Due parole sole, per introdurre
questa storia nuova. Disamistade è il primo capitolo, se così si può
dire, di una serie ambientata in un non ben precisato futuro. Io lo immagino
collocato nel 2025/2044, ma la cosa non è particolarmente importante ai fini della
comprensione. I personaggi non risentono particolarmente del salto temporale,
non fosse per il fatto che alcune dinamiche politiche e sociali appaiono
deteriorate. Ma di nuovo, non sento di conoscere abbastanza a fondo la realtà
di certi luoghi per dare giudizi.
Concludo ringraziando con tutto il cuore Fata, il cui
incoraggiamento è stato - come sempre - indispensabile. Temo che continuerai a
sorbirti le anteprime di Lizard e Amistad ancora a lungo, tesoro...!
Un bacio, Roh
DISAMISTADE
Soft as the massacre of the Suns
By Evening's Sabres slain.
Emily
Dickinson
1.1
Santa Soledad, 20 Ottobre '44.
"Merda."
Clavel
alza lo sguardo dal suo foglio, stringendo il carboncino tra le dita.
"Male?" chiede sogghignando.
Alle
sue spalle il cielo è chiaro, come porcellana sbiadita. La città intera ha
colori invecchiati; sembra che la polvere soffochi tutto – sogni, slanci,
sorrisi intravisti.
Solo
il dolore resta vero: intenso, corre in ogni nervo, serpeggia in ogni strada.
Amistad
aumenta la pressione sul fianco, stringendo i denti. Cautamente, cerca di
scostare il palmo per sbirciare la ferita; il movimento gli strappa un istante
di fiato.
"Porca
puttana, se fa male."
Clavel
torna a tracciare linee scure nel disegno. Amistad soffia fuori un po’ d'aria e
chiude gli occhi. "Potresti anche dare una mano, sai."
"Se
te sei una testa di cazzo, non vedo cosa c'entro io." L'indice sfuma un
po’ di nero. "Poi, credevo volessi aspettare Lizard."
Amistad
appoggia la schiena al muro, rovesciando indietro la nuca. Addirittura
respirare è faticoso, pensa, e un po’ gli viene da ridere. "Lizard?"
"Dovrebbe
arrivare a momenti. E tu non sprechi mai l'occasione di sentirti addosso le sue
mani."
"Clavel."
Ridere adesso sarebbe decisamente fuori luogo, cerca di convincersi. Ogni
tremito scuoterebbe la ferita, gli sposterebbe le dita – restare fermi è
meglio. Più salutare. "Potrei morire dissanguato. Lo capisci questo?"
L'altro
gli lancia un'occhiata. "Sul serio?"
"Sul
serio."
Clavel
scrolla le spalle. "Aspetta almeno che il disegno sia finito, prima di
tirare le cuoia."
"Sei
un vero amico, niente da dire."
La
porta si apre con un rumore irritato, nella stanza s'insinua il sole. Fermo
sulla soglia, Lizard ha gli occhi scuri.
È in
momenti come quelli – quando tiene le labbra strette e la mascella contratta –
che Amistad sente pulsare più veloce la voglia di toccarlo. E sentirlo. E
accenderlo, piano piano.
Resta
fermo, mentre Lizard muove un passo avanti e chiede: "Cosa diavolo è
successo?"
Abbozza
un sorriso. "Ehi."
"Ehi
un corno. Cosa avete combinato?"
Clavel
neanche alza lo sguardo. "Io niente. Il cretino lì, si è beccato una
coltellata nello stomaco."
Lizard
socchiude gli occhi; ad Amistad sembra di vedervi balenare una scintilla di
preoccupazione, ma non potrebbe giurarci. Un battito di palpebre, ed è già
sparita.
"Grave?"
si sente chiedere.
"Appena
un graffio."
Lizard
torna a rivolgersi a Clavel: "L'hai fasciato?"
"No.
Lascio a te l'onore."
Amistad
apre la bocca per parlare ma un gesto nervoso lo interrompe. "Togliti la
maglia."
"Liz…"
"Togliti
la maglia. Spogliati. Cristo, Mist. E datti una mossa!"
Amistad
si costringe ad ignorare lo sguardo di Clavel. Facendo scivolare i pollici
sotto l'orlo della canottiera, sorride invece a Lizard, implorante. "Fai
piano?"
Lizard
morde un'imprecazione tra i denti e lo spinge contro il muro, facendogli
sbattere la schiena; poi si inginocchia a terra, ai suoi piedi, e accartoccia
verso l'alto la stoffa.
Amistad
chiude gli occhi, rovesciando la testa indietro ed aggrappandosi istintivamente
alla sua spalla. Sente l'articolazione muoversi sotto le dita - forte e
delicata al tempo stesso, come forte e delicato è Lizard.
Un'armonia
di contrasti, in tutto. Una contraddizione vivente che fa venire voglia di
scoprire se, almeno in qualcosa, le reazioni sono normali. Amistad a volte si
trova a pensare che Lizard farebbe l'amore allo stesso modo in cui ti parla:
distratto e lontano, quasi indifferente, per poi piantarti addosso
all'improvviso quegli occhi scurissimi, strappandoti il fiato.
Sobbalza
quando il compagno gli sfiora il fianco con le dita, mormorando: "Servono
delle bende. Vado a prenderle."
Clavel
mette da parte il disegno e salta giù dal davanzale. "No. Vado io. Tu non
muoverti di lì."
Lizard
scrolla le spalle, continuando a scrutare accigliato la ferita. Amistad si
azzarda ad allungare un braccio per carezzargli i capelli; l'azione gli fa
guadagnare uno sguardo sospettoso.
"Sicuro
di stare bene?"
"Hm.
Perché?"
Sulla
pelle nuda il tocco sembra bruciare. Ad ogni goccia di sangue scivolata via,
Amistad sente la testa più leggera; eppure, non riesce a preoccuparsi più di
tanto del taglio. Sente le ginocchia pesanti, quasi sul punto di cedere, ma non
riesce a smettere di fissare Lizard.
Che
sta inginocchiato tra le sue gambe. (Centimetri di distanza dal suo sesso).
E lo
guarda dal basso. (Con quegli occhi).
"Sei
strano. Silenzioso." Il compagno passa l'indice sulla ferita, lievemente,
e lui sussulta. "Brucia?"
"Un…
un poco. Sopravviverò."
"Sfortunatamente,"
commenta Clavel tornando con una bacinella d'acqua e bende asciutte. Le posa al
fianco di Lizard, che lo ringrazia con un cenno prima di cominciare a lavare
via il sangue.
Il
momento è teso, come l'aria che improvvisamente sembra vibrare di silenzio.
Amistad
vorrebbe dire qualcosa.
Dire
a Lizard che accovacciato lì a terra è talmente bello da fare male.
Dire
a Clavel che dovrebbe disegnarlo. Perché quella perfezione non vada sprecata.
Dire
al mondo che la ferita brucia. Che quando il coltello incide la carne non puoi
fare a meno di urlare.
Dire
al mondo che quando qualcuno sta inginocchiato tra le tue gambe, e ha quella
bocca e quegli occhi e quell'odore, star fermo immobile è una vergogna. Dire al
mondo che muoversi sembra un sacrilegio.
Vorrebbe
dire tutto e ascoltare niente. Vorrebbe sussurrare, almeno un:
"Grazie".
Ma
resta zitto.
Clavel
già sa, si limita ad ammiccare. Tornato al suo davanzale, raccoglie il
carboncino e – rubando occhiate al mondo – riprende a disegnare.
Lizard
non sa. Nulla. E avanti di questo passo, mai saprà.
"Come
è successo?"
"Ma
niente. Una mezza rissa. Solo che lui aveva il coltello."
"Mist, devi piantarla con le stronzate. Lo sai che…"
"Che
ti preoccupi?"
Lizard
sbuffa e scuote la testa. I capelli sfiorano lo stomaco di Amistad e questi
trattiene il fiato, stringendo un po’ più forte la presa sulla sua spalla.
"Faccio
male?"
Un
respiro. Profondo, ad occhi chiusi, per recuperare forze e concentrazione.
"No.
Vai tranquillo. Fai… quel che vuoi fare."
Clavel
ridacchia e Lizard interrompe un attimo il lavoro. "Beh?"
"Niente,
niente. 'Sta sera sei libero, vero?"
Le
dita di Lizard riprendono a muoversi. Veloci, precise - ogni tocco guarisce.
Lava via dolore.
"Perché?"
chiede a bassa voce, alzando lo sguardo solo quando Amistad muove il pollice in
circolo sulla sua clavicola.
"È
il mio compleanno."
Quegli
occhi si dilatano leggermente, per poi socchiudersi ed abbassarsi di colpo.
"Ah"
"Andiamo
a bere qualcosa."
Lizard
sceglie una garza, poi porta una mano dietro la sua schiena e lo invita a
sollevare il bacino. La fasciatura scivola sulla pelle con una lentezza quasi
erotica.
Amistad
sorride appena. "Allora?"
"Allora
cosa?"
"Vieni,
o no?"
L'amico
non lo guarda, mentre lascia che la benda usata vada ad annegarsi d'acqua. Poi
mormora, irritato: "Senti. Me l'ero dimenticato, ok? Ho avuto altro a cui
pensare e…"
"Liz.
Non importa. Voglio solo sapere se sei dei nostri."
Clavel
chiude l'album da disegno e salta in piedi, raggiungendoli. "Certo che lo
è." Avvicinando le labbra all'orecchio di Lizard, aggiunge in un finto
sussurro: "Per il regalo non preoccuparti. C'abbiamo già pensato
noi."
Lizard
chiude gli occhi, arrossendo appena. "Ti odio."
"Già.
Ma senza di me saresti perso, vero?"
"Dai
Liz." Amistad chiude di nuovo le presa intorno alla sua spalla, muovendo
appena le dita. "Che ti divertirai," aggiunge poi, afferrandogli il
braccio e strattonandoselo vicino.
"Non
ne dubito," sospira l'altro, lasciandosi guidare in strada. Sfiorandosi la
fronte con la mano.
E
Amistad lo sa, che dentro gli occhi nasconde un sorriso.