Il mio lieto fine di afterhour (/viewuser.php?uid=56789)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Sakura ***
Capitolo 2: *** 2. Sasuke ***
Capitolo 3: *** 3. Sakura e Sasuke ***
Capitolo 4: *** 4. Sasuke ***
Capitolo 5: *** 5. Tutti ***
Capitolo 6: *** 6. Dieci anni dopo ***
Capitolo 1 *** 1. Sakura ***
Et voilà,
eccomi qua!
Questo potrebbe essere considerato un eventuale seguito dell'ultimo mio
racconto, 'Illusioni', ma non è affatto necessario
leggerselo prima, anche perchè il tono delle due storie
è completamente diverso.
Infatti nonostante le apparenze questa è una storia allegra
e lieve lieve, forse anche troppo lieve (ogni tanto ci vuole), l'ho scritta in fretta
e di buon umore, e potrebbe contenere diversi errori (per la fretta,
non per il buon umore!).
L'ho divisa in quattro capitoletti, con il punto di vista
alternativamente di Sakura e di Sasuke, sono capitoli assai brevi per
il mio standard, ma sono così distinti e diversi tra loro
che mi pareva la scelta più logica.
Ecco il primo capitolo, il secondo lo faccio uscire giovedì!
IL MIO LIETO FINE
1.
SAKURA
Sakura si appoggiò alla scrivania ed aspettò
semplicemente che il malore passasse.
Non era niente di grave, erano solo gli ormoni in subbuglio, faceva
troppo caldo lì dentro.
Ignorò la fiacchezza eccessiva che ultimamente la rendeva
debole e controllò l’ora: ancora un poco e avrebbe
potuto fare una pausa.
- E’ tutto a posto? – la interruppe
Shizune – ti vedo un po’ stanca –
- Tutto a posto – ribadì ricacciando
l’improvvisa nausea – ho solo bisogno di mangiare
qualcosa –
Un’ora dopo si era decisa a lasciare l’ospedale e
pochi minuti più tardi sorrideva meccanicamente mentre
camminava con Hinata lungo le strade di Konoha, circondata
dall’atmosfera festosa di un sabato pomeriggio.
L’aveva incontrata subito fuori dall’ospedale ed
avevano fatto un po’ di strada insieme, parlando del
più e del meno, dei propri progetti.
Era già iniziato un nuovo anno.
Ormai erano quasi quattro mesi che la guerra era finita, e con
l’inizio del nuovo anno si avvertiva ancor più
quel clima febbrile, pieno di speranza e voglia di ricostruire,
dimenticare.
Se solo anche lei avesse potuto dimenticare.
- Guarda, nevica! – esclamò Hinata
sorpresa.
Un paio di bambini gridavano eccitati ed indicavano i fiocchi bianchi
ai loro genitori.
Già, erano proprio grossi, radi, fiocchi di neve quelli che
scendevano lievi dal cielo grigio, un evento del tutto eccezionale
lì da loro.
- Hinata! –
Naruto, il nuovo hokage, era piombato di fronte a loro con
quell’aria perennemente affannata che aveva ultimamente
– Sakura! Ci sei anche tu! Le mie due donne! Ahi! –
si massaggiò la nuca cui lei aveva appena assestato uno
scappellotto.
- Zuccone! Non pensi che a Hinata possa dare fastidio?
–
- Oh no, non preoccuparti… so che ti vuole bene
come a una sorella, e mi fa piacere –
- Ecco, visto! –
Naruto aveva subito ripreso a sorridere beato e si era affiancato tutto
felice alla sua ragazza.
Li guardò condiscendente mentre camminavano appaiati,
vicini, lui che le accarezzava piano i lunghi capelli scuri prima di
stringerle la mano: non riusciva proprio a non toccarla, a Sakura
veniva da ridere ogni volta che lo vedeva in azione: lo sguardo
adorante, la mano che le scostava una ciocca di capelli, o le sfiorava
il collo, o la vita, sempre con delicatezza, quasi avesse timore di
farle male.
La trattava come qualcosa di prezioso e fragile che per un qualche
miracolo gli era stato donato dalla sorte, Sakura non avrebbe mai
pensato di vederlo così innamorato, così felice.
Sorridendo rifiutò l’invito ad unirsi a loro e
proseguì da sola, salutando qua e là le persone
che incontrava per strada, quel sorriso condiscendente ancora stampato
in faccia.
Com’erano belli quei due insieme, com’erano
teneri…davvero, erano commoventi.
Doveva essere per quello che si sentiva gli occhi colmi di lacrime.
Doveva essere la commozione.
Arrivò davanti a casa che non riusciva più a
trattenere il pianto, e sperava solo che non ci fosse nessuno per
potersi rinchiudere in camera e sfogarsi in santa pace.
Entrò in fretta, tentando di non fare rumore ed evitando di
proposito di guardarsi allo specchio d’ingresso (conosceva
quel volto triste, purtroppo), e si precipitò sulle scale.
Si chiuse in camera e si buttò sul letto.
Per quanto poteva ancora fingere, non lo sapeva.
Per quanto poteva ancora nascondersi, un mese, due se si camuffava e
raccontava un sacco di bugie, non di più.
E poi…
E poi…
Il futuro si stendeva davanti a lei angoscioso, pauroso, e si ritrovava
ad aspettarlo inerme, piena d’ansie, e con un po’
di vergogna che rigettava, arrabbiata con se stessa, ma quella al di
sotto rimaneva e scavava…scavava.
Perché lei?
Perché era stata così avventata?
Perché Sasuke non era tornato a casa dopo la guerra anche se
li aveva aiutati?
Perché...perché si era innamorata di lui?
Perché era così dannatamente sfortunata?
E perché, perché non poteva avere anche lei il
suo lieto fine?
Perché lei no?
Come…come stava lui, stava bene, era vivo?
Ho paura, pensò, paura come non pensavo di potere avere, non
dopo la guerra, non dopo tutto quello che ho passato…eppure
sono terrorizzata, sono troppo giovane per questo, non posso affrontare
tutto questo da sola, non ce la faccio, non ce la faccio.
Si soffiò il naso e si raggomitolò sul letto,
sentendosi sola, così sola.
- Sakura! –
Sollevò la testa di scatto, indecisa se rispondere o
ignorare semplicemente la nonna. Era da prima di Natale che viveva con
loro (con gran fastidio di sua madre che non sopportava la suocera), da
quando era stata male, doveva essere accudita e si rifiutava di andare
in ospedale.
Ormai stava meglio e minacciava di andarsene un giorno sì e
un giorno no, ma suo padre l’aveva pregata di rimanere fino
alla fine del mese, preoccupato per lei, e benché Sakura le
volesse tanto bene non aveva proprio voglia di vederla, non ora, non
aveva voglia di vedere nessuno.
- Sakura? –
Sospirò.
- Sono di sopra, nonna –
- Scendi! –
Si sollevò a fatica ed andò in bagno a
sciacquarsi la faccia con l’acqua gelida, la nonna non ci
vedeva bene solo quando voleva lei, quando le interessava ci vedeva
benissimo.
Si guardò allo specchio tentando di concentrarsi sugli occhi
rossi, non sulla loro espressione, mai sulla loro espressione, e poi si
allentò un poco i pantaloni, avrebbe dovuto comprarne presto
di nuovi, cominciava a non entrarci più.
Rabbrividì.
Come poteva occuparsi di un bambino, di un altro essere umano, come
poteva affrontare una cosa così grande?
E se non ne era capace? Se scopriva di essere una pessima madre?
Scese i gradini asciugandosi le ultime lacrime, ora basta piangere,
avrebbe pianto più avanti, o magari non avrebbe pianto
affatto, era meglio così. Non poteva cambiare le cose e in
qualche modo avrebbe fatto, in qualche modo avrebbero fatto, lei
e…e…il suo bambino.
La nonna dormiva nella stanza adibita a studio dato che faticava a
salire le scale, e Sakura la trovò lì, intenta a
chiudere l’enorme valigia, pesante da sola mezzo quintale,
che aveva portato con sé.
Indossava anche il ridicolo cappellino con le piume che metteva spesso
(perché le piaceva tanto e da giovane non osava portarlo,
così ora si sfogava) e il suo grosso gatto annusava
soddisfatto la valigia, quasi sapesse che presto sarebbe tornato a casa.
- Nonna! Hai fatto di nuovo la valigia! Sai che ti fa male la
schiena chinarti! –
- Questa volta tua madre ha esagerato, ha detto che sono
impicciona –
Be’, era vero, la nonna era una grande impicciona, ma Sakura
non batté ciglio.
- La mamma è stanca, lo sai, e tu non fai niente
per andarle incontro –
- Sono troppo vecchia per fare salamelecchi o per raccontare
piccole bugie –
- Lo so, lo so – sospirò ancora lei
– dà qua, ti aiuto a disfare la valigia
– era la seconda volta in quegli ultimi giorni che ripetevano
quel rituale.
- No Sakura – le mise una mano tremante sulla sua
appoggiata alla valigia – ho proprio bisogno di tornare a
casa…lì ho tutti i miei ricordi –
- Ma ti muovi ancora a fatica e… -
- Mi arrangerò –
Lei ritirò la mano, rassegnata – Però
ti aiuto a portare il bagaglio, pesa un quintale –
- Non sono ancora così malandata e tu sei stanca,
sei sempre stanca ultimamente – brontolò
l’altra – quell’hokage ti fa lavorare
troppo, glielo dirò quando lo vedo –
- Ma no nonna –
- Guardami un momento – le intimò
l’altra, e lei fu costretta ad alzare la testa e guardarla
– hai pianto? –
- No nonna, è che fuori fa freddo e… -
- Non raccontare frottole a tua nonna…hai pianto
ancora per quel giovanotto –
Lei abbassò lo sguardo, perché ne aveva
troppi di segreti e in quel momento non aveva voglia di mentire neppure
lei, benché non fosse così vecchia, o forse non
era questione di età, era solo questione di stanchezza.
- Non dirlo alla mamma – mormorò.
Sua madre non ammetteva che lei sprecasse ancora un solo pensiero per
chi non lo meritava, e non era il caso di litigare, in fondo non era
che la mamma non avesse ragione, era che lei…
Che lei…
Non voleva pensarci, voleva solo mettere la testa sotto la sabbia
ancora per poco e non pensarci.
- A tua madre non dico proprio un bel niente, ma tu sorridi Sakura
– le fece la nonna con quel tono più dolce che
riservava solo a lei – se avessi la tua età andrei
in giro a divertirmi a far girare la testa ai giovanotti, altro che
bagnare di lacrime una vecchia fotografia...esci e trovati un
innamorato prima che i migliori se li accaparrino tutti le altre!
–
- Sì nonna… –
Sakura sorrise di quel sorriso amaro e finto che le pareva
più suo di tutti gli altri che si costringeva ad indossare,
come maschere, con troppa gente ormai.
- Mi ricordo che io alla tua età avevo quel
bel… -
In quel momento qualcuno aveva bussato frettolosamente alla
porta, era un AMBU mandato dall’hokage che richiedeva la
presenza immediata di Sakura.
- Aspettami qui – intimò alla nonna
prima di andarsene – appena torno ti aiuto a portare la
valigia, ok? –
Non se n’era andata fino a quando l’altra non le
aveva risposto di sì.
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Ho dimenticato di farvi gli auguri, Buon anno!
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Capitolo 2 *** 2. Sasuke ***
Ecco il secondo capitolo,
mi sono divertita molto a scriverlo, spero sia divertente anche
leggerlo, almeno un po'.
Il prossimo dovrebbe essere per lunedì.
2.
SASUKE
I bambini che correvano festanti per le strade indicavano eccitati
alcuni sporadici fiocchi di neve volteggianti nel cielo,
un’occorrenza rara da quelle parti.
Sasuke camminava lentamente per le vie di Konoha, il cappuccio del
mantello che gli nascondeva il volto, l’abilità
acquisita in tanti anni di latitanza che celava la sua presenza agli
abitanti della città.
Era stato facile eludere la sorveglianza ed entrare nel suo vecchio
villaggio (lui era in grado di maneggiare le illusioni come nessun
altro, nessuno che fosse ancora in vita almeno), ma non sapeva bene
cosa ci facesse lì, non aveva uno scopo preciso, un
perché.
Era da un po’ che non aveva più uno scopo, una
meta.
Dopo la guerra aveva vagato e vagato ininterrottamente, senza fermarsi
in nessun luogo per quanto lo attirasse se non per pochi giorni, o al
massimo, una volta, per una settimana; aveva raggiunto i territori
più lontani che era riuscito ad immaginare, ed aveva
visitato regioni e città che non aveva mai sentito nominare,
a volte piene di vita, colori ed allegria, a volte desolatamente
impervie e disabitate, a loro modo magnifiche.
Non aveva mai pensato di tornare a casa (...no, non a casa, a Konoha,
semplicemente Konoha), ma si era ritrovato a passare non distante da
lì, e senza sviscerare bene il perché di
quell’impulso, aveva deciso di dare un’occhiata a
quel posto che una volta chiamava casa.
In fondo era l’unico luogo che aveva considerato
tale, un tempo, e mentre camminava si rendeva conto di cercare
qualcuno, un volto tra la folla.
Qualcuno che in qualche modo associava alla parola casa.
Qualcuno che lo aspettava.
Lo aspettavano ancora?
Lo aspettava
ancora?
L’ultima volte che l’aveva vista gli aveva ripetuto
che lo amava, e gli aveva dato tutta se stessa, ma c’era la
guerra, c’era la paura di non avere un domani, la voglia di
cogliere l’attimo senza pensare alle conseguenze, mentre
ora…
Cacciò quel pensiero futile.
Non voleva adagiarsi su nuove illusioni, non voleva aspettarsi niente,
da nessuno, e non aveva bisogno di niente, di nessuno.
Ma forse era per ritrovare un’ombra di quello che era stata
Konoha per lui, che aveva cercato il vecchio distretto degli Uchiha:
per risentire un’ eco di quel calore, di quel senso di
appartenenza che lo aveva fatto sentire meno solo, anche se si trattava
di una falsa sicurezza.
Aveva scoperto che non ce n’era rimasta traccia.
Probabilmente il quartiere era andato distrutto durante
l’invasione di Pain, ed ora al suo posto sorgevano
già altre case, abitate da altre persone: un nuovo luogo che
non aveva alcun legame con il passato.
Quel terreno avrebbe dovuto essere suo di diritto, come tutto
ciò che era appartenuto agli Uchiha, ma non aveva
più diritti a Konoha, se mai li aveva avuti.
E poi non era il fatto in sé che lo aveva disorientato, o
deluso, in fondo non si aspettava di riavere indietro niente, era
l’assordante segnale che quel fatto emetteva a colpirlo:
abbiamo cancellato gli Uchiha, finalmente, come volevamo, ed ora di
loro non esiste più niente, neppure il ricordo.
Ecco. Mentre camminava per quelle vie, circondato da quelle persone
tranquille, da quelle famiglie allegre, spensierate, pensava che
quell’innocenza, quella spensieratezza, era una facciata che
nascondeva i morti, il sangue, il marciume, eppure a tutti andava bene
così, perché se il marciume non si mostrava, se
non veniva riconosciuto, allora non esisteva.
Ed era proprio questo il punto, se non esisteva, se gli Uchiha non
esistevano più, lui cos’era?
Chi era?
Si guardò intorno pensando che queste persone cui non
importava niente degli Uchiha, cui non importava niente del fato che li
aveva avvolti, dell’oblio che pareva averli ingoiati, questi
individui che godevano del privilegio di essere ancora lì,
insieme, felici, erano Konoha, un villaggio che si arrogava il diritto
di essere considerato più giusto, più grande
degli altri, un insieme di tutti coloro che col loro silenzio, col loro
ostracismo, con la prepotenza, l’inganno, con la presunzione
di essere i giusti, i ‘buoni’, e di avere per
questo diritto di vita e di morte, avevano fatto sterminare un intero
clan ad un ragazzo, ed ora ridevano senza preoccupazioni, senza
problemi.
Senza neppure ricordare.
Era stanco, così stanco di odio, di vendetta, ma…
adesso, ancora adesso, quelle morti chiedevano un segno, uno straccio
di riconoscimento, qualcosa, qualsiasi cosa che somigliasse alla
giustizia, e alla verità, perché così
sepolta, negata, quest’ingiustizia rimaneva sospesa.
Un peso atroce nel suo cuore.
Cosa avrebbe dovuto fare?
Avrebbe dovuto chinare il capo, accettare tutto questo, fregarsene e
implicitamente dire sì, avete fatto bene, meritavamo tutto,
meritiamo tutto ed ero io l’esiliato, il pazzo,
l’assassino… un Uchiha di nome e di fatto che
merita di finire schiacciato come un moscerino, massacrato come un cane
rabbioso, perché noi non abbiamo diritti, dobbiamo solo
chinare il capo e crepare?
In fondo era ciò che Konoha e i suoi abitanti avrebbero
voluto, e l’ipocrisia e la crudeltà di tutto
questo non sfiorava nemmeno i loro pensieri.
Non sapeva cos’avesse cercato, di cosa si fosse illuso: non
c’era niente lì, per lui, non rimaneva
più niente.
Si fermò per scansare un paio di ragazzini che si
rincorrevano eccitati e si chiese cosa accidenti era venuto veramente a
fare a Konoha.
Faceva meglio ad andarsene al più presto, era già
troppo tempo che vagava lì dentro, ed ogni secondo in
più era pericoloso.
Seguì con lo sguardo i mocciosi che scappavano dopo avere
spinto a lato un’anziana donna che aveva stretto a
sé la borsa, e li aveva minacciati con il bastone da
passeggio.
- Giovanotto! – lo chiamò poi
puntandogli contro il bastone.
Non era molto alta, ossuta, vestita modestamente a parte uno strano
cappellino rosa, di piume, appoggiato ai capelli candidi tagliati a
caschetto, e lo guardava arcigna.
Involontariamente si accorse di essersi messo in difesa, tutti i sensi
all’erta, e la guardò infastidito sotto
l’ombra del cappuccio.
– Dico a te, non t’illudere! –
lo apostrofò burbera - Dammi una mano con questa valigia tu
che sei giovane e forte! – gli intimò bacchettando
un’enorme valigia che poggiava a terra, di fianco a lei.
Un campanello di allarme gli suonava da qualche parte e ormai da tempo
aveva imparato a fidarsi del suo istinto.
Si guardò intorno con l’intenzione di andarsene
senza neppure rispondere, non era nato per prendere ordini, lui, ma la
gente attorno a loro si affrettava senza nemmeno badargli o degnare di
uno sguardo la donna ferma in mezzo alla strada, la valigia sembrava
davvero pesante e quella vecchia appariva davvero fragile, anche se le
apparenze spesso ingannavano.
Benché avesse imparato a diffidare di tutto e di tutti, non
vedeva quale minaccia o trappola potesse rappresentare una vecchia per
lui, e comunque, se davvero si fosse trattato di una inganno, ormai era
già coinvolto e tanto valeva reggere il gioco, se ne sarebbe
tirato fuori in qualche modo; non era presunzione la sua, era un dato
di fatto: il mondo era pieno di persone deboli e stupide, ed in pochi
potevano impensierirlo, anche se si dava il caso che uno di questi
fosse il nuovo hokage di questo cesso di villaggio.
Si avvicinò e sollevò l’enorme valigia,
che pesava davvero molto (cosa c’era dentro? armi?) il volto
sempre nascosto dal cappuccio.
- Bravo ragazzo - gracchiò la vecchia –
piace constatare che esiste ancora qualcuno di ben educato e di buon
cuore in questo posto –
Non hai la più pallida idea di quello che stai dicendo, e
sicuramente non hai la più pallida idea di chi sia la
persona con cui hai a che fare, pensò lui, un sorriso amaro
che suo malgrado gli incurvava le labbra.
La seguì fino a casa, ascoltando distrattamente le sue
farneticazioni (parlava quasi ininterrottamente), e non vedeva
l’ora di mollare la vecchia e la valigia, che ora sapeva
contenere tutti i suoi vestiti ed un certo numero di ricordi (sapeva
anche che quello zuccone di suo figlio parlava troppo e non combinava
niente, che la nuora era insensibile e incapace, mentre la carissima
nipotina – l’unica persona degna
dell’intera famiglia – per colpa del nuovo hokage
era troppo impegnata e non poteva dedicarle troppo tempo…
ah, e che la borsa che la donna sbatacchiava di qua e di là
in realtà era un trasportino che conteneva un grosso gatto,
il quale pareva miracolosamente dormire).
La sensazione di allarme era come attutita adesso, ma non del tutto
scomparsa, e non vedeva l’ora di andarsene via di
lì.
La vecchia abitava in una bassa casetta singola con un microscopico
giardino davanti, e dopo aver appoggiato il trasportino e avere
armeggiato per un’eternità prima nella borsetta
che aveva a tracolla, poi nelle innumerevoli tasche che nascondeva qua
e là, aveva finalmente aperto la porta e lo aveva fatto
entrare. Non contenta gli aveva intimato di mollare il bagaglio accanto
al tavolo, e mentre se ne stava spaparanzata in poltrona (per riposare
le sue stanche membra diceva), gli aveva ordinato di aprire il
trasportino. Infine, non ancora soddisfatta, gli aveva comunicato che
dato che lei era stanca e non ci vedeva bene, doveva aiutarla a
svuotare l’enorme valigia.
- Sistemi le cose in cima al tavolo, dopo le porto io di
là, ma almeno non devo piegare questa vecchia schiena
–
Col cavolo, pensò subito… ancora un minuto, si
disse irritato dopo aver lanciato un’occhiata alla donna che
ora sembrava mezza addormentata: gli ricordava una sua anziana zia
(brontolava uguale), che era morta come tutti quella notte. Rammentava
che suo fratello ogni tanto sbrigava qualche commissione per lei,
‘è una buona donna’ gli aveva detto una
volta.
Forse perché gli ricordava quella vecchia zia, forse
perché gli aveva risvegliato quel ricordo di Itachi, o solo
per poter indugiare ancora un poco in quel frammento di
normalità, così raro, ormai, per lui,
aprì l’enorme valigia ed iniziò a
tirare fuori le cose per sistemarle in cima al tavolo come gli spiegava
quella tiranna, deciso a filarsela il prima possibile.
Nel frattempo si era tolto il mantello, tanto dubitava che quella
potesse riconoscerlo, e poi non ci vedeva neppure tanto bene.
Piazzò tutti gli oggetti ‘che
non erano dei vestiti’ in un angolo, come gli aveva detto
lei, ed iniziò a seguire le istruzioni sempre più
seccato e all’erta…dove cavolo stava perdendo
tempo, con il rischio di venire scoperto da un momento
all’altro!
Nel frattempo il gatto, davvero ciccione, era sceso dal grembo della
vecchia e stiracchiandosi aveva iniziato a studiarlo, per nulla
intimidito.
La vecchia se ne stava sempre seduta in poltrona ed ora lo squadrava
attentamente mentre gli indicava cosa fare, sempre con quel
c… di bastone.
- Dovresti tagliarti i capelli, ti vanno sugli occhi, come
fai a vederci bene? Però sei proprio un bel giovanotto
– borbottava nel frattempo – dovrei presentarti mia
nipote –
Gli ci mancava.
Nel frattempo la sensazione di allarme era come un continuo pizzicore
sulla nuca, e sapeva di dover andare, presto, subito.
- Quanti anni hai? –
- Diciassette…e mezzo.. – rispose
distrattamente.
- E mezzo! – ridacchiò lei - Sei proprio
un mocciosetto… anche mia nipote ha la tua età,
è una bella ragazza sai, ma è ancora
zitella…hai la ragazza? –
Silenzio.
- Allora? –
- Allora? –
- No – fu costretto a rispondere dopo un
po’, innervosito, i sensi sempre più
all’erta.
Sistemò un altro paio di maglie tra quelle scure (la vecchia
voleva che tutto venisse allineato per colore) mentre tentava di
concentrarsi per riuscire a recepire un’ eventuale minaccia.
- Scommetto che hai un bel po’ di ragazze in giro,
eh?! Ma prima o poi ti stancherai anche tu e vorrai
sistemarti…vorrei presentarti la mia nipotina, è
un fiore, davvero, e intelligentissima, ha chiesto libri di medicina
per Natale…così coscienziosa! Però
è sola, pensa ancora a quello là…ha
ancora quella vecchia foto, e ogni tanto si
intristisce…eh…non è stata mai
più spensierata da allora… – la
sensazione di pericolo era ora un ronzio incessante,
pressante…se solo fosse riuscito a concentrarsi, ma quella
continuava a parlare e per qualche motivo non riusciva a non ascoltare.
Iniziò a sudare.
Sentiva che doveva andarsene.
Il gatto gli saltò in braccio mentre se ne stava chinato per
frugare ancora nella valigia e gli fece fare un salto.
Gli ci volle tutto il suo sangue freddo per non attivare lo sharingan.
Doveva andarsene di lì.
Ora.
- Anche a Miao piaci! – che nome del… -
E’ un segno, non gli piacciono gli estranei! E sicuramente
fareste dei bambini molto belli…con quei begli occhioni neri
lì…eh…mi ricordi proprio la gente di
quel clan, gli Uchiha… - Sasuke si era sollevato di scatto,
irrigidito, un’assurda ondata di panico che lo paralizzava
– c’era quel bel ragazzo, ma così
bello…io lo vedevo passare ogni giorno dalla finestra, e gli
sorridevo, e lui a volte mi guardava…ero bellina eh!? da
giovane… ma lui era di quel clan importante ed io non ero
niente…però ancora lo ricordo… che
brutta fine hanno fatto! Ho pianto per giorni anche se erano anni che
non lo vedevo più ed ero già vedova da un
po’…e ho sempre pensato che ci fosse qualcosa
sotto, perché la versione ufficiale non era
granché…un ragazzino che impazzisce e riesce a
sterminare tutti da solo…e chi era mai? E poi
c’era quel Danzo che a me non l’ha mai raccontata
giusta, che ometto antipatico che era… a tanta gente non
piacevano, te lo dico io, per invidia, e paura perché erano
così forti…-
- Devo andare – interruppe quel soliloquio
sciogliendosi finalmente da quell’incantesimo.
- No…aspetta…ti faccio una cioccolata
calda! –
- No grazie, non mi piace – rispose brusco
afferrando il mantello.
- Non si dice non mi piace, si dice non ho fame! E poi
è impossibile che non ti piaccia –
blaterò quella tentando a fatica di alzarsi.
- Non ho tempo, devo andare – chiuse il discorso
infilandosi il mantello mentre si dirigeva alla porta.
- Almeno finisci di svuotare la valigia, la mia povera
vecchia schiena non si piega più come una volta! -
In fretta tornò indietro, prese quello che era rimasto in
quel c… di valigia, sempre più nervoso, e lo
gettò in malo modo in cima alle altre cose prima di
ritornare all’uscio.
- Passa uno dei prossimi giorni e ti preparo una buona
cioccolata, compro anche la panna… e non nascondere quel bel
musetto sotto al cappuccio, o come fanno a vederti le ragazze!
–
- A presto, mi raccomando! – si
accomiatò ancora mentre lui apriva quel c…di
porta, ormai esasperato.
- Beccato! – lo accolse Naruto che lo aspettava
lì fuori a braccia conserte, un ghigno gigantesco, e lo
stupido cappello da hokage di sghimbescio sulla testa.
Merda, lo sapeva.
- Non puoi fermarmi – gli sibilò.
- Oh, posso sì! -
Sasuke fece un solo passo indietro, sulle difensive, tentando di capire
cosa gli conveniva fare: come un animale in trappola calcolò
che l’hokage non avrebbe permesso che qualcuno si facesse
male, forse poteva sfruttare quella debolezza.
In quel momento la vecchia gli si era parata di fronte ed aveva
picchiato in testa Naruto con il suo bastone.
Lo diceva che era un’arma.
- Non minacciare il mio ospite! – lo
redarguì.
- Ma nonnina, sono l’hokage! – si era
messo a piagnucolare l’altro massaggiandosi il bernoccolo.
- Me ne infischio! Kizachi! – aveva esclamato poi
alla volta di un tizio con i capelli…rosa? che stava
sopraggiungendo – fa qualcosa, lo vogliono arrestare!
–
- Chi? Cosa? –
- Non voglio arrestarlo! –
- Non raccontare frottole a me, giovanotto! –
- Mamma, metti giù il bastone! – si
intromise l’uomo.
- Che c’è? – si era aggiunta
un’altra voce femminile.
E lui avrebbe dovuto approfittare di tutto il trambusto e svanire, ma
il suono di quella voce lo aveva bloccato lì sulla soglia,
ed era stupido, non aveva senso sprecare quei secondi preziosi solo per
vedere se lei…
- Sakura, la nonna nascondeva in casa un crimi… -
- Sasuke! –
Sakura lo aveva guardato un momento stupefatta prima di farsi largo a
spintoni e buttarsi al suo collo, cogliendolo di sorpresa e facendolo
cadere ignominiosamente a terra con lei sopra.
- Sei tu! – esclamava in lacrime stringendolo e
baciandolo un po’ dove le capitava – Naruto ti ha
sentito un attimo oggi ma poi sei svanito! Era dalla fine della guerra che
non ti sentiva, pensavo…temevo
che…Sasuke…ti abbiamo cercato
tanto…avevo tanta paura – e poi gli
aveva afferrato il volto per baciargli ancora il naso, e le guance, in
lacrime – ma sei tu! Sei vivo!– e per finire gli
aveva baciato le labbra, con violenza.
- Sakura! – li aveva riscossi la vecchia
– non si fanno queste cose in pubblico! –
Lui aveva sentito una puntura al collo e aveva perso conoscenza.
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Solo un appunto: non so bene quale sia la loro età, ora, nel
manga, avrei voluto scrivere diciotto ma ho messo diciassette, e
potrebbe essere sedici...vabbè...dettagli.
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Capitolo 3 *** 3. Sakura e Sasuke ***
Eccomi qua
con la terza parte.
C'è il
confronto tra Sasuke e Sakura, per cui non è molto comico,
come potete immaginare.
Buona lettura!
3.
SAKURA E SASUKE
Sasuke era qui.
Quando Naruto
l’aveva chiamata per dirle che lo aveva
‘sentito’, non ci aveva neppure creduto.
E invece era qui, vivo.
Sasuke.
Le pareva ancora
impossibile e continuava a guardarlo, e guardarlo, aveva continuato a
guardarlo per tutta la notte, mentre lui dormiva, e spesso lo aveva
toccato, accarezzato, per assicurarsi che fosse vero, che non fosse un
sogno.
Sasuke era lì
e forse…forse non era più sola, forse non doveva
affrontare quella cosa da sola.
Ma questa era solo
un’illusione, la verità era che
l’effetto del narcotico che gli aveva iniettato era svanito
un paio d’ore più tardi, e subito dopo avevano
dovuto sedarlo di nuovo, non c’era stato altro modo, ed era
solo per questo che lui aveva dormito per buona parte della notte nella
stanzetta in più che la nonna usava una volta per lei (
quando ancora andava a trovarla spesso), e solo per questo ora era
lì, seduto accanto a lei, privo del proprio chakra
e… prigioniero.
Avevano dovuto legarlo,
era l’unico sistema, l’unico modo per trattenerlo
abbastanza per potergli parlare, ma la felicità di averlo
accanto a sé sano e salvo, di poter rivedere ancora una
volta i suoi occhi neri, era totalmente sopraffatta
dall’angoscia di vederlo così, incatenato alla
sedia, invisibili stringhe di chakra che gli impedivano di muoversi se
non con lentezza e fatica, lui che guardava di fronte a sé
come un leone in gabbia, abbattuto, infelice, disperato.
Era dalla fine della
guerra che lei e Naruto studiavano il da farsi, che a fatica, con
impegno, si dedicavano a Sasuke, al suo futuro, con l’intento
di riabilitare lui e il suo nome perché non ci fosse niente
che gli impedisse di tornare, e credevano ingenuamente di avere
sistemato tutto, di avere previsto e pianificato ogni cosa, e
invece…
Non era così
che aveva sperato di ritrovarlo, di rivederlo…di spiegargli.
Tuttavia era restata
lì, a casa della nonna, per tutto il tempo, decisa a
rimanergli accanto ad ogni costo. Si era allontanata da lui solo per
rispondere ai suoi che erano passati a mo’ di gendarmi a
controllare, come se avesse senso provare a controllare una figlia che
faceva la ninja di professione, che aveva combattuto in una guerra.
Aveva risposto
frettolosa alle domande ridicole di sua madre.
-
Sì, è Sasuke –
- E’
tornato per restare? –
-
No…non so… -
- Tuo padre mi
ha raccontato che lo hai baciato…ricordati di tutto quello
che ha fatto, non conti niente per lui, tienilo a mente…non
ricominciare…-
- Non
ricomincio –
Aveva risposto
meccanicamente, senza neppure ascoltare, e quando finalmente se ne
erano andati era tornata da lui, per tentare di fargli mangiare
qualcosa, invano: non mangiava, non beveva…non parlava.
- Non
è tenendolo prigioniero che si conquista un uomo –
aveva commentato la nonna.
Non sapeva cosa si fosse
aspettata mentre lo guardava dormire, mentre sperava, purtroppo, e
mentre stava lì a chiedersi se doveva dirglielo, se doveva
dirgli ‘quella cosa’.
Aspettava un figlio da
lui, avrebbe avuto bisogno di lui, aveva davvero bisogno di lui ora, e
come una stupida aveva pensato che dopo quell’ultimo incontro
ci fosse un legame, tra loro.
Stupida.
Non si era mai resa
così conto di essere sola, di essere destinata a rimanere
sempre sola.
Appoggiò il
bicchiere pieno d’acqua che gli aveva inutilmente offerto per
l’ennesima volta e lo guardò.
Naruto li avrebbe
raggiunti quanto prima, non appena si fosse liberato di alcuni impegni,
e dopo…dopo avrebbero trovato il modo per farlo ragionare, o
almeno era ciò che sosteneva lui, ma ci avevano provato a
lungo quella mattina e ormai lei non era più sicura che ci
fosse un modo, no, non credeva che ci fosse un modo.
Sasuke voleva andarsene,
svanire di nuovo, e se c’era una cosa che Sakura aveva
imparato bene era che non gli si poteva impedire di fare quello che
aveva deciso di fare.
Mai.
In nessun modo.
- Ti liberiamo
presto, non preoccuparti – ripeté per
l’ennesima volta allungando la mano per toccarlo, ritraendola
subito dopo prima di farlo – non sei un prigioniero, non sei
più neppure ricercato, Naruto si è preso cura di
tutto…speravamo… - continuò quel
ridicolo monologo – …questa è casa tua,
e speravamo che il fatto di avere deciso di aprire tutti gli archivi
segreti, raccontare tutto, punire chi deve essere punito…
potesse sistemare tutto… speravamo che conoscendo queste
nuove condizioni volessi fermarti… –
Lui non parlava, non le
aveva detto una parola, ogni tanto la guardava come se non la vedesse e
a lei veniva da piangere.
- Questa
è casa tua – ripeté in un bisbiglio -
presto gli Uchiha potranno riposare in pace…non potresti,
anche tu…? –
Ma non serviva, lui non
parlava, lui neppure ascoltava.
- Scusa, so
che odi sentirti così - mormorò più a
se stessa che a lui – ti voglio tanto, tanto bene –
-
Bene… - aprì la bocca lui per la prima volta, e
suonava sarcastico, e stanco, troppo stanco – così
bene che una volta hai provato ad uccidermi con l’inganno, ed
ora mi hai abbracciato per potermi tramortire –
- Perdonami -
bisbigliò – quella…è stata
la cosa peggiore che ho fatto nella vita, non me la
perdonerò mai, ma lo sai bene questo, e pensavo fosse
chiusa, dimenticata, come io ho dimenticato tante, troppe
cose…ed in quanto ad ora…non avevo scelta, e non
ne sono pentita…almeno ci ho provato - si zittì e
tornò a guardare il suo profilo – Naruto vuole
parlarti ancora, e poi ti liberiamo, e…e potrai fare
ciò che vuoi, sei un uomo libero …e in quanto al
resto, lo sai che ti voglio bene, credo di avertelo dimostrato
–
- Pffh
– sbuffò lui tentando ancora una volta di
divincolarsi.
Si rese conto che non
sarebbero andati da nessuna parte con lui: al momento, semplicemente,
si rifiutava di ascoltare.
Forse…forse
avevano sbagliato, forse dovevano lasciarlo libero, forse in quel modo
non li avrebbe ascoltati mai, qualsiasi cosa dicessero…
invece magari dopo, più tranquillo, non costretto, ci
avrebbe pensato.
O forse no.
- Liberami
Sakura, liberami se mi vuoi bene –
Lei si guardò
le mani che si tormentavano come si tormentava lei, nei suoi pensieri,
e pensò al loro ultimo incontro, ai baci, alla tenerezza con
cui l’aveva accarezzata.
In qualche modo aveva
dimostrato che gli importava di lei, o almeno così aveva
creduto, no… ne era sicura, ma questo non significava che
sarebbe rimasto, che gli importasse abbastanza, e non capiva come
avesse potuto illudersi ancora.
Stupida.
Non sarebbero arrivati a
niente, lo sapeva, se neppure Naruto era riuscito a convincerlo finora,
non credeva ci fosse un altro modo.
Lo guardò
seduto come un animale in gabbia, furioso, disperato, e si
alzò di colpo.
- Mi
raccomando, muoviti lentamente per qualche minuto, e ricorda che ci
vorrà un quarto d’ora prima che il chakra ritorni
perfettamente normale – spiegò, Naruto si sarebbe
arrabbiato, ma non importava.
Gli tolse in fretta le
manette prima di cambiare idea, e iniziò a liberarlo dei
fili di chakra tentando di non pensare a quello che stava facendo.
- Ti chiedo
solo di ascoltarmi prima di andartene, devo dirti una cosa importante,
non volevo dirtela mentre eri legato –
Non appena libero si era
alzato di scatto, aveva vacillato ma era rimasto in piedi nonostante la
debolezza che le restrizioni del chakra gli avevano procurato, ed era
così da lui questa capacità di rimanere in piedi,
dritto, nonostante tutti i colpi, tutti i pesi che sopportava, che due
lacrime le erano scese dagli occhi.
Rimani in piedi,
incrollabile nonostante tutto, ho bisogno della tua forza, ne ho
bisogno, si disse, ma lui era già alla porta, e Sakura
guardò le sue spalle pensando che alla fine si ritrovavano
ancora lì, allo stesso punto, all’infinito.
Farò da sola,
si disse allora, e si rese conto che non era neppure delusa, che non si
era mai aspettata altro, o di più.
Una parte di lei aveva
sempre saputo di essere sola.
- Cosa devi
dirmi? – si fermò invece lui, senza aprire la
porta che lei aveva chiuso, più che altro per impedire alla
nonna di intromettersi.
Aspettò che
si riavvicinasse a lei senza sapere bene cosa fare, cosa dire.
Era tutta la notte che
ci pensava.
Doveva dirglielo? Era il
padre, aveva diritto di saperlo, ma…
Come l’avrebbe
presa?
Cosa avrebbe fatto?
Non lo sapeva, poteva
arrabbiarsi, poteva reagire in qualsiasi maniera, anche assurda, non lo
sapeva.
E
se…se fosse rimasto? E se fosse stata l’unica cosa
che poteva farlo rimanere?
Ecco…La
verità era che nonostante avesse sognato di dirglielo, di
sistemare ogni cosa dicendoglielo, sotto sotto non aveva
mai pensato di farlo, non veramente.
In parte aveva paura, e
in parte, anche, non voleva che lui rimanesse con lei solo per quello,
che si sentisse ricattato.
Avrebbe voluto dirglielo
dopo, quando lui avesse deciso di restare, avrebbe voluto essere
sufficiente lei per quello, ma dentro di sé aveva sempre
saputo di non esserlo.
Non lo era mai stata.
Sasuke ora era di fronte
a lei e la guardava, sembrava calmo, e forse avrebbero dovuto lasciarlo
libero immediatamente, forse avevano sbagliato completamente tattica; e
non solo ora, da subito, da quando avevano continuato ad inseguirlo per
provare a riportarlo indietro senza il suo consenso.
Da quando avevano
tentato di fargli fare quello che volevano loro, di manipolarlo, come
tutti gli altri.
- Posso
chiederti una cosa prima? – e dato che lui non rispondeva, ma
neppure se ne andava, continuò - …il fatto che
costruiremo una Konoha diversa, anche con te se ci sarai, non
è proprio niente per te? –
Lui aveva esitato un
istante.
- Al momento
non è abbastanza –
Una risposta semplice,
chiara. Non era abbastanza, come non lo era lei, come non era mai stata
abbastanza lei.
- Forse, un
giorno –
Un
giorno…forse…
Lui non era uno da vaghe
promesse, non diceva così per dire, mai, e in quel modo
nebuloso la sua poteva sembrare davvero, quasi, una promessa.
- Ti
aspetterò – mormorò
d’impulso, scontenta di sé per la sua debolezza,
eppure, in fondo, rassegnata.
-
Perché? Non è giusto, non devi sacrificare il tuo
tempo ad aspettare, non voglio –
- Ma lo faccio
lo stesso, per te – ammise continuando a guardarlo, la mano
che si sollevava per toccarlo e ancora una volta non osava –
perché tu sappia che qui c’è qualcuno
che ti aspetta…non è abbastanza ma è
qualcosa…forse un giorno sarà abbastanza
–
Lui si era avvicinato e
le aveva sollevato il mento.
Le aveva baciato gli
occhi velati di lacrime, e poi le labbra, e l’aveva guardata
con un calore che era lo stesso che le aveva riservato quel giorno,
quando si erano incontrati e avevano fatto l’amore, un calore
che le diceva che gli importava, anche se non abbastanza, mai
abbastanza.
- Se dovessi
decidere di fermarmi da qualche parte, sarebbe qui, con
te…lo sai –
Lo sapeva, solo che
questo in realtà non era abbastanza, neppure per lei.
Lui si scostò
e la guardò in attesa, ed adesso avrebbe dovuto dirglielo,
ma non aveva più parole, neppure una, provava solo
un’angoscia profonda, e tristezza, così tanta
tristezza.
- Cosa volevi
dirmi? – le chiese apertamente.
La scrutava attento,
pronto ad ascoltare ora, e lei pensò che davvero era stato
stupido tenerlo prigioniero, e poi si disse che probabilmente lui
credeva che quello che voleva dirgli non fosse niente, forse le solite
frasi, la solita dichiarazione d’amore.
Eppure rimaneva
lì ad aspettare, ad aspettarla.
-
Niente…niente, non importa – sussurrò.
- Dimmelo
adesso, Sakura, avevi detto che era importante, e potrebbe essere la
tua ultima occasione –
Già, la sua
ultima occasione.
-
Non… so se lo vuoi sapere – chiarì, la
voce che le si incrinava appena, e le dispiaceva per quello,
perché si era ripromessa di non piangere, e come al solito
non c’era riuscita.
Guardava a terra ora,
agitata.
- Se
c’è qualcosa da sapere, non nascondermelo, mi
hanno sempre lasciato all’oscuro di troppe cose,
tutti…non voglio più essere tenuto
all’oscuro, voglio sempre sapere –
Sì, lo
capiva, aveva ragione, ed era giusto che sapesse, lei non voleva essere
come tutti gli altri.
Alzò la testa
e lo guardò con tutta la forza che riusciva a racimolare, il
cuore che batteva forte.
- Sono incinta
– fece uscire in fretta.
Tutto qui.
Lui l’aveva
guardata senza capire per una frazione di secondo, poi
l’aveva fissata sbalordito, infine agitato.
Avrebbe voluto che
l’abbracciasse ora, solo quello, poi poteva andarsene dove
diavolo voleva, ma almeno un abbraccio, almeno quello…
-
Cosa…chi è il padre? –
Per un momento si
sentì morire, e forse era per quegli ultimi mesi di angoscia
e paura, o per tutti quegli anni spesi ad amarlo nonostante tutto, ma
una rabbia potente, incontrollabile, aveva sovrastato le altre sue
emozioni, e gli tirò uno schiaffo.
Non un pugno, non
meritava neppure un pugno, solo un schiaffo, così forte che
il volto di lui si era girato.
- Vattene
– sibilò disgustata mentre lui si portava la mano
alla guancia – vattene via, preferisco arrangiarmi da sola
–
Si voltò
dall’altra parte ignorando le lacrime di rabbia, di
delusione, che le scendevano sulle guance, pentita di avere parlato.
Che…che
stronzo.
Non riusciva a pensare
ad altro se non a quanto fosse bastardo per avere solo pensato che...
- Vattene via
– ribadì, ed aspettò davvero che lui se
ne andasse, perché in quel momento non voleva più
vederlo, non voleva vederlo mai più.
Non c’era
stato un suono, un rumore, ma ormai lui doveva avere riacquisito tutte
le sue capacità e sicuramente se ne era andato,
sì, ne era sicura, lo conosceva.
Lui se ne andava sempre.
Un minuto dopo, o
un’eternità, non sapeva, si voltò.
Sasuke era ancora
lì, e la guardava incerto, forse anche un po’
spaventato, probabilmente senza la più pallida idea di cosa
fare.
- Sei ancora
qui? – gli chiese amara, osservando soddisfatta che la pelle
bianca del suo bel viso mostrava il segno rosso delle dita.
- E’
mio figlio – mormorò lui, e pareva davvero scosso,
nervoso.
- E di chi
pensavi? – replicò sarcastica.
- Potevi
…avermi dimenticato –
Idiota.
–
Comunque non cambia niente – gli fece – io non ti
chiedo niente, non voglio niente –
- Mi
fermo… - le spiegò, come se non gli avesse appena
detto che non lo voleva - qualche giorno – precisò
più deciso – devo…pensare –
- Fa quello
che vuoi – gli rispose stanca, e si avviò lei alla
porta.
Era davvero stanca, e in
quel momento non sopportava più la tensione costante che lui
rappresentava.
Non faceva bene al
bambino.
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Capitolo 4 *** 4. Sasuke ***
Allora…non
so se avete ammirato la mia fantasia e genialità
nell’intitolare i vari capitoli (è ironico se non
si è capito).XD
Per quanto riguarda il prossimo ed ultimo capitolo, non sono sicura di
farlo uscire lunedì perché mi fa davvero schifo e
devo renderlo almeno decente, ma alla peggio peggio lo posto
giovedì, soddisfatta o meno, non intendo tirarla per le
lunghe.
3.
SASUKE
Sasuke era a Konoha ormai da una settimana e al momento si trovava
piegato sotto il lavello della cucina per tentare di aggiustare quel
maledetto rubinetto.
In quei giorni la vecchia gli aveva fatto fare di tutto, dal cucinare
allo spolverare i lampadari, e onestamente non capiva bene
perché fosse rimasto lì invece di andarsene in
albergo, o a dormire all’addiaccio, o a casa di Naruto (no
quello mai).
Il fatto era che si trovava lì solo da una settimana, e
già gli pareva di essere lì da sempre:
forse era la vecchia che assomigliava a quella zia, o magari il gatto
che gli ricordava i gatti ninja che appartenevano alla sua famiglia, o
forse era Naruto che passava ogni due secondi a trovarlo e gli
continuava a rompere i coglioni, o qualcosa nell’aria, non
sapeva.
Quel cazzo di rubinetto non si voleva aggiustare, ed attivò
lo sharingan tentando di capirci qualcosa.
Bel modo del cazzo di usarlo, davvero.
Per l’ennesima volta si trattenne dall’incenerire
tutto, prendendolo come un esercizio di pazienza.
- Hai fatto? – gli domandò la vecchia
che nel frattempo era entrata in cucina.
- No –
- Ti preparo una cioccolata? –
- No! –
Lei non si era scomposta (non si scomponeva mai), si era messa ad
armeggiare attorno ai fornelli e aveva iniziato a parlare, come al
solito, e lui non aveva potuto fare altro che ascoltare.
Di solito gli raccontava qualcosa di quando era giovane, di solito
inutili episodi che lei trovava molto significativi ed istruttivi, e
spesso gli parlava di Sakura, di quando era bambina, o di come era
adesso, di quanto brava era.
Non lo avrebbe ammesso mai ma non gli dispiaceva poi così
tanto ascoltarla, forse perché a volte gli parlava degli
Uchiha, senza soggezione, né odio, senza paura.
Era una buona donna, in fondo, ed era tanto che lui non aveva a che
fare con un’umanità più semplice,
più vera, e forse, a frequentare solo gentaglia, aveva
dimenticato che esistevano questo tipo di persone, che esisteva davvero
un altro modo di pensare…di vivere.
Più limpido, più sano.
Per una frazione di secondo si chiese se anche lui…
Bah!
Nel frattempo era riuscito in qualche modo a fissare il tubo
decentemente e si era tolto da lì sotto.
- Bravo! – approvò la vecchia dopo avere
provato il rubinetto – adesso l’acqua va
giù di nuovo – e poi, mentre lui si sollevava
– te li taglio di notte questi capelli sugli occhi!
–
Che solo ci provasse.
- Eh! Che sguardo! Ma non mi fai paura, e neanche mi incanti!
– aveva continuato imperterrita – Lo so che ti
senti un guerriero, vi conosco voi ragazzini… ma non
c’è niente di disdicevole nello sturare un
lavandino, di solito me lo fa Sakura –
Le rispose con un grugnito e si passò una mano tra i capelli
che non permetteva a nessuno di toccare, figuriamoci tagliarli.
– Ti ho preparato la cioccolata, bevila, stai ancora
crescendo, hai bisogno di energie – gli intimò
intanto lei mentre si spostava verso la porta appoggiandosi al bastone
- Mi ricordi tanto quel bel ragazzo Uchiha… -
Lui diede un’occhiata alla tazza fumante appoggiata
sul bancone, pensando che l’avrebbe fatta sparire
giù per lo scolo dell’acquaio come tutte le altre
volte, fortuna che lo aveva riparato.
- E mi raccomando, non farti sfuggire la mia Sakura, ho visto
che le facevi gli occhi dolci - aggiunse quella del tutto a sproposito,
voltandosi a guardarlo un’ultima volta prima di uscire dalla
stanza – non ti vergognerai di farle la corte spero, una
ragazza ha bisogno di sentirsi un po’ desiderata! O magari
pensi di non essere capace? Sei un bravo ragazzo, basta che ti impegni!
–
Quella vecchia viveva in un mondo tutto suo, pensò mentre
iniziava a buttare via quel liquido nero che non assomigliava neppure
lontanamente alla cioccolata, non che quest’ultima gli
piacesse.
Si fermò perché Miao era lì che lo
guardava tutto speranzoso, e gli versò
quell’intruglio nella ciotola, non erano problemi suoi se
quello diventava ancora più ciccione.
E poi pensò a Sakura.
In quei giorni non l’aveva mai vista, ma aveva pensato
incessantemente a lei, e al bambino.
Un bambino.
Sarebbe diventato padre.
Lui.
Gli pareva ancora irreale.
La prima reazione era stata di paura, si era sentito in trappola, come
quando si era risvegliato prigioniero lì a Konoha.
Un figlio?
Come poteva? Lui non voleva debolezze, voleva essere
libero…libero da quelle catene che finivano sempre per
spappolare il cuore e cavare l’anima.
Libero da legami.
Solo.
Ed ora…
Sakura…un figlio.
Un altro Uchiha.
Aveva pensato, pensato, e aveva ancora pensato, aveva continuato a
sviscerare il problema, a considerare ogni possibile scenario, ogni
possibile azione, via di fuga, ma sapeva di non avere scelta,
perché non sarebbe scappato, non poteva scappare: avrebbe
affrontato la conseguenza delle sue azioni, come sempre.
Era una sua responsabilità e non si tirava mai indietro di
fronte alle proprie responsabilità, sapeva che il bambino
aveva bisogno di lui, era suo figlio, era un Uchiha, ed in quanto tale
aveva bisogno di protezione più di qualsiasi altro, troppa
gente avrebbe tentato di usarlo, lo sapeva bene, per esperienza
personale, e lui…lui non poteva permetterlo, non
l’avrebbe permesso.
Lo avrebbe protetto a qualsiasi costo, e restava solo da capire qual
era la linea d’azione migliore, e seguirla.
Probabilmente la cosa più ovvia sarebbe stata quella di
sposarla e mettere su radici.
Radici.
Famiglia.
Lui?
Sentì un brivido di paura attraversagli il corpo, lo stesso
brivido che provava quando era bambino, solo, e aveva paura che Itachi
tornasse e lo uccidesse, lo stesso di quando aveva visto per la prima
volta Orochimaru, e di quando aveva deciso poi di seguirlo.
Non era solo per Sakura (in qualche parte della sua mente, di quel
pezzetto di cuore che gli era rimasto, aveva sempre saputo che se ci
fosse stata una donna nella sua vita, sarebbe stata lei), era
l’idea di dipendere da qualcun altro, anche se solo per
condividere qualcosa: tutti i suoi tentativi erano sempre andati a
catafascio, tutta la sua vita era stata costellata di tragedie, di
disillusioni, di errori e atti estremi.
Come poteva illudersi di riuscire a vivere una vita normale, come tutti
gli altri, lui?
Lui che aveva ucciso il proprio fratello?
Un fratello che aveva ucciso i proprio genitori?
Perché era questo il suo passato, erano questi i suoi
ricordi, la sua vita…era questo lui.
Era questo che gli scorreva nel sangue.
Morte.
Tragedia.
Sakura non aveva la più pallida idea di quello che lui era,
di quello che lui portava, e un altro, qualsiasi altro, sarebbe stato
meglio per lei.
Ma ora c’era un figlio, suo figlio.
Loro figlio.
Quel giorno disse alla vecchia che usciva e si mise a vagare per il
villaggio, lungo le strade, a guardare la gente di Konoha, a chiedersi
se in fondo non poteva ricominciare a vivere lì, se con
Naruto come hokage non potesse essere tutto diverso, e se dopo
l’imminente rivelazione sugli Uchiha le cose sarebbero
davvero cambiate, se avrebbe potuto finalmente perdonare.
E perdonarsi, anche perdonarsi.
Se…se…
Può essere ancora la mia casa questa? O devo andarmene via,
portare mio figlio il più lontano di qui per crescerlo
libero?
Posso scegliere?
E Sakura?
Lei era la madre e non poteva ragionare come se fosse solo, non in
questo, e si rese conto che era talmente tanto che ragionava pensando
solo a se stesso, che non sapeva neppure come fare.
Quella notte aveva cercato la casa di lei (una volta la vecchia gli
aveva spiegato dettagliatamente dov’era), e quando le luci si
erano spente era salito fino alla finestra di quella che gli pareva di
avere capito fosse la sua camera.
Scassinò con facilità il debole infisso e
piombò dentro.
Era buio, e lei dormiva.
Nel vedere la sua sagoma rannicchiata sotto le coperte, piegata in
posizione fetale, all’apparenza così fragile,
così sola, sentì riemergere un vecchio istinto di
protezione.
Cosa doveva essere per lei, incinta così giovane di uno che
al massimo a volte la trattava con appena un po’
d’affetto e poteva sparire, di nuovo, da un momento
all’altro, come doveva essere pensare che probabilmente
avrebbe dovuto allevarsi un figlio da sola, un figlio che si portava
dietro un nome così ingombrante?
Per un momento si vergognò di se stesso.
- Sasuke – mormorò lei muovendosi un
poco, lo aveva sentito.
Si sedette sul bordo del letto, accanto a lei, ed aspettò
che lei si abituasse alla fioca luce delle stelle e lo guardasse.
Sapeva che non era più arrabbiata con lui, che lo aveva
perdonato per quell’ennesima ferita, lo sapeva
perché…lei lo perdonava sempre.
- Allora…cosa…cosa… - gli
mormorò ancora assonnata.
- Avrà bisogno di me – spiegò
sbrigativo.
Lei tirò fuori il braccio e strinse il suo, solo quello, e
intanto lo scrutava improvvisamente sveglia, attenta, come per capire
bene il significato di quella frase.
- E’ un Uchiha, correrà più
pericoli degli altri – le specificò.
- C’è un intero villaggio a proteggerlo
–
- Non basterà – lo sapeva, lo sapeva
bene.
- Non puoi portarlo via! - gli fece allora, agitata, e poi
guardò circospetta la porta – ci sono i miei di
là, dobbiamo parlare piano –
E infatti si era dovuto chinare per ascoltare l’ultima frase.
- Non ti permetterò di portarlo via –
gli bisbigliò con decisione –
c’è Naruto, mi arrangerò e… -
- Non intendo portarlo via –
- Allora… cosa… -
Lui era ancora chinato su di lei e poteva vedere i suoi occhi lucidi,
spalancati, così pieni di emozioni, di incertezza mista a
determinazione, e di speranza, anche di speranza.
- Se Naruto manterrà la promessa sugli Uchiha,
rimarrò –
Lei lo guardò ancora per qualche secondo indecisa, e poi gli
buttò le braccia al collo, stringendolo a sé.
- Grazie – gli sussurrò
all’orecchio – grazie –
Di cosa lo ringraziava, stupida.
- Sarà difficile per te - le mormorò
accarezzandole i capelli – forse più dura che
senza di me –
- No…no… - sussurrò lei
stringendolo così forte ora che gli faceva male (a volte
dimenticava la sua forza) – è tuo
figlio…nostro figlio… e almeno so che non sono
sola in questa cosa, che farai del tuo meglio, e lo farò
anch’io…non l’ho ancora detto a nessuno,
ero terrorizzata da questa… questa
responsabilità, avevo paura di non farcela, di non poter
essere una buona madre, è una cosa così
grande…ma ora sono più tranquilla –
- Tu? – domandò incredulo – tu
sarai un’ottima madre – era ovvio, era Sakura,
sapeva amare – e io ci proverò…no, ci
riuscirò… – si corresse – ci
sposeremo – aggiunse, era la soluzione più pratica
in fondo.
Lei si era staccata e lui si era sollevato, sorpreso che non lo
guardasse felice come aveva creduto, come forse in un angolino del suo
cuore nero aveva dato per scontato.
Invece lo fissava perplessa, dubbiosa.
- Non voglio sposarti –
- Credevo… –
- Non ora, non così, non perché sono
incinta – gli spiegò brevemente, decisa, e lui
pensò che non si era mai reso conto di quanto fosse
coraggiosa, e forte.
Di come fosse bella.
Rimase a guardarla ammutolito, incantato, e per la prima volta si
rendeva pienamente conto di quanto importante era sempre stato per lui
sapere che c’era, che lo aspettava da qualche parte, che
ancora credeva in lui.
Per quello aveva fatto così male quella volta in cui aveva
tentato di ingannarlo, perché lei, continuamente trascurata,
data per scontata o semplicemente ignorata, era sempre lì,
in qualche punto nascosto del suo cuore, sempre presente, vitale.
Qualcuno da cui tornare.
Una piccola luce nei suoi momenti più bui.
- Ti amo ancora, sempre – gli bisbigliò,
così piano che aveva udito appena, ed era quasi come se
avesse intuito quella sottile paura che faceva parte di lui, anche se
la seppelliva sotto montagne di rabbia, d’odio.
Più sicuro si sdraiò accanto a lei e le
baciò le labbra, e il volto, e presto scivolarono uno sopra
all’altra.
Sasuke si sollevò per togliersi la maglietta e riprese a
baciarla, lei che gli tirava i capelli (lei poteva), le mani di lui che
le accarezzavano lo stomaco, non più completamente piatto
come lo ricordava, e poi scendevano sulle sue curve morbide,
accoglienti.
- Sono… sono felice che tu mi ami – le
sussurrò, e forse, forse era una specie di dichiarazione
d’amore.
- Sakura? Sei sveglia? Mi pareva di sentire delle voci
–
Si sollevarono di colpo.
- E’ mia madre, vai… a domani
– lo congedò lei con un bacio.
E lui era svanito nella notte, la voglia di perdersi in lei che ancora
gli lasciava il respiro affannato.
Andò a dormire pensando a lei, non al passato, neppure al
bambino, o al suo futuro, alle sue scelte, ma a lei, solo a Sakura.
Prima di addormentarsi ebbe un unico, fuggevole, pensiero per gli
Uchiha, per la mamma, il papà…e per Itachi.
Resterò a Konoha, pensò, non lo faccio per te,
fratello, ma so che, dovunque tu sia, ne sarai contento.
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Capitolo 5 *** 5. Tutti ***
Allora...
Non ho riscritto tutto
daccapo come volevo inizialmente, ho solo sistemato qua e
là, sperando che sia almeno decente...in compenso nel
frattempo, ispirata da una recensione, ho scritto un altro capitolo,
per cui questo non è l'ultimo.
Il prossimo è
ambientato diversi anni più avanti, con loro più
adulti e maturi (e la loro prole), e dato che è
pressochè pronto lo farò uscire sicuramente
lunedì.
TUTTI
Erano passati venti
giorni ed era tutto deciso.
Era da un po’
che Sakura considerava la possibilità di andare a vivere da
sola, e questo era il momento adatto per affrettare le cose, dato che
non intendeva rimanere a casa ora.
Di conseguenza loro due
sarebbero andati a vivere insieme. Lei e Sasuke. Lei. E. Sasuke.
Non si sarebbero sposati
al momento, era stata irremovibile su questo, lo avrebbero fatto un
giorno, tra qualche anno, se lui glielo avesse chiesto ancora.
Se lo volevano ancora
tutti e due, e se lui lo voleva davvero.
Nel frattempo, subito
dopo quella notte in cui lui le aveva detto che sarebbe rimasto, aveva
finalmente raccontato ogni cosa ai suoi.
Era stata dura, sapeva
di deludere profondamente sua madre, e papà, il suo
papà sempre così buono e allegro: suo padre aveva
incurvato le spalle, sua madre si era irrigidita, ma in fondo avevano
incassato meglio di quello che aveva creduto.
- Possiamo
vederlo questo ragazzo? – aveva chiesto papà, la
mamma era momentaneamente a corto di parole.
E così, per
accontentarli, avevano organizzato un pranzo dalla nonna, visto che
Sasuke si trovava ancora lì (la nonna continuava a
trattenerlo con le scuse più improbabili e i lavori
più ridicoli).
Per poco,
perché avevano già trovato un alloggio in cui
andare a vivere, insieme, e lei…lei in realtà non
se ne rendeva nemmeno bene conto, le pareva di essere sospesa,
galleggiante in un sogno improbabile, e temeva solo di svegliarsi e
scoprire di avere immaginato tutto.
Sasuke era
lì, deciso a rimanere, ad aiutarla, a stare con lei, a
provarci.
Troppo bello per
crederci.
Troppo perfetto.
Una settimana prima
aveva raccontato tutto anche alla nonna, un giorno in cui mangiava
lì (era più lì che a casa), e pazienza
se Sasuke nel frattempo se ne stava teso e immobilizzato al suo fianco.
La nonna aveva
brontolato, e brontolato, sostenendo che avevano fatto tutte le cose al
rovescio, che un figlio doveva essere l’ultima, non la prima
cosa da fare, ed aveva aggiunto che era quello che succedeva con i bei
ragazzi, che ti incantavano, come se fosse tutta colpa di Sasuke e lei
non fosse in grado di intendere e di volere quando c’era di
mezzo lui, che a pensarci bene non era una cosa così
distante dalla realtà.
L’aveva anche
redarguita per non averlo detto prima, sostenendo che i pesi non
condivisi facevano male al cuore e al fegato (e come esempio aveva
tirato fuori uno dei suoi aneddoti), ed aveva avvisato Sasuke che lo
teneva d’occhio, ma a dire la verità non sembrava
né contrariata, né preoccupata, anzi, pareva
stranamente compiaciuta.
- Bene
– aveva concluso – almeno posso vedere un nipotino
prima di morire, e speriamo sia una bella bambina –
Dopodiché era
andata a farsi un riposino, provata da tutte quelle novità,
e loro due si erano chiusi nella camera in cui dormiva Sasuke, a fare
l’amore, come ogni volta che Sakura aveva un minuto libero.
Fortunatamente la nonna
era anche un po’ sorda.
E infine
l’aveva raccontato anche a Naruto (ormai non le importava
più di mantenere il segreto, anzi, voleva che lo sapessero
tutti), il quale subito si era mostrato contentissimo,
perché significava che Sasuke sarebbe rimasto e che adesso
erano tutti felici come piaceva a lui, però poi ci aveva
pensato e aveva improvvisamente deciso di picchiarlo, “quel
bastardo”, e le ci era voluta tutta la sua forza di
persuasione accompagnata da una buona dose di minacce (e un cazzotto)
per convincerlo a lasciare perdere.
Le veniva ancora da
sorridere al ricordo, buon, vecchio Naruto.
Intanto oggi
c’era il fatidico pranzo, in cui l’aspettava una
specie di resa dei conti, dato che dopo avergli dato la notizia non
aveva più avuto l’occasione di discutere molto
della cosa con i suoi, e sapeva che erano ancora scossi.
Ma al momento non
riusciva a preoccuparsi.
Entrò
dalla nonna per aiutarla ad apparecchiare, e sorrise a Sasuke che stava
maneggiando con il tavolo tentando di aprirlo per far posto a tutti, il
gatto seduto sulla sedia che lo guardava con un solo occhio aperto.
Conosceva quel tavolo e
sapeva che era difettoso, per cui corse ad aiutarlo prima che spaccasse
tutto, esasperato.
Amava alla follia
vederlo cimentarsi in queste incombenze domestiche.
Lo amava alla follia.
E si rendeva conto che
il suo amore per lui finora era stato monco, un amore a
metà, per quello le aveva procurato solo sofferenze, o
meglio, anche per quello, perché un amore a senso unico non
è completo, in un certo senso non è neppure
reale, non come quello che la faceva ridere di felicità,
ora, con lui.
Mentre sistemavano la
tovaglia, pensò che c’erano ancora tanti tipi
d’amore che doveva sperimentare con lui, come quello fatto di
cose quotidiane, di riti, magari anche di noia, o come quello di essere
due genitori.
Sperava di sperimentare
sempre con lui ogni tipo d’amore, perché, e su
questo non aveva dubbi anche se sembrava troppo presto per dirlo, anche
se erano appena agli inizi, lui era il suo grande amore,
l’amore della vita.
Apparecchiarono per sei,
era invitato anche il nuovo hokage che ormai capitava spesso da quelle
parti, nonostante la nonna preferisse spudoratamente Sasuke ed avesse
sempre da ridire su di lui.
La nonna aveva anche
voluto preparare da mangiare personalmente, quella testarda, e Sakura
era un po’ in pensiero (una volta era un’ottima
cuoca, ora…chissà che pasticci poteva combinare),
ma alla fine avevano dovuto lasciarla fare, appena tentavano di entrare
in cucina venivano cacciati in malo modo, tacciati di
‘intrigare’.
Naruto era arrivato in
anticipo e si era messo a mangiucchiare, spaparanzato sulla sedia, a
capotavola.
Nel frattempo parlava
con Sasuke.
- Potrei
metterti a capo degli AMBU, saresti perfetto, oppure preferisci fare
qualcos’altro, tipo
l’‘anziano’? Ma non sei anziano,
scordatelo…anche se sarai padre…no…se
ci penso che hai messo incinta Sakura ti spaccherei la
faccia… sei un bastardo di merda che… -
- Non si
dicono queste parolacce in casa mia! – lo redarguì
la nonna che era emersa dalla piccola cucina separata, spaventandolo a
morte – e non piluccare che dopo non hai più fame!
–
- Ha sempre
fame – l’aveva rassicurata Sasuke.
E nel sentirlo parlare
così, come se fosse a casa, come se si sentisse a casa, lei
aveva provato uno sproporzionato senso d’euforia.
Sasuke era a casa, era
finalmente a casa, non era un sogno.
Quando erano arrivati i
suoi il gatto era scappato di là (non sopportava la mamma,
lui e la nonna avevano gli stessi gusti), e si erano sistemati tutti in
tavola, lei di fianco al suo amore, che se ne stava seduto sulla sedia
come se non gliene fregasse niente (mentre aveva il fondato sospetto che
non fosse così, che fosse più nervoso di quel che mostrava), la mamma davanti a lei, rigida rigida, che guardava Sasuke
di sottecchi, il papà di fianco alla mamma, proprio di
fronte a Sasuke, che faceva qualche battuta, un po’
imbarazzato.
Il cibo non era eccelso
ma neppure così male, la nonna aveva cucinato se non altro
decentemente, a parte le patate bruciacchiate e il pollo
così stopposo che nessuno l’aveva mangiato, tranne
Naruto che spazzolava tutto.
- Allora
Sasuke – si decise ad iniziare suo padre dopo essersi
schiarito la voce, pungolato dalla mamma, ovviamente – penso
che capirai che siamo un po’ preoccupati per la nostra
bambina –
- Non sono una
bambina – sbuffò lei ( in realtà questo
era un goffo tentativo di distogliere l’attenzione da lui, non si sapeva
mai come poteva reagire sotto pressione).
- E invece
sì! – sbottò mamma – se fossi
matura e responsabile non saresti incinta, così giovane!
–
- Sciocchezze,
se è abbastanza grande per uccidere è abbastanza
grande anche per procreare – minimizzò la nonna,
forse solo per contraddire la mamma - durante la guerra si concepiscono
sempre tanti bambini, mi ricordo che… –
- Non ci
interessa! – la interruppe stizzita l’altra.
Si erano guardate in
cagnesco per alcuni secondi, e poi, quasi all’unisono, i suoi
avevano fissato Sakura (lei sospettava che di Sasuke avessero un
po’ di paura, non che non li capisse, al momento aveva
un’aria un po’ minacciosa), ed era tutto
precipitato.
- Ed ora
andate a vivere da soli? Non potete aspettare? – aveva
attaccato suo padre di punto in bianco.
- Come
sappiamo che non se ne andrà via di nuovo? –
questa era la mamma.
- Non ti stai
comportando con leggerezza? – la spalleggiò il
papà, cui sicuramente la mamma aveva fatto il lavaggio del
cervello in quei giorni – non abbiamo neanche avuto modo di
discutere le cose con calma! –
- Non ce
l’aspettavamo proprio, questo, da te, e dicci come possiamo
fidarci ora…ti sei dimostrata così immatura e
irresponsabile! –
- Mi sono
accorta del viavai notturno, non sono mica così rimbambita!
– tirò fuori del tutto a sproposito la nonna.
- Anche questo
Sakura? Non ti basta esserti fatta mettere incinta? Ecco
perché tornavi sempre così tardi! –
-
Be’ – si era intromesso Naruto –
più incinta di così mica può finire!
–
- A proposito
giovanotto, avrei delle rimostranze pubbliche sul tuo operato di
hokage, ci sarà un modulo per questo, no?! Perché
va punita questa cosa di presentarsi a casa di una povera vecchietta e
tentare di arrestare un suo ospite, e poi minacciare ripetutamente di
ucciderlo, un giovanotto così ammodo poi! –
Che era davvero il
colmo, tutto si poteva dire si Sasuke, ma che fosse ammodo proprio no,
e anche ora se ne stava seduto svogliatamente nella sedia con
l’aria seccata, per niente composto, come uno
cui…cui la mamma non aveva urlato per anni di stare
composto, ecco…
- Non cambiamo
argomento! – si intromise ancora la mamma – il
punto è che Sakura si è comportata da incosciente
e non posso fidarmi di lei, e tantomeno del ragazzo! –
- Non intendo
andarmene se è di questo che vi preoccupate, e Sakura non
è un’incosciente, la colpa è mia
– aveva chiuso il discorso l’interessato, con un
tono di sfida che non ammetteva repliche.
Per qualche secondo
c’era stato un silenzio di tomba mentre lei se lo guardava un
po’ commossa, e poi tutti avevano iniziato a parlare tra di
loro, ignorandoli.
Lei guardò la
mamma che replicava stizzita alla nonna e poi si sfogava come sempre
con papà, la nonna che contestava a gran voce, spesso a
sproposito, e ogni tanto le piazzava ancora un po’ di cibo
nel piatto e le faceva segno di darne anche a Sasuke, che avevano
bisogno di energie, Naruto che si serviva ancora quel pollo
immangiabile, non molto scombussolato dal trambusto.
E lei non riusciva
neppure ad arrabbiarsi come faceva di solito, le veniva da ridere.
Sasuke invece fissava un
punto indistinto davanti a sé e pareva corrucciato,
sicuramente infastidito, non si sarebbe per niente sorpresa di vederlo
alzarsi e andare via, e non sapeva se preoccuparsi; ma poi si era
voltato e l’aveva vista trattenere la risata, ed era scappato
una specie di sorriso anche a lui.
- Sono pazzi
– gli bisbigliò.
- Allora,
sentiamo, perché non vi sposate a questo punto? –
li interpellò subito dopo suo padre, con
quell’espressione bonaria che gli apparteneva più
di quella arcigna di prima.
- Sono io che
non voglio, è troppo presto – spiegò
lei allungando una mano ad afferrare quella di Sasuke sotto il tavolo.
Lui
gliel’aveva stretta un momento tra le dita prima di
scostarla, e a lei bastava quello.
- Vedo che
avete deciso tutto ormai – sospirò la mamma, ma
pareva più rassegnata che arrabbiata – speriamo
vada tutto bene, se non altro mi sembri felice – concluse con
una specie di riluttante benedizione.
- E’ proprio
una sciocchezza questa di non sposarsi – aveva borbottato
invece la nonna, quella traditrice – intanto fatti sposare,
poi c’è sempre il divorzio –
- Nonna!
–
- Meglio
accaparrarsi subito i migliori – ribadì
l’altra imperterrita - dopo restano solo le scartine e
bisogna accontentarsi. Tuo padre si è sposato tardi
e… - Sakura aveva trattenuto il fiato - …e tutto
sommato non gli è andata così male – la
sorprese invece la nonna – guarda che meraviglia di nipotina
ha tirato su…be’, assieme a tua madre
anche…ma è meglio non sfidare la sorte –
- E’
per questo che sono così felice di essermi accaparrato la
mia Hinata! – quasi urlò Naruto, nonostante stesse
ancora masticando il pollo.
E su questo non
c’era proprio niente da dire.
E poi, finalmente, la
mamma si era alzata per andare a prendere il dolce che aveva portato, e
in qualche modo quel pranzo era giunto ad una conclusione.
Grazie al cielo.
I suoi se ne erano
andati ancora un po’ agitati, decisi a discutere ancora della
cosa in futuro, e lei rimase sola con Sasuke e Naruto, dato che la
nonna aveva detto che si sdraiava un momento, e che dovevano rassettare
tutto loro.
Probabilmente per questo
Naruto si era congedato poco dopo.
- Il mitico
team sette è ancora insieme! – fece loro con un
ghigno, puntando il pugno in aria, prima di sparire nel nulla.
E lei si accorse solo
allora che nonostante tutto quel trambusto stava sorridendo da un
po’, di un sorriso beato, vero, sincero.
- Scusa per i
miei, sono figlia unica e sono un po’ troppo protettivi
– mormorò poi, mentre lavavano i piatti, e intanto
pensava che presto avrebbero lavato spesso i piatti assieme.
Chissà
perché la prospettiva le pareva così esaltante.
- Hanno
ragione – minimizzò lui – sono un
pessimo partito –
- Ed io che
credevo avessi ereditato tutti i beni degli Uchiha! –
scherzò lei.
Lui aveva sorriso appena
ed era rimasto un momento pensieroso.
- Sei un
medico – iniziò poi – non hai mai
pensato di abortire? –
- Un figlio
tuo? Non ti avrei mai fatto questo! – esclamò
senza pensare –…cioè, ho considerato
molte cose – tentò malamente di correggersi
– …non è che pensassi
che…–
- Non mi
avresti mai fatto questo? Cosa? – la interruppe lui, e
sembrava così tranquillo ora, così ben disposto,
che non poteva rispondere evasivamente.
- E’
un Uchiha – spiegò semplicemente – un
giorno, quando nascerà, avrai ancora la tua famiglia -
Lui si era voltato a
guardarla con uno strano sorriso e le aveva dato un colpetto sulla
fronte con l’indice, zittendola.
- Stupida
– le mormorò con tenerezza – hai pensato
più a me che a te stessa –
- Come sempre
– minimizzò lei.
-
Sì, come sempre – sorrise lui, lo sguardo per un
momento pieno di calore, colmo di qualcosa che assomigliava
tremendamente all’amore.
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Capitolo 6 *** 6. Dieci anni dopo ***
Ecco l’ultimo
capitolo, ambientato dieci anni più tardi (per un qualche misterioso motivo
se devo far saltare anni sono sempre dieci:D).
Lo dedico a Julia83, visto che se non fosse stato per lei che sperava di vedere il bimbo (o bimba) non l'avrei mai scritto!
DIECI ANNI DOPO
Sakura appoggiò la mano sul fianco per sorreggersi un
po’ la povera schiena, si sentiva una balena, una vecchia
balena gonfia, e questa era davvero l’ultima volta, poi
chiudeva bottega.
Non mancava molto, al
massimo una decina di giorni e presto quei due sarebbero usciti, ed
anche se le veniva male all’idea di dover star dietro a due
gemelli (già una creaturina urlante era sufficiente per
massacrarla) non vedeva l’ora, era proprio stanca di quella
pancia fuori misura.
Almeno uno dei due era
una femmina, grazie al cielo, non ne poteva più di vivere in
mezzo a maschi.
Guardò i suoi
due figli che facevano colazione: Itachi, il più grande, che
allontanava la ciotola con i pomodori e la teneva sollevata sopra alla
testa per impedire al piccolo di prenderla.
- Lasciane un
po’ anche a tuo fratello – lo redarguì.
- Ma sono
pochi e se li mangia sempre tutti! –
- Oggi li
ricompro – chiuse il discorso lei.
-
Ma… -
- Niente
ma…e tu stai composto, Akira –
Si sedette, a fatica, e
li guardò mangiare con un leggero sorriso: li amava di un
amore intenso, viscerale… e pensare che non le erano mai
piaciuti i bambini.
Ma loro due erano le sue
creature, le sue bellissime creature: avevano ambedue i capelli scuri e
scomposti del padre, Akira un po’ più lunghi di
suo fratello, e solo Itachi aveva gli occhi di un verde scuro che
tradiva irrevocabilmente il sangue Haruno. Avrebbe compiuto
dieci anni la settimana prossima ed era il più serio dei
due, soprattutto ora che stava attraversando una fase in cui voleva
dimostrare di essere grande e non voleva più abbracci o
coccole.
Akira invece era il suo
cucciolo di non ancora cinque anni, e con gli occhioni enormi e scuri
di suo padre guardava il mondo curioso e pieno di gioia. Se lo
coccolava e strapazzava continuamente, e le veniva male al pensiero di
non poterlo più fare quando sarebbero nati i gemelli,
sperava solo di non farlo soffrire, si era già sentita
abbastanza colpevole con Itachi quella volta.
-
Papà torna domani? – chiese Itachi.
- Dovrebbe, ma
sapete che con le missioni non si può mai dire –
- Tsk!
Papà è un Uchiha! – le aveva replicato
lui, con tutto l’orgoglio che un bambino della sua
età riusciva a metterci.
- E’
il più forte di tutto il mondo vero Itachi? –
-
Sì piccoletto–
- Non sono un
piccoletto! –
L’altro
aveva sorriso con sufficienza e poi gli aveva dato un colpetto sulla
fronte con l’indice, come aveva visto fare al papà
con la mamma.
Lei sentì i
gemelli muoversi dentro la pancia, si sta stretti là dentro,
eh?, pensò massaggiandosi il punto su cui uno dei due aveva
puntato con forza quello che doveva essere un pugnetto. Tutto sua madre.
- Posso fare
la strada con te? – ascoltava nel frattempo Akira chiedere al
fratello.
- No, vado con
i miei amici –
- Solo questa
volta! – lo pregava l’altro.
- Come mai
vuoi andare con tuo fratello? Non fai la strada con Kushina?
– la figlia di Naruto ed Hinata aveva la stessa sua
età ed abitava lì vicino.
Notò
divertita che lui diventava tutto rosso.
- Non ti
è simpatica? – insistette spietata.
- Kushina
mi…mi tremenda!
–
- Ti tremenda,
eh? – cercò di non scoppiare a ridere lei.
- Si dice
tormenta! –
-
Sì, mi tromenta!
– tentò invano l’altro.
- Cosa fa di
così terribile? – provò a chiedere
mentre tentava di mangiucchiare qualcosa anche lei, senza molto
appetito.
- Mi tocca!
– spiegò lui con un’aria disgustata
– E poi mi tira la manica e poi mi chiama sempre e poi vuole
sempre che la guardo e… -
- Le femmine
sono stupide – sentenziò Itachi – sono
sempre lì a tormentare i maschi oppure ti guardano e
ridacchiano! –
Già, la
grande maledizione dei maschi Uchiha, altro che mangekyou sharingan.
- E poi sono
deboli – concluse Akira, neanche non fosse lui quello che
arrivava a stento al tavolo, e se scopriva chi gli aveva messo in testa
quest’idea lo sistemava lei.
- Guardate che
anche vostra madre è una femmina! – li
redarguì – vi sembro stupida, o debole? –
- No!
– esclamarono in coro – anche lo zio Naruto ha
paura di te! – aggiunse Itachi ammirato, perché
nonostante l’aria adulta era ancora un bambino.
- Appunto
– sorrise compiaciuta – e ti accompagno io a scuola
oggi, Akira –
- Ma sei
lenta! – protestò lui – è
quel pancione grosso – spiegò subito dopo,
dispiaciuto.
- Sembro una
palla, eh?! –
–
Sì! E’ una palla grossissima! Sembra una pallona
gigantissima… ti pesa? –
- Un
po’, ma manca poco e arriveranno i vostri fratellini, tra cui
una femminuccia che dovrete amare e proteggere, non perché
è una femmina – si corresse imprecando tra
sé, era faticoso parlare sempre con attenzione –
ma perché è piccola –
- Una rottura
in più – borbottò Itachi mentre si
alzava dal tavolo e portava il piatto e la tazza nell’acquaio.
- La proteggio io!
– esclamò invece Akira, tutto volonteroso.
- Si dice
proteggo! E la proteggerò io, piccoletto, come proteggo
anche te – gli fece Itachi scompigliandogli i capelli, come
se non fossero già scompigliati abbastanza di natura (tutto
suo padre) – lo accompagno io mamma, non occorre che vieni
tu, so che fai fatica a muoverti –
Le venne giù
una lacrima di commozione ( gli ormoni la stavano facendo impazzire),
ma riuscì abilmente ad asciugarla prima di farsi vedere dai
suoi marmocchi, che non si preoccupassero.
- No, mi fa
bene camminare, e poi devo comunque andare a trovare la bisnonna, per
cui non è un problema – chiuse il discorso lei.
- Posso venire
anch’io? – esclamò speranzoso Akira
mentre scendeva dalla sedia troppo alta per lui.
- No, devi
andare a scuola, ma sicuramente mi darà del cioccolato per
te e per tuo fratello –
- Il
cioccolato è roba da bambini – sbuffò
Itachi.
- Allora lo
mangio tutto io! –
- No,
è mio –
-
Ma… -
- Ognuno
avrà il suo – chiuse il discorso Sakura
– Il piatto! – fece poi.
- Scusa mamma!
– e il suo cuccioletto si affrettò a
recuperare piatto e tazza dal tavolo per depositarli, miracolosamente
illesi, dentro all’acquaio anche lui.
Poco dopo Sakura era
lì che sbuffava e tentava di camminare un po’
più veloce mentre Akira correva avanti per paura di arrivare
in ritardo.
Fu così che,
da dietro, poté assistere all’assalto di Kushina
che sbucava fuori da un cespuglio e si gettava, letteralmente, addosso
al suo Akira urlando qualcosa sul suo vestitino, di un arancione che
faceva a pugni con i suoi capelli rosso scuro.
Pareva
convinta di essersi fatta bella per il suo bambino, quella
smorfiosetta.
Riuscì a
trattenere la risata prima che quest’ultima si accorgesse di
lei e si irrigidisse.
- Ciao zia
Sakura – mormorò poi, e si mise a camminare
più composta di fianco a suo figlio.
Non le dispiaceva di
incuterle un po’ di timore, nessuno toccava i suoi bambini,
neanche la figlia di Naruto, o soprattutto la figlia di Naruto, le
avrebbe detto Sasuke, che chissà dov’era e se
sarebbe tornato in tempo a casa come promesso.
Continuò a
camminare ascoltando la bambina che chiedeva delucidazioni
sull’evoluzione di quella pancia gigantesca, quasi avesse
potuto esplodere da un momento all’altro, poi quei due
avevano iniziato a parlare del fratellino di Kushina, o meglio, era
solo la bambina che parlava, parlava, parlava…e ogni tanto
prendeva Akira per la manica, facendolo arrabbiare.
Forse doveva parlare a
Naruto e dirgli di insegnare l’educazione a sua figlia, e
dato che c’era poteva intimargli di smetterla di mandare suo
marito a svolgere tutte quelle missioni pericolose.
Li lasciò
davanti alla scuola e si avviò, a fatica, verso casa della
nonna, le pareva davvero di essere lì lì per
esplodere ed onestamente non ne poteva più di questa
goffaggine, non faceva per lei e non poteva neppure permettersela.
Entrò in casa
senza suonare, la nonna come al solito lasciava la porta aperta, e Miao
sollevò appena un occhio per guardarla, era vecchio e se ne
stava tutto il giorno acciambellato in poltrona a dormire.
Nell’altra
poltrona sedeva la nonna, anche lei con un’età
considerevole ormai, un’età che raramente
raggiungevano i ninja (non poté fare a meno di pensare a
Sasuke), e si muoveva sempre più a fatica, sempre con il
solito bastone.
Ci vedeva anche male, ed
era decisamente sorda.
- Ciao nonna!
– urlò.
- Non occorre
che urli, ti sento! –
Non si rendeva affatto
conto di essere sorda.
-
L’hai preparata? – le chiese allora, sempre con un
tono di voce abbastanza alto.
-
Sì, sì –
L’aiutò
ad alzarsi (tra l’una e l’altra doveva essere uno
spettacolo vederle) e insieme raggiunsero la cucina.
- Sicura di
ricordare la ricetta? –
- Eh?
–
- Ti ricordi
bene la ricetta? – le ripeté a voce più
alta.
- Non sono
mica rimbambita! – le replicò offesa
l’altra – E poi l’unica cosa essenziale
è l’ingrediente segreto, e quello lo ricordo bene
–
La nonna preparava una
speciale tisana che faceva miracoli: la bevevi e partorivi
immancabilmente entro due giorni, era per quello che Sakura si trovava
lì.
Era composta di erbe
comuni, innocue, più un ingrediente segreto che la nonna non
le aveva mai rivelato.
- Sicura non
sia presto? – le chiese la nonna mentre lei prendeva la tazza
dallo scolapiatti e si versava una dose abbondante di
quell’intruglio dalla teiera sbeccata che si trovava ancora
fumante accanto al fuoco.
- No no, i
gemelli nascono prima degli altri bambini, e io non ne posso proprio
più, un altro giorno e impazzisco –
- Fortuna che
una è una femmina – commentò
l’altra - i maschietti sono tanto bellini ma sono inutili
–
La nonna aveva idee
tutte sue.
- E’
più potente questa volta – le spiegò
poi – Ho messo il doppio della dose
dell’ingrediente segreto, potrebbero nascere subito, prima
che tuo marito torni, va bene che in quanto maschio è
inutile, però è tanto bellino… attenta
che non te lo rubino tutte quelle smorfiose che ci sono in
giro…è pericoloso sposare il ragazzo
più bello del villaggio, te l’avevo detto
–
– A
dire la verità mi hai sempre detto che ero fortunata
– le fece notare lei.
- Davvero?
Be’ be’, comunque sta attenta lo stesso, non
abbassare la guardia –
Sakura
sorseggiò la tisana mentre ascoltava i vaneggiamenti della
nonna, e intanto pensava a Sasuke.
Di solito tornava in
anticipo, per cui era in ritardo anche se non lo era davvero, e una
leggera ansia che credeva di avere vinto da tempo le faceva corrugare
la fronte e le appesantiva lo stomaco.
Come se non bastasse
tutto quel peso.
Non sopportava
l’idea che se lui avesse avuto bisogno di aiuto non avrebbe
potuto far niente in quelle condizioni.
Non vedeva
l’ora di partorire, e ancora di più non vedeva
l’ora che lui tornasse.
- Spero che tu
la smetta di sfornare figli adesso che avrai la femminuccia –
si congedò la nonna dopo che lei si era alzata a fatica
dalla sedia.
Faceva più
fatica di sua nonna, era il colmo.
- Per
carità, questi sono gli ultimi, credimi –
ribatté incamminandosi alla porta.
- Se no glielo
dico io che deve smetterla di… -
- Sono stata
io a volerlo – la corresse lei ormai sull’uscio
– volevo che fossero tanti, che non fossero mai soli
–
- Sempre a
preoccuparsi per gli altri, la mia Sakura…tieni –
le fece porgendole un sacchettino con i cioccolatini per i bambini
– digli di venire a trovare la vecchia nonna ogni
tanto…dillo anche a tuo marito –
brontolò – to’, tieni anche questo
– era un pezzo di carta accartocciato.
-
Cos’è? –
- Ti ho
scritto l’ingrediente segreto, ma leggilo solo dopo che sono
nati –
- Va bene
– le sorrise lei, l’avrebbe messo nella borsa con
le cose per il parto e l’avrebbe letto subito dopo: era
curiosa.
Continuò a
sorridere anche dopo che si era allontanata, fino a quando non
ripensò a Sasuke.
Un paio d’ore
più tardi, stava tentando di riposare seduta sul divano,
sentì arrivare le prime doglie.
Ci siamo,
pensò, la tisana non fallisce mai.
Se solo ci fosse stato
Sasuke.
In alternativa
pensò di chiamare Naruto, ma aveva già il suo da
fare tra tutti quegli impegni e il terribile secondogenito,
così pensò a sua madre dato che la nonna era
troppo vecchia, no, la mamma no, la innervosiva di più
averla intorno, piuttosto Ino, ma doveva essere ancora via per quella
missione.
Si alzò a
fatica, sbuffando, e dopo aver preso la borsa che aveva preparato
già da giorni, camminò fino a casa della mamma
per chiederle se poteva andare a prendere lei i bambini e portarseli a
casa sua.
Trovò solo
suo padre che rispose di sì entusiasta, adorava i suoi
nipotini.
- E’
ora? – le chiese.
- Speriamo
–
Quando si
congedò lo pregò di non spedirle dietro la mamma
che l’agitava ancora di più invece di aiutarla, e
gli ricordò di comprare dei pomodori per i bambini.
Nel frattempo, mentre
camminava sempre più a fatica, sentiva che le contrazioni
diventavano più frequenti, era meglio entrare in ospedale
prima di scodellarli per strada, e ormai, alla terza volta, era una
passeggiata, o meglio, una seccatura da espletare prima di avere il
suo…no, i suoi due fagottini urlanti.
Se pensava a tutta
l’agitazione provata alla nascita di Itachi! Fortuna che
allora Sasuke era lì con lei, a tenerle la mano, altrettanto
agitato sotto l’aria sicura.
Questa volta
entrò in ospedale da sola, la sua borsa in mano e la schiena
a pezzi, e salutò ridendo una sua amica che le diceva che
era troppo di buon umore perché fosse già ora.
Poco dopo, mentre era
sdraiata sul letto, le contrazioni sempre più forti,
pensò che forse, se ci fosse stato qualcuno con lei, sarebbe
stato meglio, non era per il dolore, era una kunoichi ed era abituata
al dolore fisico, era…era che stavano per nascere i suoi
bambini, ed anche se non erano i primi era una cosa così
grande.
Quando infine era
entrata in sala parto, con le prime spinte le era scesa anche una
lacrima, che idiota.
L’importante
era che andasse tutto bene, e che lui tornasse presto a casa sano e
salvo.
- So che fa
male, ma devi sforzarti di spingere di più – le
fece con dolcezza l’ostetrica, una donna che non conosceva
molto bene, come se lei non fosse un ninja, e un medico, e avesse
bisogno di essere blandita.
Stranamente infastidita
si sforzò di ignorare il dolore e spingere, altre lacrime
che le scendevano dagli occhi e la infastidivano ancora di
più perché lei era forte e…
Nonostante
esistesse solo il suo corpo che spingeva e tutto il mondo al di fuori
fosse come attutito, sentì la porta aprirsi e subito dopo
Sasuke era accanto a lei, che le teneva la mano, ed anche se in quanto
maschio era inutile al momento, gliela strinse con tutte le sue forze e
si mise a spingere con più foga.
Era lì sano e
salvo, accanto a lei.
Subito dopo
sentì il primo vagito.
Bene, si disse spossata,
ed uno, ma non poteva rilassarsi, non aveva ancora finito questa volta,
e si sforzò di spingere ancora ripetendosi che presto
sarebbe finita.
Ancora poco.
Resisti.
Nel frattempo credeva di
avere stritolato la mano di Sasuke.
In un tempo dilatato,
infinito, aveva spinto ancora, ormai allo stremo, ed era uscito anche
l’altro.
- E’
una bella bambina – sentì l’ostetrica
mormorare a Sasuke, e subito dopo erano tutti e due lì,
ancora sporchi di sangue e liquido amniotico, tra le sue braccia, un
momento prima che glieli portassero via, due piccoli ragnetti
orribili…bellissimi.
Guardò Sasuke
che li prendeva in braccio a sua volta e li guardava un po’
commosso, anche lui, di fronte al momento irripetibile in cui quelle
nuove vite venivano alla luce e diventavano reali, importanti,
imprescindibili.
Poco dopo si
alzò nonostante le proteste dell’infermiera e
chiese a Sasuke di aiutarla ad andare in bagno.
Infine prese armi,
bagagli, e figli, e si fece portare a casa da lui: era un medico, col
cavolo che rimaneva lì dentro più del necessario.
Il mattino dopo era
sdraiata a letto, nel suo letto, con due cuscini che la tenevano
sollevata e due culle gemelle a fianco.
Si sentiva a pezzi e
assonnata, ma ascoltò Itachi e Akira che guardavano i nuovi
acquisti della famiglia e commentavano.
- Sembrano due
ranocchi, vero Itachi? –
- Abbastanza
–
- Siamo sicuri
che questo è una femmina? Mi sembrano uguali –
- Non ha il
pisello, piccoletto –
-
Ah…comunque io li proteggio
mamma –
- Li
proteggerò anch’io – concordò
Itachi, solenne.
- Li
proteggeremo io e la mamma – intervenne Sasuke che era
entrato in quel momento dalla porta – e proteggeremo anche
voi due…ora andate di là, ho preparato la
colazione e se ti sbrighi, Akira, ti accompagno fino a scuola
–
-
Sì! – esclamò lui, entusiasta
all’idea di esibire il suo papà di fronte ai
compagni.
- Poi vengo
fino all’accademia con te – aggiunse Sasuke rivolto
ad Itachi che stava uscendo con calma, a differenza di suo fratello che
era già di là.
- Va bene
– rispose quello, ostentando un’indifferenza
tradita dagli occhi che brillavano.
Dopo che i bambini erano
uscito dalla stanza lui aveva appoggiato un vassoio sul comodino.
- Tu riposati,
ti ho portato qualcosa da mangiare –
- Sai che odio
fare la colazione a letto, e poi sarai stanco anche tu, sei tornato da
poco e non hai chiuso occhio stanotte –
E magari aveva qualche
ferita che le stava tenendo nascosta, non se ne sarebbe meravigliata.
- Smettila di
fare la dura, so che sei forte, non devi dimostrare niente –
le fece un po’ irritato, ma lei non poteva arrabbiarsi, non
con lui a casa sano e salvo.
Non aveva neppure la
forza di mettersi a discutere per cui obbedì e
mangiò in silenzio, anche perché tra poco
sarebbero arrivati parenti e amici a vedere i gemelli, e doveva essere
in forze.
Sasuke ogni tanto le
accarezzava i capelli, in un gesto di affetto che la commuoveva un
po’ (gli ormoni erano in pieno subbuglio), e rimase a
studiarlo per qualche secondo: era stanco anche lui, si vedeva, ma non
le pareva ferito, ed era assai bellino, aveva ragione la nonna, in
più non era così inutile per essere un maschio.
- Ero
preoccupata – confessò.
- Per un
po’ rimarrò a casa, ora – le fece
dandole un buffetto sulla guancia – riposati adesso, torno
presto –
- Mi fai un
favore prima di uscire? Dentro la tasca interna della borsa che ho
usato in ospedale c’è un biglietto, me lo porti? -
Lui si alzò
ed aprì l’armadio alla ricerca della borsa, la
trovò e tirò fuori il bigliettino.
- Me lo leggi?
– gli chiese.
-
C’è scritto ‘tanto
amore’…che significa? –
Lei sorrise e chiuse gli
occhi un momento.
–
Significa che l’amore può tutto –
sussurrò - non credi? –
- Non so
– le fece scettico – Ma so che senza il tuo amore
probabilmente sarei morto, o disperato, sicuramente solo –
- Sai una
cosa? – mormorò chiudendo ancora gli occhi, un
po’ più a lungo – Non mi hai mai detto
che mi ami –
- E
c’è bisogno di dirlo? –
- No, non
c’è – ammise lei mentre tentava di
riaprire le palpebre, a fatica – basta che tu ci sia
–
-
Comunque…ti amo –
- Non suonava
romantico come lo immaginavo, ma me lo farò bastare
– gli replicò sorridendo, gli occhi che non si
volevano proprio aprire, e forse era meglio accumulare sonno fino a
quando le sue due piccole ranocchie glielo permettevano.
Sentì appena
la carezza sulla guancia.
–
Sai… - bisbigliò a fatica – abbiamo
messo su una bella famiglia io e te, l’amore può
davvero tutto… e pensare che una volta ne ho dubitato
–
E sorrise ancora, prima
di arrendersi e cedere finalmente al sonno.
FINE
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Questa volta ho proprio finito.
Ringrazio tutte voi che avete seguito questa storia, spero vi siate
divertite (io sicuramente mi sono divertita a scriverla)…ci
risentiamo presto se continuo ad essere così in vena.
Nel frattempo ho iniziato la solita lemon, quella con maschio
dominante, sempre lei, ma non so proprio se riuscirò a
finirla D:, il problema maggiore al momento è fare arrivare
i due a quel
punto.
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