Deimos - Il Peccato Irrazionale di HamletRedDiablo (/viewuser.php?uid=56405)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Grandi Saggi e Grandi Demoni ***
Capitolo 2: *** Il Principe ha difeso un umano! ***
Capitolo 3: *** Giocattoli e Ossessioni ***
Capitolo 4: *** Il Messo Infernale e la Stella dell'Est ***
Capitolo 5: *** Frammenti di passato ***
Capitolo 1 *** Grandi Saggi e Grandi Demoni ***
Più
stringeva quel corpo flessuoso a sé, più sentiva
la sua
anima lacerarsi sotto gli artigli del peccato.
Un
simile legame non sarebbe mai stato accettato. I
comandamenti dell’Ordine lo condannavano,
l’opinione pubblica nemmeno lo
contemplava, la morale ne provava repulsione.
Ma
né i giuramenti pronunciati tanti anni prima, né
il
popolo della Cattedrale, nemmeno il pudore incrinarono la sua
determinazione.
Quel
peccato era suo, e solo a lui spettava la scelta. E lui
aveva deciso di macchiarsi di quella colpa. Si sarebbe sporcato
l’anima fino
all’ultima bolgia infernale, se necessario, pur di poter
abbracciare ancora
quel demone.
Lo
sentì tremare contro il suo petto, e lo strinse
più forte
quando tentò di divincolarsi.
Un
essere umano non avrebbe dovuto amare un discendente di
Lucifero. Specialmente un Esorcista.
Rimosse
perfino quel pensiero facendo scivolare le dita
sullo sterno, dove il cuore caldo del diavolo batteva ad un ritmo
accelerato. Era
sicuro che, dei tanti amanti che aveva avuto durante la sua lunga vita,
fossero
stati in pochi ad emozionare tanto le sue membra demoniache.
Il
suo respiro si confuse al profumo inebriante del satanasso
quando poggiò le labbra sul declivio del suo collo sottile.
Era
sbagliato, era peccato.
Ed era così dolce immergersi in quella colpa.
«Deimos…»
lo chiamò, la bocca che accarezzava la pelle
scoperta del demone.
Anche
quella domanda, non avrebbe mai dovuto pronunciarla.
Ma ormai aveva scelto di scendere fino alla fine quella scalinata verso
la
dannazione.
Radunò
il fiato necessario e si sporse verso l’orecchio del diavolo
per sussurrarvi:
«Deimos,
tu mi ami, non è così?»
Capitolo
Uno
Grandi Saggi e
Grandi Stregoni
Vide
tutta la prima fila di scolari trasalire di fronte al
suo sguardo scarlatto.
Trattenne
un sospiro a forza, spingendo gli occhiali sul
naso.
Si
chiedeva perché il Monsignore continuasse a scegliere lui
come insegnante di storia per i bambini del primo anno. Più
erano piccoli, più
erano impressionabili: gli alunni di fronte a lui erano oltremodo
sconvolti dal
colore dei suoi occhi.
Tentò
di essere il più delicato possibile nell’aprire il
tomo di storia: se avesse mosso l’aria con troppa forza,
qualche piccoletto
avrebbe rischiato di morire di spavento.
Forse
il Monsignore voleva temprarli fin dalla più tenera
età. O forse si divertiva a vedere il più
spavaldo dei suoi Esorcisti essere
costretto a passare un’intera ora con lo sguardo abbassato.
«Sapete
tutti perché viviamo nelle Cattedrali, e perché
temiamo allo stesso modo angeli e demoni?»
domandò, tentando di moderare il
tono baritonale della sua voce. Con scarsi risultati: la prima bancata
arretrò
verso la seconda, tanto che le sedie cozzarono contro i banchi
retrostanti.
Una
mano paffuta dall’infanzia si sollevò ciarliera.
«Maestro,
ma gli angeli non dovrebbero essere buoni?» trillò
il bambino.
Lastar
chiuse il libro di testo, causando una mezza sincope
agli studenti più vicini. Tutti gli anni c’era
almeno un alunno che faceva
quella domanda.
«Hai
detto giusto. Dovrebbero» poggiò il tomo
scolastico
sulla cattedra e si voltò verso la lavagna alle sue spalle.
Afferrò il gesso e
cominciò a scrivere sulla superficie nera.
«Come
saprete, all’inizio il mondo era popolato solo da
esseri umani. Tra questi, vi erano alcuni uomini particolarmente
portati per la
magia bianca o per le scienze oscure» i nomi dei due
allineamenti, Grandi Saggi
e Grandi Stregoni, vennero vergati nella grafia graffiante
dell’Esorcista. «Il
loro potere era enorme. Nessuno di noi, nato in quest’epoca,
può immaginare
quanto fosse smisurato.»
Gli
allievi trattennero il respiro fino all’ultima fila e
Lastar proseguì:
«Per
incrementare ulteriormente il loro potenziale, i Grandi
Saggi decisero di espellere la propria parte negativa, e i Grandi
Stregoni la
loro parte positiva, diventando così l’Archetipo
degli angeli e dei demoni
odierni.»
«Il
cosa?»
Quello
fu il terzo sospiro che trattenne, dall’inizio della
mattina. Dimenticava sempre quanto fosse limitato il vocabolario dei
bambini di
quell’età. Avrebbe dovuto essere il più
elementare possibile.
Scrocchiò
le dita, seminando il panico nella prima fila. La
muscolatura tonica del suo corpo e l’ossatura robusta
sembravano create apposta
per sostenere pesanti pestaggi, o per infliggerli. Alcuni alunni
sentivano già
le guance bruciare per gli schiaffi, ma il loro agghiacciante maestro
si limitò
ad appoggiare le dita sgranchite sulla cattedra.
«In
altre parole, un Grande Stregone espelle la sua parte
buona; quindi abbiamo un corpo totalmente malvagio e uno spirito senza
corpo
totalmente benefico.»
«Quindi
si forma un demone» concluse una bambina dai codini
dorati.
«No»
la contraddisse Lastar «Si formano un demone e un
angelo.»
«Ma
uno spirito non si tocca» protestò un bimbetto con
la
faccia tempestata di lentiggini. «Gli angeli
sì.»
Quello
fu il quarto sospiro soffocato. Doveva
essere elementare con
le spiegazioni.
«Lo
spirito da solo aveva abbastanza energia da riuscire a
diventare materiale nonostante fosse staccato dal corpo» i
suoi occhi
inquietanti si incupirono. «Era questo che intendevo, quando
vi ho detto che
noi non possiamo nemmeno immaginare quanto
fossero potenti.»
Si
voltò di nuovo verso la lavagna e puntò il gesso
sulla
scritta “Grandi Saggi”.
«Gli
angeli sono i Grandi Saggi del passato depurati dalla
loro parte malvagia…» spostò il gesso
sull’altra iscrizione: «Ma altri sono
stati generati dall’anima pura che i Grandi Stregoni hanno
espulso. Per questo
parliamo di due categorie di angeli e demoni: gli Archetipi e gli
Apocrifi.»
Spostò
di nuovo il gesso sulla prima scritta e poi sulla
seconda, spiegando:
«Gli
Archetipi sono i Grandi Saggi, che diventarono angeli dopo
la depurazione dell’anima. Gli Apocrifi, invece, sono la
parte buona espulsa
dai Grandi Stregoni. La stessa cosa vale per i demoni.»
«Quindi
i demoni Archetipi sono i Grandi Stregoni e i demoni
Apocrifi sono le emanazioni malvagie dei Grandi Saggi?» il
viso rotondo del
bambino si illuminò in un sorriso, quando il maestro
annuì.
«Il
primo angelo Archetipo fu il Grande Saggio Gabriel, che
emanò Satana. Il primo demone Archetipo fu Lucifero, che
emanò Michael. In
totale, abbiamo dieci angeli e dieci demoni Archetipi. Ma vi
spiegherò la
genealogia durante la prossima lezione.»
Lastar
tamburellò le dita sul testo scolastico: era il
momento di affrontare la parte più spinosa
dell’argomento.
«Gli
esseri umani sono stati creati come una comunione tra luce
ed ombra. In ciascuno di noi albergano sia il bene, sia il male. Siamo
stati
creati così, e così dobbiamo rimanere per
mantenere l’equilibrio. Nessuno può
opporsi a questa legge. Né noi, né i Grandi del
passato.»
Gli
alunni si scambiarono bisbigli perplessi, e Lastar alzò
appena la voce per ottenere di nuovo il silenzio.
«La
parte di estremo bene e quella di estremo male anelavano
la metà da cui erano state separate. Inoltre, vivendo a
contatto con gli umani,
i pensieri malvagi degli uomini indebolivano gli angeli, e le azioni
benevole
fiaccavano i demoni.»
«Come
è possibile?»
«Perché
non possedevano più la metà che avrebbe mitigato
quell’influenza:
ad un essere di sola luce basta una minima ombra per sbiadire,
così come
all’ombra più totale è sufficiente un
barlume di chiarore per scolorirsi» i
volti smarriti dei suoi scolari lo convinsero ad essere più
semplice: «Noi
possiamo resistere alle tentazioni dei demoni perché abbiamo
una parte malvagia
che li capisce e una buona che li rifiuta. Ma un essere totalmente puro
non ha
più la metà necessaria a comprendere il male, per
cui ne viene stravolto.»
Quinto
sospiro, questa volta di sollievo, quando i suoi
alunni parvero comprendere.
«Il
problema era sorto con gli umani, per cui sarebbe stato
risolto con gli umani» predicò grave Lastar.
Sperava che il suo linguaggio non
risultasse troppo tagliente per orecchie così ingenue, ma
non conosceva altro
modo esprimersi: «Gli angeli iniziarono a mangiare la parte
più corruttibile
degli uomini, ossia la carne, per bilanciare la loro energia
immacolata; i
demoni, al contrario, presero a cibarsi della parte più
pura, cioè l’anima, per
stemperare il loro spirito oscuro. In questo modo, la loro energia
interna
riuscì a stabilizzarsi. Tuttavia…»
rimase qualche secondo in silenzio, quindi
proseguì: «Il loro potere, con il raggiungimento
di un nuovo equilibrio,
ottenne un nuovo vigore. Per questo gli angeli e i demoni divennero
ingordi di
quel nuovo cibo.»
L’orrore
sgranò gli occhi e impietrì le membra dei suoi
piccoli ascoltatori, ma ciò non gli impedì di
seguitare:
«Gli
umani furono così cacciati sia dagli angeli che dai
demoni e, dopo il massacro dei Trent’anni di Sangue, gli
uomini si rifugiarono
nelle roccaforti degli Esorcisti per ottenere aiuto e
protezione.»
«È
per questo che non ci sono uomini al di fuori delle
Cattedrali?» petulò un bambino dalla terza fila.
«E
che non si può uscire senza la scorta degli
Esorcisti?»
chiocciò un altro.
«Esatto.
Altrimenti finireste sbudellati.»
Provò
l’impulso di mordersi la lingua per quella frase
infelice: i bambini contorsero il viso in espressioni raccapriccianti,
come se
in aula ci fosse stato davvero un tizio che riversava le sue viscere
sul
pavimento. Lastar avrebbe voluto togliersi gli occhiali e massaggiarsi
le
tempie. Odiava quelle carinerie raggruppate sotto il nome di
“cortesia”:
preferiva l’azione e il linguaggio crudo degli scontri.
«Altrimenti
potrebbero succedervi delle brutte cose»
ridimensionò, per poi cambiare discorso: «Qualcuno
di voi ha delle domande?»
Una
mano si sollevò timida dalla penultima fila, e Lastar
concesse la parola al moccioso con un cenno del capo.
«I
demoni e gli angeli hanno dei capelli e degli occhi
strani, vero?»
La
mascella dell’Esorcista si contrasse come per un crampo
improvviso. Conosceva quella premessa, e indovinò la domanda
successiva prima
ancora che il piccoletto la ponesse:
«Lei
ha gli occhi rossi come un demone…»
Il
Monsignore lo aveva pregato di non essere dispotico con i
bambini. Ma lui lo aveva supplicato di non assegnargli anche
quell’anno la
prima lezione di storia a dei lattanti che ancora puzzavano di culla.
Il
ricordo delle sue vane implorazioni, assommato
all’irritazione per quella
domanda indiscreta, gli permise di non sentirsi troppo perfido nel
circumnavigare la cattedra per portarsi esattamente di fronte al suo
pubblico
infantile.
Trasse
un profondo respiro, ed issò sul naso le lenti da cui
si intravedevano i suoi tanto famigerati occhi purpurei.
Dal
giorno in cui era nato, la gente della Cattedrale non
aveva fatto altro che congetturare sulla natura delle sue iridi
scarlatte, e
spaventarsi per la preponderanza del colore rosso nella sua persona.
Gli
occhi sanguigni si iscrivevano nella cornice delle
ciglia cremisi, misero preludio della chioma dalla ribollente tinta
vermiglia.
Solo la pelle, il cui pallore era stato alimentato dalla vita trascorsa
nell’ombra
della cattedrale, stemperava quella profusione di toni lavici. Assieme
alla
tonaca del suo Ordine, nera come previsto dal regolamento, anche se
Lastar si
era permesso si apportare alcune migliorie per adattarla al suo stile
di vita.
Lasciò
che i suoi occhi amaranto si spostassero su ogni
singolo scolaro, prima di proferire, con un ghigno agghiacciante:
«Vi
state chiedendo se sono un Marauder?
No, non lo sono. Ho questi occhi perché mia madre fu
rapita da un demone, e stuprata per tutto il periodo della sua
prigionia.
Sapete che cosa è uno stupro o devo spiegarvelo?»
La
Cattedrale non seppe mai come quella conversazione
sarebbe potuta degenerare: l’ululato tenebroso della sirena
di allarme
riecheggiò sulle pareti in pietra dell’edificio,
rimbombando nei cuori della
gente.
Lastar
impiegò meno di un battito di ciglia per recuperare
la sua professionalità.
«Siamo
sotto attacco» annunciò alla terrorizzata
scolaresca.
«Uscite di qui e seguite le Sorelle. Vi porteranno ai rifugi.
Presto!» li
incalzò, vedendo che quelli non si muovevano, paralizzati
dal terrore.
Chi
piangendo e chi ricacciando orgogliosamente le lacrime,
i bambini sciamarono fuori, dove una suora la cui dolcezza era stata
irrigidita
dallo spavento li condusse rapida lungo i corridoi.
Lastar
rimase nella stanza e, assicuratosi di non essere
visto, cominciò ad estrarre le sue armi. Per non spaventare
la gente comune,
gli Esorcisti erano stati costretti ad inventarsi i trucchi
più fantasiosi per
essere equipaggiati senza darlo a vedere. Lui era stato particolarmente
pigro
con la creatività: aveva nascosto tutti i suoi attrezzi in
pesanti croci di
metallo, simbolo del suo Ordine.
La
grande croce d’oro che portava sulla schiena nascondeva
in realtà una spada, le due di argento fissate sugli stivali
neri si
trasformavano in pugnali ed il paio cucito sugli avambracci, se
adeguatamente
assemblato, si trasformava in una coppia di pistole. Senza contare il
gioiello
che pendeva al termine del suo rosario, la piccolissima croce
d’avorio che
sparava aghi avvelenati se si premeva sull’incrocio dei
bracci. Cy, il loro
scienziato, aveva superato se stesso nel creare armi adatte anche alla
vita
quotidiana nella Cattedrale.
«La
sirena di allarme ti ha interrotto. Da un lato sono
sollevato, dall’altro dispiaciuto» lo sorprese una
voce alla sua destra.
Lastar
non si voltò nemmeno, e continuò imperterrito a
sistemare il suo equipaggiamento.
«Gli
avresti davvero spiegato cosa è uno stupro?»
insistette
l’altro.
L’Esorcista
si rialzò in uno sferragliare di armi: la temuta
lama Vampira scintillava sul suo torso, le mani stringevano ognuna una
pistola,
e l’elsa dei pugnali spuntava dall’orlo degli
stivali.
«I
bambini sono curiosi, e vogliono la verità»
sparò brutale
Lastar, imboccando l’uscita. «Che sappiano, allora.
Ma dovranno sapere tutto.»
«Alcuni
di loro non hanno nemmeno sei anni» protestò il
pedante interlocutore, tampinandolo nei passi e nelle parole.
«Allora
dovresti essere contento che io sia stato interrotto.»
«Ma
sarebbe stato divertente vederti spiegare ad una classe
inorridita quella cosa.»
Lastar
frenò di colpo per fissare il suo collega. Un paio di
occhi olivastri, inspiegabilmente striati di bianco, ricambiarono il
suo
sguardo, serafici e sornioni.
«Alexander
Holycross, di tutti i Messi Celesti, tu sei
certamente quello con il senso dell’umorismo più
perverso.»
«Hai
fatto fare la revisione settimanale a Cy?» l’altro
ignorò completamente l’insulto, un sorriso
luminoso come il sole onnipresente
sulla sua faccia.
«No»
rispose veloce Lastar, riprendendo il suo cammino.
Alexander lo seguì, reggendo il passo sostenuto
dell’Esorcista con una
tranquillità sconvolgente: riusciva a correre tenendo il
busto lievemente
inclinato in avanti come un adulto che parla con un pargolo, le braccia
perfettamente incrociate dietro la schiena nonostante i sobbalzi della
corsa.
«Male.
Che farai se una delle tue pistole dovesse
incepparsi?»
«Se
sei venuto per fare il menagramo, puoi anche sparire.»
«Mi
preoccupo per te.»
«Rovescia
le tue premure su qualcun altro.»
«Ad
esempio?»
«Ci
sono tante vecchiette, negli ospizi al primo piano. Vai
a parlare con loro, hanno un’ottantina di anni di aneddoti da
raccontarti.»
«E
questo che beneficio porterebbe?»
«A
te? Non ne ho idea. Ma mi libererebbe di una fonte di
stress per mezza giornata.»
«Ti
ricordo che sono un tuo superiore.»
«Mi
libererebbe di una blasonata
fonte di stress per mezza giornata» corresse sarcastico
Lastar.
«Qualcuno
si è svegliato dal lato sbagliato del letto,
questa mattina» Alexander scosse la testa, bonario.
«O sei ancora arrabbiato
per la domanda di quel bambino?»
«Perché
dovrei essere arrabbiato? Adoro quando mi si fa
notare che i miei occhi e i miei capelli sono strani.»
«Sono
sicuro che non intendeva offenderti.»
«Settecentoottantasette.»
«Cosa?»
«Il
numero delle volte in cui mi hanno fatto domande sul mio
aspetto.»
«Hai
tenuto il conto?» pur con il suo contegno raffinato,
Alexander non riuscì a dissimulare lo sbalordimento.
«Solo
negli ultimi dieci anni. Dici che è eccessivo?»
domandò senza un reale pentimento l’Esorcista.
«Lo
definirei piuttosto ossessivo» ribatté contenuto
il suo
superiore.
«Allora
metti un bavaglio ai cittadini della Cattedrale,
così non dovrò più contare.»
«Potresti
semplicemente smettere di tenere il conto.»
«E
semplificarti la vita in questo modo?»
Lastar
aveva ormai raggiunto la stretta scala a chiocciola
che l’avrebbe condotto sul terrazzo di osservazione. Si
voltò verso il Messo
Celeste con un piede sul primo scalino e dichiarò:
«Ti
annoieresti terribilmente, se non avessi più un
sottoposto paranoico di cui preoccuparti.»
«Sai
che è colpa tua se i miei capelli sono bianchi,
vero?»
lo sgridò amichevole l’altro.
«No,
la colpa è del fatto che sei nato più di
cinquecento
anni fa» Lastar si cimentò rapidamente in un
saluto marziale prima di sparire
sui gradini.
«No,
è colpa tua» insistette Alexander, quando
l’altro si fu
volatilizzato. «Un sottoposto più squilibrato non
esiste, in tutta la Cattedrale.»
***
Alexander
avrebbe dovuto vedere chi era
presente sul tetto, prima di assegnare a Lastar la corona
di folle della Cattedrale.
L’Esorcista
non ebbe tempo di salire l’ultimo gradino: un
peso morbido gli si avvinghiò alla schiena, e, se non fosse
stato così bene
allenato, probabilmente avrebbe perso l’equilibrio e si
sarebbe schiantato con
la faccia al suolo.
«Finalmente
sei arrivato» cinguettò una voce al suo
orecchio, prima che il timpano fosse assordato da un bacio.
Anche
questa volta, a Lastar non fu necessario guardare per
riconoscere il proprietario della voce.
«Deimos.
Scendi. Ora» sillabò, più minaccioso
che mai.
Il
tono intimidatorio sortì l’effetto opposto sul
deviato
aggrappato alle sue spalle: le gambe dell’indesiderato si
strinsero attorno al
suo bacino, e un’unghia nera tracciò invisibili
ghirigori sulla sua gola.
«Hai
sempre una bella voce. Bassa e roca» si
complimentò
l’altro, facendo quasi le fusa mentre sfregava la guancia
contro quella
dell’Esorcista.
«Deimos,
se non scendi subito, ti sparo» lo avvertì Lastar
e, per evidenziare la sua minaccia, sollevò una delle due
pistole.
Uno
sbuffo gli appannò una lente degli occhiali, e
l’ospite
sgradito si tolse dalla sua schiena con una mossa agile.
«E
dire che ti stavo lusingando» si offese quello,
imbronciandosi con il viso e il corpo. «La prossima volta ti
dirò che sei
brutto e noioso.»
«Così
ti sparerò senza nemmeno avvisarti prima»
patteggiò
asciutto Lastar.
Gli
occhi del giovane si socchiusero furfanteschi, mentre un
ghigno ferino stendeva le labbra piene.
«Cosa
sentono le mie orecchie» teatralizzò,
avvicinandosi
all’Esorcista con un passo flessuoso. Fece scorrere la mano
all’interno del
braccio dell’altro, volutamente vicino al fianco, e
sussurrò: «Qualcuno è molto
vanitoso.»
«Sono
venuto qui perché è suonato
l’allarme» gli rese noto
Lastar.
«E
io perché volevo vederti» con un guizzo, il
ragazzo si
portò a sedere sulla balaustra, incurante dello strapiombo
sottostante. Puntò i
gomiti sulle ginocchia e adagiò il viso tra le mani,
focalizzandosi sul volto
dell’Esorcista. «E lo sto facendo»
flautò mellifluo, mentre lo sguardo
scivolava più in basso.
Lastar
sistemò gli occhiali, esasperato.
«Guardami,
se non puoi farne a meno. Io devo decidere con i
compagni il piano di battaglia… cosa
c’è, Deimos?» l’Esorcista
rilasciò il
fiato in un sospiro greve di nervosismo quando vide l’indice
del demone
svettare civettuolo.
«A
quali compagni ti riferisci, esattamente?» squillò
l’altro, dondolando le gambe con fare deliziato.
L’Esorcista
fu sul punto di assestargli una risposta
tagliente, quando la fondatezza della curiosità del
satanasso lo colpì. Si
voltò, e la sua visuale fu riempita soltanto dal nulla
presente sulla terrazza.
«Come
è possibile che non siano ancora arrivati?»
«Perché
io gli ho impedito di arrivare.»
La
testa di Lastar virò con uno scatto, come quelle dei
burattini difettosi.
«Tu
cosa?»
Tutto
il volto del ragazzo si incuneò in un sorriso, e le
sue dita sfarfallarono irrisorie nell’aria, simulando
l’invocazione di un
incantesimo.
«Magia»
sibilò. Incrociò le braccia sulla nuca e si
sporse
all’indietro con il busto, sull’orlo del
precipizio. «Ho sbarrato l’accesso a
tutti, all’infuori di te.
Sono venuto
qui per vedere te» gli
ricordò,
dondolandosi con spaventosa noncuranza. «Non volevo che la
mia visione fosse
disturbata dal brutto spettacolo dei tuoi colleghi.»
«Deimos,
della gente morirà se i miei compagni non arrivano
adesso!» Lastar non poté trattenersi
dall’urlare, e le montagne intorno gli
restituirono un’eco sferragliante della sua rabbia.
«Cosa
ti fa pensare che la cosa abbia una qualunque
rilevanza, per me?»
Gli
occhi del ragazzo, fino a quel momento quasi spalancati
per osservare meglio l’Esorcista, si strinsero in una fessura
da cui trapelava
unicamente una malsana scaltrezza.
«Tengo
a te, Lastar» ogni parola sibilata risuonò come le
note in un organo funereo. «Ma questo non significa che
soffrirei, se il resto
della Cattedrale venisse rasa al suolo. Gli umani non sono nemmeno
buoni da
mangiare, per me.»
Lastar
portò istintivamente le pistole in posizione di
difesa. La natura demoniaca del ragazzo emergeva da frasi di quel
genere, così
fredde e sprezzanti.
Deimos
era uno dei demoni di seconda generazione, nato
dall’unione tra Lucifero e Lilith, ed era stato insignito
alla nascita della
qualifica di demone del Peccato Irrazionale. Il suo aspetto fisico lo
testimoniava in ogni sua forma: nei pozzi di sangue delle iridi era
possibile
intravedere lo scatenato reame della pazzia, mentre le onde dei capelli
in cui
si intrecciavano il corvino e lo scarlatto ricordavano i più
antichi famigli
dei diavoli, i serpenti. Il corpo era un perfetto altare alla lussuria:
non vi
era una curva fuori posto, un muscolo fuori forma, un arto che non
fosse
perfettamente bilanciato. Nemmeno lo stravagante modo di vestire del
demone
riusciva a mascherare la sensualità del viso e del fisico:
bastava un’occhiata
alla sua figura sinuosa perché la sanità di ogni
uomo vacillasse.
In
fondo, era per quello che era stato concepito: diffondere
l’irrazionalità e i peccati ad essa connaturati.
Deimos
fu più lesto di una vipera, e Lastar non ebbe modo di
reagire tempestivamente: si allungò verso di lui,
stampandogli un bacio sulle
labbra, e ritornò nella sua posizione in un secondo, seduto
con le braccia
incrociate dietro la testa.
«Non
corrucciarti, o diventerai spiegazzato come un foglio
di pergamena tra meno di dieci anni» gli consigliò
Deimos, di nuovo un sorriso
disarmante in bella mostra sul viso.
«Non
avevi bisogno di baciarmi, per dirmelo» disapprovò
Lastar.
«Oh,
quello è un piccolo omaggio. Goditelo» Deimos gli
indirizzò un occhiolino malizioso, e ricominciò
ad altalenare nel vuoto.
«Comunque, noi due da soli siamo sufficienti. Sono una
ventina di demoni, di
classe inferiore.»
«Noi?»
scattò l’Esorcista.
«Ti
accompagno. Sono mesi che non mangio» si lagnò il
ragazzo. Al contrario degli altri demoni, Deimos non si nutriva
dell’anima
degli esseri umani: trovava più di buon gusto
l’essenza vitale dei suoi simili.
Non si poteva pretendere che l’incarnazione
dell’irrazionalità seguisse la
dieta ufficiale della sua razza.
L’ultimo
dondolio fu più forte dei precedenti, e Deimos si
sporse troppo oltre la balaustra.
Le
gambe e le braccia dell’Esorcista scattarono
automaticamente: afferrò il corpo sottile del demone prima
che andasse a
schiantarsi nell’abisso, e lo strinse a sé per
riportarlo sulla terra stabile.
Un’inspiegabile spinta lo rovesciò
all’indietro, e la sua nuca picchiò
rudemente contro la pavimentazione. Non ebbe tempo di imprecare,
impegnato a
risolvere un altro problema: era steso a terra, con un diavolo lascivo
che lo
inchiodava al suolo.
«Mi
chiedevo quanto tempo ancora avresti impiegato ad
accorgerti che ero in pericolo» si risentì
l’altro, adagiato sul torace
dell’uomo con la rilassatezza di un nobile sul suo triclinio.
Le
dita di Lastar si strinsero sulle pistole, che non aveva
abbandonato nonostante l’emergenza, in uno scatto di
irritazione.
«L’hai…
fatto di proposito?»
«Ho
anche spinto con i piedi contro la balaustra per farti
cadere, mio caro» confessò candido quello,
appoggiando il mento sui suoi
pettorali. «E ne è valsa la pena: questa visuale
è ottima.»
«Stanno
arrivando dei demoni…» ringhiò Lastar,
ma Deimos lo
interruppe con un cinguettio.
«E
tu hai il diavolo più bello di tutto il mondo conosciuto
sdraiato
addosso. Non ti senti privilegiato?»
La
canna della pistola si appuntò contro la sua fronte, e il
demone si rialzò visibilmente contrariato.
«Sai
cosa si dice degli uomini fissati con la lunghezza
delle armi?» lo canzonò, la momentanea
arrabbiatura subito sostituita dal
bizzarro buon umore.
«Non
lo voglio sapere» tagliò corto Lastar,
riequilibrando
gli occhiali sul naso. «I demoni si stanno
avvicinando.»
Il
corpo del diavolo si modellò contro il suo busto, la nuca
adagiata nell’incavo del collo, ed il ragazzo alzò
il viso affinché gli occhi
potessero legarsi a quelli dell’Esorcista, gemelli nella
tinta rubino.
«Allora
andiamo a dargli un caloroso
benvenuto» lo incitò, raggiungendo con un balzo a
piedi
uniti il parapetto.
«Hai
intenzione di sferrare un attacco frontale?» le
sopracciglia ramate si sollevarono dubbiose.
«L’attacco è la
miglior difesa» recitò baldanzoso Deimos,
eseguendo un complicato gioco di
equilibrio sulla balaustra.
«E
come conti di scendere, esattamente?» pretese di sapere
Lastar, incuriosito e spaventato dalla possibile risposta.
Deimos
compì una piroetta, che concluse incrociando le gambe
con un’eleganza in disarmonia con il suo carattere
irrefrenabile.
«Guarda
come sono vestito.»
«Deimos,
seriamente, non…»
«Guarda» comandò
il demone, sulle labbra il sorriso malevolo di un re pronto a far
tagliare la
testa ad un servo insolente.
Lastar
lasciò l’ennesimo sospiro libero di uscire.
L’abbigliamento del satanasso era quello cui era abituato:
stivali, pantaloni
di pelle e camicia sbottonata, tutto rigorosamente in nero, ad
eccezione del
filo cui erano appese stravaganti pezze colorate che il diavolo si
attorcigliava sempre attorno al busto. Solo un particolare non
rientrava nel
suo solito vestiario.
«Indossi
un mantello» notò, spazientito.
Un
turbine sorridente gli precipitò sul petto, e delle mani
irriverenti
gli scompigliarono i capelli.
«Bravo»
l’ultima sillaba non era ancora stata pronunciata, e
il demone aveva già fatto ritorno alla sua posizione
aggraziata sul parapetto.
«Quindi possiamo scendere volando.»
Una
vena pulsò per l’irritazione, gonfiando la tempia
dell’Esorcista. Deimos sorrise lezioso, mentre afferrava il
mantello e lo
faceva sventolare attorno al corpo.
«Perché
credi che tanti demoni usino questi brutti stracci
ammuffiti? Sono fatti di una sostanza particolare che reagisce con la
nostra
aura. E diventano delle ali.»
Il
viso dell’Esorcista si abbassò, e uno sguardo
torvo lo
raggiunse dalla sopra la cornice degli occhiali.
«Quindi
non saresti morto, se tu fossi caduto all’indietro.»
«Adoro
gli uomini perspicaci» lo adulò beffardo Deimos.
«Quindi
avrei potuto evitare di salvarti, prima» concluse
Lastar.
«Ma
ti saresti privato dell’esperienza di avere il demone
più bello del mondo premuto sul tuo petto» alcune
ciocche ondulate vennero
spinte ai lati del viso con un gesto vanitoso, accompagnando
l’auto
decantazione del demone.
Lastar
preferì non commentare quell’ultimo punto, e
poggiò
la canna della pistola contro la fronte: il gelo del metallo lo avrebbe
aiutato
a recuperare la sua freddezza.
«Puoi
portarmi giù con te?» le parole arrancarono a
fatica
tra i denti digrignati.
Il
viso di Deimos si aprì in un sogghigno diabolico, e le
sue braccia in un invito licenzioso.
«Con
enorme piacere,
mio adorato» lo corteggiò con
un tono di voce vellutato, ma l’Esorcista non si
lasciò fuorviare così
facilmente.
«Come
scendiamo?»
Deimos
scrollò le braccia aperte, in un impaziente
incitamento.
«Io
volo, tu ti aggrappi» chiarì.
Lastar
squadrò il demone in attesa, i suoi arti esili e il
suo mantello dai poteri prodigiosi. Tutto ciò costituiva una
garanzia davvero
effimera per convincerlo a buttarsi giù dall’alto
terrazzo della Cattedrale.
L’incoerenza del demone doveva averlo contagiato,
poiché si avvicinò a lui e
gli cinse il bacino sottile con le braccia, le mani ancora strette
sulle
pistole.
Il
ghigno di Deimos si ammorbidì in una malizia
fiammeggiante, e lo intrappolò con un’espressione
incendiaria negli occhi
mentre gli accarezzava il viso imbronciato.
«Finalmente
ti sei deciso» gioì lusingatore.
«Sei
sicuro di riuscire a portare anche me?» Lastar
stroncò
sul nascere quel nuovo tentativo adescatore del demone, e la vendetta
di Deimos
si sublimò in un bacio sulla sua fronte corrucciata.
«Fidati
di me, Lastar» sussurrò sull’attaccatura
dei capelli
di lava.
Gli
artigli del demone si conficcarono nelle sue spalle, per
trattenerlo al momento di spiccare il volo.
Le
pieghe del mantello turbinarono attorno a loro,
attorcigliate nella metamorfosi che le avrebbe trasformate in ali, ed
il vento
implacabile li frustò durante la loro caduta.
Lastar
serrò l’abbraccio attorno alla vita del demone e
nascose il viso nel suo petto. E non fu solo la paura del volo a
stringergli il
cuore.
***
«Oh,
sei nudo.»
«Ho
i calzoni.»
«Sei
quasi nudo.»
Un
viso adirato più rosso degli occhi gli scoccò
un’occhiata
assassina, prima di essere sfregato nell’asciugamano grezzo.
«Alexander,
hai fatto irruzione nel mio bagno per qualcosa
di utile o solo per constatare che mi spoglio quando mi lavo, come
tutti gli
esseri umani?» brontolò nella stoffa ruvida.
«Volevo
complimentarmi per la splendida vittoria riportata» si
congratulò il suo superiore, fermo sullo stipite della porta
come una statua
decorativa.
Il
viso emerse parzialmente dall’asciugamano, appuntandosi
sul catino sottostante.
Le
sue mani insanguinate avevano donato all’acqua un intenso
colore rosso cupo: il “vino della battaglia”, come
lo chiamavano i combattenti
più poetici. Non era stato sufficiente a ripulirlo del
tutto: alcuni grumi di
sangue erano rimasti incastrati sotto le unghie, e avrebbe dovuto
raschiarli
via con la lama di un pugnale. Perfino l’asciugamano si
rivelò arrossato dal lascito
dello scontro, come notò quando lo scostò dal
viso.
«Erano
deboli» minimizzò.
«Erano
più di venti. E li hai affrontati da solo.»
Il
tono con cui Alexander sottolineò il numero dei demoni
trafisse la sua schiena come una pioggia di aghi. Gettò
l’asciugamano in un
angolo del bagno e si voltò guerresco. Il suo superiore non
era un bambino al
suo primo giorno di scuola: era perfettamente in grado di confrontarsi
con le
creste più aspre del suo carattere.
«Pensi
anche tu che io sia un alleato dei demoni?» inveì,
il
collo teso e i muscoli delle braccia pronunciati per la rabbia.
«Per via dei
miei occhi? O dei capelli?»
Alexander
scosse la testa, ed il gesto disseminò una
tempesta di riflessi perlacei sui capelli bianchi.
«No.
Per via del ragazzo che hai portato nella Cattedrale.»
L’accusa
cadde come un macigno tra di loro, seppellendo il
dono della parola di entrambi.
Una
ciocca argentata venne spostata dietro l’orecchio, ed
Alexander continuò, cadenzato ma inflessibile:
«È
un giovane molto particolare. Non avevo mai visto il
piano sotterraneo in subbuglio come questa sera.»
«È
un ragazzo di bell’aspetto, come non se ne vedono
molti»
arginò Lastar. Cercò con una mano gli occhiali,
appoggiati da qualche parte sul
lavabo, e la seconda affermazione del Messo Celeste lo
schiaffeggiò sulla nuca:
«È
indubbiamente attraente. Ma sembra che basti soffermarsi
su di lui un solo istante per sentire le proprie inibizioni crollare.
È quasi…
satanico.»
Se
fosse stato una persona normale, avrebbe morso le labbra
e chiuso le mani a pugno per l’afflizione nel vedere il
più capace dei suoi
uomini ammutolito da chissà quali colpe inconfessate. Ma lui
era un Messo
Celeste, e non poteva permettersi simili manifestazioni emotive: il
tono fu
asciutto e severo per ammonire il suo sottoposto come era giusto che
fosse.
«Sei
il migliore Esorcista che abbia difeso questa
Cattedrale da secoli. Potrei garantirlo anche sotto
giuramento» un angolo della
sua bocca si tirò canzonatorio, ricordando quanto fossero
vere le sue parole:
aveva visto con i suoi occhi porre la prima pietra della fortezza, ed
era
ancora vivo per raccontarlo. «Hai la mia totale fiducia. Per
cui non ti porrò
domande a cui non vuoi o non puoi rispondere. Ma ti impongo di essere
prudente,
Lastar: è sulle spalle di Esorcisti come te che si fonda la
sicurezza di questa
cattedrale.»
Le
dita callose del giovane tamburellarono sulle stecche
degli occhiali, senza spezzare il silenzio con quel loro suono dimesso.
Fu
compito dell’Esorcista squarciarlo.
«Mi
ha aiutato durante la battaglia, oggi. Come ricompensa,
mi ha chiesto di passare una notte alla Cattedrale.»
Alexander
sollevò il mento, austero.
«Perché
hai acconsentito?»
«È
stato perquisito dalle guardie, ed è stato giudicato
innocuo» addusse come spiegazione.
«Normalmente,
non lo avresti nemmeno fatto avvicinare» le
vesti del Messo Celeste frusciarono quando questo si
inginocchiò di fronte a
lui per incrociare i loro sguardi dal basso.
«Perché hai acconsentito?»
ripetendo la domanda, Alexander ottenne finalmente una replica, sebbene
non
fosse quella che aveva auspicato:
«Questa
è una domanda a cui non voglio rispondere.»
Le
ciglia bianche si incontrarono una sola volta,
aristocratiche, e un’espressione inflessibile
seguitò l’indagine:
«Puoi
garantirmi che la sicurezza dei cittadini non verrà
intaccata?»
«Posso
garantirlo» assicurò Lastar.
Nonostante
l’età avanzata, le ginocchia non scricchiolarono,
permettendo al Messo Celeste di rialzarsi con un movimento fluido.
«Lascialo
tra la gente ancora qualche ora, se così desidera.
Poi fallo uscire o portalo nella tua camera e sorveglialo. È
un ordine»
terminò, per prevenire qualunque possibile replica.
Il
capo fiero di Lastar si chinò umilmente, un braccio
obliquo sul petto e l’altro piegato dietro la schiena nella
formale
dimostrazione di rispetto.
Nessuna
espressione visibile attraversò il viso di
Alexander, ma il suo tono vibrò di una preoccupazione
sotterranea:
«Sei
stranamente ubbidiente, quando si parla di quel
giovane. Stranamente silenzioso, stranamente guardingo» le
dita dell’uomo di
intrecciarono composte: «Spero che tu sappia cosa stai
facendo, Lastar.»
L’Esorcista
rimase immobile, mentre il suo superiore abbandonava
la stanza. Non si mosse finché anche l’ultima eco
dei passi del Messo Divino
non fu dissolta nei corridoi. Solo allora strinse le dita sul bordo del
catino,
la schiena piegata come per un aggressivo attacco di nausea.
Boccheggiò,
strozzato dai conati, e l’odore rugginoso del sangue gli
riempì il naso e i
polmoni, acuendo la sensazione di malessere.
«Sapere
quello che faccio?» ansò, scivolando sulla
superficie umida del lavabo. «Vorrei tanto, Alexander. Vorrei
tanto che fosse
così.»
…
questo è ciò che accade quando la Red decide di
scrivere una slash xD
E
poi decide di metterci gli angeli e i demoni XD
Vi
ringrazio per essere arrivati a leggere fin qui (e lodo il vostro
coraggio<3)<3
A
presto, se vorrete saperne di più sul destino di questi
amorevoli spostati<3
Red
Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia. |
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Capitolo 2 *** Il Principe ha difeso un umano! ***
Capitolo
Due
«Il Principe ha difeso un umano! »
Deimos
spiccava nella folla come una goccia di sangue sulla
neve, a discapito dei suoi sforzi per assomigliare ad un umano comune.
Nonostante
riuscisse ad imbrunire i suoi occhi in un castano
intenso, non poteva cancellare la loro sinistra sensualità,
capace di far
rabbrividire di terrore e piacere al contempo. Così come i
suoi lineamenti non
potevano essere in alcun modo sbeccati in un viso ordinario, o la sua
flessuosità mascherata con movimenti volgari.
Deimos
pareva divertirsi, immerso nella rumorosa folla del piano
sotterraneo, riservato alla gente comune. Si era cosparso il viso con
un
sorriso furfantesco e una manciata di malizia, e stava lì,
ad attendere gli
inevitabili approcci della marmaglia tutt’intorno.
I
demoni erano troppo orgogliosi, e gli angeli troppo
superbi: nessuno di loro si lasciava andare al rossore con la
facilità delle
donzelle di fronte a lui, e a nessuno tremavano le labbra come ai
ragazzi che
gli si avvicinavano, ancora non del tutto consapevoli
dell’emozione che gli
torceva le viscere. Gli umani erano molto più spassosi da
sedurre: l’ingenuità
tingeva le loro guance di mille sfumature diverse, dal rosa pallido al
porpora
congestionato, l’imbarazzo li faceva quasi ballare sul posto;
quando poi i loro
occhi cominciavano a saettare per la stanza, incapaci di sostenere il
suo
sguardo, Deimos sentiva una risata nascergli dal pozzo nero che aveva
al posto
del cuore. Avrebbe voluto avere a che fare con gli umani più
spesso; in fondo,
lui non voleva mangiare le loro anime come i suoi fratelli. Voleva solo
confonderli, stregarli fino a portarli al tracollo, come era nella sua
natura
di Peccato Irrazionale.
Lastar
sopraggiunse nella sala gremita, e vide un gruppo di
giovani attorniare il demone con fare concitato. Le femmine parevano
ipnotizzate dai suoi occhi scuri e dal modo in cui inclinava la testa
per
ascoltarle, mentre i maschi stavano provando quel misto di smarrimento
e
attrazione che il diavolo riusciva a stimolare con la sua voce modulata.
Conosceva
quella sensazione fin troppo bene. Era stata la
sua compagna costante, durante le prime visite del demone.
Deimos
rialzò lo sguardo, lo scorse, e i suoi occhi
divennero due strette mezzelune di scaltrezza. Spostò lo
sguardo sulla ragazza
alla sua destra, per alimentare l’incendio sulle sue guance
quando la afferrò
per la vita e la strinse a sé. Dopodiché,
lanciò una seconda occhiata a Lastar,
venata di sadica soddisfazione.
Per
tutta risposta, l’Esorcista inalberò gli occhiali.
«Ordini
del Messo Celeste» annunciò. La sala
piombò
improvvisamente nel silenzio; alcune persone trasferirono la loro
attenzione
sul soffitto o sui piedi, vergognose di non essersi accorte prima
dell’arrivo
dell’Esorcista.
«Lo
straniero passerà la notte altrove»
continuò, serrando
le palpebre quando un brusio di malcontento si gonfiò nella
calca.
«Oh,
ti prego, Lastar» si lagnò la ragazza
più spavalda del
gruppo. «Fallo stare ancora un po’.»
«Sì,
Lastar.»
Il
tono del demone strisciò sulla sua caviglia come un
serpente, e si inerpicò sul corpo fino ad insinuarsi nel suo
orecchio con una
carezza leziosa. L’Esorcista trattenne un brivido; ancora non
aveva capito come
Deimos riuscisse a rendere la sua voce così palpabile.
«Fammi
restare ancora un po’» tutto il sangue della
giovinetta che il demone abbracciava doveva essersi addensato sulle
guance a
giudicare dal calore e dalla tinta paonazza che emanavano.
«Sono
ordini superiori. Non posso disubbidire. E nemmeno tu»
Lastar pressò volutamente sull’ultima parte della
frase. Non aveva intenzione
di discutere con lui: era frustrante ed infruttuoso quando erano soli,
e lo
sarebbe stato maggiormente se circondati da una folla che appoggiava il
diavolo.
Le
ciocche ondulate sembrarono ridere assieme alle labbra
quando Deimos scosse la testa.
«Sono
subito da te» il demone lasciò andare la
fanciulla,
che riprese gradualmente un colorito normale, e fendette la folla fino
a
raggiungerlo.
Non
aveva ancora stabilito se il modo in cui Deimos
ancheggiava fosse studiato o involontario: qualunque fosse la
verità, era
sufficiente a catturare l’attenzione delle persone intorno a
lui. Come avvenne
anche quella sera. Lastar desiderò che il diavolo si fosse
chiuso il mantello
sulle spalle, anziché portarlo ripiegato sul braccio.
«Andiamo»
con quella parola cercò di troncare in un colpo
solo ogni possibile recalcitranza del demone o proteste da parte dei
civili. La
folla espresse il suo dissenso con sbuffi sonori, mentre Deimos si
avviò al suo
seguito docilmente. Escludendo il secondo in cui si voltò
per lanciare un bacio
alla fortunata ragazza di poco prima e vederla avvampare di nuovo fino
alle
orecchie.
«Voi
umani siete proprio divertenti» ridacchiò Deimos,
saltellando al suo fianco.
«Non
siamo giocattoli» fu la brusca difesa di Lastar.
Una
folata colorata gli spazzò il cammino, e
l’Esorcista si
rese conto che il demone si era appena aggrovigliato di nuovo il petto
con le
sue corde piene di stracci. Non voleva nemmeno sapere come le avesse
nascoste
fino a quel momento.
«Non
ho detto che lo siete» cinguettò tranquillo
Deimos,
saltandogli praticamente davanti ai piedi per il gusto di vederlo
inciampare.
Lastar gli negò quella gratificazione: lo
anticipò di un secondo e lo fissò
truce finché il diavolo non tornò al suo posto.
«Era
un complimento» chiarì. La seconda volta,
l’Esorcista
non riuscì a schivare il suo attacco: la piroetta con cui
Deimos si spostò fu
troppo veloce, e Lastar si ritrovò con il petto del diavolo
premuto sul suo
fianco. Il lamento del ragazzo venne articolato contro la sua costola:
«I
demoni e gli angeli spesso sono noiosi.»
«Non
credo che siano discorsi adatti ad un corridoio
pubblico» cercò di frenarlo Lastar. Ovviamente
l’altro, anziché acquietarsi,
rincarò la dose:
«Ma
è la verità! I demoni… quelli
superiori, intendo, quelli
inferiori sono degli scarti bavosi che non toccherei nemmeno con la
punta di un
bastone» il diavolo gli pizzicò un fianco, come se
questo lo aiutasse a
riconnettersi al filo principale del discorso. «I demoni
superiori sono troppo
innamorati della propria fierezza: cercare di sedurli è come
stuzzicare una
parete di granito. Solo io ogni tanto riesco a strappargli qualcosa.
Comunque,
in camera da letto…»
«Deimos,
non voglio essere aggiornato sui vizi notturni
della tua razza» lo interruppe Lastar.
«Davvero?»
la gamba del demone si allacciò alla sua vita,
per permettere al viso diabolico di raggiungere la mascella
dell’Esorcista. «E
dire che ci sono delle cose molto interessanti da…»
«Deimos!»
«Gli
angeli» proseguì serafico il diavolo, come se
l’altro
non avesse mai urlato. Scese dalla sua scala umana e seguitò
a meditare ad alta
voce, gesticolando incoerentemente: «Al contrario, gli angeli
sono troppo
gonfiati dalla propria perfezione. Sempre a fare
un’espressione disgustata come
se sentissero puzza di cadavere. Danno il peggio di sé, e
poi si pentono per
settimane.»
«Danno
il peggio di sé?» gli fece eco
l’Esorcista.
«Quando
si accoppiano con me. Cadono in tentazione, si
pentono e poi cadono di nuovo e il ciclo si ripete. I demoni, invece,
nella
maggior parte dei casi sono sadici» le orecchie vennero quasi
spinte fuori
dalla testa tanto fu ampio il sorriso malevolo di Deimos:
«Forse sono cose come
queste che offendono il tuo udito delicato?»
Gli
occhiali vennero sollevati, le palpebre stropicciate e
le lenti rimesse al loro posto.
«Non
hai il minimo pudore?» sbuffò Lastar, il respiro
gravato da un principio di emicrania.
Deimos
scollò le spalle, con disarmante noncuranza.
«Tu
sei un Esorcista, e uccidi i demoni. Io sono il demone
del Peccato Irrazionale, e seduco le persone. O faccio crollare le loro
convinzioni. O le porto alla pazzia. Ognuno ha il suo
compito.»
«Io
non parlo di come squarto i demoni» replicò
l’altro.
«Potresti
anche farlo. Non mi interessa e non mi
infastidisce.»
Un
fruscio, una nota di un profumo conturbante nell’aria e
Deimos l’aveva sorpassato.
Le
parole del diavolo fecero scattare una scia di ricordi
nella mente dell’Esorcista. La memoria gli gettò
nel naso l’afrore sulfureo
della pelle squamosa dei demoni inferiori e le mani avvertirono di
nuovo il
peso del sangue versato in quella giornata. I momenti della lotta
ripresero
vita nella sua mente.
***
Aveva
affrontato battaglie assai peggiori, nonostante
l’inferiorità numerica: i satanassi di quel rango
infimo erano mossi dall’istinto
e non dall’intelletto. Erano bestie cieche e furiose, ed era
sufficiente
schivare i loro assalti e colpirli: non avevano abbastanza cervello per
pianificare un contrattacco. Non erano lotte impegnative come quelle
ingaggiate
con i demoni di classe superiore, aguzzi nella furbizia e nelle arti
magiche.
Deimos
si era unito a quella battaglia perché affamato, e
aveva lacerato la gola ai primi due abomini che gli si erano gettati
addosso,
nutrendosi del loro sangue e del loro spirito. Ne aveva uccisi altri
tre per
placare la sua sete, mentre Lastar si occupava dei restanti: la lama
Vampira
turbinò nell’aria tingendola di spruzzi rossi, e
le membra recise dei demoni
ricaddero al suolo, le terminazioni nervose che ancora si muovevano.
Una
delle bestie primordiali si avventò sulla schiena
dell’Esorcista, e tentò di cavargli gli occhi con
le unghie scheggiate. Ma
prima che le sue dita adunche avessero raggiunto le lenti degli
occhiali, una
mano dai nerbi di acciaio si era stretta attorno al suo collo ossuto,
spezzandolo con una semplice pressione del pollice.
Lastar
colse un movimento alle sue spalle, ed il corpo
inerte dell’abominio ricadde al suolo polveroso, le pupille
immobili e il collo
ritorto in un modo orribile.
«Il
Principe!» gracidò l’ultimo satanasso
rimasto,
graffiandosi il muso gonfio. «Ucciso dal Principe! E il
Principe non l’ha
mangiato! Ha difeso l’umano! L’ha ucciso per
difendere un umano!»
Lastar
sentì grido di quella bestia scorticargli il petto.
Deimos
veniva a infastidirlo di continuo, da quando quello
strano rapporto di schermaglie si era instaurato tra di loro; la sua
presenza
insolente era pressoché scontata. E la leggerezza con cui il
diavolo
trascorreva del tempo in sua compagnia gli aveva quasi fatto
dimenticare che
mai, mai e poi mai un demone sarebbe diventato l’alleato di
un Esorcista. Non
erano amici, non erano compagni: erano solo un giullare e uno
spettatore irritato.
Questa era la giustificazione ufficiale.
Eppure,
Deimos aveva appena ucciso, e aveva lasciato il
cadavere perfettamente intatto. Non aveva ammazzato un altro demone per
mangiarlo, ma per difendere lo stesso Esorcista che un giorno avrebbe
potuto
levare la spada contro di lui. Solo in quel momento si rese conto di
quanto la
loro strana relazione fosse distorta: era innaturale
uccidere un proprio compagno per proteggere un potenziale nemico.
«Il
Principe si è venduto agli umani! Il Principe si
è
venduto agli umani!»
Lo
avrebbe ripetuto infinite volte se Deimos non avesse
posto fine a quello strazio recidendogli la gola con un colpo di
taglio: la
pelle si aprì sotto le unghie del Principe, vomitando un
mare di sangue
violaceo in cui si accasciò il corpo senza vita della bestia.
Lastar
poté scorgere la genesi infernale di Deimos nel modo
in cui si ripulì le dita: le scrollò
nell’aria con un’espressione di gelido
disprezzo, estremamente seccato. Aveva combattuto fianco a fianco con i
veterani dell’Ordine, e sapeva quanto un guerriero potesse
diventare freddo
durante una battaglia: era un requisito essenziale per non farsi
manovrare dal
panico. Tuttavia, l’orrore sotterraneo per la morte perdurava
anche negli occhi
asciugati dalla guerra, come una minuscola scintilla in mezzo ad una
montagna
di cenere. Deimos non possedeva quel bagliore: vi era solo polvere
nelle sue
iridi.
Era
stato rapido nel ricomporre sul viso la solita farsa
canzonatoria: aveva ripreso a saltellargli intorno e a martoriargli i
nervi con
ineffabile facilità.
Poi
gli aveva proposto il patto: una notte alla Cattedrale
in cambio dell’aiuto ricevuto. E Lastar, ancora perso nella
palude dei suoi
pensieri, aveva accettato quasi inconsciamente.
***
Il
profilo di Deimos si intagliò perfettamente nella cornice
della vetrata gotica.
Il
demone si era fermato davanti alla finestra oblunga,
apparentemente assorto nel fissare la luna al di là del
vetro a mosaico. La
luce argentea colava in un pallido bagliore sul volto del giovane:
alcuni riflessi
perlacei si impigliarono nelle lunghe ciglia e nella curva carnosa
delle
labbra; la natura stessa sembrava cospirare per incrementare
l’aura
ammaliatrice del Principe.
Lastar
si fermò istintivamente, a qualche passo di distanza
da Deimos, e fu costretto a stringere la croce in cui il suo rosario
terminava
per recuperare il controllo dei suoi pensieri.
«Hanno
detto che ti sei venduto agli umani» la voce
dell’Esorcista suonò ancora più bassa
del solito tra le mura del corridoio
vuoto. Deimos restò immobile per qualche istante, come se la
contemplazione
della luna lo avesse distratto dal resto del mondo.
Una
mano salì pigramente a scuotere la movimentata zazzera
corvina, ed un sospiro rotolò fuori dalle labbra del demone.
«Gli
inferiori dicono tante cose. Non prestarci troppa
attenzione.»
«E
i tuoi familiari? Cosa diranno?»
Le
spalle del diavolo si irrigidirono in un sospiro trattenuto;
il mantello che portava appeso al braccio schiaffeggiò la
parete alle sue
spalle quando Deimos si voltò con una giravolta.
«Ti
stai preoccupando per me?» il suo ghigno fendette
l’oscurità, insinuante.
La
mano di Lastar abbandonò il rosario: non voleva che
l’altro
lo vedesse aggrappato ad uno stemma.
«Un
Esorcista e un demone non dovrebbero nemmeno parlarsi»
gli ricordò greve Lastar.
«Le
regole mi danno l’orticaria» si lamentò
in un miagolio
Deimos.
«Hai
ucciso uno della tua stessa razza per difendermi.»
«Perché
tu mi piaci, quello invece no.»
«Non
puoi scherzare su tutto, Deimos.»
Le
dita dell’Esorcista ebbero un guizzo, cercando istintivamente
le armi: lo sguardo fiammeggiante che lo trafisse conteneva ogni
fulgore maligno
albergante nello spirito di un demone. Si fermò solo quando
ricordò che quello
che aveva davanti era Deimos.
«Non
sto scherzando» il diavolo fece roteare il mantello,
che andò ad appoggiarsi sulle sue spalle con un fruscio
elegante. «Se fosse
stato un qualunque altro essere umano, sarei stato a guardare mentre
gli
spolpavano l’anima. O forse no. Sai, sono disgustosi quando
mangiano. Emettono
dei suoni orribili» un passo, e il demone lo fissò
ad un soffio dal viso mentre
sibilava: «Tu mi piaci più dei tuoi simili. Per
questo voglio aiutarti.»
«Avevi
detto che tutti gli umani ti piacciono» replicò
Lastar.
«Ho
detto che sono più divertenti degli angeli e dei demoni.
Questo non significa che rischierei di far arrabbiare Lucifero, mio
padre, per
salvare uno di loro.»
«Per
me l’hai fatto.»
«Perché
tu sei speciale, mio caro.»
«Non
ti capisco.»
«Rinuncia
a capirmi. In tanti hanno provato prima di te, e
hanno tutti fallito» il demone roteò di nuovo su
se stesso, la sua ombra nitida
contro la finestra intarsiata. «Nemmeno io riesco a
capirmi.»
Gli
occhiali dell’Esorcista vennero rimossi, e le iridi
cremisi si appuntarono sul compagno.
Da
quando conosceva Deimos, aveva collezionato una serie di
immagini su di lui: arrabbiato, allegro, triste, canzonatorio, serio,
cinico,
affettuoso… tutte maschere che il diavolo interscambiava con
una rapidità da
capogiro. Ma, qualche volta, era riuscito a carpire alcuni frammenti
dell’anima
più vera, quella che il demone stesso affermava di non
riuscire a comprendere. Se
non avesse visto quello spirito nascosto soffocare sotto i
travestimenti del
Deimos più plateale, probabilmente non si sarebbe tanto
affezionato a lui.
Per
un istante, gli parve di vedere quel barbiglio più
spontaneo occhieggiare nelle ciglia abbassate del diavolo, nella linea
malinconica della bocca.
Si
portò abbastanza vicino da accarezzargli le onde
indisciplinate
dei capelli con una mano: le ciocche parvero rivoltarsi sotto le sue
dita, in
accordo con l’indole inafferrabile del demone.
Anche
Lastar faticava a capire se stesso, quando si trovava
in presenza di quel diavolo: in alcuni momenti voleva respingerlo con
tutte le
sue forze, in altri avrebbe voluto stringerlo a sé fino ad
annullare tutto il
resto. Si chiedeva se fosse la natura irrequieta del Principe a rendere
così
instabile perfino lui.
Deimos
alzò uno sguardo scintillante di curiosità
sull’Esorcista.
«Starò
bene» lo rassicurò, scrollando la testa come un
cagnolino. «Non è la prima volta che faccio
arrabbiare mio padre. Ormai sono
abituato.»
«Non
è per quello che ti sto accarezzando.»
Il
demone inclinò la testa, come i bambini quando non
capiscono bene i discorsi degli adulti.
Le
ciglia allungarono un’ombra affusolata sugli zigomi
quando Deimos chiuse gli occhi e girò lievemente il viso. Le
unghie del diavolo
solleticarono delicatamente il polso dell’Esorcista,
trascinando la sua mano
lungo la levigata discesa della guancia. Lastar sentì il
calore delle labbra
del ragazzo riempire il suo palmo; anziché scostarsi
infastidito, come avrebbe
fatto di solito, adagiò anche l’altra mano sul
viso liscio del diavolo,
voltandolo gentilmente verso di sé.
Non
vi fu traccia della consueta spigliatezza derisoria nel
sorriso che illuminò gli occhi di Deimos, di nuovo sanguigni.
«È
per questo che sei il mio preferito» sussurrò,
carezzandogli il dorso delle mani con le unghie affilate.
«Una gentilezza vale
cento volte di più se fatta da una persona
burbera.»
«Stai
insinuando che ho un brutto carattere?» si risentì
Lastar.
«Pessimo,
mio adorato» ridacchiò Deimos.
La
successiva sequenza di eventi fu così rapida che perfino
l’occhio allenato dell’Esorcista faticò
a districarla: il demone scostò le mani
dell’altro dal suo viso, scattò in piedi, gli
morse le labbra, si avviluppò nel
mantello e annunciò:
«Grazie
per la bella serata, Lastar.»
Dopodiché,
tutto quello che rimase di lui fu uno sbuffo di
fumo e un sentore di zolfo.
Lastar
rimase fermo, raggelato dalla rapidità della
successione di eventi. La sua mente intorpidita dalla sorpresa
riuscì a
spremere fuori un unico pensiero.
Deimos
conosceva il teletrasporto; era una nozione impartita
a tutti i membri della famiglia reale. Dunque non aveva alcun bisogno
di un
mantello che si trasformasse in paio di ali, per viaggiare. Allora
perché si
era agghindato in quel modo?
Una
risposta risuonò nel suo cervello, assurda e plausibile
al contempo: perché se avesse usato il teletrasporto per
atterrare ai piedi
della Cattedrale, non avrebbe potuto abbracciarlo.
Si
afferrò le tempie con le mani e premette forte.
Era
stata una lunga giornata, e, il mattino seguente,
avrebbe dovuto istruire di nuovo una ciurmaglia di moccicosi. Aveva
bisogno di
riposare.
Si
diresse verso la propria stanza reggendosi la fronte, la
consapevolezza di essere il preferito del demone del Peccato
Irrazionale –
qualunque cosa quella frase volesse significare – appiccicata
alle spalle.
***
La
lunga coda nera si confondeva con la
seta scura della camicia dell’uomo. Il colore rosso del
nastro che tratteneva
la capigliatura era della stessa tinta della cintura che gli fasciava
la vita. L’ebano
dei capelli si richiamava all’onice della montatura del
monocolo, gli occhi
purpurei si armonizzavano con le gocce di rubino che collegavano la
lente al
petto del giovane. Ogni colore ricollegabile ad un altro.
La
cintura stretta senza creare pieghe
superflue, la camicia impeccabilmente allacciata, i capelli
perfettamente
ordinati, perfino le ciocche più corte e scomposte ai lati
del viso. Ogni
parvenza di disordine ricondotta ad un rigore austero.
Lo
conosceva bene.
Il
diavolo che lo attendeva, adagiato
sulla poltrona dell’atrio principale, sdegnoso e
inflessibile, era Lazard, il
demone del Peccato Razionale.
Suo
fratello maggiore.
«Sei
stato in piedi ad aspettarmi?»
rise rumorosamente Deimos, avvicinandosi con una camminata sgangherata.
«Non
dovresti fare tardi. Ti verranno le rughe.»
Il
fratello sistemò il monocolo, come
per metterlo meglio a fuoco; intrecciò le mani sul proprio
ventre e una sola
parola si srotolò dalle sue labbra di ferro.
«Siediti.»
Deimos
contorse tutto il viso in una
plateale smorfia di risentimento, ma si lasciò ugualmente
cadere sul tappeto di
fronte alla poltrona.
Ignorava
i comandi dei suoi genitori
senza rimorsi – pur essendo consapevole delle conseguenze
della sua condotta -,
ma non riusciva in alcun modo a fare lo stesso con gli ordini del
fratello.
Forse era imputabile alla natura diametralmente opposta dei loro
poteri:
annullandosi a vicenda, non riusciva a inalberare la sua solita
impertinenza
con il maggiore. Oppure la causa era l’affetto smodato e
immotivato che nutriva
nei confronti di Lazard, sebbene quest’ultimo non avesse mai
fatto nulla per
accaparrarsi i suoi favoritismi.
«Qual
è il problema?» Deimos si stese
sulla pancia e prese a sgambettare nell’aria, il mento
poggiato sui palmi, per
sdrammatizzare quell’aria tesa.
Il
trucco non funzionò. Lazard lo
guardò con ulteriore riprovazione e scandì:
«Mi
riferiscono che hai protetto un
umano.»
Deimos
incrociò le braccia sul tappeto
e vi affondò il viso, mugolando:
«Avevo
fame.»
«E
ti sei nutrito. Ma ne hai ucciso uno
in più.»
Lazard
non usava mai perifrasi, nelle
sue insinuazioni: ogni parola era una freccia diretta al cuore sporco
dell’accusato. Al contrario del minore, che si perdeva
costantemente in
lunghissimi ed insensati giri di parole.
«Mi
sono sbagliato» biascicò Deimos, ma
il fratello non gli perdonò quel tentativo di fuga:
«Perfino
tu non puoi sbagliare su
queste cose. Non si spezza l’osso del collo di un
appartenente alla propria
razza per errore.»
Deimos
rotolò su se stesso,
ritrovandosi a fissare il fratello da una prospettiva rovesciata.
Il
loro legame di sangue era scolpito
nell’affinità dei lineamenti, nel pallore
dell’incarnato e nel colore dei
capelli e degli occhi; le loro differenze abissali erano rivelate dagli
atteggiamenti. Scomposto su un tappeto il primo ed educatamente seduto
in
poltrona il secondo; la voce di Deimos, per quanto gradevole
all’udito, compiva
continui sbalzi di tono, mentre quella di Lazard rimaneva fissa sulla
nota
dell’alterigia. O del disprezzo, quando parlava con il suo
scandaloso fratello
minore.
«Te
lo chiederò una volta sola» premise
il maggiore. Il collo si stese aristocratico, ed il mento si
sollevò con
superbia. «Hai ucciso per difendere un umano?»
Sarebbe
stato semplice mentire: lo
aveva fatto in innumerevoli occasioni, quando i suoi compagni serali
gli
chiedevano se li amasse. Ed era un maestro nell’addobbare la
verità con un
numero così spropositato di fronzoli da farla sembrare una
bugia. Ma non
davanti al fratello: i suoi occhi indagatori laceravano il corpo delle
sue
commedie, lasciando integro solo lo scheletro della verità.
«Sì»
fischiò Deimos.
Le
palpebre si chiusero con un
tremolio, ed il monocolo venne accuratamente riposto nel taschino.
Lazard era
arrabbiato. Tremendamente arrabbiato.
«Siamo
demoni. Ci nutriamo di umani.»
«Io
no.»
«Tu
sei un degenerato.»
Il
gelo di quell’insulto lo abbrancò
alla gola, e Deimos rabbrividì vistosamente.
«Ci
sono alcuni demoni che siglano dei
contratti con gli umani per il solo piacere di vederli contorcere in
una lunga
agonia, e questo è l’unico contatto concesso al di
fuori dell’uccisione. In
nessun caso, per nessuna ragione, un
demone degno di questo nome aiuterebbe un umano.»
«Lo
so.»
«Se
ne sei consapevole, comportati di
conseguenza» lo rimproverò spietato Lazard.
«Per questa volta, nostro padre ha
deciso di essere clemente. Non sfidare oltre la sua pazienza. Se vuoi
divertiti
con quell’Esorcista, puoi farlo» il maggiore storse
un angolo della bocca come
se avesse sentito un odore poco gradevole: l’idea di un
demone mischiato con un
essere umano lo nauseava nel profondo. «Puoi condurlo al
tracollo se lo
desideri. Ma ricorda che è un nostro nemico: non devi in
alcun modo aiutarlo.
Limitati a fare ciò per cui sei stato creato.»
Il
disgusto acido del fratello gli
corrose il cuore, e Deimos si appallottolò su se stesso per
contenere il
dolore. Faceva male essere rifiutati a quel modo dalla persona che
più adorava
al mondo.
«Devo
fare quello per cui sono stato
creato» rifletté ad alta voce. Si girò
veloce su un fianco e si issò a quattro
zampe, e da quella posizione invitò il fratello:
«Vuoi restare con me, stasera?»
Il
viso di Lazard indietreggiò come se
a parlare fosse stato un verme di palude; si rialzò dalla
poltrona per mettere
più distanza possibile tra lui e quella vergogna che era
costretto a chiamare
“fratello”, risistemò il monocolo al suo
posto e dichiarò:
«Non
nutro alcun interesse per un corpo
lordato da mille accoppiamenti precedenti.»
Abbandonò
la stanza senza voltarsi
indietro. Era netto nelle sue azioni e nei suoi pensieri come una lama
ben
affilata: non si fermava mai a metà di un colpo.
Deimos
crollò sul tappeto, e si rotolò
su di esso senza sosta.
Lazard
gli piaceva. Ma non poteva stare
con lui perché il maggiore, al contrario, lo detestava.
Lastar
gli piaceva. Ma non poteva stare
con lui perché era un Esorcista.
Spalancò
le braccia e le gambe formando
uno strano pentacolo sul tessuto morbido sotto di lui.
«Sto
facendo il mio lavoro» cantilenò,
risentito. «Sto facendo impazzire me stesso.»
Ed
eccoci al secondo capitolo XD
Grazie
a tutti voi che avete letto anche questa seconda discesa nella
follia<3
Red
P.S.
QUI
potete trovare il Commentario a questa originale (vi sono segnate la
genealogia angelica, la genealogia demoniaca, l'organizzazione della
Cattedrale, le schede dei personaggi... tutte le informazioni tecniche,
insomma); verrà aggiornato con il procedere dei capitoli,
per evitare spoiler<3
Kiss<3
Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia. |
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Capitolo 3 *** Giocattoli e Ossessioni ***
Capitolo
Tre
Giocattoli e
Ossessioni
Il
fratello non sarebbe rientrato per
consolarlo: Lazard era cinico e diretto quando Deimos era assurdo e
contorto. Aveva
detto di disprezzarlo ed era uscito disgustato; non avrebbe messo di
nuovo
piede in quella stanza per rimangiarsi le proprie parole ed abbracciare
il
consanguineo ferito. Era un atteggiamento troppo irragionevole, per
lui.
Ogni
tanto, Deimos pensava che la mente
del fratello fosse una strada costituita da un unico binario: era
semplice
capire dove si sarebbe diretto con le parole e le azioni. Se ragionava
sulla
propria, invece, la associava ad un gomitolo ingarbugliato: impossibile
trovare
un inizio e una fine coerenti.
Sospirò,
rialzandosi dal tappeto.
Avrebbe
fatto una passeggiata fino allo
Stige. Forse avrebbe anche trovato qualcuno disposto ad abbracciarlo.
Il
vento notturno si insinuò con
facilità nei bottoni aperti della camicia, senza
l’ostacolo del mantello:
Deimos aveva lasciato quel pezzo di antiquariato sul tappeto. Non ne
aveva
bisogno per proteggersi dagli agenti atmosferici. La brezza gelida
quasi si
rammaricò nel sentire la pelle che, anziché
rabbrividire sotto i suoi soffi
artici, si riscaldava per contrastare la bassa temperatura di quella
serata
autunnale.
Deimos
raddrizzò le spalle, lasciando
al vento perlomeno la soddisfazione di scompigliargli i capelli. Suo
padre
Lucifero aveva insegnato a lui e a Lazard come controllare la propria
temperatura corporea per contrastare gli elementi fin da quando erano
bambini.
Non ricordava di essersi ammalato nemmeno una volta, dal giorno in cui
era
nato. Ed era estremamente fiero di quel suo primato: i malanni umani
erano
nauseabondi, con il loro corollario di catarro e muco, mentre i morbi
demoniaci
erano spietati, ed il più delle volte fatali.
Fu
una lunga camminata: lo Stige
segnava il confine estremo del regno demoniaco, un ramo di acqua
torbida che
divideva Infera dall’impero delle Cattedrali.
Si
fermò sulla sponda limacciosa, le
punte dei piedi che sfioravano le creste melmose del fiume. Stese il
collo al
massimo delle sue possibilità: oltre la desertica Terra di
Nessuno, nell’abbraccio
protettivo delle aspre catene montuose, sorgeva la punta della torre
più alta
della Cattedrale di Elohim.
Il
marmo nero con cui era stata
edificata era distinguibile nella notte solo per i riflessi argentati
che la
luna riversava sulle guglie e sui contrafforti: alcune mura impallidite
dalle
stelle emergevano dalle ombre, apparentemente sospese nel nulla.
Deimos
seguì per qualche passo il corso
del fiume, senza staccare gli occhi dalla Cattedrale. Tra le sue mura
abitavano
gli Esorcisti più capaci, ed era stata costruita in quel
punto, esattamente al
di fuori della Terra di Nessuno, per garantire la sicurezza alle
Abbazie e alle
Cattedrali minori. Illusi: i demoni non prendevano mai due volte la
stessa
strada, per recarsi nel mondo degli uomini. Tuttavia, la Cattedrale di
Elohim
incuteva un certo timore in alcuni ranghi della società
diabolica: gli
Esorcisti che vi albergavano erano gli unici che i demoni
riconoscessero come
degni avversari, ed avevano stretti contatti con tutte le Abbazie e le
Cattedrali esistenti. Se un diavolo o un angelo avesse attaccato gli
esseri
umani, nel giro di un giorno sarebbe apparso un Esorcista di Elohim.
Deimos
si gettò a sedere, naufragando
con lo sguardo verso il cielo: anche Lastar figurava tra quei
combattenti così
spaventosi.
Un
crepitio di sterpaglie poco distante
risvegliò la sua attenzione: si alzò in piedi
ruotando su se stesso e si
diresse verso la fonte del rumore.
Un
gruppo di demoni si stava
avvicinando, confabulando di piani e strategie.
Deimos
espresse la sua sorpresa con un
saltello: era uscito in cerca di compagnia, ma non avrebbe mai
immaginato di imbattersi
in Astaroth e nei suoi quattro assistenti. Era quasi impossibile
incontrare il
Duca del Terrore al di fuori della sua mansione a causa della sua
proverbiale
accidia.
Astaroth
non trovò particolarmente
insolita la presenza di Deimos: il figlio minore di Lucifero rimbalzava
da una
parte all’altra di Infera come una trottola impazzita, ed era
praticamente
impossibile non trovarselo in mezzo ai piedi nelle circostante
più strane.
«Duca»
Deimos si esibì nella sua
versione rivisitata dell’inchino cerimoniale.
«Principe»
il tono di Astaroth rimase
impeccabilmente aristocratico, così come la sua riverenza.
«Nemmeno
voi riuscite a riposare?»
Un
sopracciglio perfettamente curato si
inalberò con fare sospettoso: non riusciva a capire se la
domanda del Principe
fosse una battuta di pessimo gusto sul suo vizio di passare giornate
intere
sdraiato sul triclinio oppure no. Il sopracciglio si
riabbassò, spianando la
fronte lattea. Sarebbe stato improduttivo adirarsi con quel ragazzino:
era
talmente irrazionale che avrebbe preso la sua rabbia come un incentivo
per
continuare ad infastidirlo.
«Avevo
cose migliori a cui dedicarmi»
rispose pigramente.
«Con
tutti e quattro i vostri
assistenti?»
Il
quartetto si agitò alle spalle di
Astaroth: due di loro saltarono sulle spalle dei compagni, e da
lì si sporsero
per complottare qualcosa nelle orecchie degli altri. Bizzarro come il
demone
dell’accidia e della vanità avesse scelto un
gruppo così vivace per affiancarlo.
«Sì,
ho bisogno di loro» confermò il
Duca.
Deimos
si acquattò a terra, vicino alle
gambe del nobile, e puntò un braccio nella stessa direzione
seguita dagli occhi
truccati del diavolo.
«Mirate
alla Cattedrale?» gorgheggiò,
rialzandosi con una capriola.
Astaroth
sfiorò con le unghie laccate
il pesante bracciale d’oro a forma di serpente che si
avviticchiava lungo tutto
il suo avambraccio.
«Devono
restituirmi ciò che mi hanno
rubato» sentenziò, sillabando le parole con noia.
Deimos
annuì emettendo una serie di
versi a bocca chiusa, poi si grattò la testa in una
manifestazione plateale di
perplessità e indagò:
«Ma
avete stretto un patto con il Messo
Infernale di Elohim.»
«E
con ciò?» sibilò Astaroth.
«Non
è un pochino contro le regole
attaccare la Cattedrale che lui difende?» Deimos si
accovacciò a terra per
l’ennesima volta, e prese a dondolarsi sui talloni.
La
lingua del Duca saettò sulle labbra
perlacee: per un attimo, il labbro inferiore acquistò un
colorito roseo, che
perse l’istante successivo, coperto da un argento bagnato.
Deimos non si
spaventò per quel fenomeno. La linfa vitale che scorreva
nelle vene degli umani
era rossa, quella dei demoni era viola e quella degli angeli era
argentea; le
labbra del Duca del Terrore erano sempre coperte di sangue angelico fresco.
«Il
Messo Infernale è preparato a
questa evenienza» sentenziò grave Astaroth.
Il
Principe si strinse nelle spalle,
accordando la sua benedizione a quella missione.
Riusciva
a procacciarsi la sua dose di complicazioni
giornaliere da solo: non aveva bisogno di invischiarsi in quelle
altrui. Suo
padre aveva stilato un rigido codice di comportamento per le gerarchie
infernali, ed il caposaldo di quel regolamento era l’onore:
un demone non
avrebbe mai dovuto macchiare il suo nome e quello della sua stirpe
rinnegando
la parola data o comportandosi in maniera disdicevole. Ovviamente,
Deimos era
l’eccezione non scritta di quel corollario.
Non
capiva cosa avesse in mente
Astaroth; aveva stretto un patto con il Messo Infernale di Elohim
svariati anni
prima, ed ora si apprestava ad attaccare la Cattedrale. Lucifero non
avrebbe gradito
quell’iniziativa.
Si
stropicciò un occhio, combattuto.
Lastar
avrebbe avuto un bel daffare per
contrastare il Duca del Terrore e i suoi assistenti.
***
Il
visetto tondeggiante era il calco di
quello dei putti negli affreschi delle scuole per la prima infanzia, e
gli
occhi grandi ricordavano quelli di un gattino spaventato. La
costituzione esile
come il cristallo accentuava l’aria di fragilità
del ragazzo, il morbido
castano dorato dei capelli e la tinta verde slavata delle iridi
ammorbidivano
ulteriormente il suo aspetto tenue; la pelle diafana lo faceva
assomigliare ad
una fanciulla sul punto di svenire.
Quell’illusione
di innocenza crollava
non appena il giovane apriva bocca.
«Che
ti venga un accidente, Lastar!
Potresti fare la revisione prima che la ruggine ti mangi le pistole,
sai?»
La
prima volta, la discrepanza abissale
tra l’aspetto e l’atteggiamento dello Scienziato
Capo gli aveva quasi causato
una sincope. Dietro la facciata di zucchero e miele, si nascondeva una
sorgente
inesauribile di fiele e acido. La cosa più spaventosa era
che Cy riusciva a
pronunciare i peggiori improperi con il più innocente dei
sorrisi spianato sul
volto.
«Mi
sono scordato di portarle prima»
minimizzò Lastar.
«Un
altro paio di giorni e avresti
dovuto combattere i demoni in mutande. La prossima volta, appiccicati
un
promemoria alla fronte con lo sputo» lo criticò
serafico Cy, poggiando le armi
di Lastar sul bancone da lavoro.
L’Esorcista
si mise in attesa all’altro
capo della tavola, inquieto. Non gli piacevano i laboratori: troppo
bianchi,
disinfettati e privi di vita. L’unica cosa che li
differenziava dagli obitori
erano gli eserciti di strumenti tecnici dall’aria complessa e
sofisticata.
Cy
trafficò per qualche istante con le
sue armi, poi decise di aver bisogno di un attrezzo sullo scaffale
più lontano.
«Te
lo prendo io» si offrì Lastar.
«Assolutamente
no» lo freddò lo
Scienziato Capo, candido. «Potresti sfasciarlo, con la tua
grazia da viverna.»
L’Esorcista
rimase così in attesa che
il giovane raccogliesse le sue stampelle, le fissasse poco sopra il
gomito e
zoppicasse fino al ripiano desiderato. Le dita tamburellarono
sull’avambraccio,
impazienti, mentre lo Scienziato Capo metteva lo strumento nella borsa
a
tracolla con la massima cura e faceva ritorno al bancone.
Cy
era nato con una malformazione alle
gambe, per cui non poteva muovere un singolo passo senza le sue
stampelle. Sua
sorella, la strega Drew, diceva sempre che il fratello aveva il corpo
di vetro
e lo spirito di acciaio: a dispetto delle membra gracili, infatti, il
cervello
di Cy era la più spaventosa fucina di invenzioni di tutti i
tempi, dotato di
intelletto tagliente e caparbietà indistruttibile.
«Le
mie povere creature» lo Scienziato
Capo salì su uno sgabello per appoggiare le stampelle al
tavolo ed avere così
entrambe le mani libere. «Non ti sanguina il cuore, a vederle
ridotte in questo
stato?»
«Temo
che le pistole non suscitino il
mio istinto paterno» troncò Lastar.
«Ti
ricordo che devi la tua vita a
queste perfezioni di scienza» lo rimbeccò
docilmente Cy, usando l’attrezzo
preso poco prima per saldare alcuni punti.
«Devo
la vita alla mia mira. Le pistole
sono inutili, se non colpiscono il bersaglio» si difese
brusco Lastar.
Da
quando l’immagine di panna di quel
ragazzino aveva smesso di intenerirlo, l’Esorcista aveva
cessato di riservargli
troppi riguardi nel comunicare i propri pensieri. Il cuore di Cy era
ruvido
come la corteccia degli alberi, e altrettanto insensibile: non sarebbe
stato
ferito da un commento sgarbato.
Lo
Scienziato Capo, infatti, si
compiacque dalla sagacia con cui l’altro si era difeso
anziché offendersi.
«Non
posso darti torto» concesse
gentilmente, prima di tornare al suo lavoro.
Lastar
si schiacciò gli occhiali sul
naso, quando la sua mente accostò il bipolarismo di Cy
all’inafferrabilità di Deimos.
Era inutile provare a classificare il demone: poteva essere
estremamente dolce
ed incredibilmente irritante, così come il suo aspetto
poteva toccare le punte
del terrore o gli apici della bellezza.
«Ti
sei zittito» Cy usò uno strano
monocolo cilindrico, terminante in una lente enorme e panciuta, per
analizzare
le pistole con maggiore minuzia. «Stai facendo pensieri
sconci?»
«No»
Lastar negò con troppa energia,
secondo lo Scienziato Capo, che insistette, angelico:
«Su
chi li stai facendo? Qualcuno della
Cattedrale?»
«Non
stavo pensando a niente» vociò
l’Esorcista. Alexander, Deimos, Cy: perché era
circondato solo da persone
irritanti?
«Di
solito non è il “niente” a zittire
le persone» sancì lo scienziato, finendo di
rimontare le armi.
«A
che punto sono le pistole?» recise
Lastar.
Cy
rimosse la buffa lente ed esaminò
un’ultima volta le sue creazioni sotto le luci artificiali
del laboratorio.
«In
perfetto stato. Ora»
rimarcò lo Scienziato. «Cerca di
essere più puntuale per la prossima revisione.»
L’Esorcista
annuì rapido, e tentò di
ricomporre le pistole nella loro solita forma a croce. Le sue dita si
erano
appena mosse quando l’allarme mugghiò tra le
pareti del laboratorio.
La
testa di Lastar e quella di Cy
scattarono all’unisono verso la mappa della Cattedrale che
copriva il muro ad
est: un piccolo cerchio rosso aveva cominciato a pulsare al primo
piano,
esattamente a tre corridoi di distanza dalla loro posizione.
«Hai
l’occasione giusta per usare le
tue fantastiche pistole appena sistemate» si
congratulò Cy. «Fossi in te,
sfrutterei quest’opportunità.»
«E,
se io fossi in te, prenderei le
stampelle. Non ti lascio qui con un attacco in corso»
ordinò Lastar. «Alexander
mi staccherebbe la testa, se ti lasciassi indifeso.»
«E
poi ci sputerebbe dentro» rinsaldò
Cy, scendendo dallo sgabello e assicurandosi le stampelle alle braccia.
L’Esorcista attese che il giovane terminasse la preparazione
e si avviasse
claudicante dietro di lui.
Un
drappo di silenzio calò sulla
Cattedrale quando la sirena di allarme si spense. Nessun clangore di
armi,
nessun segno visibile di lotta.
«È
un’infiltrazione» bisbigliò Lastar.
«I demoni non sono venuti per cacciare.»
«Come
fai ad esserne convinto?»
investigò Cy dietro di lui.
«Non
si addentrano mai all’interno
delle Cattedrali per nutrirsi. Aspettano che qualche umano esca dalle
mura,
oppure lo attirano fuori. E lo fanno di nascosto.»
«Quelli
di ieri si sono diretti contro
le nostre mura.»
«Erano
demoni inferiori. Non hanno le
capacità necessarie per sorpassare le nostre barriere
difensive.»
«Quindi
stiamo parlando di un demone
superiore?»
«Di
un demone evoluto, perlomeno. In
cerca di qualcosa di specifico.»
Le
mani di Cy si agitarono sulla presa
delle stampelle: i palmi stavano cominciando a sudare.
«Ma,
se la memoria non mi inganna, non
è mai successo prima d’ora che un demone
oltrepassasse i nostri cancelli.»
Le
labbra e le sopracciglia di Lastar
si contrassero, corrucciandogli il volto.
«Non
ad Elohim, forse. Ma è già
avvenuto in passato» notificò
l’Esorcista.
Cy
aprì la bocca per aggiungere
qualcosa, ma le sue labbra quasi si spaccarono in un urlo: un paio di
occhi
magenta comparve dal nulla e lo fissò da una prospettiva
rovesciata. Lo
Scienziato Capo rischiò di perdere l’equilibrio
per lo spavento, e fu costretto
ad uno strano gioco di stampelle per reggersi in piedi.
«Trovato!»
chiocciò la vocina annessa a
quei bulbi inquietanti.
Lo
scenario di Cy divenne
improvvisamente nero quando Lastar si parò davanti a lui.
L’Esorcista aveva
riconosciuto istantaneamente la treccia di capelli color prugna, gli
occhi
sgranati e la vistosa cucitura che tagliava a metà il collo
snello della
creatura: era Pruslas l’Assassina, la seconda assistente di
Astaroth.
«Il
nostro Messo Infernale ha stretto
un patto con il tuo signore» l’ammonì
lui, puntando una pistola alla sua testa.
«Astaroth ha giurato di non attaccare mai, per nessun motivo,
la Cattedrale.»
«Infatti
il nostro signore non è qui»
trillò la creatura, appesa al soffitto tramite una corda
agganciata alla
cintura. Slacciò il moschettone e rimbalzò a
terra come se fosse stata senza
peso, ergendosi poi nella sua misera altezza: arrivava a malapena a
sfiorare il
bacino di Lastar.
«Ma
ti ha inviata lui» contrattaccò Cy.
«Si
tratta di un’iniziativa personale»
la piccoletta lanciò la treccia oltre le spalle ossute, e
rise: «Il mio signore
è tanto triste perché gli è stato
sottratto qualcosa che gli è molto caro. E
noi abbiamo deciso di fare qualcosa per rasserenarlo.»
«Noi?»
la riprese Lastar. Non riuscì a
cogliere l’espressione di Pruslas: una delle stampelle dello
Scienziato lo
colpì al fianco, sbilanciandolo di lato. Stava per imprecare
coloritamente
contro Cy, quando si accorse che il giovane lo aveva appena salvato:
esattamente nel punto in cui si trovava fino a qualche secondo prima,
si apriva
ora una pozza frastagliata e sfrigolante.
«Quell’acido
ti avrebbe sciolto la
testa» si rammaricò una voce artificiale
dall’alto.
Cy
e Lastar non faticarono a ricondurre
l’essere metallico calamitato al soffitto ad un nome: Aamon
l’Alchimista, il
primo assistente di Astaroth.
«Lui
non sa che siamo qui» ridacchiò
Pruslas. «Per cui, il patto non è stato
trasgredito ed è ancora valido.»
«Temo
che dovremo discutere con il
vostro padrone a riguardo» si risentì Cy.
«Dovrebbe fare più attenzione alle
“iniziative personali” deleterie per la Cattedrale,
se ha intenzione di
mantenere l’accordo.»
«E
voi non dovreste rubare le sue cose»
inveì improvvisamente Pruslas, mandando lampi dagli occhi
magenta. «Ladri!»
«Diteci
cosa abbiamo rubato e ve lo
restituiremo» contrattò duro Lastar, la pistola
ancora in assetto di guerra.
Qualche
scheggia di pavimento sibilò
nell’aria quando l’Alchimista si lasciò
cadere a terra: i suoi piedi di metallo
creparono le mattonelle di marmo nero, ma la creatura non parve
avvertire
dolore.
«Me»
dichiarò, atono.
Cy
e Lastar si scambiarono un’occhiata
smarrita.
«Sei
sicuro che il tuo costruttore ti
abbia oliato per bene i meccanismi?»
s’inviperì lo Scienziato.
«Il
vero me» inquadrò Aamon.
«E
dove si troverebbe, questo “vero te”?»
la sua pazienza stava per tracimare, e Lastar parlò a denti
digrignati.
Pruslas
puntò le sue manine verso Cy.
«Chiedilo
a lui. Lui è uno dei ladri.»
«Torna
dal tuo signore, e digli di
parlare direttamente con me, se ritiene che io gli abbia rubato
qualcosa» una
stampella roteò nell’aria in direzione della
nanerottola, a sottolineare
l’irritazione dello Scienziato.
«Non
può. L’altro ladro gli impedirebbe
di parlarne con te» negò Pruslas.
«L’ha
sempre fatto» avvalorò Aamon.
Lastar
tirò il cane della pistola,
riscuotendo l’attenzione dei due esseri.
«Sparite.
Abbiamo tollerato la vostra
presenza anche troppo a lungo» li avvertì.
Gli
occhi di Pruslas si assottigliarono
improvvisamente, riducendosi a due strette fessure di
crudeltà.
«Non
possiamo tornare a mani vuote…»
Gli
eventi precipitarono con una
rapidità impressionante: Pruslas allungò una mano
per afferrare il pugnale, e
Lastar la prevenne di un secondo scarso, sparandole. La creatura
lanciò uno
strepitio acutissimo, fissando sconvolta il buco sanguinante sul suo
palmo, e
continuò a schiamazzare quando un secondo proiettile le
perforò lo sterno.
Lo
Scienziato vide Aamon frugare nel
suo tascapane, e lo imitò prontamente: le boccette di Cy e
dell’Alchimista si
incontrarono a metà strada in un’esplosione di
vetri, annullando reciprocamente
le proprietà dei liquidi contenuti all’interno.
«Grazie
Cy» telegrafò Lastar,
rinfoderando le pistole per estrarre la Lama Vampira: non si illudeva
di aver sconfitto
l’Assassina con due soli proiettili.
La
nanerottola batté i pugni nella
pozza del suo sangue nero, la rabbia che le distorceva i lineamenti e
le
scopriva le zanne. L’Esorcista portò la spada tra
di loro: la linfa vitale così
scura era propria solo dei Costrutti, le creazioni innaturali degli
Stregoni. Sarebbe
stato complesso uccidere chi non era propriamente vivo.
La
Lama compì un arco verso il basso,
parando a stento i pugnali di Pruslas. La piccoletta si
lanciò contro il suo
nemico ad armi sguainate, e non si fece intimidire dalla differenza di
stazza o
dalla spada notevolmente più affilata dei suoi stiletti.
Rapida come una
vipera, scartò di lato e conficcò un pugnale poco
sopra il ginocchio del suo
avversario. Con sua somma disapprovazione, la lama non
riuscì a perforare la
stoffa dei pantaloni, che si piegò sotto di essa per poi
stendersi di nuovo,
intonsa.
«Non
siamo così sprovveduti» asserì
Lastar, costringendola ad indietreggiare con un movimento di spada.
Cy
aveva abbandonato una delle sue
stampelle per avere libero accesso alla propria tracolla: Aamon
sembrava
intenzionato a duellare con lui, e ogni Scienziato sapeva quanto fosse
impegnativa una competizione di formule chimiche. Doveva riconoscere la
pozione
dell’avversario dal colore e dalla presunta consistenza,
dopodiché scegliere e
lanciare la mistura che ne avrebbe annullato ogni effetto malefico:
entrambi i
processi si svolgevano in pochi secondi, per cui il cervello non poteva
permettersi la minima distrazione. Una goccia di sudore
rotolò sulla sua
tempia: non era facile mantenere la concentrazione, con un Esorcista e
l’Assassina che guerreggiavano a pochi metri di distanza.
Aamon, al contrario,
non sembrava minimamente turbato: gli ingranaggi nel suo cranio non
erano stati
studiati per farsi sviare da cose futili.
L’Assassina
mise all’opera l’agilità
che l’aveva resa tanto temuta, nonostante la sua scarsa
altezza. Con un balzo
si aggrappò al braccio dell’Esorcista e, prima che
quest’ultimo avesse tempo di
scrollarsela di dosso, saltò sulla sua spalla e gli
trapassò una guancia con il
pugnale. Quel punto non era protetto dalle stoffe modificate in
laboratorio, e
Pruslas esultò di viva gioia nel sentire la carne lacerarsi
e il sangue rosso sommergerle
le mani e il corpetto. Atterrò sul pavimento deliziata, e
prese a lappare con
gusto il liquido salato che le rivestiva le dita.
Il
mondo di Lastar venne avvolto dalla
nebbia e la testa da una nuvola di elettricità, prima che il
suo ferreo
autocontrollo stabilizzasse i nervi sconvolti dalla ferita. La
Cattedrale tornò
ad essere nitida, così come l’Assassina che
correva verso di lui.
Lastar
si fletté sulle ginocchia ed
impugnò con maggiore forza la spada: non avrebbe avuto
più di un battito di
ciglia per colpire quella creatura sfuggevole.
La
corsa di Pruslas si sbriciolò contro
la Lama Vampira: il freddo acciaio la tranciò a
metà, e al suolo ricaddero un
paio di gambe ancora in movimento e un busto dall’espressione
spiritata.
Lastar
si premette una mano sul viso,
per contenere il torrente di sangue che gli stava inzuppando il
colletto e il
pettorale della tunica; le braccia dell’Assassina si
agitarono nell’aria,
infuriate, prima di abbattersi al suolo e trascinare faticosamente il
busto
troncato verso le gambe ora immobili.
«Aamon!»
rumoreggiò. «Aamon!»
Il
Costrutto di metallo si voltò solo
alla seconda invocazione, e registrò senza emozioni le
condizioni miserevoli
della sua compagna.
«Andiamocene!»
starnazzò lei,
afferrando con una mano la propria caviglia, che scalciò
debolmente sentendosi
prigioniera.
Aamon
abbandonò la battaglia con lo
Scienziato, e si chinò a raccogliere le membra scomposte
dell’Assassina. Non
batté le palpebre di bronzo nemmeno quando la Lama Vampira
si appoggiò al suo
volto di metallo.
«Ci
dovete ancora delle spiegazioni» li
minacciò Cy, sopperendo
all’impossibilità di Lastar di parlare.
Aamon
non proferì parola, mentre
Pruslas fissò con odio l’Esorcista, che aveva
abbandonato la guancia per
reggere la spada con entrambe le mani.
«Ti
restituirò il favore, ibrido» e
sputò su quella stessa lama che l’aveva tagliata a
metà.
Una
vetrata della Cattedrale esplose,
mettendo fine ad ogni possibile discussione: una freccia, circondata da
un’aura
fiammeggiante, fendette l’aria e si conficcò nella
spalla dell’Esorcista. La
Lama Vampira cadde a terra, e Lastar si chinò immediatamente
a raccoglierla,
nonostante il dardo infisso a pochi centimetri dalla clavicola.
Aamon
non inferì sull’Esorcista: si
voltò e si gettò oltre la finestra frantumata. Un
tonfo altisonante annunciò il
suo atterraggio, e una serie di rumori sordi accompagnò la
sua fuga dalla
Cattedrale.
«Lastar…»
si preoccupò Cy, ma
l’Esorcista sbottò, le parole aggrovigliate nel
sangue che gli riempiva la
bocca:
«Troviamo
Alexander.»
«Ma
sei ferito» protestò lo Scienziato.
«Appunto.
Mi serve un medico» Lastar
quasi si strozzò per quell’ultima frase, ed una
grossa bolla vermiglia gli
macchiò le labbra.
«Lo
chiamo io. Tu resta fermo» comandò
lo Scienziato. L’Esorcista tentò di rialzarsi, ma
Cy lo rimise seduto
premendogli la stampella sullo stomaco. «Resta fermo,
ho detto.»
Dal
camice dello Scienziato venne
estratta una collana terminante in una pietra ovale e piatta, che il
giovane
poggiò a terra: il minerale si illuminò ad
intermittenza un paio di volte, poi
una sottile striscia di luce si srotolò sul pavimento,
perdendosi nei corridoi
della Cattedrale.
«Lo
raggiungerà, così potrà arrivare
fino a noi seguendo il bagliore» chiarì lo
Scienziato, portandosi con fatica
vicino all’Esorcista accasciato. «Hai sconfitto
l’Assassina. Sii orgoglioso di
te stesso.»
Lastar
gli scoccò un’occhiata incendiaria,
e Cy ammise, pizzicandosi il mento:
«Forse
avrai tempo per sentirti fiero
dopo che ti avranno ricucito la guancia e tolto quella freccia dalla
spalla.»
L’Esorcista
annuì, seccato.
Sperava
che Alexander arrivasse presto.
Quelle ferite sembravano bruciargli più di qualunque altra
lesione avesse mai
riportato in battaglia. Ed essendo state inferte
dall’Assassina, era certo che
non significasse nulla di buono.
***
L’intervento
del Messo Celeste aveva
mitigato i suoi patimenti, ma non li aveva annullati.
I
punti sulla sua guancia tiravano e
bruciavano, e non erano riusciti a fermare l’emorragia: la
benda applicata
sulla gota era di nuovo fradicia, e si sarebbe dovuto alzare per
cambiarla.
Nemmeno la freccia era stata rimossa con troppo successo: aveva morso
con tutte
le sue forze un fazzoletto mentre spezzavano la punta e strappavano
l’asticella
dalla sua carne viva, e aveva quasi perso i sensi mentre cauterizzavano
la
ferita con il ferro rovente. Nemmeno quelle misure erano riuscite a
risolvere
il problema: il bendaggio che gli circondava la spalla era di nuovo
inspiegabilmente chiazzato di sangue.
Poggiò
un palmo sulla fronte, sentendo
la testa girare: la pressione si stava abbassando troppo a causa della
continua
perdita di fluidi vitali. Cercò di rialzarsi sul letto per
cambiare le
fasciature, ma la stanza prese a vorticare intorno a lui,
immobilizzandolo sul
materasso.
Si
sentì quasi sollevato quando avvertì
un peso poggiarsi sul suo letto.
«Ti
sei ricordato di avere un paziente
sanguinante, Alexander?» lo rimproverò secco
Lastar. Sapeva che il Messo
Celeste era molto impegnato: doveva spiegare l’accaduto ai
suoi superiori e al
popolo, nonché organizzare una riunione il giorno successivo
per decidere le
contromisure da adottare, e supervisionare i lavori di ricostruzione
assieme a
Cy. Ma non aveva apprezzato il modo in cui era stato abbandonato sul
suo letto,
con la promessa volatile di una visita durante la notte.
«Ho
saputo del tuo infortunio, mio adorato.»
Il
conforto iniziale evaporò
completamente.
«Deimos,
oggi non ho proprio voglia di
sopportare le tue assurdità» lo
avvertì, velenoso.
Le
coperte si mossero assieme al
diavolo, che scivolò più vicino
all’Esorcista sdraiato.
«Volevo
vedere le tue ferite» un indice
saltellò dal polso alla spalla del malato, a ritmo con la
cantilena del
diavolo.
«Sono
già stato curato» comunicò
Lastar.
«E
ti hanno curato male» disapprovò
Deimos. L’unghia nera picchiettò senza
pietà la benda sulla guancia e quella
sulla spalla, facendo sobbalzare l’Esorcista sul letto.
«Non
miglioreranno se continui a
stuzzicarle» si arrabbiò Lastar, cercando di
strisciare fuori dalla portata
dell’invasore.
«Allora
permettimi di fare qualcosa per
te» s’impuntò Deimos.
L’Esorcista
era rimasto a occhi chiusi
tutto il tempo, sperando che, se non gli avesse prestato attenzione, il
diavolo
sarebbe sparito come un brutto sogno al mattino. Aprì le
palpebre solo in quel
momento e, per un attimo, pensò che l’ombra della
stanza stesse creando degli
improbabili effetti di luce sul volto del demone, facendolo apparire
serio. La
sorpresa aumentò quando si rese conto che
l’espressione grave del diavolo non
era una conseguenza della rifrazione: Deimos era mortalmente
preoccupato per
lui.
Gli
occhi rossi scintillavano a
malapena nell’oscurità, stretti come per
trattenere le lacrime, e le labbra
erano quasi sparite per l’ansia. Una mano era stretta a pugno
sulle coperte e
l’altra sollevata verso il suo viso, bloccata a
metà dell’azione, in attesa del
permesso per procedere. Quell’ultimo dettaglio
lasciò Lastar trasecolato:
Deimos gli era sempre saltato addosso, lo aveva abbracciato e baciato
anche
quando lui gli aveva detto chiaramente di non volerlo intorno.
Quell’esitazione
lo colpì più a fondo delle iridi offuscate e
della bocca sorprendentemente
muta.
«Cosa
vuoi fare?» domandò, cercando con
una mano gli occhiali sul comodino. Il palmo del demone si
poggiò sul suo
polso, bloccandolo.
«Fammi
dare un’occhiata alle tue
ferite» patteggiò Deimos, insolitamente composto.
Le
dita del Principe mostrarono una
premura non confacente al suo atteggiamento pazzoide mentre rimuovevano
la
benda dalla sua guancia. Le ciglia arcuate si incontrarono qualche
volta,
mostrando riprovazione per la cucitura sul volto
dell’Esorcista.
Lastar
irrigidì la mascella quando i
polpastrelli vellutati del demone lambirono i punti scuri, saggiando la
ferita
ancora sanguinante.
«Brucia»
si sfogò a bassa voce.
«Lo
so. Conosco questa lesione. E non è
stata medicata a dovere» l’Esorcista
sentì le ultime parole carezzargli la
guancia, poco prima che le labbra del demone si poggiassero sulla
cucitura. Una
litania soffocata scivolò all’interno della
ferita, e, quando il diavolo rialzò
il volto, il sangue aveva cessato di scorrere. Deimos si mise a
cavalcioni su
di lui, strappandogli un gemito quando il ginocchio andò a
sfregare contro il
livido sul suo fianco, dovuto alla stampella di Cy; da quella
posizione, il
diavolo poté tenerlo fermo a sufficienza per tagliare i
punti con le unghie
affilate e rimuoverli dalla ferita già cicatrizzata.
Lastar
passò una mano sul viso, e il
tatto gli restituì una sensazione di integrità.
«Magia»
asserì, inchiodando con lo
sguardo il demone posizionato sulle sue anche.
«Che
altro, mio caro?» gorgogliò
Deimos. Si passò un dito sulle labbra sporche di sangue con
lascivia: voleva
vedere quella graziosa ruga che si formava sulla fronte del guerriero
quando
tentava di sedurlo.
«Immagino
di doverti dei ringraziamenti»
patteggiò veloce Lastar, ma Deimos scosse il capo in cenno
di diniego.
«Non
ringraziarmi adesso. Devo ancora
curare la tua spalla.»
Il
diavolo si prese tutto il tempo
necessario per squadrare l’addome dell’Esorcista,
prima di arrivare alla
ferita. Alexander non lo aveva rivestito completamente, dopo averlo
visitato: il
taglio ancora sanguinante avrebbe sporcato gli abiti, per cui gli aveva
appoggiato sulle spalle solo una vestaglia da ospedale, poi era
scappato,
rincorso dai propri impegni. Deimos si godette ogni centimetro di pelle
esposta, felice di poter vedere la muscolatura del guerriero senza
l’intralcio
della sua divisa.
«Credevo
che dovessi curarmi la spalla»
lo riprese Lastar.
«Non
essere così frettoloso. Ti
perderai molti piaceri della vita» lo zittì
Deimos, senza distogliere lo
sguardo dai suoi addominali.
«La
ferita è più in alto» lo riscosse
di nuovo il paziente.
«Oh,
hai ragione» gli occhi del demone
salirono per appuntarsi sui suoi pettorali, parzialmente nascosti dal
bendaggio.
«Deimos.»
«Quanto
sei borioso» sbuffò il
Principe, portando finalmente la sua attenzione nel posto giusto.
Scostò la
fasciatura per controllare i danni, e non gradì lo
spettacolo che gli si aprì
dinanzi: quei barbari avevano cauterizzato l’escoriazione, e
ora la spalla del
suo adorato sarebbe stata per sempre sciupata da quella cicatrice
irregolare.
Oltre che dannoso, quel processo era stato anche infruttuoso: la
lesione si era
aperta di nuovo, stillando pigramente gocce di sangue.
«Non
muoverti» lo ammonì Deimos. Sistemò
le ciocche più lunghe dei capelli ondulati dietro le
orecchie, e si chinò per
adagiare le labbra sul buco aperto dalla freccia. Di nuovo, alcune
parole dal
sapore antico e proibito piovvero dentro lo squarcio nella sua carne
che,
obbedendo ad un ordine ancestrale, cominciò a rimarginarsi.
Lastar
strinse i denti mentre i muscoli
si collegavano di nuovo tra di loro e la pelle si ricomponeva,
chiudendo la
fenditura nel suo corpo. Le sue membra brulicarono di una strana
vivacità
elettrica durante quel processo di cicatrizzazione accelerata, e la
sensazione
coprì tutte le gradazioni del fastidio e del dolore.
Quella
volta, però, il respiro del
demone non si allontanò quando la ferita ebbe terminato di
rimarginarsi:
continuò a scivolare sulla sua pelle, caldo e sensuale come
la bocca da cui
fuoriusciva.
«Grazie,
Deimos» tentò l’Esorcista, per
far allontanare il diavolo da sé.
Come
ogni volta, il Principe non diede
peso alle sue parole: il bacino del demone si schiacciò
contro il suo, le
braccia si allungarono per circondargli le spalle, e
l’Esorcista si trovò a
respirare il profumo inebriante della chioma scomposta del diavolo.
Non
era la prima volta che Deimos lo
abbracciava, ma non lo aveva mai fatto in silenzio: la sua bocca era
alimentata
da una miscela infinita di sciocchezze, che sgorgavano senza lasciar
spazio a
discorsi logici.
Le
mani dell’Esorcista si poggiarono
sulla schiena del demone, e lì sostarono per qualche
istante, preda
dell’indecisione, prima di scivolare sui suoi fianchi per
stringerlo a sé.
Quello
era uno dei preziosi momenti in
cui Deimos non recitava, non indossava maschere, non esagerava. E di
fronte
alla vera essenza del demone, Lastar non riusciva ad essere scorbutico.
Deimos
trovò il modo di recuperare la sua
farsa e distruggere quel momento in una sola frase:
«Mi
stai abbracciando e sono sul tuo
letto. Nella mia fantasia, la scena era un po’ meno
deprimente e un po’ più
movimentata, sai?»
Il
Principe fece per alzarsi, ma una
presa salda lo serrò contro il petto bendato
dell’Esorcista. Deimos batté le
palpebre, confuso, la testa adagiata sulla spalla appena sanata e il
corpo bloccato
contro quello del compagno.
«Non
mi spingi via, oggi?» cigolò, disorientato.
«Mi
hai aiutato di nuovo» constatò
Lastar, senza allentare la presa. «Questo ti
creerà dei problemi, vero?»
Il
demone alzò le spalle, per quanto lo
stretto abbraccio gli permettesse.
«Non
troppi. Non troppo gravi» mugugnò.
Il
viso dell’Esorcista si sollevò dalla
sua chioma indomabile per fissarlo in volto. Il Principe non si
preoccupò di trattenere
la sua soddisfazione: adorava gli occhi di Lastar, e detestava quelle
brutte
lenti che sciupavano la loro bellezza.
«Non
dovresti farlo. E non dovresti
nemmeno intrufolarti nella Cattedrale» lo sgridò
sottovoce l’altro.
Deimos
si stiracchiò su di lui con un
gatto, arrivando quasi ad incollare le sue labbra a quelle
dell’Esorcista. Si
fermò poco prima, e lo morse sul mento con una risata.
«Non
farò né l’uno nell’altro, mio
adorato, finché tu sarai in difficoltà»
gorgheggiò, rotolando fuori dal letto
con una ruota.
L’Esorcista
non gli permise di sparire
a suo piacere come la volta precedente: lo afferrò per un
braccio e lo
strattonò su di sé. Il diavolo si
rovesciò sulle sue gambe di schiena,
inchiodato in quella posizione scomoda dalla forza delle iridi
scarlatte.
«Con
tutto il dovuto rispetto, i tuoi
familiari non sono le persone più accomodanti di questo
mondo» obiettò Lastar,
stringendo le dita sul polso fine del demone. «E non credo
che le loro
punizioni siano leggere.»
Il
turbamento intorbidò le iridi del diavolo,
spingendole a deviare verso un angolo indefinito della stanza, poi sul
soffitto
e sulla finestra prima di appuntarsi di nuovo sull’Esorcista.
La mano del Principe
salì a sfiorare i lineamenti forti del compagno, e la sua
voce fluttuò
incantatrice a stregare il suo udito.
«Se
sei così preoccupato, perché non
diventi il mio amante ufficiale?»
La
proposta di Deimos fu come un
tizzone infuocato: Lastar si ritrasse bruscamente, e le dita del demone
si
ritrovarono ad accarezzare l’aria.
«Non
dovresti scherzare su queste cose»
esacerbò l’Esorcista, lasciando andare il suo
polso.
«Non
sto scherzando» Deimos non si
mosse da quella posizione, reclinato sulle cosce del compagno, i
capelli sparsi
in onde scure sul lenzuolo. «Potrei curarti senza troppi
problemi: ogni demone
vuole che il suo amante sia in perfetta forma.»
«Assolutamente
no!»
Si
pentì amaramente dell’eccessiva
fermezza del suo tono: l’ombra della delusione
rivestì il demone, che si rialzò
repentinamente dalle sue gambe. Forse si era innamorato di Lastar e di
Lazard
perché, in fondo, si somigliavano: entrambi bollavano come
disgustosa la sua
promiscuità, e storcevano il naso di fronte alle sue
offerte. Evidentemente, il
suo amore era indissolubilmente legato allo spregio altrui.
Di
nuovo, l’Esorcista lo fermò
afferrandogli il braccio. Deimos stava per scrollarsi di dosso quella
mano con
la stessa insensibilità con cui aveva ripulito il sangue dei
demoni inferiori
dai suoi artigli, ma Lastar pronunciò l’unica
frase in grado di placarlo:
«Non
voglio diventare il tuo amante
solo per essere curato.»
Il
Principe rimase così immobile da
sembrare pietrificato; non si udiva nemmeno il suo respiro. Poi,
altrettanto
improvvisamente, il demone compì un balzo che lo
portò ad atterrare sullo
stomaco dell’Esorcista.
Tutto
il fiato che Lastar aveva in
corpo detonò nella sua bocca, spalancandogli le labbra in
uno sbuffo convulso.
Il demone gli afferrò le guance in preda ad
un’irrefrenabile euforia ed
esclamò:
«Quindi
le cose cambierebbero se te lo
chiedessi perché sono innamorato di te!»
«Deimos,
non…»
«Sono
felice!» esultò, lanciandogli le
braccia al collo.
Le
mani dell’Esorcista ricaddero sul
lenzuolo, senza più forza di ribellione: era notte
inoltrata, era ferito e
stanco, e non aveva più voglia di discutere con Deimos.
Un
sorriso demoniaco si stampò sulla
sua gola, vicino alla giugulare.
«Sono
davvero felice…» il mormorio ebbe
termine sulla bocca dell’Esorcista.
Il
Principe lo aveva baciato in
svariate occasioni, ma erano stati sfioramenti occasionali a fior di
labbra.
Quella volta, la bocca del demone sostò sulla sua molto
più a lungo, abbastanza
da avere il tempo di muoversi leziosamente sulla compagna. Il diavolo
accentuò
la licenziosa invasione delle labbra del compagno, sollecitato dalle
mani
dell’Esorcista: i palmi si posarono sulla curva delicata
della sua schiena, le
dita si aprirono a ventaglio per coprire quanto più spazio
possibile,
avvicinando il Principe al petto scoperto del mezzo demone.
Deimos
si staccò prima di approfondire
ulteriormente il bacio, e saltò dal materasso al pavimento
con uno svolazzo.
«La
prossima volta tornerò con una
proposta migliore» proclamò, vittorioso, per poi
battere le mani e svanire in
uno sbuffo di fumo.
La
camera parve vuota e senza vita, una
volta che lo scoppiettante diavolo si fu dissolto. Lastar permise alla
sua
schiena di cedere, e ricadde pesantemente sul cuscino.
Era
stata una giornata lunghissima e
faticosa, ed era tempo di riposare.
Il
calore del demone aleggiò sulle sue
labbra finché il sonno non lo rapì.
***
Astaroth
non gradiva le visite, nemmeno
se provenivano dalla famiglia reale, per cui non si sforzò
di alzarsi dal suo
triclinio quando Deimos irruppe nel suo salotto.
«Cosa
vi conduce qui, Principe?»
domandò annoiato, portando la lunga pipa dorata alla bocca.
Deimos
volteggiò fino al bracciolo del
divanetto, su cui prese posto con spavalderia.
«La
vostra Assassina, oggi, ha ferito
un Esorcista» miagolò il più giovane.
«L’incanto che avete posto sulla lama del
suo pugnale impediva alle ferite di rimarginarsi. Ha rischiato di
morire
dissanguato.»
«Stava
attaccando la Cattedrale. È
normale che abbia aggredito un Esorcista» una serie di cerchi
concentrici
riempì il vuoto tra la prima e la seconda affermazione del
Duca. «Quasi
scontato.»
Le
labbra di Deimos si stesero in tutta
la loro lunghezza, ma non brillò dolcezza su quel sorriso:
era gelido e
tagliente come un gladio di ghiaccio.
«Non
voglio che venga colpito
l’Esorcista mezzo demone. Lui è mio»
chiarì, senza smettere il ghigno
intimidatorio.
La
minaccia insita nelle sue parole non
colpì troppo a fondo Astaroth: chiuse di nuovo le labbra
argentate sulla pipa,
con la lentezza che era propria del suo ruolo, inspirò senza
fretta e schiuse
la bocca nella misura sufficiente a far uscire un filo di fumo
striminzito.
Aspettò che tutto il vapore fosse uscito da
quell’infinitesimale pertugio, poi
snocciolò, pigro:
«Non
ho visto il vostro marchio su di
lui.»
«Non
lo porta ancora.»
Il
Duca ruotò il collo verso il figlio
di Lucifero, flemmatico, e lo fissò con gli occhi vacui.
«Vostro
fratello approva che difendiate
un ibrido che non è legato a voi dal sigillo?»
«Mio
fratello ne è a conoscenza.»
«Ma
questa non è una risposta alla mia
domanda» un'altra lenta boccata, ed una seconda lunghissima
esalazione di fumo.
«Quindi intuisco che il Principe Razionale non
acconsenta.»
«Concentratevi
sulla mia richiesta, per
favore» s’inasprì Deimos. Tra tutti i
demoni, Astaroth era quello che più di
tutti riusciva ad innervosirlo: era talmente indolente e vanesio da non
avvertire il richiamo della carne, per cui le forme seducenti del
Principe
erano inutili al fine di accaparrarsi la sua attenzione o il suo favore.
«Non
devo toccare il vostro favorito?
Come preferite» acconsentì svogliato.
Deimos
scivolò ai piedi del triclinio e
fece per uscire, quando Astaroth appurò:
«Spero
che non vi unirete con
quell’ibrido.»
Il
Principe rispose con tutta la
scortesia e l’esasperazione possibili:
«Perché
sarebbe indegno per la casa
reale?»
Il
Duca reclinò il capo, ed i lunghi
capelli acquamarina scivolarono sul bracciolo del triclinio.
«No.
Perché, se volete proteggerlo
quando ancora non è marchiato, evidentemente è
importante per voi. E sarebbe un
vero peccato se vi vedesse come tutti quelli che vi hanno fatto
compagnia
durante la notte.»
Intercorse
un'altra fiacca boccata di
fumo prima che Astaroth completasse:
«Come
un giocattolo. Splendido,
ammaliante… ma pur sempre un giocattolo. O
un’ossessione» arrotolò una ciocca
di capelli attorno al dito affusolato, meditabondo. «Una
persona che per voi è
sopra tutti gli altri comincia a vedervi come
tutti gli altri… Deve essere una sensazione
orribile.»
«Non
sono un giocattolo» ringhiò
Deimos.
«Ovviamente
no. Vi auguro una piacevole
nottata, Principe» lo congedò il Duca, sigillando
le labbra sull’imboccatura
della pipa.
Deimos
uscì nella notte, bollente di
rabbia.
Lastar
non ere come gli altri. Per lui
non sarebbe mai stato un giocattolo o un’ossessione. Per lui
era…
Il
Principe si bloccò di colpo,
paralizzato.
Cosa
era lui, per Lastar?
Una
vecchia conoscenza? Un fastidio
continuo?
Si
afferrò i capelli con le mani e li
agitò con furia, prima di riprendere a correre.
Non
avrebbe lasciato che le parole di
un demone mezzo addormentato macchiassero il suo rapporto con Lastar.
Ma,
mentre cercava di convincersene, sentì il serpente del
dubbio scivolare nel suo
esofago e arrotolarsi sul suo stomaco.
Aspettava
solo il momento giusto per
morderlo al cuore.
Terzo
capitolo.
Devo
ammettere che non avevo previsto l’irruzione di tanti nuovi
personaggi xD Ma è
stato molto divertente descriverli<3 Astaroth, poi, si
è preso da solo il
suo spazio… doveva comparire solo molto più
avanti. Non è indolente come
sembra, quel demone XD
Anyway,
fine dello sclero a caso dovuto al pomeriggio di studio di
trattativa
commerciale *brividi*
Al
prossimo capitolo<3
Red
P.S.
Per i dati tecnici, consultate il Commentario.
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Capitolo 4 *** Il Messo Infernale e la Stella dell'Est ***
Capitolo
Quattro
Il Messo
Infernale e laStella dell’Est
Gli
occhi di Lastar non avevano bisogno
delle lenti graduate: non avevano mai sofferto per gli sfocamenti della
miopia,
o per i bordi sovrapposti dell’astigmatismo. Il medico aveva
dichiarato che la
sua vista era pressoché perfetta: poteva risentire di
abbassamenti temporanei
in seguito ad eccessivo stress, ma nulla di permanente che richiedesse
l’intervento degli occhiali. Eppure, Lastar li indossava da
quando aveva cinque
anni. Gli occhi non ne avevano bisogno, ma la sua anima necessitava di
quello
scudo trasparente.
Non
possedeva ricordi troppo vividi
della sua infanzia. I suoi primi anni di vita erano un impasto
indistinto di
sensazioni spiacevoli e giornate uggiose. Si stupiva della gente che
parlava
con gioia della propria puerizia: lui aveva trascorso quel periodo
isolato tra
le mura di una Abbazia, molto più piccola della Cattedrale
di Elohim e dalle
difese assai più scarse. Era il luogo in cui era nata sua
madre, da cui era
stata rapita e cui aveva fatto ritorno con il ventre gonfio.
Faticava
ad assemblare nella sua
memoria il viso della donna che lo aveva messo al mondo, ma ricordava
perfettamente la sua schiena; aveva passato anni fissando le spalle che
la
madre gli rivolgeva con un’ostinazione venata di disgusto.
Ricordava la curva
delle scapole sotto la maglia, la forma stretta delle spalle, sempre
lievemente
inarcate, e la linea della spina dorsale, inalberata con boria. Aveva
contato
uno per uno tutti i riflessi nei capelli rossi della madre, dal ramato
più
sbiadito al cremisi più acceso, e aveva provato un pizzico
di gioia nel
ritrovare quelle stesse gradazioni sulla sua chioma scomposta, che
nessun
genitore aveva avuto la premura di pettinare.
La
madre aveva fatto in modo che
nemmeno la sua voce rimanesse impressa nei ricordi del figlio:
conversare con
lui le costava uno sforzo enorme, quasi dovesse sradicare le parole dal
punto
più profondo della propria gola e spingerle fuori dalle
labbra a viva forza. Comunicava
per lo più rispondendo a mugugni e vaghi cenni della mano ai
tentativi di
conversazione del suo bambino. Lastar aveva imparato a esprimersi
ascoltando i
suoi coetanei, ma la sua prima parola gli aveva fatto guadagnare solo
un
aggrottamento delle sopracciglia fulve della madre: le sue ciarle
sarebbero
state un altro fastidio da sopportare.
Aveva
estrapolato la verità sulla sua
nascita ascoltando i pettegolezzi degli adulti e le maldicenze dei
ragazzi più
grandi. Sua madre aveva chiesto più volte di abortire, ma la
gravidanza era a
uno stadio troppo avanzato, e avrebbe rischiato di morire di
dissanguamento
durante l’operazione. Circolavano voci più o meno
fantasiose sulle maledizioni
che la donna aveva lanciato mentre lo partoriva; la più
accreditata era
“uccidete questo figlio di Satana”.
La
verità gli era piombata addosso come
una pioggia di pietre, ed era stato quasi seppellito dal peso di quei
macigni. Sua
madre non aveva mai risposto alle domande su suo padre
perché non voleva
ricordare l’uomo che l’aveva torturata durante la
prigionia. E non voleva
guardare suo figlio in viso per lo stesso motivo: con il passare degli
anni, i
suoi lineamenti tondeggianti si erodevano sempre più nel
calco di quelli del
padre, e i suoi occhi sanguigni, oggetto delle chiacchiere di tutta
l’Abbazia,
urlavano la loro origine diabolica.
Aveva
compreso anche la ragione per cui,
al contrario di tutti i suoi compagni, lui non aveva un nome: la gente
aveva
coniato in suo onore un variopinto ventaglio di epiteti, bisbigliati
con
malizia alle sue spalle; i bambini lo chiamavano “occhi
rossi”, e sua madre non
lo chiamava affatto. Credeva che lei avesse semplicemente bisogno di
più tempo
rispetto alle altre per scegliere un nome adatto al proprio figlio.
L’acido
di quelle scoperte si era
coagulato nelle sue viscere, e lui lo aveva spurgato dando di stomaco
per i tre
giorni successivi. Aveva sfiorato la disidratazione: era talmente
nauseato
dalla sua nascita e dal suo sangue sudicio che quella sensazione
ripugnante gli
risaliva l’esofago ed esondava dalle sue labbra
continuamente; i nervi a pezzi
gli avevano pompato le lacrime fuori dalle palpebre mentre si nutriva a
forza
da solo. Aveva tagliato il groviglio di capelli annodati passandosi una
lama di
rasoio sulla testa, sperando così di diminuire la
somiglianza con l’uomo che
aveva fatto soffrire sua madre, e, con le stesse intenzioni, aveva
nascosto le
iridi vermiglie dietro gli occhiali.
Gli
anni avevano sbiadito le sue
speranze e alimentato la convinzione di non essere al suo posto
nell’Abbazia.
Ed era giunta quella sera.
«Me
ne vado» annunciò alla schiena
della madre. Le spalle di lei si contrassero, ma non una parola
volò nell’aria.
«Non sarò più un peso per nessuno. E tu
potrai smetterla di nasconderti per la
vergogna di avere un figlio mezzosangue.»
L’aria
si condensò in ghiaccio a
quell’accusa, e nessuno dei due trovò parole
abbastanza calde da sciogliere
quel gelo.
Lastar
aveva afferrato la coperta in
cui aveva raccolto i propri averi e se l’era caricata in
spalla. Sua madre gli parlò
per la prima volta in due mesi, senza però guardarlo:
«Mi
dispiace.»
Il
ragazzo non mosse nemmeno un
muscolo. Se quella scusa fosse arrivata anni prima, quando era ancora
un
bambino speranzoso, probabilmente si sarebbe messo a piangere dalla
gioia, e si
sarebbe gettato ad abbracciare quelle spalle refrattarie. Ma il bambino
aveva
abdicato in favore dell’adolescente cinico.
«Ti
sei accorta che porto gli
occhiali?»
«Li
hai messi oggi?» raspò la madre.
«Li
porto da quando avevo cinque anni.
Da otto anni» specificò; non nutriva
l’illusione che sua madre si ricordasse
addirittura la sua età. «E tu non li hai mai
notati. Non hai notato nemmeno che
mi rasavo sempre la testa per non farti vedere i tuoi capelli sul viso
dell’uomo che odi. Mi sono sempre curato da solo i tagli che
mi facevo quando
ancora non sapevo usare il rasoio. E scommetto che non sai se i miei
capelli
siano ricresciuti o no» un silenzio colpevole si
dipanò nella distanza
incolmabile tra di loro, e Lastar terminò, adamantino:
«Per cui non dire che ti
dispiace. Sii sincera, e dì che sei felice che finalmente
“il figlio di Satana”
sparisca dalla tua vita.»
«Mi
dispiace…»
«Non
è vero. Se davvero ti fosse
dispiaciuto, ti saresti voltata per salutarmi. Ti saresti voltata per guardarmi, almeno una volta in tredici
anni. Se non puoi darmi affetto, almeno sii onesta con me.»
Abbandonò
sua madre nel modo in cui lei
lo aveva sempre trattato: in silenzio, senza guardarla, voltandole le
spalle,
mentre lei farfugliava qualcosa che non avrebbe ottenuto risposta.
Le
guardie della Abbazia non lo avevano
fermato quando aveva varcato i cancelli: perfino loro si erano sentite
sollevate al pensiero di essere liberate dalla maledizione di quegli
occhiacci
rossi. Avevano lasciato che si addentrasse nel bosco che sommergeva la
fortezza,
sperando che il demone o l’angelo che si sarebbe cibato di
lui non lo facesse
soffrire troppo nell’ucciderlo.
Lastar
aveva cominciato a camminare
senza una meta e senza uno scopo: la sua testa era occupata da una
confusione
letale, così densa da non permettergli di capire se
desiderasse vivere o
morire. Aveva vagabondato finché non era stato davvero
raccolto da un demone. Il
più irrazionale di tutti.
Lastar
si svegliò di soprassalto con il
viso di Deimos marchiato a fuoco nelle pupille.
Si
passò una mano sugli occhi, e
allungò l’altra verso il comodino per recuperare
le lenti da vista. In tanti
anni, non era mai riuscito a buttarle. Osservò il suo
riflesso bombato sugli
occhiali prima di inforcarli. Le spine acri dell’affetto che
aveva continuato a
provare per la madre, nonostante tutto, gli impedivano di rinunciare
alla sua
barriera di vetro: se, quella notte, avesse davvero abbandonato ogni
speranza
all’Abbazia assieme alla genitrice, non si sarebbe fermato
dopo qualche metro
per piangere contro un albero. Aveva cercato di uccidere ogni germe di
illusione dentro di lui, ma qualche bacillo era rimasto: fino
all’ultimo, aveva
sperato che la madre si voltasse finalmente verso di lui e gli
chiedesse di
restare.
Non
nutriva più quei desideri puerili
da tempo: gli occhiali erano diventati un espediente per non
costringere gli
altri a fissare troppo direttamente le sue iridi spaventose. E un modo
per
ricordare a se stesso che quei giorni, per quanto orribili, facevano
parte del
suo passato: non li avrebbe rinnegati come sua madre aveva fatto con
lui per
tredici anni.
Lo
specchio lo colpì a tradimento con
un’immagine perfettamente sana del suo viso e del suo corpo,
ad eccezione della
stella di pelle cauterizzata sulla spalla. Alla luce del giorno,
l’opera di
Deimos appariva ancora più prodigiosa: la guancia era
perfettamente intonsa,
come se nulla l’avesse mai scalfita. Nessuna medicina umana
avrebbe potuto
replicare un simile effetto.
Non
rimase troppo tempo a rimirare la
cicatrizzazione miracolosa: si affrettò anzi a recuperare la
medicazione che
Deimos gli aveva strappato la sera prima, e la applicò
nuovamente sul viso. Non
voleva fornire spiegazioni riguardo alla sua straordinaria guarigione.
Si
drappeggiò addosso la tunica del suo
Ordine, e sistemò velocemente tutti i lacci e i bottoni.
Alexander aveva
indetto una riunione generale per quella mattina. Non poteva tardare in
alcun
modo.
Uscì
dalla stanza, lasciando dietro di
sé i ricordi gravosi del passato e le memorie conturbanti
della sera precedente.
***
Il
cuore si schiacciava su se stesso,
come sottoposto a una pressione troppo forte, nel petto di coloro che
percorrevano il pavimento marmoreo della Navata.
Con
i vari piani di file, troni e
seggi, scolpiti in legno indeformabile e scrupolosamente distanziati
tra di
loro, la gigantesca sala trasmetteva un’idea di perfetto
ordine mummificato nel
tempo: ogni nicchia era ben separata dalle altre, a rimarcare le
differenze
incolmabili di ruolo e rango tra i diversi occupanti; la sua struttura
robusta
e severa emanava un’aura di fissità quasi
soffocante.
Lastar
prese posto nel suo
compartimento – quarta fila a partire dall’alto,
primo posto a destra – e si
servì un’occhiata del panorama.
La
megalomania dell’artista che aveva
affrescato la Cattedrale sarebbe rimasta impressa nei secoli grazie al
dipinto
che rivestiva l’intera Navata, ad esclusione delle colonne e
delle pareti
interne delle nicchie: la storia del mondo veniva ripercorsa nelle sue
date più
salienti, dall’avvento dei Grandi Saggi e dei Grandi Stregoni
fino alla loro
degenerazione in angeli e demoni. Avrebbe portato i mocciosi alla
Navata, per
la lezione successiva: sarebbero rimasti tutto il tempo con il naso per
aria e
la bocca aperta, e lui avrebbe potuto evitare di tenere una di quelle
urticanti
lezioni di storia elementare.
Perfino
la disposizione delle luci era
stata ideata in modo da rimarcare l’inflessibile gerarchia
secondo cui la
Cattedrale era organizzata: le ombre erano ricacciate negli anfratti
della Navata
dalle polverose lampade a olio, sorrette da pomposi lampadari; candele
più
modeste rischiaravano le nicchie degli strati più bassi.
Lastar
osservò i suoi colleghi di
piano: Cy stava zoppicando lentamente verso il seggio di Capo
Scienziato,
mentre le altre tre Stelle Cardinali sedevano perfettamente composte
contro gli
scomodi schienali di legno massiccio, indirizzando sguardi di granito
alle file
superiori, dove stavano prendendo posto i Messi, il Cardinale, il
Diacono e
infine, al primo livello, il Monsignore.
I
suoi occhi purpurei scrutarono le
file sotto di lui, in cui le tenebre andavano infittendosi man mano che
si procedeva
verso il basso: gli ultimi livelli parevano un mare di pece in cui
erano
affondate per sbaglio alcune perle di luce morente.
Esattamente
sotto i suoi piedi,
Esorcisti e Scienziati affollavano il quinto piano; coloro che
ricoprivano i
ranghi più elevati sedevano su seggi rialzati, che perdevano
altezza ed
eleganza fino a diventare normali panche per gli Scienziati e gli
Esorcisti
comuni. Più sotto ancora si trovavano i Maghi: la rampa
degli Stregoni era
simmetrica a quella degli Scienziati, come quella dei Saggi lo era alla
fila degli
Esorcisti. All’ultimo livello, inginocchiati sulle gradinate
imbottite, stavano
gli Ordini Supplicanti, visibili dall’alto come una fila
puntiforme di cappucci
grezzi e umili veli ingrigiti dall’oscurità. I
Mestieri e il popolo non erano
autorizzati a presenziare alle riunioni di quel tipo.
A
ogni classe era stato assegnato un
colore, per rimarcare ulteriormente l’appartenenza a una
determinata casta e
l’obbligo di accettare tutti i privilegi e le proibizioni che
il proprio ruolo
prevedeva. Gli Ordini Supplicanti erano spartiti tra i sai marroni dei
Fratelli
e le tonache bianche delle Sorelle; il verde distingueva gli Stregoni
dai Saggi
vestiti di blu, i camici grigi disgiungevano gli Scienziati dalle
divise nere
degli Esorcisti. Ai piani più elevati spiccavano il viola e
l’argento del Messo
Divino, contrapposti all’arancione striato di bronzo del
Messo Infernale;
l’opulenza aumentava nello zafferano venato di rame del
Cardinale e del
Diacono, per raggiungere il proprio apice nel rosso e oro che
caratterizzavano
le vesti del Monsignore.
Alcuni
dettagli permettevano di
discernere il grado rivestito all’interno del proprio Ordine:
Cy, in quanto
Scienziato Capo, indossava una magnifica spilla le cui spire di platino
si
annodavano attorno ad un piccolo diamante, ben diversa dai metalli semi
preziosi e mal lavorati degli accessori dei suoi sottoposti; allo
stesso modo,
i bottoni che chiudevano le divise di Lastar e delle altre Stelle
Cardinali
erano piccoli capolavori di oreficeria, mente i loro subordinati
dovevano
accontentarsi di rifiniture assai meno pregiate. Inoltre, ognuna delle
Stelle
era distinguibile tra i suoi pari grazie al colore dei citati bottoni e
di qualunque
orpello presente nel proprio vestiario: gli ornamenti spartani di
Lastar
rispecchiavano il rosso pallido del sole che sorge a Est.
L’attenzione
maniacale per i dettagli e
le suddivisioni era spiegata nei Codici come la precauzione necessaria
a
identificare immediatamente il proprio interlocutore, per sapere a chi
rivolgersi durante un’eventuale situazione di emergenza.
Più di una volta,
Lastar aveva ritenuto misera quella giustificazione così
vaga.
Il
Monsignore sollevò il proprio stemma
– un leone d’oro che stringeva tra le fauci un
rubino acuminato - e batté sul
parapetto per tre volte con la pietra.
Sulla
Navata calò il silenzio, e la
riunione cominciò.
L’architetto
che aveva progettato la
Navata aveva riservato una cura particolare all’acustica: la
voce del
Monsignore riecheggiava con la stessa nitidezza in tutti i livelli,
rendendogli
possibile parlare senza sforzarsi eccessivamente.
Lastar
rischiò di addormentarsi mentre
i piani superiori discutevano con gli Ordini Supplicanti di questioni
soporifere
inerenti al clero. Alexander gli lanciò uno sguardo di
rimprovero dall’alto
della sua postazione di Messo Celeste, che la Stella ignorò
con enorme impertinenza:
era per colpa della sua negligenza nel trattare i pazienti se si era
affidato
alle cure di un demone.
«Ordine
degli Esorcisti, Grado Stella
Cardinale dell’Est, Lastar Godgrace.»
La
sua qualifica si allungò sfarzosa sulle
labbra del Monsignore. Lastar chinò la testa prima di
alzarsi in piedi.
«Ordine
degli Scienziati, Grado
Scienziato Capo, Cy» annunciò cerimoniale il
Monsignore.
Un
rapido bisbiglio sfrecciò sulle
bocche dei meno abituati a quella sala, e si spense l’istante
successivo. L’assenza
del cognome dello Scienziato Capo destava sempre meraviglia: si
riferiva che i
suoi genitori detestassero a tal punto lui e la sorella da non aver
voluto
lasciare loro nemmeno il cognome, per troncare ogni legame con quei
fagotti
indesiderati; quella leggenda da sobborghi giustificava la mancanza di
nome
familiare dello Scienziato Capo e del Messo Infernale, Drew. Lastar
aveva
evitato lo stesso destino grazie ad Alexander, che aveva inventato un
cognome
apposta per lui tanti anni prima.
«Vogliate
spiegarci le modalità
dell’intrusione verificatasi nella giornata di
ieri» lo pregò imperativo il
Monsignore.
«Siamo
stati aggrediti da Aamon
l’Alchimista e Pruslas l’Assassina, rispettivamente
Primo e Secondo Assistente
di Astaroth, demone superiore di estrazione nobiliare»
scandì Cy, solenne
nonostante le gambe malferme e le nocche sbiancate
sull’impugnatura delle
stampelle.
«Avete
riportato alcun tipo di danno?»
s’informò atono il Monsignore.
«La
Stella Cardinale dell’Est è stata
ferita alla guancia dal pugnale dell’Assassina, e alla spalla
dalla freccia che
ha infranto la vetrata nel corridoio ovest del primo piano»
riferì lo
Scienziato Capo.
Lastar
sostenne impavido lo sguardo
rapace con cui il Cardinale frustò il bendaggio sul suo
volto.
«Siete
stato aggredito da demoni
temibili, Stella dell’Est. Lodo la vostra mirabile
capacità di ripresa» si
complimentò l’uomo, con il tono pruriginoso delle
insinuazioni. Il Cardinale
non aveva mai nutrito particolari simpatie per lui. Le sue parole,
specie
quelle non pronunciate, trasudavano pensieri malevoli: un essere con il
sangue
sporco come quell’ibrido non avrebbe mai dovuto avere il
diritto di vivere
insieme agli esseri umani, tantomeno di sedere su uno degli scranni
più alti
della Navata. Se il mezzosangue fosse stato ucciso mentre difendeva la
Cattedrale, il Cardinale non avrebbe sprecato nemmeno una stilla di
rammarico
per compiangerlo.
«Vi
ringrazio» si schermì Lastar. «Ma
è
merito del pronto intervento del Messo Divino, Alexander Holycross, se
ho
potuto riprendermi così in fretta.»
Il
Cardinale sembrò rinfrancato dal
poter rivolgere i suoi elogi altrove, e il Diacono proseguì
nell’inchiesta:
«Come
hanno potuto valicare le protezioni
della Cattedrale?»
«Riteniamo
che Astaroth li abbia
aiutati» ammise Cy.
Le
fronti dei tre piani più alti si
corrugarono per il risentimento.
«Ma
Astaroth, Duca del Terrore, ha
stretto un patto con il nostro Messo Infernale»
replicò il Diacono.
«Ordine
dei Messi, Grado Messo
Infernale, Drew» citò il Cardinale.
«Avete omesso di informarci dello
scioglimento del patto?»
La
ragazza si issò con maestosità nella
sua esigua statura: non arrivava alle spalle del più basso
degli uomini, ma il
potere che scorreva silenzioso nelle sue vene inceneriva ogni possibile
scherno
sulla lingua dei suoi interlocutori.
«Non
peccherei mai di una simile
mancanza» si discolpò lei. «Il patto
è vivo e solido come il giorno in cui è
stato stipulato. Se permettete, interrogherò personalmente
il Duca del Terrore
a riguardo.»
«Siete
certa che vi risponderà?»
«I
demoni non concepiscono sentimenti
speculari ai nostri, ma sono vincolati da un rigido codice
d’onore. Un demone
non lascia mai un interrogativo in sospeso, e risponde sempre con la
verità»
proclamò Drew.
«Ma
è comunque possibile che ometta ciò
che potrebbe metterlo in difficoltà» insistette il
Cardinale.
«Sono
stata scelta per questo ruolo
proprio perché so come strappare confessioni ai
demoni» ricordò con cortese
fermezza la ragazza. «Non temete: vi fornirò le
spiegazioni che cercate, entro
questa sera stessa.»
Il
Monsignore accolse la sua proposta
con un cenno affermativo della testa, e le restanti file non poterono
che
seguire la sua decisione e approvare a loro volta.
«Siete
a conoscenza delle cause di
questo increscioso attacco?» indagò il Diacono.
Le
croci metalliche di Lastar
sfregarono tra di loro quando il giovane sciolse le braccia dalla
posizione
conserta.
«Hanno
affermato che due ladri presenti
nella Cattedrale hanno rubato il vero Aamon al loro signore»
rispose, secco.
Il
Diacono lo fissò con perplessità.
«Perdonatemi,
ma non è Aamon il nome
del Costrutto contro cui avete combattuto?»
vacillò.
«Sono
confuso quanto voi» dichiarò
sincero Lastar. «Ma hanno insistito su questo
punto.»
«Hanno
rivelato perlomeno il nome di
questi presunti ladri?» si innervosì il Cardinale.
Le
stampelle di Cy batterono un colpo
contro il rivestimento di legno della nicchia.
«Pruslas
l’Assassina ha additato me
come uno dei due ladri. Ma posso giurarvi sulla mia stessa vita che non
ho mai
sottratto nulla ad Astaroth» annunciò Cy, la voce
ferma nonostante il pallore
del viso. «E hanno affermato che il secondo ladro si
intrometterebbe in un
eventuale chiarimento tra me e il Duca del Terrore.»
«Per
quale motivo?»
«Le
ragioni mi sono oscure» rivelò
sconsolato lo Scienziato Capo.
Gli
sguardi dell’intera Navata
ruotarono verso il Monsignore, che si rilassò in qualche
secondo di silenzio
prima di sentenziare:
«Maghi
della Quinta Cerchia, Stregoni e
Saggi, ripristinate le difese attorno alla Cattedrale. Rinforzate gli
scudi,
moltiplicate gli emblemi di allarme, costruite trappole magiche:
elaborate un
piano di difesa e presentatelo al Diacono entro questo pomeriggio.
Esigo che i
lavori siano cominciati entro sera, e finiti entro la mattina.
Scienziati,
pretendo da voi la medesima serietà: elaborate nuovi sistemi
difensivi, e
presentateli al Cardinale quanto prima. Stelle Cardinali, riorganizzate
i turni
di pattuglia dei vostri Esorcisti e intensificate gli allenamenti dei
Discepoli. Ordini Supplicanti, sgomberate le vecchie aule inutilizzate
e
rendetele fruibili come postazioni di pronto soccorso in caso di
attacco. E
fate in modo che nulla di tutto ciò trapeli nel volgo: se
Elohim cade nel
panico, trascinerà con sé tutte le Cattedrali e
le Abbazie ancora esistenti.»
I
tre colpi di rubino sancirono la fine
della riunione.
Lastar
cercò di abbandonare la sua
postazione più in fretta possibile, ma Alexander prevenne la
sua strategia di
fuga.
«Tu
stai nascondendo qualcosa» l’accusa
saettò tagliente verso l’Esorcista.
La
Stella dell’Est non poté fare a meno
di chiedersi come Alexander potesse essere così veloce con
la divisa da Messo
Celeste addosso: sebbene la tunica ametista non costituisse un grosso
peso,
nemmeno sommata ai calzoni o alla tiara argentata che gli stringeva la
fronte,
i rinforzi in metallo degli stivali, la cotta di maglia e i guanti
ferrati
avrebbero dovuto rallentare i suoi movimenti.
«La
vecchiaia ti sta facendo diventare
paranoico» lo insultò velocemente Lastar.
«Togliti
la benda. Se non lo farai, la
considererò un’ammissione di
colpevolezza.»
Era
così abituato all’immortale
sorrisetto sul volto scultoreo di Alexander che l’improvvisa
serietà delle
iridi olivastre lo atterrì tanto da convincerlo ad obbedire.
Poche volte il
Messo Celeste ricorreva al divario che si apriva tra di loro per
ottenere
disciplina, e, quando ciò avveniva, quell’abnorme
baratro lasciava Lastar
abbastanza disorientato da renderlo mansueto.
L’Esorcista
staccò piano una porzione
di benda, mettendo a nudo la pelle compatta. La mano di Alexander
calò sulla
sua, e coprì la gota compromettente.
«Immagino
che sia superfluo chiederti
di mostrarmi anche la spalla» mormorò grave.
«È
così problematico che io sia
guarito?» sgroppò Lastar, ma il tono di Alexander
polverizzò il suo spirito di
ribellione:
«Sì, lo
è. Queste ferite non guariscono in un
giorno solo» il Messo gonfiò il petto in un
vistoso sospiro, che sfruttò per
sommergerlo di critiche quando espirò: «Non ti
rendi conto della tua posizione,
Lastar? Il Cardinale sfrutterebbe ogni occasione per buttarti fuori
dalla
Cattedrale, in pasto ai demoni o agli angeli, e tu gliene stai servendo
un’infinità.»
«Non
ho fatto nulla per cui il
Cardinale potrebbe condannarmi» replicò Lastar.
«Invitare
un demone ad Elohim è un
reato punibile con la morte» sibilò a denti
stretti Alexander. «Lo hai
incontrato svariate volte, e ha addirittura trascorso una serata qui,
nella
nostra Cattedrale. E lo hai fatto tornare per curarti.»
«Non
rappresenta un pericolo: è l’unico
di tutta la sua specie a non cibarsi di esseri umani.»
«E
credi che questo rappresenti una
difesa solida?»
«Credo
che non avrò bisogno di
difendermi, se il segreto non trapelerà.»
«Allora,
Lastar, non vedere mai più
quel demone. Non sfidare ulteriormente la sorte.»
«Non
posso promettere una cosa del
genere.»
All’improvviso,
Alexander vide la sua
stessa sicurezza negli occhi amaranto dell’Esorcista: la
soggezione dovuta alla
sua età e al suo grado superiore erano sparite, in onore
dello stendardo eretto
in difesa del Principe Irrazionale.
«Perché
non puoi farlo?» reiterò
Alexander, una punta di esasperazione nella voce. «Non
capisci che ogni tuo
incontro con lui può condurti alla scomunica o
all’esilio?»
Lastar
rialzò il capo, stese le braccia
in posizione marziale lungo il corpo e troncò la discussione
senza ulteriori
indugi:
«Non
prometterei una cosa simile
nemmeno se me lo imponesse Lucifero in persona.»
***
La
schiena di Astaroth sembrava
soffrire la nostalgia del triclinio a giudicare dalla curva senza forza
in cui
era afflosciata: il corpo pigro del Duca del Terrore era nato per
essere
sorretto da comodi cuscini, e non dall’aria. Il demone
leccò il sangue argenteo
dalle labbra, sperando che il sapore agrodolce degli angeli lo aiutasse
a
sopportare quello strazio.
Il
Messo Infernale di Elohim lo aveva
chiamato, e lui aveva dovuto sacrificare gli agi della sua reggia per
onorare
il codice dei demoni: non si rifiutava mai udienza a un umano con cui
si era
stipulato un contratto.
Le
pupille vacue ciondolarono sulla
figura del Messo. Elohim aveva scelto una ragazza senza particolari
meriti di
bellezza come tramite con i demoni: il castano dei capelli non sarebbe
stato
ricordato per il suo splendore, così come la pelle
abbronzata non aveva nulla
in comune con la delicatezza della seta. Il corpo minuto era stato
plasmato
nella forgia della battaglia e non in quella dell’amore, e
molte morbidezze
femminili erano state soffocate dagli allenamenti sfibranti. Tuttavia,
perfino
il Duca del Terrore riconosceva a quella ragazza la capacitò
di imporre la sua presenza agli
altri: la
sua aura cancellava i suoni, i colori e le immagini del mondo,
convogliando lo
sguardo dell’interlocutore esclusivamente su di
sé. Se non avesse vissuto per
così tanti secoli, forse si sarebbe sentito attratto da
quella forza d’animo,
alimentata dal potere che la giovane aveva imparato a padroneggiare con
tanti
sforzi.
Non
erano stati però né il suo aspetto
comune né il suo spirito quasi inumano a spingere il Duca
del Terrore a
scegliere lei come Messo con cui stringere un patto, tra tutti gli
emissari
esistenti al mondo. Erano stati i suoi occhi; non il mogano delle
iridi, ma la
loro forma a goccia, lievemente inclinata
all’insù, così identica
a quella che aveva perseguitato i sogni e gli incubi del
demone da quella notte.
«Mi
hai chiamato» le parole si svolsero
affaticate sulle labbra bagnate del diavolo.
«Esigo
risposte» esordì Drew.
Il
serpente d’oro scintillò sul polso
del Duca, quando questo sollevò una mano per passarla tra le
lunghe ciocche
acquamarina.
«Che
genere di risposte?»
«Avete
attaccato la nostra Cattedrale.»
«Non
ho abbandonato il mio salone. E
avrei preferito continuare a farlo.»
«I
vostri assistenti, allora.»
«È
stata una loro libera iniziativa.»
«Credevo
che il Duca del Terrore avesse
un migliore controllo dei suoi sottoposti.»
L’insulto
non superò il muro gommoso
dell’accidia del demone: vi rimbalzò contro, e
giacque a terra, inascoltato.
«Inoltre,
i vostri assistenti hanno
asserito di aver agito per recuperare qualcosa che vi è
stato rubato» aggiunse,
per nulla intimidita dalla resistenza passiva del nobile.
«Potrei sapere di
cosa si tratta?»
«Assolutamente
no.»
Non
si era aspettata una replica così
assoluta e così immediata dal demone indolente, per cui
impiegò un secondo più
del solito per articolare una risposta.
«Dovete
parlarmene, o perlomeno
accennarmene» patteggiò.
«Non
ho alcun dovere a riguardo. I miei
affari personali interessano me soltanto» sillabò
lemme Astaroth.
«I
vostri affari sono quasi costati la
vita alla Stella dell’Est»
s’infiammò Drew.
«Che
sarà sicuramente preparato a
questo tipo di evenienze, o non sarebbe degno di essere chiamato
“Esorcista”»
gli occhi neri di Astaroth si appuntarono sul gioiello a forma di
serpente,
quasi fosse un interlocutore migliore del Messo Infernale.
«Se
non chiarirete le cause di questo
incidente, saremo costretti a considerare nullo il nostro
patto.»
«Il
che andrebbe a vostro esclusivo
svantaggio» l’espressione annoiata di Astaroth non
mutò nemmeno nel pronunciare
la condanna: «Posso trovare altri modi per nutrirmi, anche
senza essere legato
ad Elohim. Mentre la Cattedrale avrebbe molte più
difficoltà ad accordarsi con
altri demoni.»
Drew
portò la mano destra sotto il
cappuccio della pellegrina per toccare la “C”
arabescata che aveva fatto
tatuare sul collo. L’iniziale del fratello, per trovare
coraggio nei momenti di
sconforto e ricordarsi che era per lui che stava ancora combattendo.
Le
parole del Duca corrispondevano alla
verità. Il patto tra demone e Messo Infernale era semplice:
il Messo avrebbe
offerto nutrimento al diavolo, e avrebbe accettato che una porzione
della sua
anima venisse divorata negli intervalli e secondo le procedure previste
dal
contratto. Per anni aveva versato ogni goccia del suo sangue negli
allenamenti
che le avrebbero permesso di ripristinare la parte di anima perduta: il
procedimento era lungo e complesso, e aveva impiegato mesi e mesi solo
per
afferrarne il funzionamento. Aveva imparato a sfruttare la sua energia
magica
per supplire alla sezione di spirito di cui il demone si sarebbe
cibato, e
occorrevano settimane perché il processo potesse
completarsi. Un Messo poteva
stringere il patto con un solo demone, o avrebbe rischiato la vita o,
assai peggio,
l’esistenza senza anima: giorno dopo giorno senza provare la
minima emozione,
senza avvertire odori e sapori, con gli occhi spenti e il corpo vuoto
come una
caverna abbandonata.
I
sacrifici del Messo avrebbero procurato
però un enorme beneficio: il demone con cui il patto fosse
stato stretto si
sarebbe impegnato a non attaccare la Cattedrale o la Abbazia, e si
sarebbe
assicurato che anche i suoi sottoposti e gli inferiori nella gerarchia
demoniaca si attenessero a quel pacifismo forzato. Accaparrarsi
l’attenzione di
Astaroth, secondo solo alla famiglia reale, era stata una vera
benedizione per
Elohim: da quando il patto era stato stipulato, solo alcuni demoni
inferiori, troppo
primitivi per comprendere i comandamenti dei diavoli più
nobili, avevano
cercato di attaccarli. Grazie a quel contratto, Elohim godeva di
un’ottima
protezione, e poteva permettersi di inviare i suoi Esorcisti come
supporti
occasionali nelle altre roccaforti; questo le aveva permesso di
divenire il
baluardo della resistenza umana. Ma se Astaroth avesse deciso di
ritirarsi dal
patto, ogni garanzia sarebbe andata perduta, e la Cattedrale sarebbe
tornata ai
nefandi giorni in cui ogni alba segnava una nuova lotta contro i
molteplici
assalti dal confine poco distante.
«Se
mi direte di che oggetto si tratta,
potrei aiutarvi a recuperarlo. In questo modo voi otterrete di nuovo
ciò che vi
è stato sottratto» mercanteggiò Drew.
«E
voi potrete continuare a rilassarvi
all’ombra della mia protezione» concluse con
flemmatica spietatezza Astaroth.
«Aamon
l’Alchimista ha detto che state
cercando il vero “lui”»
seguitò Drew, ignorando lo schiaffo verbale del
diavolo. «Cosa intendeva, esattamente?»
Nel
bordo rossastro delle iridi onice
del demone avvampò una brama insana, subito inabissata nel
solito tedio; il
cambiamento fu così fulmineo che la ragazza per un attimo
credette di averlo
solo immaginato.
«Se
anche ne parlassi, non ne trarrei
alcun beneficio» si lamentò aristocratico il Duca.
«Mettetemi
alla prova» lo sfidò
garbatamente Drew.
Di
nuovo, la cornice di sangue si agitò
in una smania irrefrenabile, e, come in precedenza, la fiamma
tornò
immediatamente a covare sotto la cenere.
«C’è
una persona che non deve
assolutamente sapere ciò che sto per dirti»
premise Astaroth.
«Le
mie labbra saranno sigillate»
garantì Drew.
La
testa del Duca dondolò un paio di
volte, senza nerbo, poi l’argento delle labbra si
increspò.
«Alexander
Holycross. Se ti lascerai
sfuggire un solo fiato, considererò nullo il
contratto.»
La
serenità oziosa con cui Astaroth
parlò della possibile distruzione della Cattedrale
scatenò una tempesta di
ghiaccio nelle vene del Messo. Quel demone, nella sua decadente
malvagità, era
mille volte più spaventoso di qualunque altro diavolo: molti
satanassi erano
abbastanza arroganti da dare lustro ai propri poteri e alle nefandezze
da essi
derivate; al contrario, Astaroth segregava nel silenzio la smisurata
ampiezza
della propria forza e tumulava le proprie intenzioni nel loculo del
viso
disattento, negando al nemico ogni possibile indizio sui pensieri
cristallizzati
dietro i suoi occhi immobili, o sulla portata dei suoi poteri
addormentati. Il
nobile pareva la personificazione del fulmine: riposava nascosto in una
fitta
coltre di nubi fino all’imprevedibile momento in cui la sua
furia si sarebbe
abbattuta sulla terra; gli uomini non potevano che tremare e augurarsi
di
sopravvivere a una simile sciagura. La pericolosità sopita
dei suoi poteri, la
calma malvagità della sua mente e l’impigrita
impenetrabilità del suo volto
erano le caratteristiche che lo rendevano il Duca del Terrore.
«Perché
non devo parlare con lui?»
«Perché
lui ti ostacolerebbe nel
riportarmi ciò che mi è stato tolto. E, se
davvero vuoi aiutarmi, dubito che tu
voglia avere come avversario il Messo Celeste» anche quella
risposta fu
straordinariamente pronta per la bocca intorpidita del demone.
«È
per caso uno dei due ladri?» il
diavolo batté lentamente le palpebre in quella che era la
sua personale
manifestazione di smarrimento. Drew circoscrisse l’argomento:
«Pruslas
l’Assassina ha parlato di due ladri. E ha detto che uno dei
due è mio
fratello.»
Le
unghie limate si incontrarono davanti
al viso del demone, pensose.
«Pruslas
deve imparare a esprimersi più
correttamente» ponderò Astaroth. «No, il
ladro è Alexander.»
«E
per quanto riguarda mio fratello?»
Drew premette le dita sul tatuaggio, un’orribile sensazione
annidata sul fondo
dello stomaco.
Le
palpebre mirabilmente truccate del nobile
si incontrarono di nuovo, e le labbra argentate si incurvarono in un
sorriso
malevolo. Intravide il bagliore del sadismo sul viso di Astaroth quando
questo
mormorò:
«Tuo
fratello è ciò che cerco. Me lo
consegnerai, per il bene di Elohim?»
***
«Davvero
non mi lasceresti andare
nemmeno se te lo ordinasse mio padre?»
L’asciugamano
bagnato gli scivolò tra
le mani come un’anguilla; Lastar recuperò
velocemente i bordi e se li avvolse
attorno ai fianchi, prima di rivolgersi rabbioso alla porta del bagno.
«Cosa
sei venuto a fare?» ruggì.
«Mi
godo un bello spettacolo» cinguettò
Deimos, acquattato sulla soglia con il mento accoccolato tra le mani.
«I
vestiti minimizzano i tuoi muscoli, sai?»
Lastar
non aveva mai posto particolari
limiti alle visite del demone, sapendo in anticipo che Deimos li
avrebbe
infranti con irritante spensieratezza. Ma si augurava che il Principe
avesse il
buonsenso di non piombare nella sua camera, nel
suo bagno, mentre lui era impegnato a lavarsi.
«Puoi
voltarti mentre mi vesto?» sibilò
Lastar, inforcando gli occhiali come protezione.
«Certo
che posso» Deimos si stese sul
pavimento e rotolò su se stesso, trovandosi supino.
«Ma non ho alcuna
intenzione di farlo.»
«Devo
vestirmi.»
«No,
non devi. È un pensiero coatto che
ti ha instaurato la società.»
«Devo
vestirmi.»
«Fai
pure come se io non fossi qui.»
La
riunione non lo aveva stancato, i
lavori di riorganizzazione non lo avevano sfinito, ma Deimos sarebbe
riuscito
ad ammazzarlo, se solo avesse provato con sufficiente ardore.
«Te
lo chiedo ogni volta, forse per
abitudine o forse per soddisfare una vena masochista che non sapevo di
avere»
finse di essere sordo alla battuta sconcia di Deimos
sull’autolesionismo e
terminò: «Perché sei venuto
qui?»
Il
Principe raccolse le ginocchia al
petto, sorprendendolo con il suo silenzio.
Le
parole di Astaroth e quelle di
Lastar si scontrarono nella sua testa, sprizzando scintille.
Nonostante
l’atteggiamento scontroso e
le continue negazioni, il sentimento che l’Esorcista nutriva
nei suoi confronti
era indubbio. L’ipotesi avanzata dal Duca del Terrore lo
aveva ferito a quel
modo perché non aveva negato l’esistenza di
quell’emozione, ma aveva gettato
un’ombra funesta sulla sua possibile evoluzione.
Per
quanto irrazionale, Deimos non era
uno sciocco: sapeva che, anche se l’Esorcista fosse diventato
il suo amante
ufficiale, la loro relazione non sarebbe stata semplice. Non solo per i
sovrabbondanti
ostacoli in entrambi i mondi: il suo carattere incostante, la natura
inaffidabile
che sfuggiva a lui stesso, lo avrebbe portato a tradirlo pur essendo
innamorato
di lui. Era un’azione insensata, per questo era sicuro che
l’avrebbe commessa.
Non
voleva che Lastar credesse di
essere uno dei tanti: non lo
era mai stato, fin dal giorno in cui il Principe aveva raccolto quel
mucchietto
d’ossa bellicose nel bosco intorno all’Abbazia.
La
profezia del Duca poteva essere
corretta: se si fosse unito a lui, Lastar avrebbe potuto pensare di
essere il
capriccio di una notte, e che il sentimento del demone non fosse forte
come
pretendeva.
Deimos
si arruffò i capelli con rabbia:
pensare non era mai stato il suo punto forte. Meglio assecondare la sua
natura e
cavalcare l’impulso del momento.
Sentì
Lastar sobbalzare e irrigidirsi
quando poggiò il viso sulle sue cosce, coperte solo
dall’asciugamano. Se
protestò a voce, Deimos non lo udì: poteva
avvertire il calore dell’Esorcista
attraverso il tessuto, e respirare il suo odore mischiato a quello del
sapone.
Forse
interruppe un discorso di rivolta
a metà, ma non se ne curò; poggiò le
mani sulle gambe dell’Esorcista, una sul
ginocchio e una pericolosamente vicina all’inguine, chiuse
gli occhi e mormorò
suadente:
«Lastar,
se ti chiedessi di dividere il
letto con me, per questa notte… che cosa
risponderesti?»
Quarto
capitolo<3
Scusate
l’attesa, il periodo di esami (finalmente CONCLUSO!!!)
è stato particolarmente
stressante çAç
Grazie
a tutti coloro che sono arrivati a leggere fin qui. Mi rendo conto che
il
capitolo ha lasciato molti interrogativi in sospeso, ma non temete: i
prossimi
capitoli sveleranno ogni arcano<3
Ciò
detto, torno subito a scrivere<3
A
presto!
Red
P.S.
Come sempre, per i dettagli tecnici consultate il Commentario.
Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia. |
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Capitolo 5 *** Frammenti di passato ***
Capitolo
Cinque
Frammenti di
passato
La
fronte appoggiata alle mani
congiunte, la frangia scarlatta che pizzicava le nocche; le ginocchia
puntate
allo scalino di legno, le palpebre abbassate sugli occhi sacrileghi, la
bocca
cucita in un’espressione seria.
In
quella posa assorta, le candele che spandevano
un soffuso chiarore sulla sua testa china, la tanto dibattuta Stella
Cardinale
dell’Est pareva un arazzo sacro, dispiegato
nell’aria polverosa dell’Ottava
Cappella.
Drew
si sedette al suo fianco,
abbastanza rumorosamente da annunciare la propria presenza e con
sufficiente
eleganza da non distoglierlo troppo dalle sue meditazioni.
Lastar
restò immobile qualche istante,
poi scostò la fronte dalle mani, inforcò gli
occhiali e si rizzò a sedere sulla
panca di noce.
«Credevo
che nessuno fosse alzato, a
quest’ora. Perfino il sole deve ancora svegliarsi»
considerò, neutro.
«Non
c’è riposo per le anime in pena
come noi» replicò Drew. Le ombre sotto gli occhi
dell’Esorcista non erano state
scurite solo dal sonno scarso e agitato che aveva seguito
l’attacco degli
Assistenti di Astaroth; un’ansia nascosta stava divorando
dall’interno il
giovane, scolorendogli le guance e contraendogli i muscoli. Non era
stato
difficile capirlo: la medesima angoscia le rosicchiava le viscere da
quando
Astaroth le aveva proposto il suo diabolico scambio.
Drew
stese le gambe fasciate dai
pantaloni color bronzo, dando sollievo alle ginocchia affaticate. La
tunica
arancione si spiegò triste sulle forme quasi assenti mentre
la giovane
incrociava le braccia dietro la testa.
«Sei
venuto per chiedere alle divinità
di alleviare le tue pene?» domandò, con
un’eco di canzonatura nella voce.
La
risposta di Lastar polverizzò
qualunque altro tentativo di scherno.
«Non
esistono gli dei. E, se esistono,
hanno trovato un mondo più interessante a cui rivolgere le
loro premure. Ecco
perché non guardano mai questo posto disgraziato:
è caduto in rovina, e loro
hanno preferito cercare qualcosa di più bello
anziché migliorare la nostra
terra. Come un bambino che rompe un giocattolo e ne cerca uno
più nuovo per
rimpiazzarlo» aprì gli occhi, affilati come rasoi
di rubino. «Gli dei sono
creature troppo infantili per farvi affidamento.»
«Ma
se non cerchi il loro appoggio,
perché sei venuto in cappella a
quest’ora?» domandò Drew, la voce
vellutata per
non infastidire l’Esorcista.
«Avevo
bisogno di parlare con qualcuno
di più affidabile degli dei.»
«E
con chi?»
«Me
stesso» Lastar inspirò a fondo,
piegando la testa sul proprio petto. «Vengo in cappella a
quest’ora solo per il
silenzio.»
Drew
annuì, lisciando le nappe della
sua pellegrina. Si era recata in quel luogo per lo stesso motivo: gli
dei non
avrebbero risolto il problema che le aveva posto il demone. Doveva
escogitare
una soluzione da sola, e per farlo aveva bisogno della concentrazione
che solo
un luogo solitario poteva offrirle.
«Hai
qualche problema che ti rode?»
chiese, picchiettando il pavimento con il tacchetto dello stivale: il
colpo
secco si infranse nell’aria immobile della cappella.
«Ho
commesso un peccato» sillabò
Lastar.
Il
tacco della giovane si arrestò.
«Io
commetterò un peccato. Ma non so
ancora di che genere» soffiò mesta Drew.
Abbandonare suo fratello a un demone o
condannare l’intera Cattedrale; qualunque fosse stata la sua
decisione, la sua
anima sarebbe stata scagliata direttamente a Infera.
«Siamo
simili in modo inquietante» notò
atono Lastar.
«È
per questo che funzioniamo così bene
come squadra» minimizzò Drew con
un’alzata di spalle. «Dimmi, che genere di
peccato ti tormenta?»
«Esattamente
il tipo che ho intenzione
di commettere» ammise l’Esorcista, dopo qualche
attimo di profondo silenzio.
Drew
scosse la testa, rimuginando:
«Quelli
sono i peggiori. Bussano
insistentemente alla tua porta finché non sei praticamente
costretto ad aprire.»
Lastar
annuì con vigoroso trasporto:
nessuna descrizione poteva essere più azzeccata per
circoscrivere Deimos.
«Qual
è il genere del tuo peccato,
invece?»
«Esattamente
il tipo che non voglio
commettere» sospirò istantaneamente Drew,
incrociando i piedi sul braccio
dell’inginocchiatoio. «Tu crederesti in me,
Lastar?» le gambe tornarono in una
dignitosa posa seduta, mentre gli occhi di un castano cupo scrutavano
l’espressione
dell’altro. «Anche se dovessi commettere un peccato
orribile?»
Lastar
si rialzò dalla panca e
sentenziò, con voce salda:
«Combatterò
con te, Drew. Se non
tradirai i nostri Principi.»
La
ragazza sorrise, ricordando i
Principi che lei, il fratello e Lastar avevano stilato insieme tanti
anni
prima, all’epoca del loro primo incontro.
«Non
lo farò» dichiarò alla schiena
dell’Esorcista che si allontanava.
Lastar
attese di essere uscito e di essere
abbastanza lontano dalla cappella per permettere alle sue gambe di
cedere. Si
aggrappò alla balaustra di pietra, i bottoni vermigli della
divisa che
stridevano contro il parapetto marmoreo, e una mano corse ad allentare
il
colletto attorno alla gola.
La
bocca dischiusa in cerca di aria, il
respiro che scalciava nei polmoni, le dita tremanti: si sentiva come un
intossicato, e la sua droga possedeva un nome e un paio di occhi rubino.
Lastar,
se ti chiedessi di dividere il letto con me, per
questa notte… che cosa risponderesti?
L’Esorcista
tolse gli occhiali e chiuse
le palpebre, gli spettri della sera prima che si rincorrevano nella sua
mente
agitata.
Deimos
gli aveva avvelenato l’anima, e
allo stesso tempo era l’unico antidoto efficace contro quelle
tossine
diaboliche.
E
quel veleno colava dentro di lui da
anni…
***
«Sei
morto?»
Non
aveva trovato nemmeno un ruscello
da quando aveva abbandonato il suo villaggio e sua madre. Erano ormai
tre
giorni che vagava nel bosco, e il suo unico pasto era stato un coniglio
abbastanza stupido da cadere nella trappola che aveva teso tra i
cespugli.
Aveva
ceduto alla stanchezza quando il
sole aveva raggiunto lo zenit: mentre l’astro del giorno
ascendeva, lui era
crollato a terra, le labbra disidratate e il bastone che aveva usato
per
difendersi dalle belve abbandonato di fianco a lui.
Il
demone era comparso non appena il
cielo era diventato del colore dei suoi occhi malefici, e si era
fermato a
guardarlo con curiosità sardonica.
Lastar
aveva aperto la bocca per rispondere,
ma dalla sua gola era uscito solo un rantolo metallico.
Il
diavolo si era inginocchiato di
fianco a lui, un ghigno che si stendeva da un orecchio
all’altro.
«Non
sei morto, ma non manca molto»
ridacchiò.
Sollevò
un indice e cominciò a
stuzzicargli la guancia con l’unghia nera.
L’istinto di sopravvivenza di Lastar
ebbe un guizzo improvviso, così come la sua mano, che corse
veloce ad afferrare
il bastone. La punta del faggio sfrecciò vicino al viso del
demone, che fu
lesto a spostarsi di lato per evitare di essere colpito.
Il
diavolo si rovesciò in piedi con una
capriola, e osservò piacevolmente incuriosito quel
mucchietto d’ossa, che
respirava come se una manciata di ghiaia gli fosse rimasta incastrata
in gola e
che brandiva un bastone striminzito contro di lui, il demone che con un
solo
colpo di mano poteva rovesciare un intero esercito.
Un
diavolo normale avrebbe trovato
patetica quella scena, e vi avrebbe posto fine divorando
l’anima del
piccoletto. Ma Deimos esisteva per il solo scopo di stravolgere le
convinzioni
altrui.
«Sei
carino» cinguettò infatti,
incrociando le braccia dietro la schiena come prova di non aggressione.
Lastar
produsse uno strano ringhio,
mentre il bastone ballava nelle mani indebolite.
«Non
sai chi sono io? Non hai paura?»
«Sei
un demone. Ed è per colpa di uno
della tua razza se ho questi occhi rossi» Lastar compose
quella replica ansando
tra una parola e l’altra come un cavallo che ha corso troppe
miglia.
Deimos
inclinò la testa di lato, i
riccioli corvini e rossi che solleticavano la spalla.
«Sei
un mezzosangue» constatò, gustando
ogni sillaba come un nettare squisito.
Le
ginocchia cedettero, nonostante gli
sforzi di Lastar: si ritrovò bocconi al suolo, ma non
abbandonò il bastone, che
agitò in direzione del demone.
«Stai
lontano!» ragliò.
«Quanto
fuoco!» rise di gusto il
diavolo, saltellando al suo fianco. «Frena le tue fiamme,
umano, non sono qui
per mangiarti. E, se tu conoscessi il mio nome, capiresti
perché.»
Il
demone allargò i bordi del suo
mantello in un’elegante piroetta, che concluse con un inchino
aggraziato.
«Io
sono Deimos, secondogenito di
Lucifero. Sono conosciuto come il Principe dell’Irrazionale.
E, se non ti
affidi a me, temo che la tua permanenza in questo mondo sarà
molto breve» aggiunse,
inspiegabilmente divertito da quella prospettiva, portandosi un indice
sulle
labbra carnose.
«Perché
dovrei fidarmi di uno della tua
razza?» rantolò Lastar, esausto.
«Perché
sono l’unico demone che mangia
i suoi simili, e non esseri umani» gorgheggiò
Deimos. «E perché sverrai tra due
secondi precisi.»
Lastar
non fece in tempo a chiedergli
cosa intendesse: all’improvviso i suoi sensi si oscurarono, e
l’unica cosa di
cui fu cosciente furono le mani del diavolo che si protendevano per
evitare che
battesse la testa contro il suolo.
***
I
demoni avevano un ciclo di vita molto
diverso da quello degli esseri umani.
Per
questo motivo Lastar era passato
attraverso l’adolescenza e la pubertà fino a
diventare un abbozzo di uomo
maturo, mentre Deimos aveva conservato il viso vispo e gioviale del
giorno in
cui l’aveva raccolto nel bosco. Il Principe non era cambiato
minimamente dal
loro primo incontro: pareva sempre un ragazzo sulla soglia
dell’età matura, gli
occhi grandi perennemente sgranati dalla sorpresa e dalla
curiosità.
Ricordava
ancora quando si era
risvegliato nello sproporzionato letto del demone e aveva realizzato di
non
trovarsi più nella parte di mondo riservata agli umani: i
colori, gli odori e
la temperatura non erano adatte al suo fisico, ma erano perfette per
temprare
lo spirito e il corpo degli abitanti di Infera.
Deimos
era apparso al suo fianco
qualche secondo dopo, chiedendogli arzillo come avesse passato la
notte. Lastar
aveva cercato di cavargli gli occhi.
Più
lui si ribellava, più Deimos
sembrava divertito dal suo spirito indomabile.
Per
qualche anno, Lastar aveva cercato
di capire cosa avesse spinto quel demone a strapparlo da morte certa
per
portarlo a Infera, dove ogni giorno aveva rischiato di incorrere
nell’ira di
suo padre per la tutela di quell’umano impuro.
Con
il passare del tempo, Lastar si era
semplicemente rassegnato: Deimos era incomprensibile per sua natura, e
tentare
di capire il motivo delle sue azioni era un’impresa che
oltrepassava
l’impossibile. Lo aveva portato con sé per
capriccio, e per lo stesso vizio
imperscrutabile lo aveva tenuto nascosto agli occhi del genitore. Lo
aveva
istruito a dovere sui luoghi da evitare e sugli orari in cui era
più sicuro
muoversi, e Lastar aveva assorbito quelle informazioni con un cipiglio
scontroso in viso.
Non
aveva abbandonato la sua diffidenza
nei confronti di quell’astruso diavolo nemmeno per un giorno
nei cinque anni in
cui era rimasto sotto le sue cure bislacche. Il viso rotondo si era
asciugato
nell’adolescenza, e gli occhi rossi avevano assunto un taglio
più affilato, che
Deimos non aveva esitato a definire sensuale, appellativo appiccicato
anche al
suo corpo che diventava man mano più muscoloso.
La
cosa che più aveva faticato a
comprendere, in quel periodo, erano le lezioni che Deimos gli impartiva
con
regolarità sulla cultura demoniaca e sulla struttura
gerarchica di Infera,
nonché gli allenamenti cui lo sottoponeva per diventare un
bravo combattente.
Se anni dopo era stato nominato Stella Cardinale dell’Est,
probabilmente doveva
quel riconoscimento alla disciplina con cui Deimos lo aveva forgiagto.
Quando
gli aveva chiesto il motivo,
Deimos si era limitato a rispondere che non voleva persone flaccide
intorno, e
per questo lo costringeva ad allenarsi così duramente.
Lastar sospettava invece
che il diavolo si divertisse a vederlo sudare e arrancare sotto gli
addestramenti che gli imponeva.
E
quando gli aveva domandato la ragione
per cui gli stesse spiegando nel dettaglio le caratteristiche dei suoi
simili,
Deimos aveva replicato che sarebbe stato utile per schivarli, ed
evitare così
il rischio di essere scoperto e cacciato. Gli aveva descritto
più di una volta
i terribili tormenti che avrebbe patito, se si fosse scoperto che un
umano si
era infiltrato ad Infera.
Deimos
si era dimostrato
straordinariamente gentile, per essere un demone: non gli aveva mai
fatto
mancare il cibo, a parte nei giorni in cui la sua anima irrazionale gli
faceva
dimenticare del cucciolo d’uomo che lo attendeva nella sua
stanza. Né aveva mai
saltato i loro allenamenti o le sue lezioni sul mondo di Infera, anche
se non
avevano mai goduto di un orario stabile. Il demone si presentava nella
stanza a
suo piacimento, e non rispondeva mai quando Lastar gli chiedeva cosa
facesse in
giro per tutto quel tempo.
Quella
strana quotidianità di
resistenza dell’umano e sfrontatezza del demone era proceduta
senza grosse
svolte finché Lastar non si era avvicinato alla fine
dell’adolescenza: da quel
momento gli sguardi del diavolo si erano fatti più
insistenti e più ammirati,
e, nonostante gli sforzi titanici di Lastar di dissimulare con gli
occhiali o
con ostinati sguardi al soffitto, la sua attenzione si soffermava con
un
magnetismo del tutto nuovo sulle curve provocanti del Principe.
Deimos
viveva con irriverenza la sua
attrazione per quel giovane, mentre Lastar cercava di reprimerla
adducendo le
mille motivazioni per cui avrebbe dovuto odiare quel demone: faceva
parte della
stirpe di suo padre, lo aveva tenuto segregato in una camera per tutti
quegli
anni, lo aveva torturato con tutte le sue frivolezze. Ma lo aveva anche
protetto dagli altri demoni, lo aveva nutrito e istruito, sebbene con i
suoi
modi bizzarri, e gli aveva dimostrato più affetto della sua
stessa madre. Lui,
perlomeno, era più che felice di guardarlo. Non aveva mai
visto le spalle del
demone.
Era
quasi riuscito a convincersi che il
ritorto affetto che provava per il diavolo fosse una specie di
patologia,
dovuta al fatto di non aver visto altro essere vivente al di fuori di
lui per
cinque anni. Inoltre, era l’unica persona che gli avesse mai
dimostrato
interessamento: la gente al villaggio lo evitava per paura, e sua madre
detestava il ritratto del violentatore che vedeva sul suo viso.
Era
riuscito ad ancorarsi a questa
convinzione, fino al giorno in cui era entrato nel bagno, deciso a
immergersi
nella vasca, e l’aveva trovata occupata dal demone.
Era
trasalito fin quasi toccare il
soffitto con la testa, e aveva cercato di guadagnare la porta, quando
la voce melodiosa
del diavolo lo aveva invitato:
«Puoi
venire anche tu. La vasca è
grande.»
«La
vasca è fatta per essere usata da
una persona per volta.»
«Non
è vero. Nelle Cattedrali ad
oriente è uso comune fare il bagno tutti insieme.»
«Non
siamo in una Cattedrale orientale.»
«Hai
paura di me, Lastar? O hai paura dell’effetto
che potrei avere su di te?»
Il
futuro Esorcista non capì mai cosa
lo avesse spinto ad agire in maniera tanto avventata; qualcosa, nella
voce del
demone, era in grado di risvegliare sezioni della sua anima che lui non
aveva
mai nemmeno supposto di avere. Si era sciolto l’asciugamano
dai fianchi quasi
con sfida, e si era immerso nella vasca di fronte al diavolo, ben
appallottolato su se stesso in modo che il Principe non vedesse troppe
cose.
Il
demone aveva steso le labbra in un
sorriso che non aveva mai visto prima sul suo volto: lo
pungolò dritto al cuore
come un dardo di fuoco, e Lastar strinse più strettamente le
gambe.
«Perché
porti questi occhiali?» flautò
Deimos, indicando le lenti con un dito bagnato.
«Mi
servono.»
«Non
è vero. Hai una vista perfetta. Perciò
dimmi: li usi come maschera?»
«Sono
fatti miei.»
«Ma
certo» Deimos giocò per qualche
istante con l’acqua, poi tornò a fissarlo.
«Hai mai baciato qualcuno?»
Lastar
si ritirò nell’angolo più
lontano della vasca, e quasi strillò:
«Che
razza di domanda è?»
«Non
hai risposto alla prima, così te
ne ho fatta un’altra» minimizzò il
demone.
«Sono
fatti miei!» ribadì il ragazzo,
vagamente isterico.
Deimos
scosse la testa, spargendo
un’impalpabile corolla di gocce tutt’intorno.
«Mi
spiace contraddirti, mio diletto:
sono anche fatti miei. Non ti sei mai chiesto cosa significhi essere il
demone
del Peccato Irrazionale?»
Lastar
fu sul punto di uscire dalla
vasca di slancio, ma gli occhi del Principe lo inchiodarono al suo
posto.
«Lascia
che te lo spieghi, allora. Io
sono nato per portare alla luce tutto ciò che è
nascosto, tutto il marcio che
gli esseri viventi cercano di nascondere nella discarica in fondo
all’anima. La
mia sola presenza fa ribollire quel calderone di marciume, e basta una
mia
parola perché tutti i segreti più vergognosi
vengano svelati.»
Il
ragazzo non riuscì a muoversi di un
millimetro mentre il demone si avvicinava in un lento sciabordio di
onde
profumate. Le sue iridi, la sua voce, perfino la luce riflessa sulla
pelle
bagnata erano corde di seta rossa che si attorcigliavano attorno al
cuore del
giovane e lo avvicinavano irresistibilmente al diavolo.
Lastar
batté la testa contro la sponda
cromata della vasca quando il demone fu così vicino da
sentire il suo respiro
infrangersi contro le proprie guance.
«Quindi
anche la pulsione che stai cercando
disperatamente di nascondere… io la
conosco. Anzi, si potrebbe dire che tu
non la conosceresti, se non te l’avessi infusa io
stesso.»
I
lineamenti del Principe si confusero
davanti ai suoi occhi sbarrati quando il diavolo fu così
vicino che gli sarebbe
bastato sporgere appena le labbra per baciarlo. Una risata beffarda si
sgretolò
sulla sua bocca, e Deimos saltò fuori dalla vasca in un
vortice di spruzzi.
«Sono
spiacente per te, ma non ho
intenzione di alleviare la tua pressione oggi. È troppo
divertente vederti
lottare contro i tuoi bassi istinti.»
Dopo
averlo così canzonato, il demone
sparì al di là della porta del bagno.
La
verità nelle parole del Principe era
scesa come una colata di liquido urticante sul suo stomaco: bruciava, e
il
ragazzo si sforzava di ignorarla, nonostante quella continuasse a
irritargli le
viscere.
Circa
due settimane dopo aveva
restituito quella stessa sensazione al demone, quando il Principe era
stato
costretto a rivelargli il suo vero volto.
Aveva
appena pulito gli occhiali,
quindi riuscì a vedere con spietata chiarezza la scena in
cui inciampò.
Stava
rientrando nella stanza del
demone dopo essersi fatto il bagno e rivestito. Era uno degli orari
sicuri
stabiliti con il Principe, per cui non sospettava minimamente quanto
stava per
succedere.
Aprì
la porta e rimase congelato sulla
soglia.
Deimos
era adagiato sul letto, le
ginocchia divaricate sul materasso e il collo steso
all’indietro. E la bocca di
un altro demone era poggiata sulla pelle liscia della gola.
Lastar
rimase immobile, inorridito,
mentre il suo sguardo saettava dai polsi del Principe, allacciati
dietro la
nuca del suo compagno, alla mano dell’altro diavolo che
afferrava con foga la
carne morbida dell’interno coscia.
Deimos
socchiuse per un attimo gli occhi,
quando il suo occasionale amante scese con la bocca lungo il collo,
allargando
i bottoni della camicia per avere più pelle a disposizione.
E lesse il disgusto
nell’espressione di Lastar.
Sentendolo
irrigidirsi, anche l’altro
diavolo sollevò lo sguardo in direzione della porta e
notò il ragazzo atterrito
sulla soglia. Sibilò qualcosa in lingua demoniaca,
accigliato, e Lastar non
aspettò un secondo di più per dileguarsi.
Fece
appena in tempo ad arrivare in
bagno prima che le sue ginocchia diventassero d’acqua e si
abbattessero sulla
dura pavimentazione. Lastar premette una mano sullo stomaco e una sulla
bocca,
in un disperato tentativo di arginare i conati.
Una
mano insinuante gli scompigliò
gentilmente i capelli, una volta che l’apparato digerente fu
placato.
«Ti
ha tanto sconvolto quello che hai
visto?» la voce di Deimos lo raggiunse dall’alto, e
Lastar allontanò
bruscamente le dita sulla sua testa.
«Se
sei già impegnato, non dovresti
venire a stuzzicare me» abbaiò il giovane.
«Non
sono impegnato. Quello è solo un
mio amante. Uno dei tanti.»
«È
così che vivi? Prendendoti gioco
delle persone?»
La
rabbia gli fece schiumare il sangue
nelle vene, e aveva intenzione di rigettare tutta quell’ira
sulla fonte del suo
disagio: lo aveva illuso facendogli credere di essere speciale, mentre
in
realtà era solo uno dei suoi tanti giocattoli. Era peggiore
perfino della gente
del villaggio: loro erano stati coerenti con il loro disprezzo, mentre
il
demone si era trastullato con i suoi sentimenti, ingannandolo per tutto
quel
tempo.
Le
calunnie evaporarono sulle sue
labbra e la furia si dissolse non appena vide l’espressione
del Principe.
Una
tristezza sorda, inasprita di
rassegnazione, aveva rabbuiato le iridi cremisi e spento la solita
luminosità
insolente del viso.
«Non
ti ho raccontato tutta la verità
sull’essere il Principe del Peccato Irrazionale. Significa
essere stranieri nel
proprio corpo.»
Deimos
incrociò le gambe e ruotò su se
stesso, poggiando una mano sul collo: non voleva che Lastar vedesse il
segno
rosso che il suo amante gli aveva lasciato.
«Posso
prendere delle decisioni, ma so
che non le rispetterò mai. È la mia natura, non
posso ribellarmi. È logico che
una persona compia una scelta e vi sia fedele; e proprio
perché è logico io non
posso farlo. Se prendo una decisione, so che la tradirò,
anche se è l’ultima
cosa che vorrei.»
«Per
esempio?»
«Per
esempio, avevo giurato che tu non
avresti mai visto come induco
tante
persone in tentazione.»
«Ma
sono capitato per caso.»
«Già,
per caso. Esattamente
nell’orario che ti avevo detto di seguire» una
risatina
amara sgorgò dalle labbra del diavolo. «Alcune
volte è frustrante. Ti senti
come se fossi in costante balia di una corrente che ti conduce solo in
porti
sgraditi. Ma è meglio che tu non lo capisca: se arrivassi a
comprendere quella
sensazione, impazziresti. Io no. Io sono strutturato per
questo.»
«Tu
sei già impazzito da tempo.»
Un
fruscio alle sue spalle fu il
segnale che Lastar si era alzato in piedi.
«Hai
molte persone… come quello di
prima?»
«Più
delle stelle che stanno in cielo.
Angeli, demoni e umani.»
«Volevi
che anche io diventassi uno dei
tanti nella tua schiera?»
«Ti
ho salvato perché eri divertente.
Gli umani normali tremano al mio cospetto. Tu invece avevi la forza di
lottare,
anche se eri più fragile del bastone che reggevi in mano.
Inoltre, non hai mai
smesso di odiarmi, almeno un po’. I miei occhi rossi ti
ricordano troppo i tuoi»
Deimos si voltò, tenendo la mano asserragliata sul collo.
«Tu mi piaci, Lastar,
Mi piaci quasi quanto mio fratello.»
Il
ragazzo afferrò il polso affusolato
del demone e lo scostò dal suo collo, rivelando il marchio
irregolare e
sanguigno. Assegnò un’occhiata sprezzante a quel
segno di lussuria e domandò:
«Se
per te non sono come gli altri,
dimostralo. Resta qui, e non tornare da
quell’altro.»
«È
una cosa molto logica, quella che mi
chiedi di fare. È molto probabile che non la
farò» lo schermì Deimos,
allontanandosi con un passo ballerino.
«Lo
so. Ma non riesco a credere che il
Principe dei demoni non sia in grado di scegliere nemmeno una
volta.»
La
spina dorsale di Deimos si snodò in
mille angolazioni diverse quando il diavolo eruppe in una risata senza
ritegno.
«Punti
all’orgoglio» si sbellicò.
«La
colonna portante dell’anima dei
demoni è la fierezza, e farebbero di tutto per preservarla
intatta. È stata una
delle tue prime lezioni» snocciolò Lastar.
«Che
hai incamerato bene» le unghie
nere del diavolo si inseguirono sulla spalla del giovane e poi sul
collo, fino
a pizzicargli il mento. «Allora saprai anche che non puoi
trattenere un demone
senza un valido motivo.»
Anche
quella volta, Lastar non pensò:
la presenza del diavolo annullava ogni traccia di
razionalità nella sua mente.
I
lembi aperti della camicia invitarono
le sue mani ad insinuarvisi all’interno, scivolando sulla
schiena nuda del
demone. Le dita si sorpresero per la morbidezza della pelle del
Principe, così
inusuale per un maschio di Infera; anche quell’epidermide
levigata era
accuratamente studiata per indurre il prossimo ad indugiare su di essa
e sui peccati
che dischiudeva.
Deimos
non si fece scrupoli e rise di
nuovo quando il ragazzo non riuscì a fare altro che
abbracciarlo. Sentiva
quelle mani inesperte tremare appena sulla sua schiena, contraddicendo
l’apparente inflessibilità
dell’espressione del giovane.
«Si
vede che sei uno che non ha mai
nemmeno baciato qualcuno» lo prese in giro.
Lastar
non ebbe modo di replicare a
quell’illazione e nemmeno alla successiva mossa del demone:
gli occhiali
vennero divelti dal loro posto e scaraventati a terra, una mano lo
afferrò per
la nuca e lo abbassò verso il diavolo. La lingua del
Principe guizzò tra le sue
labbra prima ancora che lui riuscisse a capire cosa fosse successo.
«Dovrai
andartene» lo avvertì Deimos,
temporeggiando sulla sua bocca. «Sei stato visto da un
demone. È pericoloso che
tu resti.»
Si
scostò da lui ghignando: la notizia
e il bacio improvviso avevano trasecolato il ragazzo, lasciando
spalancati i
suoi occhi scarlatti, che Deimos trovava semplicemente splendidi.
«E
dove?» riuscì a comporre quando lo
stupore si fu in parte dissolto.
Deimos
osservò fuori dalla finestra che
si apriva ad est.
«La
Cattedrale più vicina al confine
con Infera è la Cattedrale di Elohim. Ti
accompagnerò fino al fiume, e poi dovrai
fare affidamento solo su te stesso» annunciò. Il
Principe si sollevò sulle
punte dei piedi e gli arruffò la chioma amaranto.
«Non fare quella faccia
disperata. Tornerò a trovarti.»
«E
come farai a sapere dove trovarmi?»
volle sapere Lastar.
Un
ghigno malvagio distorse il viso del
diavolo.
«Potrei
metterti il mio marchio.
Ricordi, quello che noi demoni usiamo per marcare le nostre prede o i
nostri
preferiti?»
I
diavoli possedevano un marchio
personale, che si formava sulla pelle della vittima o del prescelto
insinuando
un pungiglione della loro aura oscura nella pelle: quello era uno degli
ultimi
insegnamenti del Principe.
«Ma
dovremmo lottare» obiettò Lastar.
«Questo
se tu fossi un mio avversario,
o una preda che voglio mangiare. Ma…» Deimos si
divertì immensamente nel vedere
la tonalità di rosso raggiunta dalle guance del giovane.
«Non se io volessi
mangiarti in un altro senso.»
«È
un ragionamento piuttosto logico,
quello che stai facendo.»
«Un
Principe deve essere in grado di
scegliere, almeno una volta.»
Non
ricordava con precisione come avessero
raggiunto la camera. Ricordava solo le dita del diavolo strette attorno
al suo
polso che lo guidavano nella stanza, che poi erano salite ad
accarezzargli il
volto.
Non
voleva essere famelico come il
demone che aveva visto prima, per cui spogliò lentamente il
Principe di fronte
a lui. Rimase incantato dal fisico che emergeva dagli stracci colorati
e dai
vestiti, perfetto come se una mano attenta avesse scolpito ogni singolo
muscolo, ogni ricciolo della chioma indomita. Deimos non ebbe la stessa
premura,
e gli abiti del ragazzo furono rapidi a raggiungere il pavimento.
Lastar
si trovò di nuovo sospeso in
quella condizione acquosa in cui annegava in presenza del demone: la
sua testa
diventava inconsistente e sfuggente come una medusa, e tutto
ciò che restava
era istinto.
Non
era mai più riuscito a vivere le
emozioni di quella notte: aveva provato, qualche anno dopo, con una
ragazza
della Cattedrale che lo aveva corteggiato con encomiabile insistenza,
ma
l’esperienza lo aveva lasciato profondamente deluso. Le
sensazioni scialbe di
quella notte non erano paragonabili alla meraviglia nello scoprire il
corpo
sensuale del demone, l’agitazione nel farsi condurre lungo
quel sentiero
sconosciuto, l’emozione travolgente scaturita
dall’unione con il diavolo.
Gli
occhi scarlatti si illanguidirono
nel contatto con i gemelli, le braccia del demone lo guidarono nei
movimenti,
così come le gambe morbide, che risalirono il bacino fino ad
allacciarsi
attorno alla vita. Le mani del diavolo scesero a premergli sulle anche
per
incitarlo a portarsi dentro di lui.
Le
membra di Lastar tremarono
violentemente quando il corpo di Deimos si inarcò sotto il
suo alla prima
spinta. Le mani del demone lo condussero in quelle movenze per lui del
tutto
nuove, le iridi purpuree lo avvinghiarono più saldamente al
Principe e i suoi
gemiti arrivarono a intossicargli il cuore.
Dubitava
che per Deimos l’esperienza
fosse stata straordinaria come per lui: aveva avuto più di
mille amanti,
certamente più esperti di un ragazzino umano. Ma aveva
sorriso genuinamente
soddisfatto quando Lastar si era adagiato su di lui, ansante.
«Considerando
che questa era la tua
prima volta, non sei andato male.» cinguettò,
carezzandogli i capelli sudati.
Un
bruciore lancinante all’anca
sinistra dirottò gli occhi di Lastar dal viso del compagno
al suo osso pelvico.
Un’ombra nera e fumante si stava ritorcendo sulla sua pelle,
assumendo man mano
la forma dello stemma reale.
«Domani
il marchio sarà ultimato»
bisbigliò Deimos nel suo orecchio. «E io
potrò ritrovarti ovunque andrai.»
Sapeva
che era una completa follia:
aveva giaciuto con un demone, e ora portava il suo stemma. Ma non
riusciva a
pentirsene, e non riusciva a capire se quella scelleratezza partisse da
lui
stesso o se gliela avesse iniettata quell’inafferrabile
diavolo.
Accantonò
qualunque pensiero quando si
chinò sul Principe per essere lui, quella volta, a baciarlo
per primo.
***
Deimos
allungò le gambe verso l’alto,
sgranchendo muscoli e ossa insieme.
Ripensava
alla sera prima, quando era
andato a trovare Lastar alla Cattedrale, e alle parole di Astaroth.
Il
demone dell’accidia gli aveva
consigliato di non unirsi all’ibrido, e si era sorpreso della
sua volontà di
proteggerlo anche se non era stato marchiato.
Sorrise
amaramente.
C’erano
molte cose che Astaroth non
sapeva.
Ad
esempio, che lui e Lastar erano già
giaciuti insieme una volta. Tuttavia, Lastar all’epoca era
talmente giovane e
influenzabile che probabilmente aveva ceduto solo perché non
aveva ancora
sviluppato le barriere necessarie a difendersi dal magnetismo del
Principe.
Ecco perché era così difficile sedurlo ora che
era più maturo e addestrato a
resistere ai demoni.
Inoltre,
il Re del Terrore non sapeva
che Lastar era stato marchiato.
Per
un certo periodo, almeno. Fino a
che suo fratello, Lazard, non aveva brutalmente rimosso lo stemma reale
dalla
pelle del giovane.
Scusate
il ritardo, ma i preparativi e la partenza per il Giappone mi hanno
tenuta
lontana dal pc ç_ç
Questo capitolo è postato dall’arcipelago
nipponico, quindi ad un orario
improponibile in Italia XD
Anyway,
che dire del capitolo… non avevo previsto questo scorcio di
passato, ma poi le
scene si sono susseguite e ho deciso di assecondarle XD
Piccolo
avviso: è probabile che d’ora in poi i capitoli si
faranno più corti. Motivo:
lo studio in Giappone è molto impegnativo, e non sempre
abbiamo tempo di
rimanere al computer. Per cui, per evitare di farvi aspettare eoni
geologici
per un aggiornamento, posterò capitoli più
brevi<3 Al mio ritorno in Italia,
probabilmente torneranno ad allungarsi XD
Ancora
una volta, grazie a tutti voi che siete arrivati fin qui a
leggere<3
*bows*
Red
Per i dati tecnici (schede dei personaggi, genealogia demoniaca, genealogia angelica ecc.), consultate il Commentario.
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