Il ritratto della Princess.

di Kim NaNa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


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NdA: Torna, su richiesta, questa mia vecchia fanfiction su Haruka e Michiru! Non so in quanti la ricorderanno, ma avendola revisionata e corretta qualcosa potrebbe essere cambiata... spero solo sia di vostro gradimento. Detto questo, non posso che augurarvi buona lettura e se avete consigli, rimproveri da fare... scrivete pure!
Con affetto,

Kim NaNà




Il ritratto della Princess.


 
Capitolo 1.
 
L’aria settembrina riscaldava il cielo azzurro circondato da candidi nuvoloni bianchi, mentre tiepidi raggi di sole rischiararono la fluente capigliatura di Michiru Kaioh.
Com’era sua abitudine, afferrò il primo libro che le passò sotto gli occhi, facendolo scivolare nella borsa gonfia di cartelle e dossier e chiuse a chiave la porta.
Con passo deciso si diresse verso l’ascensore e raggiunse la hall.
I pochi clienti in attesa, seduti su eleganti poltrone di velluto rosso, si voltarono ad osservare quella donna raffinata e sensuale dai grandi occhi occhi blu.
«Buongiorno, signorina Kaioh. Ha dormito bene?»
Un uomo anziano, con indosso un’uniforme blu notte, si tolse il berretto e accennò un lieve inchino sorridendo a Michiru.
«Buongiorno Sautome! Ho dormito molto bene questa notte, ti ringrazio. »
L’uomo venne fuori dal suo bancone e si avvicinò lentamente alla ragazza, parlando con la sua caratteristica lentezza.
«Siamo veramente molto lieti di averla ancora come nostra ospite, signorina.»
«E per me è sempre un piacere alloggiare al Planetarium.»
Il vecchio Sautome continuò a guardare Michiru e sottovoce aggiunse: «Per noi è un piacere particolare accogliere un’ospite così graziosa.»
Michiru scoppiò a ridere stando attenta a non disturbare i clienti immersi nella lettura di qualche quotidiano.
«Ah, Sautome… lei non riesce a non riempirmi di complimenti, ogni volta…»
Un sorriso malizioso fece sbocciare una rete di rughe sul volto dell’anziano.
«Nel mese di settembre è raro vedere delle belle donne… qui in albergo restano solo le vecchie clienti… Vecchie come me intendo e allora, capisce…»
Michiru sorrise ancora a quell’uomo dal fare paterno e simpatico, accompagnandolo nel suo discorso.
«Sono certa che, tempo addietro, fossero belle anche loro…»
Il volto di Sautome parve perdersi in qualche lontano ricordo e con gli occhi rivolti verso la grande vetrata proseguì.
«Belle? Straordinarie direi. Ma adesso non le rubo altro tempo signorina Kaioh. La sto annoiando con le mie storie da povero vecchio. Venga, l’accompagno alla porta.»
«Lei non mi annoia per niente, Sautome. E poi io adoro le sue vecchie storie… in fondo, io mi occupo proprio del passato!»
Con un sorriso la giovane donna prese congedo dal vecchio signore.
Sautome era un tipo al quanto curioso. Parlava perfettamente tre lingue, conosceva tutti e sapeva tutto. Chiacchierava anche per ore e sembrava avere una curiosità insaziabile. Ma era adorabile con quella sua cortesia d’altri tempi, fatta di leggeri inchini, sorrisi e attenzioni deliziose.
Sautome era come il Planetarium, quel vecchio hotel tutto fronzoli, segnato dal tempo, ma sempre là ad offrire i resti grandiosi del suo splendore ormai passato.
La bella Michiru Kaioh si voltò ad osservare l’albergo che frequentava assiduamente da qualche tempo ed ebbe l’impressione di vederlo, improvvisamente, troppo grande e troppo lussuoso.
Spinta da un impulso irrefrenabile rientrò nella hall e rimase immobile a contemplare la bellezza di quel luogo.
I grandi saloni in stile liberty con le poltrone dalle linee eleganti, pieni di strani arabeschi, i lunghi corridoi che sembrava non dovessero mai finire, gli appartamenti lussuosi e sconfinati, i soffitti a cassonetto di legno lavorato e laccato.
Michiru proprio non riusciva a resistere al fascino di quel luogo che la portava in alto con la fantasia, facendola viaggiare nei diversi posti del mondo che aveva visitato per incontrare le molteplici culture e conoscere le tante meraviglie ancora sconosciute ai suoi occhi insaziabili di bellezza.
Fu così che decise di restare lì ancora per un po’, di perdersi in tutto quello splendore e concedersi un momento tutto per sé, prima di dare inizio ad una nuova giornata.
Entrò nella sala da pranzo più piccola e si sedette al primo tavolino piccolo e mentre spiegava il tovagliolo un cameriere le si avvicinò con un inchino: «Come al solito, signorina?»
«Sì, grazie. Tè verde. »
Si guardò intorno: tutto come sempre. Vicino  alla finestra due vecchie signore conversavano a bassa voce con aria di intesa, preoccupate di non farsi sentire. Al tavolo vicino un gruppo di uomini d’affari americani, riconoscibili per i loro completi con gilet e le ventiquattro ore troppo nuove.
Nei due tavoli all’angolo due signori anziani leggevano silenziosamente il giornale del giorno.
Due mani dai guanti bianchi interruppe quella sua attenta osservazione. Un sottile e pungente aroma si sprigionò dalla teiera appena portata, il liquido ambrato sgorgò dal beccuccio e scese in una tazza di porcellana bianca orlata d’oro.
Un cestino di dolci  Wagashi (*) si offriva, intanto, alla sua golosità.
«La signorina è servita!»
Un inchino appena accennato e il cameriere si allontanò sorridendo alla piacente donna che aveva dinanzi.
Michiru si lasciò sfuggire un sospiro di beatitudine.
«È questo il momento migliore della giornata.» pensò mentre portava alle labbra la tazza e mordeva un dolcetto ancora tiepido.
Chiuse gli occhi per gustare meglio quella ghiottoneria che si era appena concessa e, quando li riaprì, alzò stupita un sopracciglio.
Era sorprendente. Non c’erano solamente vecchi clienti al Planetarium. Proprio di fronte a lei era seduta una donna. Una donna giovane… e bella.
Aveva una massa di capelli biondo sole, corti, sormontati da due occhi verdi come l’edera. Un profilo da medaglia e uno sguardo fiero e coraggioso. Guardava fuori dalla finestra persa in chissà quali pensieri.
Indossava un completo, dal taglio maschile, molto elegante. I pantaloni a coste di velluto blu disegnavano perfettamente la linea sinuosa delle sue lunghe gambe, mentre la camicetta di seta bianca non riusciva a nascondere le rotondità del suo generoso seno.
In un’altra epoca, Michiru l’avrebbe vista bene come piratessa o una brigante.
Un’espressione di sicurezza quasi solenne, distaccata, che sembrava voler sfidare il mondo intero.
All’avvicinarsi del cameriere la sconosciuta donna uscì dai suoi pensieri diede la sua ordinazione.
Michiru ne rimase colpita.
Chi poteva essere? Nessuna guida turistica sul tavolo, niente valigetta, nessun segno… solo un libro.
Michiru piegò la testa cercando di leggerne il titolo.
Gli fu servita una grande tazza di cioccolata, ricoperta da una montagnola di panna montata e lei restò a guardarla con discreta attenzione.
Gli uomini d’affari si alzarono con un grande strepito di sedie e si allontanarono in gruppo serrato mentre Michiru mandava un’esclamazione soffocata dopo aver dato un’occhiata all’orologio.
Entro mezz’ora avrebbe dovuto essere al Museo nazionale e lei se ne stava lì a fantasticare sulla bella e misteriosa donna dallo sguardo magnetico... ecco, appunto, una donna!
«Ancora un po’ di tè, signorina?»
«No, la ringrazio.»
Sollevando la pesante borsa, Michiru si alzò e si diresse verso l’uscita.
All’altezza della sconosciuta ne incrociò lo sguardo cupo per una frazione di secondo. Una impercettibile corrente magnetica li unì isolandoli dal resto del mondo. Fu come se tutto si fermasse: i rumori sparirono e tutto divenne sfocato. Michiru non vedeva altro che un bel volto dai tratti cesellati e decisi, delle labbra piene aperte in un sorriso appena accennato.
Le sembrava di esserle tanti vicina da sedersi di fronte a lei, posargli una mano sul braccio e restare così a lungo, persa in quello sguardo profondo.
Le parve di avvertire l’odore del vento.
Fu solo un attimo, il tempo di passarle davanti e già superava la soglia, la testa alta nel suo abituale portamento.
La misteriosa donna la seguì con lo sguardo. Aveva veramente stile, con quei tacchi alti, il tailleur verde mare con la vita sottolineata da una cintura alta di cuoio nero. I capelli le danzavano morbidi sulla schiena e rilucevano dei colori dell’oceano.
La colse una voglia improvvisa di alzarsi e raggiungerla, di affondare le dita in quella morbida chioma e restare così in silenzio, solo per il piacere di sentirsela vicina, con quell’ombra di sorriso agli angoli della bocca.
Non si mosse e continuò a bere la sua cioccolata, distratta. Poi ripiegò il giornale e lo posò sulla tavola… prima di levarsi di scatto e attraversare la sala correndo.
Si sentiva un’idiota.
Attraversò di corsa la hall e si fermò solo sul marciapiede davanti all’albergo, gli occhi socchiusi per il sole.
Rivolse lo sguardo ovunque prima di scorgere il tailleur verde che scompariva in un tram a qualche metro di distanza.
«Aspetti!»
Il suo grido si perse nel rumore della ferraglia del tram che partiva e l’ultima immagine fu quella dell’ondulata capigliatura che la giovane donna fece scivolare sul petto mentre prendeva posto sul sedile. Lei restò là, il braccio alzato in un utile richiamo.
Abbassò il braccio e alzò le spalle: peggio per lei che aveva perso il momento favorevole. Forse era meglio così. Non era il momento di abbordare sconosciute per quanto seducenti fossero.
Rischiava di mandare tutto all’aria.
Haruka Tenou ritornò verso l’albergo a passi lenti, pensierosa.
Una leggera brezza le scompigliava i capelli dorati e i raggi del sole illuminarono gli occhi verdi attirando l’attenzione dei passanti verso quella donna in maniche di camicia che arrotolava un giornale con aria distratta.
Ripensò a quegli occhi grandi e blu e sorrise.
«La sua giacca, signorina!» esclamò il portiere, andandole incontro con aria di disapprovazione.
«Ah sì, grazie.»
Afferrò la sua giacca continuando a guardare nella direzione dove aveva visto sparire il tram.
«Devo chiamarle un taxi?»
«No, non mi serve, grazie. Stavo rientrando. Io… avevo giusto voglia di sgranchirmi un po’ le gambe.»
L’aria di biasimo del portiere si fece ancora più profonda: davvero credeva di non averla vista buttarsi dietro a quella ragazza? Una ragazza, appunto!
Haruka salì lentamente i  gradini e si fermò sotto il baldacchino rosso, le cui  falde venivano mosse dal vento che inspirò a pieni polmoni. Poi si rivolse al portiere:
«Mi dica Toryo, non ci sono molti clienti in albergo in questi giorni, vero?»
«Siamo alla fine della stagione, ormai…»
Tirato in ballo direttamente, Toryo aveva ripreso la sua aria impassibile di sempre e il tono cerimonioso che gli era consueto. Haruka mise una mano in tasca e ne uscì con un fascio di banconote.
«Avrei bisogno di qualche informazione su di un’ospite…»
Toryo si accigliò e con aria seria rispose:
«Ma… signorina! Non posso proprio farlo!»
Un biglietto cambiò di mano, poi un altro. Toryo tirò un lungo respiro e si dipinse sul volto un’aria da vittima, accompagnata da una smorfia rassegnata.
«Non abbia timore Toryo, non mi interessano né gli uomini d’affari, né le vecchie signore con i loro gioielli…» precisò Haruka.
«Sono falsi, comunque, signorina. Quelli veri sono nella cassaforte.»
Sulle labbra di Haruka Tenou si increspò un sorriso sincero e, dando una pacca sulla spalla del giovane portiere disse:
«Molto bene, caro Toryo! Sento che andremo senz’altro d’accordo, noi due… »
E rientrò in albergo accompagnata da un leggero filo di vento che, parve all’uomo, le danzasse intorno una magica e misteriosa sinfonia.
 
 
Note: Wagashi, tradizionale dolce giapponese spesso servito con il tè.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


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Capitolo 2
 

Il tram superò il parco antistante all’hotel Planetarium e si inoltrò sul ponte, dondolando.
Seduta sulla vecchia panca di legno, con la borsa sulle ginocchia come una brava scolara, Michiru guardava con lo stesso incanto della prima volta l’acqua del fiume Shinano (*), di un grigio verde pallido, che lambiva il ponte levatoio della cittadina di Niigata (*’), specchiandosi nei vetri delle macchine che lo attraversavano.
Per un attimo ripensò alla sconosciuta del Planetarium.
Quello sguardo intenso, quella sua improvvisa voglia di ridere…
Scosse le spalle e, aperta la borsa, ne estrasse una cartellina gonfia di carte.
Una brusca ed improvvisa frenata del tram la fece sbattere contro l’uomo che le sedeva vicino.
«Le chiedo scusa…»
Abbozzò un lieve sorriso, inchinando leggermente il capo.
Il suo vicino, un grosso tipo dall’aria amorfa, sollevò solo una palpebra e scosse appena la mano.
Imbarazzata, Michiru tornò a concentrarsi nella lettura ma non c’era niente da fare: l’immagine di quella sconosciuta dallo sguardo cupo e magnetico continuava a tormentarla e, con un sospiro, chiuse la cartelletta e la rimise nella borsa.
Ad ogni modo sapeva tutto a memoria, aveva studiato tutto fin nei minimi dettagli, un ripasso non le sarebbe stato di nessun aiuto. Tanto valeva lasciarsi andare al pensiero della bella sconosciuta e chiuse gli occhi abbandonandosi all’immaginazione.
«Oh, no!»
Con uno scatto Michiru balzò verso la porta, ma troppo tardi. Il tram era ripartito e lei aveva sbagliato fermata.
Scosse il capo optando per una passeggiata: era comunque già in ritardo sull’ora dell’appuntamento.
La bella tenebrosa, intanto, cominciava a diventare una presenza ingombrante. Michiru non era mai stata una donna impulsiva, con dei grandi slanci, tranne che per quel che la colpiva subito, sin dal principio, come lo scatto rubato di un obiettivo fotografico.
Era così solo per i dipinti, per i paesaggi, per la musica.
Fu proprio questo raro impeto incontrollabile che l’aveva fatta buttare a corpo morto in quella strana storia della “Collezione Silver Royal“.
Una storia contorta, le ripeteva la sua collega e cara amica Setsuna Meioh.
«Michiru… Michiru! Delle volte sei davvero sentimentale, sai? Cerca di essere ancor più fredda e distaccata sul lavoro, eviterai di cacciarti nei guai!» le diceva continuamente.
E ne aveva passati di guai e di tutti i generi!
Ma questa collezione di preziosi oggetti e una particolare tela smarriti, ritrovati e poi persi di nuovo, l’appassionava davvero tanto.
Erano ormai due anni che non si occupa d’altro. Archivi, montagne di carte, piste false che finivano in un vicolo cieco… eppure, anche se lentamente, lei andava avanti.
Sentiva che la meta era vicina, o quasi.
Lo sentiva nel suo cuore, nella sua testa.
Sentiva lo sciabordio dolce e delicato delle fresche acque dell’oceano musicarle le orecchie, sentiva il profumo della brezza marina solleticarle il naso.
Non doveva mollare, ne era sicura. Il suo mare le dava sempre i giusti sentori. Era sempre stato così, sin da bambina.
Il tram si arrestò e la giovane donna scese al volo, mentre le porte si aprivano con un rumore di mantice sfiatato. Ritornò indietro, a lunghe falcate, mentre nella mente le ripassavano davanti quei due lunghi anni di ricerca.
Cinque oggetti di inestimabile valore, sequestrati alla mala locale. Tre splendidi manufatti: il “Deep Aqua Mirror”,  la “Space Sword” e il “Garnet Orb”; un preziosissimo quanto sconosciuto cristallo “ Silver Crystal” e uno strano ritratto di donna dedicato ad una certa Queen Serenity.
Un ritratto senza un particolare valore, visto l’anonimato dello sconosciuto pittore, di una donna dalla bellezza sconcertante. Un volto dagli zigomi alti e gli occhi grandi del color del cielo pieni di una struggente melanconia.
I preziosi era stati confiscati ad un collezionista giapponese di nome Diamond Prince.
Con pazienza, Michiru aveva sciolto quel filo d’Arianna ingarbugliato. Aveva passato intere giornate a scartabellare fra cataloghi che le si sbriciolavano fra le dita, giorni a frugare nei sotterranei di oscuri musei in giro per mezza Europa… e, una volta giunta a Parigi, li aveva localizzati.
Dopo di che sparirono di nuovo nel nulla.
Il colpo di qualche agente troppo avido? Probabile…
Una galleria svizzera gli aveva esposti per qualche giorno, un catalogo faceva fede all’evento, ma nessuna notizia di vendita.
La galleria era stata chiusa dopo poco tempo e le tracce si erano volatilizzate nell’aria asettica della Svizzera.
Era da lì che, colta da un’intuizione, Michiru aveva dirottato le sue ricerche in Giappone.
Un famoso collezionista le disse che il semi-sconosciuto pittore aveva origini giapponesi e che la donna raffigurata fosse il più grande amore della sua vita. Ella era stata la madre dell’ultima discendente di un’antica famiglia, della quale nessuno aveva mai sentito parlare: la famiglia reale del Silver Millenium.
Alla fine era diventata quasi una questione personale… e poi la fanciulla del ritratto dedicato a Queen Serenity era così bella, la sua espressione così commovente…
Naturalmente Setsuna l’aveva presa in giro per bene:
«Una botta di romanticismo! Non vorrai mica passare il resto della tua vita a correre dietro questi manufatti, solo perché ti sei infatuata di un ritratto, no? Ci stai costruendo sopra tutto un romanzo e su cosa poi? Una storia di oggetti e tele rubate! Sai bene che sono sparite diverse importantissime opere: Van Gogh, Rembrant… Devo proseguire la lista? Vedrai che non caverai un ragno dal buco, te lo dico io! Pensa piuttosto ad innamorarti! Hai ventisette anni e il tuo è ancora un cuore solitario!»
Michiru sorrise a quella donna nonostante la ramanzina.
Aveva conosciuto Setsuna sette anni prima, all’accademia della musica. Entrambe amavano gli strumenti a corda, Michiru il violino, Setsuna il violoncello. E tra una lezione e un saggio invernale erano diventate amiche, anzi, Setsuna era l’unica persona con la quale aveva legato in quegli anni.
Era sempre troppo misteriosa e diffidente, Michiru, per legarsi senza troppi problemi alle persone.
Con Setsuna fu diverso. La sentì subito.
Quand’era al suo fianco il tempo pareva distorcersi, anzi, neanche sembrava ci fosse una dimensione temporale. Era tutto fermo, immobile. Tutto pendeva dagli occhi scuri e inscrutabili di Setsuna Meioh.
«Guarda che mi ritrovo a pensare…» si disse Michiru, spingendo la massiccia porta della direzione del Museo Nazionale.
«Signorina?»
Michiru si fermò davanti al tavolo dell’usciere.
«Avevo un appuntamento con il signor Koishikawa, il direttore.»
L’impiegato le lanciò un’occhiata sospettosa prima di chiederle il nome e consultare una lista.
Sì, mi sono distratta. Aveva voglia di dirgli.
Ho incontrato una donna splendida e mi sto rendendo conto che, di fianco a lei, tutti gli uomini e tutte le altre donne risultano insignificanti.
Ma era a Niigata in missione ufficiale e doveva mantenere un atteggiamento consono.
«Il signor Koishikawa è impegnato in qualche riunione?» chiese fredda.
«Aspetti…»
Michiru era abituata ai tempi della burocrazia e si girò a guardare la grande anticamera.
Passava gente con le braccia cariche di cartelle e dossier, l’aria indaffarata e sempre di corsa, che, inevitabilmente, le faceva tornare alla memoria i chilometri di corridoi e le centinaia di stanze visitate negli ultimi due anni.
Quegli uffici e la gente che ci lavorava, avevano ovunque lo stesso aspetto triste e polveroso.
«Il signor Koishikawa è assente.» Disse l’usciere, posando la cornetta cromata del telefono.
«Ma non è possibile! Avevo appuntamento con lui alle undici…»
«Il signor Koishikawa non c’è!»
Dopo la perentoria dichiarazione l’impiegato aveva immerso la faccia in un catalogo di nuove aspirapolveri, ignorandola.
«E io cosa faccio adesso?» domandò Michiru, sconcertata.
«Non so cosa dirle, signorina. Ma una cosa è certa: il signor Koishikawa non c’è.»
Di malavoglia l’usciere mise da parte la rivista e gettò un’occhiata su un elenco.
«Ci sarebbe il signor Taiki Kou, vice direttore. Ma se non ha appuntamento deve ritornare domattina, dalle 9 alle 11 e fissarne uno. Potrebbe ottenerlo, ma non prima di una settimana, il signor Kou è sempre molto occupato…»
Posando le mani aperte sulla tavola, Michiru si chinò verso l’uomo con gli occhi blu sfavillanti e un’aria decisamente minacciosa.
«Mi ascolti bene: sono due anni che giro per mezzo mondo e adesso che le mie ricerche mi hanno condotta qui, non me ne andrò senza essere ricevuta da qualcuno. Non sono venuta in questo posto per sentire le sue patetiche formalità. Se questo signor Kou non mi riceve immediatamente farò scoppiare uno scandalo diplomatico!»
Impressionato dall’aspetto deciso della giovane donna e spinto dalla naturale prudenza del burocrate incallito, l’uomo si attaccò al telefono e cominciò a mormorare velocemente.
Poi, dopo averle rivolto un fugace sguardo velenoso, si immerse di nuovo nella lettura del suo catalogo.
Meno di un minuto dopo un uomo ben vestito, di una trentina d’anni, attraversava l’anticamera.
Ricercato ed elegante, capelli castani pettinati all’indietro ed un lungo, ma sottile, codino sulla schiena. Un profumo pungente lo precedeva di qualche metro.
«Signorina Kaioh? Sono davvero desolato, mi creda.» Le disse quando le fu di fronte.
«Deve esserci stato un disguido. Non ha trovato il mio fax al Planetarium?»
«No, non c’era alcun messaggio per me in hotel!» «Sicuramente ci sarà stato qualche problema con la ricezione dei fax…» Poi, tendendo una mano pallida, si presentò:
«Taiki Kou, vice direttore del Museo Nazionale di Nishida. (*’’) Il signor Koishikawa ha avuto un contrattempo e non può essere presente per riceverla. Mi ha dato personalmente l’incarico di assisterla!»
Michiru si lasciò sfuggire un ghigno.
«Secondo l’usciere avrei dovuto attendere una settimana!»
«Cosa vuole farci! La burocrazia, cara signorina Kaioh, è spaventosa ovunque… Mi segua, la prego.»
Lei lo seguì non prima di aver lanciato un’occhiata di trionfo all’impiegato che, assorto nella consultazione del suo catalogo, non se ne accorse nemmeno.
Una serie di corridoi, due ascensori, un altro corridoio con una serie di porte nere e, alla fine una porta di legno che Taiki Kou aprì facendo passare Michiru.
L’uomo fece accomodare la ragazza su una poltrona di pelle bordaux e sedette anche lui dietro l’immensa scrivania tutta intarsi e dorature.
«Le chiedo scusa per il disordine.» Disse il direttore, indicando la pila di cartelle e dossier riposte sulla scrivania.
«Si figuri, non sono qui per criticare l’ordine di questo ufficio. Suppongo lei conosca il motivo della mia visita…»
Senza perdere altro tempo, Michiru, porse all’uomo una cartelletta del ministero di Tokyo.
«È solo un riassunto, naturalmente, ma se le servono dettagli ho con me tutte le copie dei documenti…»
«No, non ne vale la pena, grazie.»
Si era messo a leggere il documento dopo aver accavallato le gambe e aver indossato un’espressione che a Michiru parve un po’ troppo vezzosa.
Fu una lettura veloce e l’ultima pagina fu solo guardata superficialmente. Chiuse la cartelletta e la rese a Michiru con un sospiro.
«Cara signorina, ho l’impressione di aver letto questa storia per la centesima volta!»
«Che vuol dire?»
Con un gesto della mano l’uomo indicò le carte che ingombravano il piano di lavoro e i mobili intorno.
«Vede tutto questo? Ebbene sono centinaia di richieste identiche alla sua. Tutti vogliono entrare in possesso di qualcosa: quadri, statue, gioielli, oggetti rari…»
«Ma io ho una lettera del vostro direttore che… aspetti.»
La donna aprì nervosamente la borsa e incominciò a cercare febbrilmente il documento.
Trovata la lettera, la brandì, come una minaccia, sotto il naso del burocrate.
«Eccola qui. La legga pure…»
Con aria dubbiosa lui la lesse, rendendogliela poi con una smorfia di disappunto.
«Sono davvero spiacente, signorina Kaioh, ma questa lettera non ha alcun valore.»
«In che senso nessun valore
I morbidi capelli ondeggiarono come le irruente onde del mare pronte ad infrangersi sulla scogliera.
«Per prima cosa i termini di questo scritto sono molto vaghi: Sembrerebbe verosimile che tali preziosi si trovino nel nostro territorio, ma si dovrebbe poter controllare gli inventari…»
 «Infatti, è proprio per questo che io sono qui.»
«E poi…» continuò lui imperturbabile.
«Manca un timbro.»
«Come un timbro? Ma se ce ne sono almeno una decina! E lì in basso c’è anche la firma del direttore…»
«È la firma dell’incaricato della pratica, signorina. In ogni modo, perché  la lettera abbia valore, è assolutamente necessario il timbro del ministero. È quello che le manca! Credo proprio che sia venuta a Niigata per niente.»
Michiru arrossì per l’imbarazzo. Come poteva aver scambiato la firma di un impiegato per quella del direttore? E quali assurde scuse erano quelle che stava tirando fuori quel Kou?
«Sia gentile, signor Kou. Mi risparmi almeno questo teatrino.» Disse seccata Michiru, alzandosi.
Rimise le sue carte nella borsa che richiuse con un gesto stizzito, si aggiustò la giacca e si avviò all’uscita accompagnata dal mormorio sconsolato del giovane Taiki che l’accompagnò fino al corridoio.
Kou guardò la donna allontanarsi. Il tailleur azzurro mare spiccava sui muri grigiastri come un’improvvisa onda anomala.
Appena sparita oltre l’angolo, Kou rientrò velocemente nel suo ufficio, prese il telefono e compose un numero.
«La camera quarantacinque, per favore.»
Aveva un sorriso soddisfatto mentre dall’altra parte qualcuno gli rispondeva.
«Buongiorno! Sono Taiki Kou. Devo informarla che ho appena ricevuto la visita di un’affascinante fanciulla che risponde al nome di Michiru Kaioh. Le dice qualcosa?»

 
 
Note:
  • Fiume Shinano è il fiume più lungo in Giappone. Nasce nella prefettura di Nagano e sfocia nel Mare del Giappone a Niigata.
  • Niigata è una città del Giappone, capoluogo della prefettura omonima, situata all’isola di Sado.
  • Museo Nazionale di Nishida, museo sito in Giappone dedicato al filosofo Nishida, considerato uno dei più importanti filosofi giapponesi.
 
Fonte: Wikipedia


NdA: *rullo di tamburi* Tadan! Chi non muore si rivede! Sembra strano anche a me essere tornata dopo mesi di assenza, ma oggi per qualche strana ragione ho continuato a scribacchiare per tutto il giorno e alla fine eccolo qui il secondo capitolo di questa mia insolita (quanto strana) fanfiction... Spero vi piaccia e che sia per voi almeno un tantino interessante. Se ne avete il piacere fatemi sapere che ne pensate, mi fareste cosa molto gradita!
Al prossimo aggiornamento!
Con affetto,
Nanasshì.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


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Capitolo 3
 
Furiosa, sul marciapiede, Michiru ripensava all’incontro, senza risultato, di qualche minuto prima.
Curioso personaggio quel Taiki Kou, olezzante di profumo e con quell’assurdo codino lungo. Era stato incaricato di scoraggiarla, era evidente. Ma perché?
Forse qualcun altro non aveva voglia di privarsi di quei capolavori…
Caro il mio signor Kou, lei è cascato proprio male! Se crede che io me ne torni, buona buona, a Tokyo…
Pensò.
Dopo tutto poteva continuare le sue ricerche anche senza l’appoggio ufficiale di quei damerini!
E se si fosse trovata costretta a violare qualche divieto burocratico a forza di quattrini, tanto peggio:
 una volta aver messo le mani su quella collezione, nessuno le avrebbe impedito di riportarla a Tokyo.
Erano opere d’arte confiscate dalla polizia della metropoli giapponese e appartenevano, di diritto, alla città.
Fu con uno splendido sorriso al portiere del Planetarium che ritornò in albergo, i tacchi che risuonavano come un segnale di battaglia nel grande atrio marmoreo.
Davanti al banco del portiere un gruppo di tedeschi era in grande agitazione. Apparecchi fotografici a tracolla, camicia bianca a maniche corte e cravatta, scarpe da tennis bianche, sembravano una scolaresca in gita e stavano rivoluzionando l’albergo arrivando prima del previsto.
Dovette intervenire il direttore dell’hotel per riportare la situazione alla calma, dopo di che, come bambini mansueti, i turisti si avviarono verso l’ascensore, scattando una foto dietro l’altra e mostrandosi interessati ad ogni particolare della hall..
Michiru lasciò che la piccola bufera si calmasse, poi chiese la chiave della camera ventisei, ritirò la posta, senza trovarvi alcun fax del signor Kou ma solo una lettera di Setsuna, e si diresse verso l’ascensore.
Sautome aprì la porta asciugandosi la fronte con un fazzoletto immacolato.
«Si direbbe che i tedeschi le diano problemi.»  Disse Michiru, sorridendo.
«Un po’.» ammise l’uomo.
«Sono molto gentili e cerimoniosi, ma fanno troppe domande e si agitano continuamente… »
Michiru scoppiò a ridere.
«Saranno solo dei tipi allegri, caro Sautome!»
«Mi domando cosa ci sia di così tanto divertente…» continuò l’uomo che con aria interrogativa.
«La vita, Sautome, la vita!»
Invece di sentirsi scoraggiata dall’atteggiamento di Taiki Kou, una voglia di rivincita solleticava l’animo della giovane donna. Si sentiva stranamente allegra.
Era, forse, quella bella giornata di settembre, chiara ma fresca, con quella limpidezza nell’aria come un annuncio d’autunno?
O l’immagine di due occhi verdi che le ritornava alla mente come un melodioso ritornello?
«Siamo arrivati, signorina.»
Michiru si diresse in fretta verso la sua camera, già rimuginando un piano d’azione.
Alcuni dettagli da verificare, una veloce messa a punto di un piano di controlli sistematici su alcuni luoghi individuati già a Tokyo, un’ulteriore richiesta d’appuntamento con Koishikawa da inoltrare via ambasciata…
Il piano prendeva forma nella sua testa. Giunse all’angolo del corridoio a testa bassa, persa in quel turbine di pensieri, con la borsa stretta al petto.
Nessuno dei due vide arrivare l’altro, stessa fretta e stessa concentrazione e l’urto fu inevitabile e violento.
Michiru dovette aggrapparsi al muro per non cadere e si rivolse verso l’altro, furibonda:
«Ma non può guardare dove mette i piedi?»
E solo allora riconobbe la misteriosa donna di quella mattina.
Gli occhi non avevano più quell’aria magnetica: erano duri e fissi e turbarono la stessa Michiru.
Si chinò per raccogliere la borsa che le era caduta:
«Chiedo scusa…»
Il ritratto.
Era là sulla moquette, in mezzo alle altre carte sparpagliate, uscite da una cartellina della sconosciuta.
Non aveva dubbi: quella era una foto del “Ritratto della Princess “, come chiamava lei il dipinto di Queen Serenity.
Non poteva confondere quel sorriso misterioso, l’amore e la tristezza che emanava da quel volto diafano e delicato.
Lentamente, come ipnotizzata, allungò la mano per prendere la fotografia, ma l’altra donna fu più rapida, l’afferrò e la infilò in mezzo alle altre carte che mise alla rinfusa nella cartellina che stringeva tra le mani.
Si misero dritte in piedi insieme, guardandosi fisso, come due combattenti pronti a scoprire la prossima mossa dell’avversario.
La chioma fluente di Michiru scattò nell’aria, decisa.
«Si interessa anche lei alla “ Collezione Silver Royal»? Domandò d’impeto.
«La… che?» rispose la donna dagli impenetrabili occhi verdi.
«La collezione di Queen Serenity!»
«Mai sentita.» Bofonchiò l’altra.
«Ma… quel ritratto…»
«Mi scusi, ma sono di fretta.»
E già si era allontanata a grandi passi lungo il corridoio. Michiru restò piantata là, la testa confusa da mille pensieri, a sentire i passi che si spegnevano in lontananza.
 
                                                                                                 ***
 
La sala da pranzo, quella sera, traboccava di gente.
I tedeschi occupavano diversi tavoli, mentre le vecchiette erano al loro solito posto, sempre intente nel loro chiacchiericcio.
Haruka Tenou si fermò sulla soglia e abbracciò la stanza con un’occhiata. Il suo sguardo si fermò sulla bellezza dagli ondulati capelli, la cui immagine l’aveva seguita per tutto il giorno. Il tailleur verde mare era stato sostituito da un abito blu notte aderente, che metteva in evidenza la linea sottile e curva sinuosa del seno. Dal colletto rigido di velluto spiccava un collo dalla pelle candida, sormontato da un volto splendente, i lineamenti delicati, la bocca rosea e carnosa che, in quel momento, sfoggiava una smorfia deliziata mentre scorreva la lettura del menu.
Michiru Kaioh.
Elegante e delicata, eppure determinata e coraggiosa, pensò lei.
Il suo sguardo discese lungo il corpo della giovane donna osservando le lunghe gambe perfette, inguainate in calze di seta, che il vestito rivelava fino a metà coscia.
Raffinata, ma con un’indubbia audacia tesa a lanciare una sfida continua al mondo,
Haruka si guardò in giro e, con un gesto discreto, richiamò l’attenzione del  maître che accorse con prontezza.
Chinandosi all’orecchio del capo cameriere, gli sussurrò qualcosa mentre delle banconote passavano da una mano all’altra. Con un gesto impercettibile il maître controllò la mancia, sorrise soddisfatto e si avviò verso il tavolo di Michiru, seguito dall’altra ospite.
«Mi scusi se la disturbo, signorina.»
La giovane donna alzò lo sguardo e vide il maître inchinato davanti al suo tavolo, l’aria cerimoniosa. Dietro di lui, con un leggero sorriso sulle labbra, la donna con cui si era incontrata e scontrata.
Una luce di collera infiammò i suoi occhi e il sorriso di Haruka Tenou si allargò.
«Sì?» chiese lei, impettita.
«Come può constatare» cominciò a mormorare il maître insinuante.
« L’arrivo dei nuovi clienti ci ha messo in difficoltà. La sala da pranzo grande è ancora in ristrutturazione, purtroppo, e questo ci costringe a degli accorgimenti inusuali. Mi auguro che lei non si senta troppo disturbata ad accogliere al suo tavolo questa nostra ospite. È solo per questa sera, le assicuro! Una cosa temporanea. Da domani tutto sarà sotto controllo.»
Con un tono che lasciava intendere esattamente il contrario, Michiru rispose:
«No, non mi disturba affatto!»
L’uomo fece un sorriso un po’ forzato, ringraziò e fece accomodare la nuova commensale senza aggiungere altro. Haruka Tenou, intanto, si mise a guardare ostentatamente la donna che aveva davanti, la quale si era rifugiata dietro al menu con altrettanta ostentazione, mentre il cameriere sistemava il suo coperto.
Di lei vedeva solo le lunghe dita, su cui spiccava uno smeraldo dai lucenti riflessi, serrate sul cuoi nero del menu.
Aspettò, placida, che lei finisse la lettura che l’assorbiva da un tempo decisamente eccessivo.
Il cameriere, infatti, con il blocchetto delle ordinazioni e la penna in mano, aspettava ormai da tempo.
«La signorina ordina?»
Haruka sentì una voce melodiosa scegliere una zuppa di verdura, un’anatra all’arancia…
«E per il dessert deciderò dopo.»
Ad Haruka venne il desiderio improvviso di strapparle di mano quel dannato menu, così, giusto per vedere quale sarebbe stata la sua reazione, ma si trattenne.
Fu il cameriere ad afferrare il menu, che la ragazza lasciò andare controvoglia e a passarlo ad Haruka che lo guardò solo per pochi minuti prima di ordinare.
«Prenderò una zuppa, come la signorina.» Disse al cameriere.
«E poi del manzo con funghi e bambù. Per il dessert, anche io deciderò in seguito.»
Poi si rivolse a Michiru, rimasta senza alcuna barriera.
«Mi chiamo Haruka Tenou e sono davvero desolata di doverla disturbare, ma il mio tavolo è stato occupato dall’invasore tedesco.»
Michiru non raccolse la battuta e rispose freddamente.
«Volendo, avrebbe potuto sedersi con quei signori!»
«Ma non avrei avuto il piacere di fare la sua conoscenza!»
Le unghie smaltate della giovane donna tamburellavano sulla tovaglia di lino.
Nervosa la donzella. O contrariata. O le due cose insieme? Pensava Haruka mentre Michiru si era ostinata a fissare una vetrata buia.
Si chinò verso di lei che lo guardò, alla fine, con aria severa.
Si domandava se era il caso di attaccarla subito. Chiedere, brutalmente, una spiegazione sulla foto del ritratto. Domandarle se sapeva si trattasse di un quadro confiscato.
Decise di usare la diplomazia e respirò a fondo.
Pensierosa aveva girato attorno lo sguardo e la guardava, adesso, di sottecchi.
Era bella, davvero.        
Gli occhi verdi erano più luminosi e profondi di quanto non ricordasse. Un ciuffo biondo sulla fronte richiamava la piega ironica della bocca e contrastava con l’aria insolente, da invincibile guerriera, che emanava la sua figura.
Diamine, Michiru! Ti sembra questo il modo di esprimersi su una perfetta sconosciuta?! Pensò.
«Lei non si fida, vero? Ma si sta sbagliando, signorina Kaioh.»
«Lei conosce il mi nome?»
«È così imperdonabile?»
Gli occhi di Michiru si oscurarono incolleriti.
«È da indiscreti! Lei non ha alcun diritto…»
«…di chiedere chi è quell’affascinante donna vestita di verde che ha illuminato la mia colazione? Chiunque avrebbe fatto la stessa cosa, al mio posto. Salvo un imbecille o un miope!»
Michiru aprì la bocca per rimbeccare quella donna così insolente, ma fu fermata dall’arrivo del cameriere che portava una bottiglia immersa in un secchiello di ghiaccio.
«Un po’ di vino? Si tratta di uno Chambertin, un vino francese rosso, che ho ordinato apposta per farmi perdonare.»
Senza  aspettare risposta versò il vino nei due bicchieri e ne porse una alla donna che la guardava contrariata dicendo:
«A cosa potremmo brindare, Michiru?»
La ragazza esitò un attimo, disorientata da quel sorriso pieno di seduzione, dal suono del suo nome, pronunciato come una carezza.
Era attirata verso quella donna come da una calamita, non poteva resistergli.
Ma era una donna, una bellissima donna, un'affascinante donna. Si ripeteva Michiru.
Gli occhi verdi di quella ragazza sfrontata si erano trasformati in due pozze di velluto e lei si lasciò attrarre dal loro magnetismo.
L’altra Michiru, quella che faceva tutto d’impeto, Michiru la saggia, era stata confinata da qualche parte, ammutolita e imbavagliata. Prese il bicchiere e urtò delicatamente quello della donna, scoppiando in una risata squillante.
«All’autunno che sta per arrivare! Al mare che tanto amo e al vento che ha portato lei in questa serata!»
«Tutto insieme?»
Occhi negli occhi vuotarono i bicchieri e Haruka si affrettò a riempirli di nuovo. Una leggera vertigine si era già impossessata di Michiru.
«Non troppo, grazie!»
Haruka la guardò per un attimo, poi chiese.
«Come mai si trova qui a Niigata, Michiru?»
« In missione. Lavoro per la Sovrintendenza nazionale dei  patrimoni artistici/culturali e sono qui per… un affare importante. Diciamo che… sono venuta qui per valutare la possibilità di organizzare delle mostre… »
Il vino cominciava a dare i suoi effetti e permise a Michiru di inventare una risposta fasulla quanto assurda che lasciò stupita, in primis, se stessa.
«Sto cercando i giusti contatti per poter avviare seriamente il progetto. E lei, invece?»
«Io? Niente di così divertente, purtroppo.»
Ci fu uno scambio serrato di sguardi sospettosi  che Michiru interruppe per insistere:
«Cioè?»
Haruka si spazzolò velocemente una manica per poi rispondere.
«Organizzo dei corsi di formazione negli USA, nel campo commerciale. Sono qui per offrirli alle nuove aziende. Tecniche di marketing, studi di mercato…»
«Ma, allora è americana?»
«Solo a metà, mia madre era giapponese.»
Le portate si susseguivano mentre la conversazione diventava brillante, leggera e scherzosa. Era come una partita di tennis giocata in tutta rilassatezza: si rimandavano la palla senza cercare i colpi difficili e vincenti. Giocavano solo per il piacere d scoprirsi l’un l’altra, il piacere di parlare, dimenticando, pareva, quello che li aveva fatti scontrare.
Giunti al dessert, Michiru non faceva più nessuna fatica a chiamare Haruka per nome.
«Cosa mi consigli, Haruka? Questi dolci sembrano tutti deliziosi, ma proprio non saprei…»
«Anche io sono indecisa… Mmm… vediamo…»
Scorse il menu, di colpo seria. Era sempre più bella, osservò Michiru guardando i folti capelli color oro, le mani energiche e insieme eleganti. Quella cena stava diventando un sogno e Michiru stentava a credere di pensare tutte quelle cose per una donna.
Si accorse di sentirsi stregata, come vinta, disarmata, pronta a tutto…
«Io al suo posto prenderei la Tsukimi dango (*)»
Dal fondo dell’euforia che l’aveva presa, Michiru sperò che la conversazione si fermasse lì. Non si sentiva più molto tranquilla, qualcosa si agitava dentro di lei.
Sentiva il rumore delle onde del mare in tempesta e ciò le accadeva solo quando le cose avrebbero preso una piega poco piacevole.
Era un presagio quello, lo sentiva.
Si raddrizzò, quasi irrigidendosi, allontanò il bicchiere di vino  e ordinò:
«Vada per la Tsukimi dango. E mi porti anche dell’acqua minerale, per favore.»
«La vuole davvero?»
La guardò negli occhi e la diffidenza si riaffacciò prepotentemente.
Fidarsi di lei? Ci mancava solo quello! Le stava raccontando frottole dall’inizio della cena. Quando si organizza corsi di marketing non si va in giro con delle foto di quadri nella borsa! Quadri confiscati e spariti nel nulla poi…
«Da bere con il dolce.» Precisò lei.
Stavano giocando ad armi pari: menzogne contro bugie.
A parte quello, tutto il resto era confuso, vago. Restava inesplicabile anche l’attrazione torbida che sentiva per lei. Haruka Tenou era una sconosciuta, una perfetta estranea…
E sicuramente non era una donna per lei: troppo forte e decisa. E troppo smaniosa…
Il dolce arrivo proprio in tempo.
Haruka aveva ordinato uno strudel alle mele che mangiava mentre guardava, con riprovazione, la bottiglia di acqua minerale.
«Non dovrebbe rovinare quel dolce delizioso con quella cosa lì, Michiru.»
«Come rovinare?»
«Bere dell’acqua! Il vino si intona meglio. E poi le dona un’aria da ragazzina insopportabile e scapestrata. E io… ho un debole per le ragazzine scapestrate!»
«Io invece no!»
Michiru era seria, quasi seccata.
«Peccato. Quando ride per niente, in quel modo… Quando appoggia i gomiti sulla tavola come un ragazzaccio… Mi dica una cosa, Michiru… Mi scusi, ma adoro pronunciare il suo nome…»
D’istinto, Michiru lanciò il tovagliolo sul tavolo, con gli occhi che ardevano dalla rabbia.
«Mi dica esattamente quello che vuole!»
Haruka sentì che il vento era cambiato, l’atmosfera era diversa. Appoggiò la forchetta nel piatto vuoto e si alzò lentamente:
«Esattamente non lo so…»
 
                                                                                                         ***
 
Era andata via così, senza aggiungere neanche una parola, un saluto, una formula di cortesia. In generale la gente rispetta le piccole regole di buona educazione. Haruka Tenou no: evidentemente si riteneva al di sopra di quelle regole meschine.
Michiru era divisa fra l’irritazione e la gioia. Da una parte era felice per quella deliziosa serata, mentre dall’altra la intrigava quella sensazione di averla avuta così vicina ma così irraggiungibile, come l’acqua di un torrente che scorre tra le dita.
Aveva cercato di afferrarla quando aveva smesso la commedia e, per un attimo, le aveva dato l’impressione di tenerla ma, dopo pochi istanti, lei era sparito, preferiva recitare la sua commedia.
Una volta in camera sua, Michiru cominciò a passeggiare nervosamente su e giù. L’elegante vestito aveva lasciato il posto ad una maglietta bianca e ai pantaloni blu di una tuta, i dossier giacevano sparsi alla rinfusa sul tavolo.
Doveva pur esserci una soluzione…
Telefonare a Setsuna Meioh avrebbe potuto esserle d’aiuto. Era una donna pratica, Setsuna.
Conosceva quasi tutti nel mondo dell’arte, aveva contatti e riusciva a recuperare qualsiasi informazione.
E poi, almeno all’inizio, aveva lavorato con lei sulla Collezione Royal Silver e quindi conosceva il problema.
Aveva mollato per proseguire il suo obiettivo, diventare una ricercatrice scientifica, ma continuava a coltivare le sue passioni per l’arte e la musica.
Si sedette sul letto e prese il telefono.
«Ciao Michiru-chan! Come va? Lo sai che mi manchi? Giro per lo studio come un’anima in pena e non so con chi diavolo sfogare i miei problemi…»
La voce allegra dell’amica e quel suo modo di scherzare la rassicurarono.
«La smetti di fare l’esaltata, Setsuna? Ti chaimo da Niigata…»
«E quando torni?»
«Non immediatamente.»
Rapidamente le raccontò il suo starno incontro con quel personaggio che si era rivelato essere Taiki Kou.
«Comunque, ho bisogno di un favore. » Concluse la giovane.
«C’era da aspettarselo… Avanti, cosa vuoi?»
«Delle informazioni su una persona.»
«Un uomo, suppongo…»
Michiru si lasciò sfuggire un sospiro.
«Sbagliato! Si tratta di una donna.»
«Hai dei problemi? Vuoi che ti raggiunga?» chiese prontamente l’amica.
«Sì…no!»
«Dovresti deciderti, Michiru-chan!»
«Sì al problema, no alla proposta di raggiungermi.»
«Ma deve essere sicuramente qualcosa di grosso per averti invogliato a richiedere il mio aiuto. Preferisci ammazzarti di lavoro piuttosto che chiedere l’aiuto di qualcun altro…» rise Setsuna, aggiungendo che negli anni Michiru era rimasta la bella e affascinante guerriera solitaria che aveva conosciuto tempo addietro.
«Ma quale guerriera! Ascolta, Sets! C’è una donna che circola con la foto di uno dei quadri della Collezione Silver Royal.»
Un attimo di silenzio dall’altra parte del filo, poi la voce di Setsuna risuonò grave: «Me ne occuperò. Come si chiama questa donna?»
«Tenou. Haruka Tenou.»
 


Note: Tsukimi dango:  dolce tipicamente autunnale fatto con farina di riso, amido di mais, salsa di soia e fecola di patate e ripassato nelle salse dolci che più si preferiscono.


NdA: Vorrei innanzitutto ringraziare le care lettrici che hanno dedicato del loro tempo a questa "pazza" fanfiction e per avermi dato quel pizzico di entusiasmo in più che mi mancava per procedere nella stesura di questo terzo capitolo. Sono incredibilmente sorpresa di aver attirato la vostra attenzione, ma non posso far altro che esserne felice.
Spero di non aver deluso le vostre aspettative con questo capitolo e che lo abbiate apprezzato un pochetto... :)
Al prossimo aggiornamento,
la vostra Kim NaNà

 

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