The New Age di michaelgosling (/viewuser.php?uid=182536)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Nuovo Mondo ***
Capitolo 2: *** Scelte ***
Capitolo 3: *** Pericoli ***
Capitolo 4: *** Una Vita Infernale ***
Capitolo 5: *** Manchester! ***
Capitolo 6: *** Nuovi Alleati ***
Capitolo 7: *** Incontro ***
Capitolo 8: *** Viaggio Senza Meta ***
Capitolo 9: *** Jeremy Bloch ***
Capitolo 10: *** Ansie e Timori ***
Capitolo 11: *** Scoperte ***
Capitolo 12: *** Una Vita Intera Distrutta dalla Bibbia ***
Capitolo 13: *** La Nascita del Mostro ***
Capitolo 14: *** Una Nuova Vita ***
Capitolo 15: *** I Tre Moschettieri ***
Capitolo 16: *** Nomi, Nomi e ancora Nomi ***
Capitolo 17: *** Lavoro di Squadra ***
Capitolo 18: *** Casa ***
Capitolo 19: *** Legami ***
Capitolo 20: *** Vuoi Uscire Con Me? ***
Capitolo 21: *** Sintomi Evidenti ***
Capitolo 22: *** Tocco ***
Capitolo 23: *** Lividi ***
Capitolo 24: *** La Festa ***
Capitolo 25: *** Il Fiore che sboccia nelle Avversità, è il più bello e il più raro di tutti ***
Capitolo 26: *** La Bella e la Bestia ***
Capitolo 27: *** Codice 123 ***
Capitolo 28: *** Verità ***
Capitolo 29: *** Rimorsi ***
Capitolo 30: *** La Morte di Ogni Speranza ***
Capitolo 31: *** Arrabbiarsi Senza Smettere di Amare ***
Capitolo 32: *** Scelte Mortali ***
Capitolo 33: *** Esecuzione ***
Capitolo 34: *** Un Uomo che ha Lasciato il Segno ***
Capitolo 35: *** La Lettera ***
Capitolo 36: *** Mai Più Impreparati ***
Capitolo 37: *** Addii ***
Capitolo 38: *** Amicizia ***
Capitolo 39: *** Restare ***
Capitolo 40: *** Paura e Rabbia ***
Capitolo 41: *** Dritto al Cuore ***
Capitolo 42: *** Non Siamo Soli ***
Capitolo 43: *** Ti Avrei Amata ***
Capitolo 44: *** Libertà ***
Capitolo 1 *** Il Nuovo Mondo ***
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CAPITOLO 1. IL NUOVO
MONDO.
La fredda luce
del mattino entrò con prepotenza nella camera, diventando
una cosa sola con la densa aria che proveniva dal Covulsore 231, che la
mitigava rendendola meno fredda e più piacevole.
Lo stile della
casa era molto antico, di secoli forse: sotto la finestra c'era una
piccola scrivania, con sopra un economico computer Apple, che, pur
essendo raro e talmente antico da essere considerato una sorta di
reliquia, era ancora disponibile nei negozi.
Accanto c'era
un grande scaffale, con al proprio interno i libri elettronici, ovvero
dei piccoli computer che al proprio interno contenevano dei libri.
Quelli scritti sulla carta erano spariti dalla circolazione da circa
2000 anni.
Esattamente al centro
della stanza, il materasso si muoveva dolcemente, senza mai alzare o
diminuire la sua distanza dal suolo di mezzo metro.
La bambina che
si nascondeva sotto le coperte, che non poteva avere più di
sei anni, sembrava non avesse intenzione di lasciare il caldo letto e
soprattutto la stanza, e svariati erano i motivi: non voleva andare a
scuola, non voleva vedere nessuno, non voleva fare niente e non voleva
andare da nessuna parte, ma doveva farlo.
La sveglia
suonò con prepotenza e il movimento del materasso divenne
più agitato: la sua camera le stava imponendo di alzarsi, e
se non lo avesse fatto sarebbe intervenuta sua madre.
Senza un
motivo, le venne in mente la discussione dei suoi genitori: sua madre
voleva comprare un Vestatario 360, una tenda che vestiva
automaticamente le persone in pochi secondi.
"Gli
Intoccabili ne hanno anche più di uno!" diceva.
"Noi non siamo
Intoccabili. Non cerchiamo di avvicinarci a loro. Siamo quello che
siamo." aveva detto suo padre.
Per Ayris non
era un problema: le piaceva vestirsi da sola.
Ci metteva
solo un paio di minuti, e poi poteva decidere i vestiti che voleva.
Però
non aveva mai capito con chiarezza com'era strutturata la
società nella quale viveva e perchè. Quando
seguiva le notizie al telegiornale era parecchio confusa.
Aveva chiesto
spiegazioni ai genitori, ma la loro risposta non aveva soddisfatto la
sua curiosità.
"Ci sono tre
ceti sociali. Noi siamo nel secondo."
Nient'altro.
Comunque
quella mattina avrebbe fatto una gita con la scuola, e secondo le
maestre era qualcosa che aveva a che fare con la società.
Scese le scale
e raggiunse la cucina.
Suo padre
stava leggendo il giornale, mentre sua madre le preparava la colazione.
Quando la
donna accese la TV sfiorando lo schermo con le dita, la bambina
finì in fretta di bere il latte per prestarci attenzione.
Era un
telegiornale popolare, il più seguito dell'Inghilterra.
A parlare era
Stewart Bennett che, nonostante avesse già quaranta anni,
sembrava ancora un ragazzino: era fisicamente perfetto, con dei lucenti
capelli biondi e grandi occhi chiari.
"E ora,
passiamo alla prigione di Whitemoor. Questa mattina David Hollow
è stato giustiziato sulla sedia elettrica per il reato di
omosessualità: aveva una relazione con Michael Kingsley, il
quale è stato giustiziato mesi prima. Il Papa, presente
all'evento, ha commentato la situazione: "E' stata fatta giustizia e
ora siamo in un mondo migliore. Dio ha adoperato per noi e ci ha
aiutati a eliminare il diavolo sotto forma umana dalla nostra bella
Terra. I nostri bambini sono nuovamente al sicuro, e ora che tutto
è tornato normale possiamo sorridere di nuovo e avere
fiducia nel futuro. Il fatto che sia Hollow che Kingsley fossero del
ceto dei Mostri deve farci riflettere: non a caso questa è
l'unica categoria che ci rende non perfetti. Il nostro tallone
d'achille, praticamente.""
"Mamma, chi
sono i Mostri?"
"Un ceto
inferiore al nostro."
"E
perchè il Papa li odia?"
"Perchè
sono sbagliati."
"E
perchè?"
"Non
c'è una spiegazione a tutto, Ayris. Devi solo accettare la
realtà. Non importa se non ti piace il mondo nel quale
viviamo. La società è questa e non possiamo fare
altro che viverla nel migliore dei modi." spiegò suo padre
in tono fiero.
Ayris
sentì che suo padre volesse dire dell'altro, e che si fosse
trattenuto per la gelida occhiata che gli lanciò la moglie.
La donna mise
alla figlia un cappotto e la accompagnò all'uscita
dell'abitazione.
****
Ayris non era
mai stata a Surrey: sapeva solo che era più un paese che una
città vera e propria.
"State
attenti, è piena di pericoli. State sempre in gruppo!" si
era raccomandata l'insegnante.
Quando
arrivarono, Miss Locrell impose ai bambini di mettersi in fila e di
tenere la mano al "compagno" assegnato dalla nascita: quello di Ayris
era Nathan Anderson, che aveva un anno in più, ma erano
nella stessa classe perchè si era trasferito nel Manchester
solo da un paio d'anni, venuto dalla Scozia.
Lei era
timida, lui era timido e anche se costretti da insegnanti e genitori a
stare sempre insieme e di non interagire con nessun'altro, stavano
spesso in silenzio, ma di certo di lui Ayris non si poteva lamentare.
Vedeva le sue
compagne di classe tristi e malinconiche e non era difficile capirne il
motivo.
Ayris sapeva
che quando avrebbe compiuto diciotto anni avrebbe dovuto sposare
Nathan: entrambi avevano la pelle chiara, gli occhi scuri e i capelli
scuri: avrebbero avuto dei figli con le medesime caratteristiche, ed
era esattamente per questo che erano destinati a sposarsi.
Niente e
nessuno avrebbe potuto ostacolare questo legame: la legge non lo
avrebbe mai permesso.
Tutti lo
sapevano, e anche Elliot, Mark e Daniel, i compagni delle amiche di
Ayris, che le sfruttavano a loro piacimento. Dovevano passare ancora un
po' di anni prima del matrimonio, ma la cosa era già
stabilita. Le sue amiche erano già di loro
proprietà agli occhi dello Stato e loro le concepivano come
una sorta di oggetto: potevano insultarle, pretendere cose da loro
senza mai fare niente e alle volte picchiarle, anche se essendo solo
bambini non le ferivano gravemente, fisicamente almeno.
Tanto loro
sarebbero sempre state lì, a loro disposizione,
perchè non avevano scelta.
Nathan non
sarà molto loquace, ma almeno rispettava Ayris.
La trattava
gentilmente, perchè era buono e provava dell'affetto per lei.
Non le avrebbe
mai fatto del male, e se lo avesse fatto di certo non era intenzionale,
e la cosa era reciproca: Ayris amava Nathan come si ama un fratello, ma
non lo avrebbe mai amato come un marito, ma doveva sposarlo: l'unica
sua consolazione era la convinzione che lui non le avrebbe mai messo le
mani addosso.
Mai e poi mai.
Senza lasciare
la sua mano, si incamminò verso l'insegnante: con lei c'era
un uomo che doveva essere un funzionario pubblico.
"Bambini,
questo è Richard Pollack, ed è qui per spiegarvi
le regole, per cui prestate attenzione." cominciò Miss
Locrell, passando la parola all'uomo con un gesto della mano.
"Ciao bambini.
Non ci sono molte regole e sono facili da ricordare, ma è
essenziale che le rispettiate. Dovete stare sempre con il vostro
compagno, e non dovete mai perdere di vista né la classe,
nè me e la vostra insegnante nè il sentiero che
dobbiamo percorrere. Vedrete persone diverse da voi. Meno acculturate e
dall'aspetto più sgradevole. E' il ceto dei Mostri, ma non
abbiate paura. Non vi torceranno neanche un capello perchè
non hanno nè il potere nè il diritto di farlo.
Noi siamo superiori a loro, anche voi lo siete. Se qualcuno di loro si
avvicina o vi parla, non dategli corda: venite da me e ci
penserò io. Siamo qui.."
Pollack
continuò a parlare, ma Ayris non lo ascoltava più.
Non riusciva a
capire perchè fosse così spaventoso.
Perchè
si chiamavano Mostri?
Erano per caso
quelle persone da cui hanno preso ispirazione autori e autrici di libri
come Frankenstein?
Erano creature
mitologiche mandate dall'Inferno?
Ayris non
seppe darsi una risposta sul momento: un po' perchè non ci
riusciva e un po' perchè il cammino era iniziato.
Surrey era un
paesino tranquillo, ed era talmente un tuttuno con la natura che
sembrava di essere nell'aperta campagna, in un luogo nel quale il tempo
sembrava essersi fermato.
La tecnologia
era quasi assente, ma Ayris si sentiva a suo agio.
A Manchester
si sentiva perennemente osservata e accusata per qualcosa che non aveva
commesso, mentre lì, a Surrey, si sentiva a casa, come se
nessuno potesse farle del male: l'atmosfera le trasmetteva una
sensazione positiva di benessere e calore.
La svolta si
ebbe quando, passando davanti a quella che doveva essere una casa, si
aprì la porta e uscirono due persone, un uomo e una donna.
Entrambi erano magrissimi, quasi pelle e ossa, con il viso allungato e
il naso prominente.
A giudicare
dalla somiglianza fisica, dovevano essere marito e moglie.
La bambina
sentì molti dei suoi compagni di classe emettere un suono
spaventato e indietreggiare.
Tutti loro,
Ayris compresa, erano abituati a vedere intorno a loro persone
fisicamente belle o persino perfette, come ad esempio il giornalista
Stewart Bennett.
Sentì
qualcuno fare dei commenti poco carini, ma lei non ne fece. Non le
sembrava giusto.
Quelle persone
non erano bellissime e perfette, ma non erano dei mostri.
Perchè
quel nome allora?
Ayris
continuava a non capire e vide la donna sull'orlo delle lacrime e il
marito che tentava di consolarla con un abbraccio.
Erano stati
umiliati, e non doveva essere la prima volta.
Non ci
riflettò, e d'istinto Ayris sorrise.
La donna la
notò e la ricambiò, tornando ad avere la stessa
espressione che aveva prima dei commenti.
La bambina era
tentata di chiedere spiegazioni a Pollack, ma pensò non
fosse una buona idea.
Si rimisero in
cammino.
SE STATE LEGGENDO QUESTO MESSAGGIO SIGNIFICA CHE AVETE AVUTO LA
PAZIENZA DI LEGGERE TUTTO IL CAPITOLO E QUINDI GRAZIE! SPERO VI SIA
PIACIUTO, E VORREI TANTO CHE MI LASCIASTE QUALCHE RECENSIONE PER FARMI
SAPERE LA VOSTRA OPINIONE! ALLA PROSSIMA E GRAZIE ANCORA!
-MICHEALGOSLING-
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Capitolo 2 *** Scelte ***
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CAPITOLO 2. SCELTE.
"Bene, bambini. La gita è finita. Scusate se vi abbiamo
spaventato con queste visioni orribili, ma era nostro compito mostrarvi
la realtà di queste persone. Le teniamo qui
per nasconderle. Agli occhi degli altri paesi dobbiamo risultare
attraenti e perfetti, con il con.."
Che buffone pensava
Ayris.
Come può essere così spregievole?
Come poteva starsene lì, con quell'aria da esperto, a gioire
per le umiliazioni a quella povera gente?
Per la bambina i "mostri" erano quelli delle favole oppure quegli
uomini di cui il telegiornale parlava spesso.
Uomini che hanno ucciso altri uomini, donne o bambini.
Stewart Bennett li descrive come "assassini", ma per la bambina neanche
loro meritavano un trattamento ingiusto o comunque non gradito: nessuno
lo merita.
Le ritornò in mente quella donna piangere, e si
vergognò di essere stata con il gruppo che l'aveva insultata.
Voleva tornare indietro.
Voleva cercare la sua casa e chiederle scusa.
Voleva farle le sue scuse per confortarla.
Per non averla difesa come avrebbe dovuto.
Suo padre le aveva sempre detto di chiedere scusa quando sbagliava:
"Non c'è niente di più rispettabile di una
persona che chiede scusa quando si rende conto di aver sbagliato. E'
una chiara e evidente dimostrazione di umiltà."
Bloccata nei suoi pensieri, non si era resa conto che i compagni si
stavano allontanando, e con lei era rimasto solo Nathan, che le teneva
la mano e la guardava perplesso.
"Non che io desideri ardentemente andare a casa, ma se non ci
sbrighiamo restiamo qui a vita." le fece notare il bambino, che
iniziava seriamente a temere che si fossero cacciati in un bel guaio.
Ayris intuì le paure del compagno, e proprio nel momento nel
quale si stavano preparando a correre verso la classe, Ayris si
fermò vedendo in lontananza due bambini tenersi la mano.
Avevano delle camicie bianche chiuse fino all'ultimo bottone, un
maglioncino, calzoni piuttosto vecchi e trasandati e scarpe da
montagna, fatte per chi viveva nella natura: dovevano essere dei Mostri.
Tutto sembrava normale, fino a quando la bambina, che era piuttosto
paffuta, spinse il compagno con forza facendolo cadere.
"Sei inutile!" gli aveva urlato con cattiveria.
"Mi dispiace." aveva balbettato il bambino, guardandola triste.
Lei gli lanciò un'ultima occhiata e poi se ne
andò, lasciando il compagno a terra nell'erba.
Ayris lo guardò triste e poi volse il suo sguardo su Nathan,
il quale capì le sue intenzioni, e lentamente disse no con
la testa.
"Ayris, no!"
Non glielo aveva ordinato, era solo un consiglio che sperava l'amica
seguisse.
Amava il fatto che Ayris fosse così buona, era il suo
miglior pregio, ma questa sua bontà l'avrebbe danneggiata:
lei era una di quelle persone che dovevano vivere in un mondo perfetto,
dove tutti si vogliono bene e dove il male non esiste.
Quello nel quale vivevano loro era perfetto agli occhi degli altri, ma
era solo una facciata.
Era tutta apparenza.
Era come un libro la cui copertina è bellissima, ma le
pagine al proprio interno sono rovinate e prive di ogni significato
morale.
Lei voleva solo aiutare quel bambino, ma non poteva.
Non poteva interagire con nessun bambino di sesso opposto al suo che
non fosse Nathan, e per di più con un Mostro.
"Devo andare." disse Ayris.
"Ayris, no! Non farlo! Lui è un Mostro, tu una Borghese. Se
ti vede qualcuno, sei finita."
"Voglio correre il rischio."
"Ayris, NO!"
Troppo tardi.
L'altruismo aveva superato la razionalità nella mente della
bambina.
Nathan la prese per un braccio per bloccarla, ma invano.
Ayris si liberò della presa e corse verso il bambino a terra.
Preso dallo sconforto e dalla paura, Nathan saltò su
sé stesso, giusto per fare qualcosa e tenersi occupato: non
poteva pensare a cosa stava succedendo, perchè in tal caso
avrebbe avuto una crisi di nervi.
Nel frattempo, Ayris si era avvicinata e vide più
chiaramente il bambino: aveva la pelle chiarissima, i capelli color
marrone scuro rigorosamente pettinati con la riga di lato e gli occhi
erano color verde chiaro ed esprimevano purezza. Le orecchie erano
alte, ma al tempo stesso strette.
Benché fosse un Mostro non era così brutto
esteriormente rispetto ad altri: era semplicemente un po' paffuto e i
denti erano a castoro. Per il resto, agli occhi di Ayris, era un
bambino come lei. Nessuna distinzione.
"Va.. va tutto bene?" gli chiese.
"S-sì, grazie." mormorò lui, come se fosse
contento che qualcuno glielo avesse chiesto usando un tono sincero.
Ayris notò che il bambino aveva una ferita sul ginocchio:
evidentemente se l'era fatta quando era caduto.
La bambina prese dalla tasca del cappotto una pomata e la porse al
bambino, che la prese guardandola con uno sguardo incerto.
Perchè lo stava aiutando?
Lei era una Borghese, lui un Mostro: quella bambina rischiava molto
stando al suo fianco.
Ayris stava per andarsene, ma le venne improvvisamente in mente che la
pomata che gli aveva dato era quasi finita, e di certo non sarebbe
bastata per curare completamente la ferita.
Quell'imprevisto non ci voleva proprio.
"Aspettami qui tra una settimana. Alle 16." gli disse.
Il bambino non ebbe tempo di rispondere. Vide Ayris correre verso
Nathan, che stava ancora saltellando.
"Muoviamoci, o siamo morti." fece quest'ultimo, afferandole la mano e
correndo verso l'uscita del paese.
****
"Tu sei completamente impazzita." mormorò Nathan, guardando
Ayris di traverso e in modo sospettoso, come se nascondesse qualcosa.
"Non sei costretto a farlo se non vuoi."
"Se ti beccano, finirai male. Molto male. Ti imploro. Ripensaci."
"Lo farò, con o senza il tuo aiuto. Allora, mi aiuterai?"
"Ho scelta, per caso?"
"Certo che ce l'hai."
"Sono pur sempre il tuo futuro marito. In un matrimonio ci deve essere
collaborazione reciproca." fece Nathan in tono sarcastico.
Era più maturo di quanto sembrasse.
Scese dal letto e prese da un cassetto sotto la scrivania un tappetto
blu accuratamente piegato.
Ayris lo prese e aiutò l'amico a distenderlo sul pavimento.
La bambina lo aveva acquistato con i suoi risparmi: quello che poteva
sembrare un normalissimo tappetto blu era in realtà un
Trasportatore 240, che permetteva di spostarsi in una manciata di
secondi nei luoghi che una persona aveva visitato. Ayris poteva tornare
a Surrey con estrema facilità.
Era stato Nathan a offrirsi di nascondere l'oggetto: Ayris era figlia
unica e i genitori la tenevano d'occhio.
Lui aveva due fratelli e una sorella, e i suoi genitori non stavano
parecchio con lui: non si sarebbero accorti del Trasportatore 240
neanche se avessero avuto un radar.
La bambina ci salì sopra e si chinò su di esso
per sfiorarne il tessuto con le dita, con un tocco talmente leggero da
sembrare inutile.
Vide che Nathan la salutava amichevolmente con la mano destra e un
secondo dopo si ritrovò nelle verde pianura di Surrey.
Poco distante da lei c'era quel bambino che la stava aspettando.
"Sei una Borghese, vero? Eri nella classe che è venuta la
settimana scorsa. Perchè fai questo?" chiese il bambino,
come se si liberasse di un peso enorme.
Aveva parlato talmente piano che Ayris si stupì di aver
sentito.
"Non lo so. Istinto, penso. Sono Ayris." si presentò, mentre
gli dava la pomata.
"James."
"Allora ciao." fece lei, iniziando a diventare imbarazzata.
Con sua grande sorpresa, Ayris sentì James che le prese la
mano: era calda e dolce.
Quando si rese conto di cosa aveva fatto, mollò la mano e
divenne rosso in faccia, fino alla punta delle orecchie.
"Mi dispiace, non so cosa mi sia preso." balbettò,
abbassando la testa per nascondere il viso.
Ayris lo intuì comunque.
Non lo conosceva molto, ma era convinta che l'avesse fermata
perchè non voleva che se ne andasse: probabilmente voleva la
sua compagnia.
La sua compagna, l'unica con cui poteva interagire, non lo trattava
benissimo a quanto pare e magari i genitori non potevano seguirlo con
le dovute attenzioni e come avrebbero voluto perchè erano
troppo impegnati a lavorare per sfamarlo.
Voleva solo sentirsi meno solo, e poter parlare con qualcuno.
Fissava Ayris con quegli occhioni verdi e la supplicò di
restare.
La bambina non resistette e si sedette accanto a lui, incosapevole del
fatto che quella scelta, quella decisione, avrebbe cambiato per sempre
la vita di entrambi.
ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO! LO SO, E' PIU' NOIOSO DEL PRECEDENTE, MA
CERCHERO' DI RIFARMI! LASCIATEMI UNA RECENSIONE PER FARMI SAPERE CHE NE
PENSATE! GRAZIE A NOB PER AVER RECENSITO IL PRIMO CAPITOLO E AVER MESSO
LA STORIA TRA LE PREFERITE :) SPERO RECENSIRAI ANCHE QUESTO CAPITOLO!
ALLA PROSSIMA! -MICHAELGOSLING-
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Capitolo 3 *** Pericoli ***
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CAPITOLO 3. PERICOLI.
L'aria era mite e la fioritura delle varie piante era la prova
dell'arrivo della primavera.
Una bella adolescente sui diciassette anni era appoggiata al tronco di
un albero con la schiena, e con ammirazione guardava un giovane che,
con particolare cura e attenzione, dava l'acqua ad alcuni fiori, per
aiutarne la crescita.
"Mi dispiace se ti stai annoiando. Ho quasi finito, Ayris."
"Non mi sto annoiando, fai con calma." fece la giovane con tono
amorevole.
Il tempo aveva donato ad Ayris una notevole bellezza, quasi rara:
crescendo era dimagrita e il suo corpo sembrava essersi slanciato,
rendendolo quasi perfetto.
Se si fosse truccata o curata, sarebbe stata spostata negli Intoccabili.
Il giovane con cui si trovava non aveva subito molti cambiamenti.
Gli occhi verdi avevano conservato quella luce di bontà.
ingenuità e purezza, mentre i tratti del viso lo facevano
sembrare più uomo, ma al tempo stesso aveva ancora quello
sguardo da bambino, esattamente come la pelle: bianca e liscia.
Erano passati undici anni da quando si erano conosciuti, ma nonostante
il pericolo, Ayris continuava a vedere James.
Quando quest'ultimo posò lo sguardo sulla ragazza le sorrise
timidamente, arrossendo terribilmente: era così bella.
Così bella che a volte lui si sentiva a disagio in sua
presenza, che gli passava nel momento nel quale lei gli sorrideva.
Crescendo si era reso conto che quello che provava per lei non era
amicizia, ammirazione o disponibilità, ma amore.
Era così evidente che fosse innamorato di lei che si stupiva
che lei ancora non lo avesse capito.
Era tutto così irreale.
Loro non avrebbero mai dovuto conoscersi, pensava a volte James, quando
sentiva il cuore spezzarsi nel vedere la ragazza che amava allontanarsi
per andare a casa con il Trasportatore 240.
Ma poi si pentiva subito di quel pensiero, e si dava dell'egoista.
Lei non lo avrebbe mai amato.
Era troppo bella.
Troppo straordinaria.
Per quanto il suo aspetto fosse meraviglioso, a far innamorare James
era stato il carattere.
Amava il fatto che lei rischiasse la vita tutti i giorni per vederlo e
farlo sentire meno solo.
Amava il fatto che quando lui, goffo com'era, combinava qualche
pasticcio, lei lo abbracciava e lo consolava, invece che fargli la
ramanzina come chiunque altro avrebbe certamente fatto.
Amava il fatto che lei non si stancasse mai di lui.
Amava il fatto che lei si comportava come se sapesse leggergli la
mente: ha sempre detto e fatto le cose giuste al momento giusto.
Amava cosa gli faceva provare: si sentiva importante per qualcuno e mai
brutto quando era con lei.
Insomma, con i suoi piccoli gesti Ayris faceva in modo, forse
inconsciamente, che James avesse più considerazione di
sé stesso.
Si era presa cura di lui, e continuava a farlo.
Ma la loro era una storia impossibile.
Anche se lei lo avesse ricambiato (cosa alquanto improbabile per il
giovane), non sarebbe potuto accadere nulla.
L'anno successivo Ayris si sarebbe sposata con Nathan
Anderson, e lui con Eleanor McKoy.
Il ragazzo non credeva che si sarebbe mai innamorato, ma era successo e
se alle volte era la cosa più bella del mondo altre volte
era doloroso, tanto che gli capitava di buttarsi
giù e di avere la sensazione di non farcela più a
reggere quella situazione, troppo pesante per lui.
Si scosse quando vide la ragazza alzarsi all'improvviso.
"Qualcosa non va?" chiese timidamente, con il suo solito tono gentile.
"Sono in ritardo, devo andare."
Quello era davvero un guaio.
Se non erano mai stati scoperti era perchè Nathan aveva
studiato gli orari degli ufficiali comunali che sorvegliavano Surrey.
Peccato che erano le 17:15, e il giro di perlustrazione della zona del
paese nella quale si incontravano iniziava alle 17:00.
Se si fosse sbrigata e se avesse avuto fortuna, forse Ayris ce
l'avrebbe fatta.
Salutò l'amico frettolosamente e corse verso il
Trasportatore 240, che teneva nascosto in una grotta poco distante.
Cercò di correre più velocemente quando vide in
lontananza un uomo in giacca e cravatta.
La ragazza si sentì mancare quando percepì
inconsciamente che l'uomo aveva intuito che c'era qualcuno che correva.
Si voltò e vide James avvicinarsi all'uomo, probabilmente
per distrarlo, ma poi la ragazza si spaventò ulteriormente
quando si sentì afferrare da qualcuno: provò
istintivamente ad urlare, ma questo qualcuno glielo impedì.
Prendendola per un braccio, la nascose dietro una roccia.
Era buio, e Ayris non lo aveva ancora visto in faccia.
Quando finalmente sentì la sua mano abbandonarla, volse lo
sguardo su di lui: era un ragazzo che non poteva avere più
di venti anni.
Era fisicamente perfetto: i capelli biondi erano corti e gli occhi che
si nascondevano dietro a dei grossi occhiali erano di un bel verde
chiaro.
Era alto e snello, e la pelle risultava talmente perfetta da sembrare
nuova.
Indossava un completo che appariva nuovo e molto costoso.
Per quanto fosse incredibile agli occhi della ragazza, quello che aveva
davanti era un Intoccabile, non c'erano dubbi.
Ayris avrebbe voluto fargli molte domande, ma si limitò a
guardarlo sorpresa: non sapeva da dove cominciare.
Il giovane la osservò da capo a piedi, come se la stesse
esaminando.
"Ti chiederei cosa ci fa una Borghese a Surrey, ma sarebbe da
ipocriti." cominciò lui, facendole un mezzo sorriso.
"Perchè mi hai nascosto?" chiese la ragazza, raccogliendo
tutto il coraggio che aveva con un sospiro.
"Per salvarti il culo."
"Grazie per la finezza."
"Problemi con il mio linguaggio scurrile, dolcezza?"
Ayris non gradiva essere chiamata dolcezza, ma quello che aveva davanti
era un Intoccabile e le aveva appena salvato la vita. Non era il caso
di essere schizzinosi: meglio tenerselo buono.
"Hai intenzione di denunciarmi?"
Il giovane inarcò un sopracciglio.
"Se ti avessi voluto dietro le sbarre o condannata a morte, non ti
avrei nascosto. Mi sembra piuttosto ovvio, no?"
La giovane stava per rispondere, ma quando sentirono l'imminente arrivo
di qualcuno si agitò.
Con sicurezza il giovane prese dalla tasca della giacca una piccola
scatola, porgendola alla ragazza.
"Cos'è?"
"Trasportatore 450. Premi il pulsante e tornerai a casa."
"Io ho il 240 e non è così!"
"Hai ancora il 240? Oh, benedetta ragazza! Non farai in tempo!"
La ragazza appariva più confusa di prima, così
l'adolescente prese una mano di Ayris e le fece sfiorare l'oggetto con
le dita.
Vide un lampo, e poi di quel giovane neanche l'ombra.
Si guardò intorno, e riconobbe un viso che conosceva molto
bene.
"Nathan!"
"Cristo Santo, Ayris! Mi stavo preoccupando! Cosa è
successo?"
"Mi sono quasi fatta beccare. Mi ha salvato un Intoccabile."
"Un Intoccabile? A Surrey? Meglio andare a casa, temo che tu abbia
sbattuto la testa."
ECCOMI!!! SPERO VI PIACCIA QUESTO CAPITOLO!!! FATEMI SAPERE CHE NE
PENSATE! ALLA PROSSIMA ;)
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Capitolo 4 *** Una Vita Infernale ***
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CAPITOLO 4. UNA VITA
INFERNALE.
"Il Primo Ministro George Hoswell spiega le ragioni che lo hanno
portato a rimandare la data di matrimonio degli Intoccabili. "E' il
ceto più importante della nostra società, e non
dovrebbero sposarsi ai 18-19 anni come i Borghesi e i Mostri. Sarebbe
ingiusto dare gli stessi diritti a tutti. Gli Intoccabili sono il
pilastro della nostra società ed è nostro dovere
dare a loro tutti i privilegi che giustamente meritano. Se Dio ha dato
loro quella bellezza significa che Dio vuole una vita migliore per
loro. Devono sposarsi all'età di 24-25 anni, mentre i
matrimoni dei Borghesi e dei Mostri devono rimanere invariati." Questo
era George Hoswell. Ora passiamo alla prossima not.."
Era davvero troppo.
Scott smise di fare ginnastica solo per non sentire più la
voce del padre e del Primo Ministro.
Stiamo sfiorando il
ridicolo pensò, mentre scese dall'attrezzo
ginnico.
Odiava i suoi genitori.
Odiava quella società.
Odiava il mondo nel quale viveva.
Odiava essere un Intoccabile.
Far parte di quella categoria era una tortura psicologica continua, una
sofferenza permanente.
Il dover essere sempre perfetto, sempre impeccabile, fino ad impazzire
e perdere sé stessi.
Certo, se sei un Intoccabile hai soldi a volontà e vivi nel
lusso, ma il prezzo da pagare era troppo alto e la ricchezza non
aiutava né leniva il dolore nell'anima con il quale sei
costretto a vivere.
I suoi genitori erano diventati succubi di quel mondo, dell'oro, e
stavano trascinando nella loro follia anche i figli, senza rendersi
conto che non facevano altro che peggiorare una situazione che
già da sola era critica e compromessa.
Non aveva mai avuto un amorevole rapporto con i genitori, ma dalla
morte di Melanie aveva chiuso ogni sorta di dialogo con loro.
Melanie era la sua sorella minore, ed è morta quando aveva
dodici anni lei e diciassette anni lui.
Era stato Scott a trovarla.
Era andato nella sua camera per dirle di scendere che era pronta la
cena, e l'aveva trovata sul suo letto, morta dissanguata. Nella mano
destra aveva il coltello da cucina usato per uccidersi.
"Suicidio." fu la sentenza del medico legale.
"Peccato. Pulite tutto, questo sangue mi dà la nausea. Devo
andare al lavoro." fu il commento del padre.
Scott rimase sconvolto.
Come poteva essere così tranquillo?
Come poteva essere così freddo?
Sua figlia, sangue del suo sangue, era morta, e tutto ciò di
cui riusciva a preoccuparsi era andare in servizio quella sera
perchè così avrebbe ricevuto una paga maggiore.
I soldi erano letteralmente diventati la sua ossessione, e non
versò neanche una lacrima per Melanie.
Per sua figlia.
Era diventato una specie di macchina sputasoldi, senza più
niente di umano.
Si rifiutò persino di organizzare un funerale.
Scott aveva tentato in ogni modo di far cambiare idea al padre, ma fu
tutto inutile.
Tutto quello che ricevette fu un freddo "Hai idea di quanto costa un
funerale?"
Erano passati un po' di anni, ma Scott ancora ci ripensava.
Amava Melanie, era la sua sorellina, l'unica della quale gli sia mai
importato qualcosa, e non meritava di morire.
E la cosa peggiore era che era stato il padre a portarla alla morte.
Anche se era stata lei a prendere il coltello, era stato lui ad
ucciderla.
Lui, quella società e la sua pazzia.
Sia a lei sia a Scott aveva imposto una rigida e improponibile vita.
Li costringeva a mangiare pochissimo e solo insalata, frutta e verdura:
tutti gli altri cibi contenevano troppi carboidrati: non dovevano
ingrassare e nessun brufolo doveva arrivare.
Li costringeva ad un esercizio fisico al limite dell'impossibile:
dovevano sviluppare i muscoli e un corpo perfetto.
Li costringeva ad uno studio eccessivo: dovevano avere un'elevata
conoscenza di tutte le materie.
Tutto questo per renderli i più belli e i più
perfetti tra gli Intoccabili, mentre inconsapevolmente li stava
uccidendo, a poco a poco.
Melanie era morta perchè non ne poteva più.
Perchè quelle regole, così rigide, erano troppo
soffocanti per lei.
Scott pensò più di una volta al suicidio, ma si
era sempre fermato: doveva continuare a lottare, anche per lei.
Conosceva Melanie.
Avrebbe potuto suicidarsi in modi meno dolorosi, ma lui sapeva
perchè aveva scelto il dissanguamento.
Uccidendosi con un coltello aveva sporcato il suo corpo di sangue, ed
era esattamente quello che voleva, per poter indirettamente dire:
"Ora non sono più perfetta. Ora il mio cadavere è
sporco di sangue. Sono morta felice e con il sorriso sulle labbra
perchè so di essermene andata distaccandomi da questo mondo.
Distaccandomi da papà e dagli Intoccabili come lui."
Da allora, a Scott non importava più niente di niente.
Infrangeva le regole di suo padre e dello Stato, infischiandosene delle
conseguenze, perchè la morte non gli faceva più
paura.
Aveva iniziato a viaggiare in luoghi riservati ai Borghesi e ai Mostri
per procurarsi del cibo che mangiava quando voleva, e aveva scoperto il
sapore della carne e del cioccolato.
Aveva smesso di andare nella scuola privata che frequentava,
consapevole del fatto che quello che gli insegnavano non era la storia,
ma una storia modificata da loro per cuocerti il cervello.
Andava ancora in palestra, ma solo per abitudine.
Aveva anche iniziato ad avere rapporti sessuali con qualche suo
coetaneo.
Aveva diciotto anni quando ha capito di essere omosessuale, e da quel
momento passava da un letto all'altro.
Faceva sesso con Intoccabili che erano prevalentemente degli
omosessuali repressi.
Non si era mai innamorato e infatti nell'amore non ci credeva: si
stancava facilmente di un ragazzo e dopo un paio di giorni di sesso
sfrenato passava ad un altro.
Il fatto che ci fosse una legge contro gli omosessuali non lo fermava:
non gli importava minimamente se lo beccavano e lo condannavano a morte.
Mentre usciva dalla palestra, gli venne improvvisamente in mente quella
Borghese che aveva visto a Surrey.
Lui era andato là per mangiare un po' di carne e invece si
era ritrovato a salvare la pelle a quella ragazza.
Per un motivo o per un altro, lei era come lui: infrangeva la legge.
Doveva aiutarla, era il minimo.
La curiosità iniziò a tormentarlo.
Chi è?
Cosa ci faceva lì?
Credeva di essere l'unico talmente pazzo da sfidare le
autorità, ma a quanto pare si sbagliava.
Doveva assolutamente scoprire in quale delle città dei
Borghesi vive.
Il suo indirizzo.
Doveva rivederla.
Aveva bisogno di risposte.
"Scott."
Il giovane si dimenticò momentaneamente della ragazza quando
si trovò davanti Adam Brown, un Intoccabile con il quale
aveva avuto un rapporto sessuale la sera prima.
Intuendo cosa volesse Brown, Scott andò direttamente al
punto anticipando il ragazzo.
"A casa mia o a casa tua?"
ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO! SPERO VI PIACCIA!!!! ALLA PROSSIMA E
GRAZIE! :)
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Capitolo 5 *** Manchester! ***
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CAPITOLO 5. MANCHESTER!
Scott sentì le braccia di Adam nei fianchi, come se volesse
trasmettergli tutto il calore di cui disponeva.
Il biondo lo lasciò fare: non gradiva particolarmente
quell'atteggiamento, era troppo sdolcinato per lui, tanto da fargli
venire il diabete, ma glielo doveva.
Avevano appena consumato, e non era il caso di fare il distaccato.
Nel frattempo non faceva altro che pensare a quella ragazza e a come
potesse fare per scoprire il suo luogo di residenza.
Doveva pur esserci un modo, ma non poteva certo chiedere aiuto a
qualcuno: oltre a finire probabilmente nei guai, avrebbe incasinato
anche la ragazza, e non era proprio il caso.
Ma non poteva neanche girovagare in tutte le città dei
Borghesi ispezionando ogni via.
Sarebbe finito alla gogna prima di trovarla.
Si scosse improvvisamente, come se un fulmine lo avesse colpito: aveva
trovato la soluzione.
Prese dai suoi pantaloni il Trasportatore 450: se fosse stato bravo,
sarebbe riuscito non solo a trovare la città, ma anche
l'indirizzo.
Ci lavorò mezzora poi, improvvisamente, fece un salto
così rumoroso da svegliare Adam, il quale vide l'amante
uscire dalla camera da letto alla velocità della luce.
****
"Mi dispiace di averti fatto litigare con i tuoi." mormorò
Ayris al compagno, con evidente e sincero rammarico.
"Litigo sempre con i miei."
Con il suo ritardo, Ayris aveva fatto tardi e di conseguenza anche
Nathan, che la aspettava al punto di incontro, ovvero una zona isolata
di Manchester lì vicino, scelta per non essere visti da
anima viva.
Entrambi avevano sempre fatto credere ai genitori che si allontanavano
per stare in intimità come una vera coppia di futuri sposi
(dovevano dare questa idea per farli stare tranquilli e soprattutto per
non farli insospettire), quando in realtà Ayris si
teletrasportava a Surrey per incontrare James, mentre il compagno si
portava delle cose da fare per passare il pomeriggio.
La ragazza aveva proposto più volte al giovane scozzese di
non correre il rischio: oltre al fatto che sarebbe finito nei guai se
qualcosa fosse andato storto, si sarebbe annoiato comunque, ma dal
canto suo Nathan preferiva la noia alla sua casa.
Ci passava meno tempo possibile.
Per quel ritardo, Nathan era anche stato picchiato dal padre, ma non
era la prima volta: essendo un alcolizzato da quando il ragazzo era
ancora in fasce, non era affatto raro che mettesse le mani sul figlio
sotto l'effetto dell'alcol.
"Vado a prendere qualcosa da bere dal tuo frigo. Vuoi qualcosa?" chiese
Nathan, non sopportando più quell'imbarazzante silenzio.
"No, grazie. Serviti pure."
Il giovane uscì dalla stanza e non appena si chiuse la porta
alle spalle, la ragazza sentì qualcuno bussare alla finestra.
Si voltò di scatto e, con sua grande sorpresa, vide un
Intoccabile in carne ed ossa, e non uno qualsiasi.
Era lo stesso Intoccabile che le aveva salvato la vita quel giorno.
Quello che l'aveva chiamata dolcezza.
La giovane si era convinta che quel ragazzo fosse stato frutto della
sua immaginazione.
Era tanto speranzosa nella bontà dell'animo altrui da creare
nella sua testa una persona con i suoi stessi ideali.
Invece non lo aveva immaginato.
Era tutto vero.
E lo dimostrava il fatto che era lì, davanti a lei.
Senza pensarci due volte, aprì la finestra e lo fece entrare.
"Era ora! Il tuo amichetto non se ne andava più!"
"Cosa ci fai qui? Come hai fatto a trovarmi?"
"Trasportatore 450. Ogni volta che qualcuno lo usa, viene registrato
l'indirizzo del luogo verso il quale è diretto. Geniale, eh?"
La ragazza impallidì.
Quell'oggetto era una prova.
Una prova contro di lei.
Era finita.
Il giovane le sorrise amichevolmente, come se avesse intuito i suoi
pensieri e volesse rassicurarla.
"Sarò completamente sincero con te. Non ti ho salvato
perchè mi piaci, perchè ti ho preso in simpatia o
perchè sono un gentiluomo. Ti ho salvato soltanto
perchè mi hai spiazzato, ragazza mia. Non credevo ci fosse
qualcuno talmente pazzo da sfidare lo Stato come me. I miei
complimenti."
"Grazie, davvero. Però tu sei.."
"Cosa? Un Intoccabile? Sì, lo sono purtroppo. Me ne
vergogno, e non sai quanto. E non guardarmi con quella faccia stupita.
Non hai idea di come si vive male. Le cose che dobbiamo sopportare."
Vide Melanie apparire nella sua testa, anche se solo per un istante.
"Mi dispiace."
"Non potevi saperlo. Perdonami, ma la curiosità mi rode.
Perchè eri a Surrey?"
Ayris abbasso la testa: non sapeva se fidarsi.
Il giovane, per darle prova della sua lealtà, distrusse il
Trasportatore 450: non aveva più prove nel caso volesse
denunciarla.
"Va bene."
"Sono Scott." si presentò il ragazzo.
"Ayris." fece la giovane, stringendogli la mano.
La ragazza stava per spiegargli tutto, ma la portà si
aprì e sulla soglia comparve Nathan.
"E tu chi cazzo sei?" tuonò.
Non era da lui essere così scortese, ma Ayris aveva lo
sguardo perplesso e lui temeva che quel ragazzo, chiunque fosse, le
avesse fatto del male e non poteva né permetterlo
né sopportarlo.
"Prenditi una camomilla, bello." fece con ironia Scott, lanciando a
Nathan uno sguardo scettico.
Quest'ultimo era talmente furioso con il giovane che non si era nemmeno
reso conto che quello che aveva davanti era un Intoccabile.
"Ti dò un minuto per uscire di qui, sempre se vuoi tornare a
casa intatto!"
Ayris implorò a Nathan di fermarsi con uno sguardo: non
aveva mai fatto a pugni in vita sua e per quanto ci provasse non
riusciva a spaventare minimamente Scott, che stava per scoppiare a
ridere.
"Ma da dove esce questo qui??? Ma chi è, la tua guardia del
corpo?" chiese alla ragazza.
"Il mio compagno." puntualizzò lei.
"Andiamo bene!"
ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLOO :) FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE :)
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Capitolo 6 *** Nuovi Alleati ***
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CAPITOLO 6. NUOVI
ALLEATI.
La rabbia di Nathan stava crescendo tanto quanto il divertimento di
Scott, che lo fissava divertito.
Ayris guardava prima uno poi l'altro, tesa da quella situazione.
Come ne potevano uscire?
Fu Scott a rompere quel silenzio assordante.
"Senti, coso, esci per favore così finisco un certo discorso
con la fanciulla?"
Nathan era molto tentato di prendere a pugni quel giovane, ma
osservandolo riconobbe finalmente in lui un Intoccabile.
La rabbia era ancora presente nella sua testa, ma il ragazzo
realizzò che non sapeva fare a pugni e si sarebbe soltanto
reso ridicolo.
Sbuffando, si incamminò verso la porta e uscì
dalla stanza.
"Che rompipalle oh." commentò Scott, avvicinandosi alla
ragazza.
"E' buono, ma la sua fiducia la si deve guadagnare: non la offre con
facilità." fece lei con tono orgoglioso, come se fosse
onorata di conoscerlo.
"Sai perchè ero a Surrey?" cambiò improvvisamente
argomento Scott.
Non voleva perdere tempo a parlare di quel bamboccio che fa il finto
supereroe, inoltre aveva capito che se non avesse cominciato lui a
spiegarle cosa ci faceva in quel paese, lei non avrebbe aperto bocca.
Le piaceva quella ragazza, e se non fosse stato omosessuale ne sarebbe
anche attratto fisicamente, nonostante il suo aspetto casual e molto
sportivo.
Si fidava ciecamente di lei: a differenza di Nathan, che dava la
fiducia a chi se lo meritava, lui si faceva seguire dall'istinto.
"Sono frocio." disse semplicemente, con lo stesso tono che avrebbe
usato per dire l'ora.
Benchè gli piacesse fare l'indipendente e il duro, stava
male ogni volta che sentiva quella parola o simili come "finocchio" o
"ricchione".
Le parole "gay" e "omosessuale" erano state abolite da anni
perchè lo Stato e la Chiesa, con quelle assude leggi
omofobe, erano seriamente convinti di aver cancellato
l'omosessualità dalla loro "perfetta" società.
Che idioti. Come se si
potesse cancellare un modo di essere pensava Scott.
Quest'ultimo stesso non conosceva le parole gay, omosessuale e
omofobia, e ne aveva appreso il significato e l'esistenza dopo molte
ricerche sull'argomento.
Non si era mai abituato a quelle parole offensive.
Si era abituato a convivere con il dolore che sentiva dentro di
sé ogni qualvolta che udiva quelle parole, questo
sì.
Vide Ayris avvicinarsi e sentì le sue braccia stringerlo
dolcemente.
Lo stava abbracciando, e Scott era rimasto spiazzato.
Si aspettava tante reazioni, ma francamente la possibilità
di ricevere un abbraccio non gli era neanche passata per la testa.
Era quasi commosso.
"E.. e quindi rischio comunque. Così faccio quello che mi
pare." continuò Scott.
Non voleva scendere nei dettagli.
Non voleva parlare di Melanie e del padre.
Non se la sentiva.
Si fidava di lei, ma l'aveva conosciuta da poco e, se con il tempo,
sarebbero diventati amici, forse si sarebbe confidato, ma non ora.
Non era proprio il momento.
"Hai un ragazzo fisso?" chiese lei con particolare naturalezza,
sciogliendo l'abbraccio.
"No, fortunatamente. Passo da un letto all'altro. Io e l'amore viviamo
in pianeti diversi. Talmente distanti da non sapere l'esistenza
dell'altro."
"Perchè fortunatamente?"
"Perchè se questa cosa saltasse fuori, la condanna a morte
andrebbe ad entrambi. Se davvero amassi questa persona, il mio
ipotetico compagno, non reggerei. E' un peso enorme, troppo per me."
Ayris annuì.
Era ammirata dal modo di pensare di quel ragazzo.
Inoltre era stato sincero.
Lei doveva esserlo altrettanto.
"Io vado a Surrey per una persona."
Non poteva fare il nome di James.
Non voleva metterlo in pericolo.
Sarebbe stata più sul vago.
"Quindi c'è una terza persona?"
Ayris stava per rispondere, ma la porta si aprì e comparve
nuovamente Nathan, più teso che arrabbiato.
"Oh mio Dio! Non abbiamo ancora finito! Sei una rottura continua! Te ne
vai?" fece Scott.
Si era stufato di quello lì.
Era al limite della sopportazione.
Il suo istinto gli stava dicendo di ucciderlo all'istante.
Fu una grande fatica trattenersi.
"Ayris, non dirgli nulla! Lo conosci appena, non puoi fidarti!"
Gli occhi verdi di Scott si scurirono e si fecero sempre più
piccoli.
Le vene si fecero più evidenti
"Guarda tu che razza di ficcanaso! Ci stavi spiando!"
continuò Scott, sempre più furioso.
Ok, il limite era stato superato.
E di molto.
I ruoli si erano invertiti.
"Certo che no!"
"Ah no? E come mai hai capito che stava per dirmi qualcosa di segreto?"
"Intuizione."
"Intuizione? Sai dove la metto la tua intuizione?"
"Adesso basta! Tutti e due! Nathan, so quello che faccio. Scott ha
corso un grande rischio, ma è stato sincero e io devo
esserlo altrettanto!" sbottò Ayris, esasperata dai continui
battibecchi di quei due.
Nathan si zittì e si sedette sul letto.
Anche Scott parve calmarsi.
"Perchè sei così curioso?" chiese Ayris, non
capendo quell'eccessivo interesse da parte del ragazzo sull'argomento.
"Perchè vorrebbe dire che non sono solo. Che non sono
l'unico a lottare contro queste leggi. Che non sono pazzo e che
qualcuno ha i miei stessi ideali." spiegò Scott, come se
fosse un discorso solenne o una preghiera ad un caro defunto.
Nathan sbuffò.
Mannaggia a lui e a quello che stava per dire.
"Quattro!" mormorò.
Sia Ayris sia Scott lo guardarono stupiti.
"Come?" chiese il biondo.
"Quattro." ripetè Nathan, avvicinandosi alla compagna.
"Quindi anche tu.."
"Indirettamente. Faccio il programma ad Ayris giorno per giorno per non
essere scoperta e sono il suo alibi agli occhi dei genitori e di tutti
i suoi conoscenti." spiegò il giovane.
"Nathan." gli sussurrò Ayris, che sapeva quanto costasse al
compagno fidarsi di qualcuno che aveva appena conosciuto.
"Non dirmi che non me ne pentirò. Sono già
pentito." le disse lui, anticipando la ragazza.
"Quattro!" ripetè Scott, sorridendo.
Non riusciva a crederci.
Sperava di trovare in Ayris un'alleata, ma non osava sperare che con
lei sarebbero spuntate altre due persone.
"Incredibile."
ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO :) SPERO VI PIACCIA :) ALLA PROSSIMA ;)
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Capitolo 7 *** Incontro ***
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CAPITOLO 7. INCONTRO.
"Vuoi stare fermo? Mi stai facendo innervosire!" sbuffò
Scott.
Nathan andava avanti e indietro da un paio di minuti e Scott
già non ne poteva più.
Poteva immaginare che fosse in pensiero per l'amica e compagna, ma
tutto quel timore era decisamente eccessivo.
Forse era un po' di parte, considerando che lui viveva la vita come se
ogni giorno fosse l'ultimo e non doveva pensare a nessuno.
Tutto quello che gli era rimasto era sé stesso, e ormai si
era abituato a questa realtà.
C'erano lui e il mondo.
Nient'altro.
Nessun'altro.
Nathan, al contrario, temeva per Ayris.
Le voleva un bene dell'anima, e se le fosse successo qualcosa non se lo
sarebbe mai perdonato.
"Non ce la faccio. Se le succede qualcosa io.."
"Non le capiterà nulla. A te, invece, capiterà
presto qualcosa se non la pianti di comportarti come un poppante a cui
sono appena state rubate le caramelle."
"Hai mai voluto bene a qualcuno?"
"Sì." mormorò tristemente Scott, pensando a
Melanie.
"Allora dovresti capirmi!"
"Capisco che se fai un altro passo, anche uno soltanto, ti
farò stare fermo io e credimi, non ti conviene."
"Sei sicuro di essere finocchio?"
Scott digrignò i denti, cercando di mantenere la calma.
In fondo, Nathan non conosceva altri vocaboli per definire un uomo che
va con un altro uomo.
"Omosessuale.. e se per te è troppo lungo gay. Ma non
finocchio o frocio o ricchione. Grazie."
"Come?" chiese Nathan, guardandolo confuso.
Ma gli Intoccabili sono
tutti così strani? pensò Nathan.
"Al posto di finocchio, dì omosessuale o gay, per favore."
Il Borghese non riusciva davvero a capire dove stava la differenza.
Non riusciva a capire, ma se quell'Intoccabile voleva essere chiamato
in quel modo, così sia.
Non sarebbero mai andati d'accordo e non sarebbero mai diventati amici,
ma potevano almeno tentare di essere civili.
"Non sei come.. gli altri.. omosessuali, vero Bennett?" chiese Nathan,
che ci mise più del previsto a completare la domanda.
"Conosci molti omosessuali, Anderson?" fece Scott, guardandolo come se
fosse un idiota.
Non riusciva a capire dove quel Borghese volesse arrivare con quelle
domande.
Voleva sfotterlo per la sua omosessualità essendo omofobo
fino al midollo?
Voleva provare ad instaurare un dialogo?
O semplicemente quel Anderson era più imbecille di quanto
Scott credesse.
Boh.
Mistero.
"No, ma ne ho sentito parlare." mormorò Nathan, spiazzato da
quel quesito che certamente non si aspettava.
"Ah sì? E cosa hai sentito?" chiese Scott, come se si fosse
svegliato da un sonno profondo.
Era proprio curioso di sapere come gli omofobi descrivono gli
omosessuali.
"Che volete prendere il controllo dell'Universo ed estinguere la razza
umana istigandola alle vostre perversioni."
Scott scoppiò a ridere.
Non riusciva a fare altrimenti.
"Voi omofobi non smettete mai di stupirmi." fece l'Intoccabile, tra una
risata e l'altra.
"Quindi non è vero?"
"Cosa pensi, Anderson? Pensi che adesso ti salterò addosso e
cercherò di stuprarti? Punto primo: se fosse stato
così lo avrei già fatto. Punto Secondo: essere
gay non significa avere gusti di merda. Francamente non ho standard
così bassi da autoumiliarmi facendo sesso con te."
In un'altra circostanza Nathan si sarebbe offeso, ma non in quel
momento.
Bennett gli aveva espressamente detto che non ci avrebbe provato, e il
perchè non importava.
Avrebbe tenuto le mani a posto, e questo bastava.
I suoi genitori gli avevano sempre descritto gli omosessuali, che
chiamavano ricchioni, come delle persone malvagie.
Il Male.
Che Scott gli fosse antipatico non c'erano dubbi, ma aveva salvato la
vita alla sua migliore amica, quindi non doveva essere così
cattivo.
Abbandonato questo pensiero, tornò al suo timore principale,
che aveva accantonato per pochi minuti: Ayris.
Perchè ci stava mettendo tanto?
"Dì un po'.. questa persona che Ayris vede a Surrey
è per caso un ragazzo? Magari del quale è
innamorata?" chiese il biondo con tono curioso.
Nathan guardò l'Intoccabile con sguardo severo.
"Ma senti questo! Fatti i cazzi tuoi, oh!" sbottò.
"Cos'è sta maleducazione? Sono soltanto curioso!"
"Non vedo come la cosa ti riguardi."
"Geloso? Non ti piace fare il maritino cornuto?"
Il Borghese gli lanciò uno sguardo gelido.
"Te lo ripeto. Non sono cazzi tuoi! Che ne puoi sapere tu di queste
cose?!?"
Scott si alzò improvvisamente dal letto e facendo dei grandi
passi si diresse verso Anderson.
"Perchè non posso capire? Perchè mi piacciono gli
uomini?"
"Oh Misericordia! Io non so perchè voi fate quello che fate,
e sinceramente non mi interessa. Non sono laureato sull'argomento,
quindi vedi di calmarti perchè inizi seriamente a
spaventarmi."
Scott stava per ribattere in un modo decisamente poco educato, ma una
luce gialla invase la stanza.
La porta si spalancò e sulla soglia videro Ayris.
Dietro di lei c'era un ragazzo alto, paffuto e pallido: doveva essere
il famoso James.
Né Nathan né tantomeno Scott lo conoscevano e non
lo avevano mai visto, neanche in lontananza.
Ne avevano sentito parlare, ma niente di più.
James era nella stessa posizione: Ayris gli aveva parlato di entrambi,
anche se lui non aveva idea di chi fossero.
Guardandoli, James si sentì ulteriormente insignificante.
Sapeva che erano più belli di lui, era ovvio, ma
così proprio non se lo aspettava.
Nathan era un ragazzo normale agli occhi di James, ma Scott..
Era qualcosa di oggettivamente perfetto.
I lineamenti, gli occhi, il corpo.
Sembrava la perfezione incarnata in una persona.
Confrontato a lui, James si sentiva un insulto al genere umano.
"Si può sapere perchè ci avete messo tanto?"
sbraitò Nathan.
L'attesa per lui era parsa interminabile.
"Non mi sembrava di averci messo tanto." si giustificò Ayris.
"Ma lascia stare lui. E' schizofrenico. Mi fa quasi pena."
commentò Scott.
L'atmosfera che si era creata era piacevole, così piacevole
che nessuno dei quattro si accorse di cosa stava succedendo fuori.
ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO :) LASCIATEMI UN COMMENTO SE VOLETE!
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Capitolo 8 *** Viaggio Senza Meta ***
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CAPITOLO 8. VIAGGIO
SENZA META
"Mi dispiace di averti trascinato qui senza una valida spiegazione."
mormorò dolcemente Ayris al Mostro.
"Non fa niente. Anzi, è giusto che sia io a rischiare
qualche volta." fece questo, arrossendo come tutte le volte in cui si
trovava in compagnia della ragazza.
"Non intendevo questo." si affrettò a dire la giovane.
Non voleva che James pensasse che l'avesse portato lì per
quella ragione.
Per metterlo alla prova.
"Lo so." sussurrò il ragazzo, con la sua solita voce goffa e
amichevole.
"Va tutto bene?"
"Avevo... avevo paura che ti avessero catturato... che ti avrebbero
fatto del male."
"Anch'io."
"E' colpa mia."
"Come potrebbe essere colpa tua?" gli chiese in tono sorpreso Ayris.
"Se solo non avessi perso tempo con quella pianta.."
"Non c'entra nulla. Non hai fatto niente."
Era nella natura di James darsi la colpa per qualcosa che non aveva
fatto, e Ayris lo sapeva bene.
Il fatto che molti, nel corso della sua vita, lo avessero preso in
giro, umiliato e sfruttato la sua bontà per puro egoismo di
certo non aiutava a dargli autostima.
In tutti quegli anni, l'unica a capirlo veramente, a farlo sentire
importante e ad aiutarlo era sempre e solo lei.
Ayris.
Che lo abbracciò, intuendo che ne aveva bisogno.
I due adolescenti stavano seduti sul pavimento in un angolo della
camera, come se volessero nascondersi e proteggersi dal Male intorno a
loro, al di fuori di quelle mura.
Poco distanti da loro c'erano Scott e Nathan, che sembravano parecchio
indaffarati.
Seguendo le istruzioni dell'Intoccabile, Nathan versò un
liquido color giallo splendente in un piccolo oggetto.
"Cosa sarebbe questa roba?"
"Stellen. Serve per far partire il Trasportatore 640, altrimenti non
funziona. Ha preso il nome dal suo inventore, un inventore tedesco di
nome Hans Stellen." spiegò Scott, ripensando a quando
l'aveva appreso a scuola.
"Fatto. E adesso?"
"Dobbiamo ricaricarlo per un'ora. Il liquido deve diventare solido."
disse il biondo con grande semplicità, attaccando l'oggetto
ad un affare che si era portato da casa.
"Un'ora?!?"
"Sì, e allora?"
"E allora? Siamo due Borghesi, un Intoccabile e un Mostro nella stessa
stanza e tu dici e allora? Qui ogni secondo che passa rischiamo sempre
di più! Ci arresteranno! Non resisteremo per un'ora!"
"Non ci hanno beccato finora, ergo non lo faranno in questo momento.
Rilassati. Altrimenti ci avrebbero già preso e saremmo morti
da un bel pezzo. Probabilmente saremmo già in
decomposizione." fece Scott, esagerando come suo solito solo per far
agitare ulteriormente il Borghese.
"Oh, grazie! Ora sì che sono tranquillo!" fece in tono
sarcastico questo, incrociando le braccia e appoggiandosi con la
schiena alla parete.
"Visto che avevo ragione?" fece notare Scott a Nathan, lanciando uno
sguardo a James e Ayris, i quali non si accorsero di niente.
"Smettila! E' maleducazione fissare gli altri. Fatti gli affari tuoi,
una volta tanto."
"Lo sapevi, vero."
"Certo che lo sapevo."
"Cosa ne pensi?"
"Che maledico ogni giorno della mia vita quella maledetta gita a
Surrey. Ho fatto una catena di errori nella mia vita, primo fra tutti
lasciare che si conoscessero."
"Sembri quasi geloso." fece Scott, pur sapendo che non era
così.
Il modo in cui si guardavano James e Ayris era amore, ma Nathan e la
ragazza si guardavano in un modo diverso.
Era sempre un legame, ma un legame di amicizia.
Di lealtà.
Un legame che non si sarebbe mai dissolto.
L'amicizia.
"Sarebbe stato meglio. Non c'è niente di peggio che vedere
la tua migliore amica rovinarsi la vita e io, invece che fermare questa
cosa che non farà altro che danneggiarla, la aiuto a farsi
del male portandole il veleno giorno dopo giorno."
Per quanto fosse superficiale, Scott capì perfettamente cosa
volesse dire il Borghese con quella metafora: era la stessa
per cui lui passava da un ragazzo all'altro, tenendo lontano
un'infatuazione o peggio, un'innamoramento che sarebbe potuto avvenire,
che avrebbe rovinato entrambi.
Per sempre.
La società nella quale vivevano era orribile e condannava le
cose belle e pure, compreso l'amore, forse perchè non voleva
che le persone ricordassero cosa significa vivere.
Vivere davvero.
James e Ayris non potevano costituire un'eccezione.
Era stupido illudersi.
Era quella l'amara verità.
Non avrebbero dovuto nemmeno conoscersi, figuriamoci innamorarsi, ma il
Destino aveva un altro piano per loro.
Un improvviso suono spaventò l'intero gruppo.
"Non mi piace questo rumore." mormorò Nathan, guardandosi
intorno spaventato.
L'Intoccabile guardò fuori dalla finestra: proprio quello
che temeva.
Vide degli aereoplani avvicinarsi a vista d'occhio.
Era chiaro che la loro meta erano loro.
"Ehm.. abbiamo un piccolo problema.. ci conviene sloggiare."
"Ma non mi dire!" sbottò Nathan.
Ignorandolo completamente, Scott staccò il Trasportatore 640
dall'apparecchio e con un gesto chiamò James e Ayris, che si
avvicinarono.
"Non se ne parla nemmeno!" fce Nathan, intuendo le intenzioni di Scott.
"Senti, forse non ti sei reso conto che se restiamo qui siamo
spacciati! La polizia sta arrivando e a momenti sarà qui.
Andare via è l'unica speranza che abbiamo!"
"Non si è caricato abbastanza! Qualcosa andrà
storto! Finiremo in qualunque posto e non sapremo come uscire!"
"E' un rischio che dobbiamo correre. Al mio tre!"
I ragazzi si avvicinarono all'oggetto.
"Due.."
Le dita dei giovani erano immobili.
"Uno.."
I poliziotti erano quasi arrivati..
"ORA!"
Un poliziotto entrò nella stanza dalla finestra, ma era
troppo tardi.
I ragazzi erano spariti per chissà dove.
ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO :) LASCIATEMI UN COMMENTINO SE VOLETE!
ALLA PROSSIMA ;)
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Capitolo 9 *** Jeremy Bloch ***
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CAPITOLO 9. JEREMY
BLOCH.
Il bosco e tutti gli animali che ci vivevano erano in totale
tranquillità e gli unici rumori che si sentivano erano il
vento che si scontrava contro gli alberi e le foglie che cadevano.
Non era più così.
Due voci maschili piuttosto alte mutarono quella condizione.
"E' tutta colpa tua!"
"Vedi di darti una calmata! Ti si vedono le rughe sul collo!"
Nathan non parve intenzionato ad ascoltarlo.
Per colpa di quell'Intoccabile, si trovavano nel bel mezzo di un bosco
di chissà quale Stato!
Non sapevano da che parte era l'uscita né quanto erano
distanti dalla città più vicina e nel peggiore
dei casi sarebbero rimasti lì per mesi, per poi essere
mangiati vivi da qualche animale.
Erano nella merda più totale, e Nathan non poteva stare
calmo.
Non voleva.
Odiava quel bell'imbusto dal primo momento in cui l'aveva visto, e
l'opinione che aveva di lui non era migliorata minimamente, anzi, era
peggiorata.
James e Ayris assistevano alla scena.
Non osavano mettersi in mezzo.
Temevano che da un momento all'altro si sarebbero saltati addosso e
avrebbero tentato di uccidersi.
L'odio che c'era tra i due era troppo evidente.
"Calmarmi? CALMARMI? Grazie a te, e alle tue brillanti trovate, non
torneremo più a casa e moriremo di fame! E sarà
tutta colpa tua!"
"Se fossimo rimasti cosa pensi che sarebbe successo?"
"Pensi davvero di cavartela con dei cavilli tecnici? Non si sarebbe mai
presentato questo problema se tu non avessi avuto la pessima idea di
mandare Ayris a cercare James per fare cosa poi? Discutere su cosa?"
"Su cosa potevamo fare."
"E una volta discusso cosa avremmo potuto risolvere? Cosa possono fare
quattro adolescenti di ceti diversi contro uno Stato corrotto? Una
guerra civile? Una rivoluzione? Ma ti prego! Ci schiaccieranno come
insetti!"
"Possiamo cercare degli altri come noi, e quando saremo aumentati di
numero, potremo iniziare a progettare qualcosa!"
"Ma dove cazzo vivi? Nel mondo delle favole? Impara a stare al mondo
prima di mettere nel casino altre persone! E se anche facessimo quello
che vuoi tu, nel frattempo che dovremmo fare? Diventare dei fuorilegge?
Dei ricercati? Viaggiare da uno Stato all'altro come dei vagabondi per
avere salva la pelle? Grazie a te, nessuno di noi ha più una
casa, una famiglia! Non possiamo più tornare, lo capisci? E'
tutto merito tuo!"
"Non ha senso litigare tra noi." fece notare Ayris, mettendosi tra i
due ragazzi per fermare uno scontro imminente.
"E adesso cosa facciamo?" chiese timidamente James, sistemandosi il
maglione.
"Rispondi, Grande Capo!" fece Nathan con tono sarcastico, rivolgendosi
a Scott.
"Cosa posso fare per voi?"
I ragazzi si voltarono verso la direzione dalla quale era arrivata la
voce e si trovarono davanti un uomo tra i trenta e i quaranta anni di
bell'aspetto.
Con un passo insicuro, si avvicinò ai ragazzi.
I capelli marroni e ricci erano piuttosto corti, le labbra sottili, gli
occhi color marrone scuro e gli occhiali spessi, anche se non tanto
quanto quelli dell'Intoccabile.
Era molto curato e anche se non era fisicamente perfetto come Scott,
era senza ombra di dubbio un Intoccabile.
La cravatta e la camicia, che gli davano un aspetto elegante, non
facevano che aumentare il fascino dell'uomo.
"Dove siamo?" chiese Scott in tono conciso.
"Wisconsin." rispose l'uomo, con un tono talmente gentile e affidabile
da sembrare irreale.
"WISCONSIN?!?" sbraitò Nathan in tono allarmato.
Un oceano li divideva dall'Inghilterra.
"Milwaukee è qui vicino?"
Era la città più grande dello Stato del
Wisconsin, e lì avevano la speranza di comprare un
Trasportatore per andare in un posto sicuro a nascondersi per qualche
giorno.
"Non vi consiglio di andarci. Se quello che volete fare è
nascondervi non è lì che dovreste andare."
spiegò l'uomo, con tono sempre più tranquillo.
"E perchè?"
"Perchè se siete ricercati vi troverebbero subito. Venite
con me a Plainfield. E' un piccolo paese e lì sarete al
sicuro."
Ayris scosse la testa e lo guardò sospettosa.
Quell'uomo nascondeva qualcosa.
Quell'eccessiva sicurezza e premura doveva essere solo una maschera per
nascondere qualcosa di molto peggio.
Qualcosa di oscuro.
Ne era sicura.
Improvvisamente videro arrivare due poliziotti, che quando notarono gli
adolescenti iniziarono ad agitarsi e ad urlare.
"Li abbiamo trovati! Abbiamo trovato gli inglesi fuggiti! Procediamo
con l'arresto!"
I giovani erano terrorizzati, ma l'uomo li calmò.
"Lasciate fare a me." mormorò, avvicinandosi ai poliziotti.
"Che accidenti ha in mente quello lì?" chiese Nathan alla
compagna.
"Smettetela di urlare e mettete via le armi. State spaventando gli
animali." fece l'uomo ai due agenti di polizia.
"Secondo l'articolo 24 della nostra legge nascondere, proteggere o
aiutare in qualsiasi modo dei fuggitivi condannati a morte comporta la
morte anche alla suddetta persona." spiegò uno dei due
agenti, puntando la pistola verso l'uomo, che non parve minimamente
spaventato.
Si limitò a sospirare e ridere, come se si stesse prendendo
gioco di loro.
Come se li stesse provocando.
"La cosa ti diverte?" sbottò uno dei poliziotti, irritato da
quella reazione che a suo avviso era infantile.
"Scusate signori, ma è impossibile non ridere! Ma che
fastidio vi danno quei giovani?"
"Un danno pesante. Nella società."
"Oh, Cristo! Se fate questi ragionamenti contorti poi non vi lamentate
se ci sono ancora persone come me al mondo."
La sua voce gentile e la sua risata erano sparite, e al loro posto
avevano preso il sopravvento una voce fredda e distaccata e uno sguardo
talmente serio da risultare quasi agghiacciante, tanto da spaventare
persino i poliziotti, che si prepararono a sparare, ma non furono
abbastanza veloci.
L'uomo afferrò le armi e le usò per colpire alla
testa gli agenti, facendoli svenire.
Li fissò con disprezzo e poi si avvicinò ai
ragazzi.
"Problema risolto." si limitò a dire, tornando ad avere la
sua voce tranquilla e serena.
"Grazie." balbettò Ayris.
"Andiamo.. Plainfield ci aspetta." fece in tono incoraggiante lo
sconosciuto.
"Non ci avete detto il vostro nome." fece Scott, mentre si
incamminò con il gruppo seguendo l'uomo.
"Bloch. Jeremy Bloch."
ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO ;) SPERO VI SODDISFI :) ALLA PROSSIMA ;)
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Capitolo 10 *** Ansie e Timori ***
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CAPITOLO 10. ANSIE E
TIMORI
Nonostante la bella dormita e l'allegro cinguettio degli
uccelli che mettevano buon umore, Ayris si svegliò con una
luce cupa negli occhi.
Non le era mai capitato, mai nella vita, ma quella mattina
c'era qualcosa che non andava in lei, ma il materasso non c'entrava.
Non sapeva dove si trovava ed era terribilmente spaventata.
Tutto quello che riusciva a ricordare era che aveva incontrato uno
strano trentenne che aveva detto a lei e agli altri di seguirlo in un
posto lì vicino, ma la ragazza aveva rimosso completamente
il nome del paese.
Erano arrivati dei poliziotti... e poi?
Si sforzava, ma non ricordava altro.
Aveva il vuoto più totale nella sua testa, accompagnato da
un leggero dolore dovuto probabilmente alla stanchezza e allo stress.
Si guardò intorno e vide Nathan che dormiva nel letto
accanto.
Guardandolo, si sentì ancora peggio.
Era come se la ragazza si fosse improvvisamente svegliata da un sonno
profondo e che si fosse resa conto di cosa era successo solo in quel
momento.
Aveva sempre provato nei confronti di Nathan tante cose, ma solo in
quel momento lo capì.
Amicizia.
Lealtà.
Ammirazione.
Si sentì ulteriormente in colpa ripensando a tutte le cose
che il ragazzo le aveva dato in quegli anni aiutandola sempre e lei?
Lei cosa aveva fatto per lui?
Come aveva ricambiato quelle tante cose che lui aveva fatto per lei?
Voleva a quel ragazzo un bene dell'anima e avrebbe fatto qualunque cosa
per lui, ma non glielo aveva mai detto.
Sentì l'impulso di abbracciarlo e dirgli tutto quello che
gli passava per la testa.
Quello che c'era tra loro era un legame saldo ed estremamente raro.
Qualcuno avrebbe potuto interpretare l'affetto che provava per lui come
amore, il che sarebbe stato perfetto considerando che loro erano
destinati a sposarsi ma entrambi, sebbene fossero giovani, sapevano che
l'amore era un'altra cosa.
Per quanto la loro amicizia fosse forte, non si sarebbero mai
innamorati per il semplice motivo che non erano destinati a stare
insieme.
La ragazza sapeva che quando sarebbe giunto il momento e avrebbe
formato una famiglia con Nathan non sarebbe mai stata
infelice, ma non sarebbe stata neanche felice.
Sapeva che la cosa era reciproca, che anche Nathan le voleva bene,
altrimenti non avrebbe mai fatto niente e si sarebbe comportato
esattamente come tutti gli altri.
E poi c'era James.
L'aveva incontrato per caso, quasi per sbaglio.
Per errore.
Tutto era nato da una decisione della Borghese, che a quel tempo era
solo una bambina.
A volte le capitava di pensare a cosa sarebbe successo se avesse
seguito il consiglio di Nathan,
Cosa ne sarebbe stata della sua vita se non avesse aiutato James?
E perchè nel corso degli anni continuava ad incontrarlo
mettendo in pericolo la sua vita, quella di Nathan e quella di James?
Come è potuto accadere che quell'incontro si sia trasformato
in... qualcos'altro.
Dire amicizia sarebbe sbagliato.
Lei e James non sono mai stati solo amici.
C'era qualcos'altro.
Quella sua goffaggine.
Quella sua timidezza.
Quella sua incapacità di mentire.
Quella sua eccessiva bontà.
Tutte queste caratteristiche accompagnate ad un viso paffuto e
amichevole rendevano quel ragazzo irresistibile agli occhi della
ragazza.
Per quanto fosse obbiettivamente fisicamente brutto, per Ayris non lo
era, anzi, era tutt'altro, e anche i difetti che aveva li vedeva come
pregi.
Era evidente che era quello l'amore, altrimenti perchè
avrebbe rischiato la vita tutti i giorni pur di stare con lui?
"Cos'hai?"
La ragazza si scosse improvvisamente.
Era talmente immersa nei suoi pensieri che non si era nemmeno resa
conto che Nathan si era svegliato.
"Niente. Sto bene."
"Non è vero." si affrettò a dire lui, alzandosi e
mettendosi a sedere vicino alla ragazza.
"Mi dispiace." disse lei, quasi senza pensarci.
Guardava il compagno con occhi lucidi, che a forza stavano trattenendo
le lacrime.
Il Borghese la guardava sorpreso e la sua preoccupazione
aumentò ulteriormente.
Non aveva mai visto Ayris così in ansia.
Cos'era successo?
Ci pensò, ma non riuscì a trovare una risposta.
Gli venne improvvisamente in mente una persona, e il suo sguardo si
fece serio e... arrabbiato.
"Bennett! C'entra Bennett, sono sicuro! Cosa ti ha fatto? Aspetta solo
che lo trovi! Lo concio per le feste! Gliene darò talmente
tante che dovrà ritenersi fortunato se lo accettano tra i
Borghesi e non tra i Mostri!" sbottò Nathan, diventando
rosso dalla rabbia.
"No, no, no. Scott non c'entra."
"Non hai motivo di dispiacerti per me. Non hai fatto niente."
mormorò Nathan, tornando tranquillo.
"Non è vero, e tu lo sai benissimo."
"Ayris, non ti capisco. Cosa c'è che non va? Cosa hai fatto?"
"Tutto! E ad averci rimesso sei sempre stato tu!"
"Mi sto seriamente spaventando! Spiegami! Qualunque cosa tu abbia fatto
si può aggiustare!"
"No! E' troppo tardi!"
"Adesso tu ti calmi e mi dici che diavolo sta succedendo prima che
inizi a sclerare!"
"Mi dispiace di averti messo nei guai. Mi dispiace per non averti
ascoltato quella mattina, a Surrey.."
Non appena sentì il nome Surrey, Nathan capì
immediatamente dove voleva arrivare la ragazza e perchè era
così tesa.
Fermò subito la ragazza, ritenendo che non dovesse andare
oltre.
La abbracciò calorosamente, come se volesse tranquillizzarla
e cancellare tutti i suoi timori.
"Non è colpa tua." le sussurrò.
"Lo è.. dici così solo per non farmi sentire in
colpa."
"Non mi hai costretto. Io ho scelto di aiutarti. Sapevo a cosa stavo
andando incontro."
"Ma.."
"Niente ma! Il discorso è chiuso! Smettila di darti delle
colpe che non hai perchè è la volta che mi
incazzo sul serio."
"Grazie." fece la ragazza, soffocando una risata.
SALVEEEE SCUSATEMI PER IL COLOSSALE RITARDO MA SONO STATA
IMPEGNATISSIMA! SPERO CHE CON QUESTO CAPITOLO MI PERDONIATE!! FATEMI
SAPERE CHE NE PENSATE ;) A PRESTO!
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Capitolo 11 *** Scoperte ***
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CAPITOLO 11. SCOPERTE.
"Il minimo che possiamo fare è tenerli qui."
"Li aiuteremo."
"Adesso saranno svegli? Ieri erano stremati!"
Intuendo che stessero parlando di loro, Nathan, Scott, James e Ayris
cercarono di avvicinarsi senza essere visti per sentire meglio visto
che sentivano qualcuno parlare, ma non riuscivano a capire cosa
dicessero.
Erano svegli da circa un'ora, e da mezzora erano lì nascosti.
Il fatto che fossero vivi e che si fossero svegliati in un comodo letto
invece che in una cella fredda e umida per prepararsi alla morte era
già qualcosa, ma rimaneva il fatto che quelli erano degli
sconosciuti.
Inoltre, subentrava una piccola difficoltà tecnica.
Scott, cresciuto nel lusso, non aveva mai visto quello che aveva
davanti.
James gli aveva detto che si chiamavano scale, e che servivano per
spostarsi da un piano all'altro, percorrendo passo per passo i gradini.
Il solo modo che Scott conosceva di spostarsi verticalmente era una
macchina che si trovava ad ogni piano della casa e che lo trasportava
istantaneamente al piano desiderato.
Il giovane Intoccabile fissava le scale con uno sguardo di sfida, ma al
tempo stesso era spaventato: voleva riuscire a farle perchè
non sopportava l'idea che una cosa che appariva così statica
lo intimorisse, ma al tempo stesso temeva che avrebbe messo i piedi nel
posto sbagliato e che sarebbe caduto facendo una scena che lui stesso
avrebbe definito pietosa.
Improvvisamente, i giovani andarono nel panico quando videro un uomo
fissarli, e non era un uomo qualunque: Jeremy Bloch.
Portava di nuovo degli occhiali, uguali a quelli che aveva distrutto e
sul visto aveva stampato un radioso sorriso a trentadue denti.
"Buongiorno!" fece lui, usando la voce gentile e amorevole che lo
faceva sembrare irreale.
Ormai erano stati visti, così scesero e si unirono e ad un
altro uomo, che era girato di spalle e che non riuscirono a vedere.
Scott fece una fatica immane a fare le scale, ma ci riuscì
anche grazie all'aiuto di James, che lo teneva per un braccio per
dargli una sorta di sostegno.
"Avete fame? Se volete vi faccio un panino!" continuò Bloch,
con un tono tanto amorevole da sembrare quello che avrebbe usato una
protettiva madre con il figlio più piccolo e più
fragile.
I giovani lanciarono all'uomo uno sguardo sciettico: ma cosa gli prende?
Gentile, poi nervoso, poi nuovamente gentile?
Ma voleva prendersi gioco di loro?
Che problema aveva?
E poi come faceva ad avere gli stessi occhiali che il giorno prima ha
distrutto completamente?
Bloch si accorse dei loro sguardi, ma li ignorò, sedendosi
al tavolo insieme a loro e a quell'uomo con cui stava parlando prima,
che nel frattempo si era avvicinato.
Si trattava di un affascinante signore sui sessanta anni, dall'aspetto
curato e una posa composta.
Aveva dei piccoli baffetti, i capelli corti e bianchi rigorosamente
pettinati e gli occhi da cerbiatto.
Nonostante l'età, sembrava sveglio, come faceva intuire il
suo sguardo.
"Beh? Non volete sapere niente? Vi siete svegliati in un posto che non
avete mai visto e non volete sapere niente?" cominciò
l'uomo, guardando gli adolescenti con uno sguardo perplesso.
"Tu chi sei?" chiese Scott.
"John Wills. Qui a Plainfield siete al sicuro."
"Non... non ci porterete alla polizia?"
"Se lo avessimo voluto, lo avremmo già fatto."
"John, se parli così in generale, loro non capiscono.
Perchè non spieghi loro tutto. Parti dal principio." fece
Jeremy, notando gli sguardi dei quattro giovani, che ogni minuto che
passava erano sempre più nervosi e sorpresi.
"Sì, Jeremy, hai ragione. Inizio col dirvi che qui non
potrete mai e poi mai essere catturati, e questo per il semplice motivo
che lo Stato americano, come lo Stato europeo e inglese dal quale voi
provenite, ha molti laboratori sparsi per il paese nei quali sono
registrati tutte le città e paesi, e in questi laboratori si
decidono gli orari degli ufficiali comunali e le zone che devono
controllare. A Milwaukee c'è un laboratorio, e lì
vi sono tutte le città del Wisconsin, tutte salvo questa,
per il semplice motivo che lo Stato non la conosce. Per il governo,
questa è tutta foresta! Per il Governo, lo Stato e tutta la
gente là fuori, Plainfield non esiste e non è mai
esistita. Ed è esattamente per questo che siete al sicuro."
"Ma.. se davvero è come dici.. perchè lo Stato
non dovrebbe conoscerla?"
"Un paio di secoli fa, Plainfield era abitata da pochissime persone,
tipo 12.000, ma per lo meno era abitata. Con il passare degli anni, le
tecnologie aumentarono e visto che già in passato questo era
un paese lontano da tutto e tutti, la gente che vi viveva rimaneva
indietro rispetto al mondo. Mentre a Milwaukee e a Chicago si
inventarono i primi materassi a dondolo, qui la gente andava ancora
avanti con lo stile di vita di un periodo lontanissimo, più
o meno come si viveva nel 1940, e si andava avanti con l'agricoltura e
l'allevamento. Era un paese arretrato e la vita era difficile: si
lavorava molto, lo stipendio era basso e lo stile di vita estremamente
inferiore rispetto alle altre città, nelle quali vi erano
stipendi alti, meno ore di lavoro e più tecnologie. A poco a
poco, tutti iniziarono a trasferirsi in città più
grandi, fino a quando Plainfield divenne completamente
disabitata. Per un periodo il Governo la chiamò "la
città disabitata" o "la città dei fantasmi e
delle forze oscure" e poi la cancellarono dall'esistenza togliendola
dalle mappe e dai libri elettronici e radendo al suolo ogni casa. Poi,
62 anni fa, una coppia formata da un Intoccabile e una Borghese,
fuggiti da Milwaukee perchè lo Stato sapeva della loro
relazione ed erano quindi ricercati, giunse qui. La Borghese era
incinta e non potevano continuare a correre, anche perchè si
trovavano in mezzo a due grandi città che li cercava
così rimasero qui, senza sapere che un tempo questo era un
paese. Dopo la nascita del bambino, l'uomo costruì una casa
per la sua famiglia fatta del legno che avevano preso dagli alberi e
iniziò ad indagare. Dopo estenuanti ricerche, quando il
bambino aveva già otto anni, l'Intoccabile scoprì
sul suo portatile che tanti secoli fa c'è stato un serial
killer americano di nome Ed Gein che la stampa aveva chiamato "Il
Macellaio di Plainfield". Da lì, l'Intoccabile
scoprì l'esistenza di questo paese."
Bloch iniziò a tremare quando sentì le parole
"serial killer", ma si ricompose in fretta.
"E poi?" chiese Ayris.
"Questo Intoccabile costruì altre case e di nascosto
andò in alcune città a sistemare alcune
telecamere. Tornato a Plainfield, guardava i filmati e
scoprì che c'era un sacco di gente che non ne poteva
più di quel regime dittatoriale. Decise così di
andarli a prendere e li portò a Plainfield. In sintesi,
questo è il posto di tutte quelle persone che si rifiutano
di accettare le terribili leggi del Governo."
"E tu come le sai queste cose?"
"E' semplice. Il figlio di quella coppia, sono io."
I quattro giovani si guardarono.
Quando erano scesi erano terrorizzati, ma ora sapevano di essere al
sicuro.
"C'è ancora una cosa che non ho capito.. Come mai tra tutti
i posti in cui potevamo finire, siamo finiti qui?"
"Jeremy. Io e lui vi abbiamo visto attraverso le telecamere e quando
abbiamo visto cosa volevate fare, Jeremy è venuto a
Manchester, ha preso di nascosto il Trasportatore di Scott e lo ha
manomesso. Anche se si fosse caricato completamente, sareste finiti
qui."
A quel punto, Bloch si alzò e lasciò la stanza,
senza dire una parola.
Ayris si sentì in colpa: aveva sempre pensato male di lui,
invece li aveva aiutati.
Era merito suo se ora erano salvi.
"Guarda guarda guarda.. come puoi constatare non è stata
colpa mia." fece Scott a Nathan.
"Ma chiudi il becco!" gli rispose seccamente il Borghese.
"Non abbiamo niente contro di lui... solo.. è un po'
strano." disse Ayris a John, riferendosi a Bloch.
"Sarà meglio che vi racconti di Bloch. Mettetevi comodi. Ci
sono molte cose che dovreste sapere sul suo conto."
SCUSATEMI PER IL RITARDO ;) SPERO CHE QUESTO CAPITOLO VI PIACCIA :)
LASCIATEMI UNA RECENSIONE SE VI E' PIACIUTO O ANCHE SE NON VI E'
PIACIUTO! ALLA PROSSIMA :) E GRAZIE A TUTTI QUELLI CHE SEGUONO LA MIA
STORIA :) UN BACIO -MICHAEL GOSLING-
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Capitolo 12 *** Una Vita Intera Distrutta dalla Bibbia ***
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CAPITOLO
12. UNA VITA INTERA DISTRUTTA DALLA BIBBIA
Sebbene fosse giorno e fuori splendesse il sole, la stanza era buia e
sinistra: le finestre non c'erano, e l'unica porta presente, chiusa a
chiave, era dello stesso colore delle pareti e del pavimento, ossia un
grigio spento e antico.
Dal soffitto pendevano due piccoli candelabri, talmente piccoli da
risultare quasi inutili: si vedeva solo una flebile luce.
Esattamente al centro della stanza c'era una grande sedia di legno e
sopra c'era un bambino, che non poteva avere più di otto
anni.
Dei lacci stretti e pesanti lo tenevano a forza attaccato alla sedia:
erano nel petto, nei polsi, nelle braccia, nelle gambe e nei piedi.
Se spostava leggermente gli arti, si potevano vedere i segni rossi che
aveva nelle zone in cui stringevano i lacci: non doveva essere la prima
volta che era in quella situazione, doveva essere una cosa a cui era
già "abituato".
Il piccolo prigioniero non poteva neanche urlare né per
sfogarsi né per chiamare aiuto, perchè teneva un
pezzo di scotch attaccato alla bocca.
Tremava, e le lacrime gli stavano rigando il viso.
Quando la porta si aprì, sussultò.
Un'attraente donna sui trentaquattro anni entrò e
guardò il bambino severamente.
Nei suoi occhi si percepiva un non so che di malvagio, e con un modo
particolarmente freddo e distaccato, sciolse i lacci e
liberò il bambino, togliendogli anche lo scotch.
Per tutto il tempo, il bambino non smise un solo secondo di guardarla,
con una tristezza negli occhi che esprimeva sofferenza, ma anche una
leggera speranza, come se stesse cercando di arrivare al cuore della
donna.
"Mi auguro che tu abbia imparato la lezione." si limitò a
dire, guardando verso il basso.
"Sì, mamma."
"Quindi?"
"Non presterò mai più la mia merenda alla mia
compagna Janet."
"Sarà meglio. Oggi sono stata buona, ma la prossima volta
che fai una cosa del genere qui dentro ci stai una settimana. Mi sono
spiegata?"
"Sì, mamma."
"Bene. Ora vai in camera tua a leggere la Bibbia. Dopo ti interrogo e
guai a te se non la sai recitare a memoria, Jeremy."
Il bambino uscì dalla stanza e si diresse verso la sua
camera.
Viveva con la madre e il padre in una maestosa villa di Chicago: erano
considerati una delle famiglie di Intoccabili più belle
della città, ma nessuno sapeva cosa vi accadeva all'interno.
Il padre di Jeremy, Alfred Bloch, era un modello che girava sempre per
il mondo e raramente lo si vedeva a Chicago, quindi c'erano solo Jeremy
e.. sua madre.
All'apparenza sembrava la donna perfetta di casa, perchè
solo con il figlio Jeremy, in privato, mostrava la sua vera natura.
Se all'esterno mostrava affetto per Jeremy come è naturale
che una madre provi affetto per suo figlio, in privato lo picchiava
anche soltanto se non finiva il suo piatto.
Se all'esterno appariva paziente, in privato obbligava il figlio a
studiare a memoria la Bibbia: inoltre, non lo aveva mia iscritto a
scuola.
Era stata lei ad avergli insegnato a leggere, a scrivere e tutte le
materie che si apprendono ad una scuola privata.
Non uscendo mai da quella casa se non per rare occasioni, Jeremy aveva
come unico punto di riferimento sua madre, la quale gli riempiva la
testa di stupidaggini.
Il bambino non sapeva come fossero le altre famiglie, quindi per lui
era normale quello che gli stava succedendo.
Era convinto che le vite di tutti gli altri bambini fossero uguali alla
sua.
Sulla sua scrivania, vi era un grande cartellone con all'interno le
cinque regole essenziali per sua madre, che voleva fossero punti
fondamentali nel figlio.
1) DIO E' IL CREATORE, ED E' PERFETTO.
2) ESSENDO PERFETTO, VOLEVA FOSSE CHIARO AGLI UOMINI QUALI FOSSERO
SUPERIORI E QUALI FOSSERO INFERIORI: GLI INFERIORI SONO GLI EBREI, GLI
UOMINI DI RAZZA DIVERSA E GLI ZINGARI.
3) L'OMOSESSUALITA' E' BLASFEMIA ED E' IL PECCATO PEGGIORE DI TUTTI.
4) TUTTE LE AZIONI VOLUTE DA DIO SONO GIUSTE: SE PORTANO ALLE MORTI,
QUESTE SARANNO VOLUTE DAL SIGNORE.
5) TUTTE LE DONNE SONO DONNE FACILI, PROSTITUTE, VOLGARI E FALSE: MAI
FIDARSI.
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Quando ebbe quattordici anni, Jeremy fu invitato da Janet a casa sua e
per quale strano motivo non disse nulla alla madre: quel giorno gli si
aprì un mondo.
I genitori di Janet si comportavano gentilmente con la figlia,
esattamente come apparivano in pubblico.
Le chiedevano come era andata a scuola, e magari dove avesse passato il
pomeriggio.
Jeremy ascoltava le loro conversazioni con attenzione, non capendo se
fossero loro ad andare contro corrente o se fosse stato lui.
Un'altra cosa che notò fu la pelle perfettamente liscia e
curata di Janet: non aveva un solo livido.
Neanche uno.
Né nelle braccia, né nelle gambe.
Assolutamente niente.
Non sapeva quale fosse il modo giusto di vivere, se il suo o quello di
Janet, ma qualcosa gli diceva che la vita di Janet era più
piacevole perchè forse lei era felice.
Tuttavia, era stata una serata piacevole, ma a casa lo aspettava
un'amara sorpresa.
QUESTA E' LA PRIMA PARTE DEL PASSATO DI JEREMY BLOCH, SPERO VI PIACCIA
;) FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE :) ALLA PROSSIMA ;)
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Capitolo 13 *** La Nascita del Mostro ***
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CAPITOLO 13. LA
NASCITA DEL MOSTRO
"Sei sicuro di volerlo fare?"
Jeremy annuì pesantemente, senza smettere neanche per un
secondo di guardarsi i piedi.
Sua madre lo aveva cacciato di casa, e lui non se la sentiva di restare
a Chicago.
Voleva cominciare una nuova vita in un'altra città.
Non sarebbe stato facile: aveva solo quattordici anni, senza un titolo
di studio, senza niente.
Aveva però qualcosa di totalmente nuovo per lui: la
libertà e la speranza.
Apprezzava che Janet fosse lì con lui, sapendo benissimo che
rischiava grosso visto che era notte e si stavano allontanando sempre
di più da Chicago.
Il ragazzo non sapeva se per Janet provava amore o amicizia: ci teneva
a lei, ma non riusciva a dargli un nome, ma forse con il tempo lo
avrebbe capito.
Preso da un'improvviso impulso, le prese la mano, accarezzandola
dolcemente con le dita, talmente rosse per l'ansia e l'imbarazzo che il
ragazzo ringraziò Dio per il buio di quel momento e di quel
luogo.
Lei lo lasciò fare, e sorrise timidamente.
Jeremy si fermò di colpo, dandosi mentalmente dello stupido,
ritraendo velocemente le mani.
"Meglio salutarci qui. Torna a casa."
Con tutti quei pensieri, non si era reso conto che stava mettendo la
ragazza sempre di più nei pasticci.
Lui doveva andarsene, non aveva scelta, ma non lei.
Lei aveva una famiglia che la amava e la rispettava, e una casa.
Non doveva andarsene da Chicago solo perchè Jeremy aveva
bisogno di lei.
Non era giusto.
"Ma.."
"Non hai motivo di venire con me. Questa è casa tua."
"Jeremy, tu sei il mio compagno."
"Tornerò quando sarà giunto il momento di
sposarci, te lo prometto. Cerca di capirmi, ho bisogno di andare
altrove e iniziare una nuova vita. Non posso più stare qui.
Non voglio più vedere mia madre. Ti chiedo di aspettarmi e
perdonarmi, se puoi."
La ragazza annuì, ed estrasse dalla tasca del cappotto un
coltello da cucina particolarmente affilato e lo porse al ragazzo.
"Stai attento."
"Non lo userei comunque. Mi conosci, non riuscirei ad uccidere neanche
una mosca. Se un animale mi attaccherà morirò, ma
voglio correre il rischio."
La ragazza si buttò su Jeremy, e gli diede un dolce e
leggero bacio sulle labbra.
Il giovane tremava dall'emozione e dall'euforia, ma ricambiò
il bacio: aveva finalmente dato un nome al sentimento che provava.
Si sarebbe costruito una vita a Milwaukee, ma sarebbe sicuramente
tornato, per lei.
Quando si staccarono, Jeremy mise il coltello sotto la giacca con molta
cura.
Stavano per darsi l'abbraccio di addio, ma una voce li fece trasalire.
Alle loro spalle, dal sentiero verso Chicago, comparve un Mostro.
Aveva la barba, e da come era vestito e da come puzzava doveva essere
un senzatetto molto povero, come molti Mostri.
L'uomo, dal canto suo, guardò gli adolescenti con un
inquietante interesse.
Persino Jeremy se ne era accorto: stava infatti sussurrando alla
ragazza di andare e di correre il più velocemente possibile.
Troppo tardi.
Benchè sembrasse stanco e debole, il Mostro ebbe abbastanza
forza per impedire ai ragazzi di passare e da lì iniziarono
due lotte, avvenute contemporaneamente.
In un primo momento, Jeremy urlò con quanta voce aveva
gridando aiuto e agitandosi quanto poteva affinchè Janet
fosse libera: della sua incolumità non gli importava.
Poi, in un secondo momento, si sentì improvvisamente
svuotato, come se fosse assente.
Come se quella scena non stesse accadendo a lui, anzi, come se la
stesse semplicemente osservando e lui fosse uno spettatore.
Il ragazzo capì immediatamente che qualcosa non andava e
cadde nel panico.
Era convinto di essere vicino alla morte.
Un attacco di cuore magari.
Una punizione di Dio nei suoi confronti per essere scappato e aver
lasciato la madre da sola.
Si accasciò contro un albero e iniziò a vedere le
cose intorno a lui in modo sfuocato.
Nonostante il mal di testa e l'agitazione del momento, l'adolescente
non fece a meno di notare che quel Mostro, di classe sociale e di
fatto, stava colpendo Janet con un grande bastone.
Vide la ragazza cadere a terra, coperta di sangue.
Voleva agire e aiutare la ragazza, ma non riusciva a muovere un muscolo.
Si trovava in uno stato confusionale, come se il suo corpo non gli
appartenesse più.
La tristezza di avere un padre lontano, la consapevolezza di avere una
madre che non apprezza niente di quello che fa, il dolore, sia fisico
che psicologico, che quella donna gli aveva provocato in tutti quegli
anni.
Le sgridate, gli insulti, quella stanza buia e tetra, quella sedia, e
quei lacci stretti che odiava con tutto sé stesso.
L'angoscia crebbe in lui e si stava trasformando in rabbia.
Tutta quella rabbia che aveva represso per anni, e di cui non aveva mai
potuto liberarsi.
Essere solo, completamente solo.
L'idea che lo sarebbe stato per sempre.
Tutte queste emozioni, che lo accompagnavano da una vita, premevano per
uscire, e volevano farlo in quel momento.
Jeremy chiuse gli occhi e vide davanti a sé delle immagini
contorte: non sapeva se stesse sognando o se fossero il frutto della
sua immaginazione.
Vide una bestia.
Una bestia che affannava e che respirava a fatica.
Sbatteva a forza con quelle spaventose
zampe contro la gabbia nella quale era rinchiuso.
Il rumore che provocava era sempre più forte e dopo un po'
la gabbia si ruppe: la bestia uscì dalla gabbia e corse
verso Jeremy.
Quest'ultimo aprì improvvisamente gli occhi e vide il Mostro
guardare nelle tasche della ragazza, ormai morta, in cerca di denaro o
qualunque cosa di valore che potesse vendere.
Jeremy guardò con odio e disprezzo l'uomo.
I suoi occhi erano diversi: erano diventati più cupi,
più tetri, più furiosi.
Non sembrava più lui.
Sembravano gli occhi di qualcun'altro.
Un'altra anima risiedeva nel suo corpo.
Si alzò e sentì un'improvvisa energia.
Era come se si fosse svegliato dopo un lungo periodo passato a riposare.
Tutto il suo dolore si era trasformato in rabbia e il suo principale
desiderio era di mostrare quella rabbia.
Sistemandosi gli abiti, sentì il coltello affilato da
macellaio che Janet gli aveva dato.
Fece un piccolo sorriso, e lo afferrò.
Lui ha ucciso la tua
migliore e unica amica.
Lui ti ha negato la possibilità di sposarla per del denaro.
Merita di morire.
I passi di Jeremy si fecero più grandi e
più veloci, sempre di più, e il ragazzo, troppo
preso da quell'energia e quel desiderio impellente di mettere fine alla
vita di quell'uomo, quel Mostro, non si era reso conto di aver
abbandonato ogni regola morale.
Il Mostro si voltò, ma era troppo tardi.
Jeremy gli saltò addosso e mentre lo teneva fermo con il
braccio sinistro, con la mano destra affondò più
volte il coltello nel petto dell'uomo, il quale cadde a terra, morto.
Ma una semplice morte non bastava per Jeremy.
Lo colpì ancora, e ancora, e ancora.
Quei colpi dopo la morte erano necessari agli occhi del ragazzo, ma non
si trattava più di odio, ma di impulsi.
Il cadavere non era più un uomo che aveva ucciso Janet, ma
era diventato, per Jeremy, un semplice corpo, sul quale lui doveva
sfogarsi.
Doveva perchè non poteva farne a meno.
Doveva perchè lo desiderava.
Doveva perchè affondare quel coltello nel suo corpo
è stato... liberatorio.
Quei colpi, in particolare il primo, quello che aveva causato il
decesso del Mostro, avevano rappresentato per Jeremy
felicità e soddisfazione.
Gli era piaciuto.
E anche tanto.
Vedere la paura nei suoi occhi.
Ucciderlo è stata l'esperienza più gratificante e
più emozionante di tutta la sua vita.
Jeremy si sentì improvvisamente stanco, e il coltello gli
scivolò via, cadendo nell'erba sporca di sangue.
Scoppiò in lacrime.
I suoi occhi erano tornati ad essere limpidi e gentili e anche la sua
coscienza era ritornata.
Non ricordava niente di quello che era successo.
Tutto quello che ricordava era che quel Mostro stava aggredendo Janet e
lui si sentiva sempre più confuso.
Si guardò intorno, e non ci mise molto a capire cosa fosse
successo.
Quel Mostro e Janet erano ricoperti si sangue.
Il coltello era a terra e sporco anch'esso di sangue.
Le mani di Jeremy erano sporche di sangue.
Lui era l'unico vivo.
Non ci voleva un genio per capire.
Pianse per ore.
Pianse talmente a lungo che i suoi occhi divennero rossi.
Quello che davvero gli faceva male era la consapevolezza di essersi
emozionato positivamente nel togliere una vita.
La consapevolezza di essere diventato un mostro.
LO SO, LO SO. STRISCIO PERCHE' SONO TERRIBILMENTE IN RITARDO! IN QUESTO
PERIOFO AGGIORNERO' PIU' LENTAMENTE MA FARO' IL POSSIBILE! FATEMI
SAPERE CHE NE PENSATE DEL CAPITOLO. A PRESTO. -MICHAELGOSLING-
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Capitolo 14 *** Una Nuova Vita ***
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CAPITOLO 14. UNA NUOVA
VITA.
John Wills conobbe Jeremy Bloch un paio di settimane dopo.
Aveva sempre avuto l'abitudine di allontanarsi da Plainfield per fare
delle lunghe passeggiate, ma non si allontanava mai troppo: non poteva
farsi beccare da un poliziotto di una delle città
più vicine.
Quella mattina capì immediatamente che qualcosa non andava.
Vide un ragazzo, che sembrava un adolescente, camminare molto
distrattamente, come se stesse barcollando: doveva essere scosso per
qualcosa.
Qualcosa di non poca importanza.
Wills aumentò il passo per raggiungerlo, con l'intento di
aiutarlo.
"Stai bene, ragazzo?" gli chiese, afferrandolo per paura che cadesse da
un momento all'altro.
"Sei un poliziotto?" sussurrò Bloch, con un tono assente e
infelice.
Guardandolo con attenzione, John vide che gli occhi di quel ragazzo
erano piuttosto rossi, come non ne aveva mai visti: evidentemente aveva
pianto a lungo per qualcosa.
Ritornò in sé, guardandolo preoccupato.
Non sapeva cosa voleva da un poliziotto, ma cercarlo non è
mai un bene.
"Perchè cerchi un poliziotto? Comunque no, non lo sono."
"Devi portarmi in un distretto di polizia! Immediatamente!"
"Qualunque sia il tuo problema, fidati ragazzo, andare alla polizia non
è una soluzione. Dimmi cosa è successo. Se posso
aiutarti.."
Non era da lui essere così premuroso nei confronti di uno
sconosciuto, ma quel ragazzo era visibilmente sconvolto: doveva essere
successo qualcosa di grave o un possibile trauma.
Le mani di quel giovane apparivano semplicemente sporche e logorate,
eppure, John aveva una strana sensazione.
Guardandole, gli venne in mente il sangue.
Successivamente, con un gesto particolarmente veloce, gli
tirò su le maniche e notò, in entrambi i polsi,
dei segni rossi: non era un medico e non aveva neanche una
specializzazione al riguardo, ma non poteva essere una semplice
allergia.
Quelle erano ferite vere e proprie.
Lividi.
"Nessuno può aiutarmi." mormorò in tono pentito
il ragazzo, come se non si stesse vergognando di sé stesso
per quella situazione, ma per qualcos'altro.
"Vieni con me. Ti fai un bagno e mentre mangi qualcosa mi racconti cosa
ti preoccupa."
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Dopo aver bevuto un sorso di latte, Jeremy lanciò a John uno
sguardo spaventato.
Era chiaro che quell'uomo voleva sapere cosa fosse successo, ma il
giovane Intoccabile non sapeva come iniziare il discorso.
Dalla tasca del cappotto, prese qualcosa che John non riuscì
ad identificare con chiarezza immediatamente.
Solo quando Jeremy gliela diede in mano capì, terribilmente,
di cosa si trattasse: un orecchio.
Quello era indubbiamente un orecchio umano.
John lo lanciò lontano, fuori dalla finestra, non sapendo
come reagire.
Era rimasto spiazzato.
Quell'Intoccabile poteva essere scappato da casa per tanti motivi, ma
un omicidio, cavolo, non se lo aspettava proprio.
E soprattutto non si aspettava che tenesse una piccola parte del
cadavere in tasca.
Deglutì e cercò di riprendersi.
"E' per questo che volevi andare alla polizia? Per denunciare un
omicidio?"
"Sì."
"Caro ragazzo, la polizia non è più quella di una
volta e non è quella che si crede. E' corrotta, come tutto
il resto dello Stato. I poliziotti di adesso arrestano chi va contro la
società. Chi non sposa il compagno assegnato ad esempio, o
chi ha un qualsiasi tipo di interazione con una persona appartenente ad
un'altra classe sociale. I furti, gli stupri, gli abusi e gli omicidi
non vengono considerati reati perchè lo Stato si sente
maggiormente minacciato dalla possibilità che un Intoccabile
come te frequenti un Mostro, ad esempio. E' per questo che la
criminalità è alta. I ladri e gli assassini sono
totalmente liberi di fare quello che vogliono perchè sanno
che, anche se avessimo contro di loro tutte le prove del mondo, non li
arresterebbero mai. Le celle e le varie esecuzioni non sono per loro."
"E io adesso cosa faccio?!?" esclamò Jeremy, particolarmente
allarmato.
"Chi volevi denunciare?"
"Me stesso."
John mosse gli occhi, credendo di aver capito male.
"Scusa?"
"Ho ucciso un uomo.. e... avevo fame, quindi.. ehm..."
mormorò Jeremy, vergognandosene immensamente e mettendo una
mano sulla bocca, per poter nascondere l'alito.
John non osò parlare.
Assassino.
Cannibale.
Ragazzo.
Jeremy proseguì.
"Io... non ero più io. Era come se qualcun'altro si fosse
impossessato del mio corpo! Non ne avevo più il controllo,
glielo giuro! Quando sono tornato ad essere me stesso era
già morto."
John sembrava una statua di sale.
Non ci credeva.
Non poteva.
"Mi stai dicendo che hai ucciso e mangiato un uomo, ma non ricordi di
averlo fatto?"
"Di averlo ucciso... di aver mangiato un suo braccio sì..
avevo così tanta fame.."
John abbassò lo sguardo, e rivide i polsi del ragazzo.
Suo padre gli aveva parlato di Ed Gein, il serial killer affetto da
doppia personalità con alle spalle vari traumi, grazie al
quale aveva scoperto il nome di quel luogo.
Quel ragazzo poteva anche aver ucciso un uomo, ma non era cattivo:
anzi, quel fardello lo tormentava.
Cosa poteva fare per aiutarlo?
Doveva rinchiuderlo?
Mandarlo alla polizia?
Tanto non lo avrebbero ascoltato.
Non gli avrebbero creduto.
D'altra parte, non poteva nemmeno accoglierlo a Plainfield.
Se davvero aveva quella malattia, era più un pericolo per
gli altri che per sé stesso.
Guardò fuori dalla finestra e vide una grande casa
disabitata, che sorgeva fuori dal centro di Plainfield.
Suo padre l'aveva costruita, ma nessuno aveva mai voluto andarci a
vivere perchè aveva la stessa ubicazione della casa degli
orrori di Gein.
Gli si accese una lampadina.
Mandò Bloch in quell'abitazione, ma si premurò di
chiudere ogni porta o finestra in modo che il ragazzo non avrebbe avuto
la minima possibilità di scappare e non ne avrebbe avuto
motivo, visto che quella casa disponeva di cibo e acqua in abbondanza.
Avrebbe messo delle telecamere, e lo avrebbe osservato.
Era l'unico modo per capire precisamente cosa avesse, e senza mettere
in pericolo qualcuno.
E così fece, e si rese conto che il ragazzo era stato
sincero.
In certe occasioni si vedeva con chiarezza che diventava un altro.
Un ragazzo violento, con il desiderio di fare del male, di accanirsi su
qualcosa o qualcuno, di uccidere.
Non essendoci persone in quella casa, prendeva il coltello e
distruggeva tutto quello che poteva: materassi, libri, etc..
Ma c'era anche un altro aspetto.
Quando tornava ad essere quello di prima, John vide un introverso e
tranquillo adolescente, con la purezza nel cuore che si leggeva nei
suoi occhi.
Era molto rispettoso per quello che gli stava intorno, passando le
giornate ad aggiustare ciò che lui stesso aveva distrutto.
Era inoltre molto intelligente e aveva un quoziente intellettivo
superiore alla media: 138.
Questa sua intelligenza non tardò a venire fuori:
all'età di 20 anni conosceva sei lingue diverse (francese,
tedesco, spagnolo, italiano, giapponese e russo), all'età di
24 anni costruì sottoterra una camera blindata con una porta
d'accesso segreta e all'età di 29 anni fece la sua
invenzione più importante: gli occhiali
d'identità.
Si trattava di occhiali con un microcip che aveva come unico compito
quello di avvisarlo tramite un rumore e una luce verde quando stava per
arrivare Frank (così chiamava il suo alter ego),
così ebbe finalmente la possibilità di uscire.
Aveva installato un programma che lo avvertiva con anticipo, in modo
che, nel caso si fosse trovato in mezzo ad altre persone, avrebbe avuto
tutto il tempo di tornare nell'abitazione e bloccare le serrature.
A volte capitava che Frank, appena arrivato, distruggesse gli occhiali,
così Jeremy ne progettò centinaia, in modo da
averne sempre di riserva.
Quando li rompeva, si azionava un meccanismo che provocava a Frank una
scossa elettrica, in modo che, anche se si fosse trovato in compagnia
di qualcuno, non avrebbe alzato un dito perchè Frank era
troppo stordito.
Naturalmente, quando vedeva che dei poliziotti si avvicinavano o
comunque avevano scoperto Plainfield, usciva apposta senza occhiali,
per permettere a Frank di fare il suo lavoro.
QUESTO ERA L'ULTIMO CAPITOLO SULL'INFANZIA DI JEREMY BLOCH! SPERO CHE
QUESTO PERSONAGGIO VI PIACCIA! ALLA PROSSIMA :) -MICHAEL GOSLING-
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Capitolo 15 *** I Tre Moschettieri ***
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CAPITOLO 15. I TRE
MOSCHETTIERI.
"E ora che ne sarà di noi?"
Quelle parole risuonarono nell'aria.
Quella domanda, sebbene posta a John, sembrava quasi rivolta a Dio.
Quel quesito era uscito dalla bocca di Nathan, che in sette parole ha
riassunto il pensiero non solo suo, ma anche quello di Scott, James e
Ayris.
Wills annuì, come se percepisse la paura e l'ansia di quei
giovani, che erano simili e diversi allo stesso tempo.
Guardò l'ora e si rese conto di essersi dilungato un po'
troppo con la storia di Bloch, ma ne era valsa la pena: dovevano sapere.
Dovevano sapere che tra loro c'era un potenziale assassino, un serial
killer privo di materia grigia da anni, ma dovevano anche rendersi
conto che non era malvagio, che era in buona fede e che,
finchè portava quegli occhiali, per loro non ci sarebbe
stato alcun tipo di pericolo.
Per nessuno.
Si scosse improvvisamente, e ritornò in sé per
rispondere alla domanda.
"Ehm.. abbiamo un problema."
"Ecco! Lo sapevo io!" sbottò immediatamente Nathan,
più scocciato che arrabbiato,
"La vuoi piantare, Anderson? Fai qualcosa di utile: stai zitto!"
esclamò Scott, irritato dalle sclerate del ragazzo dovute
probabilmente all'ansia e ad un eccessivo pessimismo.
"Qual'è il problema?" chiese Ayris a Wills con un filo di
voce.
John stava per rispondere, ma un'improvviso rumore lo percosse.
Era l'urlo di una donna, e d'istinto l'uomo uscì
dall'abitazione, seguito dagli adolescenti, per vedere cosa fosse
successo.
"Stai lontano dal mio bambino, assassino!" gridava la donna
abbracciando il figlio.
Jeremy Bloch se ne stava a testa bassa, incassando gli insulti e non
osando fiatare.
"Mary, cosa è successo?" chiese Wills alla donna, anche se
un'idea se l'era già fatta.
"Stava giocando con Tommy! Deve stargli lontano!" esclamò,
per poi allontanarsi con il figlio.
Jeremy si pulì gli occhiali con le dita perchè si
erano appannati, e non alzò lo sguardo.
Con un passo leggero, John gli si avvicinò, ma non lo
toccò.
"Lo so che volevi solo un po' di compagnia e che le tue intenzioni
erano le più oneste del mondo. Lo sappiamo tutti, ma mettiti
nei panni di Mary. Vede suo figlio con un.."
"Assassino. Serial killer. Mostro. C'è l'imbarazzo della
scelta." fece in tono scherzoso Jeremy, alzando le spalle con
noncuranza.
"Jeremy.."
"Lo so. Ho capito. Non preoccuparti. So bene come mi vedono gli altri e
come sono. E' colpa mia. Sarebbe stato meglio se fossi rimasto a casa."
fece in tono amareggiato Bloch, sentendo l'angoscia
crescergli dentro.
Abbassò ulteriormente il suo sguardo e si guardò
le mani: erano pulite, bianche e immacolate come quelle di un bambino,
ma lui non riusciva a vederlo.
Tutto quello che vedeva era il sangue.
Le mani di un assassino.
Guardandolo, Ayris ricordò la coppia di Mostri che aveva
visto a Surrey quando
era bambina, quella famosa gita in cui conobbe James.
Ricordò le lacrime della donna, dovute ad insulti
ingiustificati, e il conforto che cercò nelle braccia del
marito, ma stavolta Jeremy non poteva cercare conforto in nessuno,
perchè non aveva nessuno.
Era solo.
Veniva denigrato non per l'aspetto esteriore, ma per qualcosa di oscuro
dentro di lui che lo portava ad essere qualcuno che non voleva.
Qualcuno che lui stesso disprezzava.
Ayris si sentì terribilmente in colpa, anche se non era
stata lei ad insultarlo.
Si sentì triste per lui e non riuscì a fare a
meno di avvicinarsi, ma lo fece in fretta, in modo che nessuno,
soprattutto Nathan, la potesse fermare.
Quando se la trovò davanti, Jeremy la guardò
sbigottito.
"Grazie per averci salvato la vita." mormorò sinceramente la
ragazza, sorridendogli amichevolmente.
L'Intoccabile guardò la ragazza con una nuova luce negli
occhi: forse era speranza, forse gioia, o forse era semplicemente
commosso per aver ricevuto un ringraziamento.
Un ringraziamento sincero e onesto, da una ragazza che sapeva cosa
aveva fatto e chi fosse.
Era sempre così: ogni volta che arrivava qualcuno di nuovo a
Plainfield, John gli parlava di lui perchè era importante
conoscere la verità.
Non sapeva cosa risponderle: non gli era mai successo che qualcuno, pur
sapendo cosa lui fosse, aveva avuto un comportamento gentile con lui.
Qualcuno che quando lo vede, vede Jeremy Bloch, l'intelligente e buono
cittadino di Plainfield, e non il mostro celato dentro di lui.
Era una di quelle cose che aveva sempre desiderato accadesse, ma era
talmente irrealizzabile ai suoi occhi che non si era mai soffermato a
pensare a cosa avrebbe potuto rispondere, ma non ce ne fu bisogno.
Ad Ayris bastò guardarlo negli occhi per capire che, per
quanto per qualcuno quella frase potesse risultare banale, inutile e
insignificante, per lui rappresentava una felicità infinita
e un conforto inimmaginabile, e ne fu contenta: doveva essere stato
terribile per lui aver passato tutti quegli anni isolato e insultato a
causa di qualcosa che non poteva controllare, che non poteva cambiare,
e che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita.
Bloch aprì la bocca con l'intento di dire qualcosa, ma si
bloccò di colpo quando vide qualcuno fissarlo severamente
avvicinarsi.
Si trattava di un uomo tra i 30 e i 35 anni, vestito molto
elegantemente.
Portava una cravatta a righe, una camicia bianca chiusa fino all'ultimo
bottone e una giacca color marrone, abbinata ai pantaloni.
Sebbene l'età, l'assenza di rughe, la pelle liscia come
quella di un bambino e un viso leggermente paffuto che nonostante lo
sguardo severo gli donava un'espressione amichevole, sembrava un
ragazzino.
Aveva i capelli biondi e corti abbastanza curati e gli occhi chiari.
Era anche parecchio alto e magro al punto giusto.
"Sta causando dei problemi, John?" chiese a Wills, senza smettere di
guardare Jeremy, il quale cercava di evitare il suo sguardo.
"No Barret, nessuno."
"Sicuro?"
"Barret, rilassati. Va tutto bene."
"Sì Barret, datti una calmata." mormorò
scherzosamente una terza voce.
Al gruppo si avvicinò un uomo alto e fisicamente attraente
di quasi 40 anni: non aveva un viso perfetto, ma gran parte della
bellezza di cui era dotato era dovuta ad un radioso sorriso e due occhi
di un azzurro impossibile da non notare.
John mosse le spalle e allontanò gli adolescenti da Bloch e
quei due uomini: quei tre insieme equivalevano alla Terza Guerra
Mondiale.
"Nessuno ha chiesto la tua opinione, Haus!" sbottò con
arroganza Barret contro il nuovo arrivato.
"Tu pensi a noi anche quando fai sesso?"
"Dì un'altra parola e ti faccio scoppiare la testa!"
"Vuoi deciderti a lasciarci in pace? Me e Jeremy!"
"Lasciarvi in pace? LASCIARVI IN PACE?!? Non esiste! Io vi
starò col fiato sul collo finchè avrete aria nei
polmoni!"
"Sì, lo sappiamo. Non fai altro da anni! Erika sa che suo
marito passa ogni secondo della sua esistenza a spiare due uomini?"
"Riderai di meno quando sarai sotto terra! Non appena lo Stato attuale
cadrà e torneranno le vere leggi, rubare ed uccidere
torneranno ad essere considerati reati e voi due avrete chiuso! Mi
assicurerò io stesso che abbiate entrambi la sedia
elettrica! Te e quello psicopatico del cazzo!"
Fu solo allora che Ayris si accorse che Jeremy si era allontanato.
"Sì, può darsi. Può darsi che lo Stato
attuale crollerà e può darsi che noi davvero
avremo la sedia elettrica, ma dopo? Dopo che farai? Quando saremo morti
sentirai la nostra mancanza perchè capirai di aver passato
tutta la tua vita ad aver dato la caccia a due uomini come te! Dopo non
saprai come passarti il tempo e ci rimpiangerai!"
"Ma tu sei fuori! Perchè dovrei rimpiangere un ladro e un
assassino?"
"Perchè ci ami. Non puoi vivere senza di noi."
ribattè ironicamente Haus, facendo un largo sorriso a Barret.
"Chi sono?" chiese Ayris a John, attendendo una risposta.
"Jeremy Bloch, Barret Johnson e Gregor Haus. I nostri tre moschettieri."
ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO :) SPERO DI AGGIORNARE IL PRIMA POSSIBILE,
MA NON SO QUANDO PUBBLICHERO' IL PROSSIMO! AD OGNI MODO RINGRAZIO TUTTI
QUELLI CHE LO SEGUONO -MICHAELGOSLING-
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Capitolo 16 *** Nomi, Nomi e ancora Nomi ***
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CAPITOLO 16. NOMI,
NOMI E ANCORA NOMI.
Un lungo corridoio si presentava davanti a loro.
Un corridoio che faceva pensare alla solitudine e alla tristezza.
Un corridoio bianco come la neve, sebbene sembrasse più
scuro per la poca luce che proveniva da piccole candele sopra a grandi
scaffali, che tutti insieme formavano il corridoio.
Al loro interno, erano presenti tanti piccoli oggetti dalla forma
rettangolare, posizionati in ordine alfabetico: sopra ad essi vi era
un'etichetta con scritto qualcosa e, percorrendo tutto il corridoio, i
ragazzi le lessero: erano tutti nomi propri nuovi per loro, gente mai
sentita.
Alcuni nomi erano ripetuti talmente tante volte da essere riportati in
più scaffali.
Nomi, nomi e ancora nomi.
James, Ayris, Nathan e Scott si guardarono confusi, sentendosi
ignoranti e stupidi fino al midollo: non c'era un solo nome che
scaturiva in loro un ricordo.
Nessuno.
Neanche uno.
Galileo Galilei.
Oscar Wilde.
Leonardo da Vinci.
Martin Luther King.
Charles Darwin.
Harvey Milk.
Alfred Hitchcock.
Aristotele.
Stephen King.
Napoleone Bonaparte.
Theodore Roosvelt.
Jeffrey Dahmer.
Alexandre Dumas.
Picasso.
Ted Bundy.
Audrey Hepburn.
Chi erano?
Intoccabili, Borghesi o Mostri?
Che ci facevano lì?
E poi c'era un altro nome.
Un nome ripetuto in uno, due, cinque scaffali.
Un nome accompagnato da quattro parole, che agli occhi degli
adolescenti non avevano molto senso: "e la soluzione finale".
Il nome era Adolf Hitler.
Fissarono uno degli scaffali dedicati a lui per un paio di minuti,
cercando una risposta, un aiuto, una spiegazione.
"Chi sono?" chiese Nathan, agitando le braccia.
"Persone. Persone vissute nel passato che, in un modo o nell'altro,
hanno fatto la storia lasciando il segno nel mondo, chi nel bene e chi
nel male. Ci sono scrittori, filosofi, scienziati, registi, attori,
politici, artisti, gente come me.. insomma.. serial killer."
spiegò Jeremy con voce calma.
"Cosa significa? Ma che lavori sono?"
"Sono mestieri che si svolgevano nel passato, infatti non esistono
più da anni.. gli scrittori erano persone dotate di una
certa immaginazione che scrivevano una storia inventata con persone
inventate da loro. Il regista trasformava quella storia in
realtà con l'aiuto di attori, che diventavano le persone
della storia. I filosofi passavano il loro tempo a riflettere sulla
vita, mentre gli scienziati cercavano di fare nuove scoperte attraverso
la scienza con lo scopo di migliorare la vita di tutti i giorni. I
politici erano persone che rappresentavano il popolo e alcuni si sono
battuti per certi diritti umani e i serial killer.. beh.. un'idea ve la
sarete fatta ecco."
Troppe informazioni in troppo poco tempo, ma i ragazzi si sforzarono di
farsi un'idea.
"Soluzione finale?" chiese Nathan, indicando con un dito uno degli
scaffali dedicati al famigerato Adolf Hitler.
"E' stata tutto tranne una soluzione." si limitò a dire
Jeremy con un malinconico sorriso, facendo intendere che non aveva la
minima intenzione di approfondire l'argomento.
"Cioè?" chiese Nathan, spinto dalla normale
curiosità di un ragazzo della sua età.
"Ma sei cieco o cosa, Anderson? Non vedi che non ce lo vuole dire?"
sbottò Scott, stando a debita distanza dal ragazzo.
"Non è che non voglio.. è che non mi sembra il
momento opportuno." spiegò Jeremy con
tranquillità, cercando di sembrare il meno freddo possibile.
"Prima di arrivare a Hitler, dobbiamo farvi conoscere tutti quelli che
sono venuti prima. Sono tutte persone realmente esistite. Non le
conoscete perchè uno Stato ignorante è
più facile da governare ed è esattamente per
questo che non li insegnano più nelle scuole da quasi un
secolo." spiegò John, agitando le braccia con entusiasmo
come se avesse fatto un discorso ascoltato da milioni di persone.
"E allora voi come fate a conoscerli?" chiese James in tono ovvio,
cominciando a sentirsi più a suo agio.
"Ed è qui che entrano in gioco i nostri tre moschettieri.
Loro e d'Artagnan."
I ragazzi si guardarono perplessi.
Ma cosa intendeva con l'espressione i tre moschettieri?
E chi era questo d'Artagnan?
Un soprannome?
"Sarà lui stesso a spiegarvi. Usciti da qui, girate a destra
fino a quando non troverete un'indicazione. A quel punto seguitela.
Quando raggiungerete una grande quercia, sbattete i piedi per terra.
Arriverà un uomo che vi spiegherà tutto quanto.
Se volete, vi accompagno." fece Barret in tono gentile.
"Ma non rischiamo di essere presi se ci allontaniamo?"
"Oh, no. Dovreste allontanarvi molto più di così
per essere presi." proseguì Barret, sistemandosi la cravatta.
"Facciamo da soli, grazie." fece Scott, dando una spinta a Nathan
giusto per innervosirlo.
Quest'ultimo lo guardò malissimo, ma non lo spinse, anche se
era molto tentato: l'ultima cosa che voleva in quel momento era avere
una lite con un ragazzo che non sopportava.
Non ne sarebbe valsa la pena.
Ayris guardò Barret in modo sospettoso, ma non
disse nulla.
Come mai con loro era gentilissimo, mentre con Gregor e con Jeremy
sembrava un vero mostro?
Non è che avesse la stessa malattia di Jeremy?
Tuttavia abbandonò i suoi pensieri, e uscì
dall'abitazione con Nathan, James e Scott.
ECCOMI CON UN NUOVO CAPITOLO.. LO SO E' PIU' CORTO DEL SOLITO
:P :) FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE ;) A PRESTO ;)
-MICHAELGOSLING-
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Capitolo 17 *** Lavoro di Squadra ***
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CAPITOLO 17. UN LAVORO DI
SQUADRA.
Mentre camminava,
Scott alzò il viso e chiuse gli occhi per odorare meglio il
floerale profumo dlele piante intorno a lui: avrebbe potuto sbattere
contro un albero con facilità, ma non gli importava
minimamente.
Tutto quello che
voleva era godersi la natura in totale libertò, senza
doversi preoccupare di essere visto né da un contadino
né da un ufficiale dello Stato.
Gli
tornò in mente Melanie, e pensò immediatamente
che le sarebbe piaciuto quel posto: naturale e puro, esattamente come
lei.
Non si era mai
soffermato a pensare a cosa ci fosse stato dopo la morte, ma era
assolutamente certo che in quel momento lei era in un'immersa prateria
divisa in due parti da un piccolo ruscello, e da quel luogo vegliava su
di lui costantemente.
Era grazie alle
sue preghiere che era ancora vivo e che aveva aria nei polmoni.
Aprì
gli occhi e guardò il cielo, come se volesse incociare lo
sguardo della sorella: era convinto che lei in quel momento lo stesse
guardando e lo stesse salutando con la mano, sfoggiando quel solare
sorriso che la rendeva speciale.
Le
buttò un bacio, sicuro che sarebbe arrivato a destinazione.
"Cosa cazzo stai
combinando Bennett?"
Con amarezza,
Scott si voltò e vide Nathan fissarlo severamente.
Chi altro poteva
averlo detto se non quell'insopportabile Borghese?
Conosceva quel
ragazzo da poco, ma era bastato: non riusciva a reggerlo.
Si lamentava
sempre.
Era troppo
pessimista e troppo sclerato per i suoi gusti.
Nella sua lista
nera, subito dopo lo Stato e suo padre, c'era il suo nome.
L'antipatia che provava nei suoi confronti era tanta quanta la simpatia
che nutriva per Ayris.
Cavolo, gli piaceva davvero tanto quella ragazza!
La conosceva da troppo poco tempo per considerarla un'amica, ma era
sicuro che con il tempo lo sarebbe diventata.
Lei era il genere di ragazza di cui ci si innamora non per la sua
capacità di sedurre gli uomini con il suo corpo o per il
carattere esplosivo ed estroverso, ma per la sua natura gentile,
pacifica e altruista, pregi che chiunque avrebbe apprezzato.
Di James non si era fatto una vera e propria opinione: parlava
pochissimo e cercava quasi di apparire.. invisibile.
Era come se temesse di essere giudicato male o di fare brutte figure se
si fosse esposto di più: tuttavia, si vedeva lontano un
miglio che era un bravo ragazzo.
Forse un po' impacciato, ma sicuramente un ragazzo di cui ci si poteva
fidare.
Proprio mentre guardava intorno per localizzare l'ubicazione dei
ragazzi, vide davanti a sé una maestosa quercia, che
appariva in tutta la sua bellezza: erano arrivati.
"Eccola! Ci siamo!"
"Sì, Bennett. Li abbiamo anche noi gli occhi." fece in tono
sarcastico Nathan, avvicinandosi al ragazzo con James e Ayris.
All'unisolo, gli adolescenti sbatterono con forza i piedi, come se
volessero ferire la superficie che stavano calpestando, ma si fermarono
di colpo quando sentirono un rumore provenire dall'altissima quercia.
Guardarono in alto spaventati, cercando di capire cosa avesse provocato
quel rumore.
Un animaletto selvatico?
Un ramo si era spezzato?
Fecero un passo all'indietro e chiusero gli occhi quando sentirono un
rumore molto più vicino a loro: quando li riaprirono, si
rilassarono: steso placidamente sul ramo più vicino a loro
c'era un giovane uomo, che non poteva avere più di 29 anni.
Era vestito in modo trasandato: indossava una canottiera talmente larga
da che si poteva intravedere parte del suo petto.
I pantaloni e le scarpe erano più della sua misura, ma
rimanevano sporchi e rovinati.
Era piuttosto alto e i muscoli che si intravedevano nelle braccia
facevano intendere che facesse parecchio movimento.
Nel braccio destro aveva un tatuaggio con una scritta che i ragazzi non
riuscirono a leggere e sulla guancia, sempre destra, aveva un lungo
taglio, che partiva dalla parte del viso appena davanti l'orecchio fino
all'avvicinarsi della bocca e del mento.
Gli occhi erano color marrone scuro e non avevano nessuna luce: il suo
infatti era uno sguardo assente, come se fosse in quel luogo solo
fisicamente. Dello stesso colore erano i capelli, che erano corti.
Sia il naso sia le orecchie erano piccoli.
"Cosa posso fare per voi?" chiese lui a bassa voce, come se lo facesse
solo per essere gentile.
"Stiamo cercando.."
"Vi hanno mandato Sherlock Holmes, Arsenio Lupin e Norman Bates?"
I ragazzi si guardarono perplessi, annuendo senza capire.
Con velocità sorprendente, l'uomo scese dalla quercia e si
piazzò davanti ai ragazzi.
"Sono Miguel Keller." disse, facendo ai ragazzi un saluto con la mano.
Ayris notò che nel palmo della mano sinistra aveva un altro
tatuaggio, ma stavolta era un simbolo.
"Noi siamo.."
"Lo so chi siete. Sedetevi."
I ragazzi obbedirono, aspettando che l'uomo continuasse.
"Se voi prendete un cane e lui non sa la differenza tra bene e male e
tra giusto e sbagliato, voi sarete liberi di comportarvi come vi pare.
Ma se voi glielo insegnante e decidete di comportarvi male, lui vi
aggredirà perchè sa che sbagliate. In sintesi, se
non insegni al tuo cane ad abbiare, per te non ci saranno problemi
perchè lui ti sarà sempre obbediente. E'
esattamente la stessa cosa che lo Stato sta facendo con noi. Nei
municipi delle varie città, in archivi nascosti
costantemente controllati, vi sono dei documenti relativi alla storia,
che loro nascondono per renderci ignoranti e per impedire rivoluzioni
simili a quelle del passato. Fin qui tutto chiaro?"
I ragazzi annuirono, ascoltando Miguel con attenzione.
"Ed è qui che entriamo in gioco io, Norman Bates, Lupin e
Sherlock Holmes. Holmes, ossia Johnson, era un poliziotto e quando era
in servizio aveva imparato a memoria tutti i codici della polizia,
ossia tutte quelle situazioni che si possono creare in cui si deve
intervenire. Approfittando di questa sua conoscenza, le ricrea in modo
che anche gli agenti il cui compito è sorvegliare le porte
d'accesso degli archivi segreti, sono costretti a spostarsi
momentaneamente. In quel frangente Arsenio Lupin, ossia Haus, entra e
dopo aver superato i tanti allarmi di sicurezza che ostacolano la sua
meta, prende i documenti e trova il modo di uscire. Successivamente
contatterà Holmes, ed insieme escono dalla metropoli e, una
volta raggiunto un luogo isolato, aspetteranno Tarzan, ossia me. Io li
prendo e attraverso i boschi torno qui, alla quercia. Qui,
scavo una buca e infilo i documenti in un tubo che porta direttamente
al salotto di Bates, ossia Bloch. A questo punto lui li trasforma
rendendoli visibili i n uno schermo. Li guarda e li ascolta. Visto che
alcuni vengono dall'Europa e da altri paesi, lui li traduce e gli
dà un titolo. Sposta poi questo documento in un box, a cui
attacca un'etichetta per poi metterlo nello scaffale adeguato, come
quelli che avete visto."
ECCOMI ;) SPERO CHE IL CAPITOLO VI PIACCIA ;) ALLA PROSSIMA!
-MICHAELGOSLING-
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Capitolo 18 *** Casa ***
CAPITOLO 18. CASA
Non c'erano case disabitate a Plainfield e di conseguenza Ayris, James,
Nathan e Scott non avevano un tetto sopra la testa.
In Infermeria non ci potevano stare: quel luogo era solo per chi doveva
essere curato e accudito.
Per questo motivo, i giovani inglesi avrebbero dovuto vivere
momentaneamente con qualcuno che avesse avuto almeno una camera libera,
e non erano tante le abitazioni con delle camere non occupate.
James era andato a vivere nel bel mezzo del bosco: il ragazzo era
sempre stato un grande appassionato di fiori, animali e tutto quello
che aveva a che fare con la natura, quindi quel luogo era perfetto per
lui.
Un luogo in cui non si sarebbe vergognato di fare figuracce.
Un luogo in cui poteva rendersi utile, facendo lavoretti che amava
occupandosi degli animali che gli stavano intorno e delle piante
rigogliose con grande cura.
Un luogo in cui non si sarebbe mai annoiato.
Un luogo in cui avrebbe potuto perdersi in lunghe passeggiate o
sdraiarsi sull'erba e chiudere gli occhi, fingendo una
realtà che ai suoi occhi non poteva avverarsi.
Ebbe il tempo di pensare a molte cose, tra cui Surrey e Ayris.
Pensò che l'amore che provava per quella ragazza lo stava
distruggendo, ma non riusciva a farne a meno.
Voleva respingerla, voleva dimenticarsi di lei per rimuovere dalla sua
mente l'angoscia che sentiva quando si autoconvinceva che lei, con uno
come lui, non ci sarebbe mai stata, a prescindere dalle leggi dello
Stato.
Più tentava di allontanarla dalla sua mente, più
la desiderava.
Ma non era l'unico ad avere problemi sentimentali: anche Lynn ne aveva.
Lynn era una giovane donna di non più di ventisette anni,
che James aveva conosciuto trasferendosi da Miguel nella capanna del
bosco: era sua sorella.
Era una donna dal carattere esplosivo come i rossi capelli che le
davano quella femminilità che mancava nel suo linguaggio:
era sboccata come il fratello.
I suoi occhi erano blu scuro, tanto da essere quasi penetranti.
Come John, Miguel e Lynn erano il frutto di una coppia mista, non
composta dallo Stato: era stato Miguel a dire a James che la sorella
aveva un problema sentimentale, ma non aveva aggiunto altro.
Non gli descrisse il problema e non gli spiegò chi fosse
l'uomo con cui era sentimentalmente impegnata.
James, dal canto suo, non chiese nulla alla ragazza perchè
temeva che non ne volesse parlare: il fatto che, nonostante avesse un
problema, fosse spumeggiante e allegra, stava a significare quanto la
ragazza fosse capace di nascondere al mondo intero le sue emozioni.
Nathan, che di natura era serio, tranquillo e composto, non poteva che
vivere con qualcuno che, come lui, fosse pacato, e chi, più
di chiunque altro, rispecchiava tutte queste caratteristiche se non
Barret Johnson, il freddo poliziotto di Plainfield?
Fu questo il ragionamento fatto da John, che accompagnò
Nathan nella sua nuova sebbene temporanea dimora.
Fortunatamente non si respirava solo aria fredda e distaccata in quella
casa: ad essa ci si aggiungeva quella gentile e amorevole della bella
moglie di questi, Erika, che svolgeva la professione di dottoressa e
che si era presa cura dei ragazzi in Infermeria e anche quella
spensierata e giocherellona tipica dei bambini, proveniente da Coleman,
il figlio della coppia, che non poteva avere più di sette
anni.
Tutti e tre si somigliavano straordinariamente sul piano fisico: Barret
ed Erika erano infatti compagni, e da quel punto di vista avevano
rispettato lo Stato e tutte le leggi che ne derivavano.
Non era per quello che erano scappati da Los Angeles, dieci anni prima,
e si erano recati a Plainfield a vita.
Nathan capì immediatamente che Barret non aveva mai dato
importanza al lato sentimentale della sua vita: per lui l'amore era un
qualcosa di negativo, che portava a comportarsi irrazionalmente e ad
andare contro i propri principi.
Era di più il prototipo all'antica: girava sempre
elegantemente, la cravatta sempre a posto, e i capelli all'indietro e
rigorosamente pettinati.
Tutto quello che voleva era un buon lavoro e una famiglia che lo
appoggiasse per tutto e in ogni momento: una moglie e un figlio
andavano bene e bastavano a renderlo soddisfatto della propria vita
privata.
L'unica ragione per cui aveva deciso di ribellarsi era la polizia:
quando vi era entrato, era orgoglioso di sé stesso e fiero
di far parte di quella categoria di persone il cui scopo è
ostacolare il crimine per il bene della propria città, e
invece la realtà fu piuttosto deludente ai suoi occhi: si
era ritrovato a prendere ordini da detective che gli imponevano di
fregarsene degli omicidi e Johnson, sebbene fosse solo un ventenne
all'epoca, rimase scioccato.
Era troppo onesto e troppo giusto per far parte di una polizia corrotta.
Tutt'altra vita la conducevano Gregor e Scott, che in comune avevano il
desiderio di ribellarsi e l'aver passato tutta la vita ai limiti della
legalità.
E vantarsene.
Fu la prima volta in assoluto in cui Scott poteva finalmente affermare
di essere a casa.
La ricca abitazione nella quale aveva passato la sua infanzia era una
prigione per lui, e il viaggiare da un luogo all'altro come un nomade
gli dava sicuramente più soddisfazione che l'essere relegati
in quella villa senza emozioni umane, ma certamente non era quello che
desiderava per sé stesso.
Gregor spiegò all'adolescente come fosse arrivato a
Plainfield.
Fin da ragazzo era un ladro: suo padre, ladro anche lui, lo portava con
sé e Gregor imparò in fretta i segreti del
mestiere, sviluppando fin dal principio una sua personale tecnica per
non essere beccato.
Più che per denaro, Gregor amava particolarmente quella
attività per il senso di illegalità che gli
trasmetteva.
Sapere di andare contro la legge e di poter essere preso in qualunque
momento gli procurava un brivido, una sensazione, senza la quale,
secondo lui, la vita non era degna di essere vissuta.
Era una sfida continua.
Quando però si accorse che anche se lo avessero beccato
sarebbe stato immune da sanzioni, ne rimase profondamente deluso.
La delusione di Barret e di Gregor era scaturita dallo stesso fattore:
la negligenza e l'incompetenza della polizia di Stato.
Fu allora che il tedesco scappò dalla Germania e
andò in America, scoprendo Plainfield.
Lì crebbe e, oltre ad abbandonare totalmente il suo accento
tedesco, sposò una ragazza del posto, morta qualche anno
dopo di parto, dando alla luce Jerry, che aveva soltanto quattro anni.
Nei primi tempi, Scott stava spesso in casa rendendosi utile con
lavoretti domestici e divertendo Jerry con giochi inventati sul
momento, ma successivamente continuò quello che prima
svolgeva regolarmente, ossia avere rapporti sessuali senza impegno con
gli Intoccabili omosessuali di Plainfield.
Per quanto riguardava Ayris, John non aveva alcun dubbio: sapeva con
chi sarebbe andata a vivere, e fu la scelta giusta.
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