Disamistade

di elrohir
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0.0 ***
Capitolo 2: *** 1.1 ***



Capitolo 1
*** 0.0 ***


Soft as the massacre of the Suns

DISAMISTADE

 

Soft as the massacre of the Suns

By Evening's Sabres slain.

Emily Dickinson

 

0.0

 

Santa Soledad veste in bianco e pudore.

Nei suoi occhi bassi non gioca alcuna luce. Sono neri – lunghi – profondi come il mare. Occhi di vergine che non conosce dolore. Occhi di donna che l'amore ha spezzato.

Inginocchiata a terra, guarda la Croce e spende voce per pregare.

Una preghiera cui nessun Dio presterà attenzione.

 

La preghiera di Santa Soledad odora di caldo e silenzio.

Dei pomeriggi spesi ad uccidere il Sole – a combattervi contro, sprecandovi sangue.

Odora del ventre di una Chiesa. Incenso e umidità e ombra scura. Fresco e pietra mischiati insieme. Legati, da un filo di vento.

 

Santa Soledad prega a mani giunte. Ginocchia in terra ascolta il freddo penetrar le ossa, quando fuori è caldo, è morte e vita.

Dentro la Chiesa solo il silenzio sa parlare.

Santa Soledad non conosce Dio in cui credere. Santa Soledad non ha mattino in cui sperare.

Continua a vivere ascoltando la sua voce. Ignorando i presagi di una notte già scesa.

 

Di notte l'aria si fa fredda. A Santa Soledad piovono incubi e sogni confusi.

Nelle sue case – si consuma l'amore. Si consuma la rabbia, e la morte e la vita.

Si accendono e spengono stelle. Troppe per foderare il cielo – non abbastanza per segnare il cammino.

 

E camminare si deve, sempre, anche a Santa Soledad. Ogni strada è da percorrere e mappare. Ogni strada è da ascoltare, carezza lieve e costretta – e fronte sparsa di gocce. Acqua benedetta che il Sole evaporerà.

 

Chiudere gli occhi per dormire. Il Sole non ci pensa mai.

A Santa Soledad batte tutto il giorno, ostinato, duro. Scioglie i pensieri in un nodo di desiderio malsano.

 

Desiderio di labbra e di gambe. Di carne e saliva e sudore. Desiderio di corpo – di vita – desiderio di rabbia succhiata all'amore. Desiderio di morte. Di sogno e fatica. Desiderio di frutto da leccare col sale.

 

A Santa Soledad il Sole non sa niente. A Santa Soledad il Sole neanche parla.

Guarda in basso disattento – batte raggi sul selciato.

 

La pietra brilla sotto l'ombra. Nella luce, si fa scura.

 

Ombra e morte nella vita. Luce e amore nella morte.

Santa Soledad respira l'abisso. Santa Soledad sa la violenza.

Ricorda lo stupro di un padre lontano – ricorda le grida di una madre straniera.

Ricorda la selva e l'odore e le bestie e la guerra. Ricorda l'oblio imparato a fatica.

Ricorda idiomi. Tradizioni smarrite. Ricorda fanciulli dalle pelli abbronzate.

 

Ricorda occhi neri. Lunghi. Profondità di mare.

Su volto di uomo di donna o bambino.

Su labbra ragazze. Sotto zigomi stanchi.

Ricorda sangue che ricama ferite.

 

E la Solitudine ha sapore di Sole. La Solitudine è Santa, e Straziata.

Ed è Vento.

 

Santa Soledad non conosce il futuro. Santa Soledad ha perduto il passato.

Rimane solo una vecchia preghiera.

Ma il Dio che l'ascolta, si è fatto ormai muto.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** 1.1 ***


"Merda

Due parole sole, per introdurre questa storia nuova. Disamistade è il primo capitolo, se così si può dire, di una serie ambientata in un non ben precisato futuro. Io lo immagino collocato nel 2025/2044, ma la cosa non è particolarmente importante ai fini della comprensione. I personaggi non risentono particolarmente del salto temporale, non fosse per il fatto che alcune dinamiche politiche e sociali appaiono deteriorate. Ma di nuovo, non sento di conoscere abbastanza a fondo la realtà di certi luoghi per dare giudizi.
Concludo ringraziando con tutto il cuore Fata, il cui incoraggiamento è stato - come sempre - indispensabile. Temo che continuerai a sorbirti le anteprime di Lizard e Amistad ancora a lungo, tesoro...!
Un bacio, Roh

 

 

 

DISAMISTADE

 

Soft as the massacre of the Suns

By Evening's Sabres slain.

Emily Dickinson

 

1.1

 

Santa Soledad, 20 Ottobre '44.

 

"Merda."

Clavel alza lo sguardo dal suo foglio, stringendo il carboncino tra le dita. "Male?" chiede sogghignando.

Alle sue spalle il cielo è chiaro, come porcellana sbiadita. La città intera ha colori invecchiati; sembra che la polvere soffochi tutto – sogni, slanci, sorrisi intravisti.

Solo il dolore resta vero: intenso, corre in ogni nervo, serpeggia in ogni strada.

Amistad aumenta la pressione sul fianco, stringendo i denti. Cautamente, cerca di scostare il palmo per sbirciare la ferita; il movimento gli strappa un istante di fiato.

"Porca puttana, se fa male."

Clavel torna a tracciare linee scure nel disegno. Amistad soffia fuori un po’ d'aria e chiude gli occhi. "Potresti anche dare una mano, sai."

"Se te sei una testa di cazzo, non vedo cosa c'entro io." L'indice sfuma un po’ di nero. "Poi, credevo volessi aspettare Lizard."

Amistad appoggia la schiena al muro, rovesciando indietro la nuca. Addirittura respirare è faticoso, pensa, e un po’ gli viene da ridere. "Lizard?"

"Dovrebbe arrivare a momenti. E tu non sprechi mai l'occasione di sentirti addosso le sue mani."

"Clavel." Ridere adesso sarebbe decisamente fuori luogo, cerca di convincersi. Ogni tremito scuoterebbe la ferita, gli sposterebbe le dita – restare fermi è meglio. Più salutare. "Potrei morire dissanguato. Lo capisci questo?"

L'altro gli lancia un'occhiata. "Sul serio?"

"Sul serio."

Clavel scrolla le spalle. "Aspetta almeno che il disegno sia finito, prima di tirare le cuoia."

"Sei un vero amico, niente da dire."

La porta si apre con un rumore irritato, nella stanza s'insinua il sole. Fermo sulla soglia, Lizard ha gli occhi scuri.

È in momenti come quelli – quando tiene le labbra strette e la mascella contratta – che Amistad sente pulsare più veloce la voglia di toccarlo. E sentirlo. E accenderlo, piano piano.

Resta fermo, mentre Lizard muove un passo avanti e chiede: "Cosa diavolo è successo?"

Abbozza un sorriso. "Ehi."

"Ehi un corno. Cosa avete combinato?"

Clavel neanche alza lo sguardo. "Io niente. Il cretino lì, si è beccato una coltellata nello stomaco."

Lizard socchiude gli occhi; ad Amistad sembra di vedervi balenare una scintilla di preoccupazione, ma non potrebbe giurarci. Un battito di palpebre, ed è già sparita.

"Grave?" si sente chiedere.

"Appena un graffio."

Lizard torna a rivolgersi a Clavel: "L'hai fasciato?"

"No. Lascio a te l'onore."

Amistad apre la bocca per parlare ma un gesto nervoso lo interrompe. "Togliti la maglia."

"Liz…"

"Togliti la maglia. Spogliati. Cristo, Mist. E datti una mossa!"

Amistad si costringe ad ignorare lo sguardo di Clavel. Facendo scivolare i pollici sotto l'orlo della canottiera, sorride invece a Lizard, implorante. "Fai piano?"

Lizard morde un'imprecazione tra i denti e lo spinge contro il muro, facendogli sbattere la schiena; poi si inginocchia a terra, ai suoi piedi, e accartoccia verso l'alto la stoffa.

Amistad chiude gli occhi, rovesciando la testa indietro ed aggrappandosi istintivamente alla sua spalla. Sente l'articolazione muoversi sotto le dita - forte e delicata al tempo stesso, come forte e delicato è Lizard.

Un'armonia di contrasti, in tutto. Una contraddizione vivente che fa venire voglia di scoprire se, almeno in qualcosa, le reazioni sono normali. Amistad a volte si trova a pensare che Lizard farebbe l'amore allo stesso modo in cui ti parla: distratto e lontano, quasi indifferente, per poi piantarti addosso all'improvviso quegli occhi scurissimi, strappandoti il fiato.

Sobbalza quando il compagno gli sfiora il fianco con le dita, mormorando: "Servono delle bende. Vado a prenderle."

Clavel mette da parte il disegno e salta giù dal davanzale. "No. Vado io. Tu non muoverti di lì."

Lizard scrolla le spalle, continuando a scrutare accigliato la ferita. Amistad si azzarda ad allungare un braccio per carezzargli i capelli; l'azione gli fa guadagnare uno sguardo sospettoso.

"Sicuro di stare bene?"

"Hm. Perché?"

Sulla pelle nuda il tocco sembra bruciare. Ad ogni goccia di sangue scivolata via, Amistad sente la testa più leggera; eppure, non riesce a preoccuparsi più di tanto del taglio. Sente le ginocchia pesanti, quasi sul punto di cedere, ma non riesce a smettere di fissare Lizard.

Che sta inginocchiato tra le sue gambe. (Centimetri di distanza dal suo sesso).

E lo guarda dal basso. (Con quegli occhi).

"Sei strano. Silenzioso." Il compagno passa l'indice sulla ferita, lievemente, e lui sussulta. "Brucia?"

"Un… un poco. Sopravviverò."

"Sfortunatamente," commenta Clavel tornando con una bacinella d'acqua e bende asciutte. Le posa al fianco di Lizard, che lo ringrazia con un cenno prima di cominciare a lavare via il sangue.

Il momento è teso, come l'aria che improvvisamente sembra vibrare di silenzio.

Amistad vorrebbe dire qualcosa.

Dire a Lizard che accovacciato lì a terra è talmente bello da fare male.

Dire a Clavel che dovrebbe disegnarlo. Perché quella perfezione non vada sprecata.

Dire al mondo che la ferita brucia. Che quando il coltello incide la carne non puoi fare a meno di urlare.

Dire al mondo che quando qualcuno sta inginocchiato tra le tue gambe, e ha quella bocca e quegli occhi e quell'odore, star fermo immobile è una vergogna. Dire al mondo che muoversi sembra un sacrilegio.

Vorrebbe dire tutto e ascoltare niente. Vorrebbe sussurrare, almeno un: "Grazie".

Ma resta zitto.

Clavel già sa, si limita ad ammiccare. Tornato al suo davanzale, raccoglie il carboncino e – rubando occhiate al mondo – riprende a disegnare.

Lizard non sa. Nulla. E avanti di questo passo, mai saprà.

"Come è successo?"

"Ma niente. Una mezza rissa. Solo che lui aveva il coltello."
"Mist, devi piantarla con le stronzate. Lo sai che…"

"Che ti preoccupi?"

Lizard sbuffa e scuote la testa. I capelli sfiorano lo stomaco di Amistad e questi trattiene il fiato, stringendo un po’ più forte la presa sulla sua spalla.

"Faccio male?"

Un respiro. Profondo, ad occhi chiusi, per recuperare forze e concentrazione.

"No. Vai tranquillo. Fai… quel che vuoi fare."

Clavel ridacchia e Lizard interrompe un attimo il lavoro. "Beh?"

"Niente, niente. 'Sta sera sei libero, vero?"

Le dita di Lizard riprendono a muoversi. Veloci, precise - ogni tocco guarisce. Lava via dolore.

"Perché?" chiede a bassa voce, alzando lo sguardo solo quando Amistad muove il pollice in circolo sulla sua clavicola.

"È il mio compleanno."

Quegli occhi si dilatano leggermente, per poi socchiudersi ed abbassarsi di colpo.

"Ah"

"Andiamo a bere qualcosa."

Lizard sceglie una garza, poi porta una mano dietro la sua schiena e lo invita a sollevare il bacino. La fasciatura scivola sulla pelle con una lentezza quasi erotica.

Amistad sorride appena. "Allora?"

"Allora cosa?"

"Vieni, o no?"

L'amico non lo guarda, mentre lascia che la benda usata vada ad annegarsi d'acqua. Poi mormora, irritato: "Senti. Me l'ero dimenticato, ok? Ho avuto altro a cui pensare e…"

"Liz. Non importa. Voglio solo sapere se sei dei nostri."

Clavel chiude l'album da disegno e salta in piedi, raggiungendoli. "Certo che lo è." Avvicinando le labbra all'orecchio di Lizard, aggiunge in un finto sussurro: "Per il regalo non preoccuparti. C'abbiamo già pensato noi."

Lizard chiude gli occhi, arrossendo appena. "Ti odio."

"Già. Ma senza di me saresti perso, vero?"

"Dai Liz." Amistad chiude di nuovo le presa intorno alla sua spalla, muovendo appena le dita. "Che ti divertirai," aggiunge poi, afferrandogli il braccio e strattonandoselo vicino.

"Non ne dubito," sospira l'altro, lasciandosi guidare in strada. Sfiorandosi la fronte con la mano.

E Amistad lo sa, che dentro gli occhi nasconde un sorriso.

 

 

 

 

 

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