Il mio lieto fine

di afterhour
(/viewuser.php?uid=56789)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Sakura ***
Capitolo 2: *** 2. Sasuke ***
Capitolo 3: *** 3. Sakura e Sasuke ***
Capitolo 4: *** 4. Sasuke ***
Capitolo 5: *** 5. Tutti ***
Capitolo 6: *** 6. Dieci anni dopo ***



Capitolo 1
*** 1. Sakura ***


Et voilà, eccomi qua!

Questo potrebbe essere considerato un eventuale seguito dell'ultimo mio racconto, 'Illusioni', ma non è affatto necessario leggerselo prima, anche perchè il tono delle due storie è completamente diverso.
Infatti nonostante le apparenze questa è una storia allegra e lieve lieve, forse anche troppo lieve (ogni tanto ci vuole), l'ho scritta in fretta e di buon umore, e potrebbe contenere diversi errori (per la fretta, non per il buon umore!).
L'ho divisa in quattro capitoletti, con il punto di vista alternativamente di Sakura e di Sasuke, sono capitoli assai brevi per il mio standard, ma sono così distinti e diversi tra loro che mi pareva la scelta più logica.

Ecco il primo capitolo, il secondo lo faccio uscire giovedì!



IL MIO LIETO FINE


1.
SAKURA


Sakura si appoggiò alla scrivania ed aspettò semplicemente che il malore passasse.
Non era niente di grave, erano solo gli ormoni in subbuglio, faceva troppo caldo lì dentro.

Ignorò la fiacchezza eccessiva che ultimamente la rendeva debole e controllò l’ora: ancora un poco e avrebbe potuto fare una pausa.

 - E’ tutto a posto? – la interruppe Shizune – ti vedo un po’ stanca –

 - Tutto a posto – ribadì ricacciando l’improvvisa nausea – ho solo bisogno di mangiare qualcosa –

Un’ora dopo si era decisa a lasciare l’ospedale e pochi minuti più tardi sorrideva meccanicamente mentre camminava con Hinata lungo le strade di Konoha, circondata dall’atmosfera festosa di un sabato pomeriggio.
L’aveva incontrata subito fuori dall’ospedale ed avevano fatto un po’ di strada insieme, parlando del più e del meno, dei propri progetti.
 
Era già iniziato un nuovo anno.
Ormai erano quasi quattro mesi che la guerra era finita, e con l’inizio del nuovo anno si avvertiva ancor più quel clima febbrile, pieno di speranza e voglia di ricostruire, dimenticare.
Se solo anche lei avesse potuto dimenticare.

 - Guarda, nevica! – esclamò Hinata sorpresa.

Un paio di bambini gridavano eccitati ed indicavano i fiocchi bianchi ai loro genitori.
Già, erano proprio grossi, radi, fiocchi di neve quelli che scendevano lievi dal cielo grigio, un evento del tutto eccezionale lì da loro.

 - Hinata! –

Naruto, il nuovo hokage, era piombato di fronte a loro con quell’aria perennemente affannata che aveva ultimamente – Sakura! Ci sei anche tu! Le mie due donne! Ahi! – si massaggiò la nuca cui lei aveva appena assestato uno scappellotto.

 - Zuccone! Non pensi che a Hinata possa dare fastidio? –

 - Oh no, non preoccuparti… so che ti vuole bene come a una sorella, e mi fa piacere –

 - Ecco, visto! –

Naruto aveva subito ripreso a sorridere beato e si era affiancato tutto felice alla sua ragazza.
Li guardò condiscendente mentre camminavano appaiati, vicini, lui che le accarezzava piano i lunghi capelli scuri prima di stringerle la mano: non riusciva proprio a non toccarla, a Sakura veniva da ridere ogni volta che lo vedeva in azione: lo sguardo adorante, la mano che le scostava una ciocca di capelli, o le sfiorava il collo, o la vita, sempre con delicatezza, quasi avesse timore di farle male.
La trattava come qualcosa di prezioso e fragile che per un qualche miracolo gli era stato donato dalla sorte, Sakura non avrebbe mai pensato di vederlo così innamorato, così felice.
 
Sorridendo rifiutò l’invito ad unirsi a loro e proseguì da sola, salutando qua e là le persone che incontrava per strada, quel sorriso condiscendente ancora stampato in faccia.

Com’erano belli quei due insieme, com’erano teneri…davvero, erano commoventi.
Doveva essere per quello che si sentiva gli occhi colmi di lacrime.
Doveva essere la commozione.

Arrivò davanti a casa che non riusciva più a trattenere il pianto, e sperava solo che non ci fosse nessuno per potersi rinchiudere in camera e sfogarsi in santa pace.

Entrò in fretta, tentando di non fare rumore ed evitando di proposito di guardarsi allo specchio d’ingresso (conosceva quel volto triste, purtroppo), e si precipitò sulle scale.
Si chiuse in camera e si buttò sul letto.

Per quanto poteva ancora fingere, non lo sapeva.
Per quanto poteva ancora nascondersi, un mese, due se si camuffava e raccontava un sacco di bugie, non di più.
E poi…
E poi…
Il futuro si stendeva davanti a lei angoscioso, pauroso, e si ritrovava ad aspettarlo inerme, piena d’ansie, e con un po’ di vergogna che rigettava, arrabbiata con se stessa, ma quella al di sotto rimaneva e scavava…scavava.

Perché lei?
Perché era stata così avventata?
Perché Sasuke non era tornato a casa dopo la guerra anche se li aveva aiutati?
Perché...perché si era innamorata di lui?
Perché era così dannatamente sfortunata?

E perché, perché non poteva avere anche lei il suo lieto fine?
Perché lei no?

Come…come stava lui, stava bene, era vivo?

Ho paura, pensò, paura come non pensavo di potere avere, non dopo la guerra, non dopo tutto quello che ho passato…eppure sono terrorizzata, sono troppo giovane per questo, non posso affrontare tutto questo da sola, non ce la faccio, non ce la faccio.

Si soffiò il naso e si raggomitolò sul letto, sentendosi sola, così sola.

 - Sakura! –

Sollevò la testa di scatto, indecisa se rispondere o ignorare semplicemente la nonna. Era da prima di Natale che viveva con loro (con gran fastidio di sua madre che non sopportava la suocera), da quando era stata male, doveva essere accudita e si rifiutava di andare in ospedale.
Ormai stava meglio e minacciava di andarsene un giorno sì e un giorno no, ma suo padre l’aveva pregata di rimanere fino alla fine del mese, preoccupato per lei, e benché Sakura le volesse tanto bene non aveva proprio voglia di vederla, non ora, non aveva voglia di vedere nessuno.

 - Sakura? –

Sospirò.

 - Sono di sopra, nonna –

 - Scendi! –

Si sollevò a fatica ed andò in bagno a sciacquarsi la faccia con l’acqua gelida, la nonna non ci vedeva bene solo quando voleva lei, quando le interessava ci vedeva benissimo.
Si guardò allo specchio tentando di concentrarsi sugli occhi rossi, non sulla loro espressione, mai sulla loro espressione, e poi si allentò un poco i pantaloni, avrebbe dovuto comprarne presto di nuovi, cominciava a non entrarci più.
Rabbrividì.

Come poteva occuparsi di un bambino, di un altro essere umano, come poteva affrontare una cosa così grande?
E se non ne era capace? Se scopriva di essere una pessima madre?

Scese i gradini asciugandosi le ultime lacrime, ora basta piangere, avrebbe pianto più avanti, o magari non avrebbe pianto affatto, era meglio così. Non poteva cambiare le cose e in qualche modo avrebbe fatto, in qualche modo avrebbero fatto, lei e…e…il suo bambino.

La nonna dormiva nella stanza adibita a studio dato che faticava a salire le scale, e Sakura la trovò lì, intenta a chiudere l’enorme valigia, pesante da sola mezzo quintale, che aveva portato con sé.
Indossava anche il ridicolo cappellino con le piume che metteva spesso (perché le piaceva tanto e da giovane non osava portarlo, così ora si sfogava) e il suo grosso gatto annusava soddisfatto la valigia, quasi sapesse che presto sarebbe tornato a casa.

 - Nonna! Hai fatto di nuovo la valigia! Sai che ti fa male la schiena chinarti! –

 - Questa volta tua madre ha esagerato, ha detto che sono impicciona –

Be’, era vero, la nonna era una grande impicciona, ma Sakura non batté ciglio.
 - La mamma è stanca, lo sai, e tu non fai niente per andarle incontro –

 - Sono troppo vecchia per fare salamelecchi o per raccontare piccole bugie –

 - Lo so, lo so – sospirò ancora lei – dà qua, ti aiuto a disfare la valigia – era la seconda volta in quegli ultimi giorni che ripetevano quel rituale.

 - No Sakura – le mise una mano tremante sulla sua appoggiata alla valigia – ho proprio bisogno di tornare a casa…lì ho tutti i miei ricordi –

 - Ma ti muovi ancora a fatica e… -

 - Mi arrangerò –

Lei ritirò la mano, rassegnata – Però ti aiuto a portare il bagaglio, pesa un quintale –

 - Non sono ancora così malandata e tu sei stanca, sei sempre stanca ultimamente – brontolò l’altra – quell’hokage ti fa lavorare troppo, glielo dirò quando lo vedo –

 - Ma no nonna –

 - Guardami un momento – le intimò l’altra, e lei fu costretta ad alzare la testa e guardarla – hai pianto? –

 - No nonna, è che fuori fa freddo e… -

 - Non raccontare frottole a tua nonna…hai pianto ancora per quel giovanotto –

 Lei abbassò lo sguardo, perché ne aveva troppi di segreti e in quel momento non aveva voglia di mentire neppure lei, benché non fosse così vecchia, o forse non era questione di età, era solo questione di stanchezza.

- Non dirlo alla mamma – mormorò.

Sua madre non ammetteva che lei sprecasse ancora un solo pensiero per chi non lo meritava, e non era il caso di litigare, in fondo non era che la mamma non avesse ragione, era che lei…
Che lei…

Non voleva pensarci, voleva solo mettere la testa sotto la sabbia ancora per poco e non pensarci.

- A tua madre non dico proprio un bel niente, ma tu sorridi Sakura – le fece la nonna con quel tono più dolce che riservava solo a lei – se avessi la tua età andrei in giro a divertirmi a far girare la testa ai giovanotti, altro che bagnare di lacrime una vecchia fotografia...esci e trovati un innamorato prima che i migliori se li accaparrino tutti le altre! –

  - Sì nonna… –

Sakura sorrise di quel sorriso amaro e finto che le pareva più suo di tutti gli altri che si costringeva ad indossare, come maschere, con troppa gente ormai.

 - Mi ricordo che io alla tua età avevo quel bel… -

 In quel momento qualcuno aveva bussato frettolosamente alla porta, era un AMBU mandato dall’hokage che richiedeva la presenza immediata di Sakura.

 - Aspettami qui – intimò alla nonna prima di andarsene – appena torno ti aiuto a portare la valigia, ok? –

Non se n’era andata fino a quando l’altra non le aveva risposto di sì.

_____________________
_____________________________________________________________________________________




Ho dimenticato di farvi gli auguri, Buon anno!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. Sasuke ***


Ecco il secondo capitolo, mi sono divertita molto a scriverlo, spero sia divertente anche leggerlo, almeno un po'.
Il prossimo dovrebbe essere per lunedì.



2.
SASUKE


I bambini che correvano festanti per le strade indicavano eccitati alcuni sporadici fiocchi di neve volteggianti nel cielo, un’occorrenza rara da quelle parti.
Sasuke camminava lentamente per le vie di Konoha, il cappuccio del mantello che gli nascondeva il volto, l’abilità acquisita in tanti anni di latitanza che celava la sua presenza agli abitanti della città.
Era stato facile eludere la sorveglianza ed entrare nel suo vecchio villaggio (lui era in grado di maneggiare le illusioni come nessun altro, nessuno che fosse ancora in vita almeno), ma non sapeva bene cosa ci facesse lì, non aveva uno scopo preciso, un perché.
Era da un po’ che non aveva più uno scopo, una meta.
Dopo la guerra aveva vagato e vagato ininterrottamente, senza fermarsi in nessun luogo per quanto lo attirasse se non per pochi giorni, o al massimo, una volta, per una settimana; aveva raggiunto i territori più lontani che era riuscito ad immaginare, ed aveva visitato regioni e città che non aveva mai sentito nominare, a volte piene di vita, colori ed allegria, a volte desolatamente impervie e disabitate, a loro modo magnifiche.
Non aveva mai pensato di tornare a casa (...no, non a casa, a Konoha, semplicemente Konoha), ma si era ritrovato a passare non distante da lì, e senza sviscerare bene il perché di quell’impulso, aveva deciso di dare un’occhiata a quel posto che una volta chiamava casa.
 In fondo era l’unico luogo che aveva considerato tale, un tempo, e mentre camminava si rendeva conto di cercare qualcuno, un volto tra la folla.
Qualcuno che in qualche modo associava alla parola casa.
Qualcuno che lo aspettava.

Lo aspettavano ancora?
Lo aspettava ancora?

L’ultima volte che l’aveva vista gli aveva ripetuto che lo amava, e gli aveva dato tutta se stessa, ma c’era la guerra, c’era la paura di non avere un domani, la voglia di cogliere l’attimo senza pensare alle conseguenze, mentre ora…
Cacciò quel pensiero futile.
Non voleva adagiarsi su nuove illusioni, non voleva aspettarsi niente, da nessuno, e non aveva bisogno di niente, di nessuno.

Ma forse era per ritrovare un’ombra di quello che era stata Konoha per lui, che aveva cercato il vecchio distretto degli Uchiha: per risentire un’ eco di quel calore, di quel senso di appartenenza che lo aveva fatto sentire meno solo, anche se si trattava di una falsa sicurezza.

Aveva scoperto che non ce n’era rimasta traccia.
Probabilmente il quartiere era andato distrutto durante l’invasione di Pain, ed ora al suo posto sorgevano già altre case, abitate da altre persone: un nuovo luogo che non aveva alcun legame con il passato.
Quel terreno avrebbe dovuto essere suo di diritto, come tutto ciò che era appartenuto agli Uchiha, ma non aveva più diritti a Konoha, se mai li aveva avuti.
E poi non era il fatto in sé che lo aveva disorientato, o deluso, in fondo non si aspettava di riavere indietro niente, era l’assordante segnale che quel fatto emetteva a colpirlo: abbiamo cancellato gli Uchiha, finalmente, come volevamo, ed ora di loro non esiste più niente, neppure il ricordo.
Ecco. Mentre camminava per quelle vie, circondato da quelle persone tranquille, da quelle famiglie allegre, spensierate, pensava che quell’innocenza, quella spensieratezza, era una facciata che nascondeva i morti, il sangue, il marciume, eppure a tutti andava bene così, perché se il marciume non si mostrava, se non veniva riconosciuto, allora non esisteva.
Ed era proprio questo il punto, se non esisteva, se gli Uchiha non esistevano più, lui cos’era?
 Chi era?

Si guardò intorno pensando che queste persone cui non importava niente degli Uchiha, cui non importava niente del fato che li aveva avvolti, dell’oblio che pareva averli ingoiati, questi individui che godevano del privilegio di essere ancora lì, insieme, felici, erano Konoha, un villaggio che si arrogava il diritto di essere considerato più giusto, più grande degli altri, un insieme di tutti coloro che col loro silenzio, col loro ostracismo, con la prepotenza, l’inganno, con la presunzione di essere i giusti, i ‘buoni’, e di avere per questo diritto di vita e di morte, avevano fatto sterminare un intero clan ad un ragazzo, ed ora ridevano senza preoccupazioni, senza problemi.
Senza neppure ricordare.
Era stanco, così stanco di odio, di vendetta, ma… adesso, ancora adesso, quelle morti chiedevano un segno, uno straccio di riconoscimento, qualcosa, qualsiasi cosa che somigliasse alla giustizia, e alla verità, perché così sepolta, negata, quest’ingiustizia rimaneva sospesa.
Un peso atroce nel suo cuore.

Cosa avrebbe dovuto fare?
Avrebbe dovuto chinare il capo, accettare tutto questo, fregarsene e implicitamente dire sì, avete fatto bene, meritavamo tutto, meritiamo tutto ed ero io l’esiliato, il pazzo, l’assassino… un Uchiha di nome e di fatto che merita di finire schiacciato come un moscerino, massacrato come un cane rabbioso, perché noi non abbiamo diritti, dobbiamo solo chinare il capo e crepare?

In fondo era ciò che Konoha e i suoi abitanti avrebbero voluto, e l’ipocrisia e la crudeltà di tutto questo non sfiorava nemmeno i loro pensieri.

Non sapeva cos’avesse cercato, di cosa si fosse illuso: non c’era niente lì, per lui, non rimaneva più niente.

Si fermò per scansare un paio di ragazzini che si rincorrevano eccitati e si chiese cosa accidenti era venuto veramente a fare a Konoha.
Faceva meglio ad andarsene al più presto, era già troppo tempo che vagava lì dentro, ed ogni secondo in più era pericoloso.

Seguì con lo sguardo i mocciosi che scappavano dopo avere spinto a lato un’anziana donna che aveva stretto a sé la borsa, e li aveva minacciati con il bastone da passeggio.

 - Giovanotto! – lo chiamò poi puntandogli contro il bastone.

Non era molto alta, ossuta, vestita modestamente a parte uno strano cappellino rosa, di piume, appoggiato ai capelli candidi tagliati a caschetto, e lo guardava arcigna.

Involontariamente si accorse di essersi messo in difesa, tutti i sensi all’erta, e la guardò infastidito sotto l’ombra del cappuccio.

 – Dico a te, non t’illudere! – lo apostrofò burbera - Dammi una mano con questa valigia tu che sei giovane e forte! – gli intimò bacchettando un’enorme valigia che poggiava a terra, di fianco a lei.

Un campanello di allarme gli suonava da qualche parte e ormai da tempo aveva imparato a fidarsi del suo istinto.
Si guardò intorno con l’intenzione di andarsene senza neppure rispondere, non era nato per prendere ordini, lui, ma la gente attorno a loro si affrettava senza nemmeno badargli o degnare di uno sguardo la donna ferma in mezzo alla strada, la valigia sembrava davvero pesante e quella vecchia appariva davvero fragile, anche se le apparenze spesso ingannavano.

Benché avesse imparato a diffidare di tutto e di tutti, non vedeva quale minaccia o trappola potesse rappresentare una vecchia per lui, e comunque, se davvero si fosse trattato di una inganno, ormai era già coinvolto e tanto valeva reggere il gioco, se ne sarebbe tirato fuori in qualche modo; non era presunzione la sua, era un dato di fatto: il mondo era pieno di persone deboli e stupide, ed in pochi potevano impensierirlo, anche se si dava il caso che uno di questi fosse il nuovo hokage di questo cesso di villaggio.

Si avvicinò e sollevò l’enorme valigia, che pesava davvero molto (cosa c’era dentro? armi?) il volto sempre nascosto dal cappuccio.

 - Bravo ragazzo - gracchiò la vecchia – piace constatare che esiste ancora qualcuno di ben educato e di buon cuore in questo posto –

Non hai la più pallida idea di quello che stai dicendo, e sicuramente non hai la più pallida idea di chi sia la persona con cui hai a che fare, pensò lui, un sorriso amaro che suo malgrado gli incurvava le labbra.

La seguì fino a casa, ascoltando distrattamente le sue farneticazioni (parlava quasi ininterrottamente), e non vedeva l’ora di mollare la vecchia e la valigia, che ora sapeva contenere tutti i suoi vestiti ed un certo numero di ricordi (sapeva anche che quello zuccone di suo figlio parlava troppo e non combinava niente, che la nuora era insensibile e incapace, mentre la carissima nipotina – l’unica persona degna dell’intera famiglia – per colpa del nuovo hokage era troppo impegnata e non poteva dedicarle troppo tempo… ah, e che la borsa che la donna sbatacchiava di qua e di là in realtà era un trasportino che conteneva un grosso gatto, il quale pareva miracolosamente dormire).

La sensazione di allarme era come attutita adesso, ma non del tutto scomparsa, e non vedeva l’ora di andarsene via di lì.
La vecchia abitava in una bassa casetta singola con un microscopico giardino davanti, e dopo aver appoggiato il trasportino e avere armeggiato per un’eternità prima nella borsetta che aveva a tracolla, poi nelle innumerevoli tasche che nascondeva qua e là, aveva finalmente aperto la porta e lo aveva fatto entrare. Non contenta gli aveva intimato di mollare il bagaglio accanto al tavolo, e mentre se ne stava spaparanzata in poltrona (per riposare le sue stanche membra diceva), gli aveva ordinato di aprire il trasportino. Infine, non ancora soddisfatta, gli aveva comunicato che dato che lei era stanca e non ci vedeva bene, doveva aiutarla a svuotare l’enorme valigia.

 - Sistemi le cose in cima al tavolo, dopo le porto io di là, ma almeno non devo piegare questa vecchia schiena –

Col cavolo, pensò subito… ancora un minuto, si disse irritato dopo aver lanciato un’occhiata alla donna che ora sembrava mezza addormentata: gli ricordava una sua anziana zia (brontolava uguale), che era morta come tutti quella notte. Rammentava che suo fratello ogni tanto sbrigava qualche commissione per lei, ‘è una buona donna’ gli aveva detto una volta.

Forse perché gli ricordava quella vecchia zia, forse perché gli aveva risvegliato quel ricordo di Itachi, o solo per poter indugiare ancora un poco in quel frammento di normalità, così raro, ormai, per lui, aprì l’enorme valigia ed iniziò a tirare fuori le cose per sistemarle in cima al tavolo come gli spiegava quella tiranna, deciso a filarsela il prima possibile.
Nel frattempo si era tolto il mantello, tanto dubitava che quella potesse riconoscerlo, e poi non ci vedeva neppure tanto bene.

   Piazzò tutti gli oggetti ‘che non erano dei vestiti’ in un angolo, come gli aveva detto lei, ed iniziò a seguire le istruzioni sempre più seccato e all’erta…dove cavolo stava perdendo tempo, con il rischio di venire scoperto da un momento all’altro!
Nel frattempo il gatto, davvero ciccione, era sceso dal grembo della vecchia e stiracchiandosi aveva iniziato a studiarlo, per nulla intimidito.

La vecchia se ne stava sempre seduta in poltrona ed ora lo squadrava attentamente mentre gli indicava cosa fare, sempre con quel c… di bastone.

 - Dovresti tagliarti i capelli, ti vanno sugli occhi, come fai a vederci bene? Però sei proprio un bel giovanotto – borbottava nel frattempo – dovrei presentarti mia nipote –

Gli ci mancava.
Nel frattempo la sensazione di allarme era come un continuo pizzicore sulla nuca, e sapeva di dover andare, presto, subito.

 - Quanti anni hai? –

 - Diciassette…e mezzo.. – rispose distrattamente.

 - E mezzo! – ridacchiò lei - Sei proprio un mocciosetto… anche mia nipote ha la tua età, è una bella ragazza sai, ma è ancora zitella…hai la ragazza? –

Silenzio.

 - Allora? –

 - Allora? –

 - No – fu costretto a rispondere dopo un po’, innervosito, i sensi sempre più all’erta.
 
Sistemò un altro paio di maglie tra quelle scure (la vecchia voleva che tutto venisse allineato per colore) mentre tentava di concentrarsi per riuscire a recepire un’ eventuale minaccia.

 - Scommetto che hai un bel po’ di ragazze in giro, eh?! Ma prima o poi ti stancherai anche tu e vorrai sistemarti…vorrei presentarti la mia nipotina, è un fiore, davvero, e intelligentissima, ha chiesto libri di medicina per Natale…così coscienziosa! Però è sola, pensa ancora a quello là…ha ancora quella vecchia foto, e ogni tanto si intristisce…eh…non è stata mai più spensierata da allora… – la sensazione di pericolo era ora un ronzio incessante, pressante…se solo fosse riuscito a concentrarsi, ma quella continuava a parlare e per qualche motivo non riusciva a non ascoltare.
Iniziò a sudare.
Sentiva che doveva andarsene.
Il gatto gli saltò in braccio mentre se ne stava chinato per frugare ancora nella valigia e gli fece fare un salto.
Gli ci volle tutto il suo sangue freddo per non attivare lo sharingan.
Doveva andarsene di lì.
Ora.

 - Anche a Miao piaci! – che nome del… - E’ un segno, non gli piacciono gli estranei! E sicuramente fareste dei bambini molto belli…con quei begli occhioni neri lì…eh…mi ricordi proprio la gente di quel clan, gli Uchiha… - Sasuke si era sollevato di scatto, irrigidito, un’assurda ondata di panico che lo paralizzava – c’era quel bel ragazzo, ma così bello…io lo vedevo passare ogni giorno dalla finestra, e gli sorridevo, e lui a volte mi guardava…ero bellina eh!? da giovane… ma lui era di quel clan importante ed io non ero niente…però ancora lo ricordo… che brutta fine hanno fatto! Ho pianto per giorni anche se erano anni che non lo vedevo più ed ero già vedova da un po’…e ho sempre pensato che ci fosse qualcosa sotto, perché la versione ufficiale non era granché…un ragazzino che impazzisce e riesce a sterminare tutti da solo…e chi era mai? E poi c’era quel Danzo che a me non l’ha mai raccontata giusta, che ometto antipatico che era… a tanta gente non piacevano, te lo dico io, per invidia, e paura perché erano così forti…-

 - Devo andare – interruppe quel soliloquio sciogliendosi finalmente da quell’incantesimo.

 - No…aspetta…ti faccio una cioccolata calda! –

 - No grazie, non mi piace – rispose brusco afferrando il mantello.

 - Non si dice non mi piace, si dice non ho fame! E poi è impossibile che non ti piaccia – blaterò quella tentando a fatica di alzarsi.

 - Non ho tempo, devo andare – chiuse il discorso infilandosi il mantello mentre si dirigeva alla porta.

 - Almeno finisci di svuotare la valigia, la mia povera vecchia schiena non si piega più come una volta! -

In fretta tornò indietro, prese quello che era rimasto in quel c… di valigia, sempre più nervoso, e lo gettò in malo modo in cima alle altre cose prima di ritornare all’uscio.

 - Passa uno dei prossimi giorni e ti preparo una buona cioccolata, compro anche la panna… e non nascondere quel bel musetto sotto al cappuccio, o come fanno a vederti le ragazze! –
 - A presto, mi raccomando! – si accomiatò ancora mentre lui apriva quel c…di porta, ormai esasperato.

 - Beccato! – lo accolse Naruto che lo aspettava lì fuori a braccia conserte, un ghigno gigantesco, e lo stupido cappello da hokage di sghimbescio sulla testa.
Merda, lo sapeva.

 - Non puoi fermarmi – gli sibilò.

 - Oh, posso sì! -

Sasuke fece un solo passo indietro, sulle difensive, tentando di capire cosa gli conveniva fare: come un animale in trappola calcolò che l’hokage non avrebbe permesso che qualcuno si facesse male, forse poteva sfruttare quella debolezza.

In quel momento la vecchia gli si era parata di fronte ed aveva picchiato in testa Naruto con il suo bastone.
Lo diceva che era un’arma.

 - Non minacciare il mio ospite! – lo redarguì.

 - Ma nonnina, sono l’hokage! – si era messo a piagnucolare l’altro massaggiandosi il bernoccolo.

 - Me ne infischio! Kizachi! – aveva esclamato poi alla volta di un tizio con i capelli…rosa? che stava sopraggiungendo – fa qualcosa, lo vogliono arrestare! –

 - Chi? Cosa? –

 - Non voglio arrestarlo! –

 - Non raccontare frottole a me, giovanotto! –

 - Mamma, metti giù il bastone! – si intromise l’uomo.

 - Che c’è? – si era aggiunta un’altra voce femminile.

E lui avrebbe dovuto approfittare di tutto il trambusto e svanire, ma il suono di quella voce lo aveva bloccato lì sulla soglia, ed era stupido, non aveva senso sprecare quei secondi preziosi solo per vedere se lei…

 - Sakura, la nonna nascondeva in casa un crimi… -

 - Sasuke! –

Sakura lo aveva guardato un momento stupefatta prima di farsi largo a spintoni e buttarsi al suo collo, cogliendolo di sorpresa e facendolo cadere ignominiosamente a terra con lei sopra.

 - Sei tu! – esclamava in lacrime stringendolo e baciandolo un po’ dove le capitava – Naruto ti ha sentito un attimo oggi ma poi sei svanito! Era dalla fine della guerra che non ti sentiva, pensavo…temevo che…Sasuke…ti abbiamo cercato tanto…avevo tanta paura  – e poi gli aveva afferrato il volto per baciargli ancora il naso, e le guance, in lacrime – ma sei tu! Sei vivo!– e per finire gli aveva baciato le labbra, con violenza.

 - Sakura! – li aveva riscossi la vecchia – non si fanno queste cose in pubblico! –

Lui aveva sentito una puntura al collo e aveva perso conoscenza.

________________________



Solo un appunto: non so bene quale sia la loro età, ora, nel manga, avrei voluto scrivere diciotto ma ho messo diciassette, e potrebbe essere sedici...vabbè...dettagli.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. Sakura e Sasuke ***


Eccomi qua con la terza parte.
C'è il confronto tra Sasuke e Sakura, per cui non è molto comico, come potete immaginare.
Buona lettura!



3.
SAKURA E SASUKE

Sasuke era qui.
Quando Naruto l’aveva chiamata per dirle che lo aveva ‘sentito’, non ci aveva neppure creduto.
E invece era qui, vivo.

Sasuke.

Le pareva ancora impossibile e continuava a guardarlo, e guardarlo, aveva continuato a guardarlo per tutta la notte, mentre lui dormiva, e spesso lo aveva toccato, accarezzato, per assicurarsi che fosse vero, che non fosse un sogno.
Sasuke era lì e forse…forse non era più sola, forse non doveva affrontare quella cosa da sola.

Ma questa era solo un’illusione, la verità era che l’effetto del narcotico che gli aveva iniettato era svanito un paio d’ore più tardi, e subito dopo avevano dovuto sedarlo di nuovo, non c’era stato altro modo, ed era solo per questo che lui aveva dormito per buona parte della notte nella stanzetta in più che la nonna usava una volta per lei ( quando ancora andava a trovarla spesso), e solo per questo ora era lì, seduto accanto a lei, privo del proprio chakra e… prigioniero.

Avevano dovuto legarlo, era l’unico sistema, l’unico modo per trattenerlo abbastanza per potergli parlare, ma la felicità di averlo accanto a sé sano e salvo, di poter rivedere ancora una volta i suoi occhi neri, era totalmente sopraffatta dall’angoscia di vederlo così, incatenato alla sedia, invisibili stringhe di chakra che gli impedivano di muoversi se non con lentezza e fatica, lui che guardava di fronte a sé come un leone in gabbia, abbattuto, infelice, disperato.

Era dalla fine della guerra che lei e Naruto studiavano il da farsi, che a fatica, con impegno, si dedicavano a Sasuke, al suo futuro, con l’intento di riabilitare lui e il suo nome perché non ci fosse niente che gli impedisse di tornare, e credevano ingenuamente di avere sistemato tutto, di avere previsto e pianificato ogni cosa, e invece…
Non era così che aveva sperato di ritrovarlo, di rivederlo…di spiegargli.

Tuttavia era restata lì, a casa della nonna, per tutto il tempo, decisa a rimanergli accanto ad ogni costo. Si era allontanata da lui solo per rispondere ai suoi che erano passati a mo’ di gendarmi a controllare, come se avesse senso provare a controllare una figlia che faceva la ninja di professione, che aveva combattuto in una guerra.
Aveva risposto frettolosa alle domande ridicole di sua madre.

 - Sì, è Sasuke –

 - E’ tornato per restare? –

 - No…non so… -

 - Tuo padre mi ha raccontato che lo hai baciato…ricordati di tutto quello che ha fatto, non conti niente per lui, tienilo a mente…non ricominciare…-

  - Non ricomincio –

Aveva risposto meccanicamente, senza neppure ascoltare, e quando finalmente se ne erano andati era tornata da lui, per tentare di fargli mangiare qualcosa, invano: non mangiava, non beveva…non parlava.

 - Non è tenendolo prigioniero che si conquista un uomo – aveva commentato la nonna.

Non sapeva cosa si fosse aspettata mentre lo guardava dormire, mentre sperava, purtroppo, e mentre stava lì a chiedersi se doveva dirglielo, se doveva dirgli ‘quella cosa’.

Aspettava un figlio da lui, avrebbe avuto bisogno di lui, aveva davvero bisogno di lui ora, e come una stupida aveva pensato che dopo quell’ultimo incontro ci fosse un legame, tra loro.
Stupida.
Non si era mai resa così conto di essere sola, di essere destinata a rimanere sempre sola.

Appoggiò il bicchiere pieno d’acqua che gli aveva inutilmente offerto per l’ennesima volta e lo guardò.
Naruto li avrebbe raggiunti quanto prima, non appena si fosse liberato di alcuni impegni, e dopo…dopo avrebbero trovato il modo per farlo ragionare, o almeno era ciò che sosteneva lui, ma ci avevano provato a lungo quella mattina e ormai lei non era più sicura che ci fosse un modo, no, non credeva che ci fosse un modo.

Sasuke voleva andarsene, svanire di nuovo, e se c’era una cosa che Sakura aveva imparato bene era che non gli si poteva impedire di fare quello che aveva deciso di fare.
Mai.
In nessun modo.

 - Ti liberiamo presto, non preoccuparti – ripeté per l’ennesima volta allungando la mano per toccarlo, ritraendola subito dopo prima di farlo – non sei un prigioniero, non sei più neppure ricercato, Naruto si è preso cura di tutto…speravamo… - continuò quel ridicolo monologo – …questa è casa tua, e speravamo che il fatto di avere deciso di aprire tutti gli archivi segreti, raccontare tutto, punire chi deve essere punito… potesse sistemare tutto… speravamo che conoscendo queste nuove condizioni volessi fermarti… –

Lui non parlava, non le aveva detto una parola, ogni tanto la guardava come se non la vedesse e a lei veniva da piangere.

 - Questa è casa tua – ripeté in un bisbiglio - presto gli Uchiha potranno riposare in pace…non potresti, anche tu…? –

Ma non serviva, lui non parlava, lui neppure ascoltava.

 - Scusa, so che odi sentirti così - mormorò più a se stessa che a lui – ti voglio tanto, tanto bene –

 - Bene… - aprì la bocca lui per la prima volta, e suonava sarcastico, e stanco, troppo stanco – così bene che una volta hai provato ad uccidermi con l’inganno, ed ora mi hai abbracciato per potermi tramortire –

 - Perdonami - bisbigliò – quella…è stata la cosa peggiore che ho fatto nella vita, non me la perdonerò mai, ma lo sai bene questo, e pensavo fosse chiusa, dimenticata, come io ho dimenticato tante, troppe cose…ed in quanto ad ora…non avevo scelta, e non ne sono pentita…almeno ci ho provato - si zittì e tornò a guardare il suo profilo – Naruto vuole parlarti ancora, e poi ti liberiamo, e…e potrai fare ciò che vuoi, sei un uomo libero …e in quanto al resto, lo sai che ti voglio bene, credo di avertelo dimostrato –

 - Pffh – sbuffò lui tentando ancora una volta di divincolarsi.

Si rese conto che non sarebbero andati da nessuna parte con lui: al momento, semplicemente, si rifiutava di ascoltare.
Forse…forse avevano sbagliato, forse dovevano lasciarlo libero, forse in quel modo non li avrebbe ascoltati mai, qualsiasi cosa dicessero… invece magari dopo, più tranquillo, non costretto, ci avrebbe pensato.
O forse no.

 - Liberami Sakura, liberami se mi vuoi bene –

Lei si guardò le mani che si tormentavano come si tormentava lei, nei suoi pensieri, e pensò al loro ultimo incontro, ai baci, alla tenerezza con cui l’aveva accarezzata.
In qualche modo aveva dimostrato che gli importava di lei, o almeno così aveva creduto, no… ne era sicura, ma questo non significava che sarebbe rimasto, che gli importasse abbastanza, e non capiva come avesse potuto illudersi ancora.
Stupida.

Non sarebbero arrivati a niente, lo sapeva, se neppure Naruto era riuscito a convincerlo finora, non credeva ci fosse un altro modo.
Lo guardò seduto come un animale in gabbia, furioso, disperato, e si alzò di colpo.

 - Mi raccomando, muoviti lentamente per qualche minuto, e ricorda che ci vorrà un quarto d’ora prima che il chakra ritorni perfettamente normale – spiegò, Naruto si sarebbe arrabbiato, ma non importava.

Gli tolse in fretta le manette prima di cambiare idea, e iniziò a liberarlo dei fili di chakra tentando di non pensare a quello che stava facendo.

 - Ti chiedo solo di ascoltarmi prima di andartene, devo dirti una cosa importante, non volevo dirtela mentre eri legato –

Non appena libero si era alzato di scatto, aveva vacillato ma era rimasto in piedi nonostante la debolezza che le restrizioni del chakra gli avevano procurato, ed era così da lui questa capacità di rimanere in piedi, dritto, nonostante tutti i colpi, tutti i pesi che sopportava, che due lacrime le erano scese dagli occhi.
Rimani in piedi, incrollabile nonostante tutto, ho bisogno della tua forza, ne ho bisogno, si disse, ma lui era già alla porta, e Sakura guardò le sue spalle pensando che alla fine si ritrovavano ancora lì, allo stesso punto, all’infinito.
Farò da sola, si disse allora, e si rese conto che non era neppure delusa, che non si era mai aspettata altro, o di più.
Una parte di lei aveva sempre saputo di essere sola.

 - Cosa devi dirmi? – si fermò invece lui, senza aprire la porta che lei aveva chiuso, più che altro per impedire alla nonna di intromettersi.

Aspettò che si riavvicinasse a lei senza sapere bene cosa fare, cosa dire.
Era tutta la notte che ci pensava.
Doveva dirglielo? Era il padre, aveva diritto di saperlo, ma…
Come l’avrebbe presa?
Cosa avrebbe fatto?
Non lo sapeva, poteva arrabbiarsi, poteva reagire in qualsiasi maniera, anche assurda, non lo sapeva.
 E se…se fosse rimasto? E se fosse stata l’unica cosa che poteva farlo rimanere?
Ecco…La verità era che nonostante avesse sognato di dirglielo, di sistemare ogni cosa dicendoglielo, sotto sotto non aveva mai pensato di farlo, non veramente.
In parte aveva paura, e in parte, anche, non voleva che lui rimanesse con lei solo per quello, che si sentisse ricattato.
Avrebbe voluto dirglielo dopo, quando lui avesse deciso di restare, avrebbe voluto essere sufficiente lei per quello, ma dentro di sé aveva sempre saputo di non esserlo.
Non lo era mai stata.

Sasuke ora era di fronte a lei e la guardava, sembrava calmo, e forse avrebbero dovuto lasciarlo libero immediatamente, forse avevano sbagliato completamente tattica; e non solo ora, da subito, da quando avevano continuato ad inseguirlo per provare a riportarlo indietro senza il suo consenso.
Da quando avevano tentato di fargli fare quello che volevano loro, di manipolarlo, come tutti gli altri.

 - Posso chiederti una cosa prima? – e dato che lui non rispondeva, ma neppure se ne andava, continuò - …il fatto che costruiremo una Konoha diversa, anche con te se ci sarai, non è proprio niente per te? –

Lui aveva esitato un istante.

 - Al momento non è abbastanza –

Una risposta semplice, chiara. Non era abbastanza, come non lo era lei, come non era mai stata abbastanza lei.

 - Forse, un giorno –

Un giorno…forse…
Lui non era uno da vaghe promesse, non diceva così per dire, mai, e in quel modo nebuloso la sua poteva sembrare davvero, quasi, una promessa.

 - Ti aspetterò – mormorò d’impulso, scontenta di sé per la sua debolezza, eppure, in fondo, rassegnata.

 - Perché? Non è giusto, non devi sacrificare il tuo tempo ad aspettare, non voglio –

 - Ma lo faccio lo stesso, per te – ammise continuando a guardarlo, la mano che si sollevava per toccarlo e ancora una volta non osava – perché tu sappia che qui c’è qualcuno che ti aspetta…non è abbastanza ma è qualcosa…forse un giorno sarà abbastanza –

Lui si era avvicinato e le aveva sollevato il mento.
Le aveva baciato gli occhi velati di lacrime, e poi le labbra, e l’aveva guardata con un calore che era lo stesso che le aveva riservato quel giorno, quando si erano incontrati e avevano fatto l’amore, un calore che le diceva che gli importava, anche se non abbastanza, mai abbastanza.

 - Se dovessi decidere di fermarmi da qualche parte, sarebbe qui, con te…lo sai –

Lo sapeva, solo che questo in realtà non era abbastanza, neppure per lei.

Lui si scostò e la guardò in attesa, ed adesso avrebbe dovuto dirglielo, ma non aveva più parole, neppure una, provava solo un’angoscia profonda, e tristezza, così tanta tristezza.

 - Cosa volevi dirmi? – le chiese apertamente.

La scrutava attento, pronto ad ascoltare ora, e lei pensò che davvero era stato stupido tenerlo prigioniero, e poi si disse che probabilmente lui credeva che quello che voleva dirgli non fosse niente, forse le solite frasi, la solita dichiarazione d’amore.
Eppure rimaneva lì ad aspettare, ad aspettarla.

 - Niente…niente, non importa – sussurrò.

 - Dimmelo adesso, Sakura, avevi detto che era importante, e potrebbe essere la tua ultima occasione –

Già, la sua ultima occasione.

 - Non… so se lo vuoi sapere – chiarì, la voce che le si incrinava appena, e le dispiaceva per quello, perché si era ripromessa di non piangere, e come al solito non c’era riuscita.
Guardava a terra ora, agitata.

 - Se c’è qualcosa da sapere, non nascondermelo, mi hanno sempre lasciato all’oscuro di troppe cose, tutti…non voglio più essere tenuto all’oscuro, voglio sempre sapere –

Sì, lo capiva, aveva ragione, ed era giusto che sapesse, lei non voleva essere come tutti gli altri.
Alzò la testa e lo guardò con tutta la forza che riusciva a racimolare, il cuore che batteva forte.

 - Sono incinta – fece uscire in fretta.

Tutto qui.

Lui l’aveva guardata senza capire per una frazione di secondo, poi l’aveva fissata sbalordito, infine agitato.
Avrebbe voluto che l’abbracciasse ora, solo quello, poi poteva andarsene dove diavolo voleva, ma almeno un abbraccio, almeno quello…

 - Cosa…chi è il padre? –

Per un momento si sentì morire, e forse era per quegli ultimi mesi di angoscia e paura, o per tutti quegli anni spesi ad amarlo nonostante tutto, ma una rabbia potente, incontrollabile, aveva sovrastato le altre sue emozioni, e gli tirò uno schiaffo.
Non un pugno, non meritava neppure un pugno, solo un schiaffo, così forte che il volto di lui si era girato.

 - Vattene – sibilò disgustata mentre lui si portava la mano alla guancia – vattene via, preferisco arrangiarmi da sola –

Si voltò dall’altra parte ignorando le lacrime di rabbia, di delusione, che le scendevano sulle guance, pentita di avere parlato.
Che…che stronzo.
Non riusciva a pensare ad altro se non a quanto fosse bastardo per avere solo pensato che...

 - Vattene via – ribadì, ed aspettò davvero che lui se ne andasse, perché in quel momento non voleva più vederlo, non voleva vederlo mai più.

Non c’era stato un suono, un rumore, ma ormai lui doveva avere riacquisito tutte le sue capacità e sicuramente se ne era andato, sì, ne era sicura, lo conosceva.
Lui se ne andava sempre.

Un minuto dopo, o un’eternità, non sapeva, si voltò.
Sasuke era ancora lì, e la guardava incerto, forse anche un po’ spaventato, probabilmente senza la più pallida idea di cosa fare.

 - Sei ancora qui? – gli chiese amara, osservando soddisfatta che la pelle bianca del suo bel viso mostrava il segno rosso delle dita.

 - E’ mio figlio – mormorò lui, e pareva davvero scosso, nervoso.

 - E di chi pensavi? – replicò sarcastica.

 - Potevi …avermi dimenticato –

Idiota.

  – Comunque non cambia niente – gli fece – io non ti chiedo niente, non voglio niente –

 - Mi fermo… - le spiegò, come se non gli avesse appena detto che non lo voleva - qualche giorno – precisò più deciso – devo…pensare –

 - Fa quello che vuoi – gli rispose stanca, e si avviò lei alla porta.

Era davvero stanca, e in quel momento non sopportava più la tensione costante che lui rappresentava.
Non faceva bene al bambino.

_____________________________________________________________________________

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4. Sasuke ***


 Allora…non so se avete ammirato la mia fantasia e genialità nell’intitolare i vari capitoli (è ironico se non si è capito).XD

Per quanto riguarda il prossimo ed ultimo capitolo, non sono sicura di farlo uscire lunedì perché mi fa davvero schifo e devo renderlo almeno decente, ma alla peggio peggio lo posto giovedì, soddisfatta o meno, non intendo tirarla per le lunghe.




 3.
SASUKE



Sasuke era a Konoha ormai da una settimana e al momento si trovava piegato sotto il lavello della cucina per tentare di aggiustare quel maledetto rubinetto.
In quei giorni la vecchia gli aveva fatto fare di tutto, dal cucinare allo spolverare i lampadari, e onestamente non capiva bene perché fosse rimasto lì invece di andarsene in albergo, o a dormire all’addiaccio, o a casa di Naruto (no quello mai).

Il fatto era che si trovava lì solo da una settimana, e già gli pareva di essere lì da sempre:  forse era la vecchia che assomigliava a quella zia, o magari il gatto che gli ricordava i gatti ninja che appartenevano alla sua famiglia, o forse era Naruto che passava ogni due secondi a trovarlo e gli continuava a rompere i coglioni, o qualcosa nell’aria, non sapeva.

Quel cazzo di rubinetto non si voleva aggiustare, ed attivò lo sharingan tentando di capirci qualcosa.
Bel modo del cazzo di usarlo, davvero.
Per l’ennesima volta si trattenne dall’incenerire tutto, prendendolo come un esercizio di pazienza.

 - Hai fatto? – gli domandò la vecchia che nel frattempo era entrata in cucina.

 - No –

 - Ti preparo una cioccolata? –

 - No! –

Lei non si era scomposta (non si scomponeva mai), si era messa ad armeggiare attorno ai fornelli e aveva iniziato a parlare, come al solito, e lui non aveva potuto fare altro che ascoltare.
Di solito gli raccontava qualcosa di quando era giovane, di solito inutili episodi che lei trovava molto significativi ed istruttivi, e spesso gli parlava di Sakura, di quando era bambina, o di come era adesso, di quanto brava era.
Non lo avrebbe ammesso mai ma non gli dispiaceva poi così tanto ascoltarla, forse perché a volte gli parlava degli Uchiha, senza soggezione, né odio, senza paura.

Era una buona donna, in fondo, ed era tanto che lui non aveva a che fare con un’umanità più semplice, più vera, e forse, a frequentare solo gentaglia, aveva dimenticato che esistevano questo tipo di persone, che esisteva davvero un altro modo di pensare…di vivere.
Più limpido, più sano.

Per una frazione di secondo si chiese se anche lui…

Bah!
Nel frattempo era riuscito in qualche modo a fissare il tubo decentemente e si era tolto da lì sotto.

 - Bravo! – approvò la vecchia dopo avere provato il rubinetto – adesso l’acqua va giù di nuovo – e poi, mentre lui si sollevava – te li taglio di notte questi capelli sugli occhi! –

Che solo ci provasse.

 - Eh! Che sguardo! Ma non mi fai paura, e neanche mi incanti! – aveva continuato imperterrita – Lo so che ti senti un guerriero, vi conosco voi ragazzini… ma non c’è niente di disdicevole nello sturare un lavandino, di solito me lo fa Sakura –

Le rispose con un grugnito e si passò una mano tra i capelli che non permetteva a nessuno di toccare, figuriamoci tagliarli.

– Ti ho preparato la cioccolata, bevila, stai ancora crescendo, hai bisogno di energie – gli intimò intanto lei mentre si spostava verso la porta appoggiandosi al bastone - Mi ricordi tanto quel bel ragazzo Uchiha… -  

 Lui diede un’occhiata alla tazza fumante appoggiata sul bancone, pensando che l’avrebbe fatta sparire giù per lo scolo dell’acquaio come tutte le altre volte, fortuna che lo aveva riparato.

 - E mi raccomando, non farti sfuggire la mia Sakura, ho visto che le facevi gli occhi dolci - aggiunse quella del tutto a sproposito, voltandosi a guardarlo un’ultima volta prima di uscire dalla stanza – non ti vergognerai di farle la corte spero, una ragazza ha bisogno di sentirsi un po’ desiderata! O magari pensi di non essere capace? Sei un bravo ragazzo, basta che ti impegni! –

Quella vecchia viveva in un mondo tutto suo, pensò mentre iniziava a buttare via quel liquido nero che non assomigliava neppure lontanamente alla cioccolata, non che quest’ultima gli piacesse.
Si fermò perché Miao era lì che lo guardava tutto speranzoso, e gli versò quell’intruglio nella ciotola, non erano problemi suoi se quello diventava ancora più ciccione.
 
E poi pensò a Sakura.

In quei giorni non l’aveva mai vista, ma aveva pensato incessantemente a lei, e al bambino.
Un bambino.
Sarebbe diventato padre.
Lui.
Gli pareva ancora irreale.

La prima reazione era stata di paura, si era sentito in trappola, come quando si era risvegliato prigioniero lì a Konoha.
Un figlio?
Come poteva? Lui non voleva debolezze, voleva essere libero…libero da quelle catene che finivano sempre per spappolare il cuore e cavare l’anima.
Libero da legami.
Solo.

Ed ora…
Sakura…un figlio.
Un altro Uchiha.
Aveva pensato, pensato, e aveva ancora pensato, aveva continuato a sviscerare il problema, a considerare ogni possibile scenario, ogni possibile azione, via di fuga, ma sapeva di non avere scelta, perché non sarebbe scappato, non poteva scappare: avrebbe affrontato la conseguenza delle sue azioni, come sempre.
Era una sua responsabilità e non si tirava mai indietro di fronte alle proprie responsabilità, sapeva che il bambino aveva bisogno di lui, era suo figlio, era un Uchiha, ed in quanto tale aveva bisogno di protezione più di qualsiasi altro, troppa gente avrebbe tentato di usarlo, lo sapeva bene, per esperienza personale, e lui…lui non poteva permetterlo, non l’avrebbe permesso.
Lo avrebbe protetto a qualsiasi costo, e restava solo da capire qual era la linea d’azione migliore, e seguirla.

Probabilmente la cosa più ovvia sarebbe stata quella di sposarla e mettere su radici.

Radici.
Famiglia.

Lui?

Sentì un brivido di paura attraversagli il corpo, lo stesso brivido che provava quando era bambino, solo, e aveva paura che Itachi tornasse e lo uccidesse, lo stesso di quando aveva visto per la prima volta Orochimaru, e di quando aveva deciso poi di seguirlo.

Non era solo per Sakura (in qualche parte della sua mente, di quel pezzetto di cuore che gli era rimasto, aveva sempre saputo che se ci fosse stata una donna nella sua vita, sarebbe stata lei), era l’idea di dipendere da qualcun altro, anche se solo per condividere qualcosa: tutti i suoi tentativi erano sempre andati a catafascio, tutta la sua vita era stata costellata di tragedie, di disillusioni, di errori e atti estremi.
Come poteva illudersi di riuscire a vivere una vita normale, come tutti gli altri, lui?
Lui che aveva ucciso il proprio fratello?
Un fratello che aveva ucciso i proprio genitori?

Perché era questo il suo passato, erano questi i suoi ricordi, la sua vita…era questo lui.
Era questo che gli scorreva nel sangue.
Morte.
Tragedia.
Sakura non aveva la più pallida idea di quello che lui era, di quello che lui portava, e un altro, qualsiasi altro, sarebbe stato meglio per lei.
Ma ora c’era un figlio, suo figlio.
Loro figlio.

Quel giorno disse alla vecchia che usciva e si mise a vagare per il villaggio, lungo le strade, a guardare la gente di Konoha, a chiedersi se in fondo non poteva ricominciare a vivere lì, se con Naruto come hokage non potesse essere tutto diverso, e se dopo l’imminente rivelazione sugli Uchiha le cose sarebbero davvero cambiate, se avrebbe potuto finalmente perdonare.
E perdonarsi, anche perdonarsi.
Se…se…

Può essere ancora la mia casa questa? O devo andarmene via, portare mio figlio il più lontano di qui per crescerlo libero?
Posso scegliere?
E Sakura?
Lei era la madre e non poteva ragionare come se fosse solo, non in questo, e si rese conto che era talmente tanto che ragionava pensando solo a se stesso, che non sapeva neppure come fare.

Quella notte aveva cercato la casa di lei (una volta la vecchia gli aveva spiegato dettagliatamente dov’era), e quando le luci si erano spente era salito fino alla finestra di quella che gli pareva di avere capito fosse la sua camera.

Scassinò con facilità il debole infisso e piombò dentro.

Era buio, e lei dormiva.
Nel vedere la sua sagoma rannicchiata sotto le coperte, piegata in posizione fetale, all’apparenza così fragile, così sola, sentì riemergere un vecchio istinto di protezione.
Cosa doveva essere per lei, incinta così giovane di uno che al massimo a volte la trattava con appena un po’ d’affetto e poteva sparire, di nuovo, da un momento all’altro, come doveva essere pensare che probabilmente avrebbe dovuto allevarsi un figlio da sola, un figlio che si portava dietro un nome così ingombrante?

Per un momento si vergognò di se stesso.

 - Sasuke – mormorò lei muovendosi un poco, lo aveva sentito.

Si sedette sul bordo del letto, accanto a lei, ed aspettò che lei si abituasse alla fioca luce delle stelle e lo guardasse.
Sapeva che non era più arrabbiata con lui, che lo aveva perdonato per quell’ennesima ferita, lo sapeva perché…lei lo perdonava sempre.

 - Allora…cosa…cosa… - gli mormorò ancora assonnata.

 - Avrà bisogno di me – spiegò sbrigativo.

Lei tirò fuori il braccio e strinse il suo, solo quello, e intanto lo scrutava improvvisamente sveglia, attenta, come per capire bene il significato di quella frase.

 - E’ un Uchiha, correrà più pericoli degli altri – le specificò.

 - C’è un intero villaggio a proteggerlo –

 - Non basterà – lo sapeva, lo sapeva bene.

 - Non puoi portarlo via! - gli fece allora, agitata, e poi guardò circospetta la porta – ci sono i miei di là, dobbiamo parlare piano –

E infatti si era dovuto chinare per ascoltare l’ultima frase.

 - Non ti permetterò di portarlo via – gli bisbigliò con decisione – c’è Naruto, mi arrangerò e… -

 - Non intendo portarlo via –

 - Allora… cosa… -

Lui era ancora chinato su di lei e poteva vedere i suoi occhi lucidi, spalancati, così pieni di emozioni, di incertezza mista a determinazione, e di speranza, anche di speranza.

 - Se Naruto manterrà la promessa sugli Uchiha, rimarrò –

Lei lo guardò ancora per qualche secondo indecisa, e poi gli buttò le braccia al collo, stringendolo a sé.

 - Grazie – gli sussurrò all’orecchio – grazie –

Di cosa lo ringraziava, stupida.

 - Sarà difficile per te - le mormorò accarezzandole i capelli – forse più dura che senza di me –

 - No…no… - sussurrò lei stringendolo così forte ora che gli faceva male (a volte dimenticava la sua forza) – è tuo figlio…nostro figlio… e almeno so che non sono sola in questa cosa, che farai del tuo meglio, e lo farò anch’io…non l’ho ancora detto a nessuno, ero terrorizzata da questa… questa responsabilità, avevo paura di non farcela, di non poter essere una buona madre, è una cosa così grande…ma ora sono più tranquilla –

 - Tu? – domandò incredulo – tu sarai un’ottima madre – era ovvio, era Sakura, sapeva amare – e io ci proverò…no, ci riuscirò… – si corresse – ci sposeremo – aggiunse, era la soluzione più pratica in fondo.

Lei si era staccata e lui si era sollevato, sorpreso che non lo guardasse felice come aveva creduto, come forse in un angolino del suo cuore nero aveva dato per scontato.
Invece lo fissava perplessa, dubbiosa.

 - Non voglio sposarti –

 - Credevo… –

 - Non ora, non così, non perché sono incinta – gli spiegò brevemente, decisa, e lui pensò che non si era mai reso conto di quanto fosse coraggiosa, e forte.
Di come fosse bella.

Rimase a guardarla ammutolito, incantato, e per la prima volta si rendeva pienamente conto di quanto importante era sempre stato per lui sapere che c’era, che lo aspettava da qualche parte, che ancora credeva in lui.
Per quello aveva fatto così male quella volta in cui aveva tentato di ingannarlo, perché lei, continuamente trascurata, data per scontata o semplicemente ignorata, era sempre lì, in qualche punto nascosto del suo cuore, sempre presente, vitale.
Qualcuno da cui tornare.
Una piccola luce nei suoi momenti più bui.

 - Ti amo ancora, sempre – gli bisbigliò, così piano che aveva udito appena, ed era quasi come se avesse intuito quella sottile paura che faceva parte di lui, anche se la seppelliva sotto montagne di rabbia, d’odio.

Più sicuro si sdraiò accanto a lei e le baciò le labbra, e il volto, e presto scivolarono uno sopra all’altra.
Sasuke si sollevò per togliersi la maglietta e riprese a baciarla, lei che gli tirava i capelli (lei poteva), le mani di lui che le accarezzavano lo stomaco, non più completamente piatto come lo ricordava, e poi scendevano sulle sue curve morbide, accoglienti.

 - Sono… sono felice che tu mi ami – le sussurrò, e forse, forse era una specie di dichiarazione d’amore.

 - Sakura? Sei sveglia? Mi pareva di sentire delle voci –

Si sollevarono di colpo.

 - E’ mia madre, vai… a domani – lo congedò lei con un bacio.

E lui era svanito nella notte, la voglia di perdersi in lei che ancora gli lasciava il respiro affannato.

Andò a dormire pensando a lei, non al passato, neppure al bambino, o al suo futuro, alle sue scelte, ma a lei, solo a Sakura.

Prima di addormentarsi ebbe un unico, fuggevole, pensiero per gli Uchiha, per la mamma, il papà…e per Itachi.
Resterò a Konoha, pensò, non lo faccio per te, fratello, ma so che, dovunque tu sia, ne sarai contento.

______________________________________________________________________________________________________________________________




Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5. Tutti ***


Allora...
Non ho riscritto tutto daccapo come volevo inizialmente, ho solo sistemato qua e là, sperando che sia almeno decente...in compenso nel frattempo, ispirata da una recensione, ho scritto un altro capitolo, per cui questo non è l'ultimo.  
Il prossimo è ambientato diversi anni più avanti, con loro più adulti e maturi (e la loro prole), e dato che è pressochè pronto lo farò uscire sicuramente lunedì.




TUTTI


Erano passati venti giorni ed era tutto deciso.
Era da un po’ che Sakura considerava la possibilità di andare a vivere da sola, e questo era il momento adatto per affrettare le cose, dato che non intendeva rimanere a casa ora.
Di conseguenza loro due sarebbero andati a vivere insieme. Lei e Sasuke. Lei. E. Sasuke.

Non si sarebbero sposati al momento, era stata irremovibile su questo, lo avrebbero fatto un giorno, tra qualche anno, se lui glielo avesse chiesto ancora.
Se lo volevano ancora tutti e due, e se lui lo voleva davvero.

Nel frattempo, subito dopo quella notte in cui lui le aveva detto che sarebbe rimasto, aveva finalmente raccontato ogni cosa ai suoi.
Era stata dura, sapeva di deludere profondamente sua madre, e papà, il suo papà sempre così buono e allegro: suo padre aveva incurvato le spalle, sua madre si era irrigidita, ma in fondo avevano incassato meglio di quello che aveva creduto.

 - Possiamo vederlo questo ragazzo? – aveva chiesto papà, la mamma era momentaneamente a corto di parole.

E così, per accontentarli, avevano organizzato un pranzo dalla nonna, visto che Sasuke si trovava ancora lì (la nonna continuava a trattenerlo con le scuse più improbabili e i lavori più ridicoli).
Per poco, perché avevano già trovato un alloggio in cui andare a vivere, insieme, e lei…lei in realtà non se ne rendeva nemmeno bene conto, le pareva di essere sospesa, galleggiante in un sogno improbabile, e temeva solo di svegliarsi e scoprire di avere immaginato tutto.

Sasuke era lì, deciso a rimanere, ad aiutarla, a stare con lei, a provarci.
Troppo bello per crederci.
Troppo perfetto.

Una settimana prima aveva raccontato tutto anche alla nonna, un giorno in cui mangiava lì (era più lì che a casa), e pazienza se Sasuke nel frattempo se ne stava teso e immobilizzato al suo fianco.
La nonna aveva brontolato, e brontolato, sostenendo che avevano fatto tutte le cose al rovescio, che un figlio doveva essere l’ultima, non la prima cosa da fare, ed aveva aggiunto che era quello che succedeva con i bei ragazzi, che ti incantavano, come se fosse tutta colpa di Sasuke e lei non fosse in grado di intendere e di volere quando c’era di mezzo lui, che a pensarci bene non era una cosa così distante dalla realtà.  

L’aveva anche redarguita per non averlo detto prima, sostenendo che i pesi non condivisi facevano male al cuore e al fegato (e come esempio aveva tirato fuori uno dei suoi aneddoti), ed aveva avvisato Sasuke che lo teneva d’occhio, ma a dire la verità non sembrava né contrariata, né preoccupata, anzi, pareva stranamente compiaciuta.

 - Bene – aveva concluso – almeno posso vedere un nipotino prima di morire, e speriamo sia una bella bambina –

Dopodiché era andata a farsi un riposino, provata da tutte quelle novità, e loro due si erano chiusi nella camera in cui dormiva Sasuke, a fare l’amore, come ogni volta che Sakura aveva un minuto libero.
Fortunatamente la nonna era anche un po’ sorda.

E infine l’aveva raccontato anche a Naruto (ormai non le importava più di mantenere il segreto, anzi, voleva che lo sapessero tutti), il quale subito si era mostrato contentissimo, perché significava che Sasuke sarebbe rimasto e che adesso erano tutti felici come piaceva a lui, però poi ci aveva pensato e aveva improvvisamente deciso di picchiarlo, “quel bastardo”, e le ci era voluta tutta la sua forza di persuasione accompagnata da una buona dose di minacce (e un cazzotto) per convincerlo a lasciare perdere.
Le veniva ancora da sorridere al ricordo, buon, vecchio Naruto.

Intanto oggi c’era il fatidico pranzo, in cui l’aspettava una specie di resa dei conti, dato che dopo avergli dato la notizia non aveva più avuto l’occasione di discutere molto della cosa con i suoi, e sapeva che erano ancora scossi.
Ma al momento non riusciva a preoccuparsi.

 Entrò dalla nonna per aiutarla ad apparecchiare, e sorrise a Sasuke che stava maneggiando con il tavolo tentando di aprirlo per far posto a tutti, il gatto seduto sulla sedia che lo guardava con un solo occhio aperto.
Conosceva quel tavolo e sapeva che era difettoso, per cui corse ad aiutarlo prima che spaccasse tutto, esasperato.

Amava alla follia vederlo cimentarsi in queste incombenze domestiche.
Lo amava alla follia.
E si rendeva conto che il suo amore per lui finora era stato monco, un amore a metà, per quello le aveva procurato solo sofferenze, o meglio, anche per quello, perché un amore a senso unico non è completo, in un certo senso non è neppure reale, non come quello che la faceva ridere di felicità, ora, con lui.

Mentre sistemavano la tovaglia, pensò che c’erano ancora tanti tipi d’amore che doveva sperimentare con lui, come quello fatto di cose quotidiane, di riti, magari anche di noia, o come quello di essere due genitori.
Sperava di sperimentare sempre con lui ogni tipo d’amore, perché, e su questo non aveva dubbi anche se sembrava troppo presto per dirlo, anche se erano appena agli inizi, lui era il suo grande amore, l’amore della vita.
 
Apparecchiarono per sei, era invitato anche il nuovo hokage che ormai capitava spesso da quelle parti, nonostante la nonna preferisse spudoratamente Sasuke ed avesse sempre da ridire su di lui.
La nonna aveva anche voluto preparare da mangiare personalmente, quella testarda, e Sakura era un po’ in pensiero (una volta era un’ottima cuoca, ora…chissà che pasticci poteva combinare), ma alla fine avevano dovuto lasciarla fare, appena tentavano di entrare in cucina venivano cacciati in malo modo, tacciati di ‘intrigare’.

Naruto era arrivato in anticipo e si era messo a mangiucchiare, spaparanzato sulla sedia, a capotavola.
Nel frattempo parlava con Sasuke.

 - Potrei metterti a capo degli AMBU, saresti perfetto, oppure preferisci fare qualcos’altro, tipo l’‘anziano’? Ma non sei anziano, scordatelo…anche se sarai padre…no…se ci penso che hai messo incinta Sakura  ti spaccherei la faccia… sei un bastardo di merda che… -

 - Non si dicono queste parolacce in casa mia! – lo redarguì la nonna che era emersa dalla piccola cucina separata, spaventandolo a morte – e non piluccare che dopo non hai più fame! –

 - Ha sempre fame – l’aveva rassicurata Sasuke.

E nel sentirlo parlare così, come se fosse a casa, come se si sentisse a casa, lei aveva provato uno sproporzionato senso d’euforia.
Sasuke era a casa, era finalmente a casa, non era un sogno.

Quando erano arrivati i suoi il gatto era scappato di là (non sopportava la mamma, lui e la nonna avevano gli stessi gusti), e si erano sistemati tutti in tavola, lei di fianco al suo amore, che se ne stava seduto sulla sedia come se non gliene fregasse niente (mentre aveva il fondato sospetto che non fosse così, che fosse più nervoso di quel che mostrava), la mamma davanti a lei, rigida rigida, che guardava Sasuke di sottecchi, il papà di fianco alla mamma, proprio di fronte a Sasuke, che faceva qualche battuta, un po’ imbarazzato.

Il cibo non era eccelso ma neppure così male, la nonna aveva cucinato se non altro decentemente, a parte le patate bruciacchiate e il pollo così stopposo che nessuno l’aveva mangiato, tranne Naruto che spazzolava tutto.

 - Allora Sasuke – si decise ad iniziare suo padre dopo essersi schiarito la voce, pungolato dalla mamma, ovviamente – penso che capirai che siamo un po’ preoccupati per la nostra bambina –

 - Non sono una bambina – sbuffò lei ( in realtà questo era un goffo tentativo di distogliere l’attenzione da lui, non si sapeva mai come poteva reagire sotto pressione).

 - E invece sì! – sbottò mamma – se fossi matura e responsabile non saresti incinta, così giovane! –
 
 - Sciocchezze, se è abbastanza grande per uccidere è abbastanza grande anche per procreare – minimizzò la nonna, forse solo per contraddire la mamma - durante la guerra si concepiscono sempre tanti bambini, mi ricordo che… –

 - Non ci interessa! – la interruppe stizzita l’altra.

Si erano guardate in cagnesco per alcuni secondi, e poi, quasi all’unisono, i suoi avevano fissato Sakura (lei sospettava che di Sasuke avessero un po’ di paura, non che non li capisse, al momento aveva un’aria un po’ minacciosa), ed era tutto precipitato.

 - Ed ora andate a vivere da soli? Non potete aspettare? – aveva attaccato suo padre di punto in bianco.

 - Come sappiamo che non se ne andrà via di nuovo? – questa era la mamma.

 - Non ti stai comportando con leggerezza? – la spalleggiò il papà, cui sicuramente la mamma aveva fatto il lavaggio del cervello in quei giorni – non abbiamo neanche avuto modo di discutere le cose con calma! –

 - Non ce l’aspettavamo proprio, questo, da te, e dicci come possiamo fidarci ora…ti sei dimostrata così immatura e irresponsabile! –

 - Mi sono accorta del viavai notturno, non sono mica così rimbambita! – tirò fuori del tutto a sproposito la nonna.

 - Anche questo Sakura? Non ti basta esserti fatta mettere incinta? Ecco perché tornavi sempre così tardi! –

 - Be’ – si era intromesso Naruto – più incinta di così mica può finire! –

 - A proposito giovanotto, avrei delle rimostranze pubbliche sul tuo operato di hokage, ci sarà un modulo per questo, no?! Perché va punita questa cosa di presentarsi a casa di una povera vecchietta e tentare di arrestare un suo ospite, e poi minacciare ripetutamente di ucciderlo, un giovanotto così ammodo poi! –

Che era davvero il colmo, tutto si poteva dire si Sasuke, ma che fosse ammodo proprio no, e anche ora se ne stava seduto svogliatamente nella sedia con l’aria seccata, per niente composto, come uno cui…cui la mamma non aveva urlato per anni di stare composto, ecco…

 - Non cambiamo argomento! – si intromise ancora la mamma – il punto è che Sakura si è comportata da incosciente e non posso fidarmi di lei, e tantomeno del ragazzo! –

 - Non intendo andarmene se è di questo che vi preoccupate, e Sakura non è un’incosciente, la colpa è mia – aveva chiuso il discorso l’interessato, con un tono di sfida che non ammetteva repliche.

Per qualche secondo c’era stato un silenzio di tomba mentre lei se lo guardava un po’ commossa, e poi tutti avevano iniziato a parlare tra di loro, ignorandoli.

Lei guardò la mamma che replicava stizzita alla nonna e poi si sfogava come sempre con papà, la nonna che contestava a gran voce, spesso a sproposito, e ogni tanto le piazzava ancora un po’ di cibo nel piatto e le faceva segno di darne anche a Sasuke, che avevano bisogno di energie, Naruto che si serviva ancora quel pollo immangiabile, non molto scombussolato dal trambusto.
E lei non riusciva neppure ad arrabbiarsi come faceva di solito, le veniva da ridere.

Sasuke invece fissava un punto indistinto davanti a sé e pareva corrucciato, sicuramente infastidito, non si sarebbe per niente sorpresa di vederlo alzarsi e andare via, e non sapeva se preoccuparsi; ma poi si era voltato e l’aveva vista trattenere la risata, ed era scappato una specie di sorriso anche a lui.

 - Sono pazzi – gli bisbigliò.

  - Allora, sentiamo, perché non vi sposate a questo punto? – li interpellò subito dopo suo padre, con quell’espressione bonaria che gli apparteneva più di quella arcigna di prima.

 - Sono io che non voglio, è troppo presto – spiegò lei allungando una mano ad afferrare quella di Sasuke sotto il tavolo.

Lui gliel’aveva stretta un momento tra le dita prima di scostarla, e a lei bastava quello.

 - Vedo che avete deciso tutto ormai – sospirò la mamma, ma pareva più rassegnata che arrabbiata – speriamo vada tutto bene, se non altro mi sembri felice – concluse con una specie di riluttante benedizione.
 
- E’ proprio una sciocchezza questa di non sposarsi – aveva borbottato invece la nonna, quella traditrice – intanto fatti sposare, poi c’è sempre il divorzio –

 - Nonna! –

 - Meglio accaparrarsi subito i migliori – ribadì l’altra imperterrita - dopo restano solo le scartine e bisogna accontentarsi. Tuo padre si è sposato tardi e… - Sakura aveva trattenuto il fiato - …e tutto sommato non gli è andata così male – la sorprese invece la nonna – guarda che meraviglia di nipotina ha tirato su…be’, assieme a tua madre anche…ma è meglio non sfidare la sorte –

 - E’ per questo che sono così felice di essermi accaparrato la mia Hinata! – quasi urlò Naruto, nonostante stesse ancora masticando il pollo.

E su questo non c’era proprio niente da dire.

E poi, finalmente, la mamma si era alzata per andare a prendere il dolce che aveva portato, e in qualche modo quel pranzo era giunto ad una conclusione.
Grazie al cielo.

I suoi se ne erano andati ancora un po’ agitati, decisi a discutere ancora della cosa in futuro, e lei rimase sola con Sasuke e Naruto, dato che la nonna aveva detto che si sdraiava un momento, e che dovevano rassettare tutto loro.
Probabilmente per questo Naruto si era congedato poco dopo.

 - Il mitico team sette è ancora insieme! – fece loro con un ghigno, puntando il pugno in aria, prima di sparire nel nulla.

E lei si accorse solo allora che nonostante tutto quel trambusto stava sorridendo da un po’, di un sorriso beato, vero, sincero.

 - Scusa per i miei, sono figlia unica e sono un po’ troppo protettivi – mormorò poi, mentre lavavano i piatti, e intanto pensava che presto avrebbero lavato spesso i piatti assieme.
Chissà perché la prospettiva le pareva così esaltante.

 - Hanno ragione – minimizzò lui – sono un pessimo partito –

 - Ed io che credevo avessi ereditato tutti i beni degli Uchiha! – scherzò lei.

Lui aveva sorriso appena ed era rimasto un momento pensieroso.

 - Sei un medico – iniziò poi – non hai mai pensato di abortire? –

 - Un figlio tuo? Non ti avrei mai fatto questo! – esclamò senza pensare –…cioè, ho considerato molte cose – tentò malamente di correggersi – …non è che pensassi che…–

 - Non mi avresti mai fatto questo? Cosa? – la interruppe lui, e sembrava così tranquillo ora, così ben disposto, che non poteva rispondere evasivamente.

 - E’ un Uchiha – spiegò semplicemente – un giorno, quando nascerà, avrai ancora la tua famiglia -

Lui si era voltato a guardarla con uno strano sorriso e le aveva dato un colpetto sulla fronte con l’indice, zittendola.

 - Stupida – le mormorò con tenerezza – hai pensato più a me che a te stessa –

 - Come sempre – minimizzò lei.

 - Sì, come sempre – sorrise lui, lo sguardo per un momento pieno di calore, colmo di qualcosa che assomigliava tremendamente all’amore.

_________________________________________________________



Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6. Dieci anni dopo ***


Ecco l’ultimo capitolo, ambientato dieci anni più tardi (per un qualche misterioso motivo se devo far saltare anni sono sempre dieci:D).
Lo dedico a Julia83, visto che se non fosse stato per lei che sperava di vedere il bimbo (o bimba) non l'avrei mai scritto! 




DIECI ANNI DOPO



Sakura appoggiò la mano sul fianco per sorreggersi un po’ la povera schiena, si sentiva una balena, una vecchia balena gonfia, e questa era davvero l’ultima volta, poi chiudeva bottega.


Non mancava molto, al massimo una decina di giorni e presto quei due sarebbero usciti, ed anche se le veniva male all’idea di dover star dietro a due gemelli (già una creaturina urlante era sufficiente per massacrarla) non vedeva l’ora, era proprio stanca di quella pancia fuori misura.
Almeno uno dei due era una femmina, grazie al cielo, non ne poteva più di vivere in mezzo a maschi.
Guardò i suoi due figli che facevano colazione: Itachi, il più grande, che allontanava la ciotola con i pomodori e la teneva sollevata sopra alla testa per impedire al piccolo di prenderla.

 - Lasciane un po’ anche a tuo fratello – lo redarguì.

  - Ma sono pochi e se li mangia sempre tutti! –

 - Oggi li ricompro – chiuse il discorso lei.

 - Ma… -

 - Niente ma…e tu stai composto, Akira –

Si sedette, a fatica, e li guardò mangiare con un leggero sorriso: li amava di un amore intenso, viscerale… e pensare che non le erano mai piaciuti i bambini.
Ma loro due erano le sue creature, le sue bellissime creature: avevano ambedue i capelli scuri e scomposti del padre, Akira un po’ più lunghi di suo fratello, e solo Itachi aveva gli occhi di un verde scuro che tradiva irrevocabilmente il sangue Haruno.  Avrebbe compiuto dieci anni la settimana prossima ed era il più serio dei due, soprattutto ora che stava attraversando una fase in cui voleva dimostrare di essere grande e non voleva più abbracci o coccole.
Akira invece era il suo cucciolo di non ancora cinque anni, e con gli occhioni enormi e scuri di suo padre guardava il mondo curioso e pieno di gioia. Se lo coccolava e strapazzava continuamente, e le veniva male al pensiero di non poterlo più fare quando sarebbero nati i gemelli, sperava solo di non farlo soffrire, si era già sentita abbastanza colpevole con Itachi quella volta.

 - Papà torna domani? – chiese Itachi.

 - Dovrebbe, ma sapete che con le missioni non si può mai dire –

 - Tsk! Papà è un Uchiha! – le aveva replicato lui, con tutto l’orgoglio che un bambino della sua età riusciva a metterci.

 - E’ il più forte di tutto il mondo vero Itachi? –

 -  Sì piccoletto–

 - Non sono un piccoletto! –

 L’altro aveva sorriso con sufficienza e poi gli aveva dato un colpetto sulla fronte con l’indice, come aveva visto fare al papà con la mamma.

Lei sentì i gemelli muoversi dentro la pancia, si sta stretti là dentro, eh?, pensò massaggiandosi il punto su cui uno dei due aveva puntato con forza quello che doveva essere un pugnetto. Tutto sua madre.

 - Posso fare la strada con te? – ascoltava nel frattempo Akira chiedere al fratello.

 - No, vado con i miei amici –

 - Solo questa volta! – lo pregava l’altro.

 - Come mai vuoi andare con tuo fratello? Non fai la strada con Kushina? – la figlia di Naruto ed Hinata aveva la stessa sua età ed abitava lì vicino.

Notò divertita che lui diventava tutto rosso.

 - Non ti è simpatica? – insistette spietata.

 - Kushina mi…mi tremenda! –

 - Ti tremenda, eh? – cercò di non scoppiare a ridere lei.

 - Si dice tormenta! –

 - Sì, mi tromenta! – tentò invano l’altro.

 - Cosa fa di così terribile? – provò a chiedere mentre tentava di mangiucchiare qualcosa anche lei, senza molto appetito.

 - Mi tocca! – spiegò lui con un’aria disgustata – E poi mi tira la manica e poi mi chiama sempre e poi vuole sempre che la guardo e… -

 - Le femmine sono stupide – sentenziò Itachi – sono sempre lì a tormentare i maschi oppure ti guardano e ridacchiano! –

Già, la grande maledizione dei maschi Uchiha, altro che mangekyou sharingan.

 - E poi sono deboli – concluse Akira, neanche non fosse lui quello che arrivava a stento al tavolo, e se scopriva chi gli aveva messo in testa quest’idea lo sistemava lei.

 - Guardate che anche vostra madre è una femmina! – li redarguì – vi sembro stupida, o debole? –

 - No! – esclamarono in coro – anche lo zio Naruto ha paura di te! – aggiunse Itachi ammirato, perché nonostante l’aria adulta era ancora un bambino.

 - Appunto – sorrise compiaciuta – e ti accompagno io a scuola oggi, Akira –

 - Ma sei lenta! – protestò lui – è quel pancione grosso – spiegò subito dopo, dispiaciuto.

 - Sembro una palla, eh?! –

 – Sì! E’ una palla grossissima! Sembra una pallona gigantissima…  ti pesa? –

 - Un po’, ma manca poco e arriveranno i vostri fratellini, tra cui una femminuccia che dovrete amare e proteggere, non perché è una femmina – si corresse imprecando tra sé, era faticoso parlare sempre con attenzione – ma perché è piccola –

 - Una rottura in più – borbottò Itachi mentre si alzava dal tavolo e portava il piatto e la tazza nell’acquaio.

 - La proteggio io! – esclamò invece Akira, tutto volonteroso.

 - Si dice proteggo! E la proteggerò io, piccoletto, come proteggo anche te – gli fece Itachi scompigliandogli i capelli, come se non fossero già scompigliati abbastanza di natura (tutto suo padre) – lo accompagno io mamma, non occorre che vieni tu, so che fai fatica a muoverti –

Le venne giù una lacrima di commozione ( gli ormoni la stavano facendo impazzire), ma riuscì abilmente ad asciugarla prima di farsi vedere dai suoi marmocchi, che non si preoccupassero.

 - No, mi fa bene camminare, e poi devo comunque andare a trovare la bisnonna, per cui non è un problema – chiuse il discorso lei.

 - Posso venire anch’io? – esclamò speranzoso Akira mentre scendeva dalla sedia troppo alta per lui.

 - No, devi andare a scuola, ma sicuramente mi darà del cioccolato per te e per tuo fratello –

 - Il cioccolato è roba da bambini – sbuffò Itachi.

 - Allora lo mangio tutto io! –

  - No, è mio –

 - Ma… -

 - Ognuno avrà il suo – chiuse il discorso Sakura – Il piatto! – fece poi.

 - Scusa mamma! –  e il suo cuccioletto si affrettò a recuperare piatto e tazza dal tavolo per depositarli, miracolosamente illesi, dentro all’acquaio anche lui.

Poco dopo Sakura era lì che sbuffava e tentava di camminare un po’ più veloce mentre Akira correva avanti per paura di arrivare in ritardo.

Fu così che, da dietro, poté assistere all’assalto di Kushina che sbucava fuori da un cespuglio e si gettava, letteralmente, addosso al suo Akira urlando qualcosa sul suo vestitino, di un arancione che faceva a pugni con i suoi capelli rosso scuro.

 Pareva convinta di essersi fatta bella per il suo bambino, quella smorfiosetta.
Riuscì a trattenere la risata prima che quest’ultima si accorgesse di lei e si irrigidisse.

 - Ciao zia Sakura – mormorò poi, e si mise a camminare più composta di fianco a suo figlio.
Non le dispiaceva di incuterle un po’ di timore, nessuno toccava i suoi bambini, neanche la figlia di Naruto, o soprattutto la figlia di Naruto, le avrebbe detto Sasuke, che chissà dov’era e se sarebbe tornato in tempo a casa come promesso.

Continuò a camminare ascoltando la bambina che chiedeva delucidazioni sull’evoluzione di quella pancia gigantesca, quasi avesse potuto esplodere da un momento all’altro, poi quei due avevano iniziato a parlare del fratellino di Kushina, o meglio, era solo la bambina che parlava, parlava, parlava…e ogni tanto prendeva Akira per la manica, facendolo arrabbiare.
Forse doveva parlare a Naruto e dirgli di insegnare l’educazione a sua figlia, e dato che c’era poteva intimargli di smetterla di mandare suo marito a svolgere tutte quelle missioni pericolose.

Li lasciò davanti alla scuola e si avviò, a fatica, verso casa della nonna, le pareva davvero di essere lì lì per esplodere ed onestamente non ne poteva più di questa goffaggine, non faceva per lei e non poteva neppure permettersela.

Entrò in casa senza suonare, la nonna come al solito lasciava la porta aperta, e Miao sollevò appena un occhio per guardarla, era vecchio e se ne stava tutto il giorno acciambellato in poltrona a dormire.
Nell’altra poltrona sedeva la nonna, anche lei con un’età considerevole ormai, un’età che raramente raggiungevano i ninja (non poté fare a meno di pensare a Sasuke), e si muoveva sempre più a fatica, sempre con il solito bastone.
Ci vedeva anche male, ed era decisamente sorda.

 - Ciao nonna! – urlò.

 - Non occorre che urli, ti sento! –

Non si rendeva affatto conto di essere sorda.

 - L’hai preparata? – le chiese allora, sempre con un tono di voce abbastanza alto.

 - Sì, sì –

L’aiutò ad alzarsi (tra l’una e l’altra doveva essere uno spettacolo vederle) e insieme raggiunsero la cucina.

 - Sicura di ricordare la ricetta? –

 - Eh? –

 - Ti ricordi bene la ricetta? – le ripeté a voce più alta.

 - Non sono mica rimbambita! – le replicò offesa l’altra – E poi l’unica cosa essenziale è l’ingrediente segreto, e quello lo ricordo bene –

La nonna preparava una speciale tisana che faceva miracoli: la bevevi e partorivi immancabilmente entro due giorni, era per quello che Sakura si trovava lì.
Era composta di erbe comuni, innocue, più un ingrediente segreto che la nonna non le aveva mai rivelato.

  - Sicura non sia presto? – le chiese la nonna mentre lei prendeva la tazza dallo scolapiatti e si versava una dose abbondante di quell’intruglio dalla teiera sbeccata che si trovava ancora fumante accanto al fuoco.

 - No no, i gemelli nascono prima degli altri bambini, e io non ne posso proprio più, un altro giorno e impazzisco –

 - Fortuna che una è una femmina – commentò l’altra - i maschietti sono tanto bellini ma sono inutili –

La nonna aveva idee tutte sue.

 - E’ più potente questa volta – le spiegò poi – Ho messo il doppio della dose dell’ingrediente segreto, potrebbero nascere subito, prima che tuo marito torni, va bene che in quanto maschio è inutile, però è tanto bellino… attenta che non te lo rubino tutte quelle smorfiose che ci sono in giro…è pericoloso sposare il ragazzo più bello del villaggio, te l’avevo detto –

 – A dire la verità mi hai sempre detto che ero fortunata – le fece notare lei.

 - Davvero? Be’ be’, comunque sta attenta lo stesso, non abbassare la guardia –

 Sakura sorseggiò la tisana mentre ascoltava i vaneggiamenti della nonna, e intanto pensava a Sasuke.
Di solito tornava in anticipo, per cui era in ritardo anche se non lo era davvero, e una leggera ansia che credeva di avere vinto da tempo le faceva corrugare la fronte e le appesantiva lo stomaco.
Come se non bastasse tutto quel peso.
Non sopportava l’idea che se lui avesse avuto bisogno di aiuto non avrebbe potuto far niente in quelle condizioni.
Non vedeva l’ora di partorire, e ancora di più non vedeva l’ora che lui tornasse.

 - Spero che tu la smetta di sfornare figli adesso che avrai la femminuccia – si congedò la nonna dopo che lei si era alzata a fatica dalla sedia.
Faceva più fatica di sua nonna, era il colmo.

 - Per carità, questi sono gli ultimi, credimi – ribatté incamminandosi alla porta.

 - Se no glielo dico io che deve smetterla di… -

 - Sono stata io a volerlo – la corresse lei ormai sull’uscio – volevo che fossero tanti, che non fossero mai soli –

 - Sempre a preoccuparsi per gli altri, la mia Sakura…tieni – le fece porgendole un sacchettino con i cioccolatini per i bambini – digli di venire a trovare la vecchia nonna ogni tanto…dillo anche a tuo marito – brontolò – to’, tieni anche questo – era un pezzo di carta accartocciato.

 - Cos’è? –

 - Ti ho scritto l’ingrediente segreto, ma leggilo solo dopo che sono nati –

 - Va bene – le sorrise lei, l’avrebbe messo nella borsa con le cose per il parto e l’avrebbe letto subito dopo: era curiosa.
Continuò a sorridere anche dopo che si era allontanata, fino a quando non ripensò a Sasuke.

Un paio d’ore più tardi, stava tentando di riposare seduta sul divano, sentì arrivare le prime doglie.
Ci siamo, pensò, la tisana non fallisce mai.
Se solo ci fosse stato Sasuke.

In alternativa pensò di chiamare Naruto, ma aveva già il suo da fare tra tutti quegli impegni e il terribile secondogenito, così pensò a sua madre dato che la nonna era troppo vecchia, no, la mamma no, la innervosiva di più averla intorno, piuttosto Ino, ma doveva essere ancora via per quella missione.
Si alzò a fatica, sbuffando, e dopo aver preso la borsa che aveva preparato già da giorni, camminò fino a casa della mamma per chiederle se poteva andare a prendere lei i bambini e portarseli a casa sua.
Trovò solo suo padre che rispose di sì entusiasta, adorava i suoi nipotini.

 - E’ ora? – le chiese.

 - Speriamo –

Quando si congedò lo pregò di non spedirle dietro la mamma che l’agitava ancora di più invece di aiutarla, e gli ricordò di comprare dei pomodori per i bambini.  

Nel frattempo, mentre camminava sempre più a fatica, sentiva che le contrazioni diventavano più frequenti, era meglio entrare in ospedale prima di scodellarli per strada, e ormai, alla terza volta, era una passeggiata, o meglio, una seccatura da espletare prima di avere il suo…no, i suoi due fagottini urlanti.
Se pensava a tutta l’agitazione provata alla nascita di Itachi! Fortuna che allora Sasuke era lì con lei, a tenerle la mano, altrettanto agitato sotto l’aria sicura.

 Questa volta entrò in ospedale da sola, la sua borsa in mano e la schiena a pezzi, e salutò ridendo una sua amica che le diceva che era troppo di buon umore perché fosse già ora.

Poco dopo, mentre era sdraiata sul letto, le contrazioni sempre più forti, pensò che forse, se ci fosse stato qualcuno con lei, sarebbe stato meglio, non era per il dolore, era una kunoichi ed era abituata al dolore fisico, era…era che stavano per nascere i suoi bambini, ed anche se non erano i primi era una cosa così grande.

Quando infine era entrata in sala parto, con le prime spinte le era scesa anche una lacrima, che idiota.
L’importante era che andasse tutto bene, e che lui tornasse presto a casa sano e salvo.

 - So che fa male, ma devi sforzarti di spingere di più – le fece con dolcezza l’ostetrica, una donna che non conosceva molto bene, come se lei non fosse un ninja, e un medico, e avesse bisogno di essere blandita.

Stranamente infastidita si sforzò di ignorare il dolore e spingere, altre lacrime che le scendevano dagli occhi e la infastidivano ancora di più perché lei era forte e…

 Nonostante esistesse solo il suo corpo che spingeva e tutto il mondo al di fuori fosse come attutito, sentì la porta aprirsi e subito dopo Sasuke era accanto a lei, che le teneva la mano, ed anche se in quanto maschio era inutile al momento, gliela strinse con tutte le sue forze e si mise a spingere con più foga.
Era lì sano e salvo, accanto a lei.

Subito dopo sentì il primo vagito.
Bene, si disse spossata, ed uno, ma non poteva rilassarsi, non aveva ancora finito questa volta, e si sforzò di spingere ancora ripetendosi che presto sarebbe finita.
Ancora poco.
Resisti.
Nel frattempo credeva di avere stritolato la mano di Sasuke.
 
In un tempo dilatato, infinito, aveva spinto ancora, ormai allo stremo, ed era uscito anche l’altro.

 - E’ una bella bambina – sentì l’ostetrica mormorare a Sasuke, e subito dopo erano tutti e due lì, ancora sporchi di sangue e liquido amniotico, tra le sue braccia, un momento prima che glieli portassero via, due piccoli ragnetti orribili…bellissimi.

Guardò Sasuke che li prendeva in braccio a sua volta e li guardava un po’ commosso, anche lui, di fronte al momento irripetibile in cui quelle nuove vite venivano alla luce e diventavano reali, importanti, imprescindibili.

Poco dopo si alzò nonostante le proteste dell’infermiera e chiese a Sasuke di aiutarla ad andare in bagno.
Infine prese armi, bagagli, e figli, e si fece portare a casa da lui: era un medico, col cavolo che rimaneva lì dentro più del necessario.

Il mattino dopo era sdraiata a letto, nel suo letto, con due cuscini che la tenevano sollevata e due culle gemelle a fianco.
Si sentiva a pezzi e assonnata, ma ascoltò Itachi e Akira che guardavano i nuovi acquisti della famiglia e commentavano.

 - Sembrano due ranocchi, vero Itachi? –

 - Abbastanza –

 - Siamo sicuri che questo è una femmina? Mi sembrano uguali –

 - Non ha il pisello, piccoletto –

 - Ah…comunque io li proteggio mamma –

 - Li proteggerò anch’io – concordò Itachi, solenne.

 - Li proteggeremo io e la mamma – intervenne Sasuke che era entrato in quel momento dalla porta – e proteggeremo anche voi due…ora andate di là, ho preparato la colazione e se ti sbrighi, Akira, ti accompagno fino a scuola –

 - Sì! – esclamò lui, entusiasta all’idea di esibire il suo papà di fronte ai compagni.

 - Poi vengo fino all’accademia con te – aggiunse Sasuke rivolto ad Itachi che stava uscendo con calma, a differenza di suo fratello che era già di là.

 - Va bene – rispose quello, ostentando un’indifferenza tradita dagli occhi che brillavano.

Dopo che i bambini erano uscito dalla stanza lui aveva appoggiato un vassoio sul comodino.

 - Tu riposati, ti ho portato qualcosa da mangiare –

 - Sai che odio fare la colazione a letto, e poi sarai stanco anche tu, sei tornato da poco e non hai chiuso occhio stanotte –
E magari aveva qualche ferita che le stava tenendo nascosta, non se ne sarebbe meravigliata.

 - Smettila di fare la dura, so che sei forte, non devi dimostrare niente – le fece un po’ irritato, ma lei non poteva arrabbiarsi, non con lui a casa sano e salvo.

Non aveva neppure la forza di mettersi a discutere per cui obbedì e mangiò in silenzio, anche perché tra poco sarebbero arrivati parenti e amici a vedere i gemelli, e doveva essere in forze.
Sasuke ogni tanto le accarezzava i capelli, in un gesto di affetto che la commuoveva un po’ (gli ormoni erano in pieno subbuglio), e rimase a studiarlo per qualche secondo: era stanco anche lui, si vedeva, ma non le pareva ferito, ed era assai bellino, aveva ragione la nonna, in più non era così inutile per essere un maschio.
 
 - Ero preoccupata – confessò.

 - Per un po’ rimarrò a casa, ora – le fece dandole un buffetto sulla guancia – riposati adesso, torno presto –

 - Mi fai un favore prima di uscire? Dentro la tasca interna della borsa che ho usato in ospedale c’è un biglietto, me lo porti? -

Lui si alzò ed aprì l’armadio alla ricerca della borsa, la trovò e tirò fuori il bigliettino.

 - Me lo leggi? – gli chiese.

 - C’è scritto ‘tanto amore’…che significa? –

Lei sorrise e chiuse gli occhi un momento.

 – Significa che l’amore può tutto – sussurrò - non credi? –

 - Non so – le fece scettico – Ma so che senza il tuo amore probabilmente sarei morto, o disperato, sicuramente solo –

 - Sai una cosa? – mormorò chiudendo ancora gli occhi, un po’ più a lungo – Non mi hai mai detto che mi ami –

 - E c’è bisogno di dirlo? –

 - No, non c’è – ammise lei mentre tentava di riaprire le palpebre, a fatica – basta che tu ci sia –

 - Comunque…ti amo –

 - Non suonava romantico come lo immaginavo, ma me lo farò bastare – gli replicò sorridendo, gli occhi che non si volevano proprio aprire, e forse era meglio accumulare sonno fino a quando le sue due piccole ranocchie glielo permettevano.

Sentì appena la carezza sulla guancia.

  – Sai… - bisbigliò a fatica – abbiamo messo su una bella famiglia io e te, l’amore può davvero tutto… e pensare che una volta ne ho dubitato –

E sorrise ancora, prima di arrendersi e cedere finalmente al sonno.


FINE
________________________________________________________________________________________________________________________



Questa volta ho proprio finito.

Ringrazio tutte voi che avete seguito questa storia, spero vi siate divertite (io sicuramente mi sono divertita a scriverla)…ci risentiamo presto se continuo ad essere così in vena.
Nel frattempo ho iniziato la solita lemon, quella con maschio dominante, sempre lei, ma non so proprio se riuscirò a finirla D:, il problema maggiore al momento è fare arrivare i due a quel punto.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1521070