it's not the end.

di leedskiss
(/viewuser.php?uid=234731)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** dear heart, why him? ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** nutter. ***
Capitolo 4: *** III ***



Capitolo 1
*** dear heart, why him? ***


.

Dear heart, why him?


A lui, che mi fa rivivere ogni giorno quei ricordi, 
grazie.

 

Caro diario,
Mi ero sbagliata di grosso, pensavo di poter nascondere le mie sofferenze con un sorriso, se pur falso, ma comunque un sorriso.

Pensavo di saper mentire, di poter chinare il capo per non far notare agli altri le mie lacrime, pensavo di poter ricominciare.

E’ tutto così dannatamente sbagliato, non ci capisco più nulla, vorrei soltanto sparire dalla faccia della terra, andare via.
Tanto chi se ne accorgerebbe? NESSUNO.
Bhè questo fino a poco tempo fa, quando lui è entrato nella mia vita, nel mio cuore senza chiedermi il permesso.
Io  non gli avevo chiesto nulla, figurati di amarmi.
E poi una come me? Forse adesso sono più forte e sono io a prendermi cura di lui.
Vuoi sapere la verità? Siamo due casi persi, davvero.
Siamo due anime che si sono trovate, ma che forse non completano perfettamente il puzzle, non siamo perfetti.
Ma forse è proprio questo che ci ha uniti, forse, e dico forse, potremmo essere imperfetti insieme, e ricominciare, con un sorriso, e perché no, ricominciare a vivere, e ad amare.
La tua
Harriett  xx

 

Image and video hosting by TinyPic



Spazio autrice.

Sto scrivendo questa storia di getto, così, non so come andrà
a finire, credetemi, mi sto lasciando trasportare dalla sua musica, 
ecco tutto.
Nel prossimo capitolo si scoprirà come si sono incontrati,
a me sembra banale, bho çç
Lo deciderete voi c:
on twittah: xniallersguitar

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** I ***


I

A lui, che ogni giorno mi fa rivivere quei ricordi,
grazie.

 

Adesso vi starete chiedendo come ho conosciuto la mia salvezza.
Cioè come siamo riusciti a trovarci in una città, in un mondo così
dannatamente grande, per trovarlo, per incontrarci.
Non riesco nemmeno a ricordare, forse perché i ricordi non sono
essenzialmente per me ricordi, sono cose che stanno
succedendo ancora, lui adesso è qui con me, sta dormendo, io
sto scrivendo come un’idiota.
Il tempo non è dei migliori, sapete? Ma che diamine vi importa
del tempo londinese?
**
Ero lì, su una panchina, di notte, alle quattro e trenta del mattino.
Ero da sola, come sempre, mi stavo stropicciando gli occhi
 che stavano pizzicando e bruciando.
Lì, appoggiato vicino a me c’era ancora quel caffè, che intanto
si era fatto piuttosto freddo, direi gelido.
Lo bevvi avidamente, capendo che per me non mi aspettava di certo una
colazione migliore il mattino seguente.
Avevo bisogno di pace, cosa che essenzialmente avevo trovato
uscendo da sola, nel bel mezzo della notte, ci ero riuscita.
Non aspettatevi nulla di che, perché ci siamo incontrate come due
persone normali, solo che eravamo due anime sole, e bisognose
l’una dell’altra.
Mi appisolai sulla panchina verde smeraldo, che poi sarebbe diventata la
nostra panchina, e anche il luogo dove sarei andata quando avrei avuto
bisogno di pensare, e delle volte di allontanarmi da tutti e anche da lui.
«Ehi. » disse.
Stavo dormendo, mi posai la mano sul viso, e poi guardai l’orologio,
erano le sei e trenta del mattino.
«Lasciami dormire straniero. » dissi senza guardarlo in faccia.
«Lo farei con piacere, ma questa è la mia panchina. »
Mi ero imbattuta in un barbone o cosa? Scattai e mi sedetti dritta, e individuai
bene il ragazzo, sulla ventina come me.
«La panchina è del comune, e di sicuro poi io avrei il diritto di precedenza. »
Il ragazzo ridacchiò, uhm, un buon risveglio, ma che c’era da ridere?
«Sai da quanto tempo vengo qui alle sei e trenta del mattino? » mi chiese.
«Che ne posso sapere, non so nemmeno come ti chiami. »
Il ragazzo sorrise di nuovo, e si scompigliò i capelli rossi.
«Bhé è un anno e mezzo, quindi la panchina è mia, ah, e sono Ed. »
Che ci faceva un ragazzo alle sei e trenta del mattino su una normale panchina
verde, in una di quelle stradine di Londra?
«Ah, uhhhm, allora vuol dire che per oggi sarà mia, non è giornata Ed.
Ah, e che ci fai ogni giorno, qui? »
«Per te non è giornata, per me non è la vita giusta, epoca giusta, nulla è giusto, solo questa banale panchina, forse.
E poi non ti conosco, perché dovrei dirti che ci faccio? Fatti miei. »
«Ma se oggi dobbiamo condividere la panchina allora devi dirmelo, non vorrei
che fossi uno di quei pazzi maniaci, comunque sono Harriett. »
Il ragazzo mi guardò strano e poi iniziò a ridere.
«Bhé Herriett, buona notizia, non sono un maniaco, cioè almeno per ora no.
Comunque scrivo, scrivo canzoni, non se possono avere un senso, ma scrivo, perché è l’unica cosa che mi fa andare avanti, mi fa sentire vivo. »
Gli sorrisi, capii che almeno non era un maniaco, e che forse non era come gli
altri ragazzi, idioti e che pensano solo a quello.
«Bene, allora scrivi, io dormo, però non te ne andare, non mi lasciare sola.
Dopo voglio leggere, okay? Se poi diventassi famoso, non vorrei che poi
dicessi qualcosa su di me, sai qualcosa di strano. »
Il rosso sbuffò, prese un pezzetto di carta e una penna, e scarabocchiò qualcosa.
E me lo mostrò, la canzone era chiamata ‘’the strange girl.’’
Gli diedi un colpetto sul braccio, poi mi appoggiai alla sua spalla,
e lentamente mi addormentai di nuovo, non se ne sarebbe andato,
lui no, non se ne sarebbe mai andato, non mi avrebbe mai lasciato sola.
Me lo aveva promesso guardandomi negli occhi, e sorridendomi.
**


 Image and video hosting by TinyPic

 


Spazio autrice.

Lo so, lo so, sono strana, ma chi è che non lo è almeno un po'?
Questo è solo l'inizio, come sapete non so cosa far succedere *spreme le meningi*
comunque mi sento piuttosto idiota lol, cioè si incontrano tramite una panchina? Ma uatta fuck? #lasciatemi in pace.
Fatemi credere che possa essere così, che un amore possa nascere così, in questo modo così banale.
Aspettate ho detto 'amore'? Mhm, ci sarà da divertirsi, o da piangere.
on twittah: xniallersguitar

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** nutter. ***


II

A lui, che ogni giorno mi fa rivivere quei ricordi,
grazie.


Il mio battito era regolare, io stavo sognando, chissà cosa, chissà in che dimensione.
Quando mi svegliai lui era ancora lì, fissava il parco che si vedeva proprio di fronte
 la panchina, poi ad un certo punto iniziò a scarabocchiare qualcosa su quel pezzetto di carta di prima, e poi abbassò gli occhi su di me, guardandomi attentamente, penso fosse divertito dalle mie lentiggini.
Chiusi gli occhi automaticamente, per non far vedere che ero già sveglia, non so, ma volevo ancora godermi qualche attimo, lì, vicino allo scrittore di poesie, vicino a Ed, al rosso, ed essere circondata dal suo braccio ancora un po’.
Sinceramente non sapevo nemmeno il perché, ma la situazione mi trasmetteva tantissima tranquillità, che sarei rimasta lì per sempre.
Poi decisi di uscire allo scoperto.
«come procede la stesura? » chiesi divertita.
Lui vide che mi ero svegliata, lasciò che il suo braccio mi circondasse ancora per pochi secondi e poi lo lasciò cadere sulla base della panchina, quasi imbarazzato.
«Mah, insomma, ho buttato giù qualche rigo, mi sa che ci vorrà un po’ di tempo Harriett, non è come le altre volte, le parole non nascono più come prima, dal nulla. Forse ho il blocco dello scrittore? Bha’. »
Lo fissai, cioè adesso lo guardai meglio per la prima volta: capelli rossi, occhi che mi ipnotizzavano, e un fascino bho, che nasceva dal nulla, forse il fascino del mistero, o del cantante, o forse ero incuriosita da che tipo di testi scrivesse, o da che tipo di ragazzo fosse, tutta apparenza o tutta sostanza, l’avrei scoperto.
«Fa’ leggere, dai. » dissi, cercando invano di rubargli quel pezzetto di carta, che lui, divertito dalla situazione, mi negava.
«Quando sarà finita, Harriett, ma sei testarda eh? »
E iniziò a ridacchiare, di nuovo.
«Ma non fai altro che ridacchiare? Mi dai il nervoso. » dissi forse troppo seria.
«Non sai nulla di me –e a quel punto si allontanò con un movimento impercettibile-  e comunque questa è la prima volta che rido da secoli, se lo vuoi sapere. »
Lo fissai bene, e mi dispiacque che si allontanò così, mi piaceva il suo odore, non sapevo nemmeno quale fosse, forse birra? Forse solitudine?
«Non intendevo offenderti, oh, e così ti faccio ridere? Meglio così. »
«Oh, no, non mi fai ridere, è la situazione che è divertente.
Due ragazzi si incontrano e si battono per il controllo di una misera panchina verde, parlano, non sanno nulla dell’altro, ma sorridono, non si sa perché, non si sa come, ma sorridono, dopo anni di astinenza al sorriso. »
«Bhè delle volte non importa la ragione del tuo sorriso, ma importa che ridi, che tu almeno per un attimo possa allontanare i tuoi problemi, far finta che non esistano, e sorridere, sorridere e basta. »
Seguì a questo mio momento filosofico un silenzio imbarazzante.
«Vogliamo restare su questa panchina per sempre? Dimenticarci di tutto e tutti? » mi chiese Ed.
«Mhh, molto allettante come idea, ma direi che sarebbe un po’ scomodo. Tu che dici di andare a prendere un caffè? Tanto penso che alle sette del mattino nessuno in questa piccola via possa occupare la nostra tanto amata panchina, boh. »
«Per me va bene, al massimo chiediamo di sloggiare, sai il diritto di precedenza influisce, ah aspetta – e così prese un pennarello indelebile nero- scriviamoci i nostri nomi, può darsi che chiederanno la conferma – e così fece per scrivere Ed, poi mi passò il pennarello e io scrissi il mio nome vicinissimo al suo- ben fatto. »
Sbadigliai e mi stropicciai gli occhi, chissà com’ero conciata, vabe’.
Gli sorrisi raggiante, e lasciammo a malincuore la nostra panchina.
«Cosa fai nella vita reale Harriett? »
« Cos’è il giochetto 20 domande ciascuno? Mmmh, bhé vado all’università e scrivo per un giornale locale. E tu Ed? »
Mi guardò divertito e mi disse «Davvero..? Mhn, faccio il cantante. »
«Figo, dai, tanta gente che ti ama, concerti, fama, boh. Cantami qualcosa. »
Inziò a canticchiare una  canzone che già avevo sentito, ed era una sorta di rap e poi c’era un verso più lento, così quando lui mi lasciò il tempo io completai la canzone con un
‘You need me, man, I don’t need you’
«La conosci?» mi chiese aspettando una mia risposta.
«Ultimamente va molto alla radio, è figa, cioè è forte dai, non mi ricordo di chi sia, lo ho sulla punta della lingua. »
Camminammo ancora un po’ e poi mi disse «E’ mia, Ed Sheeran. » forse con un po’ di imbarazzo.
«Ma che figura di merda, oh. »
Ci guardammo e scoppiammo a ridere, finalmente poi trovammo un bar.
Ci sedemmo l’uno di fronte all’altro e ordinammo i due caffè, tutt’altra cosa rispetto a quell’intruglio marrone della scorsa notte.
Mi ero sbagliata, adesso stavo avendo una vera e propria colazione, delle volte cambiano le cose eh?
«Pago io.» disse lui.
«Non ci pensare proprio, non voglio essere in debito con te per l’eternità. » dissi con aria solenne.
«Ma dai, mi devi solo un favore. »
Arrossii violentemente, poi uscimmo.
Adesso era giorno, non sapevamo cosa fare, ognuno di noi aveva i propri impegni.
«Io devo andare.» disse lui abbassando lo sguardo.
«Ah –dissi con aria dispiaciuta- idem, ti devo un caffè, ricordalo. »
Il ragazzo ridacchiò, si voltò e prese la direzione opposta alla mia.
Ci eravamo salutati così, niente di speciale, forse perché entrambi sapevamo che l’indomani saremmo ritornati lì, su quella panchina, aspettando l’arrivo dell’altro, aspettando il tempo di conversare, di ridere un po’, senza impegni, andare al bar e prendere un caffe’ per poi risalutarci così in questo modo così deludente, entrambi lo sapevamo, e forse per questo iniziai a correre verso la sede dell’università sorridendo come non mai.

 Image and video hosting by TinyPic 



 

Spazio autrice.

Ma boh, questo capitolo lo avevo già scritto, lol.
Lo posto solo ora perché lo trovo alquanto ridicolo.
hope u like it, fatemi sapere tramite una recensione, o comunque 
io sono qui, twitter: xniallersguitar

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** III ***



 

III


A lui, che ogni giorno mi fa rivivere quei ricordi,
grazie.


 


Mi sveglia diversa quella mattina, forse perché sapevo cosa mi avrebbe aspettato quella giornata, o forse non lo so.
Ero così strana, e stranamente felice: l’unica cosa che volevo fare era andare in quella maledetta strada e aspettare, aspettare, per poi incontrarlo.
Mi sentivo essenzialmente ed inutilmente speranzosa, speranzosa di poter incominciare bene la giornata, almeno per quel giorno.
Feci rapidamente colazione e presi la borsa, dovevo andare all’università, ma prima sarei passata lì, dove tutto era iniziato.
Presi dal frigo qualcosa, anche qualcosa dalla dispensa, legai i capelli castani, e camminai, iniziai a camminare per quelle strade affollate, certo erano le sette e mezza del mattino, ci credo, Londra è così frenetica, ma la amo, è così misteriosa.
Mi avvolsi nel mio cappotto che forse mi stava troppo stretto, ma portava, anzi portavo con questo ricordi che non si potevano dimenticare, esperienze degli ultimi anni, quindi lo portavo ancora, era un cappotto marrone che mi aveva regalato mio padre.
Raggiunsi ben presto una caffetteria, presi un caffe’ da portare, uno di quelli con tanta schiuma, e poi corsi verso la panchina, quella panchina.
Era il mio posto ormai, lo sapevo.
Avevo paura di svoltare la strada, perché non vederlo mi avrebbe provocato una delusione grandissima, non so nemmeno io il perché, forse perché avevo bisogno di parlare con uno sconosciuto, qualcuno che non conoscesse la mia storia, la mia vita, quella che stavo cercando di cambiare con tutte le mie forze.
Il passo si fece sempre più lento, chiusi per paura gli occhi, poi presi coraggio e aprii leggermente gli occhi, e sul mio viso comparve un sorriso.
Scorsi una felpa, una di quelle enormi colorate felpe che all’improvviso mi fecero sentire al sicuro, pur trovandomi da sola, lì.
Ma per poco da sola, perché mi avvicinai lentamente, avendo paura che lui non mi riconoscesse, o che non mi volesse riconoscere.
«Stai lavorando ancora a quella canzone?» chiesi curiosa così da fargli sentire la mia presenza, lui mi sorrise debolmente e annuì.
«Che ci fai qui?» chiese lui, ma non in modo scortese.
«Bho, forse volevo venire a vedere se fossi ancora vivo, bhe’ lo sei, o forse perché la panchina e anche mia, ricordi?»
Lui si spostò un po’, e poi vidi che la scritta ‘Ed & Harriett’ c’era ancora, cos’era? Avevo forse paura che si fosse cancellata, o cosa?
Lui rise, e annuì.
«Sei di poche parole Ed, oggi eh? Bhe’ ti avverto che sono piuttosto felice, e quindi io ho voglia di parlare, e poi ho poco tempo devo andare all’università. »
«Più che altro mi sto concentrando sul testo, uhm, università eh? »
Il suo atteggiamento era estremamente freddo, così decisi di tagliarla corto e inventare qualche scusa.
«Bhe’ devo andare adesso.» dissi con poca convinzione.
Feci per alzarmi dalla panchina, e all’improvviso l’aria si era fatta gelida e tagliente.
«Cos’è? Hai paura? » disse Ed e poi mi tirò giù, verso la panchina, facendomi di nuovo sedere.
«Sei ubriaco, Ed. » dissi un po’ delusa.
«Come sempre, cosa pensavi? Pensavi che io fossi il tipo alla moda e dolce? Non sono nulla di tutto questo, ti sbagli. »
Rimasi sorpresa, perché mi parlava così?
«Io non pensavo proprio un bel niente, Ed. »
«Hai paura, vero?» mi richiese.
«Non ho paura di te, Ed. Ho paura dell’effetto che ti fa l’alcool e ciò che dici, le tue reazioni, i tuoi movimenti, ma no, non mi fai paura, perché non prendi questo? » gli chiesi porgendogli del caffe’.
«Non, intendevo quello – e prese il caffe’ e lo bevve avidamente- hai paura, hai paura Harriett? Hai paura che tutto possa finire da un momento all’altro? Hai paura di innamorarti? »
«Sì, allora ho paura, Ed, e tanta, ma sai, forse perché tu sei qui con me, forse ho meno paura –dissi abbassando la voce, e quasi sussurrando aggiunsi- ho paura, ma non so cosa sia successo, ti ho incontrato, e all’improvviso so che ogni mattina posso venire qui e trovarti a scrivere su un block notes, non lo so. »
«Anche io ho paura Harriett, sai? –disse e si avvicinò a me timidamente, ma quel suo gesto mi fece rabbrividire- penso, penso di aver bisogno di te. »
Bisogno di me? Lui? Insomma era famoso, aveva tantissime fans e aveva i soldi.
«Non so perché, ma il mio cuore mi dice che noi abbiamo bisogno l’uno dell’altro.»
Poi fui io ad avvicinarmi ancor più, così da poter sentire il battito del suo cuore, che era velocissimo, e lo abbracciai.
Quell’abbraccio fu il nostro primo punto d’incontro, la nostra prima dichiarazione di dipendenza dall’altro da quel momento, quell’abbraccio rappresentava un nuovo inizio, o almeno ci avremmo riprovato
.




 

Spazio autrice.

eh, ma finalmente oh,
si 'dichiarano', lol.
Ed un po' ubriaco ma okay c:
Premetto che non mi piace, ma rispetto agli altri forse, fa meno pena çç.
VOGLIO RINGRAZIARE LE PERSONE CHE HANNO RECENSITO/MESSO FRA PREFERITI/SEGUITE etc.
E un grazie va anche a @curiostyles per il banner.

Fatemi sapere, tramite recensione, o contattatemi su twitter, sono:
xniallersguitar.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1559110