La vergine e lo zingaro

di Jane The Angel
(/viewuser.php?uid=14100)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Libro primo ***
Capitolo 2: *** Libro secondo ***



Capitolo 1
*** Libro primo ***


_______________Nota iniziale

Questa storia mi è venuta in mente leggendo "La vergine e lo zingaro" di Lawrence, da cui ho preso il titolo. è un genere nuovo per me, una specie di esperimento, e non è al livello delle bellissime storie che ho letto in questa sezione su Notre Dame de Paris. All'inizio ero incerta se pubblicarla o meno, ma poi ho pensato che se voglio migliorare non serve a nulla tenerla nel mio computer.

è composta da due "libri", il prossimo devo solo ricontrollarlo... i personaggi principali sono Clopin, il mio preferito, e un nuovo personaggio. Ho iniziato a scriverla senza aver letto il libro, è perciò basata più che altro sul musical e un po' sul cartone del Gobbo di Notre Dame. Alcune cose, dopo aver letto il libro, le ho corrette, ma l'essenza, diciamo, di Clopin è molto differente da quella del libro. Ah, Febo... ho deciso di chiamarlo così e non con con il nome originale, perchè non riesco ad inserirlo in codice html.

La vergine e lo zingaro

LIBRO PRIMO

Cap. I

Era mattino, all’incirca le dieci. Era una fresca giornata d’inverno del febbraio dell’anno 1482, ma il tempo era bello e il sole splendeva tra le nuvole candide, facendo sì che i suoi raggi si estendessero sui tetti di pietra e sulle strade della città che già fervevano di attività.

Il fornaio era nel suo negozio da ore, ormai, e stava sfornando pagnotte calde da aggiungere a quelle che aveva iniziato a preparare alle cinque del mattino, mentre sua moglie, accanto a lui, impastava, il volto un po’ sporco di farina e il grembiule bianco allacciato in vita.

La sarta stava facendo le ultime varianti all’abito da sposa per matrimonio che si sarebbe tenuto la settimana seguente, e mentre cuciva delicate perline sulla scollatura del vestito canterellava tra sé le laude del coro della cattedrale.

Nella piazza, i mercanti avevano già da tempo sistemato le loro merci sui loro banchetti di legno, e ora se ne stavano, seduti o in piedi, sotto quel telo che li riparava, a seconda della necessità, dal sole o dalla pioggia, attendendo che qualcuno si fermasse per acquistare qualcosa.

Regine Dubois era sveglia da un’ora, emozionata, e si era già abbigliata, impaziente di uscire dalla casa degli zii in cui lei, sua madre e suo padre avrebbero soggiornato nell’attesa di trovare una casa tutta per loro. Il fratello di Regine, Simon, sarebbe arrivato solo la settimana seguente, o quella successiva ancora, a seconda di quanto tempo ci avrebbe messo per vendere quella che era stata la loro casetta nel paese in cui vivevano prima.

Erano giunti a Parigi al crepuscolo della notte precedente e durante il tragitto Regine, intorpidita dal movimento cullante della carrozza, si era assopita, perciò non era riuscita a vedere altro della città se non il portone della casa degli zii e uno squarcio della strada in cui vivevano, a malapena illuminato. Sua zia, Madeline, le aveva parlato molto spesso della sua città, durante sue visite a casa Dubois, ma Regine non aveva mai potuto vederla con i suoi occhi, avendo passato la vita intera nel paesino in cui era nata.

E ora non vedeva l’ora di poter uscire.

Si acconciò i lunghi capelli, castani e ricci, in due trecce che, passando dai lati della testa, andavano ad incrociarsi tra loro dietro la nuca.

Dei colpi alla sua porta –Sei pronta, Regine?- domandò la voce di zia Madeline, proveniente dall’esterno della stanza.

-Si, zia.- rispose allegramente Regine aprendo la porta. Indossava una sottana bianca che arrivava a coprirle i piedi e una camicia azzurra che sua madre le aveva cucito per il suo compleanno l’anno precedente. I suoi occhi nocciola erano in tutto identici a quelli della zia, ma le due donne erano per tutto il resto molto diverse tra loro: i lisci capelli di Madeline erano biondi, quasi argentei, e in contrasto con la figura esile della nipote, non era molto alta ma in compenso aveva forme abbastanza fiorenti da attirare diversi sguardi maschili quando girava per il mercato.

Gabrielle, madre di Regine nonché sorella maggiore di Madeline, le attendeva dinanzi alla porta. I suoi capelli, molto simili a quelli della figlia, erano raccolti in uno chignon e quasi del tutto nascosti da un’infula bianca.

-Regine, non voglio che ti allontani troppo da noi, mentre siamo fuori.- si raccomandò Gabrielle con aria rigorosa e un po’ ansiosa quando la figlia e la sorella la raggiunsero –Parigi è una grande città e può essere pericolosa, per chi non è abituato a una tale folla. Potresti perderti, o peggio.-

-Certo, mamma.- assentì docile Regine, ma in cuor suo pensava che la madre si preoccupasse eccessivamente: aveva appena compiuto sedici anni, dopotutto, ormai era entrata nell’età matura, e invece Gabrielle continuava a trattarla come se fosse stata ancora una bambina.

Madeline raccomandò alla cameriera di far trovare il pranzo in tavola per mezzogiorno e mezzo, dopodichè le tre donne uscirono, Gabrielle e Madeline a capo, l’una accanto all’altra, e Regine un po’ dietro, tra le due signore.

Regine non potè quasi credere ai suoi occhi: le costruzioni erano grandi il doppio di quelle che aveva visto fino a quel momento, o almeno questa fu l’impressione che ebbe mentre giravano per le strade di pietra levigata.

E le persone, poi! Non aveva mai visto tanta gente tutta insieme, neanche quando nel loro paesino era giorno di mercato! Erano soprattutto gruppi di tre o più donne, alcune con i riottosi bambini per mano, altre, più giovani, che si guardavano attorno sorridendo, forse per incontrare lo sguardo dell’uomo di cui si erano infatuate, forse per cercare la stoffa dell’abito da indossare a chissà che celebrazione. Comitive di giovinetti in calzoni infangati correvano qua e là giocando a nascondino o ad acchiapparello, e gruppi di ragazzi più grandi o di uomini stavano seduti davanti alle taverne o girovagavano osservando le ragazze che passavano. Le guardie, le fedeli spade al fianco, giravano tra la calca, da sole o in gruppetti di tre, controllando la situazione e parlando tra loro di chissà cosa, forse di lavoro, sicurezza cittadina, oppure di donne conquistate e tafferugli vinti.

Era la gente, in effetti, più che la magnificenza della città, ad attirare l’attenzione di Regine, almeno finché non giunsero a Notre Dame. Lì, la ragazza si perdette per lunghi istanti ad osservare la splendida vetrata, i demoniaci gargoyle, i magnifici archi…

-Lassù vive il campanaro di Notre Dame.- rivelò zia Madeline, notando lo sguardo luccicante di Regine e additando ciò che si riusciva ad intravedere delle imponenti campane –Io l’ho visto, la scorsa settimana, durante la Festa dei Folli… un essere ripugnante, si è spinto tra di noi, ed è stato incoronato Papa dei Folli… e a ragione, oserei dire.- per un secondo, a Regine parve di scorgere un’ombra muoversi, lassù in alto, riflessa nell’angolo di una delle gigantesche campane.

Giunsero al mercato, e Regine seguì Madeline e Gabrielle verso un banco di tessuti.

Di solito Regine si divertiva a osservare le stoffe, immaginando quali abiti lei e la madre avrebbero potuto realizzare con ognuna di esse, ma quel giorno non si unì alla madre e alla zia, che avevano iniziato a discorrere con quella che era probabilmente un’amica di Madeline. Quella città aveva un ché di magico, e Regine continuò a guardarsi attorno mentre le signore al banco discutevano sulla qualità di una stoffa giunta dall’Italia, confrontandola con una delle nuove stoffe inglesi di cui si sentiva tanto parlare.

Alle orecchie di Regine giunse una musica che la spinse a voltarsi. Un uomo, una donna e una capretta stavano suonando, poco lontano, in un angolo tra la piazza e un buio violetto secondario. Avevano la pelle di una tonalità differente rispetto a quella a cui Regine era abituata, ed erano a piedi scalzi. Regine, ammaliata dalla musica, si avvicinò, senza che le sue accompagnatrici se ne accorgessero, e notò che stranamente nessuno si fermava ad ascoltare quelle persone, cosa che al contrario lei fece.

La donna aveva lunghi capelli neri e piroettava, agitando un tamburello colorato, mentre la capretta le saltellava tra le gambe senza mai intralciarla. La donna ballava liberamente, senza inibizioni: anche a Regine sarebbe piaciuto danzare in quel modo.

Ma Regine non diede loro che una breve occhiata, e il suo sguardo si posò sull’uomo. Doveva avere all’incirca venticinque anni. I suoi capelli, neri, erano lunghi fino alle spalle e non aveva né barba né baffi, anche se dava l’impressione di non essersi sbarbato, perché se ne poteva notare un accenno sulla mascella. Indossava una maglia un po’ troppo larga per lui, blu notte, e i pantaloni bianchi, sdruciti in alcuni punti, sembrava fossero stati strappati all’altezza delle ginocchia. Era magro, ma non sembrava debole: l’impressione che Regine ebbe fu invece quella di forza unita a una grande agilità. All’orecchio sinistro, l’uomo portava due orecchini, uno accanto all’altro, due semplici cerchietti dorati, molto piccoli. Suonava due piccoli tamburi, dai lati ornati da simboli colorati, che teneva a tracolla e, percuotendoli sapientemente, si muoveva a ritmo, sul posto.

L’uomo alzò lo sguardo dal suo strumento e incontrò gli occhi di Regine.

La ragazza percepì una strana sensazione, un tremore nonostante il sole riscaldasse piacevolmente l’aria, non appena i suoi occhi entrarono in contatto con quelli dell’uomo, così neri che distinguere l’iride era pressoché impossibile.

L’uomo le rivolse un sorriso. Un sorriso orgoglioso, freddo, ma che a Regine parve sincero e intrigante, le parve regale nonostante fosse un uomo scalzo e vestito in modo stravagante a regalarglielo, e in qualche modo magnifico.

-Ti avevo detto di non allontanarti, che spavento tremendo mi hai fatto prendere!- esalò Gabrielle comparendo, seguita da un’altrettanto agitata Madeline, al fianco di Regine, che non scostò gli occhi dall’uomo, il quale tuttavia aveva abbassato lo sguardo sullo strumento non appena le due donne erano arrivate.

-Desideravo solamente ascoltare la musica…- si giustificò Regine, ma la zia e la madre la sospinsero via –Non devi avvicinarti a questa gente, Regine!- la redarguì Gabrielle –Sono zingari, rubano, si impossessano del candore delle vergini e bevono il sangue dei bambini!-

Mentre si allontanavano, Regine indirizzò un ultimo sguardo allo zingaro, che di nuovo le sorrise nello stesso modo di poco prima, rivolgendole stavolta anche un cenno del capo, come un lieve inchino.

Regine si voltò decisa, o almeno questo era il suo intento: fin da piccola, benché nel suo paesino di zingari non ce ne fossero mai stati, la madre le aveva raccomandato di stare lontana da quella gente, e non sarebbe certo stato il sorriso di quell’uomo a farla venir meno alle promesse fatte a sua madre.

Capitolo II

-Buon appetito.- auspicò Regine in risposta all’identico augurio ricevuto dai commensali prima di assaggiare un cucchiaio di minestra che la serva di Madeline, il cui nome era Corinne, aveva preparato per la cena.

Sedevano tutti a tavola, dopo aver pregato. Regine, accanto alla madre, era seduta ad uno dei due lati lunghi del tavolo rettangolare, e Madeline era di fronte a loro. Ai due capi del tavolo, invece, sedevano i due uomini.

Da una parte Pierre Buvette, il coniuge di Madeline, un uomo panciuto con i capelli chiari e il volto benevolo, o forse solamente sciocco. Più volte Regine si era domandata cosa mai avesse spinto Madeline a sposare quell’uomo, e forse troppo soventemente lei e sua madre si erano trovate a negare con poca convinzione che il matrimonio fosse stato progettato dai genitori di Madeline e Gabrielle per via dell’abbastanza ingente patrimonio di cui la famiglia Buvette disponeva.

Dall’altra parte vi era Jean-Louise Dubois, padre di Regine e marito di Gabrielle. In questo caso, il matrimonio era stata senza dubbio alcuno una decisione dei genitori, infatti prima i due non si erano mai visti, ma Regine sapeva che i suoi genitori si amavano, o almeno che con il tempo avevano imparato a farlo. Jean-Louise era un uomo dall’aria severa, con i capelli castani un po’ radi sulla nuca, gli occhi color del ghiaccio e la carnagione così pallida che a volte, durante l’inverno, a Regine pareva grigia.

-Cosa farete domani, mentre io e Pierre incontreremo il suo parente, messer Frollo?- domandò Jean-Louise alle donne della famiglia.

-Io andrò a trovare donna Antoniette… ti ricordi di lei, Madeline?- domandò Gabrielle alla sorella.

-Oh, ma certo, la vedo spesso, la moglie di messer Loneant…- ricordò la donna –Portale i miei saluti. E noi due, cosa potremmo fare, Regine?- domandò poi rivolta alla nipote, che con aria un po’ assente mangiava distrattamente la sua minestra.

-Non saprei…- rispose incerta la ragazza, non conoscendo ancora abbastanza bene Parigi da poter proporre una qualsiasi idea.

-Forse ti andrebbe di tornare al mercato? Questa volta potremmo comprare qualche stoffa e, nel pomeriggio, lavorare ad un bell’abito per te… ti servirà qualcosa da indossare, se un gentiluomo deciderà di farti la corte ed invitarti ad una qualche serata.- propose Madeline, suscitando l’immediata reazione di Jean-Louise –Non mettere strane idee nella mente di mia figlia, Madeline.- borbottò con aria austera –Se un uomo, che sia o non sia gentile, pretende di stare solo con Regine, dovrà prima d’ogni cosa ottenere la mia approvazione.-

-E quando un gentiluomo l’avrà ottenuta, non vorrai certo che Regine rinunci a lui perché non dispone di un abito adeguato.- insistette la zia per poi rivolgersi nuovamente alla nipote –Dunque, vorresti tornare al mercato, Regine?-

-Oh, si, mi piacerebbe!- gradì Regine. In realtà, non aveva ancora mai pensato al matrimonio. Ciò era piuttosto strano, visto che l’età da marito era ormai prossima, ma tuttavia il pensiero di dividere la vita e il letto con un uomo non l’aveva mai neanche sfiorata. Eppure, desiderava davvero andare al mercato, il giorno seguente… il desiderio di un bell’abito elegante, probabilmente, la spingeva ad accettare di buon grado la proposta della zia, ma si affrettò ad aggiungere alla sua risposta –Se questo non ti contraria, padre.-

-Puoi andare.- accordò infine l’uomo.

La mattina seguente, Regine si svegliò con una musica nella mente, che non riusciva ad allontanare. Era una strana musica allegra, e ci volle qualche minuto prima che Regine associasse tale musica che pareva le risuonasse nelle orecchie a quella che il giorno precedente lo zingaro suonava ai suoi piccoli tamburi: era senza dubbio la stessa. Si domandò se lo zingaro, la zingara e la capretta fossero stati nuovamente al mercato, quel giorno. Non che desiderasse rivederli, certo, ma era quella musica che bramava di ascoltare di nuovo, quella musica differente da tutte quelle che Regine aveva mai ascoltato.

Uscirono dopo aver salutato Gabrielle, che sarebbe uscita un’ora dopo.

Madeline e Regine raggiunsero il mercato e subito si recarono al banco di stoffe dove già erano state il giorno prima. Il mercato era affollato non meno del giorno precedente, e a Regine parve che ci fossero addirittura più banchetti.

-Cosa ti sembra di questa?- domandò Madeline mostrando alla nipote una stoffa lilla e posandogliela addosso come a volerne osservare il contrasto con la pelle –Questo colore ti dona, a mio parere.-

Tuttavia una stoffa diversa attirò lo sguardo della ragazza –Quella mi piace molto…- disse sfiorando con un dito la morbida e leggera stoffa blu notte che aveva scorto.

-Sei così giovane, non preferisci un colore più allegro?- le domandò Madeline, ma poiché Regine continuava a osservare il tessuto domandò al mercante –Quanto le devo per tutto il rotolo?-

-Oh, no, zia, non occorre, mia madre mi ha dato qualche soldo…- protestò Regine, ma Madeline la interruppe –È il regalo che non ti ho fatto per il tuo compleanno.-

-Allora, comperiamo almeno la stoffa che avevi scelto tu!-

-Non dire assurdità, non sono io che dovrò indossare l’abito, ma tu!- le fece notare la zia poggiando le monete sulla mano tesa del mercante e ritirando poi la stoffa –Piuttosto, dobbiamo separarci… devo comprare delle erbe di cui tuo zio ha necessità, ma si vendono in una zona della città non adatta ad una ragazzina… Io mi farò condurre da una guardia, ma preferirei comunque che tu non venissi con me…-

-Oh, certo, come desideri…- annuì Regine.

-Allora, tra un’ora ci incontreremo davanti a Notre Dame, e torneremo a casa insieme.-

Con questa decisione, le due donne si separarono. Regine si voltò verso l’angolo della piazza a cui il giorno prima si era avvicinata facendo preoccupare tanto sua madre. Tuttavia, in quell’angolo non vi era nessuno. Scrollò le spalle, si voltò e iniziò a spostarsi tra le bancarelle, studiandone brevemente le merci e soffermandosi un po’ più a lungo, in alcuni casi.

All’improvviso avvertì un guizzo colore familiare e, voltandosi, fu certa di vedere la donna del giorno precedente, la zingara che danzava: riconobbe la sua gonna, inoltre portava in braccio, sotto al mantello sdrucito che indossava calato sul capo, la stessa capretta bianca che Regine ricordava.

Senza porsi la minima domanda sul motivo per cui lo facesse, Regine seguì la donna con accortezza. Camminarono un po’ per la via principale, ma dopo un breve tempo la zingara svoltò. Regine si bloccò all’imbocco della buia stradina che la donna aveva deciso di percorrere, incerta: la madre era stata molto chiara, il giorno prima, quella era gente pericolosa. E se l’avesse aggredita? Tuttavia l’incertezza durò un secondo appena e, contro ogni sua abitudine, Regine lasciò perdere le ansie e seguì la strada della zingara.

Al termine della suddetta stradina, Regine si trovò a muoversi in una piazza che, pur non essendo delle stesse enormi dimensioni di quella in cui si trovava la cattedrale, aveva comunque una grandezza considerevole. Abbastanza grande, in ogni caso, da farle perdere le tracce della zingara.

Regine sentì una musica, ma capì immediatamente che non era la stessa del giorno precedente. Ciononostante si voltò, e facendolo ne ebbe la conferma: a suonare era infatti un uomo grasso e baffuto che, seduto a terra, percuoteva con esuberanza un grande tamburo.

In una parte della piazza Regine notò tre tende. Una era arancione, l’altra gialla e l’altra ancora celeste. Attorno a queste tende, nella piazza, si muovevano numerose persone, e nella zona delle tende Regine non faticò ad individuare alcuni zingari, che girovagavano o ballavano, scalzi. Non erano più di cinque o sei, più due bambini che stavano per mano ad una di essi.

Regine si avvicinò alle tende, rimanendo però a quella che le parve una distanza sicura, e si guardò attorno.

-Siete qui per conoscere il vostro avvenire?-

Regine si voltò, intimorita, sentendo una mano che si posava sulla sua spalla, e si trovò davanti la donna che aveva seguito fin lì.

-Io… come avete detto?- domandò balbettando lievemente per la sorpresa.

-Vi ho chiesto se siete qui perché io vi sveli ciò che vi attende nel futuro.- spiegò la zingara con un sorriso che a Regine parve benevolo.

-E in che modo potreste farlo?- si accigliò Regine.

-I nostri genitori ci hanno tramandato numerose conoscenze. Volete sapere se la fortuna vi sarà accanto o mi avete seguita per un altro motivo?- insistette la zingara. Si era tolta il mantello, e la scollatura della camiciola bianca lasciava intravedere un medaglione dorato ornato da uno smeraldo.

Regine si domandò se l’avesse rubato ma, tra quel pensiero poco fiducioso e la frase della donna, si trovò in imbarazzo, poiché in realtà non sapeva che cosa l’aveva spinta a seguirla.

-Oh, si, sono qui per… conoscere il mio futuro, certo.-

-Seguitemi.- disse la zingara –Il mio nome è Esmeralda. O almeno, è così che mi chiamano.- aggiunse per poi voltarsi ed avviarsi verso le tende. Regine la seguì con passo incerto: sua madre non le aveva detto chiaramente di non fidarsi degli zingari?

Raggiunsero la tenda arancione seguite dalla capretta bianca, che scorrazzava allegramente strusciandosi alla gonna della padrona come avrebbe potuto fare un gattino.

Esmeralda fece per entrare nella tenda, ma il velo che fungeva da porta fu scostato dall’interno.

In quell’istante, lo zingaro che Regine aveva visto suonare il giorno precedente comparve davanti a loro. Regine notò la sua maglia, e si accorse che era esattamente dello stesso blu notte della stoffa che lei aveva tanto insistito per comprare, poco prima, al mercato.

Gli occhi neri dello zingaro incontrarono quelli di Regine, dopodichè l’uomo si voltò verso Esmeralda e domandò –Non dovresti essere con Carmen?-

Quella semplice frase fece trattenere istintivamente il respiro a Regine. Non per le parole che lo zingaro pronunciò che, in sé, non avevano nulla di inconsueto, ma per la voce dell’uomo. Profonda, un po’ roca, con una leggera inclinazione che faceva comprendere che era uno straniero… ancora una volta, Regine avvertì un brivido che si sforzò di ignorare.

-Questa fanciulla desidera conoscere il suo avvenire.- spiegò Esmeralda.

Gli occhi dello zingaro si posarono di nuovo su Regine, e parvero studiarle la mente e l’animo, anziché il corpo –Posso farlo io.- disse infine.

-Tu?- domandò Esmeralda, lievemente sorpresa –Ne sei certo, Clopin?-

Clopin. Clopin. Quel nome risuonò nella mente di Regine come se l’avesse udito già mille e mille volte, e pronunciato altrettante.

-Certo. Tu và da Carmen.- la incoraggiò Clopin.

Esmeralda si voltò verso Regine –Ti lascio alle sue mani… anzi, lascio a lui le tue mani.- disse con un sorriso, per poi avviarsi rapidamente verso la zingara con i due bambini che Regine aveva notato prima.

-Vieni.- Clopin scostò il lembo della tenda e Regine vi entrò, tenendo lo sguardo basso ma avvertendo comunque quello di lui che seguiva i suoi movimenti.

-In che modo potete vedere il mio futuro?- domandò la ragazza guardandosi attorno. L’interno della tenda era caldo e soffocante, opprimente. Regine respirava a fatica, ma si impose di non darlo a vedere. La luce filtrava rossiccia attraverso il tessuto arancione, illuminando un tavolo di legno e due sedie sulle quali erano posti due cuscini scarlatti bordati d’oro.

-Leggendoti la mano.- rispose Clopin, e intanto accese con una candela alcuni bastoncini che emanarono immediatamente un odore floreale che aiutò molto Regine a riprendere a respirare normalmente. La ragazza si rese conto che lo zingaro non le dava del voi, come invece faceva Esmeralda, ma che le parlava come se fossero familiari. La cosa la contrariò per un secondo, ma le bastò osservare Clopin per qualche attimo per dimenticare il fatto e dedicarsi alla sua curiosità –Come si può leggere una mano?- domandò –Non vi sono parole, né lettere.-

Clopin rise, e anche la sua risata incuriosì Regine: sembrava sinceramente divertito, si sentì come presa in giro da lui, ma tuttavia non offesa in alcun modo -Vedi, è questo il motivo per cui noi siamo in grado di conoscere il futuro prima che esso divenga presente, e voi no.- commentò.

-Cosa intendete?- domandò Regine.

-Siete convinti che solo ciò che già sapete sia reale, e non volete convincervi che non è così. Nel palmo di una mano sono scritte molte cose, ma il linguaggio è differente da quello a cui la gente è abituata.- spiegò Clopin chinandosi per accendere un altro bastoncino.

Regine si stupì: quando sentiva parlare degli zingari aveva sempre pensato fossero persone rozze ed ignoranti, ma le parole di quell’uomo erano sensate e lui le usava sapientemente –E voi sapete comprenderlo, questo linguaggio?- domandò affascinata.

-Certo, anche se non sempre le scritture sono chiare… siediti, e resta rilassata.-

Regine obbedì. Si sedette su una delle due sedie dai cuscini scarlatti, si sistemò la gonna verde pallido con un gesto della mano e attese. Clopin fece per prendere posto di fronte a lei, ma all’ultimo istante parve cambiare idea. Sollevò la sedia e, portandola allo stesso lato del tavolo a cui sedeva Regine, le si sedette accanto.

La ragazza lo guardò incuriosita e lui disse –Dammi la tua mano sinistra.- Regine obbedì e gli porse la mano. Clopin la prese nella sua con un gesto fluido e gliela voltò con il palmo rivolto verso l’alto. Tenne la mano della ragazza poggiata sulla sua mentre, con l’indice dell’altra mano, sfiorava il palmo di lei, tracciando le linee che l’attraversavano con lentezza, nello stesso modo in cui si muove il dito sotto le lettere di un manoscritto.

Per Regine, fu impossibile evitare di arrossire seguendo i movimenti dello zingaro.

-Interessante…- commentò Clopin dopo un paio di minuti. Era rimasto in silenzio, in quel breve tempo, e la sua stravagante voce, così ruvida e pura, fece nuovamente tremare Regine.

-Cosa c’è di interessante?- domandò Regine, esitante: voleva davvero saperlo?

-La tua vita è trascorsa sempre regolata da limiti precisi, che non hai mai immaginato di superare. Ma il tuo animo, Regine…-

-Come sapete il mio nome?- lo interruppe Regine, sorpresa e forse un poco spaventata che lo zingaro l’avesse indovinato… o davvero l’aveva letto sulla sua mano, insieme alle altre cose che le stava dicendo?

Clopin le rivolse un sorriso indecifrabile e rispose –Come potrei non saperlo?-

In quel momento, Regine non desiderò altro se non che lui continuasse a parlare, per poter nuovamente ascoltare quella voce calda e dura. Dopo qualche altro attimo di silenzio, Clopin la esaudì –Come dicevo, la tua anima non rispecchia la vita che hai condotto, e che condurrai ancora per qualche tempo. Ma non si può rinchiudere il mare dietro a sbarre di regolamenti, e il tuo cuore è come il mare. Non è tardi per liberare la tua vera essenza. Qualcosa cambierà.-

-In che modo?- domandò Regine un poco ansiosa.

-Qualcosa, un fatto particolare, ti aiuterà a comprendere ciò che è importante.- spiegò l’uomo, ma poi si incupì –Non sarà un lieto evento, tuttavia.- disse –Non è chiaro, questo punto, ma vedo del sangue infangare la tua vita, Regine.-

-Sangue, dite?- domandò spaventata, nonostante ancora non avesse deciso se credere o meno alle predizioni dell’uomo.

-Sangue, si… ma dopo, la tua vita continuerà, e ora è riunita con la linea dell’anima… avrai ritrovato te stessa, e questa è sempre cosa di cui essere lieti.- la tranquillizzò lo zingaro, alzandosi. Segno che aveva terminato. Le offrì una mano per aiutarla ad alzarsi a sua volta, ma lei preferì fare da sola.

-Quanto vi devo?- domandò frugando nella scarsella in cerca di monete.

-Non sei obbligata a lasciare del denaro, se vuoi farlo lascia quanto reputi giusto.- rispose Clopin. Regine gli diede una manciata di monete che lo zingaro osservò soddisfatto prima di lasciarle cadere in un sacchetto di pelle.

-Questo è l’unico modo di leggere il futuro?- domandò Regine, in parte incuriosita e in parte semplicemente desiderosa di continuare ad ascoltare la voce dello zingaro.

-Questo è il modo che la mia famiglia conosce, ciò che mi è stato tramandato.- spiegò Clopin. Di solito era restio a parlare di sé, o di ciò che faceva per vivere, poiché spesso le sue attività non erano di elevata moralità e, soprattutto, contrarie alla legge, ma tuttavia il futuro di quella ragazza, chissà perché, lo spingeva a parlare con lei –Altre famiglie conoscono altri metodi, e se li tramandano di generazione in generazione. Sfere di cristallo, foglie di tè, carte e molto altro.-

-Perciò, voi vivete sapendo sempre ciò che vi attende.-

-Non è affatto così semplice, Regine.-

Lei avvertì una strana sensazione nel sentire il suo nome pronunciato da quella voce. La prima volta che lo zingaro l’aveva chiamata "Regine" non ci aveva fatto caso, troppo sbalordita dal fatto che lui lo conoscesse, ma ora se ne rendeva conto, ed ebbe come la sensazione che l’uomo avesse quello che in un certo qual modo poteva essere definito un potere ipnotico su di lei.

-Perché non lo è?-

-Non posso leggere la mia stessa mano, né vedere il mio futuro in una sfera.-

-Perché no?-

Clopin scoppiò a ridere davanti alla curiosità di quella ragazza –Non vedrei con chiarezza. La mente degli uomini è estremamente potente, ciò che desidero che accada offuscherebbe la realtà della mia lettura. Capisci ciò che voglio dire?-

-Si, credo di si…- rispose Regine avvertendo un moto d’ammirazione verso quell’uomo, che parlava in modo più saggio che tutti coloro che dall’alto delle loro onorificenze chiamavano lui e il suo popolo "mendicanti analfabeti".

Clopin osservò la ragazza. Doveva avere quindici, forse sedici anni, e pareva di lignaggio nobile, o comunque agiato. Aveva udito il giorno prima quella che doveva essere sua madre proibirle di avvicinare gli zingari, e invece lei era lì… cosa l’aveva spinta fino a loro? Il fato? Era stato il destino? Clopin voleva scoprirlo, ed era per questo che si era offerto si essere lui a leggerle la mano, nonostante di solito evitasse di farlo. Era infatti già sospettato di stregoneria, e una profezia negativa troppo reale avrebbe potuto condurlo al patibolo con estrema semplicità.

D’improvviso, le riflessioni di Clopin furono interrotte dal vivido ricordo di sua madre. Una settimana prima che la donna morisse, quando lui aveva otto anni, gli aveva affidato un medaglione.

Dona questo gioiello a colei la cui via è segnata dal sangue…grazie ad esso, troverà la sua strada…

-Devo andare, ora… mia zia mi starà aspettando…- disse Regine, un po’ imbarazzata dal silenzio che era d’improvviso calato. Fece per andarsene, ma Clopin la afferrò per un braccio –Aspetta!- esclamò. Sorpresa, lei si voltò nuovamente verso di lui, che iniziò a frugare nella scarsella che portava alla cintura.

Ne estrasse una sottile catenina d’oro, dalla quale pendeva un ciondolo di forma ovale percorso da strisce rosso sangue che andavano ad unirsi a un minuscolo rubino posto all’esatto centro del pendaglio. Una seconda pietra, uguale ma ancora più piccola, era posta verso il fondo del ciondolo.

-Tieni.- disse Clopin e, prendendo la mano di Regine, glielo consegnò.

-Ma… cos’è?- domandò Regine esaminando affascinata il ciondolo.

-Appartenne a mia madre.- spiegò Clopin –Ma sei tu che devi averlo… ti aiuterà a superare la macchia di sangue che sporca la tua via. Segui la strada che ti indicherà.-

-Io… va bene… quanto vi devo per questo?- si informò frugando già nella saccoccia.

-Così mi offendi.- la fermò Clopin –Non potrei chiederti soldi per questo, è un privilegio che mi è concesso poter proteggere il tuo futuro, per quanto è in mio potere.- prese il gioiello di mano a Regine e, andando dietro di lei, la aiutò ad indossarlo mentre la ragazza, le guance tinte di rosso, liberava il collo dai ricci sfuggiti all’acconciatura.

-Ora… sarà meglio che vada…- disse Regine, lasciando ricadere i capelli sulle spalle.

-Certo.- annuì Clopin, e la osservò allontanarsi ed uscire dalla tenda mentre una vaga quanto insensata sensazione di solitudine lo avvolgeva.

Regine uscì dalla tenda con il cuore che batteva più rapidamente del solito, ma la sensazione divenne ansia e preoccupazione non appena vide che il sole era ormai dritto sopra di lei: era senza dubbio passata ben più di un’ora da quando aveva lasciato Madeline.

Corse per tutta la strada e le mancò il fiato quando, giunta alla cattedrale, i suoi occhi videro Madeline in lacrime, con suo padre e sua madre accanto.

Non appena il padre la vide, l’aria preoccupata del suo volto si trasformò in rabbia furibonda.

Capitolo III

Passarono cinque giorni prima che il padre desse nuovamente a Regine il permesso di mettere piede fuori dalla casa degli zii. Nel secondo giorno, il fratello di Regine, Simon, giunse con la moglie a Parigi. Avevano venduto la casa prima di quanto pensassero.

Simon aveva ventisette anni. I suoi capelli erano castani e mossi, come quelli del resto della famiglia, d’altronde. Il suo fisico era muscoloso, atletico, e la pelle era pallida, ma in modo diverso dal grigiore che tingeva quella del padre: era luminosa, pareva quasi eterea.

La moglie di Simon aveva ventuno anni e il suo nome era Charlotte. I capelli biondi le arrivavano alla vita, ma da quando era maritata li teneva pudicamente coperti con una cuffietta abbinata al colore dell’abito indossato. Aveva la pelle molto chiara e le guance rosee. Una bella ragazza, ed era innamorata di Simon. Lui, tuttavia, non lo era di lei, Regine lo sapeva bene: il loro matrimonio era stato voluto dalle loro famiglie, e Regine aveva un rapporto abbastanza stretto con suo fratello da aver ascoltato le sue confessioni segrete, che le avevano permesso senza dubbi di capire che lui non avrebbe mai scelto per sé una ragazza come Charlotte, talmente delicata, religiosa e pudica che le prime volte Regine aveva creduto fosse una giovane monaca.

-Non mi hanno voluto dire il motivo del tuo castigo.- disse Simon la seconda sera che passava a Parigi –Cos’avrai mai fatto di tanto grave?-

-Dovevo incontrare zia Madeline, e sono arrivata con più di mezz’ora di ritardo.- ammise Regine.

-Si saranno preoccupati molto…- commentò Simon –E cosa stavi facendo, per attardarti così tanto.-

-Giravo.- mentì Regine, senza saperne il motivo –Ero rapita dalla bellezza della città, mi sarebbe piaciuto… poterla vedere tutta.-

-Vedrai che tra poco papà ti perdonerà… sei la sua unica figlia femmina, dopotutto, sei la sua favorita.- sorrise Simon.

Dei colpi sulla porta interruppero la loro conversazione, e Charlotte aprì la porta della stanza fermandosi sulla soglia –Simon, tua zia ci ha preparato un giaciglio nell’alloggio della servitù.- annunciò la ragazza. Regine ne fu infastidita, un po’ dall’interruzione e un po’ dal tono della moglie di suo fratello, allo stesso tempo timido e grato ma anche sdegnato dal dover dormire negli alloggi della servitù. Nemmeno a Regine, in effetti, andava troppo a genio Charlotte. Inizialmente, credeva di essere solo gelosa del fratello. Ma con il tempo aveva compreso che, se fosse realmente stata gelosa, non avrebbe certo ammesso tanto rapidamente di esserlo. Era passato altro tempo e, il giorno del matrimonio, aveva concluso che il vero problema era che quella donna non era, semplicemente, adatta a Simon, e invece lui era costretto a sposarla. E quando aveva compreso ciò, un altro fatto era divenuto chiaro nella sua mente: non voleva che ciò accadesse anche a lei. Avrebbe, un giorno, conosciuto un uomo di cui si sarebbe innamorata, e sarebbe stato l’uomo che i suoi genitori avrebbero scelto per lei. Così sarebbe stata felice e avrebbe seguito il volere dei genitori. Non aveva ancora compreso che il cuore troppo spesso non segue i progetti che il suo possessore fa per lui. Anzi, è giusto dire che, più che essere l’uomo a possedere il cuore, è il cuore a possedere l’uomo, o la donna.

Il quarto giorno, durante il pranzo, Gabrielle e Madeline annunciarono che l’amica che Gabrielle era andata a trovare pochi giorni prima, Antoniette Loneant, sarebbe andata trovarli. Jean-Louise parve molto felice della notizia, ma Regine incontrò lo sguardo di Simon e notò qualcosa di strano: sembrava seccato, o forse solamente preoccupato per qualcosa.

Antoniette arrivò a casa loro alle quattro del pomeriggio. Chissà per quale motivo, Regine aveva dato per scontato che la donna e suo marito, messer Loneant, non avessero figli. Invece scoprì in quel momento che ne avevano due, che erano andati a trovarli insieme alla madre. Uno dei due figli aveva dieci anni, e il suo nome era Gerard. L’altro figlio aveva invece ventisei anni, la barba perfettamente rasata e un fisico molto simile a quello di Simon, robusto, dalle spalle larghe e i muscoli ben allenati. Il suo nome era Enrique. Jean-Louise presentò personalmente Enrique a Regine, tessendo all’uno le lodi dell’altra e viceversa. Fu così che Regine venne a scoprire che il ragazzo era una delle guardie della città, e che lavorava sotto un certo capitano Febo, uno dei più attivi di Parigi, a quanto dissero gli uomini.

-Fin da quando era un bambino…- raccontò donna Antoniette, con aria orgogliosa -…Enrique ha sempre detto di voler combattere per proteggere la serenità della nostra città.-

-E chi la minaccia?- domandò Regine, un po’ ingenuamente ma allo stesso tempo con un lieve sarcasmo per il tono pomposo che la donna usava.

-Ladri, tagliaborse, mendicanti e gitani… quando non sono tutti racchiusi nella stessa persona.- rispose la signora con uno sguardo compassionevole rivolto a Regine –Certo, non sarete abituata a questi problemi, venendo da un paesotto di ingenui campagnoli…-

Regine avvertì immediatamente l’impulso di ribattere, per difendere il suo "paesotto di ingenui campagnoli" e sé stessa, ma fortunatamente Enrique bloccò le sue parole –Purtroppo è un problema sempre crescente.- disse –Certamente ci aiuterebbe trovare la Corte dei Miracoli, e magari scovare quel loro re…-

-Hanno un re?- domandò Regine, ed Enrique sembrò divertito anziché scocciato da quell’interruzione –E cos’è la Corte dei… Miracoli, avete detto?-

L’uomo fu lieto di risponderle –Hanno un re, si, ma ancora non siamo riusciti a comprendere chi sia…- ammise –Mentre la Corte dei Miracoli, avete detto giusto, è il luogo in cui si rifugiano… solo loro sanno dov’è situata, e pare che coloro che vi capitano per caso siano perduti… il re dei gitani li manda alla forca, così dicono. Anche per questo devono essere eliminati, capite?-

Regine si accigliò per un secondo: trovava terribile che gli zingari uccidessero coloro che entravano nella loro Corte, e non riusciva a figurarsi il gitano conosciuto pochi giorni prima cooperare a un simile atto -Ma è terribile.- commentò –E voi, combattete contro di loro? Siete mai stato ferito?- domandò, incuriosita dal mestiere del soldato: come si poteva passare la vita in un susseguirsi di battaglie e sangue?

-Enrique è un uomo onesto e valoroso, non trovi?- domandò Gabrielle alla figlia non appena gli ospiti se ne furono andati.

-Credo si possa definire tale.- concordò Regine, anche se qualcosa la turbava, in quell’uomo. Le pareva che con troppa leggerezza parlasse di eliminare zingari e mendicanti, e per qualche motivo questo le dava un senso di inquietudine.

Il giorno seguente, Antoniette tornò nuovamente a trovarle. Stavolta c’era solo Enrique con lei, Gerard era rimasto con la governante. Il pomeriggio passò come quello precedente, e le conversazioni furono incentrate principalmente sul coraggio di Enrique in chissà che situazione rocambolesca e sulla bravura di Regine nel cucire e nel cucinare. Regine si sorprese di ciò, ma evitò di fare alcun commento in proposito, anche quando la sera stessa Madeline le domandò, esattamente come aveva fatto sua madre il giorno precendente, cosa pensasse dell’uomo.

Il giorno seguente, finalmente, Jean-Louise, felice del fatto che Simon avesse trovato un lavoro come guardia e per qualche altro motivo che però Regine non conosceva, le annunciò che poteva uscire. Jean-Louise, Pierre e Simon, tuttavia, erano impegnati, quel pomeriggio, e Gabrielle e Madeline sarebbero andate a casa di Antoniette. Proposero a Regine di accompagnarle, anche se Enrique quel pomeriggio aveva il turno di guardia, ma lei rifiutò l’invito spiegando che, dopo tutti quei giorni, desiderava restare un po’ all’aria aperta.

Così, alle cinque, uscì di casa da sola. Aveva preso per un istante in considerazione l’idea di farsi accompagnare da Charlotte, ma l’istante era passato e l’idea era stata scartata rapidamente. Non era una bella giornata. Aveva da poco finito di piovere e minacciava di tornare a farlo presto, a quanto si poteva comprendere dai nuvoloni neri che ricoprivano il cielo. Non era giorno di mercato. Quelle due condizioni facevano sì che in strada non ci fosse la gran folla che Regine aveva ammirato tanto nelle sue prime due uscite in quella città.

Girovagò, guardandosi attorno come se fosse stata alla ricerca di qualcosa. Non sapeva cosa fosse, o forse fingeva di non saperlo e in fondo sapeva di desiderare ancora di ascoltare la musica degli zingari, e magari veder ballare quella ragazza… la invidiava, in un certo senso, perché anche Regine amava ballare, ma sapeva che quando era lei a muoversi seguendo la musica non trasmetteva quel senso di libertà che invece la Esmeralda esprimeva. Forse perché quella gitana poteva dirsi davvero libera, nonostante la minaccia del patibolo fosse sempre ad un passo da lei e dai suoi compagni. Regine, invece, aveva una vita tutto sommato tranquilla, ma aveva anche delle regole, e non poteva far altro che rispettarle.

Le tornò in mente ciò che Clopin le aveva detto. La sua anima rifiutava in segreto quei regolamenti, e lei avrebbe presto fatto altrettanto. Non vedeva l’ora che ciò accadesse, da una parte, soprattutto perché il comportamento dei genitori riguardo ad Enrique le dava una strana sensazione, una sorta di timore. Ma d’altra parte temeva che quel momento giungesse, per via della macchia di sangue di cui lo zingaro le aveva parlato, e anche per il modo in cui la sua vita sarebbe cambiata.

Immersa nei suoi pensieri, Regine si risvegliò d’improvviso nel sentire qualcosa di strano. Era il rumore di un passo che rompeva il silenzio. Ma non era tanto il rumore a coglierla impreparata, quanto piuttosto quel silenzio che non aveva avvertito prima. Si rese conto di essersi attardata davvero troppo, spersa tra quei suoi pensieri: il sole era ormai tramontato del tutto e la sua compagna notturna già faceva capolino dai tetti.

Regine si guardò attorno, ma non c’era anima viva. Quello che aveva sentito era probabilmente un gatto, che lei avrebbe dovuto ringraziare, visto che l’aveva fatta tornare in sé e, forse, se fosse tornata immediatamente a casa suo padre non si sarebbe infuriato nuovamente. Fece ancora qualche passo, poi un rumore giunse nuovamente alle sue orecchie. Sollevò da terra il bordo della gonna marrone e accelerò il passo, sentendosi improvvisamente nervosa.

-Cosa fate in giro tutta sola, a quest’ora tarda?-

Regine si immobilizzò, il suo corpo pietrificato dal terrore. L’uomo che aveva pronunciato quella frase era comparso davanti a lei, bloccandole l’uscita dalla stradina in cui si trovava. Lei si voltò, ma anche dietro di lei vi era un uomo che la bloccava, e che disse –Dovreste essere a casa, è piuttosto tardi.- Aveva una barba castana e il suo capo era calvo.

-Non si sa mai che persone potreste incontrare.- l’altro uomo, i cui capelli biondi cadevano fino alle spalle, si avvicinò a lei e fece per allungare una mano nella sua direzione. Regine d’impulso balzò indietro, e ciò permise all’altro uomo di afferrarla per le braccia e attirarla brutalmente verso di sé.

-Invece siete stata fortunata e avete trovato due gentiluomini…- commentò il biondo passandole senza delicatezza la mano sul volto –Può darsi che, se sarete gentile, non vi uccideremo, dopo.- la mano, spostata sul fianco della ragazza, fece per slacciare il nastro che le legava la gonna. Senza riflettere, Regine iniziò a scalciare e tirare per cercare di sottrarsi ai due –Lasciatemi andare, lasciatemi!- gridò con quanto fiato aveva in corpo.

Un dolore acuto alla spalla sinistra la zittì, e bloccandosi si rese conto che l’uomo calvo aveva estratto un coltello e, dopo averle provocato una ferita alla spalla, glielo teneva ora puntato al collo.

-Capite, è nel vostro interesse lasciarci fare.- disse il biondo riavvicinandosi a lei e poggiandole nuovamente la mano sul fianco.

Il terrore si impossessò di lei, raggelandole il sangue e il respiro. La mano dell’uomo le toccò la pelle fredda sotto la camiciola, ma l’impulso di muoversi fu bloccato dal freddo metallo della lama premuto contro la gola.

-Mi diverto un po’ io, poi toccherà al mio compare. Credete di farcela, madamigella?- ghignò il biondo, e le sollevò la gonna con prepotenza.

Un tonfo sordo, e Regine sentì la stretta dell’uomo calvo cedere e la sua figura imponente, dietro di lei, cadde a terra. Prima che Regine avesse il tempo di comprendere, il biondo le afferrò il braccio gettandola rudemente contro il muro. Regine vi sbatté contro, scivolò e un dolore alla caviglia la fece crollare a terra. Solo allora fu in grado di alzare lo sguardo.

L’uomo biondo era già in netto svantaggio. Clopin lo colpiva con il bastone di cui era armato, senza dargli tregua, e l’uomo cercava di proteggersi con le braccia. Lo zingaro lo bloccò rapidamente contro il muro, ma in quel momento il calvo si rialzò e lo attaccò, armato del suo pugnale. Clopin si voltò abbassandosi con agilità per schivare il colpo, e con una bastonata colpì il suo assalitore nello stomaco, mandandolo a terra. Si voltò verso il biondo, ma era ormai fuggito, e il calvo si affrettò a fare lo stesso, piegato in due dal dolore. Lo zingaro allora si voltò verso Regine, ancora seduta a terra, e le si avvicinò con rapidità. La gonna della ragazza era sporca e strappata in più punti, i capelli stavano crollando dall’acconciatura. Si teneva una mano stretta sulla caviglia e la macchia di sangue sulla spalla si andava allargando, assumendo strane forme. Teneva gli occhi sbarrati, asciutti da qualsiasi lacrima, e respirava a fatica.

-Vieni qui…- sussurrò Clopin, e delicatamente la sollevò prendendola in braccio. Camminarono per qualche tempo, superarono Pont Saint-Michel e Regine si trovò in breve tempo seduta sulle lenzuola rosse di un letto in una strana stanzetta illuminata da una candela in cui non vi era altro che il letto su cui era seduta. Clopin le dava le spalle, e stava preparando qualcosa in una ciotola di legno usando il contenuto di alcune boccette che aveva estratto dalla scarsella.

Entrambi erano in silenzio.

Clopin si voltò verso di lei e si avvicinò, sedendosi di fronte alla ragazza, sul letto. Nella ciotola che teneva in mano Regine intravide una sostanza trasparente e piuttosto compatta.

-Non sarà piacevole.- la avvertì Clopin, la cui voce potente era ridotta a un sussurro –Ma è necessario, o la ferita si infetterà.-

Regine annuì, ma nel farlo i suoi occhi si poggiarono sul braccio dell’uomo e notò una grande piaga che dal gomito andava al polso, e che aveva un aspetto non molto sano. Strano che non l’avesse notata nei loro precedenti incontri… ma se quella pozione aveva un effetto simile, Regine si disse che avrebbe di gran lunga preferito un’infezione.

Clopin notò il suo sguardo e sorrise –Non temere, è un trucco.- spiegò, e in un secondo la piaga scomparve dalla sua pelle. Regine annuì e abbassò lo sguardo sulle sue mani. Clopin con un movimento fluido le scostò i capelli e le slacciò il laccio della camiciola, scoprendo poi la spalla ferita –Non è profondo come temevo.- disse, e le sue dita lievemente callose cosparsero la lacerazione di uno strato di quell’intruglio. Al bruciore improvviso che seguì, Regine trattenne il fiato e le sue dita si strinsero sul lenzuolo.

-Dove ci troviamo?- domandò, tentando di non pensare al dolore.

-Dalla Falourdel.- rispose Clopin, e Regine sobbalzò, sbarrando gli occhi: dalla mezzana del ponte! Madeline le aveva parlato di alcuni fatti accaduti lì, donne non sposate ingravidate, amanti che approfondivano il loro rapporto oltre i limiti che la Chiesa consentiva…

-Non avere paura.- la acquietò Clopin –Era il luogo tranquillo più vicino di cui fossi a conoscenza. Non voglio farti del male.- ma le parole dello zingaro non calmarono affatto la ragazza, che tornò con la mente a ciò che era accaduto. Le lacrime le solcarono le guance, il corpo venne scosso da singulti. Senza pensare, Clopin la attirò a sé, la strinse tra le sue braccia, le sfiorò i capelli e la schiena, mentre lentamente i singulti di Regine si calmavano.

-Sono… arrivato in tempo? Non ti hanno fatto nulla, vero?- domandò Clopin in un sussurro separandosi da lei e scostandole dal volto una ciocca di capelli. Regine scosse la testa –No, siete… siete arrivato in tempo.- disse con voce tremante, e Clopin tornò a respirare –Ti porto a casa. Sei in grado di camminare?- Di nuovo, Regine annuì, ma non appena i suoi piedi toccarono il pavimento una scossa di dolore dalla caviglia dilagò lungo tutta la gamba, costringendola a ricadere sulle lenzuola rosse.

-Ti porto io.- Clopin la sollevò e uscirono dalla stanzetta buia. Regine lo guidò fino a casa, ma alcune volte si trovarono in luoghi sconosciuti e Clopin dovette portarla in posti a lei familiare così che ricordasse la strada. Lo sguardo dello zingaro spesso vagava verso la spalla di Regine, dove la macchia di sangue aveva smesso di allargarsi. Clopin trattenne il respiro, ricordando pericolosamente a sé stesso l’immagine del poeta Gringoire quando l’ispirazione lo coglieva. Ma ciò che aveva compreso era troppo importante per lasciarsi distrarre da tali pensieri.

-Oh, cielo! Al rapimento! Fermatelo!- gridò una voce di donna rompendo il silenzio della notte, impedendo a Clopin di parlare. Regine, che aveva tenuto fino a quell’istante gli occhi bassi sul suo ventre, alzò lo sguardi e nel suo campo visivo entrò un gruppetto di persone, formato da tre uomini e tre donne, che correvano verso di loro, gli uomini davanti, uno dei tre un po’ più rapido, e le donne dietro, le gonne sollevate da terra per agevolare i movimenti.

-Andatevene.- disse Regine in tono incalzante, rivolta a Clopin. Aveva infatti riconosciuto quelle figure nonostante il buio, erano Gabrielle, Madeline, Charlotte, Jean-Louise e Pierre, e l’uomo più avanti era Simon.

-D’accordo.- disse Clopin, ma nel frattempo Simon li raggiunse –Lasciatela, subito!- ordinò estraendo la spada dal fodero –Lasciatela, o ve ne farò pentire, parola mia!-

Regine si voltò verso Clopin, e vide nei suoi occhi la voglia di accettare quella sfida. Lo scongiurò con lo sguardo di non raccogliere la provocazione, e nel frattempo suo padre e suo zio raggiunsero Simon mentre le donne si fermavano un poco indietro.

-Vi prego, obbedite, mettetemi giù…-

-Se è ciò che vuoi, lo farò.- Clopin osservò con noncuranza la spada che gli era stata puntata contro, si chinò e delicatamente poggiò Regine a terra per poi prendere una delle sue mani tra le sue –Forse comprenderai anche tu… se ciò accadrà prima di un nostro nuovo incontro, sappi che anche io ho capito, e tornerò.- disse, e avvolgendosi nel manto di stracci che usava come mantello scomparve nel buio.

-Stai bene?- domandò Simon inginocchiandosi preoccupato accanto a lei. La spada cadde a terra con un clangore metallico. Regine annuì, più concentrata sulla frase di Clopin che sulla domanda del fratello. Cos’era che doveva comprendere che lui aveva già compreso? Era come se nelle sue orecchie risuonasse ancora quelle enigmatiche parole che le sembravano tanto cariche di significati e che, tuttavia, ancora non riusciva a comprendere.

In quel momento però il padre la riportò alla realtà –Chi era quell’uomo?-

-Non conosco il suo nome.- mentì Regine abbassando lo sguardo a terra per far si che nessuno cogliesse la menzogna dal suo sguardo.

-Ma era uno zingaro, non è forse vero?- si intromise Pierre in tono autoritario.

-Io… credo che lo sia, si.- ammise Regine intimidita.

-Giri di notte, e ti lasci tenere tra le braccia da un lurido zingaro?- sbraitò Jean-Louise rosso in volto per la rabbia.

-Mi sono ferita, e Clopin era l’unico che potesse riportarmi a casa…- Regine si interruppe di colpo vedendo l’espressione del padre e rendendosi conto del grave errore commesso: aveva pronunciato il nome di Clopin pur avendo detto di non conoscerlo.

-Figlia mentitrice!- strepitò l’uomo –Proteggere un lestofante! Come osi disonorare così la nostra famiglia!-

-Io… non è il suo nome, è che… quando gli ho chiesto chi era, lui mi ha detto di chiamarlo così…- cercò di mentire Regine mentre un timore nuovo e sconosciuto le nasceva nel cuore, un timore che non era dovuto alle grida del padre, alla sua rabbia, ma a qualcosa di più grave e temibile di cui neanche lei conosceva l’esatta natura.

-Ascoltami bene, Regine, perché non lo ripeterò: pretendo che tu stia lontana, da oggi in avanti, da quella gente… hanno malattie, vivono nella sporcizia… adoratori del demonio, ecco ciò che sono, anzi, sono demoni loro stessi!-

Regine dovette combattere contro sé stessa, mordersi la lingua, per non rispondere a suo padre. Perché se avesse parlato, l’avrebbe oltraggiato, l’avrebbe contraddetto, e l’avrebbe fatto con un vigore che non aveva mai pensato di possedere, che anzi non le appartenevano di certo. Abbassò lo sguardo, spaventata dalle sensazioni nuove che provava e dalla mano del padre che, per impartirle meglio l’insegnamento, si era alzata e che la colpì sulla guancia. L’uomo rientrò poi in casa e il resto della famiglia lo seguì, con Simon che aiutava Regine a camminare.

-Stai bene?- le domandò il fratello, e Regine annuì, sentendosi male per questo: mentiva, di nuovo.

Capitolo IV

Regine prese la camiciola bianca che sua madre le porgeva.

Era chiusa in casa da cinque giorni, ormai, e ne comprendeva il motivo. Era tornata a tarda sera, accompagnata da uno zingaro, e non solo: non era la prima volta che faceva un ritardo, e inoltre aveva mancato di rispondere a una domanda del padre, pur conoscendone la risposta. E queste, si ripeteva spesso, erano solamente le colpe di cui suo padre era a conoscenza. Se avesse saputo che era stata dalla Falourdel…

-La macchia di sangue non vuole saperne di andarsene.- disse Gabrielle, e uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.

Regine non aveva potuto uscire, in quei giorni, ma le era stato concesso di ricevere visite, e ne aveva ricevute. Enrique, con la madre Antoniette e con il fratellino Gerard, o anche solo, era più volte passato a casa degli zii, si poteva dire una volta al giorno: farlo più soventemente sarebbe stato fuori luogo. Si era dimostrato preoccupato per la salute di Regine, e si era informato ad ogni visita delle condizioni della spalla e della caviglia, nonché del modo in cui la ragazza si era procurata tali ferite. Regine sentiva di dover tenere per sé ciò che era realmente avvenuto, perciò raccontò di essere inciampata, tagliandosi contro una cassa, e che Clopin (stavolta si curò di non pronunciare questo nome) l’aveva trovata e l’aveva riportata a casa.

-Siete stata fortunata.- aveva commentato Enrique quando lei gli aveva raccontato l’accaduto –La mia opinione è che lo zingaro che avete incontrato avesse una qualche azione per cui chiedere perdono al suo dio pagano, e che abbia perciò compiuto una buona azione verso di voi per guadagnarsi il perdono… avrebbe potuto andarvi peggio, nessuno sa cosa facciano gli zingari con le donne che rapiscono.-

Regine aveva pensato spesso alle criptiche parole di Clopin, in quei giorni, ma non aveva concluso alcunché. Si era perciò spesso trovata con la figura agile e sottile dello zingaro che girovagava per i suoi pensieri, e ogni volta, inevitabilmente, se ne impossessava, invadendola, facendole rivivere quella lotta abile e sciolta, ma al contempo furiosa, contro i due uomini, le cure che le aveva prestato dalla Falourdel… tutto si confondeva in un vortice di immagini e profumi che si impossessavano di Regine per diversi minuti, per poi abbandonarla e lasciarle una sensazione di abbandono.

Clopin svoltò nella via buia alla sua destra, il mantello di stracci stretto attorno a sé contro il freddo, i piedi nudi, in mano un sacchetto contenente il guadagno di quella giornata, tra elemosina e furti. In quei giorni, ciò che riusciva a guadagnare era molto meno del solito, ed era ovvio che ciò era da attribuire alle soventi scomparse di Esmeralda: di certo ai ragazzetti la sua musica interessava solo se la ragazza ne seguiva il ritmo con le sue danze. E ora, Clopin si ritrovava a suonare e mendicare senza nessuno con cui parlare, e i suoi pensieri andavano spesso alla ragazza che aveva così spesso incontrato in quei giorni.

Si raschiò via la finta piaga che aveva posto sul braccio e continuò a seguire la strada verso la Corte, mentre nella sua mente tornava col pensiero a Regine. Già dal loro primo incontro, quando l’aveva vista mentre suonava davanti a Notre Dame, gli era rimasta nella mente, e aveva da subito saputo il suo nome, senza che occorresse domandarglielo. Vagando con il pensiero rivolto alla ragazza, Clopin si trovò senza rendersene conto con la fredda lama di una spada puntata alla gola.

-Lasciarsi catturare così, zingaro… che umiliazione.- commentò il soldato.

-Capitano Febo… sarebbe sì un onore essere catturato da un abile guerriero come voi, eppure…- una nube di fumo, e Clopin scomparve per ricomparire al fondo della strada –Eppure, devo declinare il vostro gentile invito.- concluse.

-Siete zingaro, e stregone, dunque!- berciò Febo –Guardie, a me!-

Clopin iniziò la sua fuga, i soldati alle spalle.

Regine voltò la pagina e il suo dito scorse sotto le lettere per aiutarla nella lettura. Enrique, quel pomeriggio, le aveva donato una delle prime Bibbie stampate a Norimberga, e dopo aver cenato Regine aveva immediatamente iniziato a leggerla, illuminata da una candela posta sul tavolinetto di legno della sua stanza.

Un rumore la distolse dalla lettura, e si voltò verso la finestra. Fece per gridare, ma la mano dell’uomo che era si introdotto nella sua stanza le bloccò le parole.

-Aspetta, ti prego, non gridare.-

Regine, ancora tremante, annuì, e Clopin spostò la mano.

-Ma cosa fate qui?- domandò regine alzandosi in piedi e ringraziando di essere rimasta vestita.

-Sono in fuga da alcune guardie.- spiegò l’uomo, e il suo sguardo si posò sulla Bibbia –Sapete leggere?-

-Si… voi no?-

Clopin scosse la testa, portando nuovamente lo sguardo scuro sulla sua ospite –Posso rimanere per qualche attimo, così che le guardie passino avanti?-

-Ve lo devo, voi mi avete salvata.- acconsentì Regine –Non vi ho ancora ringraziato per ciò che avete fatto.-

-E non devi farlo. L’unica cosa che ti chiedo è di pensare a… ciò che ti ho detto. L’hai fatto?-

-Lo fatto.- disse Regine –Davvero, ma… non sono riuscita a capire, per quanto ci provassi.-

-Non mi stupisce, dopotutto, che tu non abbia capito.- commentò Clopin sorridendole e portandola a percepire quel brivido che le era ormai familiare. Regine si poggiò con la schiena al muro, imbarazzata –Cosa volete dire?-

-Chi non vuole vivere la propria vita, spesso non è in grado di comprenderne i segni.-

-Io… io amo la mia vita!- ribatté Regine, che si sentiva per qualche motivo obbligata a giustificare sé stessa a quell’uomo.

-Oh, certo.- concordò Clopin facendo un passo verso di lei –Tu ami la tua vita, ma ancora non hai il coraggio di viverla fino in fondo.-

-State forse dicendo che temo di vivere?- domandò Regine con un senso di inadeguatezza e al contempo di offesa per le parole e la vicinanza di Clopin.

-Sto dicendo che sei giovane, e…-

-E che non sono una zingara.- lo interruppe Regine con un moto di rabbia pensando a quella zingara, Esmeralda, che forse era la sposa, o la donna, di Clopin –Ma immagino che voi sappiate vivere la vostra vita, e con chissà che gran virtù!-

Il sorriso di Clopin divenne appena più serio, il suo sguardo si fece più profondo, e si avvicinò ancora, gli occhi incatenati a quelli di Regine, che lo fissava a sua volta, rossa in volto.

-Io semplicemente non temo di andare contro a ciò che mi viene imposto, se…- l’uomo s’interruppe e sfiorò il volto della ragazza mentre il suo mantello di stracci cadeva a terra, alla sua schiena.

-Se?- domandò Regine in un sussurro, e allo stesso modo lo zingaro le rispose –Se sono la passione e l’amore a guidarmi.- e attese appena di terminare la frase per avvicinarsi ancor più a lei, unendo le loro labbra, baciandola con delicatezza e passione, facendole mancare il respiro mentre un turbine di sensi li avvolgeva, tenendo i loro corpi ancora più vicini. Regine chiuse gli occhi, abbandonandosi alle sensazioni che l’uomo le donava, sfiorando il suo petto robusto con le mani mentre lui la stringeva sempre più. Infine, Clopin interruppe quel bacio, separò le loro labbra, tenendo la fronte contro quella di Regine e le mani sui suoi fianchi mentre i loro respiri affannati spezzavano il silenzio che li avvolgeva.

Regine rabbrividì mentre un fiume di sensazioni fluiva in lei. Voleva che le mani di Clopin rimanessero sul suo corpo, che la sfiorassero ancora, che le sue braccia la stringessero, che le loro labbra si incontrassero di nuovo… come poteva volerlo? Non vi era matrimonio che potesse unirli, sua madre ne sarebbe morta, suo padre l’avrebbe rinnegata… eppure, nonostante ciò, sapeva di desiderarlo.

La spiegazione di ciò che provava le trapassò fulminea la mente e Regine sbarrò gli occhi, terrorizzata: quello zingaro l’aveva stregata, era vittima di un sortilegio!

Con tutta la forza che riuscì a trovare spinse l’uomo lontano da sé –Come osate?- gridò –Andatevene, come vi permettete? Non osate mai più toccarmi!-

-Regine, ascolta, non capisci? La macchia di sangue, è il…- Clopin si avvicinò nuovamente, ma lei scattò lontano, di lato –No, no! Non parlatemi di macchie né di sangue né di nient’altro, non è che stregoneria, e voi siete il diavolo!-

Clopin rimase un istante in silenzio, come per assimilare quelle parole, guardandola con occhi adirati. Si accostò a lei, la afferrò per un braccio attirandola a sé e la baciò, un bacio duro e rapido, dopodichè la fisso dritta negli occhi, tenendole il polso –Credevo foste diversa dalla vostra gente, ma ho commesso un errore. Sarete sempre schiava delle vostre paure.- disse –Vi saluto.- aggiunse, e raccattando il suo mucchio di stracci uscì dalla finestra da cui era entrato con un agile balzo.

Regine rimase immobile, lo sguardo nel vuoto, l’animo dolorante per il tono freddo che la voce dell’uomo, quella voce che l’aveva sempre affascinata, aveva assunto. Il cuore le batteva rapido e potente, ma la sua mente razionale mantenne il controllo.

Si ripeté che aveva fatto la cosa giusta, finché non se ne convinse.

-Lo vedo bene che qualcosa ti turba.- disse Simon alla sorella. Erano passati due giorni dalla sera in cui Clopin l’aveva baciata, ed era con Simon in cucina. Ogni qual volta che Regine entrava nella sua stanza si fermava con gli occhi puntati sulla finestra. E ogni volta vedeva con gli occhi del ricordo la figura dello zingaro che le si avvicinava, e sentiva le mani di lui su di sé.

-Mi sento bene.- menzognera.

-Menti, e lo sai. Parlane con qualcuno, Regine, qualcuno che ti possa aiutare.-

-Non ho bisogno di alcun aiuto, Simon. Mi sento bene.- ripeté Regine, quasi a voler convincere sé stessa.

-Credo di sapere ciò che ti preoccupa.-

Regine diede di scatto le spalle al fratello, fingendo di spellare una patata –Sai cose di me che non conosco nemmeno io, dunque.-

-Si tratta di Enrique, vero?-

-Enrique?- domandò Regine, un timore improvviso le fece battere il cuore –Cosa c’è in Enrique che potrebbe preoccuparmi?-

-Cosa pensi di lui?-

-Perché me lo chiedi?- domandò Regine per guadagnare alcuni attimi.

-Perché nessun altro te lo chiederà, d’ora in avanti.- rispose Simon, cinico come lo era diventato quando il suo fidanzamento con Charlotte era divenuto matrimonio.

-Che vuoi dire?- la domanda era retorica: già da giorni Regine aveva compreso il motivo delle visite continue di Enrique e la felicità dei suoi genitori.

In quell’istante, l’oggetto dei loro discorsi fece il suo ingresso in cucina, accompagnato dalle due famiglie al completo. Per la prima volta Regine vide Serge, il padre di Enrique. Aveva i capelli dello stesso biondo del figlio, ma corti e radi sulla nuca. Il suo sguardo severo contrastava con l’aspetto bonario che gli veniva conferito dal fisico grassoccio.

Dopo saluti e convenevoli, tutti si sedettero al tavolo rotondo, e Jean-Louise prese parola rivolgendo alla figlia un sorriso benevolo, per la prima volta dall’incidente –Oggi, Regine, è un giorno molto importante per te, anzi, per tutti noi. Oggi, questo giovane valoroso è venuto a chiedere la tua mano, e io l’ho concessa.-

Non fu un tuffo in un lago ghiacciato, né un fulmine in una giornata di sole. Preparata a quel momento, Regine sorrise, nascondendo la tempesta che portava nel cuore.

-Solo se voi mi vorrete, Regine.- aggiunse Enrique.

-Come potrei rifiutare?- fu la più compiacente risposta che Regine fu in grado di dare.

-E sia, il fidanzamento è ufficiale!- annunciò allegramente messer Serge –E presto la vostra unione sarà portata di fronte a Dio!- Enrique guardò Regine, raggiante. Simon le rivolse uno sguardo compassionevole e solidale.

Nei giorni seguenti, Regine ed Enrique trascorsero insieme molto più tempo, a volte persino soli. Regine si trovava bene con lui, era un uomo onesto, un soldato coraggioso. Anche suo fratello, che era un suo sottoposto, lo confermava, nonostante tutto.

Una voce solitaria, il cuore di Regine, continuava a opporsi, gridava, ma Regine era in grado ormai di soffocare quella voce portando la mente verso il matrimonio imminente. Dopo qualche giorno, Jean-Louise diede a Regine il permesso di uscire di casa, e lei ed Enrique si recarono al mercato. Non più abituata alla folla, non appena giunsero al mercato Regine si sentì spersa.

-State bene?-

-Certo.- Enrique, tuttavia, le prese la mano, e lei lo lasciò fare, sorridendogli. Da quel momento camminarono mano nella mano, discorrendo con tranquillità.

D’improvviso, come un’eco di un lontano passato ormai dimenticato, una musica familiare giunse alle orecchie di Regine. Si volto lentamente, come in un sogno, e ai suoi occhi comparve prima di tutto la capretta bianca. Danzava sola, saltellando, senza la Esmeralda ad accompagnarla. Timorosa, Regine si voltò ancora verso la sorgente della musica, e lo vide. Seduto a terra, i tamburi tra le gambe, la camicia blu notte un poco aperta sul collo lasciava intravedere il petto che lei aveva sfiorato giorni prima, i pantaloni bianchi erano sporchi al fondo.

-Questa musica è molto bella, non trovate?- commentò trasognata.

-Voi dite? Strano che vi piaccia, è musica gitana, primitiva…- commentò con sprezzo il suo accompagnatore.

-Gradirei molto poterla ascoltare meglio…potremmo avvicinarci di più? Non dovreste arrestarlo, vero?-

-Oggi sono a riposo, rendervi felice è il mio unico obbligo. Se lo desiderate, avviciniamoci.-

Regine sorrise –Lo desidererei molto…- disse, avvertendo una spinta nel cuore, mossa dal desiderio improvviso di vendetta. Non poteva perdonare quello zingaro, non poteva ignorare quel controllo che esercitava su di lei, quel timore per la vita di lui che l’uomo la costringeva a provare con la sua malvagia stregoneria… se una piccola parte del cuore del gitano ancora non era stata offerta al demonio, e se quella parte di cuore fosse stata davvero legata a lei, allora lei gliel’avrebbe spazzata, come lui aveva spezzato la sua purezza con quel bacio: gli avrebbe mostrato il suo amore per il soldato che le stava accanto e avrebbe spezzato così le catene che la tenevano legata allo zingaro.

-Allora, avviciniamoci.- acconsentì Enrique, seppur con qualche dubbio. Così andarono verso il gitano e la capretta.

Regine lasciò la mano di Enrique e lasciò cadere qualche moneta nel cappello nero con cui lo zingaro raccoglieva le elemosina -Dov’è la donna che danzava per voi?- domandò, al solo scopo di far notare la sua presenza all’uomo.

Clopin sobbalzò sentendo la voce di Regine, e continuando a percuotere i suoi tamburi posò lo sguardo su di lei. Il cuore di Regine prese a battere con la stessa potenza degli strumenti dello zingaro quando la voce di lui le giunse nuovamente alle orecchie –Mia sorella non può danzare, poiché solo l’asilo di Notre Dame la protegge dalla forca.-

-Capisco.- Regine indietreggiò di un passo raggiungendo Enrique, il quale di nuovo le prese la mano. Per lunghi attimi Clopin non poté respirare, mentre gli occhi di Regine fissavano i suoi come una muta sfida. Dopo alcuni secondi, l’uomo sciolse l’intreccio dei loro sguardi per posare il suo sulle mani unite dei due.

-La mia promessa sposa gradisce molto la vostra musica. È un peccato che essendo ciò che siete non possiate suonare al nostro matrimonio.- disse Enrique.

Clopin fece un accenno d’inchino come ringraziamento, ma in realtà respirava con fatica. Mai, nemmeno udendo Esmeralda costretta a pronunciare la richiesta d’asilo per salvarsi dall’accusa di aver ferito il capitano Febo, aveva provato una tale rabbia cieca. Le sue mani desideravano impugnare il bastone e far tacere quel soldato, il suo sangue gli ordinava di afferrare Regine e portarla via con sè, lontani da Parigi. Ma il suo corpo obbedì alla sua mente ancora razionale, e continuò a suonare. Non potè tuttavia trattenere la sua lingua –Che il vostro matrimonio sia protetto dal Dio in cui credete. Se lo vuole il fato, che siate felici.- disse –Ma se non è destino, allora che le nozze siano impedite… ANAGKH.- aggiunse in un sussurro appena percepibile.

-Cosa borbottate, zingaro?- ringhiò Enrique, e con un calcio rovesciò i tamburi di Clopin –Una maledizione nella vostra lingua?-

-Tutt’altro, un augurio.- ribatté calmo, almeno nel volto, Clopin, alzandosi, recuperando i tamburi e avvolgendosi nei suoi stracci –Un augurio, per voi e per la vostra purissima sposa.- con un passo, lui e la capretta scomparvero nel buio di una stradina secondaria.

-Venite, andiamocene.- Enrique la guidò nuovamente verso il mercato, la mano di Regine nella sua, e lei lo seguì, confusa, agghiacciata ed irritata. Con l’intento di liberarsi dalla catena che la incatenava al ricordo dello zingaro, aveva permesso che lui la legasse a sé con una catena di diamante che non poteva spezzare.

_________Nota di Herm90

Fine del primo libro. Sarò molto felice se mi lascerete qualche recensione, positive ma anche negative, in particolare se costruttive. In ogni caso, tra poco pubblicherò la seconda parte, che sarà più breve si questa.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Libro secondo ***


LIBRO SECONDO

Capitolo I

Passarono due giorni, e Regine ed Enrique uscirono nuovamente, stavolta accompagnati da Jean-Louise, Serge, Gabrielle, Antoniette, Simon e Charlotte.

Il cielo era oscurato da cupe nubi, e la stessa coltre scura avvolgeva il cuore di Regine, impedendole ogni sorriso. Era inquieta, e ad ogni passo un lieve tremito la scuoteva. Sentiva nel suo cuore che quello sarebbe stato un giorno differente, anche se non capiva il motivo di quella sensazione.

Arrivarono a Notre Dame, e la calca della folla era molto aumentata rispetto alle precedenti giornate. Regine si guardò attorno, e al suo occhi non sfuggirono numerosi zingari che giravano attenti, con l’aria di chi attende qualcosa, di chi ha uno scopo preciso per trovarsi in un luogo.

-Cosa fa il vostro parente?- domandò Serge a Jean-Louise. L’arcidiacono Claude Frollo, che era per amor della precisione parente di Pierre e non di Jean-Louise, salì sul patibolo di legno montato accanto alla cattedrale, scortato da quattro guardie armate di tutti punto.

-Cosa succede, per l’amor del cielo? Un’impiccagione?- domandò Charlotte, notando anche lei che molta gente nella piazza era agitata. Simon le fece segno di tacere, e rivolse come tutti la sua attenzione all’arcidiacono, su cui erano puntati gli occhi di tutti i gitani.

Uno squillo di tromba bloccò ogni mormorio, nella piazza regnò il silenzio.

Un fulmine squarciò il cielo scuro, preannunciando un acquazzone.

Claude Frollo parlò con voce chiara e potente –Allo scopo di salvaguardare la quiete del buon popolo di Parigi… da questo momento il diritto d’asilo è negato.- respiri trattenuti come se tutta la popolazione, svegliatasi da un orrendo sogno, si fosse resa conto che l’incubo aveva invaso la realtà –Da oggi in poi, ai soldati è permesso di entrare a Notre Dame, e stanare i topi di fogna che vi si rifugiano.- aggiunse questa frase con voce diversa, stentata e raccapricciante come se venisse dalle più profonde viscere del suo essere.

Il silenzio totale che accolse la notizia fece presto a trasformarsi in un’onda di bisbigli concitati.

-Ma cosa… perché?- mormorò Regine.

-Si scatenerà un inferno.- commentò Simon pronto ad estrarre la spada: non era che una sottoguardia, ma aveva il compito di combattere in caso fosse stato necessario.

-Ha avuto un’illuminazione saggia.- commentò invece Enrique –Ora riusciremo più facilmente a liberare la città da quel sudiciume.-

Una voce si levò sul brusio. Un’invocazione, cantata da una voce potente, chiara e decisa.

-Asilo! Asilo! Asilo! Asilo! Asilo!-

Una voce che Regine riconobbe. Spostò, come molti altri, lo sguardo verso la cattedrale. Sulla scalinata principale l’agile figura di Clopin stava dritta in piedi, scandendo quella parola come se ne andasse della sua vita, cosa che forse era la realtà.

-Ho detto che il diritto è negato!- si sgolò Dom Frollo, rosso in volto per l’ira.

Clopin batteva a terra il suo bastone, sulla cui punta aveva fissato una lama, come a tenere il ritmo di quel disperato ritornello. Con un brivido, Regine comprese che avrebbe lottato per difendere quel diritto, anche solo contro tutti se fosse stato necessario.

Ogni zingaro, per tutta la piazza, iniziò a scandire quella stessa parola.

-Asilo! Asilo! Asilo!-

E continuarono, mentre Clopin iniziava a cantare quello che doveva essere un canto gitano degli stranieri giunti a Parigi…

-Noi siamo gli stranieri

I clandestini.

Noi uomini e donne, soltanto vivi.

Oh Notre Dame e noi ti domandiamo asilo…

Asilo!

Noi siamo gli stranieri

I clandestini

Noi uomini e donne, di povertà.

Oh Notre Dame e noi ti domandiamo asilo…

Asilo!-

La sua voce era forte, solida, ma amara e disperata, e fece sì che qualcosa si spezzasse nell’animo di Regine. Avrebbe desiderato correre da lui, essergli accanto…

-Simon, porta via le donne.- ordinò Jean-Louise estraendo la spada dal fodero nello stesso istante in cui lo fecero Serge ed Enrique. Il ragazzo annuì e, sfoderando a sua volta la sua lama, si voltò verso le tre donne –Venite.- disse, prendendo la mano di Regine.

-No… no, vi prego, aspettate!- cercò di controbattere Regine. Il cuore le batteva come impazzito mentre Simon la trascinava via e la figura di Clopin scompariva lentamente dal suo campo visivo.

I soldati si radunarono in formazione. Le donne fuggivano dalla piazza, trascinando via con sé i bambini urlanti. Gli zingari estrassero le loro povere armi.

-Vi do io il diritto, soldati! Entrate, entrate con la coscienza pulita, e scovate chiunque si nasconda nella casa del Signore!-

Enrique seguendo il comando del capitano Febo si unì al gruppo del padre.

-Asilo… asilo… asilo…- l’invocazione continuava a diffondersi, ogni zingaro cantava, finché i soldati non attaccarono.

Simon trascinò Regine, recalcitrante, fino a una vecchia casa il cui portone di legno si affacciava su Notre Dame, e iniziò a bussare con forza. Una vecchia signora aprì la porta, spaventata –Cosa volete da una povera vecchia?-

-Potete dare rifugio a queste donne? È rivolta nella pizza!- spiegò Simon con voce allarmata. A un cenno della donna, Regine si trovò spinta nella casa, seguita da Charlotte, Gabrielle e Antoniette. Poi, Simon uscì, la spada in mano.

-Come possiamo restare qui ad attendere mentre là fuori… quanta gente morirà! Perché?- Regine era disperata, si contorceva le mani, tremava e camminava avanti e indietro da mezz’ora, ormai, e Gabrielle iniziava a preoccuparsi. Era giusto che Regine si preoccupasse del futuro sposo, ma Enrique era un soldato e non poteva certo ridursi in quelle condizioni a ogni battaglia, a ogni sollevazione popolare.

Fu un inferno, l’attesa quasi quanto la lotta che fuori si stava svolgendo. Clangori di spade, colpi, grida, gemiti giungevano alle orecchie delle donne. Osarono affacciarsi alla finestra per un solo istante, quando un boato assordante sovrastò ogni altro rumore, seguito da grida e lamenti più forti di prima. Dall’alto di Notre Dame, due cascate ardenti, come brillante lava di un mostruoso ed imponente vulcano, si riversavano sulla folla. Accattoni e soldati si allontanavano gridando dai punti in cui quella lava toccava il terreno, ma non tutti lo fecero abbastanza velocemente e vi era appena il tempo di avvertire i lamenti dei condannati che già essi scomparivano sotto il liquido denso.

-Venite dentro.- Madeline e Gabrielle trascinarono Regine e Charlotte lontano dalla finestra, le obbligarono a sedersi, e le due ragazze obbedirono. I rumori, i clangori, aumentarono a dismisura, e diminuirono d’improvviso a un certo punto.

-Cosa…- mormorò Charlotte.

In quel momento la porta della casa si aprì, ed entrarono gli uomini. Gabrielle, Antoniette e Charlotte corsero verso i loro sposi, abbracciandoli, e Charlotte baciò Simon, davanti a tutti, sollevata che suo marito fosse salvo.

Regine non si mosse. Teneva le braccia strette al petto nel tentativo di frenare i tremiti, e Simon ed Enrique le si avvicinarono.

-Regine, non temete, è finita, và tutto bene…-la tranquillizzò Enrique.

-O almeno, noi siamo vivi.- commentò Simon –L’arcidiacono Claude Frollo è morto. Lo si è visto cadere dalla cattedrale.-

-E alcuni zingari ci sono sfuggiti. Ma abbiamo riportato una vittoria, questo è certo. La piazza è piena di corpi, e non sono molti i soldati deceduti.- aggiunse Enrique.

Senza una parola, Regine corse fuori dalla casa.

Lo spettacolo che le si presentò era inquietante e macabro: qua e là giacevano corpi senza vita, accasciati al suolo, sanguinanti, calpestati dagli zoccoli dei cavalli. Alcuni feriti si trascinavano a fatica lontano da quella valle di morte. Donne e bambini cercavano tra i corpi i loro padri, mariti e fratelli.

Regine si muoveva tra i corpi come in un incubo, i rumori giungevano alle sue orecchie attutiti e confusi, e come in una visione mostruosa i suoi occhi intercettarono un colore che attirò la sua attenzione. Blu notte, poco distante dal capestro di legno. Corse in quella direzione, inciampando sui corpi e sui suoi stessi piedi, il cuore martellante, le tempie pulsanti. Raggiunse il punto avvistato e cadde in ginocchio accanto al corpo riverso sulla strada.

I capelli neri erano sporchi di terra, da sotto l’occhio un taglio percorreva la guancia. Sulla camicia blu notte, da una ferita aperta nel costato dell’uomo, si allargava una macchia rossa.

Regine respirava affannosamente, ogni muscolo contratto da spasmi involontari, il cuore palpitante. Mosse la mano tremante verso quella di Clopin e la accarezzò –No…- esalò, disperata.

-Re… gine…- esalò l’uomo tossendo e aprendo gli occhi a fatica.

-Clopin… no, non parlare…-

-Vattene…- la mano di Clopin si scostò da quella di Regine. L’uomo parlava a fatica –Non mi hai voluto nella vita… non fingerti vicina nella morte…-

-Morte? Che dici… No, no… non morirai, sta tranquillo, non…- gli occhi di Clopin si chiusero e le lacrime iniziarono a percorrere le guance di Regine. Prese la mano dello zingaro, ma d’improvviso venne spinta a terra –Stai lontana!- vociò una voce femminile. L’Esmeralda aiutò un altro uomo, che non pareva uno zingaro e che indossava una lunga palandrana azzurra, a sollevare il corpo di Clopin, e in breve scomparvero dalla vista di Regine.

-Regine!- Simon ed Enrique raggiunsero la ragazza e Simon si inginocchiò accanto a lei –Cosa ti viene in mente? È pericoloso.- sussurrò Simon, e la abbracciò. Regine, aggrappandosi a quell’abbraccio, pianse amaramente, mentre anche il cielo iniziava a versare le sue lacrime.

I giorni passarono, e Regine non seppe nulla di Clopin. Si tennero i funerali dei soldati deceduti, a Notre Dame, e separatamente quelli dell’arcidiacono, che avvennero con grande solennità e a cui accorsero studiosi da ogni dove. L’arcidiacono aveva molte conoscenze ed era considerato un colto in molti campi.

Regine passò molto tempo sola, nella sua stanza, lo sguardo fisso sulla finestra, nel cuore la speranza di vedere Clopin entrare e baciarla nuovamente, come quella sera in cui lei l’aveva allontanato da sé. Se chiudeva gli occhi sognava di trovarsi tra le sue braccia, ma anche il suo inconscio pareva influenzato dalla sua tristezza, e in breve si trovava a stringere il corpo senza vita dello zingaro e si svegliava con le lacrime agli occhi. La notte si rigirava nel letto, le pareva di vederlo davanti a sé, tra la vita e la morte, in preda alla febbre, a volte invocando il suo nome, più spesso maledicendolo.

Nessuno in famiglia comprendeva cosa le fosse capitato. Enrique andava a trovarla ogni giorno, ma lei rimaneva chiusa nel suo silenzio e lui se ne andava dopo poco, sbattendo la porta. Simon cercava di parlarle, ma lei gli ripeteva che andava tutto bene. Passarono sette giorni, e tutti si erano convinti che si fosse ammalata. E lei lasciava che ne fossero persuasi, così da non dover spiegare la sua angoscia. Solo Simon pareva essere consapevole che qualcos’altro non andava, ma Regine non aveva alcuna intenzione di rivelare quel che provava. Sapeva che anche per lui sarebbe stata una vergogna, che l’avrebbe disprezzata, proprio come avrebbe fatto tutta la famiglia.

Il tempo continuava ad essere pessimo. Ogni giorno almeno due temporali scrosciavano sulle strade di Parigi, accompagnati da tuoni e lampi, e anche quando il cielo si calmava per alcuni attimi la città continuava ad essere bagnata da una pioggerella insistente e costante.

-Regine… ci sono Enrique e i suoi genitori.- annunciò Simon entrando con metà del suo busto nella stanza della sorella, che rimase semisdraiata sul letto –Vorrebbero fissare una data certa per le nozze, e ci domandavamo quando uscirai da questa condizione… poiché so che non sei malata, potresti dirmi quando intendi smetterla con questa farsa?-

Regine fissò il fratello provando per la prima volta verso di lui un’improvvisa ondata di odio –Farsa? Non puoi comprendere, Simon.-

L’uomo uscì dalla stanza sbattendo la porta. Avrebbe voluto che la sorella gli parlasse, come aveva sempre fatto… come poteva Regine non capire che comportandosi a quel modo faceva preoccupare tutti, come poteva essere così ottusa?

Regine strinse nella mano il medaglione che Clopin le aveva donato. Lo osservava spesso, in quei giorni. La mattina, quando si svegliava, si trovava a stringerlo tra le dita, e ogni volta che la sua mente si allontanava per qualche attimo dall’immagine dello zingaro, la sua mano cercava spontaneamente il medaglione, ricordandole nuovamente l’uomo.

Il suo sguardo, com’era abitudine ormai, si posò sul medaglione, e d’improvviso un particolare le saltò agli occhi, nitido come se fosse sempre stato lì, davanti a lei. Le linee curve, che le erano parse casuali, si muovevano in realtà in un senso preciso, in particolare attorno ai due rubini. Attorno a quello piccolo formavano una specie di stella, mentre formavano, ai due lati della pietra di maggiori dimensioni, due lettere piuttosto riconoscibili. Una N e una D.

Clopin probabilmente non le aveva mai notate poiché, come lui stesso le aveva detto, non sapeva leggere, ma… era possibile che il rubino rappresentasse Notre Dame, e che le linee rosse fossero… le vie di Parigi? E se era così… che l’altra pietra indicasse nientemeno che il luogo in cui era nascosta la Corte dei Miracoli? Se le supposizioni di Regine erano giuste… allora avrebbe potuto raggiungere la Corte, e se Clopin era lì…

Certo, numerosi fattori erano contro quell’idea. Era notte, e aveva sperimentato su di sé quanto le vie della città potessero essere pericolose nel buio. Non era certa che Clopin fosse vivo, anche se cercava insensatamente di convincersi del contrario, e in ogni caso non poteva sapere se l’avessero portato proprio alla Corte. Dopo ciò che era accaduto, gli zingari avrebbero verosimilmente potuto decidere di lasciare la città per andare chissà dove. Inoltre non sapeva l’età di quel ciondolo, con gli anni le strade di Parigi potevano essere cambiate… oppure, se quel ciondolo la madre di Clopin l’avesse rubato, il secondo rubino poteva indicare un luogo differente, caro al precedente possessore.

Nonostante tutti questi dubbi, Regine si trovò quasi senza rendersene conto ad avvolgersi in uno scuro mantello di velluto, allacciato sopra la camiciola e la gonna bianche che aveva indossato quel giorno, e ad uscire da quella stessa finestra che aveva fatto passare Clopin giorni prima, quel giorno che sembrava lontano secoli e vicino secondi.

Andò nella piazza di Notre Dame con il cappuccio calato sulla testa, e percorse con il dito le linee del medaglione per comprendere quale direzione prendere. Una volta trovata, si incamminò. Ci vollero pochi minuti prima che si trovasse in luoghi da lei inesplorati, seguendo quella mappa che forse esisteva solo nella sua immaginazione.

In un vicolo buio e nebbioso, dopo aver camminato mezz’ora almeno, incrociò uno zoppo avvolto in un mantello marrone e sdrucito, che allungo verso di lei la mano coperta di vesciche con il palmo rivolto verso l’alto –La carità, vi prego, la carità…- disse con voce stentata.

-Mi dispiace, non ho soldi con me.- rispose con sincerità Regine, e superò l’uomo. Non fece molti passi che venne avvicinata da un cieco vestito di un sacco di iuta che camminava aiutandosi con un bastone –La carità, vostra grazia, la carità…- Regine ripeté le sue scuse e continuò a camminare. Un terzo uomo, malconcio al pari degli altri due, le si avvicinò, ma lei non gli lasciò il tempo di dire nulla e lo superò. Davanti a sé vide un altro mendicante, e poi un altro, e un altro paio più avanti. Il suo mantello di velluto stonava nell’ambiente in cui era venuta trovarsi, e non fu l’unica ad accorgersene. Vide un uomo avvicinarsi, vestito di stracci ma né zoppo né guercio, anzi piuttosto robusto, che Regine sospettò essere un tagliaborse, o un tagliagole, forse.

Il passo di Regine si fece più rapido, ma l’uomo si slanciò verso di lei e la ragazza si trovò a correre. Dietro di lei, vide il cieco e lo zoppo correrle dietro, i loro impedimenti fisici svaniti d’improvviso, e corse ancora più rapida, ma non bastò. La gonna la impicciava, il mantello era pesante e la corda delle suole delle scarpe iniziò a sfilacciarsi, facendola inciampare nei suoi stessi piedi. Il tagliaborse la afferrò per primo, e immediatamente anche gli altri due le furono addosso. Tentò di gridare, ma la voce le morì in gola. Tentò di dibattersi, liberarsi, ma i tre continuarono a trascinarla senza sforzo e in breve il tagliaborse, stanco dei suoi tentativi di fuga, se la caricò di peso su una spalla, tenendola per le gambe. Il cappuccio del mantello le impediva la visuale, e riuscì a vedere qualcosa solo nel momento in cui l’uomo la gettò senza delicatezza a terra, scoprendole il capo.

Si trovava, scoprì guardandosi attorno, in quella che poteva essere scambiata per una normale taverna, non fosse stato per alcuni particolari, il primo dei quali era senza dubbio la spettabile clientela, che molto spettabile non era: che fossero gitani o meno, si vedeva da un miglio che erano tutti ladri, tagliaborse, tagliagole, marioli e donne di malaffare. Le finestre erano chiuse da assi inchiodati e coperte inoltre da pesanti tendaggi, e la luce della luna non penetrava nel locale, illuminato unicamente da candele sparse qua e là. Una delle pareti era fatta di pietra, e pareva che il tutto fosse costruito direttamente sulle mura della città.

-Siete una fanciulla, ma ciò non fa differenza alcuna, quant’è vero che il mio nome è Jared Anehi!- disse l’uomo che l’aveva portata in spalla fin lì –Come voi là fuori non fate differenza tra uomini, donne e bambini, ebbene noi ci comportiamo allo stesso modo.-

-Alla forca, alla forca!-incitò una voce maschile. Era un uomo dalla pelle molto scura, con la barba lunga e bianca e un bambino che sgambettava attorno alla sua sedia. L’uomo fissava Regine con odio.

-Vi prego… aspettate…- cercò di dire la ragazza.

-Non così in fretta, compagno Aster.- disse quell’uomo che nel vicolo poco prima si fingeva cieco –Vi è una legge da rispettare…-

-Un passaggio che possiamo saltare, Jaques.-

-Affatto!- ribattè l’uomo –Se un uomo la vorrà, sarà salva e si unirà al reame d’argot… allora!- esclamò Jaques rivolto a tutti –Qualche uomo si prende questa damigella?- le risposte che ottenne furono tutte varianti di "No" o di "Alla forca!", così si voltò verso Regine –Ebbene, vi sarà riservato lo stesso trattamento che voi riservate a noi.- si rivolse poi ad un giovinetto dal volto sporco di terra –Và a chiamare il re, tu, così che possa assistere a questa vendetta… gli farà piacere, dopo ciò che ha subito.- Mentre il bambino correva fuori dalla stanza, Jared fece alzare Regine strattonandola per un braccio, e Jaques le legò le mani tra loro. Regine si trovò sbattuta su un palchetto di legno marcio su cui facevano bela mostra di sé una sedia e, sopra essa, una corda. Abbassò lo sguardo, tentando di reprimere le lacrime e di regolare il respiro. Una porta sbattè. Passi, di almeno tre paia di piedi.

-Sire, abbiamo un ricordo da lasciare alla città prima della nostra partenza!- esclamò Jared in tono allegro –Una fanciulla da sacrificare a quel demonio che secondo loro adoriamo!-

Regine sentì passi rapidi, e avvertendo qualcun altro vicino sentì l’amaro in bocca, vide l’ombra della morte accanto a sé, pronta a balzarle addosso.

-Slegatela.-

Regine sbarrò gli occhi incredula nell’avvertire il brivido che solo una voce riusciva a procurarle. Con lentezza alzò lo sguardo, che percorse un paio di pantaloni bianchi strappati al ginocchio, uno scamiciato grigio che ricadeva largo su un petto agile e su due spalle robuste, un mento con un accenno di barba, una guancia solcata da una cicatrice ancora un poco aperta, capelli neri lunghi fino alle spalle e due occhi neri come la pece che la osservavano carichi di stupore e, forse, di apprensione.

Gli occhi di Regine si inumidirono e per qualche attimo il suo cuore smise di pulsare. Poco distante da Clopin, stava Esmeralda, sul viso una smorfietta stupita, e accanto a lei quell’uomo dalla palandrana azzurra che aveva portato via il corpo di Clopin tempo prima, il quale la fissava con incerti occhi azzurri, luminosi e intelligenti.

-Sle… slegarla? Ma…- balbettò Jaques mentre con lo sguardo vagava da Regine a Clopin a Esmeralda in cerca di spiegazioni. Con un verso d’impazienza, Clopin si chinò su di lei, estrasse un pugnale dalla sua cinta e tagliò la corda che incatenava i polsi della ragazza –Siete libera, andatevene.- disse ad alta voce, ma ciò scatenò un nugolo di proteste colleriche –La nostra legge non è questa!- berciò rabbioso Aster, l’uomo con il bambino –Sposata con un accattone, o con la corda!-

-Esmeralda ha sposate Gringoire, ma se non l’avesse fatto il nostro poeta non sarebbe certo tra noi, in questo momento. Così è, e così dev’essere!- concordò Jaques, e aggiunse –Ho domandato, e nessun uomo la vuole, perciò la prenderà la corda!-

Clopin fissò qualche secondo Regine con lo sguardo lucido, fremendo di inquietudine, e infine disse in tono deciso –Non sono forse un uomo, io?-

-Co… cosa?- balbettò Jaques, mentre lo sguardo di Esmeralda virava di scatto verso il re dei gitani, e Gringoire, che era per l’appunto l’uomo con la palandrana azzurra, studiava con curiosità quell’inaspettata scena.

-La prendo in sposa.- annunciò Clopin, ma con tono stavolta un poco meno deciso. Regine non riuscì a spostare lo sguardo da quell’uomo, commossa, felice, tremante e chissà che altro ancora.

-Perché?- domandò una voce di donna dal fondo della sala, esprimendo così la domanda che tutti, compresa la stessa condannata, si ponevano.

Clopin parve riflettere intensamente, ed infine trovò l’ispirazione –Questa damigella mi ha nascosto dalle guardie, poco tempo fa. Non lascerò che muoia per mano della mia gente, perciò la sposerò.-

La tensione parve sciogliersi, e gli sguardi rivolti alla ragazza si fecero d’improvviso un poco più benevoli, nonostante la vicenda non fosse andata precisamente come Clopin aveva riferito. Un uomo si alzò da un tavolo poco lontano per raggiungere il patibolo. Era alto e robusto, con le spalle larghe, la pelle scura e i capelli neri stretti da un laccio dietro la nuca. Teneva per mano una bimbetta sui cinque anni con i capelli castani, la pelle chiara e un pupazzo di stracci stretto in mano.

-Ebbene.- disse l’uomo, che era Mathias Hungadi Spicali, duca d’Egitto e di Boemia –Se il mio fratello Clopin ha deciso così, così sarà.-

-Sposaci, Mathias.- lo incitò Clopin porgendo la mano a Regine per aiutarla ad alzarsi. Lei lo fece, confusa e tremante come se non fosse certa di trovarsi nella realtà o in un’allucinazione. Il duca d’Egitto posò le mani sulle loro fronti –Qual è il tuo nome, bambina?- domandò a Regine, che con voce stentata si affrettò a rispondere –Regine Dubois, sire.-

-Ebbene, Regine Dubois è data oggi in sposa a Clopin Trouillefou, re di Thunes, successore del Gran Coësre e sire supremo del reame d’argot. Fratello, questa donna è tua. Regine, sei legata a lui, da oggi.- detto ciò, una brocca venne consegnata a Clopin, che la lasciò cadere tra sé stesso e Regine. Non appena la brocca si infranse, cinque gitane, tra cui la Esmeralda, si avvicinarono a Regine, mentre Mathias Hungadi Spicali quasi trascinava Clopin verso un tavolo rotondo dove un uomo corpulento con un turbate giallo li attendeva con tre boccali di quello che doveva essere vino. Le donne portarono Regine in una stanzetta dalle pareti di legno arredata con un letto, un armadietto e vari tavolinetti, su uno dei quali stavano poggiate tre candele, l’unica fonte di illuminazione della stanza a parte una piccola finestra.

-Cosa dobbiamo fare?-

-Ci libereremo delle tue vesti…- rispose la Esmeralda -Sono troppo suntuose per il reame d’argot, ormai sei una di noi. Spogliati, noi ti troveremo qualcosa da indossare finché Clopin non sarà qui.-

Regine arrossì, e un tremito la percorse all’idea di essersi trovata, così d’improvviso, sposata: cos’avrebbero pensato suo padre e suo fratello, nel vederla andare in sposa non solo a un accattone, ma a colui che ne era il sire supremo?

-Isabeau, trova qualcosa da far indossare a Regine.- disse Esmeralda, e una giovane dalla pelle candida e i capelli biondi si avviò verso l’armadietto accompagnata da un’altra delle ragazze, una gitana di tredici, forse quattordici anni, che teneva i capelli neri tagliati corti.

-Colette, tu aiutami a slegarle i capelli… avete quest’abitudine di tenerli sempre nascosti…- commentò Esmeralda rivolgendo un sorriso a Regine –Sei preoccupata?- Regine fece un cenno di negazione, ma Esmeralda indovinò la realtà senza difficoltà –Non temere, mio fratello è un gentiluomo, a suo modo.- la tranquillizzò –Non sai come tutte queste donne, e tutte le altre non ancora maritate del nostro reame, t’invidiano.-

-Oh, puoi ben dirlo.- confermò Isabeau tornando con alcuni indumenti –Clopin Trouillefou è un partito onorevole, quaggiù, o almeno lo era fino a pochi minuti fa. Persino la piccola Mathurine Girorou gradirebbe essere al vostro posto, ora.- aggiunse con un accenno alla ragazzina che la seguiva.

-Hai detto che è tuo fratello?- domandò ad Esmeralda –Ma… lo è anche dell’uomo che ci ha sposati? Non vi è somiglianza tra voi tre…-

-Fratelli non di sangue, infatti. Ma Clopin è un fratello per molti di noi.- spiegò la zingara con un sorriso mentre l’ultima ciocca ricadeva sulla schiena di Regine –Indossate questi abiti.- non appena Regine si fu cambiata, le donne presero i suoi abiti e le sue scarpe e uscirono –Ti mandiamo tuo marito, starà festeggiando con i suoi compari.- sorrise Esmeralda, e si chiuse la porta alle spalle. Il pavimento era freddo, ma Regine si disse che avrebbe dovuto abituarsi a camminare scalza, probabilmente. Una corrente d’aria la infastidiva, e notò sopra uno dei tavolinetti che la finestrella era aperta, pur se coperta da assi. Salì sul tavolinetto e cercò di chiuderla.

-Cercate di fuggire?-

Regine si voltò di scatto e la finestra si chiuse con un botto proprio mentre Clopin si chiudeva la porta alle spalle.

-No, io… sentivo freddo.-

-Certo, capisco.- Regine comprese che l’uomo non le credeva –Ve lo giuro, non intendevo andarmene.- Clopin non disse alcunché, si avvicinò, le prese le mani e la aiutò a scendere dal tavolino per poi ritrarsi da ogni contatto con un rapido passo indietro –Mi dispiace che siate costretta in questa situazione, legata a me, ma non avevo altro modo per risparmiarvi la forca, abbiamo avuto molte morti, sette giorni fa.-

-Vi devo anzi ringraziare per ciò che avete fatto. Mi avete nuovamente salvato la vita.- Clopin rimase un attimo in silenzio, distogliendo lo sguardo –Non occorre che il vostro valoroso cavaliere sappia della nostra unione, non è valida per la vostra chiesa e non lo sarà per il vostro corpo, il vostro promesso non avrà motivo di dubitare della vostra… purezza, quando io e la mia gente smetteremo di insudiciare le strade di Parigi.- la voce di Clopin, dura e aspra, unita alle sue parole, tolsero il respiro a Regine –Che dite?-

-Tra pochi giorni, la corte d’argot viaggerà verso un luogo più sicuro, se ancora esiste, così potrete tornare al vostro bel soldato e al vostro matrimonio.- spiegò il re dei gitani sentendo il cuore stretto in una morsa crudele.

-Sono la vostra sposa, non appartengo ad altri che a voi!- ribatté Regine, e la sua mano si mossa a sfiorare il medaglione, che ancora portava al collo –Voi stesso mi avete detto di seguire la strada che questo medaglione mi avrebbe indicato. L’ho fatto, ed è qui che sono stata condotta.-

-Un gioiello è un oggetto assai poco saggio, a cui non conviene affidare la propria sorte.- commentò Clopin, imponendosi di non porre alcuna speranza nelle parole della giovane –Conviene affidare alle persone il proprio destino.-

-Ed io l’affido a voi, allora.- Regine, trepidante, si avvicinò d’un passo a Clopin, che tuttavia ribatté –E se io non lo accettasi, questo vincolo?-

-Se non volete vostra moglie accanto, che sia.- la voce di Regine era rotta dal pianto trattenuto –Ma non chiedetemi di tornare alla vita, perché non ne avrei più una.-

-Ne avrete una, tra le braccia del vostro cavaliere.- ribattè Clopin.

-Se mi lascerete, schiverò le braccia di Enrique, per gettarmi nell’abbraccio eterno delle mura della Buca dei Ratti.- disse Regine faticando a respirare, cosa che accadeva anche al re d’argot, il quale aveva ormai perduto quella freddezza che era abituato a possedere –Cosa dovrei fare dunque per impedirvi un tanto amaro destino?- domandò avvicinandosi un poco, primo lieve segno di cedimento che Regine colse –Capire che sono qui per voi, che per sette giorni non ho vissuto temendo che foste morto, e decidere di portarmi con voi, perché so che la macchia di sangue che avete letto sulla mia mano altro non è che il vostro sangue, versato sulla piazza di Notre Dame sette giorni or sono.- disse d’un fiato.

Clopin rimase in silenzio, lo sguardo nero in quello di lei, lottando con le parole di Regine che entravano in lui spezzando ogni sua certezza –Non ho cuore di obbligarvi a una vita di povertà, tra malfattori e meretrici.-

-Obbligarmi?- lo interruppe Regine –Sono io che vi supplico di portarmi con voi.-

-Le fughe, i soldati… non sapete che vita vi attende se imboccherete questa via.-

Spinta dalla decisione, che vinse l’innocenza, Regine si avvicinò all’uomo, prese una delle sue mani ruvide tra le sue e se la portò alla vita, si alzò sulla punta dei piedi scalzi per raggiungere l’orecchio di Clopin poggiandosi sulle sue spalle solide e, in un sussurro, disse –Non m’importa, poiché ho un ottimo motivo che mi spinge ad abbandonare la vecchia via per imboccare questa.- sentì la stretta di Clopin farsi d’improvviso più decisa sulla sua vita, e avvertì il suo fiato sulla pelle nuda tra il collo e le spalle quando lui domandò, riducendo quella sua ammaliante voce roca ad un sussurro –E quale sarebbe questo motivo?- Regine alzò lo sguardo verso gli occhi neri del gitano, che continuò –Posso osare sperare che il mio amore sia almeno un poco corrisposto?-

A queste parole, al contatto dei loro sguardi, gli occhi di Regine si inumidirono di lacrime troppo a lungo trattenute, lacrime di felicità –Dunque voi mi amate?- domandò con voce tremante in un mormorio a malapena percepibile.

-Io non ho mai nascosto il mio amore. Ma tu… come posso conoscere il tuo cuore, se lo nascondi con tanta rapidità? Come posso sapere se vi sono io, o quel soldato con cui passeggiavi al mercato?-

-Solo tu, nessun altro.- sussurrò Regine, e un nuovo brivido la percorse quando la mano di Clopin, lieve ma decisa, quasi bisognosa, si insinuò sotto la sua gonna percorrendole la gamba, quando l’uomo le slacciò la camiciola e la scostò dalle sue spalle, coprendole la pelle di baci appassionati mentre lei inarcava la schiena stringendosi a lui, che d’improvviso la sollevò portandola, senza smettere di percorrerle il collo con le labbra, fino al letto, che fu quella notte la loro alcova.

Capitolo II

Una lieve luce riusciva a trapassare la barriera degli assi posti alla finestra, e solo tali flebili barlumi illuminavano la stanza, rendendo appena visibile ogni forma, ma lasciandone i contorni e i particolari sbiaditi, confusi tra loro. Regine si svegliò e per un secondo rimase sconcertata nell’avvertire qualcuno steso sul suo stesso letto. Ma non appena aprì gli occhi, un sorriso nacque spontaneo sul suo volto mentre si accorgeva di non essere mai stata tanto felice come in quel momento. Clopin, ancora addormentato, teneva un braccio stretto attorno al suo corpo, quasi temesse di lasciarla andare, e sul suo volto solcato dalla ferita non era difficile indovinare un’espressione di serenità. Muovendosi lentamente, Regine portò la mano alla cicatrice che percorreva il petto dell’uomo, sfiorandola con delicatezza, sentendosi in pace stretta contro il corpo agile dell’uomo, le gambe che sfioravano quelle di lui a ogni movimento. Dopo qualche minuto, Clopin si svegliò e i suoi occhi cercarono subito quelli di Regine.

-Salve, mio sposo.- lo salutò lei con un lieve sorriso, ma lui non rispose e le sfiorò i capelli mentre sul suo viso si dipingeva un’espressione cupa –Che succede?- domandò preoccupata Regine.

-Domani… ce ne andremo da Parigi, questo lo sai.-

-Lo so, certo, e come ti ho già detto desidero seguirti, con tutto il mio…-

-Si, questo lo so.- la interruppe Clopin con un sorriso, che tuttavia scomparve immediatamente al ritorno dei pensieri che già poco prima l’avevano incupito –Ma non puoi scomparire così, cosa penserà la tua famiglia?-

-Tu sei la mia famiglia.- Clopin la guardò senza potersi impedire un sorriso, ma nonostante ciò disse –Si, ma non solo. Devi dire qualcosa, almeno a tuo fratello.- scostò lo sguardo da quello di lei, posandolo sul soffitto continuando tuttavia a tenerle un braccio attorno al corpo –Ciò che è accaduto ad Esmeralda, con quel capitano… non ne sapevo nulla, e quando è scomparsa ho temuto per molto tempo per la sua vita. Non sottoporre tuo fratello a una simile tortura.- Regine, commossa, si sollevò su un gomito e lo baciò, accarezzandogli la cicatrice sulla guancia –Lo farò.- Clopin la attirò a sé, stringendola con entrambe le braccia –Vuoi che io venga con te?-

-Lo faresti?-

-Solo se lo vuoi.-

-Grazie.- un bacio, profondo, accompagnato da carezze e sussurri, e Clopin si alzò dal letto, rivestendosi –Devo andare, ora… tornerò tardi. Non… non voglio che tu esca, oggi.- disse raccogliendo la gonna della ragazza, caduta a terra durante la notte, e poggiandola sul letto –Ti staranno cercando, e se ti trovassero…-

-Non uscirò.- assicurò lei –Resterò qui ad attendere il tuo ritorno.-

-Non intendevo di non uscire dalla stanza.- rise Clopin sedendosi accanto a lei –Ma dalla Corte. Nemmeno Esmeralda deve uscire, potrà farti compagnia, se lo desideri.- l’uomo parve riflettere un secondo –Ma se tenta di convincerti ad uscire, ti prego, non ascoltarla… tra voi due, pare facciate a gara per farmi impazzire.- commentò sorridendole.

-Oh cielo, ci hai scoperte!- sorrise Regine. Clopin si chinò su di lei per un ultimo bacio, poi uscì dalla stanza e Regine, dopo essersi rivestita, fece lo stesso.

Vista in quel momento, fievolmente rischiarata da deboli raggi che trasparivano da assi e tendaggi, la Corte dei Miracoli le apparve molto differente da ciò che l’aveva accolta la notte precedente. Le pareva di vedere tutto sotto una luce molto più dolce, più calda. Perfino quel tale, Jared, che l’aveva trascinata alla forca, le parve un volto quasi amico, seduto ad un tavolo con accanto una fanciulla d’Egitto dalla pelle scura.

-Salve, sorella.- Regine si voltò e davanti a sé trovò la Esmeralda, con indosso uno scamiciato verde come lo smeraldo che portava al collo, stretto in vita da una cintura dorata –Salve.- rispose Regine.

-Ti senti bene?- domandò l’altra mentre l’uomo dalla palandrana azzurra che Regine aveva visto diverse volte le compariva accanto –Non è semplice, la prima notte dopo le nozze. Io ho dovuto puntare il pugnale contro il mio gentile sposo… conoscete, a proposito, Pierre Gringoire, mio marito?-

-Di vista, e un poco di fama…- rispose Regine –Non siete forse un poeta?- l’uomo si inchinò lievemente a lei e le baciò la mano –Lieto di conoscervi, e che mi abbiate riconosciuto.-

-Frena gli entusiasmi.- lo redarguì la Esmeralda rivolgendogli uno sguardo che parve a Regine carico di dolcezza –Dicevo, che per calmare i suoi bollenti spiriti, dovetti estrarre il mio pugnale, e per quanto conosco Clopin, credo sia molto più… come dire, impetuoso. Hai saputo importi?-

Regine abbassò lo sguardo, le guance rosse e le mani un poco tremanti, e disse –Se così si può dire…- la Esmeralda sorrise -Mi sei simpatica, sorella. È un peccato che le nostre vie debbano dividersi, domani.-

-Rimarrai a Parigi?- domandò confusa Regine.

-Non io, ma tu… o… o no?- domandò Esmeralda curiosa. Regine scosse la testa per negare, e la gitana parve riflettere. D’improvviso, la smorfietta del suo labbro inferiore divenne un sorriso un po’ malizioso –Clopin lascia che tu parta con noi? In quale direzione ti sei imposta, stanotte, se è lecito domandare?-

-Non molto lecito, in effetti.- ammise Regine senza poter impedire alle sue gote di tingersi di rosso allo sguardo brillante dell’Esmeralda –Dunque rimarrai con noi. Ne sono felice… potrei insegnarti a ballare, così potrai guadagnare qualcosa senza esporti troppo.-

-Ti ringrazio davvero… sorella.- disse Regine, commossa dalla calda accoglienza in cui non avrebbe certo sperato la notte precedente.

Regine passò l’intera giornata con la gitana, che le fece visitare la Corte, le presentò qualche persona, alcune delle quali Regine aveva già intravisto agli angoli delle strade di Parigi. Erano sedute ad un tavolo quando, a sera tarda, Clopin tornò e le raggiunse.

Regine sobbalzò e scattò in piedi, vedendo la guancia dell’uomo coperta di sangue –Cos’è accaduto?- domandò preoccupata.

-Una guardia si è accorta del mio tentativo di alleggerire un forestiero illustre e ha pensato bene di menar di spada.- riferì Clopin, guardando stranito e divertito la preoccupazione della ragazza per quel graffio –Non preoccuparti, non è nulla.- la rassicurò, ma lei senza dargli ascolto estrasse un fazzoletto di stoffa dalla scarsella e tamponò la ferita. Esmeralda rivolse a Clopin uno sguardo sorpreso, ma lui si limitò a sorriderle prima di scostare la mano di Regine per attirare a sé la sua sposa in un bacio. Esmeralda sorrise con affetto, ammirando la scena mentre Gringoire la raggiungeva, e lo stesso sorriso le si dipinse sul viso la mattina seguente quando, aprendo i tendaggi attorno al letto in cui, nella stessa stanza in cui dormivano lei e Gringoire, dormivano Regine e Clopin, vide l’uomo stringere a sé la ragazza, un’aria serena sul volto che Esmeralda non ricordava di avergli mai visto.

Così, rifletté, anche il grande sovrano d’argot ha capito che è ingiusto morire senza aver mai amato.

-Fratello, svegliati.- disse –Dovete svegliarvi, o partiremo senza di voi.-

Clopin si svegliò, salutò la Esmeralda con un sorriso e con delicatezza scosse la ragazza distesa accanto a lui, sussurrandole qualcosa per svegliarla.

Tutti, alla Corte, lavorarono per caricare gran parte degli oggetti e dei viveri sui carri di cui disponevano. Non tutti sarebbero partiti, ma anche coloro che sarebbero rimasti a Parigi diedero una mano. Alla fine, non vi era molto che distinguesse la Corte dei Miracoli da una qualsiasi altra taverna.

Regine ed Esmeralda sedettero nella parte coperta di un carro, alla cui guida si collocarono invece Clopin e Gringoire, poggiano tra loro il bastone che Clopin usava come arma, o come appoggio quando si fingeva un mendicante. I carri non avrebbero viaggiato in carovana, ma sarebbero usciti ognuno da una diversa porta per poi trovarsi tutti su un colle poco distante dalla Porta Saint-Antoine. Ma il carro su cui i quattro erano appena saliti avrebbe fatto innanzitutto una deviazione, sperando di incontrare Simon Dubois, dopodichè avrebbe imboccato la strada che l’avrebbe portato all’Università in modo da poter uscire dalla Porta Saint-Michel.

Clopin aveva visto Simon Dubois solo una volta, quella notte in cui lui aveva riportato a casa Regine, temendola in braccio. Tuttavia, quando lo vide, lo identificò all’istante, per gli stessi capelli della sorella, pur se tagliati in modo differente, e lo stesso sguardo. Fece rallentare l’asino, e passò le redini a Gringoire, poi scese con un balzo e continuò a camminare, seguito a passo d’uomo dal carro, e si affrettò a raggiungere Simon non appena si trovarono in una strada isolata, ossia molto vicino alla casa degli zii di Regine –Messere?-

Simon si voltò e si insospettì nel vedersi avvicinato da uno zingaro –Non ho soldi con me, è inutile che mi domandiate elemosina, e assaggereste la mia spada senza possibilità di profitto se tentaste un furto.- ritenne giusto avvertirlo Simon.

-Sarebbe una sfida interessante tra la vostra spada e il mio bastone. Ma non è per soldi che vi ho fermato, ma per via di vostra sorella.-

-L’avete forse vista? Dove?- domandò senza indugio l’uomo.

Ad un cenno di Clopin Gringoire, che aveva nel frattempo fermato il carro, scese e, tenendo il bastone di Clopin in mano, raggiunse il retro del carro, aprì il pesante tendaggio e in pochi secondi ne uscì una ragazza dalla pelle chiara, con indosso una gonna rossa, un corpetto rosso con maniche non abbastanza lunghe da raggiungere il gomito, i piedi scalzi e lunghi capelli castani sciolti sulla schiena. Ci volle qualche attimo perché Simon la riconoscesse, ma quando comprese che la donna era sua sorella l’ira e l’angoscia si riversarono in lui e la sua mano corse alla spada –Liberate immediatamente mia sorella, o io…- minacciò estraendo l’arma, ma Regine corse verso i due –No, fratello, resta calmo, ti prego!- lo scongiurò fermandolo, ponendosi davanti a Clopin.

-Quale stregoneria avete fatto a mia sorella?- ruggì Simon.

-Nessuna stregoneria, messere.- rispose tranquillo Clopin –Non oserei sfiorarla… non per farle del male, almeno.- aggiunse con un sorriso carico di malizia che a Simon non sfuggì. Ringhiando per la collera, Simon afferrò Regine portandola dietro di sé, e fece per sferrare un colpo, ma di nuovo la sorella trattenne il suo braccio –Simon, resta calmo!- lo scongiurò nuovamente la sorella –O dovrò partire senza dirti nulla.- l’uomo si calmò, o comunque tentò di farlo, tenendo tuttavia Clopin sotto tiro –Andartene? Che dici? Nostro padre…-

-Non appartengo a lui.- disse Regine –Sono sua, ora, da due notti ormai, nel corpo e nel cuore, vincolati nel matrimonio.- spiegò accennando a Clopin.

-Villano!- ruggì Simon –Obbligare una donna al matrimonio!- ma Regine si affrettò ad aggiungere –E non potrei essere più felice.- Simon si voltò verso di lei di scatto, le mani tremanti ancora impugnavano la spada –Come puoi dire una simile ingiuria?-

-È la realtà, Simon. Non ho mai desiderato sposare Enrique, e due notti or sono sono fuggita per cercare l’unico uomo a cui potrei donare il mio cuore.- dicendo ciò, Regine andò accanto a Clopin, che la strinse a sé facendole passare le braccia attorno alla vita.

Simon fu dispensato dal replicare a tale affermazione da un ruggito di rabbia potente e improvviso, a cui seguì un rumore di passi in corsa e un sibilo di spada e aria. In un attimo, Clopin spinse Regine dietro di sé, proteggendola col suo corpo dalla spada di Enrique.

Regine non fece in tempo a gridare che l’affondo si era concluso in un clangore metallico, di spada contro spada.

-Chiunque sia disposto a dare la sua vita per mia sorella, zingaro…- disse Simon, la spada sguainata davanti a Clopin a difenderlo dal colpo -…merita la sua mano. Anche se è un accattone.-

Clopin fece un breve inchino col capo all’uomo, in sostituzione alla stretta di mano che non poterono scambiarsi data la circostanza. Uno sguardo ed un sorriso di gratitudine furono l’ultimo abbraccio di Regine al fratello.

Enrique, accecato dalla rabbia, tentò un nuovo affondo, stavolta contro Simon. Tuttavia Gringoire, approfittando di quello scambio di sguardi, aveva lanciato con prontezza inaspettata a Clopin il suo bastone, e il re dei gitani disarmò il soldato con poche mosse.

-Se le nostre strade dovessero incrociarsi e tu avessi bisogno di un sostegno, ci sarà un posto per te nel reame d’argot, fratello.- disse Clopin.

-Mi mancherai, Simon.- disse Regine, e si allontanò, la mano stretta in quella di Clopin, che la fece salire con rapidità nel retro del carro. Gringoire le cedette il suo posto non appena furono fuori dalla città, fuori pericolo e mentre il poeta andava a sedere accanto alla Esmeralda, Regine prese posto al fianco di Clopin. La ragazza si voltò per un secondo ad osservare Parigi.

-Se ti sei pentita, Regine, posso riportarti a casa.- disse lo zingaro. Regine guardò quegli occhi neri, e ogni timore scomparve, come una goccia che, pur continuando ad esistere, viene sommersa dalle potenti onde dell’oceano che erano quei sentimenti che la legavano a Clopin.

-Lo so. Ed è a casa, che stiamo andando. Ovunque essa sia.- sorrise Regine poggiando la mano su quella dell’uomo a cui destino e amore la legavano.

__________Nota di Herm90

ed ecco il secondo chap... per ora non ha riscosso molto successo^^ ma se qualcuno avesse qualcosa da dire... ricordatevi che aspetto recensioni positive e negative che siano!!!

besos!!!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=149546