Ribelli

di Espen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Di piani e voglia di esplorare ***
Capitolo 3: *** Di nuove conoscenze e sorprese ***
Capitolo 4: *** Di incontri segreti, monologhi interiori e nuovi arrivi ***
Capitolo 5: *** Il Vento del Nord, follie improvvise e rapporti strani ***
Capitolo 6: *** Ricordi nostalgici, mercato nero e centro d'allenamento ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


                                                                                        Prologo
Anno 2060.
Dopo la Terza Guerra Mondiale il Giappone è sotto una rigidissima dittatura.
Ogni libertà di pensiero e parola viene soppressa.
La popolazione vive nella povertà e soffre la fame, mentre il Sommo Imperatore e i suoi soldati nel lusso e ricchezza.
Tutti sono contro di lui, ma tacciono per paura della morte.
Il Giappone è avvolto dall’oscurità, ma una nuova luce sconvolgerà la vita di tutti.

Questa è la storia dei Ribelli.
 




Ogni anno, il sei marzo, inizio della dittatura a Tokio, il Comandante, capo dell’esercito e consigliere del Sommo Imperatore, teneva il solito discorso sulla fedeltà che si era portati a dare al sovrano, sul valore delle sue regole e altre cose in cui nessun cittadino credeva; ma se ne stavano tutti in silenzio, ad ascoltare e obbedire rassegnati, per paura di essere puniti.
Almeno fino a quel momento…

Due occhi glaciali osservavano dall’alto di un tetto di un palazzo vicino alla piazza il Comandante, posizionato su un piedistallo sopra un palco, montato per l’occasione. Il maxi schermo dietro di lui lo riprendeva in modo che anche l’ultima fila dell’enorme folla lo ascoltasse e vedesse.
I soldati, dotati di scudi e armi, erano posizionati in file ordinate ai piedi del palco.
Un sorriso sadico si dipinse sul volto del ragazzo.
Strinse la pistola che aveva in mano, sotto il mantello, e al segnale del suo collega prese la mira al centro del palco.
Non poteva permettersi di sbagliare, il destino del popolo giapponese dipendeva da lui.
Un goccia di sudore si formò sulla sua fronte e scesce lungo il suo viso.
Prese un respiro profondo e il suo sguardo si fece, se possibile, ancora più determinato e glaciale.
Premette sul grilletto e sparò.
Successe tutto in pochi secondi.
Il corpo del comandante cadde inerme. I volti di tutti i presenti, cittadini e soldati, erano attoniti.
E un mantello nero, con un elegante “R” ricamata sopra, risplendeva su Tokio e tutto il Giappone.

La rivolta dei Ribelli era appena iniziata.



Angolino dell'autrice suicida
Angolo autrice
Ehilà gente!
Sono di nuovo io, Ice Angel, per scassarvi le scatole farvi leggere una nuova fic.
Sì lo so, ne ho già altre tre da scrivere, ma questa idea mi martellava da qualche mese nella mente e non potevo non pubblicarla.
E sono perfettamente consapevole che tutte queste fanfiction mi porteranno al suicidio.
Passando alla storia, credo che sia la fic più impegnativa che abbia mai scritto poichè l'Azione e il Drammatico non sono molto i miei generi.
Quindi questa è una sfida contro me stessa.
Questo pseudo-capitolo era il prologo, quindi quelli che verranno saranno decisamente più lunghi.
Piccolo avvertimento: se sperate di trovare scene carine e coccolose, chiudete all'istante.
Qui ci sarà tanto sadismo (anche da parte mia è.é) tanto sangue e, probabilmente, qualche morto u.u
Ora che ho detto tutto, vi lascio.
Un abbraccio abbraccioso
Ice

P.S. per chi seguisse le mie long "Il Teppista e il bravo ragazzo" e quelle senza titolo, sappiate che non sono sospese, sono io che, a causa della scuola e della poca ispirazione, non riesco ad aggiornare ^^'''
Lo farò appena possibile.

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Capitolo 2
*** Di piani e voglia di esplorare ***


                                                                                                           Capitolo uno
                                              Di piani e voglia di esplorare

 

La notte era scesa su Tokio e la luna risplendeva  sui malandati grattacieli. I cittadini dormivano, nella città regnava il silenzio,tanto da farla sembrare quasi irreale, come in un sogno. Si udiva solo il rimbombo dei passi dei soldati che i giravano per la città armati di manganello, scudo e torcia. Da quando il Comandante era stato ucciso, due mesi prima, il Sommo Imperatore aveva dato l’ordine alle truppe militari di controllare giorno e notte, ventiquattro ore su ventiquattro, le varie provincie del Paese.                                                                                           
Sembrava tutto tranquillo, ma qualcuno si muoveva nell’ombra, ovviamente stando ben lontano dalle luci dei soldati. La mantellina nera si mimetizzava con ciò che lo circondava ed ondeggiava emettendo un lieve fruscio ad ogni suo passo.
Era veloce Shirou.
E in quel momento quella era una dote molto utile considerando che era in tremendo ritardo per la riunione. Quella era la volta buona che Hitomiko lo uccideva, se lo sentiva.
Si incanalò in un vicolo stretto e giunse davanti a quello che si definirebbe un semplice muro, ma pochi sapevano del segreto che nascondebva. Infatti bastava premere su un mattone così che comparissero delle scale. Il ragazzo scese due scalini alla volta, rischiando anche di inciampare, e finalmente arrivo nelle strade della “vecchia Tokio”.
La riunione a cui doveva andare era quella dei Ribelli, di cui lui stesso era uno dei capi. La loro sede era situata sottoterra, nelle vecchie catacombe. Ormai più nessuno se ne ricordava, o quasi. Infatti Hitomiko ne era a conoscenza grazie a dei vecchi libri di suo padre, ormai deceduto, e aveva pensato bene di creare una sede che doveva rimanere nascosta agli occhi del governo lì. Così vicini eppure così lontani dal nemico.
I passi di Shirou rimbombavano lungo quei cunicoli che formavano una specie di intricato labirinto, ma lui sapeva a memoria la strada che doveva percorrere. Dopo qualche minuto arrivò in una sala dove si trovavano una ventina di persone sedute intorno ad un lungo tavolo, alla sua estremità si trovava una ragazza dai lunghi capelli mori e gli occhi azzurri come il cielo.
-Scusate il ritardo, ragazzi.- disse l’albino andandosi a sedere sull’altro capo della tavola in modo da avere Hitomiko davanti a sé.
-Hai avuto una nottata interessante, eh Fubuki?-
-Chiudi quella boccaccia Haruya, se non vuoi beccarti una pallottola in testa.-
Kira riportò il silenzio schiarendosi la voce, bastava anche quel semplice gesto per essere ascoltata. Lei era uno dei due capi, e come tale andava rispettata.
-Ora che ci siamo tutti- e lanciò un’occhiata eloquente all’altro capo :- possiamo cominciare con il motivo per cui abbiamo convocato questa riunione. Abbiamo ricevuto delle notizie da Sapporo riguardanti un' opposizione avvenuta ieri pomeriggio. Sembra che qualcuno abbia proclamato la sua approvazione in pubblico verso il nostro gesto di due mesi fa’, o meglio verso quello che ha fatto Shirou.- infatti era stato lui, due mesi prima, ad uccidere il Comandante dichiarando una rivolta contro il Sommo Imperatore e il suo governo.
-Ed è esplosa una rivolta quindi? Era ora che in Hokkaido qualcuno si ribellasse, lì i cittadini sono in situazioni molto più miserabili delle nostre.-: disse Midorikawa. Quel ragazzo, pur avendo un aspetto dolce e benevolo, poteva diventare sadico e crudele. Era molto abile nel tiro con l’arco, imbeveva la punta delle frecce in alcuni veleni in modo da farle diventare letali, bastava anche solo toccarle per morire intossicati. Odiava le ingiustie e forse era per quello che si era unito ai Ribelli. Perché una dittatura non è mai giusta.
-Capite che ascendente abbiamo sulle persone? Stiamo accendendo nei loro cuori lo spirito della rivolta, credo che sia giunto il momento di uscire allo scoperto, purtroppo non abbiamo idea di come fare senza rimetterci la pelle, se qualcuno ha qualche proposta parli.- terminò Hitomiko guardando negli occhi tutti i presenti. Dopo che Fubuki aveva ucciso il Comandante, i Ribelli non si erano più fatti vedere a causa della stretta sorveglianza che aveva subito imposto il Sommo Imperatore.
-Potremmo andare in piazza e spiegare chi siamo, no?- propose Nagumo, detto Burn, con i piedi sulla tavola e quel ghigno menefreghista perennemente stampato sul volto.
-Questo è il modo più rapido per farsi ammazzare Haruya.-. Shirou era l’unico che lo chiamava per nome, forse perché lo considerava un rivale. Quei due erano in eterna sfida, forti e veloci uguali, ma Fubuki sapeva di essere il migliore –non sappiamo quanti soldati ci siano in piazza, se uno di noi si mettesse ad urlare contro il governo verrebbe sparato subito, senza nemmeno il tempo di reagire.-.
L’albino sorrise lievemente nel constatare l’irritazione di Burn, era risaputo da tutti quanto odiasse avere torto.
Passarono alcuni minuti di silenzio, poi Hitomiko si alzò e proclamò la fine della riunione aggiungendo che se qualcuno aveva qualche idea poteva contattare lei o Shirou in qualsiasi momento.
 
I Ribelli facevano parte del popolo, avevano una vita normale e un lavoro mal pagato, come tutti. In questo modo non davano nell’occhio. Kiburn, per esempio, era la postina di un quartiere di Tokio. Non riceveva molto, ma almeno aveva una moto datale dal governo. Hiroto e Midorikawa, come molti altri, lavoravano in una fabbrica. La loro vita era dura, perché lavoravano otto o dieci ore, dipendeva dal volere del Sommo Imperatore, ma ricevevano uno stipendio misero con cui faticavano a pagare tutte le bollette e procurarsi da mangiare.
Non esisteva la proprietà privata, tutto era del Sommo Imperatore. Perfino chi aveva un negozio suo in centro, come Shirou che possedeva una piccola panetteria, era tenuto a dare, ogni mese, al governo una somma di denaro ricavata dai suoi guadagni ( non contando anche tutte le altre spese e bollette). Quella era una vera ingiustizia, ma chi aveva il coraggio di andare contro la legge? Le regole parlavano chiaro: se qualcuno disobbediva al governo pagava con la vita.
Shirou ci stava riflettendo proprio in quel momento, dietro il bancone del suo piccolo negozio. Se in quel momento sarebbero venuti allo scoperto, probabilmente nessuno li avrebbe aiutati. Il popolo, a Tokio, aveva ancora troppa paura. Ad un tratto sentì la porta del negozio aprirsi e chiudersi subito dopo con un leggero tonfo, era entrato un cliente. 
-Ciao Ichinose.-
Lo conosceva bene, quell’uomo abitava con la moglie Aki lì vicino e veniva a prendere il pane ogni giorno.
-Ti porto il tuo solito pane, come stanno Aki e Midori?-: domandò l’albino mentre gli consegnava un sacchetto con dentro due pagnotte di pane. Il ragazzo si soffermò per qualche secondo ad osservare il volto del cliente; era stanco e rassegnato, gli occhi stavano perdendo lucentezza e per la prima volta da quando lavorava lì, ed era già qualche anno, si rese conto di come la tirannia stava rovinando le persone. Tutti avevano perso la speranza.
-Come sempre, Aki è stanca e Midori gira per la città dalla mattina alla sera perché non possiamo permetterci di mandarla a scuola. Sai, vorrei tornare in America e rifarmi una vita là con la mia famiglia.-
-Lo sai meglio di me che Lui non lo permetterà.- il tono di Shirou era rimasto neutrale. Era risaputo da tutti che, grazie ad una legge istituita dal Sommo Imperatore, nessuno poteva andare via o venire in Giappone. Lo stato era isolato dal resto del mondo, sia geograficamente che economicamente.
-Ci vorrebbe una bella rivoluzione, sono stanco di vivere così. Mi chiedo che fine abbia fatto quel ragazzo di due mesi fa’, ricordi Shirou? Quello che ha sparato al Comandante?-
Una scintilla di curiosità attraverso gli occhi azzurri del proprietario e, senza accorgersene, si sporse lievemente dal bancone e rispose a Kazuya, mantenendo sempre quella neutralità e freddezza che lo caratterizzavano:- Come dimenticarlo, ma se lui tornasse, tu lo appoggeresti? Andresti contro il governo per reclamare la tua libertà?-
Il castano rimase sorpreso dalle domande dell’amico e scorse nei suoi occhi una strana luce, mai vista prima. Lasciò le monete sul bancone e si diresse verso l’uscita, solo quando fu davanti alla malandata porta di legno gli rispose:- Ti dico soltanto che quando ho visto il Comandante cadere a terra ho ricominciato a sperare.-
E nell’udire quelle parole a Fubuki venne un’illuminazione.
 
 
La reggia del Sommo Imperatore era situata su una collinetta fuori dal centro di Tokio. Sembrava uno di quei castelli che vengono descritti nelle fiabe, dove c’è la bellissima principessa e il suo principe.
Peccato che non fosse realmente così. Ci vivevano soltanto il Sommo Imperatore e i suoi consiglieri con la famiglia. Loro, al contrario del popolo, stavano benissimo e facevano la bella vita. I loro figli  non erano mai stati visti dalla popolazione, nessuno conosceva il loro aspetto o la loro età. Restavano sempre dentro l’enorme castello, protetti dalle quattro imponenti mura che lo circondavano.
Atsuya se ne rendeva conto solo in quel momento, seduto su uno dei rami della quercia più bella della reggia. Non aveva mai visto Tokio e il Giappone, non sapeva come vivevano i cittadini. Suo padre e il Sommo Imperatore, Reiji Kageyama, ne parlavano come un luogo pericoloso, dove servivano costantemente truppe di soldati per riportare l’ordine. L’albino, però, sentiva che c’era qualcosa che non gli dicevano. Non sapeva dare un nome a quella sensazione, ma aveva l’impressione che gli stessero nascondendo qualcosa.
E poi c’era quello strano desiderio di uscire da quelle mura, di esplorare il Giappone e tutto il resto del mondo. Più di una volta aveva avuto la tentazione di provare a scappare, oltre quelle mura enormi. Sentiva di non appartenere a quel posto, c’era come una vocina nella sua testa che gli ripeteva di fuggire via, di andarsene lontano e non tornare mai più. Faceva anche dei sogni strani ultimamente, e la cosa lo inquietava parecchio.

 

Urla.
Volti di persone che corrono da tutte le parti.
Rumore di spari.

C’è silenzio.
È un silenzio strano, inquietante.
Hai paura.
Un uomo si avvicina a te,
non riesci a scorgere il suo volto, ma ti sembra familiare.
Poi la scena cambia.
Sei ad un discorso in Piazza, più precisamente quello del sei marzo.

Il sei marzo 2060.
Sai già cosa accadrà.
Il Comandante parla e all’improvviso cade a terra.
Alzi lo sguardo sul tetto di un palazzo vicino
E tutto ciò che vedi sono due occhi grigi.

 

-Ehi Atsuya! Che ci fai su quell’albero? Scendi!-
Una voce allegra fece uscire Atsuya da quello strano stato di trans in cui si trovava.  Volse lo sguardo in basso, verso l’erba del giardino, e trovò due occhi cremisi guardarlo.
Sorrise leggermente nello scorgere la figura di Afuro Terumi osservarlo.
-Adesso arrivo.- gli urlò di rimando, saltando agilmente giù dalla quercia. Afuro era il secondogenito di Kageyama, ma non assomigliava per niente al padre. Aveva un paio di anni in meno di lui, ma sembrava molto più piccolo. A volte si comportava come un bambino viziato, voleva tutto e subito; in compenso Afuro era spensierato, solare e molto allegro.
A volte Atsuya si domandava come faceva ad essere il suo migliore amico. Insomma lui era un ragazzo abbastanza solitario e, a volte, un po’ arrogante, almeno era quello che pensava la servitù su di lui.
Forse è vero che gli opposti si attraggono…
Si ritrovò a pensare Atsuya guardando il suo migliore amico che gli stava dicendo qualcosa.
-Senti Afuro, tu hai mai pensato a cosa ci può essere fuori da queste mura?- gli chiese finchè stavano passeggiando nell’ enorme giardino della reggia.
Il biondo inarcò il sopracciglio e lo guardò con aria confusa:-Che intendi dire?-
L’altro si fermò di colpo e guardò i fili d’erba che brillavano al sole, un sorriso malinconico si dipinse sul suo volto.
-Non hai mai desiderato vedere Tokio o addirittura tutto il Giappone? Non sei stanco di essere rinchiuso qui dentro?-
A quelle parole Terumi spalancò gli occhi e la bocca, dopo quel discorso ne era sicuro: il suo migliore amico era impazzito.
-Che stai dicendo?- gli urlò contro –Non si può andare fuori, è pericoloso! Mio padre ce lo ripete sempre!-
L’altro ragazzo gli mostrò semplicemente un sorriso ironico.
-Troppo pericoloso dici? Per me non è vero, io sono maggiorenne e tu sei abbastanza grande per badare a te stesso, non siamo più bambini. Kageyama ci nasconde qualcosa, me lo sento. Potremmo scappare, solo per un giorno, giusto per vedere Tokio, che ne dici?- in quel momento gli occhi di Atsuya brillavano di una luce strana, che il biondo non aveva mia visto sul suo volto. Non seppe mai dire se fu quello o qualcos’altro a fargli rispondere con un abbastanza convinto.



Angolino dell'autrice sclerata
Credo di aver trovato un nome per il mio angolino, ma questo non vi interessa.
Allora ecco qui l'attessisimo (?) primo capitolo di questa mia long.
Devo dire che mi avete piacevolmente sorpresa, insomma non credevo che questa fic diventasse così seguita.
Quindi ci tengo a ringraziare chi la messa tra le preferite/ricordate/seguite e chi ha recensito ^^
Qui si scoprono i due protagonisti principali della fic: Atsuya e Shirou.
Parlando di quest'ultimo sappiate che sarà un bastardo sadico e anche un po' stronzo qui.
Ed è stato lui a sparare al comandante nel prologo.
Infine vorrei fare un piccolo chiarimento: i Ribelli sono una minoranza segreta che è stata creata un paio di anni prima di questa narrazione.
I loro membri sono pochi e segreti al popolo.
Per adesso si consoscono solo Shirou, Hitomiko (che sono i due "capi"), Hiroto, Midorikawa, Haruya e Kiburn.
Gli altri verrano fuori nel corso della long, forse neanche tutti, solo quelli più importanti.
Bene...detto questo vi lascio!
Un abbraccio abbraccioso
Ice Angel

  

 
 
  
 
 

 

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Capitolo 3
*** Di nuove conoscenze e sorprese ***


 Capitolo due
Di nuove conoscenze e sorprese
La notte era giunta su Tokio e, finchè tutti dormivano, i Ribelli decidevano quali passi compiere per raggiungere la libertà.
Avevano indetto un’altra riunione e si erano radunati di nuovo nelle catacombe. Sembrava che Shirou avesse un piano.
-Quindi è questa la tua idea? Sei cosciente che è una cosa molto pericolosa da fare? Potresti rimetterci la vita.-
Hitomiko era molto saggia e sveglia, diceva sempre le cose come stavano, ma con una diplomazia impeccabile. Forse era per questo che era diventata una dei Capi.
-Ne sono perfettamente consapevole, ma preferisco morire lottando per qualcosa in cui credo che morire di fame sotto un’oppressione. E poi tutti noi sappiamo che alcuni non ce la faranno. Ma il loro sacrificio non sarà inutile, se vivremo in un Paese libero.-
Nello sguardo di Shirou si poteva percepire tutta la sua volontà, la voglia di cambiare e il coraggio. Lo stesso che lo aveva spinto ad andare contro tutto e tutti, creare i Ribelli  e proclamare una rivolta. In quegli occhi grigi c’era un luccichio strano, che aveva convinto venti persone a seguire quella sua pazza e quasi impossibile idea.
Tutti i presenti lo guardarono in un muto assenso, erano pronti.
L’idea di Fubuki consisteva nel difendere i cittadini in modo da guadagnarsi la loro fiducia e appoggio. Spesso i soldati incaricati di proteggere la popolazione approfittavano del loro ruolo, quasi ogni giorno si sentiva parlare di violenze e abusi.
Il Sommo Imperatore non aveva mai fatto niente per fermare ciò; i soldati, nella gerarchia sociale, erano superiore ai comuni cittadini e andavano rispettati, avevano il libero arbitrio su chi era inferiore.
Il Piano di Shirou consisteva nel fermare questo. Voleva bloccare i soldati ogni volta che vedevano qualche abuso. Sarebbero diventati delle specie di protettori del popolo. Ovviamente non potevano farsi riconoscere, come minimo il Sommo Imperatore sarebbe venuto a prenderli e li avrebbe condannati alla morte. Avrebbero nascosto il loro volto con alcune maschere veneziane. Hera, che lavorava nel negozio di abbigliamento della madre, avrebbe procurato tutto il necessario.
La Rivoluzione stava davvero per iniziare.
 
 
Atsuya era appoggiato all’umida parete dei sottoranei, le braccia conserte e gli occhi chiusi. Quel posto gli era sempre piaciuto, era silenzioso e sembrava essere avvolto da un alone di mistero.
Effettivamente qualcosa di nascosto c’era: un passaggio sotteraneo che aveva scoperto Afuro qualche mese prima. Non lo aveva mai percorso, principalmente per paura, ma era quasi sicuro che portasse in città. Appena lo aveva saputo, Atsuya aveva deciso di andarci la mattina seguente, finalmente avrebbero visto Tokio.
-Scusa il ritardo Atsu-kun, ci ho messo un po’ di tempo per evitare tutti i servi che girano per il castello.-
Davanti a lui si presentò Afuro, avvolto da una mantellina scarlatta come la sua, il cappuccio, calato sulla testa, faceva intravedere gli occhi cremisi e quel ciuffo biondo che aveva sempre davanti al viso. Lui, al contrario dell’amico, non era molto entusiasta di quella trasgrezione. Infondo le regole erano state fatte per proteggere le persone, pertanto bisognava rispettarle. Almeno era quello che gli ripeteva sempre suo padre.
Di fronte ad Atsuya, però, non era riuscito a rifiutare. Forse era colpa della sicurezza che mostrava, lui aveva molto carisma. Riusciva sempre a rigirare le cose a suo favore. Inoltre Afuro si fidava ciecamente di lui.
In fondo, cos’è un amicizia senza fiducia?
Sapeva che Atsuya lo avrebbe protetto, in qualsiasi circostanza.
 
Era da quasi mezz’ora che camminavano lungo quel tunnel stretto e buio. La torcia dell’albino illuminava il terreno fangoso sul quale camminvano, in modo da non inciampare.
-Uff! Ma quanto manca alla fine? È da tantissimo tempo che camminiamo senza aver trovato nulla!-
Atsuya sbuffò dopo l’ennesima lamentela dell’amico, odiava quando si comportava come un bambino viziato, facendo esaurire la sua scarsa pazienza.
-Sarà passato solo un quarto d’ora, smettila di frignare e continua a camminare, lamentarti non serve a nulla.- quasi ringhiò le ultime parole e Afuro si zittì… per ricominciare dieci minuti dopo.
A fermare l’istinto omicida di Atsuya fu un qualcosa di indistinto infondo a quell’immenso corridoio. Il ragazzo lo illuminò con la torcia e sorrise felice nel constatare che era una porta.
Ci fu un istante di assoluto silenzio, i due ragazzi avevano addirittura smesso di respirare.
-Atsu-kun?
-Mh?
-Secondo te quella è-
-.
Subito i due ragazzi corsero emoziati verso quella porta, quel passaggio che portava sul mondo.
 
 
Shirou alzò lo sguardo dal giornale che stava leggendo quando sentì la porta del negozio aprirsi. Tra tutte le persone che potevano varcare quella soglia, lui era l’ultimo che si aspettava di vedere.
Occhi come la notte e pelle caramellata, Shuu si era seduto sul vecchio pavimento di legno (il negozio era privo di sedie o tavoli) e lo guardava aspettandosi la fatidica domanda.
-Cosa ci fai tu qui?
Appunto.
Il ragazzino mostrò un sorrisetto furbo e, allungando le gambe per stare più comodo, disse:- I ragazzi sono tutti impegnati, così ho deciso di venire qui, non sei contento Shi-chan?-
Shirou stentava a credere che il ragazzino che stava guardando in quel momento fosse lo stesso trovato due anni prima sotto un ponte insieme alla sorellina di sei anni. Non aveva mai capito per quale assurdo motivo li avesse accolti in casa sua, forse gli ricordavano lui durante la sua infanzia, quando viveva ancora in Hokkaido. Li aveva dato vitto e alloggio a una condizione: non dovevano mai disturbarlo durante il lavoro e, ovviamente, Shuu non la rispettava. Era un ragazzo ribelle, il cui unico desiderio era essere libero. E sapeva che Shirou non li avrebbe mai rimandati sulla strada, infondo provava affetto per loro.
I Ribelli erano nati per i giovani come lui, con sogni nella testa e un futuro ancora da scrivere.
-Tu non puoi stare qui. E non chiamarmi Shi-chan, mi irrita.-
Il tono che aveva usato l’albino potevano spaventare chiunque per la fredezza e l’irritazione, ma Shuu non era “chiunque”.
Il moro infatti, come se non avesse sentito, si avvicinò al bancone e sporse il busto in avanti, per vedere cosa stava leggendo l’altro. Ormai era abituato alla fredezza dell’albino.
-Quello è il giornale di Taiyo, giusto?-
Il diciannovenne si limitò ad annuire leggermente.
A Tokio, come probabilmente in tutto il Giappone, venivano venduti due giornali: uno era quello approvato dal Sommo Imperatore, che conteneva articoli falsi, dove si parlare del sovrano quasi fosse una divinità gentile e generosa; l’altro era venduto al mercato nero, costava un po’ di più dell’altro, ma dava informazioni vere sulla vita orrenda delle persone, sulle continue violenze che venivano fatte sui giovani e, da qualche tempo, trattava delle rivolte in Hokkaido.
Si trovavano in luoghi segreti ai soldati, Shirou il suo l’aveva preso da Taiyo, amico di Shuu, che li vendeva in una vecchia casa abbandonata un po’ fuori dal centro di Tokio.
-Quando hai finito me lo fai leggere?-
Il diciannovenne sbuffò dopo l’ennesima domanda del ragazzino.
-Shuu sta zitto o ti mando fuori a calci.-
 
Afuro non si sarebbe mai immaginato Tokio in quello stato. Certo, sapeva che il popolo era meno ricchio della sua famiglia, ma lì si parlava di povertà vera e propria. Molte case e condomini avevano l’intonaco scrostato, i piccoli giardini sembravano incolti da anni e in certe case al posto di alcune finestre o porte d’entrata c’erano dei buchi rettangolari, dei ladri potevano entrare facilmente. La cosa che lo aveva lasciato davvero senza parole erano i volti delle persone che camminavano sulle strade rovinate: erano tristi e rassegnati, sembrava che non ci fosse felicità.
Sicuramente suo padre non ne era al corrente, altrimenti avrebbe fatto qualcosa, doveva essere così.
Era talmente perso nei suoi pensieri da non accorgersi che si era allontanato da Atsuya e ritrovarlo in mezzo a tutta quella folla era impossibile. Subito gli prese il panico, che avrebbe fatto da solo in una città sconosciuta? Non sapeva dove andare o cosa fare!
Atsuya gli aveva detto che se si fosse perso sarebbe dovuto andare davanti al passaggio segreto che li aveva condotti lì, solo che non ricordava più dove si trovava. Non aveva mai avuto senso dell’orientamento, spesso si perdeva tra le numerose stanze della sua casa.
Stava per scoppiare a piangere in mezzo alla piazza quando un negozio attirò la sua attenzione. Era piccolo, ma gli abiti esposti nella modesta vetrina erano davvero belli, nemmeno i sarti di corte ne avevano fatti di così fantastici. Si mosse quasi meccanicamente verso la porticina di legno, come sotto incantesimo.
 
Dall’interno sembrava ancora più piccolo, ma i pochi vestiti esposti attirarono subito la sua attenzione, in special modo un completo messo in mostra su un manichino al centro della stanza: giacca in pelle rossa, maglietta bianca e jeans scuri, un abbinamento semplice e meraviglioso. Ne era talmente ipnotizato che non si accorse degli scatoloni davanti a lui e vi inciampò, cadendo rovinosamente a terra e rovesciando tutto il loro contenuto sul pavimento polveroso.
-Ehi ragazzina attenta a dove metti i piedi! Guarda che hai combinato!-
Davanti a sé comparve un ragazzo, probabilmente di due o tre anni più grande di lui, con i capelli marroni lunghi fino alle spalle e due occhi grigi che sembravano scavarti l’anima, aveva una cicatrice sulla fronte e Afuro si chiese come se l’era procurata, il taglio doveva essere stato molto profondo. Poi si rese conto di quello che gli aveva detto e subito scattò in piedi adirato.
Assurdo, lo aveva scambiato per una femmina…
-Guarda che io sono un ragazzo! Come hai osato pensare il contrario?!-
Il castano lo guardò prima in faccia e poi scese con lo sguardo un po’ più giù, sul petto. Afuro si sentiva fortemente a disagio sotto quegli occhi grigi e profondi, tanto che arrossì leggermente. Nel frattempo l’altro era ritornato a guardarlo in faccia per dire un atono:- Mh. Scusami, non ti avevo visto in faccia e per via della tua capigliatura ti avevo scambiato per una ragazza.-
 Il castano si inginnocchiò tranquillamente sul pavimento cominciando a raccattare i vestiti sparsi e rimetterli malamente nelle scatole, infondo ai clienti non importava granchè che fossero spiegazzati, bastava avere qualcosa addosso. Il biondo nel frattempo era rimasto pietrificato, nessuno aveva mai fatto un commento sui suoi capelli. Si prese in mano una ciocca color grano e la guardò dubbioso, cosa avevano che non andava?
Pose il quesito al ragazzo e lui, alzando di poco lo sguardo gli disse semplicemente:-Hai i capelli molto lunghi.
-E con questo?-
-Sono da femmina.-
Il volto del più piccolo si dipinse di un rosso vivido, gli capitava sempre quando si arrabbiava. Atsuya lo prendeva sempre in giro per quello chiamandolo “Campanellino” come la fatina di Peter Pan, una vecchia fiaba che sua madre li raccontava sempre. Ripensò per un attimo a quei momenti con molta nostalgia. Le mancava molto, se ne era andata di casa dieci anni fa’, improvvisamente, durante la notte.
-Stavi guardando quel completo giusto? Cosa ti interessa, la giacca, la maglia o i jeans?- il commesso lo ridestò dai suoi tristi pensieri, aveva finito di rimettere in ordine e lo stava scrutando, come per capire a cosa pensasse. Quegli occhi gli mettevano soggezione, sembravano trapassargli l’anima.
-Beh…tutto.- rispose Afuro con semplicità.
-Tutto?- ripetè l’altro guardandolo incredulo:- hai idea di quanto costa?-.
Si chinò ai piedi del completo raccogliendo un pezzo di carta rettangolare abbastanza grande, sopra c’erano scritti i prezzi dei singoli prodotti e il totale. Glielo diede in mano indicandogli il prezzo più alto. Nessuno a Tokio poteva permetterselo, ma sua madre non poteva abbassare molto i prezzi, infondo anche loro avevano delle tasse da pagare. Hera scrutò quel volto, aspettandosi di vederlo sorpreso; invece il ragazzino non cambiò espressione, semplicemente prese, dalla borsa a traccola che aveva con sé, i soldi mostrandoglieli.
I suoi occhi grigi si spalancarono meravagliati, con tutto quel denaro sarebbe riuscito ad arrivare a fine mese tranquillamente.
Chi diamine era quel ragazzino?
Ora che ci pensava, non lo aveva mai visto a Tokio e non sembrava appartenerci. Lo si poteva notare anche fisicamente: era bello, non che gli abitanti della sua città non lo fossero, anzi; ma la sua era un bellezza diversa. Il suo viso, le sue espressioni, non erano segnate dalla sofferenza e dal dolore, come quelle di tutte le persone che lo circondavano: erano pure, come quelle di un bambino o di un angelo.
Sì, sembrava decisamente un piccolo angelo biondo.  E poi aveva molti soldi, che nessuna persona normale possedeva. Hera giunse alla conclusione che quel ragazzino misterioso fosse il figlio o parente di qualche capo d’azienda, ma non gli importava molto se aveva soldi da spendere. Tanto, grazie ai Ribelli, non ci sarebbero più state quelle differenze, nessuno avrebbe più patito la fame mentre poche persone avevano tutte le prelibatezze del mondo sulla tavola.
Non ci sarebbero più state ingiustizie.
-Allora ti porto i vestiti così te li provi, che taglia porti?- Hera riemerse dai suoi pensieri cercando di concentrarsi sul suo lavoro.
Afuro non sapeva cosa rispondere, tutti i suoi capi erano fatti su misura dalle sarte di corte. Non si era mai posto il problema e questo lo metteva in imbarazzo, tanto che era sicuro di essere arrosito. Tuttavia il ragazzo sembrò comprendere la sua difficoltà e, solo per pochi secondi, sul suo viso comparve un sorriso beffardo. Poi lo riguardò per proclamare:- Mh, sei abbastanza mingherlino, credo che una S ti vada bene.-
 
Hera rimase incantato quando il ragazzino uscì dal camerino, un vecchio ripostiglio con una tenda al posto della porta, con addosso gli abiti richiesti. La giacca rossa si intonava ai suoi occhi, mentre i jeans aderenti li fasciavano elegantemente le gambe. Se lo avesse visto per strada, quasi sicuramente ci avrebbe provato.
Ma l’altro era un figlio papà, avrebbe sicuramente rifiutato le avance di uno sporco cittadino comune.
Il biondino aveva un bel corpo, e quegli abiti lo faceva risaltare benissimo. Sembrava essersene accorto pure lui, dato che si stava guardando, o meglio adorando allo specchio riempendosi di complimenti.
Tsk, vanitoso.
-Direi che lo compro, mi sta davvero bene!- esclamò il ragazzino prima di sparire di nuovo nel camerino. Tornò poco dopo con addosso una mantellina rossa e i soldi in mano, con l’altra teneva i nuovi acquisti.
-Ecco, tieni i soldi. Hai una bustina per i vestiti?-
Hera rise amaramente alla domanda del suo cliente rispondendogli:-Vorrei dirti di sì, ma i soldi scarseggiano quindi abbiamo tagliato alcune cose superflue, tra cui le buste.-
Afuro rimase molto sorpreso all’affermazione del commesso, la situazione doveva essere più grave del previsto.
Perché mio padre permette tutto questo?
Quella domanda apparve improvvisamente  nella sua mente e ci mise un po’ per farla sparire. C’era una spiegazione assolutamente logica per tutta quella povertà, doveva esserci.
-Ah. Allora niente, spero di ritornare qui!
Lo disse con una nota di amarezza nella voce, perché sapeva di non poter tornare, era meglio non contravvenire troppe volte alle regole del padre.
Afuro si diresse così verso l’uscita del negozio, col’intenzione di ritrovare Atsuya, sicuramente era molto preoccupato per lui. Ma, finchè stava appoggiando la mano sulla maniglia della porta, sentì la voce del comesso chiamarlo:- Ehi aspetta! Come ti chiami?-
-Afuro… Terumi. Tu?- adoperò il cognome della madre*, nessuno doveva sapere la sua identità.
-Hera, Hera Tadashi.
 
Avrebbe dovuto immaginarlo che sarebbe finita così.
In fondo conosceva Afuro, sapeva che aveva sempre la testa fra le nuvole. Era bastato volgere, per un momento, lo sguardo sulla folla in piazza che lui era sparito, non riusciva più a vederlo.
Sbuffò scocciato, sperando che l’amico non si fosse cacciato in qualche guaio. Se la loro vera identità si fosse scoperta, sarebbero successi enormi casini.
No, non poteva permettere che accadesse.
Con i suoi occhi grigi continuò a cercare una testolina bionda, ma la sua attenzione fu subito attirata dal rombo di un motore. Un camioncino nero si fermò nell’ampia piazza. Era la prima volta, da quando era a Tokio, che vedeva un veicolo. Sembrava che in quella città ne fossero privi, evidentemente si sbagliava. Tuttavia quel camion gli dava uno strano senso di inquietudine, soprattutto quando ne uscirono una decina di uomini. Atsuya li riconobbe subito: erano i soldati del Sommo Imperatore. Il centro di addestramento si trovavano vicino al castello e quando si arrampicava sugli alberi riusciva a vederlo. Ogni quattro ore partivano dei camion diretti in terre a lui sconosciute, almeno fino a quel momento.
Erano alquanto ambiqui in quel contesto, vestiti completamente di nero e armati di scudo e manganello, nella cintura un paio di pistole. Il popolo non sembrava stupito di vederli, tuttavia cercavano di starli il più lontano possibile, qualcuno lanciava di sfuggita un’occhiata seccata o impaurita.  Parlottarono tra loro e cominciaro a camminare, o meglio marciare, per la strada. Atsuya capì subito che si trattava di un turno di guardia, suo padre ne aveva parlato durante una delle sue lezioni private: Kageyama, per proteggere il popolo dai numerosi malviventi, aveva organizzato delle pattuglie che assicurassero la giustizia nella capitale. In quel momento, però, gli sembravano terribilmente sbagliati.
Dove i soldati passavano si creava un varco, si vedeva benissimo che il popolo aveva paura di loro e la cosa che lo disgustava di più era che i soldati sembravano coderci in quell’atteggiamento. Loro non avrebbero dovuto rassicurare il popolo invece di terrorizarlo? Non dovrebbero mescolarsi con loro in modo da avere la loro fiducia, essere umili e non superiori?
Più stava in quel posto, più tutti gli insegnamenti che aveva appresso nel corso della vita gli sembravano totalmente falsi.
Un urlo femminile lo ridestò dai suoi pensieri.
-Si può sapere che volevi fare sporca ladra?-
Cinque soldati avevano circondato una ragazzina, di circa dodici anni, e uno di questi la teneva per il polso urlandole contro. Da quel che aveva capito la ragazza aveva rubato una mela ed era stata scoperta.
-I miei genitori non hanno il l-lavoro… e io devo portare qualcosa ai miei fratelli!- tentò di giustificarsi lei.
Atsuya rimase sconvolto da quelle parole, l’ennesimo insegnanemento sgretolato. Fin da piccolo gli dicevano che Tokio, nonostante tutto, fosse una città dove si viveva bene, le persone lavoravano ed erano felici.
Bugie.
Sul volto del soldato comparve un sorriso languido e alcuni suoi compari sghignazzarono.
-Allora che ne dici di pagarci in natura, puttanella?-
L’albino si congelò sul posto nel vedere gli occhi della ragazzina pieni di terrore e disperazione, e quella parola rimbonbava continuamente nella sua testa.
Bugie.
Era una cantilena fastidiosa, una neina asfisiante che si imprimeva come inchiostro su carta nella sua mente.
Bugie.
Per la prima volta nella sua vita non sapeva cosa fare, era completamente paralizzato dallo shock. Per anni aveva immaginato cosa ci fosse oltre quelle mura enormi, che sembravano volerlo rinchiudere in una prigione d’oro.
Era davvero quella la libertà? Povertà e abusi in ogni dove?
Pregò mentalmente affinchè quella ragazza si salvasse e gettò qualche occhiata alle persone nella piazza, ma nessuno sembrava volerla aiutare.
Continuavano a camminare, testa bassa e sguardo sulle scarpe, ma si poteva leggere la paura sui loro volti.
Bugie.
Atsuya, mosso da qualcosa che non riusciva a definire, corse verso quei soldati, doveva salvare quella innocente vittima. Non stava pensando alle conseguenze che avrebbe portato il suo gesto e nemmeno che avrebbe potuto farsi molto male, sapeva solo che era la cosa giusta da fare.
Qualcuno evidentemente ebbe la sua stessa idea e lo anticipò. Una freccia, comparsa dal nulla, infilzò la carne del collo del soldato, e questo cadde a terra inerme lasciando il polso della ragazza. Nemmeno il tempo di capire cosa fosse successo, che anche gli altri quattro caddero al suolo, uno dopo l’altro, uccisi da una freccia.
Tutti, in quell’enorme piazza, si fermarono.
Qualcuno aveva osato sfidare la legge.
E proprio quel qualcuno guardava dall’alto di un tetto di un palazzo la sua opera, il cappuccio nero ben calato in testa e l’arco in una mano.
Un sorriso sadico si dipinse sul volto.
Il primo passo era stato fatto.



*= ricordo che nella fic Afuro è il figlio di Kageyama, pertanto il suo cognome non è Terumi, ma, appunto, Kageyama.

Angolino pazzoide dell'autrice sclerata
Ehi gente!
Come potete vedere sono ancora viva.
Non sapete quanto mi dispiace aggiornare così di rado, ma ho troppe cose da studiare D:
In questi mesi mi sono data da fare per recuperare le materie insufficienti e quindi non ho avuto molto tempo per scrivere ^^
Ma questo a voi non interessa
Spero soltanto che questo capitolo non abbia deluso le vostre aspettative, onestamente è stata dura scriverlo, dato che è la cosa più lunga che abbia mai partorito!
Per il resto non ho molto da dire...
peace&love e viva lo yaoi!
Un abbraccio abbraccioso a tutti quelli che seguono questa cosa
Angy-chan




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Capitolo 4
*** Di incontri segreti, monologhi interiori e nuovi arrivi ***


           

                                                                                Capitolo tre

                                                         Di incontri segreti, monologhi interiori e nuovi arrivi

Shuu amava andare sul suo skateboard.
Era stato il regalo di Shirou per il suo undicesimo compleanno, le rotelle erano viola come lo strano disegno, probabilmente un drago (non stava mai particolarmente attento ai dettagli), sulla tavola nera.
Lo adoperava ogni pomeriggio per sfrecciare veloce tra le affolate strade di Tokio, il vento che gli scompigliava i capelli e la leggera brezza sul viso gli dava una fantastica sensazione di libertà. La stessa di cui era stato privato fin dalla nascita.
Sorrise nello scorgere, appena fuori dal centro cittadino, la vecchia villa abbandonata.
Spinse il vecchio e arruginito cancello di ferro battuto, la serratura era rotta da anni; con lo skate in mano percorse la stradella di ghiaia che portava all’entrata dell’abitazione. Doveva essere stata bella ed elegante in passato, mentre ora ciò che ne rimaneva erano solamente delle mura scrostate e dei vetri rotti.
Tuttavia quello era il luogo perfetto per nascondersi dalle orecchie fastidiose dei soldati. Infatti era già da qualche anno che Shuu e i suoi amici si ritrovavano lì per parlare liberamente.
Appena spinta la pesante porta d’entrata, vide i suoi amici seduti in cerchio sul polveroso pavimento di quello che, anticamente, era il corridoio che portava alla sala da ballo. La compagnia era composta da ragazzi tra i dodici e i sedici anni.
-Ciao Shuu! Vieni a sederti, stavamo parlando di quello che è accaduto questo pomeriggio ad Aoi!- esordì Tenma, con quel tono entusiasta che lo caratterizzava  e che stonava leggermente in quel contesto e, in generale, nella vita a Tokio.
Dopo aver ricambiato il saluto si sedette tra Hakuryuu e Kyosuke, di fronte vi si trovava Aoi, alla quale chiese:- Stai bene?-.
La ragazzina si limitò ad annuire, tutti sapevano che era molto sensibile e aveva paura che quell’avvenimento l’avesse sconvolta.
-Sono cose che succedono.- mormorò, la voce bassa e supplichevole che faceva capire il suo vero stato d’animo; però quello appena detto era vero: molestie e strupi erano avvenimenti molto frequenti in città, Aoi era stata fortunata ad essere stata salvata da un eroe misterioso.
-Certo che anche tu potevi stare un po’ più attenta!- la rimproverò Midori, il tono deciso ma allo stesso tempo dolce.
-Tsk, non è stata colpa sua. Quei bastardi hanno occhi e orecchie dappertutto.-
Tra tutti Masaki Kariya era quello che più odiava i soldati, in giro si diceva che alcuni di loro gli avessero amazzato la famiglia. Aveva frequantato l’orfanotrofio Sun Garden per un anno e dopo la sua chiusura era stato accolto da Hiroto e Midorikawa.
Shuu volse lo sguardo verso Hakuryuu che aveva assunto un’espressione pensante.
C’è qualcosa che non va Haku-chan?-
Soltanto Shuu poteva chiamarlo in quel modo, nessuno, eccetto loro due, ne sapeva il motivo, ma si pensava che fosse a causa della loro amicizia cominciata nell’infanzia.
All’improvisso tutti cessarono di parlare e guardarono l’albino, eletto come una specie di “capo”. Era il più grande del gruppo, aveva più esperienza su ciò che riguardava la vita cittadina e conosceva quasi tutti i segreti del furto. Il suo passato e tutto ciò riguardante la sua famiglia era celato a tutti, eccetto Shuu, che comunque era restio a parlarne.
Hakuryuu rimase per qualche secondo in silenzio, gli occhi persi nel vuoto. Poi emise un lieve sussuro, come se stesse parlando tra sé e non ad altre sei persone.
-Mi chiedo chi sia stato ad uccidere i soldati.-
Posò lo sguardo sugli occhi attenti dei compagni e continuò il suo discorso.
-Anch’io ero in Piazza quando è successo, quelle frecce sono state lanciate con molta precisione, solo un professionista può fare una cosa del genere.-
Era proibito dal governo tenere ogni tipo di armi in casa o praticare sport ritenuti “pericolosi”, tra questi c’era il tiro con l’arco, per cui era strano che un cittadino fosse molto abile in quello sport.
-L’eroe ha scoccato le frecce dal tetto del palazzo dove abito, ho provato a scattargli qualche foto, ma non sono venute molto bene.-
Taiyou passò la sua Canon, probabilmente scambiata al Mercato Nero in cambio del suo giornale, agli altri: le immagini, leggermente sfocate, ritraevano una persona incappucciata, in modo da celarne il volto, indossava un mantello nero e nella mano destra teneva l’arco. Quando la macchina fotografica fu nella mani di Hakuryuu, osservò attentamente le foto, poi si alzò in piedi e, con un espressione seria in volto, disse:- Grazie a questa persona presto inizierà una rivolta e, forse, noi assaporeremo la libertà.-

 

 La sua schiena scivolò lentamente sulla fredda parete di terra della cella, Atsuya amava quel posto, il silenzio era sovrano e gli permetteva di schiarisi le idee quando era confuso o arrabbiato.
Chiuse gli occhi e distese le gambe sul pavimento, probabilmente si sarebbe sporcato i pantaloni, siccome il pavimento delle ex-prigioni del castello veniva pulito di rado, ma non  gli importava molto. Il suo sospiro rimbombò leggermente e riaprì gli occhi guardando il cielo stellato tramite la piccola finestrella posta in alto, quasi al livello del soffitto. Le chiavi che aprivano le porte delle celle giacevano abbandonate vicino ai suoi piedi.
Nella sua testa si stavano accumalando pensieri, ricordi e insegnamenti in un groviglio complesso che lo stavano lentamente portando alla pazzia. Il volto terrorizzato di quella bambina gli passò davanti agli occhi, come se fosse un breve cortometraggio. Aveva sempre ammirato i soldati del Sommo Imperatore, suo padre Kuduo perdeva interi pomeriggi a parlargli del loro coraggio e della loro devozione a Kageyama, eppure gli erano sembrati tanto sbagliati nella piazza di Tokio, soprattutto con quella creatura innocente. E quando una persona misteriosa aveva ucciso quei quattro soldati, una sensazione di sollievo e felicità aveva invaso il suo animo.
Chiuse nuovamente gli occhi e respirò profondamente appoggiando il capo all’umida parete.

Doveva assolutamente fare qualcosa.

 

Hiroto Kiyama e Midorikawa Ryuuji convivevano da un paio d’anni, ma si conosceva da più di dodici, da quando un bambino con i capelli verdi e gli occhi come la notte era stato portato all’orfanotrofio Sun Garden.
Per questo si capivano subito, a volte bastava un semplice sguardo per comprendere i pensieri dell’altro. Tuttavia quella sera, dove stavano entrambi cenando, con qualche verdura e il pane di Shirou, sul kotatsu, Ryuuji non riusciva a capire il silenzio del suo fidanzato. Solitamente a cena Hiroto parlava un po’ di tutto o faceva lo scemo per farlo ridere, ma in quel momento si limitava a tenere gli occhi acquamarina fissi sul piatto immerso nei suoi pensieri.
-C’è qualcosa che non va?- gli chiese allora.
Il rosso sussultò lievemente sorpreso e, mantenendo la stessa posizione, gli rispose con un sussurato no.

-Non mentirmi.-
A quelle parole l’altro ragazzo posò, finalmente, lo sguardo nel suo.
-La missione di oggi è stata pericolosa.- gli rispose semplicemente.
E Midorikawa capì.
Così esibì uno dei suoi, rari, dolci sorrisi.
-Non mi succederà niente Hiro-chan.-
Poi gattonò aggirando il kotatsu e trovandosi di fronte al fidanzato.
Intanto Hiroto sorrise leggermente nel sentirsi chiamare con quel nomignolo che si davano da piccoli, ma ritornò subito serio.
-Non voglio perderti.-
Abbracciò il verde e inspirò l’odore gradevole della pelle di Midorikawa.
-Non mi perderai.- il tono con cui lo pronunciò era sicuro e deciso.
-Me lo prometti?-
-Te lo prometto.-
Si diedero un altro bacio a fior i labbra e fu in quel momento che Hiroto si ricordò di una cosa.
-Kariya torna a casa fra un’ora.- un sorrisetto malizioso sul volto.
-Perfetto.-
E subito finiro entrambi sdraiati sul pavimento, coinvolti in un bacio che di casto aveva poco.

 

 

Da piccolo Afuro credeva che il castello in cui viveva fosse quello delle storielle che gli raccontava la sua nutrice prima di addormentarsi, dove si trovavano la bellissima principessa e il suo principe. In quel momento, sdraiato sull’enorme letto della sua stanza, si rese conto che tutta la sua vita era una fiaba: bella e terribilmente finta.
Per diciasette anni aveva creduto che tutto il Giappone stesse bene come lui, ma in realtà si trattava solo di una fiaba narrata da suo padre e da tutte le persone che gli stavano intorno. Perché il Sommo Imperatore era al corrente di tutto quello che succedeva a Tokio e lo accettava. Lo aveva scoperto sentendo, per sbaglio, una conversazione fra Kageyama e il consigliere Kuduo, padre di Atsuya.

-Se togliessimo qualche tassa, i cittadini non si rivolterebbero più.-

-No Kuduo. Se accontentiamo i cittadini adesso, vorrano sempre di più in futuro. Aumenteremo i soldati a Tokio e a Sopporro, bisogna incutere timore al popolo se vuoi che ti obbediscano.-

Non riusciva a credere che l’uomo che gli aveva sempre donato affetto e amore fosse lo stesso che aveva impoverito lo stato e reso un inferno la vita del popolo.
Una lacrima gli scese lungo la guancia, affilata come un rasorio, piena di tristezza, dolore e delusione.
Afuro aveva sempre pensato che suo padre fosse il migliore del mondo, aveva sempre creduto a tutte le storie che gli dicevano.

Tokio è ricca.
I cittadini sono felici.

Tutte bugie, usate per imprigionarli in una gabbia d’oro.
Perché?
Non riusciva a capirne il motivo: che senso aveva far soffrire migliaia di persone?
La risposta gli arrivò subito, secca e gelida.

Non vivi più nelle fiabe Afuro, il bene non sempre vince sul male.

 

A Shirou non era ancora chiaro come ci fosse finito in quella situazione, seduto sul suo letto di fronte all’eterno rivale Nagumo Haruya. Quando questo aveva bussato alla vecchia porta del suo appartamento per parlare, aveva creduto che fosse ubriaco. Perché loro litigavano, si minacciavano a vicenda o, nei casi più estremi, facevano volare le sedie, ma non avevano mai parlato serenamente.
-So che Hitomiko ha chiamato un ragazzo dall’Hokkaido affinchè si unisca ai Ribelli e ci aiuti.-
La voce del rosso lo risvegliò da quei pensieri appena avuti, notando che il suo noto di voce era un misto tra l’irritato e il preoccupato.
-Lo so, lo chiamano Il Vento del Nord. Sembra sia stato lui a dare inizio alle Rivolte a Sopporro.- rispose semplicemente l’altro.
-Tutto questo mi sembra strano. Che bisogno c’è di reclutare qualcun’altro? Bastiamo noi.-
Shirou si aspettava una reazione simile, Nagumo non aveva mai amato le novità. E non si fidava di Hitomiko, come molti tra i Ribelli, poiché lei era il capo delle industrie Kira, la sua era una vita agiata, niente a che vedere con quella dei comuni cittadini. Per questo non si riusciva a capire la motivazione della creazione dei Ribelli.
Pochi sapevano il suo segreto, tra cui Shirou.
-No, se noi domani affrontassimo il Sommo Imperatore e i suoi soldati, verremmo massacrati. Più persone si uniscono a noi, più aumentano le possibilità di vincere, per tanto non voglio più sentire cose del genere sui nuovi arrivati.-
Haruya, sotto lo sguardo gelido e deciso dell’albino, si limitò a sbuffare contrariato, lo sguardo a vagare per la stanza. Il pavimento era in legno e scricchiolava ad ogni passo, l’intonaco bianco delle mura si era sgretolato in alcuni punti, su una parete c’era persino un buco, i letti, un matrimoniale e uno singolo, si trovavano in fondo alla stanza, opposti alla porta d’entrata, sulla destra una piccola finestrella e alla sua sinistra un vecchio comodino impolverato (Shirou non aveva molto tempo per fare le pulizie). Tutto sommato la camera non era male, c’erano abitazioni più decadenti a Tokio, e sicuramente era meglio della sua, una misera stanza di un motel.
Si alzò dal letto del collega e, quando fu sulla soglia della stanza, precisò:-Non tratterò male il nuovo arrivato, ma non lo considererò mai un mio compagno e alleato.-

Angolo dell'autrice sclerata

Salve gente!
Prima i tutto mi scuso per l'immenso ritardo, il capitolo era pronto due settimane fa', ma ho avuto problemi di connessione.
Questo è un capitolo di "passaggio", per cui è un po' più corto degli altri e, se devo essere onesta, non mi soddisfa molto. Ditemi cosa ne pensate voi!
Inoltre volevo precisare i salti temporali presenti: la prima parte è ambientata qualche ora dopo l'assasinio dei soldati (a proposito, per chi non l'avesse capito, è stato Midorikawa a provocarlo), nel tardo pomeriggio; i monologhi interiori di Atsuya e Afuro di notte, più o meno verso le undici, mentre la parte riguardante Hiroto e Midorikawa si svolge un paio di ore dopo della prima, alle sette/ sette e mezza all'incirca; infine quella di Shirou  avviene la sera, intorno alle nove.
Sarete felici di sapere che ho già cominciato a scrivere il prossimo capitolo, quindi spero di aggironare in fretta ^-^
Un abbraccio abbraccioso a tutti i miei pazienti lettori!
Ice Angel

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Capitolo 5
*** Il Vento del Nord, follie improvvise e rapporti strani ***


                                                                                            Capitolo quattro
                                                                 Il Vento del Nord, follie improvvise e rapporti strani

Genda non amava il turno serale, era noioso portare i soldati in ogni abitazione per riscuotere le tasse. Sbuffò sentendo delle urla provenienti dall’esterno del camioncino.
Odiava quando i cittadini opponevano inutilmente resistenza.
Se gli abitanti non pagavano le tasse, sotto ordine del Sommo Imperatore, dovevano portare via della mobilia oppure, come spesso succedeva, prelevare i loro figli e figlie. I più grandi sarebbero diventati amanti di Kageyama, mentre i bambini sarebbero stati venduti.
Poggiò il capo sul poggiatesta, la mente che già si immaginava a casa con Sakuma che lo aspettava seduto sul divano intento a leggere un libro.
All’improvviso sentì un urlo che gli fece gelare il sangue nelle vene, non era come il precedente.
Era un urlo agghiacciante, terribilmente spaventoso, che sapeva di morte.
Scese immediamente dal furgone per capire cos’era accaduto e ciò che vide lo pietrificò. La luna illuminava parzialmente i corpi inermi dei suoi colleghi, una viscida pozza di sangue gli arrivò fino ai piedi, l’odore di morte che gli faceva salire la bile fino alla gola.
Quattro persone era artefici di quell’assasinio, complici le armi insaguinate. La luna, testimone di quella terribile notte, illuminava i loro volti coperti da delle maschere, sul mantello scuro si notava, ricamata sul petto, in corrispondenza del cuore, un’elegante R . Sembravano dei demoni, belli quanto terribili, delle creature celestiali e sanguinarie al tempo stesso.
Non lo stavano guardando, troppo occupati a far scendere dal retro del furgoncino gli ultimi ragazzini rimasti, che prontamente correvano all’interno del palazzo. Così Genda, in un atto di puro terrore, estrasse dalla cinghia dei pantaloni una pistola e la puntò contro un ragazzo coperto da una maschera probabilmente rossa. Stava per premere il griletto quando sentì un dolore lancinate al petto.
L’ultima cosa che vide fu una lama sottile che gli trapassava il petto.
Poi il buio.
    
Un demone freddo.
Era stata questa la prima cosa che aveva pensato Nagumo Haruya su Gazel, meglio conosciuto come Il Vento del Nord.
Quegli occhi, azzuri come il cielo, gli erano sembrati tremendamente disumani da quanto erano gelidi. Gli aveva salvato la vita uccidendo quel soldato sbucato dal nulla, tuttavia vederlo seduto su quella sedia, nella stanza dove facevano le riunioni, nelle antiche catacombe, gli provocava uno strano senso di irritazione.
Aveva provato, quando aveva saputo che sarebbe giunto a Tokio, a cercare qualche informazione su di lui tra i mercenari che bazzicavano al mercato nero, ma sembrava che nessuno lo conoscesse, non era nemmeno nominato negli articoli riguardanti le rivolte in Hokkaido.
Gazel sembrava non esistere.
Che avesse un’altra identità? Poteva essere una spia del Sommo Imperatore, inviato per  passargli tutti i loro piani, in fondo era amico di Hitomiko e quasi nessuno si fidava di lei, di una Luxury. Venivano chiamate così le persone che appartevano ai ranghi alti della società, gente ricca che non aveva mai faticato in tutta la vita e se ne stava comoda su una poltrona a comandare sugli altri.
-Tutte le missioni sono state portate a termine con successo. Durante quella del gruppo con a capo Shirou, Gazel, alias Il Vento del Nord, si è  unito a noi. La sua abilità strategica e intelligenza ci saranno molto utili.- Appena Hitomiko si sedette, un coro di applausi, alcuni entusiati altri fatti per pura educazione,  rieccheggiò nella stanza.
-Allora Gazel, cosa ne pensi dei Ribelli?- gli occhi glaciali di Shirou si erano posati su quelli dell’albino, sembravano quasi che lo stessero  analizzando, tuttavia l’altro non lasciava trasparire nessun stato d’animo. In quel momento Haruya si accorse di quanto Shirou e Il Vento del Nord si assomigliassero, entrambi possedevano quella maschera di freddezza che nessuno riusciva a far crollare.
Gli occhi, gelidi e impassibili come la sua anima, del nuovo arrivato vagarono sui volti di tutti i presenti, soffermandosi qualche secondo in più su Haruya; poi riguardò Shirou e disse:- Il Giappone non vedrà mai la libertà, se questo è il meglio che sapete fare.-
Subito il commento schietto e secco di Gazel provocò sbigottimento e rabbia tra i Ribelli. Nagumo, addirittura, si era alzato e aveva sbattuto prepotentemente le mani sul tavolo.
-Cos’hai detto odioso ghiacciolo?- aveva urlato, in preda all’ira.
Nessuno poteva permettersi di considerarlo un debole.
E per la prima volta da quando era arrivato Il Vento del Nord  mostrò, vagamente, un sentimento assottigliando gli occhi e irrigidendo la mascella.
Gazel non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno.
-Ripetilo se ne hai il coraggio, tulipano incapace.-
Il tono agghiacciante che aveva utilizzato avrebbe zittito chiunque, ma non Nagumo Haruya. Questo, infatti, stava per replicare quando la voce autoritaria di Hitomiko interruppe quel mini-scambio di battute.
-Non voglio litigi qui dentro. Gazel, spiegaci meglio le motivazioni di questa tua osservazione.-
-Sì, anch’io sono curioso di capire dove stiamo sbagliando.- fu proprio quella frase, detta da Fubuki, che durante quel trambusto era rimasto con un’espressione impassibile sul viso, a calmare gli animi dei due litiganti e, in generale, di tutto il gruppo.
Il nuovo arrivato guardò per qualche istante negli occhi il Capo.
Ghiaccio nel ghiaccio.
-Da quel che ho potuto osservare, le vostre abilità individuali sono discrete, ma quello che vi manca è una tattica efficace e sicura. Se questa notte io non fossi arrivato e ucciso quel soldato, lui- e con un’occhiata tagliente indicò un Haruya irritato -sarebbe morto. Avreste perso un alleato,  ricordatevi sempre che un uomo in meno è una speranza in meno di vincere. Dovrete fare molto più lavoro di squadra se volete sconfiggere i soldati di Kageyama.-
Il suo tono di voce era rimasto basso e rauco per tutta la durata del discorso, sembrava essere un sospiro consigliere, che nell’aria della stanza espandeva una voce, quasi surreale, persa nel tempo e nello spazio.
Susseguirono alcuni istanti di silenzio, poi Shirou, con una calma glaciale e gli occhi ardenti di volontà, si alzò dalla sedia e chiese:-Quindi, Vento del Nord, cosa intendi consigliarci per riparare questa lacuna?-
L’albino ghignò leggermente.
-Mi aspettavo questa domanda, Fubuki.-
 
Con la schiena aderente al freddo muro della stanza, un paio di occhi rossi alternavano lo sguardo da un orologio a un pezzo di parete apparentemente spoglia. Afuro si era rinchiuso in camera dal primo pomeriggio, da quando, seduti comodamente su un ramo dell’enorme albero nel cortile, Atsuya gli aveva fatto quella proposta.
-Voglio scappare da qui, da questo mondo falso.-
-C-cosa?-
-All’alba prendo la mia roba e fuggo a Tokio. Vieni con me?-
La semplicità con cui il suo migliore amico gli aveva detto quelle cose, lo aveva completamente spiazzato. All’inizio aveva pensato che scherzasse, ma il tono serio e quello sguardo, pieno di ardente voglia di libertà e coraggio, gli avevano fatto capire che non si trattava di uno scherzo.
-Io… non so, Atsuya. Qui c’è la nostra famiglia, se andiamo via non la rivedremo mai più.-
-Intendi dire la stessa famiglia che ci ha mentito per anni, nascondendoci un’orribile verità? A me non mancherà di certo.-

Guardò, attraverso l’enorme finestra che dava sul cortile del castello, il cielo cominciare a tingersi di un blu chiaro.
Presto lui sarebbe partito e il biondo sapeva che doveva fare una scelta che, sicuramente, gli avrebbe cambiato la vita.
-Non serve che mi dai una risposta subito, Afuro. Pensaci ok? Sappi che io partirò comunque per Tokio, con o senza di te.-

E Afuro ci aveva davvero pensato, valutando tutte le possibilità.
Molte domande vorticavano nella sua testa, in un’incessante quanto fastidiosa nenia.
Che cosa faremo una volta arrivati a Tokio? Vivremo per strada o troveremo un lavoro?
Si chiese anche se sarebbe mancato a qualcuno, perché sapeva che la sua famiglia non era mai stata unita.
Suo padre Kageyama non era una persona fedele, infatti aveva tradito sia la prima che la seconda moglie con delle amanti prese dal popolo. Lui stesso era un figlio illegittimo, sua madre infatti si sposò con  suo padre quattro anni dopo la sua nascita, quando morì la prima moglie.
Le amanti del Sommo Imperatore abitavano in un ala isolata del castello, lontane dagli altri abitanti, e i figli erano destinati a diventare membri della servitù. Anche per questo Afuro era sempre stato nell’ombra della famiglia Kageyama, suo padre preferiva di gran lunga suo fratello maggiore Yuuto, primogenito e unico figlio legittimo, nato durante il primo matrimonio, era l’erede al potere della Tirannia.
I due fratelli non avevano mai avuto un grande rapporto, non parlavano molto tra loro, ma era palese che Yuuto lo odiasse, anche se non ne riusciva a capire il motivo; difatti le poche volte in cui il fratellastro gli aveva rivolto la parola era per rimproverarlo a causa della sua goffaggine.
Afuro guardò un’ultima volta la parete spoglia davanti a sé, questa celava un passaggio segreto che portava direttamente agli ex-sotteranei, lui e Atsuya lo avevano adoperato la prima volta che erano andati a Tokio. Fece un respiro profondo e si alzò dal pavimento.
Aveva preso una decisione.
 
I primi raggi di sole penetrarono nella cella, attraverso la piccola finestrella inferriata, la botola che portava alla tanto agognata libertà era aperta. Atsuya sorrise lievemente quando udì dei passi dietro di sé.
Sapeva che sarebbe venuto.
Si voltò leggermente per scorgere l’esile figura di Afuro indossare una mantellina rossa, uguale alla sua, e sotto di essa intravide un enorme borsone che, sicuramente, conteneva alcuni effetti personali.
-Sono felice che tu sia venuto, Afuro.-
Il biondino guardò prima il pavimento, dove si trovava il passaggio segreto, poi il volto del suo migliore amico. Dalla sua posizione riusciva  a scorgere solamente un occhio grigio perla, che sembrava quasi brillare sotto la pallida luce del sole sorgente; il suo sorriso era quello di sempre, terribilmente sfrontato.
-È stata una decisione difficile-: cominciò a parlare il biondino, il tono dolce ma sicuro –ma sono giunto alla conclusione che nessuno si è mai preoccupato per me, nessuno mi ha mai consolato quando piangevo, nessuno mi ha fatto sentire il calore di una famiglia                         eccetto te Atsu-kun.
Tu sei il mio migliore amico, mio fratello* e la mia famiglia. Per questo ti seguirò sempre, ovunque tu voglia andare.-
L’albino rimase sorpreso dalle sue parole, non immaginava minimamente che Afuro potesse contenere dei pensieri così profondi.
Si girò completamente per specchiarsi nei suoi occhi, così simili ai rubini, e gli scompigliò leggermente i capelli biondi, in un gesto affettuoso.
-Che piani abbiamo?- chiese il più piccolo, sorridendogli affettuosamente.
-Ho un po’ di soldi messi da parte, credo bastino per comprare un modesto appartamento. Ci cercheremo un lavoro, non dovrebbe essere così difficile trovarne uno in una città grande come Tokio. Per il resto… sarà il destino a decidere.-
-Ti rendi conto che quello che stiamo facendo è una follia?-
-Sì, ma sono proprio queste pazzie che rendono la vita imprevedibile e degna di essere vissuta.-

Shuu e Hakuryuu erano inseparabili.
Dove c’era uno, era matematico che ci fosse anche l’altro.
Erano opposti.
Il  moro e l’albino.
Riflessione e impulsività.
Nero e bianco.
Il loro era un legame molto più complicato di quello che la gente credeva. Shuu ci stava riflettendo proprio in quel momento, sotto il cocente sole di giugno, lo skateboard sottobraccio e, ovviamente, il suo migliore amico che camminava accanto a lui per le strade rovinate di Tokio.
Loro due, al contrario di quello che pensavano gli altri, non erano semplicemente amici, ma non stavano nemmeno insieme.
Un rapporto talmente intricato che li legava sempre di più, confondendoli.
Baci passionali e sussurri sulla pelle.
Mani che si cercano, pelli che si toccano.
Un vortice di passione lussuriosa forte e distruttiva, la mente ne è inibita.
Un nome urlato all’apice del piacere…
-Hakuryuu!-
Le gote di Shuu si tinsero leggermente di rosso mentre rivide un piccolo flash-back della notte precedente, ove la luna era stata testimone, ancora una volta, della loro passione.
Quello non era stato solo sesso, ma nemmeno amore.
Era qualcosa di più, ma anche qualcosa di meno.
Un sentimento non definito che li avrebbe condotti in un turbine di follia.
Tuttavia Shuu voleva esserne schiavo, e non sapeva se fosse una cosa sana o meno.
-Si può sapere che ti prende? Oggi sei stranamente silenzioso.-
Tipico dell’albino, non utilizzava mai giri di parole, era diretto e schietto; se voleva una cosa la chiedeva e basta.
Il moro lo guardò negli occhi, stringendo leggermente la presa sul suo skateboard.
-Stavo solo pensando.-
-Tu pensi troppo.-
Ed era vero, Shuu era terribilmente paranoico.
-Ragazzi!-
A pochi metri da loro Taiyou Amemiya stava correndo e agitando la mano in segno di saluto.
Quel ragazzo era come il sole, era sempre circondato da un’aura piena di calore e ottimismo, che sembravano tanto mancare ai giapponesi, ormai oppressi sotto la più ingiusta delle cose sulla Terra: la dittatura.
-Ho delle notizie dell’ultima ora da darvi!- disse una volta raggiunti, gettò un’occhiata fugace al centro della Piazza, dove alcuni soldati controllavano che la legge venisse rispettata, e riprese il discorso, stavolta parlando a voce molto bassa:- però parliamone in un posto più appartato ok?- ed esibì uno dei suoi bellissimi sorrisi.
Subito gli occhi di Hakuryuu si accesero di curiosità, tutto ciò che riguardava Tokio gli interessava, soprattutto se quelle novità gettavano del fango sul Sommo Imperatore.
Appena i tre ragazzi si spostarono in uno stretto vicolo, lontano da orecchie indiscrete, Amemiya cominciò a parlare con tono entusiastico di un fatto accaduto la sera prima.
-Ieri sera i soldati sono venuti a riscuotere le tasse nel palazzo dove abito –pensate che a mia nonna hanno portato via l’unico letto e il kosatsu- hanno preso una decina di bambini e ragazzi credo e, come al solito, li hanno messi in quei camion maledetti.
E all’improvviso sono arrivati,  ho visto tutta la scena dalla finestra di camera mia, sembravano degli eroi, come quelli che vediamo nei manga, emanavano speranza e coraggio. A causa dell’oscurità non vedevo molto bene, ma credo che indossassero un mantello e qualcosa per coprire li viso, un passamontagna o una maschera, non so…. Hanno ucciso tutti i soldati, uno dopo l’altro, sono caduti come birilli, e liberato i ragazzini. Infine hanno scritto una cosa sopra il loro furgone, sono riuscito a fotografarla poco prima che altri soldati arrivassero e cancellassero tutte le “prove”.- qui l’arancio riprese fiato ed estrasse dalla tasca una fotografica, per poi porgerla a Hakuryuu e Shuu.
Proprio come raccontato, sul camioncino c’era una frase, scritta in rosso scuro.
“I Ribelli vi ridaranno la libertà.”
Hakuryuu sorrise compiaciuto mentre stringeva leggermente l’immagine fra le dita pallide.
I paladini della giustizia che aveva atteso tanto a lungo erano arrivati.
 

 
La seconda visita a Tokio fu meno traumatica della precedente. Ormai i due ragazzi sapevano cosa aspettarsi di trovare, tuttavia la fredda realtà era ancora difficile da accettare completamente.
Atsuya si guardava attorno, mentre camminava per le strade della città con il cappuccio rosso ben calato sulla testa e il borsone contenente i suoi averi sulla spalla sinistra, una sensazione iraconda gli si accumulava in gola, come un nodo troppo stretto per essere slegato.
Avrebbe voluto urlare al cielo tutto il risentimento e la delusione che provava verso la sua famiglia, ma non lo fece. Perché oltre alla rabbia c’era anche un’altra sensazione che provava, molto più forte di altre emozioni negative, proprio sopra il cuore, ed era calda e confortante.
Atsuya per la prima volta nella sua vita provava la libertà.
Quella libertà che ti fa correre per strada o su un prato per sentire il vento sul viso che ti soffia contro.
Che ti fa alzare gli occhi al cielo e ridere, ma ridere davvero, dal profondo del cuore, come un bambino troppo puro e innocente per accorgersi della crudeltà del mondo.
È quella stessa libertà che ti fa dire:
Io esisto, sono qui e voglio vivere davvero. Voglio provare felicità e speranza, ma anche tristezza e dolore, perché la vita è fatta anche di questo. Io voglio vivere perché mi sono stancato di essere solo una statua apatica, che si trascina giorno per giorno e non sente il vero gusto della vita.
-Sai, Atsu-kun… non ti ho mai visto così!- la voce dolce e delicata di Afuro ridestò l’albino dai suoi pensieri, il quale gli indirizzò uno sguardo scettico.
-In che senso?-
-I tuoi occhi brillano. Non li ho mai visti così.-
E in quel momento Atsuya gli fece un sorriso, facendo splendere ancora di più quelle gemme grigie che si ritrovava al posto degli occhi.
-Sono felice, biondina.- una mano  gli arruffò i capelli biondi e il ghigno-made-in-Atsuya tornò sul viso del suo padrone.
Afuro, con le guancie un po’ rosse per l’imbarazzo, borbottò uno “stupido” detto senza troppa serietà, ma poi il suo viso ritornò serio.
-Ho fame.- esordì semplicemente, mettendosi una mano sullo stomaco, che, come per affermare le sue parole, brontolava leggermente.
-Wow, biondina, che pensieri profondi.-
Il suo migliore amico si divertiva molto a sfotterlo, quando voleva sapeva essere davvero irritante.
-Guarda che sono serio! Ho fame!- disse con tono melodrammatico, trascinando un po’ le vocali delle ultime parole.
I suoi occhietti vispi si guardarono attorno, finchè non lo vide: una vetrina che faceva mostra di qualche muffin e strane forme di pane, da cui proveniva un profumo assolutamente invitante.
Atsuya non ebbe nemmeno il tempo di dire “aspetta!” che il suo compagno di avventura si era già catapultato sull’entrata della panetteria. Con un sospiro rassegnato lo seguì e, appena posato un piede sul pavimento di legno del negozio, la prima cosa che notò non furono le pareti sporche o i pochi scaffali pieni di pane e dolcetti vari.
No, furono un paio di occhi grigi, così uguali ai suoi.                                      
Poi ci fu solo buio.


*= ovviamente qui Afuro si riferisce ad Atsuya come "fratello" in senso metaforico, per far comprendere meglio all'altro che lo considera un membro della sua famiglia anche se non hanno legami di sangue. 

Angolo dell'autrice sclerata che posta sempre in ritardo
Ma buonsalve gente!
Ok, avete tutto il diritto di tirarmi addosso pomodori/libri/tastiere/dizionari/porte/chipiùnehapiùnemetta
Avevo detto, ancora mesi or sono, che avevo già cominciato il nuovo. Solo che un paio di mesi fa', arrivata circa a tre quarti dalla conclusione, ho avuto una crisi da "OhsantissimoTerumicosahoscrittoquestarobaèschifosanonpossopubblicarla" e ho riscritto il capitolo tutto da capo.
E devo dire che questa nuova stesura mi piace molto di più ^^
Vi auguro un buon Natale in super ritardo e un felice anno nuovo in anticipo!
 Ci rivediamo fra tre/quattro mesi con il prossimo aggiornamento!
Spero davvero di non metterci così tanto T.T

Un abbraccio abbraccioso
Ice Angel

 
 

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Capitolo 6
*** Ricordi nostalgici, mercato nero e centro d'allenamento ***


Breve riassunto dei capitolo precendenti: i Ribelli muovono i primi passi verso la loro ribellione, uccidendo soldati e aiutando i cittadini, a loro si unisce Gazel, soprannominato il Vento del Nord, un ragazzo proveniente dall'Hokkaido e che entra subito in conflitto con Nagumo. Nel frattempo Atsuya e Afuro scappano dal castello del Sommo Imperatore, per ricominciare una nuova vita a Tokio, ma appena entrano nella panetteria di Shirou, Atsuya sviene. In parallelo si svolgono le vicende di Hakuryuu, Shuu e i loro amici (tra cui Tayou che gestisce -illegalmente- un giornale) che vedono nei Ribelli degli eroi che ridarranno a tutti la libertà.
 
Capitolo cinque
Ricordi nostalgici, mercato nero e centro d'allenamento




Le gote del bambino erano leggermente rosse a causa del freddo.
Ti osservava, con quegli occhi grigi uguali ai tuoi.
Guardandolo, infagottato in quella giacca vecchia con una sciarpa che gli avvolgeva il collo candido, non potevi che provare un profondo affetto per lui.
-One-chan, facciamo un pupazzo di neve?-
 
Non può essere.
Shirou continuava a ripetersi mentalmente quella frase osservando il ragazzo svenuto, trasportato sul pavimento della piccola dispensa del negozio.
Aveva la carnagione pallida e i capelli di una tonalità che non riusciva a definire, tra l’arancio chiaro e il salmone. Inoltre, quando aveva perso i sensi,  quel ragazzino biondo lo aveva chiamato con il suo nome, nel tentativo di farlo rinvenire.
È solo una coincidenza, Atsuya è morto anni fa’, fattene una ragione.
-Potete rimanere qui fino a quando non si riprende, probabilmente non è niente di grave.-
Non era la prima volta che qualcuno sveniva nel suo negozio, chi per la stanchezza o chi per la fame, ormai a quel tipo di situazione ci aveva fatto l’abitudine.
Il ragazzo, inginocchiato accanto all’amico svenuto, lo guardò con gli occhi rossi, dello stesso colore del sangue vivo, e lo ringraziò, il tono fievole e preoccupato.
-Comunque-:  parlò questo dopo qualche istante di silenzio:-il mio nome è Afuro Terumi, e lui- indicò Atsuya con lo sguardo:-è mio cugino*, Atsuya.-.
Visto Shirou? Non hanno lo stesso cognome, lui non è tuo fratello.
anche se la sua espressione impassibile non lo esprimeva, Shirou fu per un momento deluso da quella notizia, aveva sperato che quello fosse davvero il suo gemello Atsuya Fubuki, scomparso tredici anni fa’ nelle valli innevate dell’Hokkaido, come il resto della famiglia.
-Il mio nome è Shirou Fubuki.-: rispose semplicemente con un tono che non lasciava trasparire nulla del suo disagio inferiore.
Poi aprì la porta della dispensa e ritornò nel negozio, controllando con lo sguardo che tutti i prodotti fossero al loro posto e che nessuno fosse entrato e  avesse rubato qualcosa durante la sua assenza.
Attendeva con impazienza l’arrivo di qualche cliente, in modo da non pensare al sosia di suo fratello, a pochi passi da lui.
 
Il sole splendeva alto nel cielo azzurro, coprendo con i suoi caldi raggi Tokio. Ad Hakuryuu sembrava che il tempo si facesse quasi beffe della condizione degli abitanti, che si trascinavano in una frustante giornata dove cercavano di sopravvivere alla fame e ai soprusi dei soldati. Osservò i banchi del mercato nero, pieni di beni esteri ottenuti illegalmente, salutando, di tanto in tanto, qualche mercante.
Hakuryuu era conosciuto in quei luoghi poiché li frequentava abitualmente.                   
Le persone come lui venivano definite vagabondi, coloro che non erano né mercanti né informatori, ma, con questi, scambiavano merci rare in cambio di soldi e che non avevano una dimora fissa. Hakuryuu, per esempio, dormiva in qualche motel o a casa di qualche amico. Giravano molte voci su di lui, spesso infondate, ma Hakuryuu non aveva mai fatto niente per smentirle, in fondo si divertiva a sentire le persone fare supposizioni su di lui.
Osservò ancora qualche bancarella, quando il suo sguardo si posò su quella persona. Era in piedi vicino a un banco, i capelli mori un po’ spettinati e gli occhi neri come la notte osservanti dei fumetti esposti.
Hakuryuu gli si avvicinò subito, circondandogli le spalle con un braccio.
-‘Giorno Shuu.-
Il ragazzo a quel contatto improvviso di irrigidì, rilassandosi dopo qualche secondo, dedicandogli un dolce sorriso.
-Buongiorno Haku-chan!-
Il più grande diede una veloce occhiata al bancone, dove erano esposti dei vecchi manga, non più editi in Giappone perché, secondo le regole del Sommo Imperatore, portavano messaggi contro gli ideali del giusto governo dello stato e corrompevano, quindi, le menti dei giovani.
D’altronde la morale di certi manga, che esprimevano la ricerca della libertà o il voler lottare contro un sistema sbagliato, andava contro le regole di un regime totalitario.
-Vuoi comprarti qualcosa?-
A quella domanda Shuu posò lo sguardo, leggermente imbarazzato, sul volume che si stava rigirando fra le mani.
-Vorrei… ma non ho soldi.-
L’espressione un po’ rassegnata del più piccolo fece perdere un battito al cuore di Hakuryuu.
L’albino avrebbe fatto qualsiasi cosa per l’amico, che sia salvargli la vita o comprargli un manga. Shuu, con i suoi sorrisi rassicuranti e i suoi baci dolci, lo aveva aiutato nei momenti più sconfortanti della sua esistenza.
Per questo Hakuryuu ce l’aveva con sé stesso, sapeva che il moro meritava più amore di quanto sapesse dargli lui, ma, allo stesso tempo, non riusciva a rinunciare all’affetto che Shuu gli donava ogni giorno.
Hakuryuu, in certi momenti, si sentiva davvero egoista.
Sorridendo persuasivo, rivolse i suoi occhi rossi al venditore.
-Ehi, ti interessa uno scambio?-
Il commerciante lo guardò con aria indagatrice, socchiudendo leggermente gli occhi e stringendo la sigaretta fra le labbra screpolate.
-Che tipo di scambio?-
 L’albino tirò fuori dalla tasca della consumata giacca un pacchetto di sigarette, mostrandogliela.
-Sono sigarette americane, della miglior qualità. In cambio di queste tu mi dai il manga che stava guardando il mio amico.-
Il suo interlocutore si sporse leggermente dal bancone per osservare meglio il prodotto, assicurandosi che non fosse contraffatto.
-Come sei riuscito a procurartele?- il tono  era sospettoso, in fondo non era la prima volta che qualche ragazzino provava a rifilargli un falso.
Hakuryuu sogghignò.
-Sono un vagabondo, trovare merci del genere è il mio lavoro.- 
 A quell’affermazione gli occhi dell’uomo si spalancarono leggermente, come se fosse stato colto da un pensiero rivelatore improvviso.
-Tu sei Hakuryuu vero? Molte persone qui parlano di te.-
L’albino si limitò ad annuire, per poi richiedere se accettava o meno lo scambio.
Trenta secondi dopo Shuu teneva fra le mani il suo nuovo manga.
 
 
-Atsu-kun sei sicuro di stare bene?-
-È già la quinta volta che me lo chiedi Afuro, sì sto bene. Quello svenimento era dovuto alla stanchezza; come ti ho già ripetuto, è da giorni che non dormo bene a causa degli incubi.-
Il biondino si limitò a sorridere leggermente, sollevò lo sguardo al cielo, dove i raggi del sole gli riscaldavano il viso pallido. Nonostante avesse visto lo stesso cielo limpido un milione di volte tra le mura della reggia, gli sembrò diverso in quel momento, finchè camminava per quelle vecchie strade con accanto il suo migliore amico.
-Piuttosto- la voce calma di Atsuya lo ridestò dai suoi pensieri –quel commesso, Fubuki Shirou, è stato davvero gentile.-
E freddo, gli ricordò una vocina che rimbombava nella testa dell’albino.
La sua espressione impassibile e il tono fermo non erano mai mutati durante la loro, seppur breve, conversazione. Non che avessero parlato di chissà quale argomento.
 Dopo esser rinvenuto, Fubuki gli aveva chiesto come si sentiva e, finchè Afuro sgranocchiava la pagnotta di pane appena comprata, non ricorda bene come, era saltato fuori che cercavano casa. Shirou allora gli aveva scritto su un foglio un indirizzo, spiegandoli che si trattava di un appartamento in affitto e che, una volta arrivati sul luogo indicato, dovevano chiedere di Nagumo Haruya.
Nonostante quell’atteggiamento distaccato, ogni volta che Atsuya aveva guardato negli occhi l’albino, gli si proiettava nella mente la neve che cadeva sul paesaggio già innevato dell’Hokkaido.
E lui non ne capiva il motivo, non era nemmeno mai stato in quella regione!
Per il momento preferiva tenere i suoi dubbi per sé, non voleva far preoccupare ulteriormente Afuro; e poi doveva concentrarsi su come iniziare una nuova vita, lontano da quel castello che per anni gli aveva nascosto la verità.
 
 
-Ghiacciolo, si può sapere dove ci stai portando? È da ore che camminiamo tra queste catacombe.-
-Tulipano, se non vuoi diventare più forte, puoi andartene. E poi sarà al massimo da mezz’ora che camminiamo, non ti credevo così fiacco.-
-Cosa? Come cazzo ti permetti-
- Burn finiscila.-
-Ma Ryuuji, è lui che mi ha provocato! Io ho fatto solo un innocente domanda.-
-Tu sei tutto tranne che innocente.-
- Ha parlato il Santo! Guarda che lo so benissimo cosa fate tu e Ryuuji prima di venire qui, rosso pervertito!-
-Quello che faccio col mio fidanzato non è affar tuo, stupido tulipano!-
-Hiroto, non ti ci mettere anche tu.-
-Scusa Ryuuji.-
Hitomiko sospirò rassegnata.
-A volte mi sembra di badare a dei bambini, invece che a dei ragazzi pronti a combattere per la propria libertà.-
La mano pallida di Shirou si posò sulla sua spalla, come a confortarla; nell’altra mano teneva una torcia che illuminava le vie intricate delle catacombe.
-È un bene che siano così rilassati, troppo stress è controproducente.-
Shirou analizzava tutto con un’oggettività disarmante, era una delle caratteristiche che preferiva di più nel ragazzo.
-Piuttosto- l’albino ricominciò a parlare –dove stiamo andando?-
Quella notte, alla riunione dei Ribelli, Gazel aveva detto all’intero gruppo di seguirlo perché voleva farli vedere una cosa che li avrebbe resi più forti. Tutti, chi perplesso chi più fiducioso, avevano cominciato a marciare dietro l’albino, pieni di curiosità.
-Presto lo scoprirai, siamo quasi arrivati.-
Fubuki si limitò ad lanciarle un’occhiata.
-Ribelli, siamo arrivati.-
La voce gelida di Gazel rimbombò tra le strette pareti di terra, davanti al gruppo si imponeva un’enorme porta d’acciaio.
-Oltre questa porta-  a parlare fu Hitomiko –si trova un Centro di Allenamento creato, finanziato dalla sottoscritta e  in assoluta segretezza, per noi. Qui potremo rafforzare le tecniche di combattimento e le tattiche da adoperare contro i soldati. Ovviamente di questo posto non dovete farne parola con nessuno.-
Shirou, udendo quella breve spiegazione, ghignò leggermente.
Ora nessuno avrebbe fermato i Ribelli.    
 
                                                                                                                                    Erano sdraiati sulla neve, le piccole mani intrecciate e gli occhi al cielo plumbeo.
I fiocchi di neve continuavano a cadere, in quella danza bellissima e incantatrice.
Voltò lo sguardo verso il fratello, che a sua volta lo guardò con quegli occhi così simili ai suoi.
-Shirou?-
-Sì, Atsuya.-
-Sai, i tuoi occhi mi ricordano la neve.-
-Sei davvero strano.-
-Anche tu.-
E una risata allegra alleggiò nell’aria.



Angolino dell'autrice super-ritardataria
Buongiorno popolo! *le lanciano pomodori, sedie, porte e dizionari (?)*
Ehm...sì, me ne rendo perfettamente conto: ad aggiornare sono più lenta di un bradipo rimbambito in letargo.
Spero  prometto di aggiornare prima il prossimo capitolo.
Passando a questo capitolo, sarò onesta: non mi entusiasma molto, ma siccome non volevo far passare ancora più tempo dall'ultimo aggiornamento, l'ho pubblicato lo stesso. 
Ed è orribilmente corto, ne sono consapevole, ma tenete conto che è un capitolo di "passaggio", dal prossimo che devo ancora scrivere si entrerà nel vivo della vicenda e spiegherò meglio cos'è il Centro d'Allenamento.
Per chi non l'avesse capito le parti in corsivo a inizio e fine capitolo sono episodi passati dei gemelli Fubuki -nei prossimo capitoli chiarirò anche questa vicenda-.
Ora vi saluto prima di scrivere un papiro
Un abbraccio abbraccioso
Ice Angel

 

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