Oltre

di Hellen96
(/viewuser.php?uid=302906)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Oltre…

Capitolo 1
 
Bibibit – bibibibit... La sveglia stava suonando senza sosta. Con la mano schiacciai pesantemente il pulsante di arresto. Come era possibile che fosse già mattina?! Mi ero addormentata un secondo fa!
Ero rannicchiata sotto le coperte azzurre del piumino e non avevo alcuna intenzione di mettere piede, nel freddo della camera. Girai la testa emettendo un mugolio di protesta. Sarei rimasta a letto per tutta la giornata ma ahimé, dovevo andare e anche velocemente in quella farsa di scuola, o almeno così la chiamavano. Tutto aveva tranne che la somiglianza ad un edificio scolastico. Le mura cadevano a pezzi, l’intonaco grigio come la bava di un lama, cadeva a terra e li rimaneva a stratificarsi. Dei custodi si conosceva solo il nome, non li avevamo mai visti; presumo che sia per questo che nei bagni ormai intasati, nessuno si prendeva la briga di pulirli. A pensarci bene, non credo che esistono, i custodi.
Per non parlare dei professori che avrebbero avuto bisogno tutti di una terapia da uno psicologo. Rinchiusi per chissà quante ore in quel manicomio, finivano per diventare pazzi anche loro. Le lezioni, per così dire, erano tra urla e schiamazzi dei ragazzi ormai anche loro preda della sindrome del leone in gabbia. C’era chi saliva sui banchi e agitava il posteriore in modo indecente, chi urlava e sputava a terra, ignaro che l’indomani mattina sarebbe caduto scivolando sul suo stesso sputo.
Io del resto, volevo solo che le giornate passassero velocemente, così da tornare a casa e lasciarmi alle spalle quell’orribile ed in vivibile posto.
 Mi tirai su controvoglia, sbadigliando e aprendo le braccia per stiracchiarmi. Aprì gli occhi che incontrarono solo l’oscurità. Non amavo accendere la luce al mattino, perciò mi vestivo al buio con la conseguenza che ogni mattina, battevo una testata contro lo sportello dell’armadio.
Andai verso la sedia vicino alla scrivania e presi i primi vestiti in ordine di mucchio. Diciamo che non avevo una buona fama come “ragazza ordinata” e mia madre non perdeva occasione di ripetermelo. Indossai i jeans e una felpa nera, una delle centinaia di felpe nere che abitavano il mio armadio, e andai ad attaccarmi al termosifone caldo. Gli rimasi attaccata come una lucertola al sole per un buon quarto d’ora e nel fra tempo mi ero riaddormentata con la testa sopra la parte superiore. Fui riportata alla realtà da un bruciore sulla fronte. Sembrava quasi che avessi un pezzo di carne carbonizzato e persino l’odore me lo ricordava.
Spalancai gli occhi e cominciai a saltare sul posto battendomi la mano sulla fronte in fiamme. Che idiota, ti pare il momento di dormire! Mi ammonì da sola. La porta di camera era chiusa come sempre. Lo pretendevo, doveva essere chiusa altrimenti non riuscivo a dormire. Mi incantai a fissare la parte interna della porta. Negli ultimi tempi, andando contro a quello che mi diceva mia madre, avevo cominciato ad attaccare sulla superficie liscia, qualsiasi cosa mi passasse per la testa. Prendevo un foglio, scrivevo e lo attaccavo. Ogni tanto, come in quel momento mi imbambolavo a fissare la miriade di scritte. La mia attenzione però, quella mattina, fu attratta da un foglietto che avevo attaccato la sera prima. C’era scritto OLTRE a lettere maiuscole e le avevo colorate di verde, così istintivamente. Avevo deciso di attaccarla così che in alcuni momenti, mi sarei potuta voltare e guardarla e magari immaginare, di non mettere piede in quella scuola e scappare in un altro luogo oltre l’immaginabile. Naturalmente vagavo troppo con la fantasia, ma queste piccole cose mi davano un po’ di allegria nelle giornate invernali.
Stavo esitando troppo e guardando l’orologio sul comodino vidi che erano già le sette e mezzo ed ero in ritardo. A mal in cuore aprì la porta ma quello che mi trovai davanti non era il lungo corridoio che portava in soggiorno, non era il ritratto di mio nonno che mi guardava accigliato dalla cornice del suo quadro. No, niente del genere. Quello che mi trovai davanti era qualcosa che non conoscevo e che non avevo mai visto prima. O almeno non nella realtà!
La prima cosa che notai non fu, tramite la vista. Ero talmente abituata all’oscurità della mia camera, che l’improvvisa luce, mi costrinse a chiudere gli occhi. Un suono strano e innaturale come un gracchiare e fischiare insieme, davano uno strano effetto alla sinfonia che sentivo. Aprì gli occhi mettendoci qualche secondo ad abituarmi. Un’esplosione di colori mi si parò davanti. Alberi di ogni colore e dimensione, dal giallo intenso al verde del muschio, al marrone della corteccia degli alberi al rosso intenso del fuoco. Tutto in un unico insieme: una foresta. Ero ancora sotto l’asse della porta e mi voltai indietro. Davanti una quantità indefinita di vegetali e indietro la mia camera nera e senza vita.
Potevo fare una scelta: andare avanti o… cosa sarebbe successo? Avrei richiuso la porta e sari tornata nel mio mondo?! Perché certamente quella non era la mia realtà! Dietro l’anta della porta di camera mia, non c’era un bosco che sembrava prendere vita da un momento a l’altro riversando su di me creature che neanche conoscevo. Certo, posso tornare indietro e fare che cosa, andare a scuola? No, decisamente se potevo scegliere, avrei proseguito. In fondo chi mi garantiva che quello non fosse un sogno? Nessuno e tanto valeva provare e avere un po’ di coraggio.
Avevo deciso e con naturalezza feci un passo avanti. Dietro di me, la porta batté vigorosamente, scomparendo del tutto. Al suo posto non rimase nulla e il paesaggio si uniformò.
Mi guardai intorno alla ricerca di qualsiasi cosa che mi avrebbe indicato una direzione. Senza rendermene conto, dopo aver formulato nella testa il pensiero, un sentiero si allungo sotto i miei piedi. Presumo che io debba seguirlo. Ho ero decisamente una sciocca o tanto coraggiosa da infilarmi in qualcosa che non conoscevo e che sicuramente non avrebbe portato nulla di buono.
Camminai senza fretta lungo il sentiero, i jeans sfregavano provocando il loro tipico suono.
Intorno a me il paesaggio non cambiò. Gli alberi alti ma anche piccoli, mi facevano compagnia. Le foglie di colore e dimensione diverse, si muovevano all’unisono nella stessa direzione del vento. Il suono che avevo sentito all’inizio era cessato con il mio entrare dentro quel luogo.
Per circa tre chilometri non incontrai nessuno e cominciavo ad essere stanca.
Poi la strada cominciava a salire e vidi degli strani movimenti tra gli alberi, però non erano dati dal vento. Con gli occhi, analizzai ogni minimo spazio tra i rami e mi accorsi di un movimento fugace tra un albero a pochi metri da me. Con istinto dissi:
- Fatti vedere!- sapevo che c’era qualcuno che mi guardava e qualcosa mi diceva che non lo faceva da poco tempo.
Con un salto agile, la persona o qualsiasi tipo di creatura che fosse, scese a terra.
- Che ci fa un umana, qui?- disse la voce. Era melodiosa e dolce come se potessi assaporarla in bocca. Non riuscivo a vedere bene così mi avvicinai anche se timorosa.
- Perché prima di fare delle domande a me, non rispondi a una delle mie.- ero a poca distanza ora e lo vedevo bene, fin troppo. Era simile ad un essere umano, alto non più di qualche centimetro rispetto a me, ma aveva lungi capelli biondi legati in una coda dietro la testa, occhi di un verde molto simile a le foglie degli alberi che ci circondavano. Ma la cosa che lo differenziava da me, era la lunghezza delle orecchie. Erano a punta e non ne avevo mai viste di simili tranne che nei film.
- Quale domanda richiede una risposta- mi chiese sempre con quel suo tono melodioso. Se prima il mio sguardo si era posato sul suo volto stavolta, si poso sul resto del corpo. Portava abiti strani. Fatti di pelle da quello che potevo notare. Una camicia bianca e un gilé sopra. Dei pantaloni di marrone scuro e stivali alti fin sotto al ginocchio. Notò il mio sguardo incuriosito e senza volere, abbassai la testa imbarazzata.
- Allora?- mi richiese stavolta più brusco.
- Ehm… per cominciare dove mi trovo- gli chiesi.
- Questo è Infinitus, il regno in cui vivo.- sbalordita ma incuriosita, continuai con la mia seconda domanda:
- E tu sei?-
- Io sono Omnir il guardiano dei confini- disse solenne.
- Il guardiano… dei confini? Quali confini?- chiesi curiosa.
- Adesso devi tu, rispondere alle mie domande umana-
- D’accordo ma solo se la smetti di chiamarmi umana ed usi il mio nome. Io sono Hellen- gli spiegai.
- Come vuoi tu. Allora Hellen, come hai fatto ad arrivare qua?-
- Io… sono passata dalla porta- dissi.
- Quale porta?! Non esistono porte che conducono ad altri mondi qui, a Infinitus. Lo si può raggiungere solo… ma lasciamo stare. Spiegati meglio.- con occhi che analizzavano ogni mia espressione che mi passava sul volto, mi pose la domanda.
- Mi ero appena alzata stavo per aprire la porta di camera ma, quella che avevo davanti non era casa mia ma questo bosco-
- E tu sei entrata senza esitazione?- chiese alzando un sopracciglio dorato per la curiosità.
Mi sentivo stranamente sotto esame, la cosa non aveva senso. Perché mai dovevo sentirmi a disagio! Con voce fiera dissi:
- Si, non vedo cosa ci sia di male- lo sfidai. La sua reazione mi stupì. Sul suo volto si formò un gran sorriso, che a parere mio avrebbe fatto cadere ai suoi piedi, una qualsiasi delle mie compagne di scuola. Traballai un po’ sulle gambe e poi ripresi stabilità. 
- M-ma, ma tu non sei un essere umano vero?- era una delle domande alla quale volevo assolutamente una risposta.
- No. Io sono un elfo.- per poco non caddi all’indietro. In fondo non dovevo stupirmi più di tanto: ero entrata in una foresta mai vista, dietro una porta.
- Ora che sei qui, non rimane altro da fare che portarti dal mio sovrano. Lui saprà cosa fare.- disse.
- Dal tuo sovrano? Quindi ci sono altri elfi come te?-
- Si, molti e se può interessarti ragazza, non siamo le uniche creature a vive in questo luogo-
Ero eccitata, chissà quali creature si celavano nei meandri di Infinitus e poi avevo scelto io di entrare.
- Va bene allora, fammi strada- gli dissi. Notai che si era irrigidito alle mie parole e mi domandai perché.
- Seguimi umana- disse con tono duro. Credo di averlo offeso in qualche modo,pensai ma lo seguì senza emettere un sibilo.  

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2



Rimase in silenzio per molto tempo. Camminavamo seguendo il sentiero e quello che ci circondava era sempre la stessa cosa: alberi. Ciò che cambiava però erano i suoni: ad ogni passo, ad ogni respiro, un nuovo e sempre più strano rumore, veniva percepito dal mio orecchio destro.
Strano, come posso sentire solo da un orecchio? Dovrei chiederlo all’elfo? Umm… non credo sia una buona idea. Infatti Omnir non aveva emesso un sibilo da quando ci eravamo messi in viaggio e qualcosa mi diceva, che ero stata io a dare inizio a un contrasto ostile.
Oh ma io non ce la faccio più a stare in silenzio! Sbuffai irritata e vidi l’elfo muovere le orecchie.
Preoccupata gli chiesi:
- Hai sentito qualcosa di strano?-
- No, ma se non la smetti impazzirò. -
Rimasi sconcertata, cosa diavolo stavo facendo per irritarlo tanto?
- D’accordo basta così – si fermò Omnir.
- Io… ti chiedo scusa, ma non so cosa sto facendo di male! – dissi esasperata.
- Hellen – già il fatto che mi chiamasse per nome, non mi tornava. – E’ meglio che te lo dica per non incorrere in imbarazzi futuri –
Alzai le sopracciglia curiosa.
- Vedi, ti ho già detto che sono il guardiano, no? -  chiese, sottolineando il guardiano.
- Si –
- Non a caso sono stato scelto, ogni elfo a una sua specifica… qualità, definiamola così.
La mia capacità è quella di saper leggere la mente e le emozioni
più profonde di tutte le creature. –
Oh mio dio! Quindi ha letto tutto quello che ho pensato fino ad ora!
- Esattamente – sorrise.
Mi misi le mani sulla fronte e mi tappai gli occhi.
- Santo cielo!! – esclamai.
- Non preoccuparti non hai poi avuto pensieri troppo profondi e imbarazzanti – cercò di rincuorarmi a suo modo. Pensieri profondi? Chi credi che io sia una stupida!!!
- No, cioè… non volevo dire questo, io… - sbuffò. – questa è la prima volta, dopo anni, che ho una conversazione con un altro essere vivente. Mi sono un po’ arrugginito. – disse e la sua espressione mostrava tutta la sua tristezza. Era impressionante e la mia rabbia sciamò velocemente.
- Va bene lasciamo stare, meglio se proseguiamo – ed ecco di nuovo quell’espressione offesa.
- Ok dimmi cos’è di quello che ho detto che ti ha offeso – gli chiesi gurdandolo dritto negli occhi verdi come la foresta tutta intorno.
- Nessun umana mi ha dato mai degli ordini – era stupito più che arrabbiato stavolta. Lui sapeva leggere la mente, ma io decisamente No.
- Ordini? Ma il mio non era un ordine! Per chi mi hai presa?! – adesso ero decisamente arrabbiata.
- Io sono abituato a obbedire solo ed esclusivamente al re, è lui che mi ordina dove devo spostarmi e quando. –
- Ma che posto è mai questo? Non devi prendere ordini da nessuno, sei un… hemm…
 elfo libero.  –  stavo quasi per chiamarlo uomo e dato come aveva reagito vedendomi, ne avevo dedotto che non considerava la mia gente, equivalente alla sua.
Con un alzata di spalle disse:
-Proseguiamo non molto lontano c’è un villaggio, mangeremo e ci riposeremo. Domani riprenderemo il viaggio – in effetti non mi ero accorta che pian piano il sole era calato lasciano una sciai gialla e rossa dietro di se.
In meno di venti minuti raggiungemmo quello che lui definiva un villaggio. Non era altro che un insieme di case, una ventina in tutto, disposte in circolo.
- Questo è il villaggio di Boulth, stammi vicina – disse Omnir. Non mi feci pregare e avanzai al suo fianco. Dalle finestre delle case, usciva una flebile luce, ma quella che illuminava più di tutte il luogo, era quella centrale. Inoltre, un chiasso assordante proveniva da questa.
Ci dirigemmo dritti li e la mia ansia si fece molto più forte. Questo posto non mi piace, non mi piace affatto, pensai incurante del fatto che l’elfo potesse sentirmi.
Omnir aprì la porta e mi si presentò uno spettacolo assurdo. Piccoli uomini di non più di un metro, erano intenti a bere boccali pieni e schiumanti di chissà che bevanda, sbraitando e ridendo a più non posso. Per qualche secondo continuarono incuranti della nostra presenza poi, improvvisamente, si fermarono tutti puntandoci i loro occhietti vispi sul volto. Omnir avanzò fiero al bancone, molto basso rispetto agli standard umani, e si rivolse al barista.
- Gnomo desidero due camere e una cena decente – disse puntando gli occhi in quelli del piccoletto. Il suo sguardo era gelido e irremovibile, trasudava odio lo sentivo. Rimasi a bocca aperta dal momento in cui aveva pronunciato la parola “gnomo”. Allora aveva ragione, ci sono molte creature in questo luogo. In che guaio mi sono cacciata?
Il barista non perse tempo e dette all’elfo la chiave della stanza.
- Ho detto due camere – disse senza scomporsi.
- Mi spiace signore, ne ho solo una disponibile le altre sono tutte occupate – rispose lo gnomo.
Omnir grugni ed io abbassai la testa arrossendo fino alle radici dei capelli.
- Desidero che ci portiate la cena in stanza. Andiamo – mi disse infine.
Lo seguii mentre i nostri passi risuonavano sul legno del pavimento. Dopo lo stupore di aver visto un elfo, gli gnomi avevano puntato gli occhi su l’esserino al suo fianco e non appena si accorsero che era un umana, cominciarono a muoversi nervosi e a parlottare fra di loro. Preferii non fare domande e mi diressi senza fiatare, al piano di sopra dove si trovavano le camere.
Omnir aprì la porta della camera e quello che mi colpì, fu la grandezza dell’arredamento.
Chissà cosa mi aspettavo! Pensai. Mi ero immaginata letti piccoli e finestre molto ridotte e invece, era tutto normale.
- Questa è una delle stanze riservate agli elfi – rispose al mio pensiero il guardiano.
Era molto lussuosa, le finestre erano adornate con meravigliose tende di un verde luminoso e il letto a baldacchino, aveva le lenzuola di seta bianca. Il letto.
- Non vorrai dirmi che dormiremo in un letto solo?! – chiesi già nel panico.
Omnir sorrise come se volesse dire “ti piacerebbe”.
- No dormirò per terra -
- Oh… - riuscii a sibilare. Ero a disagio, non potevo farlo “dormire” sul pavimento per quanto fosse possibile.
- Sarebbe meglio che dormissi io per terra. In fondo sono io l’ospite! – continuai più sicura.
- Ed io sono sempre un maschio e non lascio dormire una ragazza sul pavimento. Non sono così meschino come credi. –
Non mi lasciò il tempo di controbattere, che andò verso l’armadio tirando fuori un bel po’ di coperte che sistemò per terra a mo di giaciglio. Grugnì tra me e me, ma non mi considerò affatto.
- Bene, andrò a fare una passeggiata per i dintorni – dissi infine. Omnir si voltò di scatto e mi guardò intensamente, ma non disse nulla.
Dopo qualche secondo disse soltanto:
- Torna presto, la cena dovrebbe arriva tra poco – mi guardava con un misto di apprensione e irritazione. Mah, pensai.
Scesi giù nella locanda che ormai si era quasi del tutto riempita. Gnomi sia maschi che femmine, difficili da distinguere, se la spassavano alla grande. Uscì senza essere notata e camminai in direzione del boschetto a fianco del villaggio. Nelle piccole case, distinguevo ombre indaffarate vicino al fuoco.
C’era sempre quello strano suono che proveniva dalle fronde degli alberi. Ma cosa diavolo sarà?
Scossi le spalle e continuai a tirare dritto per la mia strada. Mi ritrovai in una piccola radura con al centro un laghetto con un enorme statua al centro che ritraeva la figura di una donna, una bella donna. I lineamenti erano dolci e aggraziati, dando la sensazione che stesse ballando sul posto. Rimasi incantata e mi andai a sedere su una roccia vicina così da poter immergere i piedi nell’acqua. Mi ero aspettata che fosse fredda e invece era di un tepore surreale che sembrava scaturire dalla statua stessa. Ero talmente immersa nella contemplazione che non mi accorsi del movimento alle mie spalle. Solo quando qualcuno mi si sedette a fianco, sussultai. Era un piccolo gnometto, il primo bambino che vedevo. Mi guardava con sguardo stralunato e pieno di meraviglia.
- Tu sei umana vero? – chiese. Io sorrisi e gli risposi: - Si -
- Wow! – fu la sua risposta. – E’ la prima volta che ne vedo una, bè a parte lei – e indicò la statua. Era talmente bella che avevo pensato che fosse un elfo e non un essere umano.
- E’ davvero un umana? – chiesi sorpresa.
- Si, noi la veneravamo come dea del calore e della bontà, prima. – disse abbassando lo sguardo sulle ultime parole. Aggrottai la fronte.
- Prima? –
- Certo, prima che la tua stirpe ci cacciasse dal tuo regno – rispose con tono neutro.
- Cacciare? Ma di che cosa stai parlando? – chiesi più curiosa che mai e con un misto di timore.
 - Molti anni or sono, gli uomini e gli gnomi convivevano assieme, poi un giorno uno dei tanti re saliti al trono nel tuo mondo, scacciò la mia razza considerandola inutile e indegna di solcare il suo stesso territorio – lo guardai a bocca aperta.
- Ci rifugiammo qui ad Infinitus e trovammo pace, ma tutt’oggi coviamo odio per quelli come te. Alcuni di noi si erano innamorati di donne umane e da loro erano nati quelli che ora chiamate nani. E’ per questa ragione che questa sera quando sei entrata nella locanda, tutti ti guardavano male. Io ti ho visto uscire poco fa e ti ho seguita. – disse infine. Non mi sembrava vero che un bambino così piccolo di non più di dodici anni, parlasse come un uomo vissuto.
- Ma tu non mi odi, vero? – chiesi, avevo notato che nel suo tono, non traspariva alcun risentimento.
- No, non ti odio. Come potrei? Tu non hai certo colpa per ciò che fece il tuo ave. – disse sorridendo.
- Io sono Jinius, piacere di conoscerti. – si presentò.
- Io sono Hellen, piacere mio – sorrisi di rimando.
 Chiacchierammo per molto tempo e scoprì che il piccoletto viveva con suo madre e sua sorella minore. Suo padre era sparito una mattina d’inverno, lasciando il resto della famiglia da sola e con non poche difficoltà. Ero talmente assorta e piacevolmente divertita da quella conversazione, che non mi accorsi che si faceva tardi. Omnir si infurierà sicuramente.
Mi congedai dal mio nuovo piccolo amico e gli promisi che l’indomani ci saremo rivisti prima della mia partenza.
- Grazie per avermi fatto compagnia Jinius. E’ stato un piacere conoscerti. – corsi senza sosta verso la locanda e mi fiondai in camera. Come mi ero immaginata, Omnir mi aspettava infuriato.
- Ti avevo espressamente detto di tornare presto che la cena stava arrivando, ma no tu fai sempre il contrario di quello che dico! – sbottò l’elfo.
- Quando avrei fatto il contrario di quello che mi dicevi scusa?! E poi sono libera di fare quello che mi pare, non prendo ordini da nessuno, io. – risposi arrabbiata. La situazione stava degenerando.
- Oh quindi la ragazzina è libera di fare quello che vuole, eh? Va bene allora quando verrà il momento, non ti azzardare a chiedermi aiuto! – e uscì sbattendo la porta. La cena era sul tavolo di fronte al letto. Che siano elfi, gnomi o qualsiasi alta creatura, rimangono sempre dei deficienti! Pensai con l’intento che sentisse anche Omnir, poi mi fiondai sul cibo.
 
Era già notte fonda quando l’elfo tornò. Purtroppo ancora non dormivo, avevo pensato e ripensato alla conversazione con Jinius. Possibile mai che noi esseri umani ci distinguiamo sempre per meschinità e arroganza? Questo era il mantra che mi ripetevo nella testa. Ero rimasta ad osservare il cielo notturno davanti alla finestra, ricavandomi una piccola nicchia dove peter stare comodamente seduta. Avevo da poco appoggiato la testa al vetro per trovare un po’ di fresco trasmesso dal quel materiale, che Omnir entrò senza emettere un suono. Non mi voltai nemmeno a guardarlo. Ero ancora arrabbiata si, troppe volte usava quel tono da superiore e mi trattava da ragazzina. Va bene che ho ancora diciassette anni, ma cavolo non sono una poppante! Avevo pensato dopo cena.
Di rimando lui non si prese nemmeno la briga di salutarmi e si fiondò direttamente sul giaciglio.
Certo che sei proprio testardo tu! Lo istigai. Emisi un soffio angosciato e tornai ad osservare le stelle in tutto e per tutto uguali a quelle del mio mondo. Mi feci prendere da un senso di solitudine e smarrimento. In fondo cosa ci facevo li? Avevo sbagliato ad attraversare la porta? I miei genitori mi mancavano e chissà cosa stavano pensando, non trovando la figlia in casa.
Una lacrima scese sulla mia guancia sinistra, una soltanto.
Omnir aveva percepito la tristezza della ragazza come se fosse sua e tutto quel sentimento di stizza nei suoi confronti, scomparve sostituendosi a la voglia irrefrenabile di correre ad abbracciarla. Ma si trattenne, in fondo è solo un umana è naturale che si senta fuori posto.
Si alzò in piedi e la raggiunse alla finestra.
Vidi l’elfo alzarsi e venire verso di me, appena si mise seduto disse:
- Belle le stelle non è vero? -
- Già – risposi.
Osservai nuovamente quel cielo stellato e notai una piccola luna crescente. Era quasi del tutto oscurata, ma bastava osservare con attenzione e ti si rivelava davanti.
- So che potrebbe essere difficile per te compiere questo viaggio lontano da casa, ma adesso non possiamo tornare indietro. L’unica soluzione è andare avanti. -
Mi ero dimenticata che sapeva leggere anche le emozioni. Sospirai nuovamente e lo guardai.
- Lo so e non ho intenzione di farlo. Sono solo un po’ giù di morale ma tu lo sai già. -
- Mi dispiace – aveva finalmente detto. Sorrisi trionfante ma quella felicità era completamente annullata dall’angoscia.
- Anche a me dispiace – risposi. Ci guardammo a vicenda sorridendoci, poi lui disse:
- Meglio andare a dormire o domani non faremo neanche tre passi – disse dolcemente.
- Arrivo tra un momento – gli risposi.
Mentre lui si coricava nuovamente, voltai lo sguardo verso l’esterno della camera. Ho scelto io di venire e adesso farò quel che devo, qualunque cosa sia. Con una nuova determinazione, mi andai a sdraiare sul letto e tempo qualche minuto, caddi nel sonno. Un sonno senza sogni ne incubi. 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
 
F
 
ui svegliata dal bussare alla porta. Come di consueto non mi lasciai turbare dal rumore e pensai che mia madre poteva benissimo aspettare un altro po’.
Mi girai dalla parte opposta della porta, ma ciò non impedì alla persona che stava bussando di entrare.
- Hellen! – una voce tutt’altro che uguale a quella di mia madre, mi chiamò.
Ci misi un po’ di tempo a realizzare a chi appartenesse poi, tirandomi su e stropicciandomi gli occhi, dissi:
- Jinius? Ma cosa ci fai qui? - chiesi con voce impastata dal sonno.
- Sta succedendo il finimondo giù in osteria –
- Come? – dissi ormai svegliata del tutto, aggrottando la fronte.
- Omnir sta cercando di sedare la rissa, ma non ce la fa da solo. Vogliono prendere te! –
- Me? – chiesi allibita.
- Si, maledizione te! Sbrigati a vestirti dovete andarvene subito! –
Mi preparai in mezzo secondo e scivolai fuori dalla stanza, capitolando giù dalle scale, rischiando di rompermi l’osso del collo. A quello ci penseranno gli gnomi, pensai sarcastica.
La locanda era vuota, ma gli schiamazzi e le urla di protesta, venivano da fuori dal locale. Con un brivido che mi oltrepassò la schiena, aprii la porta.
Omnir mi dava le spalle e con le braccia allargate, cercava di rabbonire le piccole ma agguerrite creature.
- Calma, non farà niente di male. Ora ce ne andremo e vi lasceremo in pace. - disse quietamente l’elfo. Chi gliela dava tutta quella tranquillità? Ah già, quella che volevano fare fuori ero io, gliene importava poco a lui!
Gli gnomi, vedendomi sull’uscio, cominciarono ad avanzare con sguardo feroce.
- Non bastava che la tua gente ci avesse cacciato dalla nostra casa! Adesso pretendete anche questa?! – mi sputò in faccia uno gnomo scuro in volto.
- Io non… - balbettai. Perché danno a me la colpa? Sono bassi e pure stupidi!
Omnir mi scoccò uno sguardo di rimprovero. Non c’era tempo per scherzare, dovevamo partire e anche in fretta!
- Omnir… - non finii di dire di fuggire, che l’elfo mi afferrò un braccio strattonandomi verso la selva. Correva come il vento e feci non poca fatica a stargli dietro. Inizialmente gli abitanti del villaggio ci seguirono per un po’ poi, lasciarono perdere abbassando le braccia fieri di loro stessi.
Corremmo a perdi fiato per circa venti minuti dirigendoci verso il folto del bosco.
Non appena l’elfo fu sicuro che niente e nessuno ci stesse ancora braccando, ci fermammo.
Avevo il fiatone così mi chinai appoggiando le mani sulle ginocchia.
- Ma che diavolo… ma sono impazziti?! – sbottai.
- Già, tu gli fai questo effetto – sorrise provocatoriamente.
Sbuffai irritata, ma non dissi niente troppo presa a respirare regolarmente. Mi voltai indietro, ricordandomi di aver lasciato Jinius alla locanda.
- Non è che torneresti indietro a salutare… - cominciai a dire. L’elfo si  voltò guardandomi come un lupo che non aspetta altro che squartare la propria preda.
- Ma certo! Torniamo pure indietro per salutare un piccolo misero gnomo, così forse ci taglieranno la testa più velocemente! – disse sarcastico.
- Siamo un tantino sotto sopra, eh? – sussurrai in modo che non mi sentisse.
- Se fossi da solo mi arrampicherei su un albero per dormire, ma dato che sua grazia non riuscirebbe nemmeno a salire di qualche centimetro, dovremmo accontentarci di accendere un fuoco e cercare qualcosa da mangiare – in effetti, nella foga del momento, non avevamo preso delle scorte di cibo.
Ci dividemmo i compiti, io raccoglievo la legna per il fuoco e Omnir cercava qualcosa da mangiare. Non sarei in grado di distinguere niente di commestibile qua dentro. Un leggera brezza di prima mattina si fece sentire mentre ero intenta a cercare rametti sufficientemente secchi. Ne afferrai uno, ma quando questo vibrò fra i miei palmi, lo lasciai andare sconcertata. Due piccole gambe e due piccole braccia sbucarono dalla frasca e con un po’ di fatica si mise in piedi. Ne rimasi affascinata, tanto che mi chinai per toccarlo ma quello, con uno schiaffetto, allontanò la mia mano.
- Che cosa… - articolai.
- E’ uno spirito della foresta – sentii dire alle mie spalle.
- Che buffo ed è così carino – sorrisi ancora accovacciata sulle ginocchia.
Dolci squittii giunsero dallo spiritello presumibilmente offeso dalla mia osservazione. 
- Non lo insulterei così apertamente – disse Omnir.
- Ma non l’ho insultato! Dai guardalo, è così piccino! – avvicinai la mano destra, ma lo spirito della foresta mi pizzicò il dito indice.
- Ahia! – dissi e intanto l’elfo si piegava in due dal ridere.
Il rametto emise uno squittio più acuto e qualche secondo dopo, decine di spiritelli mi accerchiarono.
- Oh-oh ti conviene scappare - continuò a ridere Omnir.    
Gli spiritelli cominciarono a punzecchiarmi le gambe e anche se erano coperte dai jeans, il fastidio lo avvertivo comunque.
- Ahi, ahi… smettetela subito! Volevo solo essere gentile – Omnir nel fra tempo sembrava morire dal ridere.
- Anche tu elfo smettila di ridacchiare e aiutami! – gli urlai contro. Quando finalmente ebbe finito di schiamazzare e piegarsi in due per i singhiozzi, mi venne a dare una mano. Sussurrò alle piccole creature, dolci parole in una lingua a me sconosciuta.
In un attimo gli spiritelli si dispersero, lasciando libera la radura. Emisi un sospiro liberatorio.
Carini, ma decisamente irritanti! Riacquistata un po’ di calma, cercai di accendere il fuoco. Questione al quanto complicata dato che a casa non mancavano i termosifoni.
Tra ringhi e mugolii, riuscii a dar vita ad una scintilla che prese immediatamente vita. Nel frattempo l’elfo era tornato e tra le braccia conteneva una marea di cibo, inutile dirlo, a me sconosciuto. Quando posò tutto a terra, lo osservai attentamente: c’erano radici, fiori, bacche e un frutto molto simile alla pesca ma dall’aria molto più morbida e succulenta.
- Dai, serviti pure – disse notando la mia aria da “adesso faccio fuori tutto in un attimo”.
- Non è che stai cercando di avvelenarmi? – chiesi con ironia, non ancora del tutto andata, dal profumino invitante delle cibarie.
- Non mi tentare – sorrise. Mi avventai sul cibo come un avvoltoio.
Si poteva essere più soddisfatti? E soprattutto, ci poteva essere cosa migliore che mettere a tacere lo stomaco? Non per me.
Mi massaggiai la pancia fiera di me stessa, guardando il sole bello alto nel cielo.
- Pensi sia meglio camminare un po’ prima che faccia buio? – chiesi, ma lui ci mise del tempo per rispondere dato che stava finendo di mangiare.
- Si, finche possiamo è meglio avvicinarci sempre più alla capitale. Sicuramente il re saprà già del nostro arrivo – concluse.
- D’accordo – riposata e con la pancia piena, ero sicuramente più docile.
 
 
Il sentiero proseguiva dritto e in pendenza, come se stessimo scalando una montagna. Tutti i miei buoni propositi a inizio viaggio, mi avevano abbandonata lasciandomi sola con il mal di piedi per il quale le scarpe “raso terra” come le definiva mia madre, non aiutavano di certo.
Il respiro era accelerato ed ero piegata in avanti per aiutare il corpo nella salita a mio parere, di gran lunga al di sopra delle mie capacità.
- Possiamo fare una pausa? – chiesi ansimante. Al contrario di me, Omnir sembrava nato per sforzi estremi come quello e ne aveva già dato prova quando stavamo correndo via dagli gnomi.
- Bè non ho scelta. Se non ci fermiamo, dovrò portarti in braccio per tutto il viaggio – disse scherzosamente. Sbuffai ripetutamente sia di sollievo che di frustrazione.
Possibile mai che faccia una frase senza offendermi? Pensai incurante delle sue… capacità.
Ci mettemmo seduti dinanzi ad una grotta dall’aria lugubre. Quando una folata di vento gelido sferzò, mi strinsi nelle spalle. Osservai l’elfo mentre ispezionava i dintorni, si poteva dire tutto di lui che era un istigatore nato, un’idiota, un burlone ma… non si poteva dire che fosse brutto! La perfezione fatta persona. Lineamenti delicati e armoniosi, coronati dalla sua chioma bionda fluente che ondeggiava al vento e poi quel suo… odore. Quando mi ero soffermata su quegli aspetti? Un aroma dolce come di cioccolato al latte appena fuso e spalmato sul pane caldo. Mi veniva l’acquolina in bocca solo al pensiero! Torna in te Hellen!! Mi detti due schiaffetti sordi sulle guance, cercando di rinsavire.
- Tutto apposto. Dovremmo essere al sicura qua – disse il modell… volevo dire Omnir.
Distesi le gambe per far riprendere una decente circolazione sanguigna e in quel frangente, mi sentii scoperta, come se qualcuno ci osservasse. Un movimento repentino alle mie spalle, fece sussultare l’elfo che estrasse un pugnale da dietro la schiena. E quello dove diavolo lo ha preso? Feci in tempo a pensare poi, fui sollevata da terra da delle braccia enormemente muscolose e possenti che mi tenevano sollevata ad almeno un metro da terra.
- Ehi lasciami andare! – cercai di divincolarmi da quella morsa d’acciaio. Omnir si era messo in posizione d’attacco: gambe piegate e protese in avanti, con il coltello ben saldo nella mano sinistra.
- Io-non-lasciare-andare-tu – rispose una voce bassa e nasale alle mie spalle. Non riuscivo a muovermi, ma ciò non mi impedì di tirare un urlo quando vidi un enorme bestia con una lunga barba dorata e occhi felini, agguantare da dietro il mio compagno di viaggio.
- Omnir! – fu l’ultima cosa che dissi perché una poderosa bastonata alla testa mi fece perdere i sensi. Mentre chiudevo gli occhi, vidi l’elfo divincolarsi con il viso pallido per la preoccupazione.
 
 
Odore di selvatico come di cane bagnato, mi punse il naso. Ero distesa presumibilmente sulla fredda roccia data la spigolosità della superficie. Strani suoni si propagavano intorno a me e incuriosita, aprii gli occhi. Ero all’interno della grotta lugubre, solo una timida luce illuminava l’ambiente. Le due enormi creature che ci avevano così “gentilmente” invitati ad entrare, mi erano di fronte ad una distanza decisamente troppo corta. I loro occhi felini di un giallo puro ed intenso, non si staccavano dai miei.
- Umana-essere-sveglia! – dissero in coro. Aggrottai la fronte tirandomi su a sedere e massaggiandomi la testa dove avevo ricevuto il colpo. Mi guardai attorno alla ricerca di Omnir. L’elfo era appoggiato alla parete delle grotta a breccia conserte e non mi degnò nemmeno di uno sguardo quando cercai di incontrare i suoi occhi. Che diavolo…succede?
Niente, lui continuò imperterrito a fissare il nulla.
- Noi-dispiacere-aver-fatto-male – articolò una di quelle creature.
- Ehmm… un momento non ci sto capendo nulla, voi non volete ucciderci?
- Noi-avere-sbagliato-a-prndere-voi-noi-non-volere-fare-del-male – rispose lo stesso essere.
Ok, qui c’era decisamente qualcosa che non quadrava.
Primo, dei grossi orsi o qualsiasi cosa fossero, mi portano in questa grotta puzzolente di non voglio sapere nemmeno cosa, secondo, il mio fantastico, socievole e sorprendentemente dolce accompagnatore, non mi degnava del più piccolo sguardo.
Giuro che se non mi dici cosa diavolo ti ho fatto stavolta, ti prendo a cazzotti!
Finalmente l’elfo si girò dalla mia parte, donandomi un magnifico sguardo omicida.
-Noi-portare-voi-a-villaggio – dissela creatura.
- Fatecistrada – rispose Omnir al mio posto.
Sei per caso uscito di testa!? Ci romperanno l’osso del collo e poi ci mangeranno per colazione!
Urlai nella mente, ma era come se il mio compagno non mi ascoltasse. Potevo anche essere invisibile, non avrebbe fatto differenza. Inutile dire che, anche se provavo a fare la spiritosa, ero piuttosto impaurita e anche ferita. Perché non mi parlava più? E meno male che mia madre diceva: “Tesoro, non ti sforzare di comprendere gli uomini. E’ tutto tempo sprecato” saggia donna mia madre.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 
Stavamo camminando da circa venti minuti lungo un sentiero scavato all’interno della grotta. L’umidità si poteva tagliare a fette e un lontano gocciolare d’acqua, dava un senso sinistro a tutto l’insieme.
Omnir, naturalmente, non mi aveva degnato di uno sguardo, tanto meno di una parola.
Puntai gli occhi a terra ed emisi un sospiro esasperato. Possibile che un momento prima scherziamo insieme e un momento dopo si comporta come se lo avessi pugnalato alle spalle?!
Domande che credo tutte le donne del mondo si siano poste, ma che in genere non hanno trovato risposta.
Quelle strane creature ci scortavano felici come se la bastonata che mi avevano dato me l’ero immaginata da sola.
- Ehm… scusate, posso sapere voi chi siete? – chiesi dopo qualche minuto. Se l’elfo non mi voleva rispondere, lo avrebbero fatto i diretti interessati.
- Noi-essere-gli-Yuee – ripose uno di loro.
- Oh e… cosa siete esattamente? – speravo che non si offendessero dalla mia domanda.
- Noi-essere-metà-orchi-e-metà-leoni – rispose l’altro. Fantastico, tutte specie amichevoli…
Li osservai meglio: erano alti un paio di metri, cosa che rendeva difficile il passaggio nella grotta, erano ricoperti dalla testa ai piedi di pelo dorato e, particolare agghiacciante, avevano delle lunghe, grosse e nere unghie su piedi e mani. Non indossavano abiti escluso un gilè di pelle marrone scuro e i capelli si congiungevano direttamente con la barba che era lunga e anch’essa dorata. Sembravano in effetti, il leone del mago di Oz, quello alla ricerca del coraggio.
- Dove stiamo andando? – domandai. Era la domanda che più mi premeva porre.
- Noi-portare-voi-in-nostra-casa-dal-nostro-capo – rispose l’Yuee a me più vicino.
I nostri passi risuonavano tra le rocce e la voglia di tornare a casa, improvvisamente, si fece più presente. Mi sentivo terribilmente sola, Omnir non mi guardava e quelle enormi bestie mi facevano paura e tenerezza contemporaneamente. Non so per quanto ancora resisterò.
-Siamo quasi arrivati – Disse il mo compagno. Aveva ragione, una flebile luce si notava in lontananza.
Dovetti abbassare la testa perché l’uscita della grotta era molto bassa, ma quando la rialzai fui sorpresa da quello che vidi.
Migliaia di case erano costruite sulla roccia e si mantenevano in equilibrio grazie a forti sostegni ancorati alle pareti. Per passare da una casa all’altra, erano stati costruiti dei ponteggi come quelli che si vedono nei film medievali fatti esclusivamente in legno. Nell’insieme erano molto carine e di grandezza media, non come invece avevo immaginato data la loro stazza.
La luce proveniva da un’enorme buco nella roccia proprio di fronte a noi. Si vedeva il cielo e una distesa d’erba infinita. Era un posto magnifico, solo a guardarlo il mio animo si rasserenò.
- E’ stupendo! – sussurrai stupefatta.
- Casa-piacere-a-umana – disse uno dei nostri accompagnatori – Noi-essere-felici – concluse l’altro.
- Portateci dal vostro capo, adesso- disse tagliente Omnir. Avevo rinunciato ormai da tempo a capire cosa gli passasse per la testa perciò, mi limitai a seguire il gruppo.
Altri Yuee uscirono dalle loro abitazioni per vedere i nuovi arrivati, sembravano sorpresi e vagamente intimoriti. Dovrei essere io quella terrorizzata, eppure mi sento stranamente a mio agio.
Raggiungemmo, facendo un po’ di slalom tra le abitazioni e superando alcuni ponti traballanti, una casa costruita con legname e pelle di animale in posizione centrale al villaggio.
- Voi-entrare- disse l’Yuee.
L’elfo si fece avanti senza esitazione spostando la pelle che fungeva da porta, io lo seguii cercando di non far trapelare troppo la mia curiosità.
Appena entrata notai subito l’odore di selvatico poi, vidi come era arredato l’interno: tappeti in pelle  ricoprivano il pavimento in legno, due grosse poltrone erano collocate vicino ad un fuoco scoppiettante sul lato destro della casa e sulla sinistra si trovava un lungo tavolo in legno mogano con sopra una quantità di cibo che sarebbe bastato per un reggimento di soldati. Tutta carne, naturalmente.
- Benvenuti – disse una voce alle mie spalle. Mi voltai di scatto e vidi a chi apparteneva quel suono nasale e autorevole.
L’Yuee più grosso che fino a quel momento avevo visto, mi sovrastava guardandomi con quei suoi occhi felini. Era inquietante, sembrava che mi analizzasse l’anima punto per punto. Mi fissava intensamente e pensai che non avrebbe più staccato gli occhi dai miei. Poi, improvvisamente, distolse lo sguardo verso Omnir e quello che fece dopo mi lasciò letteralmente senza fiato: si inchinò di fronte al mio compagno.
- Alzatevi vi prego, amico mio – disse Omnir aiutandolo ad alzarsi appoggiandogli una mano sul grosso braccio peloso.
- E’ un piacere vederti di nuovo guardiano. Mi dispiace per l’accoglienza – e indirizzò uno sguardo furioso ai nostri due accompagnatori. A differenza dei sui simili, lui parlava in modo corretto la nostra lingua e non sembrava avere difficoltà a comunicare.
- Non ti preoccupare, è naturale che non mi abbiano riconosciuto – rispose garbato l’elfo. Doveva essere molto importate fra la sua gente, sembravano tutti portargli un gran rispetto.
- Prego, accomodatevi – indicò le due sedie vicino al focolare, lui ne prese una dalla tavola e si accomodò accanto a noi. Mettendomi seduta, sprofondai nell’imbottitura della poltrona.
- Cosa vi porta qui elfo? – si rivolse solo al mio compagno come se io, ormai tutti si divertivano così, neanche esistessi.
- Stiamo andando alla capitale, devo accompagnare quest’umana dal re – rispose.
Il capo degli Yuee rimase in silenzio qualche secondo ad osservare il fuoco. Ero indispettita dal tono distaccato di Omnir e stavo quasi per intervenire nella conversazione, quando l’elfo continuò:
- Se voi siete d’accordo, vorremmo passare la notte qui nel villaggio –
- Sono d’accordo. Alloggerete da mia moglie e mia figlia, ci sono due letti liberi – rispose.
Omnir si alzò porgendogli una mano per congedarsi.
- La ringrazio. Andiamo – si rivolse a me stavolta, indicano l’uscita con un gesto della testa.
Se può interessarti, non sono un cane che segue il padrone scodinzolando! Dubitavo fortemente che conoscesse i cani, ma provavo tanta rabbia che dovevo sfogarmi in qualche modo.
- Aspetta, vorrei scambiare qualche parla con la tua compagna di viaggio – disse il colosso di pelliccia. Rabbrividii solo al pensiero di passare qualche secondo con quella bestia e di riflesso mi avvicinai di più ad Omnir.
- Come volete – rispose invece il mio compagno e uscì. Grazie per il sostegno!
Tornai a sedermi e così fece il capo del villaggio. Mi strinsi nelle spalle e congiunsi le mani come se volessi pregare la madonna di non farmi magiare da quell’enorme leone.
- Allora, sono curioso, come ha fatto un umana ad entrare nel nostro mondo? – mi chiese inclinando la testa incuriosito dando l’effetto di un predatore che studia la propria preda.
 - Ecco… - mi schiarii la voce – sono passata dalla porta di camera mia – conclusi velocemente.
- Dalla porta? – aggrottò la fronte.
- Si, signore dalla porta. – Cos è, ora gli dai anche del signore? Un po’ di amor proprio Hellen!
Il mio interlocutore rimase in silenzio poi, come aveva reagito Omnir la prima volta che lo avevo visto, si mise a ridere a tal punto da doversi tenere la pancia per non cadere a terra rotolando.
- Tu – rise – potresti essere il primo essere umano a metter piede qui e dici di essere passata per una semplice porta?! – rise ancora.
-M-mi scusi, non capisco cosa intende dire – chiesi perplessa.
- Voglio dire – si ricompose – che mai ho sentito o letto da qualche parte che uno della tua stesa specie, sia mai venuto ad Infinitus. Anzi, credevamo che nessuno, a parte alcuni privilegiati, potesse mai passare da un mondo all’altro –
Da un mondo all’altro? Ma cosa stava dicendo, secondo a quello che affermava, c’erano molti mondi oltre che al mio. Impossibile, ricordati che stai sognando Hellen, stai solo sognando!
I miei tentativi di rassicurarmi erano patetici, ma adesso che avevamo iniziato, avevo un centinaio di domande da fare.
- Vuole dire, che ci sono altri mondi oltre al mio e ad Infinitus? – chiesi. L’Yuee mi guardò serio e poi rispose:
- Non credo che tu debba sapere cose che non ti riguardano, non dovevo neanche sfiorare l’argomento ma ero talmente curioso… -
- La prego, mi dia delle risposte. Non ci sto capendo nulla da quando sono qui, ho preso la decisione di entrare qui senza riflettere e adesso non so più come tornare a casa… se mai ci tornerò – abbassai lo sguardo.
-Mi spiace, non posso risponderti. Adesso e meglio che raggiungi il guardano, ti sta aspettando – disse infine alzandosi e indicandomi la porta.
Esitai qualche istante ma poi, notando l’espressione del capo villaggio, mi decisi anche io ad uscire all’aria aperta.
Omnir mi stava aspettando impaziente e non appena mi vide, cominciò a camminare. Non gli rivolsi alcuna domanda, non avevo voglia di parlargli. Tutte le cose avvenute in poco più di mezzora, mi avevano a tal punto scossa che una nuova discussione non potevo proprio reggerla.
Lo seguii lungo quell’intreccio di case appese alla roccia, la mia testa non voleva ascoltare niente che non fosse: “Esistono altri mondi? Ed io, che ci faccio qui?”
Domande che sicuramente potevo porgermi prima di immischiarmi in fatti in cui non centravo nulla. Il ricordo di una cosa che il mio compagno mi aveva detto, mi riscosse improvvisamente.
“Non si torna indietro, si può andare solo avanti…” 
Andai a sbattere contro la schiena dell’elfo che si era fermato improvvisamente. Eravamo di fronte ad una casa simile a tutte le altre, aveva solo un aspetto più come dire… regale.
- E’ permesso? – chiese il mio compagno.
- Avanti – rispose una voce femminile.
Entrammo e ci trovammo in un ambiente del tutto identico a quello che avevo visitato in precedenza. La mobilia e l’odore, erano leggermente più dolci e, all’apparenza, meno selvatici.
Una Yuee con meno peli e occhi più dolci, si presentò rivolgendosi ad entrambi con garbatezza.
- Benvenuti, mio marito mi ha fatto avvertire del vostro arrivo – disse socchiudendo gli occhi con amabilità – fate come se foste a casa vostra –  concluse.
- Grazie infinite – rispose sorridendo Omnir.
- Se volete attendere un attimo, vado a chiamare mia figlia –
- Fate con comodo – acconsentì l’elfo.
Doveva essere giovane per gli standard della sua razza, i tratti per quanto felini, erano armoniosi e lineari. Ero curiosa di vedere sua figlia, mi immaginai un cucciolo di leoncino con occhietti innocenti.
- Scusate l’attesa – tornò la moglie del capo del villaggio.
Una creaturina le camminava dietro con sguardo fiero e altezzoso, del tutto diversa da un leoncino. Era, come il resto della sua specie, ricoperta di peli dorati ma in quantità minore rispetto alla madre.
- Lei è mia figlia Arabella ed io mi chiamo Calla, mi spiace non essermi presentata prima – ci sorrise.
- Piacere nostro Calla, lei è Hellen e io sono Omnir –
- Non importa che vi presentiate guardino – sorrise birichina Calla. Il mio compagno rispose al sorriso ed io non potei che rimanerne incantata. Un dolore al petto mi trafisse come una stilettata e mi ripresi subito dal mio stato di contemplazione.
Calla mi guardò per un po’ e così fece Arabella, poi disse:
- Tra non molto sarà pronta la cena, se volete riposarvi di là ci sono già due letti pronti - 
- Grazie, vado volentieri a riposarmi un po’ – rispose Omnir.
- E voi ragazza? – mi chiese Calla.
- Oh ehm… no grazie, andrò a fare una passeggiata per i dintorni – le risposi in imbarazzo.
- Come preferite – disse e si ritirò verso la cucina.
Omnir era già scomparso nel nulla e io rimasi qualche istante a fissare gli occhi di Arabella, che mi osservava anch’ella con sguardo incuriosito.
- Volete che vi conduca a vedere il villaggio? – chiese. Volevo passare un po’ di tempo da sola a pensare così, reclinai la sua offerta.
- Come volete – e se ne andò anche lei. Sospirai e mi diressi nuovamente verso la porta, non avevo la minima idea di dove andare, ma qualunque posto andava bene purché non fosse sotto lo stesso tetto di Omnir.
Il cinguettio dolce e armonioso degli uccellini mi ricordò che non c’era solo lui nei miei pensieri e che mi sarei divertita ad esplorare. Sorrisi al ricordo di quando ero piccola e amavo andare alla ricerca di posti sempre nuovi e che diventavano il mio quartier generale.
Quando avevo smesso di farlo? Non ricordavo più quando fosse stata l’ultima volta che avevo strabuzzato gi occhi per la meraviglia.
Mi incamminai lentamente, gustano ogni particolare, verso l’insenatura che lasciava entrare il sole che illuminava tutto il villaggio degli Yuee.
Incontrai molti abitanti e li salutai tutti con un po’ di timore, ma loro non sembravano a disagio e mi sorridevano raggianti come se vedessero per la prima volta una creatura sconosciuta.
Bè, sono una creatura che non hanno mai visto da quanto ha detto il loro capo!
Mi fermai quando arrivai proprio al confine dell’insenatura, uno strapiombo metteva fine alla mia esplorazione.
Adesso capisco come è costruito il villaggio! È una conca con una sola uscita ed entrata, una tomba se vengono attaccati perché non possono scappare da nessuna parte.
Mi misi a sedere su una roccia levigata, con le gambe a penzoloni sullo strapiombo. Il sole stava tramontando, facendomi assistere ad uno spettacolo favoloso.
Una grossa esplosione di rosso e arancione, sembrava aver tinto il cielo. Uno stormo di uccelli che non conoscevo compivano il loro volo spensierati, tracciando in aria fluide variazioni e giravolte su se stessi. Sembravano divertirsi moltissimo e come se dovessi contrapporre la loro gioia con un sentimento opposto, tornai ad avere quella brutta sensazione di non appartenere a quel luogo e a sentirmi terribilmente sola.
Continuavo a pensare ad Omnir e a perché mi trattasse così, anche se avrei preferito non pensaci affatto. La mia testa tuttavia, non voleva saperne e mi riportava sempre dove voleva lei.
Sono stufa di questa situazione… spero di arrivare presto dal loro re così potrò tornare a casa.
Mi incantai sopra pensiero e mi riscossi quando una voce parlò alle mie spalle.
- E’ un paesaggio stupendo, vero? –
- Arabella! Mi avete spaventata – dissi più tranquilla dopo aver visto chi era.
- Dammi pure del tu, mi fai sentire vecchia se no – sorrise e si accomodò a fianco a me.
- D’accordo – risposi a disagio. Quando la madre me l’aveva presentata, la prima impressione era stata di una ragazza molto riservata e sulle sue.
- Questo è il mio posto preferito, ci vengo quasi tutte le sere a pensare – rispose alla mia domanda muta. Mi ero chiesta se mi avesse seguita o fosse finita la per una fortuita coincidenza, in ogni caso ero sorpresa che si fosse seduta con me senza decidere di tornare indietro.
Non avevo la sensazione di piacere molto agli Yuee e il loro modo di non considerarmi affatto, oltre che alla bastonata in testa iniziale, avevano rafforzato la mia supposizione.
Rimanemmo in silenzio per un po’ di tempo a contemplare ammirate quel paradiso terrestre poi, sentendo la necessità di dire qualcosa, le domandai:
- Ehm… ho conosciuto tuo padre, mi ha dato una buona impressione – alla fine, aggiunsi nella mente.
- Già, si vede raramente a casa – disse naturale, ma notai una nota di disappunto.
- Avrà molto lavoro essendo il capo villaggio – supposi.
- Si... –  sussurrò – adesso è meglio che andiamo, la cena sarà pronta – continuò alzandosi.
Io feci altrettanto e la seguii sulla strada del ritorno. Ero contente di aver parlato con qualcuno,  mi sentivo meglio e più a mio agio. Arabella era stata gentile a parlare con me nonostante si trovasse a disagio.
Non doveva essere facile per delle creature come loro, trovarsi un umana fra le zampe che non sa come comportarsi e che comunica con tanta ingenuità da far concorrenza ad un bambino di due anni.
Tornati al rifugio momentaneo, la tavola era già imbandita e l’elfo era già seduto a chiacchierare con Calla.
- Siete tornate, bene possiamo mangiare allora – disse Calla.
- Non aspettiamo vostro marito? – chiesi titubante. Era la prima volta che mi rivolgevo a lei.
- Oh mio marito tornerà questa sera tardi, mangiate senza problemi – rispose tranquilla.
Mi misi a sedere vicino a Arabella e non accanto a Omnir perché volevo stragli il più distante possibile. Lo vidi irrigidirsi un attimo quando gli passai dietro e poi rilassarsi come se avesse appena ricevuto la scossa.
Cercai di non farci caso e mi fiondai sul cibo che era di gran lunga meglio rispetto allo spuntino che avevo fatto con frutti e radici prima di arrivare lì.
Tempo tre quarti d’ora ed eravamo tutti sfamati e appagati.
- Era ottimo Calla – disse l’elfo.
- Vi ringrazio molto guardiano - rispose garbatamente lei.
Dopo aver riempito lo stomaco mi era venuta una sonnolenza improvvisa e volevo solo andare a dormire e non pensare a niente.
- Scusate ma vorrei andare a letto, potete indicarmi la stanza? – chiesi.
- Ma certo cara, Arabella falle vedere tu dove può dormire - rispose Calla.
- Grazie –
Non guardai Omnir e lui fece altrettanto così, mi apprestai a seguire Arabella lungo il corridoio che portava alla camera da letto.
- Siamo arrivate – disse infine e aprii una porta in legno scuro.
L’arredamento era uguale al resto della casa e un letto singolo semplice, era posizionato al centro al di sotto di una finestra.
- Bene, buona notte allora – si congedò.
. Buona notte – dissi a mia volta.
Chiusa la porta, rimasi sola e mi diressi verso la finestra e l’aprii facendo entrare un po’ d’aria fresca.
Mi tolsi le scarpe e i pantaloni e rimasi solo con la maglietta e le mutande. Per fortuna la camera era solo per me e potevo benissimo scorrazza a gambe scoperte quanto mi pareva, peccato che ero talmente stanca che mi buttai sotto le coperte senza guardarmi minimamente in torno.
E’ stata una giornata infinita, adesso cerca di dormire.
E così feci, tempo due secondi e sprofondai in un sonno pesante dove non cerano bastoncini di legno che mi tiravano pizzicotti sulle gambe, elfi maleducati ed emotivamente squilibrati e leoni enormi che si reggevano su due zampe.
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 
Capitolo 5
 
 
- Mamma! Mammaaaaa! –
- Hellen! Hellen, svegliati! – mi urlò una voce.
Aprii improvvisamente gli occhi trovandomi davanti Arabella. Ansimai in cerca d’aria e mi guardai intorno per ricordarmi dove ero. Mi rigettai indietro sul letto tirando un lungo respiro, posando la mano destra sulla fronte bagnata.
- Devi aver avuto un incubo – mi disse lei guardandomi.
- Già… - sussurrai.
- Ti ho sentita urlare da camera mia e sono venuta a controllare – mi sorrise.
- Grazie – risposi al sorriso – che ore sono? – chiesi.
- Le 9:00… ti senti meglio adesso? –
Era difficile dirlo, non ricordavo cosa avevo sognato ma la sensazione che provavo nel petto non era piacevole e di conseguenza anche il sogno non doveva esserlo stato.
- Si, sto meglio – risposi mentendole.
- Bene – disse sinceramente  sollevata  - è pronta la colazione – mi avvertì.
- Arrivo tra un momento, grazie –
- Come preferisci – rispose uscendo dalla stanza.
Ricordavo che la sera prima mi ero addormentata senza problemi grazie alla stanchezza, ma poi nel sonno i ricordi avevano agito per conto proprio.
Devo smetterla di trastullarmi in questo modo… indietro non si torna.
Mi decisi ad alzarmi e notai per la prima volta, grazie anche alla luce che entrava dalla finestra sopra al letto, l’arredamento della camera.
Le pareti erano in pietra ed il pavimento era tappezzato di tappeti in pelle d’animale bel lavorata. C’era un grosso cassettone in legno e uno specchio attaccato sopra di esso che riflesse la mia espressione.
Avevo una faccia orrenda, con occhi stanchi nonostante avessi dormito e pelle pallida come cera.
Un catino pieno d’acqua era adagiato sopra al cassettone, sicuramente lo aveva portato Arabella per permettermi di sciacquarmi il viso.
Presi i vestiti che avevo appoggiato la sera prima su una sedia vicino a letto e li indossai, poi mi lavai e, non potendo indugiare ancora, mi diressi a fare colazione.
Non volevo rivedere il volto di Omnir, sapevo di non poter resistere ulteriormente a quel clima ostile. Mi sentivo deteriorare da dentro e non era normale, perché in fondo, lo conoscevo da poco più di due giorni.
Percorsi il corridoio completamente al buio perché presa dai pensieri, non avevo neanche acceso la luce.
Appena entrai nella sala, notai subito che il tavolo su cui la sera prima avevamo cenato, era pieno di cose buone da mangiare. C’erano biscotti, latte, tea al limone e un sacco di dolcetti fatti in casa.   
- Buongiorno – mi salutò Calla che portò in tavola altri dolci da l’odore invitante.
- Il guardiano è uscito presto stamattina, ma mi ha detto che sarebbe tornato in tempo per la colazione – disse notando che mi guardavo attorno alla ricerca dell’elfo.
- Oh… bene – risposi. Ero sollevata, potevo passare un altro po’ di tempo senza tormentarmi  per i suoi silenzi e godermi quelle leccornie.
Mi sedetti e presi subito una tazza di tea, biscotti e uno di quei dolci favolosi che aveva preparato Calla.
Lo addentai e fui sommersa da sapori che mai avevo provato, sentivo come l’aroma della fragola, dell’orzo e del mirtillo ma non ero sicura che corrispondessero.
- E’ buonissimo! Cosa c’è dentro? –
- Sono felice che ti piaccia – rise – dentro ci sono dei frutti che coltiviamo noi nella grotta –
Non potevano essere decisamente gli stessi frutti che avevamo sulla Terra, ma erano molto gustosi.
Entrò nella stanza anche Arabella e si mise a sedere accanto a me, addentando subito un dolce dal color viola scuro.
- Non ti smentisci mai mamma, è buonissimo – disse sincera.
 - Grazie cara – rispose contenta la madre.
Le guardai sorridendo, mi ricordavano la mia famiglia con cui ogni mattina facevo colazione e che la maggior parte delle volte doveva sopportare il mio umore nero per un imminente compito in classe. Sospirai e abbassai lo sguardo per la morsa di nostalgia improvvisa.
- Ti manca la tua famiglia, Hellen? – mi chiese Arabella notando il mio sguardo triste.
- In effetti… si mi mancano un po’ – ammisi.
- Hai fratelli o sorelle? – mi chiese curiosa.
- Ho un fratello maggiore – sorrisi ricordando le migliaia di volte in cui avevamo litigato per un non nulla .
- Devi volergli molto bene perché parlando di lui ti brillano gli occhi – continuò la mia nuova amica.
- Già… -
Proprio in quell’istante entrò Omnir con la stessa espressione indifferente della sera prima. Riabbassai subito lo sguardo per non incontrare i suoi occhi verde smeraldo, ma ero sicura che neanche lui volesse vedermi.
- Ben tornato guardiano – disse Calla. Dovevano provare un gran rispetto per l’elfo per rivolgersi a lui con tanta garbatezza e poi, il capo del villaggio si era addirittura inchinato!
- Grazie, Calla – rispose Omnir mettendosi a sedere a tavola e cominciando a mangiare.
Nella sala tornò ad aleggiare il silenzio, uno di quei silenzi pesanti dove era scontato sentirsi a disagio. 
- Quando avete intenzione di partire, guardiano? – domandò Arabella e lo sguardo che gli rivolse era tutt’altro che di rispetto, sembrava volerlo fulminare con gli occhi felini.
Sentii di esserle molto grata, era come se mi sostenesse rimproverando l’elfo per il suo atteggiamento nei miei confronti.
- Il prima possibile, possibilmente prima di pranzo – rispose semplicemente lui.
Così presto? Non volevo lasciare così velocemente il villaggio, mi ero affezionata a Calla e a Arabella anche se in breve tempo.
- Non sarebbe meglio rimandare a domani? – azzardò a chiedere la mia amica.
- No, il sovrano ci aspetta – tagliò corto Omnir.
Arabella non disse più nulla, ma sentivo che non era d’accordo e in fondo anche io la pensavo come lei. Il pensiero di passare giorni interi in compagnia dell’elfo in un assoluto silenzio, mi faceva venire i brividi.
Mi alzai da tavola decisa a rinchiudermi in camera fino al momento della partenza.
- Grazie ancora Calla – dissi – vado in camera – aggiunsi.
- Di niente – rispose lei.
Giunta nella mia stanza chiusi la porta alle mie spalle e mi ci appoggiai con le spalle. Dio, finalmente. Le quattro mura mi permisero di rilassarmi un pochino, tanto che scivolai a sedere sul pavimento.
Chiusi gli occhi per un momento, ma dovetti aprirli subito perché qualcuno bussò alla porta.
- Si? – chiesi.
- Sono Arabella, ti dispiace aprirmi? – ripose con voce dolce. Mi alzai velocemente e feci scattare la serratura.
- Entra – sorrisi.
- Scusa il disturbo –
- Nessun disturbo – mi misi a sedere sul letto che cigolò pericolosamente.
- Ecco… c’è una ragione se sono qui – sembrò imbarazzata, i baffetti dorati vibrarono.
- Ho notato che il guardiano non sembra essere di buon umore, soprattutto con te – continuò incerta.
Io non dissi niente colpita dal fatto che me ne parlasse con tanta naturalezza nonostante non ci conoscessimo bene.
- Non so il motivo, ma so che in realtà lui non è così. Ad Infinitus è famoso per la sua generosità e saggezza per cui, abbi pazienza perché sono sicura che qualunque cosa li passi per la testa gli passerà – disse infine.
- Ti ringrazio Arabella, ti confesso che sono in difficoltà perché non so cosa ho fatto di sbagliato. Il giorno prima è sorridente e solare, e il giorno dopo non mi guarda nemmeno – mi si inclinò la voce – non so cosa fare… - la guardai sentendo le lacrime premere agli angoli degli occhi.
Lei mi prese una meno e mi sorrise incoraggiante, trasmettendomi un po’ della sua fiducia.
- Vorrei darti una cosa, così mi ricorderai e potrai affidarti a me ogni qual volta che vorrai – prese un piccolo oggetto dalla tasca del vestito azzurro cielo e me lo porse fra le mani.
Lo guardai attentamente: era un ciondolo, un bellissimo ciondolo a forma di piccola quercia. Ogni particolare era ben intagliato nel vetro che assumeva sfumature di colore diverso a seconda del tronco e delle foglie.
Ne rimasi commossa e quando alzai gli occhi sulla mia amica, ormai potevo definirla così, vidi che anche lei era emozionata.
- Grazie… - dissi incredula. Lei, in risposta, prese la collanina e me la agganciò dietro al collo.
Ne sfiorai la superficie liscia sentendomi pervadere da un innaturale calore, quel ciondolo la rappresentava e decisi che quando mi sarei sentita sola, l’avrei stretta fra le dita ricordandomi che la mia amica era sempre con me.
- Questa collanina apparteneva a mia nonna, è come un cimelio di famiglia – disse.
- Allora non posso accettare, è tua – feci per togliermela.
- No, è mia e voglio regalarla a te. Per favore, accettala –
- D’accordo – assentii infine sorridendole. Qualcuno bussò e Calla si affacciò nella stanza.
- Hellen, temo che il momento della partenza sia arrivato – sorrise malinconica.
- Arrivo – mi alzai.
Insieme ad Arabella, mi diressi nella sala dove vidi Omnir già pronto con uno zaino in spalla mentre salutava Calla.
- Non so come ringraziarti per la tua ospitalità – disse il mio compagno di viaggio.
- E’ stato un piacere guardiano – rispose cordialmente lei.
Mi avvicinai per salutarla anche io, ma appena le fui di fronte non riuscii ad articolare parola.
- Torna quando vuoi Hellen, sarai sempre la benvenuta in questo villaggio – socchiuse gli occhi intenerita.
- G-grazie infinite Calla – dissi riuscendo a controllarmi a stento dal non piangere. Omnir aveva anche salutato Arabella ed era già sulla soglia della porta. Mi avvicinai anch’io all’uscita, ma prima di varcarla, mi voltai verso la mia amica e la abbracciai di slancio. Lei inizialmente non si mosse per la sorpresa, ma poi ricambiò la mia stretta.
- Sei la prima persona che mi è stata amica, qui. Grazie, grazie di tutto – le sussurrai in un orecchio.
- Ricordati che se ti troverai in difficoltà, ci sarò io a sostenerti anche se da lontano – rispose. Mi allontanai e annuii alla sua affermazione.
- E’ il momento di andare, il capo villaggio ci aspetta per condurci fuori – disse Omnir con tono gelido. Sorrisi per l’ultima volta a Calla e a Arabella, poi seguii l’elfo lungo le vie del villaggio.
Arrivammo all’inizio della galleria e trovammo ad aspettarci il capo con i due Yuee che ci avevano scortato la prima volta.
- Bene, fate buon viaggio – disse il grande Yuee.
- Grazie di nuovo di tutto – gli strinse la mano Omnir.
Poi si rivolse a me donandomi un magnifico sorriso a trentadue denti aguzzi come quelli degli squali.
- Buona fortuna umana, possa la fortuna essere sempre dalla tua parte e guidarti verso il tuo destino – disse con tono calmo.
- G-grazie – articolai.
- Voi-seguire-noi – disse uno degli Yuee guida.
Riuscii a sorridere al capo villaggio, ma ero sicura che era risultato più un ghigno che un sorriso tuttavia, lui rispose alzando una mano a mò di saluto.
Percorremmo la galleria a ritroso illuminata dalla flebile luce di una fiaccola portata da uno degli Yuee guida. Ero di un umore pessimo, la prospettiva che mi attendeva non era delle migliori. Giocherellai con la collanina che mi aveva regalato Arabella, soffocando il desiderio di tornare indietro.
Il mio “compagno” procedeva spedito verso l’uscita senza, pensate un po’, proferire parola con nessuno. Rimani pure nel tuo mutismo, a me non interessa!
Arrivati alla fine della galleria salutammo anche le due guide e proseguimmo per la strada principale in mezzo alla foresta. Il sentiero procedeva in rettilineo con qualche curva qua e la, ma per il resto la via era tranquilla.
Mi concentrai sui suoni del bosco e mi rilassai all’istante cullata dal dolce richiamo degli uccelli che unito allo sferzare del vento, dava origine ad una melodia naturale.
Camminammo a lungo poi, quando il sole fu ben alto in cielo e il caldo torrido si face sentire, decidemmo di fare una pausa all’ombra di un grande albero dalla chioma fitta.
Omnir tirò fuori dallo zaino acqua e cibo e me lo porse senza troppi complimenti.
Quanto mancava alla capitale? Avrei retto fino al nostro arrivo in quelle condizioni? No, decisamente dovevo mettere in chiaro con l’elfo cosa era successo di tanto grave per non parlarmi più da giorni. Ma ero timorosa, non sapevo spiegarmelo neanche io e questo mi irritava moltissimo.
- Devo saperlo!! – sbottai improvvisamente – Omnir devi dirmi perché, perché mi stai trattando in questo modo? Se ho commesso qualcosa di sbagliato mi scuserò, ma così non posso continuare! -  dissi alzandomi, presa dalle emozioni.
L’elfo incrociò, dopo molto tempo, i miei occhi e io mi sentii tremare le gambe. Il suo sguardo era ostile, una piega gli si era formata sulla fronte in mezzo agli occhi.
- Cosa vorresti sapere? Perché ti sto trattando con tanta indifferenza?! Perché ti odio così tanto?! – urlò arrabbiato.
Io deglutii e sentii un dolore acuto al petto, come se mi avessero appena lanciato una pietra enorme sull’addome. Non riuscii a trattenere le lacrime stavolta, aveva detto che mi odiava e per motivi che neanche sapevo! Perché ero umana? Perché non ero degna di stare accanto ad uno come lui?
- N-non mi ritieni all’altezza di fare questo viaggio a fianco a te?! Mi disprezzi a tal punto?! – dissi con rabbia, nonostante goccioline salate scendessero veloci sulle mie guance.
Lui sembrò cambiare espressione, ma io continuai ormai a ruota libera.
- Non ho chiesto io di venire qui! Si forse ho sbagliato ad entrare da quella maledetta porta, ma che dovevo fare!? Non sei obbligato ad accompagnarmi da nessuna parte, posso trovare qualcun altro come guida, tu torna pure a fare il tuo bellissimo lavoro di  “Guardiano dei confini” !! – urlai infine. Quello che avrei voluto fare dopo era correre via lasciandolo li, ma le gambe non mi reggevano e caddi a sedere impotente tenendomi le mani premute sugli occhi, mentre singhiozzi violenti mi scuotevano senza che potessi fermarli.
- V-voglio… t-tornare a c-casa… - mugolai.
Omnir sbuffò e ricominciò a parlare stavolta con tono più calmo.
- Ero furioso. Ci avevano attaccati senza che neanche me ne accorgessi, se fossi stato solo tuttavia, non si sarebbero mai permessi una cosa simile. Ecco perché non volevo parlarti ne tanto meno guardarti… - disse con un sospiro.
Non riuscii a controbattere a causa dei singhiozzi e per le lacrime che non volevano smettere di cadere.
Era questo il motivo? Ma era idiota o cosa!? Tutto quel tempo a logorarmi per chissà quale ragione, e lui si stava crogiolando nel suo stupido orgoglio ferito!? Al diavolo, lo avrei volentieri ucciso nonostante quella sua bella faccina!
- Non mi è mai, mai capitata una cosa simile e la mia reazione, lo ammetto, è stata esagerata – ammise infine.
Alla fine si era risolto tutto così? Con un’omissione di colpe? E’ no, non la passava liscia così dopo che ci ero stata così male.
Quando fui in grado di mettere di nuovo in fila due parole, dissi:
- Tu pezzo di imbecille! Dai la colpa a me per una cosa così stupida? Ma lo sai quanto ci sono stata male? Lo sai quanto ci ho pensato per capire cosa avevo fatto di così grave da farti reagire in quel modo?! Tu sei più emotivo di una donna in meno pausa!! – urlai fuori di me.
- Mi dispiace – abbassò lo sguardo. Bastava che mi mettessi a piangere per fargli sciogliere quel cuore di ghiaccio che si ritrovava?
Stavolta ero io quella infuriata e offesa perciò, non gli rivolsi la parola per ore e procedemmo per il nostro cammino in un silenzio ostile che stavolta, potevo ammettere orgogliosa, avevo creato io.
Al crepuscolo ci accampammo in una radura ben arieggiata ottima per riposare la notte. Non avevo aperto bocca per tutto il viaggio e rimuginavo, soprattutto con insulti aperti, ad Omnir e alle sue poche conoscenze di galanteria verso le donne.  Aveva tentato più volte di mettere in piedi una conversazione, ma si era ritrovato sempre a parlare da solo.
Se lui era testardo, io lo ero ancora di più e non gli avrei parlato ancora per molto. Mangiammo in assoluto silenzio le provviste che gentilmente Calla ci aveva fornito poi, mi sdraiai a terra senza dire niente.
- Allora… buona notte – disse Omnir, ma non gli risposi e presi a rigirarmi fra le dita il ciondolo a forma di quercia.
Quanto vorrei essere ancora con te, Arabella. Sospirai frustrata e mi rigirai sul giaciglio improvvisato, procurandomi delle forti fitte alla schiena.
Mi incantai ad osservare la collana e pensavo di essermi quasi addormentata, quando notai un bagliore fulmineo attraversare il ciondolo.
Pensai di essermelo immaginato, ma avvenne una seconda volta e stavolta ero sicura di essere sveglia. Strinsi gli occhi per vedere meglio, dato che le braci del fuoco si erano quasi del tutto spente e vidi, per un secondo, il volto della mia amica riflesso nel vetro.
A-arabella?!
Il volto riapparve sorridente e una nuova ondata di calore mi oltrepassò il corpo.
Grazie, amica mia.
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1523515