo, forse per inseguire quel furfante. Improvvisamente però, iniziò a scorgere delle figure avanzare dalla parte opposta del corridoio. Avanzavano piano, ma non le parevano particolarmente tranquilli, la ricerca forse non era andata a buon fine? Non lo sapeva, sapeva solo che se l’avessero vista sarebbe stata in guai seri. Si guardò attorno, era come spaesata. Che fare, che fare? Sì, aveva un po’ esplorato la casa quella mattina, ma non a tal punto da conoscerne ogni antro, ogni modo per nascondersi. Aveva notato delle tende lunghe e spesse alle finestre, che sarebbero state perfette per nasconderla, peccato che si trovassero molto più indietro rispetto alla sua posizione; avrebbe potuto raggiungerle correndo, ma probabilmente sarebbe stata vista, inseguita e scovata. Si voltò verso la prima porta che aveva accanto e cercò in un tentativo disperato di aprirla, ma niente: chiusa. Provò con quella precedente, ma niente pure quella. In un terzo e ultimo disperato tentativo provò con quella ancora prima, e questa inaspettatamente si aprì. Come un fulmine entrò dentro e silenziosamente richiuse la porta, nella speranza che nessuno la notasse, quando d’un tratto sentì il freddo di una lama contro il collo. Il suo cuore in quel momento mancò un colpo. Si girò lentamente, posando la sua mano sull’elsa della sua arma, e fu così che vide chi le stava puntando la spada al collo. Non era un gendarme, o uno degli uomini assoldati da monsieur Foster, no, era lui: Black Rose.
-Ci rincontriamo, ragazzina. - disse ironico.
In realtà era certo che la sorella si sarebbe fatta nuovamente viva, la conosceva fin troppo bene, dopo avere evitato lo scontro la sera prima e averla fatta franca ancora una volta, era ovvio che lo avrebbe aspettato al secondo colpo, Maria era abbastanza intelligente da comprendere che sarebbe tornato. Lei ricambiò con un’occhiata piena d’astio, e senza perdere tempo velocemente sfoderò la sua spada e con essa scacciò la lama del ladro che era ancora vicino alla sua gola.
- Che fortuna, cercavo un posto dove nascondermi ed ecco che scovo te, ladro da quattro soldi! - fu la sua risposta, mentre rivolgeva la sua lama verso l’avversario. - Ora che ti ho trovato non ti permetterò di derubare una seconda volta questa villa! - aggiunse.
Jean rise leggermente, scansando a sua volta la spada della giovane.
- Mi dispiace ma arrivi tardi, ormai qui ho già finito. - le disse, indicando il mobile su cui prima si trovava il bauletto con i gioielli, e dove ora si trovava una rosa nera, ovvero la sua firma.
L’aveva posata poco prima che lei arrivasse, e si stava dirigendo verso la porta per fuggire, quando s’erano incontrati. Infondo gli era andata bene, non rischiava di perdere la refurtiva.
La giovane osservò per qualche istante l’ambiente circostante: tutto sembrava a posto, in ordine, e non vedeva niente accanto al suo rivale che potesse indicare qualcosa di rubato. Ciò le fece venire fin da subito il nervoso: la cosa non le piaceva affatto. Si lanciò a spada tesa verso l’avversario con un affondo, che l’altro evitò frapponendo la sua lama a quella della ragazza, e scansandola.
- Qui tutto mi sembra a posto. Se è vero ciò che dici, dov’è la refurtiva?! Parla! - esclamò
- Ti pare che io vada a dirti dov’è che tengo ciò che rubo? Tsk, mi sottovaluti, little girl. - fu la risposta del giovane, usando quell’accento britanno che contraddistingueva il ladro Black Rose.
La sorella in risposta partì nuovamente all’attacco con un dritto tondo, un colpo che viene eseguito orizzontalmente, portato da destra verso sinistra, che lui parò all’ultimo istante.
- Se è così allora ti catturerò e ti costringerò a rivelarmelo! - ribatté la giovane.
- Provaci! - replicò Jean ironico.
Entrambi partirono all’attacco, e fecero scontrare le loro lame in una battuta, un colpo secco che serve ad allontanare la lama nemica, dopodiché il giovane ladro eseguì un’imbroccata, un attacco molto simile all’affondo, eseguito però con il braccio teso, rivolto al fianco della ragazza, che non riuscì a schivarlo completamente e venne presa di striscio, ma strinse i denti per non urlare o gemere dal dolore, e ribatté con un dritto sgualembro che però non andò a segno poiché l’avversario lo impedì con una parata di ceduta, in cui la lama non si stacca da quella dell’avversario e nella prima fase ne accompagna il cammino. Gli dispiaceva dover ferire la sorella ma infondo era lei che se le cercava. Voleva scontrarsi con Black Rose, no? Ed egli l’avrebbe accontentata. Cercava di andarci piano di ferirla giusto quel tanto necessario per essere più forte di lei, ma non così tanto da farle troppo male. Non se lo sarebbe mai perdonato se si fosse ferita gravemente per colpa sua. Attaccò nuovamente, usando un montante, il colpo opposto al fendente, ma lei questa volta riuscì a evitarlo scartando di lato, per poi rispondere con un dritto tondo, che viene eseguito orizzontalmente e portato da destra verso sinistra, ma lui con la sua lama portò quella della ragazza più in su, mentre le due spade si univano in un legamento, in cui il contatto delle lame a differenza della battuta è più prolungato, da cui Maria si liberò tramite una di cavazione per poi tornare all’attacco con un fendente, che il giovane schivò e dopo cui effettuò una finta d’imbroccata, con cui spiazzò leggermente la ragazza, e ne approfittò per afferrare la maniglia della porta.
- Mi dispiace, mademoiselle dei miei stivali, ma per me è giunto il momento di andare. E’ stato divertente, ma non posso più rattenermi, good bye! - le disse aprendo la porta e fuggendo fuori, senza dare a Maria il tempo di replicare.
In corridoio non ci volle molto perché gli uomini di guardia lo vedessero e lanciassero l’allarme, ma questa volta sapeva dove si stava dirigendo, quindi non fece altro che correre il più veloce possibile, eludendo non solo chi gli stava dietro dall’ala ovest, ma anche coloro che accorrevano dall’ala est. Bastò raggiungere prima di loro le scale e scendere sotto, per poi intrufolarsi nella stanza da cui era entrato, fuggire fuori nella notte e raggiungere il luogo in cui aveva lasciato la sua invenzione volante con cui fuggì per tornare nella città in cui sarebbe dovuto essere.
La giovane nobile furiosa come non mai per essersi lasciata nuovamente sfuggire il ladro, dovette approfittare della confusione creata da Black Rose per raggiungere la finestra da cui era entrata e andarsene anche lei. Ci mancava solo che la trovassero ancora mentre tornavano, sicuramente l’avrebbero presa per una complice e arrestata. Portò la mano destra alla ferita che il ladro le aveva inflitto sul fianco sinistro. La serata era proprio andata bene: non solo Black Rose se l’era svignata ancora una volta senza che lei potesse farci nulla, ma l’aveva pure ferita! Sentì un pizzicore alla guancia destra, e la tastò: sanguinava, un altro taglio colpa del suo avversario. Digrignò i denti dalla rabbia.
- Maledetto, prima o poi riuscirò a catturarti! - borbottò.
 
Due giorni dopo, Jean stava finalmente tornando a casa dopo aver concluso positivamente l’affare con il cliente del padre, non era stato facile, quell’uomo era testardo e soprattutto tirchio, convincerlo a vendere alcuni dei suoi terreni era stata una battaglia. Inoltre aveva portato a termine il colpo come da programma senza che nessuno in quei giorni notasse la sua assenza,. La carrozza procedeva tranquilla, la cassa contenente l’invenzione era legata sul retro assieme agli altri bagagli, e lui non vedeva l’ora di rimettere piede alla villa. Si lasciò andare sul sedile in modo da rilassarsi un po’, mentre con la mente iniziava già a vagare.
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A volte tendeva a preoccuparsi troppo, gli era stato detto migliaia di volte, ma era più forte di lui. Ad un tratto, la carrozza si fermò, e sentì il cocchiere scendere.
- Monsieur Jean, siamo arrivati! - gli disse semplicemente bussando sulla porta del landau in attesa di una risposta.
- Di già? - domandò leggermente sorpreso, scendendo. - Credevo ci avremmo messo un po’ di più…
Mentre il cocchiere scaricava le valigie e la cassa dalla carrozza, il giovane fece per entrare in casa, quando qualcosa attirò la sua attenzione. Un’altra carrozza era ferma di fronte a casa. Inizialmente pensò fosse quella del padre, ma quest’ultimo abitualmente la faceva portare dalla servitù nel cortile in cui si trovava solitamente quella usata da Jean per il viaggio. Dunque di chi era? Sapeva che era una delle loro, eppure in qualche modo, stonava. Alla fine, decise di entrare e chiedere direttamente spiegazioni al genitore. Fece solo pochi passi nell’ingresso, che venne subito accolto da un bambino, di circa nove o dieci anni, che gli corse incontro.
- Fratello Jean! Fratello Jean! Bentornato! - disse allegro alzando il capo in direzione del ragazzo e sorridendogli.
Jean in risposta lo prese dai fianchi e lo sollevò per qualche istante in alto.
- François! E tu che ci fai qui? - gli domandò sorridendo a sua volta.
- Ben tornato, figliolo. - disse una voce alle sue spalle, facendolo così voltare.
Era così occupato con il fratello minore, che non aveva notato l’arrivo di suo padre.
- Oh, buon giorno, padre. - rispose lui con un cenno del capo.
- Vedo che hai già avuto l’opportunità di salutare tuo fratello, bene. - constatò l’uomo osservando i due figli.
- Sì, ma per quale motivo è qui? - fu la domanda che il giovane pose. - Non dovrebbe essere in collegio?
- Dovrebbe, ma poiché l’edificio ha bisogno di alcune riparazioni, hanno deciso di chiuderlo per qualche settimana e di far tornare gli studenti dalle proprie famiglie. - fu la spiegazione che ricevette.
Il piccolo François corse verso il padre, e si fermò accanto a lui sorridendogli, questi in risposta gli poggiò una mano sulla testa, dunque tornò a rivolgere la sua attenzione verso il figlio maggiore.
- Come ben sai è un evento raro che François torni a casa dal collegio, motivo per cui pensavo di organizzare un ballo in suo onore. Non la trovi una splendida idea?
Alla parola ballo, Jean drizzò le orecchie interessato: un ballo in casa loro significava numerosi invitati pieni di gioielli, e delle ville vuote, pronte per essere ripulite. Se tutti erano a casa loro, chi mai avrebbe notato che Black Rose li stava derubando? Che fosse nelle ville, o per lo meno prendere ciò che avevano indosso, si prospettava un lavoretto facile facile.
- Mi sembra un’ottima idea, padre. - fu la risposta trattenendo un sorrisetto furbesco. Salire lungo le scale interne del campanile portandosi sempre dietro la sua invenzione non era un’impresa facile, più di una volta a denti stretti imprecò per la faticaccia che stava facendo, in quel momento poteva ben comprendere le bestie da soma, ci mancava solo che avesse qualcuno dietro a frustarlo, e sarebbe stato al loro livello. Fra un borbottio di qua e uno sbuffo di là, finalmente poi raggiunse la cima del campanile, per la gioia delle sue ormai distrutte membra. Lì si sedette per qualche istante, per riprendersi un attimo dalla fatica, poi si rialzò, rimontò velocemente la sua creazione, e si diresse alla cassa dove era contenuta inizialmente quella macchina volante. Non c’era nulla che dovesse aggiungere, ma in quella cassa aveva nascosto una cosa, in caso il collaudo fosse andato bene e fosse stato possibile attuare il furto: gli abiti di Black Rose. Per prima cosa indossò i pantaloni neri, poi passò alla casacca, nera con i bordi color argento, e molto simile a quella degli ufficiali dell’esercito, come lo era stato suo padre, dopodiché allacciò il mantello e si mise il cappello in testa, nascondendoci dentro i lunghi capelli, e per ultima, ma non per importanza, anzi, indosso la maschera, anch’essa di colore nero, ma con vari decori argentati. Ora era pronto.
- E ora, si va in scena. - disse semplicemente per poi dirigersi verso l’oggetto che gli avrebbe permesso di mettere in atto il furto.
Strinse la presa sul manubrio, prese un gran respiro, prese la rincorsa, e si lanciò giù. Ogni volta sentire quella sensazione di vuoto appena lasciava la terra ferma, non era piacevole, per la seconda volta in poco più di un ora, temette si sfracellarsi al suolo, ma riuscì nuovamente a stabilizzarsi e a librarsi in volo nella notte stellata, mentre la Luna piena risplendeva. Non era facile volare con quell’oggetto, doveva sempre fare attenzione alle corde per stabilizzarsi, e nonostante fosse la seconda volta che volava, e quindi era già più facile muoversi nell’aria, non poteva distrarsi un attimo, oppure avrebbe perso il controllo e sarebbe precipitato al suolo. Occhio e croce stava volando a 60 metri di altezza, e sotto di sé come la volta precedente scorse campi, boscaglia e anche un torrente che scorreva impetuoso. Le sue acque dovevano essere gelide. Dopo poco scorse in lontananza la città, e iniziò nuovamente ad armeggiare con le corde per calare di quota, in modo da atterrare giusto sul tetto di casa Foster. Sfortunatamente finì in una corrente contraria, che rischiò di farlo volare lontano, ma, anche se a fatica, riuscì a riprendere il controllo, e ben presto si trovò in città. Sorvolò la sua villa e scorse anche quella di un cliente di suo padre, e finalmente arrivò alla villa del suo obiettivo, sul cui tetto atterrò silenziosamente, anche se faticò a fermarsi, tant’è che rischiò di cadere giù.
 
Nel frattempo, alla villa della famiglia De la Rou, Maria stava affacciata alla finestra della sua stanza, in camicia da notte e con i capelli sciolti, a guardare annoiata le stelle.
- Che palle, è tutto il giorno che sono sola a casa: Jean è fuori città per conto di nostro padre, che invece si tratterrà come ospite dal suo cliente fino a domani, René s’è preso un giorno libero insieme alla sua amica Marianne…- disse sbuffando. - Ma tutti oggi dovevano andarsene?! - sbottò poi contrariata, del tutto incurante dell’ora, e del fatto che la servitù stesse dormendo. Lei non aveva sonno, quindi non le importava molto di quello che gli altri invece facevano.
In quel momento, un’ombra passò a diversi metri sopra l’abitazione, oscurando le stelle che splendevano in cielo. Alzò lo sguardo e rimase per un attimo sbigottita a guardare quella strana figura allontanarsi, poi però si riprese, aguzzò la vista e la esaminò: era di forma triangolare, ricordava l’ala di un pipistrello. L’aveva già visto da qualche parte un oggetto simile, ma dove? L’illuminazione venne veloce come un fulmine a ciel sereno: un oggetto simile ma più piccolo lo usava Black Rose per planare via dopo i suoi furti! Il che significava che probabilmente anche quello era guidato dal ladro. Ma dove era diretto? Cercò di fare mente locale e pensare a cosa ci fosse nella direzione in cui era diretto.
<>pensò la ragazza, che finalmente aveva capito quale fosse l’obiettivo di quel maledetto ladro.
Un sorrisetto per niente rassicurante si dipinse sul suo volto mentre seguiva con lo sguardo il tragitto della nera figura: aveva trovato che cosa fare per quella notte.
 
Jean aveva finalmente raggiunto la casa del suo obiettivo, ora non restava che introdurvisi. Si guardò attorno per capire occhio e croce dove si potesse trovare se fosse stato dentro la villa. A giudicare dagli alberi che vedeva nella magione recintata, doveva essere un paio di stanze prima di quella che aveva scassinato qualche giorno prima con René, quindi spostandosi di qualche metro probabilmente avrebbe raggiunto la finestra giusta da cui introdursi. Senza perdere un attimo di tempo quindi avanzò verso nord, e dopo una quindicina di metri si fermò, contando che più o meno doveva essere arrivato, poi agganciò un rampino al bordo del tetto, e una volta assicuratosi che fosse ben fissato, si calò giù con cautela, dandosi poi una spinta per saltare verso la finestra che era di fianco a lui invece che davanti come era convinto che sarebbe stata. Con un calcio ben assestato la spalancò, e velocemente entrò all’interno. Era esattamente come l’avevano lasciata un paio di giorni prima: polverosa e disordinata. Lentamente aprì la porta, cercando di fare meno rumore possibile, e sgusciò fuori. I corridoi erano controllati da alcuni uomini, probabilmente alcuni che s’erano offerti per la sorveglianza, ma erano pochi e ormai erano addormentati, segno che evidentemente non gliene importava molto del loro compito, forse perché convinti che nessuno si sarebbe introdotto. A quella vista, sorrise.
<>pensò dirigendosi alla sua destra, verso le altre stanze dove con tutta probabilità erano contenuti gli oggetti di valore.
Ad aprire le porte non avrebbe avuto alcun problema: nel corso delle loro pulizie un giorno ne aveva approfittato per portarsi via il mazzo di chiavi per fare sulla loro base un passepartout, che gli avrebbe permesso di aprire ogni stanza senza troppi rumori che avrebbero potuto svegliare il proprietario.
Nella prima camera, una volta aperta non trovò nulla più di quanto non ci fosse la volta precedente, per averne conferma entrò silenziosamente per cercare se ci sia qualcosa che al primo impatto non avesse visto, ma controllando anche nei punti  più oscuri, e dentro ai mobili, non trovò nulla di nulla. Deluso uscì dalla stanza, e passò a quella successiva. La stanza in questione era abbastanza grande, come tutte quelle della villa era riccamente decorata, forse anche esageratamente, come ormai voleva la moda in quegli anni, con arabeschi floreali e ramificazioni in riccioli. Si trattava di una camera da letto di buone dimensioni, il letto a baldacchino era appoggiato lungo la parete, con un comodino a fianco e l’armadio dall’altra parte, accanto a un piccolo tavolo su cui era montato uno specchio. Se quella non era la stanza del padrone di casa, quella che invece gli apparteneva doveva essere ancora più sfarzosa. Si guardò attentamente intorno: a differenza del locale precedente, in questo erano stati inseriti nuovi oggetti, non di poco valore. Sul comò accanto al letto poggiavano due candelabri in oro, e lo specchio, aveva una cornice in argento, intarsiata come se fossero rami di un rampicante che si avvolgeva attorno alla cornice; in un angolo della stanza stava un vaso antico alto circa 50 centimetri, probabilmente di provenienza orientale. Sulla parete accanto alla finestra, era appeso un quadro di ottima fattura, la cornice era riccamente decorata con motivi floreali, e il dipinto ritraeva un uomo, forse monsieur Foster, oppure un antenato dello stesso. Stranamente erano pochi oggetti, e non avevano l’aria di essere stati lasciati lì come in un deposito, ma più come arredo. Che il proprietario avesse deciso di andare a vivere stabilmente in quella casa? Forse. Ma non era il momento di preoccuparsene. Lentamente si avvicinò alla finestra e con cautela la aprì, non doveva fare il minimo rumore, non sapeva in che stanza dormisse Foster né se avesse il sonno leggero o meno, ma nell’eventualità, doveva fare estremamente attenzione. Fra la finestra e il tetto grazie a René aveva installato un sistema di carrucole che avrebbero portato via le parti della refurtiva. Ogni due metri circa un sacco pendeva dalla carrucola, in modo da poter caricare grandi quantità di oggetti. Tirò lentamente la corda, fino a farne arrivare uno di fronte alla finestra, e dunque si voltò per andare a prendere i candelabri poggiati sul comò, che senza troppe cerimonie infilò nel sacco, per poi togliere la cornice allo specchio, in modo da avere meno peso possibile da portare tutto in una volta, e metterla insieme ai due candelabri. Tornò a prendere anche il vaso, che con cautela mise insieme al resto della refurtiva, poi fece scorrere la carrucola fino al fono del muro esterno, e lì svoltò l’angolo, per arrivare al cortile interno della magione, dove la fune della carrucola scendeva fermandosi poi grazie a un paletto conficcato nel terreno, e lasciava cadere all’impatto la refurtiva in un cespuglio. Per sua fortuna non c’erano motivi per cui chi aveva dato una mano a pulire la casa, come avevano fatto anche lui e René, andasse anche nel cortile interno, lì non c’era nulla di utile, e quindi per lui era il posto perfetto dove far finire la carrucola. Seguì con lo sguardo il percorso della refurtiva, e una volta accertatosi con i suoi stessi occhi che tutto stesse andando come previsto si occupò di ciò che non aveva ancora preso. Prima di tutto staccò il quadro dalla parete, e con minuziosa attenzione tolse il dipinto dalla cornice - forse avrebbe fatto meglio a tagliare via la tela, ma la sua istruzione da nobile riguardo l’arte lo aveva fermato - e questa la mise in un nuovo sacco, poi infilò ancora altri oggetti, prevalentemente decorativi anche se di valore e fece partire anche quel sacco. Si guardò intorno, aveva ormai preso tutto quello che gli conveniva prendere, non restava che cambiare stanza. Velocemente prese la porta, non lasciò la sua tipica firma, ovvero la rosa nera, quella l’avrebbe messa solo una volta portato a termine tutto il colpo, altrimenti avrebbero aumentato la sicurezza e dunque sarebbe stato molto più complicato passare inosservati e introdursi.
Nella stanza successiva non trovò nuovamente nulla di importante, era un piccolo studio, forse da usare in caso di emergenza, perché pareva alquanto trascurato, le pareti erano piuttosto spoglie e una piccola libreria ospitava pochi volumi, lasciando invece molto spazio ai ragni per costruirsi dei comodi nidi. Ma a parte le ragnatele e un po’ di polvere lì non c’era nulla, non aveva motivo di trattenersi in quel posto, doveva sbrigarsi e cercare il luogo in cui erano tenuti gli oggetti di valore trasportati in quei giorni. Stava dunque per uscire, quando udì un rumore di passi in avvicinamento. Immediatamente richiuse la porta e ci accostò l’orecchio in modo da ascoltare ogni suono. I passi erano irregolari, un po’ strusciati, segno che probabilmente chi stava camminando aveva sonno. Non sapeva quindi se quei passi appartenessero a Foster oppure a qualcuno dei volontari, che magari s’era svegliato, ma a giudicare dal tonfo sul pavimento di legno, chi stava percorrendo il corridoio non era certo piccolo e leggero. Lo sentì sbadigliare sonoramente mentre i passi si facevano via via più vicini. Se non voleva farsi scoprire non doveva fare il minimo rumore, solo così probabilmente l’uomo non si sarebbe accorto della sua presenza. I passi però si arrestarono ancora prima di arrivare di fronte alla stanza in cui era il giovane, anche se non troppo lontani.
- E qui perché è aperto?! - sentì dire da una possente voce maschile con tono un po’ preoccupato.
Immediatamente capì che cosa era aperto: la porta della stanza precedente! Nella fretta di uscire aveva scordato non solo di chiuderla a chiave, ma addirittura di chiuderla normalmente! Quale terribile leggerezza aveva commesso! Come aveva potuto commettere un errore così grossolano? Nemmeno agli inizi del suo operato era mai stato così poco cauto. Non riusciva a capacitarsene. Ma non era il momento di lamentarsi delle proprie azioni, doveva andarsene, e in fretta! Sentì dei passi veloci e pesanti nella stanza, seguiti poco dopo da una forte imprecazione: aveva scoperto che degli oggetti erano stati trafugati. L’uomo uscì dalla camera, battendo i piedi per terra, e correndo a colpire le porte prima di quella della stanza lasciata aperta.
- Al ladro, al ladro! Un ladro è riuscito a entrare nella villa! - lo sentì urlare, cercando evidentemente di fare più rumore possibile per svegliare anche gli altri uomini presenti nella magione.
Ora che quello s’era allontanato, era il momento buono per fuggire. Ben presto sul piano sarebbero arrivati anche altri uomini, richiamati dalle urla di quello che si era appena allontanato, quindi sarebbe finito in trappola, quindi doveva sbrigarsi. Velocemente sgusciò fuori dalla stanza in cui s’era nascosto senza nemmeno preoccuparsi di richiuderla, tanto ormai avevano scoperto che era entrato, quelle precauzioni quindi sarebbero state inutili, e in tutta fretta, ma facendo attenzione che non arrivasse nessuno, si diresse verso lo studio da cui era entrato. Fortunatamente la distanza non era troppa, e nella corsa non incontrò nessuno, forse avrebbe fatto in tempo ad andarsene. Arrivò in fretta e furia allo studio, la finestra da cui era entrato era ancora spalancata, quindi non gli restava altro che affacciarsi, prendere bene la mira, e lanciare il rampino. Non era un impresa facile, era piuttosto vicino al tetto, se avesse lanciato con troppa forza probabilmente non si sarebbe agganciato, ma sarebbe rimbalzato e l’avrebbe colpito, invece se avesse tirato troppo piano c’era il rischio di mancare la presa, e perdere dunque tempo prezioso. Quindi non era facile calcolare la distanza e la forza giusta, infatti al primo tentativo mancò totalmente il tetto, ma al secondo il rampino si agganciò perfettamente, permettendogli dunque di issarsi fino sul tetto, dove si trovava l’oggetto volante con cui era arrivato partendo dall’altra città. Ma lì sopra, una voce conosciuta attirò immediatamente la sua attenzione.
- Ah, eccoti qui, maledetto!
A circa tre metri da dove era salito Black Rose, si trovava Maria, che a quanto pare come al solito era intenzionata a fermarlo. Lo osservava decisa, la mano destra sull’elsa della spada, pronta a scattare in avanti per affrontarlo per l’ennesima volta. In pochi istanti la ragazzina sfoderò l’arma, che punto davanti a sé in direzione del ladro.
- Questa volta non ti lascerò scappare! Quindi avanti, fatti sotto! - esclamò partendo decisa verso il giovane.
Peccato che lui non avesse per niente voglia di scontrarsi anche quella sera contro la sorella, aveva fretta di tornarsene alla villa di Lefevre, per pianificare in modo più accurato la seconda parte del piano, e soprattutto di farsi trovare nella sua stanza il prima possibile, sarebbe stato un bel problema se qualcuno per qualche motivo fosse entrato e avesse scoperto la camera vuota. Sbuffò leggermente annoiato e si diresse anche lui velocemente contro l’altra, sembrava stesse per sfoderare la spada ed affrontarla, ma all’ultimo istante scartò di lato e continuò la sua corsa.
- Spiacente ragazzina, questa sera non ho voglia di giocare con te! - le disse ironico, raggiungendo la sua creazione.
Maria certo non si aspettava che l’avversario la evitasse all’ultimo, quindi interdetta per qualche istante guardò il ladro fuggire, per poi improvvisamente riprendersi e furiosa lanciarsi al suo inseguimento.
- Giocare?! Brutto bastardo, come osi?! - esclamò furiosa.
Lo aveva quasi raggiunto, quando il giovane si lanciò giù dal tetto della villa, per poi planare e volare via nella notte come se nulla fosse, e lei si ritrovò a pochi istanti dal cadere giù dal tetto, per non essersi fermata in tempo. La ragazza digrignò i denti dalla rabbia, e strinse i pugni: le era scappato un'altra volta!
Jean volando via si voltò indietro, ad osservare la sorella. Vide che rischiava di cadere dal tetto, e dato che si era appena lanciato, virando probabilmente sarebbe riuscito ad afferrarla al volo, ma fortunatamente non ce ne fu bisogno e proseguì quindi per la sua strada. Certo però che Maria aveva un bel caratterino… quando si metteva in testa una cosa non c’era verso di fermarla, voleva andare avanti finché non era soddisfatta, ne era la dimostrazione tutta la questione riguardo a Black Rose: l’aveva seguito addirittura fino sul tetto della villa! Chissà come c’era arrivata, poi fin là sopra. Ma oltre che di lei, non riusciva a capacitarsi di sé stesso: come aveva potuto lasciare aperta una porta, commettere un errore così grossolano, e farsi quindi scoprire? Era ridicolo, quella piccola svista gli era quasi costata la cattura! Scosse la testa irritato, se si perdeva in queste cose si sarebbe distratto e avrebbe perso il controllo della sua macchina volante, per poi sfracellarsi al suolo, cosa che non sarebbe stata affatto piacevole.
Alla fine il ritorno fu tranquillo, data l’ora tarda né nella sua città e nemmeno in quella vicina qualcuno lo notò. Atterrò come nel precedente tentativo fra i resti delle case demolite. Non fu semplice manovrare quell’oggetto nel modo corretto ma ce la fece. Tirò un sospiro quando finalmente mise i piedi a terra: per quel suo errore grossolano era riuscito ad arraffare ben poche cose rispetto ai suoi piani, quindi se voleva davvero portare a termine l’opera non gli restava che tornare il giorno dopo. Si sfilò il cappello, la maschera e il mantello e li ripose in una sacca che aveva nascosto nel mantello prima di partire, e invece ne estrasse un oggetto per togliere le viti da quella specie di ala gigante che era la sua invenzione. La richiuse accuratamente, in modo che diventasse il più possibile compatta, dopodiché la sollevò e facendo attenzione a non essere notato, la sollevò e la portò fino al carro che aveva lasciato vicino al campanile, e con quello tornò alla villa di monsieur Lefevre. Prima di partire aveva coperto di stoffa gli zoccoli del cavallo, in modo che facessero il minor rumore possibile. Insomma, era notte fonda, un giovane che girovaga per la città su un carro, avrebbe attirato l’attenzione, e sarebbe stato proprio ciò che lui avrebbe voluto evitare.
Non ci impiegò molto a tornare alla villa, dove cercò di rimettere ogni cosa esattamente come prima della sua partenza, per poi usare la stessa corda con cui si era calato dalla finestra della sua stanza, per ritornarci e andare a letto. Doveva prepararsi, anche la sera dopo sarebbe entrato in azione!
 
Il giorno successivo, Maria si stava dirigendo verso la villa di monsieur Foster, in modo da potersi accertare con i propri occhi dell’operato del ladro. Per passare il più inosservata possibile aveva nuovamente indossato abiti maschili e, anche se con non poco fastidio, s’era un po’ sporcata il volto, in modo da dare l’impressione di un ragazzino, o una ragazzina, se l’avessero notata, del quartiere povero, che se ne andava a curiosare in giro. Per sua fortuna il padre era uscito presto di casa quella mattina, e ai servi sapeva sfuggire senza grandi problemi, per cui una volta calatasi dalla finestra della sua stanza s’era subito precipitata in strada. Correndo non era troppo distante l’abitazione del nobile straniero, si trattava di cinque - dieci minuti, e quindi non ci mise molto tempo a raggiungerla. Una volta a destinazione vide però che non avrebbe potuto agire indisturbata come sperava, poiché dei gendarmi dall’aria abbastanza forzuta facevano la guardia già dall’ingresso, rendendo così la dimora inaccessibile se non dall’alto. E se già l’ingresso era sorvegliato, con tutta probabilità anche l’interno lo era, forse anche più che l’esterno. La giovane sospirò, seccata.
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Lasciò quindi perdere l’ingresso principale, e si allontanò lungo la strada. Non se ne stava andando, no, assolutamente. Costeggiò la cancellata che delimitava la proprietà di monsieur Foster, e lo vide. Oltre l’inferriata si trovava un albero di grosse dimensioni. Il tronco era piuttosto largo, e i rami spessi a sufficienza da reggere il peso di una persona. Non perse tempo, sapeva già come fare: si arrampicò sulla cancellata e scese nel cortile dell’abitazione, poi si diresse verso la pianta e con molta attenzione, infilando le mani e in piedi in ogni possibile rientranza e sporgenza sul tronco, lo scalò faticosamente, fino a raggiungere una finestra di cui la sera prima aveva rotto il vetro con una gomitata, e passando su un ramo robusto la aprì ed entrò nella villa. Voleva vedere con i suoi occhi quanto il ladro aveva fatto. La voce che fosse entrato qualcuno nella magione s’era sparsa in fretta, ma nessuno aveva nominato Black Rose, perché? Forse non aveva lasciato la sua firma, ma la cosa era strana, voleva capire perché. C’era sotto qualcosa, ne era certa. In assoluto silenzio incominciò ad esplorare la casa. Voleva raggiungere il punto in cui era avvenuto il furto, studiarlo e comprendere. Ma non era certo un impresa facile, quel luogo pullulava di uomini dall’aria piuttosto forzuta che passeggiavano nervosamente fra i corridoi, probabilmente reduci da una lavata di capo da parte di Foster. Doveva nascondersi in ogni anfratto che riusciva a trovare ogni volta che uno di loro si avvicinava, per poi proseguire correndo e fermarsi nuovamente al passaggio di un altro uomo. Era faticoso, le sembrava quasi di essere un ladro,  riusciva quasi capire la fatica che doveva a volte fare Black Rose per compiere i suoi furti. La maggior parte delle stanze erano chiuse, lo vedeva chiaramente, ma non riusciva a capire se fosse in una di quelle che era avvenuto il furto, o meno, nessuno si comportava in modo particolare in presenza di una delle stanze. Ma infondo, cosa si aspettava? Che fosse scritto a caratteri cubitali? “Siamo stati derubati qui”, sì, come no. Avanzò ancora, finché qualcosa non attirò la sua attenzione. Si nascose dietro un muro, e dunque osservò ciò che stava accadendo. Alcuni gendarmi erano fermi a parlare con il padrone di casa sulla soglia di una porta. Che fosse quello il luogo da cui Black Rose era fuggito e aveva compiuto il suo furto? Probabilmente. Li vide allontanarsi, era il momento giusto per uscire allo scoperto. La porta fortunatamente non era stata chiusa a chiave, quindi entrò senza alcun problema di sorta. All’interno si trovava una stanza da letto piuttosto sfarzosa, come era di usanza in quegli anni. Non poteva essere quella di Foster, poiché non conteneva oggetti strettamente personali, ma era chiaro che era lì che Black Rose aveva colpito, siccome quel luogo le pareva fin troppo spoglio per essere una camera da letto così decorata. Iniziò a controllare con attenzione ogni dettaglio di quel posto. Vide che non c’era niente che potesse illuminare di notte le stanza, ma ciò non significava niente: avrebbe potuto non esserci anche prima; passò accanto a una parete, su cui era stato appoggiato uno specchio, senza cornice. Quello era chiaro che fosse opera del ladro della rosa nera. Controllò se c’erano segni, ombre lasciate dal tempo attorno al punto in cui stava un determinato oggetto, ma pareva che fossero tutti stati inseriti di recente. Sul muro accanto alla finestra però, vide un chiodo piegato malamente, forse quello era il segno un altro degli oggetti mancanti all’appello, forse un quadro. Sospirò, delusa. Aveva setacciato la stanza, ma non riusciva a scorgere tracce sicure del passaggio del suo nemico, in poche parole, un buco nell’acqua. Si allontanò seccata, quando sentì la voce di Foster, e si nascose nuovamente. Era sempre con i gendarmi, gli stavano chiedendo qualcosa.
- Allora, ricapitoliamo. Potete dirci che cosa è stato trafugato? - disse un agente.
- Sono pochi oggetti: due candelabri d’oro, un quadro, un vaso antico orientale e infine la cornice d’oro di uno specchio. - fu la risposta del nobile.
Quelle informazioni per Maria erano molto utili ed interessanti, finalmente era riuscita a sapere che cosa avesse trafugato il ladro, era quello il motivo principale per cui s’era introdotta nella villa. Però, qualcosa non quadrava, era troppa poca la refurtiva.
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Facendo attenzione a non essere scoperta, si allontanò nella direzione da cui era venuta, ma non riusciva a togliersi dalla testa ciò che riguardava il furto. Voleva capire, le pareva troppo semplice che avesse preso quattro cose in croce, e se ne fosse andato senza manco farsi notare. Non era nel suo stile.
<>mentre ci rimuginava, improvvisamente si arrestò.
- Il che significa che sicuramente ritornerà! - concluse, a voce alta.
Sentì i passi di qualcuno in avvicinamento, e si nascose di nuovo, continuando a rimuginare sulla faccenda. Se fosse tornato, certo non avrebbe atteso ancora a lungo a mostrarsi, normalmente agiva al calar della notte, e quindi era chiaro che con tutta probabilità quella notte stessa. L’uomo si allontanò, e lei uscì allo scoperto, per poi dirigersi verso la finestra da cui era entrata e tornarsene sui suoi passi. Se Black Rose fosse davvero apparso, lei non se lo sarebbe lasciato sfuggire di certo, anzi, lo avrebbe aspettato e affrontato.
 
E così fu, la notte seguente a quella in cui era stato compiuto il primo colpo, Black Rose si ripresentò volando nuovamente su quello strano marchingegno da lui costruito.
Il ritorno alla villa di monsieur Lefevre la volta precedente non era stato un problema, a quell’ora la servitù dormiva, e il padrone di casa anche se fosse stato sveglio non aveva alcun motivo per andare a disturbare il suo ospite addirittura in camera sua. Durane la giornata poi Jean aveva avuto occasione di organizzare meglio il colpo, anche se s’era spesso dovuto occupare degli affari, aveva avuto anche numerose pause in cui s’era concentrato sul suo obiettivo. E così quella notte stessa era nuovamente sgattaiolato via per poi dal campanile della città prendere il volo verso la villa Foster. Non poté atterrare sul tetto come la volta prima, questa volta avrebbe dato nell’occhio visto che ora anche l’esterno dell’abitazione era sorvegliato, dunque dovette scendere più lontano, sul tetto di una vecchia villa abbandonata, e poi scendere da esso normalmente.
<> pensò osservando tutto quanto, nascosto dall’angolo di un'altra abitazione lì vicino. <>concluse, con un sorrisetto ironico stampato in volto. Gli piacevano le sfide, rendevano tutto più interessante.
In assoluto silenzio prese dunque a muoversi verso la villa. Gli uomini erano molti, ma in gran parte sul fronte della casa, per cui non fu difficile sgusciare senza essere visti verso il retro, verso l’ala che ospitava le stanze della servitù. Scavalcò la cancellata con agilità, e si diresse verso una delle finestre del pian terreno. Nei giorni precedenti, quando s’era infiltrato nell’abitazione, aveva potuto appurare che era una stanza assolutamente inutilizzata, ed era stato dunque un gioco da ragazzi modificarne la finestra in funzione del colpo.
<>pensò mentre la apriva ed entrava dentro.
Il locale in cui si trovava era praticamente spoglio, aveva solamente un paio di dispense che a giudicare da com’erano ridotte, dovevano essere vuote. Evidentemente quella stanza doveva fungere da magazzino per le provviste, ma dato che il padrone di casa per quanto ne sapeva, si sarebbe fermato a mala pena due giorni, non sarebbe valsa la pena di riempirlo. Si diresse velocemente verso la porta e cautamente la aprì, sbucando nella sala principale da cui si accedeva attraverso l’anticamera posta all’ingresso. Tutta la sala era illuminata dalle lampade, tant’è che egli riusciva ad orientarsi più chiaramente. Ma la soddisfazione di aver velocemente compreso come fare svanì velocemente.
-Hey, tu!
Una voce maschile, rude, lo richiamò: era chiaro che fosse uno degli uomini assoldati per controllare la casa, e lui era stato visto. L’uomo estrasse immediatamente la spada e gli corse incontro, pronto ad attaccarlo, e al giovane non restò che estrarre la sua, e prepararsi allo scontro. E dire che sperava di riuscire a introdursi senza essere notato! Ma evidentemente le cose non dovevano andare così. Quando il suo avversario si avvicinò, Jean poté chiaramente notare la divisa che indossava: altro che uno assoldato da monsieur Foster per controllare la casa, quello era un gendarme! Se già prima voleva perdere meno tempo possibile, ora per lui era quasi un obbligo sistemarlo in fretta. L’uomo attaccò con un affondo al fianco, ma il giovane nobile evitò all’ultimo il colpo, e ricambiò con un dritto sgualembro, colpo che descrive un mezz'arco portato da destra verso sinistra in diagonale e che tende a colpire la spalla sinistra dell’avversario se posti di fronte a lui; questi cercò di parare il colpo frapponendo la sua lama a quella del ladro in una battuta, ma non riuscì a scansare completamente il colpo e si ferì al volto e al braccio. Jean passò quindi a una finta di stoccata, che riuscì temporaneamente a distrarre l’uomo e gli permise di arrivargli abbastanza vicino da colpirlo al collo da dietro, mettendolo fuori gioco. Rinfoderò dunque la sua arma, e trascinò via il membro delle forze dell’ordine. Non poteva mica lasciarlo lì in mezzo alla sala, avrebbe immediatamente attirato l’attenzione se qualcuno fosse entrato. Lo appoggiò grossolanamente a un muro dietro una tenda, non aveva tempo da perdere a sistemarlo bene, e dunque prese a correre verso la scala che lo avrebbe portato al piano successivo, dove si trovava il meglio. Ma aveva a mala pena fatto il secondo gradino, quando avvertì un potente fischio alle sue spalle, e dunque si voltò: era una guardia. Lo vide corrergli incontro, anche lui sfoderò la spada, nella speranza di poterlo contrastare. Il ragazzo in tutta risposta sbuffò.
- Ma possibile che stasera ce ne sia sempre una? Ho appena steso l’altro!
Controvoglia estrasse nuovamente la sua arma e andò incontro al nuovo avversario. Questi cercò di colpirlo tramite un fendente, che il giovane parò con la lama e respinse per poi rispondere con un roverso sgualembro, che l’altro schivò indietreggiando, dopodiché attaccò con un dritto sgualembro. Jean cercò di evitare il colpo parandosi con la sua spada, ma non fu abbastanza rapido, e quindi quella del nemico riuscì a ferirlo alla spalla. Soppresse un grido di dolore che si trasformò quindi in un gemito, ma subito riprese il controllo della situazione e riprese lo scontro. Il suo avversario se la cavava bene, ma era chiaro che a lungo andare sarebbe stato lui a prevalere, infondo combatteva da quando era neanche un ragazzino. Rapidamente fece una finta d’imbroccata rivolta verso la destra dell’avversario, che quindi abbassò la guardia. Ci volle un attimo: passò la sua arma sotto quella dell’altro, e con un gesto secco e rapido gliela fece cadere di mano, lasciandolo così disarmato. Stava per dargli il colpo di grazia, per così dire, in modo da renderlo inoffensivo, ma l’altro improvvisamente estrasse un coltello, con cui prontamente cercò di tornare alla carica per fermarlo, ma il giovane ladro riuscì a schivare gli attacchi, per lo più irregolari e facili da rendere inefficaci.
- No no no, così non ci siamo, questo è barare! - gli disse ironico.
Evitò al pelo un altro colpo, dopodiché lo afferrò per il braccio sinistro, quello in cui stringeva la lama, e gli sferrò un poderoso cazzotto nello stomaco, che fu sufficiente per metterlo al tappeto. Si affrettò a spostare anche il secondo uomo contro il muro, per poi correre verso la scalinata il più velocemente possibile. Non era ancora salito, che sentì delle voci in lontananza:
- Da dove veniva?
- Da qui! Da qui! Sono certo di avere sentito provenire da qui il fischio!
Si nascose in tutta fretta dietro una tenda della finestra lì vicino, così come prima aveva nascosto i due uomini storditi, e attese che passassero. Li sentì bofonchiare che non c’era nessuno, che evidentemente doveva esserci stato uno sbaglio, e dunque allontanarsi verso un'altra stanza. Tirò un sospiro di sollievo mentre tornava allo scoperto: non aveva minimamente voglia di combattere di nuovo. Salì velocemente le scale e arrivò al piano superiore. Anche lì era tutto illuminato, esattamente come al piano di sotto. Guardandosi attorno non vide nessuno oltre a lui nei paraggi, ma era meglio fare attenzione, andando avanti avrebbe potuto incontrare altri uomini di guardia. Le stanze alla sua destra le aveva già controllate in gran parte la sera prima, quindi non gli restava che l’ala sinistra del piano. Dalla tasca della giacca estrasse il passepartout, e con quello in mano si avviò verso le stanze al momento per lui ancora inesplorate. Entrò nella prima che incrociò lungo il suo cammino, si trattava di una stanza totalmente vuota, non c’era alcun soprammobile particolare, decorazioni o altro, era quasi totalmente spoglia, il letto era di semplice fattura, niente di confrontabile a quello della stanza da lui svaligiata la volta precedente. Per scrupolo volle entrare a controllare se ci fosse comunque qualcosa di valore, ma setacciò in lungo e in largo il posto e non trovò niente. Passò in quella successiva, e di nuovo non trovò niente, e così fu per quella successiva e quella dopo ancora. Entrò in molte stanze, ma sembrava che l’unica arredata fosse quella camera da letto. Ma non poteva mica esserci solo quella poca roba, dove diamine avevano messo tutto il resto? Proseguì ancora, quando ecco che vide venire verso di lui un altro uomo, e come le volte precedenti, non c’era modo di evitarlo.
- Al ladro, al ladro! - esclamò l’uomo, per poi sfoderare la sua spada.
Peccato che Jean non avesse la benché minima voglia di affrontare un altro scontro. Quindi? Che fare? L’opzione possibile era solo una. Senza perdere tempo corse incontro al suo avversario, senza nemmeno sfoderare l’arma; l’altro non appena gli fu abbastanza vicino cercò di colpirlo, ma ancora prima che potesse attaccare, il ladro improvvisamente si abbassò, gli fece una specie di sgambetto per farlo cadere, e si spostò di lato per poi colpire l’avversario con un colpo ben assestato in modo da stordirlo e metterlo fuori gioco.
- Ogni tanto bisogna anche giocare un po’ sporco per cavarsela… - borbottò osservando quanto aveva fatto.
Ma non era il momento di perdere tempo, sentì delle voci di altri uomini che arrivavano dall’ala ovest e quando si voltò dal’altro lato, ne scorse alcuni anche da quella est. In pratica, stavano per tagliargli ogni via di fuga. E quindi? Come se la sarebbe potuta cavare? Doveva pensare a qualcosa, e in fretta, o lo avrebbero catturato, e allora sarebbero stati guai. Buttarsi a testa bassa su di loro avrebbe significato solamente una rapida cattura, e cercare di farsi largo a colpi di spada era una pessima idea, erano più numerosi, lo avrebbero sopraffatto. Improvvisamente, ebbe un lampo di genio. L’idea era folle, ma forse poteva funzionare, e infondo, non aveva molte alternative.
<>pensò per poi prepararsi all’azione.
Corse verso il gruppo di sinistra facendo appello a tutta la forza che aveva nei muscoli delle gambe, saltò sulla rientranza di una finestra nella parete di destra, si aggrappò a una lampada, e li usò come trampolino di lancio, da cui saltò sulle spalle di una guardia accanto a lui per poi mettersi a correre sulle teste e le spalle delle altre, che si voltavano nel tentativo di prenderlo, o per lo meno di farlo cadere, ma finendo solo loro a terra ogni volta, mentre il ladro se la svignava. Ad un tratto, qualcuno riuscì ad afferrarlo per un piede e farlo cadere, ed egli dunque si dovette per forza fare largo fra le guardie, per sua fortuna ormai poche, per poi riprendere a correre il più veloce possibile per non farsi prendere. Riuscì a seminarle di qualche metro, e girato l’angolo vide la porta di un’altra stanza, dentro cui velocemente entrò grazie al passepartout. Richiuse la porta giusto in tempo per sentire le guardie correre nel corridoio cercandolo, e non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo: per ora l’aveva scampata. Decise dunque di rimettersi al lavoro. Guardandosi intorno vide che anche quella stanza era palesemente vuota, niente di importante, perciò facendo attenzione, prese la porta e tornò nel corridoio. Era rischioso, se fossero tornati indietro tanto presto sarebbe ricominciato tutto, ma non poteva passare da nessun’altra parte, fuori non c’era spazio sufficiente per camminare. Proseguì lungo l’andito per qualche metro, e arrivò dunque alla stanza successiva. Questa volta aveva fatto centro. Quel luogo sembrava molto più simile a un deposito che a una camera: gli oggetti erano lasciati in terra, ordinati, ma era chiaro che erano lì solo per una questione temporanea. C’era un vaso simile a quello rubato il giorno precedente, numerosi quadri di ottima fattura, alcuni anche di artisti famosi, riconobbe alcune firme grazie alla luce lunare che illuminava la stanza, e altri invece provenivano dall’oriente. Su un mobile era posato un piccolo scrigno, lo aprì e vide vari gioielli: anelli, orecchini, collane di perle, fermagli, oggetti evidentemente appartenenti alla moglie del proprietario; e in un altro c’erano numerose monete e medaglie. Questa sì che era pesca grossa! Estrasse dal mantello alcuni sacchi come quelli usati la sera precedente, e pian piano iniziò a riempirli di quanto riusciva a farci stare. I gioielli e le monete per primi, poi mise alcune statuette, di porcellana, marmo o d’oro, e agganciò il sacco fuori dalla finestra esattamente come nel colpo precedente; in un secondo sacco invece mise molti quadri di quelli presenti, alcuni staccandoli dalla cornice, di altri invece prendeva solo quella perché d’oro o argento, ma nel complesso erano molte cose, ne avrebbe ricavato parecchio dalla vendita.
 
Nel frattempo, Maria era appena entrata nella villa dalla finestra da cui s’era introdotta quella mattina. Non farsi beccare con tutte quelle guardie che c’erano non era stata un’impresa facile: non era un ladro, però non era autorizzata ad entrare nella casa di un nobile, soprattutto di notte con il rischio che qualcuno entrasse di nuovo per svaligiare l’abitazione; quindi se l’avessero vista sarebbe probabilmente stata presa per un delinquente e arrestata, e quello era un tipo di esperienza che ci teneva a non fare.
Non appena poggiò i piedi a terra, si guardò attorno, si aspettava di vedere qualcuno, almeno un paio di uomini, a tenere sotto controllo l’abitazione, eppure i corridoi erano vuoti. Nessuno che controllasse il posto, la cosa era fin troppo facile… che Black Rose fosse riuscito a stenderli tutti? No, impossibile, d’accordo che sapeva combattere bene, ma non a tal punto. Decise di avanzare con cautela e circospezione, nessuno sapeva cosa poteva accadere. Si trovava nell’ala est, ala di cui Black Rose pare si fosse occupato già la volta precedente, forse per quello non c’era nessuno, può darsi che partissero dal presupposto che non sarebbe nuovamente passato da lì. Con la mano poggiata sull’elsa della spada avanzò attenta guardando costantemente che non arrivasse qualcuno, che fossero i gendarmi o direttamente gli uomini assoldati dal padrone di casa.
<>pensava nel frattempo.
Lei era un tipo di ragazza molto fedele alle leggi, non poteva sopportare che qualcuno non le rispettasse, che se ne facesse beffe. Normalmente ci pensavano le forze dell’ordine a rimettere a posto la situazione, eppure c’era sempre qualcuno che riusciva a sfuggire loro, e questo non lo poteva sopportare. Spesso quando sentiva dei furfanti che erano riusciti a scappare a qualcosa, una grande rabbia la invadeva, e un fastidioso senso di impotenza si faceva strada in lei: non poteva fare niente, era solo una ragazzina di famiglia nobile come molte altre, forse solo un po’ più consapevole di ciò che accadeva. Ma Black Rose era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso: non solo era un furfante in più, cosa già di per sé intollerabile, ma riusciva sempre a sfuggire ai gendarmi, che venivano ogni volta praticamente ridicolizzati. Fu in quel momento che decise che doveva fare qualcosa, fermare almeno lui. E da allora era diventata una questione personale, il ladro della rosa nera era diventato simbolo per lei di tutti i criminali che la facevano puntualmente franca, non poteva permettersi di lasciarlo scappare.
Avanzò lungo gran parte dell’androne senza incontrare anima viva, questo pareva rafforzare la sua teoria secondo cui non era possibile che il ladro li avesse stesi tutti, dato che non trovava neanche un uomo che fosse steso a terra o dove altro. Il che implicava che probabilmente avevano lasciato in gran parte la loro postazione per qualche motivo, forse per inseguire quel furfante. Improvvisamente però, iniziò a scorgere delle figure avanzare dalla parte opposta del corridoio. Avanzavano piano, ma non le parevano particolarmente tranquilli, la ricerca forse non era andata a buon fine? Non lo sapeva, sapeva solo che se l’avessero vista sarebbe stata in guai seri. Si guardò attorno, era come spaesata. Che fare, che fare? Sì, aveva un po’ esplorato la casa quella mattina, ma non a tal punto da conoscerne ogni antro, ogni modo per nascondersi. Aveva notato delle tende lunghe e spesse alle finestre, che sarebbero state perfette per nasconderla, peccato che si trovassero molto più indietro rispetto alla sua posizione; avrebbe potuto raggiungerle correndo, ma probabilmente sarebbe stata vista, inseguita e scovata. Si voltò verso la prima porta che aveva accanto e cercò in un tentativo disperato di aprirla, ma niente: chiusa. Provò con quella precedente, ma niente pure quella. In un terzo e ultimo disperato tentativo provò con quella ancora prima, e questa inaspettatamente si aprì. Come un fulmine entrò dentro e silenziosamente richiuse la porta, nella speranza che nessuno la notasse, quando d’un tratto sentì il freddo di una lama contro il collo. Il suo cuore in quel momento mancò un colpo. Si girò lentamente, posando la sua mano sull’elsa della sua arma, e fu così che vide chi le stava puntando la spada al collo. Non era un gendarme, o uno degli uomini assoldati da monsieur Foster, no, era lui: Black Rose.
-Ci rincontriamo, ragazzina. - disse ironico.
In realtà era certo che la sorella si sarebbe fatta nuovamente viva, la conosceva fin troppo bene, dopo avere evitato lo scontro la sera prima e averla fatta franca ancora una volta, era ovvio che lo avrebbe aspettato al secondo colpo, Maria era abbastanza intelligente da comprendere che sarebbe tornato. Lei ricambiò con un’occhiata piena d’astio, e senza perdere tempo velocemente sfoderò la sua spada e con essa scacciò la lama del ladro che era ancora vicino alla sua gola.
- Che fortuna, cercavo un posto dove nascondermi ed ecco che scovo te, ladro da quattro soldi! - fu la sua risposta, mentre rivolgeva la sua lama verso l’avversario. - Ora che ti ho trovato non ti permetterò di derubare una seconda volta questa villa! - aggiunse.
Jean rise leggermente, scansando a sua volta la spada della giovane.
- Mi dispiace ma arrivi tardi, ormai qui ho già finito. - le disse, indicando il mobile su cui prima si trovava il bauletto con i gioielli, e dove ora si trovava una rosa nera, ovvero la sua firma.
L’aveva posata poco prima che lei arrivasse, e si stava dirigendo verso la porta per fuggire, quando s’erano incontrati. Infondo gli era andata bene, non rischiava di perdere la refurtiva.
La giovane osservò per qualche istante l’ambiente circostante: tutto sembrava a posto, in ordine, e non vedeva niente accanto al suo rivale che potesse indicare qualcosa di rubato. Ciò le fece venire fin da subito il nervoso: la cosa non le piaceva affatto. Si lanciò a spada tesa verso l’avversario con un affondo, che l’altro evitò frapponendo la sua lama a quella della ragazza, e scansandola.
- Qui tutto mi sembra a posto. Se è vero ciò che dici, dov’è la refurtiva?! Parla! - esclamò
- Ti pare che io vada a dirti dov’è che tengo ciò che rubo? Tsk, mi sottovaluti, little girl. - fu la risposta del giovane, usando quell’accento britanno che contraddistingueva il ladro Black Rose.
La sorella in risposta partì nuovamente all’attacco con un dritto tondo, un colpo che viene eseguito orizzontalmente, portato da destra verso sinistra, che lui parò all’ultimo istante.
- Se è così allora ti catturerò e ti costringerò a rivelarmelo! - ribatté la giovane.
- Provaci! - replicò Jean ironico.
Entrambi partirono all’attacco, e fecero scontrare le loro lame in una battuta, un colpo secco che serve ad allontanare la lama nemica, dopodiché il giovane ladro eseguì un’imbroccata, un attacco molto simile all’affondo, eseguito però con il braccio teso, rivolto al fianco della ragazza, che non riuscì a schivarlo completamente e venne presa di striscio, ma strinse i denti per non urlare o gemere dal dolore, e ribatté con un dritto sgualembro che però non andò a segno poiché l’avversario lo impedì con una parata di ceduta, in cui la lama non si stacca da quella dell’avversario e nella prima fase ne accompagna il cammino. Gli dispiaceva dover ferire la sorella ma infondo era lei che se le cercava. Voleva scontrarsi con Black Rose, no? Ed egli l’avrebbe accontentata. Cercava di andarci piano di ferirla giusto quel tanto necessario per essere più forte di lei, ma non così tanto da farle troppo male. Non se lo sarebbe mai perdonato se si fosse ferita gravemente per colpa sua. Attaccò nuovamente, usando un montante, il colpo opposto al fendente, ma lei questa volta riuscì a evitarlo scartando di lato, per poi rispondere con un dritto tondo, che viene eseguito orizzontalmente e portato da destra verso sinistra, ma lui con la sua lama portò quella della ragazza più in su, mentre le due spade si univano in un legamento, in cui il contatto delle lame a differenza della battuta è più prolungato, da cui Maria si liberò tramite una di cavazione per poi tornare all’attacco con un fendente, che il giovane schivò e dopo cui effettuò una finta d’imbroccata, con cui spiazzò leggermente la ragazza, e ne approfittò per afferrare la maniglia della porta.
- Mi dispiace, mademoiselle dei miei stivali, ma per me è giunto il momento di andare. E’ stato divertente, ma non posso più rattenermi, good bye! - le disse aprendo la porta e fuggendo fuori, senza dare a Maria il tempo di replicare.
In corridoio non ci volle molto perché gli uomini di guardia lo vedessero e lanciassero l’allarme, ma questa volta sapeva dove si stava dirigendo, quindi non fece altro che correre il più veloce possibile, eludendo non solo chi gli stava dietro dall’ala ovest, ma anche coloro che accorrevano dall’ala est. Bastò raggiungere prima di loro le scale e scendere sotto, per poi intrufolarsi nella stanza da cui era entrato, fuggire fuori nella notte e raggiungere il luogo in cui aveva lasciato la sua invenzione volante con cui fuggì per tornare nella città in cui sarebbe dovuto essere.
La giovane nobile furiosa come non mai per essersi lasciata nuovamente sfuggire il ladro, dovette approfittare della confusione creata da Black Rose per raggiungere la finestra da cui era entrata e andarsene anche lei. Ci mancava solo che la trovassero ancora mentre tornavano, sicuramente l’avrebbero presa per una complice e arrestata. Portò la mano destra alla ferita che il ladro le aveva inflitto sul fianco sinistro. La serata era proprio andata bene: non solo Black Rose se l’era svignata ancora una volta senza che lei potesse farci nulla, ma l’aveva pure ferita! Sentì un pizzicore alla guancia destra, e la tastò: sanguinava, un altro taglio colpa del suo avversario. Digrignò i denti dalla rabbia.
- Maledetto, prima o poi riuscirò a catturarti! - borbottò.
 
Due giorni dopo, Jean stava finalmente tornando a casa dopo aver concluso positivamente l’affare con il cliente del padre, non era stato facile, quell’uomo era testardo e soprattutto tirchio, convincerlo a vendere alcuni dei suoi terreni era stata una battaglia. Inoltre aveva portato a termine il colpo come da programma senza che nessuno in quei giorni notasse la sua assenza,. La carrozza procedeva tranquilla, la cassa contenente l’invenzione era legata sul retro assieme agli altri bagagli, e lui non vedeva l’ora di rimettere piede alla villa. Si lasciò andare sul sedile in modo da rilassarsi un po’, mentre con la mente iniziava già a vagare.
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A volte tendeva a preoccuparsi troppo, gli era stato detto migliaia di volte, ma era più forte di lui. Ad un tratto, la carrozza si fermò, e sentì il cocchiere scendere.
- Monsieur Jean, siamo arrivati! - gli disse semplicemente bussando sulla porta del landau in attesa di una risposta.
- Di già? - domandò leggermente sorpreso, scendendo. - Credevo ci avremmo messo un po’ di più…
Mentre il cocchiere scaricava le valigie e la cassa dalla carrozza, il giovane fece per entrare in casa, quando qualcosa attirò la sua attenzione. Un’altra carrozza era ferma di fronte a casa. Inizialmente pensò fosse quella del padre, ma quest’ultimo abitualmente la faceva portare dalla servitù nel cortile in cui si trovava solitamente quella usata da Jean per il viaggio. Dunque di chi era? Sapeva che era una delle loro, eppure in qualche modo, stonava. Alla fine, decise di entrare e chiedere direttamente spiegazioni al genitore. Fece solo pochi passi nell’ingresso, che venne subito accolto da un bambino, di circa nove o dieci anni, che gli corse incontro.
- Fratello Jean! Fratello Jean! Bentornato! - disse allegro alzando il capo in direzione del ragazzo e sorridendogli.
Jean in risposta lo prese dai fianchi e lo sollevò per qualche istante in alto.
- François! E tu che ci fai qui? - gli domandò sorridendo a sua volta.
- Ben tornato, figliolo. - disse una voce alle sue spalle, facendolo così voltare.
Era così occupato con il fratello minore, che non aveva notato l’arrivo di suo padre.
- Oh, buon giorno, padre. - rispose lui con un cenno del capo.
- Vedo che hai già avuto l’opportunità di salutare tuo fratello, bene. - constatò l’uomo osservando i due figli.
- Sì, ma per quale motivo è qui? - fu la domanda che il giovane pose. - Non dovrebbe essere in collegio?
- Dovrebbe, ma poiché l’edificio ha bisogno di alcune riparazioni, hanno deciso di chiuderlo per qualche settimana e di far tornare gli studenti dalle proprie famiglie. - fu la spiegazione che ricevette.
Il piccolo François corse verso il padre, e si fermò accanto a lui sorridendogli, questi in risposta gli poggiò una mano sulla testa, dunque tornò a rivolgere la sua attenzione verso il figlio maggiore.
- Come ben sai è un evento raro che François torni a casa dal collegio, motivo per cui pensavo di organizzare un ballo in suo onore. Non la trovi una splendida idea?
Alla parola ballo, Jean drizzò le orecchie interessato: un ballo in casa loro significava numerosi invitati pieni di gioielli, e delle ville vuote, pronte per essere ripulite. Se tutti erano a casa loro, chi mai avrebbe notato che Black Rose li stava derubando? Che fosse nelle ville, o per lo meno prendere ciò che avevano indosso, si prospettava un lavoretto facile facile.
- Mi sembra un’ottima idea, padre. - fu la risposta trattenendo un sorrisetto furbesco. 

Salire lungo le scale interne del campanile portandosi sempre dietro la sua invenzione non era un’impresa facile, più di una volta a denti stretti imprecò per la faticaccia che stava facendo, in quel momento poteva ben comprendere le bestie da soma, ci mancava solo che avesse qualcuno dietro a frustarlo, e sarebbe stato al loro livello. Fra un borbottio di qua e uno sbuffo di là, finalmente poi raggiunse la cima del campanile, per la gioia delle sue ormai distrutte membra. Lì si sedette per qualche istante, per riprendersi un attimo dalla fatica, poi si rialzò, rimontò velocemente la sua creazione, e si diresse alla cassa dove era contenuta inizialmente quella macchina volante. Non c’era nulla che dovesse aggiungere, ma in quella cassa aveva nascosto una cosa, in caso il collaudo fosse andato bene e fosse stato possibile attuare il furto: gli abiti di Black Rose. Per prima cosa indossò i pantaloni neri, poi passò alla casacca, nera con i bordi color argento, e molto simile a quella degli ufficiali dell’esercito, come lo era stato suo padre, dopodiché allacciò il mantello e si mise il cappello in testa, nascondendoci dentro i lunghi capelli, e per ultima, ma non per importanza, anzi, indosso la maschera, anch’essa di colore nero, ma con vari decori argentati. Ora era pronto.

- E ora, si va in scena. - disse semplicemente per poi dirigersi verso l’oggetto che gli avrebbe permesso di mettere in atto il furto.

Strinse la presa sul manubrio, prese un gran respiro, prese la rincorsa, e si lanciò giù. Ogni volta sentire quella sensazione di vuoto appena lasciava la terra ferma, non era piacevole, per la seconda volta in poco più di un ora, temette si sfracellarsi al suolo, ma riuscì nuovamente a stabilizzarsi e a librarsi in volo nella notte stellata, mentre la Luna piena risplendeva. Non era facile volare con quell’oggetto, doveva sempre fare attenzione alle corde per stabilizzarsi, e nonostante fosse la seconda volta che volava, e quindi era già più facile muoversi nell’aria, non poteva distrarsi un attimo, oppure avrebbe perso il controllo e sarebbe precipitato al suolo. Occhio e croce stava volando a 60 metri di altezza, e sotto di sé come la volta precedente scorse campi, boscaglia e anche un torrente che scorreva impetuoso. Le sue acque dovevano essere gelide. Dopo poco scorse in lontananza la città, e iniziò nuovamente ad armeggiare con le corde per calare di quota, in modo da atterrare giusto sul tetto di casa Foster. Sfortunatamente finì in una corrente contraria, che rischiò di farlo volare lontano, ma, anche se a fatica, riuscì a riprendere il controllo, e ben presto si trovò in città. Sorvolò la sua villa e scorse anche quella di un cliente di suo padre, e finalmente arrivò alla villa del suo obiettivo, sul cui tetto atterrò silenziosamente, anche se faticò a fermarsi, tant’è che rischiò di cadere giù.

 

Nel frattempo, alla villa della famiglia De la Rou, Maria stava affacciata alla finestra della sua stanza, in camicia da notte e con i capelli sciolti, a guardare annoiata le stelle.

- Che palle, è tutto il giorno che sono sola a casa: Jean è fuori città per conto di nostro padre, che invece si tratterrà come ospite dal suo cliente fino a domani, René s’è preso un giorno libero insieme alla sua amica Marianne…- disse sbuffando. - Ma tutti oggi dovevano andarsene?! - sbottò poi contrariata, del tutto incurante dell’ora, e del fatto che la servitù stesse dormendo. Lei non aveva sonno, quindi non le importava molto di quello che gli altri invece facevano.

In quel momento, un’ombra passò a diversi metri sopra l’abitazione, oscurando le stelle che splendevano in cielo. Alzò lo sguardo e rimase per un attimo sbigottita a guardare quella strana figura allontanarsi, poi però si riprese, aguzzò la vista e la esaminò: era di forma triangolare, ricordava l’ala di un pipistrello. L’aveva già visto da qualche parte un oggetto simile, ma dove? L’illuminazione venne veloce come un fulmine a ciel sereno: un oggetto simile ma più piccolo lo usava Black Rose per planare via dopo i suoi furti! Il che significava che probabilmente anche quello era guidato dal ladro. Ma dove era diretto? Cercò di fare mente locale e pensare a cosa ci fosse nella direzione in cui era diretto.

<< Vediamo…. In linea d’aria, di un po’ importante c’è la villa di quello straniero, quel Foster! Mi pare che oggi abbia lasciato là molti suoi averi…>> pensò la ragazza, che finalmente aveva capito quale fosse l’obiettivo di quel maledetto ladro.

Un sorrisetto per niente rassicurante si dipinse sul suo volto mentre seguiva con lo sguardo il tragitto della nera figura: aveva trovato che cosa fare per quella notte.

 

Jean aveva finalmente raggiunto la casa del suo obiettivo, ora non restava che introdurvisi. Si guardò attorno per capire occhio e croce dove si potesse trovare se fosse stato dentro la villa. A giudicare dagli alberi che vedeva nella magione recintata, doveva essere un paio di stanze prima di quella che aveva scassinato qualche giorno prima con René, quindi spostandosi di qualche metro probabilmente avrebbe raggiunto la finestra giusta da cui introdursi. Senza perdere un attimo di tempo quindi avanzò verso nord, e dopo una quindicina di metri si fermò, contando che più o meno doveva essere arrivato, poi agganciò un rampino al bordo del tetto, e una volta assicuratosi che fosse ben fissato, si calò giù con cautela, dandosi poi una spinta per saltare verso la finestra che era di fianco a lui invece che davanti come era convinto che sarebbe stata. Con un calcio ben assestato la spalancò, e velocemente entrò all’interno. Era esattamente come l’avevano lasciata un paio di giorni prima: polverosa e disordinata. Lentamente aprì la porta, cercando di fare meno rumore possibile, e sgusciò fuori. I corridoi erano controllati da alcuni uomini, probabilmente alcuni che s’erano offerti per la sorveglianza, ma erano pochi e ormai erano addormentati, segno che evidentemente non gliene importava molto del loro compito, forse perché convinti che nessuno si sarebbe introdotto. A quella vista, sorrise.

<< Quell’uomo fa male a non scegliere con cura la sorveglianza, nonostante custodisca qui oggetti di valore! Beh, tanto meglio per me, mi facilita le cose. >> pensò dirigendosi alla sua destra, verso le altre stanze dove con tutta probabilità erano contenuti gli oggetti di valore.

Ad aprire le porte non avrebbe avuto alcun problema: nel corso delle loro pulizie un giorno ne aveva approfittato per portarsi via il mazzo di chiavi per fare sulla loro base un passepartout, che gli avrebbe permesso di aprire ogni stanza senza troppi rumori che avrebbero potuto svegliare il proprietario.

Nella prima camera, una volta aperta non trovò nulla più di quanto non ci fosse la volta precedente, per averne conferma entrò silenziosamente per cercare se ci sia qualcosa che al primo impatto non avesse visto, ma controllando anche nei punti  più oscuri, e dentro ai mobili, non trovò nulla di nulla. Deluso uscì dalla stanza, e passò a quella successiva. La stanza in questione era abbastanza grande, come tutte quelle della villa era riccamente decorata, forse anche esageratamente, come ormai voleva la moda in quegli anni, con arabeschi floreali e ramificazioni in riccioli. Si trattava di una camera da letto di buone dimensioni, il letto a baldacchino era appoggiato lungo la parete, con un comodino a fianco e l’armadio dall’altra parte, accanto a un piccolo tavolo su cui era montato uno specchio. Se quella non era la stanza del padrone di casa, quella che invece gli apparteneva doveva essere ancora più sfarzosa. Si guardò attentamente intorno: a differenza del locale precedente, in questo erano stati inseriti nuovi oggetti, non di poco valore. Sul comò accanto al letto poggiavano due candelabri in oro, e lo specchio, aveva una cornice in argento, intarsiata come se fossero rami di un rampicante che si avvolgeva attorno alla cornice; in un angolo della stanza stava un vaso antico alto circa 50 centimetri, probabilmente di provenienza orientale. Sulla parete accanto alla finestra, era appeso un quadro di ottima fattura, la cornice era riccamente decorata con motivi floreali, e il dipinto ritraeva un uomo, forse monsieur Foster, oppure un antenato dello stesso. Stranamente erano pochi oggetti, e non avevano l’aria di essere stati lasciati lì come in un deposito, ma più come arredo. Che il proprietario avesse deciso di andare a vivere stabilmente in quella casa? Forse. Ma non era il momento di preoccuparsene. Lentamente si avvicinò alla finestra e con cautela la aprì, non doveva fare il minimo rumore, non sapeva in che stanza dormisse Foster né se avesse il sonno leggero o meno, ma nell’eventualità, doveva fare estremamente attenzione. Fra la finestra e il tetto grazie a René aveva installato un sistema di carrucole che avrebbero portato via le parti della refurtiva. Ogni due metri circa un sacco pendeva dalla carrucola, in modo da poter caricare grandi quantità di oggetti. Tirò lentamente la corda, fino a farne arrivare uno di fronte alla finestra, e dunque si voltò per andare a prendere i candelabri poggiati sul comò, che senza troppe cerimonie infilò nel sacco, per poi togliere la cornice allo specchio, in modo da avere meno peso possibile da portare tutto in una volta, e metterla insieme ai due candelabri. Tornò a prendere anche il vaso, che con cautela mise insieme al resto della refurtiva, poi fece scorrere la carrucola fino al fono del muro esterno, e lì svoltò l’angolo, per arrivare al cortile interno della magione, dove la fune della carrucola scendeva fermandosi poi grazie a un paletto conficcato nel terreno, e lasciava cadere all’impatto la refurtiva in un cespuglio. Per sua fortuna non c’erano motivi per cui chi aveva dato una mano a pulire la casa, come avevano fatto anche lui e René, andasse anche nel cortile interno, lì non c’era nulla di utile, e quindi per lui era il posto perfetto dove far finire la carrucola. Seguì con lo sguardo il percorso della refurtiva, e una volta accertatosi con i suoi stessi occhi che tutto stesse andando come previsto si occupò di ciò che non aveva ancora preso. Prima di tutto staccò il quadro dalla parete, e con minuziosa attenzione tolse il dipinto dalla cornice - forse avrebbe fatto meglio a tagliare via la tela, ma la sua istruzione da nobile riguardo l’arte lo aveva fermato - e questa la mise in un nuovo sacco, poi infilò ancora altri oggetti, prevalentemente decorativi anche se di valore e fece partire anche quel sacco. Si guardò intorno, aveva ormai preso tutto quello che gli conveniva prendere, non restava che cambiare stanza. Velocemente prese la porta, non lasciò la sua tipica firma, ovvero la rosa nera, quella l’avrebbe messa solo una volta portato a termine tutto il colpo, altrimenti avrebbero aumentato la sicurezza e dunque sarebbe stato molto più complicato passare inosservati e introdursi.

Nella stanza successiva non trovò nuovamente nulla di importante, era un piccolo studio, forse da usare in caso di emergenza, perché pareva alquanto trascurato, le pareti erano piuttosto spoglie e una piccola libreria ospitava pochi volumi, lasciando invece molto spazio ai ragni per costruirsi dei comodi nidi. Ma a parte le ragnatele e un po’ di polvere lì non c’era nulla, non aveva motivo di trattenersi in quel posto, doveva sbrigarsi e cercare il luogo in cui erano tenuti gli oggetti di valore trasportati in quei giorni. Stava dunque per uscire, quando udì un rumore di passi in avvicinamento. Immediatamente richiuse la porta e ci accostò l’orecchio in modo da ascoltare ogni suono. I passi erano irregolari, un po’ strusciati, segno che probabilmente chi stava camminando aveva sonno. Non sapeva quindi se quei passi appartenessero a Foster oppure a qualcuno dei volontari, che magari s’era svegliato, ma a giudicare dal tonfo sul pavimento di legno, chi stava percorrendo il corridoio non era certo piccolo e leggero. Lo sentì sbadigliare sonoramente mentre i passi si facevano via via più vicini. Se non voleva farsi scoprire non doveva fare il minimo rumore, solo così probabilmente l’uomo non si sarebbe accorto della sua presenza. I passi però si arrestarono ancora prima di arrivare di fronte alla stanza in cui era il giovane, anche se non troppo lontani.

- E qui perché è aperto?! - sentì dire da una possente voce maschile con tono un po’ preoccupato.

Immediatamente capì che cosa era aperto: la porta della stanza precedente! Nella fretta di uscire aveva scordato non solo di chiuderla a chiave, ma addirittura di chiuderla normalmente! Quale terribile leggerezza aveva commesso! Come aveva potuto commettere un errore così grossolano? Nemmeno agli inizi del suo operato era mai stato così poco cauto. Non riusciva a capacitarsene. Ma non era il momento di lamentarsi delle proprie azioni, doveva andarsene, e in fretta! Sentì dei passi veloci e pesanti nella stanza, seguiti poco dopo da una forte imprecazione: aveva scoperto che degli oggetti erano stati trafugati. L’uomo uscì dalla camera, battendo i piedi per terra, e correndo a colpire le porte prima di quella della stanza lasciata aperta.

- Al ladro, al ladro! Un ladro è riuscito a entrare nella villa! - lo sentì urlare, cercando evidentemente di fare più rumore possibile per svegliare anche gli altri uomini presenti nella magione.

Ora che quello s’era allontanato, era il momento buono per fuggire. Ben presto sul piano sarebbero arrivati anche altri uomini, richiamati dalle urla di quello che si era appena allontanato, quindi sarebbe finito in trappola, quindi doveva sbrigarsi. Velocemente sgusciò fuori dalla stanza in cui s’era nascosto senza nemmeno preoccuparsi di richiuderla, tanto ormai avevano scoperto che era entrato, quelle precauzioni quindi sarebbero state inutili, e in tutta fretta, ma facendo attenzione che non arrivasse nessuno, si diresse verso lo studio da cui era entrato. Fortunatamente la distanza non era troppa, e nella corsa non incontrò nessuno, forse avrebbe fatto in tempo ad andarsene. Arrivò in fretta e furia allo studio, la finestra da cui era entrato era ancora spalancata, quindi non gli restava altro che affacciarsi, prendere bene la mira, e lanciare il rampino. Non era un impresa facile, era piuttosto vicino al tetto, se avesse lanciato con troppa forza probabilmente non si sarebbe agganciato, ma sarebbe rimbalzato e l’avrebbe colpito, invece se avesse tirato troppo piano c’era il rischio di mancare la presa, e perdere dunque tempo prezioso. Quindi non era facile calcolare la distanza e la forza giusta, infatti al primo tentativo mancò totalmente il tetto, ma al secondo il rampino si agganciò perfettamente, permettendogli dunque di issarsi fino sul tetto, dove si trovava l’oggetto volante con cui era arrivato partendo dall’altra città. Ma lì sopra, una voce conosciuta attirò immediatamente la sua attenzione.

- Ah, eccoti qui, maledetto!

A circa tre metri da dove era salito Black Rose, si trovava Maria, che a quanto pare come al solito era intenzionata a fermarlo. Lo osservava decisa, la mano destra sull’elsa della spada, pronta a scattare in avanti per affrontarlo per l’ennesima volta. In pochi istanti la ragazzina sfoderò l’arma, che punto davanti a sé in direzione del ladro.

- Questa volta non ti lascerò scappare! Quindi avanti, fatti sotto! - esclamò partendo decisa verso il giovane.

Peccato che lui non avesse per niente voglia di scontrarsi anche quella sera contro la sorella, aveva fretta di tornarsene alla villa di Lefevre, per pianificare in modo più accurato la seconda parte del piano, e soprattutto di farsi trovare nella sua stanza il prima possibile, sarebbe stato un bel problema se qualcuno per qualche motivo fosse entrato e avesse scoperto la camera vuota. Sbuffò leggermente annoiato e si diresse anche lui velocemente contro l’altra, sembrava stesse per sfoderare la spada ed affrontarla, ma all’ultimo istante scartò di lato e continuò la sua corsa.

- Spiacente ragazzina, questa sera non ho voglia di giocare con te! - le disse ironico, raggiungendo la sua creazione.

Maria certo non si aspettava che l’avversario la evitasse all’ultimo, quindi interdetta per qualche istante guardò il ladro fuggire, per poi improvvisamente riprendersi e furiosa lanciarsi al suo inseguimento.

- Giocare?! Brutto bastardo, come osi?! - esclamò furiosa.

Lo aveva quasi raggiunto, quando il giovane si lanciò giù dal tetto della villa, per poi planare e volare via nella notte come se nulla fosse, e lei si ritrovò a pochi istanti dal cadere giù dal tetto, per non essersi fermata in tempo. La ragazza digrignò i denti dalla rabbia, e strinse i pugni: le era scappato un'altra volta!

Jean volando via si voltò indietro, ad osservare la sorella. Vide che rischiava di cadere dal tetto, e dato che si era appena lanciato, virando probabilmente sarebbe riuscito ad afferrarla al volo, ma fortunatamente non ce ne fu bisogno e proseguì quindi per la sua strada. Certo però che Maria aveva un bel caratterino… quando si metteva in testa una cosa non c’era verso di fermarla, voleva andare avanti finché non era soddisfatta, ne era la dimostrazione tutta la questione riguardo a Black Rose: l’aveva seguito addirittura fino sul tetto della villa! Chissà come c’era arrivata, poi fin là sopra. Ma oltre che di lei, non riusciva a capacitarsi di sé stesso: come aveva potuto lasciare aperta una porta, commettere un errore così grossolano, e farsi quindi scoprire? Era ridicolo, quella piccola svista gli era quasi costata la cattura! Scosse la testa irritato, se si perdeva in queste cose si sarebbe distratto e avrebbe perso il controllo della sua macchina volante, per poi sfracellarsi al suolo, cosa che non sarebbe stata affatto piacevole.

Alla fine il ritorno fu tranquillo, data l’ora tarda né nella sua città e nemmeno in quella vicina qualcuno lo notò. Atterrò come nel precedente tentativo fra i resti delle case demolite. Non fu semplice manovrare quell’oggetto nel modo corretto ma ce la fece. Tirò un sospiro quando finalmente mise i piedi a terra: per quel suo errore grossolano era riuscito ad arraffare ben poche cose rispetto ai suoi piani, quindi se voleva davvero portare a termine l’opera non gli restava che tornare il giorno dopo. Si sfilò il cappello, la maschera e il mantello e li ripose in una sacca che aveva nascosto nel mantello prima di partire, e invece ne estrasse un oggetto per togliere le viti da quella specie di ala gigante che era la sua invenzione. La richiuse accuratamente, in modo che diventasse il più possibile compatta, dopodiché la sollevò e facendo attenzione a non essere notato, la sollevò e la portò fino al carro che aveva lasciato vicino al campanile, e con quello tornò alla villa di monsieur Lefevre. Prima di partire aveva coperto di stoffa gli zoccoli del cavallo, in modo che facessero il minor rumore possibile. Insomma, era notte fonda, un giovane che girovaga per la città su un carro, avrebbe attirato l’attenzione, e sarebbe stato proprio ciò che lui avrebbe voluto evitare.

Non ci impiegò molto a tornare alla villa, dove cercò di rimettere ogni cosa esattamente come prima della sua partenza, per poi usare la stessa corda con cui si era calato dalla finestra della sua stanza, per ritornarci e andare a letto. Doveva prepararsi, anche la sera dopo sarebbe entrato in azione!

 

Il giorno successivo, Maria si stava dirigendo verso la villa di monsieur Foster, in modo da potersi accertare con i propri occhi dell’operato del ladro. Per passare il più inosservata possibile aveva nuovamente indossato abiti maschili e, anche se con non poco fastidio, s’era un po’ sporcata il volto, in modo da dare l’impressione di un ragazzino, o una ragazzina, se l’avessero notata, del quartiere povero, che se ne andava a curiosare in giro. Per sua fortuna il padre era uscito presto di casa quella mattina, e ai servi sapeva sfuggire senza grandi problemi, per cui una volta calatasi dalla finestra della sua stanza s’era subito precipitata in strada. Correndo non era troppo distante l’abitazione del nobile straniero, si trattava di cinque - dieci minuti, e quindi non ci mise molto tempo a raggiungerla. Una volta a destinazione vide però che non avrebbe potuto agire indisturbata come sperava, poiché dei gendarmi dall’aria abbastanza forzuta facevano la guardia già dall’ingresso, rendendo così la dimora inaccessibile se non dall’alto. E se già l’ingresso era sorvegliato, con tutta probabilità anche l’interno lo era, forse anche più che l’esterno. La giovane sospirò, seccata.

<<Che palle, vorrà dire che dovrò di nuovo usare il sistema di ieri sera…>>

Lasciò quindi perdere l’ingresso principale, e si allontanò lungo la strada. Non se ne stava andando, no, assolutamente. Costeggiò la cancellata che delimitava la proprietà di monsieur Foster, e lo vide. Oltre l’inferriata si trovava un albero di grosse dimensioni. Il tronco era piuttosto largo, e i rami spessi a sufficienza da reggere il peso di una persona. Non perse tempo, sapeva già come fare: si arrampicò sulla cancellata e scese nel cortile dell’abitazione, poi si diresse verso la pianta e con molta attenzione, infilando le mani e in piedi in ogni possibile rientranza e sporgenza sul tronco, lo scalò faticosamente, fino a raggiungere una finestra di cui la sera prima aveva rotto il vetro con una gomitata, e passando su un ramo robusto la aprì ed entrò nella villa. Voleva vedere con i suoi occhi quanto il ladro aveva fatto. La voce che fosse entrato qualcuno nella magione s’era sparsa in fretta, ma nessuno aveva nominato Black Rose, perché? Forse non aveva lasciato la sua firma, ma la cosa era strana, voleva capire perché. C’era sotto qualcosa, ne era certa. In assoluto silenzio incominciò ad esplorare la casa. Voleva raggiungere il punto in cui era avvenuto il furto, studiarlo e comprendere. Ma non era certo un impresa facile, quel luogo pullulava di uomini dall’aria piuttosto forzuta che passeggiavano nervosamente fra i corridoi, probabilmente reduci da una lavata di capo da parte di Foster. Doveva nascondersi in ogni anfratto che riusciva a trovare ogni volta che uno di loro si avvicinava, per poi proseguire correndo e fermarsi nuovamente al passaggio di un altro uomo. Era faticoso, le sembrava quasi di essere un ladro,  riusciva quasi capire la fatica che doveva a volte fare Black Rose per compiere i suoi furti. La maggior parte delle stanze erano chiuse, lo vedeva chiaramente, ma non riusciva a capire se fosse in una di quelle che era avvenuto il furto, o meno, nessuno si comportava in modo particolare in presenza di una delle stanze. Ma infondo, cosa si aspettava? Che fosse scritto a caratteri cubitali? “Siamo stati derubati qui”, sì, come no. Avanzò ancora, finché qualcosa non attirò la sua attenzione. Si nascose dietro un muro, e dunque osservò ciò che stava accadendo. Alcuni gendarmi erano fermi a parlare con il padrone di casa sulla soglia di una porta. Che fosse quello il luogo da cui Black Rose era fuggito e aveva compiuto il suo furto? Probabilmente. Li vide allontanarsi, era il momento giusto per uscire allo scoperto. La porta fortunatamente non era stata chiusa a chiave, quindi entrò senza alcun problema di sorta. All’interno si trovava una stanza da letto piuttosto sfarzosa, come era di usanza in quegli anni. Non poteva essere quella di Foster, poiché non conteneva oggetti strettamente personali, ma era chiaro che era lì che Black Rose aveva colpito, siccome quel luogo le pareva fin troppo spoglio per essere una camera da letto così decorata. Iniziò a controllare con attenzione ogni dettaglio di quel posto. Vide che non c’era niente che potesse illuminare di notte le stanza, ma ciò non significava niente: avrebbe potuto non esserci anche prima; passò accanto a una parete, su cui era stato appoggiato uno specchio, senza cornice. Quello era chiaro che fosse opera del ladro della rosa nera. Controllò se c’erano segni, ombre lasciate dal tempo attorno al punto in cui stava un determinato oggetto, ma pareva che fossero tutti stati inseriti di recente. Sul muro accanto alla finestra però, vide un chiodo piegato malamente, forse quello era il segno un altro degli oggetti mancanti all’appello, forse un quadro. Sospirò, delusa. Aveva setacciato la stanza, ma non riusciva a scorgere tracce sicure del passaggio del suo nemico, in poche parole, un buco nell’acqua. Si allontanò seccata, quando sentì la voce di Foster, e si nascose nuovamente. Era sempre con i gendarmi, gli stavano chiedendo qualcosa.

- Allora, ricapitoliamo. Potete dirci che cosa è stato trafugato? - disse un agente.

- Sono pochi oggetti: due candelabri d’oro, un quadro, un vaso antico orientale e infine la cornice d’oro di uno specchio. - fu la risposta del nobile.

Quelle informazioni per Maria erano molto utili ed interessanti, finalmente era riuscita a sapere che cosa avesse trafugato il ladro, era quello il motivo principale per cui s’era introdotta nella villa. Però, qualcosa non quadrava, era troppa poca la refurtiva.

<<Strano, non è da lui accontentarsi di un bottino così magro, a meno che il quadro e il vaso non valessero una fortuna, non avrebbe motivo di prendere così poco.>>

Facendo attenzione a non essere scoperta, si allontanò nella direzione da cui era venuta, ma non riusciva a togliersi dalla testa ciò che riguardava il furto. Voleva capire, le pareva troppo semplice che avesse preso quattro cose in croce, e se ne fosse andato senza manco farsi notare. Non era nel suo stile.

<<La cosa è fin troppo sospetta. Ma forse…. Che non abbia fatto in tempo? Era forse stato scoperto? Ciò spiegherebbe perché se ne sia andato pressoché a mani vuote…>> mentre ci rimuginava, improvvisamente si arrestò.

- Il che significa che sicuramente ritornerà! - concluse, a voce alta.

Sentì i passi di qualcuno in avvicinamento, e si nascose di nuovo, continuando a rimuginare sulla faccenda. Se fosse tornato, certo non avrebbe atteso ancora a lungo a mostrarsi, normalmente agiva al calar della notte, e quindi era chiaro che con tutta probabilità quella notte stessa. L’uomo si allontanò, e lei uscì allo scoperto, per poi dirigersi verso la finestra da cui era entrata e tornarsene sui suoi passi. Se Black Rose fosse davvero apparso, lei non se lo sarebbe lasciato sfuggire di certo, anzi, lo avrebbe aspettato e affrontato.

 

E così fu, la notte seguente a quella in cui era stato compiuto il primo colpo, Black Rose si ripresentò volando nuovamente su quello strano marchingegno da lui costruito.
Il ritorno alla villa di monsieur Lefevre la volta precedente non era stato un problema, a quell’ora la servitù dormiva, e il padrone di casa anche se fosse stato sveglio non aveva alcun motivo per andare a disturbare il suo ospite addirittura in camera sua. Durane la giornata poi Jean aveva avuto occasione di organizzare meglio il colpo, anche se s’era spesso dovuto occupare degli affari, aveva avuto anche numerose pause in cui s’era concentrato sul suo obiettivo. E così quella notte stessa era nuovamente sgattaiolato via per poi dal campanile della città prendere il volo verso la villa Foster. Non poté atterrare sul tetto come la volta prima, questa volta avrebbe dato nell’occhio visto che ora anche l’esterno dell’abitazione era sorvegliato, dunque dovette scendere più lontano, sul tetto di una vecchia villa abbandonata, e poi scendere da esso normalmente.

<<Aaah, peccato, stasera i controlli sono parecchi…beh, dovevo aspettarmelo dopo essere stato visto, significa che Foster s’è fatto furbo.>> pensò osservando tutto quanto, nascosto dall’angolo di un'altra abitazione lì vicino. <<Oh beh, pazienza, vorrà dire che ci divertiremo di più.>> concluse, con un sorrisetto ironico stampato in volto. Gli piacevano le sfide, rendevano tutto più interessante.

In assoluto silenzio prese dunque a muoversi verso la villa. Gli uomini erano molti, ma in gran parte sul fronte della casa, per cui non fu difficile sgusciare senza essere visti verso il retro, verso l’ala che ospitava le stanze della servitù. Scavalcò la cancellata con agilità, e si diresse verso una delle finestre del pian terreno. Nei giorni precedenti, quando s’era infiltrato nell’abitazione, aveva potuto appurare che era una stanza assolutamente inutilizzata, ed era stato dunque un gioco da ragazzi modificarne la finestra in funzione del colpo.

<<Dovrò ricordarmi di ringraziare René per avermi fatto notare questa camera e aiutato a  manometterne la finestra, mi sta tornando davvero utile!>> pensò mentre la apriva ed entrava dentro.

Il locale in cui si trovava era praticamente spoglio, aveva solamente un paio di dispense che a giudicare da com’erano ridotte, dovevano essere vuote. Evidentemente quella stanza doveva fungere da magazzino per le provviste, ma dato che il padrone di casa per quanto ne sapeva, si sarebbe fermato a mala pena due giorni, non sarebbe valsa la pena di riempirlo. Si diresse velocemente verso la porta e cautamente la aprì, sbucando nella sala principale da cui si accedeva attraverso l’anticamera posta all’ingresso. Tutta la sala era illuminata dalle lampade, tant’è che egli riusciva ad orientarsi più chiaramente. Ma la soddisfazione di aver velocemente compreso come fare svanì velocemente.

-Hey, tu!

Una voce maschile, rude, lo richiamò: era chiaro che fosse uno degli uomini assoldati per controllare la casa, e lui era stato visto. L’uomo estrasse immediatamente la spada e gli corse incontro, pronto ad attaccarlo, e al giovane non restò che estrarre la sua, e prepararsi allo scontro. E dire che sperava di riuscire a introdursi senza essere notato! Ma evidentemente le cose non dovevano andare così. Quando il suo avversario si avvicinò, Jean poté chiaramente notare la divisa che indossava: altro che uno assoldato da monsieur Foster per controllare la casa, quello era un gendarme! Se già prima voleva perdere meno tempo possibile, ora per lui era quasi un obbligo sistemarlo in fretta. L’uomo attaccò con un affondo al fianco, ma il giovane nobile evitò all’ultimo il colpo, e ricambiò con un dritto sgualembro, colpo che descrive un mezz'arco portato da destra verso sinistra in diagonale e che tende a colpire la spalla sinistra dell’avversario se posti di fronte a lui; questi cercò di parare il colpo frapponendo la sua lama a quella del ladro in una battuta, ma non riuscì a scansare completamente il colpo e si ferì al volto e al braccio. Jean passò quindi a una finta di stoccata, che riuscì temporaneamente a distrarre l’uomo e gli permise di arrivargli abbastanza vicino da colpirlo al collo da dietro, mettendolo fuori gioco. Rinfoderò dunque la sua arma, e trascinò via il membro delle forze dell’ordine. Non poteva mica lasciarlo lì in mezzo alla sala, avrebbe immediatamente attirato l’attenzione se qualcuno fosse entrato. Lo appoggiò grossolanamente a un muro dietro una tenda, non aveva tempo da perdere a sistemarlo bene, e dunque prese a correre verso la scala che lo avrebbe portato al piano successivo, dove si trovava il meglio. Ma aveva a mala pena fatto il secondo gradino, quando avvertì un potente fischio alle sue spalle, e dunque si voltò: era una guardia. Lo vide corrergli incontro, anche lui sfoderò la spada, nella speranza di poterlo contrastare. Il ragazzo in tutta risposta sbuffò.

- Ma possibile che stasera ce ne sia sempre una? Ho appena steso l’altro!

Controvoglia estrasse nuovamente la sua arma e andò incontro al nuovo avversario. Questi cercò di colpirlo tramite un fendente, che il giovane parò con la lama e respinse per poi rispondere con un roverso sgualembro, che l’altro schivò indietreggiando, dopodiché attaccò con un dritto sgualembro. Jean cercò di evitare il colpo parandosi con la sua spada, ma non fu abbastanza rapido, e quindi quella del nemico riuscì a ferirlo alla spalla. Soppresse un grido di dolore che si trasformò quindi in un gemito, ma subito riprese il controllo della situazione e riprese lo scontro. Il suo avversario se la cavava bene, ma era chiaro che a lungo andare sarebbe stato lui a prevalere, infondo combatteva da quando era neanche un ragazzino. Rapidamente fece una finta d’imbroccata rivolta verso la destra dell’avversario, che quindi abbassò la guardia. Ci volle un attimo: passò la sua arma sotto quella dell’altro, e con un gesto secco e rapido gliela fece cadere di mano, lasciandolo così disarmato. Stava per dargli il colpo di grazia, per così dire, in modo da renderlo inoffensivo, ma l’altro improvvisamente estrasse un coltello, con cui prontamente cercò di tornare alla carica per fermarlo, ma il giovane ladro riuscì a schivare gli attacchi, per lo più irregolari e facili da rendere inefficaci.

- No no no, così non ci siamo, questo è barare! - gli disse ironico.

Evitò al pelo un altro colpo, dopodiché lo afferrò per il braccio sinistro, quello in cui stringeva la lama, e gli sferrò un poderoso cazzotto nello stomaco, che fu sufficiente per metterlo al tappeto. Si affrettò a spostare anche il secondo uomo contro il muro, per poi correre verso la scalinata il più velocemente possibile. Non era ancora salito, che sentì delle voci in lontananza:

- Da dove veniva?

- Da qui! Da qui! Sono certo di avere sentito provenire da qui il fischio!

Si nascose in tutta fretta dietro una tenda della finestra lì vicino, così come prima aveva nascosto i due uomini storditi, e attese che passassero. Li sentì bofonchiare che non c’era nessuno, che evidentemente doveva esserci stato uno sbaglio, e dunque allontanarsi verso un'altra stanza. Tirò un sospiro di sollievo mentre tornava allo scoperto: non aveva minimamente voglia di combattere di nuovo. Salì velocemente le scale e arrivò al piano superiore. Anche lì era tutto illuminato, esattamente come al piano di sotto. Guardandosi attorno non vide nessuno oltre a lui nei paraggi, ma era meglio fare attenzione, andando avanti avrebbe potuto incontrare altri uomini di guardia. Le stanze alla sua destra le aveva già controllate in gran parte la sera prima, quindi non gli restava che l’ala sinistra del piano. Dalla tasca della giacca estrasse il passepartout, e con quello in mano si avviò verso le stanze al momento per lui ancora inesplorate. Entrò nella prima che incrociò lungo il suo cammino, si trattava di una stanza totalmente vuota, non c’era alcun soprammobile particolare, decorazioni o altro, era quasi totalmente spoglia, il letto era di semplice fattura, niente di confrontabile a quello della stanza da lui svaligiata la volta precedente. Per scrupolo volle entrare a controllare se ci fosse comunque qualcosa di valore, ma setacciò in lungo e in largo il posto e non trovò niente. Passò in quella successiva, e di nuovo non trovò niente, e così fu per quella successiva e quella dopo ancora. Entrò in molte stanze, ma sembrava che l’unica arredata fosse quella camera da letto. Ma non poteva mica esserci solo quella poca roba, dove diamine avevano messo tutto il resto? Proseguì ancora, quando ecco che vide venire verso di lui un altro uomo, e come le volte precedenti, non c’era modo di evitarlo.

- Al ladro, al ladro! - esclamò l’uomo, per poi sfoderare la sua spada.

Peccato che Jean non avesse la benché minima voglia di affrontare un altro scontro. Quindi? Che fare? L’opzione possibile era solo una. Senza perdere tempo corse incontro al suo avversario, senza nemmeno sfoderare l’arma; l’altro non appena gli fu abbastanza vicino cercò di colpirlo, ma ancora prima che potesse attaccare, il ladro improvvisamente si abbassò, gli fece una specie di sgambetto per farlo cadere, e si spostò di lato per poi colpire l’avversario con un colpo ben assestato in modo da stordirlo e metterlo fuori gioco.

- Ogni tanto bisogna anche giocare un po’ sporco per cavarsela… - borbottò osservando quanto aveva fatto.

Ma non era il momento di perdere tempo, sentì delle voci di altri uomini che arrivavano dall’ala ovest e quando si voltò dal’altro lato, ne scorse alcuni anche da quella est. In pratica, stavano per tagliargli ogni via di fuga. E quindi? Come se la sarebbe potuta cavare? Doveva pensare a qualcosa, e in fretta, o lo avrebbero catturato, e allora sarebbero stati guai. Buttarsi a testa bassa su di loro avrebbe significato solamente una rapida cattura, e cercare di farsi largo a colpi di spada era una pessima idea, erano più numerosi, lo avrebbero sopraffatto. Improvvisamente, ebbe un lampo di genio. L’idea era folle, ma forse poteva funzionare, e infondo, non aveva molte alternative.

<<O la va o la spacca!>> pensò per poi prepararsi all’azione.

Corse verso il gruppo di sinistra facendo appello a tutta la forza che aveva nei muscoli delle gambe, saltò sulla rientranza di una finestra nella parete di destra, si aggrappò a una lampada, e li usò come trampolino di lancio, da cui saltò sulle spalle di una guardia accanto a lui per poi mettersi a correre sulle teste e le spalle delle altre, che si voltavano nel tentativo di prenderlo, o per lo meno di farlo cadere, ma finendo solo loro a terra ogni volta, mentre il ladro se la svignava. Ad un tratto, qualcuno riuscì ad afferrarlo per un piede e farlo cadere, ed egli dunque si dovette per forza fare largo fra le guardie, per sua fortuna ormai poche, per poi riprendere a correre il più veloce possibile per non farsi prendere. Riuscì a seminarle di qualche metro, e girato l’angolo vide la porta di un’altra stanza, dentro cui velocemente entrò grazie al passepartout. Richiuse la porta giusto in tempo per sentire le guardie correre nel corridoio cercandolo, e non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo: per ora l’aveva scampata. Decise dunque di rimettersi al lavoro. Guardandosi intorno vide che anche quella stanza era palesemente vuota, niente di importante, perciò facendo attenzione, prese la porta e tornò nel corridoio. Era rischioso, se fossero tornati indietro tanto presto sarebbe ricominciato tutto, ma non poteva passare da nessun’altra parte, fuori non c’era spazio sufficiente per camminare. Proseguì lungo l’andito per qualche metro, e arrivò dunque alla stanza successiva. Questa volta aveva fatto centro. Quel luogo sembrava molto più simile a un deposito che a una camera: gli oggetti erano lasciati in terra, ordinati, ma era chiaro che erano lì solo per una questione temporanea. C’era un vaso simile a quello rubato il giorno precedente, numerosi quadri di ottima fattura, alcuni anche di artisti famosi, riconobbe alcune firme grazie alla luce lunare che illuminava la stanza, e altri invece provenivano dall’oriente. Su un mobile era posato un piccolo scrigno, lo aprì e vide vari gioielli: anelli, orecchini, collane di perle, fermagli, oggetti evidentemente appartenenti alla moglie del proprietario; e in un altro c’erano numerose monete e medaglie. Questa sì che era pesca grossa! Estrasse dal mantello alcuni sacchi come quelli usati la sera precedente, e pian piano iniziò a riempirli di quanto riusciva a farci stare. I gioielli e le monete per primi, poi mise alcune statuette, di porcellana, marmo o d’oro, e agganciò il sacco fuori dalla finestra esattamente come nel colpo precedente; in un secondo sacco invece mise molti quadri di quelli presenti, alcuni staccandoli dalla cornice, di altri invece prendeva solo quella perché d’oro o argento, ma nel complesso erano molte cose, ne avrebbe ricavato parecchio dalla vendita.

 

Nel frattempo, Maria era appena entrata nella villa dalla finestra da cui s’era introdotta quella mattina. Non farsi beccare con tutte quelle guardie che c’erano non era stata un’impresa facile: non era un ladro, però non era autorizzata ad entrare nella casa di un nobile, soprattutto di notte con il rischio che qualcuno entrasse di nuovo per svaligiare l’abitazione; quindi se l’avessero vista sarebbe probabilmente stata presa per un delinquente e arrestata, e quello era un tipo di esperienza che ci teneva a non fare.

Non appena poggiò i piedi a terra, si guardò attorno, si aspettava di vedere qualcuno, almeno un paio di uomini, a tenere sotto controllo l’abitazione, eppure i corridoi erano vuoti. Nessuno che controllasse il posto, la cosa era fin troppo facile… che Black Rose fosse riuscito a stenderli tutti? No, impossibile, d’accordo che sapeva combattere bene, ma non a tal punto. Decise di avanzare con cautela e circospezione, nessuno sapeva cosa poteva accadere. Si trovava nell’ala est, ala di cui Black Rose pare si fosse occupato già la volta precedente, forse per quello non c’era nessuno, può darsi che partissero dal presupposto che non sarebbe nuovamente passato da lì. Con la mano poggiata sull’elsa della spada avanzò attenta guardando costantemente che non arrivasse qualcuno, che fossero i gendarmi o direttamente gli uomini assoldati dal padrone di casa.

<<Maledetto Black Rose, non ti permetterò ancora a lungo di fare i tuoi comodi in tutta la città! Ormai è diventata una sfida personale, mi occuperò io di farti rispettare la legge se la legge stessa non riesce a prenderti!>> pensava nel frattempo.

Lei era un tipo di ragazza molto fedele alle leggi, non poteva sopportare che qualcuno non le rispettasse, che se ne facesse beffe. Normalmente ci pensavano le forze dell’ordine a rimettere a posto la situazione, eppure c’era sempre qualcuno che riusciva a sfuggire loro, e questo non lo poteva sopportare. Spesso quando sentiva dei furfanti che erano riusciti a scappare a qualcosa, una grande rabbia la invadeva, e un fastidioso senso di impotenza si faceva strada in lei: non poteva fare niente, era solo una ragazzina di famiglia nobile come molte altre, forse solo un po’ più consapevole di ciò che accadeva. Ma Black Rose era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso: non solo era un furfante in più, cosa già di per sé intollerabile, ma riusciva sempre a sfuggire ai gendarmi, che venivano ogni volta praticamente ridicolizzati. Fu in quel momento che decise che doveva fare qualcosa, fermare almeno lui. E da allora era diventata una questione personale, il ladro della rosa nera era diventato simbolo per lei di tutti i criminali che la facevano puntualmente franca, non poteva permettersi di lasciarlo scappare.

Avanzò lungo gran parte dell’androne senza incontrare anima viva, questo pareva rafforzare la sua teoria secondo cui non era possibile che il ladro li avesse stesi tutti, dato che non trovava neanche un uomo che fosse steso a terra o dove altro. Il che implicava che probabilmente avevano lasciato in gran parte la loro postazione per qualche motivo, forse per inseguire quel furfante. Improvvisamente però, iniziò a scorgere delle figure avanzare dalla parte opposta del corridoio. Avanzavano piano, ma non le parevano particolarmente tranquilli, la ricerca forse non era andata a buon fine? Non lo sapeva, sapeva solo che se l’avessero vista sarebbe stata in guai seri. Si guardò attorno, era come spaesata. Che fare, che fare? Sì, aveva un po’ esplorato la casa quella mattina, ma non a tal punto da conoscerne ogni antro, ogni modo per nascondersi. Aveva notato delle tende lunghe e spesse alle finestre, che sarebbero state perfette per nasconderla, peccato che si trovassero molto più indietro rispetto alla sua posizione; avrebbe potuto raggiungerle correndo, ma probabilmente sarebbe stata vista, inseguita e scovata. Si voltò verso la prima porta che aveva accanto e cercò in un tentativo disperato di aprirla, ma niente: chiusa. Provò con quella precedente, ma niente pure quella. In un terzo e ultimo disperato tentativo provò con quella ancora prima, e questa inaspettatamente si aprì. Come un fulmine entrò dentro e silenziosamente richiuse la porta, nella speranza che nessuno la notasse, quando d’un tratto sentì il freddo di una lama contro il collo. Il suo cuore in quel momento mancò un colpo. Si girò lentamente, posando la sua mano sull’elsa della sua arma, e fu così che vide chi le stava puntando la spada al collo. Non era un gendarme, o uno degli uomini assoldati da monsieur Foster, no, era lui: Black Rose.

-Ci rincontriamo, ragazzina. - disse ironico.

In realtà era certo che la sorella si sarebbe fatta nuovamente viva, la conosceva fin troppo bene, dopo avere evitato lo scontro la sera prima e averla fatta franca ancora una volta, era ovvio che lo avrebbe aspettato al secondo colpo, Maria era abbastanza intelligente da comprendere che sarebbe tornato. Lei ricambiò con un’occhiata piena d’astio, e senza perdere tempo velocemente sfoderò la sua spada e con essa scacciò la lama del ladro che era ancora vicino alla sua gola.

- Che fortuna, cercavo un posto dove nascondermi ed ecco che scovo te, ladro da quattro soldi! - fu la sua risposta, mentre rivolgeva la sua lama verso l’avversario. - Ora che ti ho trovato non ti permetterò di derubare una seconda volta questa villa! - aggiunse.

Jean rise leggermente, scansando a sua volta la spada della giovane.

- Mi dispiace ma arrivi tardi, ormai qui ho già finito. - le disse, indicando il mobile su cui prima si trovava il bauletto con i gioielli, e dove ora si trovava una rosa nera, ovvero la sua firma.

L’aveva posata poco prima che lei arrivasse, e si stava dirigendo verso la porta per fuggire, quando s’erano incontrati. Infondo gli era andata bene, non rischiava di perdere la refurtiva.

La giovane osservò per qualche istante l’ambiente circostante: tutto sembrava a posto, in ordine, e non vedeva niente accanto al suo rivale che potesse indicare qualcosa di rubato. Ciò le fece venire fin da subito il nervoso: la cosa non le piaceva affatto. Si lanciò a spada tesa verso l’avversario con un affondo, che l’altro evitò frapponendo la sua lama a quella della ragazza, e scansandola.

- Qui tutto mi sembra a posto. Se è vero ciò che dici, dov’è la refurtiva?! Parla! - esclamò

- Ti pare che io vada a dirti dov’è che tengo ciò che rubo? Tsk, mi sottovaluti, little girl. - fu la risposta del giovane, usando quell’accento britanno che contraddistingueva il ladro Black Rose.

La sorella in risposta partì nuovamente all’attacco con un dritto tondo, un colpo che viene eseguito orizzontalmente, portato da destra verso sinistra, che lui parò all’ultimo istante.

- Se è così allora ti catturerò e ti costringerò a rivelarmelo! - ribatté la giovane.

- Provaci! - replicò Jean ironico.

Entrambi partirono all’attacco, e fecero scontrare le loro lame in una battuta, un colpo secco che serve ad allontanare la lama nemica, dopodiché il giovane ladro eseguì un’imbroccata, un attacco molto simile all’affondo, eseguito però con il braccio teso, rivolto al fianco della ragazza, che non riuscì a schivarlo completamente e venne presa di striscio, ma strinse i denti per non urlare o gemere dal dolore, e ribatté con un dritto sgualembro che però non andò a segno poiché l’avversario lo impedì con una parata di ceduta, in cui la lama non si stacca da quella dell’avversario e nella prima fase ne accompagna il cammino. Gli dispiaceva dover ferire la sorella ma infondo era lei che se le cercava. Voleva scontrarsi con Black Rose, no? Ed egli l’avrebbe accontentata. Cercava di andarci piano di ferirla giusto quel tanto necessario per essere più forte di lei, ma non così tanto da farle troppo male. Non se lo sarebbe mai perdonato se si fosse ferita gravemente per colpa sua. Attaccò nuovamente, usando un montante, il colpo opposto al fendente, ma lei questa volta riuscì a evitarlo scartando di lato, per poi rispondere con un dritto tondo, che viene eseguito orizzontalmente e portato da destra verso sinistra, ma lui con la sua lama portò quella della ragazza più in su, mentre le due spade si univano in un legamento, in cui il contatto delle lame a differenza della battuta è più prolungato, da cui Maria si liberò tramite una di cavazione per poi tornare all’attacco con un fendente, che il giovane schivò e dopo cui effettuò una finta d’imbroccata, con cui spiazzò leggermente la ragazza, e ne approfittò per afferrare la maniglia della porta.

- Mi dispiace, mademoiselle dei miei stivali, ma per me è giunto il momento di andare. E’ stato divertente, ma non posso più rattenermi, good bye! - le disse aprendo la porta e fuggendo fuori, senza dare a Maria il tempo di replicare.

In corridoio non ci volle molto perché gli uomini di guardia lo vedessero e lanciassero l’allarme, ma questa volta sapeva dove si stava dirigendo, quindi non fece altro che correre il più veloce possibile, eludendo non solo chi gli stava dietro dall’ala ovest, ma anche coloro che accorrevano dall’ala est. Bastò raggiungere prima di loro le scale e scendere sotto, per poi intrufolarsi nella stanza da cui era entrato, fuggire fuori nella notte e raggiungere il luogo in cui aveva lasciato la sua invenzione volante con cui fuggì per tornare nella città in cui sarebbe dovuto essere.

La giovane nobile furiosa come non mai per essersi lasciata nuovamente sfuggire il ladro, dovette approfittare della confusione creata da Black Rose per raggiungere la finestra da cui era entrata e andarsene anche lei. Ci mancava solo che la trovassero ancora mentre tornavano, sicuramente l’avrebbero presa per una complice e arrestata. Portò la mano destra alla ferita che il ladro le aveva inflitto sul fianco sinistro. La serata era proprio andata bene: non solo Black Rose se l’era svignata ancora una volta senza che lei potesse farci nulla, ma l’aveva pure ferita! Sentì un pizzicore alla guancia destra, e la tastò: sanguinava, un altro taglio colpa del suo avversario. Digrignò i denti dalla rabbia.

- Maledetto, prima o poi riuscirò a catturarti! - borbottò.

 

Due giorni dopo, Jean stava finalmente tornando a casa dopo aver concluso positivamente l’affare con il cliente del padre, non era stato facile, quell’uomo era testardo e soprattutto tirchio, convincerlo a vendere alcuni dei suoi terreni era stata una battaglia. Inoltre aveva portato a termine il colpo come da programma senza che nessuno in quei giorni notasse la sua assenza,. La carrozza procedeva tranquilla, la cassa contenente l’invenzione era legata sul retro assieme agli altri bagagli, e lui non vedeva l’ora di rimettere piede alla villa. Si lasciò andare sul sedile in modo da rilassarsi un po’, mentre con la mente iniziava già a vagare.

<<Sarà andato tutto bene dopo che mi sono allontanato? René avrà provveduto a ritirare la refurtiva dal nascondiglio, o si sarà fatto scoprire? O magari anche solo scordato? E Maria? Spero che la ferita che le ho procurato non le faccia troppo male..>>

A volte tendeva a preoccuparsi troppo, gli era stato detto migliaia di volte, ma era più forte di lui. Ad un tratto, la carrozza si fermò, e sentì il cocchiere scendere.

- Monsieur Jean, siamo arrivati! - gli disse semplicemente bussando sulla porta del landau in attesa di una risposta.

- Di già? - domandò leggermente sorpreso, scendendo. - Credevo ci avremmo messo un po’ di più…

Mentre il cocchiere scaricava le valigie e la cassa dalla carrozza, il giovane fece per entrare in casa, quando qualcosa attirò la sua attenzione. Un’altra carrozza era ferma di fronte a casa. Inizialmente pensò fosse quella del padre, ma quest’ultimo abitualmente la faceva portare dalla servitù nel cortile in cui si trovava solitamente quella usata da Jean per il viaggio. Dunque di chi era? Sapeva che era una delle loro, eppure in qualche modo, stonava. Alla fine, decise di entrare e chiedere direttamente spiegazioni al genitore. Fece solo pochi passi nell’ingresso, che venne subito accolto da un bambino, di circa nove o dieci anni, che gli corse incontro.

- Fratello Jean! Fratello Jean! Bentornato! - disse allegro alzando il capo in direzione del ragazzo e sorridendogli.

Jean in risposta lo prese dai fianchi e lo sollevò per qualche istante in alto.

- François! E tu che ci fai qui? - gli domandò sorridendo a sua volta.

- Ben tornato, figliolo. - disse una voce alle sue spalle, facendolo così voltare.

Era così occupato con il fratello minore, che non aveva notato l’arrivo di suo padre.

- Oh, buon giorno, padre. - rispose lui con un cenno del capo.

- Vedo che hai già avuto l’opportunità di salutare tuo fratello, bene. - constatò l’uomo osservando i due figli.

- Sì, ma per quale motivo è qui? - fu la domanda che il giovane pose. - Non dovrebbe essere in collegio?

- Dovrebbe, ma poiché l’edificio ha bisogno di alcune riparazioni, hanno deciso di chiuderlo per qualche settimana e di far tornare gli studenti dalle proprie famiglie. - fu la spiegazione che ricevette.

Il piccolo François corse verso il padre, e si fermò accanto a lui sorridendogli, questi in risposta gli poggiò una mano sulla testa, dunque tornò a rivolgere la sua attenzione verso il figlio maggiore.

- Come ben sai è un evento raro che François torni a casa dal collegio, motivo per cui pensavo di organizzare un ballo in suo onore. Non la trovi una splendida idea?

Alla parola ballo, Jean drizzò le orecchie interessato: un ballo in casa loro significava numerosi invitati pieni di gioielli, e delle ville vuote, pronte per essere ripulite. Se tutti erano a casa loro, chi mai avrebbe notato che Black Rose li stava derubando? Che fosse nelle ville, o per lo meno prendere ciò che avevano indosso, si prospettava un lavoretto facile facile.

- Mi sembra un’ottima idea, padre. - fu la risposta trattenendo un sorrisetto furbesco.

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Capitolo 8
*** Piani per la festa ***


Erano passati alcuni giorni dal rientro del piccolo Charle dal collegio, e dall’idea del ballo avuta da Monsieur De la Rou, e in tutta la villa erano già in corso i preparativi per la festa. I servitori controllavano la lista con l’inventario di quanto era necessario, e dividevano a seconda di ciò in cui consisteva: le vivande venivano passate ai cuochi, dei piatti e delle posate se ne occupavano i camerieri, mentre le donne dovevano pulire da cima a fondo l’abitazione. Non potevano permettersi di fare brutta figura davanti all’intera nobiltà del luogo, no? Tutto doveva essere assolutamente perfetto, non era tollerato il benché minimo errore, o meglio, Monsieur De la Rou non lo tollerava.
Anche la famiglia De la Rou era impegnata nei preparativi, per quello di cui si occupava un nobile, chiaro. Bisognava scegliere che cosa indossare per il ballo, se necessario farsi confezionare l’abito appositamente per l’occasione da una sarta, fare prove di ballo, ripassare i passi, correggere questo e quello, scegliere quali brani far suonare all’orchestra e in che ordine. In pratica, preparativi riguardanti esclusivamente il lato dilettevole della serata. S’era deciso che fra sei giorni avrebbero tenuto un ballo in maschera per festeggiare il ritorno a casa, anche se solo per poco tempo, di François, dato che era un evento quasi raro che dal collegio permettessero di uscire se non su richiesta delle famiglie. Certo, era per via di riparazioni straordinarie che gli studenti erano tornati alle rispettive case, ma Monsieur De la Rou aveva deciso di cogliere l’occasione, e con la scusa del ritorno del figlio, probabilmente voleva usare il ballo per fare una buona impressione probabilmente su qualche futuro cliente.
Era stato Jean a proporre l’idea di un ballo in maschera, e non certo solo perché amava quel tipo di feste. Se tutti avessero indossato una maschera, nessuno avrebbe fatto caso a una persona in più o in meno, tanto sarebbe stato difficile riconoscere ogni singolo individuo lì presente.  Ed era su questo che egli puntava: si sarebbe potuto allontanare dal ballo e probabilmente nessuno lo avrebbe notato. Black Rose avrebbe ripulito indisturbato le case degli invitati, e nessuno avrebbe sospettato nulla.
Al momento si trovava in una piccola sala in disuso della villa, adibita per l’occasione a sartoria. Era una piccola sala di forma quadrata, le pareti erano dipinte di un tenue color pesca, ed era arredata con pochi mobili, giusto un paio di divanetti in mogano con schienale e braccioli imbottiti e coperti da stoffa rossa con motivi orientali, un tavolino dello stesso legno, e ovviamente le tende. Il giovane nobile era in piedi su un piccolo sgabello di fronte a un grande specchio, con la sarta accanto che stava prendendo le misure per l’abito da indossare alla serata. Gli era stato raccomandato di stare fermo, in modo che la donna prendesse meglio le restanti misure, e che non si pungesse con gli spilli, ma era un’impresa! Prima di tutto perché la sarta gli faceva il solletico mentre misurava e secondo perché non riusciva a stare fermo, con tutta la sua buona volontà, non ce la faceva. René era seduto su uno dei divani lì vicino, tranquillo e con le braccia incrociate, mentre se la rideva quando la sarta rimproverava il suo padrone che non stava mai fermo.
- Monsieur! Per favore, state fermo o non riuscirò a prendere tutte le misure necessarie per completare l’abito! - esclamò la donna per l’ennesima volta.
- Scusate… - fu la risposta, senza troppa convinzione, da parte di Jean.
Era immerso nei suoi pensieri, si preoccupava ancora del ballo. Sapeva che difficilmente qualcuno avrebbe cercato proprio lui, ma spesso e volentieri molte ragazze volevano che danzasse con loro, e la sua assenza quindi avrebbe attirato l’attenzione, cosa che non poteva permettersi. E dunque? Come poteva allontanarsi senza rischiare di attirare l’attenzione? Era un bel problema. Non poteva certo usare come scusa un indigestione della cena, probabilmente non avrebbe retto. Era troppo giovane e in forma per non riuscire a digerire il banchetto! Suvvia, un conto sarebbe stato Maria, che già di suo era di salute cagionevole, e se si fosse sentita male chi sapeva almeno vagamente della sua salute non ci avrebbe fatto caso, ma con lui era tutta un’altra storia. Per un attimo pensò di usare proprio Maria come copertura: convincerla a fingere di stare male in modo che si potessero allontanare. Certo, avrebbe potuto anche funzionare, ma poi? Certamente non se la sarebbe levata di dosso con così tanta facilità, e con lei nei paraggi mica poteva indossare i panni di Black Rose e andarsene allegramente a rubare per la città, lo avrebbe beccato subito. Perciò anche quell’opzione era da scartare, e si ritornava così al punto di partenza. Improvvisamente, un battito di mani lo distolse dalle sue preoccupazioni riportandolo improvvisamente alla realtà. Era la sarta, che aveva finito di imbastire l’intero abito.
- Ditemi, cosa ne pensate? - gli domandò la donna mentre il giovane distrattamente si studiava allo specchio.
Si voltò verso il servitore, ancora seduto sul divano ad assistere a quanto stava succedendo.
- René, che te ne pare? - domandò Jean allargando le braccia in modo da far vedere l’abito, anche se ancora da rifinire, nel suo completo.
- Direi che vi sta bene, padron Jean. - fu la risposta sincera dell’amico, che lo aveva studiato qualche istante prima di replicare.
Il ragazzo lo ringraziò con un cenno della testa e un sorriso, poi fece per voltarsi verso la sarta, quando ebbe un’idea: forse aveva trovato il modo di non farsi notare. Quindi si girò verso la donna, e con voce calma e gentile, prese a parlare.
- Signora, potete lasciarci soli un momento? - le domandò, sperando che ella acconsentisse.
La donna rimase un po’ stupita dalla richiesta del giovane nobile: chissà che aveva da confabulare di così segreto con il suo servo da chiederle di uscire, ma d’altro canto, convenne che non era pagata per fare domande e impicciarsi degli affari altrui, dunque con un cenno del capo si congedò dai due, che la seguirono con lo sguardo finché non fu uscita, chiudendosi la porta dietro. Una volta sicuro che la sarta non avesse lasciato la porta aperta, Jean si voltò verso il suo amico con uno strano sorrisetto, che invece lo guardò con aria interrogativa. Che cosa passava per la testa del giovane ladro?
- René… tu ed io abbiamo la stessa taglia, non è vero? - domandò il ragazzo mantenendo un sorrisetto furbo mentre squadrava da capo a piedi l’altro.
-…Sì…? - fu la risposta del servitore, che non comprendeva dove volesse arrivare il suo padrone. - Ma perché questa domanda? Dove volete andare a parare? - chiese successivamente.
Il giovane nobile si avvicinò all’amico, e gli poggiò le mani sulle spalle, continuando a sorridere.
- Amico mio, dovrai prendere il mio posto al ballo! - decretò lasciando René di stucco.
- Eh? - fu tutto ciò che egli riuscì a dire, provocando una leggera risata sa parte del nobile, che aveva previsto una reazione simile.
- Allora, come ben sai ho intenzione di sfruttare il ballo per ripulire le case dei nobili invitati da mio padre, e fin qui ci siamo. Sai anche che l’idea del ballo in maschera è stata mia, ma a che serviva? Semplice: se tutti indossano una maschera non è possibile riconoscere ogni singolo presente, quindi io potrei anche allontanarmi e nessuno ci farebbe grande caso. - spiegò Jean con calma, lasciando la presa sulle spalle del servitore. - Ma sorge un problema: spesso ci sono ragazze che vogliono ballare con me, e quindi se io sparissi la cosa attirerebbe l’attenzione. Come si risolve quindi? - domandò, in maniera retorica. - Beh, è qui che entri in gioco tu: abbiamo la stessa taglia, quindi potresti benissimo indossare il mio abito, e partecipare al ballo fingendo di essere me! - propose, per così dire, il giovane.
La proposta lasciò senza parole René: lui, un ballo?! Un misero servitore, partecipare a un ballo? La cosa gli pareva fin troppo assurda per essere vera.
- Padron Jean, partendo dal fatto che io in quanto semplice servitore non dovrei prestarmi a questo genere di cose, c’è un piccolo problema: per partecipare a un ballo, bisogna anche saper ballare, e io non so ballare. - spiegò il ragazzo, anche se dubitava che questo particolare potesse distogliere l’amico dai suoi propositi.
Jean nonostante quell’affermazione, non smise di sorridere, tranquillo e ottimista.
- Oh, a questo ci posso pensare io! T’insegnerò io stesso a ballare! - disse il giovane nobile.
- Chissà perché, temevo che l’avreste detto… - replicò l’altro con un sospiro.
- Su, hai sempre detto di volerti rendere utile, no? Questa è l’occasione per farlo! E poi, infondo ballare potrebbe tornarti utile anche in futuro. - cercò ancora di convincerlo senza mai mollare, anche perché aveva delle ottime argomentazioni. - Adesso vorrei far rientrare la sarta e lasciare che tu torni ad occuparti dei tuoi compiti, ci troveremo nel vecchio magazzino domani mattina alle dieci per iniziare la tua lezione di ballo. Ti insegnerò almeno le cose basilari, in modo che tu possa danzare con chi te lo chiederà.
René fece un leggero inchino all’amico, che prima di ogni altra cosa era il suo signore, in segno di rispetto.
- Come desiderate, padron Jean.
E detto questo, prese la porta, trovando poco lontano da essa la sarta, che paziente aspettava, e che entrò poco dopo per terminare per quel giorno i ritocchi al vestito da ballo.
 
Nel frattempo, Maria nelle sue stanze aveva non pochi problemi con le domestiche e la sarta, per motivi per lei non molto semplici, e per le altre donne dell’epoca invece piuttosto banali.
- Noo, nooo! - stava urlando come una disperata la ragazzina. - Lasciatemi! Noo!
A sentire quelle grida da fuori, le domestiche si allontanavano preoccupate. Cosa le stavano facendo? Sembrava che la stessero torturando! Ma se si fossero affacciate, avrebbero visto dove effettivamente stava il problema.
- Se mi fate mettere quella robaccia finirà che non riuscirò a respirare! - stava urlando, all’angolo come un animale selvatico in trappola, mentre indicava disgustata un corsetto che una delle domestiche le porgeva.
Non poteva sopportare quegli attrezzi infernali da mettere sotto gli abiti, ogni qualvolta che doveva infilarne uno, si sentiva soffocare, e non intendeva sopportare quell’orribile sensazione solo per uno stupido ballo indetto da suo padre. Lo sapeva benissimo che doveva esserci qualcosa dietro a quel ballo: non gli era mai particolarmente importato dei figli, soprattutto di François, che era il più giovane e al momento inutile nella famiglia. Era chiaro che il ritorno a casa del terzogenito doveva essere solo una scusa, conoscendolo probabilmente doveva invitare qualche nuovo cliente e fare una buona impressione su di lui, e quale occasione migliore di un ballo?
<>pensò.
- Per favore, mademoiselle Maria, la sarta arriverà fra poco anche da voi, non siate così restia…
La voce di una delle cameriere la strappò ai suoi pensieri e la riportò alla realtà. La giovane serva stringeva timidamente fra le mani il corsetto, cercando di convincere la nobile a indossarlo, ma era praticamente certa che non sarebbe servito a nulla.
- Marianne, piuttosto che mettere quell’affare preferisco girare nuda! - replicò la ragazzina con un tono che non ammetteva repliche, facendo abbassare mortificata lo sguardo della sua interlocutrice.
Marianne era cresciuta nello stesso orfanotrofio da cui arrivava René, e suo fratello Jean la considerava un’ottima amica, al pari del suo servitore. Anche per Maria era come una cara amica, spesso le confidava le sue avventure a caccia di Black Rose, ma ancora di più erano le volte in cui era la giovane serva a confidare le sue paure e preoccupazioni alla sua giovane signora. Era una ragazza piuttosto timida, con un altezza tutto sommato nella media, e dei lunghi capelli color rame che raccolti in una lunga treccia le arrivavano fino alla vita. Doveva avere circa diciassette anni, essendo orfana non sapeva bene quando era nata e perciò non si poteva definire con precisione, ma in ogni caso a volte era così timida e spaurita, che sembrava una bambina, soprattutto in confronto a Maria.
In quel momento qualcuno bussò alla porta: era la sarta, che una volta terminato con Jean era venuta per occuparsi del vestito della secondogenita. Quando vide la diretta interessata, ancora semi nuda, ebbe un moto di stizza: le stavano facendo perdere tempo prezioso.
- Signorina, cielo, credevo foste già pronta! - esclamò.
- Il fatto è che, madame, la signorina si rifiuta di indossare il corsetto… - spiegò un’altra delle serve.
- L’ho già detto e lo ripeto: non intendo mettere quell’aggeggio infernale! Piuttosto giro nuda! - fu la replica decisa della giovane nobile.
La sarta la studiò per qualche istante, dopodiché, si abbandonò a un sospiro: trattare con i nobili era sempre allucinante.
- D’accordo, allora adatterò l’abito in modo che possiate portarlo senza corsetto… - si arrese la donna, per la gioia di Maria.
Ella dunque se ne andò tranquilla dall’angolo in cui s’era rintanata, e come se nulla fosse accaduto prese il suo posto davanti allo specchio, sullo sgabello mentre la sarta la aiutava a indossare l’abito. Una volta infilato, lo guardò con disgusto, come spesso faceva con gran parte dei vestiti che aveva: con quelle gonne enormi e le scollature, proprio non stava a suo agio! Cosa avrebbe dato per poter indossare anche al ballo un bell’abito da uomo come quello che certamente s’era fatto fare suo fratello. Sospirò, affranta. Gli abiti da uomo erano magnifici, non impedivano i movimenti, anzi, erano più funzionali e permettevano di muoversi liberamente, quelli da donna invece erano scomodi, stretti sul busto, con gonne che erano così grandi a volte da sembrare tavoli, e altre che invece appena soffiava forte il vento rischiavano di mettere in mostra ciò che non andrebbe mostrato, e per di più erano troppo elaborati e pieni di fronzoli, il tipo di cose che lei detestava di più.
- Vi va bene l’abito fatto in questo modo? - le domandò la sarta, che mentre la giovane era persa nei suoi pensieri aveva iniziato a lavorare sul vestito.
Maria controllò per qualche istante il lavoro, notando subito ciò che non andava: la scollatura e il busto.
- A dire il vero no: prima di tutto il busto è troppo stretto, poi la scollatura è decisamente esagerata, e infine, perché tutti questi orribili fiocchi?
Se già non amava farsi fare gli abiti, ancora più irritante era quando non erano adatti a lei. Questi problemi le facevano venire il nervoso, e in cuor suo sperava che la sera del ballo non arrivasse mai.
 
Quel pomeriggio, Jean con la scusa di voler fare quattro passi per sgranchirsi le gambe, uscì di casa, e dopo essersi cambiato con abiti più modesti, in modo da non dare nell’occhio, s’incamminò verso il quartiere medio della sua città. Era lunga a farla a piedi, soprattutto se non si conosceva la strada, ma ormai era abituato, e soprattutto conosceva non poche scorciatoie grazie alle quali non perdeva tempo. Se avesse percorso tutta la strada in linea retta, sarebbe dovuto passare per il distretto più povero, e non gli andava molto di dover vedere nuovamente il degrado di quel posto, sarebbe stato fin troppo triste, soprattutto dopo quella volta in cui aveva assistito all’impiccagione di una ragazzina che aveva semplicemente rubato del cibo. Ma conosceva numerose strade alternative, grazie alle quali sarebbe arrivato a destinazione in poco tempo. Inoltre, questa volta non sarebbe stato nemmeno un grande problema se qualcuno lo avesse notato, la sua attività sarebbe stata assolutamente normale: chi avrebbe mai potuto sospettare che il giovane che stava osservando, fosse il famigerato ladro Black Rose? Nessuno. Facendo attenzione che nessun nobile lo vedesse, prese una stradina laterale che dalla piazzetta vicino alla chiesa del borgo scendeva giù attraversando un muro, e sbucava in un’altra strada laterale, ancora del suo borgo natio, e proseguiva dritta. Fortunatamente se non in carrozza, difficilmente passava in quel lato del borgo, dunque vestito con abiti umili poteva passare inosservato, e magari essere scambiato per un nuovo servitore di qualche famiglia della zona. Attraversò con passo veloce quella strada, chiusa fra due ville sontuose, ed uscì in strada. Di lì proseguì verso sud per alcuni metri, dopodiché prese un’altra strada laterale, senza incontrare anima viva. Evidentemente a nessuno andava di uscire a quell’ora. Dopo numerose svolte, in ogni sorta di direzione, attraverso strade più o meno strette e conosciute, finalmente vide il viale alberato caratteristico della strada principale: era quasi arrivato. Affrettò il passo, guardando le insegne delle varie botteghe che si affacciavano sul viale, alla ricerca di quella che interessava a lui. L’aveva vista una delle ultime volte che era venuto nel distretto, ma non ricordava di preciso dove fosse situata, per questo studiava attentamente le insegne della via principale.
<>pensò continuando a cercare con lo sguardo l’insegna.
C’era una bottega di artigianato, una di strumenti musicali, e molte altre ancora, ma di ciò che lui cercava pareva non esserci traccia. Oppure no? Alla fine, individuò l’insegna: era nascosta dalle foglie di un albero, e dall’ombra di un’altra insegna, per questo non l’aveva vista.
Senza dunque perdere altro tempo, si diresse verso la bottega, fermandosi qualche istante sulla porta, su cui era poggiata una targhetta con lo stesso nome presente sull’insegna. “Sartoria Roussel” recitava la targhetta.
A differenza delle volte in cui si era avventurato per il quartiere per incontrare l’usuraio, questa volta non aveva bisogno di nascondere il volto, o cercare di passare inosservato: chi mai avrebbe potuto sospettare di un giovane di fronte a una sartoria? Senza attendere oltre, aprì la porta ed entrò. La stanza su cui la porta si apriva era quadrata, il pavimento composto da assi di legno scure e un po’ scricchiolanti al passaggio delle persone. A ridosso della parete alla sua destra si trovava un divano con lo schienale e i braccioli imbottiti, e rivestiti di stoffa tendente al rosa. Nell’angolo vicino alla porta e verso il centro della stanza si trovavano due manichini, entrambi con abiti più o meno terminati indosso; a pochi passi dal divano c’era un tavolino in legno massiccio, su cui erano poggiati vari puntaspilli, e un cesto con i fili. Appoggiato alla parete alla sua sinistra invece si trovava un gigantesco scaffale che copriva buona parte del muro, da cui si vedevano chiaramente spuntare numerosi gomitoli di lana, di cui una parte era nascosta dietro un bancone dall’aria piuttosto pesante, dove probabilmente la sarta si occupava di ricevere i clienti, o forse direttamente vendeva i materiali come in una merceria. La stanza era illuminata da un’ampia finestra a sinistra della porta, ed era separata da una stanza accanto solo tramite una spessa tenda di un bianco sporco.
- Buon pomeriggio, c’è nessuno? - domandò avanzando verso il divano, in attesa che qualcuno gli rispondesse.
Per qualche momento nella stanza calò il silenzio: pareva che non ci fosse anima viva là dentro, quasi come se la sartoria fosse stata abbandonata. Ma quel silenzio di tomba venne presto interrotto da un rumore veloce di passi, quasi una corsa.
- Arrivo subito! - disse una voce di donna, che anticipò l’arrivo della sua proprietaria, che scapicollò nell’ingresso, tutta trafelata.
Era una donnina di mezz’età, magrolina e dall’aria allampanata, i capelli ormai grigi erano raccolti in una crocchia mezza sfatta, da cui cadevano delle ciocche; i vestiti che indossava erano di foggia semplice, senza fronzoli, e con le maniche rimboccate, segno che era sempre all’opera.
- Siete voi la sarta? - domandò cortesemente Jean.
- Sì, sono io, desiderate?
- Beh, sono qui perché vorrei farmi confezionare un abito per una festa in maschera. - spiegò con un leggero sorriso imbarazzato. In realtà era tutta una sceneggiata, per aumentare l’impressione che egli fosse di umili origini. - Voglio fare una sorpresa a dei miei amici che vi partecipano, e presentarmi con un bell’abito, ma ovviamente una sarta privata non me la potrei mai permettere, ed è per questo che sono venuto qui. Voi credete di riuscire a cucirmi un abito entro poco tempo? - domandò infine.
La donna lo studiò per qualche istante il fisico del giovane nobile, una mano poggiata sotto il mento, mentre gli occhi si assottigliavano e lei prendeva a girargli intorno, ma senza mai toccare. Evidentemente stava pensando a tutte la possibilità che dava un corpo come quello di Jean in quanto ad abiti.
- Giovanotto, avete un qualche modello in mente per questo abito che vorreste vi cucissi? - domandò infine la donna, che aveva l’aria di essere interessata.
- Beh… sì, vorrei un abito sul classico, ma allo stesso tempo, diverso dal solito: vorrei che fosse completamente neri, solo con dei decori argentati ai bordi. - spiegò lui, guardandola un po’ perplesso, faticando inizialmente a comprendere dove volesse arrivare.
- Nero, eh?
- Sì, voglio che sia particolare.
Il motivo per cui voleva farsi un abito per il ballo in maschera, nonostante un’altra sarta se ne stesse già occupando, era semplice: aveva intenzione di muoversi fra gli invitati come uno di questi, rubando quanto era possibile dei loro averi che si sarebbero portati dietro, e con la scusa, anche per non destare sospetti, qualcosa di proprietà di suo padre. Se René indossava i suoi abiti, fingendosi lui, nessuno avrebbe sospettato che egli potesse essere Black Rose, e dunque se la sarebbe cavata ancora una volta. Solo poco prima di mettersi in cammino verso la sartoria aveva pensato a questa parte del piano, inizialmente voleva solamente svuotare le case degli invitati, ma agire anche fra di loro non gli pareva una cattiva idea.
La sarta sorrise, aveva l’aria soddisfatta, forse non aveva voglia di fare sempre più o meno gli stessi abiti.
- In realtà è da qualche tempo che non mi veniva commissionato un abito, soprattutto per un ballo, ormai tiravo avanti con la merceria, ma sono felice di potermi mettere nuovamente al lavoro. Fra quanto si terrà l’evento?
- Beh, sarebbe fra sei giorni, credete di riuscire a fare in tempo?
La donna parve rifletterci qualche istante, dopodiché rispose.
- Dato che è l’unico che ho da fare, direi di sì, ma avrò bisogno che voi veniate qui tutti i giorni, in modo che possa sempre prendere le misure necessarie e adattare tutto al vostro fisico. Per voi è un problema?
Jean scosse la testa tranquillamente, prima di dire esattamente ciò che i suoi gesti avevano anticipato.
- No, stia tranquilla, non ho alcun problema, solo, non le garantisco di poter venire sempre allo stesso orario. - le disse con un leggero sorriso. - Se mi allontanassi dalla bottega senza una valida scusa, i miei amici s’insospettirebbero, a allora addio sorpresa! - mentì spudoratamente e con naturalezza.
- Capisco… d’accordo. Ma mentre ci siamo, vorrei iniziare a prendervi le misure da ora, se non vi dispiace. - replicò la signora.
Jean acconsentì: prima iniziavano, e prima il vestito sarebbe stato pronto.
 
La mattina seguente, alle dieci, esattamente come si erano accordati il giorno prima, sia Jean che René si trovarono nella stanza che nell’ala dedicata alla servitù era adibita a magazzino. Ma, con grande sorpresa di René, non erano soli: al fianco di Jean c’era Marianne, cara amica per i due ragazzi, nonché cameriera alla villa. Che cosa ci faceva lei lì? La ragazza aveva l’aria imbarazzata: si sentiva fuori posto lì, come se la sua presenza non fosse richiesta. Il servitore invece era senza parole, non capiva perché lei si trovasse con loro. Che avesse scoperto il segreto di Jean?
- Padron Jean, che cosa ci fa lei qui? - chiese indicandola
Il giovane sfoggiò un sorrisetto piuttosto furbo mentre osservava l’amico.
- Se vuoi imparare a ballare, avrai bisogno di una dama, no?
René fissò la cameriera per qualche istante, ma quando anche lei stava per fare altrettanto, velocemente distolse lo sguardo, imbarazzato.
- Credevo che sareste stato voi a fare da insegnante… - osservò.
- Certo che ti insegnerò io, ma con l’aiuto di Marianne, che qualcosa di basilare ha imparato in questi anni. Sarebbe ridicolo se noi, che siamo due uomini, ballassimo assieme, non trovi? Perciò lei farà da tramite. - spiegò, passando lo sguardo da l’uno all’altro.
Batté una volta le mani, dopodiché riprese a  parlare. - Su! Ora mettetevi in posizione, che s’inizia. - disse per poi incrociare le braccia al petto, in attesa che i due si sistemassero come durante un ballo.
In realtà parevano un poco titubanti riguardo al da farsi, tuttavia senza proteste fecero come era stato loro detto. Bastava guardare le loro posture per capire immediatamente che solo Marianne aveva una qualche minima esperienza, mentre il ragazzo probabilmente era una zappa senza grazia. Riuscire in cinque giorni a insegnargli quel tanto di ogni danza in programma per la serata, per non fare brutta figura e reggere lo scambio, sarebbe stata davvero dura.
- René, hai già sbagliato: pancia in dentro e petto in fuori! Stai più dritto e metti un piede avanti, così appena iniziano le danze puoi già partire. Io per abitudine lo faccio, ti permette di avere uno slancio in più all’inizio.- disse Jean, che ormai da qualche anno aveva ormai imparato come cavarsela bene in questo tipo di eventi.
Il diretto interessato si affrettò a correggersi, per poi lanciare al padrone uno sguardo che diceva: “E poi?”. Il nobile lo studiò per alcuni istanti, cercando di capire che cosa potesse ancora correggere, ma alla fine si limitò ad annuire, tutto sommato soddisfatto di quanto stava facendo il servo.
- Ora si inizia con i veri passi di danza. Marianne, tu per prima cosa devi avanzare nella posizione d’invito alla danza, mentre tu René, guarda me e poi ripeti. - spiegò il ragazzo con l’aria di un vero maestro.
La giovane cameriera fece come le era stato detto, anche se in maniera molto semplice e un poco goffa, non essendo abituata a quel tipo di gestualità, ma tanto bastò perché il giovane nobile rispondesse come quel tipo di danza esigeva, e dunque avanzò verso di lei a grandi bassi leggermente saltellati, quasi come se galoppasse. Dai suoi movimenti era palese che fosse abituato a danzare, infondo le feste danzati per la sua classe sociale era all’ordine del giorno. Si avvicinò tendendole la mano destra, mentre la giovane serva faceva altrettanto. Il contatto fra queste due però non avvenne: rimasero tese a poco più di un centimetro l’una dall’altra, mentre i due giovani si spostavano con un movimento circolare. Jean era fluido, Marianne molto goffa e tentennante, d’altronde non aveva mai ballato se non una volta ogni tanto con le altre cameriere giusto per provare.
- Bene, per ora basta così. - disse il giovane nobile fermandosi e attendendo che la ragazza facesse altrettanto.
Lanciò un’occhiata all’amico, che si teneva distante dal punto in cui avevano ballato.
- Dai, ora tocca a te, io batto il tempo con le mani, tu cerca di fare come ho fatto io.
Il ragazzo annuì, e si mise in posizione di fronte alla serva come aveva fatto poco prima il padrone, anche se con un leggero imbarazzo. Al primo battito di mano che sentì, si diede un leggero slancio e avanzò cercando di imitare al meglio i passi che aveva visto. Di per sé sembrava facile, ma dato che il suo scopo era anche quello di seguire lo stile di ballo che gli veniva mostrato, era più complicato del previsto.
Provarono ogni singolo passo di numerose danze per quasi tre ore, senza mai pronunciare una minima parola riguardo al piano per il ballo, poiché non erano soli. Se Marianne avesse sentito poi avrebbe iniziato a fare domande e tutto sarebbe andato in fumo. Alla fine, si diedero appuntamento per il giorno seguente alla stessa ora, dopodiché ognuno andò per la sua strada.
 
Quel pomeriggio, con la scusa di voler fare una passeggiata, Jean decise di andare a dare un’occhiata da vicino alle abitazioni di quelli che avrebbero partecipato alla festa. Nessuno s’insospettì: tutti alla villa sapevano bene quanto il giovane amasse fare quattro passi in città, invece che andare chissà dove a cavallo come molti suoi coetanei. Non tutti vedevano di buon occhio la cosa, soprattutto i servitori più anziani, ma ormai ci avevano fatto l’abitudine. Ecco perché sceglieva sempre quella scusa. Se voleva avere almeno una mezza idea di quali potessero essere i punti migliori per intrufolarsi nelle abitazioni, doveva fare una ricerca sul campo. Sfortunatamente gli invitati erano anche troppi , in una notte non sarebbe mai potuto entrare in ciascuna delle ville, né in quei giorni sarebbe stato in grado di infiltrarsi in esse. Motivo per cui, si sarebbe limitato a studiarle da fuori.
Poiché non amava far sfoggio della sua condizione sociale, e dato che per lui era poco più che una passeggiata, non indossava abiti particolarmente vistosi, cosa che invece molti altri al suo posto avrebbero fatto; si trattava solo di una giacca beige senza ricami, una camicia senza l’usuale fazzoletto, e dei pantaloni marroni che si fermavano al ginocchio. Con un vestiario di quel tipo, era complicato capire a quale classe appartenesse.
Molte delle ville erano distanti fra loro, praticamente erano sparse per tutto il quartiere ricco, lo aveva scoperto confrontando gli indirizzi con una copia della mappa che era stata data a un paggio per consegnare gli inviti. Decise quindi di fare una cernita, e scegliere solo quelle più vicine fra loro, e quelle magari non troppo distanti dalla villa. Poi c’erano ancora da togliere quelle di coloro che non avrebbero partecipato alla festa, perché era ovvio che qualcuno avrebbe disdetto, chi perché già impegnato, chi perché non aveva voglia, oppure non sopportava monsieur De la Rou o uno degli invitati. La sera del furto le case svaligiate sarebbero state meno di quelle inizialmente previste.
La prima abitazione da lui puntata che incontrò sulla strada, fu quella del barone Dupond. Fra tutte quelle del vicinato spiccava per via delle grandi dimensioni e per l’eccesso di ghirigori tipici del rococò. Era strutturata su tre piani con numerose finestre e balconate di varie dimensioni ed era circondata da un vasto giardino. Il barone era un tipo eccentrico, amante in maniera esagerata dello sfarzo e delle piante, di cui secondo alcune voci straripava perfino all’interno. Jean facendo attenzione che l strada fosse libera, e nessuno lo guardasse, attraversò e prese a girare intorno alla dimora, alla ricerca di qualcosa che potesse consentirgli di introdursi silenziosamente. Sapeva che il proprietario era un tipo strano e anche trasandato, non si sarebbe particolarmente stupito di scoprire un qualche passaggio segreto che gli permettesse di fare dentro e fuori dall’abitazione.
Si spostò di lato alla casa, costeggiando la cancellata, e in quel momento vide qualcosa che gli avrebbe sicuramente consentito di introdursi: accanto alla villa cresceva un albero di una buona altezza e con rami robusti che arrivavano quasi a una delle balconate. Se si fosse arrampicato su quello, si sarebbe potuto introdurre senza la minima difficoltà, ovviamente, se non ci fossero stati imprevisti. Studiò qualche istante la posizione dell’albero, riflettendo su quale fosse il modo migliore di arrampicarsi, dopodiché, facendo attenzione che non lo notasse nessuno, se ne andò. Un modo di entrare con tutta probabilità lo aveva appena trovato, non serviva fermarsi oltre.
Proseguì dritto per la strada, dirigendosi verso la prossima villa, che si trovava forse anche a un paio di kilometri rispetto alla sua posizione in quel momento. Fortunatamente, era una delle poche che aveva scelto ad essere un po’ lontana.
Dopo quasi venti minuti di cammino gli mancava poco per raggiungere il secondo obiettivo, quando sentì una voce femminile che gridava.
- Lasciatemi! Non voglio! - sentì esclamare.
Non capendo che cosa stesse succedendo cercò di individuare la fonte della voce. Capì che arrivava da una stradina nascosta fra due abitazioni. Accelerò il passo e ci si addentrò: voleva scoprire il motivo delle urla della giovane. In realtà, gli bastarono pochi passi per rendersi conto della situazione. Al fondo della strada, che notò essere senza uscita poiché terminava davanti alla cancellata della villa più grande della città, c’era una ragazza, una giovane serva a giudicare dalla divisa che aveva indosso, con le spalle al muro, davanti a cui si paravano due giovani, palesemente nobili.
- Avanti, non fare la difficile, ci divertiremo assieme! - le stava dicendo uno dei due, ridendo.
- No, vi prego! - replicò lei con la voce quasi rotta dal pianto.
Vide che presero a strattonarla, cercando di portarla con loro.
- Osi ribellarti? Dovresti essere felice di poter servire dei nobili, donna! - esclamò il secondo ragazzo.
Jean strinse i pugni furioso. Perché dovevano comportarsi in quel modo?! Il solo fatto che fossero nobili non li autorizzava a spadroneggiare sugli altri! Avanzò di alcuni passi verso di loro, deciso a fermarli.
- Hey! Non avere sentito la ragazza? Non vuole venire con voi. Oppure siete così stupidi che bisogna spiegarvelo parola per parola? - disse in realtà con l’unico scopo di attirare l’attenzione su di sé.
I due si voltarono verso di lui, palesemente offesi e punti sul vivo da quella provocazione.
- E tu che vuoi? Vattene, non sono affari tuoi! - esclamò uno dei due nobili, avvicinandosi con fare arrogante.
Jean incrociò le braccia e osservandolo rise.
- Beh, sai com’è, non mi piace vedere una ragazza indifesa in balia di due esseri senza cervello come voi. È chiaro che siete più forti, dunque perché non ve la prendete con qualcuno alla vostra altezza? - domandò con tono pacato, ma palesemente ironico.
La reazione a quelle parole così pungenti non tardò ad arrivare: il ragazzo che aveva risposto a Jean s’infervorò immediatamente.
- Ma come osi…! - esclamò mentre a grandi passi si avvicinava al giovane ladro, intenzionato a colpirlo.
Peccato che non fece in tempo ad afferrarlo, che il giovane De la Rou con la mano sinistra colpì il braccio del suo avversario in modo da farglielo abbassare, dopodiché con la destra gli tirò un pugno nello stomaco che per un istante mozzò il fiato all’aggressore, che incapace di reagire, si beccò un colpo al collo, che lo stese. Il suo compagno osservò sorpreso la scena per qualche istante, poi estrasse la spada e si avventò contro Jean, che però estrasse la sua, fortunatamente aveva ben pensato di portarsela dietro in modo da potersi difendere, che infilò sotto quella dell’avversario, per poi farla ruotare in modo da ribaltare la situazione, e bloccare l’attacco, dunque con un altro cazzotto mise fuori gioco anche lui.
La giovane serva era ancora con le spalle rivolte al muro e gli occhi sgranati dallo stupore per quanto era appena accaduto. Trasse un sospiro di sollievo, poi timidamente si avvicinò al suo salvatore.
- Ehm… vi ringrazio per l’aiuto. Se non foste arrivato voi non so cosa mi avrebbero fatto. - disse grata.
Jean si voltò verso di lei rinfoderando la spada e sorridendo gentilmente.
- Di nulla, non sopporto chi se la prende con chi non si può difendere. - rispose per poi gettare un’occhiata ai due che aveva steso. - E in ogni caso, sono deluso: è stato facile metterli fuori gioco!
Dunque se ne andò, tornando a occuparsi della ricerca delle ville da svaligiare, mostrandosi tranquillo, quasi indifferente, ma il suo animo era fuori di sé dalla collera e dalla delusione.
<>si domandava, non poco turbato.
Non sopportava le ingiustizie di qualunque tipo fossero. Una volta era un nobile che aveva ingannato un pover’uomo, ora quei due che a momenti violentavano una serva, tutti facevano i loro schifosi comodi! E questo gli faceva venire una gran rabbia. Ma che cosa poteva fare lui? Poco o niente, non era che una mosca bianca fra tanti corrotti. Era solo contro tanti, non aveva possibilità, l’unica opzione era quella di continuare per la sua strada. Sospirò. Infondo, era proprio per questo che era diventato Black Rose. Certo, non era il massimo della legalità, ma tutto sommato lui si limitava a prendere da chi ha troppo per dare a chi invece non ha nulla o poco più.
Si guardò intorno, controllando la strada da prendere in modo da fare il più in fretta possibile, e dunque s’incamminò alla volta della seconda casa.



Ok, sono tornata, dopo sette mesi, ma ci sono! D: Non abbandonatemi povere anime pie che seguite questa storia! >.< In originale il capitolo era molto più lungo, ma dato che veniva 15 pagine, ho pensato di divederlo ^^'' ma non c'è timore, perché lo pubblico finito di scrivere con questo XD Voglio ringraziare debby95, infernapenergy e Live is Life per aver messo la storia fra le seguite (grazie mille! Mi sento realizzata a sapere che c'è chi segue! *-*) e poi Marykai96, MSMistiKa e ancora infernapenergy per averla messa fra le seguite! Me ne sono resa conto solo tipo una settimana fa che c'era chi seguiva o.o''
In ogni caso, anche se ci metto mesi e mesi per scrivere un cpaitolo, abbiate fiducia che continuerò a pubblicare, non mi abbandonate, ok? >.<

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Capitolo 9
*** Il ballo ***


Il giorno del ballo finalmente arrivò. Quella sera il numero degli ospiti era piuttosto elevato. Ovviamente rispetto a quelli invitati era minore, ma questo era normale in simili occasioni. Il piccolo Charle, il motivo per cui c’era quella festa, era nel salone che chiacchierava con un altro bambino della sua età, l’unico presente oltre a lui, mentre monsieur De la Rou all’ingresso salutava e dava il benvenuto agli ospiti. Con la scusa del ritorno a casa del figlio più giovane, l’uomo aveva cercato di riunire nella sua dimora amici, collaboratori e uomini con cui avrebbe voluto fare affari, in modo da farsi notare in vista di collaborazioni future. Era tutto calcolato.
Jean nel frattempo si trovava nella sua stanza, dove si stava preparando assieme a René, con cui stava nel frattempo discutendo i dettagli del piano per la serata.
- Allora, non c’è molto tempo da perdere questa sera. Dopo le presentazioni, e l’inizio delle dance, vedrò di allontanarmi con una qualche scusa. - disse il giovane nobile mentre allo specchio si abbottonava la giacca.
- A quel punto toccherà a me, che indosserò i vostri abiti e tornerò alla festa facendomi passare per voi, giusto? - intervenne il servitore, che a braccia conserte e appoggiato alla porta ascoltava il ragionamento del suo padrone.
- Corretto. Con quanto ti ho insegnato, dovresti avere delle conoscenze di ballo più che sufficienti per reggere il gioco per buona parte della serata senza destare sospetti. Ovviamente per fare ciò dovrai tenerti alla larga da mia sorella e da mio padre, i quali potrebbero facilmente smascherarti. Fin qui tutto chiaro?
- Perfettamente.
- Ottimo. E mentre tu ti spaccerai per me al ballo, io invece andrò a ripulire qualche villa, poi tornerò. Ma finché non ti darò io il segnale, non ci dovremo ricambiare, in quanto ho ancora alcune cose da fare. - gli disse, ma senza rivelare nei particolari le sue intenzioni.
Il servitore rimase qualche istante interdetto, ma poi fece spallucce: se non aveva specificato, un motivo doveva esserci.
- Come volete. - si limitò a rispondere.
Jean sorrise, e dopo aver controllato di essere in ordine, si avviò verso la porta.
- Bene, allora andiamo! - esclamò.
 
Intanto, nella sua stanza, anche Maria, seppur controvoglia, si stava preparando. Marianne, la cameriera, le stava allacciando il busto dell’abito, mentre la giovane nobile fra sbuffi e sospiri si osservava disgustata allo specchio: fosse stato per lei, piuttosto che mettere quella robaccia, avrebbe di gran lunga preferito andare in giro nuda.
- Siamo sicuri che anche la mia presenza sia richiesta? Devo proprio andare? - stava domandando con aria afflitta alla serva.
- Sì, signorina: come membro della famiglia De la Rou è vostro dovere presenziare, in particolar modo se l’evento si svolge in casa vostra. - fu la pacata risposta.
La ragazza sospirò ancora. - Perché non ci vai tu al mio posto? Ho così tanti abiti che qualcuno che potrebbe starti di sicuro c’è! - propose, nella vaga speranza che la cameriera accettasse.
Ella però in tutta risposta si limitò a ridacchiare.
- Signorina, non dite sciocchezze, ve ne prego! Prima di tutto non ci somigliamo nemmeno lontanamente, inoltre, un’umile servitrice come me non potrebbe mai prendere parte a un simile ballo! Per quale motivo siete così restia?
- Mi pare ovvio! Perché odio i balli, sono pieni di gente irritante e noiosa! Tutti fissati con i convenevoli e il buon nome del loro casato. Tsk! Mi disgustano! E poi… odio i balli a causa di questa roba che mi tocca mettere! Potessi per lo meno vestirmi come Jean e mio padre! Ma invece no, sono costretta dentro a questi abiti infernali…
In realtà, quelli non erano gli unici motivi. Sapeva bene che suo padre, freddo e calcolatore uomo d’affari qual’era, non poteva dare un ballo per un motivo così banale. Doveva ricavarne qualche profitto, in qualche modo. E tutto ciò con buone probabilità, avrebbe coinvolto anche lei e i suoi fratelli. Più di una volta aveva approfittato di eventi mondani e visite di cortesia per il proprio tornaconto. Molte volte aveva cercato di rifilarle un ragazzo che si adattasse ai suoi scopi, in modo magari da entrare in buoni rapporti con qualche famiglia per qualche affare, dunque non si sarebbe sorpresa se questa volta nei suoi piani avesse incluso non solo lei, ma anche Jean e Charle.
Odiava quell’uomo, non aveva scrupoli e metteva il lavoro davanti a tutto. Sapeva benissimo quanto poco in realtà gli importasse dei suoi figli, con loro era sempre piuttosto freddo. Se non fosse stato per le ultime volontà di sua madre, che lo aveva scongiurato di non dividere la famiglia, a quest’ora lei a Charle sarebbero stati destinati alla vita monacale in modo che il patrimonio andasse a Jean. Apparteneva a quella categoria di persone che più di una volta s’era ritrovata a criticare assieme al fratello maggiore. Come poteva essere suo padre? Le veniva quasi da vergognarsi.
I suoi pensieri furono interrotti da alcuni leggeri colpi alla porta.
- Signorina, siete pronta? Vostro padre vi attende sotto. - disse una cameriera da oltre la porta.
- D’accordo, vengo… - rispose la nobile non prima dell’ennesimo sbuffo.
 
Il salone era perfettamente splendente, brillava quasi come se fosse stato d’oro, grazie alla luce di numerose candele e dei lampadari di vetro che pendevano dal soffitto. L’intera stanza era praticamente piena di ospiti riccamente abbigliati e con maschere di pregiata.
Monsieur De la Rou fece il suo ingresso seguito dai tre figli. Indossava una giacca rosso carminio con dei decori dorati, un paio di pantaloni neri e la camicia bianca. Jean invece aveva una giacca marrone - dorato von decori color argento, la camicia bianca, e dei pantaloni marroni. Maria vestiva un abito color pesca con ricami e pizzi vari, che cercava di sistemare nonostante fosse tentata di strapparlo. Infine, il piccolo Charle portava gli stessi abiti del padre, solo in taglia più piccola. Il padrone di casa osservò con fierezza gli invitati e la sala, e dunque prese la parola.
- Signori, benvenuti! Vi ringrazio per essere venuti così numerosi! Ho voluto dare questo ballo per dare il bentornato al mio terzogenito Charle, tornato pochi giorni fa dal collegio. Il mio desiderio è che sia lui che voi vi divertiate!
Maria e Jean ascoltavano il discorso del padre piuttosto scettici. Sapevano bene che non erano cose da lui, doveva esserci un secondo fine. Il giovane nobile però cercò di non pensarci e di occuparsi dei suoi furti.
- Sai che vestita così sembri davvero una ragazza? - commentò sghignazzando rivolto alla sorella.
Era divertente prenderla in giro ogni tanto! Ma evidentemente lei non la pensava allo stesso modo, in quanto gli lanciò un’occhiata omicida, e senza farsi vedere gli mollò un calcio negli stinchi.
- Idiota! - esclamò.
Come al solito si volevano un gran bene.
Ben presto l’orchestra prese a suonare, dando inizio così alle danze. Ciascuno indossò una maschera, e la festa poté ufficialmente incominciare. Jean come al solito fu subito attorniato da ragazze desiderose di ballare con lui, erano anche troppe, ma gentilmente promise che avrebbe fatto un giro con ciascuna di loro, dovevano solo andare insieme agli altri ospiti e attendere pazientemente che lui al momento giusto danzasse con loro. Maria invece come al solito non cercava e non riceveva inviti, dovette però unirsi agli altri solo per il buon nome della famiglia. Avesse potuto, sarebbe scappata volentieri. Non le era mai interessato ballare, né probabilmente se ne sarebbe mai interessata in futuro.
Jean intanto aveva accettato la richiesta di una delle ragazze di ballare, e così, non appena tutti si erano schierati, si diede il via alle danze. Come al solito lui si dimostrava un ottimo ballerino e un eccellente cavaliere. Nessuno s’era mai lamentato di lui in questi termini. Alla fine della danza, si concesse ancora due ragazze, poi con una scusa si allontanò dalla sala e si diresse nella sua stanza, dove poco dopo lo raggiunse il fedele servitore, che lo aveva visto allontanarsi.
- Bene, dato che sei già qui, facciamo lo scambio. - disse il giovane nobile mentre da uno scomparto segreto nell’armadio prendeva i vestiti di Black Rose e cominciava a cambiarsi. René acconsentì, e prendendo gli abiti del suo signore fece come lui. Poco dopo se qualcuno fosse entrato, davanti a sé avrebbe visto solo il nobile Jean Jacques De la Rou, e il famigerato ladro Black Rose. Nessuno avrebbe capito come stavano realmente le cose.
- Perfetto! Ora mentre tu scenderai sotto e prenderai il mio posto alla festa, io andrò a far “visita” alle case degli invitati. - disse il nobile mentre si avvicinava alla finestra, che aprì e da cui si calò dopo aver salutato l’amico con un cenno della mano. Il giovane servitore attese che Jean se ne andasse, dopodiché con un sospiro si avviò. Il piano di per sé non lo turbava, solo temeva di non riuscire a farsi passare per l’amico, e soprattutto di fare brutta figura in quanto non era al livello del suo giovane signore.
 
                                            ***
 
Il giovane ladro correva, agile e scattante come sempre, a volte passando sui tetti, in modo da fare più in fretta. La strada la conosceva, l’aveva studiata quindi non era un problema, ma in ogni caso non intendeva prendersela comoda. L’abitazione verso cui era diretto non era quella da lui esaminata per prima, era una villa piuttosto semplice, senza particolari sfoggi di lusso, ad esclusione delle fontane nel giardino, che nelle statue imitavano le sculture dell’età antica. Calcolando occhio e croce la distanza che lo separava dal primo balcone libero, rispetto al tetto su cui era salito, fece roteare il rampino, dopodiché cercò di farlo agganciare alla balconata. Il primo tentativo fallì, ma al secondo ce la fece, e dopo essersi assicurato che reggesse, si lanciò. Avendo mal calcolato la velocità, per un attimo temette di spaccarsi i piedi contro il muro, ma per sua fortuna se la cavò solo con un dolore che dalle piante dei piedi si propagava lungo le gambe. Si arrampicò con cautela, e dunque arrivò sul balcone, dove trovò la finestra socchiusa.
<<È qualche giorno che fa più caldo del solito, quindi l’avranno lasciata aperta per far entrare aria. Pessima scelta, così ho campo libero! >>pensò divertito mentre la spalancava ed entrava.
All’interno tutto taceva, forse in assenza dei padroni la servitù era già andata a dormire. Era buio, quindi si trovò costretto ad accendere una candela per farsi luce e capire cosa prendere o no. Procedette silenzioso come un gatto lungo il corridoio, prendendo con sé un candeliere d’oro che intendeva portare via. Per ora gli pareva tutto troppo facile, possibile che fosse vero? Forse però era solo quell’abitazione ad essere così, dunque era meglio approfittarne. Decise di provare ad aprire una delle porte che si affacciavano nel corridoio, ma era chiusa a chiave. Non aveva un passepartout, Né aveva idea di dove si trovassero gli oggetti più di valore, quindi preferì passare oltre.
<< Meglio dare un’occhiata in ogni stanza prima di decidere se aprire quelle chiuse. >>pensò mentre passava alla successiva.
Infondo, per quanto ne sapeva, poteva benissimo trovare qualcosa di valore in una di quelle aperte senza dover perdere tempo altrove.
La prima stanza che trovò aperta era un salottino di modeste dimensioni, alcune sedie e divani erano disposti intorno a un tavolino, altri ai lati della stanza. Alcuni quadri erano esposti sulle pareti, ma nulla particolarmente di valore. Proseguì, e dopo pochi metri, vide una luce uscire da dietro una porta socchiusa non troppo distante da lui. Interessato, allungò e accelerò il passo e arrivò così alla porta da cui arrivava la luce. La aprì lentamente, in modo da non far rumore. Si trattava di una camera da letto, evidentemente quella della padrona di casa, in quanto era non solo grande, e con un letto molto spazioso, ma anche e soprattutto lussuosa. La luce era prodotta dalle candele della stanza, accese da una cameriera che ora, girata di spalle rispetto a lui, stava sistemando i cuscini del letto. A grandi passi la raggiunse, e le picchiettò su una spalla. Quando la cameriera si voltò, trovandoselo davanti per poco n on lanciò l’allarme, ma Jean fu più veloce: estrasse da una tasca una boccetta il cui contenuto spruzzò verso la donna, che annusandolo, quasi immediatamente svenne. La prese al volo e la adagiò per terra, divertito dalla reazione della serva.
<>e lui ci provava anche gusto. <>pensò osservando la boccetta e rigirandosela fra le mani..
In origine suo zio dall’oriente gli aveva mandato un profumo, poi lui mischiandolo con un’altra sostanza, ne aveva scoperto l’effetto soporifero.
Ispezionò la stanza, in modo da cercare degli oggetti di valore. Su un mobile a cassetti si trovavano un paio di portagioie, pieni di orecchini, collane e anelli di ogni tipo che una volta venduti probabilmente sarebbero valsi un bel po’ di denaro. Senza perdere altro tempo infilò tutto quello che ci stava dentro un sacco che, una volta certo di aver sufficientemente riempito, si legò alla cintura. Dunque posò sul mobile una rosa nera, la sua firma, per poi prendere la porta alla volta della stanza successiva. Questa doveva avere la funzione di guardaroba principale, in quanto conteneva un enorme armadio in noce finemente intarsiato in ogni minimo particolare, al cui interno si trovavano numerosi ed eleganti abiti da donna.
<>pensò divertito.
Poiché non se ne intendeva di stoffe, non sapeva se fra quei vestiti ce ne fosse qualcuno di tessuto pregiato che potesse meritare di essere trafugato, quindi preferì lasciar perdere e passare oltre.
La stanza successiva doveva essere del padrone di casa, dato che pareva la copia di quella della signora, solo al rovescio e con oggetti tipicamente di uso maschile, quali il tricorno e alcuni gioielli ornamentali per gli abiti, ovviamente tutti di grande valore. Infilò questi in un secondo sacco, assieme a un paio di quadretti, poi lasciò un’altra rosa, e uscì, pronto a cercare altro. Ma aveva fatto pochi passi, che una voce prese a urlare.
- Al ladro! Al ladro!
Era un’altra delle cameriere che, trovata la collega svenuta e i gioielli rubati, aveva lanciato l’allarme.
- Oh, pare mi abbiano scoperto! - commentò ilare.
Non avendolo notato fino a quel momento, non si preoccupava troppo: erano solo semplici servitori, anche chiamandoli tutti non l’avrebbero raggiunto in tempo.
Aprì una finestra lì vicino per depistarli e far credere che fosse scappato di lì, dunque tornò sui suoi passi, pronto a fuggire dalla finestra da cui era entrato, ma uno sparo che lo mancò largamente lo fece fermare sul posto.
- Eccolo! È lì! È quel Black Rose! - stava dicendo una cameriera, mentre lo indicava a un uomo che probabilmente era il maggiordomo, armato di un fucile da caccia sicuramente del padrone. Fece partire un secondo colpo, anche questo a vuoto, ma sufficiente a risvegliare Jean, che si rese conto di dover scappare, e anche in fretta. Con i due servitori alle calcagna tornò nel’ultima stanza da lui visitata, e spalancò la finestra.
- Avanti, prendilo! - gridava la cameriera.
Il ladro fece per saltare giù, e il maggiordomo sparò. Ma era troppo tardi, lui era già fuggito, e quel colpo aveva solo beccato il mantello.
- Dannazione, è scappato! - disse la donna affacciandosi.
Intanto, poco più in là, il giovane ladro traeva un sospiro di sollievo per averla scampata.
 
Nel frattempo, nella villa della famiglia De la Rou, il ballo in maschera continuava senza intoppi. René non era un eccellente ballerino come il suo padrone, ma se la cavava più che a sufficienza per far sì che nessuno notasse lo scambio. Nella pausa fra una danza e l’altra, si appoggiò al muro della sala in modo da riprendere fiato, ma non si accorse dell’arrivo di Maria, che come lui si appoggiò al muro, osservando gli invitati.
- Non ne posso più di questa “festa”! Odio ballare e non sopporto la superficialità di tutta questa gente! - gli disse la ragazzina, non poco seccata.
René non sapeva bene che cosa dire o fare, lei conosceva bene sia lui che l’amico, sarebbe bastata una minima cosa fuori posto perché notasse lo scambio! Per questo gli era stato detto di evitarla! In quel momento si maledì per aver voluto assecondare l’idea del padrone.
- Beh… però cosa ci vuoi fare? - si limitò a replicare, con un grande sforzo mentale per riuscire a darle del “tu”, pregando dentro di sé che la giovane non notasse nulla.
- Niente… - ammise lei, per poi togliersi la maschera e lanciargli un’occhiata dubbiosa. - Tu non sei Jean, vero? - disse improvvisamente.
Oh, no! Lo aveva scoperto! Che fare? Ammettere tutto? Ma così facendo, sarebbe scattata anche la copertura del suo padrone!
- Eh? Ma cosa dici?! Certo che sono io! - replicò cercando di convincerla.
La ragazzina intanto lo osservava, braccia conserte e un sorrisetto ironico stampato in viso.
- No che non lo sei, René.
Ecco, era la fine di tutto.
Sospirò, quindi dopo aver controllato che nessuno li guardasse, si sfilò a sua volta la maschera. Doveva prendere tempo e pensare a una scusa.
- Come avete capito che ero io? - le domandò.
Maria sorrise, compiaciuta e vittoriosa.
- Beh, Jean al mio commento di prima avrebbe risposto quasi sicuramente prendendomi in giro. In più, il tono era un po’ tentennante, cosa non da lui, quindi era un’altra persona. Se fosse stato un semplice ospite, alla mia constatazione avrebbe ammesso. Dunque qualcuno lo stava sostituendo. Ma chi? Qualcuno della sua stessa taglia, che opportunamente sistemato gli poteva somigliare. In più, questa persona mi si è rivolta con un “tu” stentato, forzato, di chi non lo farebbe mai normalmente. E chi corrisponde a queste caratteristiche? Tu. E ora, sai dirmi dove si trova quell’idiota di mio fratello?
La risposta che avrebbe dato alla domanda avrebbe decretato la salvezza o meno del segreto del suo padrone. Prendendo tempo era riuscito a pensare a una scusa plausibile, si sperava che almeno quella la signorina se la sarebbe bevuta.
- Vostro fratello… non si sentiva bene, così è tornato nella sua stanza, e per non far fare brutta figura alla famiglia, ha voluto che prendessi il suo posto.
La ragazza però lo guardava scettica, evidentemente non ci aveva creduto.
- Tsk! Non proteggerlo! Sono certa che fin dall’inizio non gli interessava la festa e ha pianificato lo scambio! Certamente ora è in camera a ridersela per essere riuscito a svignarsela! - disse mentre ribolliva dalla rabbia.
- Ah! Comodo, lui poteva scambiarsi con René e sfuggire al ballo, lei invece non aveva nessuno, se fosse sparita lo avrebbero notato, quindi le toccava sorbirsi quello stupido ballo!
Conoscendolo, certamente era chiuso nella sua stanza a leggere i testi di quell’igalico di cognome Beccaria che aveva scritto contro la pena di morte. L’era capitato di darci un’occhiata, e tutto sommato aveva ragione, ma in ogni caso non s’era addentrata a leggerlo più di tanto. Suo fratello invece ne era rimasto affascinato, e altrettanto era accaduto con altri autori: Voltaire, Montesquieu e  altri di cui non ricordava il nome. Era sempre lì, a leggerli e a provare a commentarli con lei, che però ci capiva poco.
Il servitore fu tentato di tirare un sospiro di sollievo: almeno in parte, se l’era bevuta!
- Effettivamente è così… - confermò immediatamente.
Una cosa era certa: in qualche modo, gliel’avrebbe fatta pagare al suo signore per quello che gli toccava dire e fare! Lo sapeva fin dall’inizio che lo scambio era una pessima idea! Quando lo avrebbe rivisto gli avrebbe fatto fare almeno una volta le sue faccende! Normalmente non avrebbe osato manco pensarlo, ma in quel caso in qualche modo andava ripagato.
- Tu adesso divertiti pure, non hai colpa, ci penserò io al mio sciagurato fratello! - gli disse Maria, con una luce strana negli occhi.
Anche lei meditava vendetta nei confronti del fratello. Lei e il piccolo Charle si dovevano sorbire la festa, mentre lui stava nella sua stanza a rilassarsi. Un bel secchio d’acqua gelata sulla porta però lo avrebbe fatto pentire il giorno seguente. Non sarebbe andata subito a disturbarlo per fargli sapere che lo aveva beccato, no, lo avrebbe lasciato con la convinzione di averla scampata fino all’indomani.
 
                                       ***
 
Il giovane ladro correva, correva, quasi come se alle calcagna avesse avuto il diavolo in persona. Era ormai la quinta dimora che svaligiava ma, a differenza delle altre volte, aveva avuto non poche difficoltà. Alla prima i servitori armati di fucile a momenti lo ammazzavano, alla seconda il padrone di casa era un fissato con armi e armature del medioevo, che teneva in tutta l’abitazione, in particolare vicino agli oggetti di valore, poste in modo da scattare con la spada al minimo tocco inavvertito, motivo per cui anche lì a momenti non veniva ucciso, alla terza le cameriere avevano difeso la casa lanciando pentolame e argenteria, nella quarta aveva scoperto un membro della famiglia che soffriva di sonnambulismo, e ora dopo la quinta casa era inseguito da due cani da caccia. Tutte le case peggiori era riuscito a scovare!
Alla fine decise che era ora di darci un taglio: prese un’altra delle fiale soporifere che aveva con sé, e la mischiò con il liquido che generava fumo. Attese che i due cani si avvicinassero il necessario, dunque gettò a terra il fumogeno, che ebbe l’effetto sperato: non solo fece perdere le sue tracce ai due animali, ma con il soporifero riuscì anche a rintontirli. Una volta sistemati loro, rapidamente si diresse verso la villa, mentre il cielo carico di nuvole scure minacciava pioggia.
 
Arrivò piuttosto velocemente e senza alcuna difficoltà. Entrò nel giardino e raggiunse la pianta rampicante che usava ogni volta come scala, sulla quale si arrampicò entrando infine nella sua stanza. Lì si sfilò i vestiti da ladro, che ripose nello scomparto segreto del suo armadio, e da quest’ultimo, estrasse un abito nero con decori argentati: era quello che aveva chiesto alla sarta di cucirgli. Lo aveva finito giusto il giorno prima, per fortuna il tempo era bastato. Lo indossò immediatamente, prima i pantaloni, dunque la camicia con il fazzoletto al collo, poi il gilet color argento, e infine la giacca, la parte più caratteristica del completo, abbinata al cappello e ala maschera di Black Rose. Si guardò allo specchio presente nella stanza e sorrise compiaciuto: ora era pronto per la seconda parte del piano. Controllando che nessuno lo notasse, scese le scale che portavano al salone, dove si mescolò agli invitati. Erano parecchi, quindi sarebbe passato inosservato. Decise di agire fin da subito, senza attendere che l’orchestra riprendesse a suonare. Si avvicinò a una donna, il fisico era asciutto ma aggraziato, era alta una decina di centimetri meno di lui, e alle dita portava alcuni anelli.
- Bonne soir, madame. - esordì andandole incontro con fare elegante. - Posso dirvi che vi trovo splendida? - dunque s’inchinò, delicatamente le sollevò la mano destra, e la baciò, sfilandole un paio di anelli senza che nemmeno se ne accorgesse. - E questo abito vi sta d’incanto.
La donna ridacchiò civettuola, compiaciuta di quei complimenti.
- Mi concedereste il prossimo ballo? - continuò il giovane con voce suadente, prima di rialzarsi di scatto, come se punto da qualcosa. - Oh oh, mia moglie mi ha visto! Mi perdoni, ma devo ritirare l’invito!
E con tali parole sparì nuovamente fra gli ospiti, alla ricerca del suo prossimo bersaglio. Come secondo obiettivo scelse una giovane donna, circa della sua età, già perfettamente distratta dal corteggiamento da parte di un uomo poco più grande di lei. Puntava ai suoi orecchini fatti d’oro e pietre preziose, e se voleva prenderli, doveva farlo da dietro, rapidamente, e in modo che nessuno lo notasse.. Quindi si avvicinò lentamente, arrivandole alle spalle, mentre l’uomo che la stava corteggiando s’inchinava per baciarle la mano. Agì in quel momento: con un movimento rapido, preciso e leggero, afferrò gli orecchini e glieli sfilò, per poi nasconderli nella giacca e andarsene come se nulla fosse, senza che la vittima notasse nulla.
Poco dopo l’orchestra cominciò nuovamente a suonare, e lui si diresse verso una donna, chiedendole di ballare. Ella accettò, quindi prese posto di fronte a lui insieme alle altre dame, mentre il giovane si allineò con gli altri uomini, per poi avanzare a ritmo di danza come tutti. Attese il momento opportuno, poi sfilò la collana che la donna indossava, a quel punto passò a un’altra, a cui sfilò nuovamente la collana, e presa per mano, un paio di anelli, e dopo di lei una terza, una quarta e una quinta che vennero presto spogliate dei loro gioielli e si trovarono appuntate agli abiti una rosa nera. Ma questi furti non passarono del tutto inosservati: Maria, che nel corso delle danze più volte s’era trovata vicina alle vittime nel momento dei furti, aveva notato quel ladro in abito color nero e argento, e non intendeva lasciarlo fare a casa sua. Attese che si fermassero di nuovo le danze, quindi da dietro lo raggiunse.
- Sporco ladro, cosa pensi di fare in casa mia? - domandò minacciosa.
Jean sorrise: e così la sua sorellina lo aveva beccato ancora una volta. Visto che c’era, tanto valeva far entrare in scena Black Rose ancora una volta. Alterò la voce, parlando con una tonalità  più bassa del normale e con un forte accento britanno.
- Oh, dunque è questa casa tua, piccola Maria. - le disse senza voltarsi.
- Quindi i miei sospetti erano fondati: Black Rose!
- Mh, complimenti per l’acume! - fu la risposta ironica e provocatoria.
La giovane strinse i denti dal nervoso, quasi come se ringhiasse.
- Finiamo una volta per tutte la nostra sfida, ora.
Il ragazzo si guardò intorno: nonostante la loro discrezione, stavano cominciando ad attirare l’attenzione, e ciò non andava bene, affatto.
- D’accordo, ma prima devi riuscire a prendermi.
E senza attendere una risposta, cominciò a nascondersi fra gli ospiti, facendo in modo che la sorella lo seguisse.
- Maledetto bastardo…! - imprecò lei.
Non gli avrebbe permesso di fuggire, quindi rapidamente corse nella sua stanza, prese la spada, e si precipitò nuovamente al pian terreno giusto in tempo per vedere il suo acerrimo nemico correre fuori. Senza nemmeno pensarci su un attimo, si tolse le scarpe e lo seguì.
Aveva appena fatto pochi passi fuori, che prese a piovere a dirotto, con tuoni e lampi. Ma non volle fermarsi, e continuò a seguire il ladro, che nella sua corsa si allontanava sempre di più dalla villa. Infine egli si fermò, ormai erano abbastanza lontani da non poter attirare l’attenzione di nessuno degli ospiti al ballo. Nessuno avrebbe riconosciuto Maria, forse avrebbero solo visto il ladro Black Rose.
- Alla fine ti sei fermato, bastardo.
Lui in risposta sorrise, aveva l’aria di chi aveva qualcosa in mente.
- Mi affronti scalza? Non hai paura di sporcare e bagnare i tuoi piedini, mademoiselle dei miei stivali? - le chiese provocatorio.
In realtà però temeva che ad affrontarlo sotto la pioggia e a piedi nudi si sarebbe potuta prendere un malanno.
Lei in risposta avanzò verso di lui, pestando i piedi e puntandogli la spada contro.
- Affatto! Senza scarpe mi muoverò meglio. E ora in guarda, ladro!
Il nobile non se lo fece ripetere due volte, e dopo aver accennato una guardia, immediatamente scattò avanti, attaccando con un dritto sgualembro, un colpo che descrive un mezz’arco in diagonale inclinato di 45° e che tende a colpire la spalla sinistra dell’avversario, ma la giovane parò l’attacco e si allontanò di qualche passo, per poi tornare alla carica con un montante, ossia un colpo che va dal basso verso l’alto, ed è l’opposto del fendente. Tal colpo però lasciava scoperte le difese, quindi l’avversario ne approfittò per attaccare con un affondo, senza che lei riuscisse a pararsi. Non intendeva ferirla troppo seriamente, per cui, esattamente come quando si allenavano insieme, ridusse la potenza dell’attacco, limitandosi a bucarle l’abito e a provocarle quello che era un graffio poco più profondo di quello che avrebbero provocato le unghie di qualche animale. Lei lo guardò sorpresa, e allo stesso tempo furibonda.
- Che fai, ti trattieni?!
- Sì: non mi va di riempirti di buchi. - disse provocatorio.
Maria nervosa tornò all’attacco con un dritto tondo, un attacco che viene eseguito orizzontalmente da destra a sinistra e che colpisce il fianco sinistro, ma Black Rose con una battuta allontanò la lama.
<>pensò.
 Effettuò una finta, dopo la quale eseguì una stoccata che andò a segno, ferendo la ragazzina. Non le diede nemmeno il tempo di reagire che eseguì un dritto ridoppio, un colpo diagonale che va da sinistra a destra a partire dal basso. Anche questo andò a segno, provocando una seconda ferita alla ragazza. Solitamente quando la affrontava si tratteneva, sia perché non voleva farle troppo male, era pur sempre sua sorella, sia perché temeva che per via dello stile di combattimento lei avrebbe potuto capire chi veramente sfidava, però questa volta la giovane stava iniziando a tenergli testa, per il livello a cui si teneva di solito, e se non avesse fatto qualcosa, presto lo avrebbe scoperto.
Il duello continuò senza esclusione di colpi, più il tempo passava e più gli attacchi si facevano serrati e precisi, tant’è che anche Jean presto si trovò pieno di tagli, e ci mancò poco che un attacco non gli portasse via la maschera. Stavano ancora combattendo quando all’improvviso, Maria lasciò andare la spada e prese a tossire violentemente, quasi come se le mancasse il respiro. Il fratello fu preso alla sprovvista, tant’è che incapace di reagire, stette fermo a guardare. Intanto la tosse aumentò d’intensità, mentre la ragazza cadeva in ginocchio, quasi senza forza, e poi a carponi, mentre la tosse diventava così forte che pareva pronta a distruggerle i polmoni e la gola. Il giovane osservandola infine ripose la spada, attirando per qualche istante l’attenzione della ragazza.
- Non combatto contro i malati. - si limitò a dire per poi allontanarsi.
Ma quella in realtà era solo una finta: invece di allontanarsi, Jean s’era nascosto dietro il muro di una casa lì vicino, in modo da tenerla d’occhio. Era terribilmente preoccupato per la salute della sorellina, ma come Black Rose non poteva fare nulla, quindi ascoltava e attendeva, e se la tosse fosse ancora peggiorata, sarebbe corso a casa, si sarebbe cambiato e sarebbe corso a prenderla. Si maledì più e più volte per essersi fatto scoprire al ballo e per averle permesso di affrontarlo nonostante pioggia battente. Come aveva potuto?! Come fratello era proprio un disastro. Dopo un po’ la tosse si placò, e lui poté tirare un sospiro di sollievo.
<>si disse, e silenziosamente si dileguò.
 
Tornò alla villa che il ballo ormai era finito, alcuni ospiti stavano andando via, assieme a suo padre. Lui si arrampicò fino alla sua stanza, dove trovò i vestiti che aveva dato a René, con un suo biglietto. Si fasciò dove era stato colpito, si cambiò, e dopo aver nascosto il completo bagnato, ripose anche quello della festa. Uscì dalla sua stanza con mille pensieri per la testa, e arrivò alla scalinata che conduceva al pian terreno, proprio mentre Maria, bagnata fradicia, rincasava. Fu sollevato di vedere che era tornata, anche se sembrava affaticata.
- Maria! - la chiamò andandole incontro.
Lei non rispose, si limitò ad alzare lo sguardo verso di lui.
- Dove sei stata fino ad ora?! René mi ha detto di averti vista uscire! Si può sapere che ti è saltato in mente? Fuori diluvia!
Non stava proprio fingendo: si chiedeva veramente perché nonostante la pioggia lo avesse seguito.
Lei volse lo sguardo altrove, palesemente nervosa.
- Non sono affari che ti riguardano.
- Sì che mi riguardano! Ero preoccupato! Non puoi andartene in giro sotto la pioggia, e per di più scalza!
D’accordo che era lui ad averla affrontata sotto la pioggia, ma a parer suo aveva fatto un’idiozia.
- Non puoi dirmi tu cosa posso o non posso fare!
- Certo che posso! Sono tuo fratello maggiore, quando non c’è nostro padre sono io che devo occuparmi di te!
Maria lo guardò torva, poi senza nemmeno raccogliere le sue scarpe, o strizzare il vestito, corse su per le scale diretta verso la sua stanza.
- Fatti i fatti tuoi, idiota! - gridò rivolta al fratello, per poi sparire in corridoio.
Jean sospirò.
- Già, sono un’idiota incapace di prendersi cura dei suoi fratelli. - si disse, per poi salire anche lui le scale, diretto nelle sue stanze.
Maria era meglio lasciarla sbollire.




Come detto nel capitolo precedente, questo l'ho pubblicato immediatamente! Con questo si conclude un'altra delle avventure del nostro Jean u.u Più passa il tempo e più adoro i miei personaggi, sapete? E tra l'altro, per chi fosse interessato, MSMistyKa ha disegnato Jean =D Io lo metto qui sotto, se volete ^^''


Image and video hosting by TinyPic Tralasciando la posa insensata e le spade che sono diverse da quelle che usa lui, questo occhio e croce è come dovrebbe essere Jean! ^ ^
Che ne dite? Spero che commentiate!

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Capitolo 10
*** Una promessa invadente ***


Era ormai tarda sera, da alcune ore il sole era sceso oltre l’orizzonte, lasciando posto alla luna che splendeva alta nel cielo notturno rischiarandolo. La città pareva quasi addormentata, non volava una mosca. O forse sì? Qualcuno non stava dormendo, anzi, era più sveglio che mai: Black Rose. Aveva appena messo a segno un altro colpo, e immediatamente s’era dato alla fuga. Al suo inseguimento c’erano i gendarmi chiamati dalla vittima del furto, e ovviamente Maria, come al solito intenzionata a non farsi sfuggire la preda. Una volta tanto, nonostante fosse fuggito subito, l’inseguimento si stava svolgendo a terra, senza che il ladro fuggisse sui tetti come invece accadeva il più delle volte.
- Correte pure finché volete, ma tanto non mi prenderete mai! - disse in tono di scherno ai gendarmi, voltandosi ancora in corsa verso di loro.
Essi accelerarono la loro corsa, cercando più volte di sparargli, ma senza successo, nonostante una volta lo avessero mancato di pochi centimetri. Aveva parecchi metri di vantaggio ed era molto più agile di loro, abituati a brevi corsette a piedi, e a cavallo per le rare volte in cui erano lunghe. Non c’erano molte speranze di competere. Il giovane si guardò intorno preoccupato: erano arrivati al quartiere povero della città.
<< Maledizione! Se proseguiamo per questa strada arriveremo all’orfanotrofio! >> pensò maledicendosi per non averci pensato prima. << E non posso nemmeno andare oltre, o scoprirebbero il nascondiglio della refurtiva… Devo liberarmi di loro! >>
Salì su una casa lì vicina, in modo da levarseli di torno. I gendarmi della città in confronto a lui erano dei mollaccioni, quando saliva sui tetti non c’era verso che lo raggiungessero, quindi cercavano di seguirlo da sotto, nella speranza che finisse in un punto morto, o che riuscissero ad abbatterlo. Egli invertì il senso della sua corsa in modo da allontanarli il più possibile da quella zona, e li condusse nel punto a lui più congeniale, quindi finse di proseguire ancora, ma si nascose appendendosi dall’altro lato di un altro tetto. Il trucco pareva funzionare: i gendarmi, convinti, proseguirono senza dubbi e senza fermarsi o voltarsi. Tirò un sospiro di sollievo, un problema era risolto.
- Ora…
Si voltò tranquillamente, trovandosi a pochi passi da Maria che era riuscita a raggiungerlo, e non era dunque caduta nello stesso tranello dei gendarmi. Non che ci sperasse, sapeva che la sorella era sveglia e non cascava in simili trucchetti. Una cosa su di lei era certa: non si arrendeva mai.
- …non resti che tu, ragazzina. - la sua era una palese provocazione.
La giovane strinse saldamente la spada con aria minacciosa.
- Non chiamarmi ragazzina, ladro! - inveì.
Sul volto del suddetto ladro comparve un sorrisetto divertito.
- E perché dovrei? Infondo è ciò che sei: una ragazzina, tra l’altro direi anche bassa, sai?
- Co.. - biascicò lei stizzita.
Anche se erano al buio, era certo che la faccia della nobile fosse completamente rossa dalla rabbia, e l’idea lo fece sghignazzare fra sé e sé. Forse non era il momento, però era troppo divertente e facile prenderla in giro! Sapeva tutti i suoi punti deboli e ne approfittava, sia a casa, che quando duellavano! Sapeva perfettamente che detestava essere definita bassa, era una cosa che non poteva sopportare, e bastava farglielo notare per farla i innervosire, e sapeva anche perfettamente che chiamarla ragazzina era il miglior sistema per farla esplodere, perché lei voleva dimostrare di essere molto più che una semplice ragazzina, una come tante altre, voleva che fosse riconosciuta per ciò che era in grado di fare, quindi chiamarla in quel modo generico era estremamente frustrante per lei.
La diretta interessata sfoderò la sua arma, puntandogliela contro.
- Se hai energie per blaterare, allora le hai anche per combattere! Avanti, fatti sotto! - disse sfidandolo apertamente.
In realtà il giovane ladro avrebbe preferito evitare l’ennesimo duello, ma se fosse fuggito lei lo avrebbe inseguito e non lo avrebbe mollato finché non l’avesse affrontata, e quindi le cose si sarebbero solo complicate. Sospirò.
- Non ti arrendi mai, eh? E va bene, ma ti avviso che stasera sono di mal umore, non ti lamentare se non giocherò a lungo!
Maria si stizzì, e senza attendere oltre partì con un fendente che però non andò a segno in quanto il ragazzo arretrò leggermente e parò con forza il colpo. La giovane con quell’attacco aveva scoperto le sue difese, e Jean sapeva bene quale sarebbe stata la mossa migliore in quella situazione, ma come sempre per non farsi scoprire preferì andarci piano, limitandosi a colpire con un rovescio sgualembro, che descrive un mezz’arco da sinistra a destra in diagonale, in modo da colpire la spalla della ragazzina. O almeno questa era l’idea, poiché l’attacco venne egregiamente parato, segno che stava decisamente migliorando. La vide accennare a una stoccata, e si preparò quindi a contrattaccare, ma questa si rivelò una finta, e solo approfittando dell’effetto sorpresa, Maria eseguì infine la stoccata che ferì il nobile al fianco sinistro. Egli emise un gemito di dolore tenendosi una mano sulla ferita. Questa volta rispetto a molti altri loro combattimenti gli aveva fatto veramente male.
<< Mpf, si vede che sta imparando bene… >> pensò.
Il duello proseguì a lungo, senza esclusione di colpi, ciascuno parava, attaccava e contrattaccava, infliggendo l’uno all’altro lievi ma dolorose ferite. Il ladro infondo non voleva ferire gravemente, per lui era quasi un gioco, ma lo stesso non si poteva dire per la nobile, che non riusciva a colpire seriamente a causa della rapidità del suo avversario, che riusciva sempre a schivare quel tanto necessario per non subire ferite gravi.
Ma più lo scontro continuava, e più i due si spostavano, finché non arrivarono che a una casa dall’orfanotrofio, nel quale c’erano ancora luci accese. Tutto ciò non andava bene.
<< Non posso avanzare oltre, o attirerei l’attenzione dell’orfanotrofio, o ancora rischierei di condurci Maria. E non deve accadere nessuna di queste due opzioni >> pensò mentre continuava a duellare, cercando di trovare una soluzione una soluzione. << Questa volta non posso più giocare con lei, fino ad ora mi sono tenuto al suo livello e le ho dato l’impressione che ci fosse un divario minimo, per non farmi scoprire, ma se voglio chiudere qui devo alzarmi almeno di una spanna al di sopra di lei. >>
Era rischioso, a lungo andare avrebbe potuto capire, ma non aveva scelta. Fece un invito di quarta, col quale scoprì volontariamente il fianco e il torso, in modo da creare un’apertura in cui Maria avrebbe potuto attaccare. Era una trappola, ma dato che lei non conosceva l’arte del combattimento allo stesso livello del fratello, ci cascò. Partì all’attacco con un affondo, ma egli rapidamente lo parò, dunque eseguì una cavazione, con la quale ribaltò la posizione delle lame, quindi approfittando dell’attimo di sorpresa della ragazza eseguì un roverso tondo, colpo orizzontale che va da sinistra verso destra, colpendo il fianco destro, che provocò una ferita al fianco della nobile neanche molto leggera, la quale le provocò sufficiente dolore da distrarla e non farla reagire al colpo successivo: un montante che questa volta la ferì al petto. Si portò la mano destra alla ferita, stringendo i denti per non urlare di dolore. Jean non avrebbe voluto farle veramente del male, m a questa volta doveva fermarla, quindi si portò alle sue spalle e con un colpo al collo la fece svenire. La afferrò al volo prima che cadesse a terra, dunque delicatamente la appoggiò a un comignolo lì vicino. Controllò che non lo vedesse nessuno, cosa praticamente certa dato che aveva mandato via i gendarmi, dunque si avviò verso il nascondiglio del bottino, senza accorgersi che qualcuno lo aveva notato.
Il luogo in cui teneva il malloppo non era lontano: si trattava di una casa disabitata e ormai mezza distrutta in cui non veniva mai nessuno. Si calò da un buco nel tetto in quella che un tempo doveva essere stata la soffitta, e che ora non era altro che una stanza buia, umida e con il pavimento in legno marcio in più punti. E in una rientranza del muro, coperta da alcune tegole cadute, teneva i soldi e la refurtiva ancora da rivendere. Scostò i calcinacci che nascondevano il tutto, ed estrasse un sacco in tela, di quelli usati per le patate, contenente numerose monete. Era ciò che era riuscito a guadagnare dall’ultima visita all’orfanotrofio. Se lo caricò in spalla, quindi lo portò fin sotto il buco da cui era passato, e legandolo a una corda che aveva fatto passare su una trave scoperta, lo issò con forza, finché arrivato sulla trave, legò la corda per fissarlo, e con un rampino si issò a sua volta, per poi recuperare il sacco e metterselo a spalle come si farebbe oggi con uno zaino.
Dal tetto si aveva una perfetta visuale del quartiere povero. Era un ammasso di case più o meno rovinate, la maggior parte a un solo piano, molto semplici. Si avviò continuando a stare sui tetti, lasciando cadere ogni tanto sull’uscio di qualche abitazione, tre o quattro monete d’oro, che tintinnando al contatto con il suolo si arrestavano più o meno vicine fra loro. Tutto ciò non era un caso o un errore: sapeva bene cosa faceva, quei soldi li gettava apposta davanti alle case di quei poveracci di quando in quando, così da permettere loro ogni tanto di avere qualcosa in più da mangiare o vestire. Il quartiere era grande, ma a più turni cercava di coprirlo tutto, tentando anche di essere equo e non dare l’oro solo ai soliti. Distribuendo monete, arrivò a pochi metri dall’orfanotrofio, la sua destinazione. A quel punto, non toccò più alle monete, ma estrasse una rosa nera, la sua firma, e la lasciò cadere dove aveva lasciato le ultime monete. Non era per egocentrismo o autocompiacimento che ogni volta lo faceva, bensì per far sapere a quella povera gente che aveva abbandonato quasi la speranza, che qualcuno ad aiutarli c’era, che non erano soli. Proseguì senza esitazione in direzione dell’orfanotrofio, ma da una strada diversa rispetto a quella imboccata nel duello. Da lì non riusciva a vederla, chissà se Maria s’era già ripresa? Conoscendo la sua pellaccia dura, era praticamente una certezza. Le aveva inferto un paio di ferite piuttosto serie per i suoi soliti standard, non le avrebbero certamente impedito di muoversi, ma non sarebbe tornata alla villa molto rapidamente. Poggiò la mano sul fianco ferito, costatando che perdeva ancora sangue, come se già non fosse bastato il dolore di per sé. Cercando di ignorarlo, continuò verso la sua meta. Fin da quando era piccolo suo padre lo aveva allenato nella scherma insegnandogli anche a sopportare il dolore provocato dalle ferite, almeno fino ad un certo punto, per questo resisteva piuttosto bene a tutti quei tagli. Camminò per neanche una decina di minuti, e arrivò a destinazione: il brefotrofio era davanti a lui. Era un edificio a pianta rettangolare alto tre piani, i cui muri erano in più punti crepati o direttamente rotti. Un vecchio cancelletto arrugginito lo divideva dal resto delle case, creando così un piccolo giardino, per quanto modesto e mal messo. Tutt’attorno si trovavano altre abitazioni, la zona alla sua destra era quella in cui era andato fuggendo dai gendarmi e affrontando Maria. Agganciò il rampino al tetto e si calò giù con attenzione, poi una volta arrivato a terra, si diresse verso la struttura. Non poteva passare dall’ingresso principale: nonostante fosse buio non si fidava, non intendeva rischiare di essere visto mentre entrava, perché se qualcuno lo avesse notato l’intero orfanotrofio, l’intero orfanotrofio probabilmente sarebbe stato nei guai. Costeggiò dunque la cancellata finché non arrivò alla facciata posteriore dell’edificio, lì si trovava un ingresso secondario che dava su un piccolo cortile. Scavalcò agilmente la cancellata e prese la porta. Non si assicurò nemmeno che fosse aperta, sapeva che non la lasciavano mai chiusa. Una volta entrato, si trovò nella cucina dell’istituto, avvolta nella tenue luce data dalla luna che splendeva in cielo, filtrata da una piccola finestra sgangherata, che consentiva solo di distinguere vagamente le forme della stanza. Si mosse con cautela, non voleva fare rumore e attirare l’attenzione, preferiva posare i soldi in un posto dove li avrebbero potuti facilmente trovare l’indomani, a dileguarsi rapidamente. La cucina era modesta, almeno tre volte più piccola di quella della sua villa, c’erano alcune pentole appese, forse per farle asciugare, e un grosso tavolo al centro della stanza per tagliare carne e verdure. Avanzò quasi a tentoni nella penombra finché non trovò la porta d’uscita. Dava su una modesta sala da pranzo, un lungo tavolo in legno massiccio si stagliava al centro. Pareva il punto ideale su cui posare i soldi, quindi rapidamente slacciò la sacca e in assoluto silenzio la poggiò al centro della tavola, al contatto con la quale tintinnò lievemente, per poi adattarsi al supporto piano. Fece quindi per andarsene, ma una voce attirò la sua attenzione.
- Ve ne andate di già?
Era sorella Josephine, che in tutta calma stava entrando nella sala da pranzo dalla porta principale. Jean si abbandonò ad un sospiro, quindi si rivolse verso di lei.
- Mai una volta che riesca ad entrare senza farmi notare, eh? - commentò leggermente ironico.
L’anziana donna sorrise gentilmente, senza nascondere però la stanchezza nel suo volto.
- Avete nuovamente portato dei soldi per noi, e ciò mi fa sperare di riuscire a raggiungere la cifra necessaria per acquistare il terreno. Vi ringrazio davvero, ma siete sicuro di ciò che fate? Tutto ciò è rischioso…
La sua domanda lasciò abbastanza sorpreso il giovane, che non si aspettava minimamente che ella si preoccupasse per lui, invece che della legalità della cosa.
- Mi sorprendete sorella, l’azione di per sé pare non preoccuparvi, eppure sapete bene che sono soldi rubati. - le disse con una lieve risata divertita, per via della situazione.
L’anziana donna gli rivolse uno sguardo molto duro, tipico spesso di chi è disposto a tutto per un solo obiettivo.
- Pur di evitare che questi poveri bambini finiscano sulla strada, accetterei soldi dal diavolo in persona. - disse.
Quella determinazione gli fece per un istante gelare il sangue nelle vene. Era a questo che portavano le azioni di suo padre? La sua freddezza quando si trattava di soldi aveva portato una suora, che dovrebbe avere una condotta morale esemplare, addirittura a non farsi scrupoli legati a ciò che la sua religione considerava peccato, pur di impedire che distruggessero l’istituto. Più passava il tempo, e più quell’uomo lo disgustava.
Lo sguardo della suora però si addolcì, quasi come per cancellare quando detto poco prima.
- Però sono certa che infondo Dio saprà perdonarmi per questo. - aggiunse.
Nessuno dei due si accorse che dalla porta principale che conduceva alla sala, lasciata socchiusa, un bambino stava ascoltando la loro conversazione. Era uno degli orfani, era piuttosto magro, dimostrava occhio e croce dieci anni, anche se probabilmente basso per la sua età.
Jean si tastò con la mano destra la ferita al fianco sinistro con una malcelata smorfia di dolore sul volto, per quanto in parte nascosto dalla maschera. Il taglio aveva ripreso a fargli parecchio male, si sentiva il sangue pulsare, e per un attimo temette che la situazione fosse più grave di quanto gli era inizialmente apparsa. Anche se era nella semioscurità, ciò non sfuggì a sorella Josephine.
- Avete bisogno di aiuto? - gli domandò.
Il giovane accennò un sorriso.
- Vi ringrazio dell’interessamento, ma sto bene. Ora se permettere, è meglio che me  ne vada. - rispose gentilmente. - Arrivederci.
Quindi voltò le spalle alla donna, prendendo la porta da cui era entrato, e sparendo nel buio.

                                                                             ***
Il giorno seguente, Jean e Maria stavano attraversando la città sulla carrozza destinata al loro uso personale. Avevano deciso di approfittare della bella e calda giornata per andare a fare una gita al lago giusto fuori città. Sfortunatamente, rispetto alla zona ricca, esso si trovava dal lato opposto, ragion per cui la carrozza era costretta a passare per il centro abitato, attraversando dunque le tre principali zone che lo componevano. Al momento si trovavano nel borgo più povero, che i due nobili guardavano dai vetri in un misto di tristezza, rabbia e angoscia, perché infondo non era un bello spettacolo.
- Ci verrò poche volte da queste parti, ma ogni volta questo posto mi mette addosso una tremenda tristezza. Possibile che non si possa fare niente? - domandò Maria, abbandonandosi sul morbido sedile.
Jean ridacchiò amaro.
- Per molti della nostra classe sociale, si risolverebbe il problema distruggendo questo borgo… - fu il suo commento, insieme ad un sospiro.
- Tsk! Come al solito, per loro il problema non si pone nemmeno… - disse la giovane, acida.
Erano passate solo poche ore dal duello della sera prima, le ferite dei due non erano ovviamente guarite, ma entrambi facevano il loro meglio per non darlo a vedere. Ognuno  s’era medicato o fatto medicare nella maniera migliore possibile, e ora stavano lì, uno davanti all’altro, facendo finta di nulla, come se il taglio sul petto, la ferita al fianco, o altre ferite più lievi non fossero mai esistite.  Ormai c’erano abituati.
Il giovane guardò fuori dal finestrino, e immediatamente lo notò: stavano passando davanti all’orfanotrofio. Sorrise, trovandola una bizzarra coincidenza. Ma ben presto il sorriso sul suo volto si spense, quando vide il padre e alcuni uomini armati di mazze, fermi davanti alla struttura con Sorella Josephine che si rivolgeva loro probabilmente contrariata. Tutto ciò non gli piaceva, doveva vedere da sé cosa stava succedendo! Aprì la finestrella dietro di sé che permetteva di comunicare col cocchiere.
- Monsieur! Per favore, fermate la carrozza! - esclamò frettolosamente a voce alta.
- Siete sicuro Monsieur? - domandò l’altro sorpreso, non aspettandosi una richiesta del genere.
Ma nonostante questo, prese a rallentare, in modo da potersi fermare in caso di risposta affermativa.
- Sì! Ho bisogno di scendere subito!
L’uomo annuì e fece per fermare la carrozza, così il nobile immediatamente aprì la porta e fece per scendere. Maria non capì la reazione del fratello, e lo osservò sorpresa. Infondo, non sapeva assolutamente nulla dell’orfanotrofio.
- Jean! Si può sapere che stai facendo?! - domandò quando lui scese, affacciandosi dalla portiera.
- Scusa sorellina, devo vedere una cosa. - fu la risposta, voltandosi verso di lei.
- E la gita al lago?
- Non ne ho più voglia oggi, se vuoi vai tu, altrimenti andremo un’altra volta, va bene?
La giovane sbuffò, calmandosi.
- Da sola non è divertente… Ci andremo un’altra volta… - quindi si rivolse al cocchiere. - Monsieur Manet, torniamo a casa per piacere.
Quindi chiuse la porta e la carrozza ripartì, lasciando il giovane da solo. Rapidamente attraversò la strada dirigendosi verso il padre e i suoi uomini, ancora davanti alla struttura. Essi gli davano le spalle, quindi per farsi notare doveva per forza chiamarli.
- Padre! - disse a gran voce dirigendosi verso quest’ultimo, che sentendosi chiamare si girò.
- Jean. Potrei sapere che cosa ci fai qui? - domandò con tono freddo e autoritario.
Il giovane lo guardò dritto negli occhi deciso, in modo da dimostrargli che non lo temeva.
- Vi ho visto mentre passavo in carrozza, e ho voluto raggiungervi. - spiegò.
Osservò sorella Josephine, che a sua volta guardava preoccupata a supplichevole Monsieur De la Rou quindi tornò nuovamente su suo padre. Bastava la sua sola presenza a fargli temere il peggio. Che avesse scoperto come racimolavano i soldi? Che avesse trovato il modo di costringerli ad abbandonare l’istituto? L’unico modo per scoprirlo era chiedere.
- Potrei sapere che cosa fate in questo posto? La signora non sembra particolarmente felice di vedervi. - constatò con tono calmo, tramite il quale cercava di mascherare l’ansia.
Sul volto dell’uomo a quella domanda comparve un sorriso compiaciuto, tipico di quando stava per ottenere ciò che voleva.
- Nulla di importante, sono semplicemente venuto a far sgomberare questo terreno, poiché lo sto per rilevare.
- Non potete farlo! - esclamò la suora intromettendosi.
Il nobile la guardò con aria di sufficienza.
- Certo che posso, invece. - fu la sua fredda risposta.
Jean lo osservò alcuni istanti. Come temeva, suo padre non aveva la minima intenzione di tener fede agli accordi, e a giudicare da ciò che gli uomini con lui tenevano in mano, intendeva demolire l’abitazione. Cosa fare? Doveva impedirglielo in qualche modo!
- Padre, la sorella ha ragione, non potete! - si espresse infine, prendendo l’iniziativa, per quanto sapesse che opporsi pubblicamente al genitore fosse rischioso. L’uomo lo guardò sorpreso e allo stesso tempo infastidito da quel comportamento.
- E perché mai? - domandò quasi arrogante.
- Perché sono passati solo tre mesi! Voi avevate detto sei mesi per lo sgombero. - rispose parlando chiaramente. - Perdonatemi, ma all’epoca assistetti per caso alla vicenda, sentendo così anche quanto tempo concedevate. - aggiunse abbassando lo sguardo, per non incontrare quello del padre: lo odiava, ma allo stesso tempo provava un certo timore nei suoi confronti.
Egli fece un gesto seccato con la mano, quindi prese nuovamente la parole.
- Sono dettagli. Cosa fare lo decido io, dunque se voglio che se ne vadano ora, devono farlo. - affermò perentorio.
Il giovane serrò i pugni, nervoso. Suo padre non aveva la benché minima etica professionale, poteva benissimo cambiare le carte in tavola a suo piacimento, senza tener conto dell’altra parte coinvolta!
Non poteva permettere che continuasse in quel modo, non lo avrebbe accettato. Era perfettamente consapevole che insistere in quel modo poteva rivelarsi pericoloso, c’era il rischio di fornire chiari indizi circa l’altra sua identità, ma non poteva fare altrimenti per fermarlo. Rapidamente si spostò da fianco al padre, a di fronte a quest’ultimo, con alle spalle sorella Josephine e l’orfanotrofio, distendendo le braccia, quasi come a voler coprire tutto quanto col suo corpo.
- << È rischioso, ma devo fermarlo. >> Mi dispiace padre, ma non intendo permettervelo!
L’uomo lo guardò torvo.
- Osi metterti contro di me? - chiese con tono di minaccia.

Intanto all’interno dell’orfanotrofio, i bambini assistevano a tutto ciò col fiato sospeso. Sapevano che cosa era venuto a fare quell’uomo, era ovvio che cercasse il modo di farli andare via prima del tempo, solo non ne capivano il perché. E dire che stavano racimolando molti soldi per comprare l’orfanotrofio.
Fra tutti loro, uno pareva particolarmente interessato a quanto accadeva fuori. Era lo stesso della sera prima, e sembrava studiare soprattutto la figura di Jean. Perché? Cosa gli passava per la testa? Sul piccolo volto smunto era dipinta un’espressione attenta e allo stesso tempo curiosa mentre fissava la figura del giovane nobile.

Jean fissò dritto negli occhi il padre con aria di sfida senza retrocedere o esitare.
- Non sarebbe mia intenzione, ma non posso permettervi di venire meno alla vostra parola. - spiegò serio ma cercando di mantenere un tono pacato e rispettoso.
Preferiva non mettersi troppo in mostra, per quanto fosse già molto rischioso quanto aveva osato fino ad ora; volare basso doveva essere l’obbligo d’ora in poi. Ma allo stesso tempo doveva fermare quella sete di denaro che caratterizzava il genitore, che assunse un’espressione stizzita.
- E per quale motivo non dovrei? Sentiamo. - fu la fredda domanda da parte dell’uomo.
- Non vorrete che si diffonda la voce che non mantenete la parola data, no? Se si sentisse rischiereste di perdere non pochi clienti. - rispose tentando di nascondere una sottile nota di provocazione nella voce.
Doveva pur in qualche modo istigarlo, provocargli una qualche reazione al riguardo.
Egli ebbe un moto di stizza, con un gesto della mano mandò via i suoi uomini, quindi diede le spalle al figlio con un sospiro. Per lui ciò che contava di più erano la reputazione e gli affari, non poteva permettere che per una maldicenza tutto andasse a monte.
- Devo ammettere che hai ragione. - disse. - E sia, vi concederò altri tre mesi. - sentenziò infine, per quanto infastidito da quella situazione.
Sorella Josephine tirò un sospiro di sollievo, grata dell’intervento del giovane nobile in difesa dell’orfanotrofio. Il Signore era dalla loro parte.
- Vi ringrazio, Monsieur.
Jean si voltò verso di lei con un sorriso, cercando però di non assumere nessuno di quegli atteggiamenti che abitualmente aveva in presenza della suora. Non intendeva assolutamente farsi scoprire.
- Di nulla, sorella. Purtroppo mio padre quando si tratta di affari a volte tende a bruciare le tappe. - spiegò cercando di fare la parte del figlio fedele al padre.
Notò che il genitore intanto si stava allontanando a piedi, la carrozza probabilmente era poco lontana. Non gli aveva più rivolto parola, evidentemente non gli andava giù di dover attendere altri tre mesi.
Sentì nuovamente dolore al fianco ferito, non bastava un giorno infondo perché guarisse. Distratto dall’osservare Monsieur De la Rou, d’istinto si poggiò la mano sulla ferita, ma rendendosi quasi subito conto di quanto stava facendo, rapidamente la tolse. Non intendeva fornire il minimo indizio.
Si congedò con un breve saluto dalla suora, quindi fece per avviarsi a piedi verso la villa. La strada era lunga, ma ormai era abituato e la cosa non lo preoccupava affatto. Solo dopo parecchi metri capì che qualcosa non andava: sentiva dei passi dietro di sé. E dire che in un posto così affollato come il distretto povero, era difficile arrivare a pensare di essere seguiti in pieno giorno da qualcuno, soprattutto se si era uomini. Eppure, li sentiva chiaramente. Passi irregolari, certo, ma che guarda caso rallentavano o acceleravano quando lo faceva lui. Di certo  non era una coincidenza. Si voltò di scatto, sperando così di cogliere in flagrante chi lo stava pedinando, ma di fronte a lui non vide nulla di strano. Guardò a destra, a sinistra, ma niente. Che se lo fosse immaginato? Poi, all’improvviso, sentì qualcosa tirargli un lato della giacca, costringendolo ad abbassare lo sguardo. Davanti a lui si trovava un bambino dall’aria gracile e smunta, dimostrava all’incirca una decina d’anni, per quanto fosse basso; era lo stesso che poco prima e anche la sera precedente lo aveva spiato senza che se ne accorgesse. Il giovane nobile lo osservò sorpreso, quindi con un sorriso gentile in volto, si chinò per essere all’altezza del bambino.
- Sei tu che mi stavi seguendo? - gli chiese.
L’altro annuì lievemente.
- Posso sapere il perché?
Nonostante quell’aria gracilina, il suo sguardo era così forte da essere in contrasto col suo aspetto.
- Tu sei Black Rose, vero?
Quella domanda gli gelò il sangue nelle vene. Com’era possibile che lo avesse scoperto?! Non si erano mai visti prima! Tutto ciò era assurdo.
Nonostante l’attimo di panico, cercò di darsi un contegno.
- Perché mai dovrei essere quel ladro ridicolo? - chiese con una risata, come se quel bambino avesse detto una cosa priva di senso.
Il piccoletto gli lanciò un’occhiataccia e lo squadrò silenziosamente da capo a piedi.
- Sei tu, ammettilo! - insisté.
Come se semplicemente insistendo Jean gli avrebbe detto la verità!
- Non essere ridicolo…
L’altro lo guardò torvo, quindi prese a camminargli intorno.
- So che Black Rose è stato ferito… - disse avvicinandosi al fianco del giovane, al quale diede una forte manata nel punto in cui era ferito. - …esattamente al fianco sinistro! - esclamò infine.
Il colpo non era molto forte, normalmente come unico effetto avrebbe provocato fastidio, ma fu sufficiente perché Jean facesse una chiara smorfia di dolore, stringendo i denti per non imprecare.
- Come… lo sapevi? - domandò il nobile cercando di sopportare il dolore.
- Ti ho visto ieri sera. - affermò fiero.
<< Marmocchio malefico… >> pensò, perché a parer suo bisognava essere malefici per colpire volontariamente dove si supponeva ci fosse una ferita.
Sospirò.
- D’accordo, mi hai scoperto. - ammise infine mentre il dolore scemava. - Quindi? Che cosa vuoi da me?
Il bambino lo guardò negli occhi serio e deciso, non si leggeva timore o esitazione in lui.
- Voglio essere adottato. - disse.
Al giovane per poco non prese un colpo.
- Cosa?! Mi dispiace, ma non posso adottarti. - si affrettò a far notare.
Non viveva mica da solo! Figuriamoci se avrebbe potuto adottare lui stesso un bambino!
- Non voglio essere adottato da te, - replicò l’interessato. - voglio che mi aiuti a trovare qualcuno che mi adotti.
Quella richiesta lo spiazzò. Certamente non era un qualcosa che si sentiva tutti i giorni, eppure la risposta non lasciava scappatoie.
- Scordatelo. Non sono un orfanotrofio! Né gestisco il tuo!
Quindi si voltò e riprese a camminare, e il bambino dietro di lui.
Pensò che forse il piccoletto non sarebbe andato a dire in giro chi egli fosse, magari sarebbe bastato dirgli che se lo avesse fatto, non avrebbe più aiutato l’orfanotrofio, e la cosa si sarebbe risolta, quindi perché preoccuparsi?
Proseguì per un centinaio di metri, i passi irregolari di quel piccolo seccatore che riecheggiavano dietro di lui. Fece finta di ignorarlo bellamente, sperava che così si sarebbe arreso, eppure nulla, anche dopo duecento metri non mollava, per quanto piccolo che fosse sentiva sempre il suo fiato sul collo, e ciò era davvero irritante. Alla fine esasperato si fermò di botto, e ci mancò poco che l’altro gli andasse a sbattere contro.
- Ha intenzione di seguirmi ancora per molto?!
- Ti seguirò finché tu non mi aiuterai!
Jean sospirò. Era davvero insistente il piccoletto!
- Rinuncia allora, perché non intendo aiutarti. - affermò.
Anche perché se lo avesse aiutato, poi sarebbe andata a finire che altri avrebbero voluto il suo aiuto, e lui aveva di meglio da fare che cercare possibili genitori per quei bambini. Tanto valeva a quel punto che aprisse lui stesso un orfanotrofio!
Riprese a camminare, questa volta con mille pensieri per la testa. Come poteva sbarazzarsi di quel pedinatore in miniatura? Sembrava deciso a ronzargli intorno finché non l’avrebbe accontentato. Gli venne quasi da ridere per il suo comportamento: si vedeva che non ci sapeva fare, che non aveva ideato metodi di persuasione efficaci, se ci avesse solo pensato un po’ più seriamente, avrebbe potuto ricattarlo dicendo che avrebbe rivelato la sua vera identità, che era infondo la cosa più ovvia da fare.
In quel momento il bambino si fermò, serrando i pugni come una peste.
- Se non mi aiuti dirò a tutti, gendarmi compresi, che tu sei Black Rose!
Ecco, appunto.
Il nobile si maledisse per averlo anche solo pensato. Cos’era, gli aveva letto nel pensiero? La prossima volta avrebbe certamente evitato. Si voltò verso il suo ricattatore, seccato.
-Se io venissi scoperto nessuno aiuterebbe più l’orfanotrofio, non t’importa? - chiese, riponendo in quella domanda la speranza di una risposta affermativa con cui tenerlo in pugno.
- No. - fu la secca replica. - Tanto secondo me anche con il tuo aiuto non riusciranno a salvarlo.
Con quanto detto, gli aveva definitivamente tolto ogni possibile scappatoia. Se con la sua cattura non aveva niente da perdere allora non c’era modo di volgere la situazione a suo favore.
- E va bene, hai vinto: ti aiuterò. - si arrese infine.
Con la minaccia di andarlo a dire alle forze dell’ordine, lo aveva messo con le spalle al muro.
Il bambino sorrise trionfante e fiero di sé: finalmente qualcuno che gli dava retta! E mentre egli gongolava per la propria vittoria, il giovane nobile cercava di ideare un sistema che gli consentisse di liberarsi in fretta di quell’improvviso impegno che s’era preso. Di certo nel distretto povero era difficile che qualcuno fosse in vena di adozioni, a mala pena sopravvivevano, figuriamoci con un’altra bocca da sfamare.
Ripresero a camminare, questa volta affiancati, mentre il nobile rifletteva, e un dubbio si faceva strada in lui.
- Senti un po’ piccoletto… - esordì, intenzionato a dar voce al suo pensiero.
- Non sono un piccoletto, mi chiamo Julien.
- E va bene, Julien. Mi spieghi come hai capito che io sono Black Rose? Non ci siamo mai incontrati prima d’oggi! - proprio non se lo spiegava.
- Beh, veramente non lo avevo veramente capito, è che ci speravo. Credevo che nessuno, a parte Black Rose, potesse salvare l’orfanotrofio. Quindi quando ti ho visto fuori, ho sperato che quel ragazzo che ci stava difendendo fossi tu.
Jean sorrise.
- Infondo credo di essere l’unico che può fermare la bramosia di mio padre. - affermò.
- Quello è tuo padre?!
- Eh sì.
Julien rimase a bocca aperta per qualche istante, quindi continuò.
- Poi ieri notte ti ho visto quando sei stato ferito: c’è una stanza all’orfanotrofio da cui si vedeva bene il combattimento ieri sera. E stamattina ho visto quando hai poggiato la mano sul fianco! Speravo che fosse per quello. Ieri ti ho anche sentito parlare con sorella Josephine, e ho più o meno ho memorizzato la voce, quindi quando mi hai parlato, ci ho pensato! - spiegò entusiasta di poter far mostra del suo intuito. - Ieri sera era un pochino diversa però… - aggiunse pensieroso.
Il ragazzo lo ascoltò in silenzio. Credeva di non aver lasciato il minimo collegamento fra le due identità, eppure era stato beccato. Accidenti alla fretta di suo padre!
- Di solito la camuffo meglio, ma ieri sera ero piuttosto stanco… In ogni caso, dovrò migliorare.
Non poteva permettere che qualcun altro lo scoprisse. E se fosse successo con Maria?
Intanto erano arrivati nel distretto medio/benestante, lì le probabilità di trovare qualcuno che adottasse Julien erano più elevate. Stranamente nessuno andava mai ad adottare all’orfanotrofio, probabilmente perché il distretto più povero era perennemente snobbato, dunque l’unica soluzione era quella di cercare personalmente i possibili candidati. Notò alcuni passanti, quindi cercò di fare subito un tentativo, e si avvicinò.
- Scusate, il mio aiutante sta cercando una casa, purtroppo è senza famiglia. - spiegò cercando di avere un tono costernato per la situazione del bambino. - Non ci sarebbe qualche buona anima disposta ad adottarlo?
Le persone a cui s’era rivolto lo guardarono preoccupati, quindi rapidamente se ne andarono. Evidentemente non aveva funzionato. Il giovane nobile si grattò la nuca con una smorfia infastidita in volto.
- A quanto pare fermare le persone in strada non attacca, eh?
D’altronde lui non aveva particolare esperienza nella comunicazione con gente al di fuori del suo ceto sociale. Guardò Julien, che ricambiò con un’occhiata interrogativa. Non si sarebbe arreso così, intendeva risolvere rapidamente la questione, e lo avrebbe fatto.
Lo prese per mano, quindi entrò in una bottega, dove più o meno pose la stessa domanda di prima, ma anche lì ebbe risposta negativa. Eppure persistette, uscì ed entrò nella sartoria, ma nemmeno lì trovò qualcuno interessato. Tentò quindi l’orefice, un falegname, un mercante, ed ebbe ogni volta risposte negative. A fine giornata, i due camminavano ancora, con passo più o meno spedito.
- Ora dove andiamo? - fu la domanda del piccolo.
- Alla villa. Ho bisogno di riordinare le idee, e tu volendo potrai riposarti. Ti ho detto che ti avrei aiutato e lo farò: ormai è una questione di principio!
Julien lo guardò interrogativo, non capendo il senso di quanto era appena stato detto.
- Non capisco perché nessuno ti voglia adottare, sei piuttosto sveglio e intraprendente, penso che potresti dare una mano a parecchia gente, sai?
Per quanto poco conoscesse quell’orfano, e per quanto non amasse essere obbligato a fare qualcosa, come in questo caso aiutarlo, doveva ammettere che aveva delle qualità.

Dopo una mezz’oretta di cammino, finalmente arrivarono alla villa. Pareva che Monsieur De la Rou non fosse ancora tornato, la carrozza non era in vista, e perciò il ragazzo decise di passare per la porta principale. Non avendo una ragione particolare che potesse spiegare il motivo per cui aveva portato con sé il bambino, forse sarebbe stato meglio se fossero entrati dal retro, ma ormai era più che consapevole che la servitù lo considerava un accentrino, dunque ne approfittava.
- Bene, siamo arrivati. - disse voltandosi verso il suo giovane ospite. - Ora però è meglio se ti porto nell’ala della servitù, non ti conviene molto farti vedere in giro, soprattutto da…
- Jean! - lo interruppe una voce, chiamandolo.
Lui alzò gli occhi al cielo con un sospiro.
- Eccola…
Dallo scalone che dall’ingresso portava alle stanze dei piani superiori stava scendendo Maria, ancora vestita per uscire, con passo deciso e un’espressione in viso che non presagiva nulla di buono. Evidentemente non aveva preso particolarmente bene l’annullamento dell’uscita al lago.
- Non tornavi più! Si può sapere che fine avevi fatto? - domandò per poi posare il suo sguardo su Julien. - E chi è questo marmocchio?
- Ah, lui? - chiese retoricamente guardandolo a sua volta.
Non voleva che lei lo vedesse proprio per quello: ora che le poteva dire? Doveva inventarsi una scusa.
- Beh, lui è... il nipote del cocchiere. È venuto a trovare suo zio, l’ho incontrato qui fuori e volevo aiutarlo a cercarlo.
Almeno era una scusa plausibile. Intanto il piccolo prese a fissare intensamente Maria, quasi come se la stesse attentamente studiando, finché all’improvviso sussultò, come se avesse ricevuto una scarica in corpo.
- Tu sei il ragazzo che sfida sempre Black Rose! - esclamò indicandola.
A Jean prese un colpo. Che stava facendo?!
- Ma perché sei vestito da femmina? Ti sei travestito? - domandò candidamente, scatenando le ire della giovane, che se c’era una cosa che non sopportava, era quella di essere presa per un ragazzo.
- Come ti permetti, moccioso?! Ma soprattutto, cosa sai di Black Rose? - chiese mentre cercava di trattenersi dalla voglia di strangolarlo, nella speranza di ottenere informazioni utili su colui che considerava il suo più grande avversario.
Il bambino non pareva minimamente temere una qualche azione da parte della giovane, la guardava esattamente come una sua pari, come se non ci fossero differenze d’età o classe sociale.
- Beh, anche se dalla finestra della mia stanza, ho visto un paio di scontri, tutto qui. - spiegò.
Per lo meno non aveva detto che abitava all’orfanotrofio, e nemmeno chi fosse Black Rose.
- Tu sei davvero forte! Però non capisco perché sei vestito da femmina.
Pareva essersi impuntando su questa idea, cosa che stava facendo perdere le staffe alla nobile.
- Piccola peste…! - mormorò a denti stretti serrando i pugni.
Scese rapidamente le scale, pronta ad avventarsi su di lui, ma fortunatamente Jean lo afferrò per un braccio e lo trascinò via fino all’ala della servitù, lasciandosi dietro la sorella inviperita. Lì si trovarono in un corridoio privo, almeno in quel tratto, di finestre, su cui si affacciavano le porte delle stanze dei servitori. Nessuno in quella villa si sarebbe stupito di trovare lì il giovane, perché a differenza del padre cercava di occuparsi anche della servitù. Si appoggiò alla parete tirando un sospiro di sollievo.
- Ma sei impazzito?! Quella era mia sorella! - disse praticamente senza parole.
- Tua sorella è un travestito? - domandò l’altro.
Quella domanda gli fece cadere le braccia. Gli venne da chiedersi se fosse veramente lo stesso bambino sveglio di poche ore prima.
- Vedi di non farti sfuggire niente, lei non sa che io sono Black Rose. - ammonì.
- Quindi combatti contro tua sorella?
- Sfortunatamente.
Restarono in silenzio per qualche istante, nessuno dei due aveva più nulla da dire. Alla fine Jean si staccò dal muro, quindi prese nuovamente la parola.
- Vieni, ti porto da un amico. - fu tutto ciò che disse, riprendendo a camminare.
Aveva bisogno di un paio di consigli, e chi meglio di René glieli poteva fornire? Il problema era trovare la sua stanza, dato che ultimamente non metteva spesso piede in quell’ala. Si guardò intorno cercando di ricordare quale fosse la stanza dell’amico. Le porte erano tutte uguali, dunque doveva affidarsi alla sua memoria.
<< Vediamo, la sua stanza dovrebbe essere quella… >> pensò dirigendosi verso la terzultima porta a destra, per poi bussare.
- Sì? - domandò la voce di René da oltre la porta.
Fortunatamente s’era ricordato la stanza giusta.
- René, apri. Mi serve il tuo aiuto!
Si sentì un lieve rumore di passi, quindi la porta si aprì.
- Padron Jean, cosa succede? - domandò, per poi notare Julien accanto al nobile. - E chi è questo bambino?
- Beh, questo bambino è proprio il motivo per cui mi serve il tuo aiuto. Se ci fai entrare ti spiego tutto.
Il servitore scosse la testa.
- Mi dispiace, ma non intendo permettere che mettiate piede nelle stanze di un servo! - affermò dopo aver gettato un’occhiata alla sua stanza. - Perdonate l’ardire, ma sono dell’idea che sia meglio discuterne nelle vostre stanze.
Il ragazzo sbuffò alzando gli occhi al cielo. Quando l’amico ci si metteva era fin troppo umile!
- Come vuoi… - si arrese.

E poco dopo quindi si ritrovarono nelle ricche stanze del giovane, lui seduto sul letto, Julien in piedi che ammirava a bocca aperta la stanza, e René appoggiato alla porta. Il nobile aveva appena finito di spiegare la situazione al servitore, che stette a riflettere al riguardo qualche istante a braccia conserte.
- Quindi volete trovare una sistemazione per questo bambino. - concluse.
- Già. Sfortunatamente non possiamo prenderlo come servitore come avevamo fatto per te, anche perché nemmeno lui lo vuole.
Il bambino passò il suo sguardo prima su uno e poi sull’altro, palesemente confuso.
- Sai piccolo, prima di prendere servizio in questa magione ho vissuto nel tuo stesso orfanotrofio, poi più o meno quando avevo la tua età, sono stato accolto qui. - gli spiegò René, per poi tornare al discorso principale. Aveva avuto un’illuminazione. - Padron Jean, forse qualcosa possiamo fare. Avete presente quella giovane coppia britanna che in questo periodo abita in quella villa non molto distante da qui?
Jean annuì, non capendo dove l’altro volesse arrivare.
- Se ben ricordate, amano i bambini e hanno detto che sono alcuni anni che stanno cercando senza successo di averne uno loro. Non pensate che sarebbero loro la soluzione migliore?
Il giovane annuì nuovamente, questa volta convinto.
- Assolutamente! Mi pare un’ottima scelta.
Guardò fuori dalla finestra: ormai stava calando il sole, per quel giorno era meglio smettere. Si alzò, guardando prima l’amico e poi il bambino.
- Si sta facendo tardi per queste questioni. Domani mattina cercherò di convincerli, ma per stasera Julien, è meglio se dormi qui nell’ala della servitù.
- E l’orfanotrofio? - domandò il diretto interessato.
- Tanto ci tornerai domani, in caso inventeremo una scusa.
Detto ciò, i tre si divisero, ognuno con i propri pensieri e preoccupazioni per la testa. Il nobile decise di restare nella sua stanza a riposare, in attesa dell’ora di cena. Per una volta non s’era occupato di furti, ma era stanco lo stesso.

                                                      ***

Il giorno seguente, proprio come avevano deciso, lui e Julian si diressero verso l’abitazione della coppia straniera con la scusa di voler proporre all’uomo un affare da parte di Monsieur De la Rou, e vennero accolti molto calorosamente. Fra un discorso e l’altro il giovane si lasciò sfuggire di proposito la situazione in cui versava il piccolo orfanello che aveva presentato come suo aspirante assistente, suscitando così l’empatia dei coniugi. La signora lo strinse a sé, commossa dalla fortuna del bambino, mormorando parole di consolazione mentre il diretto interessato e Jean si scambiavano un paio d’occhiate d’intesa: il piano procedeva alla perfezione. Egli cercò di riportare il discorso sugli affari, ma marito e moglie erano troppo presi dalla sorte del bambino per prestare attenzione ad altro. Vollero informarsi sulla possibilità di adottarlo, dove farlo, e se ci fossero particolari condizioni al riguardo, tutte cose alle quali il nobile, fingendo perfettamente stupore per la piega che stavano prendendo gli eventi, fornì dettagliate spiegazioni. Incredibile come conoscendo i punti deboli delle persone fosse possibile manovrarle a seconda dei propri interessi. Ben presto l’affare passò ufficialmente in secondo piano, i tre parlarono solo dell’adozione, e quando Jean per coerenza ricordò ai coniugi la ragione della visita, la proposta fu rifiutata, anche questo come da piano: era un’idea che nessuno avrebbe potuto accettare. Fu così che infine il giovane nobile e l’orfano lasciarono quell’abitazione con la certezza che la questione fosse stata risolta.
Infatti il giorno seguente la coppia si presentò all’orfanotrofio, con grande stupore dei giovani ospiti della struttura e del vicinato, per adottare il piccolo Julien. Molti rimasero sconcertati: quel brefotrofio, che pareva normalmente dimenticato da tutti, compreso Dio, era ora visitato da una coppia di nobili! Di certo se ne sarebbe parlato a lungo. Ma i due parvero non fare caso alla gente, si limitarono a compilare tutti i documenti del caso, ed infine uscirono, allontanandosi in carrozza assieme al bambino.
Quando arrivarono nei pressi della villa, Julien guardò fuori dal finestrino e vide Jean, che a sua volta lo notò e gli lanciò uno sguardo d’intesa: lui aveva mantenuto la parola, ora toccava all’adottato fare altrettanto. Egli appoggiandosi al sedile della carrozza sorrise fra sé e sé. Come da accordo, non avrebbe svelato il segreto di Black Rose, di cui in quei giorni aveva compreso molte cose: era un nobile il cui padre voleva abbattere l’orfanotrofio dove era cresciuto il servitore, nonché migliore amico, del figlio, che per non esporsi pubblicamente contro di lui al riguardo e per racimolare i soldi per salvare la struttura, aveva assunto l’identità del ladro Black Rose, contro il quale si scagliava perennemente la sorella minore, del tutto all’oscuro della verità. Forse non l’avrebbe raccontata in giro, ma con una storia del genere in futuro avrebbe potuto scrivere un libro! Ma almeno per il momento, il segreto era al sicuro.





Eeee.... anche questo capitolo l'ho concluso alla fin fine. Questo è lungo, e ammetto che non mi soddisfa minimamente. So che è un capitolo penoso, è fatto tanto per, diciamo per creare un po' di stacco dalla vicenda solita, però potevo fare decisamente di meglio. Col prossimo capitolo le cose dovrebbero tornare più serie, spero solo di non metterci di nuovo un'infinità come stavolta... Però, riguardo a questa storia penso di aver preso una decisione: smetterò di pubblicarla qui su EFP. Tanto a chi importa? E' poco letta, non è commentata, quindi vuol dire che fa' troppa pena per destare interesse, e allora che mi sbatto a fare per scriverla in tempi decenti, se tanto interessa solo a un paio di persone? Non serve a niente, quindi lascio perdere. Se qualcuno fosse mai interessato, mi contatti a questo indirizzo email: fedeforlibero.it@libero.it così manderò i prossimi capitoli via mail, se no pace.
Quindi.... adios! Pubblicherò altro in futuro, se avrò voglia.

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